Enfance

di Selene123
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Compagno di spada ***
Capitolo 2: *** La paura del buio ***
Capitolo 3: *** Al fiume ***
Capitolo 4: *** Buon compleanno ***
Capitolo 5: *** La sera a cena ***
Capitolo 6: *** La febbre ***



Capitolo 1
*** Compagno di spada ***


Erano passate due settimane dall’arrivo nella sua nuova casa. Era un palazzo circondato da un grande prato verde pieno di alberi e cose da fare. C’erano i cavalli nelle stalle di cui occuparsi, tante persone da aiutare e sua nonna sempre dietro l’angolo per controllare. C’erano un precettore per insegnare a leggere, scrivere e fare di conto, un ecclesiastico che impartiva lezioni di latino, storia e geografia e un ex colonnello delle Guardie Reali per l’allenamento di scherma. Ogni giorno si svegliava e sapeva quanto fosse stato fortunato a finire lì.  

Il ricordo della perdita di entrambi i suoi genitori era ancora una ferita aperta che sanguinava, specialmente di notte. Vivevano in una casetta sperduta nella campagna francese ma, a quanto gli era sembrato per circa sei anni, gli pareva che fossero stati comunque felici. Finché suo padre non si era ammalato, seguito dalla madre poche settimane dopo e le persone intorno a loro cominciavano a parlare dell’orfanotrofio per il piccolo. Come inviata dalla Provvidenza, la miracolosa apparizione della nonna un pomeriggio lo aveva salvato da un futuro fatto di solitudine e povertà. Il suo sorriso paffuto e la tenerezza delle sue carezze quando l’aveva incontrata al paesino si erano rivelati una luce nell’oscurità. “Abbiamo trovato un nuovo posto per te e avrai anche qualcuno con cui giocare. È una splendida fanciulla, ha un anno in meno rispetto a te!” La lista di cose nuove che lo aspettavano recitata da Marie come una preghiera era infinita, ma la sua mente si era fermata all’opportunità di poter passare il tempo con un’altra bambina.  

L’aveva immaginata per giorni, si chiedeva come sarebbe stata, quale fosse la sua personalità… Perfino il suo nome era rimasto un segreto! “Lo scoprirai quando vi incontrerete!” gli aveva spiegato la nonna mentre la carrozza li portava verso la proprietà dei Jarjayes. I suoi grandi occhi verdi l’avevano cercata ovunque, fuori nel giardino e in casa, una volta portato dentro per mano dell’anziana signora. Fatta eccezione per la servitù, l’unica persona che gli fosse stata presentata era un uomo alto che rispondeva al nome di Generale o Monsieur. Gli incuteva un certo timore, il suo viso era così severo che anche quel sorriso che campeggiava sulle sue labbra sembrava fosse sul punto di trasformarsi in un ghigno. Era la prima volta che parlava con qualcuno così ben vestito e pattinato, non sembrava appartenere allo stesso mondo in cui lui stesso era nato e cresciuto fino a poco prima. La sua voce profonda si era affrettata a scusarsi per il suo ritardo, perché non riusciva ad essere mai puntuale nemmeno in un giorno così importante per entrambi… Il piccolo non capiva a chi si riferisse, finché l’altro non si era voltato e non aveva indicato con un gesto di irritata sorpresa l’arrivo di un altro bambino, poco più basso di lui, con i capelli biondi che cadevano sulla fronte e incorniciavano due grandi occhi azzurri luminosi. Si era precipitato giù dalle scale sotto lo sguardo infastidito del padre e quello preoccupato della governante che temeva cadesse e si facesse male. Sorprendentemente era rimasto in piedi, tenendo in mano due piccole spade che riflettevano la luce del grande lampadario appeso al soffitto.  

- Sono Oscar François de Jarjayes, tu devi essere André! - aveva esordito con atteggiamento spavaldo. Sapeva già tutto di lui, non aveva neanche bisogno degli inutili convenevoli che vedeva scambiarsi tra gli adulti quando si incontravano.  

- Sì… Sì, sono io. Sono André. - aveva risposto lui, perplesso.  

- Tieni questa e andiamo fuori a giocare. - Il suo nuovo amico non aveva tanto tempo da perdere, c’erano un sacco di cose da fare insieme e non aveva la minima intenzione di aspettare che qualcuno li presentasse. Gli aveva passato una delle due armi ed era corso via, in giardino, già piuttosto irritato da tanta attesa.  

Il bambino aveva guardato quel regalo inaspettato chiedendosi cosa ne fosse stato della promessa che gli era stata fatta: dov’era la piccola di casa con cui avrebbe dovuto passare le giornate? Chi lo aveva inondato di frenesia ed entusiasmo era inequivocabilmente un maschio! Aveva un nome da maschio, l’abbigliamento da maschio, i capelli da maschio come i suoi, i passatempi dei maschi. Aveva spostato lo sguardo dubbioso e deluso prima sul Generale e poi sulla nonna.  

- Ma non avevi detto che c’era una bambina qui? Dov’è? - le aveva domandato a bassa voce. 

- Ti consiglio di andare, André! - si era intromesso l’uomo con fare sbrigativo nel tentativo di evitare l’argomento e accelerare i tempi, - Mio figlio Oscar non ha pazienza quando si tratta di un duello! 

*** 

Due settimane e ancora quel fatto non lo convinceva. Oscar era una femmina, ma aveva un nome da maschio e tutti si rivolgevano a lei come a un maschio. Anche lui doveva farlo e lo faceva, benché ci fosse qualcosa di assurdo e complicato che gli sfuggiva. Grand-mère gli aveva spiegato che nessuno poteva parlare di lei al femminile né nominare l’argomento in sua presenza. Dovevano sempre e solo comportarsi come due bambini, fare cose da bambini e questo era. Un giorno avrebbe capito e saputo di più, per il momento poteva bastare. Oscar François era l’unico erede del Generale Jarjayes, unico figlio maschio in una casa di figlie femmine e il compito di André era di stare al suo fianco. Dovevano studiare insieme, giocare insieme, crescere insieme e, nel limite del possibile, il nuovo arrivato aveva il delicato compito di dimostrare silenziosamente alla piccola di casa com’è e come si comportasse un bambino.  

Ad André, tutto sommato, non sembrava che ce ne fosse bisogno. Gli pareva che Oscar sapesse già come vincere sempre, essere più forte e veloce in ogni sfida, avere sempre l’ultima parola. Gli piaceva passate il tempo in sua compagnia, benché fin da subito tutti gli ricordassero che c’era una differenza abissale tra loro due e non poteva oltrepassare un certo limite. “Oscar ha il sangue blu” gli avevano detto, “È nato con la camicia” e mentre tentava di capire perché il pomeriggio prima avesse visto del comune rosso uscire dalla sbucciatura sul ginocchio e chissà che bella camicia avesse indossato al momento della nascita, il piccolo aveva già preso posto nella sua vita senza che l’altra gli facesse alcuna pressione. “Non capisci niente!” era il peggior scherno che gli avesse rivolto fino a quel momento, solitamente perché al poverino riusciva difficile seguire con la sua stessa attenzione tutte le lezioni.  

*** 

-Sono felice che tu sia qui, lo sai? - gli disse Oscar cercando di gettare un sasso sulla superficie fiume ma facendolo affondare rovinosamente con un tonfo. – Cominciavo ad annoiarmi… - Riprovò con un'altra pietra e ancora la vide sprofondare al largo. Pestò i piedi sul prato con un’irragionevole indignazione per quel tentativo evidentemente fallito che non tollerava. Doveva farcela, non esisteva altra possibilità! 

André afferrò il suo braccio e bloccò l’ennesimo letterale buco nell’acqua della sua amica. – Non sei capace. – sentenziò lui e la spostò indietro di alcuni passi. – Si fa così…- e, nel dirlo, lanciò di taglio un sasso piatto che saltellò sulla superficie della Senna, che si increspò in cerchi sempre più grandi man mano che si allontanavano dalla riva. Quando si voltò, vide il suo sguardo azzurro confondere ammirazione per una prodezza simile e invidia perché non a lei era riuscito.  

Si avvicinò con fare minaccioso e si fermò con la fronte a meno di un palmo dal suo naso e l’indice puntato sul suo petto. – Tu devi insegnarmi!  

André, dopo un momento di perplessità per una reazione del genere, scoppiò a ridere. Come era possibile che sapesse ripetere tutto l’alfabeto ad alta voce senza difficoltà alcuna, ma che una cosa talmente facile come quella le riuscisse difficile? Era forse quello il gusto della vendetta dopo giorni di prese in giro durante le lezioni? Più guardava la sua espressione offesa e meno riusciva a fermarsi; di conseguenza, cresceva in lei l’irritazione perché nessuno doveva permettersi di schernire l’unico figlio del Generale Jarjayes.  

-Smettila! - gli ordinò con supponenza, ma era evidente ormai che il suo divertimento si fosse trasformato in un’esplicita provocazione.  

-Non puoi dirmi cosa fare. - le rispose lui tenendo il bavero della giacca con le mani in atteggiamento spavaldo.  

Oscar lo guardava con il fuoco negli occhi. Se quella fosse stata una sfida, non avrebbe potuto che accettarla. Arrotolò le maniche, scese a passi lunghi sulla riva più vicina al fiume e ricominciò a tirare le piccole pietre che trovava a terra. L’altro bambino osservava la scena con le braccia conserte, alzando gli occhi al cielo mentre lei faceva piombare a fondo il centesimo sasso senza concludere nulla. L’intrepida piccola combattente provò ancora e, finalmente, riuscì a disegnare un paio di cerchi un po’ storti sulla superficie dell’acqua. Si voltò sorpresa e trovò l’amico con la medesima espressione stupita in volto. Corse di nuovo da lui ridendo, poi appoggiò piede su un grosso sasso ricoperto di muschio e ci si fermò sopra con entrambi per sembrare più alta del suo avversario.  

-Hai visto che ce l’ho fatta, André? – gli domandò con un’evidente intenzione di sfida nella voce. Lo guardava dall’alto in basso imitandone la posa mentre aspettava una dichiarazione di resa incondizionata.  

- È stata solo fortuna. - tagliò corto l’altro, poi si voltò di spalle per non dover ammettere quella palese vittoria e continuò a borbottare avviandosi in direzione di casa.  

Oscar si spazientì. Non poteva andare via così, senza darle la soddisfazione di sentirgli dire che doveva riconoscere la sua bravura. Se non lo avesse fatto da solo, lo avrebbe costretto. Non si abbandona il campo di battaglia in questo modo, da codardi! Scese dal sasso e gli corse dietro, non troppo lontano ma abbastanza da dover fare ricorso a tutta la resistenza di cui fosse in possesso. Quando lo raggiunse, gli si gettò alle spalle ed entrambi caddero a terra. Litigarono ad alta voce, si spinsero sul prato sdrucendo completamente gli abiti e sporcandosi di erba. La caparbietà con cui quel piccolo fulmine biondo difendeva il proprio onore fece dimenticare per un attimo ad André che si trovasse in presenza di una femmina. Il segno del pizzicotto che gli aveva lasciato sul braccio, d’altronde, bruciava talmente che nessuna bambina avrebbe mai potuto farlo. Non si arrendeva mai, anche quando erano finalmente di nuovo a poca distanza dal palazzo insisteva in ogni modo pur di obbligarlo ad ammettere di avere avuto torto a dubitare.  

-Cos’avete combinato voi due? – domandò incredula la governante con le mani sugli occhi per non dover guardare quello spettacolo indegno. Era uscita dalla porta sul retro dopo averli visti tornare dalla grande finestra della cucina, preoccupata perché da un paio d’ore nessuno li aveva più visti in casa. Erano spettinati, il viso sporco di terra e gli abiti che sembravano appena usciti da una stalla. La donna li afferrò per il collo della camicia: erano talmente leggeri da riuscire a sollevarli quel tanto da permettere loro di camminare solo sulle punte.  

Un rimprovero duro uscì dalle labbra di grand-mère come un fiume in piena. Erano scappati senza dire niente a nessuno e tutti in casa li cercavano con ansia, spaventati all’idea di non trovarli più, che fosse successo qualcosa di irreparabile da dover poi comunicare con grande costernazione al Generale! Non dovevano allontanarsi, era pericoloso! Oscar si dimenava dalla presa con una protesta che veniva puntualmente interrotta dalla donna, cercava di spiegare che era una questione di fondamentale importanza, non potevano tornare a casa prima perché lui aveva vinto quella sfida e in quanto vincitore era suo diritto ricevere gli onori del caso. André, dal canto proprio, accettava con rassegnazione quelle parole. Era mortificato, stavano finendo nei guai per colpa delle sue provocazioni. Non gli era ancora mai capitato di ricevere una lavata di capo del genere, di sicuro lo avrebbero anche messo in punizione – magari tenendolo lontano dalla sua unica amica che, al contrario, pareva perfino annoiata dal tono imperativo con cui la governante si stava rivolgendo a loro. Guardò in silenzio la bambina sedersi a braccia conserte in castigo in un angolo vuoto della cucina: doveva esserci abituata, aveva perfino raggiunto da sola sbuffando il posto che le era stato assegnato mentre lui veniva lasciato davanti alla parete opposta, nascosto da dalle gambe del grande tavolo al centro della stanza.  

Dopo alcuni minuti di attenta riflessione e compostezza, si sporse leggermente e la trovò con il capo appoggiato a una mano e il gomito puntato sul ginocchio piegato. Seguiva le fughe del pavimento e immaginava che le formiche che le attraversavano fossero in competizione tra loro. Tifava per quella al centro che, nonostante alcune incertezze, pareva essere a un passo dalla vittoria.  

-Psst, hey! – bisbigliò un paio di volte per attirare l’attenzione di André quando si accorse di essere stata guardata. Non avrebbero dovuto parlare, erano gli ordini di grand-mère: in silenzio fino al ritorno di Monsieur, poi ci avrebbe pensato lui alle sorti di entrambi.  

Il bambino riportò lo sguardo su di lei: ancora un po’ offesa, ma contenta di essere stata distratta dall’infinito rincorrersi di insetti che non si trovavano neanche più accanto ai suoi piedi. Si sporse in avanti, attenta a non essere notata dagli adulti che passavano dalla cucina e gli riservò una smorfia di scherno come unica risposta.  

André scoppiò a ridere, un’altra volta, e si coprì la bocca con entrambe le mani perché nessuno si accorgesse del fatto che stava disobbedendo.  

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Capitolo 2
*** La paura del buio ***


Oscar dormiva sempre con una candela accesa, appoggiata sulla grande scrivania. Il buio la spaventava al punto che perfino le sottili tende del baldacchino non potevano essere chiuse. Il Generale non era mai stato d’accordo con quella soluzione: un buon soldato non ha paura di certe sciocchezze e suo figlio doveva abituarsi fin da subito a diventarlo. Con una buona dose di pazienza e insistenza, Madame e la governante erano riuscite a convincerlo ad accettare perché, in fondo, aveva solo cinque anni e non si poteva pretendere troppo. Quantomeno non dopo estenuanti giornate trascorse a fare il doppio delle sorelle maggiori. 

Il suo letto era così grande che sembrava di perderla ogni volta che ci si coricava. Spuntava dal lenzuolo soltanto la sua testolina bionda, comunque sprofondata nel morbido cuscino di piume d’oca che avrebbe sempre conservato, in un cassetto dell’armadio, anche una volta sostituito. I drappi di pregiato cotone semitrasparente che la circondavano le sembravano muri che, invece di proteggerla dai pericoli, la imprigionavano togliendole ogni via di fuga. Innumerevoli volte si era svegliata in lacrime e scossa dal panico prima che il padre si decidesse ad ascoltare le sue rimostranze. “Anche un bambino ne avrebbe terrore” aveva protestato con il consueto tono gentile sua moglie prima che lo sguardo dell’uomo la gelasse per una considerazione tanto avventata da fare in presenza della diretta interessata; Oscar, dal canto proprio, pensava che si stesse riferendo al nuovo arrivato e non ci aveva dato troppo peso. 

- Tu hai laura del buio? - gli aveva chiesto un giorno durante il pranzo, mentre lo guardava portarsi da solo il piatto a tavola. 

André aveva scosso il capo con decisione. - Io no di certo. Non sono mica una femminuccia… - le aveva poi risposto senza riflettere sulle proprie parole e, perciò, ricevendo un sonoro ceffone sulla testa da parte della nonna. 

- Neanche io, figurati. - aveva mentito lei stringendosi nelle spalle.  

Per giorni l’idea che il suo problema potesse essere una macchia sulla sua dignità di unico uomo nel futuro dei Jarjayes l’aveva attanagliata. Non poteva permettersi di deludere nessuno! Così, senza avvisare le cameriere, quella sera, subito dopo la preghiera a cui grand-mère teneva più di tutto l’oro del mondo, si alzò dal bordo del letto e corse alla scrivania. Non senza incertezze soffiò sulla fiamma e scappò via, sotto il lenzuolo, per non farsi catturare da qualche fantasma attirato dalle tenebre.  

I minuti passavano lenti, scanditi dal rumore sordo e regolare dell’orologio vicino all’armadio. La bambina guardava il soffitto con gli occhi spalancati: gli arabeschi del velluto di cui era foderato il tetto del baldacchino si erano trasformati in un groviglio di draghi e creature mostruose che volevano mangiarla, le ombre sulla parete di destra si rincorrevano per fare a gara a chi la raggiungesse prima. Non poteva piangere né doveva farlo: non è da soldato*. Che cosa avrebbe fatto, un giorno, a capo dell’esercito di Sua Maestà il re di Francia, se si fossero trovati in un luogo buio? Decise di resistere. Chiuse le palpebre e si mise a contare, magari così si sarebbe distratta… Arrivata al numero venticinque – l’ultimo a sua disposizione prima di ripartire da zero – sentì qualcosa sfiorarle le gambe da sopra il lenzuolo e poi scivolare. Spaventata, la bambina tappò la bocca per attutire in piccolo urlo, si precipitò alla scrivania per prendere la candela e scappò via. A terra, ai piedi del letto, una copertina di lana piegata giaceva stropicciata dopo essere caduta poco prima. 

Il corridoio era freddo e buio, pieno di spaventosi ritratti di gente che durante il giorno sembrava ammiccare e di notte, invece, squadrava lo spettatore con un ghigno. Oscar lo attraversò in punta di piedi ma il più velocemente possibile, attenta a non disturbare il sonno di nessuno. Se il Generale lo avesse scoperto l’avrebbe spedita in punizione per una settimana almeno! Cercava di evitare gli sguardi appesi alle pareti, il suo unico obiettivo era raggiungere il pianoterra contando sulla luce che filtrava dalle imposte chiuse e del candelabro sempre acceso al fondo delle scale. Ogni passo era una fredda ammissione di arrendevolezza, ma non avrebbe mai sopportato un minuto di più in camera propria. Scese i gradini con la preoccupazione di rimanere sul tappeto centrale, nonostante fosse troppo lontano dal corrimano per le sue braccia e il rischio di inciampare nella camicia da notte fosse alto. Una volta ritornata in piano raggiunse il tavolino e, come le avevano insegnato, avvicinò lo stoppino spento della candela e lo avvicinò a una fiamma. Al piano inferiore i corridoi non davano sul cortile interno né sul giardino esterno e senza una fonte di luce le sarebbe stato impossibile arrivare a destinazione. 

Camminò svelta mentre contava con le dita il numero di porte che superava prima di raggiungere la meta sperata. Fece un respiro profondo e bussò. Nessuno le rispose e la sua fervida immaginazione già le proponeva scenari apocalittici. Riprovò, questa volta più a lungo, finché non si udì lo scricchiolio del letto provenire dall’interno. Quando l’uscio si aprì appena, il volto assonnato di un bambino che si stropicciava gli occhi apparve, illuminato dalla luce della candela.  

- Io non sono una femminuccia. - esordì Oscar per mettere le mani avanti ed evitare fraintendimenti. 

André la guardò disinteressato. - È notte, voglio dormire… 

- Però ho paura del buio. Posso rimanere con te? - gli chiese poi con le mani tremanti più per la confessione che non per il freddo.  

Il suo amico la fece entrare e si voltò, facendole segno di lasciare su un comodino quello che si era portata dietro. 

Quando finalmente si trovò nella stanza, la piccola scoprì un mondo. Non era mai stata nelle camere della servitù, erano più piccole della sua. Il letto non aveva fastidiose tende intorno, c’erano un solo tappeto a terra, un armadio, un piccolo comò e un tavolo che doveva funzionare un po’ da tutto. Alle pareti non c’erano quadri né divanetti o poltre appoggiati; lo specchio rifletteva solo parte della figura date le dimensioni e non esistevano pezzi di arredamento pregiato. Oscar si guardò intorno e constatò che, tutto sommato, quello che vedeva non le dispiaceva.  

Seduto sotto le coperte, André aspettava in silenzio, irritato per essere stato svegliato nel bel mezzo di chissà quale bel sogno da lei che perdeva tempo in centro alla sua camera. La bambina si accorse della sua impazienza e corse al suo fianco. Aveva aspettato tanto l’arrivo di qualcuno che le desse coraggio di affrontare il buio: dovesse anche scontrarsi con i pericoli che li separavano, ne sarebbe valsa la pena. 

- Cosa fai? - gli domandò quando lo vede girarsi dall’altra parte per spegnere la candela.  

L’amico si fermò. Ormai conosceva quel tono: sapeva che se avesse soffiato se la sarebbe presa. Lasciò perdere e, tornato al proprio posto sdraiato accanto a lei, scivolò sotto il lenzuolo e chiuse gli occhi. O almeno, ci provò, dal momento che dopo pochi istanti sentì una mano scuotergli una spalla. 

- Sto dormendo. - affermò André senza degnarla di uno sguardo. 

- Non è vero. Parli! - ribatté Oscar. 

- Parlo nel sonno.  

I due bambini scoppiarono a ridere all’uniscono, finché non furono entrambi stanchi a sufficienza da addormentarsi. 

*** 

Un rumore proveniente dall’esterno attirò la sua attenzione, infrangendo il silenzio della camera da letto. Sembrava che qualcosa colpisse il vetro e cadesse sul balcone. Le foglie del grande albero cresciuto rigoglioso fino a sfiorare la balaustra si muovevano con l’aria della sera. La bambina alzò lo sguardo dal foglio che stava riempiendo con la stessa frase all’infinito dopo la decisione del padre di mettere in castigo sia la fuggitiva che il suo ospite. Per una settimana avrebbero dovuto salutarsi dopo la lezione di scherma e rimanere ognuno nella propria stanza fino al mattino successivo, quando il Generale si aspettava di trovare sulla scrivania dello studio cinque pagine, redatte in bella grafia, con la frase “La notte è fatta per dormire, non per giocare”.  

Il rumore si fece sempre più insistente, finché Oscar non si allontanò dalla scrivania per avvicinarsi alla finestra. Non sembrava ci fosse qualcosa di strano, ovunque guardasse le si presentava il consueto spettacolo del mercoledì sera: le cameriere che ultimavano le faccende, alcuni stallieri che preparavano il cavallo per suo padre in procinto di raggiungere i soldati… All’improvviso, un’ombra volo veloce davanti ai suoi occhi per poi finire sul muro. Aprì l’imposta e una folata di vento freddo la investì. Uscì con cautela sul balcone, facendo attenzione a non essere vista da nessuno, poi si guardò intorno.  

Alla sua destra, seduto sul grande ramo nascosto tra le foglie, André la stava chiamando. Il terrore di precipitare lo teneva attaccato ad ogni appiglio che gli capitasse di trovare, ma piano piano si spostava verso di lei. 

- Non puoi stare qui! - gli intimò, appoggiata al marmo umido. C’era un’euforia nella sua voce che le dava una forte scossa di adrenalina. Il brivido di disobbedire ancora, di avere un compagno di disavventure con cui condividere il momento, di sapere che se li avessero scoperti la punizione sarebbe stata peggiore e per questo avrebbero dovuto essere ancora più furbi.  

- Certo che no, sto per cadere! - rispose lui e, dopo un respiro profondo, si fece coraggio e avanzò di mezzo metro sul ramo per poi saltare sul balcone.  

Oscar osservò quella prodezza con assoluta ammirazione. Voleva imparare anche lei, arrampicarsi sugli alberi insieme al suo amico e vedere il mondo da lassù. Ci avrebbe provato un giorno, magari il successivo se nessuno si fosse accorto di una loro momentanea assenza…  

Il bambino entrò in casa e rimase esterrefatto dall’eleganza della camera in cui si trovava ora. Era tutto un altro mondo rispetto al piano inferiore! C’erano tante candele sul lampadario, tanti cuscini sul letto e tanti libri sugli scaffali della libreria. Fischiò come aveva sentito fare da qualcuno – chissà chi – davanti alle cose belle quando ancora abitava in campagna, attirando su di sé lo sguardo indignato della sua ospite. Erano passati circa due mesi dal suo arrivo a palazzo Jarjayes, ma ancora non aveva messo piede nelle stanze della sua amica. 

- Anche io mi farei mettere in castigo tanto quanto te se poi finissi qui. - commentò lui. - Tu invece sei scappa…to 

Quel termine, scappato, gli uscì dalle labbra con un’incertezza che la piccola non si fece scappare. Incrociò le braccia davanti al petto e cominciò a picchiettare il pavimento con la punta della scarpa. Nello squadrarlo dalla testa ai piedi notò che i palmi delle sue mani erano macchiati di nero, così come alcuni punti della guancia e sul naso. - Sei tutto sporco! 

- Oh… Beh… Sì, stavo scrivendo ma è caduto il calamaio e si è rovesciato l’inchiostro. Ho dovuto rifare tutto!  

La bambina alzò gli occhi al cielo e gli si sedette accanto sul letto. Molleggiarono all’uniscono sul materasso morbido, finché il suono di passi fuori dalla camera non li richiamò sull’attenti.  

C’era qualcuno in corridoio che si stava avvicinando: chiunque fosse stato, se li avesse scoperti avrebbe consegnato entrambi ad un castigo ancora più lungo e insopportabile. Non si sarebbero potuti più vedere per chissà… un mese, cinque, o forse un anno! 

Dopo pochi secondi, la maniglia si abbassò e, in quel momento, Oscar afferrò André per la camicia, lo nasconde dietro il letto e corse di nuovo alla scrivania. Sentivano entrambi il cuore battere all’impazzata, al punto che credevano sarebbe esploso nel petto.  

Quando la porta si aprì, Madame entrò nella camera e si accostò alla figlia, concentrata con la testa sul foglio. La madre le passò una mano tra i capelli e, con grande tenerezza, le consigliò di smettere e andare a dormire: era tardi e ci avrebbe pensato lei a riferire al Generale quanto impegno ci avesse messo per svolgere il suo compito. Quando la vedeva dare tutto di sé fino allo stremo, ringraziava che fosse una persona così caparbia e sveglia per resistere ad un destino tanto duro. 

- Non preoccupatevi, Mère, andrò non appena avrò terminato… - la rassicurò, ma nel silenzio che seguì si sentì il rumore di qualcosa scivolare leggera da qualche parte alle loro spalle.  

La donna si sporse mentre la bambina tentava di dissuaderla con le peggiori scuse che le venissero in mente. Era arrivata perfino all’ultima spiaggia, quella assolutamente vietata ma a cui era ricorsa già un paio di altre volte quando non c’era proprio altra soluzione. Si aggrappò alla cucitura in vita del suo abito ampio e cominciò a sbattere i piedi per terra: tutto pur di non svelare il segreto e finire di nuovo nei guai. 

Madame scorse un ciuffo di capelli neri spettinati da dietro il bordo del letto e due grandi occhi verdi che, di tanto in tanto, venivano fuori dal nascondiglio non troppo adeguato. Si lasciò scappare una risata divertita e, senza aggiungere altro, prese in braccio la bambina per darle la buonanotte.  

- Buonanotte anche a te, André… - bisbigliò come per non farsi sentire da nessuno. - Custodirò il vostro segreto. - e così dicendo riportò Oscar vicino alla scrivania e se ne andò, chiudendo la porta con il sorriso ancora sulle labbra. 

 

(*citazione di Gadda) 

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Capitolo 3
*** Al fiume ***


 
(Non sono molti gli episodi dell’infanzia raccontati dai protagonisti nell’anime, ma uno – quello della caduta nel fiume – c’è e ho voluto includerlo)
 
L’acqua del fiume era increspata dal soffio del vento di settembre. La domenica il Generale aveva dato il permesso ai due bambini di giocare tutto il pomeriggio, senza altri compiti da svolgere, e loro, ubbidienti, avevano fin da subito accettato di buon grado la sua magnanimità. Finché la temperatura lo permetteva ancora, passavano il tempo fuori in giardino con la spada o a rincorrersi tra gli alberi fino ad arrivare all’insenatura della Senna che attraversava la proprietà. L’importante, si era raccomandato l’uomo, era che non uscissero a cavallo: erano ancora troppo piccoli per avventurarsi da soli in sella ai rispettivi destrieri e gli stallieri, in ogni caso, avevano ricevuto l’ordine di non prepararli a meno che la richiesta non provenisse da lui. I numerosi rimproveri che Oscar e André avevano accettato senza protestare nelle settimane da quando erano insieme – uniti a quelli che lei aveva saputo far nascere anche da sola – li avevano fatti desistere dal decidere di testa propria, almeno in quell’occasione. Le storie che Monsieur aveva raccontato loro per farli desistere li avevano terrorizzati e preferivano di gran lunga impiegare più tempo per andare ovunque in totale libertà.
Il piccolo bosco che divideva il palazzo dal fiume era ancora rigoglioso e verde, il sole filtrava attraverso le foglie. I due bambini camminavano in fila indiana, intenti ad immaginarsi protagonisti di un’incredibile esplorazione ai confini del mondo. Con la consueta pacatezza che non la contraddistingueva nel prendere in mano la situazione, Oscar si era autoeletta capo spedizione puntandosi il pollice il petto e aveva investito André della grande responsabilità di diventare il suo secondo per tenere d’occhio il resto del gruppo e aiutarla nel delicato compito di organizzare un campo nel nuovo insediamento. L’amico aveva accettato, forte della convinzione che un esercito di uomini invisibili non sarebbe stato un problema. A ogni passo le prime foglie secche e i ramoscelli caduti scricchiolavano sotto le suole delle scarpe, facendoli spaventare di tanto in tanto nella convinzione di essere seguiti da qualcuno.
I metri che li separavano dalla riva erano sempre meno e alle loro spalle si erano lasciati animali, pericoli e nemici di vario genere. Impavidi, sprezzanti del pericolo, guidati solo dall’intuito e da un grosso sasso magicamente diventato bussola, i piccoli esploratori arrivarono agli ultimi alberi con il fiatone e i palmi delle mani sporchi di terra e resina. Il cinguettio degli uccelli appollaiati sui rami li accompagnò fuori, dove la luce del sole per qualche istante diede loro fastidio agli occhi abituati all’ombra da cui provenivano.
-Terra! - esclamò André con il dito puntato verso l’acqua. Sognava di dirlo da tempo, da quando con la sua amica aveva letto un libro di avventure i cui protagonisti scoprivano un’isola deserta nel mezzo dell’oceano.
Da che guardava davanti a sé con aria meravigliata, quasi non si trattasse di un luogo familiare, Oscar si voltò e gli riservò un’occhiata perplessa. - Terra? - interruppe lei l’incantesimo del momento. - È il fiume!
Il bambino sbuffò, infastidito dal non essere stato capito. Per evitare l’ennesima zuffa, la superò e si avviò di corsa diretto alla riva, incitandola per non arrivare seconda a quella gara improvvisata. La piccola non se lo fece ripetere due volte e cominciò a correre, il più veloce possibile e con il vento che le soffiava i capelli lontano dal viso.
Distratta dall’euforia che quella corsa senza freni in discesa le dava l’idea di poter raggiungere l’avversario, Oscar non notò subito che André si era fermato a un paio di metri dall’acqua. Quando se ne accorse, cercò come poté di rallentare e deviare. Finì davanti a un grosso sasso piatto, largo abbastanza da darle la possibilità di fermarsi, che dava direttamente sulla Senna. Con il cuore in gola, l’adrenalina nelle vene e il terrore per il pericolo scampato per un soffio, si girò allungando un braccio in direzione dell’amico, testimone inerme di una tragedia evitata. Non fece in tempo ad avvicinarsi per tirarla verso di sé che la bambina perse l’equilibrio e cadde nell’acqua.
Spinta dalla corrente, Oscar si allontanò dalla riva e più si dimenava per rimanere a galla, più le sembrava di andare al largo. Gridava con tutta l’aria di cui i suoi polmoni disponevano, il panico del momento le impediva di ricordare le poche nozioni di nuoto che erano state impartite proprio tra quelle sponde durante l’estate. Il Generale si era più volte raccomandato di fare attenzione: l’acqua rende scivoloso il terreno tutto intorno, dovevano entrambi guardare sempre dove avrebbero messi i piedi e non arrampicarsi su niente che fosse troppo vicino all’insenatura. Avevano disobbedito e ora dovevano risolvere la situazione in fretta, prima che uno o entrambi annegassero o venissero scoperti.
La bambina tentava di muovere le braccia come poteva, contro la forza della corrente che la sovrastava pur non essendo impetuosa, mentre urlava il nome del suo amico riemergendo dalle piccole onde che increspavano la superficie. Era spaventata, ma il suo corpo lottava con tutto se stesso per rimanere almeno a galla. Il terrore di affogare era talmente tanto che non si era accorta di un piccolo scoglio, poco distante da lei, pronto ad accoglierla almeno per il tempo di aggrapparsi e recuperare le energie.
André, dal canto proprio, si era tuffato senza pensarci due volte, nonostante anche le sue doti di nuotatore non fossero delle migliori. La raggiunse in fretta e con una mano le afferrò un braccio, tirandola verso la roccia che affiorava. Riuscirono ad afferrarlo e, non senza fatica, ci salirono sopra e si sedettero a prendere fiato.
-Stai bene? - le chiese.
Tremavano per lo spavento più che per il freddo, si tenevano stretti per non cadere e darsi conforto.
Oscar annuì. Non riusciva a pronunciare una parola, i suoi occhi osservavano spaesati il fiume che proseguiva lungo il proprio percorso come se loro due non avessero appena rischiato di non uscirne vivi. Deglutì a fatica e scoppiò in un pianto liberatorio. Aveva vissuto troppe emozioni in una sola volta perché il suo piccolo cuore potesse metabolizzarle tutte. Nonostante sapesse che un bravo soldato e un uomo valoroso non si lasciano scoraggiare dagli imprevisti né andare alle lacrime, ma non riusciva a calmarsi.
-Oscar, siamo vivi! – esclamò André per consolarla e le strinse una mano. La sua voce sembrava più sorpresa che felice: non poteva credere ai loro ultimi dieci minuti, come non poteva credere al fatto stesso di essere stato lui a salvarla.
Rimasero sul piccolo scoglio a sufficienza per riprendersi e smettere di tremare. Scendere era impossibile: per quanto relativa, la distanza dalla riva li avrebbe comunque esposti allo stesso pericolo che avevano appena evitato si concludesse tragicamente. Si guardarono intorno cercando una soluzione, per poi realizzare che tutto sommato aspettare che qualcuno arrivasse sarebbe stato meglio.
Le ore passarono lente e il sole piano piano si avviò al tramonto. Da lontano i due bambini cominciarono a sentire le voci della governante e delle cameriere chiamarli per rientrare, ma le loro risposte non arrivavano fino alle loro orecchie. La stanchezza ormai l’aveva fatta da padrona, resistevano solo perché non avevano altra possibilità. Quando una tenue luce arancione ricoprì il panorama intorno e colorò i loro visi dispiaciuti, la solitudine di quel pomeriggio che tanto avevano bramato per una settimana si trasformò in un incubo.
-Forse tuo padre non ci metterà in punizione questa volta… - osservò André serio.
- Tua nonna sì, però. - lo interruppe Oscar appoggiando il mento sulle ginocchia.
All’improvviso dalle loro spalle arrivò il rumore degli zoccoli di un cavallo attraversare il bosco e raggiungerli a gran velocità. Voltarono lo sguardo e videro il Generale correre nella loro direzione. Per un attimo si lasciarono andare ad un sospiro di sollievo, poi entrambi si resero conto che non li avrebbero aspettati ore piacevoli prima della cena.
L’uomo scese di sella soltanto una volta in acqua, con l’espressione seria e poche parole da rivolgere loro. Gliene avrebbe dette e non poche una volta rientrati a palazzo, ma per il momento il silenzio sarebbe stata l’arma migliore per mostrare la propria delusione. Li sollevò a uno a uno dalla pietra e li fece salire a cavallo, poi prese le briglie e ritornò sulla via di casa senza mai rivolgere ai due bambini il benché minimo sguardo.
***
A palazzo uno stuolo di servitori aspettava i piccoli fuggitivi con ansia e il terrore di averli persi per sempre dipinto in volto. Li videro arrivare con la testa bassa, a guardare il pavimento camminando in fila indiana davanti al Generale, che li incitava a sbrigarsi ad arrivare al suo studio. I bambini salirono le scale sotto l’occhio vigile dell’uomo, impossibilitati a fare alcunché se non proseguire e pregare che non li aspettasse un rimprovero troppo duro.
Quando la porta della grande stanza si aprì e Monsieur li fece entrare, dalla finestra dietro la scrivania si vedevano gli ultimi raggi di sole tramontare all’orizzonte. I passi decisi sul pavimento che si spostavano avanti e indietro alle loro spalle non preannunciavano una tranquilla buonanotte, ma nessuno dei due si azzardò a proferire verbo. Il Generale, dal canto suo, cercava di trovare le parole giuste per rendere con efficacia la delusione che quel loro gesto avventato aveva provocato in lui.
-Vi avevo dato fiducia…- esordì in tono severo. - E mentre voi pensavate che fosse una concessione, io volevo provare a me stesso quanto ve la meritaste.
I due bambini ascoltavano in silenzio, senza capire davvero la profondità del suo discorso, ma spaventati anche solo all’idea di voltarsi per guardare il suo volto scuro.
-Oggi pomeriggio vi siete comportati in modo sconsiderato. Avete rischiato di affogare! – La sua voce rimbombò nello studio con la forza di un tuono.
Oscar e André ebbero un sussulto. All’improvviso la prospettiva di una lavata di capo da parte di grand-mère non li preoccupava più. Per infiniti minuti ascoltarono il peggior rimprovero che avrebbero ricevuto per anni. Non avevano pensato alle conseguenze delle loro azioni, si erano spinti troppo oltre e per questo se l’erano vista brutta. Dovevano ringraziare Dio che fosse tornato a palazzo prima del dovuto e la nonna lo avesse avvisato. Cosa sarebbe successo se non fossero riusciti ad aggrapparsi a quello scoglio? Se la corrente li avesse portati via e nessuno li avesse trovati?
-Di chi è stata l’idea? – domandò poi e si sedette alla scrivania così da averli bene davanti agli occhi.
I due bambini si guardarono. Era colpa di entrambi e di nessuno: André l’aveva sfidata a raggiungerlo di corsa, Oscar era saltata sul sasso per fermarsi dalla troppa velocità che aveva preso scendendo dalla collina. Quello che era successo dopo, poi, aveva preso i connotati della pura coincidenza. Se gli avessero detto la verità non ci avrebbe creduto, ma se avessero mentito sarebbe stato peggio.
-Sono stato io, Generale. – disse il piccolo reo confesso. La sua amica sgranò i grandi occhi azzurri: si stava veramente sacrificando per lei? Non poteva lasciare che suo padre lo punisse, non voleva davvero farla cadere nel fiume. – Ho avuto io l’idea. Volevo vedere chi avrebbe vinto… chi sarebbe arrivato prima alla riva… Non dovevamo finire in acqua, ma Oscar è scivola… - Si interruppe per un secondo: ancora doveva abituarsi a parlarne al maschile in sua presenza. – … È scivolato per caso, il sasso era bagnato…
L’uomo alzò una mano e interruppe il racconto. Bastava così. Tutto sommato ammirava la schiettezza e il coraggio con cui gli aveva parlato. Non era scontato che un bambino di sei anni lanciasse il cuore oltre l’ostacolo così e sapeva di essere, in quel preciso momento, il loro terrore più grande.
-Mi auguro anche mio figlio abbia il fegato di dire qualcosa… - continuò Monsieur spostando lo sguardo su Oscar, che ricambiò con un’espressione attonita. Cos’altro poteva aggiungere? Doveva trovare una soluzione per aiutare l’amico a propria volta.
-Padre, io… Io stavo guidando un’esplorazione, era importante e… Non ho seguito il vostro esempio, non sono stato un bravo capitano con i miei uomini e non ho saputo nuotare bene come mi avete insegnato. Perdonatemi, Padre. - I suoi occhi si riempirono di lacrime. Era un motivo di disonore l’insubordinazione della propria compagnia – o almeno così le sembrava di aver sentito dirgli una volta ad altri ufficiali del suo rango.
In barba alle direttive del Generale, un pianto sconsolato si liberò nella stanza lasciando stupiti i presenti. Ore di adrenalina, paura e tensione si erano accumulate sulle sue piccole spalle e adesso avevano trovato finalmente una via d’uscita. Non le importava essere sgridata un’altra volta, voleva solo alleggerirsi di un peso insopportabile.
L’uomo abbassò lo sguardo e sorrise appena, poi si alzò e li raggiunse appoggiando le mani sulle loro spalle. - Ho apprezzato la vostra sincerità. Siete stati coraggiosi e, dettaglio di non relativa importanza, siete riusciti a sopravvivere a un grande pericolo. Domani vi comunicherò la mia decisione sul da farsi, per ora potete andare nelle vostre stanze e attendere che vi aiutino con il bagno. – e così dicendo si avviò verso la porta e la aprì per lasciarli uscire.

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Capitolo 4
*** Buon compleanno ***


La carrozza percorreva gli ultimi metri che la separavano dalla grande casa in riva al mare a grande velocità. Come ogni estate, anche quell’anno Monsieur aveva fatto trasferire la famiglia (insieme a parte della servitù) ad Arras e, come ogni fine agosto, le raggiungeva per qualche giorno. Da un anno, però, non tornava da solo. Accolto dalle polemiche delle figlie più grandi che lamentavano la lontananza per tre mesi dalla loro solita compagnia, l’uomo si presentava da loro con il piccolo aspirante attendente al seguito.
Era stata Oscar a insistere tanto. Benché le avessero spiegato che André non poteva (ancora) seguirla ovunque e in tutto perché le loro vite dovevano svolgersi fianco a fianco ma con le dovute differenze, lei non sopportava l’idea di saperlo lontano a festeggiare il suo compleanno. A nulla era servito cercare di farle capire che compiere un anno in più per il suo amico non avrebbe comportato una giornata pressoché dedicata a lui e che non era mai stato così, semplicemente perché la bambina si era rifiutata di ascoltare. Non le importava: si era impuntata che non avrebbero potuto divertirsi insieme anche in quell’occasione così speciale. Il Generale, commosso dalla determinazione con cui il piccolo erede aveva difeso una richiesta tutto sommato non inconcepibile, aveva dato il suo permesso e adesso, per il secondo anno di seguito, si trovava sulla carrozza di famiglia con il festeggiato seduto davanti a lui.
Lo osservava guardare fuori dalla finestra rettangolare scostando appena la tendina e nei suoi occhi verdi scorgeva un groviglio di emozioni. Era felice di rivedere la sua compagna di avventure, otto settimane lontani pesavano come un secolo intero nonostante le lettere frequenti, ma lui tra quelle strade era nato, aveva imparato a parlare e camminare e le persone che glielo avevano insegnato gli mancavano molto. Quando c’era Oscar, però, André si sentiva sollevato da un dolore così più grande quanto lui stesso non fosse. Per rivederla sarebbe valsa la pena anche affrontare un viaggio perlopiù in silenzio con un uomo che gli piaceva sì, ma che lo imbarazzava terribilmente. Di tanto in tanto Monsieur lo faceva parlare chiedendogli qualcosa sulle sue giornate, come le trascorresse senza l’unica altra bambina della sua età in casa, ma poi inesorabile tornava il silenzio. Tutto il contrario di Madame, che lo trattava come un altro figlio, lo abbracciava e consolava quando lo vedeva in difficoltà.
- André, sei contento di tornare ad Arras? – gli domandò il Generale per distrarlo dai pensieri che lo riportavano al ricordo dei genitori.
Il piccolo tornò seduto composto e annuì allegro, dondolando con i piedi che, dopo dodici mesi, toccavano bene il fondo della carrozza. Si era stupito anche lui di essere finalmente in grado di appoggiare le suole delle scarpe per intero e non solo più le punte, ma d’altronde stava crescendo in fretta e sua nonna non mancava di ricordarglielo per la velocità con cui doveva sistemargli o cambiargli gli abiti.
- Hai otto anni, sei grande ormai. – proseguì l’uomo in un tono ironico che non gli aveva quasi mai sentito usare. – Voglio che tu sappia molto contento dell’esempio che stai dando a mio figlio…
Mio figlio? Perché riferirsi a lei al maschile anche quando non c’era, si interrogava il bambino mentre l’altro continuava il suo discorso molto sensato di cui però non riusciva del tutto ad afferrare il punto. Era lusingato dai suoi complimenti, a quanto pareva le innumerevoli volte in cui i due amici erano finiti nei guai – separati o insieme – non gli avevano impedito di farsi una cattiva opinione.
Con un leggero nitrito i cavalli rallentarono fino a fermarsi e il cocchiere aprì loro la porta. Monsieur fece un cenno ad André, che uscì dalla carrozza e saltò giù dall’ultimo gradino gettando lo sguardo qua e là per il grande giardino e poi oltre, verso il mare. Ma come? Lo aveva voluto tanto e poi non si presentava neanche al suo arrivo? Si era già dimenticata di lui? Un’espressione delusa apparve sul suo volto, mentre con una mano la cameriera lo accompagnava dentro casa.
Nel tragitto tra l’ingresso e le cucine avevano incontrato almeno quattro persone che gli avevano fatto gli auguri, compresa una delle figlie maggiori dei signori Jarjayes, contrariata nel constatare che ancora una volta l’aveva avuta vinta la più piccola della famiglia. O il più piccolo, insomma… Non si curava troppo di pensarne al maschile quando si trattava dell’ennesima preferenza da parte del padre, voleva solo dimostrarsi contrariata e proseguire con la propria giornata.
Arrivato a destinazione, trovò la stanza come al solito immersa nell’attività dei preparativi per il pranzo. C’erano delle pesanti pentole di rame sul fuoco che fumavano e di sicuro qualcuno se ne sarebbe dovuto occupare più di quanto avrebbe dovuto fare con lui. La donna che lo aveva accompagnato si raccomandò di aspettare lì mentre lo spettinò in modo affettuoso e tornò al proprio lavoro al piano di sopra.
André si sedette su uno sgabello accanto al muro e sbuffò, facendo volare un ciuffo di capelli che gli cadeva sulla fronte davanti agli occhi. Nessuno lo degnava di uno sguardo, sembravano disinteressati alla sua presenza. Studiava i movimenti esperti delle cuoche che tagliavano e mescolavano senza fermarsi, impartendo ordini alle cameriere più giovani. Un rumore inaspettato proveniente dalla piccola stanza adiacente, però, catturò la sua attenzione da quella scena che conosceva ormai a memoria. Il festeggiato scese dalla sua postazione e si avvicinò cauto, come se non dovesse svegliare qualcuno nel cuore della notte. Si sporse con la testa oltre lo stipite, ma oltre alle persiane chiuse e qualche cesto non vide altro. Perplesso, si voltò, venendo superato da una ragazza in abito azzurro e grembiule bianco e tornò sui propri passi. Si sarebbero potuti risparmiare il viaggio, rifletté lui con lo sguardo deluso mentre davanti ai suoi occhi la cucina procedeva come se non ci fosse.
Distratto dal pensiero che la sua amica probabilmente si fosse dimenticata, André non si accorse che sulla credenza al lato opposto della cucina fosse stata lasciato un piccolo cesto di vimini coperto da un panno bianco. Non si era neanche reso conto che nella stanza fosse entrato qualcuno, tanto più che guardandosi intorno gli sembrò che nulla fosse cambiato.
Si sentiva un po’ deluso e, se non gli fosse stato raccomandato di non allontanarsi da lì, sarebbe di sicuro andato fuori in giardino a trovarsi qualcosa da fare. Di tanto in tanto provava a chiedere cosa, quanto e perché dovesse aspettare, ma tutto ciò che riceveva erano delle risposte vaghe vagamente divertite e spazientite.
Sapientemente nascosti all’esterno della casa, dietro il muro che sorreggeva la grande finestra aperta della cucina, un paio di occhi azzurri facevano capolino con l’accortezza di non essere notati. Oscar spiava in punta di piedi il festeggiato del giorno con ingiustificato divertimento nel saperlo ignaro della sorpresa che aveva preparato. Si era premurata che qualcuno lo accompagnasse nella stanza senza dirgli nulla e che lì lo tenessero un po’ di tempo, il necessario per dargli l’impressione che tutti si fossero dimenticati e rendere il suo augurio più bello e speciale. Le veniva da ridere, cercava da trattenersi il più possibile e, con sua stessa sorpresa, ci stava riuscendo. Avrebbe dovuto imparare ad appostarsi con maggior discrezione, ma di occasioni ne avrebbe avute in futuro e quello non era di certo il caso. Anzi, era un piano talmente astuto, il suo, che, nonostante la debolezza momentanea, aveva perfino intimato al padre che passava dal giardino di non farla scoprire avvicinando l’indice alle labbra per non lasciargli dire niente. L’uomo, comprensivo quando la vedeva mettere in pratica nella vita di tutti i giorni ciò che le veniva insegnato durante le lezioni, accolse la sua richiesta e la lasciò proseguire con la sua missione.
Come da accordi – o, meglio, da istruzioni impartite con fermezza – la cuoca domandò al bambino di prendere il cesto di vimini sulla credenza e portarlo fuori. André annuì e si avvicinò al mobile. Quando vide il panno bianco, un’irrefrenabile curiosità di sapere cosa ci fosse sotto lo attanagliò. Era più forte di lui: doveva sempre sapere tutto, a maggior ragione se si trattava di qualcosa tenuto nascosto o chiuso. Le pentole perdevano regolarmente i coperchi quando ci passava accanto, i cassetti venivano e i bauli venivano aperti e lasciati così, alla mercé di tutti. A nulla erano valsi i rimproveri della nonna, non gli interessava altro che scoprire cosa gli tenessero nascosto.
Alzò lo strofinaccio, ma se di solito in un cestino del genere avrebbe potuto trovare il pane per il pranzo, questa volta i suoi occhi verdi caddero su una scatola rettangolare. La prese tra le mani liberandosi contenitore intrecciato, ma non riuscì subito ad aprirla. Quando finalmente tolse il coperchio e levò la velina, un paio di guanti di cotone bianchi lo lasciò senza parole. Erano della sua misura ed erano i più belli che avesse mai visto. Si guardò intorno sorpreso: era la prima volta che riceveva un regalo del genere, fino a quel momento si era sempre accontentato degli auguri delle persone a lui più care, ma ora… Qualcuno aveva pensato concretamente a cosa potesse fargli piacere ricevere e, in effetti, aveva bisogno di un paio di guanti nuovi ché i suoi cominciavano a stargli piccoli e, di sicuro, con l’arrivo del freddo non li avrebbe potuti più indossare.
- Grazie! – disse André alle donne che assistevano all’apertura del regalo con un sorriso colmo di tenerezza sulle labbra.
Una delle cameriere indicò col dito in direzione delle sue spalle e, nel momento in cui tornò voltato verso la finestra, Oscar saltò fuori dal nascondiglio dietro il muro.
- Buon compleanno! – esclamò la bambina saltando sul posto. Avrebbe voluto scavalcare il davanzale per corrergli incontro, ma preferì evitare di rischiare un rimprovero proprio quel giorno così importante e rientrò in cucina dalla porta di servizio. Quando lo raggiunse gli saltò sulle spalle, come faceva sempre nei momenti di grande allegria, e si strinsero in un abbraccio.
- Pensavo… - cercò di dire André, ma non fece in tempo a finire che Oscar aveva già cominciato a spiegare tutto nei minimi particolari. Voleva fargli una sorpresa, l’anno precedente non le era venuto in mente e bisognava recuperare in qualche modo. Madame l’aveva ascoltata e aveva deciso di accontentarla perché, secondo lei, era giusto che il suo impegno ogni giorno venisse riconosciuto.
- E comunque io non mi dimentico mai il tuo compleanno! - concluse davanti allo sguardo commosso ma felice dell’amico, poi gli afferrò una mano e la infilò nel guanto. – Ecco qua. Ti piace?
André annuì. – Tantissimo, grazie!

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Capitolo 5
*** La sera a cena ***


Da qualche tempo Oscar era tormentata da un dubbio, ma per istinto di conservazione aveva deciso di tenersi tutto dentro. Non era solita fare domande scomode a nessuno, aveva imparato che era una cosa sconveniente e che un bravo uomo di mondo sa sempre stare al proprio posto. Ciò nonostante, nella sua mente sveglia e curiosa c’era qualcosa che non tornava. Non del tutto, quantomeno.

Si era accorta, infatti, che le persone più vicine a lei erano un po’ troppo differenti una dall’altra. Le sue sorelle, tutte, erano ragazzine molto aggraziate e raffinate anche nell’aspetto. Sembravano principesse uscite da un libro di favole e ogni giorno che passava credeva che lo diventassero sempre di più, almeno tanto quanto avesse l’impressione di conoscerle sempre di meno. Passava del tempo con loro, non quanto avrebbe voluto ma abbastanza per poter sentire che qualcosa di ancora ignoto le accomunava (oltre la parentela). Erano bionde come lei, con gli stessi occhi azzurri, ma non era questo che la lasciava perplessa. Le capitava di provare una forte empatia nei loro confronti quando le vedeva tristi, credeva di poterle comprendere nonostante non le dicessero niente.

Poi c’era André. L’unico maschietto in casa a parte Oscar, l’unico con cui poter condividere ogni esperienza, ogni lezione, ogni problema. Eppure, forse talvolta non si capivano davvero, ma soprattutto lei non capiva perché allo specchio il loro aspetto fosse diverso. Vestivano uguali, avevano entrambi i capelli più meno della stessa lunghezza e si comportavano nella medesima maniera, ma qualche dettaglio ancora non la convinceva. Alle proteste circa l’altezza, ad esempio, André rispondeva sempre che fosse più alto perché più era il più grande e lo diceva credendoci, perché nella sua testa di bambino di otto anni e mezzo era una conseguenza logica. Oscar accettava il fatto compiuto, poteva aver ragione d’altronde, ma continuava imperterrita a tirar fuori quella questione di tanto in tanto, quando proprio non si dava pace.

Era una sensazione fastidiosa: le sembrava che tutti condividessero un segreto che la escludeva e ciò si rendeva evidente soprattutto quando capitava che il suo compagno di avventure impiegasse un paio di secondi in più per trovare l’aggettivo adatto, cosa che a lei non accadeva mai. Era strano, molto strano… Non doveva riflettere, non interrompeva le frasi a metà. Sapeva cosa dire sul suo amico, sapeva che era il nipote della governante che chiamavano tutti nonna ma che lo era davvero solo del suo amico.

Quel pomeriggio si erano addormentati in giardino, sotto la grande quercia accanto alla fontana. Benché grand-mère li avesse avvisati più e più volte di non giocare troppo vicini all’acqua, i due bambini ci erano ripetutamente finiti dentro incolpandosi a vicenda su chi avesse avuto l’idea di contraddirla. Completamente zuppi, la donna li aveva spediti in casa per asciugarsi, ma loro, che non avevano la minima intenzione di farlo, erano scappati in giro per il grande giardino per poi ritornare al punto di partenza con gli abiti attaccati al corpo. La nonna, stanca e spazientita, aveva lasciato che si asciugassero al sole, minacciandoli di appenderli insieme al resto dei panni se non si fossero almeno calmati un po’.

I due bambini si erano sdraiati all’ombra della quercia e lì avevano lasciato che il sonno li cogliesse, cullati dal vento di metà maggio e dallo scrosciare continuo e regolare dell’acqua della fontana. Per un’ora la casa intera aveva potuto riposare – o, meglio, proseguire nella consueta routine senza che i due piccoli terremoti interrompessero nessuno. Di tanto in tanto grand-mère mandava una cameriera a controllarli, per essere sicura che fossero ancora lì e non avessero finto di essere stanchi solo per poter pianificare qualcosa di irrimediabile, e puntualmente li trovava tranquilli, distesi una vicina all’altro mentre il tepore del tardo pomeriggio li asciugava.

Quando la campana della chiesa poco distante da palazzo suonò sei rintocchi, Oscar aprì gli occhi e si guardò intorno. Per un attimo aveva dimenticato la ragione per cui si trovassero lì, poi li stropicciò e, schiarendo la vista, osservò André che, come al solito, non si sarebbe svegliato neanche se fosse esplosa una battaglia intorno a lui. La bambina si sedette più indietro e appoggiò la schiena contro al tronco dell’albero, con le braccia attorno alle ginocchia e le mani intrecciate. I pensieri e le preoccupazioni che da qualche tempo la coglievano la sera prima di addormentarsi si palesarono tutti insieme anche in quel momento, con il sole ancora alto e le voci della casa che riempivano l’aria. Avrebbe voluto liberarsi da ogni singolo dubbio, confidarsi, ma non sapeva come farlo. Né con chi. Sua madre era sempre a Versailles e la vedeva soltanto per l’ora di cena, unico momento in cui la famiglia intera si riuniva e lei ascoltava con educazione ciò che si diceva senza proferire verbo. Il Generale, poi, le aveva insegnato che i veri uomini non si lamentano, accettano il corso degli eventi facendosi forza e imparando dagli errori; pur non avendo ancora davvero compreso il significato delle sue parole, le aveva accettate perché la volontà del padre era legge. La nonna, dal canto proprio, era sempre indaffarata e anche nei momenti meno frenetici il suo pragmatismo vinceva su qualunque velleità di riflessione. Con le sorelle maggiori i rapporti erano strani: voleva loro molto bene ed era ricambiata con grande affetto, di tanto in tanto le spiava nei loro passatempi da donna mentre parlavano di tante cose che le sembravano sciocche benché le vedesse ridere; da parte loro, però, capitava che di percepire una distanza che con il suo amico avevano di meno. Era stata proprio la realizzazione di una certa freddezza nei suoi confronti che aveva cominciato ad insinuare nella sua mente i primi dubbi. Perché anche loro sembravano dover pensare due volte a cosa dirle? Perché gli abbracci che le davano erano meno affettuosi dei propri? Perché ad André non rivolgevano mai quegli sguardi incupiti che talvolta le riservavano? Volevano più bene a lui?

Mentre un profondo sospiro tentò di scacciare via i pensieri, la figura della governante si avvicinava a passo svelto. Oscar allungò un braccio e cominciò a punzecchiare la guancia del suo amico per svegliarlo, chiamandolo più volte. Il bambino aprì gli occhi infastidito e allontanò la sua mano dal viso con un gesto veloce, poi si alzò e scorse, nonostante la vista un po’ annebbiata, la nonna che gridava loro di sbrigarsi ferma con i pugni sui fianchi.

-È ora di cena, dormi sempre! – lo apostrofò la piccola con un tono insolitamente scontroso.

- Anche tu dormivi. – le rispose e, risentito dal suo atteggiamento, si alzò per raggiungere la donna e accelerò per anticiparle sulla via di casa.

Oscar sbuffò e prese la mano di grand-mère per farsi riaccompagnare dentro da qualcuno che non si offendesse per tutto.

Una vasca di ceramica bianca l’aspettava in camera riempita d’acqua riempita per metà. Come ogni sera, la preparazione per il pasto conclusivo della giornata prevedeva un bagno che la rendesse presentabile a tavola, specialmente se, come in quell’occasione, avevano ospiti. La piccola si faceva aiutare dalle cameriere senza lamentarsi e seguiva von attenzione tutti i passaggi necessari, anche nel momento in cui bisognava rivestirla seguendo l’ordine preciso degli indumenti. Nonostante il cattivo umore, lasciò che le donne intorno a lei eseguissero il proprio compito senza protestare troppo ma senza neanche le consuete risate che le suscitava vedersi allo specchio con l’asciugamano in testa che cadeva sul volto e la faceva somigliare a un fantasma. Non le importava guardare, in realtà, voleva solo che si sbrigassero e la lasciassero sola.

Finalmente terminata la vestizione dell’erede, le cameriere uscirono dalla stanza e, dopo pochi minuti, Oscar le seguì. Si ripeteva mentalmente ciò che le era stato insegnato per presentarsi, tenendo il conto sulle dita per non dimenticare nulla. Passando accanto al grande studio del padre, si accorse che la porta era rimasta aperta. Si alzò in punta di piedi per chiuderla nonostante adesso arrivasse alla maniglia e udì la voce di una delle sorelle lamentarsi. La bambina si nascose dietro lo stipite, attenta a non essere vista e cercò di scoprire cosa stesse accadendo nella stanza.

- Non puoi capire le decisioni che un padre deve prendere per il bene della propria famiglia! – tuonò all’improvviso il Generale con una tale irruenza da far tremare i vetri della finestra alle sue spalle.

- Ma posso capire che ci rimettiamo sempre noi altre. – rispose la ragazzina con la stessa insolenza con cui talvolta l’ultima nata protestava.

- Cosa vorresti insinuare?

Quelle parole le erano estranee, ma parevano importanti se al loro suono sua sorella aveva abbassato il tono e balbettato qualcosa prima di proseguire. – Padre, a lei concedete tutto.

Oscar tentò di unire le poche informazioni che aveva ascoltato e dedusse che si stesse lamentando per la consueta presunta ingiustizia che percepivano tra loro quattro.

Fece per allontanarsi, quando alcune parole catturarono nuovamente la sua attenzione. Riuscì a distinguere con una certa sicurezza il proprio nome, sommerso in un mare di polemiche e inviti a tacere, e subito dopo quello di André. Una strana sensazione la investì, come se saperlo in mezzo ad una discussione a cui lei non era presente la disturbasse più di qualsiasi cosa al mondo. Si trattenne dall’irrompere nella stanza e scappò via, ma non le sfuggì il suono distante di una frase precisa: lo scoprirà a tempo debito, Oscar è un maschio e questo è quanto.

Oscar corse più veloce che poté fino alla rampa di scale in fondo al corridoio e si sedette sul primo gradino. Cosa doveva scoprire di tanto importante? E quando sarebbe successo? Che bisogno c’era di sottolineare che fosse un bambino, poi? Lo sapevano tutti, lo era da sempre. I dubbi che l’attanagliavano da giorni si andarono ingarbugliando in un groviglio ancora più intricato. In silenzio, appoggiò il mento sulle ginocchia al petto e lasciò che le lacrime le bagnassero le guance. Non poteva né voleva farsi vedere così, ma aveva cominciato a sentirsi strana e irrequieta, come se tutto il mondo le pesasse addosso e non riusciva a spiegarselo. Avrebbe voluto scappare, rifugiarsi nella stanza di André come durante i peggiori temporali e rimanere con lui a giocare. Si rese conto che in sua compagnia i brutti pensieri sparivano e il tempo passava veloce. Realizzò anche che le lezioni del mattino erano più noiose se non c’era e che correre tra gli alberi per raggiungere il fiume non era così divertente se non aveva il suo passo svelto alle spalle pronto a superarlo. Quando l’amico era costretto a letto con la febbre, il suo unico pensiero era che le quattro e mezza arrivassero in fretta per potergli fare visita, sedersi in fondo al materasso e raccontargli la sua giornata, o leggergli una storia se stava ancora male. La vera ingiustizia, rifletté mentre asciugava gli occhi con la manica della camicia di cotone e pizzo, era che le sue sorelle si fossero messe d’accordo per lamentarsene con il padre. Loro erano quattro, tutte femmine, mentre Oscar aveva solo André e non chiedeva altro che poter continuare a giocare con lui.

***

La cena importante di quella sera era trascorsa tra il colloquiare degli adulti, gli sporadici interventi selle figlie maggiori quando venivamo chiamate in causa e il via vai della servitù tra la sala da pranzo e le cucine. Chiusa in un insolito silenzio, Oscar aveva osservato con attenzione il volto di ogni membro della sua famiglia chiedendosi se ciò che lei avrebbe scoperto a tempo debito fosse già a conoscenza di tutti. Di tanto in tanto dava una rapida occhiata alla porta alle proprie spalle, sperando che André arrivasse al tavolo con il proprio piatti come succedeva dopo le lezioni del mattino, finché Madame non le aveva appoggiato una mano sul braccio per fermarla. Benché sapesse che gli fosse ancora proibito – più dalla nonna che dal Generale – partecipare al servizio delle occasioni speciali, la delusione di non vederlo entrare nella stanza le aveva più volte stretto il cuore. Probabilmente si era già addormentato, o forse stava finendo i compiti che il precettore aveva lasciato per il giorno successivo e che lui aveva lasciato a metà per andare a giocare in giardino.

Il grande orologio del salotto, dove ospiti e padroni di casa conversavano di argomenti troppo complicati per la sua tenera età, suonò le nove e grand-mère, puntuale, giunse con professionale rammarico a interromperli: era ora di andare a letto per Oscar, che si lanciò in un cordiale e ancora un po’ artificioso – per quanto ammirevole e tenero – saluto ai presenti e seguì la donna tenendola per mano.

Camminavano fianco a fianco e mentre la governante si complimentava per il comportamento impeccabile che aveva avuto durante la cena, i pensieri della bambina si rincorrevano stanchi per altre vie. Rispondeva a monosillabi, non vedeva l’ora che quella giornata si concludesse.

- Nonna, posso salutare André? – domandò all’improvviso quando si accorse di essere a pochi metri dal corridoio della servitù.

- Andiamo a dargli la buonanotte e poi su in camera!

La piccola annuì e insieme si incamminarono verso la penultima porta di legno, dimenticata socchiusa dalla cameriera che lo aveva accompagnato prima dell’arrivo degli ospiti. Quando vi fu davanti, la spinse leggermente con la mano e la luce dei candelabri nel corridoio gli illuminò il volto appoggiato al cuscino.

- Sta già dormendo… - commentò Oscar con una sfumatura di delusione nella voce, nonostante avesse preso in considerazione l’ipotesi.

L’anziana agitò il braccio per riportarla all’obiettivo iniziale, ma lei rimase ancora alcuni secondi ferma a guardarlo.

- Buonanotte, André. – gli augurò comunque. Nella penombra video i suoi occhi aprirsi piano e cercare con lo sguardo chi lo avesse chiamato nel dormiveglia.

Alzò appena una mano per salutarla e si voltò, con il lenzuolo che lo copriva fino alle guance.

La bambina richiuse l’uscio e ritornò a camminare accanto alla nonna. Era più sollevata: lo aveva visto di nuovo, gli aveva parlato e lui l’aveva salutata. Poteva andare a dormire adesso.

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Capitolo 6
*** La febbre ***


André da un paio di giorni aveva la febbre e Oscar non aveva fatto altro che inventarsi le scuse più fantasiose pur di intrufolarsi in camera sua e stare con lui, nonostante gli ordini fossero stati perentori: fin tanto che fosse stato malato dovevano rimanere separati per evitare il contagio. Alla bambina, però, non interessava né di poter stare male né tantomeno di passare il tempo libero da sola. Voleva correre, allenarsi con la spada, azzuffarsi con il suo amico fino ad essere ripresi e messi in punizione in cucina, pertanto nell’ordine: aveva tentato di sgattaiolare oltre la porta della sua stanza cercando anche un modo per aprire la finestra da fuori; si era poi appostata in corridoio dietro ad un cesto di vimini alto quanto le sue gambe in attesa che qualcuno passasse per imbucarsi di nascosto, ma il tempo si era dilatato al punto da addormentarsi seduta con la schiena al muro e svegliarsi nel proprio letto al piano di sopra. Poco prima della cena del primo giorno, si era intestardita a sufficienza da non avere nemmeno più intenzione di dare adito alla fantasia: con una raccolta di fiabe sotto il braccio, si era diretta di gran lena verso la sua unica destinazione davanti agli occhi perplessi di tutti coloro che la incontravano; era a un passo dalla vittoria, con un piede già oltre l’uscio e il libro sul comodino, quando una presa l’aveva afferrata e sollevata di peso per portarla via. 

- Quando imparerai a rispettare ciò che ti viene detto?! - aveva tuonato il Generale incurante delle proteste e del suo divincolarsi. 

Nonostante le ripetute minacce di un ennesimo castigo, la bambina aveva deciso di riprovare a compiere la propria missione il giorno successivo. André non poteva stare peggio, aveva considerato fra sé e sé, finalmente nessuno si sarebbe opposto alla sua visita di cortesia. Tanto più che, si era ricordata, le era capitato un’infinità di volte di assistere alla partenza dei genitori per andare a trovare qualcuno indisposto o ferito, perciò sentiva di avere il diritto di fare lo stesso. Aveva atteso fino la fine delle lezioni del pomeriggio, si era diretta verso il piano della servitù ancora con la spada in mano dopo l’esercitazione, ma i suoi buoni propositi non avevano potuto nulla contro il tempismo della nonna, ormai abituata ai suoi piani non troppo segreti.  

- Domani potrai vederlo, forse. - l’aveva bloccata la donna chiudendosi la porta dietro le spalle con un catino pieno d’acqua in mano e un panno bagnato. Né forse domani erano parole che Oscar voleva sentirsi dire e ricominciò a lamentarsi a bassa voce mentre seguiva la governante.  

Le ore erano passate lentissime benché la compagnia delle sorelle a cui era stata affidata fosse piacevole, ma la sua mente non pensava ad altro che al suo amico. Pur di scappare si era perfino fatta venire il singhiozzo, così da essere di disturbo e doversi congedare da loro.  

- Vi saluto, - aveva sentenziato la bambina saltando giù dalla poltrona - André conosce il modo per far passare il singhiozzo... - ma non appena le sue parole avevano raggiunto le orecchie di quelle ragazzine tutte spaventosamente simili l’una all’altra, la maggiore l’aveva trattenuta con una mano e rimessa a sedere.  

- Potresti almeno essere meno bugiar...- ma il rimprovero si era interrotto poco prima della fine, quando il femminile stava per sfuggirle e le altre presenti l’avevano gelata con lo sguardo. - Stai qui e non muoverti. - si era ripresa, mentre mentalmente contava sul fatto che la piccola fuggitiva fosse troppo distratta dalla delusione.  

*** 

Arrivò finalmente il terzo giorno e Oscar era decisa a raggiungere il proprio obiettivo. Per farlo, però, la notte prima aveva cambiato strategia: era necessario agire in modo molto più discreto. Durante le lezioni si comportò in maniera impeccabile, le esercitazioni passarono veloci e nelle pause non diede l’occasione a nessuno di rincorrerla per casa. Seppur difficile, sapeva che fosse necessario. Voleva rivedere André e nulla glielo avrebbe impedito. Certo, un angolo della mente le continuava a gridare di infrangere il divieto perché il suo amico era più importante, ma riuscì a trattenersi e di questo ne andò molto orgogliosa.  

Alle quattro e mezza precise, come ogni venerdì grand-mère giunse in giardino a chiamarla: doveva scendere da cavallo, il tempo per imparare per quel giorno era finito e l’aspettava la merenda in sala da pranzo. Con la consueta educazione del caso, la piccola si congedò dal maestro e, tornata con i piedi ben ancorati al suolo, si diresse verso casa. C’era quasi, lo sentiva, ancora un po’ di pazienza e avrebbe potuto tornare all’unica attività che in quei giorni la stava ossessionando.  

Seduta da sola, Oscar sembrava ancora più minuta rispetto alla grandezza della stanza e dello stesso tavolo su cui mangiava della frutta tagliata con cura quasi maniacale dalla cuoca. Non era bello fare merenda senza sfidarsi a chi avrebbe finito prima per poter tornare a giocare il più in fretta possibile, senza i rimproveri della nonna che tentava di riportarli all’ordine e all’educazione, ma, soprattutto, senza che nessuno la facesse ridere per niente. Si rese conto in quel momento che se anche quel pomeriggio la tattica scelta non fosse andata a buon fine, avrebbe sfondato ogni resistenza e sarebbe entrata in camera di André a costo di svegliarlo, buttarsi a terra e fare i capricci.  

- Non avrei mai pensato di assistere ad una merenda tanto silenziosa... - affermò la governante entrando nella sala da pranzo per togliere il piatto vuoto. Nell’avvicinarsi alla bambina, notò sul suo volto un’espressione concentrata e un po’ malinconia: doveva annoiarsi terribilmente, povera creatura. Non era una casa per bambini, quella, a stento lo era per le ragazzine più grandi che di lì a qualche anno l’avrebbero comunque lasciata per proseguire per le proprie strade. Le passò una mano tra i capelli biondi per pettinarglieli, ma il suo sguardo incupito la dissuase dall’indugiare troppo in quel gesto d’affetto.  

- Marie, io voglio vedere André. - esordì Oscar in un tono perentorio che con lei non aveva mai usato. Una giornata intera contenendo le proprie velleità di salvatrice del prigioniero, di buoni propositi che oscurassero le quarantotto ore precedenti buttati via in un minuto. Tanto più che non aveva mai chiamato la donna per nome, ma le poche scorte di pazienza che scorrevano nel suo corpo erano ormai terminate ed era pronta a protestare contro chiunque.  

La donna, seppur indignata dalle cattive maniere che aveva tirato fuori, ne comprese il motivo. Al nervosismo di una situazione che vedeva la sua piccola in difetti, infatti, si era aggiunta la stanchezza della settimana che stava per concludersi e che la rendeva ancora più irritabile. Il Generale non voleva che si desse retta ai suoi capricci, soprattutto se le rimostranze erano maleducate, ma grand-mère non aveva cuore di punirla come faceva il padre; il cucchiaio di legno, al massimo, era uno spauracchio che conservava per il proprio nipote. Ciò nonostante, non poteva lasciargliela vinta così, doveva imparare a comportarsi bene anche quando non aveva quello che voleva e a controllarsi. 

- Oscar, non si comporta così l’erede di una grande famiglia nobiliare! - le rispose con una mano sul fianco e l’altra a reggere il piatto di ceramica vuoto. Il suo volto accigliato la squadrò dalla testa ai piedi nella pretesa di una scusa che, però, non sembrava voler arrivare.  

Al contrario, infatti, la bambina sbuffò e alzò gli occhi al cielo, dondolando con le gambe sotto al tavolo. Nonostante i ripetuti inviti a riparare all’errore, le sue labbra non si mossero e, anzi, si chiusero in un mutismo impenetrabile. Se non le avessero dato il permesso di andare a tenere compagnia all’amico non avrebbe parlato mai più. O quantomeno finché non fosse stato strettamente necessario. Incrociò le braccia al petto e la sua espressione si fece ancora più offesa ad ogni occhiata furtiva che lanciava alla nonna mentre continuava a sparecchiare, nel tentativo di avere una reazione.  

Nulla. Dopo averla esortata a moderare i toni per l’ennesima volta, la donna smise di darle retta e tornò alle proprie faccende come se nulla fosse. Di tanto in tanto le si rivolgeva per chiederle se volesse ancora qualcosa, ma davanti al suo silenzio non fece altro che riportare il bicchiere e il cestino del pane in cucina.  

Il confronto muto e a distanza tra le due proseguì per oltre mezz’ora, con Oscar ancorata alla sedia che si rifiutava perfino di parlare con le altre cameriere e con la madre, tornata da Versailles prima del tempo e perplessa nella scoperta di quella piccola tragedia che si stava consumando in casa propria. Nel tono più comprensivo che riuscì a trovare, Madame cercò di spiegarle che se il dottore aveva deciso di tenerlo separato da lei era per il bene di entrambi e che più avrebbe riposato ora, più sarebbe stato in forze per giocare una volta ripresosi dalla febbre.  

Le parole della madre sembravano convincenti e in parte lenirono il bruciore dell’indignazione per il divieto che ancora pendeva su di loro, ma non lo furono abbastanza per calmarla del tutto. Rimase zitta, ma quantomeno distese le braccia e alzò lo sguardo su di lei. I suoi grandi occhi azzurri cominciarono a inumidirsi di lacrime, il naso si arrossì così come le guance e in pochi istanti un pianto disperato esplose nella sala da pranzo. Madame tentava di consolarla, facendola sedere in braccio sulla stoffa morbida del suo grande abito azzurro, in un abbraccio che la lasciò libera, per una volta, di sfogare la propria frustrazione. Oscar cercava di spiegarsi davanti alle richieste amorevoli della madre ma tutto ciò che riusciva a dire veniva fuori in modo confuso, poi si strinse alle spalle della donna come se fossero un’ancora di salvezza e accettò il bacio che le diede sulla guancia. 

- Se tu mi prometti di tenere la porta aperta e di non sederti troppo vicino, - disse Madame quando le lacrime cominciarono piano a scemare, - potrai stare una mezz’oretta con André prima di cena. D’accordo? 

La piccola si allontanò dalla sua spalla con gli occhi ancora umidi e una mano ad asciugare la guancia. La fatica di quel pianto a dirotto le aveva quasi fatto dimenticare il motivo di tanta disperazione, ma risentire finalmente il nome del suo amico accompagnato al permesso di poterlo rivedere le rischiarò il volto, dove apparve un bel sorriso dopo tanta tristezza. Annuì con il capo e l’abbracciò di nuovo, felice di non avere più alcun ostacolo davanti a sé.  

- Grazie infinite, madre... - rispose lei per poi correre dalla cameriera che l’aspettava con il braccio scostato per prenderla per mano e accompagnarla dove tanto desiderava andare. 

Madame la osservò saltellare via nel fiume di parole che tornava a scorrere dalle sue labbra, poi, non appena fosse sicura di non essere più sentita dalla diretta interessata, si rivolse alla governante che la guardava con aria leggermente contrariata. - Lo so che cosa volete dirmi, - si giustificò con una risata sommessa, - ma non avrebbe mai smesso di piangere e sarebbe andata a dormire così. 

- Vostro marito non sarà contento. - commentò seria grand-mère. 

- Temo dovrà incassare una sconfitta, questa volta. 

*** 

Tre colpi di nocche sulla porta annunciarono l’arrivo di qualcuno. Probabilmente era già ora di cena, il tempo passava lentamente da quando era confinato in camera e André bramava ogni momento in cui passavano da quelle parti per controllare come stesse.  

Il bambino si sedette meglio sul letto aggiustandosi la coperta in grembo e il cuscino dietro la schiena, mentre l’uscio si apriva e la cameriera entrava nella stanza per avvicinarglisi.  

- Si mangia? – esordì il malato, ormai senza febbre né spossatezza e per questo più affamato di un lupo.  

- Ancora non è pronto. - gli rispose lei, nascondendo un mezzo sorriso nel notare un’espressione di disappunto sul suo volto. – Ma forse ti aspetta qualcosa che ti solleverà l’umore comunque… - e, nel dire ciò, fece cenno a qualcuno di avanzare.  

Dal corridoio prima si sentirono dei passi leggeri avvicinarsi e, subito dopo, sbucò da dietro la cornice di legno una chioma di capelli biondi e un paio di occhi azzurri che lo guardavano impazienti.  

André si illuminò ed esclamò il nome di Oscar incurante del colpo di tosse che lo scosse immediatamente dopo. La bambina si allontanò appena così da rispettare una delle due raccomandazioni fatte da Madame, poi afferrò il libro che aveva lasciato sul suo comodino prima che il Generale la portasse via di peso e corse verso il fondo del letto. Lo scalò e, una volta seduta a gambe incrociate davanti a lui, congedò educatamente la donna che li lasciò ai propri discorsi ricordandole che tra mezz’ora sarebbe tornata. 

- Dov’eri? Io ti aspettavo! – domandò il bambino, contento di avere finalmente la compagnia che desiderava. 

- Ci ho provato, davvero, però continuavano fermarmi. È stato difficile, sai? 

- E come hai fatto oggi? 

Oscar si strinse nelle spalle. Non avrebbe mai potuto rivelargli della discussione con la nonna né tantomeno delle lacrime: cosa sarebbe successo se avesse scoperto del suo momento di debolezza? L’avrebbe sicuramente presa in giro, additata come una femminuccia e non poteva permetterlo a nessuno, men che meno a lui. 

Il tempo insieme riprese a scorrere con la consueta rapidità, fitto di parole, risate e racconti. André voleva sapere tutto quello che la sua amica aveva fatto in quei tre giorni separati. Chiedeva ogni dettaglio, anche i più insignificanti, pur di avere un assaggio di cose che quella brutta influenza gli aveva precluso, benché il racconto delle avventure in solitaria gli trasmettesse una punta di malinconia. Avrebbe voluto viverle anche lui, esercitarsi con la spada e a cavallo insieme alla sua compagna di giochi, invece di rimanere sotto le coperte a dormire. Pensò di aver sprecato un sacco di tempo, delle occasioni memorabili impossibili da recuperare. 

- Non ti preoccupare. – lo rassicurò Oscar non appena si accorse che non stava più ridendo del precettore che aveva rischiato di inciampare sul tappeto leggermente scostato di gradini. – Ci saranno altre volte! 

André scosse la testa e annuì, poi accettò la sua offerta di leggergli la sua favola preferita. Gli piaceva quando la sua amica lo sollevava dall’incombenza di doversi impegnare, ma soprattutto gli piaceva stuzzicarla perché leggeva ancora un po’ lentamente e lui la incalzava a sbrigarsi. Conoscevano quelle storie a memoria, avrebbero potuto recitarle parola per parola, ma lo divertiva troppo sentirla incespicare nelle parole con tanti accenti.  

- E smettila! – lo rimproverò divertita Oscar, che in tutta risposta si vide arrivare a tutta velocità un cuscino.  

Lo scansò all’ultimo e, quando lo riprese, contravvenne alla raccomandazione di rimanere abbastanza lontana dal malato per colpirlo a propria volta, lasciando che il libro cadere a terra.  

Trascorsero gli ultimi cinque minuti insieme prima della cena a darsi cuscinate ridendo, come non succedeva da troppo per i loro gusti, incuranti delle urla che avrebbero potuto far accorrere chiunque per controllare che nessuno dei due stesse finendo l’altro in modo decisivo.  

All’ennesimo colpo i due bambini rimasero distesi sul letto, completamente distrutti ma non abbastanza da non avere più fame. L’inerzia e la stanchezza dava loro l’impressione che fosse tutto divertente, anche le piume che erano scappate dal cuscino e volavano nell’aria per posarsi poi sulle coperte.  

Quando il tempo a loro disposizione finì e grand-mère apparve sulla porta, osservò la scena con rassegnazione. Pensò che fosse inutile raccomandarsi con loro e che insieme sapevano essere impossibili da gestire. Per fortuna si erano scatenati da soli senza farsi male, considerò, almeno nessuno avrebbe dovuto scusarsi per le eventuali ammaccature dell’erede.  

- Forza, è ora di salutarvi! – li avvisò la donna e fece segno alla bambina alzarsi e seguirla.  

Oscar si alzò un po’ ammaccata ma felice e, prima di allontanarsi dal letto, augurò buona cena e buonanotte ad André.  

- Ci vediamo domani… - le rispose lui e ritornò composto sotto le coperte ad aspettare che gli venisse portato il vassoio con il piatto e il bicchiere.  

 

 

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