Come un sogno d'amore preadolescenziale può avverarsi (nonostante tutto)

di Yssis
(/viewuser.php?uid=145803)

Disclaimer: Questo testo proprietà del suo autore e degli aventi diritto. La stampa o il salvataggio del testo dà diritto ad un usufrutto personale a scopo di lettura ed esclude ogni forma di sfruttamento commerciale o altri usi improri.


Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Un consiglio: non cambiare Stato per fare una dichiarazione d'amore ***
Capitolo 2: *** Con chi parlare delle proprie pene d'amore ***
Capitolo 3: *** Colpo di fulmine? ***
Capitolo 4: *** Gouenji sbaraglia la concorrenza ***
Capitolo 5: *** Il bello dell'amore è condividerlo... ***
Capitolo 6: *** ... o forse no ***
Capitolo 7: *** Like a virgin ***
Capitolo 8: *** "Il fatto è che sono stato proprio cattivo" ***
Capitolo 9: *** Puppy face ***
Capitolo 10: *** Se io sono la mamma, tu sei... ***
Capitolo 11: *** Parlare con l'amico del tuo fidanzato è meglio che parlare con il tuo fidanzato? ***
Capitolo 12: *** Il capitano è risentito ***
Capitolo 13: *** Triplice fischio ***
Capitolo 14: *** Sani principi ***



Capitolo 1
*** Un consiglio: non cambiare Stato per fare una dichiarazione d'amore ***


Kidou era seduto su una panchina adiacente il campo da calcio della scuola, punto di incontro stabilito con Gouenji per condividere la pausa pranzo dopo le lezioni. La sua postura rigida e distaccata tradiva la sua agitazione, ma solo allo sguardo svogliato e distratto di alcuni studenti che passavano di là, in disastroso ritardo oppure largamente in anticipo. Teneva appoggiato sulle gambe un giornalino sportivo, di cui studiava le immagini per intuire il testo scritto. Insomma, era lì da un paio di settimane, ma la lingua tedesca gli risultava ancora completamente oscura. Era stata davvero una pessima idea, come poteva pensare che sarebbe servito a qualcosa? Sì insomma… Rivedere Gouenji era stato bellissimo e poter passare tutto quel tempo con lui… Da soli… O meglio, da soli senza i loro soliti compagni di squadra . Gouenji, pur trovandosi dall’altra parte del mondo, era rimasto lo stesso: taciturno ma popolare, introverso eppure vanitoso, riservato e dannatamente, irrimediabilmente, terribilmente affascinante. E consapevole di esserlo, dannazione! Si era subito fatto degli amici, frequentava delle ragazze carine, usciva la sera, parlava così serenamente un’altra lingua… Sembrava così… A suo agio, così lontano da casa, così lontano dalle sue abitudini, da tutto quello che avevano condiviso…

Gouenji, dopo essere tornati da Liocott Island con il trofeo ed essersi diplomati, era partito per la Germania, come d’accordo con suo padre. Avrebbe svolto lì i tre anni di scuole superiori, preparatori per i corsi universitari di medicina. Era passato un anno e mezzo da allora e i ragazzi non avevano più avuto occasioni di vedersi; finché Kidou, in concomitanza con le vacanze invernali del suo secondo anno di scuole superiori, non aveva convinto suo padre a permettergli di passare l’ultimo trimestre dell’anno all’estero. Per potenziare le lingue straniere, chiaramente… Anche se il motivo per cui Yuuto aveva scelto proprio la Germania era…

Kidou, vergognoso a causa dei suoi stessi pensieri, arrossì, grato della protezione che gli occhialini gli garantivano, almeno in parte. La sua espressione, essendo lievemente nascosta, rimaneva alquanto indecifrabile e lui poteva giocare su quell’ambiguità per negare. Negare eh…? “ Non hai fatto altro che negare per tutta la vita, Yuuto, smettila! Per una volta sii onesto con te stesso, cazzo!” Perché ora gli tornavano in mente le parole di Fudou, accidenti? Lui non negava niente, anzi. Era venuto apposta in Germania per… La voce di Gouenji che chiamava il suo nome lo destò di colpo dal flusso dei suoi pensieri.

Si alzò subito in piedi, girandosi verso di lui e guardandolo arrivare. Indossava la divisa scolastica, un completo maschile dal taglio piuttosto formale e dai colori scuri, che facevano splendidamente risultare il biondo dei suoi capelli. Aveva deciso di lasciarli crescere, così alcune ciocche chiare adesso ricadevano sul suo collo e sulle spalle, conferendo al suo sguardo un’aria ancora più calda e seducente. Kidou non poteva credere che quel ragazzo stesse proprio camminando nella sua direzione, che i suoi occhi così netti e brillanti fossero su di lui, con tutte le altre meraviglie del mondo su cui potevano appoggiarsi. Era un vero miracolo. E forse doveva accontentarsi di quello, sì, di avere nella sua vita una così bella e carismatica persona…

-This is Kidou, a close Japanese friend of mine. Be kind, he came here ‘cause he want to improve his English for university. So no German language, take it as a training for you too, you need it eheh – mosse un passo in avanti verso di lui, come per accoglierlo, e gli dedicò un sorriso tenue e incoraggiante. Gouenji era davvero gentile, faceva in modo di presentare Yuuto a chiunque incontravano e si assicurava che nessuno fosse ostile o facesse domande scomode. In effetti erano amici, grandi amici … Per Endou avrebbe fatto lo stesso. Eh già.

In ogni caso avevano dei momenti dove erano effettivamente da soli, senza questi suoi nuovi amici che parlavano in maniera tanto veloce e caotica. Quando capitava e tornavano a rivolgersi l’uno all’altro nella loro lingua madre, Yuuto si sentiva davvero in pace. Il piacere che traeva dal raccontarsi a Gouenji, scherzare con lui, studiare come la sua espressione si addolciva quando parlava di temi che gli stavano a cuore e si infiammava quando invece il tema del discorso andava a stuzzicare il suo animo idealista, erano cose che Kidou avrebbe fatto per ore e ore, in loop, senza fermarsi mai. Avrebbe vissuto così, passeggiando con Gouenji al tramonto, guardandolo addentare un bretzel e osservare, fingendo di non darci importanza, come alcune briciole di cibo gli rimanevano impigliate alla stoffa della sciarpa. Semplicemente meraviglioso. Quando erano da lui guardavano le partite sintonizzati sui canali giapponesi, gli faceva assaggiare cibo locale e ricette tipiche, andavano per locali ad ascoltare musica, comprare dischi di artisti europei e ovviamente andavano alle partite che disputava Gouenji. In tutto quello spesso c’erano altri suoi amici, era vero. Ma a Kidou non importava, lui era insieme a Gouenji e anche in mezzo alla mischia poteva incontrare quegli occhi ipnotici e perdersi nelle loro ombre, sapendo che stavano guardando proprio lui.

Un giorno accade però una cosa del tutto inaspettata. Erano in un parco dopo le lezioni, chi seduto per terra, chi contro un albero, chi su un albero, chi comodamente stravaccato su una panchina e passavano così il tempo, godendosi il sole che, seppur pallido, non si era visto per alcuni giorni. Dicevano sciocchezze, commentavano le partite viste la domenica, alludevano a rispettive madri o sorelle o qualcosa del genere, Kidou non ci dava molta importanza. Era tutto intento a leggere un messaggio che gli aveva scritto Sakuma in merito ad una problematica che era sorta nel vicinato a causa del cane di sua zia – decisamente una rogna, ma perché doveva essere un problema di Sakuma? –, quando ad un tratto sentì distintamente Markus, un amico di Gouenji, chiamare il nome del suo amico con un tono molto strano. Kidou si voltò in tempo per assistere ad una scena a dir poco bizzarra. Non capiva cosa si stessero dicendo, fra loro avevano preso a punzecchiarsi in tedesco, ma era evidente che Markus stesse sfidando Gouenji in qualche tipo di cosa; essendo più alto del biondo, stava con la schiena leggermente reclinata in avanti, come a troneggiare su di lui, con un sorrisetto di sfida piuttosto divertito dipinto sul volto. Kidou stava per intervenire – anche se in effetti non aveva la più pallida idea di quello che si stavano dicendo e rischiava di fare una gran brutta figura –, ma Gouenji reagì in un modo da farlo pietrificare sul posto. Abbassò per un secondo lo sguardo, si morse il labbro e poi scattò in avanti, spingendolo contro l’albero e lasciandogli un bacio a stampo sulle labbra. A Markus. Un uomo . Kidou ringraziò l’anima di Kageyama per avergli donato quegli occhialini molti anni addietro: i suoi occhi erano completamente sbarrati dalla sorpresa e il motivo di tanto turbamento sarebbe stato a dir poco imbarazzante. Tutti intorno i ragazzi sghignazzavano, dandosi pacche sulle spalle, mentre i due, rimasti per un momento di troppo contro il tronco dell’albero spoglio, si ritraevano. Gouenji aveva le gote gonfie e uno sguardo a dir poco soddisfatto. Ma anche Markus sembrava divertito e sì, molto appagato.

Kidou non riusciva davvero a capacitarsene. Si allontanò fingendo una chiamata urgente da casa, cosa che gli permise di allontanarsi sufficientemente dal parco per fare mente locale. All’incirca cinque o sei isolati più avanti, continuava a camminare, senza meta, sbattendo le palpebre come uno che avesse appena visto un fantasma. Gouenji. Aveva baciato un ragazzo. Un maschio. Gouenji. Un ragazzo della sua età. Aveva baciato. Eh sì, davanti a lui. L’aveva proprio visto. Ed era stato lui. Magari era una scommessa? Un gioco, sì, uno scherzo. Decisamente. Non poteva essere altrimenti. Gouenji. Possibile? Eppure…

Questo non se lo aspettava nessuno. Proprio nessuno, nemmeno Fudou. Probabilmente. Al diavolo Fudou, maledetto lui e la sua folle idea di questo viaggio in Germania! E adesso? Che cosa avrebbe dovuto fare? Chiamarlo? Oh no, non ci pensava neanche a farsi sentire così agitato da Fudou, l’avrebbe preso in giro a vita… Ma Sakuma? Si sarebbe preoccupato… E poi l’avrebbe assillato tutti i giorni per avere aggiornamenti. No… Doveva pensare da solo. Doveva solo mantenere la calma. Non era mica successa una cosa così grave. O traumatica. Aveva solo visto Gouenji baciare un uomo. Gouenji. Baciare un altro uomo. Così, di getto. Sorridente. Con quel suo dannato sorriso magnetico, con quei suoi occhi scuri… Diamine! Perché si sentiva le ginocchia così tremanti adesso? E perché gli si appannavano gli occhialini? No, doveva mantenere la calma. C’era senz’altro una spiegazione ragionevole a tutto quello… E poi… In fondo era una bella notizia… o no? Una parte di lui era terrorizzata all’idea di chiedere spiegazioni a Gouenji, l’altra parte però era in fibrillazione all’idea… Alla sola idea… Che Gouenji… Potesse…

-Ehi Kidou! Sei qui, ti cerco da ore. Perché non rispondi al telefono?-

Kidou alzò lo sguardo, in preda alla confusione. Gouenji aveva accostato la macchina sul marciapiede dove stava camminando e aveva abbassato il finestrino del passeggero per attirare la sua attenzione. Era lì… Per lui?

-Mi hai… seguito?- barcollò Kidou, completamente disorientato. Poi guardandosi attorno realizzò di non avere la più pallida idea di dove stesse andando, in realtà. Gouenji accennò un sorriso, eppure il suo sguardo appariva corrucciato, serio.

-Pensavo che dopo la chiamata con tuo padre saresti tornato, visto che tardavi ho provato a telefonarti, ma non rispondevi… Così ho preso la macchina. – E rimase in silenzio, a fissarlo, lasciando in sospeso il resto della frase “si può sapere che diamine ti è preso?”, ma non lo disse. Rimase a guardarlo e basta. Kidou non sapeva cosa dire, si sentiva di colpo incredibilmente stupido. Perché se n’era andato così, senza salutare? Lui…

-Dai, sali. Ti riaccompagno a casa.- Non se lo fece ripetere e aprì la portiera, sedendosi così al posto del passeggero, al suo fianco. Rimase seduto piuttosto teso, quasi trattenendo il fiato. Gli sembrava che dentro l’abitacolo l’aria bruciasse. Perché aveva accettato il passaggio?

-I ragazzi hanno detto qualcosa che ti ha turbato? – chiese dopo un po’ Gouenji. Kidou scattò come una molla verso di lui, come sbloccato da un incantesimo. -Oh no! Figurati, sono tutti gentili con me! Con te-Come te! Insomma… Come dici tu, Gouenji…-

-Mh? Ti senti bene, Kidou?-

No, non si sentiva affatto bene. Aveva camminato per chilometri in preda ad uno stato di shock causato dal fatto di aver visto la sua crush di una vita, che aveva sempre creduto perdutamente e irrimediabilmente eterosessuale e perciò inavvicinabile da quel punto di vista, baciare un ragazzo. Di fronte a lui. Ignaro di tutto. Aveva dolore alle gambe, crampi alla bocca dello stomaco, un martellare furioso alle tempie e la gola secca dalla tensione e dallo sforzo. No, non stava bene.

-Sì io… Non ti preoccupare. – si lasciò sfuggire un risolino stanco dalle labbra – Questa città è strana, mi confonde.-

-Ti ostini a non prendere i mezzi… Sei proprio incorreggibile, Kidou. – il tono affettuoso con cui pronunciò il suo nome mozzò il fiato a Kidou, che deglutì a vuoto e cominciò a tossire in maniera incontrollata. Gouenji gli fece cenno, indicandogli una bottiglietta d’acqua, e Yuuto prese a bere, grato. Mentre si idratava, sentì Gouenji parlare:

-Fra me e Markus non c’è niente di serio, eh. Mi scoccia quando fanno così, glielo dico sempre che quando ci sei anche tu devono parlare in inglese, con il tedesco sembra che ti vogliamo escludere e.. egh, non ci far caso, okay?, sono proprio degli scemi. Non lo fanno apposta, stai simpatico a tutti, ma proprio non ci arrivano.-

Kidou si prese più tempo del necessario per bere; tenendo le labbra sul collo della bottiglietta di plastica poteva evitare di dover rispondere. Seppur volesse tranquillizzare Gouenji in merito al fatto che era davvero l’ultimo dei suoi problemi, il fatto che a volte parlassero tedesco in sua presenza, ora non sapeva proprio come interromperlo. Come in sogno lo ascoltò parlare di Markus, di come lo avesse portato per la prima volta in un gay bar, di come avesse assecondato la curiosità che era sorta in Gouenji, di come si fossero già baciati, “solo una volta prima di questa eh”, una sola, e che insomma, “era interessante” ma non erano impegnati in nessun modo, lui sì che con Fudou aveva avuto una storia, aveva avuto “delle esperienze”… Spezzoni di frasi, completamente slegate, che Kidou sentiva e non sentiva, come in trance. “… Ma ti ha tradito per caso?”. Si ritrovò improvvisamente davanti al suo alloggio, Gouenji aveva nuovamente accostato la macchina e adesso lo guardava, in silenzio, come se spettasse a lui rispondere.

-Eheh ecco allora io… Grazie per il passaggio, Gouenji. Buonanotte, ci vediamo domani.- Aprì la portiera, sperando che Gouenji lo afferrasse per un polso, lo trattenesse dentro l’auto per guardarlo con i suoi grandi occhi scuri, dirgli che era lui che avrebbe voluto spingere contro quel tronco, non Markus, e poi baciarlo con foga. Gouenji non fece nulla di tutto questo, gli augurò a sua volta la buonanotte e gli rammentò di prendere la metro quando era stanco, di non avventurarsi da solo per le strade. Lo fece scendere e ripartì, semplicemente.

Kidou salì in camera sua, buttò la borsa e le scarpe all’ingresso e si lasciò cadere sul letto. “ Fra me e Markus non c’è niente di serio, eh.” Fanculo Markus, fanculo tutti.

*

Gouenji iniziò a risorgere dalle lenzuola stropicciate ed umide del suo letto a mattinata inoltrata. Sentiva la bocca impastata ed amara, i muscoli doloranti e un mal di testa acuto pulsare dietro agli occhi. La luce entrava a malapena dalle tapparelle abbassate, ma bastò a metterlo di pessimo umore, come se fosse stato svegliato da un trapano.

Si trascinò in bagno con un grugnito, dandosi un momento per sentire la nausea assestarsi nel suo stomaco. Sensazionale. Gouenji non beveva spesso e questo era esattamente il motivo per cui non lo faceva: svegliarsi in questo modo non sarebbe valso nessuna serata divertente. E, anche se era dall’altra parte del mondo, riusciva quasi a sentire lo sguardo di disapprovazione di suo padre e il suo commento pungente sui danni dell’alcol, a maggior ragione negli sportivi. Al diavolo.

Aprì l’acqua fredda con uno scatto di stizza e gettò la testa sotto al flusso, lasciandosi scappare un altro sottile lamento. Allo specchio, il suo riflesso ricambiò il suo sguardo torvo: aveva gli occhi gonfi, circondati da occhiaie violacee, e una striscia di eyeliner sbavato sulla guancia. Noncurante dell’acqua che dalle punte dei suoi capelli gocciolava sul suo petto nudo, si infilò dei pantaloni della tuta e si diresse in cucina, a cercare dell’acqua e una colazione che gli mettesse a posto lo stomaco.

Solo mentre le uova stavano sfrigolando sulla padella e, di umore leggermente migliore, si apprestava a tostare il pane, gli tornarono alla mente gli avvenimenti della sera prima. Kidou l’aveva portato a casa, ricordava chiaramente, incespicando nel chiamare un taxi in tedesco; le luci ritmiche della città mentre Gouenji stava con la tempia appoggiata al finestrino fresco dell'auto; la voce decisa di Kidou che gli intimava di non addormentarsi e di avvisarlo se si stava sentendo male. Si sentiva arrossire a ripensarci, nonostante non avesse fatto nulla di così imbarazzante. Non gli sarebbe importato di farsi riportare a casa da Someoka o Endou, tuttavia il ricordo dello sguardo attento e impensierito di Kidou lo faceva avvampare. Mentre inseguiva questa corrente di pensiero, realizzò di essere entrato in casa insieme a Kidou ma di non averlo sentito uscire.

Spense in fretta il fuoco e si affacciò in salotto, immerso nel buio a parte per la luce che veniva dalla cucina adiacente. Kidou era seduto sul suo divano, rigido ed elegante se non fosse per il viso piegato sulla spalla, gli occhialini abbandonati intorno al suo collo, profondamente addormentato. Gouenji sentiva male al collo solo a guardarlo e un discreto senso di colpa per essere crollato addormentato senza neanche preoccuparsi di come e dove avrebbe dormito Kidou.

Lo scosse gentilmente per la spalla, chiamandolo per nome. Kidou sobbalzò comunque nonostante i suoi tentativi di svegliarlo dolcemente e spalancò subito gli occhi appena lo mise a fuoco.

-Ho preparato la colazione. Vieni.-

Kidou lo seguì in cucina stropicciandosi gli occhi e si sedette guardandosi intorno come ad assicurarsi di essere ancora sveglio. Sembrava così piccolo, si ritrovò a pensare Gouenji: la sua camicia bianca era stropicciata dalla notte sul divano, diversi dreads erano scivolati via dalla coda e aveva qualche ditata sulle lenti degli occhialini. Gli mise davanti la colazione che aveva preparato per sé, era il minimo che potesse fare.

-Scusami per ieri notte, sono stato pessimo.- Dichiarò senza guardarlo negli occhi, versando l’acqua dal bollitore in una tazza. Kidou odiava il caffè, si ritrovò a ricordare senza sforzo dalle lunghe trasferte fatte con la squadra. Le bustine di tè che aveva in casa erano molto più scadenti di quelle a cui Kidou era abituato, ma supponeva che il pensiero bastasse. Kidou guardò per qualche momento l’acqua tingersi di scuro nella tazza fra le sue mani, poi spostò di nuovo lo sguardo su di lui. Non aveva ancora parlato e sembrava teso, quasi sofferente. Gouenji lo conosceva da anni e c’erano ancora momenti come questo dove lo trovava imperscrutabile e non riusciva a capire cosa gli passasse per la testa. Mescolò l’acqua rimasta con il caffè solubile e si premette due dita sugli occhi, cercando di placare il dolore. Si sentiva uno straccio.

-Non è stato un problema.- La risposta di Kidou arrivò un po’ in ritardo, mormorata appena, -Come ti senti?-. Lo stava guardando in maniera un po’ troppo fissa rispetto al solito e, se Gouenji non fosse stato troppo impegnato ad odiare ogni fonte di luce e di rumore, si sarebbe forse potuto rendere conto del motivo.

-Uno schifo. Non voglio bere mai più.- Brontolò, mordendo di malavoglia un pezzo di pane tostato.

Vista da fuori, quella situazione aveva una nota profondamente domestica. La casa di Gouenji era vuota e silenziosa, le loro scarpe e le loro giacche erano abbandonate vicine all’ingresso; Gouenji era ancora a petto nudo, i capelli disordinati e umidi lasciati sciolti senza cura e gli occhi gonfi dal sonno. La colazione fumava sul piatto di Kidou e Gouenji realizzò solo più tardi che era la prima volta che cucinava qualcosa per l’altro ragazzo. Si erano visti appena svegli molto spesso, durante i viaggi per il Giappone e a Liocott, ma questa era la prima volta che erano da soli, in una situazione così confidenziale ed intima, e Gouenji riusciva a sentire una certa tensione nell’aria. Bevve un sorso di caffè. Rimasero in silenzio qualche istante, glorioso per il mal di testa di Gouenji. Poi Kidou raddrizzò la schiena, come riempiendosi di risolutezza, e allungò le dita sottili sui lati della tazza, tamburellando i polpastrelli.

-Gouenji. C’è una cosa che devo dirti.-

Che tono serio. Gouenji inarcò le sopracciglia, indicandogli con un cenno del capo di parlare e appoggiandosi al bancone della cucina.

-Noi siamo amici da tanto tempo. E non credo… di averti mai davvero detto quello che. Penso. Provo. Di—per te. È dal primo giorno che ci siamo incontrati che io… ti ammiro, molto. Sei una delle persone più autentiche che abbia mai conosciuto. La squadra non è più stata la stessa da quando sei partito. Ho… abbiamo sentito tanto la tua mancanza.-

Gouenji teneva mollemente la tazza di caffè fumante fra le mani e lo guardava, confuso e concentrato. Kidou era un suo caro amico, proprio come Endou, ma non c’era mai stato bisogno di esprimerlo così. Perché sentiva il bisogno di dirglielo adesso? Il suo sguardo intenso sembrava star mettendo Kidou sotto pressione, le sue guance diventavano sempre più rosse man mano che continuava a parlare.

-Quello che voglio dire è… Siamo cresciuti in questi anni, e sono successe molte cose, ma tu sei sempre rimasto. Per me. In me. I-Intendo che sei importante. Ecco. Ho sempre pensato che fossimo semplicemente piccoli, e beh sono cose che capitano no?, ma ora tu sei qui e rivederti è stato davvero stupendo e io. Lo penso ancora. Dovevo dirtelo. Sì.-

Kidou si fermò di colpo, dando l’impressione di star trattenendo il fiato. Gouenji continuava a fissarlo senza proferire parola: la testa gli pulsava e aveva ancora nausea, il caffè era stata una pessima idea. Non capiva dove Kidou stesse andando a parare, né perché ora lo stesse guardando come se stesse aspettando una risposta. I postumi della sera prima rendevano i suoi pensieri più lenti e confusionari del solito, e a dire la verità non avrebbe affatto voluto pensare in questo istante, né cercare di dare un senso alle parole di Kidou. Ma ovviamente quella testa in fibrillazione era pronta anche in una mattinata del genere a discorsi complessi, si ritrovò a pensare con affetto. Oh sì, anche lui aveva sempre ammirato Kidou profondamente.

Il suo silenzio doveva essersi protratto troppo a lungo, perché Kidou abbassò lo sguardo e si alzò di scatto come se si fosse bruciato. Aveva le guance rosse come dopo un allenamento intenso; con una pelle chiara e delicata come la sua, ogni arrossamento risaltava come su una tela bianca. Biascicò qualcosa riguardo al doversene andare, all’avere una lezione o un corso o qualche altro impegno, e andò all’ingresso a recuperare le sue cose praticamente di corsa. Gouenji fece giusto in tempo ad affacciarsi in cucina ed ricordargli stupito che non aveva un mezzo per tornare che rimase solo con il rumore della porta sbattuta dietro a Kidou. Probabilmente non aveva neanche preso il tempo di mettersi le scarpe come si deve. Gouenji rimase in piedi in mezzo al corridoio, spostando stupidamente lo sguardo dalla porta chiusa, al divano vuoto, al piatto della colazione ormai raffreddata e non toccata lasciata sul tavolo. Questo era davvero strano. Cosa diavolo era successo?

-Fanculo, Kidou.- Borbottò fra sé, lasciandosi cadere sulla sedia in cucina al suo posto e aggredendo la colazione avanzata.

Aveva mal di testa e la bocca impastata, sentiva la pelle appiccicosa per il sudore della sera prima che gli si era asciugato addosso e una stretta scomoda alla bocca dello stomaco. Se Kidou voleva essere strano, beh, chi era lui per impedirglielo. Kidou conosceva poco o nulla il tedesco e Gouenji non era certo che sapesse ritrovare la strada per il suo alloggio. Gli avrebbe telefonato fra un po’ per sapere se si era perso. In questo momento, l’unica preoccupazione che occupava la sua testa era la deliziosa doccia che lo stava aspettando.

*

Gouenji non pensò più allo strano discorso di Kidou di quella mattina. Verificò con un messaggio che l’altro ragazzo fosse arrivato a casa senza difficoltà e andò serenamente avanti con la sua giornata. Si fece una doccia lunga e rigenerante, cambiò le lenzuola e lavò i piatti (sentendo un certo dispiacere mentre svuotava la tazza di tè ormai freddo nel lavandino, chissà perché), indossò i vestiti più comodi che aveva e passò il resto della giornata a finire una relazione che avrebbe dovuto consegnare a breve per un corso, con la televisione accesa di sottofondo, sintonizzata sui canali sportivi giapponesi.

Furono i giorni successivi ad impensierirlo. Kidou sarebbe rimasto in Germania ancora per poco più di una settimana; avevano passato quei tre mesi attaccati uno al fianco dell’altro, vedendosi praticamente tutti i giorni, eppure nei giorni prima della partenza di Kidou riuscì a incrociarlo appena una manciata di volte. Il ragazzo sembrava tutto d’un tratto inaccessibile; Gouenji non era un ragazzo particolarmente appiccicoso, neanche con i suoi più cari amici, ma il contrasto con il resto della permanenza di Kidou era troppo netto per lasciarlo indifferente.

La goccia che fece traboccare il vaso fu il giorno della partenza di Kidou. Si erano salutati la sera prima, andando a cena insieme per la prima volta dopo quella notte al locale insieme. Tutto era sembrato tornato come al solito, avevano parlato e scherzato e Gouenji aveva realizzato quanto Kidou gli sarebbe mancato. Si trovava bene in Germania e aveva incontrato dei buoni amici, ma non provava con nessuno la confidenza e la tranquillità che sentiva insieme all’altro ragazzo. Aveva pensato ai lunghi pomeriggi al campo da calcio della scuola, a quella intesa di gioco che può nascere solo da anni nella stessa squadra, e poi alle passeggiate nel tramonto freddo di Berlino verso l’alloggio di Kidou, perché all’inizio Gouenji era certo che si sarebbe perso andandoci da solo e poi era diventata un’abitudine non detta. Non c’era nessuno con cui condividesse i silenzi con tanta comodità come con Kidou. Adorava Endou e Someoka, ma non c’era mai quiete con loro; stava spesso in silenzio con Fubuki, ma riusciva sempre a sentire il nervosismo di Shirou nel rimanere troppo a lungo in balia dei suoi pensieri e delle sue impressioni. Kidou era diverso. Non c’era nulla di performativo in sua compagnia, potevano entrambi semplicemente stare traendo reciproca tranquillità dalla presenza dell’altro.

Così si era svegliato di buon’ora, era passato a comprare dei dolci nella sua pasticceria preferita e si era diretto verso l’alloggio di Kidou. Era sicuro di trovarlo con le valigie già pronte, a ricontrollare per l’ennesima volta i cassetti perfettamente svuotati per essere certo di non essersi dimenticato nulla, e il pensiero di fare un’ultima colazione insieme lo riempiva di buon umore. Ma quando era arrivato il campanello aveva suonato a vuoto una, due, tre volte. Passati venti minuti aveva realizzato che probabilmente Kidou era già in aeroporto, senza avergli comunicato l’ora precisa del suo volo. Non avrebbe dovuto rimanerci così male, dopotutto si erano già salutati e questa sorpresa era stata un’idea all’ultimo minuto, tuttavia non poteva negare il peso della delusione sul suo petto e un nervosismo bizzarro per quella che sembrava, per qualche motivo, un’ultima occasione sprecata. Si ritrovò ad varcare i cancelli scolastici nella nebbia mattutina e a tirare pallonate dentro alla porta vuota in completa solitudine, fino a che non iniziarono ad arrivare i primi studenti più mattinieri e, infastidito dai loro sguardi curiosi, si ritirò negli spogliatoi deserti.

Era ora di pranzo quando ricevette la telefonata di Someoka. Lo stava aspettando: da quando si era trasferito in Germania, l’amico gli aveva fatto giurare di non sparire come suo solito e lo aveva costretto a fare voto di continuare a sentirsi. In qualche settimana avevano trovato un equilibrio fra il fuso orario e i reciproci impegni; Gouenji teneva le sue pause pranzo per Someoka, che a sua volta faceva in modo di finire gli allenamenti fra le sette e le otto di sera.

Rispose al telefono e il suono familiare della sua lingua madre lo fece subito sentire meglio. I tedeschi tendevano ad orbitare lontano da lui quando parlava giapponese e più di una volta era stato grato di questo effetto collaterale. Iniziarono a parlare del più e del meno, ma non ci volle molto perché Someoka si accorgesse del suo fastidio latente. Gouenji avrebbe volentieri spiegato all’amico cosa lo aveva irritato tanto, ma faceva fatica a capirlo lui stesso.

-Oggi Kidou è tornato a casa.- Disse semplicemente a mo’ di spiegazione.

-Lo so, Endou non fa che ripeterlo da giorni. Sei incazzato per questo?-

-Non sono incazzato.- Gouenji si alzò dal punto nel cortile dove si era seduto, infastidito dal gruppetto di ragazzi che si era messo a fumare poco distante. -È solo che… Kidou è stato strano. In questi giorni, intendo. Volevo capire cosa avesse ma non mi ha neanche detto a che ora se ne sarebbe andato.-

-Tu sei l’ultimo che può lamentarsi per una cosa del genere.-

-Ti riattacco il telefono, Someoka.-

La risata rumorosa e sgraziata dell’amico risuonò dall’altro capo della telefonata, facendogli roteare gli occhi.

-D’accordo, d’accordo. Come sei permaloso, cazzo. Che diavolo ti ha fatto Kidou?-

-Magari mi avesse fatto qualcosa, non sono neanche riuscito a vederlo questa settimana. Sembrava mi stesse evitando.- Gouenji aveva cominciato a passeggiare mentre parlava, faticava a stare fermo troppo a lungo. Conosceva Someoka tanto bene da non preoccuparsi di sembrare petulante. Mentre rifletteva ad alta voce, ripercorse gli eventi delle ultime settimane e che cosa avrebbe potuto far cambiare l’atteggiamento di Kidou in quel modo. -Ha cominciato… sì, ha cominciato dopo che l’ho portato una sera in un gay club.-

-Aspetta, aspetta, tu cosa ? Hai portato Kidou Yuuto, il nostro Kidou Yuuto, in un gay club e non mi hai detto nulla?!-

Il tono sconcertato di Someoka lo fece sghignazzare. -Non credevo ti interessassero queste cose, hai cambiato gusti?-

-Cazzo, Gouenji, deve essere stato uno spettacolo epico! Perché non hai fatto nessun video?-

-Te lo concedo, è stato divertente. Era imbarazzato a morte, non credo di averlo mai visto così fuor d'acqua.- Stava sorridendo ripensando agli eventi di quella sera, anche se Someoka non poteva vederlo: l’aria imbarazzata di Kidou sulla soglia di casa mentre aspettava che Gouenji lo venisse a prendere, il suo sconcerto nel vedere coppie di uomini fuori dal locale che si tenevano per mano, la sua postura controllata così fuori luogo in un posto pensato per ballare e sciogliere le inibizioni. Era stata davvero una bella serata. -Però non c’entra niente, quando si è ambientato si è divertito anche lui. Ho anche controllato che non gli si avvicinasse nessuno di poco raccomandabile. Cazzo, dopo quello che è successo con Fudou ci mancava solo che qualcuno glielo appoggiasse in discoteca. No, la serata è andata bene, l’unica cosa…- Fece una smorfia di imbarazzo ripensando con più attenzione a quella sera. -Markus e gli altri hanno offerto dei giri di shottini e ho bevuto più del solito. Kidou mi ha riportato a casa, e lo sai come sono quando mi ubriaco, neanche mi sono accorto di nulla fino alla mattina dopo. Si è fermato a dormire da me, comunque. Poi quando mi sono svegliato mi sono sentito in colpa e gli ho preparato la colazione per scusarmi. Allora Kidou ha cominciato a dire un sacco di cose strane, e, uh, poi se n’è andato. Così, senza neanche mangiare quello che gli avevo preparato.-

Silenzio totale dall’altro capo del telefono.

-Someoka? Ci sei?-

-Fammi capire, Gouenji. Ti sei fatto Kidou?-

-Cosa? Ma non dire stronzate!-

Sentì Someoka sghignazzare. -Oh, non so. Vai in un gay club con lui, alzi il gomito, ti fai portare a casa, rimane a dormire da te e gli prepari la colazione. Non sono un esperto di corteggiamento fra uomini, ma per quel che ne so questi sono gli step di una notte di sesso fra ubriachi.-

-Fai il serio per un momento, diavolo. Mi fai pentire di raccontarti queste cose.- Gouenji sbuffò leggermente. -E non era una cosa così fraintendibile, stai travisando la situazione. Pure tu hai dormito da me dopo una festa una volta.-

-Certo, ma poi abbiamo mangiato patatine avanzate sul fondo di una busta e gatorade e abbiamo giocato a calcio in mutande di nascosto sul retro per non farci vedere dalla tua vicina. Mi hai descritto una situazione un po’ diversa.-

-Mh.- Someoka non aveva tutti i torti, vedendo la situazione in questo modo.

-Che cose strane ha detto Kidou?-

-Mah, qualcosa tipo che mi ammira e tiene a me e che manco alla squadra.- Gouenji si passò una mano fra i capelli. Si stava sentendo abbastanza un idiota e ora più di prima avrebbe voluto poter rivedere Kidou per chiarire questa faccenda. Non poteva certo chiamarlo o scrivergli per parlare di queste cose, dopotutto. -Non ci ho capito molto, mi sembrava confuso.-

-Il tuo fascino lo ha steso, dovresti esserci abituato.- Scherzò Someoka.

-Seh, come no. Piuttosto, sei riuscito a perfezionare quella tecnica?-

Parlarono d’altro per il resto della telefonata, fino a che la campanella che annunciava la ripresa delle lezioni non li interruppe. Gouenji tornò alla sua aula e alla sua routine, ma si ritrovò a pensare a Kidou sempre più spesso. Per tutti i mesi che passarono, riceveva notizie dell'altro ragazzo dal gruppo che condividevano con tutti i membri della squadra; pensò spesso di scrivergli, o di telefonargli, ma non gli sembrava il modo adeguato, non gli sembrava giusto. Tutti i membri dell’Inazuma gli mancavano, ma Kidou, scoprì, gli mancava particolarmente. E ovviamente dovette subire le prese in giro di Someoka, che non smise più di rinfacciargli il trattamento da principessa che aveva riservato al loro compagno.

E in mezzo allo scherzo, piano piano, il pensiero di farlo per davvero cominciò a non risultargli più così bizzarro…



author's corner
Grazie a chiunque leggerà, ogni commento è ben accetto <3
Avevo fisico bisogno di scrivere qualcosa su questa coppia. Seguo Inazuma Eleven da quando avevo dodici anni e questa storia sarà l'unione di tutti gli headcanon che ho costruito negli anni. Mi sono divertita moltissimo a scriverla e spero anche voi a leggerla.
E sì, sarà imbarazzante esattamente come sembra. Sono due adorabili disastri.

Ritorna all'indice


Capitolo 2
*** Con chi parlare delle proprie pene d'amore ***


-Posso metterci una pietra sopra, okay? Non è una cosa così difficile. In fondo. Sì ecco, devo-Posso! Metterci una pietra sopra. Io..-

-Kidou. Please, dammi tregua. Stai blaterando da mezz’ora, sei un disco rotto! Quella birra la finisci?-

Kidou esasperato crollò sul tavolo, lasciando ricadere il capo fra le braccia. Fudou sghignazzante si portò il boccale di birra dell’altro alle labbra.

Da quando Kidou era tornato in Giappone, non c’era verso di farsi spiegare con esattezza cosa fosse successo con Gouenji. Era e vidente che qualcosa fosse successo, ma, per chissà quale recondito meccanismo di rimozione, Kidou non sembrava in grado di comunicarlo. Continuava solo a dire di doversi prendere una pausa dal calcio agonistico, concentrarsi sugli studi e altre cose noiose da Kidou Yuuto. Fudou era febbricitante di curiosità, ma al contempo doveva cercare di controllarsi, perché il suo ex era estremamente fragile in quel momento e una distrazione gli sarebbe costata una ricaduta. No, decisamente avevano stabilito che non avrebbero fatto di nuovo sesso.

Lui e Kidou erano stati insieme per poco più di un anno, dopo il Football Frontier International. Non era stata una sorpresa per nessuno, già come compagni di squadra avevano intesa e si punzecchiavano in un modo che effettivamente dava fastidio solo a Sakuma, non certo a loro due. Alla morte di Kageyama si erano ritrovati a condividere molto, notti insonni passate al bordo del campo, a dar calci ad un pallone per sfogare la frustrazione dell’impotenza di fronte a un evento così grande e spaventoso. Dopo il diploma avevano iniziato a uscire insieme, si davano conforto e si spalleggiavano in quello che era il vasto mondo adulto che si apriva di fronte a loro, con tutte le responsabilità, rischi e bivi che la crescita comporta. Avevano scoperto i rispettivi corpi e avevano indagato i sentieri del piacere, tanto inesplorati da una parte come dall’altra. Visti da fuori non potevano sembrare più diversi: tanto elegante e composto il primo, quanto scapestrato e irruento il secondo. Eppure stavano bene, si graffiavano e si leccavano le ferite subito dopo, in un modo giocoso e supportivo, che i loro amici in comune rispettavano.

Kidou aveva avuto paura quando si era trattato di parlarne con suo padre: Fudou per l’occasione aveva stupito Yuuto presentandosi a casa sua con dei vestiti comprati apposta, una camicia ben stirata, un pantalone scuro dal taglio dritto e l’orlo ben fatto e delle scarpe nuove lucide. Non si capiva se volesse fare bella figura lui o volesse farla fare a Yuuto. Il ragazzo si era commosso, suo padre era entrato in quel momento nella stanza e li aveva trovati abbracciati. Suo figlio gli dava le spalle e singhiozzava appoggiato a Fudou. Il signor Kidou aveva visto gli occhi grigi di Akio, il modo in cui accarezzava la nuca del suo ragazzo e non c’era stato bisogno di dire altro. Si erano abbracciati e il signor Kidou aveva detto: -A me importa solo che state bene. Perciò divertitevi e non cacciatevi nei guai, ragazzi.-. A Fudou, che se l’era immaginata cento volte, rigirandosi nel letto, quella scena era parsa così naturale e semplice che quasi, a cose fatte, non si capacitava che fosse successo davvero.

Ma era successo ed erano stati insieme per parecchi mesi. Con il passare del tempo, però, era apparso evidente che in loro la complicità e l’affetto erano superiori alla tensione romantica. Erano poco compatibili dal punto di vista fisico, si godevano la compagnia l’uno dell’altro nella sicurezza di avere qualcuno al fianco, di non essere soli con quella etichetta – omosessuale, gay, finocchio - così ingombrante a volte da portarsi appresso. Così Fudou un giorno aveva preso Kidou in macchina e l’aveva portato a fare una lunga passeggiata. Avevano parlato di tante cose, si erano vomitati addosso le rispettive ansie, avevano fatto l’amore un’ultima volta, lì, come l’avevano fatto tante volte, con i sedili abbassati e i finestrini appannati. E poi aveva detto “ basta ”.

L’aveva detto a se stesso, per se stesso, perché si desse la possibilità di essere felice davvero. E l’aveva detto anche a Kidou, per Kidou, perché ammettesse la verità. E la verità era che lui non faceva che parlare di Gouenji: era Gouenji quello a cui pensava quando si addormentava, era Gouenji quello a cui voleva scrivere, era Gouenji quello che voleva baciare. Quel tardo pomeriggio aveva spiazzato Kidou, l’aveva fatto arrabbiare, ma aveva solo detto la verità. E per quanto lì per lì volesse negare, -Non hai fatto altro che negare per tutta la vita, Yuuto, smettila, per una volta sii onesto con te stesso, cazzo.-, Kidou alla fine aveva ceduto e aveva ammesso di avere una cotta (e che cotta!) per Gouenji Shuuya, fin dai tempi del Football Frontier.

Fudou l’aveva spedito a calci su quel dannatissimo aereo, promettendogli che l’avrebbe ascoltato, quando fosse tornato. Ma non avrebbe più fatto sesso con lui. E così eccoli lì, in un bar a bere birra sovrapprezzata, con Kidou che continuava come un disco rotto a dire di doverci mettere una pietra sopra - ma a cosa? quando? e soprattutto perché? – e lui che ripensava a quando facevano sesso. No maledizione, no ! Aveva imposto a se stesso di volersi più bene, di avere il coraggio… di non avere paura del nuovo. Che poi a Kidou voleva bene, un sacco di bene, e gli dispiaceva vederlo in quello stato... Però si doveva proprio svegliare.

-Ripetimi ancora una volta, di grazia. Cos’è che gli hai detto ?-

-Gliel’ho detto, okay? Ne abbiamo parlato. Io gliene ho parlato. Ne è stato parlato.-

- Ne è stato parlato ?! Kidou, ma ti senti quando parli?-

-Ascolta, quel che è fatto è fatto. E poi sono tornato.-

-Eh già. – un altro sorso di birra. Molto piacevole. Uno schiocco di lingua contro il palato. – Ma prima di tornare, insomma, lui cos’ha fatto?-

-Niente. Proprio niente. Ma devo metterci una pietra sopra, è evidente.-

-La pietra te la do io in testa, se non la pianti di dire così!- sbuffò Akio, buttando la schiena all’indietro e cominciando a dondolare sulla sedia.

-No, ti prego, dai, che quando fai così mi viene l’ansia.-

-Ansia di cosa? Che mi spezzi la schiena cadendo all’indietro?-

-Non sei divertente, Akio, piantala.-

-Non perdiamo il focus, Yuuto-kun.-

Kidou sbuffò in risposta, senza avere più niente da aggiungere. Ma Fudou non era disposto ad arrendersi.

-Se con me sei a disagio a parlarne, perché non ne parli con Endou?-

-Con Endou ? Come fa a sembrarti una buona idea, esattamente?!-

-Ehi ehi, babe, non ti scaldare. E’ un tuo amico del cuore, bff e quelle minchiate lì, e poi conosce Gouenji!-

-Appunto.- Kidou gli lanciò un’occhiataccia e chiamò dell’altra birra.

-Smettila di fare il poser, non ti piace la birra come non ti piace il caffè come non ti piace fumare come non- Kidou interruppe quello sproloquio tirandogli un pugno in testa.

-Ehi! Non era molto affettuoso questo!-

Yuuto di rimando buttò giù un lungo sorso di birra, sporcandosi le labbra con la schiuma ambrata. Akio cercò di non notarlo.

-Okay, va bene, ti fa ansia parlare con Endou. Però secondo me non è una brutta idea…-

-Dai, scherzi a parte, sai com’è Endou. Non capirebbe, lui…- L’espressione di Kidou si fece più infantile e corrucciata, sembrava davvero averci pensato, all’eventualità di confidarsi con Endou, e Akio pensò che stare nella sua testa anche solo per mezza giornata avrebbe fatto venire la nausea a chiunque. Nel frattempo Kidou stava continuando ad esporre le sue perplessità ansiose - Insomma, vuole bene ad entrambi, siamo compagni da un sacco di anni, mi rifilerebbe qualche discorso appassionato sul potere dell’amicizia e su quanto sono importanti dei legami come i nostri, e poi… io… E poi ora che esce con Natsumi…-

-Oh, suvvia, Yuuto! Come se Endou fosse in grado di concepire una malignità del genere! Non avrai mica paura di…-

-Ma no, ma no! Però non mi va, ecco.-

-Mh. – Fudou appoggiò il mento sul palmo della mano e il gomito al tavolo, pensieroso. – E che mi dici di Haruna?-

-Ah certo, dalla padella alla brace! Pronto?! Pianeta chiama Akio, è mia sorella!-

-E con ciò?-

-E’ una donna.-

-Fino a prova contraria…-

-Piantala! E poi, insomma… Non viviamo insieme.-

-Non apriamo questo argomento, per favore, ho il latte alle ginocchia al solo pensiero.-

-Fanculo.-

-Non un altro pugno in testa, no! - si scansò appena in tempo, ridendo come un bastardo. – Va bene, Haruna esclusa. Guarda che però lei ti ascolterebbe, ne sono sicuro.-

-Ma sì, magari sì, ma è imbarazzante… Cosa le vado a dire? Mi piace Gouenji, mi sono dichiarato e lui ha fatto finta di niente?!-

-Aaah quanto avrei voluto essere stato una moschina in quella stanza in quel momento per assistere alla scena!-

-E’ tutta colpa tua, mi evitavo volentieri questo casino.- borbottò Kidou, ma Fudou fece finta di non averlo sentito, troppo impegnato a piluccare le patatine, prendendo quelle che non si erano sporcate di salsa.

-E i tuoi amichetti? Loro che dicono?-

-Mh? Chi sono i miei amichetti?-

-Ma il dolce Sakuma, ovviamente, e compagnia al seguito!-

Kidou si massaggiò le tempie e Fudou si sentì in un certo qual modo appagato. Era sempre divertente fargli perdere le staffe.

-Li conosci quella della Teikoku… Sono pure cari amici, ma non posso lamentarmi granché con loro, tendono a … fraintendere? Hanno un approccio alla risoluzione dei problemi piuttosto fisico…-

-Ah, si dice così adesso? Cazzo, quella volta che ho fatto tardi per portarti al cinema e hai avuto tempo di mostrarti turbato di fronte a Sakuma e Genda, non sono riuscito a muovere il braccio per tre giorni! –

Kidou si lasciò sfuggire un risolino teso dalle labbra. Fudou era sicuro che, molto in fondo, celasse un certo appagamento per quell’atteggiamento protettivo che dimostravano i ragazzi della Teikoku per quello che, nonostante tutto, continuavano a considerare il loro capitano. Era totalmente un mistero come fosse riuscito un tipetto mingherlino e saccente, il classico quattrocchi secchione sfigato, a guadagnare il rispetto di scimmioni del calibro di Genda e Daiki.

-Sì, insomma, con loro proprio non posso parlare di pene d’amore. Fraintenderebbero e affitterebbero un jet privato per arrivare armati a casa di Gouenji e pestarlo.-

-Questa fantasia ti eccita notevolmente, eh Kidou Yuuto?!-

Kidou rise, in maniera più sciolta questa volta. Parlarono d’altro per il resto della serata, poi, ad un certo punto, controllato l’orario, Kidou si alzò, pagò il conto per entrambi e ringraziò Fudou per averlo ascoltato.

Disse un’ultima volta che doveva metterci una pietra sopra, come aveva fatto lui. Gli offrì un passaggio fino a casa, ma Fudou declinò l’invito e rimase sul marciapiede a guardare Kidou, con il suo mantello e i suoi dreads raccolti, svoltare l’angolo e sparire. Era strano pensare che, in fin dei conti, nonostante tutto, Yuuto sentisse di potersi confidare così solo con lui. Fudou sentì uno strano calore nel petto a causa di questa consapevolezza: non sapendo come gestirla, prese il telefono e scrisse di getto un messaggio per infastidire Sakuma. Prima di inviarlo lo lesse, ripensò alle parole della psicologa durante l’ultima seduta che avevano fatto e cancellò tutto quello che aveva scritto. Buttato il telefono nella borsa, si incamminò verso casa.




author's corner
Ciao a tutti! Capitolo più breve del precedente, non assicuro costanza nella lunghezza dei capitoli.
Incontriamo il nostro Fudou, posso anticipare che le pene d'amore non saranno riservate alla nostra coppia principale (ma penso possiate intuirlo tranquillamente).
Rispetto al rapporto di Kidou con i ragazzi della Teikoku, sono piena di headcanon e molti li potrete vedere nel corso dei capitoli. Tuttavia, la maggioranza dei dettagli non saranno in questa storia: ho in cantiere un altro progetto dove analizzerò meglio le loro dinamiche, che forse prima o poi vedrà la luce.
Grazie a chi legge, a presto <3

Ritorna all'indice


Capitolo 3
*** Colpo di fulmine? ***


Gouenji era in ritardo.

Sul serio, era un difetto su cui avrebbe dovuto lavorare. Non che, di per sé, gli piacesse farsi aspettare, né che fosse una persona particolarmente disorganizzata. Credeva sempre di essere in orario, poi tante piccole cose cominciavano ad accumularsi e in un attimo l'orario del suo impegno era passato da diverse decine di minuti.

Il cielo stava già imbrunendo quando uscì di casa, allungando il passo in una piccola corsa fino al cancello. Yuuka aveva insistito tanto perché le sistemasse i capelli e Shuuya era fisicamente incapace di negare qualcosa alla sua sorellina; le trecce che era riuscito ad intrecciarle sulla testa dopo un penoso quarto d’ora erano tremende, ma almeno la ragazzina sembrava soddisfatta. E se, vedendo di essere già in ritardo, Gouenji era tornato indietro per verificare di nuovo allo specchio la resa del suo outfit, beh, questo non l’avrebbe saputo nessuno.

Si era preso il suo tempo per controllare ancora il taglio dei pantaloni bianchi e dritti sulle sue gambe, il modo in cui la t-shirt nera abbracciava i bicipiti e i pettorali che la crescita e il regime di allenamento avevano livellato. Portava ai polsi bracciali neri e con pietre pendenti, bigiotteria da bancarelle che aveva comprato la sua prima settimana in Germania e da cui non si era più separato; al collo una sottile catenella d’argento, che faceva risaltare in modo sorprendentemente ipnotico la sua carnagione scura. Aveva smesso di sistemarsi i capelli con il gel, preferendo lasciarli cadere naturalmente lisci; la coda bassa distoglieva l’attenzione dalla tinta blu che aveva fatto alle punte appena qualche giorno prima, novità a cui doveva ancora del tutto abituarsi. Fra le ciocche di capelli lasciati liberi dalla coda scintillava un orecchino, che Gouenji moriva dalla voglia di cambiare appena fosse guarito del tutto.

Gouenji era sempre stato consapevole di essere un bel ragazzo, non ne aveva mai fatto mistero; tuttavia durante i suoi anni in Germania aveva iniziato a mettere più cura e impegno nel modo in cui appariva. Markus diceva che ogni sedicente eterosessuale passasse attraverso quella fase quando scopriva la propria sessualità e Shuuya avrebbe anche potuto accettare quella versione dei fatti.

Ma la verità era che ritornare in Giappone era stato più difficile di quanto avesse previsto. Rivedere tutti i suoi compagni dopo tre anni gli dava una strana sensazione di malinconia e di nervosismo. Aveva sentito terribilmente la mancanza della sua famiglia, d’altro canto si era abituato a vivere da solo e a non dover rendere conto a suo padre dei suoi orari e delle sue abitudini. Il Giappone sarebbe sempre stato la sua casa, ma con i mesi i suoni aspri del tedesco, che aveva imparato fin da piccolo da sua madre, avevano iniziato a srotolarsi con scioltezza sulla sua lingua e i cieli di Berlino erano diventati familiari, comodi. Adesso la sua valigia era ancora aperta sul pavimento della sua stanza e, nonostante ci inciampasse dentro tutte le mattine, non riusciva a trovare la forza di disfarla del tutto. Aveva ritrovato nel suo armadio vecchi vestiti che non avrebbe indossato più, un quaderno della scuola media abbandonato nel fondo di un cassetto, un ciondolo a forma di cuore nel suo mazzo di chiavi, regalo di una ragazza di cui faceva fatica a ricordare con precisione il viso. Erano come i fili di una vecchia vita e Gouenji non era abituato ad essere diviso in due, a sentire spaccature e bordi sfilacciati da ricucire. Si stava ancora adattando e qualche volta aveva l’impressione di essere l’impostore di se stesso – specialmente quando mangiava dall’altro capo del tavolo rispetto a suo padre e pensava alla bocca di Markus e alle sue mani pesanti e ogni briciola di coraggio moriva sulle sue labbra prima che si potesse decidere a parlare.

Non avrebbe dimenticato la strada verso casa di Endou neanche dopo decine di anni e quel pensiero lo faceva sorridere. Era già tornato a casa da un paio di settimane e aveva discretamente recuperato tutto il tempo lontano da Mamoru: il suo migliore amico non era mai stato conosciuto per la sua moderazione e Gouenji aveva passato ben volentieri giornate intere in sua compagnia, ad ascoltare le sue chiacchiere entusiaste. Endou aveva voluto organizzare una festa di bentornato e non si sarebbe fatto dissuadere per nulla al mondo. Aveva invitato tutta la squadra ed era proprio a quella festa che Gouenji si stava dirigendo, in ritardo di una buona quarantina di minuti; nulla a cui i suoi compagni non fossero abituati, dopotutto.

Venne accolto da un coro di esclamazioni festose e subito Endou si fece avanti per intrappolarlo in un abbraccio. Tante cose erano successe in quegli anni, ma i suoi compagni avevano il potere di fargli sembrare che niente cambiasse mai davvero. Gli sembrava di essere tornato ad Okinawa, con il sole rovente sulla testa e il cuore che esplodeva nel petto, perché non importava mai per quanto tempo sarebbe stato lontano, Endou e gli altri lo avrebbero sempre aspettato con le braccia spalancate e lui avrebbe sempre corso attraverso città intere per aiutarli, per combattere con loro. Mamoru, splendente come il sole, aveva ragione dopotutto: la forza della loro squadra, della loro amicizia, stava tutta lì.

Gouenji non fece nessun discorso strappalacrime, né disse a nessuno di loro quanto gli fossero mancati e quanto riuscissero sempre a farlo sentire a casa, a volte più della sua famiglia. Non era nel suo stile. Tornò semplicemente ad inserirsi nelle dinamiche del gruppo, con naturalezza strabiliante, un pezzo di puzzle che scivola senza frizione al suo giusto posto.

Si erano tenuti in contatto attraverso i social, ma solo adesso, vedendoli in carne ed ossa, Gouenji poteva notare tutti quei dettagli che erano cambiati. Endou aveva una spolverata di barba mal rasata sul mento e la morbidezza infantile delle sue guance era andata asciugandosi in tratti più virili, più adulti. Someoka era cresciuto di botto da un anno a questa parte, asciutto e muscoloso svettava su Gouenji di qualche decina di centimetri e ne era particolarmente deliziato. Haruna si era fatta crescere i capelli e aveva cambiato montatura di occhiali; sebbene il suo sorriso allegro ed espansivo non fosse cambiato di una virgola, era diventata una bellissima giovane donna e Gouenji abbracciandola provò un intenso moto di affetto per la sua parlantina squillante. Persino Kazemaru non somigliava più al ragazzo mingherlino e scattante dei suoi ricordi: aveva ripreso con costanza i suoi allenamenti di atletica, ritornando ad esplorare la sua vecchia passione, e aveva gradualmente perso quell’energia nervosa che pervadeva i suoi movimenti. Gli presentò calorosamente la ragazza vivace e spigliata che gli era seduta accanto: Shimono Michi, la sua fidanzata fin dalla prima superiore. Di tutta la tavolata, Kazemaru era l’unico ad avere una ragazza al suo fianco e, dal modo sornione con cui la sfoggiava, ne sembrava intimamente soddisfatto. Gouenji soppesò la coppia con qualche occhiata discreta ma attenta e valutò che, in effetti, la loro intesa sembrava ostentata. Decise comunque di farsi i fatti propri e non commentare né indagare.

Ma la persona che di più attirò la sua attenzione fu Kidou.

Ora, Gouenji ci aveva messo qualche anno a capire davvero che gli piacessero gli uomini quanto le donne. Appena era arrivato in Germania ed era entrato nella squadra di calcio della scuola, era rimasto sconcertato dalla tranquillità con cui i suoi compagni parlavano dei loro orientamenti sessuali. Gouenji neanche immaginava che esistessero così tanti modi di vivere la sessualità e la prima volta che aveva baciato un ragazzo era stato quasi per scherzo, per gioco, non ci aveva dato troppo pensiero. Era sempre uscito con le ragazze in questo modo, più per lusinga e passione che per affetto nei loro confronti, senza mai pensare a fondo a quanto e come gli piacessero o se volesse davvero avere una relazione con loro, e scoprire di poter uscire allo stesso modo anche con i ragazzi non era stata una notizia troppo complicata da digerire. Un giorno, al telefono, aveva detto a Someoka: -Penso di essere bisessuale.- con indifferenza, nel mezzo di una conversazione qualunque, e aveva pensato che la questione fosse risolta. Arrivare a realizzare concretamente la sua attrazione per i maschi era stato un altro paio di maniche, specialmente perché Gouenji non era tipo da fermarsi a pensare troppo a lungo ai propri sentimenti.

Markus era stato suo compagno di scuola solo per il primo anno in Germania, fratello maggiore del portiere della squadra di calcio scolastica; arrivava spesso in macchina dopo gli allenamenti e dava un passaggio al fratello minore e a qualche altro amico della squadra per andare a prendere una birra o perdere tempo in sala giochi. Shuuya aveva capito di piacergli quando Markus l’aveva accompagnato dal negozio di piercing in centro nonostante fosse ancora minorenne e si era offerto di firmare al suo posto. Con il dolore sordo e soddisfacente del nuovo orecchino al lobo dell’orecchio, Gouenji si era fatto baciare in piedi fuori dal negozio, il braccio forte di Markus intorno alla sua vita aveva acceso un nuovo tipo di passione nella sua pelle. Erano stati insieme appena qualche mese, neanche il tempo per abituarsi a pensare all’altro come al suo ragazzo: non lo aveva detto a nessuno dei suoi amici in Giappone, neanche ad Endou, ma da lì era stata una strada in discesa nel rendersi conto esattamente di quanto i maschi catturassero il suo sguardo e di quanto diverso fosse rispetto ad apprezzare una femmina.

Così, posando gli occhi su Kidou dopo più di un anno in cui non lo vedeva, non fu una sorpresa sentire il battito accelerare nel suo petto e la bocca farsi improvvisamente secca perché era un ragazzo. Fu una sorpresa perché si trattava di Kidou Yuuto, uno dei suoi migliori amici.

Aveva abbandonato entrambi i suoi accessori irrinunciabili: il mantello rosso non celava più le sue spalle sottili, la sua figura esile e delicata non era più camuffata. I suoi capelli erano più lunghi rispetto all’ultima volta che l’aveva visto, superavano appena le spalle ed erano raccolti in uno chignon basso, disordinato e morbido. Sul suo naso, un paio di occhiali da vista in sottile montatura d’acciaio, modesti e raffinati; i grossi occhialini sportivi azzurri non disturbavano più la bellezza del suo viso, pallido e liscio come quello di un nobile. Gouenji si ritrovò a deglutire e a distogliere di scatto lo sguardo quando gli intensi occhi rossi di Kidou incrociarono i suoi, perché maledizione, non poteva farsi beccare a fissarlo, che diavolo gli stava prendendo?!

Kidou era diventato un bel ragazzo, d’accordo. Era suo amico, era molto contento per lui. Poteva oggettivamente notare quanto pochi dettagli avessero cambiato completamente il modo in cui appariva, in maniera platonica, completamente. O forse la curva del suo collo era sempre stata così invitante, forse le sue labbra erano sempre state così ipnotiche, forse quel delizioso punto fra la clavicola e la spalla era sempre stato perfetto per depositarvi un succhiotto vermiglio e lui semplicemente non l’aveva mai notato? Oggettivamente, insomma.

Oh, al diavolo. Era oggettivamente fottuto, altroché. Provò a convincersi a mantenere la calma, distogliere lo sguardo e godersi la compagnia dei suoi amici. Ci riuscì, per una buona parte della serata. Quando Kidou parlava il suo cuore accelerava sospettosamente, ma fortunatamente non era qualcosa che gli altri avrebbero potuto notare. Non era la prima volta che passava del tempo con una persona estremamente attraente e questa persona dopotutto era un suo caro amico da sempre, poteva farcela. Era la prima volta che gli succedeva con un ragazzo, in effetti, ma non poteva essere poi molto più difficile. Calma e profilo basso.

Seduto dall’altra parte del tavolo rispetto a lui, Gouenji stava in silenzio, lo guardava e si chiedeva che cosa fosse successo, nell’anno in cui non avevano più parlato a tu per tu. Kidou stava seduto fra Haruna e Domon, composto come suo solito; la linea delle sue spalle era rilassata, suggeriva una confidenza che Gouenji non aveva visto spesso su di lui. Sembrava cresciuto, cambiato; Shuuya si ritrovò affascinato da tutti i nuovi dettagli che poteva intuire, pezzi nuovi in un quadro che conosceva bene. Non era passato poi così tanto tempo dai mesi che avevano passato insieme: chissà cosa era successo, che cosa aveva scatenato un cambiamento così grande. Gouenji era una persona riservata, silenziosa, timida alle volte: eppure moriva dalla voglia di domandare a Kidou chi fosse adesso, come quei tre anni l’avessero cambiato.

Gouenji non aveva più pensato granché al periodo in cui Kidou era venuto in Germania. Era stato bello rivederlo, certo, fantastico anzi: Yuuto era uno dei suoi migliori amici e averlo vicino per qualche mese, poter parlare la sua lingua senza l’ausilio di un telefono, ritrovare le loro routine familiari era stato immensamente piacevole. Quando Kidou era ritornato in Giappone non si erano più sentiti molto, se non attraverso il gruppo condiviso con Endou e i membri storici della squadra. All’inizio Someoka aveva trovato il racconto della disastrosa serata al gay bar divertentissimo: per mesi aveva continuato a fare battute su quella occasione, insinuando che fosse andato a letto con Kidou, che le sue capacità da seduttore conquistassero tutti, che gli avesse riservato un vero trattamento da principessa. Gouenji era abituato al senso dell’umorismo crudo di Someoka ed era stato di buon grado al gioco; quando i suoi scherzi diventavano troppo pesanti, Shuuya lo rimbeccava dicendogli di pensare alla sua di vita sessuale, fin da piccoli meno movimentata della propria. Piano piano l’entusiasmo della novità si era esaurita e Someoka aveva smesso di tirare fuori così spesso quello scherzo: non pensava sul serio che fra i due amici ci fosse stato qualcosa, era solo una situazione che lo faceva ridere.

Così, quando sentì il commento di Someoka, fu come una secchiata d’acqua gelida sulla schiena.

-Allora, Gouenji-kun, ora che sei tornato, preparerai la colazione romantica per tutti quanti o continui a fare preferenze?-

Non poteva credere che l’avesse detto davvero. Gouenji non arrossiva spesso, ma in quel momento sentì scottare dall’imbarazzo le guance. Impossibile che non si vedesse da fuori. Assestò un dignitosissimo calcio allo stinco di Someoka, facendolo sobbalzare con un lamento e lagnarsi ad alta voce. Un commento di Shourin e tutta la tavolata si mise a ridere; provvidenzialmente Endou depositò in quel momento un piatto strabordante di bistecche appena grigliate sul tavolo e la conversazione deviò da quello scherzo a cui nessuno diede peso. Solo Endou era a conoscenza di quella serata, a parte Someoka, ma lui non aveva visto la minima ambiguità in quella situazione; quando gliene aveva parlato, era stato dell’idea che Kidou avesse avuto bisogno di tempo per metabolizzare la rottura con Fudou e che probabilmente passare la serata in un gay bar non fosse stato ciò di cui aveva bisogno.

Anche Kidou, tuttavia, pareva ricordarsene molto bene. Abbassò lo sguardo sul suo piatto e prese a mordicchiarsi l’interno della guancia. Per qualche imbarazzante secondo, entrambi i ragazzi si guardarono di sottecchi. Diamine, Gouenji non riusciva proprio a capire perché una battuta stupida di Someoka, detta in quel modo davanti a Kidou, gli stesse facendo voglia di seppellirsi sotto terra o di scappare all’istante da quella sedia. Facendo appello alla sua risolutezza, alzò lo sguardo, tenendolo fisso sul viso di Yuuto, finché non riuscì ad incrociare i suoi occhi.

Si guardarono per qualche breve, immenso istante. Gouenji sentì distintamente lo stomaco stringersi, per sua assoluta sorpresa. Kidou lo guardava come se volesse scusarsi con gli occhi, chissà per quale motivo; con timidezza abbozzò un sorriso, a cui Shuuya rispose con tutto il calore di cui era capace.

Sì, erano decisamente successe delle cose nella vita di Kidou da quando erano confidenti e Gouenji sentì dentro di sé, passionale e profondo, il desiderio di conoscerle tutte. Rivoleva uno dei suoi migliori amici vicino, come non era da anni. Ma Gouenji aveva diciotto anni ed era giovane ed era nuovo ai sentieri dell’amore, ai loro tornanti e alle loro scorciatoie… Non sapeva, in quel momento, mentre guardava gli occhi rossi, imbarazzi e luminosi di Kidou, che quel desiderio lo avrebbe condotto su una strada ben chiara. Molto diversa da un’amicizia.

author's corner

They are so gay (derogatory) (affectionate)

Qualche nuovo personaggio, nessuno degli OC sarà fondamentale alla trama, ma mi ci sono già affezionata. Watch out per Michi, signori.

Nel prossimo capitolo, vedremo se il fascino di Gouenji è davvero infallibile come dice Someoka, e se Kidou si è ripreso dal ""rifiuto"" del suo biondino.

Come sempre, grazie a tutti quelli che leggono! <3

Ritorna all'indice


Capitolo 4
*** Gouenji sbaraglia la concorrenza ***


Gouenji stava gradualmente impazzendo e, allo stesso tempo, non avrebbe potuto essere più felice di così. Innamorarsi di Kidou era stata una lenta, progressiva e meravigliosa discesa: si era sempre reso conto di cosa stava succedendo, non c’era mai stata qualche svolta brusca o tornante nauseante, ogni buca nel terreno era stata sempre illuminata e Gouenji avrebbe potuto voltarsi indietro e cambiare direzione tutto il tempo. Non l’aveva fatto.

L’attrazione fisica non era stata che la scintilla che accendeva la miccia. Kidou era arguto, divertente senza che si impegnasse ad esserlo, sapeva essere sarcastico con un’impenetrabile espressione seria e, proprio come lui, mostrava il suo affetto senza doverlo annunciare a parole: ascoltava per ore Sakuma sfogarsi su questo e su quello, dava corda con un sorrisetto ad ogni racconto entusiasta e pieno di esagerazioni di Genda, sopportava con piacere le provocazioni di Fudou, mai si sarebbe perso una partita di Endou. Gouenji si era interessato a lui in silenzio, da quando era tornato dalla Germania ogni giorno un po’ di più. Le sue espressioni. Quei piccoli sorrisi, quasi segreti, timidi, di quando era felice e sembrava volesse che nessuno se ne accorgesse troppo. Il modo in cui stringeva le labbra quando qualcuno gli stava dando sui nervi. Che cosa ordinava in caffetteria. Se preferiva i libri a copertina rigida o morbida. Il suo genere di musica preferito. Il movimento con cui sistemava gli occhiali quando gli scivolavano sul naso, frequente anche quando non era necessario, per l’abitudine che aveva a sentire gli occhialini sportivi sempre al loro posto. Mangiava poco in pubblico, studiava frequentemente di notte. L’odore della sua crema per le mani alla mandorla, che usava per coprire il sentore di sigaretta dalle dita. Gouenji passò mesi ad osservarlo, ad imparare in silenzio tante piccole cose su di lui, e quel torcersi caldo del suo stomaco non fece che aumentare intorno a Yuuto.

Era stato confuso, naturalmente. Gouenji non si era mai innamorato, non per davvero. Aveva avuto qualche cotta, qualche ragazza gli era piaciuta molto, ma niente che aveva provato era paragonabile alla meraviglia, all’adorazione che sentiva crescere più tempo passava intorno a Kidou. Il desiderio di vederlo felice, l’impulso a proteggerlo da ogni fonte di turbamento, la serenità totale che provava quando era solo in sua compagnia… questo non assomigliava per niente all’eccitante mescolanza di passione, divertimento e lusinga che aveva sentito in tutte le sue storie precedenti.

Si era confidato con Endou: il suo migliore amico sapeva sempre come mettere chiarezza e semplicità dove lui vedeva solo confusione. Mamoru era stato al settimo cielo per lui quando Gouenji, al tramonto sotto alla Inazuma Tower, lo sguardo fisso e corrucciato per l’imbarazzo sul copertone usurato appeso all’albero, gli aveva spiegato i suoi sentimenti per Kidou e quanto facesse fatica a spiegarselo. Anche Endou era piuttosto nuovo a questo mondo, avendo ufficializzato con Natsumi da qualche mese. -Devi corteggiarlo-, gli aveva detto. -Non puoi capire se sei davvero innamorato di lui se continui a guardarlo senza fare nulla, non credi?- Aveva un certo senso, quindi Gouenji aveva deciso di tentare.

*

Fudou e Haruna erano rimasti in buoni rapporti, nonostante avesse rotto con suo fratello: Haruna era gentile, generosa e di buon cuore, ma al contempo sapeva stare agli scherzi ed essere veramente perfida, quando voleva. Fudou stentava a credere che i due non fossero cresciuti insieme, si assomigliavano molto nonostante le diverse famiglie e scuole frequentate. Non che Kidou gli serbasse rancore in qualche modo, ma, soprattutto quando quest’ultimo era partito per la Germania, Fudou si era sentito solo e aveva dovuto reinventare le proprie giornate, senza più poter contare sul suo ragazzo. Haruna aveva avuto la delicatezza di chiamarlo ogni tanto, la sensibilità di un come stai? davvero disinteressato, detto quasi per caso, ma che più di una volta gli aveva migliorato la giornata. Sì, poteva definire Haruna una sua amica, forse l’unica amica femmina che avesse mai avuto. Il fatto che lui e Yuuto fossero ex non era troppo rilevante, quantomeno loro non ci davano peso. 

Si era fatta estate inoltrata, molti suoi conoscenti si stavano preparando per gli esami d’ammissione all’università, lui bighellonava fra lavori stagionali e gite fuori porta, senza un vero progetto, se non quello di divertirsi un po’: Hibiki lo faceva lavorare al suo ristorante lavando i piatti e questo gli bastava per mantenere un monolocale fuori città, ben collegato con i mezzi. Era a posto così per il momento, non voleva vincoli. Un pomeriggio era arrivato il solito messaggio in codice dalla sua amica “ Flashnews: gossip ore 18. Ice cream?” . A quanto pareva c’erano novità succose in arrivo! Fudou scese in gelateria e la aspettò seduto ad un tavolino: pantaloni larghi della tuta, crop top nero, auricolari nelle orecchie e sguardo per aria. La calura della città in quel periodo era intollerabile, le strade sembravano avvolte nel soffio infuocato di un drago. Haruna arrivò puntuale, svolazzante nel suo vestitino leggero, con la frangetta umida di sudore: lo salutò con un sorriso più caldo del sole e chiese alla cameriera un frappé alla banana per Akio e una coppa di gelato al cioccolato con fragole per lei. Dopodiché si sedette e con il suo sguardo furbo e divertito iniziò ad esporre i fatti più salienti che erano emersi dalle sue ricerche. Fudou grazie a lei rimaneva informatissimo sui gossip inerenti agli studenti nelle scuole superiori di tutto il quartiere e quelli limitrofi, le conoscenze della Otonashi erano molto estese e lui si divertiva da impazzire a sentire quelle storie. D’un tratto, come un fulmine a ciel sereno, il nome di Gouenji.

-Ehi, ferma ferma ferma, fata turchina, Gouenji Shuuya? Quel Gouenji?-

-Sì, certo, chi altri?-

-Non so- un sorrisetto sarcastico, appositamente molesto – Non aveva una sorella?-

-Piantala, scemo!- gli tirò un calcio nella gamba e Fudou accusò il colpo ridendo -E’ piccola, ancora!-

-E che diamine ne so io?!-

-Insomma, Gouenji-kun – Haruna riattaccò il racconto e Fudou annuì, prendendo fra le labbra la cannuccia e assaporando un bel sorso di frappé fresco. Era proprio dolce, come piaceva a lui. –Gouenji-kun ha preso per sé e per mio fratello due biglietti per una partita la prossima settimana, ma Kidou non gli risponde al telefono e ha chiesto a me di parlarci!-

- Oooh… E così Gouenji sta facendo sul serio adesso con Yuuto! 

Haruna si accorse del modo particolare con cui Fudou faceva il nome di suo fratello e istintivamente si pentì di aver introdotto così l’argomento, forse Fudou non voleva… Il ragazzo prese un altro rumoroso sorso di frappè, interrompendo i suoi pensieri. – Ma sai, forse Kidou-kun ha bisogno di un piccolo aiuto, per quello che ne so io… Com’è che ha detto..? Ah sì, lui ci ha messo una pietra sopra .-

-Una pietra sopra? E sopra cosa l’avrebbe messa, di grazia?- Haruna fece roteare gli occhi con finta esasperazione, mentre sporcava di cioccolato una fragola e la addentava.

-Non so, io non ci ho capito nulla! – Fudou incrociò le mani dietro alla nuca, facendo dondolare la sedia.

-Eddai Fudou-kun, non fare così, che mi viene l’ansia che cadi!-

-Oh suvvia, ma è un’ossessione! – sbuffò il ragazzo, lasciandosi andare in avanti. – Okay okay, hai vinto. Sto fermo. Credo che intendesse dire che non voleva più dare una possibilità a sé e Gouenji, dopo quello che è successo in Germania.-

-Non so cosa sia successo quando erano là insieme, ma qualsiasi cosa sia, pare abbia convinto Gouenji invece! E’ parecchio determinato stavolta, mi sembra serio.-

-Ah sì? – sghignazzò Fudou, rubandole con il cucchiaino l’ultima fragola. – Voglio proprio vedere…-

Il piano era semplice. Haruna, l’unica che Kidou ascoltava quando si chiudeva in casa a studiare come un matto, aveva convinto suo fratello a uscire una sera, in compagnia di un molto imprecisato “gruppo di amici” che, forse proprio a causa di quell’elemento così caotico e generico, aveva convinto Kidou: se ci fosse stata tanta gente sarebbe stato più facile per lui defilarsi da conversazioni difficili. Nell’eventualità di un incontro più intimo, con poche persone, sarebbe stato più a disagio. E poi aveva potuto studiare tutto il giorno, l’appuntamento era in serata in un pub. Non c’era verso di disdire e tutto sommato Yuuto, se lo invitava sua sorella, si faceva convincere abbastanza velocemente. Haruna aveva chiamato Endou, dicendogli di portare qualche amico, e il gioco era presto fatto.

Quando i due fratelli scesero dalla macchina del maggiore ed entrarono nel locale, Yuuto per un momento strizzò gli occhi: era un locale ampio, poco luminoso, arredato modernamente, con luci led alle pareti che diffondevano bagliori neon colorati, il karaoke da un lato, l’ampio bancone del bar, vari tavoli e divanetti sparsi per la sala tutt’attorno. Sibilò in direzione di sua sorella, che già si stava sbracciando per salutare gli amici seduti al loro tavolo.

-Non penserai mica di farmi cantare, imooto-chan. Toglitelo proprio dalla testa-

Lei gli diede una spallata giocosa, sorridendo -Lo vedremo, fratellone, lo vedremo. Tu non stare così rigido, eddai, c’è Endou-kun!-

-Appunto – roteò gli occhi il maggiore, maledicendosi immediatamente: da quando aveva dismesso gli occhialini, insieme alla decisione di non competere più a livello agonistico nel calcio, ogni tanto ancora si scordava che non aveva più quella protezione. Stringendosi nelle spalle si rassegnò a seguire la sorella, che con la sua minigonna mozzafiato e il top nero monospalla attirava già l’attenzione di alcuni ragazzi seduti a tavoli adiacenti. Kidou, mosso da un istinto protettivo, le si fece al fianco e la prese per mano, lanciando un’occhiataccia nei confronti dei ragazzi alla sua sinistra che la mangiavano con gli occhi. No, forse non era stata una buona idea: ma questi pervertiti non se ne andavano in vacanza, dovevano rimanere in città a fare i cascamorti? Immerso in quel genere di riflessioni non si accorgeva che, al loro tavolo, quello che stava venendo ammirato con gli occhi era lui, non sua sorella.

L’energia estroversa e vivace di Endou aveva portato i suoi frutti, come sempre. Era riuscito a convincere a uscire parecchia gente: c’era Natsumi, che sfoggiava con vanto l’anello che Mamoru le aveva regalato solo qualche settimana prima, c’era Kazemaru con Shimono, che già lo tirava per un braccio invitandolo a ballare con lei, c’erano Hiroto e Midorikawa che, ubriaco dopo il primo mezzo cocktail bevuto, raccontava barzellette spinte, c’era Touko con la sua risata grossa, c’era Fudou seduto in fondo al tavolo e, dalla parte opposta, di fronte a lui, c’era Gouenji, bellissimo Gouenji, stupendo anche in tshirt e jeans, con i suoi occhi brillanti e bracciali di pelle ai polsi.

Fudou indossava una canotta girocollo traforata nera e, sporgendosi sul tavolo con quel suo modo invadente e fuori luogo, faceva svettare i bicipiti che aveva iniziato ad allenare dall’inizio dell’estate. I risultati avevano cominciato a farsi vedere dopo qualche settimana, era una soddisfazione constatare come questo venisse notato più dai suoi coetanei maschi piuttosto che le donne, cosa estremamente appagante per Fudou. Si stava frequentando con un ragazzo da un paio di settimane, ma per quella sera non voleva attenzione su di sé, no, per quella sera aveva l’unico obiettivo di scatenare il caos e constatare la tensione sessuale che, a quanto dicevano le voci, si avvertiva fra Gouenji e Kidou. Shuuya aveva intenzione di provarci seriamente con Yuuto ed era in difficoltà perché quest’ultimo sembrava non accorgersene? Akio poteva peggiorare le cose, orchestrando qualche siparietto imbarazzante? Eccome e l’avrebbe fatto per il puro piacere di vedere le reazioni dei due. Vedendo arrivare Yuuto, con la sua camicia bianca casual a scollo a v senza colletto e i suoi occhi rossi, dilatati a causa della luce, pure gli occhi di Gouenji si fecero più ampi. Ad Akio sfuggì il primo risolino di soddisfazione: se facevano così però gli toglievano tutto il divertimento, era fin troppo facile.

-Kidou! Otonashi! Ciao ragazzi, siete arrivati finalmente! – gongolò Endou alzandosi in piedi per salutarli. Kidou sapeva che disgraziatamente Endou faceva così pur non essendo affatto ubriaco, nonostante gli anni passati a volte si vergognava ancora del modo rumoroso con cui Mamoru occupava spazi sociali, soprattutto con altre persone presenti. Sorridendo un poco nervosamente salutò i presenti e cercò con gli occhi una sedia per accomodarsi. Sua sorella saltellò in direzione di Shuuya e si sedette al suo fianco, chiedendogli subito di Yuuka – la blu l’aveva aiutata con un progetto scolastico a quanto sembrava. Era rimasto un posto al fianco di Fudou, così, con un sospiro già esausto, Kidou prese posto. Si prospettava una serata con i fuochi d’artificio, dal modo che aveva Akio di tenere su quel suo sorrisetto sembrava proprio in vena di tormenti: cosa aveva fatto di male?

-Ciao, Akio.-

-Guarda chi emerge dalla biblioteca, Kidou-kun! Ti vedo bene, se non sapessi che non dormi da giorni crederei che sono le lenti a contatto a farti questo effetto!
-Tsk, perché Hibiki-san non ti fa lavorare, questa sera? Si è già stufato di averti fra i piedi? Ha tutta la mia comprensione- sibilò Kidou di rimando, prendendo la carta degli alcolici.
-Addirittura i cocktail alcolici? Attento a non sentirti male, se cambi idea ci sono anche dei succhi di frutta e dei centrifugati ottimi- punzecchiò ancora il giovane, guardando non Yuuto, ma un punto imprecisato del tavolo, dove il ghiaccio delle bevande aveva già lasciato qualche traccia umida. La risposta arrivò forte e incisiva da parte del biondo di fronte a lui. – Berrà un po’ quello che gli va.-

Haruna rizzò la testa, interrotta nel suo discorso e davvero colpita dall’intervento: non sembrava che Shuuya stesse prestando attenzione allo scambio di battute di fronte a lui. Kidou non sembrò neanche averlo sentito, tutto intento a ignorare punzecchiamenti di Fudou. Quest’ultimo lanciò un’occhiata a Gouenji, fra lo stupito e il divertito, e annuì, lasciando morire la cosa. Gouenji a sua volta fece finta di nulla, ponendo una domanda alla Otonashi in modo che riprendesse il suo discorso. La blu sorrise e riprese a raccontare, Fudou incrociò le braccia al petto, tenendo gli occhi su Shuuya: faceva finta di non guardarlo, ma era evidente che l’aveva infastidito. Ottimo, tutto procedeva splendidamente. L’occasione gliela offrì Natsumi, che stava raccontando di come Endou si fosse dichiarato, offrendole quel gioiello che portava al dito, continuamente interrotta, per altro, da Mamoru che, tutto entusiasta ma anche vagamente imbarazzato, voleva offrire la sua versione dei fatti. Midorikawa rideva in modo buffo, Fudou gli avrebbe volentieri consigliato di proseguire la serata con i già menzionati succhi di frutta, ma aveva Hiroto che gli cingeva con dolcezza le spalle, era decisamente un momento intimo e adorabile fra i due che avrebbe distrutto in un altro momento.

Così diede una lieve spallata a Kidou, che sussultò di sorpresa. A Fudou non sfuggì anche il sobbalzo di Gouenji, ma lo vide solo perché aveva gli occhi sul biondo anziché sul rasta; e pronunciò: -Insomma, persino il capitano ci è riuscito, Kidou! Possibile che proprio nessuno ti faccia la corte? Guarda che se non esci mai potresti scoraggiare possibili spasimanti…-

-Infatti oggi sono uscito. – fece spallucce Kidou, facendo un gesto con la mano come per allontanare una mosca fastidiosa, per poi aggiungere – E comunque non c’è nessun rischio, sta tranquillo, non spezzo il cuore di nessuno.-

Fudou non demorse – Sicuro se non vai in stazione, non prendi nessun treno.-

-Le ferrovie! Bellissima idea, perché non chiedi di lavorare per loro? Così ti levi un po’ dai piedi – Kidou prese il proprio bicchiere, spostando con la cannuccia i cubetti di ghiaccio. Kidou era veramente un disagiato quando faceva così, Fudou si sentiva in dovere di intervenire: nel bene o nel male, ovvio. Gli circondò le spalle con un braccio in una stretta amichevole e gli sospinse in avanti lo sguardo. – Ma dai, guarda là, nel tavolo davanti a noi – davanti a loro c’era anche Gouenji, stranamente, che si sentiva avvampare, ma cercava disperatamente di mantenere un contegno. -Non c’è proprio nessuno che ti piace? Coraggio, bevi un altro cocktail, poi con chi vai a provarci?-

-Ma levati! – sbottò Yuuto, spostandosi il suo braccio dalle proprie spalle e soppesando per un momento quanto fosse diventato muscoloso. Non disse niente, ma lo notò e Fudou ne trasse soddisfazione personale. – Stasera sono venuto per stare un po’ in vostra compagnia, tutto qui… Non ci provo proprio con nessuno!-

-Ma Kidou, non si può mai sapere, guarda che persino quelli con più hetero flags possono sorprenderti.- sogghignò, in un evidente riferimento a Gouenji che però Kidou non colse, in totale negazione di se stesso e della ragione che l’aveva portato ad accettare di uscire quella sera. Shuuya, dal suo canto, si sentiva spogliato: come diamine faceva Fudou a sapere..? Endou non gliel’aveva certo detto, Haruna che motivi aveva per dirglielo… Possibile che Kidou stesso..? Kidou si era accorto del significato dietro alle attenzioni che gli rivolgeva e ne aveva parlato con Fudou? Provvidenzialmente Endou fece il suo nome, richiamandolo nella conversazione che avveniva dall’altra parte del tavolo, e Shuuya poté rivolgere loro lo sguardo e l’attenzione, mentre nella sua testa si sentiva di colpo piccolo e parecchio stupido. Haruna tirò da sotto il tavolo un calcio in direzione di Akio, che roteò gli occhi in segno di esasperazione. Le fiamme del bomber di fuoco erano semplici da spegnere, se bastava così poco a spaventarlo.

La serata proseguì fra risate e aneddoti vari: la musica si fece più alta e alcuni presero a ballare, altri li incitavano rimanendo seduti. Haruna e Touko erano scatenate in pista, Kazemaru e Shimono erano passati dal ballare un lento abbracciati al litigare al centro della pista, senza che nessuno avesse capito la ragione dello scontro. Kidou, smarcatosi da Fudou, riuscì a prendere Gouenji da parte e la loro conversazione rilassò Gouenji da alcune preoccupazioni. Endou li afferrò entrambi per un braccio e li obbligò a ballare, senza accettare obiezioni di nessun tipo. Fudou si divertì a confondere le idee a un ormai completamente ubriaco Midorikawa, prima che Hiroto decidesse per il suo bene di portarlo via. Nel corso della serata Shuuya si convinse che non aveva sbagliato qualcosa nel corteggiare Kidou: il ragazzo era tranquillo, erano d’accordo per andare insieme allo stadio il venerdì seguente… Era Fudou che stava apposta mettendo zizzania fra loro allora, concluse il biondo, sentendo montare dentro di sé un fastidio e un senso di gelosia difficile da spiegare. Era pur sempre l’ex di Yuuto, che si facesse da parte! Non poteva, dopo averlo fatto soffrire tanto, fare così lo sfacciato con Kidou: oneste o meno che fossero le sue intenzioni, lo innervosiva il modo in cui si prendeva delle confidenze fisiche e verbali con Yuuto. In chissà che maniera, era venuto a sapere che stava corteggiando Kidou e avrebbe dovuto farsi da parte per il bene di tutti, non cercare di metterlo in cattiva luce davanti a lui. Era sleale e particolarmente indisponente da parte sua.

Così, a fine serata, quando stavano tutti uscendo, Gouenji sentì di non poter tornare a casa senza prima aver affrontato Fudou. Il fatto era che non aveva modo di dirgli alcunché, a conti fatti non aveva ufficializzato con Yuuto, ma non voleva dare modo a Fudou di prenderlo ulteriormente in giro. Eppure qualcosa doveva fare… All’ennesima battuta irritante di Akio, non ci vide più e lo trattenne per una spalla, con gli occhi incendiati di emozione contraddittoria e inspiegabile. Rimanendo in silenzio, lasciò che i loro sguardi si incontrassero. Non ci fu bisogno di parole: gli occhi di Fudou ridevano, chiari e furfanti, quelli di Gouenji erano stretti in una fiamma di fierezza e orgoglio. “ Fatti da parte e non fare giochetti, sono serio con lui e i tuoi tentativi di imbarazzarmi non mi fermeranno” Akio lesse la sua espressione caparbia, gli sembrò un cane che marcava il terreno e ne rise, soddisfatto. Era proprio quella determinazione che voleva vedere negli occhi del bomber di fuoco: se le cose stavano così, era contento per Yuuto. Gouenji lasciò la presa sul suo braccio e si portò avanti, al fianco dei suoi migliori amici, Fudou rimasto indietro venne raggiunto da un cenno di intesa di Haruna. Tornati a casa si scambiarono un paio di messaggi.

-Che ne pensi?
-E’ proprio cotto.

*

Per tutta l’estate e l’autunno, il principale pensiero di Gouenji fu Kidou… e, in effetti, anche la sua principale occupazione. Il senso di competizione che aveva sentito nascere nei confronti di Fudou l’aveva reso man mano più audace e più impaziente.

Era stato complicato ed imbarazzante, a tratti. Shuuya non aveva mai sul serio corteggiato qualcuno… al massimo era stato corteggiato e comunque Kidou non era una persona qualunque. Era riservato e timido, a tratti si rendeva inavvicinabile, consapevolmente o meno, e Gouenji non voleva spaventarlo. Aveva cominciato da cose piccole, attenzioni particolari che non riservava a nessun altro. Messaggi alla mattina per assicurarsi che avesse dormito, quando Kidou accennava all’essere particolarmente stanco. Aveva letto alcuni dei suoi libri preferiti, soltanto per poterne parlare insieme. Era stato attento a qualsiasi segnale che Yuuto fosse infastidito dalle sue attenzioni, pronto a ritirarsi. Someoka diceva che si stava preoccupando davvero troppo e che avrebbe dovuto buttarsi di più; Gouenji non era riuscito a fargli capire quanto questa volta fosse diversa rispetto a tutte le altre. Così la situazione si era protratta per tutta l’estate e Shuuya aveva cominciato ad essere più esplicito dopo la sessione di esami d’ammissione all’università; Kidou era a stento uscito di casa per buona parte dei mesi estivi, ripetendo soltanto che doveva studiare, e Gouenji aveva sentito da impazzire la sua mancanza. Aveva iniziato ad invitarlo ad uscire, solo loro due, sempre più spesso. Quelle che all’inizio erano semplici passeggiate in centro erano diventate gite nelle librerie d’antiquariato della periferia, giornate allo stadio, Shuuya aveva persino trovato due biglietti per un concerto di musica sinfonica una volta. Gli aveva portato tre rose rosse quando era uscita la graduatoria del test di ammissione e Kidou si era posizionato fra i primi tre posti; si lasciava sfuggire sempre più complimenti e frasi affettuose, rassicurato e ringalluzzito dai sorrisi imbarazzati e compiaciuti che l’altro gli riservava.

Avere la possibilità di adularlo e corteggiarlo era meraviglioso da togliergli il fiato. Ma c’erano dei momenti in cui Gouenji non sapeva come trovava in sé la forza di non allungare la mano e accarezzare il suo viso, di non attirarlo più vicino e respirare l’odore della sua pelle, di continuare quella danza in punta di piedi che gli lasciava sempre la voglia di averne di più. Momenti come questo, in cui Kidou era venuto a vedere la sua prima partita ufficiale con la squadra dell’università ed erano rimasti soli, sugli spalti dello stadio vuoto a parlare, e il fiato di Yuuto si condensava fra la sciarpa e il cielo scuro di novembre e i suoi occhiali erano leggermente appannati.

-Il numero 7 è troppo irruento, era sempre lui a smettere per primo di seguire lo schema.- stava dicendo Kidou, concentrato nella sua analisi della partita. Sempre uno stratega, d’altronde, Shuuya sapeva quanto si divertisse ad analizzare le strategie delle squadre dall’alto, senza la pressione di esserne coinvolto. -Avete un buon gioco, anche considerato che vi allenate insieme da poco. Ci potete lavorare. Il 7 è il punto debole dell’ala sinistra. Forse potrebbe rendere meglio in un’altra posizione, crearvi meno problemi…-

Gouenji si lasciò scivolare lungo la seduta della tribuna, appoggiando la nuca allo schienale. -Non mi interessa tanto di aver perso. E’ solo la prima partita, ci rifaremo. E magari adesso gli altri si decideranno a prendere più sul serio gli allenamenti.-

-Hanno continuato a presentarsi in ritardo anche sapendo di avere una partita ufficiale?-

-Sono degli idioti, non prendono sul serio il gioco… a me danno solo il nervoso, tu sì che riusciresti a farli rigare dritti.-

-Non hai mai avuto bisogno del mio aiuto per far svegliare qualcuno. Accoglili con una pallonata al prossimo allenamento.- Kidou gli rivolse un sorriso leggero, affezionato, e Gouenji si ritrovò a sorridergli a sua volta come un riflesso condizionato. Era bellissimo. -Oppure stai perdendo il tuo smalto, bomber di fuoco?-

Si erano avvicinati senza rendersene conto mentre parlavano, le loro ginocchia si toccavano. Gouenji non riusciva a sentire il calore della sua pelle attraverso la stoffa dei pantaloni, ma ogni minimo contatto con l’altro ragazzo lo rendeva elettrico. Raddrizzò la schiena e fece scivolare il braccio sullo schienale di Kidou, fingendo una nonchalance che non sentiva. Il cuore gli martellava nel petto. Yuuto rimase dov’era, anzi, si sporse impercettibilmente in avanti verso di lui, mentre lo prendeva in giro con il suo vecchio soprannome delle scuole medie. Era vicino, diavolo.

Gouenji sentiva la bocca secca e non provò neanche a non fissare le labbra di Kidou, rese più rosee del solito dall’aria fredda, leggermente screpolate. Spostò lo sguardo sui suoi occhi rossi, grandi, luminosi, e poi di nuovo sulle sue labbra. Erano tanto vicini da poter sentire il suo profumo. Sapeva di star giocando con il fuoco e conosceva il suo temperamento… Gouenji non sapeva stare troppo a lungo davanti a qualcosa che desiderava senza buttarsi per averla. La corda si sarebbe spezzata, prima o dopo. Fu questione di un secondo, la decisione di un singolo attimo. Al diavolo, è irresistibile. Se non mi vuole si allontanerà. Ci devo provare una buona volta.

Si sporse in avanti, gli occhi chiusi, il fiato trattenuto, colmando quei pochi centimetri che separavano il suo viso da quello di Kidou. Le sue labbra erano fredde, ed erano morbide, e Gouenji sarebbe potuto morire felice in quel momento. Gli diede solo un bacio a stampo, ritirandosi quasi di corsa, perché Yuuto era rimasto assolutamente immobile sotto la sua bocca e lo stava guardando con gli occhi spalancati e le labbra socchiuse.

Oh oh. Forse non era stata una buona idea. Forse avrebbe dovuto pensarci un po’ meglio. Aveva frainteso tutto? Sentì le guance diventargli bollenti per l’imbarazzo e delle scuse salirgli alle labbra—

-Mi… hai baciato. Tu! Mi hai…- balbettò Kidou, con un’espressione che, maledizione, Gouenji non sapeva decifrare.

-Kidou, io…- Non sapeva che spiegazione stava per dare, ma qualcosa avrebbe dovuto ben dire. “Scusami, ho perso la testa per te da mesi, credevo l’avessi capito, io non ti piaccio?” Aveva passato mesi a pensare a modi per sorprendere e fare la corte a Kidou, ma in effetti non si era mai precisamente soffermato a pensare a come si sarebbe dichiarato.

Non dovette scoprire quale smozzicata confessione sarebbe uscita dalla sua bocca, perché Kidou sembrò rianimarsi dalla sorpresa e, prendendo il suo viso fra i palmi delle mani, lo baciò a sua volta. Gouenji non aveva bisogno di ulteriore convincimento. Fece scorrere una mano sulla nuca di Yuuto, impigliando le dita fra i dreads sciolti, e approfondì il contatto senza aspettare un altro attimo. La sua bocca era così calda che Shuuya si sentiva febbrile; accarezzò la lingua di Kidou con la sua, in un bacio disordinato ed impaziente, il braccio sullo schienale andò in automatico a cingere la sua vita e stringerlo, attirarlo a sé. Gli occhiali di Kidou erano fastidiosi schiacciati fra i loro visi ed entrambi erano a corto di fiato; Gouenji doveva sporgersi in maniera scomoda fra le sedute di plastica fredda della tribuna, ma non sarebbe potuto essere più perfetto di così.

Si ritrovarono abbracciati, le gambe di Kidou distese sopra alle ginocchia di Gouenji per tenersi più vicini, le mani che stringevano il corpo dell’altro come ad assicurarsi che fossero reali. Shuuya non era mai stato così euforico, ma si costrinse a rallentare e ad allontanarsi a malincuore dalle labbra dell’altro. Se fosse stato qualsiasi altra delle sue cotte, Gouenji non si sarebbe fatto problemi a continuare a baciarlo su quella tribuna, magari allungare le mani sotto il bordo della sua giacca, magari distenderlo sulla plastica fredda e assaggiare finalmente quel collo pallido e delizioso, ma questo era Kidou : era molto più importante di così. Splendido Kidou, con una mente che andava a cento chilometri all’ora e degli occhi che lo stavano guardando come se fosse l’unica fonte di luce rimasta nell’intero universo. Non riuscì a resistere e lo baciò di nuovo, irruento e rapido, e avrebbe potuto dissetarsi dell’espressione stordita e raggiante di Yuuto.

-Sono innamorato di te, Kidou. Mi piaci da impazzire.- confessò sulle sue labbra, a corto di fiato, non riuscendo a formulare nessun pensiero più romantico o più complesso di così. -Sono mesi che volevo farlo. Sono mesi che— Tu cosa…?-

Kidou si mise a ridere, cristallino e libero, una risata nervosa ed incredula ma sciolta, felice. Era il suono più bello che Gouenji avesse mai sentito. Strinse le mani intorno alla sua vita di riflesso, beandosi del semplice fatto di poterlo toccare; Yuuto appoggiò la fronte alla sua, sorridevano come due idioti uno negli occhi dell’altro.

-Anche tu, Gouenji… anche io. Anche. Anche a me piaci. Non posso credere che tu mi abbia baciato davvero.- Kidou rise ancora, lo baciò di nuovo, probabilmente apposta per negare la propria stessa frase, passando le dita fra i suoi capelli sciolti come se stesse toccando la cosa più preziosa della terra. Era incoerente ed esterrefatto e Shuuya si sentiva gonfiare di appagamento e compiacimento per averlo ridotto così.

-Mi sa proprio di averlo fatto, invece.- Gouenji ridacchiò a sua volta, inseguì di nuovo le sue labbra, più dolcemente stavolta, sentendosi positivamente ubriaco. Non gliene importava più niente di aver perso la partita, della stanchezza che gli rendeva pesanti i muscoli, del fatto che lo stadio avrebbe chiuso a breve e avrebbero dovuto andarsene prima di rimanere bloccati dentro. Kidou era fra le sue braccia e non l’avrebbe lasciato andare tanto presto.

Più avanti, quando stavano ufficialmente insieme e baciarlo era diventato naturale come respirare, Kidou lo prendeva in giro dicendogli di averlo trattato come una groupie, da baciare come consolazione dopo una partita persa. Gouenji circondava la sua vita con un braccio e lo attirava a sé, affondando il naso nel suo collo e tempestandolo di baci, e gli diceva che in effetti lui era davvero la sua groupie, la sua preferita, ma che non sarebbe mai, mai stato una consolazione. Lui era la vittoria, quella vera. Quella che contava davvero.

author's corner

Babyboys energy <3
Sono dolcini e gli vogliamo bene. Tutto è bene quel che finisce bene o i drammi saranno appena iniziati?
E il nostro Fudou? Cosa ne pensiamo? Gli sarà davvero passata?
Chissà come era fatto l'anello che Endou ha regalato a Natsumi. Non mi stupirei se ci fosse stato un pallone da calcio sopra. Il romanticismo è soggettivo dopotutto. E lei, dopotutto, lo ama così com'è.
Grazie a tutti, ci vediamo al prossimo capitolo!

Ritorna all'indice


Capitolo 5
*** Il bello dell'amore è condividerlo... ***


Kidou era al di fuori del cancello di casa sua, con la punta della scarpa dava brevi e ritmici calci in aria, simulando dei palleggi e degli scatti di controllo individuale della palla. Tutto avvolto in un pesante sciarpone che gli copriva anche parte del mento, i capelli lasciati lunghi ben protetti dal freddo dal montgomery grigio, mani strette a pugno nelle tasche… L’espressione del suo viso era alquanto tirata e i più avrebbero detto a causa del freddo: non si trattava delle basse temperature, in realtà, anzi…

-Signorino Yuuto? – L’inconfondibile Hakamada abbassò il finestrino della macchina, accostandosi al marciapiede. Hakamada era uno dei collaboratori domestici più fidati di suo padre: alla sua adozione gli era stato affidato il compito di badare a lui, alle sue esigenze e i suoi spostamenti, per cui, soprattutto da bambino, Yuuto aveva passato diverso tempo con Hakamada, in casa propria. Nel corso delle scuole superiori il controllo su di lui si era allentato e Hakamada svolgeva ultimamente mansioni dirigenziali e organizzative rispetto alle attività da svolgersi in casa da parte degli altri collaboratori domestici. Stava appunto entrando in casa per iniziare a lavorare, indossava già l’uniforme e, a giudicare dal tono della sua voce, pareva stupito di trovarlo lì. – Sei tutto paonazzo, tira su quella sciarpa a coprirti le orecchie, almeno!-

Yuuto intrecciò le labbra in uno sbuffo indispettito: sapeva benissimo come coprirsi, non era mica un bambino. Ugualmente, provvide immediatamente a fare come gli era stato detto e si tirò su la sciarpa fin quasi sopra gli occhi. – Così va bene?- sibilò con tono stizzito.

Hakamada ridacchiò sotto gli spessi baffi scuri: -Signorinello, non usare quel tono con me: non sono io a star provvedendo alla tua ibernazione, d’altronde puoi fare come ritieni meglio.-.

-Non sto ibernando.- ribatté ancora, negando l’evidenza con una dedizione magistrale. Hakamada lo squadrò da capo a piedi, il suo silenzioso sguardo era più che eloquente. Parlò lo stesso. – Stai aspettando qualcuno?-.

Kidou sogghignò perfidamente: -No, in effetti il nuovo regime di allenamento prevede una mezz’ora di vento gelido al giorno: il massimo risultato si ottiene rimanendo immobili. Così, ho deciso di svolgere queste sedute appena fuori dal cancello di casa: in questo modo posso anche svolgere un rapidissimo e intenso cardio prima e dopo, correndo fino al portone appena la mezz’ora si è conclusa.-

-Ah ecco!- ridacchiò a sua volta il cameriere, cogliendo tutto il suo tono piccato e ironico e stando al gioco: - Come sta andando questo nuovo allenamento? Ti sembra efficace? -.

-Sì, senza alcun dubbio.-

-Sono molto contento. La tua dedizione è invidiabile. Hai i guanti?-

Kidou scosse le spalle, senza mostrare le mani.

-Te l’ho detto mille volte che facendo così le tasche dei cappotti si sfondano. Sei di coccio.-

-Non devi andare dentro, Hakamada-san?- Kidou si sporse in avanti con il busto, in atteggiamento da sfida. – Ti staranno aspettando per i preparativi di stasera!-

-Signorsì- annuì e fece per alzare il finestrino, poi ci ripensò: - Hai le chiavi di casa?-

In quel momento una Toyota rossa imboccò la via e in pochi secondi inchiodò davanti casa: Kidou, con un cenno rapidissimo di assenso, salutò Hakamada e balzò in auto, richiudendo la portiera con uno slancio imponente. La macchina ruggì via in uno sbuffo di scarico: la targa era molto recente… L’uomo tirò su il finestrino e sperò che non dovessero fare molta strada… Sembrava una guida alquanto spericolata, quella del conducente. Fudou era sempre passato con la moto a prendere il giovane Kidou quando uscivano, ma aveva sempre fatto una buona impressione, in strada ispirava sicurezza: i primi tempi li aveva anche seguiti, a dovuta distanza, per controllare che non andassero a infilarsi in vicoli sospetti o in zone pericolose. Non c’era stato bisogno di proseguire a lungo con quella pratica, Fudou era affidabile. Adesso, quel Gouenji… Senz’altro era di buona famiglia, suo padre era un nome noto in città… Forse per quella ragione il suo datore di lavoro, il signor Kidou, non gli aveva chiesto di controllare con precisione dove uscisse con suo figlio. Sperava soltanto che non si cacciassero nei guai: a volte, sentendo certe storie alla televisione e leggendole sui giornali, si sentiva in apprensione per quel ragazzo. D’altro canto, sapeva che aveva la testa sulle spalle e ormai si era fatto grande.

Kidou, intanto, ignaro delle apprensioni del suo maggiordomo, si stava strofinando fra loro energicamente le mani nell’abitacolo della macchina di Gouenji. Era una macchina usata che Shuuya teneva come un vero gioiellino: gliel’aveva procurata Endou, ora che lavorava in un’officina come meccanico stava iniziando a conoscere i clienti e, quando aveva saputo che un signore voleva vendere la propria auto, era stato facile trovare un accordo. Il biondo era al settimo cielo, si vedeva che ne faceva un vanto personale e Kidou lo trovava oggettivamente adorabile: la lucidava ogni settimana, la teneva profumata, aveva appeso allo specchietto vari ciondoli, fra cui un pallone da calcio d’oro – un ricordo del Liocott Island. Era una carretta, senza alcun dubbio, ma era la sua e ciò bastava a farlo sentire davvero importante. E poi, impossibile negarlo, Kidou trovava molto eccitante vedere come la mano di Gouenji si adagiava comodamente sul volante, il modo in cui le sue dita si stringevano al cambio… Dalla propria posizione privilegiata, lì al suo fianco, poteva affermare senza ombra di dubbio che era uno spettacolo.

Si scambiarono qualche convenevole piuttosto imbarazzato: Kidou era intirizzito dal freddo ed eccitato dalla situazione, ma non abbastanza in confidenza per ammetterlo senza sentirsi stupido o giudicato, Gouenji dal canto suo era mortificato per il ritardo con cui si era presentato, ma troppo orgoglioso per ammettere che aveva fatto tardi perché voleva vestirsi bene per lui e che aveva perso la cognizione del tempo fantasticando mentre si faceva la barba.

Dopo aver parcheggiato davanti al locale dove avevano prenotato un tavolo, Gouenji spense l’auto e fece per aprire la portiera, ma Kidou, mosso da un impeto emotivo, sigillò le portiere con uno scatto della mano sul pulsante giusto.

-Wow!- sussurrò subito Gouenji, meravigliato – Non sapevo che questa macchina lo potesse fare.-

-Nemmeno io me l’aspettavo- ammise Kidou e i due scoppiarono a ridere, la tensione già allentata visibilmente. Shuuya gli rivolse uno sguardo pacato: - Cosa c’è, non vuoi scendere?-, meno sensuale di quanto Yuuto avrebbe desiderato. Così, dovette realizzare, di fronte a quegli occhi dolci, che aveva un po’ paura.

-Paura di Endou?- domandò Shuuya piano, il suo sorriso lo tradiva.

-No, certo che no. Forse non è proprio paura, è più soggezione… Insomma, fa strano pensare a Endou, fidanzato. -

Gouenji rimase un momento fermo a guardarlo e Kidou si sentì fremere; accidenti, quanto era bello. Quando lo sentì parlare, gli sembrò che la sua voce fosse uscita direttamente da una delle sue numerosissime fantasie delle scuole medie. – E a noi, fidanzati, fa strano o no pensare?-

-Stranissimo. – ammise, con già le labbra sulle sue. Gouenji lo abbracciò, avvolgendolo e tenendolo quanto più possibile vicino a sé. Le giacche invernali erano un ostacolo molto antipatico da sopportare, ma le labbra di Yuuto sulle sue erano buonissime e dolci anche se fredde e screpolate dal vento.

Quando uscirono dalla macchina, avevano entrambi le gote molto rosse e gli occhi sorridenti.

-Se ci sgridano perché siamo in ritardo, la colpa è mia.- sussurrò Gouenji aprendo la porta e facendolo passare per primo, in un gesto di cavalleria.

Kidou gli sorrise complice, sogghignando divertito. – E del traffico. -

Trovarono l’altra coppia teneramente intenta a chiacchierare: avevano le mani appoggiate al tavolo, le dita intrecciate – solide e callose quelle di lui, affusolate e ingioiellate quelle di lei. Natsumi parlava con voce bassa e scandita, dalla sua posizione non riuscivano a vederle il volto, ma solo la lunga chioma vaporosa dai riflessi ramati, che ondeggiava lievemente alle sue parole. Vedevano invece chiaramente l’espressione di Endou, tutta rapita e concentrata su ciò che stava ascoltando. Kidou per un momento tentennò, vedendoli così uniti e complici e affettuosi. La sua ansia tuonava nella sua testa, ma il sorriso dolce e silenzioso di Gouenji fu più forte: lo prese per mano e continuò a camminare nella direzione del tavolo occupato dalla coppia di amici. Yuuto si fece condurre con passi veloci: con loro al fianco aveva sempre sfidato se stesso e sconfitto le sue paure.

Il sorriso con cui li accolse Endou, vedendoli comparire nel proprio campo visivo, fu tale da illuminare tutto il locale. Fece subito spazio a Shuuya perché si sedesse al proprio fianco e Yuuto prese posto vicino a Natsumi, salutandola con gentilezza. Lei dedicò un sorriso volpino e affezionato a entrambi. Naturalmente scherzarono sull’abilità del biondo goleador, affinata negli anni, di arrivare sempre in ritardo, -E non si spreca neanche ad inventare fantomatici incidenti stradali o controlli a campione della polizia!-, e vollero informarsi sui rispettivi progetti futuri.

Natsumi si era iscritta alla facoltà di scienze politiche dell’università cittadina e frequentava già alcuni corsi in lingua inglese, sembrava entusiasta dei numerosi progetti che si potevano avviare nel campus e si era fatta recentemente notare fra i rappresentati degli studenti del senato accademico.

-Sei avviatissima, semmai un giorno vorrai metterti in politica, avrai il nostro sostegno, Natsumi-san!- rise Kidou, ma era davvero ammirato. Anche Gouenji annuiva in segno di apprezzamento.

-E’ un grande onore, Kidou-kun. D’altronde, come dice sempre Mamoru, se si sogna, bisogna sognare in grande!- e rivolse un sorriso complice al suo fidanzato, che si batté con orgoglio una mano sul petto: - Esattamente! Noi siamo esperti di sogni, vero Gouenji-kun?-.

L’espressione di Shuuya era serissima, sembrava intenzionato a buttarsi in un cerchio di fiamme per dimostrare il proprio valore da un momento all’altro: -È più che un sogno, è un obiettivo il nostro.-.

Kidou nascose un risolino nel pugno chiuso della mano, per poi alzarla per chiamare il cameriere. – Che dite, vi va un gelato?-.

Il buffo tentativo di Kidou di cambiare argomento si arenò: Endou prese con ardore a raccontare dei nuovi regimi di allenamento che sosteneva, adesso che, avendo finito gli studi, poteva dedicarsi a pieno ritmo al calcio. Naturalmente, prima e dopo il lavoro: già durante le scuole medie si era fatto conoscere in un’officina vicino casa – faceva semplici lavoretti e veniva pagato con vecchi copertoni e pneumatici che usava per allenarsi con i suoi amici. Per tutte le scuole superiori aveva fatto pratica, passando numerose ore a cambiare liquidi di raffreddamento di auto usate e sostituire le pastiglie dei freni. Ai titolari dell’officina stava simpatico: era un mestiere duro e poco pulito, ma Endou lo svolgeva con passione e il suo impegno era sincero. Adesso che si era diplomato, gli avevano offerto un contratto molto buono, la paga era alta per uno della sua età, riconoscevano la sua esperienza e il fatto che fosse già conosciuto dai clienti. I suoi genitori lo vedevano ben avviato e non avevano protestato rispetto alla sua volontà di interrompere gli studi: d’altronde, si sapeva che fin da piccolo era il calcio a occupare la stragrande maggioranza del suo tempo e questo, con gli anni, non era affatto cambiato.

Gouenji e Endou avrebbero passato tutto il pomeriggio a discutere di campionati a cui aderire, campus estivi a cui partecipare per conoscere talenti giapponesi ed esteri, se Natsumi non li avesse rimessi in riga. Kidou si limitava ad ascoltarli, rapito dalla luce che emanavano i loro occhi e coccolato dai familiari discorsi pieni di entusiasmo, ogni tanto buttava qua e là qualche commento circa alcuni giocatori titolari di squadre importanti e tamburellava tranquillo le mani sul bordo del tavolo.

Alla domanda della ragazza: -E tu, Kidou-kun, dove hai deciso di iscriverti?- il giovane rispose prontamente che avrebbe seguito il corso di laurea in ingegneria gestionale per occuparsi in futuro della dirigenza dell’impresa di famiglia: era talmente ovvio che non pensava ci fosse ancora qualcuno che glielo chiedesse, arrivato a quell’età. Sentì per tutto il tempo gli occhi di Shuuya su di sé e senza indugio fece scivolare una mano sotto il tavolo, per raccogliere la sua e stringerla. Ricevette una carezza affettuosa fra le dita e dovette mordersi la lingua per non fare le fusa.

Gouenji fu parecchio evasivo: si sapeva che dava un gran dispiacere al suo genitore, non provando il test di ammissione al corso di medicina, d’altronde i suoi voti parlavano chiaro, non c’erano speranze. Avrebbe approfondito la propria preparazione sportiva con un corso di laurea in scienze motorie, le nozioni teoriche in quel campo non lo spaventavano, anzi, era incuriosito e molto determinato.

-Insomma, tutti a tentare il grande mondo universitario tranne il sottoscritto!- rise Endou e qualcosa nei suoi occhi era così genuinamente contento per loro e per se stesso, anche se le strade si prospettavano tanto diverse, che Kidou ebbe la tentazione di sperare che in realtà non fossero ad un bivio, che le cose potessero davvero rimanere fra loro uguali come ai tempi delle scuole medie e anche delle scuole superiori.

Mentre facevano rotolare con le rispettive cannucce diverse palline di gelato nella grande coppa – che assomigliava sempre più a una piscina di gelato – continuarono a chiacchierare, raccontarsi aneddoti e scambiarsi curiosità sui loro compagni e amici.

-So che Fubuki ha passato il test di psicologia!-

- Amazing! E quel furbone di Someoka?-

-Bah! Sai com’è quel disgraziato, lavora qua e là, gioca soltanto!-

-Ammettilo, vorresti farlo anche tu, Gouenji-kun.-

-E’ vero che Kiyama e Midorikawa hanno preso casa insieme?-

-In realtà… adesso è Kira.-

-Mh?-

-Sì, Mamoru, ti ricordi che te l’ho raccontato? Kira Seijirou ha adottato Hiroto e a quella festa c’era anche Kidou.-

-Mh. Mi è sembrato che lui fosse contento che c’eravamo noi. Aveva uno sguardo tanto serio…-

-D’altronde, non può essere diversamente. Quei ragazzi hanno vissuto un vero inferno.-

-Speriamo che continuino a giocare e si facciano forza l’uno con l’altro!-

-Dei ragazzi della Teikoku che ci racconti, Kidou-kun?-

Yuuto sorrise: il tempo passava, ma loro sarebbero sempre stati i suoi amici della Teikoku. C’era un che rassicurante in quel pensiero. Raccontò loro dei rispettivi progetti: su alcuni era più ottimista (Sakuma sembrava motivato nell’affrontare gli studi giuridici), su altri era molto più scettico, in primis su Genda, che sembrava intenzionato a provare la comodità di tutte le sedie delle aule prima di decidere quali fossero le più appropriate per i suoi pisolini pomeridiani – d’altronde alle lezioni del mattino nessuno l’aveva mai visto in aula.

-Akio invece non si è iscritto in nessuna università, lavora da Hibiki e in qualche altro locale in città, adesso che ha un appartamento per conto suo e si mantiene la moto è praticamente indipendente!-

Gouenji lanciò un’occhiataccia in direzione del risolino contento di Kidou mentre diceva quelle parole: nonostante fossero ex, Fudou rimaneva un suo amico, si sentivano con una certa frequenza ed era sinceramente contento che si fosse sistemato. Questo era quanto, non c’era altro da aggiungere, nessun doppio senso: lo affermò con una scrollata noncurante di spalle. Natsumi lo fissava attenta, senza proferire parola.

Quando si fu fatto un certo orario, i tre giovani iniziarono ad azzuffarsi amichevolmente per pagare il conto, cavallerescamente vincolati ai loro obblighi maschili. Natsumi dedicò un’occhiata commiserante e divertita a quello spettacolo alquanto buffo e porse la propria carta di credito al cameriere, con un gesto tanto indifferente da lasciare tutti e tre sbigottiti, paralizzati dalla sorpresa. Fra le risa generali e strizzatine d'occhi complici si separarono: Endou nella propria macchina, una mano a cingere la vita della sua bella rossa, Gouenji nella propria, con Kidou che giocherellava con il bordo della sua giacca, tirandogliela apposta per farsi prendere la mano, cosa che tra l’altro il biondo non tardò a fare.

Per riportare Yuuto a casa trovarono parecchio traffico.

author's corner

Ciao a tutti! Come sempre, grazie a chi continua a leggere :)

Ho voluto accennare alle vite di un po' di altri personaggi intorno ai nostri innamorati. Alcuni hint potranno essere sviluppati in futuro.

Endou è baby-coded. Hakamada è l'ennesima figura paterna problematica nella vita di Kidou, ma almeno lui è tenero.

Al prossimo aggiornamento <3

Ritorna all'indice


Capitolo 6
*** ... o forse no ***


Erano parecchi giorni che, pur abitando vicini e non conducendo vite dai ritmi molto diversi, Kidou e Gouenji non riuscivano a incontrarsi. Gouenji era alle prese con la consegna di alcuni progetti in università e gli allenamenti della nuova squadra, Kidou aiutava sua sorella nella preparazione degli esami finali delle superiori: si riuscivano a sentire solo la sera, ma le loro chiamate con il passare dei giorni si erano fatte sempre più brevi, Shuuya appariva esausto e poco propenso alle chiacchiere. Yuuto poteva sentire quanto le sue batterie sociali si stessero esaurendo, scherzosamente gli aveva scritto un messaggio dicendo che la sua versione in “risparmio energetico” era davvero dolce. Gouenji però non era in vena di punzecchiamenti, era evidente.

-Sei già riuscito a sfinirlo? O tu sei una compagnia terribile, oppure il tuo bomber di fuoco non è così focoso come dicono. Una delle due, Yuuto-kun.-

-Piantala! Non sono venuto qui per sentire le tue cattiverie.-

-E per cos’altro, allora? Non ti offro niente di gratis, scroccone.-

Kidou rivolse a Fudou un sorriso sbarazzino, divertito suo malgrado. Il ragazzo gli aveva lanciato una delle sue occhiate birichine al di là del bancone, aprendo le braccia, la posa del corpo tutta spacconeria e arroganza… Completamente una recita, come Kidou sapeva bene. C’era ben poco di davvero arrogante in Fudou Akio, sotto la scorza dura delle sue paure e delle sue strategie di difesa: la maggioranza delle volte, semplicemente non sapeva come parlare alla gente e un’apparenza ruvida era una buona protezione.

Uscire con il suo ex ragazzo era molto meno imbarazzante di quanto Kidou avrebbe creduto. Lo era stato forse un poco i primi mesi, ma avevano trovato un nuovo equilibrio e Yuuto era grato di scoprire che, nonostante la sua relazione con Gouenji, non si fosse rotto. Quella sera, Fudou era di turno nel ristorante di Hibiki e Kidou, a casa da solo, si stava annoiando: Gouenji doveva studiare e poi si sarebbe allenato fino a tardi. Così il rasta non ci aveva pensato due volte a farsi portare dal suo autista al ristorante e a bighellonare in compagnia di Fudou. Non lo aveva detto a Gouenji, ma soltanto perché poi il biondo gli avrebbe messo il broncio.

-Magari mi piace la tua compagnia, hai mai pensato a questa opzione folle?-, Yuuto roteò gli occhi e appoggiò il mento fra i palmi della mano, sorridendo.

-Nah, è un trucco quando tu dici così. Vuoi sempre qualcosa in cambio.-

Battibeccarono per tutta la sera, ogni volta che Fudou, servendo ai tavoli e aggirandosi fra la cucina e il bancone, capitava nel raggio d’azione di Kidou. Era comodo, familiare e divertente. Ogni cosa con Fudou lo era e gli dava sicurezza. Scambiò qualche parola anche con l’allenatore Hibiki, tornato alla direzione del suo amato ristorante e lieto di poter scaricare su Fudou e qualche altro occasionale dipendente le parti più noiose del suo lavoro, e controllò il telefono troppo spesso, continuando a picchiettare l’indice sullo schermo. Si avvicinava l’ora in cui Gouenji sarebbe dovuto tornare a casa e gli avrebbe scritto e Kidou, troppo innamorato per preoccuparsi di essere sdolcinato, non stava nella pelle al solo pensiero di sentirlo.

La settimana seguente sarebbe stato il loro mesiversario e Yuuto voleva stupirlo. Era Gouenji quello dalle idee brillanti e stravaganti, quello che, in certi momenti, nonostante il tempo passato insieme, sentiva una certa pressione nell’organizzare i loro appuntamenti: cercava di rubare le frasi dagli attori nei film e ricreare la situazione più emozionante possibile. Era in competizione con sé stesso, forse con Fudou, senz’altro con l’idea che temeva avesse Kidou di lui. Questo aspetto del suo fidanzato inteneriva Kidou, desiderava proteggerlo e tenerlo il più possibile tranquillo: quello che era davvero importante, per Yuuto, era che lui e Shuuya stessero bene insieme, non aveva certo bisogno di scenografie da film e gesti folgoranti da parte del biondo. Oltretutto, in quel periodo Gouenji sembrava davvero stanco, voleva sollevarlo da ogni possibile agitazione.

Raccontò del suo proposito a Fudou quando ormai si era fatto tardi e il locale si era svuotato. Hibiki aveva preparato del ramen ad Akio e gli aveva ordinato di sedersi e mangiare, al resto ci avrebbe pensato lui, -Stai dimagrendo troppo.-, aveva affermato con il suo modo burbero, senza ammettere repliche.

Fudou aveva sbuffato e protestato come un ragazzino che viene rimproverato e poi si era accomodato con la sua ciotola accanto a Kidou.

-Ha ragione, sai.-, aveva commentato Yuuto con una certa voce soffice, occhieggiandolo. -Si vede che sei più magro. E che dormi poco.- Non commentò sul pallore del suo volto e sui capillari rossi evidenti nei suoi occhioni grigi. Sapeva che Akio aveva cominciato a frequentare un ragazzo più grande, sebbene non glielo avesse mai presentato, un tipo dai capelli scuri e dagli occhi cerchiati che non ispirava a Yuuto troppa fiducia, e diverse volte aveva trovato nei suoi zaini cartine troppo lunghe per girare sigarette. Era preoccupato per lui, chiaramente, ma conosceva Akio abbastanza bene da sapere che troppa cura aveva su di lui effetto urticante, opposto a quello voluto.

Difatti, Fudou scrollò le spalle ossute e ingollò rumorosamente del brodo bollente. -Bu-uh. Siete una noia.-, decretò, poi stiracchiò il collo con un gesto brusco. -Non fare la mamma oca, su. E raccontami quale stomachevole ideuccia ti è venuta per alleviare la stanchezza di Gouenji.-

-Non saprei. Mi piacerebbe festeggiare il nostro mesiversario, ma non vorrei diventasse una cosa stressante per lui… Credo che andare fuori a cena non lo divertirebbe molto.-

-Tu sei piuttosto stressante, in effetti.-

-Vuoi aiutarmi o cosa?-

-Cosa, direi.-, rise Fudou. -Ti sei scelto un fidanzato noioso, facci i conti.-

-Come se tu fossi mai stato divertente.-, Kidou roteò bonariamente gli occhi.

Alla fine, Hibiki li cacciò fuori, sollevando Fudou dalle pulizie di fine turno con la promessa di farsi sentire al di fuori del lavoro, di tanto in tanto. Kidou era divertito e al contempo intimorito dal rapporto che si era instaurato fra il loro vecchio allenatore e l’ex capitano della Shin Teikoku: Fudou non ne voleva parlare mai e lo chiamava sempre il “vecchiaccio”, ma si vedeva che gli voleva bene.

Camminarono uno accanto all’altro in silenzio amichevole e tranquillo. Senza che Kidou dovesse chiederlo, Fudou gli offrì un passaggio a casa in moto; come mai avesse avuto dietro un casco in più, nessuno dei due lo chiese o chiarificò. Naturalmente, passò il viaggio abbracciandolo, perché era così che avevano sempre viaggiato e perché il profumo di Akio gli piaceva; se qualcosa di simile alla nostalgia gli fece serrare piacevolmente lo stomaco, Yuuto non ci diede peso né ci dedicò un pensiero.

Fudou passò con un arrogante rombo di motore attraverso il cancello di casa Kidou e, non visto da nessuno, Hakamada gettò uno sguardo vigile e attento attraverso le finestre, prima di riconoscere a chi appartenesse e ritirarsi. Kidou smontò, si tolse il casco e scrollò appena i capelli. -Grazie per il passaggio.-, gli disse con un piccolo sorriso, senza accennare ad allontanarsi.

Fudou parve a disagio per qualche momento, il suo sguardo passò dagli occhi del suo ex alla sua bocca, prima di abbassarsi. Anche lui si sfilò il casco dalla testa e tirò fuori dalla giacca un pacchetto di sigarette, offrendogliene una con studiata indifferenza. Era un brutto vizio che aveva acquisito disgraziatamente giovane, un po’ per atteggiarsi a più grande della sua età, un po’ per sentirsi all’altezza della compagnia di dubbio gusto che, nell’infanzia, aveva racimolato intorno al porto. Kidou, per tutta la durata della loro relazione, gli aveva dato il tormento a riguardo; c’era un che di ironico nel fatto che, da quando era tornato dalla Germania a questa parte, anche lui avesse cominciato. Da quando Yuuto si faceva offrire sigarette da lui, Fudou aveva cominciato a comprare la sua marca prediletta, nonostante lui ne avesse fumata un’altra per anni. Probabilmente Kidou non se n’era neppure accorto.

Si salutarono senza abbracciarsi e senza baciarsi e Fudou, masticandosi l’interno della guancia, maledisse quella parte di sé che ancora, tutte le volte, se lo aspettava e ne rimaneva deluso. Kidou, invece, salendo le scale di casa a due a due, vide il messaggio di Gouenji che aspettava da tutta la sera e sentì belle farfalle cospargere tutta la sua pancia.

Rimuginò ancora un po’ sui piani del loro mesiversario e gli scrisse nel messaggio della buonanotte: Riposa bene Shuuya, ci sentiamo domani <3 ps: non prendere impegni per venerdì, mi raccomando. Penso a tutto io, ti aspetto da me, tu vieni e basta ;)

Dopo qualche secondo, la risposta: Buonanotte Yuuto! ps: l’unico impegno di venerdì sei tu. Non vedo l’ora di vederti <3

Kidou sorrise tutto contento contro il cuscino, sentendo le guance farsi rosse, e spense la luce. Gouenji, il borsone dell’allenamento abbandonato accanto al letto e i capelli ancora umidi dalla doccia, si prese un secondo per guardare il loro selfie che aveva come immagine dello sfondo del telefono: Yuuto aveva un sorriso impacciato e stupendo in quella foto e tutte le volte gli diceva di cambiarla, ma lui la trovava davvero adorabile e la teneva. Spense il telefono e si addormentò.

*

Quando venne venerdì, Shuuya era davvero stanco, ma non avrebbe detto di no a Yuuto per tutto il riposo del mondo. Era una delle poche persone della sua vita con cui si sentiva tranquillo semplicemente a stare, senza fare nulla di specifico. Non era rumoroso né particolarmente caotico, era gentile e straordinariamente dolce, capriccioso e volubile a tratti, ma fra le sue braccia si sentiva accolto come non gli era mai successo. Adorava rimanere vicino a lui, con le mani strette e le gambe avvinghiate, a sonnecchiare sul suo petto e sentire le sue dita fra i capelli. Potevano stare in silenzio delle ore senza aver bisogno di dire o fare qualcosa: era semplicemente bello così.

Però quella volta era il loro giorno , Kidou probabilmente voleva andare a mangiare fuori in qualche bel locale o fare qualcosa di speciale… E anche Shuuya avrebbe voluto farlo, certo, si era vestito bene per l’occasione, si era piastrato i capelli e messo il profumo che Yuuto apprezzava di più. Solo che era così stanco… L’intensa vita sociale di quel periodo l’aveva sfibrato e avrebbe solo voluto dormire per giorni. Fortunatamente non avevano fissato un orario preciso per incontrarsi, così Gouenji poteva ritardare quanto voleva senza essere effettivamente in ritardo: prese sotto braccio i regali che aveva comprato per l’occasione, un disco in vinile di quelli che Yuuto ascoltava sempre quando studiava e un paio di bracciali con le loro iniziali da scambiarsi. Uscì di casa, dopo aver ricambiato allo specchio l’ennesimo sguardo di intesa: era bellissimo.

Kidou aveva passato tutto il giorno impegnato nei preparativi per la festa e ora ammirava con soddisfazione il proprio operato. Gouenji sarebbe stato proprio contento. Gli aveva preparato anche un regalo: un’edizione illustrata del suo autore preferito e un set per apporre un ex libris personalizzato sui volumi che conservava in libreria. Era davvero un appassionato di quelle cose, Yuuto ne vedeva poco il fascino, ma era stato contentissimo quando era riuscito a reperire quel set: non vedeva l’ora di mostrarglielo. Quando sentì suonare alla porta, si fiondò subito in corridoio e lo guardò entrare in casa dall’alto delle scale: come aveva previsto si era vestito davvero bene, pensando di uscire fuori a cena. A Yuuto venne da ridacchiare, ma cercò di trattenersi: la sorpresa sarebbe riuscita alla perfezione.

Gouenji gli andò incontro, affondando subito il viso fra la clavicola e la spalla dell’altro e respirando con piacere il suo odore: - Sei bellissimo – proferì piano, stringendogli la vita in un abbraccio. Kidou gli circondò le spalle con le braccia, appoggiando la sua fronte a quella del biondo e sorridendo beato: -Ben arrivato, puntualmente in ritardo. Ti aspettavo non prima di adesso e non più tardi di ora.-

Gouenji arricciò appena la fronte in un’espressione confusa che fece ridere Kidou. -Non capisco perché ti diverti a dire cose appositamente difficili.- borbottò Shuuya e Yuuto gli appoggiò delicatamente le labbra su una guancia. -Sono contento che sei qui, Shuuya-

Gouenji si aspettava che sarebbero subito usciti: Kidou era un maestro nella programmazione di uscite di gruppo o di coppia, pensava a tutto nei minimi dettagli e gli eventi che organizzava erano sempre un successo. Scherzando una volta gli aveva detto che avrebbe avuto un futuro assicurato da party planner , per cui avrebbe potuto far fallire l’attività di famiglia e avrebbe comunque vissuto nell’agio. Stando allo scherzo, Yuuto aveva ribattuto che, se avesse avuto bisogno di aiuto per la festa di compleanno di Yuuka, sarebbe bastato chiedere, non era necessario adulare tanto. Ma, per quella sera, era evidente che Kidou avesse pensato a qualcosa di diverso e Gouenji fremeva di curiosità e al contempo sentiva salirgli anche un poco di preoccupazione. Così, quando il rasta lo prese per mano, lo condusse su per le scale e gli chiese di chiudere gli occhi mentre lui apriva la porta, Shuuya si sentì emozionato come un bambino di fronte ad una festa a sorpresa inaspettata.

Aprendo gli occhi, non poté chiedere a quello che aveva davanti. Il salone di Kidou era tutto allestito a festa con palloncini a forma di cuori e palloni da calcio – un bel accostamento, doveva riconoscerlo. Invece della solita e alquanto irritante musica da festa in casa, aleggiava per la stanza un motivo melodico e orecchiabile che creava uno sfondo acustico molto riposante. Le tende, pur essendo tirate, erano di un colore chiaro, per cui la stanza era luminosa ma al contempo l’atmosfera era intima, soffusa. Televisione spenta, tavolino imbandito con bibite e alcuni dolcetti, fra cui dei biscotti ricoperti, i preferiti di Shuuya. Gouenji rimase qualche istante ad ammirare la stanza, colpito e già rassicurato dall’atmosfera piacevole, giocosa e rilassante al contempo che si veniva a creare. Dopodiché si voltò in direzione di Kidou e con grande sorpresa se lo ritrovò con addosso un morbido pigiama nero e bianco con il cappuccio che richiamava il becco e gli occhi di un pinguino. Gouenji ridacchiò di gusto, chiedendosi quando diamine si era cambiato e avvicinandosi per toccare il cappuccio così infantile. Venne trattenuto al suo posto da Kidou, che gli porse una busta. – Eh no, prima ti cambi anche tu, poi mi puoi toccare il becco!-

Gouenji rise di cuore, sentendo uno strano gorgoglio di benessere all’altezza dello stomaco, l’ansia completamente dissolta: aprendo il pacco si ritrovò in mano un pigiama simile che riprendeva la forma di un gatto bianco. Sorridendo, senza opporre resistenza, si infilò nel costume, trovandolo piacevolmente caldo e confortevole contro la pelle.

-Adesso posso toccarti il cappuccio?- domandò curioso, avvicinandosi, ma Yuuto con un sogghigno di sfida e uno scatto fulmineo lo dribblò e gli tirò da dietro la coda. – Se riesci a prendermi!-

Gouenji si voltò e gli fu subito dietro, Kidou si lanciò fra i palloncini per rallentarlo, ma il biondo, velocissimo, lo atterrò con rapidità sul tappeto, a pancia in su. Kidou soffiò fra i denti, sconfitto, e lasciò che Shuuya gli riempisse il viso di bacini leggeri.

-Preso! E poi sono io il gatto, cosa soffi?- sorrise ancora, lasciandosi ricadere con la schiena contro il tappeto, al suo fianco. Kidou allungò una mano verso di lui, intrecciando le sue dita nelle proprie.

-Hai ragione, che verso fa il pinguino?-

-Ah lo chiedi a me? Pensavo che fossi tu quello esperto!-

Yuuto rise ancora, Gouenji chiuse gli occhi: era proprio un bambino, che dolcezza.

Ma le sorprese non erano finite. Infatti dopo aver giocato con quei simpatici pigiami ed essersi scambiati i doni - con molto entusiasmo di Gouenji, che aveva voluto subito provare il sigillo personalizzato sul nuovo libro, e di Kidou, che aveva provveduto immediatamente a sostituire il vinile che girava con quello nuovo che gli aveva portato Gouenji - Yuuto spiegò al fidanzato il piano per la serata. Gli disse che poteva scegliere se fare merenda guardando una partita alla televisione – aveva tantissime registrazioni di molti tornei fra cui scegliere – e leggere dopo, oppure leggere facendo merenda e guardare la partita dopo. Gouenji, confusissimo, gli rivolse uno dei suoi sguardi caldi, con quei grandi occhi scuri dilatati dalla contentezza. - Cioè… Non usciamo di casa?-

Kidou rise, troppo divertito dalla sua espressione deliziata, e lo baciò tenendolo vicino. Gouenji strofinò il proprio viso contro il suo collo, completamente rilassato. -Sì.- si sentì rispondere – Per stasera siamo solo io, te e il divano. E i palloncini, se tolleri la loro presenza. Mi sono assicurato che non fiateranno, puoi fidarti. – Ridacchiò ancora e Gouenji sentì di amarlo profondamente.

Optarono per la lettura subito e la partita dopo: Gouenji non aveva mai avuto un appuntamento del genere prima e aveva scoperto una nuova cosa preferita. L’idea di Kidou era semplice e geniale al contempo: si trattava di stare seduti, accovacciati, sdraiati, insomma di inventare ogni posizione più o meno comoda sul divano, sempre con il vincolo di stare vicini, e di leggere un libro a scelta, in silenzio. Si interrompevano per qualche bacio fugace fra le dita e il foglio, qualche carezza smaliziata o la sgradevole sensazione di star perdendo la circolazione ad un arto per la posizione insolita in cui uno dei due o entrambi erano finiti. Gouenji era in totale stato di rilassatezza e più volte Kidou gli dovette pizzicare il naso per tenerlo sveglio.

-Hai scelto proprio una lettura coinvolgente!- sussurrò Yuuto nel suo orecchio, mordicchiandolo appena, e Gouenji, con un mormorio infastidito, cercò di ritrarsi. -Yaawn… E’ che gli horror mi hanno sempre fatto venire sonno.- Kidou inarcò le sopracciglia, molto perplesso, e si sistemò gli occhiali sul naso, tornando alla propria lettura. Anche Gouenji ogni tanto lo interrompeva, si spostava in continuazione in modo da potergli sempre accarezzare la schiena o un braccio. A Yuuto sembrava di essere in paradiso, era così riposante…

Dopo qualche tempo trascorso in totale silenzio, Yuuto era tutto intento nella lettura, quasi tratteneva il fiato al sopraggiungere della fine del capitolo, quando sentì Shuuya muoversi sotto di sé. Spostò gli occhi dalla pagina appena in tempo per incontrare lo sguardo beato di Gouenji, lievemente gonfio dal contatto ravvicinato dei loro corpi e tanto delicato da sembrare dipinto. – Ti amo, Yuuto.-

Il rasta si chinò a baciargli la fronte, poi con una carezza lo incoraggiò a tornare ad appoggiare il viso sul suo petto. -Anch’io, Shuuya, tanto tanto.-

author's corner

Mi sto divertendo MOLTISSIMO

Insomma insomma, niente da dire su questo capitolo se non che Kidou sta facendo un casino e Fudou è una patata, e Gouenji non sa (ancora) cosa avviene più o meno alle sue spalle.

Il rapporto di Hibiki e Fudou mi sta moltissimo a cuore, specialmente perché nel canon passa molto in sordina, rispetto a quello di Hibiki con Tobitaka o altri. Non so se sia proprio dad material, ma Fudou si accontenterà

Grazie come sempre a tutti quelli che seguono, alla prossima <3

Ritorna all'indice


Capitolo 7
*** Like a virgin ***


Shuuya e Yuuto si stavano godendo il sole, attraversando il parco, ognuno immerso nei suoi pensieri. A vederli da fuori non sembravano una coppia, ma loro erano tranquilli così, reciprocamente consapevoli di essere vicini. Quando qualcuno gli chiedeva, Shuuya rispondeva “Non sono mai a disagio quando stiamo in silenzio, in realtà Kidou conosce tantissimi silenzi diversi e io li sto imparando a conoscere.” Yuuto invece: “Mi piace stare da solo con Gouenji”. Si volevano bene e stando insieme sapevano di avere le spalle coperte. Era più che sufficiente.

Si sedettero su una panchina, Yuuto sfogliava una rivista, Gouenji finiva la sua bibita e si guardava attorno. Stava per dire al rasta che le nuvole in cielo assomigliavano spaventosamente a dei palloni da calcio che correvano spediti contro una porta e forse quella lì in mezzo potrebbe essere il portiere, che ne pensi, Kidou? Ma quest’ultimo interruppe la sua osservazione sul nascere, rivolgendogli due occhi magnetici.

-Stasera mio padre è fuori a cena con dei colleghi per lavoro, vieni da me? Potremmo ordinare del cibo da asporto e guardare un film…-

Era esattamente quello che sembrava: Gouenji inclinò appena il capo, sentendosi come Mamoru quando provavano a riportarlo alla ragione dopo un’ora di sproloqui sulla bellezza del gioco del calcio. Da quanto stava rimuginando su quella proposta? Minuti? Ore? Giorni? Settimane? Non stavano insieme da molto, ma si conoscevano da parecchi anni e… e poi non c’è mica un tempo massimo e minimo da aspettare, per questo genere di cose. Gli sorrise, piacevolmente sorpreso, e lo baciò con tenerezza, stringendo a sé quelle labbra pallide che ogni volta sentiva coincidere sempre più perfettamente con le proprie.

-Ti ho colto di sorpresa, Shuuya?- ridacchiò Yuuto, pulendosi le lenti degli occhiali che si erano sporcate dal contatto fra i loro visi.

Il biondo reclinò il capo all’indietro, appoggiando la schiena allo schienale della panchina. -Nah… E’ che stavo pensando alle nuvole.-

Kidou rise – e forse era timidezza nervosa, forse era insicurezza incauta, ma Gouenji lo trovava splendido.

*

Erano rimasti d’accordo che Kidou gli avrebbe mandato un messaggio quando suo padre fosse uscito di casa. Yuuto febbricitava di entusiasmo misto ad ansia, come quando da piccolo i suoi compagni della Teikoku provavano a fargli fare qualcosa di nascosto dal Comandante, anche se in effetti ora non c’era proprio niente da nascondere. Suo padre era stato informato che Shuuya sarebbe venuto a fare compagnia a Yuuto per cena e non aveva avuto nulla da ridire, anzi, si era premurato di far riordinare la casa con attenzione. Quello davvero in crisi era Gouenji. Non poteva in alcun modo chiamare Someoka per farsi dare consigli e Endou non era decisamente un consulente di immagine… Ma cosa poteva mettersi?! Era davanti al suo armadio spalancato da due ore, camicie e cravatte erano sparpagliate sul letto e spuntavano qua e là cinture e scarpe da lucidare. Quando Yuuka entrò nella stanza, suo fratello era accucciato per terra, con le mani nei capelli e l’espressione rivolta verso un punto imprecisato dell’armadio, altezza grucce.

-Ehm… Fratellone? E’ un brutto momento, vuoi che ripassi più tardi?- si premurò di chiedere, avvicinandosi di un passo con un’espressione incuriosita sul volto. Sapeva quanto suo fratello fosse vanitoso e spesso l’aveva visto far tardi a vari appuntamenti solo perché doveva controllare ancora una volta quale collana stesse meglio con l’outfit che aveva scelto. Ma quella volta sembrava grave.

-Fratellone?- gli toccò appena la spalla e lo sentì sobbalzare. Non aveva sentito Yuuka entrare e dalla sorpresa cadde in avanti. Yuuka scoppiò a ridere e si lasciò cadere seduta a sua volta, schivando le pile disordinate di vestiti. – Qual è il problema? Non sai cosa metterti?-

-Uhm…- il biondo sospirò, rimettendosi in piedi. – Yuuto mi ha detto se stasera vado da lui… Suo padre non c’è e…- Il gridolino entusiasta di sua sorella minore lo interruppe: con un tono birichino e complice esclamò: - Non aggiungere altro Shuuya, ti aiuto io!-

*

Kidou era seduto alla sua scrivania e si spingeva a destra e a sinistra con la sedia a ruote, in un dondolio piuttosto nervoso e annoiato insieme. Aveva scritto solo da un paio di minuti a Gouenji, era fisicamente impossibile che fosse già arrivato. Eppure non vedeva l’ora che arrivasse, cominciava a sentirsi teso. Insomma, non era mica la prima volta che faceva sesso con un ragazzo! Ma Shuuya… Shuuya non era un ragazzo qualsiasi… Era Shuuya! Ed era stato lui a baciarlo per primo… E gli aveva già portato i fiori, fatto dei regali… Erano usciti a cena insieme! Quando gli aveva proposto di vedersi a casa non aveva esitato un momento, sembrava… Contento? Sì, contento. Sicuro. Sarebbe stata una bella serata, non c’era motivo di essere imbarazzati o in ansia. Si volevano bene. Diede una veloce occhiata al telefono, nessun nuovo messaggio. Con un sospiro agitato si alzò e si controllò un’ultima volta i capelli allo specchio. Va tutto bene. Sentì in quel momento suonare al campanello e si fiondò fuori dalla porta, in preda ad un’emozione indefinibile e una straordinaria voglia di abbracciarlo.

Si trovò di fronte uno splendido ragazzo con un’espressione a dir poco terrorizzata, che Kidou trovò estremamente buffa. Aveva la piega appena fatta, i suoi capelli tutti portati all’indietro erano brillanti e setosi anche alla vista: portava due orecchini, uno rosso e uno blu, che gli illuminavano lo sguardo e gli rendevano gli occhi ancora più grandi e profondi. Un poco di correttore sul viso, sotto gli occhi della matita nera, al collo una collanina d’argento. Indossava una camicia color sabbia risvoltata fino ai gomiti e dal colletto leggermente alzato, il primo bottone della camicia era aperto in maniera falsamente disordinata. Il gilet color borgogna gli dava quel tocco raffinato e al contempo sbarazzino che caratterizzava da sempre la sua persona. Cintura scura, pantalone chiaro dal taglio casual, scarpe sportive nere. Sembrava uscito da un poster, gli mancavano le stelline attorno. Teneva fra le mani un mazzo di fiori confezionato dal fiorista, una bottiglia e dei cioccolatini. Aveva le guance rosse e Kidou era abbastanza certo che non fosse il blush di Yuuka. Il suo sorriso però era irresistibile.

Yuuto lo aiutò ad appoggiare tutti i doni e lo fece accomodare di sopra, in camera sua. Gouenji educatissimo salutò i presenti, fece gli onori di casa e seguì Yuuto, spiando la sua figura ancor prima di raggiungere il divano. Possibile che non avesse ansia? Dei due era Kidou notoriamente quello che si agitava… Appena furono soli gli confidò il suo stato d’animo e a Yuuto scappò da ridere.

-Dovevi vedermi in che stato ero quando ti aspettavo… E’ che quando ti vedo mi sento sempre più tranquillo. Sarà la tanto discussa sicurezza che ispira il bomber di fuoco-

Gouenji scosse il capo e lo abbracciò, portandoselo più vicino. Kidou indossava una semplice tshirt blu e un paio di jeans, profumava di dopobarba e di crema idratante alle mandorle. Era freschissimo, avrebbe voluto divorarselo di baci all’istante, senza dover aspettare la cena.

-Ti sei fatto davvero bello stasera- gongolò Kidou, arrossito appena sentendo il suo braccio cingergli le spalle e avvicinarlo a sé. -Ma ci sono solo io, te l’avevo detto…-

-E’ con te che voglio fare bella figura, mica con qualcun altro.- miagolò il biondo, iniziando ad accarezzargli con delicatezza la schiena. Kidou sussultò di piacere e lasciò ricadere il capo nell’incavo del suo collo, accucciandosi sul suo petto e respirando piano.

Le loro labbra si incontrarono a metà strada. Le mani di Gouenji gli accarezzavano dolcemente la schiena e Kidou teneva i palmi appoggiati sul suo petto, godendosi il calore della sua pelle e l’odore della sua colonia. Shuuya si ritrovò ben presto disteso sulla schiena, il corpo di Kidou avvolto dalle sue braccia e stretto a sé. Yuuto sarebbe volentieri rimasto in quella posizione per ore, a farsi semplicemente coccolare e abbracciare dal suo ragazzo, ma c’era una fretta particolare nei movimenti di Gouenji.

Non era la prima volta che sentiva la passione di Shuuya, c’erano state sessioni di baci lunghe ore sui sedili della macchina e Kidou conosceva i movimenti sicuri e sciolti del biondo contro al suo corpo, il modo spudorato e intenso con cui lo desiderava. Ma questa volta era diverso. Poteva sentire sotto le mani la tensione nel corpo di Gouenji, una fretta strana lo animava in netto contrasto con la rigidità della sua postura. Provò a rallentare il bacio, portando una mano ad accarezzare dolcemente la guancia di Shuuya, ma il ragazzo non glielo lasciò fare. Insistette a cercare la sua lingua con la propria, una mano era scivolata sotto alla sua maglietta per accarezzare la pelle calda della sua schiena.

Si stava comportando in maniera troppo strana, non era da lui… Kidou avrebbe azzardato che c’era qualcosa di plateale nel suo comportamento, qualcosa di recitato. Puntellò le mani sul suo petto, staccandosi da lui e mettendo spazio fra i loro visi.

-Va tutto bene?-

-Mh?- Gouenji avvicinò il capo al suo e cercò di sfiorargli il collo con le labbra – In che senso?-

-Aspetta un attimo. Non mi sembri tranquillo.-

-E’ tutto okay, non ti preoccupare… - sorrise Shuuya, con poca luce negli occhi, cercando di baciarlo. Kidou scosse leggermente il viso, inclinando il capo in modo che le labbra di Gouenji gli sfiorassero la fronte. – Parliamone, non correre. Sono abile a fare strategie di gioco, mi conosci. Parla con me, cos’hai?-

Gouenji, leggermente disorientato, lasciò che Kidou si ritraesse e si raddrizzò contro il divano, incerto su cosa dire. Kidou continuava a guardarlo con quei suoi occhi grandi, caldi e rossi. Sembrava vegliare su di lui, Shuuya non si era mai sentito così. Vinse le iniziali resistenze grazie alle carezze che Kidou iniziò a fargli con dolcezza sulle braccia, dalle mani risalendo fino alla stoffa della camicia, per poi scendere di nuovo. Così accoccolati, con Kidou vicino a rassicurarlo, Gouenji si raccontò per intero, come ancora non aveva fatto.

C’erano stati degli aneddoti, con il resto della Raimon presente, fra loro due soli, ma Shuuya non era mai stato così sincero. Raccontò di Markus, dei gay bar, delle limonate in macchina con i sedili delle auto europee abbassati, delle gomme da masticare in bocca per provare vari modi in cui tenere la lingua, della prima volta in cui se l’era fatto toccare dalle mani di un ragazzo… Raccontò tutto quello che aveva visto e fatto e Kidou, con una scrollata di spalle, decretò che era praticamente vergine. Fra loro c’era un abisso, Gouenji dimostrava di avere dei dubbi su certe cose che lui dava davvero per scontate… Con Fudou aveva avuto un’esperienza completa, in tutti i sensi, e, a prescindere da come era finita, ora si accorgeva per la prima volta di avere qualcosa da insegnare a Shuuya.

Il biondo era rimasto a guardarlo con quei suoi grandi occhi color del cioccolato, affascinato dalla posa pensierosa del coetaneo e dal modo in cui i capelli, lasciati sciolti dai rasta, gli accarezzavano il collo, così invitante adesso. Si appoggiò a lui, aspettando di sentirlo commentare in qualche modo, e, a contatto con la sua pelle, si accorse di quanto gli battesse forte il cuore. Arrossì di colpo e si ritrasse, ma Kidou lo prese per una spalla, con delicatezza, e riaccompagnò il suo volto al proprio petto.

-Sshh… Stai qui tranquillo, non ti preoccupare. Non devi essere sempre sicuro di te… Puoi anche… Stare qui, semplicemente. Con il batticuore. –

-Yuuto…- si lasciò accarezzare, abbassando gli occhi. Con voce piccola e bassa, spinse fuori qual era il suo vero timore. -Quando andavamo a scuola c’era il pettegolezzo che fossi un grande amante, uscivo con tante ragazze e… adesso tutti si aspettano che abbia esperienza. Non te l’ho mai detto perché mi vergognavo… magari tu avevi in mente una serata molto diversa e io non voglio deluderti… -

Kidou accarezzò con la punta del naso l’attaccatura dei suoi capelli, lasciando una piccola scia di baci morbidi dalla tempia al sopracciglio. -Tu non potresti mai deludermi. L’unica aspettativa che ho è che tu stia bene con me, non devi fare nulla che non ti senti di fare. Sei qui con me adesso e io sono già contento così.-

Gouenji rilasciò un respiro tremulo contro al suo collo, che probabilmente aveva trattenuto fino a quel momento. Kidou baciò di nuovo la sua tempia una, due, tre volte, fino a che non sentì il corpo di Shuuya rilassarsi fra le sue braccia. Sentì un profondo moto di tenerezza vedendolo così vulnerabile e abbandonato su di lui e una parte di sé provò un certo appagamento nel sapere che nessuno prima aveva mai visto quell’espressione serena e indifesa sul bel volto del bomber di fuoco. Aveva già fatto pace da tempo con l’idea che Gouenji avesse avuto più esperienze di lui e con molte più persone; scoprire che non era affatto così gli faceva venire una gran voglia di sghignazzare. Si sentiva il più fortunato della terra.

-Heh… chi l’avrebbe mai detto che sarei stato la prima volta del grande Gouenji…- commentò a mezza voce. Shuuya ridacchiò, dandogli dello scemo e, sorridendo contro al suo collo, gli lasciò un piccolo bacio di gratitudine sulla clavicola.

Gouenji sapeva che Kidou, al contrario, era stato fidanzato con Fudou per alcuni anni e si era ritrovato a pensare seriamente a come poteva aver funzionato, fra loro due. Non si era mai posto il problema così intensamente prima d’ora… Ma adesso il pensiero che qualcun altro potesse aver conosciuto i desideri intimi di Kidou – e averli disattesi! – gli faceva ribollire il sangue nelle vene.

-Fudou ti ha tradito?- domandò a bruciapelo, non riuscendo a resistere.

Kidou spalancò gli occhi dalla sorpresa, poi si voltò a guardarlo e gli strofinò con delicatezza le labbra sulla fronte.

-No, in realtà no. Mi ha lasciato lui ed è stato perché ha capito, prima di me, che avevo una cotta per te. Piuttosto strano, eh?-

Gouenji corrucciò la fronte, perplesso. Questa proprio non se l’aspettava.

-Fudou ti ha… lasciato a causa mia?-

Kidou fece spallucce e si accucciò, lasciando che il bacino scivolasse in avanti. Gli prese la mano e iniziò a giocherellare con le sue dita intrecciate nelle proprie.

-Io e Fudou siamo stati insieme tanti anni, so che non ti sta simpatico e non dovete diventare amici, in effetti. Non pensare a lui adesso, io non sto pensando a lui. Non voglio fare con te le stesse cose che ho fatto con lui… Voglio fare cose nuove con te. Perché, essendo con te, saranno nuove per forza.-

-Ho tanta voglia di baciarti adesso, Yuuto.-

Si baciarono, arrotolandosi su quel divano, spostando i cuscini e intrecciando fra loro le gambe, in modo da stare più vicini possibili. Gouenji sentiva la stoffa dei vestiti impedirgli il contatto con la sua pelle e la cosa diventava ogni minuto che passava più intollerabile, con le labbra cercava di raggiungere quanta più pelle nuda di Kidou riusciva a trovare e Kidou dal canto suo gli respirava addosso, creando quegli aloni umidi di vapore sul suo collo che gli facevano vedere le stelle.

-Hai le stelle negli occhi, Shuuya – mormorò Kidou infatti, lasciandogli un ultimo bacio sull’angolo della bocca, cosa che faceva letteralmente impazzire Gouenji. Shuuya se lo strinse al petto, impedendogli di alzarsi.

-No, non te ne andare, rimani qui ancora un momento. – sussurrò, accaldato. Kidou sorrise e si strofinò contro di lui. Era ancora più bello che nelle sue fantasie.

-Sai Shuuya… Non si fa sesso da vestiti.-

Gouenji sollevò lo sguardo e trovò un sorrisetto malizioso ed ardito ad accoglierlo. Per un momento gli parve di rivederlo capitano della Teikoku e si passò una mano sul viso, ridacchiando. Se era una sfida, l’avrebbe accolta.

-Lo so, mi aspettavo che un grande regista come te avesse pensato ad una strategia che non includesse tempi morti e azioni inutili.-

-Io non organizzo mai azioni inutili, bomber. Tutto ciò che faccio e dico è stato accuratamente studiato, per cui adesso dico…- lasciò per un momento cadere il silenzio fra loro, mentre si rimettevano entrambi seduti in una maniera più composta. Gouenji aveva la camicia stropicciata e il gilet aperto, Kidou la maglietta inumidita e alcuni segni rossi sul collo. Shuuya lo guardava come se fosse la cosa più bella su questa terra. – Che ordiniamo la cena!- Detto questo, saltò giù dal divano e corse a recuperare il telefono che aveva lasciato sulla scrivania, nell’altra stanza.

Gouenji sprofondò di nuovo nel divano, con un mugugno indispettito. Sul serio?! Come poteva pensare a mangiare in un momento del genere? Aveva fatto qualcosa che non andava? L’aveva messo a disagio chiedendogli di Fudou? Era stato lui a dirgli di parlare… Sbuffò, portandosi una mano fra i capelli per provare a dargli di nuovo una forma. Che disgraziato che era Yuuto quando faceva così! Si rotolò a pancia in giù sul divano, guardandosi attorno. Era una bella stanza, pulita e ordinata. Si vedeva che Yuuto viveva da solo, una camera così non l’avrebbe mai potuta tenere con quel terremoto di Yuuka… Appena fu colto da quel paragone si sentì uno sciocco e si rimise a sedere, agitato. Yuuto aveva senza dubbio sofferto molto la solitudine quando era stato separato da Haruna e avrebbe volentieri rinunciato a tutte quelle stanze solo per sé… Fu interrotto dalle sue riflessioni sentendo tornare Kidou, che portava un vassoio con sé con vari snacks da piluccare, delle bibite e del gelato.

-Ma che sorpresa! – gongolò Gouenji, osservando quel piccolo banchetto. -Hai cucinato tutto tu?- ridacchiò assaggiando una patatina.

-Eh sì, hai visto? Ho spremuto anche le olive per fare l’olio di frittura- ribatté Kidou, stando allo scherzo e facendogli cenno di sedersi con lui sul tappeto.

-Scherzi a parte, ho preparato così, non avevo voglia di avere interruzioni o dover chiamare, aprire alla porta… Sai quel genere di- Gouenji si sporse per baciarlo di nuovo e Kidou protestò un poco, agitando i capelli. – Ma è una mania! – rideva nel dirlo e a Gouenji sembrò l’incoraggiamento migliore che avesse mai ricevuto.

-Sei troppo bello, non posso resistere. – prese con delle bacchette un polipetto di carne e glielo portò alle labbra, sorridendo giocoso. – I polipetti dei bimbi?-

-Sì, sono i miei preferiti. – ammise Kidou aprendo la bocca e addentando quello che Gouenji gli porgeva.

-Sul serio?- Gouenji era davvero stupito, ma Kidou glissò, versando da bere a entrambi.

-Sai Gouenji… Fin da quando andavamo a scuola insieme, tutti non facevano che parlare di quanto fossi un latin lover, le ragazze impazzivano per te, a San Valentino ricevevi sempre tantissimo cioccolato… E’ strano pensare che adesso siamo seduti su questo tappeto e…-

-Perché, tu non avevi delle fan? Non ci posso credere, suvvia, eri il capitano della Teikoku!- Gouenji prese il proprio bicchiere, annusando la schiuma zuccherina. Kidou aveva preparato un vassoio proprio da bimbi a ben pensarci…

-Sì… Ma era diverso! Insomma, già durante l’International avevamo scoperto dei blog fanservice su di te!-

-Che brutti momenti…-

-Non provarci nemmeno, sappiamo tutti quanto questo ti dia soddisfazione!- sibilò il rasta, poi cambiò tono, facendosi più dolce e calmo– In ogni caso, non devi avere ansia. Siamo io e te, adesso non c’è nessuno stadio, nessun pubblico. La tua meta è solo sentirti bene: come a calcio, come dice il nostro capitano.- Gouenji sollevò su di lui lo sguardo, sorpreso e perplesso. Kidou aveva intenzione di usare delle metafore calcistiche per spiegargli come si fa sesso fra due uomini?

-Endou dice che bisogna solo divertirsi, giusto? Ora uguale. Non pensare a Fudou, a Markus o a chiunque altro. Pensa solo a divertirti il più possibile, sorridi e se ti senti infiammare, non spegnere le fiamme, lasciale bruciare.-

Gouenji annuì convinto, tornando a baciargli quel collo di cui non si sentiva mai sazio. Questa volta si liberarono in fretta dei vestiti: fra le sue gambe sentiva le fiamme e le parole di Kidou lo guidavano, proprio come in campo. 

-Bravo il mio bomber- si rilassò Kidou sotto di lui, con le guance tutte rosse e gonfie e gli occhi lucidi dall’adrenalina. Gouenji gli accarezzò il viso e si lasciò ricadere sul suo petto. Era stato naturale, semplicissimo, come calciare un pallone.

author's corner

Questo è il capitolo più cringe di tutta la raccolta e meritava un titolo altrettanto cringe
Scusatemi per le metafore calcistiche. Dal profondo del cuore. Ma mi sembrava così ic che non ho proprio potuto evitare :D
Kidou in versione gallo orgoglioso mi fa MORIRE, è stato mooolto soddisfacente da scrivere. La verginità di Gouenji non è una conquista che il nostro Kidou si scorderà facilmente. (Ci ripenserà anche dodici... o meglio sedici... anni dopo, ma questo è uno spoiler su lavori futuri eheh)
Grazie a tutti e a presto! Per chi lo festeggia, buon Natale <3

Ritorna all'indice


Capitolo 8
*** "Il fatto è che sono stato proprio cattivo" ***


Gouenji non ne poteva più. Da quando in università erano stati calendarizzati gli esami finali dell’anno accademico, Kidou era irraggiungibile, indisponente… In una parola, insopportabile. Si barricava in casa, sommerso da quei pesanti tomi, rispondeva poco e nulla al telefono e quelle rare volte che permetteva al suo corpo di prendere ossigeno era per rinchiudersi in biblioteca. Riuscivano ad incontrarsi solo lì, durante quelle odiose “nicotine break” – Gouenji non sopportava come il piacevolissimo odore delle sue dita sottili si impregnasse di puzza di sigaretta e gli rammentava continuamente che non faceva del bene al suo fisico… Kidou aveva preso la decisione di non competere più a livello professionistico, con grande dispiacere e perplessità dei suoi amici, ma Gouenji riteneva che fosse ugualmente sconsiderato da parte sua distruggersi a quel modo i polmoni. Kidou ribatteva che lo aiutava a gestire la tensione e faceva decantare il discorso.

Tensione? Insomma sì, ovviamente gli esami erano importanti, Gouenij sapeva quanto Kidou fosse dedito allo studio, fin dai tempi delle scuole medie, e che adesso ambisse a laurearsi per svolgere mansioni dirigenziali nell’attività paterna… Tuttavia, privarsi a quel modo del sonno e della vita sociale per qualche credito scolastico andava oltre ogni ragionevole condotta.

La perplessità sfumò in fastidio quando si accorse che Kidou, sistematicamente, ignorava ed evitava il contatto fisico con lui. Sfuggiva ai suoi abbracci, ripiegava il volto concedendo baci poco pronunciati, non ricambiava anche quelle piccole attenzioni fisiche in pubblico che erano diventate un’abitudine per la coppia. Gouenji era estremamente indispettito e disturbato dal suo comportamento schivo e ritroso: più volte gli aveva domandato quale fosse il problema, se volesse dirgli qualcosa, ma Kidou aveva sempre risposto, laconico: -Va tutto bene, Shuuya, sono molto impegnato con lo studio.-, come se fosse una spiegazione ragionevole.

Un giorno avevano incontrato Daiki Jimon in biblioteca e quest’ultimo, vedendo Kidou così concentrato nello studio, aveva commentato, quasi casualmente, come se fosse una cosa da nulla: -Sempre su quei libri eh, sissy ? Sembra di rivederti alla Teikoku, quando usavi quei cerotti di caffeina!-. A Gouenji si erano rizzati i peli delle braccia dallo sgomento, ma Kidou aveva semplicemente sbuffato, salutandolo con la mano. Jimon aveva fatto spallucce e rivolto a Gouenji aveva sussurrato: -Suo padre è un vero dittatore… E se te lo dico io…-. Da quel giorno Gouenji aveva iniziato a prestare più attenzione alle conversazioni a cui capitava di assistere a casa Kidou fra padre e figlio e a riportare alla mente frasi che aveva sentito in passato. Aveva sentito in sé una rabbia montante insieme ad una crescente preoccupazione genuina per le condizioni di salute fisica e mentale del suo ragazzo. Non era normale che il suo genitore lo spingesse così al workaholism e fomentasse la sua ansia da prestazione per i voti scolastici: Kidou era un ragazzo intelligente ed estremamente concentrato sullo studio, avrebbe di certo ottenuto eccellenti risultati anche senza tutta quella pressione. Possibile che non si rendesse conto - lui così abile e arguto- che si stava solo facendo del male?

Deciso a parlargli, per obbligarlo a riflettere, lo aspettò fuori dalla biblioteca fino all’orario di chiusura. Finalmente lo vide uscire dalla porta e, nonostante ogni volta il suo fascino lo lasciasse senza fiato, Shuuya si inquietò nel constatare quanto il suo aspetto fosse peggiorato da quando l’aveva visto l’ultima volta, qualche giorno prima. Aveva il volto pallido, spesse occhiaie, messe in risalto dalla montatura sottile e argentata, occhi resi piccoli e spiritati dalla carenza forzata di sonno. Mani pallide, sporche di inchiostro, e gonfie, dita ingiallite… Gouenji lo stava fissando con un’espressione che costrinse Kidou in un risolino di scuse, un po’ disorientato.

–Shuuya, sei qui. Scusami, devo essere un disastro, se mi dicevi che venivi mi conciavo meglio–. Si passò una mano sul viso, andandogli incontro senza cercare di abbracciarlo. Rimase a guardarlo, sulle sue labbra si era profilato un sorriso cautamente felice. – Sono contento che tu sia passato. Sei sempre bellissimo.-

Gouenji lo guardava con braccia incrociate e un’espressione tenebrosa, che Kidou interpretò come rabbia e ne ebbe paura. -E’… Successo qualcosa? Hai una faccia…-

-Certo che è successo qualcosa, Yuuto. Ti sei visto? Sei l’ombra di te stesso.-

Il sorriso di Kidou si spense all’istante, sentendo la risposta gelida dell’altro. Sbarrò gli occhi, incredulo all’idea di averlo sentito pronunciare parole del genere.

-I-io… Sì, insomma, eheh… Non sono nella mia forma migliore, ma… Gli esami…! Ti prometto che, appena finiscono, passiamo un po’ di tempo insieme, magari a Okinawa e…-

-Studio, esami, solo di questo stai parlare. Ma a te importa davvero ? O vuoi solo far contento papà?-

Kidou era completamente sbigottito. Guardava Gouenji con un’espressione stralunata, come se non lo riconoscesse.

-Di cosa stai parlando? Davvero sei arrabbiato per questo? Stai studiando anche tu… - Cercò di andargli incontro, di farsi più vicino, di spiegarsi. Gouenji rimase sulle sue, a guardarlo con quegli occhi incendiati che a Yuuto non erano mai parsi così irritati.

-Certo, è proprio perché sto studiando anch’io. Ti sembra normale quello che fai? Quello che tuo padre ti chiede?-

-Ma, Shuuya… - Kidou barcollò, incerto – Io devo studiare in questo modo… Devo eccellere. Lo devo a mio padre, lui mi ha scelto per portare avanti l’azienda di famiglia, non posso deluderlo. Si aspetta questo da me…-

Yuuto si sentiva con l’acqua alla gola, il fiato mozzato da un’improvvisa ansia che, come un mostro rapace, gli risaliva dal petto, ferendolo ad ogni movimento con le sue unghie aguzze. Possibile che Gouenji non capisse? Non era una faccenda personale contro di lui; avrebbe amato trascorrere ogni singolo momento in sua compagnia, senza dover dedicarsi così lungamente e intensamente allo studio, ma la sessione di esami era imminente e suo padre non avrebbe accettato un voto inferiore all’eccellente. Era sempre stato così, d’altronde. Era sempre stato giusto così.

Gouenji rispose con asprezza, irremovibile nelle sue convinzioni: le sue parole trasmettevano tutta la sua cecità e la sua arroganza, il suo privilegio, con cui si permetteva di giudicare la sua vita. Kidou, profondamente ferito e umiliato, rispose con più cattiveria possibile. D’altronde, non conosceva altro modo per ribattere, quando si sentiva sotto attacco.

-Yuuto, tuo padre non sarà mai contento di te. Appena raggiungerai l’obiettivo ti darà nuove pressioni, nuovi traguardi e sarai continuamente sotto torchio. Vuoi vivere così, alla sua mercé? Datti una svegliata e chiediti per una volta cos’è che vuoi davvero.-

-Come ti permetti di parlarmi in questo modo? Tu non sai assolutamente niente di me, né di mio padre, se è per questo. Mio padre è contento di me, al contrario del tuo che si ritrova in casa un figlio ribelle e ostile!-

-Quantomeno io mi ribello, tu ti fai comandare a bacchetta. Non hai un po’ di orgoglio, un po’ di dignità?-

-Senti chi parla! Ti ricordo che sei stato tre anni in Germania perché “ lo voleva papà” . E vuoi spiegare a me cos’è l’orgoglio? Fai tanto il presuntuoso, ma tu ti puoi permettere di fare quello che vuoi, in fondo. Non provare a parlarmi ancora con quella strafottenza, sei un privilegiato e non sai per me cosa vuol dire avere una dignità. E’ molto dignitoso quello che faccio per la famiglia Kidou , hai capito?!-

Shuuya non aveva mai visto Yuuto andare così tanto fuori dai gangheri, aveva gli occhi lucidi dalla rabbia e dalla frustrazione, ma le parole che uscivano dalla sua bocca erano tinte di un rosso aggressivo, violento. Per un momento gli parve di rivederlo con il mantello scarlatto della Teikoku sulle spalle, mentre infieriva in quella prima amichevole contro la Raimon Jr. High, con il solo scopo di annientare quei ragazzini.

- Io non mi devo nascondere da mio padre . Lui sa di me, di noi, come sapeva di Akio. E mi accetta. Tu, che ti permetti di venire da me a spiegarmi come deve essere il rapporto con mio padre, vai, coraggio, a parlare a tuo padre! A dirgli che sei “uno sporco omosessuale”, come li chiama lui. E, tu, lì zitto quando lo dice, nevvero? Tu e la tua dignità di merda. Non ne hai di dignità, a indossare gli orecchini quando esci di casa e fare la tinta blu nei weekend quando tuo padre è via, in modo da lavarla prima che torni.-

Gouenji, ferito sul personale dalle sue parole crudeli, ritenne di non dover rimanere un secondo di più. Guardando Kidou negli occhi, raccolse l’offesa e gli diede la schiena, incamminandosi verso casa.

*

Kidou, tornato a casa propria, era profondamente su di giri. Incapace di prendere sonno, continuò a studiare per tutta la notte: le prime luci dell’alba lo trovarono addormentato alla scrivania, con il capo appoggiato malamente su un braccio, ancora la penna fra le dita. Si destò e, sentendo un forte dolore al collo, decise di farsi una doccia calda. Solo a quel punto, con le mani raccolte intorno a una generosa tazza di tè, controllò il proprio telefono. Con orrore si rese conto che Gouenji non gli aveva scritto. E neanche Fudou.

Sentì montare dentro di sé un profondo senso di malessere e si sdraiò a letto, estremamente agitato. Il mostro rapace dell’ansia era tornato, più intenzionato che mai a divorargli ogni briciola di fiato che aveva in corpo. Yuuto si coprì il volto con un braccio, mentre con l’altro stringeva un lembo del copriletto. Cercava di riportare alla mente le parole esatte che si erano scambiati, quello che lui aveva detto, se Gouenji aveva parlato prima oppure… Niente, non c’era modo di ricostruire con precisione il dialogo. La sua mente era annebbiata, come se ci fosse stato un ingombrante vuoto che gli premeva contro le tempie. Non gli riusciva a concentrarsi: più si sforzava di ricordare con precisione cosa fosse successo, più gli sfuggivano i dettagli… Il tono di voce, il modo in cui avevano tenuto la postura… Si erano toccati? Shuuya aveva tenuto sempre le braccia incrociate? Non l’aveva abbracciato nemmeno quando l’aveva visto? Perché non l’aveva baciato, dannazione?! Perché aveva infierito in quel modo? Era stato lui a insistere per primo con Shuuya perché approfittasse di una trasferta lavorativa di suo padre per provare una tinta colorata… E, diamine, sapeva quanto fosse difficile fare coming out..! Aveva avuto a suo tempo parecchi dubbi e ansie e aveva avuto Fudou al fianco, così supportivo e buono... Perché lui invece aveva detto quelle cose così brutte a Shuuya? Shuuya che era sempre stato così dolce con lui, così rispettoso, tenero, premuroso, delicato…

Non se lo meritava uno buono come Gouenji. “L’hai ferito e non lo vedrai più”, infieriva la voce cattiva nella sua testa, ghermendolo nel senso di colpa e nell’auto-mortificazione. Era proprio una persona meschina, non c’erano dubbi. Era stato cresciuto vedendo persone potenti offendere e fare del male… E lui quello aveva imparato, quello sapeva fare: essere aggressivo, violento, fare del male alle persone. Era stato così con Haruna - per tanti anni non l’aveva cercata, perché diamine non le aveva mai telefonato?! - con i suoi compagni della Teikoku - in particolare con Sakuma e Genda, che avevano avuto ragione a disprezzarlo e colpirlo tanto forte! - con Fudou - che aveva capito che il ragazzo con cui stava, che amava e supportava, in realtà pensava ad un altro! L’aveva fatto soffrire per anni e l’aveva pure costretto ad umiliarsi ammettendolo, avrebbe dovuto realizzarlo quantomeno prima lui… E adesso anche con Gouenji. L’aveva offeso gratuitamente e violentemente, senza motivo. Gouenji si era solo preoccupato per lui e cosa ne aveva tratto, in cambio? Mortificazione e insulti. Che razza di persona orribile che era.

Kidou sentiva il proprio battito aumentare e i polsi tremare spaventosamente, avrebbe vomitato da lì a poco, se non faceva subito qualcosa, ne era certo. Ma che poteva fare? Chiamare Gouenji? Sì, chiamare Gouenji… Avrebbero potuto parlare, risolvere! Risolvere certo… Quantomeno… Gli avrebbe spiegato… Sì gli avrebbe spiegato… Cosa gli doveva spiegare? Era braccato da un forte senso di impotenza, si sentiva davvero uno schifo. Prese il telefono e scrisse il primo messaggio. "Scusa, avevi ragione, forse sto esagerando” . Lo cancellò subito e ne scrisse un secondo. “Come stai? Hai dormito bene? Io no… Mi dispiace… Sono molto stanco, ma non avrei dovuto permettermi…”. Poi un terzo. “Grazie per essere passato ieri, mi ha fatto davvero piacere. Io invece sono stato uno stronzo, sono mortificato”. Poi un quarto. “Non dovevo dirti quelle cose, scusami, sono un idiota, ti amo, vediamoci di nuovo, parliamone, ti prego, ti chiederò scusa in qualunque modo vorrai”. Tutti cancellati, inesorabilmente. Non trovava una parola che andasse bene, un’espressione che potesse… indurlo a perdonarlo…

Alle sue orecchie non giunse il click dell’invio che, per un momento, gli avrebbe concesso la tregua di cui aveva bisogno. Se fosse riuscito a scrivere quel messaggio, Shuuya lo avrebbe letto, sicuramente a quell’ora del mattino era già sveglio, gli avrebbe risposto, concordando un orario e un luogo, e si sarebbero incontrati. Ne avrebbero parlato e sarebbe andato tutto a posto. Se solo fosse riuscito a inviarlo. Invece, braccato dal panico e dal senso di colpa, si rifugiò nel suo posto sicuro, nell’unica persona con cui si era già aperto, confidato, e si era sentito accolto e amato per davvero, per intero.

Akio rispose al primo squillo.

- Petit prince , che diamine succede?! Ti pare normale chiamare a quest’ora del mattino?-

Il solito Fudou: scorbutico, ma solo in apparenza. Era così comodo parlare con lui, ne conosceva ogni sfumatura, ogni angolo, anche i più bui, e li aveva trovati tutti amabili. Sentendo la sua voce, a Yuuto sembrò di riuscire già a respirare meglio.

-Ho fatto un casino. Akio. - Doveva avere il fiato ancora particolarmente mozzato, perchè non gli uscì di appellarsi a lui nella stessa frase. Dovette fermarsi e quella pausa suonò come un’invocazione. Fudou, dall’altro capo del telefono, controllò per un istante l’ora e decretò di potersi permettere di fare tardi a lavoro, quella mattina: in quella bettola erano a corto di personale e non si potevano certo concedere il lusso di licenziarlo. Ascoltò Yuuto vomitargli addosso una serie di frasi sconclusionate e angosciate su quella che, intuì fra strascichi di parole e singhiozzi, doveva essere stata una litigata alquanto violenta.

-Succede alle coppie formate da poco di litigare, sai? Non è niente di grave…- si pronunciò ad un certo punto, interrompendolo, perchè sentirlo piangere così gli stringeva le viscere. Avrebbe preso a pugni qualsiasi cosa: il muro, Gouenji-porcospino-Shuuya che si permetteva di trattare così male Yuuto, il suo Yuuto, Yuuto stesso, che era così coglione da essersi innamorato di quel cretino platinato, il nuovo tipo con cui usciva, che non riusciva neanche lontanamente a farlo sentire come l’aveva fatto sentire Yuuto, e naturalmente se stesso, che puntualmente finiva incastrato in quelle situazioni di merda.

- Il fatto è che sono stato proprio cattivo.- continuava a ripetere la voce di Kidou dall’altra parte del telefono, così accanita, così consapevole. Fudou sentiva il bisogno di piangere adesso e sputò fuori un acido: -Sì - che subito corresse in: -Si… aggiusterà tutto, vedrai. Chiamalo magari o va’ a incontrarlo quando finisce gli allenamenti. Porti fiori, cioccolato… E scuse sincere. Vedrai che andrà bene.-

Kidou parve rasserenarsi, quei consigli gli sembravano un’ottima idea. Lo ringraziò “di cuore”, così disse, quelle esatte parole: “Grazie di cuore, Akio” e Akio il cuore se lo sentì preso a morsi. Aspettò che Yuuto chiudesse la chiamata e, rimasto solo, dalle sue labbra sfuggì un gemito. Digrignò i denti, sentendo ruggire dentro un forte bisogno di piangere, che ingoiò con furia e uscì in fretta di casa per recarsi a lavoro. Nel riflesso del finestrino della moto, prima di indossare il casco, vide il proprio volto arrossato e molto magro. Una persona così a Kidou non sarebbe mai piaciuta. Si infilò nel traffico, imponendosi di non pensare più. Più tardi avrebbe chiamato il suo spacciatore di fiducia, per sapere se riusciva a procurargli per quella stessa sera un po’ di roba buona. Era giorno di paga.

Kidou, rincuorato dal confronto con Fudou, finì di bere il proprio tè e mise a tacere la vocina cattiva, nella sua testa, che diceva che era una persona meschina, un vero idiota e uno stronzo non meritevole di amore. Era vero, aveva trattato male Shuuya, ma c’era sempre una soluzione. E l’avrebbe trovata.

*

Per tutta la mattina il telefono di Gouenji aveva vibrato continuamente, ma lui, seguendo i corsi in università, l’aveva silenziato e lasciato sul fondo della borsa. Adesso in mensa, sentendo per l’ennesima volta la vibrazione di una chiamata in arrivo, il biondo sbuffò sonoramente. Aveva una bassissima soglia di sopportazione per le persone insistenti e Kidou stava davvero esagerando. Gli aveva risposto in maniera davvero offensiva – in fondo non aveva fatto altro che dire la verità. Invece di stressarlo con tutte quelle chiamate, avrebbe potuto fare come lui e prendersi del tempo per riflettere su quello che era successo. Al di là del litigio fra loro, avrebbe potuto pensare sul serio al fatto che si stava distruggendo. Gouenji non era davvero intenzionato a non parlargli più, anzi. Aveva solo bisogno di qualche ora da solo, per pensarci a mente fredda. Rimaneva della sua idea, Kidou si stava auto-sabotando e ignorare in modo sistematico le attenzioni che gli rivolgeva non contribuiva affatto al suo benessere. Però forse… Forse dirgli che non aveva dignità era stato un po’ esagerato da parte sua? Sapeva poco effettivamente dei suoi trascorsi con la famiglia Kidou e delle dinamiche interne alla sua adozione… Per lui Yuuto era un Kidou fatto e finito, ma c’era sotto qualcosa di più tormentato, a quanto pareva… Qualunque fosse la ragione, lui era preoccupato per Kidou e gli aveva parlato per cercare di farlo stare meglio. Se lui non accettava critiche e sapeva solo rispondere con offese, beh, non l’avrebbe sentito per un po’.

Seguì i corsi pomeridiani, dopodiché andò direttamente a prepararsi per l’allenamento con la squadra dell’università. Si impegnò come al solito, lasciando che l’energia sprigionata dai suoi tiri in porta non lo sopraffacesse. Non tutti i suoi compagni erano altrettanto dediti all’allenamento, ma per quella sera Gouenji non ci pensò. Kidou continuava a tornargli in mente, per quanto cercasse di pensare ad altro e ridimensionare il fatto. Voleva un confronto sentito, non quelle chiamate snervanti e messaggini nervosi. Sì, aveva deciso: tornato a casa, l’avrebbe affrontato.

Così, la sua sorpresa fu grande quando, uscito dallo spogliatoio, alla fine degli allenamenti, si trovò proprio Yuuto davanti. Si era cambiato, indossava una camicia chiara e un gilet noisette, colore ripreso nei pantaloni gessati. Aveva i lunghi rasta lasciati sciolti e un poco di correttore aranciato sulle occhiaie. Teneva le mani dietro alla schiena, in una posa chiusa che tradiva la sua agitazione: lo faceva sempre quando era teso.

-Yuuto!- sussultò, sorpreso di trovarselo davanti. Non riuscì a non sorridere davanti alla sua palese agitazione: aveva voglia di abbracciarlo, nonostante fosse ancora arrabbiato con lui e pretendesse delle scuse migliori di quei nervosi messaggi.

-Shuuya… Ehi…- rispose quello, facendo roteare appena gli occhi attorno. Non sapeva dove guardare? -Scusami, davvero… Per tutto. Ho detto delle cose orribili ieri sera e sono stato pressante per tutto il giorno.- Da dietro la schiena tirò fuori un bouquet di narcisi: il loro cuore giallo svettava nel candore dei petali bianchi, gli steli tenuti insieme da un sottile filo rosso e oro. Gli porse i fiori, mettendogli quasi nelle mani, in modo da permettere alle loro dita di sfiorarsi. Gouenji sussultò ancora, più sorpreso di prima, e sentì il tremolio delle dita di Kidou.

-Spero ti piacciano. E’… Che vorrei davvero avere la possibilità di scusarmi come si deve. Non penso davvero quello che ho detto e ho sbagliato a trascurarti in questo periodo.-

Gouenji rimase in piedi a guardarlo, stretto in quelle sue spalle sottili che sembravano così nude da quando aveva dismesso i mantelli. Parlava con sincerità, non era magnificente come discorso, sembrava spontaneo, eppure…

-Sono stato uno sciocco, ero molto nervoso e teso e ho detto delle vere assurdità. – si grattò appena la nuca, cercando il suo sguardo per capire se potesse abbozzare un sorriso. Glielo concesse. Era tenero, seppure ancora molto nervoso.

-Non voglio portarti in nessun modo a fare coming-out, so quanto fai fatica a parlare con tuo padre e… Sul serio, mi dispiace. A me non interessa chi lo sa, basta che siamo insieme. E’ che… Sai, quando hai iniziato a propormi di uscire, probabilmente se n’erano accorti tutti tranne me. Non era un segreto, pur avendolo confidato a pochi, ma non era un segreto per te o per me e… Mi sto ingarbugliando…! Ugh, è che… Io… Insomma, potevi avermi anche in prima media, comunque… Quello che intendo dire è che siamo amici! no ecco- più che amici… ma amici lo siamo! e gli amici si sostengono, io non voglio non sostenerti, tu puoi decidere come vuoi, ma avevo bisogno di dirtelo che-

Gouenji, brusco e appassionato come suo solito, interruppe quel fiume confuso e completamente slegato di parole con un bacio. Kidou sentì immediatamente le ginocchia cedergli e si aggrappò a lui, prendendo fiato nelle sue labbra. L’aria fra loro profumava di narcisi.

-Si vede che hai pianto.- disse solo Gouenji, quando si separarono. Kidou annuì piano, gli occhi lucidi e un sorriso inebriato.

-Mi perdoni?-

-Solo se mi prometti che da oggi dormi otto ore al giorno.-

-Promesso.-

-E smetti di fumare.-

-No, quello no… Posso portarti a cena, però. Vieni? Ho la macchina qui fuori.-

author's corner

Salve a tutti!
Capitolo tosto, finora mi sono tenuta su cose rilassanti e carine, ma da qui in poi iniziamo a vedere alcuni problemi e nodi focali della relazione. E' un capitolo centrale non solo per il numero, ma proprio per lo sviluppo della trama.
Ci saranno certamente ancora alti e bassi, ma le cose iniziano a farsi più serie.
Grazie a chi segue ancora questa storia <3 <3

Ritorna all'indice


Capitolo 9
*** Puppy face ***


Le labbra di Kidou erano delicate come farfalle sulla sua schiena. Piccoli baci umidi sulla sua pelle salata di sudore, che disegnavano una deliziosa traiettoria dal centro delle scapole alla spalla, dalla spalla lungo la linea del deltoide fino alla base del suo collo.

-Yuuto…- mugugnò Gouenji, girando il viso ad occhi chiusi per chiedere un bacio. Il suo ragazzo l’accontentò subito, poi prese giocosamente il suo labbro inferiore fra i denti, tirandolo per infastidirlo.

-Non ti addormentare, dobbiamo prepararci.– Lo avvisò, facendo aderire il petto alla sua schiena e appoggiando il mento sulla sua spalla. Shuuya si lamentò a mezza voce, affondando nel cuscino e protestando; prese la mano di Kidou, facendo in modo che il suo braccio lo cingesse in un abbraccio. Lo sentì ridere. Gouenji diventava capriccioso dopo aver fatto l’amore e Yuuto non aveva mai fatto mistero di quanto amasse quel lato di lui. Sembrava un bimbo, diceva. Gouenji accettava senza proteste quell’appellativo e si difendeva dicendo che semplicemente gli piacevano le coccole, cosa c’era di male in questo.

L’appartamento di Gouenji era immerso in un piacevole silenzio nella luce tiepida del tardo pomeriggio. Suo padre era da qualche giorno in una trasferta di lavoro e Yuuka era a casa di una compagna di classe; non capitava praticamente mai che la sua casa fosse vuota, di solito andavano sempre da Kidou per fare l’amore. Era uno dei privilegi di avere tre stanze interamente per sé e una casa a più piani dove nessuno veniva mai a disturbarli, che a volte Shuuya invidiava un po’… Avrebbe voluto poter avere quotidianamente Yuuto nel suo letto, nudo e languido.

A Kidou la casa di Gouenji piaceva di più della propria. Non lo diceva mai esplicitamente, ma Shuuya vedeva quanto adorasse passare del tempo lì. Era come se andasse in una caccia al tesoro per i dettagli di Shuuya, quelli che non mostrava agli altri. Era incuriosito da quale tazza fosse sua e quale di Yuuka, si era fatto dire i posti di ogni membro della famiglia a tavola. Aveva scoperto sull’anta interna del suo armadio degli adesivi dei suoi cartoni animati preferiti, appiccicati di nascosto quando era alle elementari. Gouenji si era vergognato un po’ quando Kidou glielo aveva fatto notare, non aveva mai cambiato mobilia nel corso degli anni, ma la luce e l’affetto nei suoi occhi rossi aveva spazzato via ogni imbarazzo: così aveva tirato fuori da sotto al letto una scatola di pupazzi di pezza che si era ostinato a non buttare mai via. Avevano passato quel pomeriggio a giocare seduti per terra, proprio come dei bambini, e raramente aveva visto Yuuto così tanto felice.

C’erano tante foto appese in camera sua, principalmente con la squadra. Sopra alla scrivania addossata alla parete aveva una tavola di sughero, dove appuntava i ricordi più importanti: una foto del suo primo anno alla Kidokawa, qualche ritaglio di giornaletti scolastici in cui avevano parlato di lui (“Sei un gran narcisista, Shuuya”), uno scatto un po’ mosso dove Endou lo stava abbracciando, delle polaroid con i suoi amici della Germania, una foto di quando era piccolo, in un parco giochi insieme ad una Yuuka di appena qualche anno. Gouenji avrebbe tanto voluto poter appendere una foto con Kidou… magari quella fatta la prima volta che avevano fatto l’amore proprio in quella stanza, in cui Shuuya aveva i capelli disordinatissimi e Yuuto un segno rosso sul collo e si davano un bacio scomodo e sgraziato per la fotocamera. Sapeva che Kidou capiva e non ce l’aveva con lui, ma sentiva ogni giorno la mancanza di lui in quell’insieme di ricordi.

Comunque, Kidou non studiava certo casa sua per cercare tracce di sé, Gouenji lo sapeva bene. Riusciva a vedere quella sottile malinconia negli occhi di Kidou quando guardava tutti i ricordi di infanzia di cui la sua casa era colma e non aveva bisogno che il suo ragazzo gli spiegasse alcunché: i muri di casa Kidou erano spogli, intonsi. Così gli baciava i capelli, se lo teneva stretto e lasciava viaggiare la fantasia: quando lui e Yuuto avrebbero vissuto insieme, gli avrebbe dato una casa così calda e piena di ricordi e di amore da farlo sentire appagato per sempre. Non poteva colmare quel vuoto nel suo passato, ma nel suo futuro avrebbe sentito l’amore di una famiglia in ogni angolo della loro casa.

-Shuuya?- Kidou picchiettò con la punta del naso contro la sua guancia. -Non mi ignorare.–

E poi era lui quello capriccioso. Si girò supino, afferrando i fianchi di Kidou e facendo in modo che il suo ragazzo finisse sdraiato sul suo corpo, ignorando il suo gridolino di protesta. La pressione del suo peso sul petto era immensamente piacevole. Non ne aveva mai abbastanza di baciare ogni pezzetto di pelle che riusciva a raggiungere, specialmente quando aveva quel gusto intimo di sudore, saliva asciutta e sesso. Gouenji avrebbe volentieri passato ore intere a letto senza neanche premurarsi di alzarsi a buttare il preservativo.

-In doccia, adesso.- Fece Kidou perentorio, facendo per alzarsi.

Il suo ragazzo non condivideva minimamente la sua idea di coccole post orgasmo. Anche Yuuto era un gran coccolone, certo, ma aveva una tolleranza ridicola per i resti di fluidi corporei e per la sensazione appiccicaticcia che gli rimaneva fra le gambe.

Gouenji cercò di trattenerlo per la vita. -Uomo crudele. Non abbandonarmi così- mugugnò, strappando una risata all’altro. A forza di dimenarsi e giocare, Kidou riuscì a piantare i piedi per terra. Era completamente nudo e rilassato, i capelli sciolti in disordine sulle spalle e la pelle delicata arrossata dal contatto prolungato con il corpo di Shuuya: era così bello da togliergli il fiato.

-E’ il momento del tuo rituale di bellezza, principessa- Lo prese in giro Kidou, dandogli un colpetto di incoraggiamento sul fianco. Gouenji gli rifilò un sorriso pigro e alzò le braccia; appoggiò tutto contento il mento sulla spalla di Kidou quando si sentì sollevare e allacciò le gambe intorno alla sua vita. Shuuya cercava sempre di essere cavalleresco, affascinante, romantico, preferiva prendersi cura degli altri piuttosto che viceversa: ci era voluto un po’ di tempo perché cominciasse a farsi viziare così spudoratamente e Yuuto sentiva sempre la testa leggera di tenerezza e amore quando il suo ragazzo gli rivolgeva quegli occhioni infantili.

Arrivarono in bagno più o meno illesi. Fecero solo una sosta a metà corridoio, perché l’occasione di premere Gouenji contro il muro mentre il ragazzo era completamente abbandonato su di lui era davvero troppo ghiotta: solo un pazzo non ne avrebbe approfittato. Lo baciò a lungo, con troppa saliva e troppa lingua, ancora scarico dai round fra le lenzuola per allungare di nuovo le mani ma mai sazio di lui. Smise solo perché le braccia avevano cominciato a tremargli sotto il peso di Shuuya e caracollò sulle piastrelle del bagno appena prima che il ragazzo gli scivolasse, fra le risate di entrambi.

Una quarantina di minuti dopo erano di nuovo in camera, accaldati dalla doccia e profumati. Di solito a questo punto tornavano fra le lenzuola, spesso portandosi qualcosa da sgranocchiare, e rimanevano vicini a chiacchierare o a farsi le coccole in silenzio. Quel giorno, tuttavia, dovevano assolutamente uscire e non potevano fare tardi. Yuuka, dall’alto dei suoi tredici anni, aveva preteso, discutendo più volte con suo padre, di festeggiare il suo compleanno tutto da sola, senza nessun adulto a supervisionare. Nel centro di Inazuma-Cho aveva appena aperto un nuovo locale a tema che era il paradiso di tutti i ragazzini delle medie superiori, Candy Paradise: di ispirazione americana, era arredato con pacchiane luci colorate, aveva una pista da pattinaggio a rotelle e serviva zuccherosissimi frullati pieni di panna. Il signor Gouenji non vedeva minimamente l’appeal di un posto del genere, ma alla fine aveva ceduto, con la clausola che Shuuya fosse presente per tenere d’occhio lei e i suoi amichetti. Yuuka era l’unica della famiglia a conoscenza della sua relazione con Kidou, così, quando il padre aveva messo quella condizione, si era trattenuta a stento dallo squittire di gioia e ad intimare all’istante a suo fratello di invitare assolutamente Kidou-senpai. Ora Yuuka era a casa della sua migliore amica a prepararsi per la festa e i due ragazzi erano incaricati di andarle a prendere. Shuuya sospettava che sua sorella fosse stata così intransigente nel volere Kidou per assicurarsi che fossero puntuali. Antipatica, comunque.

Yuuto aveva indossato boxer e pantaloni e si stava frizionando i dreads bagnati, qualche gocciolina d’acqua sulle spalle pallide. Gouenji era ancora nudo, l’armadio spalancato davanti a lui e qualche vestito buttato sul letto, in mezzo alle coperte disfatte. Kidou sistemava sovrappensiero tutto quello che il suo ragazzo lanciava alla rinfusa, attento che non si spiegazzasse troppo; non avrebbe mai detto, prima di mettersi insieme a lui, che Shuuya fosse così disordinato. Aveva attaccato il phon alla presa della corrente vicino alla scrivania e, seduto a gambe incrociate sul letto, iniziò ad asciugare con delicatezza un rasta dopo l’altro. Nel frattempo, si godeva lo spettacolo di Gouenji che si preparava per uscire: se glielo avesse detto si sarebbe montato troppo la testa, ma la sua vanità era sinceramente adorabile. Il biondo si era deciso a mettersi svogliatamente i boxer e stava cercando una cintura che andasse bene con i pantaloni neri larghi e strappati che erano il suo ultimo acquisto preferito.

Mentre Shuuya stava sbavando i contorni della matita nera intorno agli occhi, incontrò lo sguardo di Kidou attraverso lo specchio e si scambiarono un sorriso timido. C’erano ancora momenti quieti come quello, dove condividevano l’intimità in silenzio, in cui li colpiva come una realizzazione il fatto di stare insieme. Era inebriante e, anche se erano passati più o meno cinque mesi, ancora incredibile. Emozionato, Gouenji fece cadere lo sguardo sui suoi vestiti e senza pensarci due volte prese il suo dolcevita rosso acceso, lanciandolo in direzione di Yuuto. All’espressione interrogativa del suo ragazzo, Shuuya gli rispose con un sorrisetto sghembo e sicuro di sé, quello di quando girava le spalle alla porta dopo aver tirato, perché già certo di aver segnato una rete: -Mettilo tu, Yuuto.-

Kidou arrossì leggermente. -Ho portato i miei vestiti.-

-Lo so. Ma ti donerebbe.-

Non si sarebbe certo fatto pregare. Appena ebbe indossato il maglioncino lo colpì subito l’odore di Shuuya di cui era impregnata la stoffa, il suo detersivo e qualche traccia del profumo che indossava tutti i giorni. Il suo sorriso doveva essere piuttosto inebetito, perché Gouenji si mise a ridere e si arrampicò sul letto, catturando le sue labbra in un bacio soddisfatto ed elettrizzato.

Kidou rifece il letto, rimise a posto il phon e rassettò il bagno che avevano lasciato in disordine. Si mise già addirittura le scarpe, poi appoggiato allo stipite della porta cominciò a tamburellare le dita guardando l’orologio. Come Gouenji fosse ancora a petto nudo era un mistero, con tutto il tempo che era passato. Lo rimproverò prima a mezza voce, mettendogli fretta con un sorriso bonario. Poi lo fece ancora, un po’ meno divertito, ricordandogli che c’era traffico a quell’ora e non potevano far arrivare la festeggiata in ritardo. Al terzo richiamo Shuuya gli gettò una delle sue occhiatacce cupe ed oltraggiate, non degnandolo di una risposta a parole. Kidou roteò gli occhi, il suo ragazzo era una drama queen e la prossima volta col cavolo che gli avrebbe permesso di perdere così tanto tempo fra le lenzuola.

Quando finalmente arrivarono in macchina, Gouenji aveva ufficialmente messo il broncio e Kidou era diviso fra il sentirsi esasperato e adorante. Non solo il principino voleva il lusso di fare tutto il ritardo che voleva, non sopportava neanche che qualcuno gli dicesse di sbrigarsi. Era incredibile quanto fosse viziato. Kidou non gli disse nulla: scrisse un messaggio a Yuuka con il telefono di Shuuya, avvisandola che sarebbero arrivati fra pochi minuti, e fece partire la playlist dell’artista preferito di Gouenji. Lo vide ammorbidirsi un po’ a questo, nonostante continuasse a guardarlo a stento con la coda dell’occhio, sostenuto e indispettito.

Yuuto aspettò che la macchina fosse ferma ad un semaforo rosso, poi sollevò la mano di Shuuya dal cambio, intrecciando le dita con le sue e lasciandogli un bacio sulle nocche. Il biondo stava facendo fatica a non sorridergli. Era fin troppo facile. Kidou abbassò con nonchalance il parasole, guardandosi nello specchietto. -Hai avuto proprio una buona idea, sai.- commentò con casualità. -Il rosso mi dona. Dovrei ricominciare ad indossarlo più spesso, non pensi?- Si voltò con un sorrisetto: Gouenji lo stava guardando fisso, con i suoi scuri occhi profondi, abboccando al suo amo. Essere guardato in quel modo da Shuuya non aveva ancora smesso di mandargli un brivido elettrico lungo la schiena.

Il biondo lo baciò bruscamente, una mano ancora appoggiata sul volante e l’altra possessivamente intorno alla sua nuca. Si resero conto che il semaforo era scattato solo quando l’auto dietro di loro si attaccò al clacson e ripartirono in fretta ridacchiando. Il resto del viaggio lo passarono tenendosi per mano.

La festa di compleanno di Yuuka fu un successo e, sotto lo sguardo dei due ragazzi, tutti i ragazzini delle medie si comportarono bene. La festeggiata riuscì persino a convincere Kidou a fare un giro della pista da pattinaggio con lei, insistendo che, almeno per quel giorno, tutti dovevano soddisfare i suoi capricci. Shuuya rimase a bordo pista a guardare come il suo ragazzo - controllato, raffinato, elegante Kidou - rischiasse di cadere ad ogni rapido cambio di direzione della sua sorellina; la furbetta sperava di vederlo capitombolare a terra almeno una volta. Sentiva un dolcissimo calore al centro del petto vedendoli andare così d’accordo, vedendo la persona più importante della sua vita accettare e coinvolgere con tanto entusiasmo il ragazzo che amava. Non sapeva se Yuuka ne fosse consapevole, ma le era immensamente grato.

A fine serata, i due ragazzi erano rimasti in disparte, seduti uno accanto all’altro. La testa di Kidou si era appoggiata alla spalla di Gouenji, che aveva messo con dolcezza la mano aperta sulla sua coscia, lasciandoci piccole carezze sovrappensiero. Stare insieme in silenzio era da sempre una delle loro attività preferite, da prima ancora che si mettessero insieme. Shuuya girò appena il volto, posando un bacio piccolo sulla fronte del suo ragazzo; Yuuto sorrise contro la sua spalla, gli occhi socchiusi. Yuuka e i suoi amici erano tutti raccolti intorno al tavolo che avevano prenotato e stavano aprendo i regali, ultima attività prima che i genitori degli invitati li venissero a prendere. Le risate e gli schiamazzi del gruppetto sovrastavano la musica del locale, di sottofondo nella loro bolla di gioia intima.

-Oddio—oddio non ci riesco a credere!

La voce di Yuuka, quando era davvero felice, riusciva a raggiungere ottave che non avrebbero potuto essere accessibili al genere umano.

-Tu sei pazzo Asashi, non—Fratellone!! Fratellone, guarda! Guarda cosa mi ha regalato!!

Shuuya alzò gli occhi sulla sua sorellina, senza premurarsi di spostarsi da Kidou. Il musetto di un cagnolino dal pelo castano e la lingua a penzoloni gli si parò davanti al viso, accanto al sorriso a trentadue denti della ragazzina.

-… ti hanno regalato un cane?-

-E’ bellissimo! Il mio piccolino! Non è dolcissimo? Lo volevo da tutta la vita!!-

-Papà non ti ha dato il permesso di prendere un cane, Yuuka...- tentò di argomentare Shuuya, preso in contropiede. Non voleva stemperare l’entusiasmo di sua sorella, però chi diavolo regala un cane per il compleanno? Senza neanche avvisare la famiglia?

La ragazzina gli strizzò l’occhiolino. -A me no. Ma ho il fratellone migliore del mondo, che è troppo bravo e troppo buono e farebbe qualsiasi cosa per me, quindi convincere papà non sarà un problema.-

Shuuya tentò di guardarla male, ma il suo faccino affiancato a quello altrettanto tenero del cagnolino erano un’arma che non era preparato a combattere. Kidou, sulla sua spalla, si stava trattenendo a stento dal ridere. Si arrese con un sospiro e allungò una mano per scompigliare i capelli di Yuuka. -… te ne dovrai occupare tu però, non pensare che poi ti diamo una mano.-

La ragazzina emise uno squittio allegro e poi si sporse per lasciare un bacione rumoroso sulla guancia di suo fratello, prima di tornare vittoriosa dai suoi amici. Quando Gouenji abbassò di nuovo gli occhi sul suo ragazzo, Kidou lo stava guardando con le sopracciglia eloquentemente alzate.

-Beh? Che c’è?-

-Fate la stessa identica faccia quando volete essere viziati.-

-Oh, vai al diavolo.-

author's corner

Sono piccolini struffolini innamoratini
Durerà? Chi può dirlo :)

Ritorna all'indice


Capitolo 10
*** Se io sono la mamma, tu sei... ***


Quando, di ritorno dalla festa di compleanno di sua sorella, Shuuya aveva discusso con suo padre e ottenuto il permesso di tenere in casa il cucciolo – già battezzato con il nome di Hobi e, come ben si sa, quando si dà un nome a qualcosa ci si affeziona ad essa – si era sentito orgoglioso della sua stessa determinazione. Non c’era nulla che non avrebbe fatto per vedere sua sorella sorridere e non era l’unico: in quella casa tutti avevano un debole per Yuuka. La bambina, contentissima e tutta festosa, alla lieta notizia aveva allestito per il suo nuovo amichetto una cuccia provvisoria vicino al suo letto; Shuuya si sentiva in parte responsabile per la gioia che le illuminava il viso, mentre rideva per le leccate affettuose del cagnolino. “Sono proprio fortunato” si ripeteva fra sé e sé “ad essere il suo fratellone”.

Tuttavia, l’idillio era destinato a infrangersi velocemente. Molto velocemente. In effetti già dalla mattina seguente era necessario occuparsi di tutta una serie di commissioni – appuntamento dal veterinario per le vaccinazioni, acquisto di cibo, prodotti per l’igiene e tutto l’occorrente per il nuovo arrivato – che decisamente Yuuka non poteva svolgere, andando alle medie, benché meno il signor Gouenji, che doveva recarsi in ospedale a lavorare con l’inflessibilità e la dedizione che aveva sempre mostrato negli anni. Così Shuuya, accompagnato e aiutato dalla premurosa governate, fu nei primi giorni la persona che si occupò di Hobi, lo portò a tutti i controlli necessari e cominciò a educarlo alla vita in appartamento. Non poteva salire sui mobili, né dormire sul letto o sul divano, non doveva avere accesso al bagno o allo studio di suo padre, non doveva rompere oggetti di valore né tantomeno fare i suoi bisogni in giro. Quel tipo di allenamento – lo chiamava così, anziché addestramento, e Yuuto ne rideva sempre – era il più duro, soprattutto perché gli faceva male al cuore vedere l’espressione contrita e triste del cagnolino quando doveva rimproverarlo. Nonostante tutto, era un animale sveglio e vivace, Gouenji sentiva di stimarlo, ne apprezzava l’impegno e la dedizione, non appariva svogliato ai suoi occhi, quanto piuttosto molto giovane e inesperto e allenarlo a comportarsi bene in casa divenne la sua principale occupazione per le prime settimane. Kidou si ingelosiva bonariamente quando Shuuya gli mandava video e foto di come, giorno per giorno, Hobi imparasse a fare cose nuove: -Pensi più al cane che a me.-, gli rinfacciava e lo chiamava wolf-boy. In realtà adorava vedere Gouenji così entusiasta e grato per quella compagnia che animava la sua casa e le sue giornate: sicuramente Hobi con Yuuka giocava, eccome, la riconosceva in quanto cucciolo suo pari, ma era Shuuya il riferimento e l’autorità, quando rientrava da scuola gli saltava addosso con entusiasmo e scodinzolava festoso inseguendolo per casa con il guinzaglio in mano, chiedendo di uscire.

Le passeggiate con Hobi erano in assoluto la cosa di cui Gouenji parlava di più: Yuuto non si stufava mai di stare ad ascoltare le avventure più disparate che accadevano in quelle occasioni. Shuuya andava a correre al mattino, prima delle lezioni in università, e si portava appresso Hobi che, dopo aver fatto i suoi bisogni, correva nel parco al suo fianco, abbaiava agli scoiattoli che saltavano fra gli alberi e si rotolava nell’erba. Gouenji si sentiva in pace con se stesso in quei momenti, mentre l’alba spuntava illuminando lo skyline della città e nel parco si respirava l’aria frizzante della mattina, quando tutto sembra possibile. Invece quando doveva portare fuori Hobi di sera, o peggio ancora nel pomeriggio, erano in assoluto i momenti peggiori: c’era parecchia gente, nel parco o per la strada, e Hobi era un cagnolino adorabile, per di più un cucciolo. Le probabilità che Shuuya venisse fermato da individui dal genere, età e posizione sociale indefinita e variabile erano alle stelle e il ragazzo mal sopportava le chiacchiere tediose e imbarazzanti che puntualmente si generavano.

*

Era pomeriggio inoltrato, Yuuto stava rientrando in casa e il suo cuore aveva appena ricominciato a battere in maniera regolare. Poco prima l’aveva chiamato Fudou, il quale con voce molto allarmata e frasi sconnesse aveva balbettato qualcosa circa un incidente in moto. Non aveva chi altro chiamare e si odiava per quello, ma non glielo aveva detto: si era sentito sollevare su una nuvoletta quando la voce buona di Kidou gli aveva detto -Vengo subito, non muoverti da lì.-. In effetti non era successo niente di grave: un gruppetto di delinquenti gli aveva tagliato la strada all’improvviso e lui, per evitarli, era finito in un fosso. Non riusciva a liberarsi, si era incastrato con la gamba sotto il peso della moto e ogni individuo in quella fottuta città aveva deciso di percorrere qualsiasi strada ad esclusione di quella in cui si trovava lui. Dopo una buona mezz’ora passata a imprecare all’indirizzo di nuove divinità inventate per l’occasione, era riuscito a raggiungere il telefono e il primo numero che aveva digitato era stato quello di Kidou. Il quale, come sempre, aveva risposto.

Yuuto, con l’aiuto dal proprio autista, aveva spostato la moto: Akio era saltato fuori dal fosso come un coniglio e Kidou ne aveva riso, contento di vederlo muoversi così bene. Fudou sarebbe morto pur di sentire tutti i giorni la sua risata. Aveva declinato i numerosi e insistenti tentativi di entrambi di condurlo in ospedale per degli accertamenti; infine, aveva accettato che chiamassero per lui il carro attrezzi (la moto non dava più segni di vita) e un passaggio fino a casa. Kidou l’aveva trattenuto prima che uscisse dalla macchina, appoggiando una mano sulla sua. Si era fatto promettere che avrebbe chiamato l’ospedale, se avesse sentito dolore da qualche parte. Fudou gli avrebbe promesso qualsiasi cosa, in quel momento, perciò gli assicurò che l’avrebbe fatto senz’altro.

Yuuto, rimasto solo nell’abitacolo, aveva il capo appoggiato al sedile e respirava pesantemente. Il suo autista, studiando l’espressione turbata sul suo viso, aprì lo sportello del frigo-bar, offrendogli di bere qualcosa. Il giovane si sporse in avanti e si aprì una lattina di cocacola, recuperando il sorriso. La sola idea che Fudou potesse farsi del male sul serio lo faceva sentire spaesato: si erano lasciati, era vero, ma il moro rimaneva una persona importante e speciale nella sua vita. In quel momento sentì vibrare il telefono nella tasca della giacca e con sicurezza rispose, leggendo sul display il nome del suo ragazzo: - Shuuya, ciao! Che sorpresa, come stai?-

-Malissimo, se non mi dai una mano.- bofonchiò l’altro, con un tonfo sordo di sfondo, come se si fosse appoggiato malamente con la schiena contro qualcosa.

-Dimmi tutto. – Kidou si fece serio serio, incuriosito.

-Vieni al parco Yokogai, adesso . Non so per quanto a lungo resisterò.-

-Okay? Arrivo, sono già in macchina.-

-Sei perfetto. Sbrigati.-

Kidou inarcò un sopracciglio, fissando perplesso lo schermo del telefono spegnersi.

-Tutto bene, signorino?- chiese il suo autista, fermo ad un semaforo.

-Sì ecco… Io credo di sì. Mi ha chiamato Shuuya, mi ha chiesto di raggiungerlo al parco Yokogai, potresti portarmici per favore? Avviso papà che torno più tardi a casa…-

-Certamente, non siamo distanti.-

Yuuto chiamò suo padre e quando chiuse il telefono si appoggiò per bene allo schienale della macchina, guardando di fuori con aria assorta. L’autista commentò, cautamente: - A quanto pare oggi hanno tutti bisogno di te. Pensi che dobbiamo di nuovo allarmarci?-.

-Oh, no! – ridacchiò Kidou – Se Akio era incastrato in un fosso, credo che Shuuya sia rimasto “incastrato” in qualche tipo di evento a cui non si era preparato e le sue batterie sociali siano agli sgoccioli!-

L’uomo alla guida ridacchiò, divertito dal modo affezionato con cui pronunciava i nomi dei due ragazzi. -Speriamo abbia ragione. -poi aggiunse, con fare conversazionale -Non si direbbe, vedendo come gioca, che il signorino Gouenji sia così timido-

-Vero? Eppure è proprio un caso perso…-

*

-Yuuto! Sei qui, per fortuna, temevo non arrivassi più! – Shuuya gli andò subito incontro, abbracciandolo forte, come a voler sparire fra le sue braccia e non dover più sollevare il capo. Kidou rise lievemente e gli accarezzò la schiena.

-Ehi, capobranco, che succede, si può sapere? La situazione sembra grave, guarda quanta gente - lo canzonò con tono divertito, tirandogli una ciocca di capelli più lunga. Quell’altro gemette, accarezzandosi la nuca e ritraendosi.

-Quella piccola peste si è messo a correre velocissimo ed è scappato qua dentro, di solito non veniamo, ma qui stanno organizzando non so che evento canino, tipo qualche specie di gara, e gli organizzatori vedendolo gli hanno fatto talmente tante feste e moine che me l’hanno fatto iscrivere. Ora non so per quanto dovremo stare qui e cosa succederà esattamente, so solo che sono circondato da pazzi esaltati con i loro cagnetti e cagnoloni e tutti vogliono fare foto a Hobi e selfie con me, si è sparsa la voce che sono il bomber di fuoco della nazionale e non so più dove nascondermi, è un incubo!-

Kidou non si teneva dritto, era piegato sulle ginocchia dal ridere.

-… Non sei spiritoso, sai? A fare così. Non c’è niente da ridere, piantala! Sono disperato.- borbottò ancora il biondo, guardandosi attorno con fare circospetto. Yuuto si sfilò gli occhiali dal naso per tamponarsi gli occhi con il dorso della mano. Aveva le lacrime agli occhi da quanto rideva.

-Scusami, scusami, Shuuya! Ora mi riprendo. – Sotto lo sguardo giudicante del suo fidanzato, Yuuto riprese un contegno e lo condusse, tenendolo per mano, in un punto più appartato del parco. Arrivati vicino ad un albero con i rami ricadenti, Yuuto non si fermò e trascinò il biondo con sé, sotto quel tendaggio frondoso e profumato. Lo tenne contro la corteccia dell’albero e lo baciò con audacia e sentimento, ad occhi aperti. Gouenji si sciolse subito a quel contatto fisico ravvicinato e rassicurante, abbracciò Kidou stringendo a sé il suo corpo, protetto dalla penombra delle foglie tutt’attorno a loro e dal profumo dell’altro, inebriante e avvolgente.

-Grazie – mormorò, quando le loro labbra si separarono. Yuuto sorrise e gli arricciò una ciocca di capelli: - Per così poco. Adesso che sei più calmo, andiamo di là e mi spieghi esattamente cosa succede?-

Ad un chiosco del parco Kidou comprò una bibita fresca per sé e una per Gouenji, lo fece sedere all’ombra in una panchina dove si poteva vedere per bene l’evento che aveva già preso avvio e tutte le persone radunate attorno per guardare la pista allestita per l’occasione. Si trattava dell’anniversario per la fondazione del parco e, dato che era frequentato da molte persone che lasciavano lì passeggiare e giocare i loro amici a quattro zampe, alcuni volontari avevano organizzato un evento ludico e amatoriale per cani, dove tutti i partecipanti avrebbero potuto divertirsi e competere in vari giochi: era solo necessario versare una simbolica quota che sarebbe stata donata al canile del quartiere. Kidou aveva fatto un rapido giro di ricognizione ed era tornato con quelle informazioni, molto chiarificative.

-Fammi capire bene: tu hai dato i soldi che ti chiedevano, senza neanche capire per cosa pagavi, e hai firmato iscrivendo Hobi a questi giochi, senza neanche capire cosa stava succedendo? Potevi quantomeno chiedere, come ho fatto io, sono stati tutti tanto gentili…-

-Yuuto, forse non hai afferrato il concetto. – borbottò l’altro, senza togliere le labbra dalla cannuccia con cui stava sorseggiando la bevanda zuccherata – Se avessi fatto domande, loro avrebbero continuato a parlarmi . E io non volevo che parlassero. Hobi ormai era già corso dentro, tanto valeva fare quello che serviva, così potevo allontanarmi.- 

Kidou ridacchiò, non poteva proprio farne a meno, e con nonchalance allungò un braccio sullo schienale della panchina, cingendogli le spalle. Shuuya stette in silenzio, l’espressione imbronciata lievemente distesa grazie a quel contatto, gli occhi posati con insofferenza sulla pista dove cani di varie razze abbaiavano, scodinzolavano, giocavano al tiro alla fune, si arrampicavano su strutture allestite apposta…

-C’è addirittura una piscina, hai visto? – domandò Yuuto, sporgendosi con la schiena, divertito da ciò che vedeva.

-Una piscina? Non so mica se Hobi sa nuotare..! – scattò in piedi subito il biondo e Yuuto avrebbe voluto spogliarlo lì, sul posto, davanti a tutti, e sdraiarlo su quella panchina e baciarlo fino a consumargli il collo. Era troppo tenero quando si preoccupava così.

-Stai tranquillo, Shuuya, sono ragionevolmente sicuro che sa nuotare. E poi è pieno di gente, oltre agli operatori del canile, se succede qualcosa lo pescano dall’acqua prima che riesca a dire wolf . Perché non vai a lavorare con quelli del canile, in effetti? Ti stai facendo un’esperienza non da poco, potresti aiutar…- Si prese una gomitata all’altezza dei fianchi e sghignazzò soddisfatto. In momenti come quelli ricordava gli sfottò che aveva sempre sopportato alla Teikoku e sentiva di capire perché i suoi compagni, Genda in particolare, si divertissero così tanto. Era decisamente uno sballo – soprattutto perché Gouenji non era tipo da innervosirsi facilmente.

-Quando fai così sei insopportabile, si vede che sei andato alla Teikoku – sibilò infatti il biondo, dandogli un pizzicotto sulla guancia che fece guaire Yuuto.

-Questa è violenza domestica, non si fa!-

-Non siamo in casa, siamo in un parco, anche se in effetti vorrei essere a casa…- mugugnò Gouenji, lasciando ricadere le braccia sulle ginocchia. Yuuto sorrise, appoggiandosi ad una sua spalla. – Sono venuto io. Posso aspettare che finiscano questi giochi e vi riaccompagno a casa.-

-Grazie, Yuuto. – Rimasero in silenzio così seduti per un po’, cullati dallo schiamazzare tutt’attorno, senza fare nulla fuorché essere insieme.

Quando Gouenji si sentì mentalmente pronto, Kidou riuscì a convincerlo ad alzarsi e avvicinarsi a guardare i giochi. Stava per iniziare la gara di agility e Hobi scodinzolava festoso ai blocchi di partenza: quella corsa era assolutamente da vedere, se riuscivano a fare un video Yuuka ne sarebbe stata molto fiera e felice. Quella prospettiva convinse Gouenji, che passò letteralmente tutto il tempo a filmare la gara con il cellulare e ignorare le persone tutt’attorno; a parlare con potenziali avventori e curiosi ci pensava Kidou, che era sempre stato decisamente più spigliato e a suo agio in quel genere di occasioni sociali. Il conduttore accompagnava i vari concorrenti nella corsa, con incoraggiamenti e avvertenze quando si trovavano di fronte un ostacolo: non era una pista grande, Yuuto aveva contato quattro birilli dello slalom, una pedana e un paio di salti da 40, forse 50 centimetri. Hobi non era affatto addestrato a quel genere di percorso, ma affrontava i vari ostacoli con entusiasmo e slancio, sembrava poco intimorito dalla situazione, anche se continuava a guardare in direzione del suo padrone e abbaiargli festoso.

-Ci ha visti! – ridacchiò Kidou, allungando un braccio per salutare il cagnolino.

-Che diamine fai!? Stai giù con quella mano, che se cade da quella pedana si rompe qualcosa!-

-Ma figurati se si rompe qualcosa, è di gomma quel cane – rise ancora Yuuto, abbassando il braccio. – Cos’è, sei preoccupato? Dovresti essere orgoglioso, Hobi cresce così in fretta e già si dedica allo sport, si vede che ha preso tutto dalla mamma-

-Sarei io, la mamma?-

-Certo che sei tu la mamma!- fece spallucce Yuuto, mentre Hobi sul finire dello slalom prendeva in pieno un birillo e finiva rotolando per terra.

*

Alla fine avevano deciso di tornare a casa a piedi. Lungo la strada del rientro, il sole già tramontava alle loro spalle: Gouenji teneva in braccio il cucciolo, nonostante avesse tutto il pelo impolverato, perché, a suo dire, “sembrava molto stanco”.

Kidou lo guardava, ammirato e un poco commosso dalla premura che il suo fidanzato sapeva rivolgere in maniera così gratuita e disinteressata. Poi, guardando in avanti, proferì: - Lo vizi troppo, quel cane.-

-Che c’è, sei geloso? Vuoi che porti in braccio te?-

-Perché no…- ridacchiò Yuuto, sporgendosi per accarezzare il muso di Hobi: quest’ultimo gli leccò la mano e si espresse in un sonoro woolf. -Visto? Anche lui dice che ho ragione!-

-Ah, se lo dice Hobi… Da quando comunque tu parli con il mio cane?-

-Ah, adesso è il tuo cane?-

-Diciamo il nostro cane.-

-Nostro?-

-Mio, di mia sorella, e pure tuo se vuoi.-

author's corner

Hobi è uno dei personaggi fondamentali di questa storia, oltre che elemento cruciale della loro relazione.
Ogni riferimento a NintenDogs è puramente casuale
Alla prossima, grazie a tutti :)

Ritorna all'indice


Capitolo 11
*** Parlare con l'amico del tuo fidanzato è meglio che parlare con il tuo fidanzato? ***


Le settimane passavano e, come ogni giovane coppia, la luna di miele dei primi mesi iniziò a lasciar spazio a piccoli dissapori e incomprensioni. Kidou e Gouenji erano amici da anni, conoscevano già i difetti e le irragionevolezze dell’altro, ma non vi si erano mai confrontati in questa nuova veste. Gouenji era brusco e testardo, passionale anche quando aveva torto, mai disposto a lasciar correre qualcosa che lo impensierisse; Kidou era orgoglioso e arrogante, permaloso fino all’estremo, sebbene intollerante all’idea di deludere o ferire il suo fidanzato.

La loro prima litigata nel periodo degli esami era stata superata e dimenticata in fretta, i reciproci smacchi curati con baci e romanticismo. Tuttavia, il problema sotto al tappeto era destinato a ritornare a galla ad ogni buona occasione… e, in effetti, le occasioni di litigio non mancavano affatto.

Così, per una volta, all’ennesimo messaggio di scuse di Kidou, Gouenji trasse un respiro profondo e rifletté. Avevano discusso per una sciocchezza, dovuta più al nervosismo di entrambi che ad un reale problema, e, se avessero continuato ad andare avanti così, sarebbe andata esattamente come tutte le altre volte. Era così snervante.

Gouenji aveva solo bisogno di silenzio per riflettere a mente fredda, perciò gli scrisse che il giorno dopo sarebbe passato a prenderlo per parlarne. Stava per inviare, quando si accorse che, leggendo così, Kidou sarebbe andato più in paranoia di prima e avrebbe continuato ad assillarlo. Così aggiunse “per parlare e per passare insieme la giornata”: forse, così sarebbe stato più tranquillo. Silenziò il telefono e si buttò sdraiato sul letto. Aveva bisogno di una dannata pausa. Sentiva montare dentro di sé un fuoco intrattenibile, tutte le volte che vedeva Kidou si scusava a non finire, del tutto noncurante della propria dignità e di chi dei due avesse ragione o torto. Possibile che non avesse un briciolo di amor proprio? E che diamine..! Gli faceva davvero così paura ? Yuuto sembrava proprio terrorizzato e non riusciva a venirne a capo. Quel ragazzo dalla mente così strategica e meticolosa sembrava andare completamente in cortocircuito quando si trattava di litigi, di lieve o grande entità. Non aveva intenzione di sentirsi costantemente in colpa ogni volta che era in disaccordo con Yuuto su qualcosa, eppure vederlo umiliarsi tanto a causa sua lo faceva stare male. Doveva decisamente schiarirsi le idee.

Per prima provò con Haruna. La sorella minore di Kidou era una sua carissima amica, i suoi modi gentili ed entusiasti gli ricordavano Mamoru e Gouenji si divertiva sempre in sua compagnia. Sapeva che al pomeriggio lavorava nella redazione di un giornale di quartiere, ma spesso aveva la pausa pranzo libera, così la avvisò del suo arrivo e condivisero il pasto.

Haruna lo ascoltò parlare con aria seria e concentrata: Gouenji non voleva farla preoccupare né raccontare troppo nel dettaglio i loro problemi di coppia, piuttosto avere un confronto sul modo in cui il fratello maggiore di lei gestiva i conflitti, insomma come si comportava. Si rese però ben presto conto che Haruna sapeva quanto lui o forse addirittura meno: gli disse - con quel sorriso leggermente imbarazzato e al contempo innamorato che solo i fratelli si riservano fra loro – che Yuuto era sempre stato così, fin da quando erano piccoli era responsabile e attento, che faceva anche l’impossibile affinché le persone a cui voleva bene fossero serene e non avessero problemi, anche a costo di portare sulle spalle grosse responsabilità e pesi di cui faticava a parlare. Tutto questo alimentò in Gouenji quel fuoco di irritazione ed impotenza che sentiva divorargli lo stomaco e presto salutò Haruna.

Sulla strada verso casa vagliò le sue altre opzioni. Un incontro con Mamoru non sarebbe stato molto risolutivo, per quanto volesse bene al suo migliore amico sapeva che avrebbe detto qualcosa del tipo “Sai com’è Kidou, è fatto così”. Eppure, no, non sapeva com’era fatto Kidou, era proprio quello il punto.

Di chiamare Fudou non se ne parlava nemmeno, gli stava profondamente antipatico e più volte aveva discusso con Kidou proprio a causa del rapporto che intratteneva con il suo ex, piuttosto che chiedere aiuto a quel ragazzo avrebbe fatto di tutto.

Gli amici della Teikoku? Insomma, non che fosse proprio gente con cui Gouenji era a suo agio… In particolare quel Sakuma Jirou… Era così viscido , le sue parole così ambigue… Era un grande amico di Kidou e lo rispettava per questo, ma era poco genuino e Shuuya non sapeva proprio come parlare con una persona che gli ispirava così poca fiducia. Però… A ben pensarci, una persona che gli ispirava fiducia e rispetto fra i vecchi compagni della Teikoku di Kidou c’era… Compose il numero fiducioso e al secondo squillo:

-Gouenji Shuuya?-

-Tsk, hai il mio numero salvato a quanto pare.-

-Molto strano, mi domando perché. Cosa vuoi? Sono a lavoro.-

-Scusami, ho bisogno di parlare con te. Riguarda Kidou. Quando saresti libero?-

-… Stacco alle 20 stasera.-

Gouenji stava per ringraziarlo, ma si sentì chiudere il telefono in faccia. Quel Genda Koujirou… Aveva modi bruschi, ma era genuinamente fedele a Yuuto come amico. Questo Gouenji poteva rispettarlo.

*

Mancava qualche minuto allo scoccare dell’ora e Gouenji era già fuori dalla gioielleria dove Genda era stato mandato dalla security service per cui lavorava da qualche mese. Per quanto forse sembrasse strano, Kidou riteneva che fosse molto più a suo agio rispetto alle aule universitarie – in cui, giusto per inciso, era entrato sì e no un paio di volte in due semestri e solo per addormentarsi o disturbare qualche malcapitato. Decisamente per uno come Genda era meglio trovare un lavoro appagante, con buona pace della zia zitella che lo avrebbe voluto avvocato. Gouenji era d’accordo.

-Ah-ah, il bomber di fuoco addirittura in anticipo? Deve essere grave…- lo salutò Genda, andandogli subito incontro. Gouenji fece spallucce e gli strinse la mano.

-Sei più grosso di quanto ricordavo, fai palestra?-

-Si vede, vero?- gongolò il più alto, sfoggiando subito i bicipiti con fierezza – L’uni toglieva decisamente troppo tempo, mi stava trasformando in uno strano nerd smidollato… Ancora un semestre e avrei iniziato a portare gli occhiali!-

Gouenji ridacchiò, era veramente un idiota, ma apprezzava che avesse trovato tempo per ascoltarlo. Era per Kidou che lo faceva, era evidente. Dedicandogli uno sguardo serio, profondo, Genda lo guardò negli occhi e gli chiese:

-Insomma, cos’ha Kidou?-

Sì, decisamente con lui poteva parlare. Gli trasmetteva fiducia.

Davanti ad una ciotola di ramen fumante, Gouenji si ritrovò a confidare le proprie difficoltà e perplessità con molta serenità d’animo. Lo sguardo caldo e concentrato del portiere lo invogliava a continuare a parlare, molto più degli occhi squillanti di Haruna, illuminati da quella preoccupazione sororale e tutta femminile. Annuiva solo di tanto in tanto, senza interromperlo, e mangiava. Parecchio. Al suo terzo piatto di riso e pollo di colpo batté il pugno contro il tavolo e scoppiò in una fragorosa e rumorosa risata. A Gouenji parve di star sognando o di essersi appena destato da un sogno.

-Gouenji Shuuya, scusami se ti fermo. Mi stai parlando da quaranta minuti del fatto che Kidou ha l’ansia? E’… Questa la tua perplessità? Vuoi che te lo confermi?-

-No ecco… Io.!- Gouenji boccheggiò, confuso da questo cambio repentino di atteggiamento.

-Diciamo la verità, non sai più che pesci pigliare? Lo vuoi lasciare?-

Gouenji sentì un brivido percorrerlo lungo tutta la spina dorsale. Era… terrificante. Prese un sorso d’acqua e parlò nel modo più schietto e diretto che conosceva: aveva chiamato Genda per quello, in fondo.

-No, non voglio lasciarlo. Ci sono delle cose di lui che non capisco e che vorrei capire. Tu sei un suo amico da molto più tempo di me, lo conosci bene, e io voglio parlare con te.-

Genda annuì con aria di approvazione. Parlavano allo stesso modo, sentiva che quel ragazzo era sulla sua stessa lunghezza d’onda. Molto bene.

-Okay, mi piace il tuo tono e la luce che hai negli occhi. Vai avanti, cosa vuoi sapere di preciso?-

-Kidou… Lui insomma… Quando litighiamo non lo sopporto. Si comporta sempre allo stesso modo: appena siamo in disaccordo su qualcosa, prima mi attacca e poi cerca di farmi pietà. E’ un nostro problema o è un suo problema? Sono io che gli faccio paura o lui che ha paura, in generale?-

Genda corrucciò appena la fronte e si sporse in avanti, i gomiti ben appoggiati al tavolo. – Tu e Kidou litigate? Tu litighi con Kidou?-

-Ehm… Sì? Perché fai quella faccia?-

-E’ che… Non si litiga con Kidou.-

-In che senso?- Gouenji sbatté le palpebre, perplesso.

Genda fece spallucce, come se stesse per dire una cosa ovvia: - Non so se tu gli fai paura, ma, come hai detto tu, conosco Kidou da anni e, da quello che so, lui non litiga con le persone.-

-Mi stai dicendo che non hai mai litigato con Kidou?-

-Sei la prima persona che conosco che mi viene a dire che sta litigando con Kidou. Neanche con Fudou litigava! Com’è che fai?-

-Non parliamo di Fudou Akio – sbuffò Gouenji scuotendo i capelli da un lato e Genda sogghignò perfidamente. – Non farai mica il geloso..!-

-A volte ho l’impressione che Kidou parli più con lui che con me.-

-Di questo dovresti parlare con lui, non con me.-

Gouenji ricambiò il suo sguardo forte e annuì. La sua schiettezza era proprio quello di cui aveva bisogno ora.

-Come fai tu a non litigare mai con Kidou?-

Genda tamburellò con le bacchette sul bordo della ciotola. – Come spiegare… Kidou è uno stratega, vive di piani di battaglia. Ma non solo in campo, proprio nella vita. Pianifica tutto, perché pensa a tutto e trova la soluzione più efficace. In pratica, le stronca sul nascere, fa in modo che non avvengano. Le litigate, intendo. Non so come tu ci stia riuscendo, ma stai stravolgendo il suo mondo, se riesci a portarlo alla discussione.-

Gouenji si buttò con la schiena contro la sedia, sbuffando. – Vorrei stravolgere il suo mondo in meglio, sai com’è, invece ultimamente litighiamo e basta. Lo vedo che sta male e mi dispiace. Ma parlare con lui di queste cose è impossibile e finisce per darmi sui nervi.-

-Ti capisco, Kidou è sempre stato snervante per queste cose. Fin da piccolo. Faceva di tutto per evitare lo scontro e, quando succedeva, era sempre il primo a scusarsi. Quello che è successo alla Shin Teikoku… Tu non c’eri e io e Sakuma eravamo fuori di testa, ma era inquietante il modo in cui Kidou si faceva prendere a pallonate e chiedeva scusa. Anche quando poi ho provato a chiedergli scusa, non mi ha praticamente voluto ascoltare.-

-Ma perché fa sempre così?-

A Genda sembrò scappare un risolino, ma non fece in tempo ad emettere fiato che già era tornato serio. C’era poco da ridere, evidentemente.

-Hai presente Kageyama Reiji, no?- vide Gouenji annuire e proseguì –Faceva paura l’idea di parlargli, figurati discuterci. Non è che si riusciva ad avere una conversazione, una discussione sana…-

-Sì, ma io non sono…!- Genda portò una mano avanti, come a bloccarlo, e subito Gouenji si zittì. -Scusami, vai avanti, non volevo interromperti.-

-Con Kageyama non si discuteva. Kageyama dava ordini e tu li eseguivi. Riuscendo. La sconfitta, il fallimento non era contemplato. Ma neanche il dibattito, uno scambio di opinioni, in realtà. Questo era Kageyama e non dire che era il coach della nostra squadra, per Kidou era molto di più. Insomma, per noi era l’allenatore e il preside della scuola e già ti assicuro che faceva paura. Ma Kidou… Kidou era il suo pupillo e lo seguiva dappertutto, il rapporto fra quei due non era normale. A noi sembrava strano, ti dico la verità, ma era una cosa che faceva parte della quotidianità per lui. Kidou a volte arrivava a scuola in macchina con il preside e quando finivano le lezioni, invece di tornare a casa, visto che suo padre non c’era, andava in presidenza a fare i compiti. Insomma, senza dilungarmi in questi aneddoti, il discorso è che Kageyama era la figura di riferimento per Kidou, molto più che suo padre: l’adulto da stimare e imitare, da cui imparare. Tu hai una vaga idea di come può essere crescere con un simile esempio?-

Gouenji era rimasto ad ascoltarlo senza parole e la domanda lo lasciò interdetto.

-No, esatto. E nemmeno io, Sakuma o Haruna e nemmeno Fudou, se è per questo. Quindi, se mi chiedi se Kidou ha un problema con i conflitti, la mia risposta come amico e confidente è sì. Non so se la colpa sia tutta di Kageyama o se ci sia altro che io non conosco, ma quel che so è che Kidou vive per compiacere le persone che gli stanno intorno. Non so dirti cosa fai di preciso per spaventarlo, ma sicuramente lo terrorizzi se cerchi lo scontro con lui.-

Gouenji prese un ampio respiro, gli occhi inquieti: di colpo gli sembrava di avere sulle spalle un peso indicibile.

-E nessuno di voi ha mai provato a risolvere questa cosa? Va semplicemente bene così?-

-Ascolta, bomber di fuoco. Voglio bene a Kidou e gliene vuoi anche tu, è evidente. Quindi fai a tutti un favore: pensa a quello che ti ho detto, pensa se è una cosa che puoi gestire. Perché, e credimi, sono davvero sincero con te, non cambierà. Kidou è così, è così per delle cose che sono successe e sono molto più grandi di noi. Kidou non è un progetto da risolvere, non è un work in progress che devi gestire tu. Entra nell’ottica di idee che potrebbe essere così per tutta la vita. E quindi, se vuoi impegnarti sul serio con lui, dovrai gestirlo, insieme a lui. Non pensare di arrivare e aggiustarlo, non hai la polvere magica, non basta che arrivi tu con il potere del tuo amore e del tuo cazzo e risolvi tutti i problemi di Kidou. Non vivere la relazione con lui come se dovessi aggiustarlo. E non rimanere con lui perché ti fa pietà. Lo faresti soffrire in entrambi i casi e a quel punto, credimi, troverei dei modi per farti soffrire anch’io.-

Gouenji incassò la minaccia con un sorriso: le parole di Genda risuonavano in lui come forti colpi di martello, gli mancava l’aria ma al contempo era come se non avesse mai visto più chiaramente di così.

-Piuttosto, – stava concludendo Genda versandosi un ultimo sorso d’acqua – Lascialo adesso. Soffrirà, ma poi starà meglio. Preferisco, da amico, sapere che soffre perché è stato lasciato dal ragazzo che ama e stima, piuttosto che saperlo con una persona che ha pietà di lui e non lo ama. Kidou non è solo i suoi traumi, merita di avere al fianco una persona che lo riconosca e glielo ricordi.-

-Concordo, Genda. Grazie.- Gouenji sentiva gli occhi gonfi dalla commozione: quel ragazzo nutriva un affetto nei confronti di Yuuto davvero speciale. Non l’avrebbe deluso.

author's corner

Sono innamorata di Genda dai tempi delle elementari e più passa il tempo più mi convinco che avevo buon gusto
Naturalmente, la visione di Genda rispetto a Kidou è soggettiva e non necessariamente la migliore, ma Gouenji aveva proprio bisogno di un punto di vista differente. Sempre se sarà capace di farsene qualcosa.
Grazie a chi segue e a presto <3

Ritorna all'indice


Capitolo 12
*** Il capitano è risentito ***


Dopo il confronto con Genda, Gouenji aveva affrontato Kidou con una nuova speranza e determinazione nel far funzionare il loro rapporto. Erano giovani, innamoratissimi e nessun ostacolo gli sembrava insuperabile. Così, quando li sorprese di nuovo un breve periodo di rose e fiori, si convinsero che le difficoltà fossero completamente superate.

Kidou andava a vedere le partite che regolarmente Gouenji disputava e faceva sempre in modo che trovasse nel suo armadietto delle rose fresche come regalo di buon auspicio, Gouenji lo portava fuori a cena e organizzava nei weekend delle gite in modo da poter stare da soli senza alcuna pressione. Nell’intimità si punzecchiavano, si abbracciavano, si baciavano, facevano l’amore dappertutto, ad ogni ora, mai sazi di quel gioco di gambe e frullar di fiato che creavano i loro corpi nudi. Quando erano in giro, insieme ad altri, quasi non si sarebbero detti una coppia: stavano vicini, certo, quello l’avevano sempre fatto, sembravano godere della reciproca vicinanza e si scambiavano degli sguardi in maniera privilegiata, “da capogiro” come diceva sempre Kidou, che faceva sentire ad entrambi le farfalle nello stomaco.

Erano felici, non c’era verso né motivo di nasconderlo. Tuttavia, c’era una pulce nell’orecchio che Gouenji, nonostante tutta la sua buona volontà, non riusciva a scacciare. Conosceva Kidou da parecchi anni, avevano dimestichezza con virtù e difetti dei reciproci caratteri, sapevano ciò che dell’altro ammiravano e ciò che invece li rendeva poco compatibili: per questa ragione, il legame che intercorreva fra Kidou e Fudou non era una novità per Gouenji. Tuttavia, adesso che era ufficialmente il suo fidanzato, gli appariva decisamente problematica, dannosa e ben poco comprensibile. Il fatto che fossero rimasti amici, nonostante fossero stati fidanzati alcuni anni durante le scuole superiori, di per sé già era anomalo. Ma quello che davvero Gouenji non capiva era perché Yuuto mantenesse, con il suo ex, quell’atteggiamento di insofferenza e dominanza al contempo: quando parlava di lui lo sminuiva, ma intanto lo teneva sempre all’amo e si lasciava corteggiare. Era genuinamente crudele e, quel che era peggio, sembrava che Kidou neanche se ne accorgesse. Avevano già discusso più volte a causa di Fudou ma, da quando aveva avuto quel confronto con Genda Koujirou, la gelosia in Gouenji si era ammansita.

Così, quando Kidou, nel mezzo di una conversazione qualsiasi, fece il nome di Fudou, Shuuya fu colto impreparato dall’ondata di rabbia che lo attraversò da capo a piedi. Non commentò come al solito, ma stette zitto, con quella sua espressione ruvida dipinta sul volto. Yuuto rimase sorpreso e gli chiese perché si fosse fatto di colpo così serio e cupo.

-Non ti sembra di esagerare, con questo “Akio di qui, Akio di lì”?-

L’espressione di Kidou, dopo un momento di sorpresa, si distese in un sogghigno appagato, lietissimo. –Tsk, sei geloso eh? Ti disturba se parlo di Akio? Sei davvero carino e mi lusinghi, ma non devi preoccuparti, lui è…-

-Ecco, vedi? Lo stai facendo di nuovo. Stai per dire qualcosa di cattivo nei suoi confronti, ma intanto continua a piacerti!-

-Ma che dici? Certo che non mi piace! Io e lui siamo solo amici, dai Shuuya, sii ragionevole.-

-Sii ragionevole tu. Lui direbbe lo stesso?-

-Eccome! E’ stato lui a lasciarmi e sta anche frequentando un altro, adesso. Non capisco che pensieri ti sei messo in testa, pensi che io ti tradisca con Akio?-

-No.– rispose Gouenji con sicurezza glaciale. Kidou, nonostante il tono molto serio della conversazione, si sentì rassicurato dal fatto che non avesse esitato e sorrise, piuttosto compiaciuto.

-Allora qual è il problema? Non capisco.-

-Il problema è che esci da solo con il tuo ex, che quando succede qualcosa è fra i primi a saperlo, che lo difendi in tutto ma poi ne parli come se fosse un idiota colossale, che quando esci con i tuoi amici della Teikoku c’è sempre pure lui…-

-Allora vedi che ho ragione io? Sei geloso, gelosissimo!– sghignazzò il rasta, soddisfatto da quello che sentiva. -Ma guarda che è davvero un idiota, non hai niente da temere.-

-E’ l’idiota che ti sei scopato per un anno però, eddai! Non può essere così tanto un idiota, o devo pensare che ti piacciono gli idioti?-

Kidou si stava divertendo, nulla della sua espressione gongolante lo nascondeva, e Gouenji l’avrebbe volentieri ribaltato al suolo.

-Certo che non mi piacciono gli idioti, ma cos’è, hai paura di essere da meno di Akio?-

-Ogni volta che lo vedi, lasci che flirti spudoratamente… Tutti sanno che, anche se ufficialmente non state più insieme, ha un debole per te, in casa tua tutti lo conoscono e ti diverte avere le sue attenzioni, farti punzecchiare, averlo intorno… Sì, sono geloso, e vorrei che mi dessi delle valide ragioni per non esserlo, se mi dici che è un idiota non mi sento affatto meglio.-

Kidou si sporse in avanti, miagolò un -Sei troppo sexy quando sei geloso, Shuuya.– e gli baciò con slancio le labbra, accarezzandogli il viso e l’attaccatura dei capelli profumati di balsamo fruttato. Gouenji stemperò le proprie fiamme rincorrendo la lingua di Yuuto, con un movimento deciso della mano gli slegò i capelli e prese a massaggiargli con voluttà la nuca e il collo, stretto sempre fra le sue labbra umide. I loro corpi nudi languirono nel calore di quel pomeriggio primaverile, Shuuya rassicurato dalla passione di Kidou in lui, Yuuto esaltato da quella dinamica competitiva, di lotta, fra persone così importanti per lui.

*

Kidou si era già rivestito ed era disteso sul tappeto a giocherellare con le frange agli angoli, Gouenji tornava dal bagno in quel momento, quando una notifica illuminò lo schermo del telefono di Yuuto: era un messaggio di Fudou che inoltrava un’immagine, anche se dall’anteprima non si capiva di che natura fosse.

Gouenji sentì montare dentro di sé una rabbia che nemmeno tutta l’ossitocina rilasciata dal loro amplesso riuscì a sbollire: borbottò un improperio fra i denti contro Kidou e, raccolta la propria camicia, ancora a petto nudo si chiuse la porta alle spalle. Yuuto provò a rincorrerlo, a fermarlo, ma Shuuya, rivestitosi, uscì dalla casa senza salutarlo né rispondere ai suoi richiami. Il rasta rimase a fissarlo dalla porta d’ingresso, mentre attraversava il vialetto e si allontanava. Che diamine gli era preso?

Infastidito e ferito da quello che considerava un trattamento ingiusto, prese il telefono e lasciò una nota vocale a Fudou in cui lo insultava, rivolgendogli una sequenza di invettive che, ne era sicuro, l’altro avrebbe trovato lusinghiere. La realizzazione lo turbò e allontanò da sé il telefono, indispettito e scocciato. Che ne poteva lui, se Akio era così problematico e Shuuya aveva deciso di fare l’antipatico?

C’era un’unica cosa che avrebbe potuto sollevargli il morale, così senza pensarci due volte si cambiò e uscì di casa.

Arrivato a casa di Sakuma, l’accoglienza fu come al solito calda e festosa: sua madre, la signora Mio, preparò la teiera con l’infuso di tè bianco – il preferito di Yuuto – e allestì nel tavolo della cucina un simpatico e casalingo buffet per la merenda. Jirou era in camera sua a studiare ma, sentendo suonare il campanello, si affacciò e, sorpreso della visita improvvisa, chiese a Yuuto cosa fosse successo. Kidou lasciò che l’atmosfera profumata e cordiale di quella casa della sua infanzia gli rilassasse lo spirito, assaporò con piacere l’infuso bollente dalla gradevolissima colorazione e dal lieve retrogusto floreale che lasciava sul palato, ben accomodato su quel divano dove tanto a lungo aveva giocato, letto, guardato la tv e fatto merenda. Dopodiché, più tranquillo, raccontò al suo amico quello che era successo nelle ore precedenti: neanche il tempo di concludere il racconto nei dettagli, che Sakuma aveva avvisato sul gruppo che avevano in comune che Kidou era a casa sua e in breve tutta la squadra si riunì a quella mensa, come quando erano bambini.

La signora Mio, con un sospiro intenerito e quell’espressione dolce che l’aveva sempre contraddistinta, guardò quei ragazzi, ormai parecchio cresciuti rispetto ai bambini che erano stati, che sapevano in un attimo radunarsi attorno a Kidou, quello che era stato il loro centro e che, nonostante gli anni passati, rimaneva la molla di tutte le loro azioni di gruppo. Organizzarono una vera festa, si divisero i compiti, in modo da non recare ulteriore disturbo, andarono a fare la spesa, a procurarsi musica e videogiochi per la serata, ben intenzionati a non lasciare solo il capitano e far sì che quei due rimbambiti – Fudou e Gouenji, evidentemente – non gli rovinassero di più la giornata.

Kidou, guardando tutta la catena di montaggio e di affetto che si era attivata attorno a lui, non poté fare a meno di pensare “Che disgraziati che sono, non sono cambiati di una virgola…” Eppure, quel modo accentrante e prepotente che avevano di farlo sentire parte di loro lo faceva sentire bene.

*

Gouenji ammise a se stesso di aver esagerato nel dare in escandescenze, nelle ore subito successive al fatto. Cercò di mettersi in contatto con Kidou, ma, a quanto pareva, aveva il telefono scarico o l’aveva proprio spento. Shuuya temeva di averlo offeso oltre misura e, per quanto detestasse Fudou e l’atteggiamento di Kidou nei suoi confronti, non voleva perderlo per questo, era disposto a parlarne ancora e a chiedere scusa, se necessario, nonostante invero pretendesse ancora delle rassicurazioni più convincenti. Ad ogni modo, dato che per telefono non riusciva a mettersi in contatto con il suo ragazzo, si rimise per strada e suonò al campanello di casa Kidou. I domestici che gli aprirono furono oltremodo sorpresi di rivederlo, dopo che la litigata delle ore precedenti: dall’esperienza che avevano ormai accumulato in quei mesi, il signorino Yuuto ci metteva alcuni giorni prima di fare pace con il signorino Shuuya, non era molto immediato il riavvicinamento. Che quella sera fosse più grave?

-Buonasera, scusatemi il disturbo a quest’ora. Vorrei parlare con Yuuto, per favore, se potete dirgli che sono qui…-

-Signorino Gouenji, buonasera. Nessun disturbo, piuttosto il signorino non è in casa.-

-Non è qui?– domandò il biondo, allarmandosi. –E sapete dove lo posso trovare?-

Le due signore che erano venute alla porta si scambiarono uno sguardo d'intesa: - In effetti è uscito a piedi, non ce l’ha detto con esattezza, ma è probabile che sia andato a casa Sakuma.-

*

Gouenji non era mai andato a casa di Sakuma Jirou ma, con le indicazioni che gentilmente gli diedero i domestici di casa Kidou, raggiunse la sua destinazione velocemente, senza perdersi. Suonò al campanello senza molte idee, ma determinato a vedere Kidou. Chissà perché era dovuto andare a casa di Sakuma, per di più a quell’ora…

Dalla casa proveniva un certo trambusto, della musica… E se i suoi sensi non lo ingannavano, non era fumo di grigliata quello che vedeva dall’altra parte della casa, nel giardino sul retro? Non fece in tempo a elaborare al meglio quel pensiero, che sull’uscio si materializzarono, come due creature emerse direttamente dal buio, Doumen, con addosso due strambi occhiali da festa, dalla forma insolitamente trapezoidale, e Henmi, che portava nelle mani una cassa che faceva rimbombare della musica tutt’intorno. L’atmosfera di colpo si era fatta molto pericolosa. Gouenji indietreggiò d’istinto, colto di sorpresa. Che diamine ci facevano, gli ex compagni di squadra di Kidou, tutti a casa di Sakuma, quella sera?

-Ah, guarda un po’, Gouenji il fenomeno. – sghignazzò Doumen, facendo un saltello, o meglio uno scatto in alto, nella sua direzione. Gouenji aveva l’impressione che avrebbe potuto sputargli in faccia: incuteva molta soggezione, con quegli occhiali sembrava ancora più disturbante.

-Che ci fai qui, damerino? – domandò Henmi, sporgendosi in avanti nella sua direzione, senza in effetti avergli aperto il cancello di ingresso.

-Scusatemi, non volevo disturbarvi, volevo solo sapere se Yuuto è qui… In casa sua non l’ho trovato e mi hanno detto…-

-Sì, è qui.– confermò Doumen, ridacchiando e annuendo, con gli occhiali a forma di trapezio che gli scivolavano leggermente dal naso, essendo molto più grandi di quanto la sua faccia consentiva.

-Posso… Vederlo, per favore?-

-No, non credo proprio.– rispose questa volta Henmi e Shuuya ebbe l’impressione che non fosse affatto il benvenuto, avrebbe fatto meglio a sloggiare quanto prima. Annuì, ritraendosi dal cancello e mettendosi di tre quarti, scoprendo un fianco: -Potete almeno dirgli che sono passato, per favore? Volevo chiedergli scusa, per oggi.-

-Mh, chi lo sa.– Doumen inforcò gli occhiali, quel baldanzoso travestimento era sempre più lugubre e il buio tutt’attorno e le luci della casa alle sue spalle gli deformavano l’espressione in un sogghigno davvero perfido. –Può darsi che glielo diremo, se adesso te ne vai.-

-Bene, grazie. Me ne vado subito.– assicurò Shuuya, arretrando ancora. In quel momento la porta di casa si spalancò completamente e la figura di Genda si stagliò contro l’oscurità della notte.

-Oh, guarda un po’ chi si rivede! Il bomber di fuoco, che sorpresa!– Con due ampie falcate attraversò lo spiazzo del cortile dell’ingresso e fu di fronte a Gouenji, sempre il cancello a dividerli. Doumen e Henmi si fecero da parte, lasciando passare il loro portiere storico. Gouenji, rassicurato dalla presenza conosciuta di Genda, si fece di nuovo avanti e gli sorrise: -Buonasera, a quanto pare qui c’è una festa e non sono il benvenuto...-

Genda si pulì le mani sui pantaloni, lasciando strisce unte di grasso da griglia. Ne aveva qualche traccia anche su una guancia, appena sotto lo zigomo. Livellò Gouenji con gli occhi da sotto in su, sporgendo il mento in avanti.

-E’ così. Il nostro capitano è risentito e per questa sera puoi scordarti l’invito. Via dai coglioni, porcospino, e dirò a Yuuto che sei passato, così domani vi vedete e risolvete tutto, okay? Suvvia, non farti pregare, sono fuori dal mio orario di lavoro adesso! – sghignazzò sprezzante.

Gouenji incassò il colpo e per quella sera si ritirò: doveva ammetterlo, gli amici di Kidou erano davvero terrificanti, ma sapevano il fatto loro.

author's corner

Kidou deve fare le audizioni per la principessa sul pisello uwu
Gouenji mi perdonerà ma il momento raduno della Teikoku non si poteva evitare. Sono un gruppetto di pazzi scatenati
Grazie a tutti e buona lettura <3

Ritorna all'indice


Capitolo 13
*** Triplice fischio ***


I percorsi universitari stavano giungendo a conclusione, ma, nonostante le soddisfazioni accademiche e i meritati festeggiamenti, fra Kidou e Gouenji le cose non funzionavano granché bene da tempo. Le litigate erano all’ordine del giorno, quando rimanevano da soli c’era tensione nell’aria e i silenzi, che avevano sempre condiviso con leggerezza e serenità, diventavano tediosi. La consapevolezza dell’insofferenza reciproca li rendeva tristi, irritati e indisponenti: cercavano di passare più tempo in compagnia dei loro vecchi compagni della Inazuma, ma sentivano che quel tiro alla fune stava diventando sempre più complicato da sostenere.

Arrivò infine la chiamata per le competizioni professionistiche: Endou e Gouenji erano fra i più emozionati, brillava nei loro occhi una passione bruciante, che dilagò e contagiò i loro amici. Parlavano di calcio continuamente, come avessero avuto di nuovo dodici anni, ripresero ad allenarsi insieme al campetto al fiume e, grazie all’intervento di Natsumi, riuscirono ad accedere nuovamente all’Inabikari per delle sessioni straordinarie e intensive. Molti loro compagni, Someoka, Fubuki e altri, persino Toramaru, furono dei loro, ringalluzziti da quel clima entusiasta, carico di passione che li aveva legati, tanti anni prima. Kidou non poteva essere da meno: nonostante avesse, più o meno figurativamente, appeso gli scarpini sportivi al chiodo, non se la sentì di disertare. Il sorriso di Endou era troppo caldo e… Inutile negarlo, era evidente che fra lui e Gouenji le cose andassero meglio, ora che di nuovo si allenavano insieme, come compagni di squadra. Il calcio era… Tutto, per Gouenji. C’era qualcosa, nei suoi occhi, che solo il calcio sapeva accendere e Kidou non riusciva neanche a concepire l’idea di deluderlo… E chiarire il fatto che no, non avrebbe mai passato le qualificazioni per le competizioni professionistiche e, anche qualora l’avesse fatto, non avrebbe accettato nessun contratto, sarebbe senz’altro stata una grande delusione per Shuuya.

Effettivamente nell’immediato le cose fra loro parvero migliorare in maniera significativa: passavano tantissimo tempo insieme, si allenavano duramente – insieme a tutti gli altri, certo, ma erano di nuovo uno al fianco dell’altro, a calcare il campo da gioco, e passandosi la palla l’intesa fra loro era così forte da far sembrare che niente l’avrebbe mai scalfita. Il fuoco di Gouenji divampava, nutrito dal ritmo di gioco aereo e vibrante che stabiliva Kidou. Per i ragazzi che anni addietro avevano formato la rosa della Inazuma Japan, quello era un ritorno alle glorie di un tempo e i loro corpi adulti vibravano con forza, all’unisono. Erano consapevoli che si sarebbero divisi, ma affrontarono il periodo di allenamento intensivo in vista delle qualifiche per il competitivo come un collettivo, compatto nel gioco e nei cuori.

Kidou si sentiva un criminale, ad assecondare l’entusiasmo generale solo per evitare lo scontro: stare con i suoi amici lo faceva sentire al sicuro, ma vedendo i loro sorrisi percepiva con crudele lucidità come fossero distanti, adesso. Quando giocava c’era qualcosa… Qualcosa che lo rendeva profondamente triste. E agitato. Si sentiva in colpa e avrebbe voluto scappare lontano, lontano da quel campetto al fiume, lontano dalle macchine di allenamento, lontano dai sorrisi e dalle esclamazioni appassionate, lontano dagli schemi di gioco che doveva elaborare, lontano da tutto ciò che gli ricordava…

Non riuscì a parlarne con nessuno, ai suoi occhi erano tutti avvolti da una nube di brillante euforia e lui, per quanto si sforzasse, non riusciva a cadere vittima di quel bel sogno. Finiti gli allenamenti si defilava e, quanto capitava di incontrare i suoi ex compagni della Teikoku, che erano curiosi di sapere come stesse andando la preparazione per le qualifiche, non era necessario spiegare granché… Loro vedevano che non aveva più indossato gli occhialini e non doveva aggiungere nulla, era tutto chiaro. -Shuuya è più contento, tutti sono felici di queste qualifiche, è bello tornare a giocare insieme- ma, chissà perché, quando pronunciava quelle parole, sentiva tanti aculei perforargli la gola e togliergli il fiato. Decise di non pensarci troppo, in fondo non c’erano possibilità di farsi notare da recruiter o sponsor di qualche tipo, non si allenava seriamente da anni, di certo quelle sessioni di allenamento intensivo non avrebbero potuto colmare una simile mancanza di costanza da parte sua. Ugualmente, con timidezza, per qualche mese smise anche di fumare.

*

Nonostante fosse consapevole che il loro rapporto in quel periodo non fosse proprio rose e fiori, Gouenji era profondamente innamorato di Kidou e lo conosceva molto bene. Perciò fu semplice per lui notare come, arrivando i risultati delle qualifiche, Kidou non partecipasse alla condivisione delle proposte di sponsor locali e recruiter stranieri che stava invece occupando tutto il tempo libero dei loro amici. Gouenji in primis aveva ricevuto diverse offerte e le stava valutando, chiedendo consigli e opinioni a tutti gli altri: c’era gran fermento nell’aria, sia sui loro social sia dal vivo, quando si incontravano per parlare sentivano l’aria frizzare. Gouenji era pressoché certo che Endou non dormisse da giorni, da quanto era su di giri, e raramente aveva visto Someoka così infiammato. Incontrarsi e parlarne fra loro non faceva che fomentare l’entusiasmo generale… Era come essere tornati ai tempi della Inazuma Japan, ma era tutto più grande, più reale.

Gouenji aveva dedicato i suoi anni delle scuole superiori e dell’università unicamente a questo momento. Da quando era ritornato dalla Germania, da quando aveva deciso, in cuor suo e di fronte a suo padre, che avrebbe scommesso la sua intera vita sul calcio, ogni passo del suo percorso era stato votato a questo momento. Si era allenato ogni giorno, era stato parte di squadre amatoriali e universitarie, aveva giocato in competizioni di rango minore e tutti quei tasselli adesso si sublimavano in un contratto, un contratto vero, da giocatore professionista. Si sentiva invincibile e arrivato, i suoi sforzi erano stati coronati e ora lì, davanti a lui, brillava quel sogno, tangibile, sotto forma dei numeri di telefono esteri che avevano voluto comprare il suo gioco. Suo padre gli aveva sempre detto che sarebbe stato impossibile e invece lui ce l’aveva fatta. Non aveva ancora giocato una singola partita, eppure sapeva già di avere vinto.

La sua gioia e il suo entusiasmo non derivavano soltanto dal suo contratto. Gli erano venute le lacrime agli occhi quando Someoka, una sera decisamente tardi, gli aveva telefonato e gli aveva detto di aver deciso di firmare un contratto, di partire per giocare all’estero. Aveva tenuto Endou stretto così forte da sentire male alle braccia quando, alla Inazuma Tower, il suo migliore amico, in un turbinio di parole e con un sorriso straordinario, aveva condiviso con lui che uno dei recruiter più importanti del Giappone lo voleva nel suo team. Si sarebbero separati presto, ma avevano vinto come una squadra, insieme. E l’assenza di Kidou al loro fianco si faceva sentire come un colpo di cannone. Il suo fidanzato rimaneva silenzioso, si defilava dalle conversazioni e dai loro incontri, ostentando impegni con il padre e millantando la necessità di studiare. Gouenji sentiva che c’era qualcosa sotto, ma Kidou era sfuggente anche con lui, lo incontrava di rado e non parlava di sé. Sembrava quasi lo volesse evitare, dopo tutti quei mesi passati ad allenarsi insieme. Lo faceva impazzire non comprendere affatto che cosa stesse passando per la sua testa: per tutti questi mesi, mentre si allenavano insieme, Kidou era stato dei loro, per ogni singolo allenamento. Si era dato da fare con tenacia e forza combattiva, era stato attento e concentrato, fisso sull’obbiettivo… E ora, che bisognava raccogliere i frutti del loro lavoro, che cosa stava facendo? Era confuso e avrebbe voluto più di ogni altra cosa che Yuuto gli parlasse. O che gli stesse accanto, ma per davvero, nel loro modo, quello cristallino e autentico che, fin dal primo giorno della loro conoscenza, aveva permesso loro di capirsi meglio e di più di chiunque altro. Non riusciva a ricordare l’ultima volta che un silenzio condiviso con Kidou fosse stato rigenerante e piacevole come ai vecchi tempi, come all’inizio della loro relazione. Era una considerazione troppo spaventosa però e Shuuya non voleva fermarsi a riconoscere che cosa volesse dire.

Ma Gouenji non poteva credere che il suo Yuuto non sarebbe stato con loro, alla fine. In cuor suo, aveva fede incrollabile nel fatto che sarebbe partito con lui: era il loro sogno, in fondo. Si era allenato insieme a tutti gli altri, aveva partecipato a quelle selezioni con il loro stesso fuoco… E, qualsiasi pensiero stesse adombrando la sua mente ora, era fiducioso di poter aiutare. Doveva solo riuscire a parlare con lui. Cercò di mettersi in contatto e, dopo svariati tentativi andati a vuoto, si presentò in casa sua, intenzionato a chiarire una volta per tutte. Era arrabbiato di essere stato ignorato fino a quel momento e infastidito dalla reticenza che Yuuto aveva nel passare tempo non solo con la squadra, ma specialmente con lui.

-Ho deciso quale contratto accetterò. Richiamo il mio sponsor stasera.-, disse Gouenji all’improvviso, approfittando di un momento di silenzio. I silenzi fra loro erano sempre stati sacri, non vincolanti, anzi distensivi e appaganti; da qualche tempo erano diventati seccanti, perché Kidou ci si rifugiava, contando sul fatto che Gouenji non avrebbe insistito nel parlare. Gli sembrava quasi che Yuuto abusasse della loro complicità e, ad ogni silenzio in cui si perdeva una conversazione, si sentiva un po’ più tradito.

Kidou aveva gli avambracci appoggiati al davanzale e stava guardando davanti a sé, un raggio di sole tiepido sulla pelle pallida. A quelle parole si tirò su di colpo e incrociò le braccia al petto, la schiena rigida e il volto teso. Conosceva quel tono fin troppo bene e sapeva che non sarebbe stata una conversazione da cui sarebbe sfuggito facilmente. -Mi fa piacere.-, rispose dopo un istante di silenzio, con voce impostata e chiara.

Gouenji riusciva a sentire fisicamente il muro che Yuuto metteva fra di loro, quando usava quel tono. Non gli faceva affatto piacere, in realtà, chi voleva prendere in giro. Così indurì l’espressione e incalzò: -E tu?-

-Io cosa?- Fu la risposta, lieve e veloce, come se si fosse sollevata una piuma da terra. Quanto era indisponente quando usava quel tono…

-Tu cosa farai? Non hai detto niente ad Endou e gli altri e noi non stiamo parlando d’altro da giorni. Quali squadre ti hanno chiamato?-

-Nessuna.-

Gouenji non riuscì a trattenere uno sbuffo, una risata infastidita. -Nessuna? Non ti credo.-

Yuuto sorrise, indecifrabile, lo sguardo sempre in avanti, verso l’orizzonte luminoso. -Perché dovrei mentirti?-

-Dimmelo tu. Non fai altro da settimane! Credevo volessi davvero partecipare a queste qualifiche.-

-Ma certo che volevo farlo. E’ così divertente giocare tutti insieme, no?-, Kidou gli rivolse un’occhiata di sbieco, sardonica, con un piccolo sorrisetto ironico. Gouenji sentì i peli sulle braccia rizzarsi per il sottotono di derisione nelle sue parole.

-Cosa vorresti dire con questo?- Si allontanò di un passo dal davanzale e si girò completamente verso di lui, aperto allo scontro. Kidou, invece, continuava a guardare fisso davanti a sé: non si degnava neanche di guardarlo in faccia mentre lo scherniva. -La tua posizione in graduatoria era buona, Yuuto, non puoi non aver ricevuto chiamate.-

-Posso non aver risposto.-

Gouenji si sentì infiammare: -Mi stai prendendo in giro? Perché non avresti dovuto?-

Una risata lieve e incredula scosse le spalle di Kidou. -Tsk tsk… Allora non hai proprio capito nulla.-

-Non posso capire se non mi parli.- ribatté piccato il biondo, sentendosi attaccato.

-Non ti parlo? Shuuya, non stiamo parlando d’altro da mesi. Anni, a dire il vero. Mi chiedi perché non ho risposto agli sponsor? Veramente, non riesci ad immaginare il motivo? O ci tieni proprio a farlo dire a me? Ti diverte umiliarmi?-

-Di nuovo la faccenda di tuo padre! Anche davanti a questo?- sibilò Gouenji fra i denti, poi scosse la testa. -Non sono io che ti umilio. Credevo che il calcio fosse il tuo sogno, come per me ed Endou.-

Kidou ingoiò una boccata d’aria, densa e soffocante come acqua. Si sentiva annegare e, quel che era peggio, Gouenji non sembrava lì per aiutarlo a restare a galla o porgergli un salvagente. In quel momento era come se gli stesse zavorrando le caviglie e rimanesse, con quella espressione rabbiosa, a guardarlo mentre sprofondava. “ Te la sei cercata” Gli diceva la voce nella sua testa, che assomigliava spaventosamente a quella di Shuuya adesso, così giudicante e velenosa. “Non sei come me e Endou, non sei come noi. Ci hai ingannato e adesso la pagherai” . Sentiva la gola tanto stretta da rendere doloroso persino respirare: si nascose in un sorriso sgraziato e cattivo. -Ma cresci un po’. Il calcio era il mio sogno quando avevo dodici anni. E’ passato un po’ di tempo, non credi?-

A Gouenji sembrava di non riconoscere il ragazzo che aveva di fronte, con le braccia strette conserte al petto, il viso teso e sogghignante, il cuore chiuso, lontano. Dopo tutti questi mesi di allenamento insieme, dopo tutta la loro adolescenza spesa sul campo da calcio, quelle parole sprezzanti non potevano provenire da lui. -Non ci credi davvero. Non sei tu che stai parlando così, stai ripetendo quello che ti ha messo in testa tuo padre.-

-Invece quello che dice tuo padre tu non lo ascolti proprio.-

Per un momento Gouenji vide tutto nero dal nervoso, incassando il colpo che non si aspettava di ricevere: -Cosa cazzo c’entra mio padre?-

Kidou fece spallucce, con fare presuntuoso -Tuo padre c’entra sempre, quando fai qualche minchiata.-

-E la minchiata sarebbe il calcio? – Shuuya mosse un passo verso di lui, gli occhi fermi e nerissimi, come sassi lanciati a rimbalzare più e più volte su una superficie d’acqua limpida. -Sarebbe giocare a calcio?-

Kidou rimase zitto e Gouenji ne approfittò per riprendere parola, infuriato dal suo silenzio. Era bastato sentir nominare suo padre per accendere una miccia nell’illimitata riserva di rabbia che, da anni, dormiva dentro di lui. Shuuya era familiare a questi discorsi: fin dal mondiale under 16, erano stati ripetuti centinaia di volte a casa sua, suo padre non si era mai stancato di ribadire quanto il suo sogno fosse infantile e quanto non l’avrebbe portato ad un’esistenza seria, da adulti. All’inizio della loro relazione, Gouenji si era sfogato spesso con il suo fidanzato su questo e, man mano che il tempo era passato, doloroso come una freccia, si era reso conto che, tutto sommato, Kidou non fosse dalla sua parte: non glielo aveva mai detto esplicitamente come ora, ma aveva intuito da tempo che Yuuto la pensasse come suo padre. Il suo ragazzo, così dedito allo studio e al lavoro, così legato ai desideri di suo padre, così ambizioso e capace… Anche lui, ora, stava pensando che giocare a calcio fosse una cosa da bambini? Non era disposto a fare un passo indietro e dare ascolto alle sue parole. Non poteva guardare negli occhi Kidou e credere che lo scopo della sua vita fosse per lui una sciocchezza.

-Non ti riconosco più. Studi e basta, sembra che del calcio non te ne importi più nulla, esci con noi a stento… persino da me non ti fai vedere praticamente mai. La volontà di tuo padre vale davvero così tanto per te? Vale più di noi? Più di me?-

Uno sbuffo esasperato uscì dal corpo di Kidou. -Stiamo di nuovo facendo questo discorso? Il mio compito nella famiglia Kidou è chiaro, è sempre stato chiaro. Ma cosa vuoi capirne tu?! A te è sempre andato tutto bene, non hai mai neanche dovuto sforzarti! Sei il grande bomber di fuoco e tutti ti apprezzano ovunque vada. Tuo padre voleva che diventassi un medico e ti è bastato intestardirti per un po’ per fare tutto quello che volevi. La mia vita non è così... Io non posso fare quello che mi pare e piace.-

-Potresti, è che non hai le palle di farlo.-

-Ah, e invece tu sì che ne hai! Così tanto che tuo padre pensa che tu sia a casa del tuo caro migliore amico adesso, non è vero?-

-Questo non c’entra assolutamente niente!- ringhiò Shuuya.

-Ti comporti come se avessi sempre la soluzione migliore in tasca e tutto dovesse andare sempre come dici tu, al diavolo quello che dice tuo padre, quello che dico io, quello che dice il buonsenso! Sei peggio di un bambino.- Si schermò Yuuto, aggressivo. 

-Io sarò pure un bambino, ma tu sei uno schiavo. Chi cazzo se ne frega di tuo padre, dimmi una buona volta quello che pensi tu!-

-Quello che penso io non basta e in realtà non conta. – L’espressione di Kidou si fece triste e cattiva in un momento solo. - Il mondo è un po’ più difficile di così, ma forse nella tua bolla dorata non te ne sei mai reso conto… e chissà, magari continuerà pure ad andarti tutto bene come sempre. Accetta quel contratto e vai, tanto tu sei Gouenji Shuuya e non sbagli mai.-

-Non me ne sto andando, sei tu che non vieni con me. Stai rinunciando a tutto, te ne rendi conto?- Gouenji aveva abbassato il tono di voce e lo guardava come se non lo vedesse davvero, come se lo stesse cercando nella nebbia. Yuuto era sempre stato al suo fianco, nel campo e poi nella vita. Era stato il suo migliore amico e il suo primo ragazzo. Si sentiva tradito dalla persona in cui aveva riposto più fiducia in assoluto: non solo Kidou non sarebbe venuto con loro, non aveva mai avuto intenzione di farlo. Non aveva mai creduto nel suo sogno.

-Tanto non mi stai ascoltando, è inutile ripetermi.- Kidou non si era mai sentito tanto in trappola in vita sua: Shuuya non lo capiva, continuava a guardarlo come se pretendesse qualcosa da lui, come se la strada fosse semplice e aperta e fosse colpa sua, se non poteva percorrerla. E se non lo capiva lui, chi altro avrebbe potuto…?

-E’ una tua scelta questa. Stai coscientemente scegliendo di buttare via tutto quello che abbiamo sempre sognato e la passione più grande della tua vita!-

-Non deve per forza essere una scelta! Perché stai parlando come se dovessi scegliere fra il calcio e le aspettative della mia famiglia? Fra te e mio padre? Non voglio fare il calciatore professionista, lo sai, è da anni che lo sapete tutti! Ma questo non significa che non voglio mai più toccare un pallone. Io posso soddisfare le aspettative di mio padre e dedicarmi anche al calcio.-

-Ti stai comportando come un codardo.- Shuuya scosse le spalle, arricciando le labbra indispettito dal suo modo di fare così arrendevole. Come sempre, quando si parlava di suo padre: per Yuuto, di fronte alla volontà del signor Kidou, non esisteva opzione se non arrendersi e acconsentire. Lo faceva infuriare.

-Vaffanculo, Shuuya, non vuoi proprio ascoltarmi allora! Ma che cosa vuoi!? Sei venuto qua per umiliarmi e basta? Vieni a fare la predica a me quando non hai neanche le palle di affrontare tuo padre! Gran bell’esempio di coraggio, complimenti. Sei tu il codardo, a scappare all’estero come un ratto. Io sto cercando di spiegarti, ma sei troppo impegnato a sentirti migliore di me per degnarmi di considerazione.-

-Sei tu che non mi ascolti, cazzo! Io non sono contro di te, sono con te. Manda a fanculo tuo padre e parti con me. Fanculo ad entrambi i nostri padri! Ti rovinerà la vita fare tutto quello che vuole lui, non te ne rendi conto? Tu ami il calcio e sei bravo, hai una possibilità e ti conosco, vuoi coglierla. E non sarai da solo, io sarò al tuo fianco sempre. Non è il momento dei compromessi questo, vieni con me e basta!- Gli occhi di Gouenji erano caldi, intensi, vibranti, promettevano protezione sterminata, cura a non finire e attenzioni a perdita d’occhio. Sarebbe davvero stato al suo fianco fino in capo al mondo, se glielo avesse permesso. Sarebbe davvero stato al suo fianco… se avesse fatto esattamente ciò che si aspettava, se avesse condiviso esattamente l'obiettivo che gli animava il petto. Era troppo emotivo, ogni emozione si poteva leggere su di lui come un libro. A Kidou dava quasi un senso di rigetto, ne aveva paura: non poteva guardarlo così e condurlo con sé. Sentiva che, se avesse accettato quell’invito di passione e coraggio, di amore, ne sarebbe stato rovinato.

-Questo discorso sarebbe molto carino, se io fossi una principessina in una torre da portare nel tuo castello dei sogni. Ma io erediterò l’azienda di mio padre e diventerò il CEO della Kidou Corporation. Non c’è nessun compromesso da fare qui, è da quando sono un bambino che so qual è l'obiettivo della mia vita. Tieniti i tuoi propositi da salvatore, Gouenji. Se vuoi andare, vai, non sarò certo io a trattenerti.-

Per Gouenji fu come sentire un pugno dritto in pancia. Ogni goccia di fervore e rabbia sparì dal suo corpo di colpo, di fronte alla granitica realizzazione che il punto di non ritorno era stato di gran lunga superato. -… Tu davvero non vuoi venire? Davvero non sarai con me?-

Kidou si sentì lacerare, uno strappo violento e improvviso all’altezza dello stomaco.

“Cosa dovrei fare, Shuuya? Abbassare gli occhi, scoppiare a piangere forse, chiederti scusa per il tono cattivo che ho usato finora, lasciar cedere queste gambe che tremano e farmi abbracciare ? Dovrei mostrarti il gran dolore che sento dentro da mesi, dirti della paura di ricevere chiamate dagli sponsor, la struggente consapevolezza che non riuscirei a rispondere no, di fronte ad un contratto come calciatore professionista? Dovrei esternare le emozioni che provo per tutta questa situazione, in cui tu sei così felice, e io non volevo essere la causa della tua infelicità, io volevo che continuasse così per sempre, invece scopri che non sono come te, come Endou, e non lo sono mai stato, non so come si piange senza vergognarsi, non so come si ammette di avere paura, non so come dirti del senso di lutto che mi soffoca, che giocando a calcio mi sembra di vedere solo fantasmi ormai…”

La sua espressione si fece sferzante, rigida e serrata. Combatté il desiderio di piangere e vinse: d’altronde perdere non era mai stata un’opzione. -Te l’ho detto dall’inizio di questa conversazione.-

-Yuuto…- Gouenji era rimasto solo con il proprio sgomento e la propria incredulità. Il suo Yuuto non era lì con lui, era lontanissimo e un muro sempre più insormontabile era fra di loro: provò ad avvicinarsi per stabilire un contatto e Kidou fece un passo indietro, evitandolo. I suoi occhi si riempirono di lacrime. Era andato tutto male, tutto all’inverso di come avrebbe voluto. Nel dolore del momento, non riuscì a comprendere quanto le sue parole fossero state crudeli e quanto ingiusto fosse stato nei confronti di Kidou: si sentiva solamente abbandonato e tradito, all’improvviso, dopo che aveva creduto che le cose stessero andando meglio.

-E’ evidente che vogliamo prendere strade diverse e che non riusciamo più a capirci. Credo che non ci sia altro da aggiungere.- 

-Io non voglio perderti…- Gouenji era in alto mare, non riusciva a capire come fossero arrivati a quel punto della conversazione e avrebbe voluto cercare il tasto di reset. Ma quanto indietro avrebbe dovuto andare…? Da quanto non parlavano più, onestamente, fra loro? Da quanto non lo capiva più?

-E allora che cosa pensi di fare? Che io parta con te oppure no, rimarrebbe tutto uguale. Ci sgridiamo e ci accusiamo in continuazione. Non era così all’inizio.-

Kidou e Gouenji si guardarono, uno di fronte all’altro. Si rividero insieme, mano nella mano, quando la loro storia era appena cominciata, quando si baciavano dappertutto, quando il solo incrociare lo sguardo dell’altro dava la sensazione che ci fossero sparkles brillanti tutt’attorno nell’aria… Quando si capivano alla perfezione senza bisogno di parlare… Quando si amavano.

Gouenji fu il primo ad abbassare gli occhi, un segno di resa. Aveva sempre saputo quali battaglie poteva combattere e quali no. -Mi stai lasciando?- mormorò piano, cercando di tenere sotto controllo la propria voce mentre si spezzava. Kidou, con il cuore in frantumi, gli volse la schiena, tornando a guardare verso l’orizzonte: se avesse continuato a guardarlo, sarebbe scoppiato a piangere anche lui e non poteva.

-Mi sa di sì. Vogliamo cose diverse, non ha più senso continuare così.-

Gouenji raccolse la giacca che aveva appoggiato sulla sedia e andò via, richiudendo la porta della terrazza alle sue spalle.

author's corner

Siamo quasi alla fine signori e signore
Non me ne volete, doveva andare così e sono a pezzi anch'io
:(

Ritorna all'indice


Capitolo 14
*** Sani principi ***


Shuuya aveva sempre spinto il pensiero di fare coming out nel fondo della sua mente, determinato ad ignorarlo. Non era da lui, a dire la verità. Era molto più abituato a prendere gli scenari negativi di petto, con serietà ed ostinazione, fino a quando non venivano ad una risoluzione: quando c’entrava suo padre, il suo coraggio si sgretolava.

Shuuya si sentiva diverso con suo padre. Chiunque l’avrebbe definito un ragazzo carismatico, determinato, riservato, serio e di buon cuore; chi lo conosceva meglio avrebbe aggiunto che era appassionato, audace, timido, leale. Tuttavia, quando era intorno a suo padre, riusciva soltanto a sentirsi e a comportarsi come un ragazzino, per sempre bloccato nell’impotenza e nella rabbia dei suoi dodici anni. Era nervoso e irascibile, permaloso e sospettoso, non riusciva a parlare con lui sentendosi suo pari e moriva dalla voglia di sfidarlo e di vedere quell’espressione grave di disapprovazione.

Kidou sotto sotto pensava che fosse un idiota infantile, Gouenji lo sapeva. Era oltraggiato e offeso, ma una parte di lui temeva avesse ragione.

Si erano lasciati da due giorni e Shuuya non aveva dormito nessuna delle due notti. Era così addolorato da non riuscire a sdraiarsi a letto senza ricordare come fosse avere Yuuto accanto a lui fra le lenzuola; era così arrabbiato da non riuscire a fare altro che ripetere la loro litigata nella sua testa, in continuazione. Così si era tenuto occupato. Si era allenato fino a sentire i polpacci in fiamme, sfiorando il limite dell’esagerazione; ma non avrebbe messo a repentaglio la sua qualifica solo perché Kidou lo aveva fatto incazzare, così tornava a casa più nervoso di prima e cercava di stemperare le sue emozioni con docce gelide.

La valigia era aperta al centro della sua stanza, già piena. Quando faticava a dormire ricontrollava di non aver dimenticato nulla e cercava di proiettarsi al futuro. La città europea dove avrebbe vissuto in vista del torneo. I nuovi compagni di squadra con cui avrebbe giocato. I nuovi regimi di allenamento, ben più intensi di quelli a cui era abituato. I grandi campioni che aveva sempre ammirato in televisione e che forse avrebbe conosciuto. Kidou avrebbe guardato le sue partite e lo avrebbe visto vincere, quel vigliacco. Nel buio profondo delle tre del mattino, le mani serrate sul dolcevita rosso che tante volte aveva prestato al suo ex ragazzo, Shuuya sperava che avrebbe rimpianto di non essere partito con lui.

Il giorno della sua partenza si avvicinava e non riusciva a liberarsi della sensazione che, però, Kidou avesse avuto ragione. Le sue parole gli rimbombavano in testa, ritornavano quando credeva di essere finalmente riuscito a concentrarsi su altro. Codardo, ripeteva Yuuto nella sua mente, facendogli mancare la porta, Vieni a fare la predica a me quando non hai neanche le palle di affrontare tuo padre. Scappa pure all’estero e continua a nasconderti come un ratto.

Si stava talmente ossessionando che ogni volta che incrociava lo sguardo di suo padre il cuore gli balzava nel petto accelerando i battiti. Kidou si sbagliava. Lui non era più un ragazzino e non aveva paura di suo padre. Lo disapprovava già, dopotutto. Non solo aveva insistito tanto per continuare a giocare a calcio durante il Football Frontier International, la sua permanenza in Germania era stata completamente inutile: era stato mediocre e appena sufficiente nella scuola preparatoria per studiare medicina – suo padre non lo sapeva, ma Gouenji poteva ammettere con se stesso di non essersi applicato un singolo giorno di quei tre anni. Tornato in Giappone, si era rifiutato di continuare quegli studi e ancora più testardamente di smettere di giocare a calcio. Si era invece formato professionalmente come atleta e allenatore, perché non c’era altra cosa al mondo che desiderasse di più. Poi c’erano state le qualifiche per i mondiali e le chiamate degli sponsor: si era fatto notare da scout esteri e aveva avuto il lusso di scegliere fra un paio di offerte di contratto di squadre diverse. A pochi giorni sarebbe partito per debuttare sul panorama mondiale nelle categorie per adulti e suo padre cosa aveva fatto, oltre che non parlargli e rivolgergli indirettamente delle ramanzine? Al diavolo. Suo padre non poteva controllarlo. Il vaso non era traboccato finora, poteva anche dirgli che gli piacevano gli uomini. “Cosa sarebbe potuto accadere?”, si ripeteva con gli occhi fissi sul soffitto. Al diavolo Yuuto e al diavolo suo padre. Non lo controllava. Kidou non aveva ragione.

Shuuya credeva di aver già sperimentato la rabbia di suo padre quando Yuuka era stata coinvolta nell’incidente d’auto. Ricordava poco di quei giorni, che aveva passato in un completo e muto stato di panico. Aveva ignorato ogni telefonata dei suoi compagni della Kidokawa e per giorni non aveva scambiato una parola con nessuno, a parte la sua governante, che aveva cercato goffamente di stargli vicino. Suo padre era stato giorno e notte in ospedale, finché le condizioni della piccolina non si erano stabilizzate, finché non era stato chiaro che avrebbero solo potuto aspettare che si svegliasse da sola. Non aveva rivolto una singola parola a Shuuya, ma non ce n’era bisogno: aveva capito dal suo sguardo cupo che incolpava lui e la sua partita. Disperato e atterrito, aveva giurato a se stesso di non giocare mai più a calcio, nonostante dentro di sé sapesse quanto fosse illogico e ingiusto. In Endou aveva trovato un amico, un confidente e soprattutto un’assoluzione.

Quando l’Aliea lo aveva minacciato aveva chiesto aiuto a suo padre, come qualsiasi quattordicenne avrebbe fatto. La sua voce tremava di spavento e avrebbe voluto essere abbracciato. Suo padre gli era sembrato ingrigito tutto di colpo nel suo ufficio tutto bianco, la pelle scura tesa su rughe di tensione e stress. Sua figlia si era appena risvegliata dopo l’anno più straziante della sua esistenza e alla prospettiva che fosse di nuovo in pericolo era scattato come una molla, cieco a qualsiasi altra cosa che non fosse un disperato istinto di protezione. Si era alzato di scatto dalla sedia e si era messo ad urlare: -Devi finirla con questo calcio, è un’ossessione, non sei più un bambino-, i suoi occhi erano stralunati e gli sembrava che non lo vedesse, -Stai mettendo in pericolo la nostra famiglia per un capriccio!- Sull’aereo per Okinawa, Shuuya aveva pianto e si era promesso che da quel momento non si sarebbe più comportato come un bambino: avrebbe risolto da solo i suoi problemi e non avrebbe più chiesto aiuto a suo padre. Hijitaka si era preso cura di lui per quei mesi solitari e Gouenji non aveva mai ricevuto una telefonata da casa; aveva creduto che suo padre non avrebbe voluto parlargli mai più, proprio come aveva temuto dopo l’incidente di Yuuka. La paura era stata tale che, quando non era più stato in pericolo, aveva preferito unirsi subito alla sua squadra piuttosto che tornare a casa e affrontare suo padre.

Col senno di poi, era stato dall’incidente di Yuuka che qualcosa fra di loro era andato in frantumi e tutto ciò che era accaduto dopo erano state schegge che si conficcavano sempre più a fondo, sempre più vicine alle arterie. Non c’era nulla che Shuuya potesse fare per soddisfare suo padre, non davvero, e in effetti non c’era nulla che sarebbe stato disposto a fare per renderlo contento, non davvero. Da quel momento, da quel singolo giorno raccapricciante di dieci anni prima, erano state due rette divergenti sempre più distanti. Il dottor Gouenji voleva che Shuuya diventasse un medico e un padre di famiglia, voleva che lo aiutasse a proteggere Yuuka e a tenere unita la famiglia. Doveva fare onore al sangue che gli scorreva nelle vene, gli ripeteva sempre. Questo futuro era nel suo DNA e il calcio era una sciocchezza, era vergognoso che alla sua età impiegasse ancora tante energie in qualcosa di così frivolo. Lo biasimava, perché neanche per il bene della sua famiglia era stato disposto ad abbandonare un tale passatempo infantile. Shuuya avrebbe solo voluto gridare che quello che era successo alla sua sorellina non era colpa sua e che non era giusto che pagasse per la sua intera esistenza per questo. Avrebbe solo voluto gridare che anche il sangue di mamma gli scorreva nelle vene, quello non contava niente solo perché lei non c’era più?

Gli era uscito dalla bocca all’improvviso, come una bolla che scoppia. Era seduto sul divano in salotto e stava facendo vedere a Yuuka i file informativi che gli erano appena arrivati dalla federazione con cui aveva firmato il contratto per la stagione: c’era il nome della città in cui avrebbe vissuto e le indicazioni per come raggiungerla dall’aereoporto e si erano messi a cercare tutte le foto che erano riusciti a trovare. Suo padre era entrato e si era innervosito, constatando che Yuuka non era venuta sulla soglia a salutarlo. Più diventava grande, più gli sembrava che sua figlia si schierasse dalla parte di Shuuya. Era passato davanti a loro per lasciare la sua cartellina nello studio e aveva buttato lì un commento torvo, denigrante. Lo faceva da tutta la settimana a dire la verità, tutte le volte che sentiva qualche informazione sul contratto di suo figlio, ma quella volta Shuuya non ci aveva più visto.

Si era alzato di scatto e aveva intimato a suo padre di ripetere quello che aveva detto. Yuuka gli aveva preso la mano e aveva cercato di spingerlo di nuovo seduto accanto a lei, preoccupazione sul bel volto pallido, ma suo fratello aveva scrollato via quel contatto. “Stanne fuori”, era sembrato intimarle, ma Yuuka era ormai quasi quindicenne: era abbastanza grande da capire che non sarebbe stata una litigata qualsiasi. Non era riuscita né a muoversi né a parlare, i grandi occhi scuri che assorbivano la rabbia di cui la stanza straboccava.

-Non hai il permesso di alzare la voce con me, Shuuya.-

-E tu non hai il permesso di trattarmi in questo modo. Non sono più un bambino e questo sarà il mio lavoro, devi portargli rispetto.-

Il dottor Gouenji l’aveva squadrato dall’alto in basso, deridendolo senza l’accenno di un sorriso. -Da quando hai deciso di impiegare la tua vita in un gioco sì, sarai sempre un bambino. Questo non è lavoro, è pari ad una gita scolastica. Te ne accorgerai prima o poi e tornerai qui a darmi ragione.-

-Potrei tornare con la vittoria di un torneo mondiale, questo non conta nulla?-

-Ho operato una donna di trentacinque anni oggi. Era madre di un bambino e, grazie a me, quel bambino non è diventato un orfano. Mi stai dicendo che con il tuo torneo mondiale potrai fare una cosa del genere?-

Un’espressione cupa e rabbiosa aveva trasformato il volto di Shuuya. Yuuka non assisteva spesso a queste discussioni: sapeva che succedevano tutte le volte che suo padre e suo fratello erano in una stanza con la porta chiusa, ma non alzavano mai la voce e sembrava fossero attenti a non farle sentire nulla. In effetti, anche ora suo padre era rivolto verso il proprio ufficio, degnando a stento Shuuya di un’occhiata di sbieco, come se avesse intenzione di andarsene da lì a poco. In un’altra occasione suo fratello avrebbe lasciato stare, ma quella volta era diverso. Yuuka non sapeva perché, ma l’espressione di Shuuya non lasciava dubbi.

-E’ così difficile capire che non voglio fare il medico e basta, papà?-

-Stai compiendo una scelta stupida. Sai qual è il tuo destino, quello per cui sei in questo mondo, ma ti ostini a voler giocare come quando avevi sette anni. E’ ridicolo.-

Shuuya aveva i pugni serrati lungo i fianchi e le sue mani tremavano. -Questo gioco ridicolo è la passione più grande della mia vita, da sempre. Non mi farai cambiare idea, non succederà mai. Non puoi accettarlo e basta?-

-Accettare che mio figlio sia un inetto e un incapace, che vuole buttare la sua vita dietro ad una palla che rotola?-, ribatté il dottor Gouenji, come se fosse la cosa più stupida che qualcuno potesse chiedergli. Gli aveva dato completamente le spalle e aveva ripreso a camminare. Aveva smesso di considerare quella conversazione, e suo figlio, degni della sua attenzione.

-E accettare che tuo figlio sia un finocchio, allora? Questo almeno lo puoi fare, papà?-

Yuuka non riuscì a trattenere un sussulto di sorpresa. Cercò lo sguardo di suo fratello, ma Shuuya guardava fisso la schiena di suo padre. Aveva gli occhi lucidi e le guance rosse e sembrava non stesse respirando. Non riusciva a credere alle sue orecchie, cosa stava facendo? Perché non le aveva detto che intendeva fare coming out con loro padre?

Anche il signor Gouenji era rimasto immobile, come pietrificato. Per qualche agonizzante istante ci fu silenzio.

-Pensavo di averti insegnato la decenza, Shuuya. Non voglio più sentire questi scherzi osceni, per di più davanti a tua sorella.-

Shuuya fece un passo in avanti. I suoi occhi fiammeggiavano. -Non sto scherzando.- Decretò con voce ferma e seria, così in contrasto con le sue mani ancora tremanti. Le serrò più forte per cercare di fermarle.

Qualcosa nella sua voce doveva averlo convinto, perché il signor Gouenji si girò. Guardò suo figlio per qualche momento con gli occhi spalancati sotto agli occhiali, cerchiati da occhiaie, infossati da anni di sonno arretrato, alla ricerca di qualche segnale di irriverenza o beffa. Ma Shuuya lo guardava fisso a sua volta, in quel modo limpido e grave, quell’espressione determinata che, ironia della sorte, aveva preso proprio da suo padre.

-Non è possibile.-, affermò dopo qualche momento, scuotendo la testa. -Hai sempre avuto delle ragazze.-

-Invece sì, papà. Mi piacciono gli uomini.-

Era raro che riuscisse a lasciare suo padre senza parole. Imbaldanzito dalla sua espressione attonita, Shuuya si sentì riempire di scherno e desiderio di rivincita. Aveva voglia di scrollarsi dalle spalle il peso di tutti i rimproveri, di tutto il biasimo e la colpa. Voleva sentirsi grande e capace e in controllo. Voleva dimostrare a se stesso che Kidou non aveva avuto ragione.

-Credi di sapere quale sia il mio destino? Non hai neanche capito che tuo figlio si fa scopare da un uomo da due anni, figuriamoci cosa è meglio per il mio futuro. Non sai un bel niente di me e non sei nessuno per dirmi cosa fare! Io giocherò a calcio perché è quello che desidero e tu non puoi impedirmelo. E non puoi impedirmi neanche di volere un uomo. Al diavolo il tuo DNA, papà.-

Le parole gli stavano uscendo dalla bocca senza controllo e sentiva di star perdendo la presa su se stesso. Troppo volgare, troppo aggressivo. Non sarebbe andata bene. Il silenzio di suo padre era preoccupante. Non riusciva comunque a fermarsi, l’arrendevolezza passiva di Kidou gli balenava negli occhi e fomentava la sua rabbia. Era furioso con suo padre e con Yuuto, due voci che nell’agitazione del momento andavano sovrapponendosi. Kidou l’aveva sempre biasimato per come si comportava con suo padre, fra le righe sosteneva sempre che dovesse assecondarlo, ma ad ogni momento buono non aveva mai mancato di ricordargli quanto fosse patetico a non avergli mai confessato la sua sessualità. Suo padre gli aveva insegnato la rettitudine, il valore del duro lavoro e degli ideali, l’importanza di credere con fervore in qualcosa, ma da anni non faceva che chiedergli di tradire quegli stessi principi. Sentiva le loro aspettative come formiche sul corpo ed era dominato dalla smania di scrollarle via.

-Basta! Non tollero queste oscenità in casa mia! Mio figlio non è un finocchio e il discorso è finito qui!-

-Dovrai proprio tollerarlo invece. Un bravo medico come te non è neanche riuscito a fare in modo che suo figlio crescesse sano, dovresti farti qualche domanda.-

-Ho detto basta, Shuuya! Hai passato il limite.-

Il signor Gouenji fece uno scatto incontrollato in avanti. Non aveva mai alzato le mani sui suoi figli, neanche quando erano piccoli. Ritornò in sé solo perché il suo sguardo cadde su Yuuka, congelata sul divano con i suoi occhi scuri spalancati e le labbra tremanti, che si stava sforzando di non piangere. Inspirò profondamente e si rassettò la giacca, tirandone i bordi verso il basso con un gesto brusco.

-Non voglio mai più sentire queste schifezze, hai capito? Tu non sei frocio, non te lo permetto. Mio figlio non potrebbe mai essere un… un deviato. Hai già disonorato abbastanza la tua famiglia così.-

Shuuya emise un piccolo suono strozzato, a metà fra una risata e un singhiozzo. Sentiva di star tremando dalla testa ai piedi adesso. -La mamma non l’avrebbe mai pensata così.- Commentò. La sua voce si era fatta piccola, appena un soffio. Non sapeva parlare di sua madre in altro modo se non quello.

Il volto del signor Gouenji si fece rosso tutto di colpo. -Cosa c’entra tua madre adesso?- Il suo tono gelido e trattenuto era un avvertimento.

Non si parlava mai della signora Gouenji in quella casa, persino Yuuka lo sapeva. Erano passati quindici anni dalla sua morte ed era ancora un buco aperto nel petto di loro padre, la diretta via d’accesso ad un dolore indescrivibile che i due bambini avevano imparato presto a non sfiorare. Ma Shuuya era spaventato e arrabbiato e si era reso conto tutto di colpo che avrebbe tanto voluto la sua mamma, in quel momento. Avrebbe voluto dire a lei i suoi dubbi e le sue scoperte, raccontarle di Markus e di Kidou, dirle “Mamma, sono bisessuale” e farsi abbracciare e dire che sarebbe andato tutto bene. Invece davanti a lui c’era solo suo padre e lo odiava per questo.

Così alzò il mento e parlò più forte. -La mamma non l’avrebbe mai pensata così. Io non sono solo figlio tuo, sono anche figlio suo. Sei tu che disonori lei.-

Capì ancora prima che suo padre aprisse bocca di aver superato una linea a cui non bisognava avvicinarsi. Se fosse stato meno ferito, forse avrebbe pensato di scusarsi, ma sentiva solo il sangue pulsare nelle orecchie e la bocca asciutta.

-Non so chi tu sia.- Sentenziò suo padre, guardandolo dritto negli occhi. La sua voce era tornata secca e controllata. Shuuya si sentì strangolare. -Non voglio estranei in casa mia. Hai cinque minuti per aprire quella porta e andartene. Mi fai ribrezzo… Tu non sei mio figlio.-

Rimase immobile, a guardare come in un sogno suo padre che si girava di scatto, riprendeva la cartellina che aveva appoggiato a terra e si dirigeva nel suo studio, chiudendo la porta senza sbatterla, come se non avesse appena cacciato di casa suo figlio. Solo dopo trovò la forza di scuotersi, come un giocattolo a cui viene data la carica. In camera sua, la valigia era già pronta, constatò con uno slancio di ironia crudele. Non poteva esserci tempismo migliore.

Yuuka gli corse dietro, naturalmente. Aveva gli occhi arrossati e le guance segnate di lacrime e si aggrappò al suo braccio.

-Fratellone, fratellone, dove stai andando? Papà non diceva sul serio, non puoi andartene, risolveremo tutto…-

Quello che gli stava chiedendo in realtà era di non lasciarla sola. Shuuya chiuse la valigia e la abbracciò forte, tenendosela stretta al petto e respirando l’odore dei suoi capelli. Era cresciuta così tanto, gli sembrava ieri che doveva inginocchiarsi per guardarla negli occhi.

-Mi dispiace, Yuuka. Non volevo farti assistere.- Ammise con rimorso. Sua sorella si allontanò dal suo petto per guardarlo in faccia, determinata e seria. Sembrava che quello sguardo concentrato e responsabile venisse naturalmente a tutti i Gouenji… o, forse, come diceva sempre Kidou, lui e Yuuka si somigliavano più di quanto credessero.

-Vai da Kidou-senpai. Provo io a parlare con papà, sistemeremo le cose.-

Una fitta di dolore gli attraversò il petto. Prese la valigia e indossò la giacca. -Yuuto mi ha mollato.- Non si voltò, perché l’espressione sorpresa di sua sorella gli avrebbe fatto troppo male. -Non preoccuparti, il mio aereo è domani sera.-

-Fratellone…-

Se ne andò sbattendo la porta e, anche se qualcuno glielo avesse detto, non avrebbe mai creduto che quella fosse davvero l’ultima volta che entrava in casa sua.

Dormì in albergo quella notte e andò in aeroporto con un anticipo ridicolo. Nessuno venne a salutarlo al gate, anche se Gouenji si stancò gli occhi fino all’ultimo a forza di cercare nella folla qualcuno che somigliasse al suo Kidou. Si erano lasciati da neanche una settimana e sentiva il suo mondo fatto a pezzi. Suo padre non permise a Yuuka di venirlo a salutare. Volò sul continente per raggiungere il suo futuro nel calcio, quello che aveva passato tutta la sua adolescenza a sognare, e si disse che, a questo punto, avrebbe anche potuto non tornare mai più indietro.


Non ti abbattere, fratellone, le cose si risolveranno
Fai buon viaggio e conquistali tutti!
Farò il tifo per te da qui
Scrivimi quando atterri xoxo

author's corner

Ad onor del vero, voglio bene a Katsuya. Non è colpa mia se sia lui che Shuuya sono due muli
Beh, eccoci qui! Grazie per tutti quelli che hanno seguito questa storia fino alla fine!
Sto già lavorando ad un sequel che spero di farvi leggere presto. Nel frattempo, pubblicherò un piccolo approfondimento prequel, principalmente sull'infanzia di Yuuto. Se vi ritroverò lì, sarà un piacere <3 <3

Ritorna all'indice


Questa storia è archiviata su: EFP

/viewstory.php?sid=4067734