Mishima's Curse - the devil's gene

di 7vite
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Prologo – L’inizio ***
Capitolo 2: *** Cap. I - Jun Kazama ***
Capitolo 3: *** Cap. II - La scelta di Kazuya ***
Capitolo 4: *** Cap. III - Il mostro ***
Capitolo 5: *** Cap. IV - L’ultimo Mishima ***
Capitolo 6: *** Cap. V - Il torneo del pugno di ferro ***
Capitolo 7: *** Cap. VI - Segreti pericolosi ***
Capitolo 8: *** Cap. VII - Scomode verità ***
Capitolo 9: *** Cap. VIII - Sete di vendetta ***
Capitolo 10: *** Cap. IX - Forfait ***
Capitolo 11: *** Cap. X - Demoni ***
Capitolo 12: *** Cap. XI - Il tradimento di Nina ***
Capitolo 13: *** Cap. XII - Spiriti ***
Capitolo 14: *** Cap. XIII - La guerra può attendere ***
Capitolo 15: *** Cap. XIV - Calma apparente ***
Capitolo 16: *** Cap. XV - Tekken 5 ***
Capitolo 17: *** Cap. XVI - L’altra Kazama ***
Capitolo 18: *** Cap. XVII - La Zaibatsu ***
Capitolo 19: *** Cap. XVIII - La fuga ***
Capitolo 20: *** Cap. XIX - Alleanze ***
Capitolo 21: *** Cap. XX - Gli eredi degli dei ***
Capitolo 22: *** Cap. XXI - Zafina ***
Capitolo 23: *** Cap. XXII - La furia di Azazel ***
Capitolo 24: *** Cap. XXIII - Il nuovo presidente ***
Capitolo 25: *** Cap. XXIV - Intrecci ***
Capitolo 26: *** Cap. XXV - Ritorno a Tokyo ***
Capitolo 27: *** Cap. XXVI - Il bene ed il male ***
Capitolo 28: *** Cap. XXVII - La resa dei conti ***
Capitolo 29: *** Epilogo ***



Capitolo 1
*** Prologo – L’inizio ***


Prologo
– L’inizio –

 
L’uomo aprì lentamente gli occhi e capì immediatamente che quanto era appena accaduto non poteva essere un sogno.
Si rese conto d’essere sdraiato sulla pancia e fece per voltarsi, ma una avvertì una fitta al lato destro del corpo che lo fece urlare per il dolore. Evidentemente Jack doveva avergli rotto qualche costola quando l’aveva trascinato di peso in quel luogo tetro e tenebroso che non gli era affatto familiare.  Si trovava in un’angusta prigione sotterranea con le pareti di pietra. Non vi erano finestre e l’ambiente puzzava di muffa.
Con uno sforzo sovrumano degno dei migliori combattenti si issò sulle forti braccia e si mise a sedere; quell’unico gesto gli era costato una fatica enorme.
Scrutò l’oscurità che lo circondava e un brivido – che non aveva nulla a che fare col freddo– gli percosse lungo la schiena.
In un attimo tutto quello per cui aveva sempre lottato era sparito, gli era stato strappato via con la forza da suo figlio, l’unico erede per linea di sangue. Si sentì uno sciocco, come aveva potuto abbassare la guardia? Da un po’ di tempo Heihachi se ne stava calmo, pareva essersi ammansito come una bestia domata, ma lui era stato cieco, avrebbe dovuto capire immediatamente che c’era qualcosa sotto, uno come quello non diventa buono da un giorno all’altro. Era stato bravo, dovette riconoscere con ripugno, ad aver allentato la presa sulla sua posizione, ad avergli fatto credere di essersi arreso al suo volere, e accidenti, era persino riuscito a risultare credibile.
Forse non era del tutto un incapace, ma non poteva essere la nuova guida della Mishima Zaibatsu. Jinpachi sapeva bene che il figlio era troppo accecato dalla bramosia per rendersi conto delle cose veramente importanti – ad esempio Kazumi e Kazuya – e glielo aveva ripetuto più di una volta, ma lui non gli aveva mai dato retta, aveva preferito dedicarsi a malsani progetti scientifici in compagnia di uno squilibrato.
Si sentì pervadere da un’ondata funesta di rabbia, tutti quegli anni passati ad educare suo figlio e suo nipote erano andati sprecati. Quanto tempo sprecato dietro ad una scrivania a spremersi le meningi ed adesso i suoi piani erano andati in fumo. Heihachi avrebbe preso il suo posto governando l’impresa familiare come un dittatore, ed il povero Kazuya sarebbe stato abbandonato a sé stesso. La morte prematura di Kazumi aveva lasciato una profonda cicatrice nel cuore del bambino, ma era convinto di poter fare qualcosa per risanarla anche se in minima parte.
Ma adesso non poteva più fare nulla.
Un rumore improvviso lo strappò ai suoi pensieri. Qualcuno scendeva con passo deciso gli scalini di pietra che conducevano alla sua prigione, ed era certo di sapere chi fosse. Facendo appello a tutta la sua forza si alzò in piedi, mordendosi le labbra per impedirsi di gemere a causa del dolore.
Heihachi se la stava prendendo comoda, sapeva che da quel momento in poi avrebbe avuto tutto il tempo che desiderava, senza nessuno che gli mettesse i bastoni fra le ruote. Jinpachi si costrinse a camminare verso le grate di ferro battuto e pochi minuti dopo lui e suo figlio di stavano scrutando da dietro le sbarre che li divideva.
Rimasero a fissarsi per un lasso di tempo che parve lunghissimo, scambiandosi lo stesso sguardo carico di odio e disgusto, rendendosi conto solo in quel momento di essere quasi identici all’aspetto, seppure così diversi nell’animo.
Alla fine fu il più vecchio dei due a rompere il silenzio, e le sue parole riecheggiarono sinistramente all’interno della sua prigione.
«Rovinerai tutto quanto.»
Lo avvisò a denti stretti, desiderando di colpirlo. Heihachi sorrise ed i suoi baffi scuri emisero un tremolio danzando sopra le sue labbra.
«Ti sbagli, vecchio. Con me la Zaibatsu conoscerà il prestigio che si merita, quello che tu e le tue idee conservatrici gli avete sempre negato.»
Jinpachi strinse le nocche e quelle scrosciarono rumorosamente, palesando la sua rabbia.
«Non sai di cosa parli. Sei solo un ragazzino che vuole mettersi in mostra, ancora ignaro del peso delle responsabilità.»
Il figlio non lo stava nemmeno a sentire. Con un sorriso che andava da orecchio a orecchio spalancò le braccia.
«Prova a fermarmi allora. Ma non puoi, non è vero? Perché ti ho fatto imprigionare dal tuo più fedele assistente. Ti sei chiesto come ci sia riuscito? Come io abbia convinto Jack a rapirti?»
«La tua conoscenza degli Hardware non basta! So bene che cos’hai in mente, ed è spaventoso. I tuoi amici scienziati sapranno anche modificare geneticamente il DNA, ma sono pronti ad affrontare le conseguenze di un possibile fallimento?»
«Non esiste alcun fallimento nel mio piano, ancora ti ostini a non comprendere? Io e il dottor Bosconovitch abbiamo tra le mani la ricetta perfetta.»
«Per che cosa? Per riportare in vita un dinosauro?»
Lo interruppe bruscamente il padre, fiondandosi contro le sbarre con un’energia che fece vibrare le mura che lo circondavano. Heihachi si fece subito serio e avvicinò il volto a quello del suo interlocutore con fare minaccioso.
«Alex è solo l’inizio, non hai idea dei nostri progetti futuri. Con il ricavato dell’azienda finanzierò la ricerca scientifica, c’è un mucchio di gente disposta ad aiutarmi, sanno che il loro contributo al mio progetto giocherà a loro favore.»
«So bene di cosa si tratta ed è per questo che mi preoccupo. Credi che non l’abbia capito subito? State cercando di mischiare le componenti biologiche di diverse specie viventi. Tutto questo è contro natura!»
Il giovane sorrise beffardo.
«Allora non sei stupido come credevo, sei solo codardo.»
«Tutto questo vi si ritorcerà contro, condannerai l’umanità, e per cosa?»
«Non ci arrivi sul serio? Io sarò il creatore di qualcosa di completamente nuovo, il futuro è nella scienza. Guardami padre, hai di fronte a te l’uomo che presto conquisterà il mondo intero. Ritieniti pure onorato di essere al mio cospetto.»
«Ma non pensi a Kazuya?»
Ululò il vecchio scagliandosi ancora una volta contro le gelide sbarre, ignorando le fitte di dolore che si manifestavano nel suo corpo ferito.
«C’è qualcosa di molto più importante in ballo, qualcosa per cui sono pronto a sacrificare il mio stesso sangue, se devo.»
Completamente devastato dal ribrezzo, Jinpachi guardò il figlio negli occhi prima di sputargli addosso, centrandolo proprio sullo zigomo.
Heihachi non si scompose. Con una manica del suo karategi asciugò l’offesa subita, prima di sferzare un pugno nello spazio vuoto tra due stanghe, colpendo il padre dritto sullo stomaco.
Il vecchio si accovacciò tenendosi la pancia, cadendo ai piedi del figlio. In bocca aveva il riconoscibile sapore di sangue.
«Ricordati questo momento, Jinpachi, quello in cui ti ho messo al tappeto. Sarà il tuo ultimo ricordo. Goditi pure l’aria fresca, stasera stessa verrai murato.»
Senza attendere risposta, girò sui tacchi e si allontanò.
Jinpachi vomitò sangue misto a succhi gastrici. A quanto pareva quella era la sua fine.
I suoi ultimi pensieri andarono al nipote, quel ragazzino timido e insicuro che aveva preso sotto la sua ala. Che ne sarebbe stato di Kazuya, ora che nessuno si sarebbe più curato di lui?
Si accasciò sul freddo pavimento di pietra sigillando gli occhi, pregando che la morte sopraggiungesse quanto prima, risparmiandogli ulteriori sofferenze.

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Capitolo 2
*** Cap. I - Jun Kazama ***


Capitolo I
– Jun Kazama –

 
Dopo un rapido sguardo agli avversari Kazuya si convinse d’avere di nuovo la vittoria in pugno. Alcuni concorrenti aveva avuto modo di conoscerli l’anno precedente, anche se non si era aspettato che avessero la faccia tosta di ripresentarsi. Passò in rassegna i suoi sfidanti con aria di sufficienza: riconobbe King, il wrestler messicano che l’anno precedente era riuscito a stendere in meno di trenta minuti, Marshall, un ristoratore americano la cui agilità giocava a suo favore, Paul, uno scavezzacollo che l’anno prima gli aveva dato del filo da torcere – forse l’unico lottatore da temere per davvero – le sorelle Williams, troppo impegnate a farsi la guerra a vicenda per preoccuparsi seriamente del torneo, Wang, un centenario che a malapena si reggeva in piedi, Michelle, che avrebbe fatto meglio a mollare la lotta e dedicarsi al giardinaggio, Ganryu, un lottatore sumo che non aveva nessuna chance di vincere e Lee uno spocchioso truffatore che l’anno precedente aveva provocato una rissa fuori dallo stage, conquistandosi la simpatia di Heihachi. Lee si divertiva a provocarlo, ma si sbagliava se credeva bastasse così poco a distrarlo. Kazuya aveva chiaro il suo obiettivo, riconquistarsi il titolo di vincitore.
Voleva a tutti costi impossessarsi dell’approvazione del padre, che aveva indetto il torneo con lo scopo di reclutare lottatori con capacità straordinarie. Si era erroneamente illuso che vincere la prima edizione dell’Iron Fist gli avrebbe finalmente garantito il rispetto del padre, ma evidentemente Heihachi non reputava sufficiente una singola vittoria e se voleva stupirlo doveva fare di più.
E così durante l’anno si era allenato molto più duramente, applicando gli insegnamenti che gli aveva impartito suo nonno molti anni prima. Era stato proprio lui ad insegnargli le basi del karate stile Mishima e col tempo Kazuya lo aveva personalizzato affinando la tecnica e perfezionando i movimenti.
Si era allenato di nascosto, certo che il padre tramasse alle sue spalle, dopotutto da un po’ di tempo lavorava ad un progetto scientifico ambiguo: una modifica genetica. Suo padre non lo teneva informato sulla progressione degli studi, ma era riuscito a sapere tramite il Dr. Bosconovitch che l’analisi si era conclusa positivamente, il gruppo di ricerca aveva ridato vita ad un dinosauro estintosi molti anni prima impiantando il DNA di un pugile nei resti delle ossa dell’animale.
Il risultato era sconcertante: un enorme lucertolone verde che si reggeva su due gambe come un comune essere umano. Anche se lui provava ribrezzo per quella cosa, suo padre ne era affascinato ed aveva ribattezzato quello scempio “Alex” (ancient lizard experiment).
Kazuya non si sarebbe comunque lasciato intimorire da quella cosa, se gli fosse toccato l’avrebbe combattuta e distrutta volentieri dimostrando al padre ancora una volta che il sangue del suo sangue era molto più potente di qualsiasi OGM.
Solo allora si accorse della presenza di un nuovo membro: una ragazza giovane, più bassa di lui, di origine asiatica. Aveva l’incarnato pallido, corti capelli corvini che le ricadevano sulle spalle, occhi tondi color nocciola e morbide labbra carnose dal colorito roseo. La sua pelle era così chiara e lucida che la faceva somigliare ad una bambola di porcellana e lei dovette accorgersi del peso del suo sguardo, perché lo ricambiò fissando i suoi occhi scuri con sincero interesse. Per un momento che durò forse un secondo, o forse dieci anni, i due rimasero così, a squadrarsi l’un l’atro da due parti completamente opposte del salone in cui si trovavano.
Lei non sembrava a disagio, a differenza di Kazuya che aveva iniziato a sudare senza capirne il motivo.
«Kazuya.»
La voce rauca di suo padre lo ridestò dal torpore in cui era scivolato. Dopo un attimo di esitazione, ancora confuso, rizzò la schiena come un soldato al cospetto del generale.
«Padre.»
L’uomo seguì la traiettoria dello sguardo del figlio, Kazuya avrebbe voluto che non lo facesse.
«Sei pronto?»
«Certo padre.»
Rispose rapido il figlio, ancora sull’attenti. L’uomo lo fissò e respirò molto sonoramente dal naso, dilatando le narici.
«Resta concentrato.»
«Lo farò.»
Il vecchio indugiò un po’prima di parlare nuovamente, giusto per tenerlo sulle spine.
«Presto farò il mio discorso di benvenuto e stanotte inizieremo il sorteggio. Volevo solo assicurarmi che tu non ti stessi adagiando sugli allori, il fatto che tu abbia vinto lo scorso anno non deve in alcun modo lasciarti credere di poter prendere questo stage alla leggera.»
«No, no di certo.»
Lo interruppe Kazuya. Non sopportava che suo padre lo credesse così irresponsabile, non era certo un bambino viziato, sapeva che ogni vittoria andava sudata.
«Non ho finito.»
Con riluttanza, Kazuya si scusó.
«I concorrenti che hai incontrato l’anno scorso si sono fortificati, cosa che spero abbia fatto anche tu.»
«Certo che sì, io…»
«Smetti di interrompermi!»
Urlò Heihachi e qualche schizzo di saliva finì in faccia al giovane. I suoi occhi erano ormai ridotti a due fessure. Di nuovo il figlio di erse in tutta la sua statura. Serrava i pugni così forte che le nocche delle sue dita divennero completamente bianche.
«Tieni sempre a mente che porti il mio stesso cognome, e che un tuo fallimento rischierà di infangare il nome dell’intera Zaibatsu. Se getterai disonore sul mio cognome, la pagherai molto cara.»
Con quelle ultime parole si congedò senza nemmeno voltarsi a guardarlo.
Le tempie di Kazuya pulsavano, sentiva il sangue scorrere a tutta velocità dentro al suo corpo e il cuore, che poco prima aveva mancato un battito, adesso pompava all’impazzata. A quel punto si ricordò della ragazza che l’aveva completamente attratto a sé e la cercò nello stesso angolo, ma lei non c’era più.

«Signore e signori buonasera! È con immenso orgoglio che vi presentiamo la seconda edizione dell’ “Iron Fist Tournament”.»
La folla esplose in un sonoro e scrosciante applauso, mentre i concorrenti finivano di prepararsi negli spogliatoi. Man mano che i minuti passavano ognuno sentiva crescere in sé l’adrenalina che anticipava momenti come quelli.
Quando il presentatore smise di parlare gli sfidanti fecero il loro ingresso sul ring, incoraggiati dalle urla della folla. Qualcuno esibiva degli striscioni, altri si limitavano a cantare cori.
Uno alla volta i partecipanti vennero presentati e Kazuya scoprì che la ragazza che l’aveva ipnotizzato si chiamava Jun Kazama e aveva 22 anni. Jun indossava un gilet di jeans molto corto che le lasciava scoperta la pancia piatta, un paio di pantaloncini minimalisti coordinati e delle lunghe calze azzurre che le arrivavano al ginocchio. Kazuya sentì una strana ondata di calore quando il suo sguardo si posò su di lei, e si accorse di star indugiando un po’ troppo sui suoi glutei tonici. Poco dopo fu il suo turno di salire sul ring, e si maledisse per essersi lasciato distrarre un’altra volta. Al di là della semplice bellezza fisica, c’era qualcos’altro di lei che riusciva ad attrarlo come una calamita, anche se non sapeva spiegarsi cosa con esattezza.
Il primo round vide al centro del ring Lei Wulong (un piedipiatti di Hong Kong) e Ganryu. Lei lottava secondo il Kung Fu, ed era molto più veloce nei movimenti rispetto al lottatore di sumo. Lo scontro durò circa venti minuti e vide come vincitore il poliziotto cinese. Subito dopo fu il turno di Baek Doo San, un insegnate di Tae kwon do di origine coreana che perse contro Yoshimitsu, misterioso guerriero di un clan Maji. In seguito, si sfidarono di Bruce Irvin e Michelle Chang, e quest’ultima si aggiudicò la vittoria stendendo l’avversario con una combo di azioni. Poi si toccò ad Anna Williams e Jun; Kazuya prestò parecchia attenzione allo scontro. Jun combatteva secondo il Kobudo misto ad arti marziali che lui non conosceva, e sebbene fosse più lenta di Anna nei movimenti, riuscì ad immobilizzarla diverse volte piegandola così alla sua forza. Anna oppose una degna resistenza attaccandole le gambe con calci ben assestati e ad un certo punto il tacco a spillo di quest’ultima si conficcò nella carne della giovane, facendola sanguinare. Come inviperita, Jun si scagliò contro l’irlandese con più ferocia equilibrando calci e pugni, colpendola ripetutamente in volto e sotto la vita. Urlava a pieni polmoni, mentre sferrava i suoi attacchi e alla fine riuscì a guadagnarsi la vittoria atterrandola con una rovesciata. Kazuya non poté fare a meno di sorridere, ma si affrettò a dissimulare il suo sorriso mettendo su il suo solito cipiglio.
Si sentì stupido, in vita sua non gli era mai successo niente di simile.
Jun scese dall’arena zoppicando e un´ hostess accorse verso di lei porgendole un asciugamano e anche in quell’occasione i loro sguardi s’incrociarono e lei gli rivolse un accenno di sorriso imbruttito dalle smorfie di dolore, che lui non ricambiò.
Si chiese perché gli avesse sorriso, la gente non era avvezza a farlo e mentre nella sua mente frullavano idee confuse, il suo nome riecheggiò per tutto lo stadio.
«Kazuya Mishima contro Alex!»
Esclamò con enfasi il presentatore nel microfono.
Si chiese se si trattasse di un puro caso o se suo padre avesse organizzato tutto quanto di proposito. Mentre la creatura saliva sul quadrato, Kazuya sentì il pubblico ansimare. In effetti Alex incuteva parecchio terrore: la sua pelle era rugosa e squamosa ed i suoi piccoli occhi gialli schizzavano da una parte e l’altra dell’orbita oculare facendolo sembrare un predatore assetato di sangue. La coda ondeggiava a destra e sinistra del suo corpo e il ragazzo si chiese se potesse essere un suo punto debole. Quando l’arbitro decretò l’inizio del primo round, il rettile si sdraiò sulla schiena e, zampe all’aria, colpì Kazuya a suon di calci, poi, senza neppure dargli il tempo di contrattaccare, lo afferrò per le gambe e lo fece rotare per aria, prima di schiantarlo contro i tenditori delle corde. Kazuya sbatté la testa rimanendo stordito. Sentì la folla fischiare ed esprimere il proprio disappunto per quell’obbrobrio innaturale, ma questo non sarebbe servito a placare l’ira del suo rivale. Sapeva che, da qualche parte, Heihachi stava assistendo allo scontro, compiacendosi della sua creazione, e questo non poteva tollerarlo. Mentre il dinosauro correva nella sua direzione, Kazuya si issò in piedi e si tuffò contro la bestia, centrandogli il petto con la testa. Alex cadde per terra, ma si rialzò in fretta e a quel punto l’uomo lo afferrò per un polso e lo colpì ripetutamente con la sua gamba. Prima che il suo corpo scivolasse per terra, Kazuya lo tramortì assestandogli un pungo sotto il muso.  Alex cadde a pancia in giù e parve che a quel punto il match fosse finito, ma un secondo dopo spalancò le palpebre e le pupille nere si rimpicciolirono dentro l’iride gialla. Sollevandosi con uno scatto, saltò addosso all’umano e gli afferrò la testa tra le cosce scaraventandolo al tappeto. La folla esplose in un tumulto collettivo, imprecando contro Alex e facendo il tifo per il giovane Mishima. Kazuya caricò il braccio e fece una giravolta su sé stesso, prima di picchiare un potentissimo pugno sul muso di Alex, che incespicò. Approfittando del momento, Kazuya lo afferrò e gli sferrò una potente craniata, mettendolo K.O.
Il pubblico trionfò acclamando il campione. Ansimava come un forsennato mentre l’arbitro gli sollevava il braccio al cielo e lo dichiarava campione, classificandolo per il secondo match.
Poi successe qualcosa di strano: Alex si sollevò sulle zampe posteriori e invece di inveire contro Kazuya, saltò fuori dal quadrato scaraventandosi contro Jun in prima fila, che ancora sanguinava dal polpaccio dove le si era conficcato il tacco di Anna. Fu un attimo, giusto il tempo di un battito di ciglia, Kazuya lo raggiunse da dietro e gli strinse le braccia attorno al collo. La sua pelle era spiacevole al tatto, viscida e scivolosa, ma questo non gli fece mollare la presa. La ragazza si portò istintivamente le mani sul viso soffocando un urlo spaventato e Kazuya strinse con più vigore, cercando di allontanare l’animale dalla donna, ma quello pareva come stregato dall’odore di sangue e continuava a divincolarsi, fino a che le sue ossa non cedettero sotto il peso dei muscoli dell’uomo e la sua spina dorsale si spezzò. Il suo corpo cadde esanime sotto agli occhi sgomenti dei presenti.
Sollevò gli occhi verso la torre nella quale si trovava suo padre: questa volta l´avrebbe pagata cara.
 
Heihachi lo convocò quasi immediatamente, e mentre Kazuya percorreva i corridoi che l´avrebbero condotto a lui si chiese se gli desse più fastidio il fatto che avesse vinto contro il suo esperimento o che lo avesse ucciso.
«C´era bisogno di arrivare a tanto?»
Disse dandogli le spalle, continuando ad osservare lo spettacolo dall´alto della sua posizione.
«Io…»
Fece per scusarsi, ma Heihachi lo interruppe.
«Sapevo che eri potente, ma non immaginavo fino a questo punto.»
Aprì la bocca e la richiuse, senza riuscire a dire nulla.
«Sì certo, hai buttato all´aria anni e anni di studi, per non parlare di quanto ci è costato recuperare l´esoscheletro di quel dinosauro…»
Kazuya non capì dove volesse andare a parare.
«Ma col tuo tempestoso intervento hai evitato che la ragazza venisse uccisa. Sarebbe stata una pessima pubblicità, avremmo perso milioni di sponsor e le nostre azioni sarebbero crollate.»
Kazuya lo fissò, per un attimo si era illuso che al padre potesse stare a cuore una vita umana, ma la sua unica preoccupazione era quella di farsi cattiva pubblicità. Sapeva quanto avesse faticato per portare la Zaibatsu al suo attuale splendore, ripeteva sempre che era stata la sua premura più grande occuparsi dell’azienda dopo l’improvvisa morte di suo nonno, ma aveva sperato, inutilmente, in un atto di umanità nei confronti di una vita.
«Forse ti ho sottovalutato. Se anche questa volta ti riclassificherai campione, credo che potrei persino includerti nella mia prossima missione.»
Kazuya strabuzzò gli occhi, per la prima volta da che ne avesse ricordo suo padre gli si era rivolto come se non fosse una completa nullità. Per tutta la vita Kazuya aveva inutilmente cercato di guadagnarsi l’approvazione del padre, che però si rifiutava di vederlo per ciò che realmente era e lo biasimava perché non lo reputava all’altezza delle sue aspettative. Ciò che Kazuya non sapeva è che alla base del disprezzo di Heihachi nei suoi confronti c’era la sua somiglianza con Kazumi, la sua defunta madre. Lui non poteva minimamente immaginare che il solo motivo per cui il vecchio lo teneva a distanza fosse la sua totale intolleranza per il suo sguardo carico di disapprovazione, lo stesso che gli riservava Kazumi.
Ma adesso tutto stava per cambiare, forse se si fosse guadagnato per la seconda volta consecutiva il titolo di campione del torneo del pugno di ferro, Heihachi lo avrebbe finalmente ritenuto il suo degno erede. Kazuya vedeva aprirsi uno spiraglio per entrare nelle grazie del padre e avrebbe fatto di tutto per non deludere le sue aspettative.
 
Dopo una notte passata a rigirarsi nel suo futon facendo mille congetture si era arreso all’insonnia e si era diretto nella palestra al piano di sotto, dove aveva sfogato la tensione sul sacco da boxe. Gli piaceva allenarsi e concentrare i suoi pensieri sugli attacchi, riuscendo così a svuotare la mente. Suo nonno gli rammentava sempre che un bravo combattente dovesse essere sempre in grado di liberare la mente per non lasciarsi influenzare dal flusso dei pensieri. Kazuya ripeteva i suoi insegnamenti come un mantra, era l’unico modo che aveva per continuare a avvertire la sua presenza, ma non osava farne parola col padre, che disprezzava suo nonno quanto sua madre, rea di essere stata troppo debole per lottare e aver ceduto al fascino del suicidio per porre fine ai suoi problemi.
Quando sentì che la sua mente fosse completamente sgombra da ogni sorta di pensiero, il sole era già alto nel cielo di Tokyo.
Pur non avendo chiuso occhio, si sentiva più in forma che mai ed aveva continuato ad esercitarsi fino a quando il suo stomaco non gli impose una tregua
Mentre divorava il suo ramen al pollo, diede un’occhiata ai tabelloni che riportavano la foto dei partecipanti al torneo. Quelli che si erano guadagnati una vittoria avevano una foto a colori, mentre quelli che avevano perso erano raffigurati in bianco e nero. Non si stupì di constatare che Wang, King e Kunimitsu erano stati sconfitti, ma si era sorpreso quando aveva notato che anche P-Jack e Kuma erano stati eliminati subito. Oltre a lui restavano ancora in gioco Lei, Michelle, Yoshimitsu, Law, King, Paul, Lee Nina e Jun. Per qualche motivo si era soffermato più a lungo sull’immagine di quest’ultima e si chiese se la sua gamba stesse meglio (se così non fosse stato, le sarebbe convenuto ritirarsi quanto prima).
Dopo una breve doccia energetica si preparó per il secondo round, indossò i pantaloni del suo karategi (preferì fare a meno della giacca) e vi legò una cintura di stoffa nera, poi si sedette ed attese l’inizio della seconda manche in spogliatoio, tenendosi a distanza dagli altri sfidanti affinché questi non lo distraessero.
 
I volti dei contendenti si susseguirono in rapida sessione all’interno del grande cubo sul maxischermo.
«Nina Williams!»
Urlò il presentatore, e la donna si avvicinò alla gabbia con passo lento e seducente, mentre la folla ululava il suo nome a grandi polmoni.
«Vediamo contro si sfiderà la giovane irlandese.»
Strillò l’uomo dentro il microfono, sovrastando le grida eccitate del pubblico, mentre il cubo continuava a ripresentare una alla volta le foto degli avversari a tutta velocità. A un certo punto si fermò tutto d’un tratto, rivelando il volto di un uomo.
«Lei Wulong, signore e signori, siete pronti per questo scontro?»
Gli spettatori si alzarono in piedi e risposero all’unisono alla domanda retorica, mentre il cinese si faceva largo tra gli sponsor con sicurezza, sorridendo beffardo alla biondina.
«Sarà strano, mi hanno insegnato a non picchiare le donne.»
Confidò il poliziotto alla sua rivale, legandosi i lunghi capelli neri alla sommità della nuca.
«Che buffo, anche a me.»
Il sorriso sparì dalla bocca di Lei e, subito dopo il fischio d’inizio, Nina si fiondò sull’uomo scaraventandogli contro una serie di calci all’altezza della vita. Lei cadde per terra, ma si rialzò in fretta.
«Ti avevo sottovalutata!»
Confessò sgomento, passandosi una mano sulle labbra.
«Io no, sei incapace proprio come credevo.»
Replicò quella, afferrandogli il braccio e facendolo capovolgere, mettendolo nuovamente al tappeto.
Lo spettacolo durò meno di quindici minuti e si concluse con la vittoria di Nina.
Di nuovo il tabellone brillò di vivaci colori, mentre venivano sorteggiati i secondi lottatori. Il volto severo di Kazuya fissò i presenti dall’alto della sua posizione, mentre il vero Kazuya si faceva largo tra la folla per raggiungere il quadrato, facendo attenzione a non spostare gli occhi nemmeno di un millimetro, focalizzandosi solo sulla sua meta. Accanto al suo viso, apparve quello mascherato di Armor King.
«È uno scherzo?»
Domandò il giovane Mishima sottovoce, pregustandosi l’imminente vittoria. Il messicano percorse il corridoio di corsa, poi fece un lungo saltò e scavalcò le corde del ring, meritandosi un caloroso applauso. Kazuya roteò gli occhi a lui non serviva ricorrere a certi trucchetti per guadagnarsi il rispetto della calca. I due uomini si inchinarono reciprocamente, come di consueto (l´inchino di Kazuya fu impercettibile) poi si attaccarono come belve inferocite, entrambi determinati a vincere. Aveva passato la notte in bianco, ma si sentiva carico come una pila, e combatté valorosamente non per suo padre, ma per sé stesso.
Armor King faceva fatica a difendersi, i pugni di Kazuya arrivavano come raffiche ad una velocità disarmante, quand’era diventato così agile? La sera prima con Alex era stato bravo, ma neppure lontanamente spaventoso come in quel momento. Oramai la lotta si eseguiva a senso unico, il giapponese attaccava senza sosta ed il wrestler si difendeva a spada tratta senza però riuscire a sferrare nemmeno un contrattacco. Sapeva che se avesse smesso di parare i colpi Kazuya l’avrebbe ridotto in polvere, ma continuare a subire non gli faceva alcun onore, sua moglie e i suoi figli erano piazzati davanti al televisore e facevano il tifo per lui dall’altra parte dell’emisfero e non voleva deluderli. Fece un salto indietro e raggiunse la sommità del tenditore, lasciando che il pugno di Kazuya colpisse il pavimento del ring. Mentre quello meno se l’aspettava, Armor King si librò in aria e gli mollò una pedata sulla guancia, facendolo sputare, e senza perdere ulteriore tempo continuò a colpirlo, capovolgendo la situazione a suo vantaggio, ma non durò a lungo perché Kazuya parò il suo pugno con una mano e con l’altra gli strinse la clavicola costringendolo a piegarsi e in quel momento lo sollevò sulla sua testa e lo scagliò con violenza per terra, facendogli perdere i sensi. L’arbitro fischiò la fine dell’incontro e gli corse vicino sollevandogli un braccio verso il cielo, decretandolo campione.
Ancora col fiatone, il giovane uomo si allontanò dalla gabbia e fece per tornarsene al suo rifugio.
«Yoshimitsu contro Jun Kazama!»
Strillò il presentatore prima ancora che riuscisse a sparire dalla visuale, e suo malgrado si immobilizzò sull’uscio dello spogliatoio e guardò alle sue spalle. Jun combatteva con talento, poggiando il peso da un piede all’altro, ruotando per aria e sottraendosi con maestria alla spada del maji. Non sembrava nemmeno che fosse stata ferita appena 24 ore prima, Affrontava il suo rivale a viso aperto, e combinava tecniche che Kazuya non aveva mai visto prima. La vide eseguire un’aggraziata rovesciata che centrò Yoshimitsu in pieno stomaco, e poi la vide sfuggire alla sua presa conficcandogli una gomitata nel petto. Per quanto fosse esile, sapeva il fatto suo. Contro ogni previsione, quasi quaranta minuti dopo, si aggiudicò la vittoria. Sudata e ansimante incrociò le dita e le levò in aria, godendosi un altro momento di gloria, lasciandosi adulare dagli elogi dei suoi tifosi.
Kazuya si ritenne soddisfatto e come un fantasma si lasciò inghiottire dall’ombra, sparendo dietro la tenda di velluto nera che conduceva agli stanzini dedicati ai campioni, ovviamente vuoti dato che tutti erano impegnati a seguire i match. Avvertì un profondo senso di pace nell’intimità di quel posto, lontano dagli schiamazzi e dal baccano del marasma da cui era appena fuggito. Si avvicinò alla fontana a muro e bevve una generosa sorsata d’acqua fresca.
«Tu sei il figlio di Mishima-san, non è così?»
La voce alle sue spalle arrivò improvvisa, tanto che a Kazuya scivolò il dito sulla manopola del rubinetto e il getto d’acqua si fece più potente, bagnandogli i pettorali.
«Scusa, non volevo spaventarti.»
Si affrettò a dire Jun avvicinandosi al ragazzo e porgendogli un asciugamano di quelli presenti sulla mensola.
«Sì, sono suo figlio.»
«Sapevo non fosse un caso che abbiate lo stesso cognome.»
Gli sorrise la ragazza, prima di assumere un’espressione solenne.
«Volevo ringraziarti per ieri, il tuo intervento è stato provvidenziale.»
A Kazuya sembrò di perdere l’uso della parola, quando mai gli era capitato di sentirsi a disagio in presenza di qualcuno, uomo o donna che fosse? Ricordandosi i dettami di suo nonno, cercò di sgombrare la mente e studiò la ragazza, come se fosse una sua nemica e quella conversazione una battaglia.
«L’avrebbe fatto chiunque.»
Riuscì a dire con distacco, con la sua consueta voce profonda.
«Ma non l’ha fatto nessuno, a parte te.»
Gli fece notare lei guardandolo dal basso del suo metro e sessanta.
«Ero quello più vicino.»
Concluse, mettendo fine a quella chiacchierata, sperando che se ne andasse quanto prima. Per qualche strana ragione che non sapeva spiegarsi quella ragazza lo faceva sentire vulnerabile.
Se non fosse stato privato della gentilezza per tutti quegli anni forse non avrebbe trovato niente di sbagliato in quel gesto, e se gli fosse stato insegnato qualcosa di diverso dalla lotta, forse avrebbe riconosciuto quei sentimenti che gli facevano contorcere lo stomaco.
«Perché te ne stai qui tutto solo e non assisti agli incontri?»
Gli chiese Jun che non voleva ancora porre fine a quella conversazione. Kazuya si domandò come mai s’interessasse così tanto alla sua persona, abituato a credere di essere insignificante.
«Perché non mi interessano.»
Tagliò corto.
«Però il mio l’hai osservato.»
Lo disse senza nemmeno pensarci su, desiderosa di provocare quel tipo cupo e taciturno. Kazuya la guardò come un predatore e lei quasi si pentì di quel commento.
«Perché mi spii di nascosto?»
Le chiese socchiudendo gli occhi, lei arrossì.
«Non ti stavo spiando, ti stavo studiando.»
«Davvero?»
«Certo che sì! Ho analizzato ognuno di voi per individuare i punti forti e deboli di ognuno.»
Rispose Jun stizzita.
«E a che conclusione saresti giunta?»
«Mi stai interrogando? E va bene…»
Aggiunse in risposta allo sguardo sinceramente affascinato del ragazzo.
«Cominciamo da Anna Williams, atletica è vero, ma impacciata nei movimenti, poi c’è King, niente male, peccato che la maschera sul viso gli renda faticoso respirare e che lo costringa a fermarsi per riprendere fiato. E poi c’è Ganryu, molto forte e possente, ma con riflessi troppo lenti…»
«Notevole.»
Considerò Kazuya, alquanto stupito dalla sua capacità di giudizio.
«Michelle Chang: ottimo equilibrio, sciolta ed elastica, ma ha gambe deboli, negata coi calci. Nina Williams: scattante e leggera, ma conosce un numero limitato di mosse ed è facilmente prevedibile. Wang non può affaticare troppo la schiena…»
«E che mi dici di me?»
L’interruppe bruscamente, sinceramente interessato al suo commento.
«Di te?»
Ripeté lei pensierosa.
Interpretò il suo silenzio come un incoraggiamento a proseguire.
«E va bene. Vantaggi: resistenza, potenza, e prestanza fisica.»
«Suona bene.»
Dichiarò a bassa voce, più a sé stesso che a lei. Jun continuó.
«Svantaggi: poco autocontrollo, tendenza ad esagerare. E vediamo, dato che alleni quasi ossessivamente braccia e gambe, direi che il tuo punto debole è… la cintola.»
Concluse, infine, abbassando lo sguardo sulla vita di lui. Kazuya non rispose, per quanto ammirasse la sua faccia tosta, non tollerava che qualcuno lo mettesse a nudo in quel modo. Si sentiva scoperto, quasi violato da quella valutazione. Jun l’aveva inquadrato proprio bene, e lui capí che avrebbe dovuto tenerla il più distante possibile.
«Dal tuo silenzio parrebbe proprio che ci ho azzeccato. Sai? Non nego che mi piacerebbe confrontarmi con te sul ring.»
Gli disse curvando le labbra in un sorriso, ma lui era troppo scosso per stare al suo gioco.
«Sarebbe davvero interessante. Chissà se anche tu sei capace di mettere a fuoco le persone.»
Disse, scalciando il vuoto in aria.
«Smettila.»
Le intimò, ma lei lo ignorò.
«Vorrei tanto sfidarti sul quadrato.»
Aggiunse tirando un pugno, che Kazuya schivò prontamente.
«Non sarebbe una buona idea.»
«E perché no?»
Urlò, alzando una gamba per mollargli un calcio, ma l’uomo fu più svelto e le afferrò il piede con la mano, arrestandola.
«Perché non voglio farti alcun male.»
Jun spalancò gli occhi, che vibrarono impercettibilmente dentro le sue orbite. Improvvisamente l’atmosfera dentro il cubicolo cambiò, diventando più pesante.
Per la seconda volta Kazuya sentì un vuoto all’altezza dell’ombelico, una sensazione che non conosceva e lo coglieva impreparato. La presenza di quella ragazza lo rasserenava e inquietava allo stesso tempo, voleva che si allontanasse, ma allo stesso tempo voleva averla vicina. Il contatto della sua mano con la pelle morbida della sua caviglia lo fece sentire eccitato, ma non era la stessa eccitazione che conosceva, quella che provava sul ring. Per un motivo che non seppe spiegarsi accarezzò la pelle scoperta e fece scorrere lentamente il suo sguardo su tutta la gamba, poi sul suo torso e sul collo, e solo quando incontró gli occhi di lei si rese conto di ció che stava facendo e lasciò andare il suo tallone, come se quello avesse iniziato a scottare.
Jun abbassò la gamba lentamente, senza smettere di fissarlo negli occhi nocciola, cercando di decifrare il suo sguardo smarrito.
Jun aprì bocca per parlare, ma prima ancora che potesse proferire parola Kazuya le voltò le spalle e lasciò la stanza a grandi passi.
Nell´intimità dello spogliatoio, Jun prese a massaggiarsi la caviglia, dove le dita del ragazzo avevano a lungo indugiato.

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Capitolo 3
*** Cap. II - La scelta di Kazuya ***


Capitolo II
– La scelta di Kazuya –

«Gentili spettatori, ne abbiamo viste di tutti i colori in questa seconda edizione dell’Iron Fist Tournament, e dopo quattro serate ricche di emozioni e sussulti, siamo finalmente giunti al termine della contesa. Ancora una volta ho l’onore, ma che dico? Il privilegio di nominare il campione indiscusso del torneo, signore e signori un applauso per Kazuya Mishima!»
Il pubblicò gli dedicò una standing ovation, agli scroscianti applausi si unirono gridi di giubilo dei suoi fan e di delusione da parte di chi aveva scommesso contro lui.
Lo sguardo di Kazuya volteggiò sui partecipanti del torneo. In quell’edizione serata erano successe delle cose davvero imprevedibili: Law, che aveva vinto contro Paul la prima sera, aveva sconfitto Nina il giorno seguente, ritrovandosi così in finale con Kazuya e Lee Chaolan (che aveva battuto Jun durante il secondo round). Il penultimo sorteggio aveva visto scontrarsi Law e Lee, e quest’ultimo, che aveva avuto la meglio, se l’era dovuta giocare nuovamente contro Kazuya.
Il giovane Mishima era stato raggiunto sul podio dal padre, che gli aveva conferito personalmente il premio consistente in una statua rappresentante un pugno di ferro e una busta contenente un’ingente quantità di denaro.
«A quanto pare sei veramente il più forte tra tutti.»
Gli aveva sussurrato, mentre s’inchinava formalmente al suo cospetto.
«Mi dedico alla lotta da quando sono in fasce.»
Aveva replicato il figlio, imitando il suo gesto.
Avrebbe dovuto esultare, questa vittoria indicava per lui una nuova vita, entrava finalmente nella Tekken Tech e avrebbe preso parte agli esperimenti condotti dal padre, si era meritato il suo rispetto.
Eppure, allo stesso tempo avvertiva una morsa alla bocca dello stomaco. La fine del torneo prevedeva anche il ritiro di tutti gli altri partecipanti, e questo significava smettere di vedere Jun.
Da quel giorno nello spogliatoio, Kazuya non era più riuscito a smettere di pensare a lei e anche se l’aveva intenzionalmente evitata da allora, provava un senso di vuoto all’idea di non rivederla più. Quel semplice contatto fisico aveva fatto nascere in lui un desiderio tutto nuovo, quasi animalesco nei suoi confronti e non essendo sicuro della reciprocità di quel sentimento aveva deciso lasciar perdere, non aveva nessuna intenzione di rendersi ridicolo ai suoi occhi. In fondo chi mai al mondo avrebbe potuto interessarsi a lui?
Mentre scendeva gli scalini del ring, le rivolse con sfacciataggine un’ultima occhiata per imprimere il suo volto nella sua mente. Lei gli sorrise benevolmente, era sinceramente felice che avesse vinto, se lo meritava. Una nube scura sembrò posarsi sulla sua testa quando il ragazzo la superò voltandole le spalle e lei si rese conto che non l’avrebbe più rivisto.
 
 
Erano passati tre mesi dalla fine del torneo, e Kazuya continuava imperterrito ad allenarsi, voleva farsi trovare preparato per la terza edizione dell’Iron Fist, anche se suo padre non aveva ancora preannunciato la data effettiva dell’evento. Aveva dato per scontato che si sarebbe tenuta nel giro di un anno e non voleva perdere tempo, forse nel profondo sperava che tenendosi impegnato il tempo sarebbe scivolato via più rapidamente.
Mentre si sollevava sull’asta nella sua palestra privata, fu interrotto dall’arrivo di un uomo della Tekken Tech.
«Il signor Mishima vorrebbe incontrarla.»
Kazuya finse di non aver udito e sollevò il suo corpo sopra la sbarra, ruggendo per lo sforzo. Sebbene Heihachi gli avesse garantito di includerlo nella Tekken Tech durante il torneo, fino a quel momento non aveva ancora accennato a nulla di concreto e l’entusiasmo di Kazuya era presto scemato cedendo il posto al rancore. Si era illuso inutilmente, suo padre non lo avrebbe mai ritenuto il suo degno erede.
«Signorino Mishima…»
Insistette lo scienziato, che portava un camice bianco da medico e degli spessi occhiali tondi sul naso.
«Settecentonovantasette, settecentonovantotto, settecentonovantanove…»
Contò quello ad alta voce, spegnendo la voce dell’uomo.
«E ottocento!»
Sbuffò il lottatore allentando la presa, ritoccando il pavimento.
«Mai interrompermi nel bel mezzo di una sessione.»
Disse in modo brusco afferrando un asciugamano e passandoselo sul corpo tonico per rimuovere le tracce di sudore.
«Cosa vuole?»
«Ha ordinato di condurla ai laboratori.»
Kazuya sollevò un sopracciglio.
«E perché?»
«Non sono al corrente della motivazione.»
Tagliò corto quello. Era di per sé umiliante fare il portalettere – era un uomo di scienza insomma, non un maggiordomo!
Quando finalmente Kazuya si fu convinto si lasciò guidare dallo scienziato, che lo condusse  all’ascensore e premette il tasto del sesto piano.
Non era mai stato in quel piano della Mishima Zaibatsu e cercò di nascondere la propria curiosità al suo accompagnatore.
Seguì l´uomo lungo un dedalo di corridoi anonimi con pareti e pavimenti interamente bianchi su cui si aprivano parecchie porte automatiche come quelle dei supermercati, anch’esse bianche.
Qualunque cosa si nascondesse al loro interno, doveva essere segreta o strettamente privata, perché sopra ogni uscio era stato impiantato un apri-porte con codice alfanumerico.
Noto che sul soffitto erano installate videocamere a circuito chiuso, Heihachi teneva quel posto sotto stretta sorveglianza.
Dopo aver percorso quasi trenta metri e superato circa una ventina di ingressi gli uomini si fermarono. Lo scienziato digitò qualcosa sul tastierino di un computer, si tolse un guanto e scannerizzò la sua impronta digitale, poi la retina dell’occhio. La spia luminosa in cima alla porta lampeggiò un paio di volte prima di illuminarsi di verde, quindi la porta si aprì lasciandoli entrare.
Heihachi era chino su una scrivania, la schiena ricurva gli conferiva una strana gobba. Al suo fianco sedeva un rinomato scienziato, nonché grande amico del padre, Kazuya lo conosceva perché era stato l’uomo che aveva creato Jack e dato vita a Kuma e ad Alex.
«Signor Mishima, dottor Bosconovitch.»
Li salutò lo scienziato con un profondo inchino, richiamando così la loro attenzione.
«Puoi andare.»
Disse Heihachi senza nemmeno degnarlo di uno sguardo, facendogli un cenno con la mano per congedarlo, lo scienziato obbedì e fece dietrofront chiudendosi la porta alle spalle.
«Kazuya, come pattuito.»
Disse Heihachi allontanandosi dal microscopio che stava osservando allargando le braccia come a voler presentare il laboratorio a suo figlio. Si avvicinò ad un armadietto e gli porse un camice e dei guanti.
«Indossa questi finché resti qui, è un ambiente sterile e tale deve rimanere.»
Era una semplice costatazione, ma a Kazuya suonò come un rimprovero. Obbedì e si sentì maledettamente stupido con quel camice addosso. Si chiese cosa i due uomini si aspettassero da lui, ma tacque la domanda e attese che gli uomini gli impartissero qualche ordine.
«Lascia che mi complimenti con te per la vittoria, figliolo, mi hai fatto intascare un’ingente quantità di denaro.»
Gli comunicò Bosconovitch rivolgendogli un sorriso benevolo. Kazuya tentennò incerto su cosa rispondere, non era abituato a ricevere complimenti.
«Sì, sì è stato molto bravo, bando alle ciance ora Geppetto, preleva il campione»
Tagliò corto Heihachi, quindi il dottore lo guidò verso uno stanzino più piccolo e fece accomodare Kazuya ad un tavolino e questi, più confuso che mai si azzardò finalmente a porre una domanda.
«Perché mi avete fatto portare qui?»
«Perché sei il vincitore del torneo, è ovvio.»
Il ragazzo lo guardò senza comprendere e il vecchio parve capirlo, perché ripiegò la valigetta di alluminio che aveva appena aperto per spiegare.
«Sai a cosa stiamo lavorando?»
Chiese con un sorriso sbieco e un folle luccichio negli occhi, ma Kazuya si tenne vago.
«Non conosco tutti i dettagli…»
Temette di aver dato la risposta sbagliata, ma Bosconovitch era di tutt´altro avviso. Il sorriso gli si allargò sul volto, era così eccitato di esporgli la sua nuova scoperta.
Condusse il ragazzo fuori dal corridoio e lo guidò sino al laboratorio 019, come di prassi lasciò scannerizzare le sue impronte digitali, poi la retina dell’occhio ed entrò in dentro uno stanzino piú grande del precedente. Tutto attorno alle pareti si trovavano delle capsule, ma la sua attenzione fu richiamata dal grande robot sdraiato al centro di un tavolo rettangolare.
«Ti presento Mokujin.»
Squittì lo scienziato con voce leziosa, poi si avvicinò al tavolo da lavoro e guardò l’ammasso di ferraglia come se fosse la cosa più bella al mondo.
«Cosa… Cosa fa?»
Chiese Kazuya incerto e di nuovo al suo interlocutore brillarono gli occhi.
«È un replicante. Un androide in grado di replicare milioni di stili di combattimento. Immagina un combattente in grado di padroneggiare il karate, il jujitsu, il tae kwon do passando per il sumo e la lotta libera!»
Kazuya guardò il cyborg con scetticismo.
«E come impara?»
«Lieto che tu lo abbia chiesto! Nella sua scheda madre sono salvati tutti i dati relativi ai partecipanti della seconda edizione del torneo del pugno di ferro, basta un po´ del loro sangue, sapessi quante informazioni contiene una sola goccia di sangue.»
Sorrise benevolo, ma qualcosa a Jin non tornava.
«E loro hanno dato il consenso?»
Bosconovitch tentennò un poco, poi il suo tono di voce cambiò e divenne più grave.
«Ragazzo mio, la scienza non può sempre permettersi il lusso di essere corretta»
«E come avete fatto ad attingere al loro sangue?»
Non fece in tempo a finire la domanda che notò per la prima volta cosa contenessero le capsule alle pareti. Si avvicinò ad una di esse e al suo interno vi scorse il corpo Michelle Chang. Sembrava che stesse dormendo, aveva il viso coperto da una mascherina dell´ossigeno e svariati cavi legati alle braccia e alle gambe.
«Cosa sono quei fili?»
Chiese allo scienziato, che lo aveva seguito e sorrideva di fronte alle sue creazioni.
«Stimolatori, tengono i muscoli attivi, simulano semplici attività come camminare o sgranchirsi.»
Kazuya pensò che se vi era Michelle allora doveva esservi anche Jun. Scorse le celle una ad una finché non la trovò.
«Loro non sanno di essere qui? Come… Come avete fatto?»
Chiese poggiando i palmi della mano sul vetro dietro cui Jun dormita beata e ignara di ciò che le stavano facendo.
«Un leggero sonnifero nel the della colazione, ma non è niente di grave, per loro è come dormire… Beh, teoricamente non sono mai entrati in fase rem, quindi non è un vero e proprio sonno.»
«Perché me lo state dicendo?»
Chiese infine, ma sapeva già la risposta.
«Ci serve un campione del tuo sangue, tu sei il vincitore del torneo, sei superiore a chiunque in questa stanza, beh, fisicamente parlando, se invece facciamo riferimento all´intelletto…»
Rise, senza accorgersi del suo sgomento. Heihachi non gli aveva riservato lo stesso trattamento solamente perché non lo reputava una minaccia, credeva di averlo in pugno, quindi che senso aveva addormentarlo? Non gli importava nulla che fosse il lottatore più forte, gli serviva solamente un campione del suo sangue per riprodurre un combattente ancora più potente, ancora più versatile. Era, ed era sempre stato una pedina nella sua scacchiera.
Non poteva più permettersi di lasciarlo impunito, questa volta gliel’avrebbe fatta pagare. Per la prima volta provò un sentimento di odio intenso nei confronti di suo padre, un odio accecante e pericoloso.
«Su, siediti, vado a prendere i miei attrezzi.»
Sorrise Bosconovitch e Kazuya ebbe un’idea pazza e coraggiosa allo stesso tempo. Approfittando della distrazione dello scienziato diede una gomitata alla capsula contenente il corpo di Jun, le staccò violentemente i cavi dal corpo e se la caricò su una spalla – il suo corpo era gelido come quello di un morto, ma non vi badò. Corse via dalla stessa porta dalla quale era entrato e si ritrovò in quel labirinto in cui s’intersecavano corridoi e passaggi senza avere idea di dove fosse l’uscita. A Bosconovitch era bastato un attimo a capire cosa fosse successo, perché aveva provveduto a far scattare l’allarme e adesso urlava a pieni polmoni, maledicendolo con epiteti poco decorosi. Il braccio di Kazuya sanguinava, alcuni pezzi di vetro gli erano rimasti conficcati nella pelle, ma non era il momento di preoccuparsene. Correndo come un forsennato cercò una via d’uscita, macchiando il pavimento di sangue fornendo così ai suoi inseguitori una pista certa. Alcuni uomini uscirono dai loro laboratori, uno gli si fiondò addosso cercando di placcarlo, ma era molto più esile di Kazuya e questo con una spinta lo fece cadere sul sedere. Un altro uomo gli corse incontro brandendo un teaser, ma le gambe muscolose del giovane Mishima erano più potenti e pompavano più velocemente. Poco dopo si ritrovò davanti all’ascensore, ma sapeva di non poterlo usare o avrebbe rischiato di intrappolarsi. Diede dei calci ad alcune porte, sperando di riuscire ad aprirne una qualsiasi, ma senza successo. Poi, proprio mentre si stava rassegnando, una di queste si spalancò, rivelando un uomo basso e in carne, il terrore stampato in viso. Kazuya lo spinse di lato ed entrò nel laboratorio serrandosi dentro. Era in trappola. Cercò all’interno qualcosa che potesse usare per fuggire, ma lì dentro c’erano solo strumenti inutili alla fuga.
Si diresse verso un’altra porta – conduceva al bagno – e stava per fare dietro front, quando notò una fenditura sul muro, una finestra, non grandissima, ma probabilmente avrebbe potuto calarsi giú. Guardò verso il basso ed ebbe quasi voglia di ripensarci. Si trovava al sesto piano, le possibilità di sopravvivere erano minime. Poi gli venne in mente che, se fosse stato catturato, avrebbe comunque fatto una brutta fine e, con Jun ancora a penzoloni sulla sua spalla, attinse a tutto il suo coraggio e si lasciò cadere verso il vuoto, mirando al cornicione del piano inferiore. Il volo non fu affatto piacevole, mancò il cornicione del quinto e quarto piano, ma riuscì ad afferrare quello del terzo. Rimase a ciondolare nel vuoto per un paio di secondi.
«Dannazione, sta scappando, bloccate le uscite!»
Alzò lo sguardo per incontrare quello di suo padre, affacciato alla stessa finestra dal quale era scappato. Arresosi all’idea di non avere altra scelta, Kazuya mollò la presa e mancò di proposito il corrimano del secondo piano. Si aggrappò nuovamente a quello del primo e, senza indugiare, fece un lungo salto e si trovò per strada.
Dal sesto piano, suo padre sbraitava come una bestia.
Con Jun in braccio, Kazuya si diresse il più lontano possibile senza più guardarsi dietro.
 
 
Aprì gli occhi lentamente, ancora stordita. Era sdraiata su qualcosa di duro, non era nel suo futon. Si mise a sedere con fatica, la testa le faceva un male cane e le riusciva difficile ricordare qualcosa. Si guardò intorno e non riconobbe il posto in cui si trovava. Era una foresta con fitti alberi ricchi di fogliame, e tenui raggi solari si facevano spazio tra le fronde, dov´era e com’era capitata in quel luogo?
«Stai bene?»
La voce alle sue spalle la fece sussultare, poi capì di stare ancora dormendo quando scorse Kazuya Mishima.
«Riesci a capirmi?»
Le chiese lui, e si sorprese quando la vide scoppiare a ridere.
«La mia mente mi gioca brutti scherzi.»
Commentò tra sé e sé, passandosi una mano sulla testa e sforzandosi per ridestarsi da quel buffo sogno.
«Di che parli?»
«Tutto questo non è reale.»
«Certo che lo è.»
«No, è solo un altro dei miei sogni di cui sei il protagonista, se fosse vero non mi rivolgeresti nemmeno la parola.»
Jun rise di nuovo, ma lo sguardo di Kazuya si fece serio.
«Kazama è tutto reale. Dopo il torneo sei stata rapita da un gruppo di scienziati, ti hanno sedata e tenuta in ostaggio per tre mesi. Hanno usato il tuo sangue per creare una specie di replicante.»
La schiena di Jun fu percossa da un brivido.
«Questa poi....»
«Guarda i segni sulle tue braccia e sulle tue gambe allora.»
Abbassò lo sguardo, la sua pelle chiara era arrossata e le braccia presentavano dei segni di puntura. Si accorse che anche le gambe presentavano lo stesso scempio.
«No… Tutto questo non può…»
Iniziò a dire, interrompendosi.
«Quindi questo significa che tu…»
Di nuovo non riuscì a completare la frase. Mentre scrollava la testa si rese conto che Kazuya sanguinava, sul suo braccio c’erano tagli e cicatrici più o meno profonde. Si avvicinò al ragazzo e gli toccò il braccio, osservando le ferite, fingendo di non notare il modo in cui era trasalito quando lo aveva toccato. C’erano cocci di vetro conficcati sulla pelle, doveva assolutamente rimuoverli o avrebbe continuato a soffrire. Armata di pazienza glieli sfilò uno alla volta e gli curò i tagli sulla sua carne con delicatezza, poi strappò un pezzo di stoffa dai suoi pantaloni e l’avvolse attorno al gomito per fermare l’emorragia. Rimasero in silenzio per tutto il tempo, evitando di guardarsi negli occhi.
«Suppongo che debba ringraziarti.»
Disse infine Jun, ridestando Kazuya dal suo stato di trance.
«Per avermi salvata, intendo. O è stato solo un caso?»
Colto alla sprovvista, si era lasciato sfuggire un sorriso, che si affrettò immediatamente a dissimulare, ma lei lo aveva visto e decise di continuare a prenderlo in giro, desiderosa di strappargliene un altro.
«Fammi indovinare, eri quello più vicino…»
Risero entrambi, sentendosi complici per la prima volta, e la tensione si sciolse come neve al sole. Jun lo guardò negli occhi e per la prima volta e qualcosa nel modo in cui lui la guardava le fece trovare il coraggio di avvicinarglisi per stampargli un delicato, impercettibile bacio sulle labbra.
Kazuya rimase interdetto per una manciata di secondi, non si aspettava una simile azione da parte sua, né tanto meno la reazione del suo corpo che ne chiedeva ancora e ancora. Si avvicinò alla ragazza e la baciò con più passione, lei ricambiò il bacio senza nessuna esitazione.
Sentire il suo sapore sulle labbra, assaporarla con la lingua aveva fatto crescere in lui un forte desiderio che reprimeva ormai da troppo tempo, senza smettere di baciarla le sfilò la maglietta e  concentrò la sua attenzione sui suo piccolo seno sodo.
Jun si irrigidì un attimo, era la prima volta che qualcuno la toccava in quel punto, se da una parte sentiva che fosse sbagliato lasciarlo fare, dall´altra non riuscì a chiedergli di fermarsi.
Continuarono ad assaggiarsi al lungo, si baciarono le labbra, il collo, la clavicola, la pancia, poi si guardarono negli occhi pensando esattamente la stessa cosa.
Jun si sdraiò sull´erba e Kazuya la coprì col suo corpo, lei si slacciò i pantaloni e lui l´imitò, poi le fu dentro e i loro corpi si mossero all´unisono diventando una cosa sola.

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Capitolo 4
*** Cap. III - Il mostro ***


Capitolo III
– Il mostro –


 
Venti anni dopo…


Le fiamme bruciavano l’erba circostante sollevando una fitta coltre di fumo nero che s’innalzava nel cielo formando molteplici anelli. Il prato verdeggiante ed i variopinti fiori primaverili che erano timidamente sbocciati ripagandoli delle loro cure non esistevano più, così come la loro abitazione. Tutt’attorno era calato un silenzio innaturale rotto solamente dal crepitio del fuoco che aveva distrutto tutto.
Il mostro era arrivato all’improvviso, senza alcun invito e li aveva attaccati con ferocia, intenzionato ad ucciderli. Jin non aveva mai visto una creatura come quella prima d’ora: aveva un massiccio corpo robusto interamente ricoperto di peli, occhi rossi come il sangue, due robuste ali scarlatte ed un paio di corna dure come l’avorio lunghe almeno mezzo metro. Aveva aggredito lui per primo, ma sua madre si era messa in mezzo e non l’aveva risparmiata. Le sue urla riecheggiavano ancora nella sua testa, come se il suo cervello le avesse intrappolate.
«Scappa, Jin!» Gli aveva ordinato mentre si parava tra il figlio e la bestia, ma lui in preda al terrore era rimasto pietrificato, totalmente incapace di muovere un solo muscolo.
«Jin!» Ripeté con disperazione, spingendolo via ed evitando che la sedia scagliata dal mostro lo colpisse. Jun salì sopra il tavolo e si aggrappò al lampadario, saltando sopra la gobba dell’orco e limitandogli così i movimenti. Il ragazzo sapeva che sua madre fosse forte, era stata lei ad insegnargli tutto ciò che conosceva, ma mai prima di quel momento l’aveva vista combattere per davvero.
Jun l’aveva iniziato alle arti marziali quand’era poco più che un bambino, e non era stato affatto semplice all’inizio, ma sua madre non si era scoraggiata davanti ai suoi fallimenti, anzi aveva approfittato di ogni suo errore per impartirgli una nuova lezione, incoraggiandolo senza mai farlo sentire un inetto. La costanza con cui si erano allenati ogni giorno negli ultimi quindici anni aveva rafforzato il loro legame rendendoli quasi due parti di un’unica realtà, due facce di una stessa moneta.
«Ti prego Jin, scappa!»
 Lo supplicò, facendo un’enorme fatica a tenere la belva sotto controllo.
Jin si sentì indegno del suo nome; improvvisamente tutto quello che aveva appreso in quelle rigide sessioni gli sembrava inattuabile, il rivale che lo fronteggiava era più grosso e potente di lui e un passo falso gli sarebbe costata la vita.
Il titano riuscì a liberarsi dalla morsa della donna facendo un brusco movimento e la lanciò aggressivamente contrò una delle pareti della cucina facendo cadere piatti e tazze di porcellana che andarono in mille frantumi sul suo corpo inerme. Vedendo sua madre indifesa sul pavimento Jin trovò finalmente il coraggio di contrattaccare e si fiondò sul suo nemico attaccandolo alla schiena. Il mostro ruggì producendo un suono aspro che lo fece rabbrividire e poi come un angelo si levò in aria con Jin ancora attaccato alle calcagna, per poi schiantarsi contro il pavimento, usandolo come scudo. I suoi gemiti di dolore ridestarono la madre, che si rialzò in piedi sostituendolo nella lotta.
«No bastardo, non avrai mio figlio.»
Avrebbe dato la vita per Jin, ignorò i crampi alle gambe e riprese lo scontro, sollevandosi in aria per compiere le capriole che contraddistinguevano il suo stile di combattimento, quello che i Kazama si tramandavano da secoli. True Ogre subì la sua furia, credeva di averla ormai messa K.O., gli avevano detto che era debole e insignificante, ma si erano sbagliati, ed anche lui ad averla sottovalutata. Jun si fece onore, picchiando sino allo svenimento, parando i contrassalti e prevedendo le sue mosse, fino a quando il mostro non si stufò ed iniziò a lanciare fiamme dal naso e dalla bocca che infuocarono qualsiasi cosa sul loro tragitto, demolendo così la loro dimora. Aveva bruciato le tende, il controsoffitto di legno e la mobilia, sarebbe stato il fuoco ad occuparsi di loro. Poi aveva spiegato le ali ed era volato via, adempiendo al suo dovere e svincolandosi di conseguenza dall’accordo che aveva stipulato. Jun e Jin Kazama sarebbero morti inceneriti.
 
Quando Jin aveva avvertito le prime ondate di calore si era subito risollevato e cercato il corpo della madre. Parandosi il viso con una mano si era fatto strada tra i cumuli di macerie, il tetto stava venendo giù in fretta e se non si fosse sbrigato a trovarla l’avrebbe persa.
Jun giaceva su un fianco poco distante dal punto in cui si trovava, completamente immobile e lui fu scosso dalla paura. Corse a recuperarla e la prese in braccio eroicamente. Facendosi spazio tra le vampate riuscì finalmente a raggiungere l’esterno, con fatica trasportò il corpo della madre lontano, sulle rive del mare di Sagami Bay e si accovacciò sull’erba stremato. La loro casa era completamente andata ed insieme a lei tutto ciò che possedevano. Non restava loro più nulla, nemmeno una fotografia che li ritraesse insieme.
Superata la paura, fu invaso da una rabbia potente che non aveva mai provato prima, chi era quel mostro? Perché li aveva cercati? E per quale motivo intendeva ucciderli?
Jun tossì, catturando la sua attenzione. Per un attimo aveva presagito il peggio, ma adesso era più tranquillo, sua madre era in vita.
«Jin…»
Uscì appena un sussurro dalle sue labbra spaccate.
«Shh, mamma non sforzarti.»
Le suggerì il figlio con dolcezza, alzando la testa di lei e portandola sulle sue ginocchia, incrociando i suoi occhi castani che per lui erano sempre stati fonte di sicurezza.
«Jin, sto morendo.»
Lo avvertì continuando a tossire, mentre una lacrima scivolò sulla guancia pulendo via la fuliggine.
«Ma no, cosa dici? Stai bene, te lo assicuro.»
Ma Jun sapeva che in realtà aveva i minuti contati. Gli fece un cenno verso il suo stomaco e solo allora Jin notò che perdeva sangue. Fece per fermare l’emorragia, ma aveva perso già molto sangue. Jun sentì che il suo corpo stava smettendo di combattere, troppo stremato da quell’ultimo round.
«Figlio, devi perdonarmi.»
Disse mentre le lacrime le inumidivano il viso. Quante cose gli aveva taciuto convinta di proteggerlo, ripetendosi che il tempo non le sarebbe mancato e invece di tempo ne era passato ormai fin troppo per rivelargli la verità sul conto di suo padre e ogni giorno che passava, ogni giorno che Jun rimandava, diventava sempre più difficile affrontare l’argomento. Ma adesso doveva sapere, aveva il diritto di conoscere la verità. Certo non avrebbe voluto che avvenisse così, avrebbe voluto spiegargli tante cose, cose che lei aveva faticato a digerire, ma era tutto troppo complesso e non le rimaneva molto.
«Tuo padre…»
Anticipò co un groppo in gola e Jin capì immediatamente cosa gli stesse rivelando, ma scosse la testa. Non voleva saperlo. Per quasi vent’anni Jin aveva fatto a meno di lui, cosa gli importava adesso scoprire la sua identità? A che pro?
«Non mi importa. Tu sei la mia sola famiglia.»
Disse con dolcezza.
Jun pianse più copiosamente, ma non poteva più aspettare, era la sua ultima occasione.
«Tuo padre è Kazuya Mishima.»
Fu come essere colpiti in testa da un secchio di acqua gelata. Per diciannove anni Jin aveva ignorato l’esistenza del padre, non sapeva nulla di lui, se fosse vivo, se fosse morto, e adesso la sua identità gli era stata svelata. Kazuya Mishima. Per quanto lui e Jun avessero vissuto isolati dal mondo esterno non poteva fare a meno di conoscere quel cognome, il cognome più influente dell’intera isola.
La Mishima Zaibatsu era il più famoso e imponente edificio di Tokyo, ed era amministrato da Heihachi Mishima, che doveva essere suo nonno. Non sapeva niente sul conto di Kazuya, assolutamente niente.
«Perdonami…»
Riuscì a dire con un ultimo filo di voce, mentre il corpo del figlio era scosso dai singhiozzi. Non poteva perderla, era l’unica cosa che avesse.
«Mamma ti prego non morire.»
La pregò invano.
«Mamma…»
Ma era ormai troppo tardi.


Non seppe quanto restò inginocchiato al suo fianco, né quante lacrime riuscì ancora a versare, ma intorno a lui erano calate le tenebre ed il fuoco che aveva avvolto la loro casa si era piano piano estinto. La temperatura si era abbassata, Jin iniziava ad avvertire i primi sintomi del freddo, ma non gli importava, tutto ciò che desiderava era rimanere abbracciato alla figura gelida ed esanime che aveva amato con tutto sé stesso.
Solo molte ore più tardi, quando il sole fece di nuovo capolino da dietro le alte montagne a nord, decise che fosse arrivato il momento di dirle addio, e così mentre il cielo tornava ad illuminarsi dando vita ad un nuovo giorno, Jin scavò la sabbia con le sue mani.
La buca avrebbe dovuto essere profonda, di modo che sua madre giacesse il più vicino possibile alle acque del mare che tanto aveva adorato.
Con dolcezza adagiò il corpo di sua madre sulla sabbia bagnata e l´osservò dormire per un lunghissimo lasso di tempo. Quanto si sentì pronto a dirle finalmente addio ricoprì il suo corpo con la sabbia che aveva spostato poco prima, mentre le lacrime continuavano a scendere sulle sue gote, conscio che quella era davvero la fine.


Rimase ad osservare le onde che si frantumavano sulla scogliera, le lacrime che avevano tracciato dei solchi chiari sul viso sporco di fuliggine si erano arrestate.
Si chiese cosa dovesse fare. Se sua madre gli aveva rivelato la verità ciò significava una cosa solamente, desiderava che Jin si recasse da suo padre.
Non ne aveva nessuna voglia, ma forse quello era l’ultimo desiderio di sua madre e in quel caso lui avrebbe dovuto onorarlo.
C’erano così tante cose che avrebbe voluto chiederle, una domanda lo tormentava sin dal primo giorno in cui aveva iniziato a comprendere: era stato desiderato o era il frutto di un errore?
Forse Kazuya Mishima sarebbe stato in grado di fornirgli quella risposta, e tante altre che celava nascoste in fondo al suo cuore e non aveva mai avuto il coraggio di esprimere ad alta voce.

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Capitolo 5
*** Cap. IV - L’ultimo Mishima ***


Capitolo IV
– L’ultimo Mishima –


 
Jin aveva perso tutto quello che aveva, e conscio che ormai non gli restava più nulla decise di tentare il tutto per tutto recandosi a Tokyo, dove la metà ancora ignota della sua famiglia viveva da nobili. Trovava tutto quanto paradossale, lui e Jun avevano quasi arrancato vivendo in un anonimo borgo in un villaggio di pescatori nella prefettura di Kanagawa.
Lui e sua madre avevano vissuto come dei fantasmi, erano lì, ma nessuno degli altri abitanti sembrava vederli, e anche adesso Jin continuava a sentirsi come uno spirito irrequieto sulla terra.
Jin non aveva ricevuto un’educazione scolastica, era stato istruito a casa da sua madre, tutto il suo sapere proveniva da alcuni vecchi libri. Jun aveva insegnato a suo figlio a leggere e scrivere, a far di conto, lo aveva istruito sulla geografia del Giappone e tanto gli bastava. Non aveva mai frequentato la scuola, aveva avuto pochi amici durante l’infanzia, che però si erano allontanati dopo l’inizio delle lezioni scolastiche.
Quando ebbe compiuto cinque anni, Jun lo iniziò alle arti marziali, gli insegnò delle mosse che erano tipiche dello stile Kazama, gli aveva detto, ma quando lui gli chiese perché non aveva mai conosciuto nessun parente, lei aveva scrollato le spalle e affermato che i suoi genitori fossero morti, così come suo padre. Jin si era abituato presto alla presenza della morte, pur non afferrando a pieno che cosa questa fosse.

Sapeva con certezza che Tokyo si trovasse a nord, ma non sapeva quanto distasse, e in fondo non gli importava nemmeno, non aveva nessuna fretta di conoscere Kazuya Mishima.
Si recò alla stazione dei treni, ma non aveva i soldi per comperare il biglietto, e quando chiese al capotreno come avrebbe potuto raggiungere la capitale quello aveva fatto spallucce.
Alla stazione trovò una cartina geografia e seguì col dito la distanza che lo separava dalla sua meta, memorizzò il percorso e decise di incamminarsi a piedi.
Il freddo pungente del mese di marzo lo aveva accompagnato per tutto il viaggio della durata di quattro giorni. Jin aveva dovuto rovistare nei rifiuti per cercare qualcosa di che nutrirsi e si era abbeverato alle fontane pubbliche, come un qualsiasi animale selvatico.
La gente lo scansava, ma li capiva, doveva avere un aspetto orribile, era sporco e malandato e il suo sguardo era cupo e privo di qualsiasi vitalità.


La Mishima Zaibatsu era molto più grande di quanto si aspettasse: un imponente edificio di mattoni scuri che si stagliava prepotentemente verso il cielo nuvoloso.
Jin si sentì ancora più insignificante al suo cospetto e si chiese come avrebbe reagito Kazuya quando vi si fosse presentato. Era consapevole di avere un aspetto orribile, indugiò prima di varcare la soglia dell’edificio, chiedendosi come avrebbe potuto presentarsi. Cosa avrebbe dovuto dirgli? Kazuya avrebbe riconosciuto la sua paternità o gli avrebbe riso in faccia?
Ripensò a Jun, le sue ultime parole erano state mirate a svelargli l’identità del padre, doveva farlo per lei, affinché il suo ultimo desiderio si realizzasse.
Tirò un profondo sospiro e varcò la soglia della Mishima Zaibatsu.
L´interno era elegantemente decorato, in fondo al corridoio si trovava la reception.
«Vorrei vedere il signor Mishima.»
Disse con voce incerta alla receptionist che teneva lo sguardo fisso su alcuni documenti.
«Ha un appuntamento?»
Disse alzando lo sguardo, ma non finì nemmeno di pronunciare la domanda che il consueto sorriso di circostanza le morì sulle labbra. Jin aveva tutta l’aria di essere un senzatetto o, peggio ancora, un terrorista.
«No, ma è urgente.»
Sussurrò Jin, La receptionist spalancò gli occhi e represse a stento un conato di vomito.
«Mi spiace, signor…»
«Kazama»
«Mi spiace signor Kazama, ma il signor Mishima è molto impegnato, e se non ha un appuntamento io non posso lasciarla passare.»
Disse meccanicamente, ripetendo a memoria la frase che usava in simili circostanze. Non era la prima volta che un pazzo voleva intrufolarsi nella Zaibatsu.
«Allora vorrei prendere un appuntamento.»
Insistette Jin.
«Come le dicevo, signor Kazama, il signor Mishima è molto impegnato, il suo calendario é…»
«Lei non capisce, io devo vederlo, ho una cosa molto importante da dirgli.»
La interruppe Jin, e la segretaria, come da protocollo premette un pulsante strategicamente posizionato sotto alla sua scrivania che avvisava la security della presenza di un indesiderato.
Prima ancora  che Jin ebbe finito di parlare, quattro uomini vestiti in abiti scuro uscirono da una porta automatica e circondarono il ragazzo.
«La preghiamo di non insistere ulteriormente e  di abbandonare l´edificio.»
Disse uno dei quattro uomini in tono minaccioso. Jin lesse il logo stampato sulla divisa che recitava Tekken Force.
«Come ho già spiegato alla signorina, ho bisogno di vedere il signor Mishima.»
Ripeté senza lasciarsi intimidire.
«Il signor Mishima non ha tempo per lei.»
Ripose seccamente lo stesso uomo.
«Ma io…»
Iniziò a dire Jin.
«Se non lascia subito l’edificio, saremo costretti a usare le maniere forti»
«C’è un equivoco…»
Specificò Jin, ma un altro uomo brandì un manganello. Fu un attimo, un attimo di troppo, Jin si difese scagliandogli un pugno prima che questi lo colpisse. Successe tutto in contemporanea, l’uomo cadde per terra, la segretaria emise un grido acuto e l’uomo che gli aveva parlato ordinò alla donna di chiamare rinforzi, poi si gettarono in tre su Jin, ma il ragazzo tenne testa al gruppo e li stese uno alla volta con le stesse mosse impartitegli da sua madre.
Quando l´ultimo uomo fu steso al tappeto altri sette o otto uomini uscirono dalla stessa stanza e si accanirono contro Jin, lui schivò i loro attacchi e rispose all´offesa.
Uno in particolare gli diede del filo da torcere, brandiva un teaser e cercò più volte di colpirlo, ma Jin era più agile e alla fine lo abbatté con un calcio sulla gote. Affaticato e col respiro affannoso si rivolse nuovamente alla receptionist.
«Mi lasci indovinare, si è liberato un posto nell’agenda del signor Mishima?»  
La donna annuì vigorosamente senza smettere di guardare i tredici uomini che Jin aveva atterrato in pochi minuti.


Con gambe malferme la receptionist lo condusse al 70° piano dello stabile e quando l’ascensore si arrestò lo accompagnò lungo un corridoio in parquet riccamente decorato. Le mura tinteggiate di rosso scuro erano ornate da foto che rappresentavano Heihachi mentre stringeva la mano a milionari di fama internazionale – Jin non ne riconobbe nemmeno uno – e quadri grotteschi che ritraevano mostri e demoni. Alla fine del corridoio si trovava un enorme portone in legno scuro con dei battenti a forma di diavolo. La receptionist afferrò un battente e lo percosse piano, dall’altra parte non ottennero nessuna risposta. A quel punto Jin afferrò l´altro battente e lo fece rimbombare con vigore, facendo trasalire la donna al proprio fianco.
Il rumore era talmente assordante da coprire il suono dei zoccoli del vecchio che si avvicinavano alla porta.
«Chi diavolo è?»
Sbraitò Heihachi bruscamente mentre apriva. Degnò appena di uno sguardo Jin e si rivolse con aria interrogativa alla segretaria, che si era inchinata profondamente.
«Signor Mishima, la prego di perdonare la nostra intrusione, ma posso spiegarle tutto. Il signore qui presente ha detto di avere qualcosa di molto importante da dirle, ho cercato di dissuaderlo, gli ho spiegato che lei fosse un uomo molto impegnato, ma ha insistito per poter parlare con lei adesso.»
Si affrettò a rispondere la donna con voce acuta, mangiandosi qualche parola.
Heihachi alzò le sopracciglia con superiorità, squadrando il giovane dall’alto verso il basso. Gli sembrò uno straccione in cerca di elemosina.
«Sono Jin Kazama.»
Si presentò. Gli occhi scuri di Heihachi si ridussero a due fessure e i suoi baffi ebbero un tremore. Si avvicinò al giovane a un palmo di suo naso e studiò attentamente i suoi tratti somatici. Riconobbe nel suo volto lo stesso cipiglio di Kazuya e gli occhi grandi e tondi di quella ragazza, li avrebbe riconosciuti ovunque.
«Sì, sei davvero tu.»
Dichiarò infine, facendo un gesto con la mano per scacciare la sua dipendente, senza staccare gli occhi dal nipote. Senza aggiungere una parola lo invitò a seguirlo dentro con un cenno del capo, sbattendosi la porta alle spalle.
«Siediti.»
Gli ordinò voltandogli le spalle. Jin non aveva mai visto niente di più sfarzoso in vita sua, si sentì minuscolo all’interno dello studio Mishima: una stanza circolare col pavimento di moquette scura al cui centro esatto di trovava uno sfarzoso divano in pelle. Appeso ad una delle pareti si trovava un mobile-vetrinetta in legno intarsiato e coi vetri finemente decorati che conteneva le più pregiate bottiglie di alcool e di fronte ad un’ampia finestra da cui si poteva ammirare tutta Tokyo si stagliava un’ordinata scrivania di scuro legno massello.
«Bevi qualcosa?»
Gli chiese, avvicinandosi all’armadietto dei liquori e, seppur per un istante Jin fu tentato di accettare, rifiutò. Heihachi fece spallucce e si servì una generosa dose di Saké.
«Ti ho detto di sederti.»
Ripeté, indicandogli il divano che aveva tutta l´aria di essere ancora nuovo. Jin si sentì completamente fuori luogo con i suoi pantaloni macchiati di fango e le scarpe rotte.
«Sono qui per vedere Kazuya Mishima.»
Lo informò, Heihachi non parve affatto sorpreso da quella notizia. Agitò il suo bicchiere, facendo roteare il liquido incolore al suo interno, poi ne bevve una sorsata e andò a sedersi sul divano davanti a Jin.
«Ti conviene metterti comodo giovanotto, sto per raccontarti una lunga storia.»
Jin lo fissò con espressione confusa, senza arrischiarsi a muoversi.
«Allora, ti decidi o no? Devo spingerti di forza o ti hanno insegnato come poggiare le tue dannatissime chiappe su un maledetto sofà?»
Jin si decise a obbedire, ma non gli piacque per nulla il tono con cui il vecchio gli si era rivolto.
«Tuo padre è morto.»
Disse semplicemente, andando dritto al sodo. Notò che gli occhi di Jin si erano allargati non appena appresa la notizia.
«Non so quanto tu sappia di tuo padre.»
«In realtà non so nulla di lui.»
Lo interruppe Jin stringendo le dita dentro un pugno. Gli fece uno strano effetto sentirgli pronunciare quelle parole, “tuo padre”.
«Kazuya non era il più socievole degli animali, ma prese molto in simpatia tua madre. Come dargli torto? Lei era bellissima, immagino lo sia ancora.»
Fece una pausa come a cercare conferma, ma Jin scosse la testa.
«È morta.»
Disse con tono piatto, pronunciando quelle parole per la prima volta ad alta voce.
«Mi dispiace molto, ragazzo. A Jun.»
Disse sollevando in alto il suo bicchiere, brindando alla vita della defunta, poi ingollò il sakè tutto d’un fiato.
«Non ti ha mai parlato di lui? Di Kazuya?» Jin scosse la testa ed Heihachi sbuffò sonoramente.
«I tuoi genitori si conobbero durante la seconda edizione dell’Iron Fist Tournament, si innamorarono sul ring. Dopo la vittoria di lui decisero di sposarsi e di creare una famiglia. Avevo messo tua madre in guardia sul conto di Kazuya, ma lei non mi ascoltò, troppo accecata dall’amore per darmi retta.»
Heihachi fece una pausa e si versò un’altra abbondante dose di liquore.
«Ho cresciuto mio figlio da solo, sai? La mancanza di una figura materna lo ha traumatizzato, rendendolo emotivamente instabile.»
Un’altra pausa, fissò Jin dentro gli occhi.
«Ma tua madre, santa donna, credeva di poterlo cambiare. Vedeva il buono in tutti, lei. Ma Kazuya non era normale. Non riuscì ad aspettare le nozze, se la prese prima e quando seppe della sua gravidanza lui… Lui non era pronto a fare il padre.»
Fissò Jin con pietà, come se fosse un cucciolo abbandonato.
«Volevo molto bene a Jun, la reputavo figlia mia. Lei purtroppo non mi aveva in simpatia, credeva che fossi troppo crudele nei confronti di mio figlio, se solo avesse saputo... Ad ogni modo, quando Kazuya tornò da me e mi confessò di averla abbandonata io andai su tutte le furie. Aveva fatto una scelta e doveva assumersi le proprie responsabilità, dannazione!»
A queste parole batté un pugno sulla scrivania.
«Era cresciuto senza una madre lui, doveva sapere a cosa ti condannava! Allora gli dissi, gli dissi che per me era morto, che mi vergognavo di avere un figlio così pusillanime, che lo disconoscevo come erede… E forse sono stato troppo duro, lo ammetto, perché Kazuya decise di recarsi sulla bocca del monte Fuji e, per la vergogna di avermi disonorato, si suicidó.»
Jin rimase di sasso.
«Chissà figliolo, magari adesso quei due sono insieme, stanno mettendo da parte le loro diatribe.»
Disse infine, guardando il cielo fuori dalla finestra, come se riuscisse a vederli.
«Spero solo che adesso abbiano trovato un po’ di pace. A proposito, com’è morta Jun?»
Chiese infine il vecchio, il tono della voce si era addolcito ed era diventato quasi confidenziale.
«È divampato un incendio e...» Mentì Jin.
«Ha distrutto la nostra casa. Lei purtroppo aveva respirato troppi fumi, non ce l’ha fatta.»
«Povera figliola.»
Piagnucolò Heihachi ingollando un altro sorso di saké.
Il telefono di Heihachi suonò e l´uomo si issò per alzare la cornetta, Jin non poté sentire che cosa dicesse il suo interlocutore.
«Sì, certo… Ha fatto cosa...? Otto...? Tredici...???»
Jin capì che stavano parlando di lui e non appena Heihachi riagganciò si alzò per scusarsi di aver messo al tappeto tredici dei suoi uomini, ma prima ancora che potesse aprire bocca Heihachi lo spinse sul divano costringendolo a sedersi e lo fissò negli occhi.
«Tu sei merce da Iron Fist Tournament. Dannazione, se sei bravo la metà di quanto dicono hai la vittoria in pugno ragazzo, potrai ricomprarti una casa  nuova e rimetterti in sesto!»
Jin lo guardò con espressione vacua e solo allora Heihachi capì che il giovane non aveva la minima idea di cosa stesse parlando. 


«Come dannazione ha potuto commettere un errore così madornale?»
Ringhiò Heihachi picchiando il pugno contro la scrivania di metallo dello scienziato. Il microscopio tremò, parecchie fialette vuote scivolarono dalla superficie, andando in mille frantumi sul pavimento.
«Io proprio non capisco, Heihachi.»
Rispose Bosconovitch grattandosi la testa.
«Non ho riportato in vita True Ogre per puro divertimento, avevamo un patto e lui l’ha violato. Aveva una sola missione, una solamente: uccidere il ragazzo. Questo manda a monte tutti i miei piani.»
«Ascolta, potremmo…»
«No, Geppetto, sono stufo di darti retta, ogni volta che mi suggerisci qualcosa, questa finisce per fallire. La faccenda è maledettamente seria, se Jin rimane in vita io rimango condannato.»
Heihachi si lasciò cadere su una sedia poco lontana, massaggiandosi le tempie.
«Ma allora perché lo hai invitato a restare?»
«Tieni stretti gli amici e ancora più stretti i nemici. Mi è venuta in mente un´idea geniale.»
Geppetto sollevò un sopracciglio e alzò le braccia come a voler chiedere “di che cosa si tratta?”.
«Jin morirà durante il torneo. Quell’idiota di sua madre non gli ha raccontato nulla sul conto di Kazuya, né tanto meno sul mio. Il ragazzo si fida di me e non ha idea che la sua fiducia sia cosí malriposta.»
Da un taschino interno della sua costosa giacca bordeaux con pellicciotto di volpe bianca tirò fuori un pacco di sigari cubani e se ne accese uno che riempì l’aria col suo aroma dolciastro.
«Ma perché non l’hai fatto fuori all’istante? Ti avrebbe risparmiato parecchie gatte da pelare.»
«Lo hanno visto troppe persone, la sua improvvisa scomparsa sarebbe stata alquanto misteriosa. Ad ogni modo non devi preoccuparti di questo, il mio piano è talmente ingegnoso da essere a prova di bomba. Ucciderò Jin e lo farò passare per un incidente, proprio com’è successo con Kazuya.»
Heihachi sorrise meschinamente, espirando una lunga boccata di fumo sulla faccia dello scienziato. Quello tossì ed agitò una mano per spazzare via l’olezzo nauseante.
«Tu sei proprio sicuro che Kazuya sia morto?»
Heihachi rise allegramente, col sigaro che pendeva dalle sue labbra.
«L’ho gettato all’interno di un vulcano alto quasi quattromila metri, sono pronto a scommettere l’intera Zaibatsu che sia morto. Quel maledetto bastardo credeva veramente di riuscire ad eludere me e i miei uomini? Che idiota. Se solo allora avessi nutrito il sospetto che quel bastardo avesse generato un erede avrei gettato quella donna nel Fuji assieme a lui, te l’assicuro, lei e il suo bambino non ancora nato.»
«Credi che Kazuya sapesse che fosse incinta?»
«No, ne dubito. Anche se questo spiega molte cose…»
«Oh sì, torna tutto adesso. Certo era strano che l’avesse abbandonata, dopo tutto quello che gli era costato salvarla.»
«Ma alla fine ognuno ha quello che si merita, dico bene vecchio mio? A proposito, hai già scongelato le Williams?»
«Ho iniziato il countdown stamane, ci vorranno almeno altre dodici ore prima che sia del tutto completo. Ma come ti ho promesso, le avrai prima dell’inizio del torneo.»
«Eccellente. Hai più ritrovato Steve?»
«Non ancora, ma sono sulle sue tracce. Comunque fossi in te non mi illuderei di vederlo al torneo.»
«Maledizione! Mi chiedo come abbia fatto quel bastardo a rimuovere il chip sottocutaneo che gli avevamo installato alla nascita.»
«Che vuoi che ti dica, Heihachi? Buon sangue non mente, parliamo del figlio di Nina Williams e Paul Phoenix in fondo.»
Heihachi annuì solennemente, spegnendo il sigaro nel portacenere.
«Sarà meglio che me ne vada adesso, ho ancora dei dettagli da rifinire. Passerò da te domattina per comunicarteli, dà un ultimo controllo a Mokujin, non tollererò un altro fallimento.»
Con quelle ultime parole, Heihachi si congedò dal suo amico.
 
***
 
Jin uscì dalla vasca e avvolse il suo corpo dentro un accappatoio candido e profumato. Gli serviva proprio, dopo tutto ciò che aveva passato.
Si sedette sul futon e accese il televisore al plasma appeso al muro, proprio in quel momento stava passando la pubblicità che annunciava l’inizio della terza edizione del pugno di ferro. Non riusciva a credere che i suoi genitori si erano conosciuti proprio lì, su quello stesso ring.
Heihachi gli aveva fornito una descrizione di Kazuya che cozzava con l’idea che si fosse fatto di lui e ne rimase un poco deluso. Sperava che avesse avuto un motivo valido per abbandonare una donna incita, ma era solo un codardo. Per a prima volta sentì di odiarlo di un odio viscerale che Jin non conosceva.
Suo nonno lo aveva invitato a restare alla Zaibatsu per un paio di giorni, finché il torneo non fosse iniziato, se avesse vinto avrebbe potuto intascare i soldi del montepremi per rifarsi una vita. Non era abituato a tutto quell’agio e non era certo che gli piacesse, ma per il momento se lo fece andare bene.
Si sdraiò sul futon e prima che se ne rendesse conto scivolò in un profondo sonno.

***
 
La pioggia batteva incessantemente già da qualche ora e l’odore di terra bagnata si intrappolava nelle narici. Il resto del mondo era ancora avvolto dall’abbraccio di Morfeo, ignaro di quanto stava accadendo all’interno del loro monte preferito, quello che ormai era diventato il simbolo della loro nazione.
Levandosi in volo, Kazuya risalì in cima al vulcano, liberandosi finalmente da una prigionia che era durata vent’anni. Il gene del diavolo che adesso abitava il suo corpo era riuscito a mantenerlo in vita, ma per la prima volta in vent’anni Kazuya era riuscito a liberarsi dalla sua trappola. C’era qualcosa che eccitava il demone rendendolo più forte, anche se Kazuya non sapeva ancora di cosa si trattasse.
Spiegando le sue ali nere come le tenebre, sorvolò il cielo di Tokyo, lasciando che la pioggia che sferzava sul suo viso, lo inumidisse facendolo sentire libero e vivo come non mai.
Muovendosi nell’aria come un pipistrello troppo cresciuto, volò verso la Mishima Zaibatsu per la resa dei conti. Heihachi gli aveva fatto questo, lui l’aveva reso il mostro che era diventato e adesso gli toccava affrontare la sua furia.

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Capitolo 6
*** Cap. V - Il torneo del pugno di ferro ***


Capitolo V
– Il torneo del pugno di ferro–

Le luci stroboscopiche del moonflower baluginavano a intervalli irregolari sul palco fomentando il pubblico che si accalcava sugli spalti. La macchina per il fumo artificiale che lanciava getti di vapore dall’odore dolciastro e la musica tecnologica sparata a tutto volume rendevano l’atmosfera ancora più carica ed elettrizzante. Jin si sentì al centro del mondo, non era quello che si era immaginato di trovare ad un torneo di combattimento, ma Heihachi gli aveva pazientemente spiegato che quell’accozzaglia di colori e suoni servivano solamente a creare spettacolo, a rallegrare il pubblico.
«La violenza in sé è mal vista dalla maggior parte delle persone – va’ a capire il perché –  perciò sta a noi cercare di renderla quantomeno divertente.»
Gli aveva spiegato Heihachi  con fare pratico mentre lo conduceva allo spogliatoio del piano di sotto, dove i concorrenti di quella nuova edizione si stavano cambiando prima della trasmissione in diretta.
«Io mi fermo qui. Capirai da te che la mia compagnia non gioca a tuo favore, specialmente nel fortunato caso in cui tu dovessi vincere.»
«Lo capisco, sì.»
«Non farti sfuggire della nostra parentela, qualcuno potrebbe trovare da ridire e accusarmi di favoreggiamento.»
Si raccomandò Heihachi per l’ennesima volta, come se Jin fosse così stupido da non aver recepito il messaggio.
«Non lo farò, te lo assicuro. Ma ti garantisco che la prossima volta che ci incontreremo sarà sul podio dei campioni, dove tu mi assegnerai il premio.»
Jin rise per la prima volta da quando l’aveva conosciuto, mostrando una fila perfetta di denti bianchi. Il suo buonumore sembrò contagiare anche Heihachi, che lo fissava con ammirazione lisciandosi i baffi.
«Questo è lo spirito giusto figliolo. Rendimi orgoglioso.»
Gli diede un’incoraggiante pacca sulla spalla e Jin capì che si stava accomiatando. Con il cuore che gli batteva forte nel petto e l’emozione crescente attraversò quasi correndo il corridoio che conduceva all’arena.
Non lo faceva solo per sé stesso ma anche per Jun, per dimostrarle di essere stato un degno allievo, per renderla orgogliosa, perché lui sapeva che il suo spirito aleggiava al suo fianco e lo accompagnava.
Il camerino era popolato da una ventina di persone di tutte le età, la maggior parte di cui uomini. C’erano pochi giovani suoi coetanei, la maggior parte dei concorrenti dimostrava almeno il doppio dei suoi anni. Li passò in rassegna uno alla volta cercando di identificare i loro possibili punti deboli, come gli aveva insegnato sua madre. Era difficile basarsi solo sulle proprie supposizioni, ma presto avrebbe avuto la possibilità di vederli in azione e a quel punto sarebbe stato un gioco da ragazzi. Si chiese se anche sua madre si fosse sentita come lui dentro quello stesso ripostiglio, molti anni prima. Sentiva il sangue fluire a tutta velocità dentro le sue vene, il collo era accaldato dall’eccitazione e le dita delle mani fremevano. Incapace di starsene fermo, decise di prendere posto su una panchina dove sedeva una donna dall’aria annoiata. Notò che fosse molto bella, nonostante la pelle pallida. Aveva lunghi capelli biondi legati in una coda lenta e occhi azzurri simili a zaffiri luminosi.
«Se continui a guardarmi in quel modo non ti faccio nemmeno arrivare sul ring.»
Gli disse senza smettere di fissare davanti a sé con una voce profonda che non le donava affatto.
«Non ti stavo fissando.»
Si affrettò a mentire, allontanando i suoi occhi dalla sua figura.
«Oh Nina, sei sempre così cattiva.»
Disse una voce leziosa appartenente ad una donna sensuale che prese posto di fianco al ragazzo incrociando le gambe con la grazia di una diva dei cinema.
«Devi scusare mia sorella Nina, è una vera e propria cafona, non conosce le buone maniere. Lascia che mi presenti, sono Anna Williams.»
Anna alzò una mano in aria con fare regale, aspettando che Jin la baciasse, ma quello fraintese e gliela strinse
«Jin Kazama.»
Anna decise di ignorare il gesto poco elegante, in fondo il ragazzo non sembrava un vero gentleman, ma qualcosa nel suo nome gli suonava familiare.
«Kazama… Kazama… Dove l’ho già sentito?»
Si chiese posandosi un dito sul labbro in modo teatrale cercando di ricordare.
«Kazama è quella tipa che ti ha gonfiato di botte allo scorso torneo, ti aveva spaccato la faccia a suon di pugni, non puoi averlo dimenticato.»
Stizzita, la castana si allontanò facendo tamburellare i suoi tacchi sul legno, mentre la bionda si accese una sigaretta sghignazzando sotto i baffi, Jin la fissò di nuovo con espressione colma di curiosità.
«Intendevi Jun? Jun Kazama?»
Nina aspirò una boccata di fumo osservandolo in tralice.
«Non ricordo il suo nome, era una ragazzetta pallida tutta pelle e ossa. Non ci avrei scommesso uno yen, ma sapeva il fatto suo.»
Jin rimase in silenzio a pensare a sua madre, in questo momento si trovava nello stesso luogo in cui si era trovata lei appena vent’anni prima, il luogo in cui vent´anni fa sua madre aveva incontrato Kazuya Mishima e si era innamorata di lui, solamente vent´anni fa. Se lo ripeté in testa, vent’anni, poi, come se si fosse risvegliato da una specie di sogno scosse la testa guardando Nina e le parló in tono grave.
«Qualcosa non torna, lo scorso torneo si è tenuto vent’anni fa, e quella donna, Anna, non può avere più di venticinque anni»
«Ventisei»
Precisò Nina.
«Non può essere…»
Bofonchiò Jin, ma Nina lo ignorò e la loro conversazione fu bruscamente interrotta dalla voce del presentatore che dichiarava l’inizio del torneo.
«Un consiglio, se ti dovesse capitare Anna come rivale colpiscila in faccia, è il suo punto debole.»
«Non accetto consigli di questo genere.»
Replicò aspro Jin alzandosi in piedi e rivolgendole un’occhiata carica di disprezzo.
«Non mi serve imbrogliare per vincere.»
L’irlandese alzò le sopracciglia stupita. Il ragazzo non le sembrava molto sveglio, ma con quel commento si era quasi guadagnato la sua simpatia.


 
La voce del presentatore rimbombò altisonante all’interno di quelle quattro mura. Gli iscritti lo sentirono salutare il pubblico e fare un paio di battute da copione prima di invitarli finalmente nell’arena. Uno alla volta i concorrenti fecero il loro ingresso nella sala del ring, dove la folla li acclamava con calore.
Il maxischermo posto quasi all’altezza del soffitto che riportava i loro nomi fece degli strani rumori e calcoli sorteggiando le coppie di rivali.
 
ROUND 1
1. Eddy Gordo – Kuma 5.  Hwoarang – Julia Chang
2. Gun Jack – Forest Law 6. Paul Phoenix – Bryan Fury
3. King – Ling Xiaoyu 7. Nina Williams – Mokujin
4. Anna Williams – Lei Wulong 8. Jin Kazama - Yoshitmitsu
 
Jin diede una rapida occhiata al pannello e studiò la foto del suo sfidante, chiedendosi se fosse quantomeno umano. Cercò la sua figura con fare indagatore: Yoshimitsu era un lottatore maji che si serviva di una spessa armatura di metallo per combattere e impugnava una fluorescente spada verde. Capì solo guardandolo che a suo vantaggio giocavano la prestanza fisica, l’ottima mira e la resistenza, per cui avrebbe fatto meglio a non colpirlo troppo spesso, o avrebbe rischiato di affaticarsi inutilmente. La tattica da usare contro di lui era identificare subito il suo punto debole e cercare di centrarlo quanto prima.
La prima manche era cominciata, un mulatto con una curiosa tecnica che Jin non conosceva affrontava un gigantesco orso bruno dall’aria molto pericolosa.
L’uomo era molto agile, schivava con maestria i contraccolpi eseguendo una specie di danza caraibica. Kuma ringhiava rabbioso ogni volta che lo mancava. Eddy sfruttò l’ingegno e condusse Kuma fino all’angolo del ring; l’orso cercò di colpirlo con una zampata, ma i suoi artigli restarono impigliati contro il legno del tenditore e a quel punto il brasiliano aveva iniziato il contrattacco. L’orso non riuscì a difendersi e subì inerme la combo di calci che lo stordirono fino a metterlo al tappeto.
La seconda prestazione vedeva sfidarsi un cyborg di almeno tre metri contro un giovane americano piuttosto minuto. Jin avrebbe puntato ad occhi chiusi su Jack, ma non aveva considerato l’abilità di Forrest di eseguire rapide capriole a mezz’aria. Grazie a quelle il giovane ristoratore riuscì a colpire il viso di Jack, l’unica cosa umana che avesse. Il robot cercò di afferrarlo in svariate occasioni, ma la pesantezza dei suoi ingranaggi lo rallentava. Avvalendosi della sua arma vincente, Law continuò imperterrito a levarsi per aria, scagliando pedate sulla faccia di Jack e riuscendo infine a stenderlo.
Subito dopo toccò a King e Ling Xiaoyu. Jin rimase stupito dalla presenza di una ragazza così giovane, non dimostrava infatti più di sedici anni, ma non sembrava impaurita dall’uomo che fronteggiava. L’uomo mascherato attaccava secondo le regole del wrestling messicano, ma la cinese sembrava prevedere ogni sua mossa. Usava la sua bassa statura come punto di forza, inarcando la schiena per farsi ancora più piccola, attaccando King dal basso. Aveva un’ottima precisione e un buon controllo degli arti inferiori. Alla fine, contro ogni previsione, riuscì ad abbattere King con una sequenza di schiaffi e pedate. La folla andò in delirio non appena si qualificò campionessa, urlando il suo nome come un inno. Ling era riuscita a distinguersi diventando la mascotte di quell’edizione.
Poco dopo fu il turno di Anna Williams e Lei Wulong. Jin ancora stentava a credere che una donna con quel portamento raffinato potesse interessarsi a uno sport mascolino e violento come la lotta, ma la sua tecnica elegante era uno spettacolo per gli occhi. Gli parve che anche il suo sfidate fosse restio ad assalirla, o forse era semplicemente incantato dalle sue movenze quasi erotiche. Anna si avvicinò con passo felino, come una tigre in calore pronta a farsi montare, e quando gli fu a un palmo di naso lo assalì. Gli incastrò la testa fra le cosce e fece una giravolta all’indietro mollando la presa, facendo sbattere a terra il muso del cinese e mentre quello stava ancora accasciato per terra, l’irlandese gli salì a cavalcioni sulla schiena afferrandogli le gambe e spingendogliele innaturalmente dietro la testa. Lei urlò di dolore e strinse gli occhi in un’espressione pietosa, ma la Williams, su di giri, continuò la sua spietata tortura. Dalla posizione di cui godeva, aveva il pieno controllo sui suoi arti, quindi si aggrappò al suo braccio e lo roteò di quasi 360 gradi, rompendoglielo. Anna aizzò il pubblico con un gesto delle mani, intenta a godersi il suo momento di splendore. Il poliziotto, inerme, era riuscito a rigirarsi su un fianco, ma privo di un braccio non aveva alcuna possibilità di ribaltare la situazione. Quando la donna si accorse che era riuscito a risollevarsi gli corse incontro e lo colpì con un calcio – il tacco per poco non lo accecò – sconfiggendolo.
Dopo un breve intervallo di circa dieci minuti, il torneo continuò e sul ring salirono un ragazzo molto giovane coi capelli rossi ed una sua coetanea di origine nativa americana.
Hwoarang e Julia giocarono pulito. Decisero saggiamente di impiegare i primi minuti studiandosi, senza realmente aggredirsi, facendo delle finte. Il rosso saltellava incessantemente sul posto, Julia invece ancheggiava e alla fine fu proprio lei a fare la prima mossa picchiando il coreano sulla pancia. Lui incespicò un attimo, ma si riprese subito, dando dimostrazione delle sue capacità. Jin si godette quel match; Julia aveva un ottimo equilibrio ed era capace di attaccare sia dal basso che dall’alto, d’altro canto Hwoarang sapeva parare bene. Lei cercava insistentemente di afferrargli le braccia, ma lui riusciva ad eludere la sua presa piroettando, fino a quando, stanco di difendersi, la picchiò sul naso. Rivoli di sangue scuro le sporcarono il viso, ma Julia continuò l’offesa, scagliando ginocchiate. Hwoarang eseguì una sforbiciata con le gambe, facendola ruzzolare, e approfittò del suo attimo di debolezza per finire il lavoro, aggiudicandosi la vittoria.
«Paul Phoenix e Bryan Fury!»
Chiamò il presentatore, mentre i due uomini si arrampicavano sul quadrato da due versanti opposti. Paul era fisicamente ben impostato, al contrario di Bryan che era ormai avanti con gli anni, ma questi salì sul ring ostentando una spocchia da quindicenne. Incassava i colpi di Paul con nonchalance, come se quelli non gli facessero nulla, facendo innervosire il biondo, che gli si fiondava sopra con più violenza. Bryan rideva della sua rabbia, rendendosi ancora più antipatico, e dopo aver testato la forza del giovane, contrattaccò con forza bruta. Jin strabuzzò gli occhi incredulo, stentava a credere a quanto gli capitava davanti. Bryan assestava pugni senza sosta, ridendo come uno psicopatico, per un attimo temette che non si fermasse più, ma quando si accorse che Paul era privo di sensi, lo mollò, facendolo accasciare pietosamente sul pavimento.
Quando Nina si trovò al cospetto di Mokujin represse a stento un ghigno malefico.
«Un tronco?»
Urlò a gran voce, suscitando ilarità tra il pubblico.
«Santo cielo, spero di non guadagnarmi l´antipatia degli ambientalisti quando ti ridurrò a uno stuzzicadenti.»
Un’altra ondata di risa pervase l’intero stadio, Nina abbassò la guardia e il cyborg la picchiò sulla pancia.
Nina ebbe un attimo di esitazione, ma si affrettò a fra sparire l’occhiata di scherno dal suo viso, perché quel coso le aveva davvero fatto male. Prese la ricorsa e gli mollò una testata che non lo spostò di un solo millimetro.
«Maledizione, di cosa sei fatto?»
Chiese afferrandosi la testa. Il colpo era stato devastante, sembrò quasi di sbattere contro il metallo.
Heihachi, dalla sua posizione di prestigio ai piani alti dell’arena si gustava divertito lo spettacolo. Aveva visto bene Bosconovitch per una volta, quando gli aveva consigliato di dipingere la facciata in finto legno, di modo da conferirgli un aspetto inoffensivo. Roteando il calice di vino rosso tra le mani si godeva la vista della bionda in difficoltà. In realtà avrebbe voluto usare il robot contro Jin, ma doveva prima accertarsi delle sue capacità, quindi aveva deciso di testarlo con una rivale altrettanto caparbia. Nina Williams gli piaceva, era testarda, furiosa e ostinata, gli sarebbe piaciuto scoprire se vantasse quelle stesse qualità a letto, ma per ovvie ragioni non aveva mai osato avanzarle la proposta. Certo sarebbe stata una pessima moglie, per nulla devota, sprezzante delle buone maniere e arrogante. Ecco perché era diventata la “madre surrogato” del loro nuovo esperimento, Steve Fox, quegli stessi attributi nel corpo di un uomo sarebbero stati letali, ne era certo.
Nina annaspò risollevandosi da terra, quella macchina prevedeva e replicava ogni sua mossa, era impossibile giocare d’anticipo. Ansimando si rialzò per l’ennesima volta, non tollerava perdere, soprattutto considerato che Anna si era già qualificata al secondo round. Perdere e dimostrare indirettamente la sua superiorità era inammissibile, piuttosto si sarebbe fatta uccidere!
Corse di nuovo contro il manichino decisa a mollargli una testata, ma all’ultimo secondo cambiò idea e lo scavalcò con una giravolta, afferrandolo da sotto le ascelle e scaraventandolo nella direzione opposta. Rise, aveva capito come fare per ingannarlo. Di nuovo gli si parò davanti con l’intenzione di calciarlo, ma poi decise che fosse più opportuno saltagli sul collo e sbilanciarsi di peso verso il basso, lasciando che cadesse. Era pronta a scommettere le chiappe che si trattasse dell’ennesimo folle prototipo firmato Mishima. Capì che doveva trovare la scheda madre e disattivarla – o frantumarla – se voleva vincere, e l’esperienza le suggeriva che fosse situata in una zona poco visibile, probabilmente sotto l’ascella o vicino alla caviglia, nel peggiore dei casi sull’inguine. Con questa nuova consapevolezza attaccò quei punti e in breve tempo riuscì a portarsi in vantaggio, impedendo a Mokujin di ribellarsi.
«Bastardo, pensi sul serio di sconfiggermi con le mie stesse tecniche?»
Jin l’osservò muoversi con destrezza, aveva uno stile completamente diverso da quello della sorella. Alla base della lotta di Anna c’era raffinatezza, mentre Nina combatteva con virilità mascolina, con durezza e crudeltà, eppure in quella robustezza c’era qualcosa che lo attraeva, e non solo a lui a giudicare dagli sguardi inebetiti degli spettatori. La fronte della bionda luccicava madida di sudore sotto i riflettori, probabilmente la tutina viola che indossava doveva arrecarle calore. Attraversò il quadrato a tutta velocità, poi scivolò lasciandosi cadere su un fianco, colpendo il piede di Mokujin. Quello andò in cortocircuito, agitando braccia e gambe convulsamente, come fosse in preda ad un attacco epilettico. Nina rise, aveva smascherato la pagliacciata di Heihachi, e continuò ad attaccare quella zona lì, fin quando il prototipo non si accasciò sul tappeto dichiarandola vincitrice. Nina allargò le labbra e alzò le mani al cielo, rivolgendo un’occhiataccia di sfida alla balconata in cui si trovava il vecchio Mishima. Anche se non poteva vederlo, era certa che stesse digrignando i denti incollerito, e questo bastò a renderla ancora più euforica.
Quando Jin salì a sua volta sul ring le gambe gli tremavano un po’ “è solo emozione” si ripeteva mentre Yoshimitsu lo raggiungeva dal versante opposto. Mentre il suo sguardo indagava sull’ammasso di ferraglia del suo avversario, la sua mente rievocava i dettami impartitigli da sua madre parecchi anni prima. “La paura è un sentimento dettato dalla non conoscenza; più sai del tuo rivale, meno hai da temerlo.” Inspirò profondamente chiedendosi cosa sapesse – o ipotizzasse – di Yoshimitsu. “Nessun ostacolo è insormontabile, se qualcosa ci sembra enorme dobbiamo solo cambiare prospettiva.” Il Maji lo attaccò prima che riuscisse a focalizzarsi. “L’impulsività non sempre è un vantaggio” Per quanto odiasse ammetterlo, al momento nessuno di quei consigli sembrava funzionare. “Siamo tutti esseri umani Jin, abbiamo in noi forze e debolezze, nessuno è perfetto.” Quella consapevolezza gli infondeva maggiore fiducia, dietro quell’armatura c’era un uomo, proprio come lui. Saltò per schivare la spada di Yoshimitsu, riflettere troppo a lungo non avrebbe giovato. Agì d’istinto, rivoltandosi a tutti gli insegnamenti di Jun – sentendosi persino un po’ in colpa – e afferrò un piede del rivale spingendolo fin sopra la sua testa. Non sentì alcun urlo, ma lo vide contorcersi. Prima che si sollevasse, afferrò uno dei suoi polsi e lo girò in senso antiorario. Yoshimitsu si oppose e riuscì ad allontanarlo da sé, esibendosi in una serie di giravolte e riuscendo così a ferirlo con la spada incandescente. Jin iniziò a sanguinare, quella cosa non era solo appuntita, ma anche rovente come l’inferno. Il giovane Kazama roteò su sé stesso conficcandogli una gomitata all’altezza della clavicola, poi gli mollò un pugno sul viso. Quello d’altro canto gli inflisse una ginocchiata sulla vita, rischiando di centrarlo sulla sua zona delicata. Jin lo spinse via, preferendo tenersi a debita distanza e continuare l’offensiva a calci. Yoshimitsu si sedette per terra e Jin non capiva cosa stesse facendo, che si fosse messo a meditare proprio in quel luogo lì? Poi si rialzò di scatto e trotterellò verso di lui con fare minaccioso, la spada minacciosamente alta sulla testa. Jin lo bloccò con una manata che gli fece scivolare la spada dalle mani. Il giovane non perse tempo e l’afferrò, scatenando la daga contro il suo stesso proprietario. Senza quella il Maji sembrava un pesce fuor d’acqua, non sapeva cosa fare con le mani, era come se non trovasse il proprio baricentro. Jin persistette, convinto che mancasse ormai poco alla vittoria, mentre l’altro aveva smesso di fronteggiarlo e sembrava solo desideroso di rimpossessarsi del suo bene più caro. Jin lo stese con una spallata e gli pestò una mano, ma il suo rivale aveva smesso di opporsi,
dichiarando la resa. L’arbitro lo affermò vincitore, ma c’era qualcosa di amaro in quella vittoria senza gloria.
 
 

Il giorno seguente l’atmosfera era persino più carica della giornata precedente. I campioni del primo round erano ancora più agguerriti, essere passati significava aver dimostrato qualcosa, e se volevano convincere il pubblico che non si era trattata di mera fortuna dovevano darsi da fare per confermarsi finalisti. Gli sconfitti sedevano sulle prime file della platea, qualcuno veniva intervistato dalla rete locale altri – come Yoshimitsu – avevano dichiarato “silenzio stampa” e restavano solo per assistere al torneo.
Di nuovo il tabellone si colorò di tanti colori prima di esporre la nuova scaletta:


ROUND 2

 
Eddy Gordo – Anna Williams Hwoarang – Forest Law
Bryan Fury – Ling Xiaoyu Nina Williams – Jin Kazama
 


Eddy era risultato del tutto indifferente al fascino fatale di Anna ed era riuscito a batterla nel giro di un quarto d’ora. Bryan aveva massacrato Ling Xiaoyu, che però era riuscito a stancarlo e Hwoarang aveva prevaricato su Forrest su uno scontro quasi alla pari. Alla fine toccò a Jin e Nina. Una parte di lui avrebbe voluto risparmiarla perché aveva iniziato a nutrire una certa simpatia mista a rispetto nei suoi confronti, ma d’altro canto non era il tipo da farsi vincere dai sentimenti. Jin l’aveva già vista in azione contro Mokujin e imparato così le sue strategie. A conti fatti il suo breve scontro contro Yoshimitsu si era rivelato giocare a suo vantaggio; meno si esibiva, meno possibilità c’erano che la gente studiasse una controffensiva. Dopo quasi trenta minuti sul tappeto, Jin si era riclassificato campione.
«Niente male, ragazzino.»
Fu il commento monocorde di Nina.
«Il prossimo anno non ti sarà così semplice, te lo garantisco.»
Poi gli rivolse un sorriso, che Jin ricambiò illuminandosi. La bionda scoprì che l’allegria gli donava parecchio, peccato la indossasse così raramente.
 

Il terzo giorno la storia si ripeté, ed era una partita tutta da giocare perché il vincitore si sarebbe presentato in semifinale.
Il maxischermo si colorò di mille colori prima di presentare l’ultimo schema:
ROUND 3
Bryan Fury – Eddy Gordo Jin Kazama - Hwoarang
 
Jin e Hwoarang si fissarono intensamente durante lo scontro di Bryan ed Eddy, senza distogliere lo sguardo per un solo momento, come se distrarsi avesse significato perdere. Hwoarang poteva essere pericoloso, considerò Jin ripensando al suo primo scontro contro Julia, ma aveva comunque le sue buone chance.
«Bryan Fury è il primo finalista!»
Strillò il presentatore al microfono, mentre quello grugniva per l’emozione.
Senza staccare il contatto visivo, Jin e Hwoarang si arrampicarono sul ring inchinandosi reciprocamente.
«Che vinca il migliore.»
Disse il rosso con spavalderia, prima di regalargli un sorriso.
Lo attaccò subito dopo il fischio d’inizio, sperando di sfinirlo, ma Jin fu più svelto e lo evitò rotolandosi per terra.
«Rendi tutto più divertente.»
Gli disse tornando in posizione, senza smettere di saltellare.
«È per questo che lo facciamo, no? Per divertirci.»
Replicò Jin beffardo, lanciandogli un calcio così altro da sfiorargli il lobo dell’orecchio.
«E per i soldi, non dimentichiamoci dei soldi.»
«Non sapevo ci fosse un montepremi.»
Disse il moro con finto stupore. Il coreano lo attaccò senza remore e lui cercava di non affaticarsi troppo mentre schivava i suoi tiri mancini, cercando di focalizzare la sua energia vitale all’interno del suo corpo. Ecco, quello era un avversario con cui l’istinto non avrebbe funzionato.
«Chi vince sfida Bryan, te la senti?»
Gli mormorò quello dandogli un pugno sulla guancia. Il giapponese incassò il colpo ma si riprese svelto.
«O lo affronto e cerco di vincere, o gli permetto di distruggerti.»
«Coraggioso da parte tua, Kazama. Un tantino presuntuoso, aggiungerei.»
«Ti sbagli, l’umiltà è la migliore delle mie virtù, ma non sono capace di mentire.»
«Attento!»
L’avvisò quello, riprendendo l’attacco. Si scontrarono per un lasso di tempo relativamente lungo, quasi cinquanta minuti sul ring. Sapeva di non poter più fare affidamento sull’effetto sorpresa nella battaglia contro Bryan, ma al momento era più importante resistere a Hwoarang. Era stato bravo, davvero molto, ma il tempo di scherzare era giunto al termine, Jin lo assalì con la furia di un dragone e, dopo molte difficoltà, aveva avuto la meglio.


L’ultimo giorno di incontri fu inspiegabilmente pesante. Dopo quella sera, il torneo sarebbe stato solo un ricordo. Jin avrebbe incassato la vincita, acquistato un appartamento tutto suo e avrebbe continuato ad allenarsi in vista dell’edizione seguente. Forse Heihachi gli avrebbe insegnato il karate in stile Mishima che da secoli caratterizzava la loro famiglia. Gli faceva uno strano effetto pensare a Heihachi come a una presenza costante nella sua vita.
Certo prima di tutto doveva sconfiggere quel folle di Bryan, ma aveva un buon presentimento, oltre che delle gambe molli e un senso devastante di nausea.
Bryan salì sul ring minaccioso come sempre. Con lui non sarebbe stato necessario pensare, occorreva solo picchiare duro.
La lotta fu estremamente lunga, i due rimasero sul ring per più di un’ora. Jin aveva un occhio nero e il labbro sanguinante, il suo rivale zoppicava ed esibiva un taglio profondo sotto l’occhio. Facendo appello alla poca energia che gli rimaneva, Jin eseguì una rovesciata a mezz’aria, di quelle che Jun praticava con grazia e leggiadria e, pur peccando di disarmonia, ne assestò una perfetta sul volto sfigurato dell’uomo, mettendolo K.O.
«Un applauso per il nostro campione!»
Strillò il presentatore e la folla esultò acclamando il nuovo volto dell’Iron Fist. Le luci danzavano su tutta la superficie, ce l’aveva fatta. Faticò a reprimere la commozione, tutto quello lo dedicava a sua madre.
All’improvviso la musica cambiò e le luci si spensero, Jin pensò fosse iniziata la cerimonia della premiazione, ma il presentatore, con voce lievemente più grave, aveva annunciato la presenza di un ultimo rivale. Qualcuno sugli spalti si ribellò affermando che una cosa simile non si era mai verificata durante un Iron Fist Tournament, ma venne ignorato. Dal soffitto si aprì una botola e un’enorme gabbia di ferro scese lentamente. Qualunque cosa vi fosse al suo interno ruggì spaventando la folla. Jin ebbe un bruttissimo presentimento e deglutì sonoramente e quando la gabbia toccò il quadrato qualcuno urlò in preda al terrore, gli occhi di Jin si spalancarono increduli quando lo vide: un gigantesco corpo ricoperto da un manto di peli ispidi del colore della notte, corna acute come aculei, occhi dello stesso colore del fuoco. True Ogre era venuto a portare a termine la propria missione.
 
***
Heihachi, al sicuro nella sua torretta si accese un sigaro e si sistemò comodo sulla sua poltrona per godersi lo spettacolo. Il cellulare squillò e rispose con un gran sorriso.
«Stai guardando Geppetto? Presto anche quel bastardo sarà nella fossa, proprio come suo padre, e allora sarò libero. Analizzerai la componente del mio sangue e creerai un esercito di…»
Non fece in tempo a finire la frase che la finestra esterna della sua balconata andò in frantumi.
Un essere indefinito si era parato di fronte a lui, aveva il corpo allenato un lottatore, una profonda cicatrice obliqua sul petto, un occhio rosso come il sangue ed un paio di ali nere come le tenebre.
«No, non può essere.»
Riuscì a esclamare con un filo di voce, lasciando cadere il sigaro.
«Maledetto, figlio del demonio, sei ancora vivo!»
Urlò a denti stretti picchiando il muro più vicino.
«Hai fatto una cosa contro natura sfidando il sangue del tuo sangue.»
Gli disse Kazuya lentamente, Heihachi spalancò la bocca incredulo.
«E adesso è mio compito porre fine alla tua esistenza.»
Volò verso il padre e afferrò il suo collo tra le mani spingendolo contro la vetrata da cui osservava gli scontri, il cellulare gli scivolò di mano mentre Kazuya gli premeva la guancia contro al vetro. Era così che doveva finire, Kazuya lo sapeva, doveva ucciderlo, non c’era altro modo.
«Brutto incapace, non sei neanche capace di crepare.»
Gli disse il padre con voce strozzata, mentre il suo volto diventava bluastro a causa della mancanza di ossigeno.
«Continui a fare un errore dopo l’altro, l’ultimo dei quali si è presentato a casa mia solo pochi giorni fa, sai a cosa mi riferisco, no?»
Kazuya strinse la presa, desideroso di far tacere quel ronzio fastidioso.
«Di tuo figlio. Jin Kazama.»
Kazuya allentò la presa spalancando gli occhi. Stava mentendo, non era vero, lui non aveva dei figli. Heihachi rise di fronte al suo disorientamento.
«Non hai perso tempo, è vero?» Disse tossendo «Te la sei presa alla prima occasione, non è vero?»
«Tu menti.»
Ululò Kazuya, la voce resa più roca dalla presenza del diavolo nel suo corpo.
«Mai stato più sincero di così. Guarda di sotto, te ne convincerai tu stesso.»
Tenendolo ancora stretto in un palmo di mano, Kazuya indirizzò lo sguardo verso il punto da lui indicato.
«No…»
Esclamò con orrore.
«Sì è proprio lui, buon sangue non mente. Ha la stessa foga di sua madre, non è così? Ma c’è anche traccia del tuo intervento.»
Jin ruotava attorno ad Ogre scansando le fiamme del suo naso. Era ferito e ancora provato dallo scontro con Bryan.
«Lei dov’è?»
Chiese Kazuya a denti stretti.
«È morta.»
Scandì bene le parole con un ghigno malefico, gustandosi l´espressione di rabbia mista a dolore che gli aveva provocato.
«L’hai uccisa tu, non è vero?»
 Senza mollare la presa sul suo esofago, lo strattonò verso terra. Il padre non fece in tempo a rialzarsi che gli fu addosso, prendendolo per la collottola.
Heihachi respirò affannosamente, la figura di Kazuya lo dominava come un’ombra. Si era ormai quasi convinto di essere spacciato, ma la porta alle sue spalle si aprì ed un esercito di suoi uomini fece il suo ingresso. Il vecchio tirò un sospiro di sollievo, Geppetto doveva aver sentito la loro conversazione dal telefono e aveva saggiamente avvertito la Tekken force. Gli uomini armati di fucili mirarono Kazuya e dopo il primo sparo ne seguirono altri cento, forse mille. Il figlio venne colpito da una raffica di proiettili che lo scaraventarono contro la vetrata, rompendola.
Heihachi si rialzò e guardò in basso, ordinando di cessare il fuoco.
L’arrivo di Kazuya aveva distratto True Ogre, che avvertendo la sua energia decise di lasciar perdere Jin e concentrarsi invece su di lui. Si sollevò in volo e parecchie persone lasciarono l’arena terrorizzate, poi si fiondò su Kazuya, che lo schivò abilmente. Di nuovo il mostro provò ad attaccarlo, ma Kazuya era più rapido. Si avvicinò a Jin, steso per terra sfiancato per osservarlo in viso, ma di nuovo True Ogre lo aveva puntato, desideroso di nutrirsene e a quel punto Kazuya lo fulminó coi suoi occhi. Le orbite oculari gli bruciavano mentre espelleva il laser che divise in due metà perfette il mostro. Il suo sangue color pece sgorgò a fiumi sporcando il ring e schizzando sul viso atterrito di Jin, che era immobilizzato dalla paura. Il Demone gli si avvicinava con passo lento e lo scrutava coi suoi occhi policromatici. Jin capí che la sua fine fosse giunta al termine e chiuse gli occhi in attesa di subire la stessa sorte del mostro, ma invece udì l’infondibile suono di uno sparo e a quello ne seguirono altri. Udí Heihachi urlare di aprire il fuoco e seguirono altri suoni tonfi, poi il rumore di una finestra frantumata, una pioggia di cocci di vetro piovve dal cielo e mentre un brivido caldo gli percorreva le gambe, Jin si sentì afferrare per le spalle, poi perse i sensi.

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Capitolo 7
*** Cap. VI - Segreti pericolosi ***


Capitolo VI
– Segreti pericolosi–
 
Il demone lo afferrò per le spalle come un rapace con la sua preda e lo trascinò con sé verso il cielo notturno. Le cime dei grattaceli di Tokyo erano ormai dei minuscoli puntini, più il mostro si levava in alto più il paesaggio ai suoi piedi si faceva sfocato e a un certo punto gli parve persino di trovarsi al di fuori dell’atmosfera, da qualche parte nello spazio. Jin si divincolava, ma sapeva di non poter far nulla per fermarlo.
«Che cosa vuoi da me?»
Gli domandò a denti stretti fissando i suoi occhi policromatici, uno color nocciola e l’altro rosso vermiglio.
«Voglio ucciderti, Jin Kazama.»
Gli rivelò quello con un sorriso sbieco che lo rendeva ancora più brutto e spaventoso. Jin lo sapeva, gli era stato chiaro sin dall’inizio.
Senza smettere di sorridere, il demone mollò la presa e lo fece precipitare nel vuoto sottostante. Jin urlò di disperazione conscio che la sua vita fosse ormai giunta al termine. Il suono del suo grido era sordo e veniva attutito dal ronzio del vento, mentre nelle sue orecchie riecheggiava amplificata la fredda risata del diavolo.
Si svegliò di soprassalto madido di sudore, respirando affannosamente. Gli ci vollero un paio di minuti prima di riprendersi, di capire che fosse fuori pericolo e che si era trattato solamente di un terribile incubo. Era sdraiato su un letto morbido e caldo, ma non era lo stesso su cui aveva dormito all’interno della Mishima Zaibatsu. Si guardò intorno studiando il luogo; le pareti erano tinteggiate di un pallido giallo canarino e la mobilia era ridotta all’essenziale: un comodino al lato del letto, una scrivania vuota ed un minuscolo armadio ad ante. Jin si sforzò per ricordare cosa fosse successo la sera prima, ma l’ultima cosa che riusciva a ricordare era il feroce volto del diavolo.
Si alzò in piedi e aprì la minuscola finestra alle sue spalle, un po’ per respirare aria fresca e un po’ per cercare di capire dove si trovasse. Il panorama di fronte a lui non gli era familiare, era ancora a Tokyo o era stato condotto da qualche altra parte? Ma soprattutto chi l’aveva allontanato dalla Mishima Zaibatsu?
Con passo felpato si avvicinò alla porta e l’aprì silenziosamente. Davanti a lui si apriva un piccolo corridoio su cui si affacciavano altre porte, quel posto aveva tutta l’aria d’essere un appartamento. Sentì una voce provenire da una delle stanze e scivolò fuori in punta di si diresse verso la fonte del suono. Tese l’orecchio per origliare, ma l’uomo conversava una lingua che non conosceva. Riconosceva la voce anche se non riusciva a ricordare a chi appartenesse; perciò, si fece lentamente avanti per dare un’occhiata al suo interno. Seduto su una vecchia poltrona di pelle scura c’era Hwoarang. Jin restò impassibile dietro l’uscio mentre il rosso continuava la sua conversazione telefonica che durò circa altri cinque minuti. Dopo aver riattaccato, Hwoarang giunse le mani e vi appoggiò sopra il mento con aria pensierosa. Rimase in quella posizione per un lungo lasso di tempo, mentre Jin continuava a studiarlo in segreto dal punto in cui si era nascosto. Dopo un po’ il coreano si alzò in piedi e si diresse verso la porta, dove l’altro gli tese un agguanto afferrandolo per il collo e sbattendolo contro il muro più vicino.
«A che gioco stai giocando?»
Gli urlò a due centimetri dal viso, mentre quello boccheggiava sorpreso e spaventato allo stesso tempo.
«Dannazione Kazama, sei fuori di testa!»
Gli disse dimenandosi cercando di sottrarsi dalla sua presa.
«Dimmi cosa ci faccio qui.»
Urlò più forte corrugando le sopracciglia.
«Ti ho salvato la vita ed è così che mi ripaghi?»
Gridò a sua volta Hwoarang facendolo tacere.
«Mettimi giù adesso o mi costringerai a usare le maniere forti.»
Ordinò il rosso con voce persuasiva, quasi come se si stesse rivolgendo ad un bambino capriccioso. Il moro lo guardò con diffidenza, ma allentò la presa e si allontanò, senza però abbassare la guardia. L’ultima volta che si era fidato di qualcuno, Heihachi lo aveva quasi fatto ammazzare.
«Dove siamo?»
Chiese con voce piatta guardandosi intorno.
«Nel mio appartamento, ti ho portato qui subito dopo il torneo perché… Sono successe delle cose strane. Quel demone…»
«Allora è successo davvero.»
Commentò Jin parlando più a sé stesso che al suo interlocutore. Quando i due si erano guardati aveva sentito un profondo odio nei suoi confronti, qualcosa di viscerale e ultraterreno che non aveva mai provato prima.
«Credo che tu sia in pericolo.»
Gli rivelò Hwoarang con gravità guardandolo come se fosse in punto di morte. Jin rise amaramente quell’esclamazione, certo che era in pericolo, lo era dal giorno in cui aveva ricevuto la visita non gradita di True Ogre.  Heihachi lo aveva mandato, ma non sapeva il perché.
«Che c’è, ti diverte? Non stavo scherzando Kazama.»
«So di essere in pericolo, non ho certo bisogno che sia tu ad illuminarmi.»
«Se posso aiutarti io…»
«Non ho alcun bisogno del tuo aiuto! Sono grande abbastanza da cavarmela da solo.»
Rispose brusco, ma Hwoarang rise con scetticismo.
«Credi di essere all’altezza di quella cosa lì? Allora avevo ragione quando ti ho reputato presuntuoso, solo che dev’essermi sfuggita la tua stupidità.»
«Bada a come parli.»
Ringhiò Jin a denti stretti con espressione minacciosa.
«Beh devi essere davvero uno stupido se ti illudi di poter sconfiggerlo. Hai visto che cosa era? Aveva le ali e le corna io… In tutta la mia vita non ho mai incontrato qualcosa di simile, era una specie di demonio.»
Rammentò con sconcerto mentre Jin ripensò al suo sogno.
«E non ha attaccato nessuno dei presenti, si è fiondato direttamente su di te!»
La sua bocca era asciutta e secca per cui gli fu difficile ribattere qualcosa.
Stava succedendo qualcosa che lo vedeva coinvolto in prima persona e lui non capiva di cosa si trattasse.
«Dicono che Heihachi Mishima sia incline alla mutazione genetica, magari è uno dei suoi esperimenti.»
«No, gli uomini della Tekken Force lo hanno aggredito. Quando sei svenuto gli hanno aperto il fuoco contro, è per questo che ti ho portato via, per evitare ti colpissero.»
Jin pensò che Heihachi doveva averlo reputato un ottimo piano, sparargli addosso e attribuire la sua morte ad uno sfortunato evento, un proiettile volante indirizzato al demone, Hwoarang gli aveva proprio messo i bastoni tra le ruote.
La testa cominciava a fargli male, mille domande si stavano accumulando nella sua testa e lui non riusciva a fare ordine.
«Perché mi hai portato qui? Perché non mi hai semplicemente lasciato al mio destino?»
Gli chiese infine, e l’altro sbarrò gli occhi con incredulità
«Perché mi è stato insegnato ad aiutare le persone in difficoltà.»
Calò un silenzio innaturale che rendeva l’atmosfera pesante. Da una parte Jin voleva sciogliere i nodi che si erano formati al proprio pettine, dall’altra non voleva sbilanciarsi perché non sapeva quanto ci fosse di vero nelle parole di Hwoarang, né se poteva fidarsi di lui. Alla fine, dopo un lungo tentennamento, decise di dargli una possibilità, in fondo se fosse stato intenzionato ad ucciderlo avrebbe potuto farlo mentre era ancora privo di sensi.
«Che cosa sai su Heihachi Mishima?»
Chiese infine tenendosi sul vago e il coreano scrollò le spalle.
«Cosa vuoi che sappia? Quello che sanno tutti: è il proprietario della Mishima Zaibatsu ed uno degli uomini più ricchi e potenti al mondo.»
«E che cosa sai su suo figlio, Kazuya?»
Hwoarang aggrottò le sopracciglia.
«Cosa sai tu piuttosto? Quasi nessuno si ricorda più di lui.»
«E perché tu invece sì?»
Lo aggredì avido di informazioni.
«Il mio allenatore mi ha parlato di lui una volta. Lo ha conosciuto personalmente quando ha partecipato alla scorsa edizione di Tekken circa vent’anni fa.»
Jin spalancò gli occhi sorpreso. Se quello che diceva era vero – e non aveva motivo di dubitarne – significava che il suo istruttore doveva aver conosciuto sua madre.
«Ma non mi ha detto granché, solo che si era classificato campione per due anni di fila, molti credevano che dietro ci fosse lo zampino di suo padre, ma Baek diceva che quel tipo era davvero forte, incanalava dentro di sé una rabbia potente che esplodeva come una mina sul ring. Era un pazzo, più pericoloso di Fury. Ma adesso è morto.»
«Dove si trova il tuo allenatore?»
Chiese Jin tutto d’un tratto. L’altro ragazzo lo guardò dubbioso riducendo gli occhi a due fessure.
«Perché t’interessa?»
«Voglio saperne di più sulla famiglia Mishima e lui potrebbe essere la persona adatta a soddisfare le mie richieste.»
«Toglitelo dalla testa, Baek è molto malato per il momento. Pochi mesi fa è stato aggredito alle spalle da un pazzo criminale di nome Feng Wei e si sta ancora rimettendo, non ti permetterò di disturbare la sua guarigione.»
«Non interferirò col suo riposo, voglio solo fargli delle domande.»
«Perché sei così interessato alla famiglia Mishima?»
«Perché Heihachi ha cercato di farmi uccidere da un mostro.»
Hwoarang, scosse la testa perplesso.
«Tu credi davvero che…?»
«Ne sono più che sicuro. »
«No Kazama c’è qualcosa che proprio non mi torna, perché mai Heihachi Mishima, l’uomo più potente del globo dovrebbe cercare di uccidere te?»
Jin deglutì sonoramente. Hwoarang era più sveglio di quanto credesse e non si sarebbe lasciato ingannare da una menzogna. A questo punto doveva prendere una decisione definitiva consapevole che non sarebbe stato possibile tornare indietro: se gli avesse rivelato la verità lui gli avrebbe certamente creduto e l’avrebbe condotto da Baek, ma confidarglielo avrebbe significato esporsi troppo e mettersi ancora più in rischio. Aveva bisogno di parlare con quell’uomo, lui aveva conosciuto sia Jun che Kazuya, forse sapeva qualcosa che poteva rivelarglisi utile. Doveva di scoprire la verità, comprendere perché mai Heihachi progettasse la sua morte. Confessare quel segreto a Hwoarang significava fidarsi di lui e l’idea non gli piaceva affatto.
«Coraggio Kazama, sto aspettando.»
Si arrese, tirando un profondo sospiro.
«Sto per raccontarti qualcosa di strettamente personale e di molto, molto segreto.»
Hwoarang lanciò indietro il capo ed un ciuffo arancione si allontanò dal suo occhio destro.
«Ti ascolto.»



***

 
«Volevi vedermi, Heihachi?»
Nina era appoggiata sull’uscio dell’ufficio del vecchio Mishima che ormai conosceva come le sue tasche.
«Siediti.»
L’invitò lui indicandole la poltrona con un cenno della mano e la guardò ancheggiare sensualmente lungo il centro del suo studio prima di sedersi con la schiena dritta. Lui versò del whisky irlandese dentro due bicchieri e ne porse uno alla donna accomodandosi di fronte a lei. Prima di bere un sorso allungarono le braccia e brindarono facendo tintinnare i boccali.
«Questa roba fa schifo, continuo a comprarla solamente per te.»
Disse Heihachi con espressione schifata. La bionda bevve una lunga sorsata senza dire una parola.
«Peccato solo che negli ultimi tempi non abbiamo avuto modo di brindare.»
«È difficile avere una vita sociale quando sei sigillata dentro una capsula di ghiaccio.»
Replicò lei con la solita espressione annoiata, spostandosi un ciuffo di capelli dietro l’orecchio.
«Non immagini quanto sia stato difficile trovare un tuo rimpiazzo.»
«Lo immagino eccome invece, ho avuto modo di conoscere la tua nuova armata.»
Heihachi imprecò ad alta voce senza preoccuparsi della presenza di una donna.
«Degli incapaci, ecco cosa sono! Niente a che vedere con il tuo modo di operare, oh Nina, sei maledettamente insostituibile.»
«Va’ al sodo, so bene che non mi hai fatta convocare per adularmi.»
L’uomo rise, gli piaceva la praticità di Nina, non era affatto come tutte le altre donne che aveva conosciuto. Quando l’aveva assunta, parecchi anni prima, ufficialmente come “guardia del corpo” ma praticamente come “sicario” sapeva d’aver fatto un’ottima scelta.
«Ho una missione per te.»
«Hai forse in mente un altro dei tuoi omicidi?»
«Mi conosci troppo bene.»
«Convincimi.»
Lo sfidò lei fissandolo con i suoi gelidi occhi azzurri. Con un largo sorriso a denti stretti, Heihachi poggiò sul tavolino di vetro tra di loro una busta sigillata piuttosto gonfia e la fece scivolare con le dita verso di lei. La donna la prese in mano e la pesò, ricambiando il sorriso.
«Ci sto. Chi è lo sfortunato?»
«Jin Kazama.»
Rispose lui senza perdere un solo momento. Nina si congelò.
«Il vincitore del torneo.»
«Era destinato a morire in quel torneo!»
Gracchiò Heihachi imprecando, poi ingollò un altro sorso del liquido irlandese.
«Per quale motivo il giovane è entrato nelle tue antipatie?»
«Nina sai bene di piacermi, ma ci sono delle cose che è bene che rimangano private, mi capisci? Siamo amici, correggimi se sbaglio, ma il lavoro è pur sempre lavoro.»
Heihachi le aveva insegnato molto doveva ammetterlo, nessuno al mondo era più viscido di quell’uomo e spesso si disse che l’avrebbe visto bene in politica se non fosse stato così attratto dagli esperimenti scientifici. Era in grado di brindare alla tua salute mentre progettava la tua morte e questo suo lato folle un po’ la eccitava. Le piacevano gli uomini forti e decisi, quelli che sapevano ciò che volevano ed erano capaci di prenderselo e per questo aveva cominciato a lavorare per lui, il potere attira potere.
Scrollò le spalle a quella risposta e tiró fuori dal suo pacchetto l’ultima sigaretta rimastale, Heihachi si chinò sul tavolino per accendergliela, poi l´afferrò dalle sue mani e se la portò alla bocca, aspirandone una lunga boccata, solo quando ebbe finito si girò la sigaretta tra le dita e l´appoggiò sulle labbra dell´irlandese.

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Capitolo 8
*** Cap. VII - Scomode verità ***


Capitolo VII
– Scomode verità –
 
«Abbiamo un patto Kazuya.»
Gli rammentò la voce aspra nella sua testa, così fredda e tagliente da sembrare il sibilo di un serpente.
A chi voleva darla a bere? Non aveva affatto soggiogato il diavolo, al contrario, era stato lui a piegarsi al suo volere stringendo con lui un accordo infrangibile.
«Lo so.»
Gridò Kazuya stringendosi il cranio, che aveva iniziato a pulsare.
In tutta la sua vita non aveva mai perso contro nessuno, ma il nemico che stava affrontando era destinato a vincere, a prevalere su qualsiasi cosa terrena e non. Kazuya era sicuramente il lottatore più forte del Giappone, ma che cos’era al suo cospetto? Un misero mortale, un insignificante nonnulla ed era conscio di non poter far niente per sconfiggerlo.
«Ti stai indebolendo, Kazuya Mishima? Sento la tua volontà cambiare.»
La voce esplose nella sua mente rivelandogli la sua rabbia. Non era mai stato furioso prima di quel momento, l’effetto della sua ira era devastante. Negli ultimi vent’anni l’uomo aveva imparato a distinguere i suoi stati umorali facendoli propri, da quando il demone lo abitava lo aveva trasformato e reso più simile a lui, si era servito della sua psiche e l’aveva modellata come un artigiano, forgiando così un guerriero inarrestabile.
«No, ti sbagli. La mia volontà rimane invariata.»
Gli assicurò Kazuya serrando gli occhi e reprimendo il senso di vomito provocato dall’alta produzione di bile. Desiderava che tutto quanto finisse presto, sapeva che per farlo desistere doveva mantenersi lucido e tentare di combatterlo, se Lui avesse avuto il sopravvento Kazuya non sarebbe stato responsabile delle proprie azioni. Respirò affannosamente cercando di reprimere i propri sentimenti, erano stati questi a risvegliarlo ma purtroppo per lui non era stato capace di sopprimerli in tempo, quella notizia gli era arrivata improvvisa come un fulmine a ciel sereno sconvolgendo ogni sua certezza: aveva un figlio. Quell’unica volta in cui il fuoco della passione aveva arso nel suo corpo e si era consumato in un atto fisico sfrenato assieme a Jun, aveva concepito un erede. Sapeva cosa significava e doveva saperlo anche Heihachi.
«Devo ucciderlo.»
Disse Kazuya con sofferenza, inginocchiandosi nel centro esatto della gola del vulcano. Il tremolio della sua voce tradiva tutta la sua incertezza, ma il demone non lo notò e parve placarsi.
«Ucciderò Jin Kazama.»
Garantì ancora una volta con maggiore fermezza, certo che le sue parole stessero funzionando.
Ma erano davvero solo parole? Più il mostro si ammansiva più l’umano s’incattiviva nutrendo un senso incontrollato di voracità. Sapeva che doveva farlo. Lui gli aveva spiegato che non avrebbe trovato pace fin quando il suo gemello avesse camminato sulla stessa terra, il sangue marcio dei Mishima doveva essere versato fino all’ultima goccia affinché uno soltanto avrebbe primeggiato sulla terra. Suo padre lo sapeva, proprio come lo sapeva lui.
E il ragazzo invece?  Lui conosceva già il suo destino?
 
***


Baek era un uomo sulla cinquantina di bassa statura e dall’aria rigida; aveva un viso scarno, la fronte ampia e le guance incavate, lunghi capelli brizzolati raccolti in una coda bassa, labbra sottili circondate da un pizzetto curato e occhi piccoli e molto attenti che sembravano voler perlustrare l’animo del proprio interlocutore. Jin appurò immediatamente che il suo carattere fosse l’opposto di quello di Hwoarang e, se da una parte ne fu sollevato, dall’altra provò un senso di fastidio. Nel poco tempo passato in compagnia del rosso, la sua indole estremamente espansiva gli aveva reso estremamente facile inquadrarlo, ma Baek era riservato e silenzioso, imperturbabile.
Durante il loro primo incontro l’aveva fissato a lungo per accettarsi che Jin avesse detto la verità riguardo la sua discendenza e gli era bastata una sola occhiata per averne la conferma, riconobbe immediatamente i tratti fisionomici di Kazuya e Jun e sembrava che il ragazzo avesse ereditato il meglio da entrambi.
«Purtroppo non posso fornirti tutte le risposte che cerchi.»
Gli disse come prima cosa, ben consapevole che le sue parole l’avrebbero deluso.
«Non ho grandi pretese.»
Rispose Jin con tono di sfida.
«Che cosa ti ha spinto qui da me?»
«Quel poco che puoi concedermi.»
Quella risposta lo convinse di qualcosa che già credeva di sapere, e cioè che quel ragazzo gli piaceva: era discreto, circospetto, sicuro di sé ed un tantino arrogante, si disse che se avesse potuto avere il piacere di allevarlo come aveva fatto con Hwoarang ne sarebbe venuto fuori un capolavoro.
«Mi interessa qualsiasi cosa tu sappia sul loro conto, e su quello di Heihachi Mishima.»
Aggiunse, in risposta al silenzio dell’uomo.
«Come già anticipato, non posso dirti molto, ma se hai pazienza posso mostrarti qualcosa che ho ragione di credere ti potrà interessare.»
Senza attendere risposta voltò le spalle ai due ragazzi e lasciò che i giovani lo seguissero davanti ad un vecchio televisore.
Da una scatola che giaceva sul pavimento, Baek estrasse una vecchia VHS, ci soffiò sopra per rimuovere uno spesso strato di polvere e l’infilò dentro un datato videoregistratore.
«Questa videocassetta contiene le registrazioni dell´ultimo torneo del pugno di ferro a cui ho preso parte, lo stesso a cui hanno partecipato anche i tuoi genitori. Credo che un’immagine valga più di mille parole.»
Baek premette il tasto di riavvolgimento del nastro e quando trovò le immagini che cercava schiacciò play e si voltò verso Jin interessato alla sua reazione.
A Jin si strinse un groppo in gola quando sua vide madre salire sul ring: era molto più giovane dei suoi ricordi e nei suoi occhi brillava una luce che col tempo sembrava essersi affievolita.
La vide battersi contro Anna Williams, quest’ultima esattamente identica a come l´ avesse conosciuta. Jun era indubbiamente meno agile della sua rivale, ma più forte e quando Anna le conficcò il tacco a spillo della sua calzatura sulla pelle la vide accanirsi violentemente contro l’irlandese sfoggiando una combo di calci e pugni e infine atterrarla con un’armoniosa rovesciata.
Jin era immobilizzato dinnanzi allo schermo, si impedì di battere le palpebre per non perdersi neanche un istante dell’immagine di sua madre. Ebbe l’impressione che lo scontro fosse durato troppo poco e fu tentato di chiedere a Baek di riavvolgere il nastro ancora una volta, ma non lo fece. Rimase a guardare lo schermo senza veramente vederlo, immerso nei suoi pensieri e solo quando udì il nome di Kazuya Mishima si ridestò. A Jin si seccò la bocca e deglutì sonoramente, quando lo vide fare il proprio ingresso sul ring, era la prima volta che vedeva suo padre. Era diverso da come se lo era sempre immaginato, ma in qualche modo riuscì a riconoscerlo, e identificò molti tratti di sé nel volto del padre.
Kazuya ostentava un’espressione fiera e arrogante che Jin riconobbe come sua, e lo stesso si poteva dire del cipiglio corrucciato che gli conferiva un’aria perennemente severa. Sebbene non lo conoscesse, c’era qualcosa di familiare in lui anche se non seppe spiegarsi cosa.
Kazuya combatteva come se la sua vita dipendesse da quello, come se non potesse farne a meno. Usava una tecnica che non conosceva, forse si trattava di arti marziali che i Mishima si tramandavano di generazione in generazione. Lo vide stendere un lucertolone grosso quasi il doppio di lui, se qualcuno gliel’avesse raccontato non ci avrebbe mai creduto e quando lo scontro terminò e l’arbitro lo dichiarò vincente successe qualcosa di molto strano: Alex scattò contro Jun fiondandosi sul suo polpaccio ancora sanguinante – Jin si issò in piedi come se volesse scagliarsi lui stesso contro la belva. Vide Kazuya fare lo stesso e saltare le corde del ring con agilità per balzare sulla groppa del dinosauro e stringergli il collo in una morsa all’apparenza molto dolorosa e poco dopo Alex collassò sotto il peso dell’uomo e si accasciò morto per terra.
«Porca…»
Imprecò Hwoarang a bocca aperta, facendo vagare lo sguardo tra Jin e Baek, alquanto seccato dalla loro noncuranza. Ciò che colpì Jin invece fu un primo piano di sua madre quando Kazuya si allontanò: aveva gli occhi dilatati e le sue pupille erano così grandi da oscurare l’iride color nocciola, fissava il punto in cui era sparito come se fosse imbambolata. Poi la prospettiva cambiò e Baek ritenne saggio stoppare.
«Ehi!»
Si lamentò il rosso che si era ormai appassionato. Il maestro gli rivolse un’occhiataccia che bastò a farlo tacere.
«Cosa ne pensi, ragazzo?»
Domandò sinceramente incuriosito. I sentimenti di Jin erano stati stravolti, doveva fare un po’ di ordine e in quel momento era troppo emozionato per parlare. Quell’attimo di esitazione confermò al padrone di casa che dietro alla sua facciata scontrosa si celava un cuore sensibile che non era rimasto impassibile.
«Kazama, di’ qualcosa.»
Lo esortò Hwoarang che non aveva lo stesso occhio del suo insegnante e a cui erano sfuggiti quei piccoli particolari.
«Hai altre videocassette?»
Rispose infine con voce rotta e sguardo vacuo.
«Ma certo.»
In un batter d’occhio il vecchio coreano sostituì le VHS e mostrò a Jin la seconda parte dello scontro, quella in cui Jun aveva fronteggiato Yoshimitsu, e di nuovo ebbe un vuoto all’altezza dello stomaco constatando che lui e sua madre avessero sconfitto lo stesso rivale. Avrebbe voluto restare a guardarla per sempre, fino a che il nastro non si fosse consumato.
«Niente male tua madre.»
Si complimentò Hwoarang sinceramente sorpreso, adesso comprendeva da dove Jin avesse appreso tutto quanto, riconobbe il suo stile di lotta, anche se dovette ammettere che la donna eseguiva ogni movimento con una tale grazia che faceva quasi pensare che stesse danzando.
«Tutto questo però non risponde ai miei quesiti.»
Disse alla fine del match, dopo essersi ripreso dallo choc iniziale.
«Perché Heihachi sta cercando di farmi fuori?»
Baek si grattò il mento con fare meditabondo, ma neanche lui trovava una spiegazione logica.
«Forse vuole toglierti di mezzo per paura che gli rubi l’azienda.»
Ipotizzò il giovane coreano sollevando un sopracciglio. Era un’opzione plausibile ma Jin sentiva che ci fosse qualcos’altro, qualcosa di più importante di una semplice impresa (anche se si trattava della più grande del Giappone).
«Oppure teme che tu possa vendicare Kazuya, in fondo è colpa sua se sei cresciuto senza un padre.»
Ipotizzò una seconda volta, ma Jin non era convinto.
«No, ho scoperto della sua morte da Heihachi in persona.»
Baek contemplò il vuoto interrogandosi su cosa avesse da guadagnarci un uomo potente come Heihachi dalla morte di un giovane quasi insignificante.
«C´è un filo conduttore però. Prima Kazuya, adesso tu, Jin. Parrebbe proprio che Heihachi voglia rimanere l’unico Mishima in circolazione, anche se dubito fortemente ciò abbia a che fare con l’eredità della Zaibatsu.»
Jin rimase in silenzio per un attimo, poi parló lentamente.
«Ad ogni modo non ho alcuna intenzione di tirarmi indietro. Se vuole sfidarmi lo accontenterò, dopotutto abbiamo ancora un conto in sospeso.»
Aggiunse a voce bassa più a sé stesso che agli altri.
«Non vorrei sottostimarti ragazzo, ma credi sul serio di essere nelle condizioni di affrontarlo?»
Domandò Baek pacatamente soffermando il suo sguardo sulle numerose cicatrici che gli sfregiavano il viso, il petto e le braccia.
«Forse prima dovresti rimetterti in sesto, non trovi?»
«Io sto benissimo.»
Dichiarò Jin a denti stretti. Era vero, lo scontro con Ogre lo aveva indebolito ma adesso si sentiva meglio ed era pronto a fronteggiare il proprio destino sfidando Heihachi. Non riusciva a tollerare l’idea che quel bastardo fosse ancora vivo, aveva ucciso sua madre e adesso avrebbe dovuto marcire all’inferno dal quale proveniva.
«Ho una proposta da farti ragazzo.»
Avanzò il più anziano, rompendo il silenzio.
«Da quando Feng Wei mi ha aggredito sono stato impossibilitato a curare il mio giardino, se te ne occuperai per i prossimi mesi potrò pagarti, in questo modo riuscirai a comprare il biglietto per il ritorno in Giappone per quando mi sarò rimesso del tutto. Che te ne pare?»
Jin ci pensò su a lungo, chiedendosi se ci fosse qualcosa di oscuro dietro quel piano. Poteva davvero fidarsi dei due coreani? Hwoarang si era rivelato piuttosto fastidioso, ma innocuo, ma Baek era difficile da comprendere.
«Quanto hai intenzione di pagarmi?»
«Non molto, ma ti offrirò un letto e dei pasti caldi.»
Ci rifletté su: scegliere di restare aveva i suoi vantaggi, si sarebbe rimesso in forze, avrebbe messo da parte un gruzzoletto ora che era rimasto senza uno yen e non aveva neanche ricevuto i soldi della vincita.
«Dove sono gli attrezzi?»
Chiese infine, accettando tacitamente l’offerta.
 

Hwoarang l´osservava lavorare la terra da una finestra.
«Credi sia stata una buona idea farlo restare?»
Una volta rimasti da soli, non si preoccupò di esprimere i suoi dubbi ad alta voce.
«Ritengo di sì. Tu perché ne dubiti?»
«Non sappiamo nulla sul suo conto,  se Mishima vuole toglierlo di mezzo forse se l’è meritato.»
«Mi spiace constatare che hai ancora molto da imparare, sai bene che non dovresti mai giudicare il prossimo sulla base di supposizioni.»
«Non lo sto giudicando, è solo che c’è qualcosa di strano in lui.»
«C’era qualcosa di strano anche in te quando ho deciso di prenderti sotto la mia ala: un giovane scapestrato figlio di un alcolizzato che si destreggiava tra piccoli furti ai danni di commercianti.»
«Questa descrizione non mi rende affatto giustizia.»
Scherzò il più giovane, senza riuscire a far sorridere il suo maestro.
«Eppure questo non mi ha impedito di prendermi cura di te. Ho scelto di istruirti, di darti fiducia e il tempo ha dimostrato che ho fatto la scelta giusta. Forse dovremmo concedere il beneficio del dubbio anche a Jin Kazama e vedere se anche questa volta il seme che pianteremo darà i suoi frutti, che ne dici?»
Il ragazzo tentennò un attimo.
«Heihachi Mishima però lo sta cercando, non saremo in pericolo noi per il solo motivo di dargli asilo? Credo che quell’uomo non si farebbe molti scrupoli a toglierci di mezzo, se sapesse che lo stiamo proteggendo.»
«Il pericolo è imprevedibile. La visita di Wei non l’avevamo prevista, eppure è arrivata.»
Hwoarang tacque, la mente gli ronzava piena di domande che però preferì tenere per sé.
«E sia. Diamogli un’occasione.»
Non aveva motivo di obiettare l’opinione di Baek, avrebbe affidato la sua stessa vita nelle mani del maestro.
«Ottimo. E adesso va´ a dargli una mano, la sua presenza non ti autorizza a dormire sugli allori.»
 
 
***


Nina lo aveva cercato più insistentemente nell’ultimo periodo, ma Jin sembrava essersi dissolto nel nulla. Non credeva d’essere in grado di fallire, mai prima di quel momento aveva mancato una preda, ma il giovane sapeva d’essere sotto torchio ed evidentemente aveva ritenuto saggio rintanarsi altrove, come dargli torto dopotutto? La sua improvvisa sparizione e la repentina collezione di buchi nell’acqua nel tentativo di scovarlo avevano aumentato il malumore di Heihachi rendendolo intrattabile.
In quel momento le stava dando le spalle fissando un punto impreciso al di fuori della grande vetrata del suo studio, chiedendosi dove diamine potesse essersi nascosto suo nipote. Gli davano la caccia ormai da mesi ma non avevano trovato una sola traccia. Sapeva di avere le ore contate ma Heihachi pensava fosse meno codardo di quanto si stava dimostrando.
«Se non ti da nessun impiccio perché non lasci semplicemente perdere?»
Gli suggerì la donna con la sua consueta voce melliflua avvicinandosi a lui.
«Ha già provveduto a togliersi dai piedi, a che scopo…»
Ma non finì la frase perché Heihachi la schiaffeggiò.
«Ti ho già detto che non mi basta, il ragazzo deve morire!»
Urlò con voce roca poggiando i pugni contro il vetro rinforzato. La donna rimase impietrita dalla sua reazione esagerata e, con espressione contrariata, si massaggiò la guancia rosea pulsante di dolore. Mai nessuno prima d’allora aveva osato parlare in quel modo, figurarsi arrischiarsi a usare le maniere forti.
«Ho sbagliato ad affidarti questo compito.»
Disse infine rompendo il silenzio carico di tensione che si era creato tra i due. L’irlandese lo scrutò con gli occhi ridotti a due fessure, evidentemente offesa da una simile mancanza di rispetto nei suoi riguardi.
«Di che diamine stai parlando?»
Si ribellò costringendolo a guardarla.
«Sul serio credi che la Tekken Force saprebbe fare di meglio? Non essere ridicolo, quella patetica imitazione di un’armata non saprebbe trovare neppure il grilletto sul calco di una pistola!»
Heihachi scartò il suo nuovo pacco di sigari e se ne accese uno senza scomporsi dinnanzi a quelle accuse.
«Non era a loro che mi riferivo.»
Disse pacatamente mentre la sua mente lavorava senza sosta elaborando nuove idee. Negli ultimi tempi la situazione gli era sfuggita di mano: da una parte Kazuya si era rivelato essere ancora in vita – e altrettanto difficile da rintracciare – dall’altra Jin era riuscito a sottrarsi al suo destino e adesso si rintanava chissà in quale buco come uno schifoso ratto di fogna. Eppure era certo che entrambi si stessero allenando per vendicarsi una volta e per tutte dei torti subìti: Kazuya era stato sacrificato come un comunissimo pezzo di carne e Jin era stato privato della sola persona che amasse al mondo, se veramente buon sangue non mentiva, allora in quel momento i suoi discendenti stavano preparando la loro rivalsa.
Eppure qualcosa non tornava, quando si era sbarazzato del figlio era certo che questi non avesse ancora manifestato il gene del diavolo, forse doveva esser cominciato dopo il concepimento del figlio.  E il giovane invece conosceva già la sua natura demoniaca? Avevano passato troppo poco tempo insieme perché potesse scoprirlo.
«Allora a cosa pensavi?»
Lo incalzò la donna con impazienza, riportandolo al presente.
«A questo punto non mi rimangono molte scelte, se non riesco a trovarlo, sarà lui a venire da me.»
Affermò con sicurezza porgendo l’involucro dei sigari alla bionda nel tentativo di ripristinare la pace tra i due. Aveva esagerato con lei nelle ultime settimane e non era stato in grado di controllare la sua rabbia, ma non poteva permettersi di perdere un alleato così prezioso. Dopo un attimo di esitazione Nina accettò l’offerta e aspettò che Heihachi si curvasse accendendo il fuoco in prossimità della sua bocca.
«Non credi di essere troppo ottimista?»
Domandò aspirando una lunga boccata di fumo e per la prima volta dopo mesi l’uomo sorrise. Il ghigno malefico gli conferiva un aspetto ancora più spaventoso.
«Nina, l’ottimismo è una virtù che solo i potenti possono permettersi, e, non vorrei sembrare arrogante, ma si dia il caso che io possa...»
Allargò le labbra mostrando una fila di denti ingialliti dal vizio del fumo, poi la guidò vicino alla sua scrivania e la invitò a sedersi su una delle poltrone girevoli.
«Qual è, a tuo avviso, l’evento più significativo nella vita di un degno lottatore?»
La bionda non dovette sforzarsi troppo per trovare la risposta.
«Un altro Iron Fist? Lo credi davvero tanto stupido?»
Il vecchio picchiettò sul suo bastoncino scuro e lasciò cadere la cenere in eccesso. C’erano tante cose che Nina ignorava, ma lui ne era più che certo, quei due non si sarebbero lasciati sfuggire l’occasione di rimettere piede nella Mishima Zaibatsu. Questa volta però si sarebbe fatto trovare preparato e forse non avrebbe neppure dovuto muovere un dito: se tutto fosse andato secondo i suoi piani, padre e figlio avrebbero finito per demolirsi a vicenda.
Nina sapeva che il vecchio le stesse nascondendo qualcosa, l’ossessione nei confronti di quel giovane non era affatto casuale, doveva esserci qualcosa di grosso sotto. Conosceva bene Heihachi Mishima da sapere che non fosse il tipo d’uomo che si lasciava intimorire facilmente. Jin era pericoloso e lei voleva scoprire che genere di mistero si celasse dietro alla sua figura.
Di solito non si lasciava trascinare in questioni che non la riguardassero direttamente e non nutriva alcun tipo di interesse per le misere esistenze delle sue vittime, ma in questo specifico caso c’era qualcosa di diverso, quel giovanotto insignificante era riuscito a piegare uno degli uomini più autorevoli dell’intero globo.
Dopo aver lasciato il studio, vinta dalla curiosità, si trascinò al piano inferiore e percorse a memoria l’intreccio di corridoi uguali diretta alla stanza numero 023, la stessa in cui operava quand’era ancora in servizio ufficiale. Con noncuranza digitò la password e si chinò per permettere al laser di scannerizzare la retina del suo occhio. La luce lampeggiò incerta un paio di volte prima d’illuminarsi definitivamente di rosso. “Accesso negato” recitavano le parole sul monitor del computer.
«Impossibile.»
Si disse Nina ripetendo la procedura con maggiore attenzione, ma la dicitura sullo schermo non cambiò. A questo punto dovette arrendersi, se avesse inserito il codice errato una terza volta si sarebbero azionati gli allarmi e non era il caso che Heihachi scoprisse che nutriva dei dubbi nei suoi confronti. Le minuscole telecamere avevano ripreso tutto quanto, ma le registrazioni venivano visualizzate solo in caso di pericolo, e pur non godendo più della piena fiducia del vecchio, Nina non era ancora diventata un’indesiderabile. “A che gioco sta giocando?” si domandò furiosa tra sé e sé. A quel punto aveva l’assoluta certezza che Heihachi le nascondesse qualcosa ed era così ostinato a mantenere il segreto da averle persino negato l’accesso ai computer di ricerca. Fino a prima dell’ibernazione era autorizzata a connettersi all’account privato di Heihachi, le era indispensabile per indagare su usi e abitudini dei condannati che le assegnava. Furente di rabbia voltò le spalle al suo vecchio ufficio e ripercorse la strada al contrario. C’era una sola persona al mondo della quale Heihachi si fidasse ciecamente – a parte sé stesso – e per sua fortuna si trovava in quello stesso edificio, ma doveva essere cauta, Bosconovitch era quasi paranoico quanto il suo capo e se gli avesse fornito una qualsiasi ragione per sospettare delle sue intenzioni non ci avrebbe pensato due volte ad avvertirlo. Per fortuna lei aveva un’ottima ragione per trovarsi lì, quindi s’incamminò con passo svelto verso la stanza 070 facendo attenzione a mascherare il disappunto sul suo viso. Quando arrivò a destinazione bussò tre volte alla porta bianca ed attese di essere ricevuta. Quando se la trovò davanti, scienziato la guardò con sorpresa.
«Ti sei decisa finalmente.»
L’accolse con un gran sorriso facendole segno di accomodarsi. Dopo l’ibernazione doveva sottoporsi ad alcune analisi mediche per accettarsi che i suoi organi non avessero subito nessun trauma e che eseguissero le regolari funzioni senza impedimenti di qualsiasi genere.
«Sei in ritardo di qualche settimana.»
Le fece notare agitando un dito a mo’ di rimprovero, anche se le sorrideva benevolmente.
«Tua sorella è precisa come un orologio svizzero.»
Puntualizzò agguantando la sua cartella clinica da un armadio a muro. Nina storse il naso con disdegno, odiava essere paragonata ad Anna, era il genere di cosa che faceva sua madre quand’era ancora in vita.
«Beh, a quanto pare mia sorella non è stata coinvolta in missioni segrete di grande portata.»
Replicò acidamente allungando un braccio in sua direzione per permettergli il prelievo di sangue. Il vecchio scosse la testa ridendo alla sua battuta.
«Heihachi ti da parecchio da fare, non è così?»
«Sai bene quanto me che sul lavoro è piuttosto esigente.»
«Ah, non dirlo a me! Negli ultimi tempi è di pessimo umore.»
Sottolineò mentre la infilzava attentamente con la siringa.
«Ultimamente gli ho dato parecchie gatte da pelare.»
Confessò con una punta di risentimento.
«Non fartene una colpa, vedrai che tutto si aggiusterà.»
La confortò infine con un’incoraggiante espressione bonaria.
«Oh oh, purtroppo non mi aspettavo la tua visita, perciò non ho il necessario per l’elettrocardiogramma a portata di mano, ti dispiacerebbe aspettarmi mentre mi reco nella sala medica?»
Scrollò le spalle con finta indifferenza mentre vedeva aprirsi la possibilità di restare da sola col suo computer a completa disposizione. La sala medica non era troppo distante, ma a lei sarebbe bastato solo cercare il nome di Jin sul database personale di Heihachi.
«Torno tra un attimo.»
Le assicurò chiudendosi le porte alle spalle, e quando Nina udì il rumore della serratura scattò come un felino verso la sua postazione.
Lo schermo era bloccato e richiedeva una password, ma lei la conosceva. Digitò con sicurezza  “HMZaibatsu” ma lo schermo non si sbloccò.
«Maledizione!»
Urlò battendo un pugno sul ripiano da lavoro, facendo scivolare la sua cartella clinica e sparpagliando così tutti i fogli sul pavimento. Sbuffando si chinò a raccoglierli e li rinfilò malamente all’interno della grande busta gialla, ma qualcosa colpì la sua attenzione. Lesse rapidamente quanto annotato:
21/04/1996
La paziente non risponde agli stimoli esterni, l’ibernazione è funzionante al 100%.

23/05/1996
In data odierna è stato prelevato un ovocito dalla paziente Nina Williams e un campione di sperma dal paziente Paul Phoenix. La fecondazione è avvenuta in provetta.

 
30/06/1996
La fecondazione assistita ha avuto esito positivo. L’embrione è stato trasferito nell´utero del corpo ospite.
 
21/02/1996
La fecondazione assistita è terminata positivamente. Il nascituro di sesso maschile, rinominato Steve Fox, gruppo sanguigno B rh negativo, pesa 3,300 gr. e misura 52 cm.


Come avevano potuto farle questo? Heihachi e la sua troupe avevano eseguito esperimenti non consentiti sul suo corpo durante l’ibernazione, questa non gliel’avrebbe mai perdonata. Quando si era prestata come cavia per l’esperimento non avevano accennato a nulla di vagamente simile, non avevano alcun diritto di usare il suo corpo come una macchina da riproduzione.
Un rumore di passi la costrinse a ricomporsi, si era completamente dimenticata di essere nell’ufficio di Bosconovitch per indagare su Jin Kazama. Ripose le carte con cura e si affrettò a riprendere posto sullo sgabello di fronte alla scrivania dello scienziato mentre la porta lentamente si apriva.
Era pallida e sconvolta, le mani le tremavano di collera e il cuore pulsava all’impazzata.
Questa Heihachi gliel’avrebbe pagata cara.

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Capitolo 9
*** Cap. VIII - Sete di vendetta ***


Capitolo VIII
 – Sete di vendetta 
 
Era già passato quasi un anno dall’arrivo di Jin a Seoul, il tempo era scivolato via così velocemente che quasi non ci aveva fatto caso.
Baek era ormai quasi completamente guarito e Jin era riuscito a mettere da parte una cospicua somma di denaro, entrambi sapevano che presto le loro strade si sarebbero divise.
Jin e Hwoarang avevano lavorato insieme nel giardino di Baek riportandolo alla gloria di un tempo. Guardando l’erba verde e i fiori variopinti nessuno avrebbe detto che solo un anno prima il piazzale era stato raso al suolo dall’incendio provocato da Feng Wei.
Oltre a lavorare, i due ragazzi avevano continuato ad allenarsi duramente, entrambi spinti dalla sete di vendetta. Jin nei confronti di Heihachi e Hwoarang nei confronti di Feng Wei.
Seppure i due giovani apparissero molto diversi, Baek aveva potuto constatare che in fondo fossero molto simili: erano entrambi cocciuti, orgogliosi e sicuri di sé, ma allo stesso tempo erano leali, determinati e si impegnavano molto per raggiungere i loro scopi.
Baek uscì in giardino e chiamò a gran voce i due ragazzi che si allenavano con dummies di legno affinché i due tornassero e si facessero un bagno prima di cena.
Hwoarang cessò la sua attività per primo e roteò gli occhi quando vide che Jin continuava a scagliare pugni contro il manichino.
«Deve sempre allenarsi più di me.»
Sussurrò il rosso al suo maestro tornando in casa.
«Vorrà dire che anche stasera si laverà con acqua fredda, ho intenzione di immergermi per una buona mezz’ora.»

«Dannazione Kazama, hai intenzione di papparti tutti i Galbi o ne lasci qualcuno anche a noi?»
Domandò Hwoarang irritato riempiendosi il piatto di costolette di manzo prima che Jin le finisse.
«Chiudi il becco, devo mettere su massa.»
«Metti massa con il Kimchi!»
Gli suggerì il coreano indicando la porzione quasi intatta di cavolo speziato.
«Mangialo tu, io ho bisogno di proteine. Smettila di lamentarti per una buona volta.»
«Non mi lamenterei se mi lasciassi qualcosa da mangiare, ma sei così egoista da pensare solamente a saziare il tuo stomaco.»
«Non sono egoista, ti ho lasciato il Kimchi maledizione!»
Baek scosse la testa, a volte gli sembrava di avere a che fare con due bambini costantemente in guerra tra loro.
«Dico solo, Kazama, che se vuoi metterti in forma dovresti evitare di abbuffarti di carne.»
«Se la carne fa tanto male allora perché vuoi pappartela tutta tu?»
Hwoarang aprì la bocca ancora piena per rispondere a tono alle insinuazioni di Jin, ma  venne zittito da un gesto di Baek, che quasi non si strozzò col the verde che stava ingurgitando. Afferrò il telecomando ed alzò il volume del televisore richiamando l’attenzione degli altri due.
«Ma cosa…?»
Jin impallidì mentre Heihachi lo guardava da dentro il televisore, le bacchette gli scivolarono dalle mani tintinnando sul pavimento di legno chiaro, ma nessuno vi badò. Heihachi parlava in coreano – evidentemente si trattava di un doppiaggio – ma sul fondo dello schermo c’erano dei sottotitoli in giapponese che gli permisero di comprendere l’annuncio: “anche quest’anno la Mishima Zaibatsu ospiterà la quarta edizione dell’Iron Fist Tournament. Se sei versato nelle arti marziali e desideri aggiudicarti il montepremi di 1.000.000 yen (quasi 10.000.000 won) iscriviti al torneo entro il 28 marzo 2016 e dimostra al mondo intero di essere un campione.” Heihachi rivolse un sorriso sbieco all’obiettivo della telecamera che sembrava essere rivolto a lui personalmente, poi si susseguirono immagini dei tornei precedenti, tra cui alcune clip che ritraevano Jun alle prese contro Anna Williams, poi la pubblicità terminò.
Il respiro di Jin si era fatto affannoso, sapeva che cosa significava, gli stava lanciando una sfida.
«Kazama…»
Hwoarang lo fissò con apprensione, cercando di immaginare cosa gli frullasse in mente.
«Che giorno è oggi?»
La sua voce suonò curiosa persino alle sue stesse orecchie e gli sembrò che provenisse da molto lontano.
«È il 20.»
Baek parlò con pacatezza tornando a sorseggiare il fluido bollente nella sua tazza. Aveva già capito cosa stesse per succedere.
«Torno in Giappone.»
Annunciò Jin senza suscitare alcuna sorpresa ai presenti.
«Domani stesso.»
Teneva lo sguardo fisso sul televisore, anche se ormai l’immagine del vecchio era stata sostituita da una giovane donna che promuoveva una miracolosa soletta per le scarpe.
«Kazama, sei proprio sicuro?»
Il rosso parlò a voce bassa, come se si stesse rivolgendo ad un malato.
«Aspetto questo momento da quasi un anno.»
«A me sembra tanto una trappola.»
Gli fece saggiamente notare Hwoarang.
«Si ritorcerà contro di lui. Questa volta lo ucciderò.»
Baek e Hwoarang si scambiarono un’occhiata carica di ansia, ma preferirono tacere, qualsiasi cosa avrebbero detto non sarebbe bastata a dissuaderlo, ne erano consapevoli.
Quando Jin fu andato a letto decisero finalmente di dare voce ai loro dubbi. Parlarono in coreano per assicurarsi che il giapponese non li avrebbe compresi, se si fosse aggirato nei dintorni.
«Pensi anche tu quello che penso io?»
Iniziò Hwoarang passandosi una mano trai capelli sistemandoseli. Erano cresciuti molto, avrebbe dovuto tagliarli presto.
«Ne sono più che sicuro.»
«Si farà ammazzare.»
«Forse, maon sono affari che ti riguardano. Jin è grande e grosso, può cavarsela da solo.»
«Ti prego, è talmente accecato dalla rabbia da non riuscire a comprendere il guaio in cui si sta cacciando.»
«Hai forse intenzione di impedirglielo? Credi ti darà retta? Hwoarang accetta la verità: non puoi cambiare la volontà delle persone, soprattutto se si tratta di persone così testarde.»
«Non sono così ingenuo come credi, so bene di non poter fare nulla per fermarlo.»
A quelle parole seguì un silenzio innaturale rotto solo dalle raffiche di vento invernale che faceva tremare i vetri delle finestre.
«M’iscriverò al torneo.»
Disse infine il più giovane guardando il maestro.
«Lo so.»
Baek era più nervoso di quanto volesse far credere. Non temeva per l’incolumità del suo allievo, sapeva bene che fosse insignificante per Heihachi, ma conosceva Hwoarang e sapeva che in qualche modo si sarebbe fatto coinvolgere. Heihachi non avrebbe fatto distinzioni tra la sua preda e qualsiasi altra persona gli capitasse a tiro, soprattutto se quest’ultimo si rivelava un alleato della sua vittima.
Per la prima volta ebbe paura, ma non poté darlo a vedere, né poteva imporre la propria volontà al suo allievo. Hwoarang non era più un ragazzino, non gli spettava dirgli cosa dovesse fare o meno, era giusto che decidesse per sé e lui avrebbe dovuto farsi andare bene la sua decisione, anche se faceva male.
Pur non essendo uniti da alcun legame di sangue, per lui quel giovane era alla stregua di un figlio, in fondo era stato lui a occuparsene sin dal giorno in cui l´aveva raccattato dalla strada come un qualsiasi randagio all´età di otto anni.
Dal giorno di quello spiacevole incidente, quando aveva accidentalmente ucciso suo padre, aveva concentrato le sue energie nell’addestramento di quel ragazzino proprio come aveva fatto suo padre con lui. Voleva rendere Hwoarang un allievo migliore di quanto egli stesso fosse stato e rendere così onore alla memoria di suo padre.
Hwoarang era la sola cosa che gli rimanesse, lo aveva inconsapevolmente reso una persona migliore, una persona degna d’onore che riusciva finalmente a guardarsi di nuovo allo specchio. Non avrebbe accettato di perderlo. Avrebbe voluto urlargli contro di restare, di non immischiarsi in affari che non lo riguardavano, ma avrebbe rischiato di commettere lo stesso errore della sua gioventù, avrebbe ceduto al proprio egoismo e non poteva permetterlo.
«Sii prudente.»
Si raccomandò infine con voce incerta poggiandogli una mano sulla spalla, poi gli volto le spalle e si ritirò nelle sue stanze.
 
 
***

Jin continuava a rigirarsi nel letto senza trovare pace, avrebbe passato la notte insonne, ne era certo.
Anche se non lo avesse mai ammesso ad alta voce, aveva paura di Heihachi. Aveva indotto il suo stesso figlio al suicidio e aveva ucciso sua madre, di che cos’altro era capace?
Era l’uomo più potente dell’intera isola, aveva ai suoi piedi un esercito di soldati pronto ad attaccare al suo comando e si dilettava a creare mostri come quel lucertolone gigante di Alex e la belva che aveva incenerito la sua casa.
Lui di contro era irrimediabilmente solo, ma sapeva che doveva rischiare, lo doveva a sua madre. Si era fatto una promessa, l’avrebbe vendicata o sarebbe morto nel tentativo, non avrebbe continuato a nascondersi come un ratto in una fogna.
Chiuse gli occhi e immaginò il volto diafano di Jun, o forse lo sognò, perché la Jun che vedeva era molto più giovane di quanto ricordasse, aveva la pelle distesa attorno agli occhi e alle labbra ed il sorriso radioso di chi ancora spera in un futuro migliore.
Lo guardò intensamente negli occhi, come se cercasse la conferma che si trattasse proprio di suo figlio, poi lo strinse in un abbraccio – Jin sentì il profumo della sua pelle invadergli le narici.
«Io ti proteggerò, qualsiasi cosa accada.»
Gli disse con voce altisonante, come se provenisse da molto, molto lontano.
Quando Jin aprì gli occhi, il mattino seguente, aveva le gote umide.

 
****


Il fumo del sigaro si levava pigramente nell’aria. Heihachi era così preso dal suo televisore che non si rese conto della cenere che cadeva sulla sua scrivania imbrattando il foglio di carta che teneva tra le mani. Quelle pubblicità gli erano costate un patrimonio, non sapendo dove si trovasse Jin aveva pagato tutte le emittenti internazionali affinché la trasmettessero in prima serata, ovviamente coi sottotitoli in giapponese, per essere sicuro che il messaggio gli arrivasse. Come se non bastasse, aveva noleggiato degli aeroplani affinché promuovessero il torneo con striscioni e segnali di fumo, nel caso in cui il nipote si stesse rifugiando sotto a un ponte come il vagabondo che era.
Non aveva badato a spese, ma in fondo di quel torneo gli importava poco e niente, l’unica cosa che voleva era sbarazzarsi una volta e per tutte dei suoi due discendenti e di quel maledetto gene del diavolo.
Mentre era ancora sovrappensiero premette un tasto del suo cellulare e contattò Bosconovitch.
«Novità?»
Domandò senza preamboli, non aveva altro tempo da perdere.
«Funzionano!»
Gli garantì quello squittendo con la sua voce acuta.
«Esegui un altro test, d´accordo?»
«Un altro ancora? Ma…»
«Niente “ma”. Ho bisogno che tutto proceda senza intoppi. Questa volta dovrá andare tutto secondo i piani.»
«Ma certo.»
Riattaccò mentre l’altro ancora parlava. Si fidava di Bosconovitch, ma lui non poteva capire. A differenza sua, Heihachi conosceva bene il potere del diavolo, Kazuya era diventato molto più pericoloso di quanto non lo fosse mai stato, su Jin non poteva fare nessuna congettura, ma non l’avrebbe sottovalutato un’altra volta.
Nelle condizioni in cui si trovava non poteva permettersi un ennesimo fallimento, avrebbe rischiato di morire.
 
****


Il cielo notturno sopra di lui era talmente nuvoloso da sembrare una coperta di velluto nera. Non c’erano stelle quella notte, e persino la luna si rifiutava di affacciarsi, rendendo le tenebre ancora più buie.
Quel pomeriggio un aereo l’aveva avvisato dell’ultima edizione dell’Iron Fist, a quanto pareva suo padre sentiva la sua mancanza, anche se Kazuya non si spiegava perché mai ci tenesse così tanto a morire.
Attendeva con impazienza il momento in cui l’avrebbe ridotto in polvere, giurò a sé stesso che non si sarebbe risparmiato. Durante quel periodo aveva fantasticato spesso su come ucciderlo, voleva che subisse una morte lenta e dolorosa, desiderava sentirlo implorare pietà, supplicare per un po’ di clemenza. Ma lui non gliel’avrebbe concessa, avrebbe giocato col suo corpo torturandolo sino alla pazzia, l’avrebbe distrutto fisicamente e psicologicamente. Quei pensieri erano il carburante che lo teneva ancora in vita.
E dopo di lui sarebbe toccato a Jin Kazama, il figlio che non aveva mai desiderato mettere al mondo.
Per lui nutriva dei sentimenti contrastanti, da una parte voleva salvarlo perché rappresentava l’unica testimonianza dell’amore che l’aveva legato a Jun, ma il demone che albergava nel suo corpo scacciava ogni traccia di misericordia e la rimpiazzava col disprezzo. Dopotutto, non avrebbe mai potuto condurre un’esistenza normale fin quando il giovane fosse stato vivo, doveva schiattare proprio come il vecchio.
Il demonio nel suo corpo e l’isolamento al quale era stato condannato per venti anni l’avevano reso meno umano, ma sapeva di poter porre fine a quella situazione, era stato egli stessi a rivelarglielo quando si era manifestato per la prima volta.
Ma per tornare finalmente uomo avrebbe prima dovuto sconfiggere i suoi gemelli.

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Capitolo 10
*** Cap. IX - Forfait ***


Capitolo IX
 – Forfait 
 
L’anno precedente quel ring aveva rappresentato per lui una speranza, ricordava ancora l’ebbrezza che aveva provato al centro dei riflettori mentre la folla acclamava il suo nome a gran voce e l’adrenalina gli scorreva nel corpo aumentando il suo senso di potenza. Si era sentito invincibile quella volta, ma adesso era cambiato tutto quanto. Da dopo il suo atterraggio a Tokyo era stato assalito da un profondo senso di ansia ed inquietudine; era vero, si era preparato a lungo per questo momento, ma Heihachi giocava in casa, doveva aver escogitato un piano infallibile. Da quando aveva rimesso piede nella Mishima Zaibatsu era stato attento ad ogni singolo movimento aguzzando la vista ed acuendo l’udito. Come se ciò non fosse abbastanza seccante, Hwoarang gli stava attaccato alle costole e non lo perdeva d’occhio nemmeno per un attimo, sembrava una chioccia iperprotettiva e Jin non lo tollerava.
Subito dopo essere arrivati nella struttura avevano compilato il modulo d’iscrizione ed erano stati scortati nella minuscola abitazione in cui avrebbero dormito durante il periodo del torneo. Jin non desiderava far altro che crogiolarsi in un bollente bagno schiumoso per rilassare i suoi nervi, ma Hwoarang aveva deciso di seguirlo in camera sua e, con una scusa, si era fermato lì per un lasso di tempo che a Jin parve interminabile.
«Se non ti spiace, adesso vorrei farmi un bagno caldo.»
Disse infine seccato dalla sua presenza. Per quasi due ore non aveva chiuso il becco parlando di ciò che avrebbe fatto col denaro della vittoria.
«Fa’ con comodo, io resto qui.»
Il moro alzò un sopracciglio.
«Non hai capito, voglio che te ne vada.»
«Kazama di che parli? Ti guardo le spalle.»
«Non ho bisogno di una guardia del corpo, esci subito dalla mia stanza e va’ a darti una ripulita, puzzi!»
«Se succedesse qualcosa mentre sono via? Ci hai pensato?»
«Oh, ma allora è la tua presenza che ha impedito ad Heihachi di farmi fuori sino ad adesso, non è così? Ma certo, vederti deve averlo terrorizzato a morte, probabilmente ha mandato a monte il suo piano solo grazie a te.»
«Sempre il solito borioso, perché ti ostini a rifiutare il mio aiuto?»
«Perché non mi serve, ora vattene subito da qui e lasciami in pace, intesi?»
Con un sonoro sbuffo Hwoarang si alzò pigramente dal letto, mentre Jin alle sue spalle lo spingeva con vigore fuori dall’uscio.
«Lasciami Kazama, me ne sto andando!»
«Ci stai mettendo troppo!»
Jin aprì la porta con un sonoro tonfo e lo scaraventò al di là della soglia.
«E non azzardarti a tornare.»
«Kazama sei un idiota!»
Lo insultò, prima che l’altro gli sbattesse la porta in faccia. Solo in quel momento Hwoarang si accorse della presenza di due ragazze nel corridoio. Entrambe erano molto giovani e carine, avevano tipici tratti orientali: bassa statura, corporatura esile, incarnato chiaro e scuri occhi a mandorla. Una di loro gli parve persino familiare, aveva lunghi capelli neri raccolti in due code ai lati della testa. L’altra invece non credeva d’averla mai vista, era molto più graziosa della prima ed aveva dei corti capelli castani tendenti al rossiccio che le ricadevano un po’ disordinati sul collo. Nessuna delle due parve notarlo, fissavano la porta che si era appena chiusa scambiandosi un’occhiata eloquente. La più scura delle due si portò un pugno alla bocca tentando di nascondere un risolino.
«Sì sì, molto divertente.»
Commentò Hwoarang acidamente issandosi in piedi e dirigendosi verso la sua stanza.
«Era lui?»
Domandò Miharu a Xiaoyu dopo che Hwoarang fosse sparito dietro il primo angolo.
«Sì!»
Esclamò la seconda poggiando la schiena contro il muro e lasciandosi scivolare sul pavimento.
«Accipicchia non ti ho mai vista in questo stato.»
Miharu alzò un dito in segno di ammonizione, ma poi tirò fuori la lingua con fare scherzoso, non aveva davvero intenzione di prenderla in giro, sapeva quali sentimenti nutrisse per quel ragazzo, non aveva parlato d’altro per tutta la durata dell’anno scolastico.
«Ero certa che l’avrei rincontrato.»
Xiaoyu continuava a fissare la porta sperando che questa si spalancasse concedendogli un’altra immagine di Jin a petto nudo. Aveva aspettato questo momento per un anno intero, da quando lo aveva visto la prima volta non era riuscita a smettere di pensare a lui.
«Adesso capisco come mai sia così cotta, è veramente carino.»
Xiaoyu si risollevò in piedi e avvicinò il viso a quello della compagna di classe.
«Ehi che cosa vuoi dire, non ti sarai mica infatuata di lui? Sarebbe davvero un colpo basso da parte tua.»
Miharu si affrettò a scuotere le braccia come una forsennata.
«Ma no, hai frainteso, non intendevo affatto quello che credi.»
«Lo so, scusami sono parecchio nervosa e non riesco a pensare lucidamente.»
La compagna sorrise divertita e la prese sottobraccio.
«Non devi preoccuparti. Sono tua amica, non me la prendo così poco. Adesso però sarà meglio tornare di là e darci una sistemata, ti truccherò come una diva del cinema e vedrai che entro stasera quel ragazzo là cadrà ai tuoi piedi.»
A malincuore Xiaoyu si fece trascinare in camera dall’ amica contando mentalmente i minuti che la separavano dall’inizio del torneo.
 

Jin riempì la vasca d’acqua calda e s’immerse scivolando nel torpore. Era l’ultimo momento di calma che gli spettava e aveva intenzione di gustarselo appieno. Che cosa poteva aver escogitato Heihachi? Non riusciva ad immaginarsi nulla più terrificante di True Ogre, poteva esistere qualcosa di peggiore? All’interno della cisterna si sentiva quasi al sicuro protetto dal calore dell’acqua, ma da lì a qualche ora sarebbe stato tutto diverso.
Quando ormai il suo corpo era interamente rilassato e prossimo al raggiungimento della pace dei sensi un rumore improvviso lo costrinse a riaprire gli occhi. “Che succede adesso?” Si ritrovò a pensare mentre con la mano tastava l’aria alla ricerca di un accappatoio. Qualcuno stava trafficando con la serratura della sua porta, che Hwoarang volesse giocargli qualche tiro mancino per fargliela pagare? Fece in tempo ad alzarsi e coprirsi con il tessuto di spugna, udì il chiavistello aprirsi e seguì il rumore di alcuni passi.
«Che cosa pensi di…»
Urlò spalancando la porta che divideva la stanza da letto dal bagno, degli uomini in tenuta nera lo afferrarono per le braccia immobilizzandolo.
«Coraggio, adesso!»
Gridò l’uomo alla sua sinistra ed un terzo complice gli venne incontro brandendo una siringa che infilzò prontamente nel suo collo. Provò a divincolarsi, ma si sentì improvvisamente debole e affaticato. I bisbigli concitati si fecero confusi, le immagini lentamente sbiadirono in un turbinio di luci innaturali, Jin riuscì a leggere la dicitura sulle divise scure dei suoi assalitori “Tekken Force”, poi calò il buio.

 
***

 
Quando Hwoarang aveva bussato alla sua porta non aveva ottenuto alcuna risposta. Sicuramente quell’idiota di Kazama doveva esser sgattaiolato fuori prima del dovuto per cercare di sfuggirgli, ne era certo. Quel tipo era impossibile e quasi non lo sopportava, ma aveva deciso di sorvegliarlo come Baek aveva fatto con lui quand’era solo un bambino. Non si trattava esattamente della stessa cosa, ma voleva dimostrare al maestro di essere il suo degno allievo. Quando, tempo prima, Hwoarang gli aveva rivelato i suoi dubbi sul conto del giapponese, Baek gli aveva consigliato di non giudicarlo troppo severamente prima ancora di conoscerlo, di dargli un’opportunità per “sbocciare”, così aveva detto. Lui aveva seguito il suo suggerimento cercando di instaurare con quel tipo un rapporto di amicizia, ma  Kazama non gli rendeva le cose facili continuando a comportarsi da perfetto deficiente e ostentando tutta l’ arroganza, il menefreghismo e l’insolenza degni di una primadonna capricciosa. Tuttavia, aveva promesso a sé stesso di non arrendersi, Baek gli aveva insegnato l’importanza della pazienza tanto tempo prima, quand’era ancora piccolo.
«Ci sono piante che sbocciano d’estate, e piante che invece sbocciano d’inverno»
Gli aveva spiegato una volta, mentre innaffiava con impegno i semi che aveva appena interrato.
«Vedi Hwoarang? Alcune piante stanno germogliando, altre invece no.»
Gli aveva fatto notare poche settimane dopo, indicando le timide foglioline che erano sbucate dalla terra.
«Perché solo alcune? Gli altri semi erano forse marci?»
 Gli chiese ingenuamente con gli occhi grandi e curiosi, l’uomo scosse impercettibilmente la testa. Quando l’estate terminò e cedette il posto all’autunno, il piccolo Hwoarang si accorse di qualcosa di miracoloso mentre si allenava all’aria aperta e, con esultanza, corse ad avvertire l’istruttore.
«Le piante stanno sbocciando!»
Baek non si scompose nell’apprendere la notizia, si limitò a sorridere e gli impartì una nuova lezione.
«Solo perché un germoglio non dà i suoi frutti non significa che il seme sia marcio, alcuni fiori sbocciano prima, altri dopo. Ogni pianta ha il suo tempo Hwoarang, e lo stesso vale per le persone. Forzare la loro crescita non serve a nulla, bisogna solo attendere.»
Scosse la testa tornando al presente, per una manciata di secondi si era completamente estraniato dalla realtà rifugiandosi nei suoi ricordi. Forse Kazama aveva solo bisogno di più tempo, rifletté infine voltando le spalle alla sua stanza ed incamminandosi verso gli spogliatoi dei campioni.
Il turbinio di luci, colori e suoni della sala lotta gli diede alla testa facendogli scordare del giapponese. L’unica cosa su cui riusciva a focalizzarsi era la vittoria.
La voce amplificata del conduttore riecheggiò per il salone sovrastando i fischi e le grida del pubblico. Tutti avevano lo sguardo fisso su di lui, sia gli spettatori che i lottatori. Hwoarang riconobbe qualcuno dei vecchi partecipanti, ma c’erano anche alcuni visi nuovi, era curioso di verificare se gli ex concorrenti fossero migliorati o meno rispetto allo scorso anno. Individuò le due ragazze che aveva intravisto poco prima nel corridoio, e la più bassa (quella coi codini) lo guardava incessantemente come se volesse chiedergli qualcosa. Ad un certo punto si accorse dell’assenza di Jin, si sentì stupido a non averci fatto caso prima. Mosse la testa da una parte all’altra cercandolo, ma non lo trovò, si disse che forse non c’era da preoccuparsi, tuttavia, non riusciva a scacciare il brutto presentimento che gli attanagliava lo stomaco. Dovette smettere di preoccuparsi per lui quando il presentatore li chiamò a gran voce invitandoli ad uscire sul ring. L’enorme maxischermo che riportava le foto di tutti i loro volti fece un gran baccano sorteggiando automaticamente le coppie gli sfidanti.
 
ROUND 1
Julia Chang Steve Fox
Yoshimitsu Craig Marduk
Marshall Law Nina Williams
Kuma King
Ling Xiaoyu Panda
Lee Chaolan Hwoarang
Paul Phoenix Eddy Gordo
Christie Monteiro Miharu Hirano
Lei Wulong Bryan Fury
 
Hwoarang imprecò a voce alta, perché il nome di Jin non spuntava da nessuna parte? Doveva sicuramente essergli successo qualcosa, che Heihachi avesse già agito? Le cose erano due: o restava in gara e cercava di portarsi a casa il premio in contanti o dava forfait e correva a cercarlo. Rimase incerto sul da farsi per una buona manciata di minuti, tant’è che Julia e Steve erano già saliti sul quadrato. Avrebbe potuto essere ovunque, si disse, la Zaibatsu era il tempio di Heihachi e lui non aveva la benché minima idea di come accedervi, inoltre c’erano guardie ad ogni angolo del perimetro, non sarebbe mai riuscito a penetrare nella struttura. In ogni caso non poteva tirarsene fuori e lasciare che venisse ucciso senza nemmeno provare a salvarlo. Si morse le labbra così forte che ad un certo punto sentì in bocca il sapore di sangue, cosa doveva fare?

 

Nina osservava il giovane inglese destreggiarsi sul quadrato tirando pugni a raffica. Era un pugile professionista, aveva fatto delle ricerche sul suo conto, perciò, sapeva già cosa aspettarsi dalla sua performance. Aveva ottime possibilità di vincita, era chiaro sin dall’inizio, ma voleva veramente che ce la facesse? In cuor suo aveva sperato di poter fronteggiarlo, ma a che scopo? Probabilmente il ragazzo ignorava la verità dietro alla sua nascita, in un’intervista che aveva rilasciato poco prima aveva affermato di essere cresciuto in un orfanotrofio della Cornovaglia, dov’era stato abbandonato quand’era ancora in fasce. Ma anche se lui non poteva certo saperlo, lei ne era consapevole e quella cosa non gli piaceva affatto. Avrebbe dovuto eliminare Steve, cancellare ogni prova della sua esistenza così da rimediare al torto subito dal vecchio? A proposito di Heihachi, cosa diavolo aveva in mente? Pochi giorni prima l’aveva sollevata dal suo incarico affermando di avere tutto quanto sotto controllo e che quindi i suoi servizi non erano più richiesti. Cosa stava combinando? Era così sicuro che Jin Kazama si presentasse all’incontro ma di lui non c’era traccia. A meno che…



Hwoarang non riusciva a concentrarsi, non era nelle condizioni di lottare in quello stato, era troppo distratto e avrebbe rischiato di fare una figuraccia. Se quell’idiota impertinente di Kazama non lo avesse cacciato via dal suo abitacolo forse adesso sarebbe al sicuro. Ma perché si preoccupava così tanto di lui? Aveva ragione Baek, doveva tenersi fuori da quella situazione spinosa, erano affari che non lo riguardavano. Eppure non riusciva a dare così poco valore ad una vita umana.



Nina alzò gli occhi verso la tribuna di Heihachi, i vetri oscurati riflettevano la luce dei fari impedendole si vedere all’interno. Il vecchio si trovava davvero lì?
«Steve Fox vince la prima manche!»
Dichiarò la voce squillante del presentatore mentre il biondo sollevava un pugno in aria compiaciuto, prima di aiutare la sua sfidante a rialzarsi.
Nina alzò gli occhi al cielo e uscì fuori per fumarsi un’ultima sigaretta prima del suo turno, non aveva alcuna voglia di guardarlo in faccia, forse perché riusciva a scorgere la sua fisionomia nei tratti marcati del ragazzo.


 
Hwoarang guardò la luna attraverso la vetrata sul soffitto. In quel momento avrebbe avuto bisogno della saggezza del suo insegnante, Baek avrebbe saputo qual era la cosa migliore da fare. Il suo scopo nella vita era quello di riuscire ad eguagliarlo in un futuro non troppo lontano, voleva istruire un giovane e trasmettergli tutta la propria sapienza; voleva che qualcuno lo ammirasse così come lui faceva con Baek. Ad un tratto la luna si oscurò, un elicottero del colore della pece volava a bassa quota, diretto ad ovest.  Se fosse stato un po’ più in alto forse Hwoarang non avrebbe notato la dicitura “Mishima Zaibatsu” su una delle fiancate.


 
Mentre Nina aspirava una boccata di fumo, un rumore improvviso la costrinse ad alzare gli occhi al cielo: un elicottero della Tekken Force prendeva quota diretto ad ovest. D´un tratto le fu tutto chiaro. Gettò via la paglia consumata solamente a metà e corse a tutta velocità verso il garage dove aveva parcheggiato la sua automobile, questa volta Heihachi non l’avrebbe tagliata fuori, non glielo avrebbe permesso.

 

Hwoarang corse per strada e l’aria fresca della notte gli pizzicò le guance facendolo sentire più vivo. Afferrò la motocicletta che aveva noleggiato e sfrecciò a tutta velocità nel buio seguendo come una scia la sagoma del veicolo volante.

 
***


«Yoshimitsu si classifica al secondo round! Signori e signore, lo spettacolo di stasera è a dir poco emozionante, e pensate che siamo solo all’inizio. Adesso diamo un caloroso benvenuto a Marshall Law e Nina Williams per la terza sfida della serata.»
Law salì i gradini del ring accompagnato dallo scroscio degli applausi, ma la sua rivale non c’era.
«Nina Williams?»
La richiamò il presentatore al microfono senza ottenere risposta.
«Nina Williams?»
Domandò un’ultima volta con incertezza crescente, prima d’ora nessuno si era mai ritirato dal torneo. I concorrenti si scambiarono un’occhiata confusa, tutti quanti avevano visto Nina nel camerino, ma adesso sembrava sparita.
«Molto bene gentile pubblico, a questo punto mi tocca proclamare Law vincitore per abbandono. Chiedo scusa a tutti i presenti per questa situazione, in tanti anni non era mai successo…»
Gli spettatori fischiarono con delusione.
«Allora chiamiamo sul palco Kuma e King!»
Si affrettò a dire, cedendo di buon grado il posto agli altri per potersi ritirare dalle accuse della folla. Se Nina se l’era data a gambe lui che colpa ne aveva? Anzi, a dirla tutta, aveva persino puntato un mucchio di Yen sulla bionda…
Kuma e King combatterono a lungo sul ring, conquistando la piena attenzione delle platee che avevano già dimenticato la fuga dell’irlandese. King era diventato molto più forte dell’anno prima, Kuma invece era rimasto allo stesso livello dell’anno precedente dato che Heihachi era stato troppo impegnato con le ricerche di Jin per preoccuparsi degli esperimenti sull’orso. Dopo quasi mezz’ora sul tappeto, King stese Kuma con una gomitata in pieno petto.
Subito dopo fu il turno di Xiaoyu e Panda. La giovane trottò allegramente sul ring rivolgendo ai presenti un raggiante sorriso a trentadue denti e salutandoli con un ampio gesto del braccio. In realtà non era così gioiosa come voleva far credere, l’assenza improvvisa di Jin le aveva lasciato l’amaro in bocca; come mai il suo nome non appariva nel tabellone? Solo poche ore prima l’aveva visto negli appartamenti riservati ai campioni, che avesse deciso improvvisamente di ritirarsi? Non lo credeva capace di un simile ripensamento, ma non seppe trovare altre spiegazioni. Panda la raggiunse dal lato opposto del quadrato tenendosi ben accostato al tenditore. Quando l’arbitro fischiò la cinese corse verso l’animale con l’intento di calciarlo, ma quello per tutta risposta si però il viso dietro alle zampe costringendola a fermarsi.
«Cosa stai facendo? Combatti!»
L’incalzò lei aggirandolo con passo danzante; Panda si accucciò all’angolo del quadrato nascondendo gli arti superiori e inferiori sotto al proprio stesso corpo, somigliando ad un’enorme palla di pelo.
«Che ti prende? Perché ti comporti così?»
La bestiola le rivolse un’occhiata triste, i suoi occhi lucidi sembravano implorarla di non attaccare, se il rumore della musica fosse stato più basso sicuramente avrebbe anche sentito i suoi singhiozzi.
«Tu non sei un lottatore.»
Dichiarò la giovane inclinando la testa di lato e quello annuì col capo lieto che finalmente qualcuno se ne fosse accorto. Panda non aveva mai desiderato lottare, era Heihachi che l’aveva costretto a partecipare al torneo.  Xiaoyu gli si avvicinò con mano tesa e lui si ritrasse bramendo, nel suo verso non c’era traccia di rabbia o minaccia bensì di paura e sconforto.
«Non avere timore, non ho alcuna intenzione di ferirti.»
Panda però non si lasciò convincere e indietreggiò ancora un po’ spingendosi quasi oltre il limitare delle ringhiere. Gli scalmanati ululati della folla in delirio, l’assordante ronzio della musica in sottofondo e i fasci di luce artificiale lo agitavano non poco, non era abituato a quell’ambiente sfarzoso, era nato in cattività all’ombra dei laboratori Mishima da un prototipo già perfezionato, Panda I. Le ricerche effettuate l’avevano reso “più umano”, comprendeva infatti la lingua della ragazza e aveva sviluppato uno straordinario senso della comunicazione riuscendo ad esprimersi attraverso cenni del capo e gesticolazioni; tuttavia, a differenza di sua madre si era rivelato completamente incapace di lottare. Le numerose iniezioni subìte in nome della ricerca scientifica lo avevano reso pauroso e diffidente nei confronti degli uomini pertanto non aveva mai osato ribellarsi al loro potere sottostando alle umiliazioni. Qualcuno si era accorto della sua mancanza di aggressività, ma aveva creduto che gettarlo di forza sul ring gli avrebbe giovato “è come spingere un uccello fuori dal nido per insegnargli a volare” aveva commentato ottenendo l’approvazione generale. Ma si erano sbagliati.
«Ti prego, non ti farò nulla.»
Xiaoyu gli si trovava ormai a meno di dieci centimetri di distanza, Panda chiuse gli occhi presagendo il peggio, ma invece successe una cosa che non si aspettava, le dita lunghe e affusolate della ragazza lisciarono il suo pelo con delicatezza. La sua mano indugiò a lungo sulla sua testa carezzandola in diverse direzioni, Panda non aveva mai conosciuto una sensazione più piacevole di quella.
«Ehm Ling, cosa state facendo? Che aspetti ad attaccare?»
Le domandò il presentatore con preoccupazione, la gente si aspettava una battaglia e non delle bizzarre effusioni zoofile. Lei lo guardò dall’alto della sua postazione e, senza rifletterci, afferrò il microfono dalle sue mani, si posizionò al centro esatto del ring e parlò all’intera sala scandendo bene le parole.
«Io e panda ci rifiutiamo di gareggiare.»
L’arena cadde nel silenzio, l’arbitro si mise le mani in testa e corse ad avvertirla.
«Che cosa credi di fare? In questo modo stai dichiarando la resa, non passerai alla manche successiva.»
«Non m’interessa, ho fatto la mia scelta.»
Continuò più risoluta che mai. L’animale agitò le orecchie e si erse in tutta la sua statura correndo incontro alla giovane. Xiaoyu spalancò gli occhi per la sorpresa temendo che a questo punto il panda intendesse fronteggiarla, ma ancora prima di dire qualcosa si ritrovò in aria tra le sue braccia stretta in una morsa stritolante “ci siamo, mi spezzerà la colonna vertebrale!” pensò serrando gli occhi e attendendo la fine, ma non successe nulla del genere, Panda l’aveva sollevata per poterla abbracciare. Ora che si stava abituando alla stretta trovava quella sensazione persino piacevole, il suo corpo era caldo e la peluria la solleticava. Allora comprese che il suo rivale volesse solamente ringraziarla per avergli risparmiato l’ennesima onta.
«Va tutto bene, coraggio mettimi giù e torniamo tra gi spalti.»
Gli sussurrò in un orecchio e quello obbedì come un cagnolino addomesticato. Scortò la sua nuova amica sui bastioni delle tribune sotto gli occhi delusi e sconcertati della calca, mentre fischi di disapprovazione accompagnavano la loro uscita di scena.
«Non m’importa di vincere.»
Confessò la cinesina in risposta all’occhiata perplessa di Miharu.
«Ci sono cose più importanti per cui vale la pena lottare. E poi guardalo, tu avresti avuto il coraggio di fargli del male?»
L’amica scrutò il gigantesco panda al suo fianco; l’imponente statura robusta poteva forse intimorire a primo sguardo, ma gli occhi della creatura erano gentili e amabili, proprio come quelli di un cucciolo.
«A questo punto credo che toccherà a me vincere.»
Esordì infine con una scrollata di spalle suscitando l’ilarità della compagna, mentre sul tabellone veniva tracciata una X sulla foto che ritraeva lei e Panda.
«D’accordo gentili ospiti, ci scusiamo per la ritirata di due dei campioni, ma non lasciamoci scoraggiare e proseguiamo con il torneo.»
I visitatori erano ormai parecchio delusi, prima Nina si era data alla fuga, poi Xiaoyu e Panda dichiaravano bandiera bianca in diretta, che cosa sarebbe ancora successo?
«Lee Chaolan e Hwoarang!»
Urlò a pieni polmoni ignorando le critiche indispettite, e quasi non gli venne un colpo quando constatò che anche il coreano mancava all’appello. Qualcuno si alzò dalla platea inveendo contro la pessima organizzazione, qualcun altro agitava in aria il pugno adirato e parecchi strapparono la loro schedina in mille pezzettini lanciando i frammenti di carta che si librarono in aria come coriandoli, prima di voltare le spalle e tornarsene a casa.
L’annunciatore aveva assunto un innaturale colorito rossastro mentre dichiarava Lee vincente.
Cosa diavolo stava succedendo? E perché mai Heihachi lo stava permettendo?

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Capitolo 11
*** Cap. X - Demoni ***


Capitolo X
 – Demoni

 
Heihachi sorrideva subdolamente mentre l’elicottero virava ad ovest elevandosi sempre più in alto nel cielo tenebroso. Finalmente le cose stavano andando come previsto e per l’occasione si era concesso uno dei sigari più pregiati della sua collezione, un Montecristo No. 2 dall’aroma forte e deciso, certamente adatto ad un uomo del suo calibro. Si godeva ogni boccata di fumo, era la sua preziosa ricompensa per essere finalmente riuscito a mettere in atto un piano infallibile dopo svariati infruttuosi insuccessi. Jin e Kazuya gli avevano dato parecchio filo da torcere negli ultimi tempi, ma era certo che l’Iron Fist sarebbe stato un’ottima esca per accalappiarli entrambi e si era rivelato nel giusto. Dopo quasi un anno li aveva finalmente acciuffati e quella sera avrebbe portato a termine il suo piano di eliminazione del sangue maledetto, versandolo sino all’ultima goccia. Gli dispiaceva solamente perdersi la quarta edizione del torneo, nonché il piacere di assistere personalmente alla performance di Steve e all’incontro con i suoi ignari genitori biologici. Si domandava chi dei tre fosse il più forte in assoluto ma avrebbe avuto presto la sua risposta, dopotutto non si sarebbe fermato a lungo nelle viscere del tempio, gli bastava solo risvegliare la natura malvagia dei suoi discendenti e lasciare che l’istinto di sopravvivenza di ognuno di essi avesse la meglio sull’altro portandoli ad uno scontro che si sarebbe protratto sino alla morte di uno o – ancora meglio – di entrambi. Quel combattimento sarebbe stato di gran lunga più interessante del conflitto Fox – Phoenix- Williams, non aveva dubbi.
Il pilota iniziò le manovre di atterraggio e lui si leccò le labbra come un predatore che si accinge a sbranare la sua preda. Gettò via il mozzone del sigaro e s’infilò la giacca verde smeraldo, poi si avvicinò al pilota.
«Voglio che resti nel velivolo per tutta la durata della mia assenza.»
Si raccomandò mentre l’altro manipolava leve e barre. L’uomo annuì ma parve poco convinto domandandosi che cosa avesse in mente il suo capo, dopotutto a chi sano di mente poteva venire la geniale idea di recarsi in un tempio abbandonato così tardi? Si pentì di essersi offerto volontario per svolgere quel compito, aveva sperato che questo gli garantisse un extra nelle entrate ma adesso avrebbe preferito farne a meno. Non gli piaceva affatto l’idea di violare un luogo sacro e poi si vociferava che il tempio fosse maledetto, gli abitanti di quella zona lì raccontavano di udire urla sovrumane provenire dal santuario, ma la zona era stata perlustrata più volte e non era mai stato trovato nulla di nulla.
Quando il carrello toccò terra il vecchio dovette aggrapparsi ad uno dei sedili per non cadere, l’atterraggio era stato brusco, probabilmente a causa del nervosismo del pilota. Quello si scusò più volte, ma Heihachi lo ignorò e si limitò a bofonchiare degli epiteti poco lusinghieri mentre scendeva dal velivolo.
Il giardino zen che costeggiava il tempio era trascurato e malridotto, i bei fiori dai colori variegati che una volta accoglievano i fedeli erano spariti, erbacce e funghi dominavano l’area tutt’attorno dando una vera e propria sensazione di abbandono. Le maestose fortificazioni che un tempo proteggevano e abbellivano quel luogo di culto erano state assalite da dispettosi rampicanti, il tetto a pagode era mitragliato da cacche di uccello e l’acqua piovana che riempiva la fontana a tre piani era stagnante e puzzolente ed ospitava una fauna composta per lo più da insetti e lumache.
Heihachi non badò all’orrore di quel luogo e si avviò con passo certo verso l’ingresso, l’ultima volta che vi si era recato il posto era diverso, se lo ricordava bene anche se era successo più di quarant’anni prima, quando aveva condannato suo padre a perire nei sotterranei. Adesso il suo corpo doveva essersi già decomposto, la sua carne putrida si era certamente staccata dalle ossa e di Jinpachi non rimaneva altro che uno scheletro ingiallito dal tempo. Non si sentiva in colpa, si era meritato quella fine, se fosse stato per il vecchio lui non avrebbe mai concluso nulla nella sua vita. A volte desiderava che fosse ancora vivo solo per potergli sbattere in faccia tutto ciò che aveva realizzato senza di lui, nonostante egli lo reputasse un incapace. Lui aveva portato la Mishima Zaibatsu in uno stato di splendore che sotto il suo controllo non aveva mai conosciuto, lui era l’artefice di qualcosa di meraviglioso, il mondo intero conosceva il suo nome, uomini e donne lo ammiravano e rispettavano, si era fatto tutto da solo in brevissimo tempo, e invece di Jinpachi nessuno conservava più il ricordo, era sparito nel nulla e a nessuno importava.
Si lasciò sfuggire un sorriso mentre il rumore dei suoi sandali riecheggiava sinistramente per l’androne semivuoto. Alcune pareti erano state imbrattate con dei graffiti e nei pressi delle finestre si era formato uno  spesso strato di muschio viscido.
Sull’altare erano state accese delle candele e a quasi cinque metri da terra, sospesi tra alcune travi e colonne, penzolavano ridicolmente i corpi storditi di Jin e Kazuya.
Poche ore prima alcuni membri della Tekken Force si erano infiltrati nelle camere in cui si trovavano, li avevano tramortiti con un potente sedativo e li avevano condotti lì, poi li avevano incatenati al soffitto privandoli della loro forza. Le catene che stringevano i loro polsi non erano comuni pezzi di rame o metallo, lui e il dottor Bosconovitch le avevano modificate per limitare il gene del diavolo, fin quando queste avessero sfiorato la loro pelle, i due uomini non sarebbero stati in grado di trasformarsi.
Rise di gusto osservando quella scena lì, padre e figlio condannati allo stesso destino riuniti per la prima ed ultima volta nella loro vita. La sua risata malvagia lacerò l’aria, li teneva in pugno e loro non avrebbero potuto fare nulla per sottrarsi al suo volere.
«Coraggio, sveglia!»
Urlò Heihachi senza smettere di sorridere.
«Svegliatevi ho detto!»
S’impose, come se questo bastasse a far svanire l’effetto del sonnifero. In quel momento si trovava da solo, aveva ordinato alla sua armata di sparire subito dopo aver imprigionato i suoi uomini, quello che stava per accadere doveva rimanere segreto, così come quello che era successo a Jinpachi.
«Dannazione maledetti figli del demonio, svegliatevi!»
Comandò una terza volta. Il corpo di suo figlio ebbe uno scosso, il nipote invece continuava a dormire. Lentamente le palpebre di Kazuya si aprirono, ma l’uomo non distinse immediatamente lo spazio che lo ospitava, si trovava ancora in uno stato di sconnessione col mondo reale. Davanti a sé baluginava la luce fioca e rossastra del fuoco delle candele, qualcosa gli cingeva i polsi facendogli male e la testa gli doleva come se l’avesse sbattuta contro un muro di mattoni.
«Finalmente.»
La voce di Heihachi lo ridestò all’improvviso, rendendo tutto dolorosamente più reale. In un secondo Kazuya comprese di essere nei guai; mosse le gambe per camminare ma gli mancò la terra sotto ai piedi e subito dopo realizzò di essere appeso per le braccia, sospeso nel vuoto. Incontrò lo sguardo di suo padre, molti metri più in basso, e la felicità nel suo volto non gli fece presagire nulla di buono. Kazuya si divincolò ansimando, dondolando innaturalmente nel cielo e infliggendosi ancora più dolore. Il brusco movimento delle catene svegliò Jin, che provò immediatamente la stessa sensazione di orrore, dopo aver compreso quanto stava succedendo.
«Ci siete entrambi finalmente.»
Sibilò Heihachi con sguardo rapito, Kazuya guardò indietro rendendosi conto solo in quel momento della presenza del terzo, e Jin ricambiò l’occhiata con stupore.
«Allora lasciate che vi presenti ufficialmente, per una buona volta. Jin, ti presento tuo padre, ma Kazuya, tu lui lo conosci già non è così?  Hai avuto modo di salutarlo dopo lo scorso Iron Fist Tournament, ricordi?»
Jin spalancò gli occhi sbalordito e nauseato allo stesso tempo. Se non avesse mai visto le registrazioni di Baek avrebbe accusato Heihachi di mentire. Jin gridò di rabbia dibattendosi per sciogliersi dalla morsa degli anelli di metallo, e Kazuya oscillò pericolosamente davanti a sé. Le catene che li intrappolavano dovevano essere state legate insieme, per cui ogni volta che uno si agitava, l’altro ondeggiava di conseguenza. Quell’altalena divertì Heihachi, il cui sorriso si apriva ormai da orecchio a orecchio. Jin e Kazuya erano totalmente impotenti e lui guidava le redini di quel pazzo gioco.
«Dovresti essere morto!»
Urlò a un certo punto il più giovane dei tre, e Kazuya si provocò quasi il torcicollo nel tentativo di guardare indietro.
«E tu non dovresti essere nato.»
Commentò a sua volta con la stessa dose di rabbia.
«Sentiteli, si conoscono da cinque minuti ma hanno già preso confidenza, è quasi commovente.»
Li canzonò il più vecchio, che intanto se la spassava come non gli succedeva da anni.
«Avete ragione entrambi, maledetti stronzi: tu Kazuya avresti dovuto crepare nella bocca del monte Fuji quando ti ci ho gettato dentro, e tu Jin non saresti mai dovuto venire al mondo: se quest’idiota non si fosse lasciato sedurre da quella puttana…»
Entrambi si dimenarono furiosamente, ma questa volta non suscitarono alcuna ilarità in Heihachi, che intanto era divenuto serio e li guardava con cattiveria. Il sorriso che gli aveva incurvato gli angoli della bocca era sparito e aveva ceduto il posto ad una smorfia di disgusto.
«Smettetela di ballare! Sei stato uno sciocco a salvare quella maledetta Kazama, avresti dovuto unirti a me e Bosconovitch nei nostri esperimenti scientifici, ma i tuoi impulsi erano più forti, non è così? Hai liberato quella sudicia cagna col solo intento di fartela e dopo aver soddisfatto i tuoi istinti animaleschi l’hai abbandonata.»
Di nuovo Jin e Kazuya si mossero convulsamente e il rumore di catene si fece quasi assordante.
«Cosa credete di fare? Non avete ancora capito di essere in mio pugno? Non c’è nulla che possiate fare per liberarvi. Sai una cosa Kazuya? Se non fosse stato per colpa tua, la donna sarebbe ancora in vita! Se tu non l’avessi messa incinta del tuo erede, io non avrei avuto motivo di disfarmi di lei. Sei stato tu a condannarla.»
Entrambi s’immobilizzarono a guardarlo. Jun aveva pagato con la vita delle colpe che non aveva: quella di aver amato Kazuya Mishima e quella di aver dato alla luce suo figlio. Heihachi voleva far credere loro di essere responsabili della sua dipartita, solo in questo modo i due si sarebbero uccisi a vicenda. Adesso che aveva raggiunto il suo scopo poteva scarcerarli, al resto avrebbero provveduto da soli.
 
***


 
Nina aveva guidato coi fari spenti per evitare di farsi fermare dalla polizia che pattugliava il quartiere. Aveva superato i 180 km/h in zone abitate per seguire la scia dell’elicottero Mishima, questa volta non sarebbe stata esclusa, non gliel’avrebbe permesso. Era ancora incollerita con lui, non gli aveva perdonato di aver usato il suo ventre come provetta, né tantomeno di essere stata sollevata dall’incarico di scovare Jin, era come averle dato indirettamente dell’incapace.
Dopo circa dieci minuti aveva perso le tracce del velivolo, ma la sua auto possedeva un radar collegato al cellulare di Heihachi, il vecchio doveva essersene dimenticato dopo circa vent’anni altrimenti lo avrebbe sicuramente disattivato. Ad ogni modo grazie a quell’aggeggio Nina riuscì a stargli alle calcagna e dopo quasi un’ora di viaggio aveva scoperto la destinazione finale del suo ex capo: il tempio Honmaru. Inarcò un sopracciglio con scetticismo, dubitava che si fosse convertito improvvisamente. Heihachi era un uomo malvagio senza Dio e altri santi, devoto solamente a sé stesso, al denaro e alla scienza. Lei non era mai stata lì, ma aveva sentito diverse storie a proposito del luogo, da molti considerato un’opera d’arte orientale.
Quando il velivolo sparì dalla sua vista, lei ingranò la sesta e si lasciò condurre dalla voce del navigatore, se avesse mantenuto quella velocità avrebbe raggiunto la sua meta in meno di mezz’ora.
 
 
***


 
Hwoarang aveva percorso meno di dieci chilometri quand’era stato fermato dagli agenti di polizia per eccesso di velocità. Aveva provato a seminarli, ma per qualche ragione c’erano più pattuglie del normale e alla fine era stato accerchiato.
«Favorisca i documenti, ragazzo.»
Un vigile dall’aria severa allungò una mano. Il coreano sbuffò sonoramente e obbedì, afferrò dalla tasca il suo portafoglio e lo srotolò per mostrare la propria carta d’identità. Senza fiatare lo porse al poliziotto e questi, con gli occhi ancora fissi dentro quelli del ragazzo, lo scannerizzò con una pistola laser che ricordava molto le etichettatrici dei supermercati. Sul minischermo che teneva in mano apparve la sua fedina penale.
«Ti è andata male, ragazzo.»
Lo avvertì senza troppo dispiacere dopo aver dato una rapida occhiata.
«Pare che tu sia ricercato in Corea del Sud per diserzione, sarà meglio portarti in centrale ed avvertire il tuo capo di stato, saranno lieti di sapere che godi di ottima salute, non trovi?»
Il pubblico ufficiale fece un cenno ad un collega che si avvicinò al ragazzo brandendo un paio di manette. Hwoarang rimase in silenzio fino all’ultimo e quando questi gli fu a portata di mano gli mollò un pugno in pieno viso facendogli scivolare le manette di mano. A quel punto i membri delle forze dell’ordine che lo circondavano si fecero avanti insieme per immobilizzarlo, ma il rosso si destreggiò tra di loro assestando calci e pugni e schivando con prontezza i colpi di manganello. Con una giravolta riuscì a stendere due uomini, altri due li mise K.O. afferrandoli per le spalle e unendo le loro teste con violenza. Prima ancora che qualcun altro potesse chiamare rinforzi tramite il walkie talkie, Hwoarang montò in sella alla sua Ducati Monster e si dileguò nella notte.
A quel punto decise di fare retro-front e tornare alla Mishima Zaibatsu, ormai aveva perso d’occhio l’elicottero della Tekken Force e nel buio sarebbe stato impossibile trovarlo.
Tuttavia non riusciva a darsi pace chiedendosi se Jin Kazama fosse ancora in vita.
 
 
***

 
Heihachi lasciò l’atrio principale e si nascose dietro una porta di fronte alla scalinata che conduceva al primo piano, quando fu certo di trovarsi al sicuro premette un tasto che fece ritirare le catene. Udì il tonfo dei corpi di Jin e Kazuya che cadevano sgraziatamente e i loro gemiti di dolore. Prima ancora che avesse il tempo di sporgersi per guardare di sotto, entrambi si erano già sollevati in piedi e si scrutavano da due direzioni opposte. Respiravano affannosamente mentre si studiavano.
Jin aveva visto lottare il padre grazie ai filmini di Baek, e Kazuya aveva visto combattere il figlio l’anno precedente contro True Ogre, ma nessuno sapeva davvero cosa aspettarsi dall’altro.
Jin assunse la posizione d’attacco, e sulla gola del padre si formò un groppo grande quanto una mela quando gli vide effettuare i gesti che aveva imparato ad associare a Jun. Per un attimo gli parve quasi di rivederla quando posò lo sguardo sui grandi occhi nocciola di Jin, anche se gli occhi della donna non l’avevano mai fissato con tanto disprezzo.
«Hai abbandonato mia madre quando era incinta.»
Jin si sarebbe aspettato qualsiasi risposta, ma si stupì quando udì l’uomo ridere. Era una risata amara e senza gioia che echeggiò in quel luogo spettrale facendogli rizzare i capelli dietro la nuca.
Il solo motivo per cui aveva lasciato Jun era causato proprio dalla sua presenza nel ventre della donna. Il gene del diavolo si era sviluppato in Jin sin dal suo concepimento, poiché Kazuya lo possedeva in corpo, anche se ancora non lo sapeva.
La presenza di quel minuscolo essere non ancora formato gli provocava una forte rabbia nei confronti della donna. Decise di abbandonarla l’esatto momento in cui aveva provato il desiderio di picchiarla, sentì che per il suo bene sarebbe stato meglio se si fosse dileguato nel nulla ed era stato allora che gli uomini di suo padre l’avevano catturato e imprigionato e il vecchio aveva compiuto la sua vendetta gettandolo nella gola del monte Fuji, dove sarebbe morto, se non avesse avuto il gene del diavolo.
Jin attese invano una risposta, avrebbe voluto una spiegazione, si sarebbe persino aspettato un insulto, ma quel silenzio non lo tollerava. Furente strinse i denti e prese la ricorsa col braccio teso, ma Kazuya si spostò con agilità e Jin finì per colpire l’aria.
«È tutta colpa tua se mia madre è morta, tu l’hai condannata.»
Urlò a denti stretti desideroso di provocargli una qualsiasi reazione, ma di nuovo Kazuya tacque.
«Rispondimi, codardo!»
La voce rotta con cui parlò lasciò trasparire tutta la sua sofferenza. Kazuya avrebbe voluto volentieri controbattere qualcosa, ma non ci riuscì perché sentì che l’accusa lanciatagli fosse veritiera. Lui l’aveva condannata, Heihachi aveva ragione, l’aveva messa incinta piantando nel suo ventre il seme malvagio, portando avanti una generazione di dannati. Mentre questa consapevolezza si faceva spazio nel suo immaginario sentì il suo corpo iniziare a mutare. Conosceva bene quella sensazione, presto avrebbe perso il controllo delle sue azioni e del suo volere. La rabbia cresceva nel suo corpo, il sangue ribolliva e le sue vene disegnavano strane linee sulle sue braccia mentre si trasformava. Kazuya spalancò gli occhi come un indemoniato e, con un urlo raccapricciante si tramutò in demone.
Jin osservó lo spettacolo con sconcerto, vide il corpo dell’uomo cambiare colore sino a divenire violaceo, sulla sua schiena, all’altezza delle scapole, si aprirono due tagli profondi da cui si spiegarono delle grandi ali, la pelle all’altezza del suo coccige si spaccò alla stessa maniera e ne fuoriuscì una coda, le unghie delle mani e dei piedi si allungarono sino a diventare artigli, dalla testa spuntò un paio di corna lunghe almeno trenta centimetri e la cicatrice sul suo petto divenne ancora più visibile. Le urla agghiaccianti di Kazuya gli diedero i brividi, e Jin poté solo immaginare quanto doloroso dovesse essere. Un attimo dopo di fronte a lui c’era la stessa creatura mostruosa che aveva incontrato lo scorso anno.
Jin non sapeva se Kazuya avesse una qualche traccia di umanità, ma era certo che quella cosa dinnanzi a lui non ne avesse. Devil si levò in volo e si diresse a tutta velocità contro il giovane. Jin venne scaraventato al suolo, troppo sconvolto per riuscire a muoversi e porre resistenza. Il diavolo disegnò dei cerchi concentrici in aria, poi planò come una trottola e lo colpì in pieno volto.
Kazuya non aveva più alcun controllo sul suo corpo, il mostro che lo abitava aveva preso il sopravvento.
Jin subì i colpi senza riuscire a reagire, aveva il setto nasale rotto e le labbra spaccate, e il sangue color vermiglio che sgorgava dalle sue ferite fresche si mescolò conferendogli un aspetto a dir poco patetico. Kazuya l’aveva quasi accecato colpendolo in viso, il suo occhio si gonfiò diventando violaceo.
Come poteva competere con quella cosa lì? Mentre suo padre continuava ripetutamente a picchiarlo graffiandogli le braccia con i suoi artigli la voce di sua madre rimbombò nella sua mente “Jin scappa!” L’ultima volta che si era sentito così inutile era stato quando True Ogre aveva fatto irruzione a casa sua e aveva distrutto ogni cosa sul suo cammino. Jin lo sapeva che il vero responsabile della morte di Jun era lui stesso, se non fosse stato così codardo, se non avesse perso tempo e avesse contrattaccato immediatamente, l’orco avrebbe risparmiato sua madre. Non era lei il suo obiettivo, ma lui.
Continuava a pensarci mentre il padre lo attaccava, e si odiava per aveva mentito attribuendo la colpa a Kazuya solo per sentirsi meno reo. I suoi occhi s’inumidirono, il cuore prese a battere rapidamente e le vene pulsarono. Sentì un male lancinante all’altezza del petto e le sue ginocchia cedettero facendolo cadere. Per un attimo credé di morire, ma stranamente più avvertiva dolore più sentiva la sua energia aumentare, diventando sempre più forte. Sentì che la pelle dietro alle sue spalle si squarciò, le sue unghie crebbero a dismisura sotto i guanti di pelle rossa e avvertì una fitta alla testa, come se si stesse spaccando. Urlò di dolore afferrandosi il capo tra le mani e sotto alle dita sentì qualcosa di affilato che nasceva dalla sua testa, mentre la ferita dietro alla schiena si risanava.
Fu un attimo di puro panico, vide un’accecante luce bianca, poi tutto finì d’un tratto così com’era cominciato.
La trasformazione in demone era avvenuta.
 
***


Nina fissò quello spettacolo raccapricciante con sconcerto. Era arrivata giusto in tempo per udire i due uomini parlare. Fu uno choc scoprire che Kazuya fosse vivo e che Jin fosse suo figlio, adesso comprendeva perché Heihachi ci tenesse tanto a farlo fuori, tuttavia non riusciva a spiegarsi il fenomeno che aveva appena visto per ben due volte: sia Kazuya che Jin si erano trasmutati in qualcosa che andava contro ogni più fervida immaginazione.
La scena era così surreale che rimase pietrificata e per un attimo di scordò persino del vecchio.
Padre e figlio si sollevarono in volo continuando la lotta che avevano iniziato, entrambi erano molto più agili e forti e lei non avrebbe saputo indovinare chi dei due potesse avere la meglio.
Mentre seguiva lo scontro si accorse della presenza di qualcuno al primo piano, che come lei sembrava ipnotizzato dal duello. Si costrinse a distogliere lo sguardo e salì due alla volta i gradini di pietra fino a che non si trovò faccia a faccia con Heihachi.
«Che ci fai qui?»
Domandò l’uomo dopo un attimo di titubanza dovuto alla sorpresa.
«Come hai potuto?»
Riuscì solamente a dire mentre le mani le tremavano per la rabbia. Nina era tutt’altro che emotiva, raramente si lasciava sopraffare dalle emozioni o dai sentimenti, e per lei uccidere era un semplice passatempo, alla pari di bere un whiskey invecchiato davanti al caminetto o leggere un thriller a bordo piscina, ma c’erano cose che non riusciva a sopportare: ammazzare un rivale finanziario, un pericoloso concorrente o una spia era un conto, ma un membro – anzi due – della propria famiglia non era concepibile. Suo padre aveva dato la propria vita per salvare lei e Anna quand’erano poco più che bambine e per lei questo era sempre stato sacro, forse per questo motivo non riusciva ad accoppare Anna, nonostante la rivalità che le legasse. Loro due avevano condiviso troppe cose, erano membri di un’unica realtà e assassinare sua sorella sarebbe stato come assassinare una parte di sé.
«Sei il bastardo più schifoso che abbia mai incontrato.»
«Nina, non ti credevo così sentimentale.»
La canzonò Heihachi ridendo sotto i suoi baffi a spazzola, e Nina ricambiò il gesto con spavalderia.
«Sai com’è, la maternità rende noi donne più emotive.»
Il ghigno sparì dal volto del vecchio, lei sapeva.
«L’ho fatto in nome della scienza.»
«Senza il mio consenso.»
«Non essere ridicola, che avrei dovuto fare? Fermare il sonno criogenico per chiederti il permesso? Sei sempre stata una donna ragionevole, sapevo che avresti compreso.»
«Allora perché diamine non me ne hai parlato?»
«Andiamo Nina stai esagerando! Non possiamo porre fine alla nostra longeva cooperazione per uno screzio da niente, in fondo tu hai solamente prestato degli ovuli, questo non ti rende davvero sua madre. Ti pagherò per il disturbo, sai che so essere molto generoso.»
Disse con diplomazia sperando di mettere la donna a tacere, non era il momento di occuparsi di Nina, si sarebbe preoccupato di disfarsi lei subito dopo aver finito con Kazuya e Jin.
La donna soppesò l’offerta per un po’, poi gli sorrise. Alzò un braccio con l’intento di stringergli la mano e l’uomo accettò ricambiando il gesto.
«Ti costerà cara questa. Ad ogni modo cosa cavolo succede a quei due piccioni fuori misura?»
Chiese con finto disinteresse.
«Oh lo sai, mutazione genetica...»
Rispose vago Heihachi con un cenno della mano che minimizzava la faccenda.
Mentre guardava i suoi eredi sfidarsi immaginò a come l´avrebbe uccisa, sarebbe stata una cosa lenta, con molto sangue e si sarebbe masturbato sentendola supplicare pietà. Oh sì, sentiva già l’eccitazione crescere immaginando il petto nudo di Nina squarciato a metà sullo sterno.
«Come li hai portati qui?»
Chiese lei costringendolo a reprimere i suoi pensieri.
«Le catene neutralizzano i loro poteri.»
«Ah quasi dimenticavo...»
Proseguì l’irlandese sovrappensiero.
«Ho ucciso il tuo pilota, ma non credo sia un problema, in fondo tu stasera non ci torni a casa.»
Heihachi aveva ancora la bocca aperta quando Nina lo calciò facendolo precipitare di sotto.
«Muori schifoso figlio di puttana!»
Strillò impugnando la sua fedele pistola e cominciando a sparare a raffica. Heihachi cadde supino, ma si risollevò in fretta, sopra di lui Jin e Kazuya smisero di lottare distratti dal rumore della sua usp match 9 mm. Kazuya decollò verso di lei per primo, mentre la donna si lasciò cadere di sotto atterrando sui tacchi a spillo.
«Maledizione!»
Urlò correndo verso le catene, intenzionata ad afferrarne una per limitare i poteri dei demoni.
Heihachi aveva approfittato della distrazione di Kazuya per scappare, ma Jin l’aveva intercettato e gli si parò davanti per colpirlo in pieno volto con un pugno.
Nina sparò un colpo alla cieca colpendo Jin sulla spalla, che si accasciò per il dolore lasciando la via libera a Heihachi, che corse via più velocemente che potesse.
Jin seguì il padre e si fiondò su Nina, mentre questa correva come una forsennata verso il lato opposto dell’androne riuscendo finalmente ad afferrare una delle catene. Con agilità, la fece roteare dietro il collo di Jin, quello cadde per terra tornando alla sua forma umana. Quando vide in giacere inerme sul pavimento si precipitò ad afferrare l’altra catna, ma Kazuya comprese le sue intenzioni si levò ancora più in alto nell’aria e abbandonò il tempio attraverso una fenditura nella parete.
«Vigliacco!»
Strillò a pieni polmoni lanciandogli la pistola che però non lo raggiunse e ricadde per terra emettendo un sordo tonfo. Adesso che la battaglia era finita quel posto era diventato sinistramente silenzioso e il rumore dei suoi passi veniva amplificato dall’eco dell’atrio vuoto.
Jin, a pochi passi da lei respirava affannosamente, le catene erano troppo strette attorno al suo collo ma lei non era certa di poterle rimuovere, e se il giovane si fosse ritrasformato in quella cosa? Tutto sommato non poteva neppure permettere che crepasse impiccato.
Fece un lungo sospiro e lo capovolse sottosopra, con la seconda catena gli legò le mani dietro alla schiena e infine lo liberò da quella specie di cappio.
Non poteva abbandonarlo senza avergli carpito qualche informazione riguardo a ció che aveva appena visto. Ormai era diventata un’indesiderabile, proprio come il ragazzo, Heihachi avrebbe dato loro la caccia e non si sarebbe arreso fino a quando non avesse visto i loro corpi esanimi.
Facendo uno sforzo enorme afferrò Jin da sotto le braccia e lo trascinò di peso verso la sua auto senza curarsi degli sfregi che gli stava procurando, si sarebbero uniti agli altri e non ci avrebbe neppure fatto caso. Aprì lo sportello posteriore e sollevò il suo corpo quanto bastava per infilarlo in malo modo nel sedile posteriore, poi si mise alla guida e accese il motore diretta verso l’ignoto.

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Capitolo 12
*** Cap. XI - Il tradimento di Nina ***


Capitolo XI
 – Il tradimento di Nina
 
«Dannazione!»
Si ripeteva Nina a intervalli irregolari mentre spingeva il piede sull’acceleratore e lanciava occhiate nervose allo specchietto retrovisore che le ricambiava l’immagine della schiena di Jin. Il ragazzo era ancora privo di sensi, la catena gli cingeva i polsi impedendogli non solo di ritrasformarsi nuovamente in quella cosa spaventosa ma anche di cogliere Nina di sorpresa se per caso avesse ripreso conoscenza all’improvviso; in quello stato sembrava piuttosto innocuo ma si disse che era meglio non fidarsi di quel giovane, dopotutto nelle sue vene scorreva il velenoso sangue Mishima.
Le luci dei lampioni scorrevano dinnanzi a lei come stelle cadenti mentre li superava a gran velocità ingranando la sesta marcia. Heihachi li avrebbe trovati, la sua automobile era dotata di un sistema di rilevamento collegato direttamente all’account del vecchio, quello avrebbe avuto il tempo di tornarsene alla Zaibatsu ed accendere il suo portatile per rintracciarli. Senza distogliere lo sguardo dalla strada accese il navigatore satellitare e digitò qualcosa sullo schermo che si accese di blu illuminando l’interno della vettura, Nina smanettò con i pulsanti fino a quando una voce metallica femminile parlò.
«Ciao Nina, dove desideri recarti?»
Domandò con tono piatto da replicante.
«Trovami un albergo nei dintorni.»
Pronunciò la bionda con voce annoiata scandendo bene le parole, sul display apparve una piccola clessidra e poi si aprì una mappa dettagliata dell’area.
«Ho trovato un risultato per hotel nei paraggi a circa 97 km dalla tua posizione attuale.»
Dichiarò la voce robotica senza alcuna emozione.
«Se prosegui a questa velocità raggiungerai la tua meta in…»
Nina diede una rapida occhiata alla cartina digitale e spense l’apparecchio, odiava il suono di quella voce e in generale non sopportava i rumori molesti.
Jin emise un suono a denti stretti, ma non si mosse di un solo centimetro.
«Dannato Kazama devi darmi delle spiegazioni.»
Borbottò a bassa voce tra sé e sé, chiedendosi che metodo avrebbe dovuto adoperare con lui. Di solito usava un approccio che le piaceva definire “amichevole”, sedeva di fronte alle sue vittime e poneva loro una raffica di domande contraddittorie, in base al tono della voce o al movimento del corpo intuiva se stessero mentendo o dicendo la verità e in quel caso decideva come proseguire. Ai bugiardi riservava le maniere forti, si divertiva un mondo sbizzarrendosi con i più disparati metodi di tormento, aveva letto tutto sulla tortura cinese e ne aveva tratto l’ispirazione per alcune pratiche, ma non riteneva opportuno farsene uso per punire Jin, con ogni probabilità il dolore fisico avrebbe risvegliato la creatura demoniaca che lo abitava e questa era una cosa che voleva assolutamente evitare. Si dispiacque di non essere riuscita a intrappolare anche Kazuya, sarebbe stato molto più conveniente servirsi di entrambi, ma l’uomo era stato più svelto a comprendere le sue intenzioni e a dileguarsi. Da quel poco che era riuscita a vedere, Kazuya era molto più abile di Jin a controllare i movimenti della bestia, molto più agile nel volo e sembrava addirittura persino più lucido. Le parve che Devil Jin fosse spaesato, del tutto incapace di intendere o volere, quasi spinto da un istinto animalesco, ma era pur vero che il padre fosse un combattente molto più esperto e forse la sua padronanza del demonio dipendeva anche da questo.
Sentiva il cuore farsi sempre più piccolo dentro al suo petto, come se la gabbia toracica si stesse lentamente restringendo e dovette aprire il finestrino per fare circolare l’aria, ma sembrava che i suoi polmoni avessero dimenticato come funzionare. Aveva creduto che Kazuya fosse morto, quell’improvvisa apparizione l’aveva lasciata di stucco. Non l’avrebbe mai ammesso ad alta voce, ma molti anni prima aveva nutrito dei sentimenti nei suoi confronti, o forse si trattava solamente di istinti primordiali. Nina era conscia della propria bellezza, ogni uomo che avesse mai incontrato era finito per soccombere al suo fascino – persino Heihachi – ma per qualche inspiegabile ragione Kazuya era del tutto impassibile al suo charme, tanto che alla fine si era persino illusa che fosse completamente asessuato. E invece adesso veniva fuori che aveva persino avuto un figlio.
Infilò la mano destra nella borsa che aveva gettato con poca grazia sul sedile del passeggero e cercò a tentoni il suo pacco di Benson & Hedges, forse il fumo non avrebbe giovato alla spiacevole sensazione asmatica che le stringeva l’esofago ma avrebbe certamente alleviato la tensione che provava. Inspirò una lunga boccata di fumo sentendosi immediatamente meglio.
Imprecò sottovoce espirando il fumo dalle narici e scuotendo la testa convulsamente.
Perché diavolo le importava ancora? Erano passati più di vent’anni da allora.
Si rese conto che a turbarla così profondamente era la consapevolezza che Kazuya fosse sì in grado di provare attrazione verso qualcuno, ma quel qualcuno non era lei; la batosta più grande l’aveva subita non il suo cuore ma il suo orgoglio.
Andando contro alla sua regola “niente rumori molesti” accese lo stereo nella speranza che la musica sovrastasse il rumore caotico dei suoi pensieri impedendole di corrucciarsi ancora su quella vecchia faccenda. Jin emise un rantolo scivolando sul fianco, Nina lo guardò dallo specchietto posto all’altezza dei suoi occhi.
«Non adesso ragazzino.»
Gracchiò aumentando la velocità.
«È meglio che te ne stia in coma fino a quando non avrò attuato il mio piano. Sveglio mi saresti solo d’intralcio.»
Non le era mai piaciuto lavorare in coppia e si era sempre rifiutata di farsi affiancare da un complice convinta che qualsiasi individuo fosse troppo incapace e l’avrebbe sicuramente rallentata nell’eseguimento delle sue missioni. Non voleva che quel moccioso le stesse tra i piedi mentre lavorava, svenuto aveva probabilmente una maggiore utilità.
L’autostrada era prevalentemente rettilinea, deserta a quell’ora di notte e sembrava incoraggiarla a spingersi al limite, ad accelerare fin quando il pedale non avesse toccato il fondo dell’auto. La freccia del tachimetro segnava i 220 km/h ma a lei piaceva la velocità, le provocava un brivido di piacere all’altezza del ventre, qualcosa che solo un rapporto sessuale era in grado di eguagliare.
Un’insegna stradale l’avvertì che l’albergo che poco prima aveva cercato sul suo navigatore era ormai vicino e distava solamente 15 km.
La radio trasmetteva una canzone sdolcinata dal ritmo lento che le fece storcere il naso, odiava quel genere di musica e non capiva perché mai tre quarti delle canzoni dovesse parlare d’amore, come se fosse una cosa di vitale importanza. Per quanto la riguardava era piuttosto scettica sull’argomento dato che nel corso della sua esistenza non aveva mai provato nulla di simile. Certo era piacevole flirtare con qualcuno, sentire il peso del suo sguardo addosso e avvertire il desiderio crescere fino ad esplodere, ma l’emozione svaniva nel momento stesso dell’orgasmo. Non le era mai capitato di fare sesso due volte con lo stesso uomo, era una donna volubile che si lasciava guidare dagli eventi e poi subito dopo aver provato il coito con qualcuno non le restava più nulla da scoprire, tutto diventava irrimediabilmente noioso. A lei piaceva vivere emozioni forti e quelle si provano solamente all’inizio quando tutto è ancora misterioso, mentre dopo, quando sapeva già cosa aspettarsi, la magia svaniva e lasciava il posto ad una specie di routine. Forse era per questo che si ostinava ancora a pensare a Kazuya, perché non aveva avuto l’occasione di sfogare i suoi desideri e lasciarsi tediare anche da lui.
Quando si accorse di stare ancora speculando sul suo conto batté un pugno contro il quadro di fronte a lei e cambiò immediatamente stazione radio lasciando che le note del pianoforte venissero sostituite da un beat contemporaneo senza ritmo o personalità e cercò di seguire le note battendo a tempo il dito sul volante, questo l’avrebbe tenuta impegnata fino a quando non avesse raggiunto la sua meta.
 

 
***
 

L’idea di spegnere i fari era stata geniale, era riuscito a seminare le volanti degli sbirri infiltrandosi nei budelli anonimi di uno dei quartieri peggiori della capitale nipponica. Ormai il velivolo Mishima doveva essere lontano e non aveva alcuna possibilità di rintracciarlo. Si maledisse per essersi fatto beccare, adesso chissà dove fosse Heihachi, e con lui Jin. Era certo che il vecchio fosse riuscito a prenderlo alla fine, ma non aveva alcuna intenzione di sentirsi colpevole, quante volte gli aveva suggerito di restare uniti per evitare qualche spiacevole imboscata? Ma quel tipo era così cocciuto che aveva preferito non dargli retta e si era fatto fregare di brutto.
In una piccola parte del suo cuore il coreano provò un moto di compiacimento dicendosi che Kazama se lo fosse cercato e che chi è causa del suo male... Tuttavia, il senso di soddisfazione non durò a lungo, in qualche modo sentì di aver deluso Baek. Avrebbe dovuto ignorare le proteste di Kazama e insistere di più, avrebbe dovuto scortarlo ovunque, pedinarlo se necessario. Baek sapeva qualcosa che lui ignorava, aveva già intuito il pericolo in cui sarebbero incorsi ma lui l’aveva sottostimato e, per quanto ne sapeva, adesso il suo coetaneo poteva essere già morto.
Urlò in preda alla rabbia colpendo un pugno contro alla parete più vicina, le nocche delle dita si sbucciarono e il sangue macchiò la sua mano dalla carnagione diafana. Hwoarang rimase rapito da quello spettacolo e fissò senza espressione il liquido vermiglio brillare sotto al chiarore della luna. Gli occhi castani tremarono mentre le gocce scivolavano dalle falangi e cadevano per terra. Quel gesto gli aveva provocato un certo dolore, ma non era niente in confronto alla consapevolezza di aver disonorato il suo allenatore. Strinse i denti e digrignò sonoramente, poi serrò di nuovo le dita dentro il palmo e picchiò il muro con più violenza sfogando sul cemento inanimato tutte le sue frustrazioni. Percosse e ripercosse la parete un numero infinito di volte, il rivestimento si sgretolò e una leggera polvere bianca si mescolò col rosso del suo sangue.
«Ehi giovanotto cosa credi di fare? C’è gente che vuole dormire.»
Un vecchio si era appena affacciato sul balcone e gli aveva urlato contro brandendo un bastone da passeggio, non si era reso conto del baccano che aveva provocato, si fermò di scatto e sollevò lo sguardo verso di lui.
«Mi… Mi dispiace.»
Riuscì a dire ansimando respirando i detriti dello stucco.
«Voi stranieri siete tutti dei combina guai! Smettila di picchiare il muro e vattene dal mio quartiere o te la vedrai con la polizia, ci siamo intesi?»
Avrebbe voluto ribattere qualcosa ma non aveva alcuna voglia di farsi inseguire un’altra volta per cui incassò l’offesa e montò in sella alla sua moto diretto nell’unico posto che conosceva a Tokyo, la Mishima Zaibatsu.
 

 
***
 

Dopo una lunga perquisizione nel parcheggio all’aperto dell’albergo, Nina trovò finalmente l’auto che faceva per lei, un’anonima Opel Corsa D grigia. Certo era più malconcia della sua Audi TT e aveva una cilindrata decisamente più scarsa ma le era indispensabile per non farsi trovare da Heihachi. Forzò il lucchetto con estrema facilità e si abbassò sul sedile anteriore per collegare i fili. Quando l’auto fu in moto la condusse fuori dal piazzale di sosta e guidò fino al ciglio della strada in cui aveva abbandonato Jin e la sua vettura. Con un sospiro si rimboccò le maniche e, facendo molta fatica, afferrò il ragazzo dai piedi tirandolo fuori dall’auto.
«Certo che tutti questi muscoli pesano un accidente!»
Dichiarò a denti stretti mentre la fronte s’inumidiva di sudore. Quando le gambe furono fuori sino alle ginocchia lo afferrò dal bacino e ripeté il movimento, poi fece lo stesso afferrandolo da sotto le ascelle.
«Possibile mai che continui a dormire?»
Urlò stizzita facendo altra fatica per rificcarlo dentro l’Opel, ma quello non ebbe alcuna reazione.
Dopo aver ripreso fiato aprì il serbatoio della benzina della sua Audi e v’infilò dentro un panno lasciando che il liquido lo inzuppasse quasi del tutto, poi con la morte nel cuore fece scattare il suo accendino e diede fuoco all’estremità asciutta del fazzoletto.
Con la velocità di un giaguaro salì sull’Opel e giocò di frizione e acceleratore allontanandosi quanto più possibile dalla zona. Il boato che ne seguì la informò che la sua missione aveva avuto successo, l’Audi era stata distrutta e con lei ogni possibilità che Heihachi avesse di ritrovarli. Guardò l’incendio dilagare dallo specchietto retrovisore, presto tutti gli ospiti dell’hotel avrebbero lasciato le loro camere per correre a dare un’occhiata di sotto, il proprietario dell’Opel avrebbe notato l’assenza della sua auto e avrebbe chiamato la polizia per denunciare il furto, ma prima che gli agenti si recassero sul luogo e compilassero tutte le scartoffie lei sarebbe stata lontana. L’Opel era più spaziosa della sua vecchia automobile, ma molto più scomoda: il sedile del conducente era affossato, sulla tappezzeria c’erano indelebili macchie scure, i finestrini erano mitragliati di cacca di uccello e l’interno puzzava di cibo andato a male.
«Cazzo Nina resisti, un paio di chilometri ancora.»
Si ripeté tra sé e sé per farsi forza, schiacciando il pedale dell’acceleratore più che poteva, anche se il motore cominciava a singhiozzare superati i 190 km/h.
Guidò per circa due ore seguendo i cartelli stradali che conducevano alla prefettura di Okayama, e quando ritenne di essere ormai al sicuro decise di imboccare le stradine interne per cercare un luogo in cui passare la notte.
Dopo aver vagato senza meta un cartellone pubblicitario catturò la sua attenzione, Ujo Park, era lì che sarebbe andata.
 

 
***
 
Quando Hwoarang tornò alla Mishima Zaibatsu la sicurezza non lo lasciò passare. Dal momento che si era ritirato dal torneo non faceva parte dei campioni, provò ad acquistare un biglietto ma era tutto sold out.
«Questa sì che è una gran stronzata!»
Gridò a pieni polmoni, ma il buttafuori del torneo non si fece impaurire e lo squadrò torvo intimandogli di levarsi dai piedi, e seppure Hwoarang fosse tentato di fargliela vedere dovette desistere quando l´uomo gli mostrò un teaser che teneva in tasca.
Hwoarang imprecò ad alta voce e si allontanò con riluttanza, prendendo posto in una delle panchine poco distanti,
L´intera serata era stata un profondo buco nell´acqua: aveva perso di vista Jin, lasciando che Heihachi (o chi per lui) lo rapisse, aveva abbandonato il ring rinunciando alla succulenta vincita e adesso aveva anche perso l´accesso alla Zaibatsu. Imprecò di nuovo e calciò un bidone dei rifiuti che emise un gran frastuono. Il rumore di passi sull’erba attirò la sua attenzione, si voltò immaginando di trovarsi di fronte il brutto muso della security e si sorprese invece di trovarsi faccia a faccia con Ling Xiaoyu

 

 
***
 

Nina aveva acceso un fuoco e sedeva su un sasso osservando la figura immobile di Jin. Anche se il suo viso le appariva storpiato dal fumo si accorse per la prima volta della somiglianza col padre: le stesse sopracciglia folte, la mascella squadrata e il cipiglio di chi sembra sempre immusonito. Restò a fissarlo per un lasso di tempo indefinito, ed ebbe un sussulto quando le palpebre del giovane vibrarono aprendosi lentamente. Emise un suono, era confuso e spaesato e quando finalmente parve riprendere conoscenza vomitò.
«Oddio che schifo.»
Mormorò Nina alzandosi in piedi per afferrargli la testa ed evitare che annegasse nel suo stesso vomito.
«Cerca di fare in fretta ed evita di sporcarmi gli stivali.»
Gli ordinò ma lui non aveva udito una sola parola perché il rumore dei suoi conati aveva superato la voce profonda della donna.
Quando finalmente ebbe finito, Nina lo aiutò a risedersi e gli si parò di fronte. Jin era pallido, sconvolto e aveva delle profonde occhiaie scure sotto gli occhi, che insieme alle ferite infertegli da suo padre gli conferivano un aspetto pietoso.
«Spiega.»
Disse con voce rotta guardandola con disprezzo.
«Spiegare cosa?»
Domandò lei accendendosi una sigaretta.
«Dove sono, che ci faccio con te e perché ho le mani legate.»
Parlare gli costava un’enorme fatica, Nina si accorse che tremava.
«Ragazzino sei tu che mi devi delle spiegazioni.»
«Su che cosa?»
«Mi prendi per il culo? Su che cosa? Un paio d’ore fa eri una specie di uccello-demone cornuto, perché non parliamo di questo, per esempio?»
Jin scosse la testa come per scacciare un pensiero fastidioso.
«Credevo di averlo solamente sognato, è successo davvero?»
Era sincero, i suoi occhi tradivano la paura. La bionda si limitò ad annuire.
«Non so che cosa sia successo, è stata la prima volta. Era come se… Se fossi posseduto. C’era una voce dentro la mia testa, mi diceva delle cose…»
«Una voce nella testa? Per questo genere di roba dovresti rivolgerti ad uno strizzacervelli, lo sai?»
«Non sto scherzando, dannazione! C’era veramente una voce.»
Urlò il giapponese in preda alla rabbia.
«Mi diceva di ucciderlo, che se l’avessi ucciso lui avrebbe lasciato il mio corpo. Diceva che era colpa del padre se tutto aveva avuto inizio, che il padre doveva pagare per i suoi errori altrimenti saremmo stati tutti condannati.»
La sua voce era rotta dall’angoscia, gli occhi erano fuori dalle orbite e aveva cominciato a tremare più forte. Nina si alzò e camminò verso l’automobile, parcheggiata a pochi metri di distanza.
«Cosa stai facendo, te ne vai? Hai intenzione di lasciarmi marcire qui? Di farmi ***
morire in modo naturale? Ti ha ingaggiato lui, è vero? Lo sapevo, lavori per lui, ti sporchi le mani al suo posto.»
L’irlandese lo ignorò e aprì il portabagagli, cercò qualcosa e poi tornò indietro con le mani piene Jin socchiuse gli occhi per cercare di vedere cosa fosse ma il chiarore del fuoco rendeva l’oscurità ancora più buia. Quando gli fu vicino, Nina gli lanciò una coperta.
«Lavoravo per lui.»
Specificò riprendendo posto davanti al ragazzo.
«Mi sporcavo le mani per conto suo. E sì, mi aveva ingaggiata per scovarti ed ucciderti. Sei contento adesso? A parte la follia, hai un buon intuito.»
«Non sono folle, dannazione, è successo veramente!»
Urlò lacerando il silenzio della notte ma Nina non reagì.
«Non era mai successo prima d’ora. I miei ricordi sono confusi, ero alla Mishima Zaibatsu nella mia stanza e degli uomini sono entrati e mi hanno sedato. Poi ricordo una stanza buia, illuminata solo da alcune candele, c’era Heihachi e anche Kazuya. Lui ha detto delle cose… Lo ha fatto di proposito, voleva farci infuriare. Poi ricordo solo di aver sentito un enorme dolore percorrermi la schiena, forarmi la testa e un attimo dopo stavo volando, mi scontravo con Kazuya e il mostro mi bisbigliava di ucciderlo, prima che lui uccidesse me.»
Aveva continuato in un sussurro, fissava le fiamme danzanti del falò sforzandosi di ricordare.
«E poi c’eri tu.»
Disse improvvisamente alzando il tono della voce e guardando Nina negli occhi.
«Mi hai sparato, hai lasciato che Heihachi fuggisse via.»
La donna lo ascoltava in silenzio.
«Kazuya sapeva già farlo, se tu non fossi intervenuta mi avrebbe ucciso. Era inevitabile.»
Le riservò uno sguardo carico di gratitudine, credeva gli avesse salvato la vita, ignorava che in realtà lei fosse interessata solamente a scoprire cosa ci fosse dietro quella storia.
«È un esperimento Mishima? Ti hanno forse iniettato qualcosa nelle vene?»
«No.»
«Ne sei sicuro?»
«Sì.»
«Non è che per caso quando sei stato sedato ti hanno iniettato qualche siero?»
«No.»
«Come fai a esserne sicuro?»
«Perché quella cosa era dentro il mio corpo maledizione, mi parlava,  è per questo che lo so!»
Ringhiò lui alla fine costringendola a tacere.
«Ascolta, non mi importa un accidenti se mi credi o meno, se preferisci pensare che io sia fuori di testa fa’ pure, spiegami solo come intendi uccidermi e facciamola finita una volta e per tutte, legato non posso certamente opporre alcuna resistenza.»
Nina strinse gli occhi e lo studiò con interesse.
«Non voglio ucciderti. Heihachi mi ha tradita, quindi non mi sporcherò più le mani per conto suo.»
Rimasero per un attimo in silenzio a fissarsi, nessuno dei due era veramente certo di potersi fidare dell’altro, ma una cosa era certa: avevano un nemico in comune.
«Perché sei tornato a Tokyo? Lui sapeva che l’avresti fatto, il torneo era solo un pretesto.»
«Lo so.»
«Allora perché non sei rimasto nascosto dov’eri?»
«Non mi stavo nascondendo.»
«Beh, avresti dovuto. Io e la Tekken Force ti davamo la caccia.»
«E avete fallito.»
Concluse al posto suo con una certa supponenza che irritò l'irlandese.
«Ovviamente, per questo ha indetto l’Iron Fist, e tu sei stato uno sciocco a presentarti.»
«Io non sono un codardo, Heihachi mi ha lanciato una sfida ed io l’ho accettata.»
«Bene, adesso sappiamo cosa avesse in mente.»
Jin sorrise beffardo.
«Questo sì che è di conforto.»
Commentò amaramente sistemandosi meglio sul tronco sul quale sedeva.
«C’è solo una cosa che non mi è chiara, Nina: se non hai intenzione di uccidermi perché ho le mani legate?»
La donna aspirò via l’ultima boccata di fumo e gettò il mozzicone tra le fiamme.
«Le catene ti impediscono di trasformarti nuovamente in quella cosa, lo faccio solo per salvarmi la pellaccia, non ci tengo mica a essere divorata.»
Jin rise, i suoi grandi occhi scuri si rilassarono e le labbra si curvarono impercettibilmente, era un sorriso stanco e affaticato senza troppa allegria ma Nina lo trovò irresistibile.
«Non mi trasformerò.»
La sua voce era calda e lei si lasciò ipnotizzare dalle sue grandi labbra carnose. Per la seconda volta quella sera provò il senso di vuoto all’altezza dello stomaco, qualcosa si mosse nel suo bassoventre e si sentì quasi in gabbia.
«Scordatelo, si fa a modo mio.»
Disse riuscendo a mantenere un certo distacco, si stava facendo trascinare dagli impulsi e non andava bene.
«Rimarrai incatenato fino a quando non avrò deciso il contrario.»
Sentenziò infine, sperando che almeno questo l’avrebbe tenuto a debita distanza.
Eppure si sentiva inappagata, prima di quel momento non si era mai negata nulla, e lei non era brava a resistere alle tentazioni.

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Capitolo 13
*** Cap. XII - Spiriti ***


Capitolo XII
 – Spiriti

Heihachi schiacciò il mozzicone della sua sigaretta in cima alla piramide di cicche che era riuscito a produrre in quelle poche ore, e quella, in bilico, scivolò bruciacchiando il legno pregiato della scrivania. L’uomo imprecò ad alta voce e batté un pugno contro la colonna di cemento tra le grandi vetrate del suo studio.
Come era possibile che avesse di nuovo fallito? Era tutta colpa di Nina, se non si fosse intromessa uno dei due sarebbe morto, ne era certo, aveva visto con quanta foga Jin e Kazuya si battevano, erano intenzionati ad uccidersi.
La ricerca della donna era stata infruttuosa, ma non se ne sorprese, l’ultima posizione che il suo gps rilevava era nei pressi di uno squallido hotel sul ciglio di una strada, dove casualmente si era verificato un incendio ai danni di un´Audi TT.
Quella donna lo aveva ingannato guardandolo dritto in mezzo agli occhi, non c´era che dire, aveva imparato molto da lui negli ultimi anni. Una come Nina era meglio averla dalla propria parte, come nemica poteva essere molto pericolosa.
Heihachi aveva perso un grande alleato, lo sapeva, e dal momento che Nina conosceva bene le sue abitudini e la Zaibatsu doveva rinforzare le sue protezioni, era certo che la sua vendetta non sarebbe tardata ad arrivare.
Guardò attraverso la propria finestra, era notte ma Tokyo era illuminata a giorno, gremita di gente di tutte le età che se ne tornava a casa dopo aver assistito allo scontro.
Del torneo non poteva importargli meno, aveva dei problemi molto più grandi, precisamente tre.
Si passò le mani sulle tempie, doveva escogitare un nuovo piano, e questa volta non poteva assolutamente fallire.
Poi, per qualche strano motivo, ripensò a Kazumi.
Faceva di tutto per evitare di rievocare il suo ricordo, ma a volte, senza alcun preavviso, il volto di lei tornava prepotentemente nella sua mente provocandogli fastidio.
Si avvicinò all’armadietto dei liquori ed afferrò una bottiglia di gin Watenshi, il pezzo più costoso della sua dispensa. Lo teneva in serbo per le occasioni speciali, per festeggiare una vittoria particolarmente gustosa o per impressionare i pezzi grossi delle banche estere, ma adesso aveva solamente bisogno di qualcosa che gli ricordasse quanto fosse potente, qualcosa che riuscisse a risollevare il suo umore e a ricucire i pezzi frantumati del suo ego.
Si riempì il bicchiere sino al bordo ed ingollò una generosa dose del liquido incolore. Si sentì improvvisamente invaso da un’ondata di calore mentre la bevanda percorreva l’esofago donandogli una deliziosa sensazione di bruciore.
Da molto tempo non si sentiva così impotente, dal giorno in cui si era disfatto di Jinpachi aveva vissuto in discesa, si era liberato di chiunque costituisse una minaccia per il suo futuro, o almeno così credeva. Possibile che avesse vissuto nella menzogna? Da qualche parte nella sua scatola cranica udì la risata di Kazumi, che il suo spirito si trovasse in quella stanza a farsi beffe di lui?
Lei non era mai riuscita a comprenderlo sino in fondo, troppo occupata a biasimarsi per essere stata obbligata a sposare un uomo che non amasse. Gli aveva sempre addossato le colpe della sua infelicità.
Se era per questo, neanche lui l’aveva mai amata, certo, si era invaghito di lei, in ondo da giovane era molto bella, e aveva convinto il padre di lei a concedergliela come sposa. Se solo avesse saputo quanto fosse fastidiosa, non si sarebbe nemmeno preso il disturbo di pagare i debiti di quel poveraccio.
Quella donna era una pessima moglie, non era servile e remissiva, non taceva quando avrebbe dovuto e non si preoccupava di soddisfare i suoi bisogni. Era una donna ribelle, indocile, gli mancava di rispetto e nonostante i numerosi tentativi di Heihachi di insegnarle e buone maniere a suon di schiaffi, la sua indole non migliorava. Sperava si sarebbe ammansita un poco dopo la nascita di Kazuya, ma quella non era cambiata di una virgola, anzi se possibile era anche peggiorata.
Si autocommiserava spesso, e lui l’odiava per questo, per i suoi inutili piagnistei e per la sfacciataggine di persistere nelle sue convinzioni. La cosa migliore che avesse mai fatto era stata ubriacarsi di arsenico per porre fine alla sua insulsa vita.
Mentre ripensava al suo fallimento gli parve di udire la voce di Kazumi.
«Oh Heihachi, non prenderla così male, vedrai che presto ci farai l’abitudine.»
La sua voce era così cristallina che per un momento dubitò che la donna si trovasse al suo fianco. Scosse la testa, probabilmente l’alcool cominciava a fare effetto.
Si rese conto che il bicchiere tra le sue mani era completamente vuoto e lo riempì nuovamente sino all’orlo, bevendone una lunga sorsata.
Fece scivolare la mano nella tasca del suo giaccone e cercò il cellulare, poi cercò un numero in rubrica. Dopo tre squilli ottenne finalmente risposta dal capo opposto della linea.
«Ti aspetto nel mio studio, cerca di fare in fretta.»
Ordinò prima di riagganciare, poi si verso l’ennesimo sorso di gin.
Presto si sarebbe sentito molto meglio.
 
 
***

 
«Come mai hai abbandonato il torneo?»
Chiese Xiaoyu a Hwoarang sedendosi sulla panchina e invitandolo con lo sguardo a fare lo stesso. Il ragazzo emise una smorfia, non gli piaceva quel termine, associava l’abbandono alla resa e lui non si era arreso, si era solo preoccupato per quell’ingrato di Kazama. A quale scopo poi? Non l’aveva neanche ritrovato. Pensò a Baek e si chiese come avesse reagito il suo maestro apprendendo la notizia e si sentì ancora peggio.
Di fronte al silenzio del ragazzo, Xiaoyu iniziò a parlare dei motivi che avevano spinto lei ad abbandonare il ring.
«Obbligare quella povera bestia a lottare, ma dico ti rendi conto? Non si puó, ecco, è cattiveria allo stato puro e non se lo merita nessuno.»
Hwoarang sollevò un sopracciglio chiedendosi di che cosa diamine blaterasse.
«Panda avrà anche un aspetto aggressivo, grande e grosso com’è, ma io ho visto il terrore nei suoi occhi. Oh, come mi è dispiaciuto doverla abbandonare, ma quella guardia ha insistito che fosse una proprietà della Mishima Zaibatsu e l’ha obbligata a restare all’interno dell’edificio. Ma ci rendiamo conto? L’ha definita una “proprietà”, come se fosse un oggetto e non un essere vivente!»
Xiaoyu si alzò pestando i piedi per terra, odiava le ingiustizie e soprattutto coloro che si sentivano al di sopra delle comuni regole di civile convivenza, persone potenti come Heihachi Mishima, per dirne una.
Hwoarang non commentò, aveva ben altro a cui pensare e gli parve quasi che la ragazza gli avesse letto nel pensiero.
«Non eri insieme a Jin Kazama qualche ora fa?»
Il ragazzo socchiuse gli occhi e imprecò.
«Dannato Kazama. Che ne sai tu di lui?»
Si chiese se non fosse coinvolta nella sua sparizione, ma a guardarla bene non aveva tutta l’aria di essere una spia. La ragazza arrossì violentemente a quella domanda e si affrettò a trovare una risposta plausibile.
«Beh, nulla, ma, ecco… L’anno scorso ha vinto il torneo ed eravate insieme, credevo avesse partecipato, io… Tutto qui, insomma…»
Il rossore delle sue guance e il suo balbettio avevano rivelato più di quanto volesse, Hwoarang sorrise.
«Hai una cotta per lui.»
Era una constatazione, non una domanda, e quando Xiaoyu si affrettò a negare udì chiamare il suo nome. Voltandosi in direzione della fonte vide Miharu e le cose incontro con le braccia aperte.
«Ho passato la prima manche!»
L’informò trionfante l’amica alzando due dita in segno di vittoria. Xiaoyu l’osservò bene e notò solo allora i segni della lotta sul volto dell’amica, che esibiva un occhio nero.
«Oh, ma è fantastico, sono felice per te!»
Le disse Xiaoyu con sincerità. Il fatto che lei fosse stata squalificata non doveva impedirle di fare il tifo per la propria amica.
«Cos’è successo dopo il mio ritiro?»
«Beh, a parte te hanno abbandonato lo scontro anche Nina Williams– come giá sai- e un certo Hwoarang, quindi hanno lasciato che si scontrassero Law e Lee che erano rispettivamente i rivali di quei due, e i classificati al secondo turno a parte me sono Steve, Yoshimitsu, King, Paul, Bryan e Law.»
Xiaoyu le sorrise augurandole buona fortuna per la seconda manche. Solo in quel momento Miharu notò che la persona con cui si trovava non era Jin Kazama.
«Scusa, perché non sei con “tu-sai-chi”?»
 Xiaoyu aprì la bocca per parlare, ma Hwoarang fu più svelto di lei a rispondere.
«Intendi Kazama, la sua grande cotta?»
«Come fa lui a saperlo?»
Chiese Miharu cadendo nella trappola e confermando i sospetti del ragazzo. Xiaoyu arrossì violentemente, ma Miharu al buio non lo notò.
«Oh beh, ad ogni modo adesso devo lasciarti, non posso fare troppo tardi, devo assolutamente riposare in vista dello scontro di domani, ti mando un messaggino.»
E con queste parole si congedò. Solo allora Xiaoyu e Hwoarang si resero conto di non avere un posto in cui passare la notte.
«Beh, farò meglio ad andarmene anche io, devo cercare un hotel per questa notte, e domattina me ne tornerò a Seoul, ci vediamo»
Aveva fatto in tempo a mettersi il casco e a montare sulla Ducati Monster quando Xiaoyu lo fermò.
«Scusa, potresti darmi un passaggio? Anch’io sono rimasta senza un posto in cui passare la notte.»
 
 
***
 

Jin osservava in tralice la figura di Nina, ormai erano in silenzio da un bel po’ e la quiete di quel luogo sembrava quasi religiosa. L’unico rumore era prodotto dal crepitio del fuoco e di tanto in tanto qualcosa si muoveva velocemente tra le foglie facendole tremare.
«Mi formicolano le braccia.»
«Dannazione ragazzo te l’ho già detto, non slegherò quelle maledette catene»
Jin roteò gli occhi.
«Per quanto ancora dovrà durare questo gioco?»
La verità era che Nina non lo sapeva. Certo, prima o poi avrebbe dovuto slegarlo, ma non si fidava di lui, non aveva alcuna certezza che non si sarebbe di nuovo ritrasformato in quella cosa. Rimasero in silenzio ad ascoltare i rumori della natura.
«Perché hai iniziato a lavorare per Heihachi?»
Chiese infine il giovane rompendo nuovamente il silenzio.
«Perché la gente si trova un lavoro? Per i soldi.»
«Doveva pagarti parecchio, se mettevi così a repentaglio la tua stessa integrità morale.»
«Abbastanza.»
Concordò le ignorando la sua provocazione.
«Qual era il prezzo per la mia testa?»
La bionda socchiuse gli occhi fingendo di ricordare, anche se conosceva perfettamente la cifra esatta.
«Più o meno 50.000 yen, esentasse.»
Jin fischiò con ammirazione.
«Valeva quasi la pena sporcarsi le mani.»
Nina non rispose. Poteva provocarla quanto voleva, ma lei e solamente lei sapeva il vero motivo per cui uccideva. Quando le avevano portato via suo padre nessuno aveva provato pietà per lei, perché mai lei avrebbe dovuto averne per il prossimo?
«Immagino si fidasse ciecamente di te, se ti affidava compiti così importanti, quindi che cosa ha fatto per guadagnarsi la tua antipatia?»
«Questi non sono affari che ti riguardano. Ad ogni modo no, non si fidava ciecamente di me. Uomini come Heihachi non si fidano davvero di nessuno, se non di loro stessi, è questo che li rende così potenti.»
Jin notò che c’era una nota di ammirazione nella sua voce e si sentì disgustato.
«Heihachi non è potente, è solo un codardo. Manda gli altri a fare il lavoro sporco per lui. Se invece di mandare il suo mostro fosse venuto lui a regolarizzare i conti io…»
Aveva la voce strozzata e Nina lo notò.
«Beh, mia madre sarebbe ancora viva.»
Concluse con la gola secca.
«Ascolta ragazzo, ciò che ti dirò non ti piacerà affatto.»
Esordì l’irlandese issandosi in piedi e concentrandosi su un punto indefinito al di là della foresta per evitare gli occhi di lui.
«Ma io non credo affatto che l’obiettivo di True Ogre fosse tua madre.»
Anche se non l’aveva visto, era certa che gli occhi di Jin tremarono.
Ma Jin in cuor suo lo sapeva da sempre. Era lui che il mostro aveva attaccato per prima, e se sua madre non si fosse messa in mezzo per difenderlo, forse oggi sarebbe ancora viva. Pareva che Nina potesse udire i suoi pensieri, perché si affrettò a dire.
«Non è colpa tua, ragazzo. Ogni genitore darebbe la vita per il proprio figlio.»
Ripensò a suo padre e alzò gli occhi al cielo come se cercasse la sua figura da qualche parte tra le stelle. Richard era l’unica persona al mondo che Nina avesse veramente amato e allo stesso modo lui era l’unica persona che l’avesse veramente amata.
Ripensò alle parole che aveva appena pronunciato e si accorse di quanto fosse ipocrita. Lei, ad esempio, non avrebbe mai dato la sua vita per Steve. Quel ragazzo era un perfetto sconosciuto, nient’altro che un imbroglio ai danni della sua persona, non di certo un figlio. Lei non l’aveva desiderato, non provava nulla nei suoi confronti e questa cosa non sarebbe mai cambiata.

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Capitolo 14
*** Cap. XIII - La guerra può attendere ***


Capitolo XIII
 
La guerra può attendere 
 
Le grandi mani levigate di Heihachi guidavano la testa della donna avanti e indietro, i suoi capelli bruni si incastrarono tra le sue dita robuste ma lui non importava di farle male, al contrario, l’idea di arrecarle dolore lo eccitava ancora di più.
La sua bocca continuava a succhiare avidamente, il rossetto rosso si era sbavato scivolandole sul mento e sporcando il membro di lui. Mentre lo sentiva ansimare a intervalli irregolari strinse le mani sulle sue natiche conficcandogli le unghie sulla carne, lui urlò ancora più forte e le mollò uno schiaffo sulla guancia, poi allontanò il viso di lei e la guardò dritto negli occhi azzurri. Lei gli lanciò un’intensa occhiata maliziosa, poi lui la sollevò e la condusse sulla sua scrivania, dove l’adagiò senza troppi convenevoli. Anna allargò le gambe facendo cadere tutte le scartoffie, pronta ad accogliere Heihachi dentro di sé. L’uomo sorrise scuotendo la testa. Lei lo guardò con espressione interrogativa, sulla sua faccia si era formata una grossa chiazza rossa proprio dove lui l’aveva colpita, molto probabilmente aveva anche iniziato a pulsare.
«Cosa aspetti?»
Domandò lei impaziente, attirandolo verso di sé.
«Supplicami.»
Ordinò lui. Anna sorrise a sua volta sbattendo le palpebre.
«Sai che lo voglio, che ti voglio.»
Si corresse, cercando inutilmente di avvicinarlo alle sue cosce vogliose ma Heihachi rimase immobile dov’era.
«Ti voglio. Adesso.»
Ripeté la donna in un sussurro avvicinandosi al suo orecchio e leccandogli il lobo ed il trago. L’uomo ansimò più forte, ma non si mosse.
«Ti prego Heihachi, fammi tua.»
Pronunciò le parole lentamente con voce rotta dall’eccitazione. Gli prese la mano e la fece scorrere sul suo corpo, soffermandosi a lungo sui seni tondi e sodi.
Sembrava che le sue lusinghe avessero avuto effetto, perché Heihachi si accovacciò su di lei e le afferrò le gambe portandosele sulle palle, lei le incrociò dietro al suo collo. Poco dopo l’uomo le entrò dentro e si mosse spasmodicamente, facendola urlare di piacere, poi la prese in braccio e la scaraventò sul divano di pelle, dove la costrinse a dargli le spalle e la penetrò nuovamente da dietro. Con una mano le afferrò i capelli obbligandola a guardare all’insù, mentre con l’altra la sculacciava con violenza.
L’aria dentro il suo studio puzzava di sesso, fumo e alcool, e l’aura di Kazumi era totalmente sparita, così com’era apparsa, nel nulla.
Heihachi si concesse di pensare a lei un’ultima volta ma adesso nel suo sguardo c’era una scintilla di vittoria
 
***

 
Hwoarang aveva dovuto guidare fuori città per trovare un albergo che avesse ancora delle camere vacanti. Per risparmiare aveva scelto un capsule hotel, in fondo si trattava solo di una notte, l’indomani sarebbe ripartito verso Seoul.
Dopo aver concluso le formalità ed aver riposto la sua roba nell´apposito armadietto decise di telefonare al suo maestro.
Erano quasi le due di notte, ma sentiva di non poter aspettare ulteriormente.
Il telefono squillò una sola volta prima che Baek rispondesse.
«Hwoarang!»
La voce di Baek era allarmata, ma il giovane non vi fece caso.
«Perdonami maestro.»
Disse, inchinandosi profondamente di fronte al nulla. Baek emise un sospiro d sollievo, si era preoccupato quando aveva visto in diretta tv che il suo allievo si era ritirato, aveva temuto gli fosse successo qualcosa, che fosse stato coinvolto nella faida tra Jin e suo nonno. Adesso che sentiva la sua voce i nervi si erano sciolti.
«Raccontami cos’è successo.»
Lo incoraggiò il più anziano e il suo tono era molto più dolce del solito. Hwoarang trasse un profondo sospiro e raccontò di come Jin lo avesse cacciato dalla sua stanza, del fatto che il suo nome non appariva da nessuna parte, dell’elicottero Mishima che aveva scorto a bassa quota e seguito, dell’aggressione alla polizia giapponese che aveva minacciato di riportarlo in Corea con l´accusa di diserzione, diede voce alle sue preoccupazioni e quando ebbe finito Baek rimase in silenzio.
«Sai chi altri si è ritirato dal torneo?»
«Ling Xiaoyu?»
Chiese confuso, cosa c´entrava lei in questo momento?
«No, mi riferivo a Nina Williams.»
Hwoarang si poggiò i polpastrelli sulle palpebre, ricordando il racconto di Miharu.
«Ah già. Perché è importante?»
«Si mormora che Nina Williams sia un sicario che lavori alle dipendenze di Heihachi Mishima.»
Lo informò Baek con voce grave. Hwoarang spalancò gli occhi, in un momento gli fu tutto terribilmente chiaro.


 
***
 

L’aroma dolciastro ma pungente del Davidoff Nicaragua Toro che si espandeva per la stanza pizzicava le narici di Anna, tuttavia non disse nulla. Cercò nella borsa il suo flacone di Chanel e si spruzzò due gocce di profumo sul collo, poi si adagiò completamente nuda sul divano di pelle assumendo una posa provocante. Sapeva che Heihachi la guardava con ingordigia.
Le piaceva sentirsi desiderata, adorava stare al centro dell’attenzione e l’idea che un uomo potente come quello potesse essere interessato a lei la lusingava. Anche se Heihachi era molto più vecchio, a lei piaceva stare in sua compagnia. Forse un terapista le avrebbe spiegato che il motivo per cui bramava così tanto la sua approvazione era per compensare il senso di vuoto causato dal totale disinteresse di suo padre nei suoi confronti. In effetti, per quanto assurdo potesse sembrare, quell’uomo le infondeva un profondo senso di protezione. Le volte in cui lui le arrecava dolore fisico, ad esempio quando la schiaffeggiava, la strangolava o le tirava i capelli lei si lasciava dominare per il semplice gusto di compiacerlo, e per lei soddisfarlo era un bisogno.
Il senso d’insicurezza che provava le suggeriva di annullarsi completamente, perché solo anteponendo il desiderio di Heihachi al suo avrebbe conquistato la sua benevolenza. Se si fosse rifiutata di compiacerlo, lui avrebbe cercato un’amante più ubbidiente e lei non sopportava l’idea di essere surclassata ancora una volta, troppo a lungo aveva vissuto all’ombra di sua sorella maggiore, sentendosi estremamente inadeguata.
Heihachi aveva sempre mostrato un sincero interesse nei suoi confronti, e sebbene fosse conscia del fatto che Heihachi e Nina erano soci, era certa che la sorella non lo appagasse nel modo in cui faceva lei.
«Perché non ti stendi qui accanto a me?»
Diede dei colpetti con la mano su uno dei cuscini del divano, invitando Heihachi a prendervi posto.
«Sei insaziabile.»
Commentò l’uomo con un ghigno, scrollando l’estremità del suo sigaro per far cadere la cenere.
«Come potrei non esserlo dopo la performance di stasera?»
Scherzò Anna e le sue risa riempirono l’aria. Si distese a pancia in su gettando indietro la testa. La frangia le si aprì sulla fronte conferendole un aspetto infantile. Heihachi rise a sua volta osservandola. Anna incarnava due personalità discordanti e incompatibili: da un lato c’era una donna sensuale e provocante che trasudava fascino da ogni poro, dall’altra una bambina capricciosa e immatura. Lui aveva imparato a viziare la sua natura bambinesca per ottenere la femme fatale.
«Questa volta mi hai fatto più male del solito.»
Gli confessò carezzandosi il collo.
«Spero tu non mi abbia lasciato dei segni come l’ultima volta.»
Cercò la sua borsa a tentoni e ne estrasse un minuscolo specchio portatile.
«Come mai così aggressivo? Qualcosa ti turba?»
Heihachi s’irrigidì istintivamente, non voleva ripensare agli eventi della serata.
Con un sonoro sospiro si diresse all’armadietto dei liquori e si versò una dose abbondante di un liquido ambrato. Anna si mise a sedere e gli rivolse un’occhiata carica di apprensione.
«Sai che con me puoi parlare di tutto.»
Gli disse con voce soave accarezzandogli un braccio.
«Magari insieme troveremo una soluzione.»
Heihachi grugnì, non gli piaceva che gli parlasse in questo modo, come se fosse la sua adorata mogliettina. Anna era una donna debole, soffriva del complesso d’inferiorità nei confronti di sua sorella e questo la rendeva servizievole oltre ogni buonsenso. Avrebbe venduto sua madre per un po´di affetto. Improvvisamente gli venne un’idea. Forse Anna poteva sapere dove si nascondesse Nina. Mise su un’espressione pietosa e si lagnò con una voce che non gli apparteneva.
«Sei una donna molto premurosa, Anna.»
Disse offrendole il bicchiere che aveva appena riempito
«Nulla a che vedere con quella vipera di Nina.»
Anna non afferrò il bicchiere, rimase immobile a passare i polpastrelli sul suo braccio venoso.
«Che cos’è successo?»
Domandò con sincero interesse. Le piaceva quando qualcuno parlava male di Nina.
«Mi ha tradito.»
Heihachi pronunciò quelle parole con uno sbuffo, cercando di reprimere la sua furia.
Anna spalancò gli occhi incredula. Si issò a sedere irrigidendo il busto, desiderosa di saperne di più, quindi Heihachi continuò.
«Mi ha voltato le spalle, dopo tutto ciò che io ho fatto per lei.»
«Ma… Ma perché?»
«Beh, per denaro. Tua sorella è una donna volubile e opportunista.»
Lo disse con un gracchio, poi rendendosi conto della propria aggressività ingollò un sorso del suo whisky per calmarsi e tornare alla sua recita.
«Non ha proprio niente a che vedere con te. Tu sei una donna pura e riconoscente, so che faresti di tutto per aiutare le persone a te care, non è così Anna? Se tu avessi una minima idea di dove possa trovarsi Nina me lo diresti senza batter ciglio, e questo perché a differenza sua, sei autentica e genuina.»
Con la coda dell’occhio la vide fare le fusa, lasciandosi adulare dalle sue vane parole.
Ancheggiando si diresse verso Heihachi per stampargli un bacio sulle labbra, lui odiava quel gesto e contrasse i muscoli mentre lei lo assaporava, ma non si sottrasse al bacio per non rovinare l’atmosfera che aveva appena creato.
Anna gli accarezzò la fronte col dorso della mano.
«Sai che farei di tutto per aiutarti, mio caro Heihachi. Dove è stata avvistata l’ultima volta?»
«Da qualche parte nei pressi di Nagano, hai idea di cosa potesse fare lì?»
Anna scosse la testa, dalla sua borsa prese il cellulare e digitò “Nagano” sull’applicazione mappa.
«È un nome che non mi dice nulla, ma verrebbe da pensare che sia diretta a Ujo Park.»
«Perché lo credi?»
Heihachi era avido di informazioni.
«Una volta ci andammo con la nostra famiglia. Era la prima volta che visitavamo il Giappone, eravamo diretti a Osaka da Tokyo, mio padre sbagliò strada e ci perdemmo, ci trovammo per puro caso nei pressi del parco e decidemmo di restare lì.»
Anna sorrise e gli afferrò il volto, adesso che gli aveva dato quella bella notizia si sarebbe aspettata una piacevole ricompensa, ma Heihachi fece una cosa che non si sarebbe aspettata: si alzò e si rivestì.
«Che cosa stai facendo adesso? Credevo che…»
«Immagino che per questa volta possiamo rimandare, Anna, sai bene che ci sono delle priorità. Prima il dovere.»
Disse allacciandosi i bottoni della giacca senza nemmeno voltarsi a guardarla.
«Ma io credevo che… Mi hai chiamata nel mezzo della notte, mi hai fatta venire fin qui.»
Heihachi la ignorò.
«Mi stai davvero mollando qui per cercare Nina?»
Anna si diresse correndo verso Heihachi e lo costrinse a girarsi per guardarla, quello, per tutta risposta, le mollò un ceffone sulla faccia.
«Maledizione Anna, non hai ancora imparato a capire quand’è ora di starsene al tuo posto?»
Sibilò tra i denti guardandola con disprezzo. Qualcosa si spezzò nel petto di lei.
La vista le si offuscò e cercò invano di reprimere le lacrime. Abbassò lo sguardo per non mostrargli le sue debolezze e cercò i suoi indumenti sparpagliati per lo studio. Prima ancora di indossare il suo tanga udì la porta sbattere, Heihachi se n’era andato.
Quando finalmente fu sola non si vergognò di singhiozzare. Si sentiva così stupida mentre sentiva il mascara colarle sulle guance. Prese lo specchietto e con un fazzoletto umido si pulì le gote ed il mento, costringendosi a smettere di piangere. Nessuno aveva il diritto di trattarla come una puttana da quattro soldi, nemmeno Heihachi, e mentre rimuoveva le ultime tracce di rossetto dalle sue labbra promise a sé stessa che gliel’avrebbe fatta pagare cara.


 
***


«Stupido di un Kazama!»
Mormorò Hwoarang dopo aver riattaccato.
«Idiota di un Kazama!»
Ripeté camminando convulsamente avanti e indietro.
Lui aveva dovuto rinunciare al torneo nel tentativo di salvarlo, e quello aveva preso le cose alla leggera, si era fatto catturare e adesso era sicuramente già morto. Perché se ne preoccupava poi? Se l’era cercata in fondo, voleva fare il duro e lo aveva allontanato convinto di avere la situazione sotto controllo, e invece…
Ebbe un brivido pensandolo esanime, e si maledisse per esserci rimasto male.
«Stupido Kazama.»
Ripeté e solo allora notò la presenza di Xiayou. Si affrettò ad asciugarsi gli occhi con la manica della sua felpa. La ragazza lo guardava con espressione triste e preoccupata in contemporanea.
«Cos’è successo a Jin Kazama? Che cosa sai che io ignoro?»
Hwoarang scosse la testa, ma lei insistette.
«Ti prego, dimmi la verità.»
Il tono della sua voce era disperato, i suoi grandi occhi nocciola velati di lacrime erano supplichevoli. Che senso avrebbe avuto mentirle?
«Credo sia morto.»
 
 
Ling Xiaoyu aveva pianto tutte le sue lacrime dopo aver ascoltato il racconto del giovane coreano. Non riusciva a crederci, aveva pazientato un intero anno per rivedere finalmente il ragazzo per cui avesse una cotta, aveva immaginato un futuro assieme a Jin e adesso lui era… Pianse di nuovo, incapace di dare forma a quel pensiero. Hwoarang la fissava in silenzio, non aveva la benché minima idea di che cosa avesse dovuto dire, si sentiva a disagio di fronte al suo dolore e allo stesso tempo impotente, perché non poteva fare assolutamente nulla.


 
***


Quando l’elicottero della Mishima Zaibatsu fu di nuovo in volo il sole stava ormai per sorgere. Heihachi non dormiva dalla notte precedente ma non si sentiva stanco, bensì euforico perché questa volta avrebbe potuto contare sull’effetto sorpresa. Nina immaginava sì che Heihachi fosse sulle sue tracce, ma non aveva idea che lui avesse una pista certa. Si leccò le labbra pregustandosi il momento in cui l’avrebbe catturata, sperava di beccarla viva per avere l’onore di ucciderla con le proprie stesse mani, ma se avesse fatto la difficile non avrebbe esitato a far aprire il fuoco contro di lei. A fargli compagnia in quella missione aveva un seguito di cinquanta uomini, Nina era forte e astuta, ma non avrebbe mai potuto avere la meglio contro tanti avversari.

 
***

 
I primi timidi raggi di sole illuminavano la flora tutt’intorno, Nina si fermò un istante ad ammirare i vividi colori degli alberi. La primavera stava lentamente sostituendo l’inverno e lo si poteva notare dai primi discreti germogli.
Respirò l’aria fresca mattutina, seppur quella notte non aveva chiuso occhio si sentì ugualmente pervasa da una forte energia. Il profumo degli alberi le penetrava le narici e lei ripensò alla prima volta che era stata in quel luogo in compagnia della sua famiglia. Allora era poco più che una bambina, ricordò che se ne stava seduta nel sedile posteriore della loro auto in compagnia di Anna, mentre suo padre dichiarava che si fossero persi. Lei sollevò il viso dal libro con figure che stava leggendo e proprio in quel momento Anna cominciò a fare i capricci perché voleva assolutamente avere il libro per sé. Nina aveva obiettato, schiaffeggiando le mani della sorella che cercavano di afferrare il suo bene e quella aveva cominciato a urlare più forte.
«Per l´amor del cielo Nina, dalle quel libro!»
Aveva infine urlato sua madre, sovrastando i piagnistei della figlia minore.
«Ma è mio!»
Aveva replicato Nina con vigore.
«Non capisci che è più piccola? Perché devi sempre farla piangere? Insomma, sei la sorella maggiore, comportati da tale!»
A quel punto lanciò il libro verso la sorella e incrociò le mani sul petto. Anna aveva smesso di piangere e sfogliava il libro con espressione vittoriosa. Odiava sentirsi dire che in quanto sorella maggiore doveva accontentare tutti gli sfizi di Anna, sua madre giocava spesso quella carta per darla vinta alla sua figlioletta preferita.
Richard aveva incrociato il suo sguardo dallo specchietto retrovisore e le aveva sorriso con gli occhi, ma lei aveva mantenuto il broncio.
Poco dopo essere arrivati nel parco Nina si era isolata su una roccia e suo padre l´aveva raggiunta. Lei si era affrettata ad asciugarsi il viso, ma lui le porse ugualmente un kleenex.
«Vuole sempre tutto ciò che è mio.»
Aveva sbottato, prima ancora che lui dicesse qualcosa.
«E mamma la lascia sempre vincere, è ingiusto!»
Richard si accomodò di fianco a lei e sospirò sonoramente.
«Anna vuole solamente somigliarti, per questo si comporta come te, ripete tutto ciò che dici e vuole tutti i tuoi oggetti. In questo modo spera di impressionarti.»
«Ma è l’esatto contrario, più si comporta così e più mi snerva! Sono stanca di dividere sempre tutto con lei, vorrei una cosa che fosse solamente mia.»
Lui si slegò la collana che portava sempre, un minimalista filo di argento 925 e gliela porse.
«Questa collana la indosso ogni giorno da quando ho compiuto diciotto anni. Mi è stata regalata dai miei genitori e ora io la regalo a te. Adesso tu possiedi qualcosa che Anna non potrà avere.»
Con un gesto girò il filo attorno al collo della figlia, gli occhi azzurri di lei esprimevano una profonda riconoscenza. Lo abbracciò respirando la sua colona e lui ricambiò l’abbraccio dandole delle minuscole pacche sulla testa.
Nina avvertì una morsa in pieno petto e s toccò istintivamente il collo. Quei tempi erano lontani, e Richard ormai non c’era più.
«Te lo chiederò ancora, mi sleghi?»
La voce di Jin la riportò alla realtà. Il giovane aveva ancora le mani legate dietro alla schiena.
«Se qualcosa dovesse andare storto potrai sempre incatenarmi un´altra volta.»
Non seppe se fu a causa del suo attimo di vulnerabilità o se si sentiva più al sicuro adesso che le tenebre avevano ceduto il posto al sole, ma Nina accettò.
Si chinò alle sue spalle – la pistola a portata di mano nel caso in cui lui avesse giocato brutti scherzi – e sciolse il nodo metallico che aveva creato.
Jin abbozzò un “grazie” a denti stretti e quando la catena cadde, si massaggiò i polsi. Nina l’osservò per qualche minuto, ma non accadde nulla di strano, quindi prese posto e si accese la prima sigaretta del giorno.
«E ora?»
Chiese Jin, più a sé stesso che a Nina.  Sarebbe dovuto tornare a Tokyo e affrontare una volta e per tutte Heihachi. Lui avrebbe comunque continuato a dargli la caccia, non avrebbe avuto pace finché non l’avesse trovato e Jin lo sapeva, quindi tanto valeva tagliare la testa al toro. Gli parve che Nina gli leggesse nel pensiero.
«Non sei nelle condizioni di affrontare Heihachi. Hai il volto ancora contuso e non sei ancora abbastanza forte.»
«Che ne sai di quanto sono forte?»
«So quanto lo è Heihachi e dubito fortemente che tu sia alla sua altezza, soprattutto perché a coprirgli le spalle ha un esercito, mentre tu sei da solo.»
«E cosa dovrei fare? Fuggire? Nascondermi? Non sono il tipo che si arrende così semplicemente.»
«Dico che dovresti prima cercare di capire cosa diamine ti è successo. Riesci a controllare quella cosa? È spaventosa, ma potrebbe essere un tuo punto di forza. Hai visto quanto è stato semplice trarti in inganno, Heihachi conta proprio su questo, sul fatto che sia tu a presentarti da lui!»
Non l’avrebbe ammesso ad alta voce, ma aveva ragione. Lo aveva già ingannato due volte, non poteva concedersi a lui una terza volta su un piatto d’argento.
«Cercati un posto dove startene tranquillo per un po’, riprenditi dall’ultima battaglia, allenati più duramente. Ricordati che Heihachi non è un comune vecchio, credi che non usi le sue conoscenze scientifiche per darsi la carica? Se solo tu sapessi ciò di cui è capace…»
Jin tacque soppesando le parole della donna, ciò che aveva detto non gli piaceva ma non poteva negare che fosse la verità.
«Ti uniresti a me?»
Chiese infine.
«Cosa?»
«Ti uniresti a me nella lotta contro Heihachi? Abbiamo entrambi lo stesso obiettivo: distruggerlo, e come mi hai fatto saggiamente notare, io sono solo. Ma se ci uniamo, io e te, allora aumentano anche le nostre possibilità.»
Fu tentata di ridergli in faccia, ma non era un’idea del tutto folle, c’era del vero.
Lui la fissava in silenzio e dietro tutti i suoi lividi e gonfiori Nina intravide il suo viso speranzoso. Forse era la cosa più sensata da fare, o forse la più stupida. Quel giovane aveva un potere enorme, ma non era ancora in grado di controllarlo e pertanto costituiva un problema per sé stesso e chiunque lo circondasse.
Aprì la bocca per rispondere, ma un rumore di eliche la costrinse a interrompersi e a bestemmiare, il velivolo della Mishima Zaibatsu planava proprio sopra le loro teste, Nina si chiese come avesse fatto Heihachi a scoprire la sua posizione e in un attimo le fu tutto chiaro: Anna.
«Dobbiamo dividerci, se conosco Heihachi ha già predisposto le sue guardie all´interno del perimetro per tendere una trappola. La Tekken Force è ben addestrata alla lotta corpo a corpo, ma soprattutto è armata. Risparmiati gli eroismi se ci tieni alla pellaccia.»
Jin voleva risponderle, ma la donna gli voltò le spalle e corse nella direzione opposta a dove si trovassero.
Udì un rumore di passi provenire da est, Nina aveva ragione, in fondo conosceva molto bene Heihachi e le sue tattiche. Con passo felpato come un felino si addentrò tra gli alberi prendendo una direzione diversa da quella che aveva preso l’irlandese.
Avrebbe avuto sì un´altra occasione di sconfiggere Heihachi, e quella sarebbe stata la volta decisiva, ne era certo. Ma quel giorno non era oggi.

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Capitolo 15
*** Cap. XIV - Calma apparente ***


Capitolo XIV
 – Calma apparente
 
Due anni dopo
 
Trovarsi di che vivere si era rivelato più facile di quanto avesse immaginato. Certo, lavorare per Heihachi Mishima le garantiva numerosi vantaggi: auto di lusso, arsenale da manuale, informazioni dettagliate sulle vittime e brindisi con Glenfraclas per festeggiare il successo, ma la vita da killer d’alto borgo era finita e Nina doveva adeguarsi alla sua attuale condizione di reietta.
Adesso si concedeva molti meno convenevoli e il rapporto tra sicario e mandante era molto più anonimo per preservare la sicurezza di entrambi.
Di solito gli accordi si stipulavano quasi tutta nella stessa maniera: incontrava il mandante – o chi per lui – in un posto riservato lontano da occhi e orecchie indiscrete e questo senza nemmeno rivolgerle la parola le porgeva con la mano destra una busta contenente le informazioni sulla propria vittima e con la sinistra il suo compenso. A tutto il resto doveva pensare lei.
Paradossalmente si divertiva di più senza tutte le tecnologie targate Mishima mirate a garantire la sua incolumità, il rischio rendeva tutto più un po´più frizzante.
Due anni prima era riuscita a eludere la Tekken Force semplicemente appollaiandosi sul ramo più alto di una vecchia quercia. Aveva osservato gli uomini fare la ronda diverse volte, invano. Era rimasta lì in cima per tre giorni, poiché Heihachi si rifiutava di accettare che Nina non fosse lì. Aveva costretto i suoi uomini a ispezionare la zona ancora e ancora e ancora, sino a quando dovette arrendersi all’evidenza e ritirarsi. Nina era molto provata, durante quei giorni non aveva né mangiato né dormito, ma era stata addestrata dallo stesso Heihachi a sopravvivere in condizioni sfavorevoli, anche se mai si era trovata così al limite.
Era riuscita ad arrivare alla prefettura di Okayama facendo l’autostop. Era stato semplice trovare un passaggio, una donna col suo aspetto non passava inosservata. Si era imbattuta in un turista americano sovrappeso e molto loquace che le aveva parlato per tutta la durata del viaggio di cose che non le importavano, e quando alla fine erano giunti a destinazione aveva persino avuto la sfacciataggine di chiederle il suo numero di telefono.
Con gli ultimi soldi che le erano rimasti aveva affittato una stanza in un economico hotel a capsule e tramite il computer alberghiero si era inoltrata nel deep web alla ricerca di un lavoretto, scoprendo che molta gente aveva dei nemici fastidiosi di cui volersi disfare.
Ad ammazzare la gente si guadagnava bene, in poco tempo era riuscita acquistare  un´automobile – una Mercedes Benz X253 grazie alla quale si spostava in giro per il paese. Per lei era pericoloso fermarsi troppo a lungo nei luoghi del delitto, le uccisioni di cui si occupava venivano spesso riportate sui giornali o ai notiziari e temeva che Heihachi potesse rintracciarla. La polizia non aveva la minima idea di chi potesse celarsi dietro a quegli omicidi, ma Heihachi conosceva molto bene il suo modus operandi.
 

I film che trasmettevano a notte fonda erano quasi sempre dei thriller che lei conosceva bene, essendo una grande fan del genere. Mentre beveva una birra d’importazione lanciò una pigra occhiata all’orologio che segnava le tre meno un quarto. Presto avrebbe dovuto incontrare un cliente, per cui si alzò dal divanetto, si infilò gli stivaletti bassi sui leggings viola e scese per strada lasciandosi investire dalla freschezza della notte. Accese l’automobile e si diresse verso il luogo dell’incontro, percorrendo strade secondarie quasi deserte. Arrivò in anticipo e la fredda aria notturna le sferzò sul viso. Si accese una sigaretta e attese, pochi minuti dopo un’automobile nera con la targa palesemente modificata si fermò a pochi metri da lei. Nina gettò la sigaretta ai suoi piedi e la pestò, andando incontro all´uomo che scendeva dall´auto.
«Che cazzo di freddo!»
Le disse l´uomo in un inglese stentato sfregandosi le mani di fronte alla bocca e alitandoci sopra per riscaldarle.
Prima ancora che lei potesse parlare aprì il suo impermeabile e da una tasca interna estrasse una busta gialla in formato A4 e gliela porse.
«Voglio un lavoro fatto bene, questo tizio ci sta mettendo i bastoni tra le ruote da troppo tempo ormai.»
«Un rompiscatole.»
Commentò Nina con tono piatto e inespressivo, in fondo erano tutti i rompiscatole di qualcun altro.
«Non me ne parlare. Non si lascia comprare, anche se gli abbiamo offerto cifre esorbitanti. Come si può essere così stupidi? Giuro, lo ucciderei con le mie stesse mani giusto per togliermi lo sfizio, ma abbiamo dei precedenti e sarei in cima alla lista dei sospettati se gli accadesse qualcosa quindi è meglio che me ne tenga fuori e che mi trovi un alibi plausibile.»
«Beh, pensa pure al tuo alibi, di lui mi occuperò io.»
Disse Nina in maniera asciutta allungando una mano verso il suo mandante.
«Il mio compenso?»
«Senti bambola, qui dentro c’è un mucchio di denaro, se dovessi prenderci in giro giuro che io e i miei uomini verremo a cercarti e ti taglieremo una alla volta tutte le terminazioni nervose.»
L’avvisò l’uomo con un sorriso sbieco mostrando una fila irregolare di denti gialli.
Senza dargli il tempo di aggiungere altro, Nina gli strappò di mano la mazzetta.
«Uh, ti piacciono i quattrini eh? Potrei dartene tanti altri se decidessi di collaborare in orizzontale.»
L’uomo si leccò le labbra con un gesto viscido che la fece schifare.
«Dio, questa sì che è una vera minaccia, possiamo tornare alla parte in cui mi tagliuzzate le terminazioni nervose una alla volta? Suona più allettante che scopare con te.»
Nina aveva gli occhi ridotti a due fessure, il sorriso dell´uomo si spense lasciando il posto ad una smorfia di puro disprezzo.
«Lurida puttana, scommetto che nessuno prima d’ora ti abbia mai castigata come meriti.»
L’irlandese afferrò il calco della sua pistola e lo posizionò con agilità sopra le tempie del suo interlocutore.
«Un’altra parola e…»
Lasciò la frase sospesa per aria, certa che la minaccia fosse giunta a destinazione.
«Chiedimi subito scusa.»
Intimò fissandolo negli occhi scuri. L’uomo la fissò con odio ma non disse nulla.
«Sto aspettando.»
Lo incalzò spingendo la volata ancora più in fondo.
«Ti chiedo scusa.»
Obbedì il boia con voce fredda e gli occhi iniettati di sangue. Nina era certa che in quel momento avrebbe desiderato ucciderla quasi quanto desiderasse sbarazzarsi della sua vittima incorrompibile.
«Bravo, vedi che le conosci le buone maniere? Di’ al tuo capo che svolgerò il mio lavoro con estremo piacere ma che non dovrà mai più azzardarsi a mettersi in contatto con me.»
«Come desideri.»
Grugnì l’altro senza smettere di fissarla, imprimendosi il suo volto nella memoria. 
 

Quando Nina tornò nell’hotel quattro stelle che aveva prenotato si fumò tre sigarette una dopo l’altra, si fece una doccia calda e si aprì una bottiglia di birra che ingollò in meno di trenta secondi, infine si lasciò cadere sul divano a due posti e aprì la busta col nome della sua prossima vittima. Quando vide la foto che era stata posta in allegato con una graffetta non credé ai suoi occhi, il fascicolo le cadde di mano e lei rimase impietrita dov’era, incapace di darsi una spiegazione. Lesse e rilesse il breve resoconto una decina di volte prima di scagliarlo violentemente sul tavolino da caffè. La polaroid col viso del ragazzo si staccò dalla graffetta scivolando sul pavimento e lei si ritrovò a dover guardare ancora una volta gli occhi vitrei di Steve Fox.
Secondo l’aguzzino il problema era che Steve non si lasciava comprare, questo significava che si rifiutava di vendere gli incontri di boxe, causando una perdita negli introiti dei mafiosi che gestivano il racket di scommesse attorno a quello sport.
A proposito di Fox avevano scritto poche informazioni: ogni mercoledì faceva volontariato nella palestra Watanabe impartendo lezione di boxe a ragazzini sotto i tredici anni e tutti i venerdì si recava presso il solito pub a bere una o due birre e a offrire un giro agli avventori. Secondo il breve resoconto Steve non aveva famiglia, amici o relazioni stabili, immaginò che questo dovesse rendere vano ogni tentativo di minacciarlo.
Quella corta descrizione era tutto ciò che sapeva sul conto di suo figlio.
Si stappò un’altra birra, si accese l’ennesima sigaretta e aprì la finestra per prendere una boccata d’aria fresca proprio mentre il sole cominciava a fare capolino da dietro i grattaceli e in quel momento di pace prese la sua decisione.
Il lavoro era pur sempre il lavoro.
 
 
Era tutto pronto, mercoledì pomeriggio Nina si era recata davanti alla palestra in cui Steve insegnava boxe e aveva atteso il momento in cui il ragazzo fosse stato finalmente solo.
Da una finestra all’ultimo piano dell’edificio proprio di fronte alla Watanabe, Nina teneva l’occhio fisso sul mirino che centrava perfettamente la testa del giovane.
Bastava un solo click.
Ma allora perché non riuscì a premere il grilletto?
Inspirò profondamente lasciando l’arma e adagiandosi per terra. Come aveva potuto permettere che accadesse?
Mentre meno se l’aspettava la porta della sua stanza venne aperta a calci da un uomo con i capelli lunghi.
«Mani in alto bene in vista.»
Strillò con un forte accento cinese puntandole una pistola contro. Senza nemmeno pensarci su, Nina sparò un colpo verso il soffitto e, approfittando della distrazione dello sbirro s’issò in piedi e corse verso la finestra, lasciandosi cadere al di là.
Corse lungo la scala antincendio saltando due gradini alla volta e udì il poliziotto seguirla come un segugio.
«Smettila di correre, non hai scampo.»
Lei lo ignorò e, arrivata al secondo piano, scavalcò il passamano e saltò nel vuoto. Mentre procedeva a tutta velocità la porta della Watanabe si aprì e ne uscì Steve.
Fu una manciata di secondi in cui i due si guardarono dritto negli occhi.
«Ehi, io ti conosco.»
Disse quello puntandole un dito in faccia.
«Io…»
Iniziò a dire, poi il piedipiatti svoltò l’angolo e le puntò l’arma contro.
Nel breve secondo che seguì, Steve si fiondò su sua madre evitandole una pallottola. Entrambi caddero per terra, ma almeno avevano schivato il proiettile.
La donna si alzò in piedi e osservò il viso del ragazzo senza riuscire a vedere nulla che appartenesse ai suoi lineamenti. Mormorò un grazie e schizzò via, senza neppure dargli il tempo di rispondere.
«Cos’hai combinato ragazzo, ma sai cos’ha cercato di fare quella?»
Lo sgridò Lei Wulong furioso, poi ripartì all’inseguimento della donna.
Nina correva più forte che poteva, qualcuno doveva averla venduta ed era certa di riuscire a immaginare chi.
 

 
***


Jin si stupì della facilità con cui era riuscito ad eludere la sorveglianza della Tekken Force. In realtà era quasi deluso, si era aspettato molto di più dalle guardie del vecchio Mishima. Era riuscito a intrufolarsi su un treno merci che l’aveva condotto a sua insaputa nella prefettura di Osaka, dove aveva vissuto facendosi bastare per un po´ i pochi risparmi che era riuscito a racimolare grazie a Baek, anche se poi aveva dovuto trovarsi un lavoro per riuscire a mantenersi. Aveva deciso di continuare a lavorare la terra: si teneva in forma e poteva lavorare da solo, senza l’ausilio di nessuno. Le giornate si trascinavano lente, Jin lavorava duramente al mattino e la sera si allenava ancora più faticosamente attendendo il giorno in cui si sarebbe ripresentato da Heihachi. Si chiedeva spesso quando ciò sarebbe accaduto, ma qualcosa dentro di lui continuava a ripetergli che non fosse ancora arrivato il momento. Il demone non si era più manifestato, ma a volte gli sembrava di percepire la sua presenza. Quando pensava ad Heihachi, per esempio, si sentiva pervadere da un odio talmente forte che quasi lo lacerava fisicamente, era come se fossero due persone a provare sentimenti di disprezzo e ostilità, qualcosa che andava oltre l’umano. In momenti come quelli ne era certo, lui non sarebbe mai stato in grado di gestire quel potere.
 

***


Wang era preoccupato, da un po´di tempo la sua nipotina non era più sé stessa. Qualcosa dentro di lei era cambiato, e lui non sapeva spiegarsi cosa, né tanto meno lei glielo diceva.
Ling aveva sempre avuto una personalità allegra ed esuberante con un’indole inguaribilmente positiva che lui aveva sempre apprezzato, ma adesso stentava a riconoscerla. Era diventata taciturna, costantemente avvolta nei suoi pensieri, era diventato difficile parlarle o coinvolgerla in qualche attività, anche in quelle che aveva sempre adorato. Wang aveva provato a instaurare un dialogo, ma lei rispondeva a malapena alle sue domande, per cui ritenne saggio non addentrarsi troppo nei dettagli.
Nemmeno la sua amica Miharu sembrava riuscire a trascinarla fuori dal turbine della sua recente negatività; inizialmente la giovane donna le faceva visita più spesso e tentava di convincerla ad andare a fare shopping o a prendere un gelato al centro commerciale, ma adesso la sua presenza si limitava a qualche telefonata.

Il giorno in cui Wang non ne poté davvero più fu quando Ling si rifiutò di toccare cibo durante la cena. Quello non poteva proprio accettarlo, non avrebbe incoraggiato quell’atteggiamento masochista che rischiava di compromettere la salute della sua bambina, quindi fece ricorso a tutto il suo coraggio e le si sedette di fronte, costringendola a guardarlo, voleva che vedesse il dolore nei suoi occhi, che capisse quanto il suo atteggiamento lo stesse straziando.
«Ling, ti prego bimba mia parlami. Che cosa ti tormenta?»
Ling non ripose immediatamente, Wang la vide chinare il volto verso il basso e iniziare a singhiozzare.
«Lui… è… morto.»
Riuscì a dire, prima di lasciarsi andare ad un pianto disperato. Wang scosse la testa, ancora più confuso, chiedendosi di chi mai potesse parlare.
«Chi è lui?»
«Jin… Jin Kazama.»
Wang aggrottò le sopracciglia, quel nome era familiare ma non ricordò con esattezza a chi appartenesse.
«Kazama… Kazama…»
Ripeté cercando di rammentare dove l’avesse già sentito.
«Suo nonno lo ha condannato a morte, quel porco schifoso di Heihachi Mishima!»
Urlò la ragazza senza riuscire a trattenere la collera. Wang sbarrò gli occhi in preda alla sorpresa.
«Heihachi… Oh, ma allora sarà vero…?»
Si chiese in un sussurro, prima di mettersi a sedere con gambe tremanti. Xiaoyu si accorse della reazione del nonno perché si affrettò ad asciugarsi le lacrime e gli si avvicinò, sinceramente preoccupata per il suo mancamento.
«Che ti prende, nonno? Stai bene?»
Corse a riempirgli un bicchiere di acqua fresca, che il vecchio accettò di buon grado, poi trasse un lungo respiro che lo aiutò a calmarsi e a fare ordine nei suoi pensieri.
«Ero un grande amico del padre di Heihachi. A differenza di suo figlio, Jinpachi era un uomo buono e caritatevole, un uomo sempre pronto a porgere la mano per aiutare i meno fortunati.»
Xiaoyu lo ascoltava attentamente.
«Era benvoluto da tutti, a eccezione di una sola persona, suo figlio Heihachi. Heihachi era troppo orgoglioso per accettare gli insegnamenti di suo padre e troppo superbo per riconoscere la sua autorità. Jinpachi mi confidò spesso i suoi timori dettati proprio dall’irriverenza del suo erede.»
«Che genere di timori?»
«Come ben sai, non è usanza della nostra generazione parlare dettagliatamente delle problematiche familiari, veniamo da un’epoca in cui era buona norma essere riservati, soprattutto su temi delicati, per cui non mi permisi mai di porre domande, né mai Jinpachi si sbilanciò nei suoi racconti, ma un giorno si lasciò sfuggire che temeva per le sorti della Zaibatsu, quando questa sarebbe passata in mano al figlio e stava pensando di venderla e devolvere tutto in beneficenza.»
«E poi cosa accadde?»
Xiaoyu pendeva dalle sue labbra, Wang non la vedeva così assorta da quando da bambina le leggeva le favole della buonanotte.
«Jinpachi morì poco dopo. La notizia ufficiale riportata su tutti i giornali attribuiva le cause della sua morte ad un improvviso malore, ma io avevo visto il mio amico solo poche ore prima e posso giurare che stesse benissimo. Jinpachi era anch’egli un lottatore, aveva un fisico robusto e vigoroso.»
Xiaoyu corrugò le sopracciglia.
«Nonno, qualcosa non torna… Heihachi è chiaramente il responsabile della morte del padre.»
«Per molti anni l’ho creduto, e per altrettanti anni ho tenuto l mie riflessioni per me. È un’accusa molto grave da lanciare, e non ho nessuna prova concreta, ma qualcosa mi suggeriva che Heihachi fosse troppo assetato di potere, e la sfortunata quanto tempestiva morte del padre è stato per lui solo l’inizio della sua ascesa.»
«È stato senza dubbio lui il responsabile, non mi sorprenderebbe per nulla, soprattutto considerando ciò che ha fatto a Jin Kazama.»
Se quello che diceva Xiaoyu era vero, se questo Jin Kazama fosse davvero suo nipote, ciò significava che poteva solamente essere il figlio di Kazuya, altro Mishima che era misteriosamente sparito nel nulla – stando alle stampe locali morto suicida. Wang non aveva mai creduto alla stampa locale, Kazuya non si era suicidato così come Jinpachi non era stato colpito da nessun malanno, c’era lo zampino di Heihachi in quelle sparizioni. Ricordava Kazuya, Jinpachi glielo aveva descritto come un ragazzino timido dal cuore candido, ma quando Wang lo aveva visto lottare, più di vent’anni prima, dovette dargli torto. Kazuya era spietato, combatteva con odio, del cuore candido che il nonno decantava aveva ben poco, anche se dovette ricredersi un pochino quando lo vide salvare la vita a quella giovane donna bruna che era stata attaccata dal lucertolone gigante. Solo in quel momento Wang ricordò che il cognome di quella giovane era proprio Kazama.
 

 
***
 
 
Heihachi non guardava mai la tv, preferiva tenersi informato tramite la carta stampata.
Odiava le telecamere, anche se spesso era dovuto apparire in pubblico.
Quel giorno aveva acceso il televisore solamente per accontentare uno dei suoi soci più potenti che voleva assolutamente mostragli la registrazione dell’intervista di un loro rivale in affari, poi per un caso fortuito, o forse proprio per destino, l’apparecchio era rimasto acceso anche durante il loro congedo.
Heihachi afferrò il telecomando e fece per spegnere quella roba infernale quando lo vide.
Al telegiornale parlavano di un criminale, un certo Feng Wei, che aveva sfidato tutti i proprietari di dojo della nazione per dimostrare la propria superiorità.
«Ma Feng Wei non si è limitato a incassare la vittoria con onore.»
Diceva il giornalista con tono grave guardando dritto in camera.
«Dopo aver battuto più di venti maestri, ha infatti demolito i loro dojo spargendo benzina tutt´attorno e incendiandoli, affermando che i deboli non meritano di vivere.»
L’immagine del giornalista era scomparsa e sullo schermo si susseguivano fotografie di Dojo completamente distrutti, alcuni ancora in fiamme, altri completamente rasi al suolo.
L’immagine cambiò nuovamente e adesso dinnanzi alla telecamera c’era una ragazza di neanche vent’anni dalla pelle diafana con corti capelli scuri e l’espressione furente.
«È stata una grandissima mancanza di rispetto! Mio padre ha investito i risparmi di una vita per costruire quel Dojo.»
«Non ci credo­­­.»
Ansimò Heihachi leggendo il nome dell’intervistata.
«Lo giuro dinnanzi alle telecamere, io vendicherò mio padre e questa barbarie. Farò di tutto per ricostruire il Dojo mattone dopo mattone.»
Dichiarò la giovane con un forte accento di Osaka, poi apparve di nuovo il volto del giornalista e Heihachi spense il televisore.
Non era pazzo e neppure ubriaco.
Su quel televisore era chiaramente spuntato il nome di Asuka Kazama.
 

 
***
 
 
Era aprile quando andò in onda la prima pubblicità che annunciava una quinta edizione dell’Iron Fist Tournament.
Nina la vide proprio mentre faceva zapping alle cinque del mattino cercando qualcosa che la distraesse dall’insonnia.
Hwoarang e Baek l’avevano sentita alla radio mentre si allenavano.
Xiaoyu aveva ricevuto la notizia per SMS da Miharu.
Kazuya aveva appreso la notizia proprio com’era successo la prima volta, tramite uno striscione colorato trasportato da un aereo sul cielo di Tokyo.
E Jin l’aveva udita molti mesi dopo, origliando la conversazione tra due campagnoli desiderosi di prosperare.
Il 01 Settembre del 2004 si sarebbe tenuto il combattimento e questa volta Heihachi doveva avere qualcosa di estremamente grosso per le mani, perché il montepremi ammontava a 6.000.000.000 di yen.

 

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Capitolo 16
*** Cap. XV - Tekken 5 ***


Cap. XV
– Tekken 5 –

 
L’arena che ospitava il torneo era così grande che Asuka si sentiva minuscola come una formica. Prima d’ora non le era mai capitato di sentirsi così insignificante, eppure lì dentro si respirava un’atmosfera del tutto diversa da quella della vita quotidiana. Le luci, la musica sparata a tutto volume, il vociare gioioso degli spettatori e la presenza di altri campioni più anziani e levigati di lei le davano l’impressione di non appartenere a quel mondo. Non l’avrebbe mai ammesso a voce alta ma in quel momento iniziava ad avere timore e pensò seriamente di aver commesso un errore presentandosi.

Quando due settimane prima aveva informato i suoi genitori di essersi iscritta al torneo credeva che loro avrebbero appreso la notizia con entusiasmo, dopotutto era per loro che lo faceva, se avesse vinto avrebbe investito l’intero montepremi nella ricostruzione del Dojo di suo padre. Invece, contro ogni previsione, sua madre l’aveva schiaffeggiata intimandole di ritirare quanto prima la sua candidatura.
«Ma perché? Non capisci che è l’unica possibilità che abbiamo per capovolgere questa situazione?»
«Tuo padre si sta già impegnando parecchio per riparare i danni subiti.»
«Non vorrei certo sminuire le doti manovali di papà, ma converrai con me che da solo e senza alcun finanziamento non riuscirà mai a riportare il Dojo al prestigio di un tempo.»
«Quel che riuscirà a fare sarà più che sufficiente, Asuka.»
Aveva replicato seccamente la madre portandosi le mani sui fianchi e squadrandola con aria torva, come faceva quando era bambina e combinava una marachella che doveva necessariamente esser punita.
«Ma mamma, papà ha la sua età e…»
«Cosa stai insinuando adesso? Tuo padre si è sempre preso cura da solo della sua famiglia. Tutto quello che ci occorre sono i nostri parenti. Pensavo di averti insegnato il valore delle cose, dovresti sapere che i soldi non sono tutto e che non donano la felicità. Sono solo lo strumento che il diavolo usa per ingannarci e allontanarci dalle vere necessità della vita.»
Concluse la donna dandole le spalle e cominciando a pulire le stoviglie nel lavello.
«Lo so bene, non intendevo affatto mancare di rispetto a papà, dico solo che nella situazione in cui ci troviamo adesso sarebbe più semplice ricostruire tutto da zero.»
Asuka alzò la voce contro sua madre per la prima volta in vita sua.
«Signorina non ammetto quel tono nei miei confronti.»
Era sbottata sua madre perdendo la pazienza e la tazza che stava sciacquando le cadde di mano rompendosi in mille frantumi. I cocci di ceramica si sparpagliarono ovunque sul pavimento, finendo sotto alla mobilia.
La madre di Asuka sospirò sonoramente chiudendo il rubinetto.
«Asuka non voglio che ti succeda nulla.»
Confessò infine preoccupata mettendosi a sedere e invitando la ragazza a fare lo stesso.
«Ti ho già parlato di tua zia Jun, ricordi?»
Come poteva dimenticarlo? Zia Jun era la Kazama esiliata, la sua storia veniva raccontata ai più piccoli per insegnare loro il valore dell’ubbidienza.
Non era veramente sua zia, o comunque non nel senso stretto del termine. I Kazama non erano altro che una famiglia allargata, ma non avevano necessariamente dei legami di sangue, erano più che altro una minuscola comunità. La leggenda narrava che la casata discendesse direttamente dalla divinità Izanami, che aveva procreato il primo membro dei Kazama proprio prima di unirsi in matrimonio con suo fratello e compagno Izanagi. Sempre secondo la leggenda che i Kazama tramandavano di generazione in generazione, lo stesso Izanagi, invidioso della nuova creazione della sorella, diede vita ad un erede. Si vociferava che la casata da Egli creata altri non era che il naturale nemico dei Kazama.
E così il primo discendente della dinastia si trovò una compagna e l’iniziò alle arti marziali che aveva appreso direttamente da Izanami, procrearono e misero al mondo un numero sempre maggiori di discendenti. Ovviamente, ognuno dei fratelli e delle sorelle scelse dei compagni esterni alla stirpe, allargando così il cerchio. Nel nome del rispetto reciproco e della cordialità, i membri della comunità si rivolgevano ai più anziani con l’appellativo di “zio” o “zia”, mentre tendevano a considerare loro cugini tutti i coetanei. Chi aveva superato i settanta anni invece, era considerato un nonno o una nonna.
Perciò Jun Kazama non era veramente sua zia.
«Jun abbandonò la famiglia per inseguire una chimera e finì per venire esiliata e tu non desideri fare la sua stessa fine, non è così?»
Chiese con tono piagnucoloso che la fece sentire in colpa.
«Mamma non vorrei mai allontanarmi da voi o dalla nostra famiglia. Io amo ognuno dei membri di questa collettività e l’idea di non rivederli mai più mi rattrista fino a farmi stare male. Non voglio finire come zia Jun, schivata da tutti, voglio solo risollevare le sorti della nostra economia domestica.»
La più anziana sospirò passandosi le dita tra le tempie. Ponderò a lungo se fosse il caso o meno di rivelare tutta la verità alla figlia. Gli anziani avevano ordinato di fare voto di silenzio su quella vicenda, ma se tacere tutto quanto avesse messo in pericolo l’incolumità della sua unica figlia?
Optò per una via di mezzo, avrebbe raccontato solo una parte della storia, quella necessaria a far desistere la sua bambina da quella decisione così pericolosa.
«E va bene Asuka voglio svelarti un segreto, ma tu devi promettermi che lo custodirai nel tuo cuore e che non ne farai parola con nessuno al mondo, ci siamo intesi? E intendo dire che non potrai rivelare quanto ti sto dicendo a nessuno dei tuoi cugini. Se i nonni sapessero quanto sto per divulgare, rischieremmo una pena pari a quella di zia Jun.»
La ragazza tese le orecchie issandosi a sedere in maniera composta per dare il giusto peso alla solennità di quel momento.
Sua madre chiuse le finestre e abbassò il tono della voce, che si ridusse a un sussurro e Asuka dovette sforzarsi per non perdere una sola parola.
«Il motivo che allontanò tua zia Jun dalla nostra comunità... È stato proprio questo stesso torneo, l’Iron Fist!»
Un brivido percorse la schiena della giovane, non riusciva a credere alle sue orecchie.
«Zia Jun… Lei s’iscrisse alla seconda edizione del torneo perché diceva di voler aiutare la nostra famiglia a prosperare. Era un periodo di magra, lo ammetto, e i soldi del montepremi erano allettanti. Confesso di averci pensato anch’io, ma devi capire che eravamo in un momento davvero buio della nostra storia.»
Asuka spalancò la bocca incredula.
«Eravamo entrambe giovani, io ero ancora scapola. Decidemmo di andare a parlarne con i nonni e loro rifiutarono la nostra proposta affermando che esporci troppo avrebbe potuto metterci in pericolo.»
«Intendi dire con la casata di Inazagi?»
Sua madre annuì con espressione grave.
«Non abbiamo mai incontrato i nostri oppositori, ma sappiamo che esistono. Noi Kazama abbiamo dedicato la vita alla pace, ma siamo gli eredi della dea benevola, possiamo davvero dire lo stesso degli eredi del demone?»
La sua voce iniziò a tremare e Asuka le prese una mano tra le sue per darle conforto.
«Ad ogni modo, Jun ignorò gli avvertimenti dei nonni. Lei era testarda, figliola, andò comunque affermando che, quando avrebbe fatto ritorno col bottino, gli anziani avrebbero ritirato tutto e l’avrebbero accettata come eroina.»
«E invece cos’è successo, mamma?»
La donna iniziò a scuotere la testa con fare nervoso e gli occhi le si riempirono di lacrime. Ecco, quella parte della storia era proprio ciò che non poteva rivelarle, se ne vergognava terribilmente. Scosse la testa cercando di ricacciare dentro le lacrime.
«Lei non tornò.»
Riuscì a dire con un filo di voce, prima di sfociare in un pianto incontrollato. Non le avrebbe mai detto la verità: che Jun aveva fatto ritorno con un fagottino tra le braccia, un bambino poco più grande di Asuka che allora era neonata. Non le avrebbe mai rivelato che gli anziani ritenevano che quel bambino fosse l’erede di Inazagi, e che per questo l’avevano esiliata, non le avrebbe mai confessato che lei non si era opposta alla loro decisione, che aveva abbandonato la sua più cara amica nel momento in cui aveva più bisogno di aiuto. Quando riuscì a calmarsi si rivolse nuovamente alla figlia.
«Ti prego Asuka, giurami che non commetterai lo stesso errore di mia sorella, ti prego sii saggia.»
 
Si sentiva in colpa ad aver infanto quella promessa, soprattutto perché quella era stata la prima volta che sua madre le aveva parlato apertamente come se fosse un’adulta, ma aveva comunque deciso di iscriversi perché in cuor suo sapeva che quel montepremi era la sola e unica possibilità d ricostruire il dojo, e in fondo al cuore sentiva di dover riabilitare il nome di sua zia Jun, la persona più importante della vita di sua madre, dopo lei e suo padre. Forse avrebbe potuto scoprire cosa le era successo, forse l’avrebbe ritrovata e riportata a casa e in quel caso avrebbe recato così tanta gioia a sua madre da farle dimenticare di aver disobbedito.
  
***
 
 
Nina sapeva di dover guardarsi le spalle, ma alla vista del montepremi non era riuscita a resistere alla tentazione. Sapeva che quella messinscena poteva essere tutta una montatura di Heihachi per attirarla alla Zaibatsu e farla fuori una volta e per tutte, il premio era così eccessivamente alto che doveva per forza nascondere un secondo fine, non era così generoso da donare sei miliardi di dollari per il gusto della beneficenza.
Cercò il viso di Jin ovunque, tra gli spalti, sulle tribune, nell’angolo dedicato ai concorrenti e persino negli spogliatoi ma di lui nessuna traccia.
Che questa volta fosse stato più saggio di lei?
 
***


Hwoarang e Baek si mossero insieme sul lungo corridoio studiando gli avversari di quell’anno. Molti di loro erano già conosciuti, anche se c’era qualche volto nuovo.
«Ogni anno il numero dei partecipanti aumenta.»
Notò Baek facendo scorrere lo sguardo su una giovane donna dai corti capelli castani. Sapeva di non averla mai incontrata prima, tuttavia il suo viso aveva un qualcosa di familiare.
«Certo, se in ballo ci sono sei miliardi di yen...»
Ribadì Hwoarang secco.
«C’è qualcosa sotto, me lo sento.»
Affermò preoccupato scuotendo la testa.
«Di lui nessuna traccia?»
«No maestro, neanche mezza.»
Baek sospirò sonoramente dal naso. La tensione all’interno dell’arena era palpabile. Quell’anno non sarebbe stata semplice spuntarla, ma in fondo loro non si trovavano lì solo per il gusto competere, né tantomeno per il palio.
«Occhi aperti per tutto il tempo.»
Si raccomandò il più vecchio, consapevole che qualcosa sarebbe successo.
«Hwoarang!»
Una voce femminile li distrasse, entrambi si voltarono cercando la fonte.
Una giovane donna andò loro incontro. Aveva la pelle chiara e i lunghi capelli castani raccolti in due codine laterali.
«Xiaoyu?»
Domandò Hwoarang allibito. Nei due anni che erano trascorsi era cambiata parecchio. Gli costava una fortuna ammetterlo, ma era diventata molto più carina e il suo seno appariva ormai evidente sotto la magliettina. Arrossì quando si rese conto di starle fissando le tette proprio mentre lei gli correva incontro.
«Che sciocca, avrei dovuto immaginare che anche tu partecipassi, chissá perché sono sorpresa. Ah. ma che bello, sei in compagnia di tuo padre, io invece sono qui con mio nonno.»
Lo informò, indicando un vecchietto poco distante da loro che chiacchierava amabilmente col giovane pugile che si era guadagnato la vittoria due anni prima.
«Lui non è mio padre, è il mio maestro!»
La corresse Hwoarang, anche se in realtà gli aveva fatto molto piacere udire quelle parole.
«Mi scuso molto, io sono Ling Xiaoyu, piacere.»
Si presentò con un profondo inchino, che il coreano ricambiò.
«Baek Doo San, il piacere è mio. Volevo complimentarmi con te per la correttezza mostrata due anni fa. Ti sei rifiutata di combattere contro un povero animale indifeso, questo ti rende molto onore.»
Xiaoyu sorrise, arrossendo lievemente.
«A proposito di Panda, dov’è?»
Chiese Hwoarang facendo zigzagare il suo sguardo tra i concorrenti.
«Non l’ho vista e l´ho cercata dappertutto, temo che non la faranno ripartecipare dato quello che è successo due anni fa.»
Disse Xiaoyu mordendosi un labbro. Aveva desiderato rivederla.
«Ma quella non é…?»
Chiese improvvisamente il rosso, indicando con un cenno del capo una donna bionda dall’aria burbera seduta sugli spalti. Xiaoyu seguì la direzione del suo sguardo e ridusse gli occhi a due fessure.
«Nina Williams!»
Fece per muoversi verso di lei, ma il giovane le si parò davanti impedendole di fare sciocchezze.
«Lasciami andare, lasciami!»
«Non fare sciocchezze, smettila di agitarti!»
Hwoarang dovette faticare un poco per tenerla a bada, era proprio decisa a correre in direzione dell’irlandese per mollarle un pugno in pieno volto.
«Tu non capisci, lei lo ha ucciso!»
Disse mentre gli occhi le si inumidivano e le lacrime minacciavano di bagnarle il viso. I tentavi di Hwoarang di farla desistere sembravano vani, la giovane si placò solamente quando la mano di Baek le sfiorò il braccio.
«Xiaoyu, fermati. Non hai nessuna prova che Nina sia davvero la responsabile della morte di Jin, e se anche fosse ricordati che eseguiva solo gli ordini impartiteli da Heihachi. È lui il vero assassino.»
Ormai le lacrime erano fuoriuscite, chinò il viso per nasconderlo alla vista dei due uomini.
«So che stai soffrendo molto, e mi dispiace, ma adesso devi concentrarti solamente sul torneo e fare il possibile per vincere.»
A quelle parole le lacrime si arrestarono, Xiaoyu si asciugò il viso con una mano e sollevò la testa per incontrare gli occhi scuri di Baek e fissarli con determinazione. «Sì, è vero. Mi batterò con onore e dedicherò ogni mia vittoria a Jin. Spero solo che Nina mi capiti come rivale, così avrò una buona scusa per dargliele.»
 
***


Il tabellone in cima al ring s’illuminò ed apparvero delle icone rappresentanti i volti dei trenta partecipanti. La folla andò in delirio issando le braccia ed eseguendo la ola e l’atmosfera divenne improvvisamente più leggera, quasi gioiosa. I quadratini si mescolarono tra loro in un casuale sorteggio per una manciata di secondi e infine i nomi degli sfidanti vennero uniti da una linea color giallo. Asuka sollevò la testa per dare un’occhiata e ci rimase parecchio male quando scoprì che sarebbe stata l’ultima della lista.


Sergej – Jack 5
Craig – Christie
Bruce – Julia
Baek – Ganriu
Nina – King II
Feng – Raven
Xiaoyu – Law
Paul – Hwoarang
Wang – Eddy
Yoshimitsu – Lee
Anna – Steve
Armor King – Lei
Bryan – Roger II
Mokujin – Panda
Asuka – Lili

Asuka diede una rapida occhiata in giro per cercare la sua sfidante, che stando alla minuscola foto sul grande schermo avrebbe dovuto essere una ragazza di circa la sua età con lunghi capelli biondi. L’individuò immediatamente, i suoi lineamenti caucasici spiccavano tra tutti gli altri. Quando le si avvicinò notò che era bellissima: i lunghi capelli color dell’oro riflettevano la luce, i suoi occhi erano azzurri come zaffiri e la sua pelle liscia come la seta.
«Ciao, tu devi essere Lili, io sono Asuka, Asuka Ka…»
Cominciò a dire alzando la mano, ma la bionda l’interruppe immediatamente.
«Sonto scielo, so cosa scerchi di fare.»
Lili la bloccò con una mano, mentre poggiò l’altra sulla sua testa con fare drammatico.
«Ed è patetico, stai cercondo di prondere informazioni sul mio conto per poi usarle contro di me duronte la lotta.»
«Eh? Ma cosa dici? Non lo farei mai, non sono mica così disonesta, stavo solo cercando di fare amicizia.»
«Non ti credo per nionte, sei una farabutta. Sebastian, per favore allontanala immediatamonte da qui, non riesco a conscentrarmi.»
Un uomo anziano dai corti capelli argentati vestito come un damerino inglese si alzò dal suo posto e afferrò dolcemente l’avambraccio di Asuka.
«Sono spiacente, ma la signorina Rochefort non desidera essere disturbata prima degli incontri, la pregherei di lasciarla in pace, ha bisogno di focalizzare la sua energia.»
Asuka scosse la testa incredula, non poteva succedere per davvero. Per nessun motivo al mondo avrebbe infranto le norme del regolamento del torneo, ed era sicura che non ci fosse nessuna clausola che impedisse ai partecipanti di conoscersi o fare amicizia, quella tipa la stava designando come una disonesta e non le piaceva affatto. Avrebbe voluto dirgliene quattro e fare scendere quella snob dal suo piedistallo, tuttavia non voleva certamente mancare di rispetto ad un uomo così anziano come quel tale Sebastian, per cui, seppur controvoglia, decise di obbedire e di allontanarsi dagli spalti.
«Non vedo l’ora di strasciarla.»
La sentì commentare col suo maggiordomo dopo averle voltato le spalle.
«Oh sì? La vedremo questa, cocca.»
Mugugnò Asuka tra i denti cercando un altro posto libero molto distante dalla bionda e ne trovò uno proprio di fianco ad un giovane coi capelli rossi e una ragazza dall’aria simpatica.
«Vi spiace se mi siedo accanto a voi?»
Chiese indicando il posto libero di fianco a Xiaoyu e ottenendo un cenno affermativo.
«Sei stata trattata molto male.»
Concordó la giovane cinese arrossendo un poco.
«Scusami, non era mia intenzione origliare.» Si affrettò a dire, sentendosi in colpa per la sua sfrontatezza, ma Asuka sorrise.
«Non preoccuparti, quella pazza si è messa a urlare, è normale che qualcuno abbia udito.»
«A proposito io sono Ling, Ling Xiaoyu, piacere. Loro sono Hwoarang e Baek.»
Disse con tono cordiale, presentando anche gli altri due al suo fianco, che le fecero un inchino col capo.
«Io sono Asuka, Asuka Kazama.»
Proprio mentre pronunciava il suo nome, la grande campanella che segnava l’inizio del primo round trillò sonoramente attirando l’attenzione dei presenti sul ring, dove facevano il loro ingresso  un uomo smilzo dal colorito pallido con una postura talmente rigida da sembrare impalato ed una specie di robot dalle sembianze umane che si muoveva in maniera rozza.
«È la tua prima volta?»
Domandò Xiaoyu senza staccare gli occhi dal quadrato.
«Sì.»
«Allora ci sarà da divertirsi.»
Le annunciò con un sorriso e lei l’imitò. Poggiò la schiena contro la poltrona di poliestere mettendosi comoda. Fin quando non fosse toccato a lei poteva godersi lo spettacolo.
 

Ciò che accadde nelle ore seguenti aveva dell’incredibile: contro ogni previsione l’uomo emaciato dall’aspetto malaticcio aveva battuto il gigante di latta (molti spettatori avevano strappato in mille pezzi i fogli delle loro scommesse). La brasiliana Christie aveva messo al tappeto quella specie di titano chiamato Craig usando uno stile che Asuka non aveva mai visto prima ma che l’era piaciuto da morire, Xiaoyu le aveva detto che si chiamava Capoeira. Come se ciò non fosse abbastanza, l’esile Julia si era confermata campionessa stendendo Bruce, il colosso nero alto circa due metri. Baek aveva avuto la meglio sul lottatore di sumo, la bellissima Nina invece aveva dato parecchio filo da torcere al lottatore messicano mascherato conosciuto come King II. Quando toccò a Feng Wei, sperò con tutto il cuore che vincesse perché voleva tanto affrontarlo di persona, e ciò accadde, il temibile cinese si qualificò per il secondo round battendo Raven. Anche se Xiaoyu le piaceva, non avrebbe scommesso un solo yen sul suo conto, ma la piccola e agile cinese aveva dato mostra delle sue capacità mettendo ko Law in meno di quaranta minuti. Scosse la testa con ammirazione, pensando che in quel luogo tutto poteva succedere. Si chiese se anche sua zia Jun avesse provato quelle stesse emozioni quando si era trovata al suo posto ed era felice di poter condividere con lei quell’esperienza, sentendosi per la prima volta vicina al suo ricordo.
Quando toccò a Hwoarang e Paul fu davvero indecisa per chi dei due fare il tifo; erano entrambi abili lottatori, anche se si servivano di due stili di lotta completamente differenti e il match fu davvero avvincente con tanti colpi di sorpresa. Dopo quasi più di un’ora il coreano si aggiudicò il turno, stremato.
Dopo fu il turno di Eddy (che praticava la capoeira che tanto le era piaciuta) e di Wang Jinrei. Xiaoyu affermò con orgoglio che il vecchietto altri non era che suo nonno. Asuka era sconvolta dalla potenza del centenario, tuttavia la sua caparbietà non era bastata a farlo vincere. La cinese scrollò le spalle con rassegnazione mentre Eddy alzava le braccia esultante, pronto ad accogliere la vittoria.
«Si è battuto con vero vigore.»
Ammise Asuka con sincerità e la sua nuova amica le sorrise con gratitudine.
Subito dopo salirono sul ring Lee e Yoshimitsu. Lee eseguì una capriola a mezz’aria che colpì Yoshimitsu in pieno volto, poi scivolò per terra attaccandogli gli stinchi e facendogli perdere l’equilibrio. Pochi minuti dopo si era classificato.
Lo scontro tra Anna e Steve era stato abbastanza breve, seppur avvincente. Il pugile aveva cominciato a picchiare subito dopo il fischio d’inizio e non aveva lasciato alla donna neppure il tempo di realizzare cosa stesse succedendo. L’aveva colpita ripetutamente all’altezza del petto e del collo, tenendosi però lontano dal viso, ed Anna aveva provato in più di un’occasione a riprendersi, ma la raffica di pugni era potente come una tempesta e Asuka fu certa che a un certo punto l’avesse colpita allo sterno impedendole di respirare.
Lei e Armor King invece se l’erano giocata bene sino all’ultimo, ma il messicano l’aveva spuntata con un’ottima presa wrestler che aveva sfinito il cinese.
Anche lo scontro tra Bryan e Roger II si concluse rapidamente, la furia dell’uomo era nota ormai a tutti e la maggior parte dei partecipanti lo temeva. Quando vinse raggiunse il centro del quadrato ridendo come un folle e poi diede un’occhiataccia di sfida a coloro che avevano superato la prima manche, chiedendosi chi tra loro sarebbe stato la sua prossima vittima.
Quando Panda salì sul quadrato a Xiaoyu quasi mancò il fiato.
Non era affatto la stessa che ricordava: aveva gli occhi assetati di sangue e ringhiava come un cane furioso. Afferrò Mokujin tra le possenti zampe e lo stritolò, (se al posto del robot ci fosse stato un essere umano probabilmente gli avrebbe spezzato la spina dorsale), poi affondò i denti sulla sua corazza causando un cortocircuito.
Xiaoyu era sgomenta, quella era la stessa Panda che due anni prima si era rifiutata di scontrarsi con lei perché impaurita? Cosa le avevano iniettato nelle vene per renderla così spietata?
Dopo pochi minuti di lotta Panda era stata dichiarata campionessa e portata al centro del ring, dove emise un suono forte e spaventoso che sembrava proprio voler dire “guardate di cosa sono capace”. Xiaoyu non si unì agli scroscianti applausi, si lasciò scivolare sulla sedia con disperazione, ma Asuka non lo noto perché toccava a lei salire sul ring. Rivolse alla sua nuova amica un grande sorriso.
«Augurami buona fortuna.»
La cinese dovette fare appello a tutta la sua buona volontà per restituirle il sorriso e mormorarle gli auguri.
La giapponese scese gli scalini di fretta e arrivata davanti al ring si sgranchì la schiena e batté i pugni.
«Si va in scena.»
Bisbigliò fra sé e sé con impazienza.
«Questo lo dedico a te, zia Jun.»
Poi scavalcò le corde e si trovò di nuovo faccia a faccia con Lili.
 

 
Se siete arrivati sin qui sappiate che vi siete già sorbiti circa 121 pagine di questo racconto. Questo ultimo capitolo rappresenta il punto in cui si era interrotta la vecchia fanfic.
Che dire? Spero di riuscire a continuarla secondo il progetto iniziale, anche se una parte di me desidera stravolgere tutto quanto.
Purtroppo ho perso gli appunti dettagliati che mi ero segnata, spero di non fare un casino cronico perché mi ero impegnata davvero tanto nella stesura, anche se ho cambiato molte cose in questa nuova edizione. A parer mio ho comunque migliorato le cose, rileggendo la ff dopo anni mi ero accorta di molte incongruenze tra un capitolo e l’altro e ho cercato di porvi rimedio. Sarebbe carino ricevere un feedback.
Comunque vi auguro buona continuazione!

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Capitolo 17
*** Cap. XVI - L’altra Kazama ***


Capitolo XVI
L’altra Kazama 
 
«Ha detto Kazama?»
Xiaoyu fissò Hwoarang con occhi spalancati cercando la conferma di aver udito correttamente. Allo stesso modo il ragazzo si voltò verso il suo maestro con espressione confusa, lo sguardo sgomento di Baek rifletteva il proprio.
Osservandola lottare Baek constatò che quegli stessi movimenti li aveva già visti eseguire. Seppure la tecnica di Asuka fosse meno precisa di quella di Jun e più leggiadra di quella di Jin non vi erano dubbi che si trattasse dello stesso stile di combattimento.
«Io non capisco…»
Piagnucolò Xiaoyu scuotendo la testa, rifiutando di accettare che quella ragazza potesse essere in qualche modo correlata a Jin.
Baek rimase in silenzio, chiedendosi se fosse un caso o meno, che una Kazama partecipasse a quel torneo.


***

 
Nina si era quasi strozzata col fumo della sua sigaretta quando aveva udito il nome di quella ragazza. Non era una mera coincidenza la sua presenza all’Iron Fist, anche se non aveva idea di dove Heihachi volesse andare a parare.
Certo di Jin non vi era nessuna traccia, questa volta aveva avuto il buonsenso di non cadere nella trappola del vecchio, a meno che la trappola in questione non fosse il torneo bensì proprio quella giovane.


 
***



Asuka dovette riconoscere subito che Lili fosse una degna rivale, sin dai primi minuti di scontro le aveva dato del filo da torcere schivando i suoi attacchi con elegante maestria e tentando svariate volte di contrattaccare. La bionda sembrava danzare, era certa che gli spettatori fossero estasiati dalla sua tecnica aggraziata, e probabilmente lo sarebbe stata anche lei se non fosse stata così occupata a difendersi e scansare le sue ripetute aggressioni.
Lili la colpì sulle tempie col tallone disegnando una piroetta a mezz’aria e Asuka avvertì un profondo mal di testa.  Barcollò reggendosi il viso con le mani, si sentì stordita dal colpo e dal fracasso emesso della folla misto alla musica ad alto volume. Lili si era fermata e la stava fissando da un punto poco lontano.
«Abbiamo digià finito? Che delusione, neonche il tempo di scaldarmi. Beh poco male, ondrà melio la seconda manche.»
Prima ancora di darle il tempo di elaborare quelle parole prese la rincorsa e si issò sulle mani per eseguire una rovesciata e colpirla con la punta dei piedi, ma Asuka fu più svelta e schivò il colpo rotolando di lato. Lili non si scompose e tornò in posizione desiderosa di ferirla, ma Asuka la evitò nuovamente e, approfittando di un attimo di distrazione contrattaccò ponendosi in vantaggio. Con le orecchie che ancora le fischiavano in seguito alla batosta l’aggredì a suon di calci sugli stinchi, Lili riuscì a evitare gli ultimi due con una capriola allontanandosi dalla giapponese.
«Allora non sei una completa nullità.»
Le disse col fiatone, ottenendo per tutta riposta uno sguardo carico di odio.
«Non pensare di riuscire a battermi, sono venuta qui con un obiettivo ben preciso e farò di tutto per realizzarlo, non sarai tu a mettermi i bastoni tra le ruote.»
Rispose Asuka a denti stretti ripensando a suo padre, alla delusione dipinta sul suo volto quando si era trovato inerme di fronte al suo dojo avvolto dalle fiamme, a sua madre e alla sincerità con la quale le si era rivolta, alla supplica di non commettere lo stesso errore di sua sorella, e inevitabilmente ripensò anche a sua zia Jun, a come molti anni prima di lei aveva preso la medesima decisione col fine di aiutare la propria comunità.
Non poteva essere sconfitta, c´erano troppe cose in ballo. Non aveva rischiato di perdere ogni cosa per lasciarsi battere al primo incontro, doveva stringere i denti e impegnarsi di più. Voleva scontrarsi contro Feng Wei, vendicare il dojo e riportare in alto il nome di suo padre che l’aveva alleata duramente.
Riprese la posizione e Lili la imitò. Le due donne si scrutarono a lungo, Asuka fece dei respiri profondi per ritrovare la concentrazione e focalizzare la sua energia, Lili invece pareva che stesse prendendo tempo, come se volesse prolungare quello scontro col solo fine di mettersi in mostra sotto ai riflettori. Fissava Asuka di sbieco, attendendo che fosse lei a fare la prima mossa, e così fece. Corse verso la sua rivale e l’aggredì con una combo di pugni e calci. Lili ne schivò alcuni, ma altri la colpirono in pieno facendola sanguinare. Lili sentì qualcosa scivolarle sulla fronte, si sfiorò con la punta delle dita e osservò il rosso vermiglio sporcarle le dita diafane. Corse verso Asuka, ma la giapponese l’evitò rotolando di fianco, per poi afferrarla dalle spalle e, con la sua schiena contro al petto, inarcò la schiena facendo battere la testa della sua avversaria contro il quadrato, assicurandosi la vittoria.


***

 
Quanto aveva visto era bastato a Heihachi per trovare conferma alle sue supposizioni, quella giovane era indubbiamente imparentata con Jun, e di conseguenza con Jin. Il loro stile di combattimento era troppo simile, doveva sicuramente trattarsi di una casata molto antica le cui tecniche venivano tramandate di generazione in generazione, come d’altronde facevano i Mishima.
Quell´Asuka poteva rivelarsi molto utile nel suo piano per sbarazzarsi di Jin, in quanto costituiva l’unico appiglio alla famiglia da parte di sua madre. Doveva assolutamente servirsi di quella giovane, ma come?

 
***

 
Prima di scendere dal quadrato Asuka porse una mano a Lili per aiutarla a rialzarsi, ma quella la ignorò. Era già umiliante perdere contro una dalla corporatura così esile, ci mancava solo piegarsi ulteriormente accettando il suo aiuto. Lili la guardò con odio, gli occhi ricoperti di lacrime. Suo padre la stava guardando, che cosa avrebbe pensato? Si sarebbe sicuramente crogiolato nella propria presunzione, affermando ancora una volta che le arti marziali non fossero adatte alla sua giovane figlia, e seppure Lili avesse giurato a sé stessa che avrebbe fatto in modo di fargli cambiare idea adesso non poteva fare altro se non accettare la propria sconfitta, non sono contro Asuka, ma anche contro il signor De Rochefort.
Quando Asuka capì che la bionda non aveva alcuna intenzione di accettare quel gesto di pace fece spallucce e scese dal quadrato, ad attenderla in piedi vi erano Xiaoyu, Hwoarang e Baek. Lei si avvicinò a loro con un grande sorriso, ma sul loro volto era stampata un’espressione indecifrabile.
«Beh, alla fine ce l’abbiamo fatta, siamo passati tutti quanti al round successivo.»
Esordì con tono festoso issando l’indice e il medio a mo´ di gesto della vittoria, ma nessuno ricambiò la sua allegria. Il volto di Xiaoyu era scuro, prossimo alle lacrime, mentre Baek esibiva un’espressione seria e Hwoarang la fissava come se fosse un’aliena.
«Che vi prende?»
Chiese infine, sentendosi a disagio al centro delle loro attenzioni. A rompere il silenzio carico di tensione fu Ling Xiaoyu.
«Sei una parente di Jin Kazama?»
Chiese velocemente, desiderosa di porre quella domanda.
«Di chi?»
Chiese Asuka.
«Jin Kazama, è il vincitore del terzo Iron Fist, hai sicuramente sentito parlare di lui.»
«Mi spiace, ma quel nome non mi dice proprio nulla, però è buffo che abbiamo lo stesso cognome.»
Asuka rise, ma Xiaoyu non poteva udire parole peggiori. In fondo cosa si era aspettata? Che lei gli rivelasse che conosceva Jin, che lui era vivo e si nascondeva da Heihachi? Non poteva negare di averlo sperato e si sentì stupida.
«Scusami…»
Disse, allontanandosi dalla sua coetanea nel tentativo di ricacciare dentro le lacrime.
Hwoarang e Baek si scambiarono uno sguardo d’intesa, poi il più giovane le corse dietro, lasciando Asuka in compagnia del suo maestro.
«Ho detto qualcosa di sbagliato?»
Chiese Asuka, ma il coreano la tranquillizzò rivolgendole un´occhiata benevola e complimentandosi per la vittoria.

Hwoarang aveva perso Xiaoyu tra la folla, in quel momento gli spalti si stavano svuotando e la gente si accalcava in direzione delle uscite.
Xiaoyu era sparita alla sua vista facendosi spazio tra due grandi gruppi.
Sospirò, forse in fondo le faceva bene starsene un po' per conto suo.

Xiaoyu correva tra la calca facendo vagare lo sguardo cercando una persona ben precisa. La cercò nella sala del quadrato, negli spogliatoi e dietro le quinte e alla fine la trovò seduta di fuori, intenta a fumarsi una sigaretta.
«Che cosa hai fatto a Jin Kazama?»
Si accorse di avere la voce rotta, ma non le importava.
Nina si voltò lentamente, espirando una grande quantità di fumo.
«Come dici?»
«Non fare la finta tonta con me, dimmi cos’hai fatto a Jin Kazama.»
L’irlandese la fissò dritto in mezzo agli occhi e le fu tutto immediatamente chiaro.
«È il tuo fidanzato?»
Xiaoyu le si avvicinò a un palmo di naso.
«Senti, non prendermi in giro, so bene che ci sei tu dietro alla sua assenza. Lo hai ucciso non è vero?»
Ling scoppiò in un pianto incontrollato e non notò che Nina era trasalita quando l’aveva accusata dell’omicidio di Jin.
«Cosa vai blaterando?»
Balbettò Nina, chiedendosi come mai quella giovane la stesse accusando.
«Sì lo hai ucciso in nome di suo nonno, Heihachi Mishima!»
La sigaretta le cadde dalle mani. Prima ancora che Xiaoyu potesse aggiungere qualcosa Nina l’afferrò per la collottola e la batté contro al muro.
«Come fai a sapere della loro parentela? Sei una spia di Heihachi? Vuoi tendermi una trappola per condurmi da lui?»
La giapponese spalancò gli occhi.
«Io condurti da lui? Tu lavori per lui!»
La porta si aprì emettendo un grande rumore, Nina scagliò Xiaoyu contro il pavimento e afferrò la pistola dal suo stivale mirando verso la fonte del rumore. Hwoarang alzò istintivamente le mani al cielo.
«Che sta succedendo qui?»
Chiese a Xiaoyu sdraiata poco distante da Nina.
«È una trappola? In quanti siete?»
La bionda si avvicinò a Xiaoyu e le premette l’arma sulle tempie.
«Fermo o per lei è finita.»
Disse lentamente a Hwoarang, che non accennò a muoversi.
«Calma, stai calma.»
Disse, paralizzato dal terrore. Come aveva fatto a cacciarsi in quella situazione? Nina era un sicario senza remore, non ci avrebbe pensato due volte ad ucciderli, come aveva potuto Xiaoyu essere così ingenua? Forse se fosse arrivato appena un attimo dopo sarebbe stato troppo tardi per lei.
«Sciocco da Heihachi mandare due come voi.»
«Di che parli?»
Chiese il coreano sinceramente costernato.
«Ignorala Hwoarang, sta facendo questa sceneggiata inutilmente per distogliere la nostra attenzione dalla verità. Sappiamo che sei alle dipendenze di Heihachi, che ci sei tu dietro l’omicidio di Jin Kazama, puoi evitarti questa messinscena pietosa.»
Nina piazzò la volata più in fondo sulla testa di Xiaoyu, facendole male.
«Siete voi qui che state inscenando una montatura. Vi manda Heihachi per finire l’opera, non è vero? Ma si sbaglia di grosso se creda che io sia così sprovveduta.»
«Aspetta, aspetta un secondo.»
Disse Hwoarang con le mani ancora in bella vista.
«Perché credi che sia stato Heihachi a mandarci? Tu lavori per lui, sappiamo che hai ucciso Kazama sotto suo ordine.»
«Io non ho ucciso proprio nessuno!»
Sbottò Nina mirando verso di lui.
«Non so cosa crediate di sapere, ma non ho ammazzato Kazama, per quanto ne so è ancora vivo.»
«Tu menti!»
Urlò Xiaoyu, beccandosi la pistola in bocca.
«Un’altra parola e ti giuro che sarà l’ultima.»
«Cazzate, se fosse vivo si sarebbe iscritto al torneo, quello sconsiderato non ha idea di cosa sia il pericolo.»
«Già, la sua assenza sorprende anche me, ma ha senso, non trovate? Lui manca, ma al suo posto si presenta una giovane col suo stesso cognome, è sospetto no?»
Calò il silenzio, Quella situazione era la più strana in cui Hwoarang si fosse mai cacciato.
«Se… Se è vero quello che dici, che Jin è vivo e Heihachi ti dà la caccia, significa che la presenza di Asuka rappresenta…»
«…Una trappola.»
Di nuovo calò il silenzio. Nina stava decidendo se quei due stessero dicendo la verità o meno, quando un rumore di passi la costrinse a distogliere lo sguardo e a indirizzarlo verso la fonte del rumore. Almeno una trentina di uomini armati stavano circondando il punto in cui si trovava.
«Era prevedibile.»
Disse, allontanando la pistola da di Xiaoyu e preparandosi a lottare contro la Tekken Force. Gli uomini dovevano essersi nascosti poco dopo il suo arrivo – sicuramente Heihachi l’aveva fatta pedinare – ed erano rimasti silenziosi per tutto quel tempo. Ciò significava che quei due dicevano la verità, non lavoravano per il vecchio e l’interesse manifestato verso Jin era sincero.
«Ragazzo prendi!»
Disse rivolta a Hwoarang lanciandogli la sua Glock e afferrandone un’altra dall’altro stivale.
La Tekken force si divise in tre piccoli gruppi e ognuno si diresse verso un obiettivo. Nina ipotizzò che l’armata fosse stata mandata per aggredire lei solamente e quando gli uomini avevano appurato la presenza di Hwoarang e Xiaoyu erano stati istruiti da Heihachi tramite walkie talkie di riservare loro lo stesso trattamento. Se conosceva bene Heihachi in quello stesso momento si stava preoccupando di inviare rinforzi.

Hwoarang aveva afferrato al volo la Glock che gli aveva passato Nina, ma non era per nulla intenzionato a sparare, avrebbe combattuto come gli era stato insegnato. Quando gli uomini si avvicinarono in cerchio per catturarlo Hwoarang eseguì una serie rapida di attacchi. Alcuni soldati riuscirono a schivarlo, altri vennero colpiti e stesi immediatamente. Uno in particolare lo afferrò da dietro stringendogli il collo, Hwoarang gli mollò un calcio sugli stinchi e una testata sulla fronte che gli fecero mollare la presa, un altro si avvicinò violentemente mirando alla vita, ma Hwoarang fu più svelto e con una giravolta fece in modo di farsi colpire sulla coscia, mentre gli sferzò due pugni sul viso.

Xiaoyu si premurò innanzi tutto di schivare gli attacchi, si disse che quella lotta non era poi diversa da qualsiasi round dell’Iron Fist. Quando uno degli uomini di Heihachi si avvicinò per colpirla sulla testa lei lo afferrò dal bacino per scaraventarlo poco distante e mentre combatteva non riusciva a distogliersi dalla mente il volto di Jin.
Nina doveva aver detto la verità, altrimenti la Tekken Force non avrebbe avuto alcun motivo di attaccarla. Seppure in quel momento si stesse difendendo da dieci uomini diversi, Xiaoyu fu felice per la prima volta dopo due anni. Sentì come se il nodo che le attanagliava lo stomaco si fosse improvvisamente sciolto. Jin Kazama, il suo Jin, era vivo!
Certo, c’erano ancora molte cose che Nina Williams avrebbe dovuto spiegare, ad esempio perché gli avesse risparmiato la vita. Proprio in quel momento si sentì colpire alla nuca. Doveva concentrarsi, ma l’immagine di Jin che le attraversava la mente glielo impediva, riusciva a concentrarsi solo su quello, Jin era vivo!

Nina ebbe qualche difficoltà a stendere gli uomini, Heihachi doveva aver potenziato il loro allenamento, due anni prima la Tekken Force era una ridicola imitazione di un esercito. Quando si trovò faccia a faccia contro l’ultimo rimasto in piedi gli puntò la Glock alle costole e i due rimasero immobili per un minuto squadrandosi. Nina capì che il solo motivo per cui Heihachi non aveva armato la sua truppa era per catturarla viva, voleva avere lui l’onore di ucciderla. Strinse l’arma tra le mani e avrebbe premuto il grilletto da un momento all’altro, se Hwoarang non avesse steso il suo opponente colpendolo di spalle.
«Non vale la pena ucciderlo.»
Disse col fiato spezzato, Nina ricordò che anche lei una volta preferiva non uccidere, ma era stato molto tempo prima. Il primo omicidio era sempre il pi difficile, lei aveva passato parecchie notti insonni dopo averlo commesso, sentendosi maledettamente in colpa e promettendosi che non sarebbe mai più accaduto. Ma da quel momento era passato molto tempo. Il suo secondo omicidio fu rapido e non le causò nessun malessere, era come se la prima volta avesse perso la sensibilità a quel genere di cose.

La Tekken Force giaceva per terra priva di sensi, ma Nina sapeva che era questione di tempo.
«Stanno arrivando i rinforzi, dobbiamo andarcene da qui.»
Una porta si aprì alle loro spalle e Nina puntò la Glock verso un uomo anziano. Quando Hwoarang si rese conto che si trattava di Baek schiaffeggiò le braccia di Nina costringendola ad abbassare l´arma.
«È il mio maestro.»
Mugugnò a denti stretti.
«Azzardati ancora una volta a colpirmi e sarà l´ultima cosa che farai.»
Lo minacciò l´irlandese, ma Baek l´interruppe.
«Che cosa diavolo sta succedendo qui?»
Chiese osservando i militari feriti attorno a loro.
«È una storia lunga, ma non abbiamo tempo, Heihachi sta mandando i rinforzi, Jin è vivo e…»
Riassunse Hwoarang, osservando gli occhi di Baek spalancarsi.
«Sei proprio sicuro di quanto stai dicendo?»
Il giovane notò che il suo sguardo si era posato impercettibilmente su Nina, e dovette notarlo anche lei, perché si affrettò a parlare.
«Non l´ho ucciso, ma non posso garantire che sia vivo, non era proprio affezionato alla sua vita.»
«Non dire sciocchezze, certo che è vivo, perché mai non dovrebbe tenere alla sua stessa vita?»
S´intromise Xiaoyu guardando la donna con odio. Nina roteò gli occhi.
«Come ti pare. Io me ne vado, non ho nessuna intenzione di farmi aggredire nuovamente.»
«Dov’è Asuka?»
Chiese improvvisamente Hwoarang, ricordandosi della ragazza che era rimasta indietro con Baek. Il suo maestro l’osservò con preoccupazione.
«Temo sia in pericolo»

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Capitolo 18
*** Cap. XVII - La Zaibatsu ***


Capitolo XVII
– La Zaibatsu –


«Subito dopo che sei andato via, due uomini che indossavano la divisa della Tekken Force si sono avvicinati ad Asuka e l’hanno invitata a seguirli. Io non ho potuto fare nulla per fermarli.»
Baek era nervoso, faceva danzare lo sguardo sui tre e infine lo posò su Nina.
«Cosa credi abbia in mente Heihachi?»
La donna alzò le spalle.
«Neanche quando lavoravo per lui mi raccontava i dettagli die suoi piani. Adesso vorrei andarmene, lo conosco abbastanza da sapere che non ci concederà un’uscita di scena semplice.»
«Credo voglia usarla per attirare Jin.»
Insistette Baek con voce grave.
«Quel ragazzo è cresciuto con la sola compagnia di sua madre e quella giovane porta il suo stesso cognome, potrebbe dunque costituire l’unico legame con la famiglia d’origine di sua madre. Sono certo che Heihachi userà la cosa a suo vantaggio, Asuka è in pericolo proprio quanto lo è Jin.»
«Magari quella giovane ha mentito, magari non è davvero una Kazama e si spaccia per tale sotto ordine di Heihachi.»
Ipotizzò Nina accendendosi una sigaretta, sinceramente non le importava molto di quella mocciosa.
«Tu eri presente vent’anni fa, hai visto lottare Jun Kazama e hai visto lottare suo figlio Jin. Quella ragazza padroneggia il loro stesso stile, converrai che non è un caso.»
«Se anche avessi ragione cosa vuoi che me ne importi? Perché dovrebbe fregarmi qualcosa di quella ragazzina?»
Sbottò Nina, sinceramente infastidita. Quell’uomo le stava raccontando un sacco di stronzate facendole perdere del tempo prezioso.
«Asuka è la chiave per trovare Jin. Cercatela all’interno della Zaibatsu, tu Nina saprai certamente come intrufolarti nell’edificio. Io farò da esca per la Tekken Force.»
«Non te lo permetterò, Baek! È troppo rischioso…»
Esordì Hwoarang con apprensione, solo pochi anni prima era sopravvissuto per miracolo all’attentato di Feng Wei e la sua riabilitazione era stata lunga e faticosa, non poteva lasciare che si esponesse rischiando la vita.
«Hwoarang, so bene a cosa vado incontro e sono pronto ad assumermi gli eventuali rischi.»
«Ma Baek, io…»
«No, non c’è tempo per i “ma”. Dovete irrompere alla Zaibatsu e salvare Asuka.»
Hwoarang aprì la bocca per replicare, ma un rumore di passi lo distrasse. Xiaoyu fece un cenno del capo al vecchio coreano e spinse il rosso davanti a sé per allontanarlo dal pericolo imminente.
Nina, in testa al gruppo, era felice di essersi finalmente dileguata e al primo incrocio di corridoi svoltò in direzione dell’uscita.
«Che fai? La Zaibatsu è dall’altra parte.»
«Sentite ragazzini, non so cosa crediate di fare voi due, ma io non mi farò coinvolgere in una missione suicida per il gusto di farlo. Heihachi è un uomo scaltro, in più mi dà la caccia ed io non ho nessuna intenzione di servirgli le mie chiappe su un piatto d’argento per tentare di salvare una mocciosa di cui non me ne può fregare di meno.»
Xiaoyu e Hwoarang protestarono in contemporanea ad alta voce.
«Baek si sta sacrificando affinché noi penetriamo nella Zaibatsu.»
«Trovare Asuka è la sola possibilità per arrivare a Jin!»
Nina roteò gli occhi impazientemente, non ne poteva delle loro lagne. Voltò loro le spalle senza degnarli di una risposta.
«Come puoi essere così egoista?»
Domandò infine la cinese, fissando Nina con puro disgusto. A quelle parole l’irlandese si arrestò e tornò indietro piazzandosi a un centimetro dal viso della più giovane.
«Con che coraggio osi giudicarmi? A te non importa proprio niente di quella giovane, il tuo movente è dettato dal tuo egoistico desiderio di rivedere il ragazzo per cui hai una cotta, non è vero? E tu, dimmi, hai davvero a cuore le sorti della ragazza o ti importa solo del tuo maestro? Siete entrambi mossi da motivazioni personali che nulla hanno a che vedere con l’altruismo; quindi, evitatemi la paternale perché almeno io riconosco il mio totale disinteresse e non ho la presunzione di ergermi a paladina dei più sfortunati.»
Rimasero entrambi in silenzio, osservando la schiena di Nina allontanarsi. Si rivolsero uno sguardo imbarazzato, tacito segnale che Nina in fondo non aveva tutti i torti, poi Hwoarang parlò.
«E va bene, non devi aiutarci… Ma sapresti dirci come entrare nella Zaibatsu?»
Per tutta risposta Nina sollevò il dito medio, poi voltò l’angolo sparendo alla loro vista.
Xiaoyu e Hwoarang si fissarono negli occhi, consapevoli entrambi che non potevano arrendersi e che avrebbero dovuto proseguire senza il prezioso aiuto di Nina.
«Dobbiamo tentare.»
Azzardò Xiaoyu mordendosi le labbra.
«Ma ci serve un piano! Si dice che il sistema di sicurezza della Zaibatsu sia impenetrabile, senza le conoscenze di quell’orribile donna le probabilità di essere catturati sono quasi certe. Ci servirebbe un aiuto dall’interno.»
Fantasticò Hwoarang, conscio che si trattasse di una mera fantasia, nessuno alle dipendenze di Heihachi li avrebbe mai aiutati. Xiaoyu si batté un pugno sulla mano e guardò Hwoarang con gli occhi pieni di ottimismo.
«Ma certo! Panda!»
Il rosso sollevò un sopracciglio con scetticismo.
«Ti sei bevuta il cervello?»
«Ma come, non ricordi che due anni fa abbiamo stretto amicizia?»
Il ragazzo soffocò un risolino ironico.
«Ma allora Panda era una bestia impaurita, nei due anni che sono seguiti Heihachi deve aver proseguito con i suoi esperimenti mirati a incattivirla, non hai visto cos’ha fatto stasera a Mokujin? È una fortuna che si trattasse di un animato pezzo di ferraglia, se si fosse trattato di un essere umano dubito che sarebbe sopravvissuto a quella ferocia.»
«Io credo che nel cuore sia rimasta sempre la stessa, in fondo è quella la sua vera natura.»
«Xiaoyu, sii seria.»
«Non sono mai stata più seria di così. Per quanto il mondo esterno può cambiarci, alla fine siamo tutti sinceri con il nostro vero io, e sono certa che quello di Panda è dolce e mansueto come ha dimostrato due anni fa.»
Hwoarang non rispose, ma l’espressione cinica sul suo volto non lasciava spazio ai dubbi, lui era assolutamente in disaccordo con quell’affermazione.
«Dobbiamo almeno provarci, è la sola opzione che ci rimane.»
Il suo tono era supplichevole e seppure Hwoarang nutrisse seri dubbi in merito dovette ammettere che Xiaoyu aveva ragione, Panda costituiva la loro unica chance e in fondo si disse che in entrambi i casi rischiava di rimetterci la pelle. Accarezzò la Glock che Nina gli aveva passato durante la battaglia e che si era dimenticata di riprendersi, il duro metallo gli infuse un senso di sicurezza.

Percorsero il corridoio dove si aprivano le porte che conducevano ai dormitori dei campioni. L’androne era deserto seppure fosse ancora presto, ma i campioni avevano bisogno di una notte di buon riposo per poter garantire una buona performance il giorno seguente.
Hwoarang passò dinnanzi l’uscio su cui era stata apposta una targhetta col suo nome e sospirò sonoramente, per il secondo anno di seguito si trovava costretto a dichiarare forfait e ritirarsi dal torneo, e di nuovo la colpa era da attribuire ad un Kazama.
La stanza di Panda era una delle ultime, Xiaoyu si fece coraggio e bussò quasi impercettibilmente. Hwoarang le stava dietro per coprirle le spalle, teneva la mano destra sulla pistola che nascondeva all’interno dei suoi pantaloni, pronto a tritarla fuori se le cose avessero preso una brutta piega.
Xiaoyu non ottenne nessuna risposta, per cui bussò ancora una volta. La fronte di Hwoarang si stava imperlando di sudore, quando la porta si spalancò Panda, a quattro zampe, fissò i due estranei con curiosità. Xiaoyu abbozzò un sorriso benevole e inclinò la testa di lato.
«Ciao, ti ricordi di me?»
La creatura emise un suono gutturale e si erse sulle due zampe posteriori per tutti i suoi quasi tre mesi di altezza. Il sorriso sparì dalla faccia della cinese e Hwoarang tirò fuori la pistola con mani tremanti, cercando di stabilizzare la mira. Panda si avventò verso Xiaoyu e le cinse il corpo tra le possenti zampe. Per la seconda volta Xiaoyu credé che sarebbe stata stritolata, serrò gli occhi attendendo il peggio, ma il peggio non accadde. Quando capì che Panda volesse solamente abbracciarla un sorriso le curvò le labbra, con la mano libera diede affettuose pacche sulla testa della bestiola e Hwoarang emise un sospiro di sollievo, abbassando il braccio che reggeva l’arma da fuoco.
«Per un istante ho temuto che non mi riconoscessi.»
Le confessò Xiaoyu, ma Panda scosse la testa accoccolandosi ancora di più verso la sua vecchia amica.
«Mi sei mancata anche tu!»
«Ehm… Potremmo spostare la conversazione all’interno?»
Propose saggiamente Hwoarang facendo scorrere gli occhi lungo il corridoio, temendo che qualcuno potesse aver udito il chiasso che avevano provocato.
Panda si fece di lato per permettere al coreano di varcare la soglia, e solo quando si fu chiusa la porta alle spalle lasciò andare Xiaoyu dal suo abbraccio.
«Purtroppo non siamo qui solamente in visita.»
Esordì la giovane dopo aver preso posto davanti a Panda. Le era bastata un’occhiata d’intesa per Hwoarang per stabilire che sarebbe stata lei a parlare, in fondo era quella per cui Panda nutriva più simpatia.
«Io e Hwoarang…»
Disse indicandolo, lui alzò un braccio e appiattì le labbra in segno di saluto.
«Dobbiamo riuscire ad entrare alla Mishima Zaibatsu.»
Panda spalancò gli occhi e scosse convulsamente il capo. Con le zampe anteriori fece dei gesti che indicavano pericolo.
«So che è rischioso, ma Heihachi…»
A quelle parole Panda tremò, era chiaro che nutrisse timore per quell’uomo orribile e interruppe Xiaoyu per mimare qualcosa che entrambi interpretarono allo stesso modo.
«Sappiamo che è un uomo malvagio.»
S’intromise Hwoarang.
«Ed è per questo che dobbiamo introdurci alla Zaibatsu.»
«Vedi, Heihachi tiene in ostaggio una ragazza innocente di cui vuole servirsi per arrivare ad un altro ragazzo, Jin, che ha la sola colpa di essere suo nipote.»
Il volto della giovane si rattristò e Panda l´osservò con empatia.
 «Lui… lui merita una chance di essere salvato, capisci? E noi siamo i soli che possiamo aiutarlo, ma abbiamo bisogno di introdurci nella Zaibatsu per cercare di fermare il piano di Heihachi, qualunque esso sia.»
Panda era combattuta, da una parte voleva aiutare Ling, ma dall’altra temeva che se Heihachi li avesse scoperti li avrebbe uccisi e lei non si sarebbe mai perdonata per aver condannato la sola persona che l’aveva trattata affettuosamente.
Espresse i suoi dubbi a gesti, ribadendo che Heihachi fosse cattivo ino al midollo e spiegò loro a cosa era stata soggetta una volta tornata nei laboratori Zaibatsu, in seguito all´abbandono del ring di due anni prima. Heihachi aveva ordinato ai suoi scienziati di recluderla in uno spazio ristretto e lì era stata affamata, torturata e le veniva regolarmente iniettato un liquido doloroso che aveva lo scopo di renderla più aggressiva. Hwoarang era disgustato e sbigottito allo stesso tempo, Xiaoyu si coprì la bocca con le mani scuotendo la testa incapace di accettare un simile atto di crudeltà.
Panda confidò loro che alla fine aveva compreso che l’unico modo per sottrarsi a quelle angherie era quello di comportarsi come loro desideravano, doveva semplicemente smettere di ribellarsi e comportarsi come la macchina da guerra che auspicavano a creare. Per questo era stata particolarmente violenta nei confronti di Mokujin, che dopotutto era solamente un robot inanimato.
«Adesso capisco. Deve essere stato terribile, quanto vorrei poter guarire tutte le tue ferite. Heihachi è un mostro.»
Panda annuì gravemente e calò il silenzio.
«Se è stato capace di infliggerti queste sofferenze, è sicuramente capace di fare peggio. Tu non lo sai, ma Jin è molto importante per me.»
Disse a voce bassa, forse sperando che Hwoarang non la sentisse, ma il silenzio di quel luogo rendeva impossibile non udire.
«Da quando l’ho visto quella prima volta, appena tre anni fa, non sono più riuscita a togliermelo dalla testa.»
Rise, conscia di suonare ridicola. Voltò il capo per osservare Hwoarang, ma lui fece finta di nulla e rimase impassibile seduto sul letto con le braccia tra le gambe aperte. Si sentì sollevata, una parte di lei si vergognava terribilmente di aprire così il suo cuore al cospetto di un estraneo.
«Io lo so che è sciocco da parte mia innamorarmi di qualcuno che nemmeno conosco, ma è successo e non posso evitare di provare ciò che provo. Forse è egoista, ma voglio salvarlo, devo almeno provarci altrimenti mi sentirei un totale fallimento. Per due anni, due interminabili anni, ho creduto che Jin fosse morto, ho versato lacrime amare al ricordo di lui, e adesso che so che è ancora in vita, io non posso starmene con le mani in mano.»
Panda rivolse un’occhiata perplessa a Hwoarang, come a cercare un sostegno per dissuadere l’amica dalle sue convinzioni, ma il rosso per tutta risposta alzò le spalle in segno di resa.
«So che ti sto chiedendo molto, e mi dispiace, e non lo farei se non fosse così importante.»
Hwoarang si alzò improvvisamente richiamando l’attenzione su di sé.
«In questo momento nelle nostre mani si trovano i destini di due persone. Noi siamo i soli che conoscono la verità e possono cambiare il loro fato, non provarci nemmeno ci rende complici, e questo include anche te, Panda.»
La creatura sobbalzò, punta sul vivo. Era proprio quella reazione che Hwoarang voleva provocarle.
Panda rimase un attimo in silenzio. Si sedette per terra e soppesò la cosa, decidendo cosa fosse giusto o sbagliato fare. Il volto di Xiaoyu era supplichevole, quello di Hwoarang invece severo.
Non poteva lasciare che Heihachi facesse a qualcun altro ciò che aveva fatto a lei, non augurava un simile trattamento a nessuno, e sapere che Jin era così importante per Xiaoyu la spingeva a fare la cosa giusta. Quella giovane donna due anni prima aveva rinunciato ad una vittoria certa e le aveva risparmiato l’ennesima vergogna, era scesa dal ring con la mano nella sua zampa, dimostrandole che esistevano anche umani gentili dal cuore puro. Adesso era arrivata la sua occasione per sdebitarsi.
 
 
Panda si accertò che Ling e Hwoarang fossero tornati nelle stanze a loro riservate e poi iniziò a urlare e dimenarsi, distrusse la mobilia della sua stanza e qualcuno dei concorrenti, preoccupato dal frastuono chiamò la sicurezza. Gli uomini della Tekken Force arrivarono quasi immediatamente portando un pesante collare di ferro ed un teaser. Tutti i concorrenti si affacciarono sull’uscio, compresi Hwoarang e Ling che fissarono lo spettacolo con sgomento. Uno degli uomini che portava sulla divisa il nick che rivelava suo grado “Crow” puntò il teaser contro l’ animale, finché quella non svenne priva di sensi, poi insieme ad altri tre colleghi le cinse la catena attorno alla gola e, dopo essersi scusati coi presenti, la trascinarono di peso verso i laboratori.
Mentre gli altri tornarono in camera per riprendere il riposo, Xiaoyu e Hwoarang si affrettarono a seguire il gruppetto.
Ciò che la Tekken Force non poteva immaginare era che Panda non era affatto svenuta. Negli anni in cui era stata torturata si era abituata agli effetti del teaser, che ormai non le faceva neanche più il solletico, e poco prima che uno dei membri aprisse la porta che conduceva alla Zaibatsu Panda si issò e aggredì i suoi carcerieri. Gli uomini, colti di sorpresa, non seppero difendersi. Uno venne graffiato lungo tutta la schiena dai lunghi artigli di Panda, cominciando a dissanguarsi, un altro che aveva cercato di chiamare rinforzi era stato scaraventato da Panda contro il muro e poi era stato violentemente schiantato al suolo, il terzo era stato colpito da una forte zampata e solo uno era stato risparmiato, anche se Panda aveva provvisto a disarmarlo.
«Che… Che cosa v-vuoi? V-vuoi uccidermi?»
Balbettò, ma Panda non gli avrebbe torto un capello, perché avevano bisogno di lui.
Poco dopo li raggiunsero Hwoarang e Xiaoyu che, come pattuito, indossarono le uniformi degli uomini che giacevano sul pavimento.
«Questo è ricoperto di sangue.»
Osservò Xiaoyu rabbrividendo fissando l’uomo che si stava dissanguando in seguito all’ unghiata. Panda emise un suono e la giovane si scusò.
«Certo, se non potevi fare altrimenti… è solo che mi spiace che vengano coinvolti degli innocenti.»
«Xiaoyu, questi uomini lavorano per Heihachi Mishima, credi davvero che siano innocenti?»
«Che cosa volete farmi?»
Chiese Crow con voce rotta dal panico.
«Mi ucciderete, come loro?»
Domandò indicando i suoi colleghi.
«No, tu ci servi.»
Rispose secco Hwoarang indossando i polsini dell’armatura.
L’uomo non rispose, terrorizzato dallo sguardo minaccioso che gli stava lanciando Panda.
Quando i due si vestirono obbligarono Crow a far loro strada.
«Panda non può venire con noi.»
Dichiarò Xiaoyu.
«Deve restare qui per partecipare al round di domani, devi liberarla, per favore.»
Sentenziò. Avevano pattuito che sarebbe dovuta andare così. Panda avrebbe nascosto i corpi dei soldati feriti e poi sarebbe tornata in camera e fingere che non fosse successo nulla, riportarla ai laboratori significava condannarla a subire altri inutili supplizi.
Controvoglia Crow aprì il collare che intrappolava Panda e l’animale strinse Xiaoyu in un grande abbraccio prima di lasciare che proseguisse.
«Non preoccuparti per noi, andrà tutto bene, te lo prometto.»
Crow digitò un codice sulla porta e poi si lasciò scansionare la retina dell’occhio sopra la maschera stessa.
«Dannazione, il vecchio ha a disposizione le più avanzate tecnologie. Queste maschere sono davvero abbastanza robuste da parare i colpi, ma allo stesso modo trasparenti per permettere il riconoscimento della retina.»
Commentò Hwoarang, che durante il racconto di Panda aveva dubitato che l’animale stesse esagerando.
Poi la porta si chiuse e i due ragazzi proseguirono in compagnia di Crow. Camminarono lungo un dedalo di corridoi che si incrociavano e alla fine si ritrovarono in un grande atrio con un ascensore.
«Dove siete diretti?»
Chiese Crow e in quel momento Xiaoyu e Hwoarang si fissarono nelle rispettive maschere. Non avevano idea di come fosse strutturata la Zaibatsu, sapevano solo che da qualche parte ci fossero i laboratori, ma Panda li aveva avvisati che quelli erano costantemente sorvegliati, dunque sarebbe stato sciocco rischiarsi ad addentrarvisi.
«Portaci da Heihachi.»
Ordinò Hwoarang risoluto, sapendo che Xiaoyu fosse del suo stesso avviso.
«Dal signor Mishima? Ma lui… Quello ci uccide tutti se scopre la verità.»
«Siamo pronti a rischiare.»
Disse con spavalderia, anche se in fondo sapeva che Crow avesse ragione.
«Che cosa diamine avete in mente?»
Chiese facendo danzare lo sguardo da Hwoarang a Xiaoyu e viceversa.
«Non sono cose che ti riguardano, ma farai meglio a obbedire, altrimenti…»
Il coreano mostrò a Crow la pistola che teneva nei pantaloni. Xiaoyu emise un gemito, ma venne coperto dai balbettii di Crow.
«E va bene, va bene! Ma sappiate a cosa andate incontro. Se il signor Mishima ci scopre è la nostra fine, quell’uomo non è certo uno che perdona…»


 
***


Gli uomini della Tekken Force l’avevano condotta su una torre in cima alla Zaibatsu. La stanza circolare era illuminata a giorno ed era interamente ricoperta di vetrate. I mobili scuri che l’arredavano erano in pregiato legno scuro. Alla sua sinistra si apriva una visuale mozzafiato di tutta Tokyo, dalla sua destra si godeva invece della vista del ring dell’Iron Fist,, ora vuoto.
Asuka non si era mai trovata così in alto ed avvertì un senso di vertigine da qualche parte vicino al suo ventre.
Ad accoglierla trovò un uomo anziano dal corpo muscoloso e ancora virile, aveva lo sguardo burbero e pochi capelli bianchi sui lati della testa e Asuka lo riconobbe immediatamente perché lo aveva visto svariate volte in televisione.
«Mishima-san!»
Esclamò con sorpresa inchinandosi profondamente al suo cospetto. Heihachi sorrise e ricambiò il saluto, anche se il suo inchino era appena accennato.
«Asuka Kazama, che piacere.»
La giovane sollevò il capo immediatamente.
«Lei… Lei mi conosce?»
Heihachi sorrise benevolmente come un nonno orgoglioso.
«Ho avuto l’onore di osservarti stasera, che ragazza talentuosa, che scontro!»
Asuka sentì le guance scaldarsi e si augurò che Heihachi non notasse il suo rossore.
«Prego siediti.»
Disse facendola accomodare sul divano di pelle scura che emanava un odore che Asuka non aveva mai sentito prima ma le piacque da matti.
Heihachi versò del sakè su due bicchieri di cristallo che teneva nella dispensa e ne porse uno alla giovane, che agitò le mani.
«La ringrazio molto Mishima-San, ma io non bevo alcool.»
Heihachi fece spallucce.
«Fai bene, una giovane come te non dovrebbe avvicinarsi a questa robaccia, non cominciare mai. Pessimo vizio, come quello del fumo.»
Disse, accendendosi un sigaro e porgendone uno alla sua interlocutrice, che venne nuovamente rifiutato.
Ora che la guardava bene notò che c’era qualcosa di curioso in lei, anche se non seppe definire cosa.
«Posso chiederle perché mi ha condotta qui?»
Chiese Asuka tamburellando le dita sulle sue cosce. Si sentiva a disagio al cospetto di Heihachi, c’era qualcosa di profondamente sbagliato in quella situazione, percepiva un’energia negativa. Heihachi si disse che era inutile sprecarsi in convenevoli, quindi andò dritto al sodo.
«Tu conosci Jin Kazama?»
Era la seconda volta quella sera che Asuka udiva quel nome.
«Il vincitore della terza edizione del torneo di pugno di ferro?»
Chiese, ripetendo le parole di Xiaoyu. Heihachi alzò un sopracciglio.
«Devo intuire che sia un sì?»
La ragazza si affrettò a rispondere.
«No signore, ne ho solo sentito parlare. Nonostante abbia il mio stesso cognome, io non conosco questo giovane di cui parla. Perché…»
Heihachi la interruppe.
«E il nome Jun Kazama invece ti dice qualcosa?»
Le pupille della giovane giapponese si dilatarono ed Heihachi ebbe la sua risposta prima ancora che lei dicesse qualcosa.
«Sì, è mia zia. Lei la conosce? Sa dove si trova?»
«Tua zia? Parlami di lei.»
La incalzò il vecchio ignorando la sua domanda.
«Beh in realtà non l’ho mai conosciuta personalmente, ma ho sentito parlare di lei. Ha partecipato alla seconda edizione del torneo di pugno di ferro, non è vero? Purtroppo, da quel giorno non l’ha più rivista nessuno. Devo confessarle che una parte di me sperava di incontrarla qui. Lei la conosce? Sa dove si trova?»
Heihachi elaborò velocemente un piano sulla base delle poche informazioni ricevute. Bevve una generosa dose di sakè e si leccò le labbra, poi poggiò il bicchierino sul tavolo di legno massello ed emise un sonoro sbuffo.
«Lei purtroppo è morta.»
Gli occhi di Asuka tremarono. Si portò le mani alla bocca e scosse la testa, rifiutandosi di accettare quella verità.
«É stata uccisa dal suo stesso sangue, da suo figlio Jin Kazama.»


***


Crow li condusse verso l’ascensore e poi premette il pulsante del settimo piano. Xiaoyu e Hwoarang si scambiarono un’occhiata interrogativa, possibile mai che Heihachi si trovasse così in basso?
«Il signor Mishima si reca spesso nei laboratori…»
Li informò Crow, come se leggesse nelle loro menti.
Quando furono scesi si lasciarono guidare lungo un corridoio tappezzato di videocamere a circuito chiuso, sulle due pareti si aprivano porte bianche dotate di apriporta. Il soldato si fermò davanti all’ultima porta e si chinò per digitare il codice alfanumerico
«Cosa faremo quando saremo lì?»
Chiese Xiaoyu sommessamente per non farsi udire da Crow.
«Non lo so, improvviseremo.»
«E se Asuka non è con lui?»
«Non lo so, dannazione, qualcosa ci verrà in mente al momento.»
Rispose Hwoarang preoccupato. Sapeva che la missione era rischiosa, Heihachi avrebbe potuto fiutare le loro menzogne, Crow avrebbe potuto sbugiardarli nel momento stesso in cui avrebbero varcato la soglia. Avvertì un peso enorme sullo stomaco e deglutì per scioglierlo.
Il suono assordante di una sirena rimbombò per tutto il perimetro, durante quella breve conversazione non si erano accorti che Crow aveva digitato per ben tre volte il codice errato, facendo scattare l’allarme.
«Idioti, pensavate sul serio che vi avrei condotto nella Zaibatsu così facilmente? Adesso tutti i miei colleghi sanno che siete qui e non tarderanno ad arrivare, dite pure le vostre ultime preghiere.»

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Capitolo 19
*** Cap. XVIII - La fuga ***


Capitolo XVIII
– La fuga –

 
«Mi spiace essere stato io a doverti informare di qualcosa di così tragico, ma era giusto che tu sapessi… Mi auguro solamente che tu non decida di vendicarti, sarebbe troppo pericoloso.»
Asuka fissava un punto impreciso sul pavimento, incapace di reagire. Cosa avrebbe dovuto dire? Non poteva negare che una parte di sé aveva sospettato che sua zia Jun fosse morta, perché altrimenti nulla giustificava il fatto che non fosse mai tornata al villaggio. Rabbrividì al pensiero che proprio il suo stesso figlio fosse il responsabile della sua morte e riuscì solamente a chiedersi perché.
«Però lo capirei…»
Aggiunse Heihachi facendo roteare il bicchiere mezzo vuoto, aveva assunto un’espressione terribilmente affranta.
Asuka sentì qualcosa ronzarle in testa, i suoi pensieri vorticavano confusamente.
«Che senso avrebbe?»
Disse infine, Heihachi per poco non si strozzò col suo sakè, ma lei non ci fece caso.
«Cosa intendi?»
Chiese con gli occhi ridotti a due fessure.
«Che senso avrebbe vendicarla? La violenza non è mai la risposta, questo non riporterà mia zia Jun in vita»
Il vecchio divenne paonazzo.
«Ma… Ma certo che no, però non ti piacerebbe se il responsabile della sua morte soffrisse? Lui ha causato molto dolore nelle vostre vite, non sarebbe bello ripagarlo con la stessa moneta?»
«Ma a che scopo?»
Sbottò Asuka fissando gli occhi scuri di Heihachi. Lui digrignò i denti, quella conversazione non stava prendendo la piega che aveva sperato e ciò lo irritò.
«Allo scopo di vendicare la sua memoria, per infliggere a suo figlio una pena. Per l’amore del cielo ragazzina, Jin Kazama ha ucciso tua zia! Sono certo che Jun volesse ancora vivere a lungo.»
«Lo penso anch’io Mishima-san, ma la violenza chiama solo altra violenza e finiremmo per perderci in un circolo vizioso. Io non so perché queste cose orribili siano accadute, ma so che non vanno ripetute. Mi hanno insegnato le arti marziali come strumento di difesa, non di offesa!»
Heihachi sentì una grande rabbia montargli in corpo.
«Sei solo una stupida!»
Urlò issandosi in piedi. Asuka non capì il motivo della sua reazione ma si affrettò ad alzarsi di conseguenza.
«Se io adesso ti dicessi che sono stato io ad uccidere Jun, tu non mi faresti nulla? Resteresti qui impassibile senza nessun desiderio di vendetta? Mi lasceresti condurre la mia vita come se nulla fosse? Davi così poco valore alla vita della tua parente?»
Asuka non comprendeva, Heihachi era diventato rosso d’ira e aveva alzato la voce verso di lei senza nessun motivo apparente.
«Mishima-san, la vita di mia zia aveva molto valore, ma ormai si è spezzata e nulla la riporterà indietro. Perché per lei è così inaccettabile che io non voglia vendicarla? Non è con questi valori che sono stata cresciuta, mi creda, non lo vorrebbe neanche lei.»
Asuka avrebbe tanto voluto andarsene. Alzò lo sguardo verso l’uscio che le sembrava troppo distante. Heihachi la fissava dall’alto e lei ebbe una bruttissima sensazione. Non le era sembrata una cattiva idea quella di recarsi lì ma capì di aver commesso un grave errore. Heihachi era minaccioso e la guardava come se fosse un pezzo di carne, Asuka avvertì un brivido lungo tutto la schiena.
«É tardi Mishima-San, dovrei proprio dormire adesso, domani mi aspetta il secondo round.»
Si diresse verso l’uscio, ma lui l’afferrò per un braccio e la strattonò. Rise istericamente, assumendo un’espressione inquietante che le fece tremare le ginocchia.
«Pensi veramente di poter fuggire via da me? Che ti lascerò tornare indietro? Asuka Kazama tu oggi sei qui perché io ti ho voluta qui stasera e qui resterai perché sei la sola cosa che può attrarre Jin Kazama da me.»
«Di… Di che parla? Perché mai lui dovrebbe cercarmi? Mi lasci andare.»
Il vecchio la schiaffeggiò con violenza. Asuka si toccò la guancia che aveva immediatamente preso a pulsare. Lei non voleva lottare, sapeva che era inutile contro un uomo forte come quello, voleva solo raggiungere l’esterno e lasciarsi tutto alle spalle. S’indirizzò nuovamente verso la porta, ma Heihachi l’atterrò con un calcio. Capì che dovette difendersi e rotolò versò la finestra, ma Heihachi era agile nonostante l’età e la stazza e le fu subito addosso. Asuka lo calciò sul viso, ma lui non ebbe nessuna reazione. Gli mollò un pugno, ma lui lo parò con il palmo della mano e, una volta afferratala per il braccio, glielo torse verso il senso opposto facendole molto male.
«Sei vile e debole proprio come tua zia, ma come lei sarai un’ottima esca per il ragazzo.»
Disse e fece per colpirla ancora, ma il suono sguaiato di una sirena riecheggiò sinistramente, catturando la sua attenzione.
«Non può essere.»
Disse, ma l’allarme non cessava, anzi pareva quasi che aumentasse d’intensità.
«Mi occuperò di te dopo, prima ci sono cose più importanti.»
Uscì dalla stanza e Asuka attese un po' prima di tentare di aprire la porta. Era inutile, Heihachi l’aveva chiusa dentro, lo sospettava ma doveva provarci.
Corse verso la finestra decisa a lanciarsi di sotto ma si paralizzò davanti alla larga vetrata, si trovava al settantesimo piano, in cima all’edificio più alto di tutta l’isola.
Era in trappola.

 
 
***
 
 
Xiaoyu e Hwoarang si fissarono con sgomento, le porte si aprirono e udirono il rumore dei passi della Tekken Force, se fossero rimasti fermi li avrebbero scoperti. Il ragazzo afferrò il polso della giovane costringendola a correre, ma Crow si parò dinnanzi a loro.
«Voi non andrete da nessuna parte.»
Disse con voce che assomigliava ad un sibilo.
«Da questa parte.»
Urlò a gran polmoni cercando di sovrastare il suono della sirena.
«Da questa parte! Due impostori con le nostre divise.»
Hwoarang gli mollò un calcio per farlo tacere, ma il danno era fatto, ormai la loro presenza era stata resa nota.
Il colpo sullo stomaco aveva costretto Crow a piegarsi, non se lo era aspettato.
«Dobbiamo mescolarci tra loro.»
Urlò a Xiaoyu.
«Sì, ma come?»
Hwoarang ebbe un’idea folle che però forse poteva funzionare.
«Seguimi.»
Le disse e lei ubbidì. Corsero per il lungo corridoio e voltarono a destra, scontrandosi con un gruppo di uomini che proveniva dal corridoio di sinistra. Li fissò tentennando un momento, poi pregò che il suo sciocco piano funzionasse.
«Di là!»
Urlò indicando il corridoio opposto. L’esercito seguì la direzione che aveva indicato e partì alla carica. Hwoarang e Xiaoyu si unirono al gruppo e corsero verso il nulla per non destare sospetti.
«Ottimo piano, ottimo davvero, ma adesso come ci liberiamo?»
Gli sussurrò Xiaoyu mentre capitanavano il gruppo.
«Non ne ho nessuna idea.»


 
***
 
 
«Come sarebbe a dire due intrusi? E come si sarebbero introdotti nella Zaibatsu?»
Heihachi era furioso, fissava la sua armata con sgomento.
Li aveva fatti radunare tutti quanti poco dopo l’allarme.
«Parlate, non costringetemi ad usare le cattive. Io sono vostro amico.»
Disse con tono calmo, ma tutti capirono che si trattava di un bluff.
Un uomo si avvicinò ad Heihachi trascinandone un altro per la collottola.
«Mishima-san, questo è il Crow che ha lanciato l’allarme. Lo abbiamo trovato a contorcersi davanti alla porta incriminata»
Crow strisciò i piedi sul pavimento, non aveva alcuna voglia di avvicinarsi ad Heihachi. Allungò le mani dinnanzi a sé muovendole spasmodicamente.
«No, no, io…»
Per un fortuito caso, Hwoarang e Xiaoyu erano finiti in prima fila quando Heihachi li aveva chiamati. Avrebbero voluto indietreggiare sino all’ultima fila, ma sarebbe stato sciocco farlo proprio sotto ai suoi occhi.
«E come hanno fatto, Crow, ad intrufolarsi nella Zaibatsu indossando una divisa? È impossibile, a meno che non si conosca il codice. Di’, li hai forse aiutati tu?»
Crow era impietrito dal terrore, talmente spaventato da non riuscire ad articolare una frase di senso compiuto.
«N-no… S-sì, ma m-mi hanno m-minacciato con una p-pistola.»
Xiaoyu si morse il labbro, ma fortunatamente nessuno poteva vedere il suo volto sotto la maschera.
«Ma davvero? Ti hanno minacciato. Sarà stato terribile Crow… Ma dimmi, non hai pensato che se non ti avessero ucciso loro, l’avrei fatto io?»
Prima di dargli il tempo di replicare, o anche solo di assimilare quelle parole, Heihachi gli afferrò il cranio tra le mani e con una rapida mossa gli torse il collo, facendolo spirare all’istante.
Hwoarang era sgomento e Xiaoyu squittì di paura, ma grazie al vociare che si era levato nessuno l’udì.
«Voglio che ve lo ricordiate sempre: se ad uccidervi non sarà il nemico, allora sarò io. Non avete nessuna possibilità contro di me. Adesso ognuno di voi proverà di non essere un intruso al dottor Bosconovitch. A turno digiterete il codice apriporta, a cominciare dalle ultime file. Voi cinque invece seguitemi, ho un compito importante per voi.»
Heihachi diresse la sua mano verso cinque soldati in prima fila. Era certo che nessun intruso si sarebbe posto in prima fila, sarebbe stata una mossa troppo stupida.
Xiaoyu e Hwoarang seguirono nervosamente Heihachi verso l’ascensore e poi sino al settantesimo piano.
«Ho un ospite di cui dovreste occuparvi. Si trova nel mio studio, dovrete condurla in laboratorio per fare degli esami, poi rinchiudetela nei sotterranei.»
I tre soldati annuirono e loro imitarono il gesto. Quella situazione non gli piaceva per nulla, ma almeno si sarebbero presto diretti verso l’ ufficio del vecchio ed erano sicuri che l’ospite di cui parlava era proprio Asuka.


 
***
 

Asuka aveva provato a prendere a pugni e a calci la porta, ma non era in grado di sfondarla, evidentemente era blindata. Poi, invasa dalla rabbia, cominciò a scagliare la roba di Heihachi in aria, il suo inutile tavolino, le sedie poste davanti alla scrivania, il suo televisore al plasma e la credenza su cui posava, la vetrina con dentro i suoi adorati liquori che si versarono sul pavimento. In quel momento ebbe un’idea. Da lì non sarebbe sicuramente uscita viva, quindi tanto valeva rischiare il tutto per tutto. In uno dei cassetti della scrivania cercò l’accendino con cui Heihachi si era acceso il sigaro e sorrise come una folle quando lo trovò.
Non sapeva perché Heihachi ce l’avesse con lei, ma la furia con cui l’aveva aggredita e l’odio con cui l’aveva guardata non le fecero desiderare scoprirlo. Rivolse i suoi ultimi pensieri alla sua famiglia, poi versò una sola lacrima.
«Perdonami mamma per aver disubbidito.»
Fece scattare lo zippo e lo lanciò verso la moquette intrisa di whisky e sakè e le fiamme si sparsero immediatamente lungo tutta la stanza.
Asuka aveva iniziato a piangere.
«A presto zia Jun.»
In breve tempo l’ambiente si surriscaldò, nella vetrina c’erano non meno di cinque bottiglie colme, non sarebbe durato molto. Un forte fumo nero si levò in aria e lei iniziò a tossire convulsamente. Ebbe paura, non era pronta a morire, ma se doveva succedere non voleva che fosse per mano di un uomo crudele che con ogni probabilità l’avrebbe torturata.
Chiuse gli occhi e attese il peggio seduta sul pavimento, ma proprio quando sentì il calore delle fiamme così vicine alla sua carne udì un forte rumore provenire dalla porta. O forse se lo era immaginata? Appariva tutto appannato, ovattato, stava perdendo i sensi.


 
 
***



Nina era montata sulla sua Mercedes Benz X253 aveva guidato verso ovest. Era ancora irritata a causa della conversazione avuta con quei due marmocchi, come avevano osato rivolgersi a lei in quei termini?
Ripensò alle parole di Baek, Heihachi stava veramente usando quella ragazzina come un’esca? Ma se anche fosse stato, a lei perché avrebbe dovuto importare? Non la conosceva, non le doveva nulla.
Però se Heihachi fosse riuscito a catturare Jin… Scosse la testa, decidendo che neanche quello era affar suo. Se il pivello era così sciocco da cadere nella su trappola se lo meritava.
Eppure lui quella sera non si era presentato al torneo, forse non era del tutto idiota.
Ripensò a Richard. Nonostante Nina fosse stata cresciuta da entrambi i suoi genitori, il legame con suo padre era per lei la cosa più preziosa. Rabbrividì, ripensando a quel ragazzo che non aveva altri oltre a sua madre, la madre che gli era stata strappata con la violenza dal suo stesso nonno.
Ricordò l’espressione affranta che aveva assunto quanto le aveva parlato di lei appena due anni prima a Ujo Park.
Frenò bruscamente e scese dalla vettura per respirare la fresca aria notturna e accendersi un’altra paglia e aspirò una boccata così lunga che ne consumò metà.
Non doveva lasciarsi coinvolgere in faccende che non la riguardavano, soprattutto perché Heihachi le dava la caccia e lei sapeva bene quanto quell’uomo potesse essere pericoloso.
Rammentò le ultime parole che le aveva rivolto Jin prima che si separassero: “ti uniresti a me nella lotta contro Heihachi?”
Lasciò cadere il mozzone e lo schiacciò coi piedi, rientrò in auto e, maledicendosi, fece dietro front.
Non seppe perché, o forse lo sapeva fin troppo bene ma non voleva accettarlo.


 
***



Xiaoyu e Hwoarang seguirono in silenzio il piccolo corteo capitanato da Heihachi, imitando l’andatura degli altri tre soldati e muovendosi al ritmo del loro passo deciso.
Hwoarang era certo che la ragazza accanto a lui tremasse di paura, perché anche lui non era da meno. Pensò a Baek, si chiese se stesse bene e se l’avesse più rivisto dopo quella notte. Solo pochi minuti prima aveva visto Heihachi uccidere uno dei suoi uomini con una semplice mossa, cos’avrebbe fatto a una spia?
Come avevano fatto a cacciarsi in quella situazione? La vita di Asuka Kazama valeva veramente tutto quel rischio? Scrollò il capo, quanto era vigliacco! Si maledisse per quei pensieri ignobili e fu felice che almeno quelli poteva tenerli per sé. Se Baek avesse saputo quanto era stato vile si sarebbe vergognato di averlo avuto come allievo. No, non voleva che i suoi ultimi pensieri fossero deboli, alzò il collo e si disse che se ce ne fosse stato bisogno avrebbe lottato duramente fino all’ultimo e che avrebbe fatto di tutto per salvare Asuka, per sottrarla alle perfide grinfie di quell’uomo orribile.
Così se anche la morte fosse sopraggiunta, sarebbe spirato da eroe.


 
Le gambe di Xiaoyu tremavano violentemente, si chiese come mai nessuno lo avesse notato. Heihachi era ancora più perfido di come si era immaginata, Panda aveva ragione.
Si disse però che non aveva sbagliato nulla, tutto era mirato a salvare la vita a Jin Kazama, quindi aveva perfettamente senso.
Solo che non avrebbe voluto morire così, senza neanche avergli mai rivelato il suo amore.
Pregò affinché gli dèi le dessero un’ultima possibilità di rincontrarlo su questa terra. Una sola, affinché potesse finalmente aprirgli il suo cuore.
 
 
Arrivati nel corridoio del settantesimo piano Heihachi fiutò nell’aria l’acre odore di fumo.
«Che diavolo sta succedendo?»
Chiese fra sé e sé correndo verso la porta del suo ufficio, dalla cui fessura proveniva un intenso fumo nero.
«No, no, no.»
Si ripeté ansioso, cercando la chiave giusta nel mazzo e inserendola nella serratura con mano tremante. Quando la porta si spalancò dovette proteggersi il naso e la bocca con la manica della sua giacca.
«Che cosa aspettate idioti? Entrate a prendere la ragazza!»
Urlò ai suoi scagnozzi sperando che quella puttana fosse ancora viva.
Da morta non gli sarebbe servita a nulla.


 
 
***
 
 
Un lampo di luce rossa catturò la sua attenzione, proveniva proprio dall’ultimo piano della Mishima Zaibatsu. Nina strabuzzò gli occhi per accertarsi che non si trattasse di un’allucinazione, ma no, era reale, nell’ufficio di Heihachi era scoppiato un incendio. Accelerò e aumentò la marcia, lì stava succedendo qualcosa di molto strano e si chiese cosa potesse essere.
Che quei due squilibrati fossero riusciti a introdursi davvero nell’edificio? Ma no, era impossibile se non si conoscevano i codici apriporta e Nina era assolutamente certa che quei due non potessero conoscerli.
Allora c’entrava forse quella ragazza, Asuka? Ma che motivo avrebbe avuto Heihachi di ucciderla nel proprio ufficio? Qualcosa non tornava e doveva scoprire cosa.
 
Quando giunse nel parchetto adiacente alla Zaibatsu mollò l’auto in mezzo all’erba senza preoccuparsi di parcheggiare decentemente. Ancora non vi erano giornalisti, ma la stampa non sarebbe tardata ad arrivare, presto qualcuno in città si sarebbe accorto delle fiamme e avrebbe avvisato i pompieri.
«Nina?»
Udì una voce chiamarla e si arrestò. Con un gesto rapido afferrò la sua Glock – l’altra era rimasta al ragazzo dai capelli rossi – e si voltò verso la fonte.
Quasi non le cadde l’arma dalle mani.
«Che cosa diavolo ci fai tu qui?»
 

***
 
 
L’armata entrò nell’abitacolo senza problemi, le maschere della divisa coprivano la bocca e il naso impedendo loro di respirare i fumi generati dall’incendio. Cercarono Asuka e non la trovarono sino a che uno dei Crow la indicò.
«Eccola lì!»
Urlò facendosi largo tra le fiamme per recuperarla. Hwoarang si avvicinò e Crow credé volesse dargli una mano a sollevarla, ma lui invece lo colpì inaspettatamente.
«Dannazione, è uno degli intrusi!»
Urlò un altro Crow correndo verso di lui per spingerlo tra le fiamme, ma Xiaoyu lo ostacolò frapponendosi in mezzo.
«E tu devi essere l’altro.»
Dichiarò a denti stressi mollandole un pugno, ma la giovane lo schivò chinandosi e roteò sul posto allungando la gamba per fargli lo sgambetto.
«Complimenti per l’arguzia.»
Dichiarò assumendo la posizione per attaccare il secondo uomo, che però mirava a Hwoarang. Xiaoyu gli corse dietro e lo provocò affinché quello si concentrasse su di lei, il coreano doveva pensare a trovare una via di fuga quindi il suo ruolo era quello di stendere i tre uomini.
Affrontò il secondo Crow a muso aperto, ma fu raggiunta anche dal terzo e presto si trovò a fronteggiare i tre soldati.
«Non mi fate paura.»
Li informò destreggiandosi abilmente tra di loro. La sua peculiarità era proprio dettata dall’ abilità di attaccare dal basso, riuscendo così a evitare il fumo negli occhi, cosa che giocò a suo grande vantaggio in quella lotta. I Crow si erano abbassati anch’essi, ma non possedevano la sua stessa agilità e fu facile metterli al tappeto.
Hwoarang si fece largo verso la porta d’ingresso, ma non poteva uscire evitando Heihachi, doveva escogitare un piano e doveva farlo in fretta.
«Che sta succedendo lì dentro, idioti? Perché ci state mettendo tanto?»
Urlò Heihachi dall’altro lato dell’uscio, e uno dei Crow rispose concitato.
«Mishima-san i due intrusi… Sono qui!»
Heihachi rabbrividì, non era vero.
«Xiaoyu!»
Chiamò Hwoarang che aveva avuto un’idea geniale e folle allo stesso tempo che poteva salvargli la vita o farli uccidere immediatamente. La ragazza lo guardò e seguì il gesto della sua mano.
«Al mio via, ci avviciniamo quanto più possibile alla porta, io sparo un colpo di pistola e convinco Heihachi a entrare e quando lui si dirige verso destra noi corriamo verso l’uscita.»
Xiaoyu scosse la testa preoccupata.
«No, non funzionerà mai.»
«Dobbiamo provarci, che altre alternative abbiamo?»
Non l’aveva convinta, lei continuava a scuotere il capo, sapeva che aveva ragione, ma quel piano era talmente pericoloso, e se Heihachi si fosse diretto verso di loro? O ancora peggio, se non fosse caduto nella trappola e li avrebbe attesi all’uscio?
«Che sta succedendo?»
Domandò di nuovo Heihachi con voce grave.
«Li abbiamo in pugno.»
Esclamò uno dei Crow, che intanto li avevano circondati.
Xiaoyu si parò di nuovo di fronte al ragazzo e li affrontò, ma il caldo stava diventando insostenibile, sebbene lei avvertisse brividi di freddo in vista del piano di Hwoarang. Si chinò inarcando la schiena ed eseguì una combo di calci senza nemmeno pensare, la mente era occupata a calcolare tutto ciò che potesse andare storto nel piano del coreano, e proprio quando meno se lo aspettava lui la chiamò ed estrasse la Glock per sparare due colpi rivolti al cielo.
Xiaoyu deglutì e pregò affinché andasse tutto per il meglio, anche Hwoarang rivolse una preghiera a nessuno in particolare per salvarsi e, come previsto, Heihachi entrò.
Fu una frazione di secondo, i Crow agitarono le mani convulsamente per impedirgli di muoversi gridandogli che fosse una trappola, il vecchio si arrestò all’istante, ma aveva concesso loro la porta libera e i due corsero come forsennati per varcare l’uscio, Hwoarang tirò la porta dietro di sé e la chiuse.
Udirono un urlo che fece accapponare la pelle, al giovane si rizzarono i capelli dietro la nuca “non appena ne uscirà, sarò morto” pensò. Seguì Xiaoyu per i corridoi, ma quel labirinto era una trappola a doppio senso, non si poteva entrare, ma non si poteva neppure uscire.
«Dove andiamo?»
Chiese Xiaoyu.
«Ci deve essere un’uscita d’emergenza, c’è sempre.»
Urlò Hwoarang e fece vagare lo sguardo in alto cercando il cartello verde.
«Di qua!»
Urlò Xiaoyu dirigendosi a sinistra, spinse il maniglione antipanico e si trovarono in cima alle scale antincendio. A Hwoarang doleva il fianco per la lunga corsa ma non si fermò e scese i gradini due alla volta, con il corpo di Asuka abbandonato tra le mani che sussultava ad ogni balzo.
Fu una corsa interminabile, ad un certo punto udirono una porta aprirsi sopra di loro e l’esercito di Crow li seguiva di nuovo, evidentemente Heihachi aveva dato l’allarme.
«Non fermarti, non fermarti!»
Urlò Xiaoyu a Hwoarang, ma respirare era diventato più difficile.
«Siamo quasi arrivati, siamo quasi arrivati.»
Lo incoraggiò, ma Hwoarang provò la spiacevole sensazione che la sua anima avesse lasciato il suo corpo, stava correndo, ma era come se non fosse lui a controllare i suoi stessi movimenti.
Arrivati quasi alla fine Xiaoyu pensò che avesse senso lasciarsi cadere di sotto e così scivolò sotto il corrimano e atterrò al piano terra.
«Lanciami la pistola!»
Urlò e Hwoarang obbedì. La giovane sparò un colpo alla cieca mirando alla Tekken Force, poi un altro e vide un corpo cadere nel vuoto. Rabbrividì, era lei la responsabile di quella morte, ma, nonostante ciò, continuò a sparare finché non esaurì le munizioni.
Non era molto, ma aveva concesso a Hwoarang un po’ di vantaggio e presto anche il giovane fu di sotto.
Si ritrovarono nel parchetto alle spalle della Zaibatsu, correvano ancora come forsennati, ma con il favore delle tenebre forse sarebbero riusciti a seminarli. Quando meno se lo aspettavano udirono uno sparo che aveva lo stesso suono di quelli appena emessi dalla cinese.
«Dove diamine credete di andare voi?»
Era la voce profonda di una donna.
Hwoarang e Xiaoyu si voltarono in silenzio ritrovandosi faccia a faccia con Nina.
«Non sparare, non siamo della Tekken Force, siamo noi!»
Disse agitando le mani.
«Siamo Xiaoyu e Hwoarang, abbiamo Asuka!»
Un’ombra scura dietro l’irlandese fece un passo avanti e venne illuminato dalla luce di un lampione.
«Hwoarang?»
Gli occhi di Xiaoyu si spalancarono e si portò le mani davanti alla bocca. Non poteva crederci, era lui, era proprio lui.
«Jin Kazama!»

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Capitolo 20
*** Cap. XIX - Alleanze ***


Capitolo XIX 
– Alleanze – 

 

Nina li aveva fatti salire tutti quanti sulla sua vettura e accese il motore come una furia prima che qualcuno della Tekken Force potesse raggiungerli. Lasciò la frizione, schiacciò violentemente l’acceleratore e l’auto emise uno strido mentre sfrecciava sull’asfalto. 
Non aveva neanche fatto in tempo a cambiare la marcia che tutti parlarono in contemporanea. 
«Come diavolo avete fatto a introdurvi alla Zaibatsu?» 
Chiese Nina ai due giovani seduti nel sedile posteriore fissandoli dallo specchietto retrovisore. 
«Cos’è successo all’ufficio di Heihachi?» 
Domandò Jin dal lato passeggero facendo vagare il suo sguardo sui presenti, accorgendosi solo oin quel momento della ragazza priva di sensi. 
«Come mai se tornata indietro?» 
Domandò Xiaoyu a Nina ricambiando il suo sguardo nello specchietto. 
«Ho creduto fossi morto!» 
Urlò Hwoarang a Jin. 
Vi fu un attimo di pausa, poi di nuovo ognuno urlò una risposta diversa alle domande poste. 
Nina premette la mano sul clacson richiamando il silenzio. 
«No, basta, basta, così non va. Parleremo uno per volta. Ragazzina comincia tu. Come accidenti avete fatto ad irrompere alla Zaibatsu, l’edificio più sorvegliato e protetto dell’intero Giappone?» 
Xiaoyu era leggermente nervosa, per la prima volta si trovava in compagnia di Jin e la sua presenza l’inquietava un poco. L’osservò di sottecchi e constatò che lui la stava fissando con interesse, attendendo la sua risposta. 
«Allora?» 
L’incalzò Nina, a cui non era sfuggito il suo sguardo timido, né il rossore sul suo viso. 
Xiaoyu fece un lungo sospiro e cominciò a raccontare la storia da quando Nina se n’era andata: aveva raccontato di Panda, dell’imbroglio ai danni della Tekken Force, di come avevano minacciato Crow costringendolo a condurli all’interno, di come quest’ultimo li avesse tratti in inganno e di come infine Heihachi li avesse scelti per scortarlo nel suo ufficio. 
Qui Hwoarang intervenne per raccontare la parte di storia legata ad Asuka. 
«L’ufficio di Heihachi era avvolto dalle fiamme quando siamo arrivati, e Asuka giaceva per terra priva di sensi. Lui ci aveva ordinato di condurla nella sala del prelievo e poi nei sotterranei, Dio solo sa cosa avesse in mente. Ma qualcosa deve essere successo tra di loro prima del nostro arrivo perché lei ha pensato bene di incendiare la sala in cui si trovava. Se avessimo tardato di anche solo un minuto, temo che sarebbe stato troppo tardi.» 
Disse, guardando la ragazza ancora addormentata al fianco di Xiaoyu: Jin dovette voltarsi di quasi 360° poiché la ragazza sedeva proprio dietro di lui. 
«A proposito, chi è? Perché si trovava nell’ufficio di Heihachi?» 
A quelle parole seguì un silenzio imbarazzato. Certo, dovevano dirgli chi lei fosse, ma a chi sarebbe toccato il compito? 
Nina alzò lo sguardo verso lo specchietto retrovisore e osservò la cinese e il coreano scambiarsi un’occhiata tesa. Decise che sarebbe stata lei a parlare. 
«Questa giovane si chiama Asuka Kazama.» 
Jin spalancò gli occhi e si voltò nuovamente a fissarla. Nina capì che stava cercando in lei qualche tratto di Jun e si sentì lo stomaco pesante. 
Per tutta la durata della propria vita quel giovane non aveva conosciuto nessun parente, ad eccezione di sua madre. 
Hwoarang ruppe il silenzio. 
«Pensiamo sia una tua parente, combatte proprio come tua madre!» 
Lo informò, ricordando il video che Baek gli aveva mostrato anni prima. 
«Ad ogni modo, ha affermato di non conoscerti.» 
S’intromise Xiaoyu, provando un moto di gelosia nei confronti della ragazza svenuta che Jin stava ancora fissando insistentemente. Con quelle parole però, Xiaoyu aveva richiamato la sua attenzione e il suo sguardo adesso si era posato su di lei. 
«Che intendi dire?» 
Arrossì di nuovo, era la prima volta in assoluto che le rivolgeva la parola. 
«Io… le ho chiesto se per caso ti conoscesse, subito dopo il suo turno al torneo, ma lei… Lei dice di non aver mai sentito parlare di te.» 
Jin rise, ma era una risata amara. 
Gli altri non potevano saperlo, ma per quasi tutta la sua esistenza Jin si era chiesto se al mondo ci fossero dei suoi consanguinei, qualcuno che potesse chiamare “famiglia”. 
Pochi anni prima era stato felice di fare la conoscenza di Heihachi, voleva disperatamente identificarsi in qualcun’altro, scoprire da chi aveva ereditato tutte quelle peculiarità che non appartenevano a Jun. Ma suo nonno aveva solamente desiderato ucciderlo, e non sapeva neppure il perché. Forse era per questo che Jun l’aveva tenuto lontano dai Mishima così a lungo, per questo gli aveva nascosto per vent’anni la vera identità di suo padre. Aveva senso, ma se era vero che al mondo esistevano altri Kazama si chiese perché lo avesse tenuto anche lontano da loro. Che fossero pericolosi quanto i Mishima? Doveva preoccuparsi di Asuka? 
«…e alla fine Baek ci ha detto che era stata scortata via da due uomini della Tekken Force, è per questo motivo che ci siamo intrufolati alla Zaibatsu.» 
Aveva concluso Hwoarang, ma Jin non aveva ascoltato tutta la prima parte del discorso, preso com’era dai suoi pensieri. Annuì, ma in realtà pensava a ben altro e sperava che quella giovane si risvegliasse in fretta. 
«E tu perché sei tornata indietro invece?» 
Chiese Xiaoyu a Nina, l’irlandese si era aspettata questa domanda ed aveva una risposta pronta. 
«Ho notato le fiamme nell’ufficio di Heihachi e mi sono incuriosita.» 
Disse semplicemente, ma il coreano pareva insoddisfatto di quella risposta. 
«No, non ce la racconti giusta per niente. Dici che Heihachi ti dà la caccia, che vuoi tenerti lontana dai guai e la prima cosa che fai quando scopri un incendio nel suo ufficio è recarti alla Zaibatsu? Per quale motivo?» 
Nina tacque, ma sentì il sangue ribollirle nelle vene. Hwoarang continuò. 
«Stai mentendo, Williams...» 
La bionda alzò lo sguardo per incontrare gli occhi scuri di Hwoarang, che l’osservavano con presunzione, credeva di sapere più di quanto effettivamente sapesse. Gli occhi azzurro ghiaccio di Nina esprimevano odio puro. 
Un gemito di Asuka li costrinse tutti a concentrarsi su di lei. La giovane spostò il capo ma continuò a dormire. 
«Speravo si stesse risvegliando.» 
Commentò Xiaoyu. 
«E invece per quanto riguarda te Jin?» 
Chiese infine Hwoarang ignorando Nina. Voleva porgli quella domanda già da molto tempo. 
«Cosa diavolo è successo dopo che sei sparito dal ring dell’Iron Fist perché sei troppo stupido e prepotente per lasciarti aiutare da qualcuno?» 
Jin avrebbe voluto ribattere qualcosa, ma sapeva di aver torto. Forse se avesse permesso a Hwoarang di coprirgli le spalle, non sarebbe mai arrivato al tempio, non avrebbe scoperto che Kazuya era ancora in vita e non si sarebbe mai trasformato in demone. Gli capitava spesso di pensarlo, ma poi si ripeteva che Heihachi avrebbe trovato il modo di togliere di mezzo, chiunque si fosse frapposto fra lui e il suo desiderio di ucciderlo, quindi si disse che era stato meglio così, non voleva che qualche innocente morisse a causa sua. 
Emise un profondo sospiro e cominciò a raccontare cosa fosse successo da quel momento in poi. Raccontò di come la Tekken Force lo avesse catturato e condotto da Heihachi – non accennò a Kazuya, né alla propria natura demoniaca e con uno sguardo eloquente implorò Nina di tacere la questione, almeno per il momento. Raccontò loro di come Nina lo aveva salvato, della notte trascorsa a Ujo Park, di come poi si era diretto a Osaka e vi aveva vissuto sino a quando non aveva appreso della quinta edizione del torneo di pugno di ferro. 
«E perché sei tornato?» 
Domandò Nina, che ancora non aveva ricevuto risposta a quella domanda, prima che qualcuno si azzardasse a chiederle perché lo avesse aiutato. 
«E perché non ti sei iscritto?» 
Le fece coro Hwoarang. 
Jin rispose loro di essere tornato perché sospettava che Heihachi avesse in mente qualcosa, poiché la cifra del montepremi era eccessivamente alta. 
«Sapevo che tramava qualcosa, ma non sapevo cosa.» 
«Quindi ti sei incuriosito, ma sei stato abbastanza saggio da tenerti a debita distanza.» 
Concluse Xiaoyu al posto suo, abbozzando un sorriso. 
«Per una volta non ti sei comportato da perfetto idiota, evviva evviva.» 
Commentò Hwoarang in tono sarcastico. 
In realtà c’era dell’altro, ma Jin non poteva dirlo senza svelare il suo orribile segreto. 
Cercò Nina con lo sguardo e pregò affinché lei capisse che voleva parlarle a quattro occhi, lontano alle orecchie di Hwoarang e… 
«A proposito, tu sei?» 
Chiese infine, rivolto alla cinese. 
Lei arrossì di nuovo, quanto era sciocca! Lui in effetti non poteva avere alcuna idea di chi lei fosse, o del perché si trovasse lì, disposta a mettere a repentaglio la sua sicurezza per proteggerlo. 
«Mi chiamo Ling, Ling Xiaoyu.» 
Jin inarcò le sopracciglia, ricordò di aver già udito quel nome. 
«Sbaglio o hai partecipato alla terza edizione del torneo? Se non ricordo male ti sei classificata sino alla seconda manche.» 
Si ricordava distintamente di lei perché si era sorpreso di trovare una partecipante così giovane. Xiaoyu divenne paonazza, lui l’aveva notata, si era accorto di lei. 
«Sì, avevo battuto King, ma poi ho perso contro Fury!» 
Sorrise, col cuore che quasi rischiava di scoppiarle in petto, talmente tamburellava veloce. 
«Non sapevo, Hwoarang, che avessi la ragazza.» 
Disse infine, rivolgendo un sorriso al ragazzo. In macchina calò il silenzio, Nina si sforzò per trattenere una fragorosa risata e sentiva che non avrebbe resistito ancora a lungo, Hwoarang aveva un’espressione ebete sul viso e alzò le mani per negare, ma Xiaoyu fu più rapida ed esplose come una mina. 
«Che cosa? Lui il mio ragazzo? No, no, hai frainteso tutto quanto, lui ed io non siamo proprio niente, come puoi anche solo pensare una simile sciocchezza? Non è per nulla il mio tipo, hai preso un granchio grande quanto la Mishima Zaibatsu, non è affatto come credi! Io e Hwoarang, sul serio? È così ridicolo che non riesco neanche a ridere.» 
Urlò con voce acuta agitando convulsamente le braccia, mentre il suo viso si tingeva di rosso scarlatto. 
«Guarda che ha capito, non c’ è nessun bisogno di continuare a sproloquiare!» 
Urlò il rosso a sua volta, che era arrossito in seguito alla risposta di Xiaoyu. 
«Beh che c’è di male? Stavo solo ribadendo il concetto.» 
«Non c’è alcun bisogno di ripeterlo all’infinito, e comunque cosa credi? Neanche tu sei il mio tipo!» 
«La cosa mi fa solo piacere.» 
«Pensa a me!» 
I due si diedero le spalle voltandosi in direzioni opposte, Hwoarang fissò il panorama fuori dal finestrino indispettito dai vaneggi di Xiaoyu e la ragazza chiuse gli occhi per l’imbarazzo. Perché Jin pensava che Hwoarang fosse il suo ragazzo? Se avesse continuato a crederlo, lei non avrebbe avuto nessuna possibilità con lui. Per questo motivo aveva reagito così male, non era certo sua intenzione offendere il coreano, che anzi era stato un alleato prezioso fino a quel momento. 
«Scusatemi tanto, ho solo frainteso, non volevo creare nessun disagio.» 
Si affrettò a giustificarsi Jin con un debole sorriso. 
«Beh in effetti fanno proprio una bella coppia.» 
Aggiunse Nina, desiderosa di attizzare il fuoco. Le piaceva provocare, era così sin da quando era bambina e di divertiva a stuzzicare Anna per manipolarla e costringerla a fare ciò che desiderava. 
«Fammi il favore, come se potesse mai piacermi una come lei!» 
Affermò Hwoarang con rabbia, e dato che le dava ancora le spalle non notò l’espressione ferita sul volto di Xiaoyu. Perché lo aveva detto? Che cos’aveva lei che non andava? 
Il resto del viaggio proseguì in silenzio, Nina guidò per circa un’ora verso nord, sino a quando giunsero alla prefettura di Ibaraki. 
«Credo sarebbe meglio fermarsi.» 
Disse infine. 
«Abbiamo passato una notte insonne e non ha senso allontanarsi troppo, Heihachi non ci sta seguendo.» 
Gli altrui annuirono, desiderosi di fare un bagno caldo e riposare dopo l’avventura alla Zaibatsu. Jin voleva approfittarne per restare solo con Nina e raccontarle i suoi timori. 
Nina cercò un capsule hotel, ma non ce n’erano nei paraggi e decise che sarebbe andata bene qualsiasi cosa dove avrebbe potuto dormire, quindi optò per un ryokan a conduzione famigliare. 
«Quanti soldi avete?» 
Chiese loro prima di entrare e tutti diedero qualcosa fino a raggiungere la cifra che copriva il soggiorno di cinque persone. 
«Noi potremmo dividere la stanza, Kazama.» 
Suggerì Hwoarang a Jin, che annuì. 
«E anche voi ragazze potreste…» 
«Io non divido niente con nessuno, voglio una singola.» 
Affermò Nina con insolenza. 
«Ma i soldi non bastano.» 
«Io posso permettermi questo e altro.» 
«Allora perché ci hai chiesto del denaro?» 
Domandò Hwoarang stringendo i pugni. 
«Semplice, perché non voglio sborsare per tutti voi.» 
 
 
Hwoarang aveva preso in braccio Asuka e l’aveva condotta nella camera che avrebbe diviso con Xiaoyu, i due si rivolsero appena la parola. 
Jin e Hwoarang si diressero verso il loro locale e Nina verso la singola che aveva scelto per sé. 
«Vado a farmi un bagno.» 
Disse infine il coreano, desideroso di togliersi finalmente la divisa sudata della Tekken Force. Jin approfittò dell’occasione per dirigersi da Nina. 
«Posso parlarti?» 
Le chiese dopo aver bussato e lei scorse la porta quel poco che bastava per lasciarlo entrare. 
«Allora… Perché tutti questi segreti?» 
Chiese dopo essersi accesa una sigaretta. Jin non ebbe bisogno di chiederle a cosa si riferisse, sapeva perfettamente di cosa parlasse. 
«Cosa dovevo fare? Rivelare che mio padre è ancora in vita e posseduto dal demonio? O che io sono posseduto dal demonio?» 
«Hanno rischiato la vita per te.» 
Gli fece notare. Jin aggrottò le sopracciglia. 
«Per Asuka…» 
«Santo cielo ragazzo svegliati! Temevano che Heihachi sfruttasse Asuka per attirarti a sé, volevano evitare che ciò accadesse.» 
Jin spalancò gli occhi sorpreso. 
«Per quale motivo…?» 
S’interruppe, incapace di continuare. Non si spiegava perché qualcuno dovesse sacrificarsi per lui. A parte Jun nessuno gli aveva mai voluto bene e non c’era abituato. 
Nina scrollò le spalle con finto disinteresse. 
«Adesso dimmi la verità, perché sei tornato?» 
Jin rabbrividì ripensandoci. 
«Non potevo dirlo in macchina, altrimenti avrei dovuto rivelare la mia vera natura… Io… Io non so come spiegarlo, ma sentivo qualcosa.» 
Nina lo fissava attentamente, le pareva di essere tornata indietro di due anni, quando a Ujo Park Jin non era in grado di spiegarle come avesse fatto a trasformarsi nel demone alato. 
«È lui…» 
Disse, e Nina seppe immediatamente che si riferiva alla creatura oscura che albergava nel suo corpo. 
«È come se fungesse da antenna.» 
La donna lo fissava in silenzio e Jin temette che non gli credesse, che lo reputasse pazzo. 
«Sentivo le emozioni di Heihachi, ma allo stesso tempo c’era qualcos’altro e non riesco a spiegarmi cosa. Era un’energia positiva, qualcosa di ben diverso, per questo mi sono precipitato alla Zaibatsu, dovevo capire… Ma una volta arrivato era tutto finito.» 
Rimasero in silenzio, Nina rifletteva sulle sue parole e Jin ripensava alle sensazioni provate che non gli appartenevano. 
«A proposito, sei riuscito a dominarlo?» 
Jin scosse il capo con espressione delusa. 
«Non sono pi riuscito a trasformarmi. Ma ci ho provato.» 
Aggiunse, come a volersi giustificare. 
«Mi sforzavo di ripensare a quella sera, mi concentravo sui sentimenti provati quando ho scoperto di Kazuya, focalizzavo l’odio verso Heihachi, ma è stato tutto inutile. Qualcosa dentro di me è camiato, questo mi è chiaro, ma non riesco a richiamare il demone, neanche se mi sforzo.» 
Nina aprì bocca per parlare, ma il suono delle nocche contro al legno la costrinsero ad alzarsi per dirigersi verso la porta d’ingresso. 
«Jin è qui?» 
Domandò Xiaoyu, che divenne molto triste quando notò la presenza del ragazzo. Che ci faceva da solo in camera con Nina? Che quei due se la intendessero ed era proprio quello il motivo che aveva spinto Nina a tornare indietro? Ora che ci pensava, magari Nina aveva insistito a prendere una camera singola per poter restare da sola con Jin. Che cosa era successo tra loro a Ujo Park? 
«Asuka si è svegliata, pensavo ti interessasse saperlo.» 
L’informò, ma non accennò ad andarsene, rimase sull’uscio. Jin annuì e la seguì nel corridoio, voleva assolutamente parlarle, aveva così tante domande che gli frullavano in testa e, si rese conto, solo poche di queste includevano Heihachi. 
«Vieni con noi?» 
Chiese il ragazzo all’irlandese, la cinese avrebbe voluto che non lo facesse, si sentiva di troppo in mezzo a quei due e la cosa non le piaceva. Avrebbe voluto parlarne con Hwoarang, ma si sentiva maledettamente a disagio nei suoi confronti. 
Camminarono in silenzio, e pima che Xiaoyu lo lasciasse entrare gli chiese il favore di informare Hwoarang, lei non se la sentiva. 
 

 
Asuka era confusa, la testa le doleva ancora e non sapeva né dove si trovasse, né come ci fosse arrivata, ma il fatto che fosse ancora in vita la rassicurava. 
Xiaoyu le raccontò brevemente cosa fosse successo, la informò che si trovavano in un ryokan a Ibaraki e che era al sicuro, che lei e Hwarang l’avevano salvata dalle grinfie di Heihachi. Quando udì quel nome Asuka rabbrividì. 
«Cos’è successo prima che arrivassimo?» 
Chiese con voce dolce e pacata, quel tono di voce che si riserva agli ammalati o alle persone in difficoltà e Asuka per tutta risposta iniziò a singhiozzare. 
La lasciarono piangere, era giusto che si sfogasse, e quando finalmente le lacrime cessarono lei parlò. 
«Mi ha fatta portare nel suo ufficio.» 
Sebbene si trattasse di poche ore prima, Asuka ebbe la sensazione che gli eventi di quella sera fossero avvenuti parecchio tempo prima. 
«Voleva usarmi come esca. Capii immediatamente che non ne sarei uscita viva, dunque decisi di appiccare l’incendio. Non volevo dargli la soddisfazione di uccidermi.» 
Calò il silenzio. Il coraggio di Asuka nel compiere quel gesto estremo aveva lasciato tutti senza parole. 
«Ma… Usarti come esca… Contro chi?» 
Chiese Xiaoyu, con le mani ancora davanti alla bocca. Asuka sollevò il capo e fissò i suoi occhi castani. 
«Quell’orribile ragazzo, colui di cui mi hai parlato: Jin Kazama!» 
Batté i pugni contro il tavolo e Jin si avvicinò a lei con espressione grave. 
«Io sono Jin Kazama!» 
Urlò e i loro occhi s’incrociarono per la prima volta. Jin provò una strana sensazione guardando Asuka, ebbe l’impressione di conoscerla da molto tempo, sentì quasi un moto d’affetto nei suoi confronti, ma la ragazza lo fissava con odio misto a disgusto. 
«Sei veramente tu?» 
Il giovane annuì e Asuka si alzò e si diresse verso di lui, per un secondo Jin ebbe la sciocca impressione che volesse abbracciarlo, ma quella invece cominciò a colpirlo fino a quando Hwoarang non l’afferrò per la vita e la sollevò da terra allontanandola dal giapponese. Lei continuava a dimenarsi e per poco non colpì Hwoarang, intanto aveva ripreso a piangere. 
«Perché l’hai fatto? Perché hai ucciso zia Jun?» 
Chiese infine con voce roca. Gli occhi rossi e umidi erano iniettati di sangue. 
A Jin parve di ricevere un pugno in pieno petto. Fissò Asuka con gli occhi sgranati, quell’accusa era inammissibile. 
«Heihachi ti ha mentito!» 
Urlò infine, sentendo una grande rabbia montargli in corpo. 
«Lui l’ha uccisa.» 
Hwoarang avvertì il corpo di Asuka distendersi e mollò finalmente la presa. 
«Voleva servirsi di te per arrivare a me, per uccidermi, come progetta ormai da anni.» 
Asuka non rispose, era indecisa se fidarsi o meno di quel ragazzo. Dopotutto perché non avrebbe dovuto? Heihachi si era rivelato un vile manipolatore e in effetti aveva accennato al fatto che lei poteva essere un’ottima esca per “il ragazzo”. Era rimasta priva di sensi per molte ore, se quei quattro avessero avuto cattive intenzioni nei suoi confronti, probabilmente non si sarebbe risvegliata, e invece era ancora in vita, era stata condotta via dall’ufficio di Heihachi, era stata salvata dalle fiamme che lei stessa aveva provocato. 
Guardò Jin per la prima volta. Aveva un cipiglio severo e rigoroso, ma i suoi occhi sembravano dolci. Si disse che quello era il figlio di sua zia Jun, e questo lo rendeva suo cugino. Provò una strana sensazione, quel tipo era la cosa pi vicina a sua zia. Si disse che sua madre sarebbe stata felice di incontrarlo, anche se non era Jun, era comunque un pezzo di lei. 
«Mi dispiace davvero tanto aver dubitato di te, cugino.» 
Disse con voce rotta dall’emozione, mentre gli si avvicinava per stringerlo in un abbraccio. Jin fu incapace di rispondere, ma non si scostò. 
«Cugino?» 
Chiese, sentendo un calore improvviso da qualche parte nel suo petto, vicino al cuore. 
Per la prima volta da quando Jun non c’era più, Jin si sentì meno solo. 
«Scusami Asuka, dici che Jun è tua zia, che grado di parentela avete?» 
Chiese Hwoarang, costringendo Asuka a mollare la presa sul ragazzo. Jin avrebbe desiderato che quell’abbraccio durasse ancora, ma allo stesso tempo si sentì sollevato quando lei si allontanò. 
Asuka si asciugò le lacrime e raccontò loro la stessa storia che aveva appreso solo poche settimane prima da sua madre. 
«Sarà così contenta di conoscerti, lei e Jun erano migliori amiche, quasi come sorelle!» 
Disse a Jin con un largo sorriso. 
«Certo, apprendere della sua morte la farà soffrire molto… Santo cielo, non riesco a immaginare come reagiranno gli anziani, saranno tutti lieti di darti il benvenuto nella nostra comunità.» 
Asuka non riusciva a distogliere lo sguardo dal ragazzo, sembrava come ipnotizzata. 
Jin non espresse i suoi dubbi ad alta voce, ma per lui fu inevitabile chiedersi se Asuka avesse ragione. C’era una ragione precisa se sua madre aveva deciso di non fare ritorno in comunità? Se aveva scelto di crescerlo lontano da tutti in un villaggio di pescatori? 
E se era vero che i suoi parenti l’ammiravano e rispettavano, allora perché nessuno li aveva mai cercati? 
Aveva una spiacevole sensazione, l’ultima volta che si era presentato alla porta di un parente, questi aveva cercato di farlo fuori, quanto poteva essere certo che i Kazama non avessero fatto lo stesso? 

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Capitolo 21
*** Cap. XX - Gli eredi degli dei ***


Capitolo XX
– Gli eredi degli dei–


L’acqua termale era calda al punto giusto, Hwoarang inclinò la testa all’indietro per immergere anche le orecchie e cercare di mettere così a tacere i propri pensieri.
Il calore alleviò la tensione e guardando il sole già alto nel cielo plumbeo si senti molto fortunato. La notte precedente aveva temuto di morire tante di quelle volte che adesso non poteva non sentirsi privilegiato di poter nuovamente assistere a quello spettacolo.
Si chiese se Baek potesse affermare la stessa cosa, se stava bene o se la Tekken Force gli avesse dato filo da torcere.
Sebbene il suo maestro fosse ancora in forma, Hwoarang sapeva che stava invecchiando e quella prospettiva lo terrorizzava. L’attentato subìto da Feng Wei qualche anno prima lo aveva visibilmente destabilizzato, i suoi riflessi erano peggiorati e lui temeva potesse essergli successo qualcosa di grave. Avrebbe voluto chiamarlo, ma se la Tekken Force lo avesse malauguratamente acciuffato avrebbe rischiato di compromettersi rivelando la propria posizione e sarebbe stato tutto quanto inutile: non avevano corso quel rischio enorme per lasciarsi scoprire così facilmente.
Guardò Jin, che aveva inclinato la testa a sua volta e si chiese se avesse la benché minima idea di tutto ciò che stava accadendo attorno a sé.
Si domandò per l’ennesima volta perché mai Heihachi volesse ucciderlo a tutti i costi, che pericolo poteva costituire quel giovane per un uomo del suo calibro?
Jin schiuse gli occhi e si sorprese quando constatò che il coreano lo stava fissando. Hwoarang arrossì e distolse lo sguardo, ma il danno era fatto.
«Perché mi stavi guardando?»
Chiese, indietreggiando di qualche passo.
«Mi chiedevo a che diavolo stessi pensando.»
Mentì, indietreggiando a sua volta.
«Che t’importa di cosa penso? Ad ogni modo non pensavo proprio a niente.»
«Questa è una bugia, Kazama.»
Rispose Hwoarang lanciandogli uno sguardo di sfida.
«Se non vuoi parlarmene va benissimo, ma abbi la decenza di non mentirmi. Non fingere che l’incontro con Asuka non abbia significato niente, perché ti si legge in faccia che sei turbato.»
Jin rimase in silenzio, riflettendo su quelle parole. Hwoarang attese una risposta, e quando questa non arrivò chiuse gli occhi e lasciò che l’acqua gli bagnasse la nuca.
«E se mi disprezzassero?»
Chiese a voce bassa, sperando quasi di non essere udito, ma Hwoarang aveva sentito distintamente, anche se non si era scomposto minimamente.
«Perché dovrebbero?»
«Non lo so, ma anche Heihachi vuole farmi fuori ed io non ne conosco il motivo.»
Hwoarang rifletté che in fondo era possibile anche quell’ipotesi, ma ebbe il buonsenso di tenere quel pensiero per sé.
«In fondo mia madre gli ha disubbidito, ha trasgredito volontariamente le regole imposte e come se ciò non bastasse, è rimasta incinta senza nemmeno essere sposata. Ci credo che non abbia avuto il coraggio di tornare in comunità!»
Rifletté a voce alta.
«Se adesso mi presento alla loro porta, che accoglienza riceverò? Dovrò sperare nel loro perdono o sarò allontanato e bollato come indesiderato?»
Hwoarang tacque, sapeva benissimo come ci si sentiva ad essere etichettati ancor prima di aprir bocca. Lui, prima di incontrare Baek, era solamente il figlio di un alcolizzato, la gente lo additava e gli urlava dietro che era un caso irrecuperabile, anche se non aveva fatto niente di male.
Aveva iniziato a comportarsi male proprio in seguito a quel trattamento, che almeno avessero un motivo per allontanarlo! Baek era stato il solo che gli aveva teso una mano e Hwoarang ricordava ancora il modo in cui aveva ripetutamente rifiutato il suo sostegno, fino a quando non capì di desiderarlo con tutto il cuore. Ma per Jin era diverso.
«Perché credi che le avessero proibito iscriversi al torneo?»
Chiese infine Hwoarang, sperando che quella domanda indirizzasse altrove i dubbi del suo amico.
«Non ne ho idea. Mi hai dato un altro grattacapo.»
Commentò il giapponese con tono piatto.
«Scusa, non era mia intenzione.»
«Non devi scusarti, avrei dovuto pormi la stessa domanda. Sono successe talmente tante cose che ho la mente affollata.»
Confessò con una punta di vergogna.
«È naturale che sia così. Senti, so quali sono i tuoi timori riguardo ai Kazama, ma è inutile arrovellarsi il cervello. Dovresti seriamente chiedere ad Asuka di condurti dagli anziani della vostra famiglia, chi meglio di loro potrà rispondere ai tuoi dubbi?»
Jin tacque, sapeva che aveva ragione, ma nutriva un brutto presentimento.
«E se anche loro contano di farti fuori… Beh poco male, suppongo ci sarai abituato.»
Scherzò facendo spallucce e si sorprese di scorgere un timido sorriso sulle labbra dell’altro.

 

***
 

Quel bagno caldo era proprio ciò di cui Asuka aveva bisogno per scacciare via la tensione fisica che aveva accumulato. Si sentiva ancora lievemente intontita e desiderava solamente tornare a casa dai suoi genitori, che per un istante la sera prima aveva temuto di non rivedere mai più.
Immerse la testa sott’acqua provando una magnifica sensazione di isolamento. Riemerse dopo un lunghissimo lasso di tempo per riprendere fiato, i capelli le si erano incollati al collo e alle spalle.
Rifletté sul fatto che Jin pareva non sapere proprio nulla a proposito della comunità Kazama e si chiese perché mai Jun non gliene avesse mai parlato. Quell’intera faccenda era avvolta da un alone di mistero e si disse che i soli che potevano rispondere ai suoi dubbi erano proprio gli anziani. Si mormorava, all’interno della comunità, che gli anziani custodissero un libro le cui primissime pagine furono scritte da Izanami in persona. Asuka non sapeva se fosse vero, ma si disse che aveva senso tentare.
Decise che ne avrebbe parlato con Jin subito dopo il bagno, adesso voleva solamente abbandonarsi a quella sensazione di torpore

 

***
 

«Quindi siete giunti entrambi alla stessa conclusione.»
Riepilogò Nina dopo aver ascoltato la conversazione tra i due cugini.
«Sarebbe la cosa più logica.»
Confermò Asuka, lieta di sapere che anche Jin la pensasse allo stesso modo, sebbene all’apparenza non sembrava entusiasta di quella decisione.
Quel pomeriggio stesso, al calare delle tenebre si misero in viaggio diretti ad Osaka.
«Arriveremo tra circa nove ore.»
Li informò Nina consultando il navigatore.
«Così tanto?»
Domandò Xiaoyu sorpresa.
«Beh, se non te la senti, puoi restare qui. Nulla ti obbliga a venire.»
Rispose l’irlandese accendendosi una sigaretta. Xiaoyu dovette mordersi la lingua per non risponderle a tono. Non avrebbe abbandonato Jin proprio ora che lo aveva trovato. Soprattutto, ma lo tenne per sé, non si fidava di Asuka. Quale ragazza si fiondava con quella fansato e si era lasciato stringere tra le sue braccia. Eppure, quei due non potevano certo innamorarsi, erano cugini… Ma si potevano davvero considerare parenti se tra loro non vi era alcun legame di sangue? Xiaoyu scosse la testa decisa a scacciare quel pensiero.
«Senti Williams, ti spiace accendere la radio? Vorrei sapere come procede il torneo.»
Chiese Hwoarang, ottenendo il consenso di Asuka.
«Già, sono curiosa anch’io.»
In realtà al coreano importava altro, voleva solamente scoprire se Baek fosse ancora in gioco o meno.
«E va bene.»
Finse di accontentarli, ma in realtà era desiderosa quanto loro di sapere cosa succedesse sul ring. Per la seconda volta aveva dato forfait, e la cosa non le piaceva.
Rimasero tutti in religioso silenzio ascoltando la radiocronaca dello speaker, ma mancava ancora qualche ora all’inizio del torneo, quindi si sorbirono tutti i pronostici e il riassunto della sera prima.
«Il primo round ha visto come vincitori Sergej Dragunov, un nuovo concorrente che ha sin da subito sbarellato la concorrenza battendo l’androide Jack 5, il valoroso Craig Marduk che i veterani conoscono già, Julia Chang che si è classificata battendo Bruce Irwing. Baek Doo San ha sconfitto il lottatore di sumo, Ganriu, Nina - una delle sorelle Williams - ha invece sconfitto il messicano King II e Feng Wei ha primeggiato contro Raven.»
Asuka trasalì udendo quel nome, quanto avrebbe voluto lottare contro Feng!
«…da Xiaoyu, seguita da Hwoarang, Eddy Gordo e Yoshimitsu, che ha sconfitto Lee Chaolan. La seconda delle sorelle Williams, Anna, ha invece perso contro il campione in carica Steve Fox, il pugile vincitore della scorsa edizione. Armor King e Bryan Fury sono ancora in gioco, insieme a Panda e la novizia di quest’edizione Asuka Kazama, che ha egregiamente lottato contro un’altra principiante, la francese Lili de Rochefort.»
Nell'abitacolo era calata un’atmosfera tetra, pensavano tutti la medesima cosa.
«Credete che abbiano già notato la nostra assenza?»
Domandò la cinese pensando a suo nonno. Cos'avrebbe pensato non vedendola sugli spalti?
«Credo non faccia alcuna differenza.»
Sentenziò Nina in tono piatto, mentre teneva una mano sul volante e con l'altra tastava la tasca dei suoi pantaloni cercando un accendino.
Asuka stringeva i pugni così forte che le nocche divennero bianche. Aveva rischiato tutto quanto per niente, era stata costretta a ritirarsi dopo appena un turno e non aveva avuto né la possibilità di scontrarsi contro Feng, né tanto meno quella di provare ad aggiudicarsi il primo premio e le fu inevitabile provare un forte senso di delusione.
«Il torneo inizierà tra circa un'ora.»
Fece notare loro Jin osservando l'orologio digitale sul cruscotto, ma nessuno rispose.
Rimasero zitti sino a quando il cronista non annunciò l'inizio della seconda giornata, anticipando che alcuni concorrenti si erano ritirati.
«Ritirati un corno!»
Bisbigliò Asuka a denti stretti.
«I quattro contendenti che hanno abbandonato sono Nina Williams, Ling Xiaoyu, Hwoarang e Asuka Kazama»

Hwoarang emise un sospiro di sollievo talmente forte che non passò inosservato.
«Anch'io ero preoccupata per Baek»
Ammise Xiaoyu lanciandogli un sorriso solidale che lui si trovò costretto a ricambiare.
Ascoltarono la radio con vivo interesse, scoprendo che Sergej, Feng, Bryan, Steve e Panda avevano vinto reciprocamente contro Eddy, Julia, Craig, Yoshimitsu e Armor King. In assenza di ulteriori concorrenti, Baek era passato direttamente alla manche successiva senza dover neppure lottare.
«Questo è molto positivo, almeno Baek ha potuto riposarsi in vista della terza serata.»
Commentò la cinese e il coreano annuì, anche se credeva che Baek non fosse dello stesso avviso. Era certo che il suo maestro avesse preferito confrontarsi con un avversario, piuttosto che classificarsi in quel modo, ma in fondo concordava con la ragazza. Si ripromise di telefonargli non appena fossero giunti a Osaka, desiderava farlo in un momento d'intimità e non di fronte ai suoi compagni di viaggio. Arrivarono a Osaka a notte inoltrata, le strade erano deserte e la città dormiva quieta sotto la luna crescente. Nina dovette spegnere il navigatore e lasciarsi guidare da Asuka lungo un percorso sterrato in cima ad una vallata che non appariva sulla mappa.
Quando giunsero finalmente a destinazione, Asuka fu assalita da due sentimenti contrastanti: da una parte era sollevata di essere tornata finalmente a casa, d'altro canto però temeva la reazione dei suoi genitori. Si erano senz'altro accorti della sua assenza e con ogni probabilità li aveva spaventati. Quando giunse davanti alla porta di casa sua si accorse che la luce era accesa.

Aprì la porta silenziosamente, trovando i suoi genitori seduti al tavolo che attendevano ilo suo ritorno. Quando sua madre la vide scoppiò in un lungo pianto e si precipitò ad abbracciarla. Suo padre non le era corso incontro, ma si era poggiato una mano sul petto e adesso sussurrava ringraziamenti ad Inazami.
«Si può sapere perché l’hai fatto Asuka? Perché ti sei iscritta a quel torneo?» Chiese sua madre separandosi dall’abbraccio e afferrandola per le spalle, fissandola dritta in mezzo agli occhi.
«Mi dispiace tanto avervi fatto preoccupare, volevo solamente aiutare papà e tutta la collettività.»
«Ti sei messa in un grande guaio, Asuka! Perché, oh perché l’hai fatto? Speravo che dopo averti raccontato di Jun tu avresti compreso.»
A quelle parole Asuka si ricordò di non essere sola. Indietreggiò e prese il cugino per il polso, conducendolo proprio di fronte a sua madre, che li guardava entrambi con espressione interrogativa.
«Mamma lui è Jin, Jin Kazama. È il figlio di zia Jun.»
L’informò con un sorriso, aspettandosi che sua madre ricambiasse, ma al contrario di quanto previsto, la donna si portò una mano davanti alla bocca e si lasciò cadere su una sedia. Suo padre, allarmato, corse a versarle dell’acqua.
Gli altri, rimasti indietro, si scambiarono uno sguardo carico di apprensione, non era la reazione che avevano sperato.
«Asuka, maledizione, vuoi farci esiliare tutti quanti?»
Urlò suo padre con una collera che non aveva mai esternato. Asuka non comprendeva.
«Ma di che state parlando? Avete capito che ho detto? È il figlio di zia Jun, vostro nipote, mio cugino! Perché state reagendo cosi male?»
«Questo posso spiegartelo io.»
Una profonda voce femminile li costrinse a voltarsi verso la porta d’ingresso, da dove lentamente una figura minuta fece il suo ingresso.
«Obaasan!»
La riconobbe Asuka e mostrò alla donna il proprio rispetto prostrandosi in un inchino talmente profondo che le permise quasi di toccarsi le ginocchia con la punta del naso. Obaasan era una donna bassa e tarchiata che si reggeva in piedi grazie all’ausilio di un bastone da passeggio. Aveva lunghi capelli sottili color bianco puro e due minuscoli vispi occhi neri. Ignorò Asuka e si diresse verso Jin, lo afferrò per il mento costringendolo a curvarsi verso il basso e avvicinò il suo viso a quello del giovane, analizzandolo scrupolosamente.
«Sì, non c’è alcun dubbio, sei davvero tu.»
Sentenziò infine, accomodandosi su una sedia libera senza attendere alcun invito.
«Natsuko sii gentile, metti su il the.»
Ordinò e la donna obbedì, mentre il marito aiutò l'anziana a prendere posto.
«Ci… conosciamo?»
Domandò il ragazzo con circospezione, era sicuro di non aver mai visto quella donna prima.
«Diciamo di sì. Ci siamo incontrati una sola volta prima di oggi, ma tu non puoi ricordarlo perché allora eri ancora in fasce.»
La schiena di Jin venne percorsa da un brivido.
«Quindi mia madre…»
Non riuscì a continuare e Asuka finì la frase per lui.
«Quindi zia Jun fece ritorno al villaggio?»
La vecchia annuì solennemente e Asuka si voltò verso sua madre aspettandosi che avesse una qualsiasi reazione, ma la donna rimase impassibile.
«Tu… Tu lo sapevi, mamma?»
Domandò, ma la risposta non arrivò da Natsuko.
«Certo che lo sapeva, Natsuko fu la prima a cui Jun si rivolse. Erano inseparabili.»
Fu come se qualcosa si fosse rotto nel petto di Asuka, sua madre quindi le aveva mentito. Lei e Jin si guardarono con espressione grave e poté sentire addosso anche lo sguardo di Xiaoyu, Nina e Hwoarang. Natsuko servì il the alla vecchietta e questa ingollò una sorsata senza fare complimenti.
«Sono passati ormai più di venti anni, ma lo ricordo distintamente come se fosse accaduto ieri. Era una notte autunnale, il cielo era plumbeo e le strade erano bagnate poiché aveva piovuto per tutto il giorno. Natsuko e Jun vennero a farci visita nella nostra dimora, la seconda ti stringeva tra le braccia. Eri molto piccolo, non avevi neppure compiuto il primo anno di vita. Jun mancava già da più di anno, da quando aveva deciso di iscriversi al torneo nonostante glielo avessimo proibito. Sapeva di non poter fare ritorno, perciò si rivolse a Natsuko, la sua migliore amica. Lei però sapeva di non poter proteggerla a lungo e la convinse a rivolgersi a noi anziani, a chiedere la nostra clemenza per ottenere il permesso di tornare in comunità.»
Il rumore di un naso che veniva soffiato li costrinse a voltarsi, Natsuko aveva iniziato a piangere e aveva il volto rigato dalle lacrime, ma Obaasan non vi badò e continuò il racconto come se non fosse mai stata interrotta.
«Fu lei a parlare. Tentò di convincerci che Jun fosse davvero pentita per la sua disobbedienza e ci implorò di lasciarla rientrare, ora che aveva un bambino di cui occuparsi.»
Qui la donna si interruppe per sorseggiare un altro po’ di the.
«Ma voi non glielo permetteste.»
Concluse Jin sentendo una grande rabbia montargli in corpo.
«La lasciaste da sola a crescermi, lontano da tutti.»
Obaasan sospirò.
«Sì, è andata proprio così.»
«Ma perché?»
Chiese Asuka, col volto rigato di lacrime a sua volta. Come erano potuti essere così perfidi nei confronti di una loro discendente, e perché sua madre le aveva taciuto quella parte di storia, affermando che Jun non avesse mai fatto ritorno?
«Avete fatto tutto questo per darle una punizione esemplare, per affermare la vostra supremazia all’interno della comunità, affinché nessun altro si fosse ribellato al vostro volere, non è così?»
Jin era furente di rabbia, avrebbe voluto tirare un calcio al tavolo, sfondare la porta a suon di pugni, ma a cosa sarebbe servito? La donna non sembrava per nulla scomposta, continuò a sorseggiare il suo the con pacatezza.
«In parte è vero, ma c’è dell’altro. Di’ un po’ giovanotto, sai chi è tuo padre?»
Gli chiese, fissandolo direttamente negli occhi color nocciola.
«Certo che lo so.»
Rispose Jin confuso, chiedendosi perché fosse rilevante.
«E sai anche che i Mishima sono i diretti discendenti del dio maligno, nostro nemico per natura, Inazagi?»
A quelle parole il pianto di Natsuko si fece più rumoroso, Asuka fissava Jin come se lo vedesse per la prima volta, Nina capì immediatamente a cosa si riferisse la vecchia, ma Hwoarang e Xiaoyu non potevano comprendere e si fissarono con espressione interrogativa.
«Non potevamo permetterle di tenerti con sé, eri e sei troppo pericoloso per il benessere della nostra casata.»
Jin dovette sedersi a sua volta in seguito a quelle parole. La colpa di tutto era da attribuire a sé stesso. Per causa sua Jun era stata cacciata dalla propria famiglia.
«Quindi… Quindi lei sapeva…»
Cominciò a dire, interrompendosi a metà, incapace di continuare. Obaasan capì esattamente cosa volesse chiederle e annuì.
«Sì, lo ha sempre saputo, ma ha deciso ugualmente di tenerti e allevarti.»
Jin si sentì come un guscio vuoto. Per tutti gli anni passati insieme; Jun aveva sempre saputo la verità sul suo conto, e nonostante tutto aveva deciso di accudirlo, invece di abbandonarlo e continuare la sua vita insieme ai Kazama. Lo aveva isolato dal resto del mondo perché conscia della sua vera natura e gli aveva insegnato le arti marziali perché sapeva che prima o poi avrebbe dovuto combattere un nemico più forte.
«Adesso che lo sai ti invito cordialmente a lasciare questo posto e non farvi più ritorno. Tua madre si è sacrificata per il bene della nostra famiglia, perché ci amava profondamente. Sarebbe gentile da parte sua rispettare le sue volontà, non credi?»
Jin provò un grande dolore. Aveva stupidamente sperato di trovare una famiglia, di scoprire un po’ di Jun nei membri di quella comunità, ma lui non era mai stato destinato a farne parte, anzi, era stato volutamente allontanato sin da quando era ancora un fagotto.
«Questa richiesta è davvero malvagia.»
Commentò Asuka issandosi in piedi e fissando Obaasan con aria di sfida.
«Jin sarà anche per metà Mishima, ma per metà è Kazama, fa parte della famiglia e voi gli state voltando le spalle.»
«Asuka ti prego.»
La supplicò sua madre con voce tremante.
«E anche tu, mamma…»
Rivolse a sua madre uno sguardo che non le aveva mai rivolto prima, carico di odio e di disprezzo.
«Tu sapevi tutto quanto e non hai fatto niente per aiutarli, sei rimasta qui facendo finta di nulla.»
«Non dire altro! Tu non sai quanto tua madre abbia sofferto in seguito alla sua decisione, che è stata dettata solamente dall’amore.»
Intervenne suo padre posando le mani sulle spalle della moglie, che aveva ripreso a singhiozzare.
«Tu eri appena venuta al mondo, dovevamo occuparci di te.»
«Potevate occuparvi di me anche altrove, come ha fatto zia Jun con Jin. Avreste potuto stare insieme, crescerci come due fratelli e ci saremmo aiutati a vicenda. Invece l’avete condannata.»
«Non sai di cosa parli Asuka, i poteri del demone sono molto forti e impossibili da contrastare, avreste messo a repentaglio la vostra stessa vita, e per cosa?»
L’informò Obaasan in tono pratico.
«Scommetto che è questo che hai detto anche allora, non è vero?»
Asuka era paonazza di collera, tutta la sua vita fino a quel momento era stata una bugia. Aveva sempre creduto di potersi fidare dei suoi genitori, degli anziani, dei Kazama. Per tutta la vita gli era stato ripetuto che loro fossero “i buoni”, gli eredi della dea benevola, ma adesso era tutto così difficile da credere! Una dea indulgente avrebbe permesso all’odio di prevalere sull’amore?
«Ho detto solo la verità.»
Ripose la vecchia serenamente, poi batté il bastone per terra.
«Ad ogni modo sono venuta qui per altre ragioni.»
Natsuko scosse il capo.
«No Obaasan, ti scongiuro.»
«Conosci le regole Natsuko, Asuka ci ha disobbedito e deve andare incontro alla propria punizione.»
«Volete davvero esiliarmi?»
Chiese la giovane, mentre sua madre ricominciava a piangere ininterrottamente, pregando invano la vecchia di essere comprensiva, ma quella era irremovibile.
«Non dipende certo da me, il consiglio ha stabilito che Asuka dovesse essere immediatamente allontanata qualora si fosse ripresentata. Le regole sono regole, ormai dovresti saperlo.»
«Lo ha fatto solo per il dojo, vi prego non cacciatela, non la mia bambina!»
«Doveva pensarci prima, ormai il danno è fatto. Non solo ha messo a rischio la nostra casata, ma ha persino portato qui da noi l’erede di Inazagi, compromettendo la nostra sicurezza.»
«Lei non lo ha fatto per danneggiarci, credeva di agire nel bene.»
«No, mamma, non piangere.»
Esordì Asuka con risolutezza.
«Per quanto mi riguarda, non ho nessuna voglia di far parte di questa famiglia dopo aver appreso i suoi segreti.»
Natsuko pianse ancora più forte e persino il padre di Asuka cambiò espressione.
«Ma tu sei la nostra bambina.»
I tre si strinsero in un caloroso abbraccio e Jin provò un moto di compassione nei loro confronti. Quella giovane stava subendo lo stesso destino di sua madre e lui sapeva quanto ciò potesse essere doloroso.
«Obaasan, tu che conosci tutto, dimmi, c’è un modo per permettere ad Asuka di tornare a vivere coi propri genitori?»
La donna lo squadrò con grande interesse.
«Bisogna sconfiggere il gene del diavolo, suppongo. Ma immagino tu sappia cosa significhi, per te...»
Lo sapeva.
«Probabilmente c’è da compiere un rituale, ma non sono certamente io la persona più idonea a cui chiedere.»
Tacque, riflettendo se fosse o meno il caso di rivelargli la verità. In fondo, come Asuka aveva detto, il giovane era per metà Kazama, magari sarebbe stato disposto a sacrificarsi. Forse era stato toccato dalla sorte che accomunava Asuka e Jun, lui che era rimasto da solo doveva dare un gran significato alla famiglia e forse poteva usare questa cosa a suo vantaggio.
«C’è però una donna. Una donna dotata di grandiosi poteri spirituali, si dice che sia in grado di consultare il passato, il presente e il futuro, e che il suo occhio interiore veda attraverso il tempo e lo spazio. Sono sicura che lei sappia fornirti le informazioni che cerchi.»
«Chi è? Come posso trovarla?»
«Il suo nome è Zafina. Si vocifera che dimori in un tempio abbandonato situato in una landa desertica, protetta da uno spirito onesto e incorruttibile. Si dice che solo i puri di cuore abbiano l’onore e il privilegio di avvicinarla. Zafina possiede un’anima antica e complessa e sarà in grado di rispondere a tutte le tue domande, ma devi essere saggio e porre i tuoi quesiti in modo specifico.»
«D’accordo. Natsuko, troverò Zafina e le chiederò come fare per distruggere il gene del diavolo, affinché Asuka possa essere di nuovo accettata dalla vostra comunità.»
Natsuko volle dire qualcosa, ma le parole non vennero. Quel ragazzo voleva forse umiliarla dimostrando il coraggio che a lei era mancato? O voleva risparmiare a sua figlia lo stesso dolore che aveva provato sua sorella? Avrebbe voluto correre da lui e abbracciarlo, raccontargli di Jun, della loro amicizia, ma non sarebbe stato corretto dopo il modo in cui l'aveva trattato. Riuscì solamente a ringraziarlo con un cenno del capo, sperando che lui captasse tutte le parole che non era in grado di pronunciare.
«Io verrò con te.»
Lo informò Asuka e la mano di Natsuko si strinse sul suo braccio.
«Devo farlo mamma. Non lascerò che Jin corra questo rischio a causa mia tutto da solo.»
Voleva parlare, supplicarla di non farlo, di non seguire quel giovane, di restare al sicuro, ma si rese conto che così avrebbe ripetuto lo stesso identico errore. Sua figlia si stava rivelando molto più coraggiosa di quanto lei fosse mai stata. Avrebbe dovuto farlo anche lei, vent’anni fa, schierarsi con la sua amica e correre insieme a lei i rischi che la vita gli stava riservando, e invece aveva preferito starsene comoda, protetta dalla sua tribù, abbandonando Jun. Non poteva chiedere a sua figlia di vivere allo stesso modo, non poteva condannarla a quello stesso rimorso che provava lei.
«Sii prudente.»
Riuscì a bisbigliare, sentendosi orgogliosa della propria bambina.

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Capitolo 22
*** Cap. XXI - Zafina ***


Capitolo XXI
– Zafina –

 

Uscirono da casa di Asuka più confusi di quando entrarono. Jin sperava con tutto se stesso che questa Zafina potesse rispondere alle sue domande e sapesse consigliargli come fare per distruggere il gene del diavolo. Non avrebbe voluto che Asuka lo seguisse, ma la ragazza era stata risoluta e non aveva ammesso nessuna replica. La capiva in fondo, neanche lui avrebbe voluto starsene con le mani in mano al suo posto.
Obaasan aveva avvisato i genitori di Asuka che ormai il loro nascondiglio era compromesso e che presto si sarebbero dovuto trasferire tutti altrove, poi se n'era andata lasciando alla famiglia il tempo di congedarsi. Jin non voleva assistere a quella scena e uscì da casa loro per non guastare la loro intimità, Xiaoyu, Nina e Hwoarang lo avevano seguito.
Il sole era appena sorto e Osaka si stava lentamente svegliando, Hwoarang approfittò di quel momento per chiamare Baek e accertarsi che stesse bene. Il cellulare squillò cinque volte, poi il maestro rispose, ma la sua voce era agitata.
«Hwoarang, sono sotto controllo, questa chiamata verrà rintracciata, non chiamarmi mai più.»
Disse velocemente nella propria lingua madre, poi udì una voce maschile che non conosceva in lontananza.
«Ti avevamo detto di parlare in giapponese!»
«Baek che sta succedendo? Baek!»
Urlò in coreano a sua volta, ma la linea cadde.
Gli altri non poterono capire cosa avesse detto, ma il tono della sua voce e il pallore sul viso del giovane non lasciarono dubbi, stava succedendo qualcosa di spiacevole.
«Che succede?»
Chiese Jin allarmato, Hwoarang lo ignorò e compose ancora una volta il numero di Baek, ma il celluare risultava spento.
«Lo hanno catturato.»
Urlò il rosso in preda al panico.
«Temo sia stata la Tekken Force. Ha detto... Ha detto che non devo chiamarlo, che la telefonata è stata rintracciata.»
«Merda!»
Imprecò Nina, sbiancando a sua volta.
«Andate a prendere la ragazzina, informate i Kazama di trasferirsi quanto prima, Heihachi sa dove ci troviamo, dobbiamo sgombrare quanto prima.»
Senza attendere un secondo di più, Xiaoyu corse in casa Kazama a dare la pessima notizia, Nina salì sull'auto e accese il motore, Hwoarang rimase immobile dove si trovava con un'espressione vacua e gli occhi vitrei, inespressivi.
«Hai sentito? Dobbiamo andarcene.»
Lo avvisò Jin col tono più calmo che riuscì a simulare, anche se dentro di sè era montata una grande paura.
«Hwoarang?»
Lo chiamò di nuovo, dato che era rimasto impassibile.
«Baek è in pericolo.»
Riuscì a dire con voce spezzata e Jin si sentì maledettamente in colpa. Quante persone aveva messo in pericolo? Pensò a Baek e avvertì una morsa attorno al cuore, era sempre stato gentile con lui, non meritava di soffrire sotto le mani della Tekken Force.
«Hwoarang dobbiamo scappare.»
«Dannazione Kazama, non lo capisci? Baek è in pericolo, ha bisogno di me! Chissà cosa gli staranno facendo adesso.»
«Lo so, lo capisco, ma se restiamo qui Heihachi ci farà fuori tutti quanti. Invece... Invece se non ci trova continuerà a tenere Baek in vita, perchè costituisce il solo legame tra noi e lui, crederà di poter continuare a servirsi di lui.»
«Io devo salvarlo.»
Urlò Hwoarang, ma queste parole coraggiose erano state pronunciate con la voce rotta che tradiva tutta la sua paura.
«Pensi che restare qui possa aiutarlo in qualche modo? Credi di essere in grado di sconfiggerlo? Dobbiamo recarci da Zafina, lei è la sola persona in grado di aiutarci.»
Qualcosa nel suo sguardo aveva convinto il ragazzo a correre verso l'automobile e in un batter d'occhio anche le due ragazze furono lì. Nina non attese nemmeno che chiudessero la portiera e schizzò via velocemente, senza neanche sapere dove fossero diretti.
«Avete capito dove si trova l'indovina?»
Chiese cercando di rammentare le parole di Obaasan.
«Come ha detto la vecchia? Un tempio nel deserto?»
«Un tempio in una landa desertica.»
La corresse Xiaoyu, pensando a cosa potesse significare.
«Bene, esiste un deserto in Giappone?»
Chiese la bionda inserendo la quinta – dato che le strade erano ancora vuote poteva approfittarne e guidare a tutta velocità.
«Beh... Non è un vero e proprio deserto, ma... Le dune del Tottori.»
Rispose Asuka, aspettandosi una conferma, ma tutti la fissarono in silenzio.
«Non le conoscete?  Si tratta di un territorio desertico nella prefettura di Tottori, nella regione di Honshu a nord di Okayama.»
Nessuno rispose, Hwoarang e Nina non conoscevano la geografia giapponese, essendo cresciuti all'estero, Xiaoyu non era la migliore studentessa del suo corso e l'istruzione che Jin aveva ricevuto da sua madre era molto limitata.
«Se lo dici tu... Totori hai detto?»
Chiese Nina digitando il nome della prefettura sul suo navigatore.
«Tottori, con due t. Non dovrebbe distare molto.»
«Ecco qui, sono appena tra ore di viaggio.»
Li informò Nina, seguendo il percorso blu che era stato tracciato sulla mappa digitale.
«Ragazzo, cos'è successo di preciso?»
Chiese Nina a Hwoarang fissandolo dallo specchietto retrovisore.
«Ho chiamato Baek, ma mi ha detto che era tenuto sotto controllo, che non dovevo più chiamarlo e qualcuno ha urlato che dovesse parlarmi in giapponese... Ho provato a richiamarlo altre tre volte, ma il cellulare risulta spento.»
Nina trasalì.
«Hai ancora il cellulare con te? Fammi dare un'occhiata.»
Ordinò, e non appena Hwoarang glielo porse lei lo lanciò fuori dal finestrino e vi passò sopra con le ruote della mercedes.
«Ma cosa hai fatto? Sei pazza? Quello era l'unico mezzo di comunicazione tra me e Baek!»
Gridò Hwoarang con veemenza afferrando il braccio di Nina che reggeva il volante e rischiando di far sbandare l'auto.
«Brutto idiota, non capisci che quell'aggeggio maledetto è in grado di trasmettere la nostra posizione attuale a Heihachi? Una volta che un dispositivo viene rilevato continua a inviare dati tramite i stelliti.»
Tuonò Nina a sua volta, furiosa con quell'imbecille che sembrava non capire il guaio in cui rischiava di cacciarli.
«Quindi questo significa che la mia famiglia non è in pericolo?»
Domandò Asuka speranzosa, ma Nina roteò gli occhi infastidita da quella totale ignoranza.
«No, il cellulare ha iniziato a mandare dati da quando il cretino ha chiamato il suo maestro, quindi da casa dei tuoi sino a quando non l'ho distrutto. Heihachi sa che ci troviamo a Osaka e sa che siamo stati al vostro villaggio. E tutto questo solo a causa tua!»
Ringhò verso Hwoarang con le gote arrossate dalla rabbia.
«Cosa diavolo potevo saperne io che Baek era stato catturato?»
Urlò Hwoarang con gli occhi lucidi.
«Adesso basta, calmatevi tutti quanti!»
La voce di Jin sovrastò le altre riportando il silenzio.
«Nina, Hwoarang non poteva sapere che la Tekken Force avesse imprigionato Baek, non era certo sua intenzione metterci in pericolo, e Hwoarang, se Nina ha rotto il tuo cellulare è stato solo per proteggerci, affinchè Heihachi non sapesse dove fossimo diretti.»
Nessuno ebbe l'ardire di rispondere.
«Ragazzi siamo tutti sulla stessa barca, abbiamo un nemico comune e perseguiamo lo stesso scopo, cioè ucciderlo. Questa donna – Zafina – potrebbe fornirci informazioni utili su come fare, per questo adesso è così importante trovarla.»
«Jin ha ragione.»
Aggiunse Asuka.
«Non dobbiamo dimenticare che giochiamo tutti nella stessa squadra e litigare fra di noi è controproducente. Dobbiamo fidarci gli uni degli altri e proteggerci, perchè solo insieme abbiamo una chance contro quell'orribile uomo.»
Jin rivolse ad Asuka un'occhiata sorpresa e poi fece un cenno col capo che indicava un tacito ringraziamento, a cui la donna rispose con un sorriso. Quello scambio di sguardi non era sfuggito a Xiaoyu, che continuava a preoccuparsi del tipo di rapporto che si stava instaurando tra i due cugini. Aveva sperato che Asuka restasse a Osaka coi suoi genitori, ma le cose erano precipitate.
Jin si stava sacrificando per lei, perchè lo faceva? Era davvero così importante per lui? E lei ovviamente, toccata dalla sua sensibilità, aveva deciso di continuare quel viaggio al suo fianco. Sapeva in cuor suo che non era il caso di angustiarsi per quelle cose e si verognò profondamente di turbarsi per il cuore di Jin quando attorno a loro vi erano pericoli ben più grandi, ma non riusciva ad imperdirselo.
Fu felice che nessuno potesse leggere il suo cuore e si impose di badare a cose più importanti, seppure il pensiero di Jin e Asuka continuava a vorticare nella sua mente.

 

 

Arrivarono nella prefattura di Tottori quando il sole era già alto nel cielo. Erano tutti affamati e stanchi, ma fermarsi sarebbe stato un azzardo.
Sapevano che Heihachi gli stava alle costole e se fosse riuscito a trovare Obaasan e a interrogarla, erano certi che lei li avrebbe venduti, rivelandogli le loro intenzioni.
«Dobbiamo avventurarci nelle dune.»
Affermò Jin.
«Il deserto si estande per trenta kilometri, non sarà semplice.»
Li informò Asuka.
«Trenta kilometri sono appena trenta minuti di viaggio in auto.»
Calcolò Nina.
«Ma le ruote della mia Mercedes non sono adatte ai viaggi sulla sabbia, quindi dovremmo proseguire a piedi.»
«Allora sarebbe meglio fermarci da qualche parte ad acquistare dell'acqua.»
Suggerì Xiaoyu, ottenendo conferma da parte degli altri.
«Ti accompagno.»
Propose Asuka, e Xiaoyu accettò di buon grado.
Quando furono da sole tra le corsie del minimarket ove si erano fermate prese coraggio e si decise a porre la domanda che le ronzava in testa già da qualche ora.
«Posso chiederti cosa ti ha spinto a venire con noi?»
«Intendi da Zafina? Semplice, perchè mi sento in debito nei confronti di Jin. Mia madre purtroppo ha dovuto rinunciare ad aiutare zia Jun perchè temeva per il mio futuro, e adesso è arrivato per me il momento di sdebitarmi, di fare ciò che avrebbe dovuto fare mia madre ventitre anni fa.»
«Quindi sei mossa solo dal senso del dovere?»
«Beh... No. Mentirei in effetti se lo affermassi, la verità è che ho trascorso tutta la mia vita nel villaggio Kazama, non conosco altro. Ho avuto modo di esplorare il mondo solamente sui libri, studiando la geografia e la storia, ma non ho mai potuto viaggiare e l'idea di vivere un'avventura mi intriga. Per la prima volta, lontana da tutti i miei affetti, sento di avere la vita in pugno, di poter rischiare e fare tutto ciò che mi è stato negato.»
Xiaoyu l'ascoltava con vivo interesse e seppe immediatamente che Asuka era sincera.
«È stato così brutto crescere nel villaggio?»
«Eh? No, scusa, non intendevo certo sottintendere questo. In realtà è stato molto piacevole, ero sempre circondata dai miei familiari, tra cui molti ragazzini della mia età, però...»
Asuka si interruppe e fissò un punto in lontananza.
«Mi sono sempre sentita dentro una bolla, lontana dal mondo reale, mi sono sempre chiesta cosa ci fosse al di là del villaggio, oltre Osaka e anche fuori i confini del Giappone.»
«Per questo motivo hai disubbidito ai tuoi genitori e ti sei segretamente iscritta al torneo?»
La giapponese annuì con un grande sorriso.
«Io zia Jun riesco a comprenderla, perchè mi sento esattamente come lei. Starsene tutta la vita nascosti dal mondo e vivere con la paura di essere scoperti dagli eredi di Inazagi è una noia mortale, ti impedisce di vivere a pieno la vita.»
«A proposito di Inazagi e Inazami, che cosa significa la leggenda? Cosa si intende per “gene del diavolo”?»
Asuka fece spallucce.
«Non lo so, è la prima volta che ne sento parlare. Ma sono sicura che Zafina potrà illuminarci in merito.»
Disse con allegria sorridendo alla cinese e chinandosi per prendere l'acqua.
«Eppure...»
«Cosa?»
«Uhm, no, nulla.»
Le era sembrato che Jin invece sapesse perfettamente cosa significava, in fondo non si era scomposto quando Obaasan l'aveva nominato, però decise di tenere quei pensieri per sè, era inutile far preoccupare Asuka, e poi in fondo aveva ragione, presto avrebbero incontrato Zafina e lei avrebbe risposto a tutti i loro dubbi.
O almeno, lo sperava.

 

 

«Dovremmo separarci, così ci metteremo almeno la metà del tempo.»
Suggerì Nina, osservando l'immensa distesa di sabbia che si apriva dinnanzi ai loro occhi. >«No, invece dovremmo rimanere uniti. Se qualcuno di noi la trovasse come potrebbe comunicarlo agli altri?»
Replicò Hwoarang contrariato.
«Ha ragione, e poi Obaasan ha detto che il tempio è protetto da uno spirito.»
Confermò Asuka, ricordandosi le parole della nonna.
«Ma ha anche detto che si tratta di uno spirito onesto e incorruttibile, quindi si tratta di un essere benefico, non trovate?»
Chiese Xiaoyu speranzosa, ma Jin non era dello stesso avviso. Sembrava tutto troppo facile e di solito le cose troppo semplici finivano per rivelarsi delle trappole, ma non espresse il suo pensiero ad alta voce perchè non voleva allarmare il resto del gruppo.
«Propongo di restare uniti, anche se ci vorrà più tempo.»
Decretò infine in un tono che non ammetteva repliche. Non avrebbe messo in pericolo nessuno di loro e se fossero rimasti uniti avrebbero avuto maggiori possibilità di cacciarsi fuori dai guai.
«Nina, che armi hai?»
L'irlandese squadrò Jin con espressione beffarda.
«Direi tutte quelle che si possano immaginare.»
Aprì il bagagliaio e ne estrasse una valigetta che conteneva alcune pistole, caricatori e munizioni.
«Questa è solo la prima, ce ne sono delle altre, ovviamente.»
«Benissimo, voglio che ognuno di noi sia armato.»
Sentenziò Jin, facendo vagare lo sguardo su ognuno di loro.
«Non sappiamo cosa ci aspetta nel deserto, non sappiamo se Zafina sia amichevole, non sappiamo se Obaasan ha raccontato ad Heihachi i nostri piani e soprattutto non sappiamo se ci è stata tesa una trappola.»
Notò che Xiaoyu era restia all'idea di afferrare l'arma da fuoco, ma la fissò in modo così intenso che la giovane non potè ribellarsi.
Una volta che tutti furono armati, partirono alla volta del deserto. Il sole era alto e caldo e tra qualche ora la temperatura si sarebbe alzata ulteriormente, per cui decisero di risparmiare le scorte di acqua. Evitarono di parlare per non disidratarsi inutilmente e lasciarono che Jin li conducesse e facesse loro strada, anche se neanche lui sapeva dove dirigersi.
Camminarono a lungo, sino all'ora in cui il sole era più caldo che mai, la sabbia rendeva i loro passi più lenti e faticosi e i loro corpi stanchi dopo una nottata insonne imploravano riposo, ma lì nel deserto non vi era alcuna zona d'ombra dove poter rilassarsi.
Quando Jin vide un tempio in lontananza per un attimo dubitò che si trattasse di un miraggio, ma ebbe conferma che fosse reale quando udì il sospiro di sopresa emesso da Xiaoyu.
Attraversarono la strada che li separava dal santuario più velocemente, carichi di nuova energia e quando finalmente lo raggiunsero Jin si rivolse agli altri.
«Ricordate le parole di Obaasan? Dobbiamo porre domande precise.»
«Non dovresti dirlo a noi, credo sia tu quello che ha delle domande da porre, no?»
Gli fece notare Nina asciugandosi con la manica della sua tuta la fronte madida di sudore.
«Beh, anch'io avrei una domanda da porle.»
Commentò Hwoarang, desideroso di sapere cosa stava accadendo a Baek.
«Avremo tutti la nostra occasione di parlare.»
Decise Jin, poi si avviò verso il tempo aspettandosi di trovare la creatura mistica di cui aveva parlato Obaasan, ma non trovarono nulla di simile.
Il tempio era decorato con ornamenti dorati che rappresentavano immagini di piramidi, sfingi, aquile e uomini con teste di animali.
«Questi disegni richiamano gli geroglifici egiziani.»
Commentò Asuka con interesse facendo scorrere il dito sulle incisioni impolverate.
Un suono li costrinse a voltarsi. Proveniva da una voce femminile ed era specie di canto tormentato, come una nenia. Decisero di seguire la fonte del suono e si ritrovarono in una stanza quadrata nel cui centro esatto una donna meditava. Aveva la pelle olivastra, lunghi capelli neri che le ricadevano sulle spalle e sedeva a gambe incrociate su un tappeto bordeaux riccamente decorato. Gli occhi chiusi erano truccati di nero e quando li schiuse Jin potè constatare che le sue iridi fossero dello stesso colore della notte.
Si sarebbe aspettato che la donna si sconvolgesse, che si spaventasse o che si irritasse a causa della loro indesiderata presenza, ma invece lei li accolse con un sorriso ambiguo.
«Ti stavo aspettando, Jin Kazama.»
A quelle parole si alzò in piedi e si mosse verso il giovane camminando in modo strano, come se stesse gattonando. Quando si trovò a pochi centimetri dal suo viso, Zafina gli afferrò il mento e l'osservò dentro gli occhi nocciola e lui provò un brivido freddo lungo tutta la schiena, nonostante facesse estremamente caldo. Ebbe il brutto presentimento che lei l'avesse avvertito perchè gli aveva sorriso, ma si disse che non poteva essere.
«Tu sei...?»
«Sì, sono proprio io, la donna che stai cercando.»
Rispose, prima ancora che lui terminasse la domanda.
«E come sai chi...?»
«Come so che sei tu? Io so tutto. Conosco ogni tuo più recondito pensiero, desiderio e timore, Jin Kazama.»
Gli disse scoprendo le labbra e mostrandogli una fila perfetta di denti bianchi.
«E ovviamente anche i vostri.»
Disse allargando le braccia come a voler includere gli altri presenti.
«Siano i vostri sentimenti positivi come l'amore o negativi come la gelosia.»
Dichiarò facendo l'occhiolino verso la direzione in cui si trovava Xiaoyu.
«Siano i vostri desideri carnali o casti.»
Questa volta sorrise in direzione di Nina.
«Siano i vostri timori altruistici o egoistici.»
Fece una giravolta e si trovò faccia a faccia con Hwoarang.
«E conosco dettagli del vostro futuro che sono incosci persino a voi stessi.»
Adesso parlò ad Asuka e la fissò con una serietà quasi solenne.
«Se sai perchè siamo qui, allora potrai risponderci anche se non poniamo le nostre domande, non è vero?»
Chiese Jin attirando nuovamente la sua attenzione e la donna emise una fragorosa risata dal suono ultraterreno, come se fosse un'eco.
«Oh, che ragazzo meraviglioso, ottimista sino al midollo osseo, ma mio caro, non è così semplice, e lo sai bene anche tu.»
Jin non si scompose, se lo era aspettatto.
«Avrete a disposizione tre sole domande, ma ad una condizione: dovrete rispondere correttamente al mio enigma.»
«Enigma? Che genere di enigma?»
Domandò Hwoarang sorpreso. Si era aspettato lo spirito onesto e incorruttibile, cosa significava?
«Ma certo, ci poni un quesito come fece la sfinge secondo la tradizione!»
Asuka aveva letto la mitologia greca e sapeva bene a cosa si riferisse Zafina, che sorrise, lieta che qualcuno conoscesse la procedura.
«Esattamente. Se risponderete correttamente vi concederò la risposta a tre quesiti.»
Conferò alzando il mignolo, l'anulare e il medio.
«E se sbaglieremo?»
Sebbene continuasse a sorridere, gli occhi di Zafina si ridussero a due fessure, conferendole un aspetto spaventoso.
«In quel caso risveglierò lo spirito di Azazel.»
«Azazel? E chi sarebbe?»
Chiese Xiaoyu, ma la voce di Zafina divenne profonda e altisonante, come stesse parlando attraverso un megafono.
«Sono io qui, a porre le domande!»
Tuonò, facendole rizzare i peli dietro la nuca, e quando tutti tacquero sorrise beatamente, come se non fosse successo nulla.
«Molto bene, allora queste sono le condizioni.
Io sono colei che tutto conosce:
gioie, paure, sogni ed angosce.
Colei che consulta passato e futuro,
non mento nè invento, te lo assicuro.
Ai tuoi tre quesiti risposta otterrai
se il mio enigma in mezz'ora risolverai.
Eppure ti avverto, non lo negherò
c'è sempre un “ma” e sempre un “però”.
Se il fato che chiedi non ti appartiene,
preparati a subire pesanti pene.
Accettate?»
Chiese con espressione giocosa e i cinque si osservarono reciprocamente, poi Jin annuì a nome del gruppo.
«Ottimo, mi fa piacere. Dunque, questo è il mio quesito: “Tutti ce l’hanno e nessuno può perderla". Di che cosa si tratta? Vi ricordo che avete trenta minuti per rispondere correttamente. Io torno a meditare, chiamatemi quando pensate di avere la risposta corretta.»
Disse, prima di incrociare nuovamente le gambe e tornare alla posizione che aveva assunto prima che arrivassero.
Rifletterono in silenzio per qualche minuto, poi Nina parlò.
«Ci sono, è il nome!»
«No, non può essere, non tutti hanno un nome.»
Replicò Hwoarang scuotendo la testa.
«Esatto, e poi credo si tratti di qualcosa di femminile, ha detto “perderla“»
Riflettè Asuka.
«Potrebbe essere la testa.»
Ipotizzò Hwoarang.
«No, non credo. Quando ci si innamora di qualcuno si usa l'espressione “perdere la testa“ quindi temo non sia corretto. Magari è la dignità?»
Rispose Xiaoyu, certa di avere ragione.
«No, la dignità si può perderla in qualsiasi momento.»
La contraddisse Hwoarang.
«Vero, io la mia l'ho persa nel momento in cui mi sono unita a questo gruppo»
Commentò sarcasticamente Nina, ottendendo per tutta risposta un'occhiataccia da parte di Xiaoyu e Hwoarang.
«Io credo che si tratti dell'anima. La perdi solo quando muori, quindi tecnicamente non puoi perderla, in quanto cessi di averla solo quando smetti di esistere.»
Disse infine Asuka, riflettendo a voce alta.
«Sì, sembra sensato.»
Concordò Xiaoyu e anche Hwoarang era d'accordo.
«No, non sono convinto.»
Disse Jin infine osservando le immagini incise nella pietra, facendosi di lato per esaminare quelle coperte dalla propria ombra.
«Heihachi è vivo, per esempio, ma dubito fortemente che possieda un'anima.»
«Beh, se non troviamo altro diamola per buona, mancano solo cinque minuti.»
Constatò Nina indicando il suo orologio digitale.
«Ma certo, è l'ombra!»
Jin l'aveva realizzato in quel momento osservando il gioco di luci, ma sapeva di aver ragione.
«Nessuno può perderla, neanche con la morte, perché il corpo continua a proiettarla.»
Sembrava così logico.
«Amico sei sicuro? Se diamo la risposta sbagliata per noi sarà la fine.»
Chiese Hwoarang in tono allarmato.
«Sì, sono sicuro, fidatevi!»
Hwoarang ricordò che l'ultima volta che Jin gli avesse chiesto di fidarsi di lui si era fatto acciuffare dalla Tekken Force e lo avevano creduto morto per due anni, ma decise di mordersi la lingua e non farglielo notare.
«Zafina, abbiamo la risposta!»
Disse con tono vittorioso e la donna aprì gli occhi.
«Si tratta dell'ombra.»
Zafina l'osservò in silenzio per un lasso di tempo che parve interminabile, poi curvò le labbra in un sorriso.
«Avete indovinato, come ricompensa potrete porre tre domande.»
«Tre per cinque fa quindici, abbiamo a disposizione quindici domande! Io vi cedo due delle mie, me ne basta solamente una.»
Asserì il coreano con un grande sorriso, ma Zafina lo corresse.
«Temo ci sia stato un malinteso, le domande sono tre in totale, non a testa.»
«Come sarebbe a dire? Noi siamo in cinque!»
«Ma io vi ho posto un solo enigma.»
«Questa sì che è una truffa!»
Esclamò Hwoarang adirato e Zafina alzò la voce indispettita.
«Come osi accusarmi di truffarvi? La regola che tu critichi è stata stabilita dai miei dei milioni di anni fa.»
«Zafina ti prego scusalo, non voleva mancarti di rispetto!»
S'intromise Jin.
«Hwoarang ti prego non farla adirare, ti prometto di lasciarti la terza domanda, ma non mettercela contro!»
Bisbigliò al rosso, non aveva alcun desiderio di inimicarsi Zafina, avevano bisogno di lei.
«D'accordo... Perdonami Zafina, sono solo molto stanco e non ragiono lucidamente. Ti chiedo di essere indulgente, dopotutto tu sei colei che tutto sa.»
Quelle parole ebbero l'effetto desiderato e Zafina fece le fusa come una gatta.
«Molto bene, ti perdono. Jin Kazama ponimi dunque la prima domanda.»
Il ragazzo ci pensò a lungo prima di parlare, voleva formulare la domanda in modo preciso, in modo da ottenere maggiori informazioni possibili ed evitare qualsiasi fraintendimento.
«Narrami per favore l'intera storia delle casate Kazama e Mishima inclusa la loro creazione.»
Zafina sorrise, quel giovane sapeva il fatto suo.
«Un tempo Inazami e Inazagi vivevano nel cielo, ma annoiati dalla monotonia scesero sulla terra e diedero vita a due progenie differenti, Kazama, fondata da Inazami e Mishima, creata da Inazagi. Queste discendenze erano destinate a trovarsi e a convivere insieme, come desiderato dagli dei. In seguito le divinità, che si amavano profondamente, si unirono dando vita a 35 esseri sacri. La nascita dell'ultimo figlio – Kagutsuchi- costò la vita alla madre, che finì nello Yomi, il regno dei morti. Inazagi, che era perdutamente innamorato della propria compagna, decise di scendere nel regno dei morti per riportare la sua cara sulla terra per tenerla al proprio fianco, ma ella si era nutrita col cibo dello Yomi, tramutandosi in demone. Quando lui la vide in quello stato, la dea, vergognandosi del suo aspetto, corse ad ucciderlo, ma egli sbarrò le porte dello Yomi con un masso e l'intrappolò. Tuttavia il suo cuore non riuscì mai a guarire, e così lanciò una maledizione verso tutti coloro che avessero volontariamente ferito il loro stesso sangue, condannandoli alla stessa sorte che era toccata a Inazami. Fu così che uno dei suoi stessi eredi subì il maleficio. Quando Heihachi Mishima imprigionò il proprio padre nei sotterranei del tempio Honmaru divenne inconsapevolmente vittima della maledizione, sviluppando il gene del diavolo e tramandandolo ai propri eredi. Da quel giorno i Kazama fuggono e si nascondono da coloro a cui erano stato originariamente destinati.»
Jin poteva ritenersi soddisfatto di quella risposta, eppure c'erano ancora così tante domande che voleva porle, purtroppo però sapeva che poteva permettersene soltanto un'altra. Pensò a lungo a cosa chiedere, poi parlò.
«Che rituale bisogna compiere per sconfiggere il gene del diavolo una volta e per tutte?»
«Il solo modo che esiste è di recarsi là dove tutto ebbe inizio e compiere un gesto d'amore. Deve trattarsi di un gesto altruistico e puro, poiché la sola cosa in grado di uccidere il male, è il bene.»
Tutti ascoltarono quelle parole in religioso silenzio, chiedendosi che cosa significassero realmente.
«Molto bene. Zafina, ti ringrazio immensamente. Hwoarang, adesso tocca a te.»
Il coreano si fece avanti e fissò gli occhi scuri della veggente cercando di porre una domanda vaga che però gli garantisse una risposta precisa, ma non gli venne nulla in mente e chiese la sola cosa che davvero gli importasse.
«Svelami, ti prego, il futuro di Baek.»
Zafina fissò il giovane con interesse e socchiuse gli occhi sorridendo impercettibilmente.
«Sebbene il tuo maestro abbia sofferto in passato, il suo futuro appare ancora lungo e roseo.»
Hwoarang sospirò di sollievo, sentì la tensione abbandonarlo e si concesse finalmente un sorriso.
«Grazie di cuore, e scusami ancora per averti mancato di rispetto! Questa notizia mi riempie il cuore di...»
«Nel tuo disperato gesto d'amore
hai commesso un grave e madornale errore

Recitò Zafina con la stessa voce ultraterrena che non poteva appartenere alla sua persona. Gli occhi neri si riversarono nelle iridi bianche, scomparendo sotto alla palpebra e conferendole un aspetto terrificante, come se fosse posseduta.
«I termini del patto hai frantumato,
giacché al fato di un terzo ti sei interessato.
La mia profezia vi aveva avvertiti,
preparatevi ordunque ad esser puniti.
A me invoco Azazel, dio umile e onesto,
che su voi scaglierà il suo fiele funesto.»
Il terreno cominciò a tremare così forte che tutti persero l'equilibrio, ad eccezione di Zafina che sembrava avvolta in una cupola trasparente. Il pavimento sotto ai loro piedi si spaccò a metà, una lunga crepa verticale divise la stanza e la voragine si aprì proprio davanti ai loro occhi. Si udì un grido raccapricciante, simile al latrato di un cane o all'ululato di un lupo e dallo squarcio emerse una figura ripugnante.
Aveva gli arti inferiori simili alle zampe di uno sciacallo, il busto di un essere umano e la testa ricordava il becco di un rapace.
Quello era Azazel.

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Capitolo 23
*** Cap. XXII - La furia di Azazel ***


Capitolo XXII
– La furia di Azazel –

 

Jin non avrebbe saputo immaginare una creatura più spaventosa di quella, persino True Ogre sarebbe apparso meno temibile al suo cospetto. A parte la stazza mastodontica, Azazel presentava qualcosa di supremo, un’energia che True Ogre non avrebbe potuto eguagliare, in quanto esperimento scientifico. Ma quell’essere era avvolto da un’aura mistica e Jin poté avvertire tutto il suo potere. Attorno a lui si era alzato un vento innaturale simile ad un tornado che distrusse il tempio. Jin cercò Zafina, ma la donna sembrava essersi smaterializzata nel nulla.
«Che cosa facciamo adesso?»
Urlò Nina, rotolando di lato per schivare una delle colonne del tempio, forse proprio quella che Jin stava studiando pochi minuti prima. Avrebbe voluto avere una risposta a quella domanda, ma tutto ciò che riuscì a dire fu.
«Scappate!»
Corsero tutti in direzioni opposte scansando le travi, le volte e i pilastri che avevano costituito la struttura portante del luogo sacro, ormai raso totalmente al suolo dalla furia dello stesso dio a cui era dedicato.
Per un attimo Jin pensò che Azazel si sarebbe scagliato contro Hwoarang, dal momento che era stato lui a commettere l’errore, ma realizzò immediatamente che il suo obiettivo fosse lui. Azazel lo inseguì, e nonostante la robustezza, Jin constatò con orrore che fosse agile.
Corse più velocemente che potesse, fin quando non udì il suo nome. Rabbrividì, era lui che lo chiamava? Senza pensarci si arrestò per voltarsi a chiamarlo e la voce divenne più nitida.
«Jin Kazama.»
Questa volta lo udì distintamente, anche se sapeva che la bestia non fosse in grado di parlare.
«Il gene del diavolo è vivo in te.»
Gli disse, ma Azazel non aveva mosso le labbra, comunicava con lui telepaticamente. Jin avvertI un brivido, non gli piaceva quella situazione.
«Risveglialo!»
Gli ordinò, ma lui scosse la testa, non voleva affatto ridestare il demone, temeva per l’incolumità dei suoi compagni di viaggio.
«Non voglio.»
Pensò molto intensamente, affinché il messaggio arrivasse al destinatario, ma udì una forte risata malvagia.
«Osi ribellarti al mio volere? Pensi veramente di poter opporti all’Altissimo?»
«Non voglio, non voglio, non voglio.»
Continuava a ripetersi Jin, cominciando a sudare freddo.
«Non l’hai ancora capito? Le tue volontà sono irrilevanti, io posso risvegliare il diavolo che ti abita dentro.»
Jin serrò gli occhi e scosse la testa, ma avvertì una sensazione spiacevole che aveva già avuto modo di sperimentare qualche anno prima. Uno squarcio dietro la propria schiena si schiuse proprio sotto alle sue scapole, come se una vecchia ferita si fosse riaperta, da cui fuoriuscirono due grosse ali scure come la pece. La testa iniziò a pulsargli e dalla sommità del capo spuntarono due corna dure e affilate e sul suo petto apparve un tatuaggio color cremisi simile a una scarnificazione. Jin si sentì immediatamente più forte, più vigoroso, imbattibile.
«Visto? Non puoi sottrarti alla mia autorità. Prostrati ai miei piedi e riconoscimi come tuo dio.»
Jin alzò lo sguardo verso Azazel vedendo per la prima volta ciò che era realmente.
«Donami la tua energia, unisciti a me! Insieme domineremo il mondo dei mortali.»
Azazel spalancò la bocca affinché Jin vi entrasse dentro e si lasciasse mangiare, ma il giovane non accennò a muovere un passo, si limitò a squadrare Azazel con disgusto. La divinità rimase perplessa e parlò di nuovo.
«O sei con me, o contro di me.»
Era proprio quello che aveva desiderato, Jin curvò le labbra in un sorriso beffardo e pensò intensamente, affinché l’altro lo captasse.
«Era proprio quello che speravo di udire.»
E si lanciò verso Azazel conficcandogli una gomitata sul punto in cui si univano petto e collo.


Quando notò che il mostro non la stava inseguendo, Asuka corse vero Nina. L’irlandese fissava immobile lo scontro e lei dovette strattonarla per attirare la sua attenzione.
«Che cosa significa?»
Le chiese col terrore stampato in viso.
«Era a questo che si riferiva la profezia di Zafina? Jin è vittima del gene del diavolo?»
Nina annuì impercettibilmente, era inutile mentirle.
«Non devi preoccuparti per lui, si era già trasformato in precedenza.»
Asuka mollò il braccio di Nina con espressione vacua e si portò le mani davanti alla bocca. Era spaventoso. Osservò Jin issarsi in volo e colpire la fronte di Azazel con un calcio. Azazel emise un suono acuto che le provocò la pelle d’oca e issò una delle sue possenti zampe anteriori per colpirlo.
«Credi che sappia quello che fa?»
Domandò, ma Nina non aveva una risposta. La volta precedente Jin le aveva confidato di non essere stato in grado di controllare il demone e dato che non era più riuscito a trasformarsi ella dubitava che avesse imparato a governarlo.
«Temo di no.»
Rispose sinceramente e per un attimo temette il peggio. Da una parte sperava che Jin vincesse la lotta, ma quel Jin non era in sé e avrebbe potuto rivoltarsi contro di loro.
Furono raggiunti da Hwoarang e Xiaoyu, altrettanto intimoriti.
«Cosa diavolo…?»
Il rosso non riuscì a trovare le parole. Asuka spiegò pazientemente che quello non era Jin, bensì il demone che lo abitava, il risultato della maledizione di Inazagi.
«Ma io l’ho già visto, era al toreo del pugno di ferro, è lo stesso che ha aggredito Jin… Ma come è possibile?»
Chiese Hwoarang, rammentando come pochi anni prima avesse sottratto l’amico dalle grinfie del demone alato.
«È vero, me lo ricordo anch’io.»
Convenne Xiaoyu.
«Ma non si trattava dello stesso demone, quello era viola, ne sono sicura!»
«Ma allora di chi si trattava? Se non era Jin…»
Hwoarang spalancò gli occhi, certo di avere scoperto chi quell’essere fosse e tremò vistosamente.
«Era Heihachi!»
Nina sapeva che in realtà si trattava di Kazuya, lo aveva visto trasformarsi in quella cosa nel tempio, ma per qualche motivo non volle rivelarlo. Si chiese però se il ragazzo potesse in qualche modo avere ragione, se anche Heihachi potesse trasformarsi. Dopotutto Zafina aveva detto che la maledizione avesse avuto principio proprio a causa sua, dunque era posseduto dal demone anche lui? Le venne quasi da ridere, di che si stupiva? In fondo aveva sempre saputo che quell’uomo era il diavolo in persona.


 

Lo scontro tra Jin e Azazel fu violento e furioso. Jin si trovava in vantaggio poiché riusciva a volare sulla testa del proprio rivale, e approfittava della sua abilità per scansare i colpi e affaticare l’avversario, ma Azazel pareva instancabile.
Jin si rese conto di non essere pienamente in sé, però era consapevole di quanto stava succedendo. Questa volta il demone non era riuscito a eclissare totalmente la sua coscienza, anche se Jin si sentiva uno spettatore remoto, aveva il pieno controllo dei propri movimenti. La sua mente era annebbiata e i pensieri che formulava erano inconsistenti, ma era consapevole che da qualche parte nel deserto Nina, Hwoarang, Xiaoyu e Asuka stavano osservando lo scontro e si chiese se da quel momento in poi avrebbero continuato ad accompagnarlo lungo il suo viaggio.
Pensò ad Heihachi, a come fosse la causa a tutti i suoi mali e sentì un’ondata d’odio crescere in sé.
Quell’uomo disconosceva l’amore, era incapace di compere un gesto altruistico e disinteressato, per questo non riusciva a disfarsi del gene del diavolo, che con ogni probabilità non aveva faticato a farsi strada dentro di lui.
Schivò una testata di Azazel e volò sulla sua testa disegnando cerchi concentrici, prima di colpirlo dietro la schiena.
Si chiese cosa potesse fare lui per liberarsene, in fondo non era mai stato un cattivo ragazzo, ma non ricordava di aver mai compiuto un atto d’amore puro. In vita sua aveva amato una sola persona, Jun, e si chiese se insieme a lei non se ne fosse andata anche la sua capacità di amare.
Era talmente avvolto in quei pensieri da non notare il pugno di Azazel farsi sempre più vicino.


Videro Jin venire colpito da una manata e schiantarsi sulla sabbia bollente. Azazel ne approfittò e lo pestò sotto la sua imponente zampa, Jin si contorceva ma non riusciva ad agire.
«Dobbiamo fare qualcosa!»
Urlò Asuka disperata.
«Dobbiamo salvarlo!»
Le fece eco Xiaoyu, ugualmente avvilita.
«Se Devil Jin non riesce ad avere la meglio, che speranze abbiamo noialtri?»
Hwoarang era preoccupato, avrebbe voluto correre ad aiutarlo, ma sapeva che era una battaglia persa. Si sentì maledettamente in colpa, era colpa sua se Zafina aveva risvegliato Azazel, era stato lui a porre la domanda errata. Avvertì un groppo alla gola e deglutì per scioglierlo, ma quello non ne voleva sapere di sparire.
«Noi abbiamo un asso nella manica!»
Nina infilò le mani dentro i suoi stivali e ne estrasse due uzi. Gli altri la imitarono estraendo a loro volta le armi che Jin gli aveva consigliato di portarsi dietro. Hwoarang cacciò fuori dalla tasca dei suoi pantaloni una pistola mitragliatrice, Xiaoyu aveva nascosto delle rivoltelle nello zaino che portava a tracolla e Asuka teneva delle semi automatiche tra la cintura dei propri shorts.
«Dobbiamo sparare nello stesso istante. Un solo proiettile gli farà il solletico, ma se facciamo fuoco contemporaneamente, scommetto che gli faremo male.»
Suggerì Nina socchiudendo un occhio per prendere la mira.
«Mirate tutti dietro la nuca e… attenti al rinculo!»
Li avvisò, conscia che probabilmente era la prima volta che si accingevano a usare delle armi da fuoco. Attese che fossero pronti osservando Azazel fiondarsi con veemenza sul corpo inerme di Jin.
«Ora!»
Ordinò con un gracchio. Dei colpi sparati solo due andarono a segno, il terzo gli sfiorò la zampa e il quarto lo mancò. Azazel urlò di dolore e voltò il capo verso di loro.
«Non vi fermate, continuate!»
Li incitò Nina, premendo una seconda volta il grilletto e gli altri la imitarono facendo più attenzione a centrare il bersaglio.
«Ancora, dannazione, sparate finché avete colpi!»
Urlò Nina, ma Azazel si era accorto della loro presenza e marciava minacciosamente verso di loro.
Nina riuscì a rallentare la bestia colpendola alle ginocchia, e quando esaurì le munizioni strappò la semi automatica dalle mani di Asuka e continuò a sparare colpi, ma Azazel li aveva raggiunti e la sua figura torreggiava sulle loro teste.
Nina deglutì sonoramente, Xiaoyu si coprì gli occhi con le mani, Hwoarang strinse i pugni pronto a lottare e Asuka invocò l’aiuto di Inazami.
Azazel aprì le fauci pronto a cibarsi di loro, ma rimase immobilizzato a mezz’aria con la bocca semiaperta. Un raggio rosso, simile ad un laser, lo trafisse da parte a parte. Il corpo della belva si divise proprio sotto ai loro occhi, una metà cadde a destra e l’altra a sinistra e la sabbia sotto ai loro piedi si colorò di un liquido vermiglio.
«È stato Jin!»
Fece notare Asuka, il cui sguardo si era posato sul giovane in lontananza, che era riuscito a issarsi in piedi solo per scagliare l’attacco e si era accasciato subito dopo.
Corsero tutti verso di lui, Asuka era in testa al corteo e fu la prima a vederlo.
Il viso di suo cugino era stato sfregiato dagli artigli di Azazel, il suo corpo – ancora posseduto dal demone – era martoriato e leso. Asuka provò una gran pena per lui.
Alla vista del corpo di Jin, Xiaoyu non riuscì a trattenere le lacrime, Hwoarang scuoteva la testa impercettibilmente, incapace di accettarlo, Nina rimase impassibile, aveva visto di peggio in vita sua.
Asuka si lasciò cadere sulle ginocchia al fianco del ragazzo e si accorse di avere gli occhi lucidi. Sollevò con fatica il suo busto e se lo poggiò sulle cosce e in quel momento accadde qualcosa di strano: le corna di Jin si ritirarono dentro il suo cranio sino a sparire totalmente, e anche le pesanti ali nere si rimpicciolirono. I segni tribali sul suo petto, simili a tatuaggi, si dissolsero come per magia e Jin riacquisì il suo solito aspetto.

 

 

Quando riaprì gli occhi il cielo appariva come uno scuro velluto trapuntato di stelle luminose. Accanto a sé udì l’inconfondibile crepitio de fuoco e alzò il busto per mettersi a sedere. Doveva essersi mosso troppo in fretta, perché la testa gli girò vorticosamente e dovette afferrarsela tra le mani.
«Ben tornato.»
Lo salutò una voce femminile, che riconobbe come quella di Xiaoyu.
«Che è successo?»
Chiese, trovandosi di fronte i visi dei suoi quattro compagni di viaggio.
«Diccelo tu.»
Rispose Hwoarang piccato.
«Credo ci debba delle spiegazioni.»
Aveva ragione, ma Jin non sapeva da dove cominciare a raccontare. Rimase in silenzio, cercando di mettere ordine nei suoi pensieri, ma era tutto confuso.
«Ti do una mano a riassumere, se vuoi. Dunque tu sapevi di possedere il gene del diavolo e questa è la seconda volta che ti trasformi, dico bene?»
Chiese il coreano con voce inaspettatamente calma. Jin annuì, era vero.
«Allora mi spieghi perché diamine non ce lo hai detto?»
Il ragazzo urlò e Jin strizzò gli occhi portandosi le mani sulle orecchie.
«Kazama ti rendi conto di cos’abbiamo provato? Noi tutti stiamo rischiando la pelle per aiutarti, Baek si è sacrificato per consentirmi di cercarti e proteggerti, dannazione!»
Come poteva contraddirlo? Aveva rischiato di farli ammazzare, la sua reazione era più che lecita.
«Coraggio Hwoarang, non essere così severo.»
Intervenne Xiaoyu in difesa del giapponese.
«No, ha ragione.»
Ammise Jin, provando un enorme senso di colpa. Avrebbe dovuto proseguire da solo, in fondo era una faccenda che riguardava solamente lui, perché doveva trascinare anche gli altri a fondo con sé?
«Vi chiedo scusa, vi ho mentito, vi ho messi in pericolo e… Vi prego, andatevene.»
Non riuscì a dire altro, si vergognava troppo.
«Oh, ma per favore!»
Sbuffò Nina a denti stretti accendendosi una sigaretta.
«Kazama siamo tutti adulti, sapevamo bene a cosa andavamo incontro mettendoci contro Heihachi, o mi sbaglio?»
Fece scorrere lo sguardo sui presenti, soffermandosi su Hwoarang, che ignorò la provocazione.
«Ma voi non dovete sconfiggerlo, potete scappare, essere liberi!»
«Lo credi sul serio? Io ho tradito la sua fiducia e sulla mia testa c’è una taglia ancora più alta del montepremi dell’Iron Fist. Asuka ha dato fuoco al suo ufficio e gli altri due si sono intrufolati nella Zaibatsu spacciandosi per membri della Tekken Force, ingannandolo proprio sotto al suo naso. Credi sul serio che passerà oltre queste mancanze di rispetto? Credi che non ci darebbe la caccia? Credi che un uomo del suo calibro non sia in grado di rintracciarci ovunque nel mondo?»
Il suo tono era freddo e pungente, fu come essere schiaffeggiati da una folata di vento.
«Ma se restate con me…»
Avrebbe voluto dire che sarebbero stati spacciati, che erano carne destinata al macello, ma Asuka lo interruppe.
«Abbiamo maggiori possibilità di sconfiggerlo.»
Xiaoyu annuì, trovandosi d'accordo.
«Se tu oggi fossi stato da solo, adesso non saresti qui. Sei sopravvissuto all'attacco per merito nostro, insieme abbiamo distratto Azazel e lo abbiamo allontanato da te. Allo stesso modo, tu ci hai salvato la vita uccidendolo prima che potesse colpirci.»
Gli fece notare la giapponese.
«Asuka ha ragione. Da soli non possiamo fare molto, ma insieme abbiamo maggiori possibilità. Lo penso spesso anch'io, se Hwoarang non fosse stato al mio fianco, non avrei mai avuto il coraggio di irrompere alla Zaibatsu, e se non fosse stato per la mia idea di coinvolgere Panda, neanche lui ci sarebbe mai riuscito.»
Affermò Xiaoyu lanciando un'occhiata al coreano, che se ne rimaneva in disparte.
«Bene, al di là dei sentimentalismi, siamo tutti d'accordo.»
Concluse Nina, fissando Jin intensamente, ma lui non rispose.
Il silenzio era rotto solamente dal crepitio del fuoco, le cui fiamme danzanti illuminavano i visi stanchi e affaticati dei suoi compagni. Jin non era abituato a essere circondato da tante persone e gli era difficile esprimere i propri sentimenti. Avrebbe voluto che se ne andassero, per il loro bene, ma era stato inaspettatamente felice di udire quelle parole. La presenza di persone dai temperamenti così diversi si era rivelata preziosa. Nina era pragmatica e abile, riusciva a mantenere il sangue freddo in ogni situazione. Asuka era intelligente, colta ed era un'ottima mediatrice, fungeva spesso da paciere all'interno del . Xiaoyu era positiva e comprensiva, pronta a tutto e per nulla arrendevole. Hwoarang era leale e corretto, temerario e coraggioso, talvolta rigido e inflessibile, ma Jin sapeva che aveva un gran cuore e alla base della sua severità c'erano i duri insegnamenti di Baek.
Lui si era dimostrato un grande amico, lo aveva sottratto dalle grinfie di Kazuya e gli aveva fornito riparo in Corea, lo aveva asfissiato di attenzioni affermando di coprirgli le spalle, e sebbene lui l'avesse trattato male, a tre anni di distanza era ancora lì, al suo fianco, nonostante sapesse che Baek era in pericolo a causa sua.
«Direi che questo è il momento decisivo. Da stasera in poi non si torna indietro, quindi chi non si sente pronto ad affrontare le conseguenze farà bene ad andarsene.»
Disse Nina, rompendo il silenzio.
«Io sto dalla parte di Jin. Voglio veder morire Heihachi.»
Dichiarò.
«Anch'io sto dalla sua parte. Jin è un membro della mia famiglia e non intendo abbandonarlo nel momento del bisogno.»
«Anch'io sto dalla parte di Jin.»
Affermò Xiaoyu con veemenza.
«Perchè... Perchè Heihachi è un uomo crudele che non merita redenzione.»
Concluse con le gote arrossate. Non poteva certo ammettere a voce alta che era follemente innamorata del giovane.
«Vi ringrazio per il vostro sostegno. E tu Hwoarang?»
Chiese il giapponese, fissando il coreano dritto in mezzo agli occhi. Poté giurare di scorgere una scintilla di odio nello sguardo fiero del rosso.
«Credevo non avessi bisogno di nessuno, tu. Che fossi grande abbastanza da cavartela da solo.»
Era un colpo basso, ma Jin se l'era meritato. Aveva immaginato che non sarebbe stato semplice riconquistarsi la sua fiducia.
«Evidentemente mi sbagliavo, ero solo troppo troppo stupido e arrogante per rendermene conto.»
Confessò, strappando un sorriso all'amico.
«Era ora che te ne rendessi conto.»
«E chissà quante cose ancora non so di me.»
«Jin, se noi ci fidiamo di te, tu devi fare lo stesso. Niente più segreti, niente misteri, niente mezze verità. Devi raccontarci tutto quello che sai o che credi di sapere, anche il più piccolo e insignificante dettaglio. Sono stanco di lottare per una persona che non mi rispetta.»
Jin deglutì, anche questa volta Hwoarang aveva ragione da vendere. Glielo doveva, loro si erano schierati dalla sua parte, l'aveano protetto, era giusto che sapessero.
«Kazuya è ancora vivo.»
Osservò i loro occhi spalancarsi dinnanzi a quella notizia, solo Nina rimase impassibile, dato che lo sapeva già. Con pazienza raccontò ciò che avvenne la notte che la Tekken Force lo condusse al tempio Honmaru, riferendo ogni singolo particolare. Si rese conto di ricordare perfettamente tutto ciò che era successo prima della sua trasformazione, poi purtroppo non seppe continuare.
«Posso terminare io il tuo racconto.»
Intervenne Nina e narrò loro della sua conversazione con Heihachi.
«Ha detto che fosse una mutazione genetica, gli credetti perché conosco la sua sfrenata passione per gli OGM. Non avrei mai potuto immaginare la verità. Lo spinsi verso di loro, sperando che lo uccidessero, ma il mio piano ha fallito, Kazuya mi ha rincorsa, seguito da Jin e il vecchio ha approfittato della loro distrazione per fuggire. Fortunato bastardo. Alla fine riuscii ad afferrare una delle catene e la avvolsi attorno al collo di Jin, che tornò umano.»
Fece una pausa per accendersi una sigaretta, poi riprese la sua spiegazione. Quando terminò erano tutti parecchio confusi.
«Ma... Come faceva Heihachi a sapere dove foste?»
Chiese Asuka.
«Ho ragione di credere che sia stata mia sorella Anna a vendermi. I due se la intendono bene, ma vi risparmio i dettagli, non ci tengo a vedervi vomitare.»
Xiaoyu fece una smorfia di disgusto e anche Hwoarang faticò a immaginare una donna avvenente come Anna tra le braccia di un uomo così vecchio e ripugnante.
«E perché vi siete divisi?»
Domandò Xiaoyu.
«Era la cosa più sensata da fare. Bene, se abbiamo finito con le domande suggerirei di...»
«No, aspetta, c'è una cosa che non mi torna, una cosa alla quale ti sei già rifiutata di rispondere. Perché hai tradito Heihachi? Stando a quanto dici, avevi solo da guadagnarci come suo sicario. Cos'è successo di così grave da spingerti a volerlo uccidere?»
Nina pestò il mozzicone con più violenza del dovuto. Non aveva nessuna intenzione di raccontare loro la verità su Steve Fox, quella ferita sanguinava ancora. Si era fidata di Heihachi e lui aveva usato il suo corpo a suo piacimento, senza chiederle il permesso. Se non l'avesse scoperto per conto suo, avrebbe continuato a vivere nella menzogna.
Nina non aveva mai desiderato diventare madre, le era sempre mancato quel che si chiama “istinto materno”, persino da bambina si rifiutava di giocare con le bambole.
Heihachi l'aveva costretta a qualcosa a cui era sempre stata contraria e lo odiava per questo e per averla trattata come un semplice oggetto in favore della scienza che tanto amava e di cui a lei non importava nulla. Ma condividere un paio di geni con quel ragazzo non significava nulla ai suoi occhi, lei non poteva né tanto meno voleva considerarlo suo figlio: non lo aveva desiderato, non lo aveva concepito, non lo aveva portato in grembo, né lo aveva partorito. In teoria tanto bastava a chiudere quella faccenda, ma quel ragazzo viveva e la sua stessa esistenza bastava a ricordarle che, dopotutto, era una madre. E non poteva sopportarlo.
«Questi non sono affari che vi riguardano. La faccenda tra me e Heihachi non ha nulla a che vedere con Jin, è assolutamente irrilevante.»
Hwoarang la fissò di sbieco, quella donna diceva di essere dalla loro parte, eppure non riusciva a fidarsi di lei e si chiese se fosse solamente una sua impressione o se anche il resto del gruppo nutriva dei dubbi nei suoi confronti.
«E va bene, non ti chiederò più nulla in merito. Ma immagino l'abbia combinata davvero grossa per farsi detestare fino a questo punto.»
Nina socchiuse gli occhi, rivedendo il volto di Steve, così maledettamente simile al proprio e si odiò per non averlo fatto fuori quel giorno, davanti alla palestra Watanabe. Perché non aveva premuto il grilletto? Se l'era chiesto molte volte e si era risposta che era tutta colpa dell'imboscata della polizia, ma quella era una menzogna, gli sbirri erano arrivati molto dopo. Se avesse davvero avuto intenzione di ucciderlo, sarebbero bastati pochi secondi. Ma forse, in fondo, lei non aveva mai desiderato ammazzarlo.
Questa consapevolezza la irritava e spaventava allo stesso tempo.

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Capitolo 24
*** Cap. XXIII - Il nuovo presidente ***


Capitolo XXIII
Il nuovo presidente

 

Heihachi non riusciva a darsi pace: nel giro di poche ore degli intrusi si erano infiltrati nella Zaibatsu, erano riusciti ad ingannarlo ed avevano tratto in salvo Asuka Kazama, non prima che quest'ultima desse fuoco al suo prezioso ufficio.
Aveva dovuto interrompere le ricerche dei fuggitivi perché qualche ficcanaso aveva avvertito la stampa, che si era precipitata per ottenere uno scoop.
Invece di seguire le tracce di quegli imbroglioni, aveva dovuto rilasciare un'intervista dopo l'altra, adducendo la colpa ad un sigaro rimasto accidentalmente acceso.
Si chiese chi potesse essere stato così sciocco da inimicarselo e la risposta arrivò il giorno seguente, quando constatò che tre concorrenti dell'Iron Fist si erano ritirati. Non poteva trattarsi di un caso, ne era certo. Aveva escluso a priori Nina, che con ogni probabilità era fuggita in seguito all'imboscata che le aveva teso, dunque il cerchio si restringeva agli altri due: Hwoarang e Ling Xiaoyu. Si chiese quali ragioni avessero spinto quei due idioti a fare una cosa tanto folle, e soprattutto si domandò come avessero fatto a raggirare i membri del suo esercito. Ipotizzò che qualcuno dall'interno lo avesse tradito, ma chi?
Ad ogni modo, gli uomini che avevano attaccato Nina avevano confermato che gli stessi Hwoarang e Xiaoyu erano intervenuti per proteggere la donna, anche se erano stati stesi e quando la truppa seguente era giunta sul posto dei tre non vi era nessuna traccia, lì si trovava solo un vecchio, Baek Doo San. Dopo una breve ricerca trovò proprio ciò che cercava, una pista: il vecchio Baek era nientemeno che l'allevatore di Hwoarang, quindi presuppose che si fosse sostituito al giovane per aiutarlo a fuggire. Che imbecille era stato, mettere a repentaglio la propria vita per difendere uno stupido scavezzacollo che lui non avrebbe tardato a trovare e uccidere. Non capiva cosa spingesse la gente a compiere azioni tanto stupide, il sacrificio e l'altruismo erano concetti che faticava a comprendere.
Baek era stato imprigionato e tenuto sotto sorveglianza, durante la perquisizione avevano trovato un telefono cellulare e Heihachi sapeva che era solo questione di tempo, prima che il suo affezionato allievo si facesse vivo. Puntuale come un tuono durante una tempesta, il bamboccio aveva chiamato, permettendogli così di rintracciarlo.
Non si sorprese di constatare che si trovavano a Osaka, era certo che avessero riportato Asuka a casa propria. Sorrise malignamente pregustando il momento in cui li avesse ricatturati.

 

 

Seguì le indicazioni del GPS, ma di quei tre non vi era nessuna traccia. Decise allora di recarsi sul villaggio in cima alle montagne, dove era stato rivelato il loro primissimo collegamento e scoprì con grande interesse che l'intero villaggio era stato recentemente abbandonato. Sui fornelli ancora ardenti bolliva il brodo per il ramen, i futon erano disfatti e disordinati, i televisori erano ancora accesi e sulle tavole imbandite la colazione era stata consumata per metà.
Qualcosa non gli tornava, ma non sapeva esattamente di cosa si trattasse, sentì solo una grande rabbia montargli dentro.
Tornò alla Zaibatsu con l'umore a terra, ultimamente gli andava tutto male e non poteva accettarlo, lui era l'uomo più potente di tutto il Giappone, non era abituato ai fallimenti e quella sensazione di disfatta lo tormentava.
Di nuovo gli parve di avvertire la presenza di Kazumi, il suo spirito rideva sonoramente facendosi beffe di lui e questo era inammissibile.
Afferrò il suo cellulare e cercò il numero di Anna Williams nella sua rubrica, un po' di sano sesso avrebbe offeso lo spettro della sua defunta moglie, costringendolo a dileguarsi, ma una voce registrata lo informava che il numero era irraggiungibile.
Con un forte urlo scaraventò il telefonino contro al muro, rompendolo.
«Questo è solo l'inizio, caro Heihachi, vedrai che andrà sempre peggio.»
I peli dietro al collo gli si rizzarono, era certo di non essersi immaginato la voce di Kazumi. Si passò le mani sulle tempie chiedendosi dove avesse sbagliato, come era potuto precipitare tutto quanto così rapidamente?
Avrebbe dovuto far fuori Jin Kazama il giorno in cui, sporco e puzzolente, si era recato alla Zaibatsu per conoscerlo. Ma Heihachi amava le cerimonie, voleva gustarsi la morte del proprio erede, desiderava ucciderlo lentamente, vederlo soffrire. I suoi lamenti di dolore sarebbero stati musica per le sue orecchie, così come le sue suppliche, ma lui non gli avrebbe concesso una morte semplice.
Qualcuno bussò alla porta dell'ufficio temporaneo che si era scelto in attesa che il vecchio venisse totalmente ristrutturato.
«Chi diavolo è?»
Ringhiò con voce rauca, mentre la porta si apriva timidamente e il volto di una giovane donna dall'incarnato chiaro faceva capolino.
«Signor Mishima, ho provato a contattarla telefonicamente, ma il suo cellulare è irraggiungibile, volevo avvisarla che un uomo desidera incontrarla, però non ha fissato nessun appuntamento.»
«Che vada a farsi fottere! Non ricevo nessuno senza appuntamento, sono un uomo molto impegnato, io.»
La segretaria rimase sull'uscio.
«Mi spiace dover insistere signor Mishima, ma l'uomo si rifiuta di prendere un appuntamento, dice che ha sicuramente del tempo per lui, a giudicare dall'insistenza con il quale lo ha cercato.»
Gli occhi di Heihachi si ridussero a due fessure, fissò la donna con un'espressione velenosa, rammentando l'ultima volta che qualcuno si era presentato al suo cospetto senza alcun invito.
«E chi è quest'uomo così arrogante da affermare simili sciocchezze?»
Chiese con un sibilo, pensando per un attimo che potesse trattarsi proprio di Jin, dopotutto la storia era destinata a ripetersi. Solo che questa volta non avrebbe esitato neanche un attimo, l'avrebbe fatto fuori non appena avesse varcato la porta.
«Dice di chiamarsi Claudio Serafino, appartiene al clan degli arcieri di Sirius.»
I suoi occhi si spalancarono, non poteva essere vero.
«Fallo entrare.»
Disse, prendendo posto sulla propria poltrona e afferrando uno dei suoi sigari più costosi, voleva impressionare quel tipo che troppo a lungo gli si era negato, nonostante le sue numerose richieste.
Il capo del clan degli esorcisti era molto diverso da come se lo era immaginato. Si era aspettato di incontrare un anziano dalla pelle olivastra con dei lunghi baffi neri, ma Claudio Serafino dimostrava poco più di vent'anni, era alto e muscoloso, aveva il capo coperto di finissimi capelli neri e gli occhi policromatici, quello destro era azzurro come il mare calmo e quello sinistro grigio come il mare in tempesta.
«Signor Serafino, prego si accomodi.»
Lo invitò Heihachi con un sorriso beffardo, alla fine aveva avuto la meglio.
Claudio non si inchinò al suo cospetto, né gli allungò una mano, si limitò a prendere posto dinnanzi a lui e a fissarlo con intensità. Heihachi provò immediatamente una forte antipatia per quel tipo.
«A cosa devo l'onore?»
Chiese, sinceramente interessato.
«Signor Mishima, contatta il mio clan già da svariati anni, e come ben sa ci siamo sempre rifiutati di cooperare con lei.»
Heihachi digrignò i denti, lo sapeva bene, non c'era bisogno che glielo rammentasse.
«Esattamente, quindi cos'è stato a farvi cambiare idea?»
Abbandonò le buone maniere, decidendo che quel giovane non le meritasse e si accese il sigaro.
«Abbiamo percepito una grande forza demoniaca, qualcosa di davvero strabiliante, un'energia malvagia talmente forte da non poter essere ignorata.»
Heihachi sorrise scoprendo i denti.
«Ve lo dicevo io...»
Era certo che l'energia potente a cui si riferiva fosse proprio la sua, ma non poteva rivelare la verità, altrimenti Claudio avrebbe cercato di esorcizzarlo, e lui non voleva assolutamente disfarsi del proprio gene.
«Parliamo di due entità demoniache gemellari.»
L'italiano unì le punte dei suoi indici e se li poggiò sulla bocca, ascoltando.
«Che cosa intende per “ entità gemelle”?»
«Vede, quando mio figlio Kazuya tentò di uccidermi – povero bastardo – risvegliò in sé il gene del diavolo, che poi involontariamente trasmesse a suo figlio. I loro diavoli sono due metà della stessa entità. Da anni i miei eredi si sfidano, poiché credono che uccidere l'altro permetterà al vincitore di diventare più forte.»
«Mi faccia capire signor Mishima, suo figlio e suo nipote lottano tra di loro per rafforzare forza dell'entità maligna che li abita? Loro desiderano alimentare il demone?»
Heihachi assunse un'espressione disperata.
«Signor Serafino, la prego non pensi male, non sono loro a parlare, bensì il diavolo. Loro sono la mia famiglia, vorrei solo proteggerli, perciò mi sono rivolto a voi.»
Claudio rimase impassibile, fissando il suo interlocutore dritto in mezzo agli occhi.
«Perché suo figlio ha cercato di ucciderla?»
Il vecchio rimase di sasso, non si aspettava quella domanda. Tossì per simulare la propria sorpresa e fumò un altro po' del suo sigaro.
«Kazuya non è mai stato molto sveglio, purtroppo. Credeva che se fossi morto, avrebbe ereditato la Zaibatsu. Era disperato, poverino, un morto di fame col vizio del gioco d'azzardo. Ma io non gliene faccio una colpa, è cresciuto nella bambagia e non ha mai imparato a cavarsela da solo.»
«Gentile da parte sua perdonare un simile gesto.»
«Che vuole che le dica? Dopotutto rimane pur sempre mio figlio! Purtroppo contagiando il mio unico nipote, mi ha impedito di instaurare un rapporto con lui. Lo rimpiango ogni notte.»
«Che storia infausta e miserabile. Un'intera famiglia distrutta...»
Heihachi dovette sforzarsi per continuare a fingere il proprio dispiacere.
«Eppure ho sentito dire che suo figlio è morto suicida.»
Il più giovane continuò a fissare Heihachi, che ebbe la spiacevole sensazione che l'occhio grigio gli permettesse di osservare la sua anima, scoprendo le sue menzogne.
«Già, quando Kazuya tornò in sé tentò il suicidio gettandosi nella bocca del monte Fuji, ma grazie alla sua nuova forza sopravvisse. Sono felice che sia vivo, ovviamente, vorrei solo che tornasse ad essere quello di prima.»
Claudio si sollevò e si diresse verso la finestra. Teneva le mani dietro la schiena mentre osservava lo skyline di Tokyo. Heihachi lo imitò.
«Signor Mishima, devo informarla che non potrò garantirle nulla.»
«Che significa?»
«Proverò a fare tutto il possibile per liberare suo figlio da quell'orribile maledizione, ma è necessario che lui me lo permetta.»
Heihachi sorrise sotto i baffi, nascondendosi dalla vista dell'esorcista.
«Lo capisco, ma per me sarebbe già un grande risultato anche solo provarci.»
Con quelle parole spense il sigaro. Il suo unico obiettivo era mettersi sulle tracce di quei due disgraziati, non avrebbe mai permesso loro di venir esorcizzati, perché sapeva bene che doveva ucciderli con le sue stesse mani per potere accaparrarsi il loro potere. Claudio era solo un mezzo per poter trovarli, lui era in grado di avvertire la loro energia, dopo aver adempiuto al suo compito poteva tranquillamente eliminarlo.
«Mi metterò in contatto con lei quando avvertirò qualcosa, adesso devo riposare e purificarmi, è stato un viaggio lungo e stancante.»
«Non si preoccupi signor Serafino, non c'è fretta.»
Ormai il countdown era cominciato, era solo questione di tempo.




 
Dall'incontro con Serafino l'umore di Heihachi era parecchio migliorato: la notte riusciva finalmente a chiudere occhio e riposare ininterrottamente, gli era tornato l'appetito ed era persino più propenso ad ascoltare gli inutili commenti di Geppetto a proposito del nuovo cyborg a cui stava lavorando. «...e potrà anche svitarsi la testa e utilizzarla come arma, questa è una vera chicca. Lo chiamerò Alisa, in onore della mia bambina.»
Heihachi odiava i sentimentalismi di qualsiasi genere, Geppetto era uno scienziato in gamba, il migliore che avesse mai conosciuto, oltretutto condivideva i suoi stessi ideali a proposito di OGM, ma caratterialmente non potevano essere più dissimili. Heihachi era pratico e realista, Geppetto era invece uno svenevole utopista e trattava le sue creazioni con affetto.
Lui disprezzava profondamente questo suo lato romantico e smanceroso, ma non poteva permettersi di perdere un alleato così competente.
«Bene, mi fa piacere che tutto proceda secondo i piani.»
Disse infine congedandosi dal suo collega, non sarebbe stato in grado di fingere maggiore interesse per quella banale questione.
Pensò per un attimo a Baek, ancora imprigionato nei sotterranei della Zaibatsu. Si disse che ormai non aveva più alcun bisogno di lui, e comunque quel vecchio maledetto si era rifiutato di fornirgli informazioni, anche sotto tortura. Decise che lo avrebbe ucciso, ma l'avrebbe fatto sotto agli occhi del suo allievo, voleva punire il ragazzo, farlo soffrire duramente prima di infliggergli il colpo di grazia.
Sorridendo a quel pensiero prese posto dietro alla sua scrivania e sfogliò la sua copia dello Yomiuri Shinbun.
La prima pagina del quotidiano lo fece impallidire. Lesse il titolo più volte, totalmente incredulo di fronte a quelle parole.
“Concorrenza spietata tra Mishima”
Lesse l'articolo velocemente.
“La G-Corporation, società leader nel settore biotecnologico, ha annunciato la nomina del proprio nuovo presidente. Si tratta di nientemeno che Kazuya Mishima, figlio del noto magnate Heihachi Mishima, presidente e amministratore della Mishima Zaibatsu. Per molti anni Kazuya Mishima era stato ritenuto morto suicida, ma evidentemente si trattava di un bluff. Il motivo che ha spinto il signor Mishima a un gesto estremo sono ancora sconosciute, in quanto il nuovo presidente ha rifiutato categoricamente di rilasciare un'intervista.”
Heihachi rilesse quel trafilo ancora e ancora, sino ad impararlo a memoria.
Non sapeva cosa ciò significasse, ma non gli piaceva.

 


***
 

 

Nelle ore che seguirono la sua auto-proclamazione a nuovo presidente della G-Corporation parecchi dipendenti firmarono le proprie dimissioni. Dovevano aver compreso che Kazuya non si era guadagnato quella posizione, bensì se la fosse presa con la forza.
Da un paio d'anni collaborava con la G-Corp, aveva sperato di scoprire una diversa componente genetica nel suo sangue, ma purtroppo non era stato rilevato nulla. Si era sottoposto a molti esami, voleva comprendere cosa lo rendeva un demone, ma dato che gli esiti si erano rivelati negativi, pian piano l'interesse nei suoi confronti era scemato, fino a scomparire del tutto. Il vecchio presidente lo aveva recentemente informato che non disponevano dei fondi necessari a continuare la ricerca, ma lui aveva capito che in realtà non aveva più alcuna voglia di sperperare denaro in un progetto inconcludente, così aveva dovuto prendere le redini della situazione.
Non voleva che la notizia si spargesse, avrebbe preferito agire nell'ombra, ma qualche ex dipendente scontento doveva aver spiattellato tutto ai media.
A lui non importava fare la guerra alla Zaibatsu, gli interessava solamente trovare delle risposte. Aveva creduto a lungo che si trattasse di una maledizione, ad un certo punto però aveva maturato l'ipotesi che fosse il frutto di un esperimento scientifico di suo padre – quel bastardo si divertiva un mondo a giocare con la genetica – congettura che si era rafforzata dopo aver conosciuto Jin. Qualsiasi cosa egli avesse nel sangue, l'aveva trasmessa a suo figlio, dunque quella cosa aveva fondamenta biologiche.
Adesso che era a capo dell'azienda avrebbe trovato il modo di finanziare la ricerca sulla sua persona, si sarebbe sottoposto a qualsiasi esperimento, anche se sarebbe stato doloroso o pericoloso.
Doveva capire come e perché si era trasformato in un mostro e porre fine a quella cosa.
Altrimenti le voci nella sua testa avrebbero avuto la meglio.

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Capitolo 25
*** Cap. XXIV - Intrecci ***


Capitolo XXIV
– Intrecci –

Kazuya si affacciò alla grande vetrata che sporgeva proprio di fronte alla torre di Tokyo, osservando la struttura da lontano. Sotto di lui il traffico delle ore di punta scorreva pigramente, le strade erano intasate di autoveicoli e una nuvola grigiastra di smog si levava mossa dal vento.
Quando la porta si aprì voltò le spalle al mondo esterno e incrociò le braccia sul petto. Una giovane apprendista allungò il braccio per invitare l’ospite a prendere posto e dopo aver fatto un profondo inchino si chiuse la porta alle spalle, lasciandoli da soli. La donna sorrise amabilmente e ancheggiò verso la poltrona più vicina, poi si lasciò cadere con eleganza.
«Posso fumare?»
Chiese con voce leziosa, ottenendo per tutta risposta un impercettibile cenno del capo. Infilò la mano nella sua borsetta rosso fuoco e ne estrasse un pacchetto di Vogue slim.
«Ho iniziato da poco, ma non riesco più a smettere.»
Lo informò con una scrollata di spalle, accendendo l’estremità della sua sigaretta e aspirando brevemente.
«Che cosa vuoi, Anna?»
Le chiese Kazuya con tono aspro.
«Sei troppo diretto, Kazuya. Tuo padre si concede sempre dei convenevoli, prima di arrivare al punto, tu invece bruci le tappe.»
Sorrise Anna incrociando le gambe. Non sarebbe stata al suo gioco.
«Evidentemente Heihachi ha del tempo da perdere, a differenza mia.»
«No, ti sbagli, è un uomo molto impegnato, ma ha capito che se vuole conquistarsi la fiducia degli azionisti deve fingersi più cordiale e premuroso di quanto non sia realmente.»
«Dalle tue parole si evince tutta la tua stima nei suoi confronti.»
Gli occhi azzurri di Anna si ridussero a due fessure e lanciò all’uomo un’occhiata velenosa carica di astio.
«Ti sbagli, io lo disprezzo!»
Kazuya si mise a sedere sulla sedia girevole dietro alla sua scrivania, Anna aveva intenzione di fargli perdere del tempo, non se ne sarebbe andata facilmente quindi tanto valeva mettersi comodo.
«Il disprezzo è un sentimento molto profondo, credo piuttosto che la tua sia semplice antipatia.»
«Taci!»
Urlò battendo un pugno sulla scrivania in mogano.
«Conosco bene le emozioni che tuo padre mi suscita, e non sono banali avversioni. Io lo odio profondamente, come te d’altronde! Non è così? Suvvia Kazuya, non fare quella faccia sorpresa, mi credi così idiota?»
Non rispose, non voleva incoraggiarla a parlare. Anna aspirò del fumo e si ricompose, non voleva lasciarsi trasportare dall'emotività, doveva riprendere il controllo. Quando parlò di nuovo lo fece con calma e pacatezza.
«Partendo dal presupposto che sono bene avvezza ai drammi familiari, come sarebbe da interpretare questo tuo gesto di palese offensiva nei confronti della Zaibatsu? E poi, siamo onesti, quell’uomo per ventitré anni non ha fatto che ripetere che tu fossi morto! Questa tua sottostima nei confronti della mia intelligenza è offensiva.»
Aspirò l’ennesima boccata dalla sua cicca e attese che l’uomo parlasse.
«Sia come sia, mi complimento per la tua arguzia, ma non mi hai ancora detto cosa sei venuta a fare.»
Le labbra rosse della donna si allargarono in un sorriso, scoprendo una fila di denti smaglianti. Era un sorriso spietato che la fece apparire spaventosa come un’arpia.
«Se tu pianifichi di distruggere Heihachi, io voglio contribuire a qualunque costo.»
Kazuya non riuscì a trattenere una risata beffarda.
«Perché mai dovrei fidarmi di te? In cosa puoi essermi utile?»
«Per molti anni sono stata l’amante di quell’uomo, conosco lui e le sue abitudini, e poi sono motivata a demolirlo. Voglio vederlo soffrire.»
Pronunciò l'ultima frase lentamente, scandendo bene ogni sillaba e battendo sul tavolo il dito smaltato di vermiglio al ritmo delle sue parole.
«Heihachi ha davvero una strana influenza su te e tua sorella, è per questo che vi siete affidate alle sue mani per il criosonno? Sì, ne sono al corrente.»
Anna sorrise, per nulla intimidita.
«Però scommetto che non sai che Nina ha smesso di lavorare per lui già da qualche tempo.»
Si gustò la sua reazione impreparata e si preparò a lanciare una bomba.
«O che è il responsabile della morte di Jinpachi.»
Il cuore di Kazuya mancò un battito. Nel suo profondo, aveva sempre sospettato che fosse così, ma sentire Anna pronunciare quelle parole ad alta voce lo avevano scioccato.
«Come…?»
Iniziò a domandare, ma l’irlandese lo anticipò.
«Non hai idea delle confessioni che si fanno quando si è appagati dal sesso.»
Chinò il capo, ridendo come una bambina che è stata sorpresa a commettere una marachella.
«Non lo ha mai detto esplicitamente, certo, ma ha usato delle parole che non lasciano molto spazio ai dubbi. Come ha detto?»
Chiese con voce acuta, spostando gli occhi verso sinistra, tentando di ricordare la conversazione avuta parecchi mesi prima.
«”Io mi sono sempre preso ciò che mi spettava di diritto, a costo di devolvere la mia anima al diavolo”. In un’altra occasione mi ha rivelato di non avere mai avuto un buon rapporto con suo padre, anche se non è mai sceso nei dettagli.»
Ricordava bene quella conversazione, lei gli aveva confidato del suo fragile rapporto con Richard, che aveva sempre preferito Nina a lei – forse perché sua sorella era un vero maschiaccio. Heihachi aveva riso e commentato che spesso i padri sono degli inetti, incapaci di vedere la grandezza dei loro figli. Le aveva confessato che anche Jinpachi aveva commesso lo stesso errore, pagando amaramente le conseguenze della propria malafede. Anna quella volta non aveva dato molto peso a quella conversazione, si era concentrata piuttosto sulla similarità dei loro casi e si era sentita ancora più affine a quell’uomo che, a differenza di Richard, la faceva sentire importante. Solo molto tempo dopo, prendendo le giuste distanze, aveva capito il reale significato di ciò che Heihachi aveva voluto dire.
Kazuya aveva sempre saputo del rapporto burrascoso tra suo padre e suo nonno, ricordava ancora distintamente i loro continui litigi, il suono delle loro urla e persino il pianto ininterrotto di sua madre. Ciò che lo colpì maggiormente furono quelle parole “a costo di devolvere l'anima al diavolo”. Se Anna diceva la verità questo poteva – in parte – spiegare le cause della sua trasformazione. Heihachi aveva venduto l’anima al diavolo? Non aveva alcun senso, eppure sembrava la cosa più sensata in quel momento. La scienza non riusciva a trovare una risposta, possibile che dunque il suo stato non avesse niente di scientifico?
«Permettimi di lavorare per te.»
Concluse Anna, riportandolo alla realtà. Il suo tono deciso nascondeva una nota supplichevole e Kazuya si disse che in fondo non poteva guastare avere come alleata una persona che conosceva molto bene il suo nemico.


 

Quando Anna lasciò finalmente il suo studio Kazuya rimuginò a lungo.
Non era la prima volta che si arrovellava il cervello con quella faccenda, ma ogni volta che credeva di essere giunto ad una conclusione, puntualmente doveva ricredersi.
Heihachi era stato la fonte di tutta la sua sofferenza, sin da quando era bambino. Non si era mai occupato di lui, anzi, pareva si divertisse un mondo a ignorarlo. Kazuya era stato interamente allevato da Kazumi, e Jinpachi lo aveva preso sotto la sua ala quando era diventato abbastanza grande da poter essere iniziato alle arti marziali.
Suo nonno era stato molto più di un semplice maestro, era stato la sua figura paterna. Era stato Jinpachi ad insegnare a Kazuya tutto quello che sapeva, passavano molto tempo assieme e lui gli era molto affezionato.
Ma poi era morto improvvisamente, dicevano stroncato da un malore. Aveva sempre nutrito dubbi in merito, suo nonno era forte e robusto, e finalmente, dopo quasi trent’anni aveva avuto la conferma alle sue speculazioni: Jinpachi era stato ucciso da Heihachi. Questa consapevolezza forse avrebbe dovuto demoralizzarlo, ma in realtà gli provocava un’insana eccitazione, perché gli conferiva un altro motivo per odiare Heihachi e l'ennesima ragione per volerlo uccidere. Quel bastardo gli aveva tolto tutto ciò che di più caro avesse mai avuto: suo nonno, sua madre, che si era tolta la vita a causa dell’insoddisfazione che il marito le provocava, e infine Jun.
Ricordò il giorno in cui l'aveva incontrata sul ring dell'Iron First Tournament e provò un brivido. Cercava di non richiamare mai quel ricordo, che per quanto fosse piacevole si portava dietro una scia di rimorsi.
Lei era bellissima, ma lui non l’aveva scelta per la sua bellezza, nei suoi confronti provava un'attrazione magnetica, irresistibile. Nel suo modo di fare c’era qualcosa di familiare, qualcosa di travolgente, lontano da ogni logica, qualcosa per la quale era valsa la pena rischiare la vita.
L’aveva amata profondamente, anche se la loro unione aveva avuto vita breve, eppure si era stancato di lei con la stessa velocità con cui si era invaghito. Ricordava bene il giorno in cui tutto era finito: si era svegliato con un gran mal di testa e quando lei gli venne incontro augurandogli il buongiorno, lui aveva avvertito l’insano desiderio di picchiarla. Si contenne, resistette a quell’impulso, ma la sua presenza aveva iniziato ad infastidirlo e alla fine, incapace di tollerarla, l’aveva abbandonata.
Suo padre lo trovò quasi immediatamente e lo punì gettandolo nella bocca del monte Fuji, dove lui miracolosamente sopravvisse ad un volo di 3776 metri. Fu lì che il demone gli si rivolse per la prima volta.
Con un sussurro spettrale lo avvisò che era potuto sopravvivere solamente grazie a lui e che pertanto gli doveva la vita. Gli aveva detto che il suo compito era quello di uccidere il proprio gemello, che solo in questo modo avrebbe potuto rafforzarsi. Non gli disse mai perché si fosse manifestato, sebbene lui glie l'avesse chiesto tante volte.
Kazuya si era stancato di quella situazione, stanco di farsi usare, di sottomettersi al suo volere, sentiva il bisogno di liberarsi di lui, anche se ciò significava rinunciare al suo immenso potere.
A quel punto aveva deciso di sottoporsi alla ricerca scientifica, ma le ricerche sul suo sangue erano state inconcludenti, l'anomalia rivelata non era identificabile e presto si perse interesse per il suo caso.

Probabilmente avrebbe dovuto lasciarsi analizzare mentre la trasformazione era in corso, ma non era più riuscito a trasformarsi da quella sera al tempio Honmaru, dove aveva sfidato Jin. Il demone si manifestava solo quando provava una rabbia incontrollata o quando si sentiva minacciato e non si era verificato niente di simile.
Per quanto riguardava Jin, Kazuya non aveva mai neppure sospettato di avere un figlio, era stato un vero choc scoprirlo. Non aveva ancora compreso che sentimenti provasse verso di lui: lo odiava perché era stata la sua presenza nel ventre della donna a renderlo così insofferente nei suoi confronti, ma una minuscola parte di lui sentiva di volerlo proteggere: da sé, da Heihachi, dal diavolo che lo abitava. Dopotutto, quel ragazzo era una parte di Jun..
Detestava sentirsi così sentimentale e si vergognò per i suoi pensieri. Ultimamente si sorprendeva spesso a pensare a Jin, e puntualmente si malediceva per la propria debolezza. Scosse la testa, non poteva abbandonarsi a quegli stupidi sentimentalismi, Jun era morta e di lei non rimaneva proprio nulla. Se il solo modo per tornare in sé era uccidere Jin, allora non avrebbe esitato.


 

***

 

Adesso che sapeva dove fosse Kazuya, Heihachi doveva darsi una mossa ed escogitare un piano.
Prima di sbarazzava di lui, prima i suoi poteri sarebbero aumentati, così sarebbe stato ancora più semplice disfarsi del ragazzo. Si chiese a cosa avesse puntato Kazuya, divenendo il presidente della G-Corp. Voleva minacciarlo? Sperava di intimorirlo? O gli stava lanciando una sfida? Probabilmente si trattava dell’ultima ipotesi, altrimenti si sarebbe preoccupato di tenere tutto nascosto. Il fatto che era uscito alla luce del sole era un’aperta dichiarazione di guerra. Certo, gli aveva dato parecchie gatte da pelare, la stampa si era precipitata alla Zaibatsu per ottenere uno scoop, ma dal momento che non era ancora riuscito a inventarsi una storia credibile si era dovuto ritirare, come un codardo.
Si affacciò alla finestra e nascosto tra le tende guardò in basso. L'ingresso era bloccato da un corteo di cameraman e giornalisti di diverse emittenti televisive, erano persino più numerosi del giorno precedente.

«Dannati sanguisuga.»
Li maledisse con disprezzo, passandosi una mano sulla fronte imperlata di sudore.
“Il tuo declino è appena iniziato, caro Heihachi, ormai è solo questione di tempo, tic toc, tic toc... ”
Di nuovo la voce canzonatoria di Kazumi gli riecheggiò nelle orecchie, si sentì avvilito perché questa volta non poteva far nulla per adirarla.

 

***

 

Dopo il torneo Panda era stato riportato nei laboratori affinché l'equipe medica gli curasse le ferite e per i tipici controlli di routine.
Si era classificata sino alla semifinale, dove era stata sconfitta – o per meglio dire si era lasciata battere – da Eddy Gordo rifiutandosi di lottare al massimo delle proprie forze. Il brasiliano, a sua volta, aveva avuto la peggio contro il russo Dragunov, che si era classificato campione.
Bosconovitch le aveva prelevato del sangue e aveva esaminato i suoi riflessi. Era l'unico scienziato che non la temesse, a sua detta esisteva una certa affinità tra sé e le proprie creazioni.
«Le analisi sono nella norma e anche i valori rientrano nei parametri. La cura di ormoni che ti abbiamo somministrato ha dato i suoi frutti, non è vero? Sei addirittura arrivata in semifinale, è quanto dire se consideriamo il tuo punto di partenza.»
Panda emise un suono e le sopracciglia dello scienziato si piegarono verso il basso.
«Immagino sia stato molto doloroso per te. Non mi trovo sempre d'accordo con l'etica di Heihachi. Al suo posto, io mi sarei limitato ad aumentare le dosi di testosterone e adrenalina, ma lui ha una visione ben diversa, e noi dobbiamo adeguarci, in fondo è lui il capo. Ma non devi preoccuparti, per ora ha ben altre gatte da pelare, il nostro vecchio amico, dunque ritengo di poter gestire la tua nuova terapia per conto mio.»
Panda fu sollevata, dopotutto sapeva che Geppetto non era malvagio, però lo temeva, perché era obbligato a rispettare ciecamente gli ordini impartiti da Heihachi.
La porta del laboratorio si aprì all'improvviso e fece il suo ingresso proprio Heihachi. Panda ebbe un sussulto e cercò di farsi più piccola possibile, impresa ardua a causa della sua massa.
«Dannazione Geppetto, questa non ci voleva proprio!»
Ringhiò burbero calciando un cestino dei rifiuti colmo di involucri e aghi usati, che cadde per terra rovesciando il contenuto sulle piastrelle sterili.
«Che cosa succede?»
Chiese Geppetto, cercando di mascherare il proprio disappunto. Non gli piaceva che il suo laboratorio venisse maltrattato a questo modo.
«La stampa mi fa la posta, non è proprio possibile uscire senza subire un interrogatorio. Dannato Kazuya.»
Mormorò con occhi iniettati di sangue.
«Già, proprio adesso che sai dove si trova, è un vero peccato!»
Commentò Geppetto risollevando il cestino da terra.
«Dammi un sonnifero, non chiudo occhio da giorni.»
Geppetto corse verso uno dei grandi armadi e cercò il barattolo giusto.
«Ti serve qualcosa che ti aiuti solamente a riposare o vuoi placare lo stress? Manifesti ansia? Convulsioni? Allucinazioni?»
«Che diavolo farnetichi, vecchio rimbambito? Mi serve solo qualcosa che mi aiuti a dormire! Convulsioni, allucinazioni... Con chi diavolo credi di parlare?»
A quelle parole Panda si appallottolò ancora di più, desiderando diventare invisibile, ma Heihachi era così preso che non badò nemmeno alla sua presenza.
Geppetto non rispose e afferrò dei barbiturici, che porse all'amico insieme ad un bicchiere di acqua. Heihachi ingerì la pillola e ingollò il sorso d'acqua senza nemmeno ringraziarlo.
«Forse sono stressato.»
Lo informò con voce calma e Geppetto dovette mordersi la lingua per non replicare malignamente che era ben evidente.
«Beh, è naturale.»
Disse semplicemente.
«Un buco nell'acqua dietro l'altro, non è normale... So dove trovare Kazuya, ma Jin è ancora disperso. Quel rincoglionito di Baek non mi è stato di nessun aiuto e quell'altro idiota di un italiano non si è ancora fatto vivo, credevo avesse delle doti fuori dal comune, ma comincio a dubitare che sia un ciarlatano.»
«A proposito di Baek, si trova ancora nei sotterranei? Credevo l'avessi ucciso.»
«Oh, non sai quanto desidero farlo vecchio mio, ma aspetterò... Voglio ammazzarlo sotto lo sguardo inerme del suo allievo, quel Hwoarang o come si chiama...»
Panda ebbe un sussulto, aveva capito bene?
«Oh, il giovane che si è intrufolato alla Zaibatsu?»
«Già, quel moccioso la pagherà cara... Lui e la sua complice, Xiaoyu»
Disse Heihachi spingendo via la sedia sul quale si era accomodato e issandosi in piedi. Panda fu percorso da un brivido lungo tutta la schiena.
«Adesso è meglio che me ne vada, quella merda comincia a fare effetto.»
E, con quelle parole, Heihachi uscì dal laboratorio proprio come vi era entrato, senza nemmeno congedarsi. Bosconovitch raccattò la spazzatura e ripulì il pavimento usando uno spray disinfettante e quando ebbe terminato qualcuno bussò alla sua porta.
«Avanti.»
Chiamò con la sua iconica voce acuta. Una giovane donna fece il proprio ingresso portando una pila di quaderni e libri. Aveva la pelle rossastra, lunghi capelli castani raccolti un due trecce basse e occhi scuri nascosti dietro gli occhiali dalla montatura ovale. Geppetto la squadrò con aria interrogativa, poi le rivolse un sorriso amichevole.
«Posso aiutarti?»
«Dottor Bosconovitch, sono Julia Chang, ho iniziato il mio praticantato appena un paio di settimane fa, ci siamo scambiati qualche e-mail...»
Si presentò, mostrando il proprio badge e il vecchio si diede una palmata sulla testa.
«Ma certo, Julia, ricordo, dimmi pure.»
«Volevo farle vedere i miei appunti a proposito della sua tesi, ho delle domande a proposito di...»
La giovane si interruppe mentre sfogliava uno dei suoi diari, fissando Panda.
«Mi scusi... Ma quello è un vero esemplare?»
Bosconovitch sorrise, amava parlare delle proprie creazioni.
«Non è un panda qualunque, mia cara, è una mutazione genetica che io stesso ho contribuito a creare. Si tratta di una specie straordinariamente intelligente. Pensa che è la stessa creatura che ha partecipato al torneo Iron Fist.»
Julia sgranò gli occhi con espressione estasiata.
«Dice sul serio? È davvero lei?»
«Certamente, che motivo avrei di mentirti?»
Squittì lo scienziato con allegria.
«È in grado di comprendere la nostra lingua e di esprimersi a gesti, Panda, vieni su, non essere timida. Devi scusarla Julia, di solito non ama gli estranei ed...»
Lo scienziato dovette interrompersi poiché Panda si precipitò verso Julia e fece le fusa come un qualsiasi gattino affettuoso.
«Ohhh, è adorabile!»
Commentò Julia accarezzando la creatura sulla testa, che si lasciò lisciare come un cagnolino addomesticato.
«Questa poi... Devi farle davvero molta simpatia.»
«Devo ammettere che ho un certo feeling con gli animali. Senta, so che forse è un po' azzardato da parte mia avanzare una tale richiesta, ma in realtà sto facendo una ricerca sulla fauna dell'Asia e studiare Panda sarebbe una vera svolta per i miei studi, e dato che qui in Giappone non esistono altre specie...»
Geppetto alzò una mano zittendola.
«Non dire altro mia cara, posso ben capire la tua sete di conoscenza. Se Panda non si fosse dimostrata così docile nei tuoi confronti avrei avuto delle rimostranze, ma visto che sembrate capirvi bene, non vedo perché no...»
Sul viso di Julia si allargò un grande sorriso che le illuminò gli occhi di gioia.
«Dice sul serio? Ma è fantastico. Panda, dimmi, te la senti di venire nel mio laboratorio?»
La bestia fece un suono allegro che interpretarono come affermativo e seguì Julia.
«Bene, cara allora prendi questa cartella per favore, Panda deve sottoporsi ad altri esami, sii gentile e occupatene tu. Lascia pure i tuoi appunti sul tavolo, vi darò un'occhiata non appena avrò del tempo.»
«Con immenso piacere, grazie per la sua disponibilità.»


 

Panda attese di trovarsi nel corridoio prima di mettere in atto il suo piano: si sarebbe liberata di Julia alla prima occasione e sarebbe corsa verso i sotterranei per liberare Baek dalla sua prigionia. Non appena voltarono l'angolo però, Julia si fermò.
«Non permetterò che facciano altri esperimenti su di te.»
Le disse con voce profonda ed espressione seria, appariva totalmente diversa da come era apparsa poco prima al cospetto di Bosconovitch.
«Sei un dono di madre terra e ciò che ti hanno fatto qui dentro è contro natura.»
Panda si congelò e fissò la giovane dritto in mezzo agli occhi, incredula.

«Sono venuta qui per salvarti, non permetterò alla Zaibatsu di continuare con questi insani esperimenti. Ho capito che eri un animo puro quando lo scorso anno ti sei rifiutata di lottare, ho promesso a me stessa che avrei fatto in modo di ottenere il tirocinio per salvarti. Certo non immaginavo di trovarti così in fretta, ma meglio così, scommetto che agogni la libertà.»
Le sorrise in modo complice. Panda capì di potersi fidare di lei, percepiva un'energia buona e, a gesti, le raccontò dell'uomo innocente intrappolato nei sotterranei che doveva necessariamente essere aiutato. Julia era sgomenta, aveva capito in fretta che il Heihachi fosse malvagio, in fondo era il presidente di un'azienda che effettuava esperimenti sugli animali e disboscava le foreste per la costruzione di laboratori, ma questo era troppo da mandare giù, persino per lei che si era preparata al peggio.
«Dobbiamo muoverci, guidami!»
Le disse, lasciandosi condurre lungo il dedalo di corridoi col cuore che tamburellava sonoramente.

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Capitolo 26
*** Cap. XXV - Ritorno a Tokyo ***


Capitolo XXV
– Ritorno a Tokyo –

Julia e Panda compresero immediatamente di dover escogitare un piano per riuscire a eludere la sorveglianza della Mishima Zaibatsu. La giovane donna fece una tappa al suo laboratorio e afferrò uno dei suoi camici puliti, due lattine di soda, una siringa vuota e una manciata di pillole come le aveva consigliato la sua nuova amica, poi le si rivolse con tono preoccupato. «Sarebbe meglio se tu restassi qui, daresti troppo nell’occhio.»
Panda ruggì spaventata, non voleva che Julia corresse quel rischio da sola, si era già pentita di non essere stata al fianco di Xiaoyu.
«Ti prometto che farò attenzione, il nostro piano è stato studiato nei minimi dettagli e non c’è niente che possa andare storto.»
Panda non era così convinta, ma Julia era risoluta.
«Tornerò qui con lui prima di quanto immagini, abbi fede. Se tu venissi, attireremmo inutilmente l’attenzione dei colleghi.»
Alla fine dovette cedere, era vero che non sarebbe mai riuscita a passare inosservata. Si raccomandò ancora una volta e le spiegò come giungere di sotto, ma per lei non era un problema, visto che era stata registrata ed era in possesso di un badge.
Julia uscì e trasse un lungo respiro, ripetendosi in mente “sta’ calma” come un mantra.
Sul pianerottolo incontrò diversi scienziati, non era inusuale a quell’ora del giorno, e ad alcuni d essi rivolse un sorriso ed un cenno del capo, che vennero ricambiati.
Entrò in ascensore e scansionò il suo badge, che le permise di arrivare sino al seminterrato.
Quando la porta dell’ascensore si aprì si trovò dinnanzi a un lungo corridoio dalle mattonelle bianche, così come bianche erano le pareti e le luci accecanti dei neon. Trasse un altro respiro profondo e varcò la seconda porta, che dava su delle scale. Scese gli scalini due alla volta e giunse sino ad un’ennesima porta, che varcò.
Quando entrò dovette soffocare i conati di vomito, vi era un forte olezzo di urina misto a sudore, fumo di sigaretta e muffa e immaginò che quel povero prigioniero dovesse essere stato privato di un bagno per espletare i propri bisogni e di una doccia.
«Chi diamine sei?»
Ringhiò l’uomo che faceva da guardia davanti alle celle. Indossava un’uniforme nera che gli copriva anche le mani e il viso, facendolo somigliare ad un'ombra.
«Julia… Julia Chang.»
Disse con voce troppo acuta mostrando il proprio tesserino.
«E che sei venuta a fare?»
«Sono venuta a fare un prelievo al prigioniero, pensavo fossi stato informato.»
L’uomo inclinò la testa, come se stesse cercando di ricordare l’informazione, poi annuì.
«Sì, mi pare me l'abbiano detto. Porca puttana, qui dentro si perde la testa.»
Si lamentò l’aguzzino e Julia gli rivolse un’occhiata comprensiva.
«Posso solo immaginare quanto sia dura. A proposito, ti ho portato una gassosa, pensavo potesse farti piacere.»
L’uomo parve soppesare l’idea, poi annuì con un cenno del capo. Julia gli diede le spalle e stappò le due bibite, facendo cadere due potenti sonniferi dentro una di esse, che porse alla guardia.
«Alla tua.»
Disse sollevando la mano in un brindisi prima di bere una sorsata. L’uomo arricciò le estremità della maschera simile a un passamontagna per scoprire la bocca e l’imitò.
«Stare qui è una vera merda. Questa stanza puzza di piscio e disperazione, non vedo l’ora di ricevere una promozione. Me la merito, cazzo!»
Dichiarò con rabbia ingollando un altro abbondante sorso.
Julia fece scorrere lo sguardo su quel luogo, era davvero lugubre, senza finestre o luce naturale. Vi erano tre celle, due delle quali vuote e nella terza scorse uomo che sedeva a gambe incrociate sul freddo pavimento di pietra. Si avvicinò per osservarlo meglio e riconobbe il volto fiero di Baek Doo San, che aveva visto poche settimane prima sul ring dell’Iron Fist. Lui le rivolse uno sguardo carico d'odio.
«Non dovevi fargli un prelievo o che so io?»
Chiese l’aguzzino con tono aspro, e Julia obbedì. Afferrò la siringa che si era portata dietro e si avvicinò alla cella.
«Non la apri?»
Chiese timidamente.
«Non c’è alcun bisogno, fagliela attraverso le sbarre.»
Dichiarò quello lasciandosi cadere su una scomoda poltrona macchiata e bevendo l'ultimo sorso della soda fresca. Julia chiese gentilmente a Baek di avvicinarsi, ma lui si rifiutò.
«Per favore, si avvicini, devo fare solo un prelievo.» 
Lo implorò la giovane, ma Baek non si mosse. Lo capiva, in fondo in quel momento la credeva una nemica, probabilmente anche lei si sarebbe comportata allo stesso modo, se si fosse trovata al suo posto.
«Brutto coglione hai capito? Avvicinati, se non vuoi che finisca male.»
Lo canzonò il giovane della Tekken Force, ma tutto ciò che ottenne fu uno sguardo truce. Imprecando sonoramente si alzò dalla poltrona e infilò le mani dentro a una tasca, estraendo un mazzo di chiavi.
«Adesso ti faccio male, vecchio rimbambito.»
Lo minacciò posizionandosi di fronte alla cella e infilando la chiave nella serratura.
«Ti do l’ultima chance per…»
Non riuscì a finire la frase, colto da un improvviso capogiro. Si portò le mani alla testa e barcollò verso Julia, che lo afferrò e l’aiutò a sedersi.
«Non mi sento molto bene.»
«Già, l’areazione qui è uno schifo.»
Lo assecondò.
«Manda qualcuno a curarmi.»
«Certo, tu cerca di riposare.»
Il soldato sedette e poggiò la testa sul tavolo, i sonniferi avevano fatto effetto ancor prima di quanto avesse sperato. Si posizionò di fronte alla cella e parlò.
«Lo so che non hai assolutamente nessun motivo per fidarti di me, ma sono venuta qui per salvarti.»
Baek la fissò negli occhi, senza dire nulla.
«Sono stata io a somministrargli un sonnifero. Qui ho un secondo camice da scienziato, per favore indossalo e scappiamo da qui.»

 

***

Jin si svegliò presto quel giorno. I raggi del sole si celavano dietro grandi nuvoloni, forse avrebbe piovuto quel giorno. Sollevò il busto e si stropicciò gli occhi, il respiro regolare di Hwoarang gli suggerì che il suo amico stava ancora dormendo. Si issò in piedi e si scrosciò la schiena, era da un po’ che non si allenava; perciò, decise di uscire nel cortile che costeggiava il ryokan dove avevano passato la notte per fare degli esercizi.
La sera prima avevano deciso di spostarsi verso Okayama, non aveva senso rimanere nel deserto. Ripensò alla conversazione avuta subito dopo lo scontro con Azazel, secondo Hwoarang avrebbero dovuto dirigersi verso Tokyo e tornare, come Zafina aveva predetto, “là dove tutto era iniziato”, ovvero al tempio Honmaru, ma Nina la riteneva una pessima idea, in fondo non potevano essere sicuri che Heihachi non vi avesse piazzato una delle proprie trappole.
Lui sentiva solo che ogni giorno di vita di quel vecchio era un insulto a Jun e sarebbe volentieri corso a cercarlo.
Oltretutto, a renderlo inquieto era stata la seconda parte della profezia. Zafina aveva detto che solo un atto d’amore altruistico e disinteressato avrebbe potuto spezzare la maledizione e liberarlo dal gene del diavolo, ma cosa significava? Cosa avrebbe dovuto fare?
Un rumore di passi lo costrinse a tornare alla realtà, Asuka lo aveva raggiunto con un quotidiano stretto in mano.
«Credevo di essere la sola già sveglia. Sono così abituata a svegliarmi presto...»
Jin sorrise.
«Anch’io. Mia madre diceva sempre che il mattino ha l’oro in bocca.»
Asuka ricambiò il sorriso.
«Anche la mia. Beh, in fondo non c’è da sorprendersi, no? Hanno ricevuto entrambe la stessa educazione.»
Jin avrebbe voluto dire qualcosa, ma lui non poteva sapere che cos’altro Jun avesse ereditato dalla comunità. Paradossalmente, gli venne il presentimento che sua cugina la conoscesse persino meglio di lui.
«Volevo mostrarti una cosa.»
Disse infine lei tornando seria di colpo. Aprì il giornale e gli sbatté in faccia la prima pagina, Jin lesse velocemente il titolo.
“G. Corporation e Mishima Zaibatsu: guerra fredda o l’inizio di un nuovo impero?”
«Che cosa significa?»
Chiese con espressione confusa, perché avrebbe dovuto interessargli?
«Ti faccio un breve riassunto, da quasi una settimana la G-Corporation ha un nuovo presidente, riesci a immaginare chi possa essere?»
Jin scosse la testa, non gli interessavano molto gli affari, non si sarebbe neanche disturbato a leggere l’articolo, ma Asuka riteneva fosse interessante.
«Kazuya Mishima.»
Le pupille di Jin si spalancarono dentro alle iridi color nocciola. Non aveva senso, il mondo credeva che suo padre fosse morto, perché mai avrebbe dovuto esporsi? Che senso aveva diventare il presidente di un’azienda rivale alla Zaibatsu?
«L’autore di questo pezzo solleva dei dubbi: Kazuya ed Heihachi sono davvero antagonisti o la storia del suicidio era tutta una montatura per far sì che Kazuya ottenesse quel posto rendendo così i Mishima i governanti dei due più grandi e popolari società giapponesi operanti nel settore biologico? Le speculazioni si sprecano, soprattutto perché entrambi si rifiutano di rilasciare alcuna intervista. Credono che fossero d'accordo sin dal principio.»
Jin emise uno sbuffo.
«Non ci sto capendo niente, ma fidati, quei due non erano certamente in combutta.»
Asuka si inginocchiò al suo fianco e lo fissò negli occhi.
«Perché credi che tuo padre nutra interesse verso la G-Corp.?»
«Non ne ho idea, non conosco quell’uomo, non so che cosa diamine gli passi per la mente.»
Era sincero e quasi indispettito da quelle domande.
«Prova a pensare: tu avresti interesse a dirigere un’impresa che si occupa di OGM, bio-mutazioni e genetica?»
Jin scosse la testa, aprì la bocca per dirle che non gliene poteva importare di meno di una simile carica, ma poi capì dove lei volesse andare a parare. Le sopracciglia si alzarono disegnando due archi perfettamente tondeggianti e Asuka realizzò che avesse compreso.
«Tuo padre ne sa tanto quanto te, Jin. Vuole scoprire tramite la ricerca scientifica cosa gli sia accaduto, ma dubito che troverà le risposte che cerca.»
«Credi che possiamo trarre vantaggio da questa cosa?»
«Non lo so, ma comincio a pensare che dovremmo davvero tornare a Tokyo»
Lo credeva anche lui, in fondo la lotta finale era inevitabile, non aveva alcun senso posticiparla.

 

***


«Vi devo ringraziare dal profondo del mio cuore.»
Baek s'inchinò al cospetto di Julia e Panda. Erano riusciti a tornare nel laboratorio inosservati, Baek con il camice era praticamente invisibile, si mimetizzava perfettamente con gli altri scienziati che avevano pressochè la sua stessa età.
«Hai un posto in cui vivere?»
Chiese la giovane con apprensione.
«Purtroppo no, ero venuto in Giappone solamente per partecipare al torneo. La mia casa è a Seoul.»
«Beh, ti offrirei riparo, ma temo di non essere al sicuro nemmeno io.»
Cominciò ad avvertire i primi sintomi dell'ansia: la guardia si sarebbe svegliata prima o poi e conosceva il suo nome, sarebbe stato saggio sparire.
«Sarebbe prudente per tutti sparire da qui il prima possibile, nessuno è al sicuro: tu sei un prigioniero, io ti ho salvato e Panda mi ha aiutata.»
L'animale mimò qualcosa con le mani.
«E va bene, magari non sapranno che eri dalla mia parte, dato che nessuno ti ha vista, ma non ho nessuna intenzione di lasciarti qui, non dopo aver sentito come ti trattano in questo luogo, e soprattutto dopo aver visto personalmente di cosa sono capaci»
«Le tue motivazioni sono nobili, ti batti per la difesa dei più deboli e ciò ti fa grande onore, ma sii realista, come pensi di portarla fuori? Io e te possiamo fingerci dei dipendenti di questo luogo e andarcene in giro con un camice, ma Panda...?»
Julia si portò le mani sulle tempie, Baek aveva ragione, ma non voleva abbandonare la sua nuova amica, era stata proprio la voglia di salvarla che l'aveva condotta alla Zaibatsu. L'ingresso era zeppo di reporter e fotografi, nessuno di loro si sarebbe lasciato sfuggire uno scatto così succulento.
Panda gesticolò e la ragazza scosse il capo.
«No, di lasciarti qui non se ne parla proprio.»
Panda ruggì e spiegò loro che, dopotutto, non stava più così male, aveva imparato ad assecondare le aspettative degli scienziati e per lei era diventato più semplice sopravvivere alla Zaibatsu.
«Qui dentro ha tutto il necessario di cui vivere.»
Le fece saggiamente notare Baek, ma Julia scosse la testa incollerita.
«Anche fuori! Non appartiene ad un laboratorio, appartiene alla natura!»
Baek sospirò. Capiva quella giovane ed era sinceramente affascinato dall'impegno sociale e dalla caparbietà con cui difendeva i propri ideali, ma quella bestia, nata e cresciuta in cattività, sarebbe perita in mezzo alla natura selvaggia. Cercò di farglielo capire, parlando lentamente, come se stesse spiegandosi ad una bambina. Julia continuò imperterrita a scuotere la testa, non perché non fosse in grado di comprendere, né perché si trovasse in disaccordo con lui, semplicemente perché riteneva di aver fallito nella sua missione.
«Forse era un progetto troppo ambizioso.»
Baek prese una manciata di kleenex dalla scrivania e glieli porse.
«Non essere così dura con te stessa, dopotutto mi hai salvato la vita. Se non fosse stato per te, chissà cosa mi sarebbe successo.»
Panda riferì della conversazione che aveva origliato tra Heihachi e Bosconovitch e l'uomo le fu ancora più grato.
«Ti prometto, anzi no, ti do la mia parola, che non appena mi sarò ripreso tornerò qui con te e insieme libereremo Panda.»
Per quanto fosse difficile accettare quel compromesso, Julia dovette acconsentire. Purtroppo aveva un piano, ma non gli strumenti necessari a realizzarlo. E in fondo doveva ritenersi molto fortunata, aveva avuto l'onore di liberare un uomo innocente, risparmiandogli una morte dolorosa.
Madre Natura avrebbe apprezzato anche quella vita.

 

***


Verso sera si misero in cammino verso Tokyo. Ci avrebbero impiegato circa nove ore, durante le quali si impegnarono a ideare un piano, ma ogni ipotesi sembrava più inverosimile della precedente. La verità era che non sarebbero mai stati abbastanza preparati da poter sconfiggere un uomo del calibro di Heihachi.
«La tua sola arma è l'amore.»
Ripeté Asuka per l'ennesima volta.
«Certo, prova a dargli un bacino e vedi se riesci a spezzare il maleficio.»
Le fece eco Nina con voce melliflua.
«Risparmiaci pure il tuo sarcasmo, sono le parole di Zafina.»
Rispose Asuka piccata, guardandola torvo.
«Ma non credo vada presa alla lettera, quelle parole sottintendevano qualcos'altro.»
Replicò Hwoarang massaggiandosi le tempie. Nina l'osservò dallo specchietto retrovisore.
«Se persino lui c'è arrivato...»
«Basta, per favore!»
Li pregò Jin. Per quanto volessero rendersi utili, non gli erano in alcun modo d'aiuto. Sapeva anche lui che la profezia di Zafina era da prendere con le pinze, ma continuava a non capire in che modo avrebbe dovuto mostrare amore.
«Un amore altruista e incondizionato.»
Ripeté nervosamente, come se dirlo ad alta voce potesse in qualche modo rivelargli l'arcano.
«Forse devi solo innamorarti di qualcuno.»
Ipotizzò Xiaoyu speranzosa, ma si pentì del proprio suggerimento un attimo dopo, quando tutti le rivolsero uno sguardo perplesso.
La sola persona che Jin avesse mai amato era Jun, ma lei non c'era più, cosa poteva fare una morta?

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Capitolo 27
*** Cap. XXVI - Il bene ed il male ***


Capitolo XXVI
– Il bene ed il male –

 


Baek aveva tentato di chiamare Hworang, ma la linea era irraggiungibile e ipotizzò che il proprio allievo si fosse sbarazzato del dispositivo. Era sensato, ma avvertiva una certa nostalgia, voleva sentire la sua voce, sincerarsi che stesse bene e allo stesso tempo informarlo di essere salvo e in salute. Conoscendolo, quel giovane si stava preoccupando proprio come lui, ma era naturale, no? Nel corso di quegli anni insieme, erano diventati un po’ come padre e figlio, sebbene tra loro non vi fosse il benché minimo legame di sangue. Ricordò il giorno che l’aveva incontrato, correva per le vie del loro quartiere inseguito da un commerciante che gridava “al ladro, al ladro”. Baek si trovava in quella stessa strada per puro caso, o forse per un disegno del destino. Senza nemmeno pensarci, afferrò per la collottola il giovane, che si dimenò violentemente rischiando persino di colpirlo. Il commerciante li raggiunse con il fiatone e lo ringraziò con un profondo inchino.
«Ridammi ciò che mi appartiene, brutto ladruncolo!»
Esclamò allungando una mano verso il ragazzino. Lui lo fissò con odio e, suo malgrado, fu costretto a tirare fuori la refurtiva da una tasca scucita dei suoi pantaloni. Baek si sporse per vedere quale fosse l’oggetto incriminato aspettandosi un pacchetto di caramelle, un giocattolo o persino delle sigarette, ma non era nulla di tutto ciò, si trattava di una confezione di ramen istantaneo.
«Perché hai rubato un simile oggetto?»
Gli chiese e Hwoarang incontrò il suo sguardo, ma poi lo rivolse altrove, arrossendo timidamente.
«Ecco qui.»
Disse Baek al venditore allungandogli una banconota, e afferrando il pasto dalle sue mani, poi, sempre stringendo il colletto di Hwoarang, si diresse verso un parco.
«È tuo.»
Gli disse porgendoglielo, aspettandosi che il giovane afferrasse il tesoro e scappasse via, ma ciò non accadde. Hwoarang rimase impassibile, scrutandolo con scetticismo.
«Non capisci la mia lingua?»
«Sì che capisco la tua dannata lingua, ma non voglio la tua carità.»
Pronunciò quelle parole con sprezzo, rivolgendogli un’occhiata torva che esprimeva tutto, meno che gratitudine.
«A me hanno insegnato a dire “grazie”.»
«A me hanno insegnato a dire “fatti gli affari tuoi”. Se non ti fossi intromesso, sarei riuscito a farla franca.»
«Che cosa cambia? Ti sto comunque offrendo l’oggetto.»
«Beh, ora non lo voglio più. Non vi è alcun divertimento, così.»
Rispose con una scrollata di spalle, voltandosi e incamminandosi nella direzione opposta. Fu allora che Baek capì che quel giovane era troppo orgoglioso per accettare un regalo, preferiva guadagnarsi le cose da solo, doveva essere abituato a badare a sé stesso, nonostante fosse appena un adolescente. A quel punto Baek poggiò la lattina di ramen su una panchina.
«Beh, neanch’io lo voglio. Ne beneficerà qualche senzatetto della zona. Ti saluto.»
E, con quelle parole, si allontanò.
«Ah, dimenticavo: casa mia si trova proprio in cima a quella collina, Possiedo molti alberi i cui frutti sono spesso così maturi da cadere irrimediabilmente. Forse potresti dirlo a chiunque non sia così orgoglioso da accettare il mio dono.»
Da quel giorno si accorse che i suoi alberi erano più spogli del solito, ma la cosa non lo infastidì. Hwoarang prese a frequentare casa sua di nascosto, silenzioso come un gatto. Baek notò spesso come il giovane lo osservasse mentre si allenava, credendo di non essere visto.
Un giorno decise di chiamarlo.
«Ehi, ragazzino!»
Lo vide sparire tra i cespugli, ma intuì che non fosse corso via.
«Se ti piace così tanto il tae-kwon-do te lo insegno.»
Tutto rimase immobile per un istante, poi la sua testolina rossa fece capolino. Hwoarang si avvicinò a lui lentamente, soppesando i passi, pronto a dileguarsi se si fosse reso conto che si trattava di una trappola.
«Me lo insegneresti davvero?»
Chiese con una vocina timida che non si abbinava bene al suo sguardo fiero. Baek sorrise.
«A condizione che non lo usi per picchiare i tuoi poveri coetanei.»
Non rispose subito, soppesò bene la cosa. A Baek pareva che quella condizione togliesse tutto il divertimento e per un attimo si aspettò che rifiutasse, ma il ragazzo accennò un debole sorriso e annuì.
Da allora quei due erano stati inseparabili.

 

 

***

Jin aveva rimuginato a lungo durante tutto il viaggio, estraniandosi dalla realtà aveva trovato un angolo privato tutto per sé, dove poteva ammettere di essere spaventato a morte.
Sentì il demone dentro di sé fare le fusa come un gatto, forse aveva intuito che lo scontro era prossimo. Kazuya quella sera al tempio gli era parso molto forte, assolutamente capace di intendere e di volere, mentre lui faticava a prendere il controllo. Si chiese con un brivido di cosa potesse essere capace Devil Heihachi, lui meglio di tutti sapeva cosa si celasse dentro di loro, in effetti qualche anno prima era stato in grado di costruire delle catene che limitassero il potere del diavolo. Chissà quanti anni aveva passato a sperimentare, a testarsi e probabilmente anche a rafforzarsi. Aveva davvero delle chance? Ne dubitò, ma non poteva continuare a tirarsi indietro, non era una vita degna quella del codardo. Era arrivato il momento della resa dei conti, dopotutto era meglio morire da eroe che continuare a vivere come un reietto.

 

Quando arrivarono al tempio Honmaru erano appena scoccate le tre e Tokyo dormiva tranquillamente, ignara dell'inquietudine di quel giovane che si preparava ad affrontare la morte.
Aveva sperato che alla fine gli altri quattro si tirassero indietro, ma tacitamente lo seguirono verso l'ingresso di quel luogo di culto che un tempo aveva conosciuto un grande sfarzo, ora ridotto a un cumulo di macerie.
Il silenzio era rotto solo dal rumore dei loro passi, Jin sapeva di dover tornare in quella stanza, quella in cui suo nonno l'aveva imprigionato e costretto a lottare contro il proprio padre.
Qualcosa dentro di lui lo guidava e Jin sapeva di cosa si trattava, ma stranamente non aveva più paura. Quella consapevolezza lo tranquillizzava, era come se tutto fosse stato designato molti anni prima e lui si stesse attenendo alle regole di quel gioco.
Passò le mani sulle pareti e gli sembrò di poter percepire l'anima di quel luogo, avvertì il tormento, il dolore, l'angoscia che quelle quattro mura avevano conosciuto e gli sembrò di udire qualcosa: un bisbiglio, un'eco, una voce ultraterrena.
«La sentite?»
Chiese, ma gli sguardi vacui dei suoi amici gli suggerirono la risposta prima ancora che potessero parlare.
«Cosa?»
Domandò Asuka tendendo l'orecchio, ma Jin non avrebbe saputo spiegarlo. Il suono divenne sempre più acuto, un lamento confuso e spaventoso, gli parve di udire il suo nome, ma forse se lo era solo immaginato.
«Sento qualcosa»
Urlò improvvisamente Xiaoyu.
«Anch'io»
Urlarono in coro Nina, Hwoarang e Asuka.
Il terreno sotto ai loro piedi cominciò a vibrare, dapprima piano, poi l'intensità aumentò.
«Il terremoto!»
Strillò Xiaoyu.
/ «Questo non è un semplice terremoto!»
La corresse Nina mettendosi al riparo, stava succedendo la stessa cosa che era capitata a Tottori.
Jin sentì il proprio corpo irrobustirsi, lo squarcio dietro le scapole questa vota non gli fece male, e nemmeno lo strappo ai due lati della testa.
 

 

***

Kazuya si svegliò di soprassalto ed ebbe la sensazione di trovarsi al mare, sballottato dalle onde. Provò una strana sensazione dentro di sé e udì una curiosa litania che gli fece accapponare la pelle. Cercò la fonte del suono e si rese contro solo dopo che proveniva dalla sua testa.
Riconobbe le vibrazioni del proprio corpo, si stava trasformando, ma come? E perché? Che cosa stava succedendo?
Un'immagine si stampò sulla sua mente, il tempio Honmaru. Doveva andare lì, qualcuno lo stava disperatamente chiamando.

 

***
 

Heihachi non era riuscito a chiudere occhio, aveva assunto tanti di quei tranquillanti che aveva dormito per due giorni di seguito e adesso non aveva più sonno. Se ne stava appollaiato su una poltrona davanti alla finestra e osservava il mondo fuori, rimuginando sul proprio passato.
Ricordò la prima volta che incontrò Kazumi, lei era la figlia di un uomo povero e disperato, ma aveva una bellezza fuori dal comune. Lui era stato stregato dal suo sguardo altezzoso, ma quegli stessi occhi avevano presto iniziato a guardarlo con disdegno Aveva sempre saputo che il cuore di Kazumi apparteneva ad un altro uomo, ma non gli importò e volle quella donna a ogni costo. In effetti, gli costò parecchi yen, ma per lui il denaro non era mai stato un problema. Kazumi l'odiò sin dal primo istante e quando lui se ne accorse la obbligò a sottomettersi. Lei non si sottrasse mai ai propri doveri, ma non riuscì mai a smettere di guardarlo a quel modo. E lui la picchiava, perché non accettava quella mancanza di rispetto, e più lei lo guardava, più duramente lui la colpiva. A un certo punto ci prese gusto, lo esaltava ed eccitava sentirla gemere di dolore, vederla piangere o sanguinare. Le arrecò molte ferite, ma la ferita più dolorosa di tutte gliela infliggeva lei ogni volta che gli rivolgeva quello sguardo.
Da quel momento aveva sempre odiato i suoi occhi... Eppure ancora adesso, a distanza di anni, del viso di sua moglie non ricordava alcun dettaglio: non la forma del naso, né lo spessore delle labbra o l'attaccatura dei capelli, ma non riusciva a dimenticare quei dannati occhi.
Smise di pensare a lei quando sentì la propria sedia tremare, ipotizzò fosse un terremoto, c'erano sempre i terremoti a Tokyo, ma si accorse in fretta che quello era diverso. Udì una voce spettrale invocarlo, proveniva dal tempio Honmaru. Sulla testa si aprirono due buchi da cui fuoriuscirono delle corna nere lunghe almeno trenta centimetri, sulla schiena gli spuntarono due ali rosse come le fiamme e le sclere divennero nere come la pece.

 

***

Sapeva di non essere morto, ma sapeva anche di non essere più vivo, si trovava in un limbo. La colpa del suo stato era da attribuire interamente a Heihachi, lo sapeva. Llui l'aveva reso quello che era, poco più di un fantasma, poco meno di un demonio. Per tutti quegli anni aveva semplicemente atteso, atteso il momento in cui sarebbe stato liberato, atteso il giorno in cui avrebbe pareggiato i conti. La trepidazione gli aveva conferito la pazienza di sopportare. A volte s'illudeva di essere morto e di trovarsi all'inferno, ma quel posto era peggio dell'inferno.
Non seppe cosa lo risvegliò, ma avvertì una straordinaria forza che lo chiamava come una calamita. Gli aveva dato la forza di issarsi in piedi e prendere a pugni la propria prigione, riuscendo finalmente a tornare tra i vivi. Come una fenice, Jinpachi risorse dalle proprie ceneri.


***
 

L'uomo si era arrampicato sui massi che il terremoto aveva provocato e adesso si ergeva in tutta la sua altezza su di loro. Jin seppe che si trattava del padre di Heihachi prima ancora di vederlo,e la forte somiglianza tra i due gliene diede subito conferma.
«Tu mi hai liberato!»
Gli urlò il vecchio sollevando l'indice contro di lui.
«Non era certamente mia intenzione.»
Rispose Jin prendendo la rincorsa, determinato a colpirlo. Se quello era un Mishima, allora era maledetto, come tutti loro.
Piegò il gomito pronto a sganciare un pugno, ma qualcosa si frappose fra di loro e lo colpì.
«Non devi permetterti!»
Due occhi policromi lo fissavano, uno della stessa sfumatura nocciola dei propri occhi, l'altro color vermiglio.

 

***

Kazuya non credette ai propri occhi, com'era possibile che Jinpachi fosse ancora vivo? Vide Jin correre verso di lui e capì immediatamente le sue azioni, doveva fermarlo.
«Non devi permetterti!»
Urlò con voce autoritaria fissandolo con aria minacciosa.
«Kazuya...»
Jinpachi pronunciò quel nome con voce spezzata e l'uomo sentì le proprie difese cedere.
«Nonno?»
Conosceva quella sensazione che pervase il suo corpo, ne aveva un vago ricordo, forse l'aveva già provata in passato, ma non ne era sicuro.
Jinpachi si avvicinò a lui con una mano sollevata e lui gli camminò incontro pronto a lasciarsi sfiorare.
Quando il palmo di suo nonno gli si posò sulla fronte, Kazuya sentì un improvviso calore diradarsi lungo tutto il proprio corpo. Il vecchio aveva gli occhi lucidi, ma sorrideva benevolmente.
«Quanto tempo è passato.»
Kazuya non riuscì a fermare le lacrime che gli inumidirono gli occhi e gli scivolarono sulle guance. Aveva un groppo in gola che gli impediva di parlare, avrebbe voluto dire molte cose, ma allo stesso tempo sapeva che non vi era bisogno di pronunciare alcunché.
Jinpachi annuì, anche se lui non aveva espresso quella domanda a voce alta.
«Mi sei mancato ogni giorno.»
Gli confessò il più anziano, piangendo a sua volta.
«Avrei voluto crescerti, le cose sarebbero andate in maniera diversa...»
Si giustificò, ma Kazuya non l'aveva mai incolpato per non esserci stato.
«Vedo che hai ceduto l'anima alle tenebre, come tuo padre, ma a differenza sua c'è ancora un bagliore di luce nel tuo cuore.»
Spostò la mano dalla fronte al petto, ascoltando il battito irregolare causato dall'emozione.
«Tu sei capace di amare Kazuya, ma questo lo sai già, non è vero? Te lo leggo dentro.»
Immediatamente rivolse i suoi pensieri a Jun, certo che sapeva cosa fosse l'amore, glielo aveva insegnato lei.
«Purtroppo però avverto una grande sofferenza. Lei non tornerà, ma ciò che ti ha dato, resterà per sempre, non è vero?»
Ebbe un attimo di esitazione, si riferiva forse a Jin?
«L'hai abbandonata per salvarla, non è così? Non volevi che lei patisse la stessa sorte di Kazumi, non volevi arrecarle lo stesso dolore che tuo padre provocava a tua madre.»
Kazuya annuì impercettibilmente.
«Paradossalmente però, con quel gesto hai alimentato il gene del diavolo di Jin».
Abbassò il capo, sentendosi in colpa. Le ali si ritirarono dentro la sua schiena, le corna sparirono dentro al suo cranio e l'occhio tornò castano. Jinpachi sorrise impercettibilmente, la parte buona di suo nipote stava prevalendo su quella malvagia, avrebbe potuto liberarlo.
«Ti ricordi quando eri bambino?»
Kazuya chiuse gli occhi e gli parve di tornare indietro nel tempo.
Kazumi era dietro ai fornelli e dalla finestra di casa loro lo informava che il pranzo era quasi pronto, lui si trovava in giardino insieme a Jinpachi, si allenavano all'ombra di un albero. Non si trattava dello stesso uomo che gli stava davanti, era molto più giovane, aveva la pelle chiara e pulita e ostentava un cipiglio austero che lo faceva sembrare perennemente arrabbiato.
«Colpiscimi, non avere paura!»
Lo incitava, mentre il bambino calciava l'aria.
«No, non fermarti a mezz'aria, colpiscimi!»
«Ma non voglio farti male.»
«Devi farlo, altrimenti non imparerai mai a calibrare la tua forza. Coraggio, riprovaci, proprio come ti ho insegnato.»
Kazuya sollevò un pugno che colpì Jinpachi direttamente sul labbro, facendolo sanguinare.
«Nonno? Stai bene?»
Si preoccupò di soccorrerlo, si sentiva in colpa, non avrebbe dovuto farlo. Contro ogni previsione, Jinpachi sorrise.
«Dannazione, è così che si fa. Eh sì, sei proprio un Mishima, non c'è che dire!»
Prese un fazzoletto di tessuto e si asciugò, senza smettere di rivolgere al più piccolo uno sguardo orgoglioso.
«Adesso torniamo in casa, aiutiamo tua madre a servire il pranzo.»

 

Udì un lamento agonizzante e sbarrò gli occhi.
Il corpo di Jinpachi era diviso a metà e si stava accasciando su una pozza di sangue.
«Quanto sei sentimentale, Kazuya!»
Lo canzonò una voce che conosceva troppo bene.
«Smidollato come tua madre...»
Ridacchiò Heihachi avvicinandosi al corpo ormai privo di vita del padre.
«Lurido bastardo, finalmente sei morto...»
Commentò con ripugno, poi sputò sul cadavere.
Kazuya non capì più nulla, la quiete che aveva provato poco prima cedette il posto ad un'ira funesta che mai aveva provato prima.
Non c'era spazio per l'amore dentro di sé, Heihachi aveva fatto in modo che tutto ciò che restasse nel suo cuore fosse odio.
E adesso doveva prepararsi a subirlo.

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Capitolo 28
*** Cap. XXVII - La resa dei conti ***


Capitolo XXVII 
– La resa dei conti – 

Heihachi osservò la scena di nascosto ed ebbe quasi un mancamento quando si rese conto della presenza del proprio genitore. Per tutti quegli anni era stato convinto che Jinpachi fosse morto, ma evidentemente anche lui doveva essere stato colpito dal gene del diavolo, che gli aveva permesso di sopravvivere anche se a un passo dalla morte – come era successo a Kazuya quado l’aveva gettato nella bocca del monte Fuji.
Si rese conto con estremo piacere che anche Jin fosse in quel luogo, e insieme a lui il gruppetto di persone a cui dava la caccia. Provò un fremito da qualche parte nel bassoventre, quella sarebbe stata la sera della resa dei conti, dopo quella notte sarebbe diventato il lottatore più potente che si fosse mai conosciuto e avrebbe consumato la propria vendetta verso coloro che gli avevano mancato di rispetto.
Osservò il padre poggiare la mano sul petto di suo figlio e invalidare i poteri del demone, rendendo Kazuya nuovamente umano, ma come era possibile? Boccheggiò scuotendo la testa, non poteva permettere che ciò accadesse, aveva bisogno che Kazuya si trasformasse, solo così avrebbe potuto assumere il suo potere una volta che si fosse liberato di lui.
Capì di dover agire all’istante, prima che il potere del diavolo si indebolisse fino a sparire. Fece capolino dal masso dietro quale si celava e incenerì il vecchio con la forza del proprio sguardo laser. Il suo corpo si divise in due e le sue estremità caddero inevitabilmente in direzioni opposte.
«Quanto sei sentimentale Kazuya!»
Esclamò attirando l’attenzione di tutti i presenti. Udì dei sospiri di sorpresa e si levò un chiacchiericcio concitato; prima d’ora mai nessuno – a parte Bosconovitch­ – aveva mai visto la sua forma demoniaca.
«Smidollato come tua madre.»
Continuò a dire con un risolino, ignorando lo stupore generale e muovendo dei lenti passi in direzione del cadavere del proprio vecchio.
«Lurido bastardo, finalmente sei morto…»
Osservò la pozza di sangue caldo su cui stavano lentamente scivolando le viscere di Jinpachi e vi sputò addosso, ricambiando l’offesa subita quaranta anni prima.
Quel gesto fece scattare qualcosa in Kazuya, che tornò a trasformarsi sotto il suo sguardo divertito, era proprio caduto nella sua trappola.
«Non devi permetterti!»
Urlò col cuore che tamburellava veloce, ma Heihachi smise di sorridere quando osservò il suo sguardo carico di odio; lo stesso sguardo ostile che aveva imparato ad attribuire Kazumi. Per un attimo gli parve persino di scorgere il suo viso nei tratti duri del figlio, ma non poteva essere vero. Scosse il capo impercettibilmente, quel tanto che bastava a scacciare il fantasma di Kazumi, ma quando lo guardò di nuovo lei non era affatto sparita, al contrario, a sparire era stato Kazuya. La donna sorrise e scivolò di lato, proprio di fianco al proprio figlio. Heihachi spalancò le labbra in un’espressione di puro sgomento.
«Cosa diavolo…?»
Jin spostò lo sguardo verso i visi dei propri compagni, e dal loro stupore intuì che non si era immaginato nulla, che davvero dal corpo di suo padre era fuoriuscita una donna. Xiaoyu si stropicciò gli occhi incredula, Hwoarang boccheggiò inebetito, Asuka si era portò le mani alla bocca e Nina corrugò le sopracciglia con aria concentrata. Solo Kazuya rimase impassibile di fronte a quello spettacolo.
Seppe immediatamente chi fosse quella donna, anche se non l’aveva mai vista prima, e seppe anche che non avrebbe potuto essere lì, era morta. Eppure, davanti ai suoi occhi non c’era alcun fantasma, si trattava di una figura densa e consistente, così come lo era lui o chiunque altro in quel luogo.
«Sei sorpreso di vedermi, Heihachi?»
Pronunciò la donna con tono canzonatorio, pareva si divertisse un mondo di fronte allo sguardo interrogativo di quello che una volta era stato suo marito.
«Lasciamelo dire, sei invecchiato davvero male.»
Commentò con noncuranza, come se stesse facendo quattro chiacchiere con un amico che non vedeva da molto tempo. Non dimostrava più di trenta anni, l’età che aveva quando era morta, e indossava lo stesso abito bianco con rifiniture rosse con cui era stata sepolta.
«Come diavolo è possibile? Che cosa ci fai qui?»
Kazumi incrociò le sopracciglia con aria contrariata.
«Mi ha risvegliata mio figlio. Il suo amore incondizionato nei miei confronti mi ha riportata in vita. Jinpachi è riuscito a fargli ritrovare la luce, quella stessa luce che tu hai tentato in ogni modo di sopprimere.»
«Non ha alcun dannato senso!»
Urlò Heihachi incollerito, ma Kazumi non si lasciò intimorire.
«Vedi? È una cosa che tu non potai mai comprendere, caro mio vecchio Heihachi, perché il tuo cuore è arido e privo di bontà. Perché credi che il gene del diavolo non abbia avuto alcuna difficoltà ad attecchire su di te? Perché ti è stato così semplice gestirlo e riuscire a controllarlo? Perché sei il male, lo eri già prima che il diavolo si impossessasse di te, e lo sai bene.»
Per tutta risposta, l’uomo scoppiò in una risata amara priva di qualsiasi gioia.
«Non è del tutto falso, devo ammettere che in parte c’è del vero, ma il solo motivo per cui sono riuscito ad abituarmi così facilmente al mio nuovo potere lo devo solamente alla mia forza.»
«Sei sempre il solito vanesio, che delusione constatare che in tutti questi anni non hai imparato proprio nulla. Ma non capisci? Non sei tu a controllare il demone, al contrario è lui che…»
«Le tue sono solo menzogne!»
Tuonò Heihachi interrompendola. Non le avrebbe permesso di insinuare che fosse un misero servo, uno strumento al cospetto di qualcosa di più grande. No, era lui che aveva la situazione in pugno, quella donna malvagia non sarebbe stata in grado di mettere in discussione tutte le sue certezze, non gliel’avrebbe permesso. Kazumi l’aveva detestato, mirava solamente a distruggerlo, lo sapeva bene.
«Fa’ ciò che desideri, ma non aspettarti che ti lascerò prendere mio figlio. Non ferirai più nessuno di questa famiglia.»
Heihachi fece un sorriso beffardo.
«Oh davvero? E dimmi, come credi di impedirmi di ucciderlo, Kazumi? Non sei mai stata in grado di proteggerlo.»
Credé che quelle parole l’avrebbero ferita, era sempre stata una donna debole e facilmente influenzabile, ma contro ogni previsione sua moglie non si scompose.
«Il malaugurato giorno in cui ci siamo sposati sono diventata a tutti gli effetti un membro della famiglia Mishima, con tutti i suoi pro e contro. Sai cosa vuol dire?»
Gli lanciò uno sguardo carico di sfida e si divertì quando notò il panico dilagare negli occhi del suo interlocutore.
Il corpo di Kazumi fu scosso da un palpito: ebbe lungo tremore che partiva dalla punta della testa e terminava alle dita dei piedi, le sembrò di fare la muta e sentì il proprio corpo cambiare. I capelli diventarono bianchi e anche la pelle cambiò, assumendo un colorito indaco. Dalla sommità del capo emersero due lunghe corna rosse vermiglio e sulla schiena si aprirono due ali infuocate. La cute cominciò a pruderle dove lentamente apparirono dei tatuaggi scarlatti e sul petto, i polsi e le ginocchia fuoriuscirono degli aculei ghiacciati.
Solo allora, alla vista del demone, Kazuya ebbe una reazione e si voltò verso la madre con aria preoccupata, lei dovette accorgersi della sua inquietudine perché si affrettò a rassicurarlo.
«Non temere, figlio mio, sono sempre io.»
Gli passò il dorso della mano sulla guancia, facendo attenzione a non ferirlo.
«Il suo obiettivo è disfarsi di te e di Jin per poter servirsi del vostro potere, ma ciò che non sa è che una volta acquisito i pieni poteri, il diavolo prenderà il sopravvento su di lui. Vi è un solo modo di fermarlo, e quello è…»
«L’amore»
Intervenne Jin, catturando l’attenzione dei presenti. Kazumi annuì.
«L’unica cosa che può prevalere sul male è il bene.»
Citò il ragazzo, ripetendo le parole che aveva pronunciato Zafina. Solo adesso ne capiva il reale significato, dopo aver osservato il potere dell’affetto che legava suo padre al suo bisnonno.
«Jinpachi è riuscito a sopprimere il potere del demone di Kazuya, e allo stesso modo il suo amore per te ti ha permesso di ritornare in vita.»
Kazumi annuì solennemente.
«Siete ancora più stupidi di quanto credessi!»
Ringhiò Heihachi in preda alla collera. Quei tre si illudevano se credevano davvero a quelle sciocchezze, il gene del diavolo non poteva scomparire, andava preso con la forza e domato. Aveva erroneamente pensato che i gemelli fossero tre, invece si erano rivelati essere cinque, ma non sarebbe cambiato nulla, uno l’aveva già fatto fuori e gli altri erano proprio lì davanti ai suoi occhi, non avrebbe esitato un minuto di più. Si sollevò in volo e si scagliò verso Kazuya, il più vicino, che schivò l’attacco per un pelo. Gli occhi di Kazumi si iniettarono di sangue.
«Questa me la pagherai cara, per molti anni sono stata costretta a subire in silenzio ogni tua angheria, ogni sopruso, ogni mancanza di rispetto. Mi hai condotta alla pazzia e ho trovato finalmente la pace solo dopo essermi tolta la vita. Adesso pagherai ogni torto subito»
Con quelle parole, Kazumi si fiondò sull’uomo e gli conficcò una ginocchiata sull’inguine. Heihachi non riuscì a schivarla, ululando di dolore a causa degli aculei piantati sulla pelle. Con ira sempre crescente, mollò un ceffone alla donna, che incassò il colpo con estrema dignità. Kazuya scattò immediatamente, frapponendosi tra i propri genitori.
«Dovrai prima passare sul mio cadavere.»
Insinuò, ma Heihachi rise leccandosi le labbra.
«Con estremo piacere.»
Fece per scagliarsi contro il figlio, ma Kazumi fu più rapida e gli fu addosso da dietro stringendogli il collo. Heihachi se la tolse di dosso con una mossa abile e cercò di mollarle un pugno, ma Kazuya gli si lanciò contro colpendolo sotto al mento. In un attimo anche Jin si gettò nella folla correndo verso di loro ed Heihachi lanciò laser dagli occhi per difendersi dal triplice attacco. Jin fu colpito a una spalla e iniziò a sanguinare, Kazuya e sua madre riuscirono a schivarlo.
«Neanche in tre riuscite a sovrastarmi, sapete cosa significa? Che ho la vittoria in pugno.»
Kazumi posò una mano sulla spalla del figlio.
«Lascialo a me, ho un conto in sospeso da molti anni.»
Non fece in tempo a obiettare che la donna era già sparita e fronteggiava suo padre.
«Questa è la resa dei conti, vile e sporco maiale.»
Esclamò con voce rotta dalla commozione.
«Fatti sotto, lurida puttana.»
Quelle parole ebbero l’effetto desiderato: Kazumi si fiondò su di lui a grande velocità, ma l’uomo parò il colpo per tempo.
Continuarono a lottare sotto agli occhi increduli dei presenti, che seguivano i loro movimenti senza neppure azzardarsi a battere le palpebre, consapevoli di poter essere coinvolti nella lotta quanto prima. Asuka provava una grande rabbia, quell’uomo non mostrava alcuna pietà nemmeno per la donna che aveva sposato, era malvagio sino al midollo e l’ostilità che avvertiva per lui crebbe a ogni colpo inflitto a Kazumi. Ma non si rendeva conto del male che aveva creato e che continuava a infliggere? Cosa ci avrebbe guadagnato ad essere il lottatore più forte del mondo? Era già il più ricco ed era più influente dei politici stessi, cosa desiderava ancora?
Nina sapeva ben poco di Kazumi, Heihachi le aveva parlato di lei una sola volta, aveva affermato che era una donna disturbata e che soffriva di problemi psichici. Stando al suo racconto, si era tolta la vita per sopprimere le voci della sua testa, quando glielo raccontò lei gli credette perché si fidava ancora di lui e credeva non avesse alcun motivo di mentirle. Scoprire le sue menzogne adesso non la disturbò, aveva imparato a sue spese quanto fosse falso e manipolatore.
Hwoarang stentava a credere ai propri occhi, se non l’avesse visto, avrebbe dubitato della veridicità di quella faccenda: due demoni alati lottavano fra di loro proprio sopra alla sua testa. Si chiese per l’ennesima volta come avesse fatto a lasciarsi trascinare in quella faccenda. Aveva creduto che quella sarebbe stata la fine di Heihachi, ma adesso cominciava a dubitarne. Quell’uomo era ben determinato a vincere qualsiasi scontro e il suo modo di combattere era violento e preciso, non aveva mai visto nulla di simile, nemmeno Bryan Fury era così aggressivo.
Xiaoyu era rimasta affascinata dalla presenza di quella donna e si chiese come avesse fatto a tornare dalla morte, e nonostante il suo aspetto poco rassicurante, percepiva un’energia positiva provenire da lei. 
La lotta tra Kazumi e Heihachi si fece sempre più intensa, i due si scambiavano colpi potenti, e il terreno tremava sotto i loro piedi a causa della forza sovrumana che li possedeva.
Kazumi l’aggredì furiosa, aveva aspettato trepidante il momento in cui avrebbe finalmente ricambiato le pene subite, Heihachi d’altro canto le tenne testa, determinato a dimostrare la propria superiorità.  
Mentre la battaglia continuava a infuriare, Jin li osservava con crescente angoscia, in quella lotta non vi era amore, Kazumi non stava cercando di sconfiggere il gene del diavolo, desiderava solamente disfarsi di Heihachi, ma cos’avrebbe fatto dopo? Si sarebbe schierata con Kazuya durante il loro scontro? Perché ormai era chiaro a tutti che la lotta dovesse durare sino a quando non ne fosse rimasto solamente uno.
Guardò Kazuya di sottecchi, sperando di scorgere i suoi pensieri solamente dalle sue espressioni, ma non vi era alcuna informazione sul suo viso, osservava il combattimento con freddo distacco e in quel momento Jin provò una grande rabbia montargli in corpo, come poteva non lasciarsi coinvolgere? Sua madre aveva affermato di essere riuscita a tornare solo grazie al suo amore, ma allora come poteva restarsene immobile mentre il duello imperava? 
Kazumi si muoveva con grazia felina, sfruttando la sua agilità per schivare gli attacchi di Heihachi. Le sue corna e le ali ardenti erano visibili anche da lontano, mentre i tatuaggi scarlatti sul suo corpo sembravano brillare di un fuoco interno. Con grazia e precisione, cercava di sopraffare Heihachi, che d'altra parte, lottava con una furia brutale. I suoi attacchi erano potenti e precisi, ognuno dei colpi che schiacciava contro di lei era carico di rabbia e risentimento.
La lotta tra Kazumi e Heihachi raggiunse livelli di intensità mai visti prima. I due demoni si scagliavano contro di loro colpi devastanti, creando onde d'urto che facevano tremare la terra. L'aria si riempì di energia oscura mentre i loro colpi si scontravano, causando esplosioni e scosse sismiche. L'arena intorno a loro si trasformò rapidamente in un campo di battaglia distrutto, con detriti e nuvole di fumo che si alzavano nell'aria, del vecchio tempio non era rimasto quasi più nulla. 
Kazumi fu la prima che iniziò a mostrare segni di stanchezza, mentre Heihachi sembrava trarre energia dalla propria ira e, accecato dalla bramosia del potere, le sue percosse divennero sempre più potenti e precise, costringendo Kazumi concentrare la sua energia nella difesa.  
Lo svantaggio era visibile, i suoi movimenti diventarono più lenti, e l’uomo ne approfittò per sferrare un colpo devastante che la fece cadere a terra. Mentre Kazumi cercava di rialzarsi, Heihachi l’afferrò per il collo, sollevandola da terra con forza sovrumana.  
I presenti nell'arena osservavano con il fiato sospeso, consapevoli che il suo destino era appeso a un filo sottile. Jin e Kazuya erano pronti a intervenire, ma prima ancora che potessero muovere un passo verso di loro, Heihachi parlò.
«Quello sguardo… Quel maledetto sguardo, se sapessi quanto lo odio!»
Kazumi rise, l’idea di creargli quel disagio la entusiasmava, se quella era la sua arma, l’avrebbe usata sino alla fine. Kazuya si avvicinò alle due figure, intimando Heihachi di lasciarla stare, ma sua madre alzò una mano per fermarlo.
«Figlio non muoverti.»
Asuka si portò le mani sugli occhi, conscia di cosa sarebbe accaduto di lì a qualche secondo, anche Nina, che era rimasta in disparte, non poteva fingere disinteresse in quel momento cruciale. Xiaoyu cominciò a versare lacrime silenziose e Hwoarang l’afferrò sotto al proprio braccio per confortarla, ma in realtà aveva un groppo in gola difficile da mandare giù. Jin faceva vagare lo sguardo tra Kazuya e Kazumi, come diavolo riusciva a starsene immobile? A non intervenire per salvare la propria madre? Provò a muovere dei passi, ma qualcosa gli impedì di camminare, una barriera invisibile che separava Heihachi e Kazumi dal resto di loro.
«Ogni cosa accade per una ragione.»
Disse Kazumi senza smettere di fissare gli occhi del proprio avversario, mentre le mani di lui stringevano con più ferocia il collo di lei.
«Addio per sempre, Kazumi»
Bisbigliò Heihachi con la voce rotta dall’esaltazione, quella volta avrebbe avuto l’onore di farla fuori con le sue stesse mani. Kazumi sorrise con sfacciataggine.
«Non sarà un addio lungo, ci rivedremo presto all’inferno!»
E, provocato da quelle ultime parole, Heihachi lanciò saette dalle proprie iridi, incenerendo gli occhi della donna che una volta aveva creduto di amare. Dai buchi sulla pelle fuoriuscì sangue che sgorgava sulle guance come lacrime scarlatte, smise di stringerle la trachea solo quando avvertì il suo corpo farsi pesante, e dopo essersi assicurato che fosse davvero morta, lanciò il cadavere verso il muro, come se si fosse trattato di un rifiuto.
Non fece in tempo a dichiarare vittoria, che Kazuya gli fu addosso scaraventando calci e pugni, mentre lacrime di rabbia mista a dolore gli inumidivano gli occhi, offuscandogli la vista.
Heihachi, colto alla sprovvista, fu incapace di difendersi.
Jin corse verso di loro, desideroso di contribuire alla sconfitta del vecchio, ma Kazuya, senza smettere di menare il padre gli lanciò delle saette attraverso gli occhi.
«Stanne fuori, questa faccenda non ti riguarda!»
Gli urlò minaccioso, ferendolo sul petto, lasciandogli una cicatrice trasversale molto simile alla sua.
Non si preoccupò di constatare se l’avesse ucciso, i suoi unici pensieri erano mirati a distruggere Heihachi, doveva vendicare Kazumi, Jinpachi, Jun e anche sé stesso, suo padre doveva pagare per il dolore che gli aveva arrecato durante la propria esistenza.
Si accorse che aveva il volto gonfio e ricoperto di graffi, ma non gli bastava, fin quando avesse continuato a respirare non si sarebbe fermato. Scagliò il corpo sul pavimento e vi si fiondò addosso scagliandogli cazzotti sul viso, e quando pensò di avergli fatto abbastanza male lo fulminò con il proprio sguardo, carbonizzandogli la testa.
E poi fu tutto finito.
Heihachi era morto.  
Respirando affannosamente, ricacciò indietro le lacrime, non vi era alcun motivo di piangere, sapeva che il pianto non sarebbe bastato a riportare in vita coloro che amava, l’aveva capito molto tempo prima.
Solo dopo un lasso di tempo che parve lunghissimo si rese conto del mormorio alle sue spalle, si voltò e osservò i corpi dei quattro ragazzi chinati verso Jin, che giaceva in terra ricoperto di sangue.
«Respira ancora, ma ha il fiato corto.»
Li informò Asuka con voce rotta.
«Dovete premere sulla ferita, aiuterà a fermare l’emorragia.»
Consigliò Nina, afferrando un pezzo della manica del karategi di Hwoarang, che il giovane aveva prontamente strappato. Xiaoyu scuoteva la testa incredula.
«Coraggio Jin, non puoi andartene via così.»
Gli sussurrò con la voce spezzata dai singhiozzi.
«Devi resistere...»
Lo incitò, ma neanche lei riusciva a credere a quelle parole.
Un brusco movimento di Asuka la costrinse a voltarsi, la giovane si era inginocchiata proprio accanto alla sua spalla e si era curvata proprio sul suo viso.
«Non puoi arrenderti ora, hai una missione da compiere, ricordi?»
Pronunciò con rabbia, mentre le lacrime minacciavano di sgorgare vergognosamente. 
«Devi porre fine a questa maledizione e vivere finalmente da uomo libero.»
Ormai le guance erano umide.
«Il bene trionfa sempre sul male…»
Le tornarono in mente le parole di Zafina “un atto di amore puro e incondizionato” e un attimo dopo ripensò alla teoria di Xiaoyu “forse devi solo innamorarti di qualcuno” e senza pensarci troppo fece la cosa più logica che le venne in mente, senza prevederlo, senza pianificarlo, Asuka si inclinò ancora più verso Jin e gli baciò le labbra. Xiaoyu emise un gemito incredulo e si lasciò cadere sulle ginocchia, poco distante dalla giapponese. Non riusciva a crederci, come aveva potuto? Perché l’aveva fatto? Distolse lo sguardo, le faceva troppo male. Nina s’irrigidì, ma non disse nulla e Hwoarang spalancò la bocca con incredulità.
Quando Asuka si risollevò aveva il volto completamente umido e, come per magia, i tatuaggi sul petto di Jin sparirono, le corna rientrarono sul cranio e lo stesso successe alle sue ali.
Kazuya rimase esterrefatto, che razza di potere possedeva quella ragazza? Camminò verso di lei e con la mano destra la sollevò da terra afferrandola per il collo, proprio come aveva fatto Heihachi con Kazumi poco prima.
«Come sei riuscita a domare il demone in Jin?»
Le chiese, e in un baleno gli altri tre gli furono addosso nel tentativo di difenderla. Sei mani gli si posarono sulle spalle, sul collo e sul torso, ma egli aprì le ali e si levò in volo, senza mollare la presa sulla ragazza, che aveva posato le proprie mani su quella di Kazuya e cercava inutilmente di fargli allentare la morsa, mentre agitava le gambe in aria come se cercasse di mantenersi a galla.
«Come ci sei riuscita?»
Ripeté nuovamente scandendo bene le parole.
«Non lo so.»
Gracchiò lei in tutta sincerità, graffiando le mani dell’uomo.
«Qual è il tuo nome?»
«Asuka… Asuka Kazama.»
Kazuya spalancò gli occhi, non poteva essere. Lo sparo di una pistola lo costrinse a guardare di sotto, Nina gli stava puntando addosso l’arma, ma il proiettile diretto verso l’ala l’aveva mancato per un soffio.
Lanciò delle saette verso la donna, che riuscì a schivare l’attacco con una capriola, rotolando di lato.
Kazuya fissò intensamente la donna negli occhi e lei ricambiò lo sguardo con odio, senza smettere di dimenarsi. Cercò in lei un tratto familiare, qualcosa che la riconducesse a Jun, ma non vi era nessuna similitudine tra le due.
«Lasciala stare!»
Gli urlò la voce di Jin, affaticata. Guardarono entrambi in basso, il giovane era riuscito a sollevare il busto e lo fissava con aria di sfida.
Kazuya planò verso di lui e, non appena gli fu addosso, mollò il collo di Asuka, che cadde irrimediabilmente addosso a lui, provocandogli un urlo di dolore.
«Jin Kazama, pare che siamo rimasti soltanto noi due.»
Gli disse con voce profonda, pronto a sconfiggerlo.
«Trasformati!»
Gli ordinò.
«Non farlo!»
Lo pregò Asuka con preoccupazione e non appena incrociò lo sguardo di Jin arrossì di vergogna.
«Dovrà farlo. Il nostro destino è scritto!»
Sussurrò Kazuya, senza distogliere lo sguardo dagli occhi di Jin.
«Non è vero, esiste un modo per disfarsi del gene malefico, è come ha detto Zafina.»
Asuka voltò lo sguardo verso Jin e lo supplicò con gli occhi.
«L’amore…»
«Di che diavolo stai parlando, ragazzina? Credi che sia bastato il tuo bacio a guarirlo? Il ragazzo è ancora posseduto, te ci tieni te lo dimostro.»
Lanciò dei laser verso di loro, facendo esplodere dei detriti e sollevando un grande polverone.
«No, Jin!»
Urlò Xiaoyu.
«Dacci un taglio!»
Le fece coro Hwoarang. Quando il fumo si dissolse Jin era in piedi davanti a lui nella sua forma demoniaca e teneva tra le proprie braccia Asuka, per lo spavento si era accucciata sul petto del ragazzo. Quando riaprì gli occhi e constatò che Kazuya avesse ragione impallidì.
«Mi dispiace.»
Sussurrò Jin con espressione colpevole. La ragazza scosse il capo e si agitò affinché lui la lasciasse andare.
«Credevo che bastasse, ma evidentemente non era sufficiente.»
Gli sussurrò impercettibilmente, assicurandosi che nessuno l’udisse. Jin era affranto, ma la delusione che provava lei era ancora più grande, si era stupidamente illusa di poter liberare il cugino con la sola forza del proprio amore, ma aveva fallito. Si allontanò verso gli altri, non poteva fare assolutamente più nulla per lui, lo scontro tra padre e figlio era inevitabile.
Jin aprì bocca per dire qualcosa, ma non riuscì a pensare a nulla di sensato. Gli dispiacque molto, durante quel breve e intenso bacio aveva avvertito tutto il suo bene, si era sentito pervadere da un calore ardente come le fiamme e avrebbe voluto farglielo sapere, ma a che scopo? Il demone si era solo acquietato un poco, ma non aveva abbandonato il suo corpo.
Fissò Kazuya e i loro occhi s’incrociarono a mezz’aria, era la fine dei conti.
Entrambi lanciarono lo stesso attacco in contemporanea, l’unico che potessero eseguire a distanza.
L’aria attorno a loro divenne magnetica, i due attacchi s’incrociarono a metà strada annullandosi a vicenda. Kazuya capì che il solo modo di farla finita era uno scontro corpo a corpo, si fiondò verso il proprio figlio e gli mollò un pugno sullo zigomo, il giovane contraccambiò eseguendo una rovesciata identica a quelle che aveva visto fare a Jun. Vi fu un attimo in cui il tempo si fermò e rivide in quel ragazzo la donna che aveva amato.
«Kazuya, ti prego.»
Lo supplicò una voce e lui scosse il capo, non era il momento di sopperire alle allucinazioni. Guardò il suo avversario aspettandosi un altro attacco, ma lui rimase immobile.
«Jin…»
La voce di sua madre lo stava chiamando da qualche luogo remoto, ma era certo che non se lo stesse immaginando. 
Fra di loro apparve una figura familiare, così come poco prima era apparsa Kazumi, ma a differenza sua, Jun pareva meno reale, avvolta da un’aurea luminosa.
Guardò i due uomini con espressione affranta.
«Smettetela di lottare, non sapete quanto dolore mi arrechiate.»
Disse loro con voce incrinata.
«Tu… Tu sei reale?»
Chiese Jin avvicinandosi allo spirito della propria madre tendendo la mano, incerto o meno se sfiorarla.
«Sì, lo sono. Non ti ho mai abbandonato, figlio mio. Sono sempre rimasta vicina a te. Proprio qui.»
Gli sfiorò il petto, proprio all’altezza del cuore e a quel tocco Jin tornò umano. Quel gesto gli aveva provocato una sensazione calda lungo tutto il corpo, proprio com’era avvenuto col bacio di Asuka.
«E non ho mai lasciato nemmeno te, Kazuya.»
Jun posò lo sguardo sull’uomo che aveva profondamente amato, ma lui rifiutò di ricambiare e concentrò le sue attenzioni verso un punto impreciso sul pavimento di pietra.
«In te è presente del buono, e lo sai… Non sei come tuo padre.»
Gli disse e a quelle parole lui sollevò il capo.
«È tutta colpa mia, se solo…»
«Non dirlo nemmeno, tu non potevi saperlo!»
«Ti ho abbandonata!»
«Ma ti ho perdonato molto tempo fa, quando ho scoperto la verità.»
«Siamo gli eredi di Inazagi, il dio malefico.»
S’intromise Jin col fiato sospeso, costringendo suo padre a guardarlo. Jun scosse la testa.
«Inazagi non era malvagio, la sua maledizione era mirata a punire tutti coloro che si fossero ribellati alla natura umana, ribellandosi contro la propria famiglia. Heihachi ha commesso un grave peccato il giorno in cui ha tentato di uccidere Jinpachi, quando ha condotto Kazumi alla morte, di nuovo quando ha lanciato suo figlio nella bocca di un vulcano e infine quando ha aizzato un mostro contro suo nipote. Il suo cuore é sempre appartenuto alle tenebre ed è stato lui la causa di tutto quanto, non Inazagi.»
Jin annuì, era vero, se Heihachi non avesse mai compiuto quei gesti, non avrebbero mai svegliato il maleficio.
«Ma tu sei diverso da lui, Kazuya, io vedo la luce in te!»
L’uomo scosse il capo. Come poteva esserne così sicura? Nemmeno lui riusciva a vederla, tutto attorno a lui era buio e scuro, un tunnel tenebroso senza fine.
«So che mi ami ancora.»
Disse infine e l’uomo non poté ignorarla. Con passo deciso, Jun gli si avvicinò e gli prese le mani tra le sue, annullando l’effetto del demone.
«Ti prego, non scontrarti con nostro figlio, non ripetere gli stessi errori, spezza la catena.»
«Ma non capisci? È il solo modo per porre una fine.»
La donna scosse la testa.
«Finiresti solo per cedere la tua anima al demone. La sola cosa che può uccidere il male è il bene, la tua salvezza è la stessa luce che ti rifiuti di vedere!»
«Ma come…?»
«Ribellati a ciò che credi sia la tua natura, porgi una mano a quello che reputi il tuo nemico, solo così potrai annullare il suo potere. Kazuya, Jin è tuo figlio, nostro figlio!»
Incontrò lo sguardo di Jin, guardandolo per la primissima volta e il ragazzo lo fissò allo stesso modo, con curiosità mista a prudenza, come se stesse ponderando se fidarsi o meno. Si studiarono per un lasso di tempo che parve lunghissimo, Xiaoyu, Nina, Hwoarang e Asuka trattennero il fiato durante quello scrutinio, quest’ultima emotivamente colpita dalla presenza di sua zia, che vedeva per la prima volta ma a cui sapeva di volere bene in modo viscerale.
Fu Kazuya che mosse il primo incerto passo, Jin lo imitò e si incontrarono a metà strada, sentendosi immediatamente affini, il demone non aveva più alcuna influenza su di loro, l’odio che avevano provato in passato si era dissolto. Kazuya alzò un braccio con estrema lentezza, come se quel gesto gli costasse un’enorme fatica e posò la mano sulla spalla di Jin, che trasalì per l’improvviso contatto fisico.
«Mio figlio.»
Riuscì a dire, senza poter aggiungere altro.
Jun aveva le lacrime agli occhi, ma erano provocate dalla gioia e sorrideva come una bambina spensierata.
«Adesso devo proprio andare. Vorrei tanto poter rimanere, ma…»
«Aspetta!»
Le urlò la voce di Asuka. Jun le rivolse un’occhiata benevola e le sorrise.
«Dimmi, Asuka.»
Non sapeva esattamente cosa volesse dirle, le parole si spensero sulle sue labbra.
«Non ho mai colpevolizzato Natsuko per i suoi comportamenti, liberala dal senso di colpa.»
Annuì in silenzio, rivolgendole un profondo inchino, mentre le lacrime le scivolavano sul naso e sul mento cadendo per terra.
Jin non voleva separarsi da lei, non ora che si erano finalmente rincontrati.
«Perché non puoi tornare? Kazumi…»
«Kazumi possedeva il gene del diavolo ed era spinta a tornare dalla propria sete di vendetta. Io invece sono morta in pace, non ho alcun secondo fine.»
Kazuya parve agitarsi, dunque Jun si affrettò a tranquillizzarlo.
«Adesso è in pace anche lei, non temere.»
Si avvicinò al più giovane e lo strinse in un caloroso abbraccio e Jin constatò che quella stretta era quanto più di reale potesse immaginare, sentiva la forza dei muscoli allenati della madre e inalò l’odore così familiare della sua pelle.
Quando Jun si staccò per rivolgersi a Kazuya lui la fermò. 
«Su questa terra non mi è rimasto nulla, portami con te.»
Jun socchiuse gli occhi e gli carezzò la guancia.
«Hai ancora tanto tempo davanti a te.»
«Non saprei cosa farmene.» 
«Sei proprio sicuro?»
L’uomo annuì e lei gli tese la mano.
«Quanto a voi, ci rivedremo il più tardi possibile.»
Disse infine, congedandosi dal gruppo e, mano nella mano insieme al suo amato, percorsero pochi passi, prima di essere inghiottiti da un intenso fascio luminoso, talmente accecante che li obbligò a chiudere gli occhi.
Quando li riaprirono si ritrovarono dinnanzi agli occhi il corpo privo di vita di Kazuya, aveva gli occhi chiusi e un accenno di sorriso sulle labbra. 
 

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Capitolo 29
*** Epilogo ***


Epilogo
- Un nuovo inizio -

Quando Baek apprese tramite il notiziario che il tempio Honmaru era stato raso al suolo e che al suo interno era stato rinvenuto il cadavere di Heihachi Mishima capì immediatamente cosa fosse successo e, in compagnia di Julia, tornò alla Zaibatsu. L'ingresso era pieno zeppo di giornalisti, accorsi da ogni lato di Tokyo per assicurarsi un'intervista del nuovo legittimo presidente, Jin Kazama, che però per il momento aveva dichiarato il silenzio stampa.
La giovane segretaria li fece scortare all'ultimo piano e quando la porta si aprì, Baek fu investito da un uragano rosso. Hwoarang vi si era gettato tra le braccia come un bambino e l'aveva stretto in un abbraccio, il primo che si scambiassero. Baek faticò per reprimere le lacrime e si congedò dal giovane dandogli delle affettuose pacche sulle spalle. Hwoarang ritrovò un po' di dignità alla vista della ragazza che accompagnava il maestro, non appena la scorse cercò di darsi un tono, ma il danno era fatto.
«Perdonalo Julia, ha la tendenza a mettersi sempre in imbarazzo, ma in fondo è un bravo ragazzo.»
Le disse in modo amichevole, e lei sorrise di cuore di fronte a quella scena commovente. Allungò una mano verso il coreano presentandosi, e per tutta risposta Hwoarang arrossì violentemente balbettando il proprio nome.
Baek scosse la testa, quel tipo era irrecuperabile! Sperò che Julia non si fosse lasciata ingannare dalla prima apparenza, le aveva parlato molto di lui e gli era sembrata sinceramente interessata a conoscerlo. Ormai lui stava invecchiando e prima di andarsene avrebbe voluto vedere il proprio eletto sistemato con una brava moglie e quella ragazza era deliziosa, non poteva ambire a un'aspirante migliore.
Sperò solo che il suo allievo non avesse rovinato tutto ancor prima del tempo.
«Beh, alla fine ce l'avete fatta, mi congratulo con tutti voi, fate proprio una bella squadra.»
«Ho creduto per tutto il tempo che saremmo morti.»
Commentò Hwoarang con un risolino, era bello poter tornare a sorridere con spensieratezza.
«Io ci ho creduto sino alla fine... Alla morte, intendo.»
Gli fece eco Jin, che vedevano ridere per la prima volta.
«Cos'hai intenzione di fare con la tua eredità?»
Gli chiese Baek tornando serio.
«Non ho alcun interesse a divenire il nuovo presidente dell'azienda, venderò la proprietà al miglior offerente.»
Dichiarò Jin, che voleva liberarsi della Zaibatsu quanto prima, quel luogo custodiva i peggiori segreti della propria famiglia e non voleva preservarli.
Non lo disse ad alta voce, ma aveva già stabilito che parte dei ricavi andasse ai suoi compagni di viaggio, come ringraziamento.
«Avrei una richiesta da farti.»
Cominciò a dire Julia, sentendosi un po' in imbarazzo, dal momento che non conosceva bene il giovane e le sembrava quasi maleducato avanzare proposte.
«Qui dentro sono intrappolati molti animali che appartengono alla natura selvatica: Panda, Kuma, Roger...»
Nina roteò gli occhi, intuendo dove volesse andare a parare.
«E vorrei chiederti di liberarli, di restituirli all'ambiente a cui appartengono.»
«Ma... Non sarebbe pericoloso per degli animali cresciuti in cattività trovarsi in libertà? Rischierebbero di essere una minaccia per loro stessi e per gli altri.»
Fece notare Asuka.
«Ho fatto delle ricerche e scoperto qui a Tokyo una cooperativa che si occupa della reintegrazione degli animali cresciuti in cattività nel loro habitat naturale, scommetto che sarebbero in grado di occuparsene,e sarei ben lieta di unirmi al loro team.»
«Certo, non vedo perché no.»
Decise Jin con una scrollata di spalle.
«A proposito di Panda, voglio assolutamente rivederla.»
Dichiarò Xiaoyu con entusiasmo.
«Dopotutto è anche grazie a lei se abbiamo ritrovato Jin.»
«E mi ha anche salvato la vita.»
Continuò Baek, col cuore colmo di gratitudine per quella dolce bestiola e, trovandosi di fronte i loro sguardi interrogativi raccontò della sua prigionia e del provvidenziale aiuto di Panda e Julia.
«Heihachi era un uomo disgustoso.»
Sentenziò infine Asuka, con sguardo colmo di disgusto.
«Allora suggerirei di festeggiare le nostre chiappe ancora integre brindando al nostro eroe.»
Propose Nina infine, parlando per la prima volta. Si diresse verso l'armadio dei liquori ed estrasse un Glenfiddich d'annata che Heihachi dichiarava di detestare ma che in realtà sospettava amasse bere di nascosto.
Versò il liquido in sette bicchieri e sollevò in alto il proprio.
«A Kazuya.»
Disse a gran voce, gli altri la imitarono.
«A Kazuya.»
Bisbigliò Jin ripensando al padre con cui aveva passato così poco tempo e senza il quale adesso non sarebbe lì, provando un grande moto di gratitudine. Fantasticò su un immaginario paradiso dove i suoi genitori si trovavano, liberi finalmente di amarsi eternamente, senza alcuna minaccia pronta a rovinare il loro equilibrio e seppe che un giorno li avrebbe raggiunti.
Al termine del brindisi il silenzio venne rotto da un suono acuto proveniente da Xiaoyu.
«Santo cielo, questa roba fa davvero schifo.»
Nina si rabbuiò.
«Ma cosa diavolo vuoi capirne tu?»

***

Poteva fingere indifferenza, ma l'incontro tra Kazuya e Kazumi e tra Jin e Jun aveva fatto scattare qualcosa in lei. Nina aveva perso il padre molto tempo prima e avrebbe dato qualsiasi cosa al mondo per rivederlo anche solo un'ultima volta, e con questa nuova consapevolezza decise che fosse finalmente arrivato il momento di presentarsi a Steve Fox.
Organizzò un appuntamento con l'agente del ragazzo e si preparò per incontrarlo al ristorante.
Non aveva ancora deciso cosa gli avrebbe detto, né tanto meno era capace di spiegarli le cause che avevano contribuito alla sua nascita, ma non gli avrebbe mentito, e se lui avesse posto qualche domanda, avrebbe risposto onestamente. Sentiva che fosse giusto che quel ragazzo, che aveva l'età di Jin, sapesse la verità sul proprio conto una volta e per tutte.
Come Jin, per molto tempo Steve doveva essersi arrovellato il cervello chiedendosi chi fossero i suoi antenati, perché l'avessero abbandonato e come mai non vi fosse alcuna notizia reperibile sul loro conto.
Era tempo di sciogliere quei nodi e portare la verità a galla – ma ciò non significava che gli avrebbe fatto da madre, quello poteva scordarselo!

 

***
 

Xiaoyu tornò da suo nonno e, insieme a Julia, si candidò per lavorare presso l'associazione in cui erano stati trasferiti tutti gli esperimenti della Mishima Zaibatsu. Kuma e Roger erano molto aggressivi e spesso i dipendenti avevano difficoltà a gestirli, ma Panda li rimetteva in riga sgridandoli ogni qualvolta sbagliassero, divenendo un'aiutante preziosa.
Qualche mese dopo lo scontro finale al tempio Honmaru ricevette una lettera proveniente da Jin, le tremarono le mani mentre l'apriva, domandandosi cosa mai potesse celare e l'urlo che cacciò quando scoprì il contenuto fece accorrere suo nonno.
«Che cosa è successo?»
Chiese in tono preoccupato presagendo il peggio. La nipote lo fissò con occhi sgranati e la bocca spalancata facendo sventolare la busta, incapace di proferir parola.
«Che cos'hai lì? Fa' vedere.»
L'anziano le strappò via dalle mani la lettera e lesse la somma che Jin aveva scritto sull'assegno, urlando a sua volta. Nella sua intera vita non aveva mai visto così tanti zeri.
Xiaoyu lesse le brevi parole che Jin aveva scarabocchiato sul foglio d'accompagnamento e sorrise.
«Santo cielo nonno, con questa somma posso comprarmi un luna park!»
Affermò allegramente con una fragorosa risata, riprendendosi la busta e correndo in camera propria. Quando fu sola al buio non si vergognò di piangere, rileggendo ancora e ancora quelle brevi parole, sino ad impararle a memoria.
“Cara Xiaoyu, ti ringrazio dal profondo del cuore per essere stata al mio fianco e per aver rischiato la tua vita per salvare la mia. Ti prego di accettare questo dono come segno della mia riconoscenza. A fine mese lascerò il Giappone, ho deciso di utilizzare la mia parte per esplorare il mondo.
Ti porterò per sempre nel cuore. Con affetto, Jin.”

 

***
 

Hwoarang e Baek avevano utilizzato una parte del denaro di Jin per ristrutturare la casa di Seoul e una parte venne donata al consorzio per cui lavorava Julia. Hwoarang si era invaghito immediatamente di lei, e la ragazza sembrava ricambiare il suo interesse.
Per questa ragione Hwoarang decise di restare a Tokyo, per stare il più vicino possibile alla sua nuova fiamma e di tanto in tanto l'aiutava col suo nuovo lavoro, anche se gli animali parevano non gradire la sua presenza, spesso gli facevano dei dispetti che portavano Julia a sbellicarsi dalle risate.
Stare vicino a lei e a Xiaoyu lo riempiva di gioia, grazie a quell'esperienza aveva conosciuto delle persone meravigliose che sperava continuassero a far parte della sua vita anche in futuro.
Lo addolorava l'idea che Jin sarebbe partito, ormai si era affezionato a lui, anche se non l'avrebbe ammesso neanche sotto tortura, ma comprendeva le ragioni che lo spingevano a spostarsi. Ormai non era rimasto più nulla che lo ancorasse alla sua isola natia.
Sperò solo di poterlo rincontrare, prima o poi, magari quando si fosse stancato di viaggiare per il globo sarebbe tornato. Lui sarebbe stato lì.

 

***


Asuka aveva convinto il clan Kazama a ritrasferirsi ad Osaka nel loro vecchio villaggio, dopotutto ormai non vi era più alcun pericolo da cui doversi nascondere e aveva aiutato il padre a ricostruire il dojo di famiglia.
Sua madre aveva ascoltato i suoi racconti con le lacrime agli occhi, era fiera di lei perché aveva dimostrato un grande coraggio e non si era lasciata intimidire da nulla, e soprattutto, perché aveva lottato per qualcosa in cui credeva profondamente, l'innocenza di Jin.
Aveva espresso più volte il desiderio di incontrarlo, per poter avere l'occasione di porgergli le sue scuse personalmente, ma Jin aveva risposto di essere molto impegnato coi preparativi del suo nuovo viaggio e si era limitato ad accettare le scuse, che però non riteneva necessarie.
Sebbene Asuka fosse tornata dalla sua famiglia, si sentiva infelice, incompleta. Dopo aver vissuto un'avventura come quella, era difficile tornare alla monotonia del villaggio. Ma adesso le cose sarebbero cambiate, ora che la pace si era ripristinata avrebbe potuto condurre un'esistenza più sfrenata a Osaka stessa. Ormai nulla glielo vietava.

 

***

Jin era finalmente pronto a partire, era riuscito a spuntare ogni voce della sua lista delle cose da fare.
Tanto per cominciare, aveva concesso a suo padre, sua nonna e al suo bisnonno una degna sepoltura, tutti e tre giacevano insieme, lontano da Heihachi.
Aveva venduto la Zaibatsu al suo nuovo proprietario e aveva sciolto l'esercito della Tekken Force, elargendo ai singoli membri una cospicua buona uscita.
Grazie all'aiuto del dottor Bosconovitch era riuscito a sospendere tutti gli esperimenti compiuti sino ad allora, eliminando le prove affinché nessuno potesse servirsi di quelle spaventose scoperte e si era fatto spergiurare dallo scienziato che non si sarebbe mai più fatto coinvolgere in simili follie. Geppetto aveva sorriso garantendogli la sua parola, ma Jin non sapeva quando potesse fidarsi di un uomo così affascinato dalle mutazioni genetiche.
Aveva fatto recapitare ai suoi amici il denaro per ringraziarli del loro aiuto e li aveva informati della sua imminente partenza.
I bagagli erano pronti già da qualche giorno, non era rimasto più nulla da fare.
Scese in strada e caricò le valigie sul taxi e un attimo prima di entrare sulla vettura trovò Asuka.
«Che ci fai tu qui?»
Gli chiese in tono sorpreso. Si guardò intorno cercando la presenza degli altri, ma a parte lei non c'era nessuno.
«Sono venuta a salutarti.»
Rispose col fiatone, evidentemente aveva corso.
«Non dovevi, ma ti ringr...»
S'interruppe non appena notò che portava un pesante zaino sulle spalle, lei arrossì abbassando lo sguardo.
«Mi... Mi chiedevo... Forse non ti dispiacerebbe un po' di compagnia. Il mondo è grande e girarlo da soli può diventare noioso.»
Jin sorrise, non se l'era proprio aspettato.
«E i tuoi genitori che ne pensano?»
Asuka divenne seria.
«Magari non ne sono entusiasti, ma hanno capito che Osaka è troppo stretta per me. Per anni ho sopportato la piattezza del villaggio Kazama, le mie fughe le ho vissute sui libri, ma dopo aver viaggiato insieme a voi, temo di non riuscire ad accontentarmi dei racconti.»
Jin le rivolse un'occhiata intensa e Asuka dubitò che volesse chiederle di andarsene ma non sapeva come fare.
«Però, forse è stato sciocco da parte mia credere che tu potessi desiderare compagnia, magari dovrei...»
«Vuoi venire con me?»
«Come?»
Chiese arrossendo, aveva capito bene? Jin le si avvicinò e le posò le mani sulle spalle.
«Averti al mio fianco sarebbe un onore. Ti andrebbe di scoprire il mondo insieme a me?»
Gli occhi di lei si inumidirono, non aveva sperato altro. Annuì vigorosamente e il ragazzo l'aiutò a togliersi lo zaino per caricarlo insieme agli altri bagagli, poi fece accomodare Asuka sul taxi e infine salì anche lui. Rivolse un'ultima occhiata alla Zaibatsu, prima di dare il via all'autista e allontanarsi inesorabilmente verso l'aeroporto.
Quello era solo l'inizio di una nuova avventura, ma non temeva nulla perché non era più solo, adesso c'era Asuka al suo fianco.

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