Caligo

di DarkYuna
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** 1. ***
Capitolo 2: *** 2. ***
Capitolo 3: *** 3. ***
Capitolo 4: *** 4. ***
Capitolo 5: *** 5. ***
Capitolo 6: *** 6. ***
Capitolo 7: *** 7. ***
Capitolo 8: *** 8. ***



Capitolo 1
*** 1. ***


"Nell'oscurità dell'anima,
l'amore può diventare una catena
che ci tiene prigionieri,
una maledizione che non possiamo sfuggire."
- Mary Shelley
 
 
 
 
 
 
1.
 
 
 
 
Se amarla è una condanna… allora che io sia dannato.
 
 
 
 
 
 
 
Nessuno lo nota mai, un giorno qualunque obbligata a sopravvivere, intanto che il sole rifulge, il cicaleccio è solo un vocio di fondo insopportabile e il mondo una prigione priva di fughe, semplicemente ti fermi e ti rompi irreparabilmente.
Inizi, in quel terrificante e preciso istante, a morire.
Le stelle cadranno e i desideri si scialacqueranno, i sorrisi vincolati camufferanno ambizioni di trapasso, la mezzanotte calerà eterna in un cuore d’inverno.
C’è solo un filo invisibile che tiene unita una cucitura malamente lacerata, ed impedisce all’imbottitura di paglia di uscire. Vacillo maldestra su una fune strappata, ubriaca di veleno, ebbra di passato e percorro ad occhi chiusi un tragitto travagliato, schivando per sfortuna le voragini, fin quando ci salterò dentro di mia spontanea volontà. 
 
 
Nessuna malinconia è realmente nuova: le più recenti permettono a quelle più antiche di svelarsi sotto altre forme lancinanti, ma l’essenza è medesima, uguale, identica.
 
 
Semino inquietudine e raccolgo rimpianti, intanto ho indossato un’altra maschera, una della mia non invidiabile collezione di maschere di porcellana e mi accingo a simulare di essere un manichino di cera tra gli altri manichini di cera.
E poi di nuovo daccapo, ancora una volta, l’ultima che sarà sempre la prossima e mai questa. La vita racchiusa in un paio di valige anonime, trascinati alla rinfusa nel bagagliaio della macchina ed un’altra meta, che presto calzerà stretta e dopo la seguente, fin quando non vi sarà più spazio su questa terra dove stanziarsi.
 
 
Aprile è bollente nella punta estrema nel sud-ovest del Regno Unito, un’estate scialba è deflagrata irruente e soffocante, il pianeta si ribella al trattamento d’infamia che persevera indefesso, una richiesta d’aiuto che gli umani superficiali scelgono non accogliere.
Pagheremo tutti, gli errori di molti.
Il navigatore elettronico punzona la meta finale, cinque minuti di strada di un pittoresco borgo marittimo colmo di turisti fuori stagione: Coralba.
 
 
<< È un bel posto. >>, stormisce mesta, mia madre Thalassa.
Osservo di sfuggita il pallido profilo aristocratico, scruta accigliata il paesaggio che scorre indolente al di là del finestrino abbassato. Il corvino della chioma appuntata è svigorito, il viso troppo cereo, l’espressione troppo triste. Non è più lei da tanto.
La postura resta elitaria, seppur infiacchita e debilitata dal lungo viaggio.
Oramai un luogo vale l’altro, non m’affeziono mai, presto ci trasferiremo ancora, un Uroboro imperituro, è un cammino che non avrà mai fine. Mi adeguo, muoio un frammento alla volta e mi perdo nel cielo a mezzanotte.
 
 
Mugugno d’assenso.
<< Saremo il pettegolezzo di domani. >>, blatero distratta, occupata a seguire il tratto. Avvezza ad essere l’argomento preferito di bocche sconosciute, invenzioni fantasiose, chiacchiere insensate. Le streghe destano curiosità, ci siamo abituate. << Speriamo che questi zotici gretti si siano evoluti al secolo corrente e non siano rimasti al 1600. Non ho voglia di finire sul rogo. >>. Osservo con occhio critico Coralba, le strade acciottolate, i numerosi edifici storici, il faro vecchio di almeno cento anni. Adoro i luoghi intrisi di passato, molto meno gli abitanti che ragionano allo stesso modo. 
 
 
<< Hespera! >>, esclama lei a mo’ di rimprovero. << Cosa sono questi preconcetti crudeli? Non sono da te. >>.
 
 
Mi stringo nelle spalle, il rimprovero non sortisce l’effetto sperato.
<< Se non sono io, saranno loro. Preferisco partire prevenuta e ravvedermi, che non concedere il beneficio e restare delusa. >>, replico metallica.
 
 
Mia madre allontana lo sguardo dal panorama, sono al centro dei suoi pensieri adesso.
<< La nostra maledizione non è una scusante per erigere un muro tra noi e loro. Chiudere tutte le porte non è la giusta soluzione. >>.
 
 
Inarco un sopracciglio sarcastica.
<< Non esiste una “giusta soluzione”! La gente muore per colpa nostra, abbiamo le mani sporche di sangue. Trattarli di merda è proprio la cosa migliore che possano augurarsi, per non finire tre metri sotto terra. >>, mi infiammo coinvolta, mentre lei resta calma, distaccata, vuota. Il dolore ha consumato il suo fuoco. 
 
 
<< Sei piena di rabbia, lo so, lo capisco. Stai ancora cercando un modo, ma non sprecare tutta la tua vita per questo… per quanto il fine sia nobile, gli anni passano anche per noi streghe e non torneranno mai più. Vivi al meglio, vivi come puoi, però vivi Hespera. >>. Se ci fosse stata una soluzione, lei ci sarebbe arrivata prima di me, le nostre antenate l’avrebbero scovata molti secoli e secoli fa, e non saremmo sopraggiunti al Tartaro.  
 
 
Le rivolgo un’occhiataccia in cagnesco.
<< Non riprendere questo discorso, per favore: non sono in vena. Non lascerò che nessun uomo mi si avvicini, non voglio che faccia la fine di papà o peggio! >>. E non voglio fare la fine di mia madre che non ha mai davvero superato il lutto, ha smesso di vivere ed è solo un perdurare fino a quando toccherà a lei. << Vivere con il terrore della morte, non è vita. >>.
 
 
<< Non puoi impedire il destino. >>, continua placida. È qui, anche se non del tutto.
Le sue parole giungono come una sfida che non intendo perdere.
 
 
<< Invece sì, posso. >>. Il discorso si chiude brusco, lascia un retrogusto d’amara angoscia nell’abitacolo, un’antica ferita mai cicatrizzata che ci trasciniamo dietro da generazione in generazione, una condanna di atroce sofferenza imbastita nella carne, consumata in una terribile caligo.
 
 
Abbandoniamo il centro di Coralba per dirigerci in una porzione isolata rispetto al nucleo del paesello. Situata su una collina sopraelevata e con una vasta panoramica sul mare, si erige il maniero della famiglia Duskmire.
È la prima volta che vengo qui, ultimo baluardo di una malandata fiducia.
La casa è una struttura a due piani con una progettazione tradizionale. La parte anteriore è adornata da colonne in tocco greco che conferiscono un’impronta di maestosità e magnificenza. L'ingresso principale guarnito con dettagli in ferro battuto. Il tetto è a due falde, rivestito da tegole rosse che aggiungono una sfumatura di folclore.
Il cortile antistante è ampio e ben curato. Ci sono giardini sbocciati con una varietà di piante e fiori, tra cui rose nere naturali, ed arbusti secolari.
Per quanto il sole rischiari questa zona, c’è come un’ombra che aleggia incombente, una tenebra ossuta che non intende dissolversi alla luce del giorno.  
 
 
<< Credevo che nessuno venisse qui da anni? >>, chiedo disinteressata, parcheggiando il SUV all’interno della proprietà privata. Chiaramente qualcuno amministra il maniero in assenza dei suoi legittimi proprietari.
 
 
Mia madre annuisce appena, intanto che si slaccia la cintura e scende dalla macchina.
<< Il custode e suo figlio vengono saltuariamente. >>.
 
 
<< Umani? >>. È la prima volta che permettiamo a degli umani non invischiati direttamente con noi, di avvicinarsi così tanto al nostro mondo.
 
 
<< Non hanno accesso alla casa, possono solo occuparsi del vivaio. Lo fanno da anni oramai. >>.
 
 
Storco il naso, non bado più di tanto a tale dettaglio, gli umani sono solo insignificante rumore bianco sul fondo del barile, il cervello è ottenebrato da altre necessità ed urgenze.
 
 
Gli interni del maniero sono costituiti da molteplici stanze ampie, ciascuna con una funzione distinta. C'è una cucina accogliente con tavolo da pranzo in legno robusto, la grande sala da pranzo abbellita da tende di pizzo bianche e un caminetto spento, la sala centrale possiede un largo tappeto persiano e comodi divani.
In una camera dedicata, è collocato l'altare, un luogo sacro dove vengono condotti i rituali. Ubicato dinanzi ad una finestra con vista sul mare, permettendo l'interazione con le energie naturali durante i riti.
La biblioteca è uno spazio significativo, piena di scaffali che accolgono antichi tomi di stregoneria remota, testi magici e pergamene di originale pelle di pecora con incantesimi. Le pareti sono decorate con simboli magici oscuri e quadri che raffigurano streghe leggendarie della famiglia.
 
 
È da qui che inizierà (e continuerà) la mia ricerca.
 
 
L'atmosfera all'interno della casa è un equilibrio tra il passato e il magico. Le pareti impreziosite da tappezzerie ricche di colori e motivi che raffigurano paesaggi marini.
La luce filtrante attraverso le finestre forgia riverberi affascinanti, il pulviscolo danza leggiadro, mentre il profumo di erbe aromatiche riempie l'aria.
È mentre perlustro la dimora che resto affascinata da un vano in particolare.
Le pareti della stanza sono state dipinte di un colore blu notte profondo, evocando l'immagine del cielo stellato. Sui muri sono appesi drappi e quadri sporchi.
Una grande finestra offre una vista spettacolare sull’intera baia. La spalanco d’istinto per consentire all'aria salina di fluire nella stanza ed alleggerire l’atmosfera pesante di solitudine e polvere.
Il letto, un sontuoso baldacchino con tende indaco, è il fulcro della stanza. Tessuti pregiati, tra cui seta e velluto, fregiano il tutto. Le coperte sono riccamente decorate con fronzoli dorati, elargendo un tocco di lusso.
Di fronte ci sono specchi originari incorniciati con rifiniture auree.
Devono essere passate tante streghe in questa casa, c’è storia palpabile nei mobili di inizio ‘800, episodi che non conosco spirano attorno a me, avverto la magia nella forma più pura: è ovunque.
 
 
Scelgo dove pernottare per le prossime settimane, è questione di poco, non ci fermeremo molto, non possiamo. Meno restiamo, meno legami indugiamo.
La giornata tediosa trascorre come altri mille inizi in precedenza. Scarichiamo i bagagli, ci sistemiamo, prendiamo dimestichezza con la novità che ben presto diverrà consuetudine.
Lo abbiamo già fatto, non è un mutamento, i nostri cambiamenti non portano niente di buono, al contrario ci tolgono. Tolgono la normalità di una vita tranquilla, le radici che non mettiamo mai da nessuna parte, ed un futuro che non prende forma.
Siamo sospese in un bianco limbo dal tempo immutabile, in attesa della sentenza che non si decide a giungere.
 
 
Nelle settimane successive non c’è altro. Davvero.
 
 
Non ho amici, neppure frequento le altre streghe, né quelle di famiglia, né altre. C’è una voragine, poi ci sono tutti gli altri, ma intanto mi tengo stretta la mia prigione, non perché sono in pericolo, proteggo le persone da me stessa.
Il mostro della favola gotica sono io.
Studio zelante i testi antichi presenti nella casa in cerca di un dettaglio, un indizio, un appiglio, qualsiasi cosa che possa essere uno spunto razionale per spezzare la maledizione. È da quasi dieci anni che ci provo, parecchi rituali falliti, leggende artefatte, dicerie infondate tramandate.
Ricostruisco gli avvenimenti dinastici per comprendere dove tutto ha avuto inizio.
Da una parte ci siamo noi, le streghe più potenti ed influenti esistenti sul pianeta, dall’altra un patimento di morte di cui nessuno sa, ma che ci vincola all’eremo.
 
 
L’ultima vittima, di un’interminabile lista di sangue, mio padre.
Ho provato fino all’ultimo a sottrarlo dall’inevitabile, dal famoso destino alla quale mia madre si è rassegnata, mentre io no. Nonostante la devastante sconfitta, so che ancora l’ultima carta del mazzo è nella mia mano e che la partita non è conclusa, fino a quando non sarò io a decretarlo.
Ben presto riprendo la routine stabile, i giorni si susseguono rapidi, si trasformano in settimane infruttuose e i primi due mesi volano via in una disfatta insopportabile, conducendomi ad una noiosissima e vuota estate opprimente.
 
 
Soffoco uno sbadiglio rumoroso, stropiccio gli occhi gonfi e tiro su il naso dall’ennesimo libro dalla pagine ingiallite.
Il cielo s’affresca di uno slavato azzurro all'alba, l'aria è fresca e salmastra. Il sole si erge a rilento all'orizzonte, diffonde una venatura ambrata sul mare calmo, le acque balenano, riversano i raggi caldi.
Il molo è costruito in legno e ha un aspetto rustico ed affascinante. Ci sono diverse imbarcazioni ormeggiate lungo la banchina, alcune delle quali hanno appena terminato la pesca notturna, mentre altre sono in attesa di salpare. Le reti da pesca sono stese al sole per asciugarsi, c'è un'atmosfera di attività frenetica intanto che i pescatori lavorano per scaricare il pesce fresco.
Le barche sono colorate e spesso portano nomi personalizzati, aggiungendo un tocco di carattere al porto. I gabbiani si librano nell'aria, pronti a scendere per un possibile bottino.
L'odore del mare, il suono delle onde che si infrangono sul molo e il canto degli uccelli plasmano un'atmosfera quieta e suggestiva.
 
 
Mi rifugio in questo squarcio di mondo ogni volta che ne ho voglia, a contatto con il mare il fardello sulle spalle si presenta meno oneroso, per un po’ sono normale anche io, una ragazza come tante, non una strega, non funesta, non sola.
Siedo su una delle poche panchine intatte, prendo una pausa da una spasmodica analisi, stiracchio gli arti anchilosati ed un particolare attira l’assonnata attenzione.
 
 
Da una delle imbarcazioni si levano leggere risate maschili, vi sono un paio di giovani pescatori che ridono e scherzano tra di loro, le voci sono mescolate, non metto a fuoco i discorsi. In realtà non presto davvero interesse alle fattezze, ho smesso di interessarmi agli uomini molti anni fa… almeno era quello che credevo.
Siamo sempre alle solite, è la convinzione che mi fotte ogni volta, costruisco muri su muri di cemento, vado in guerra armata fino ai denti, pronta ad affrontare il peggiore dei nemici e poi sono un paio di occhi di mogano ad intrufolarsi nell’unica fenditura nelle difese, e radono al suolo ogni cosa.
È un uomo sui trenta, massimo trentacinque anni, presenza rassicurante e genuina. La pelle è abbronzata dalla costante esposizione al sole del mare, alcune leggere cicatrici sulle mani e sulle braccia, testimonianza delle fatiche del lavoro.
I capelli neri e ricci cadono umidi in modo disordinato sulla fronte, fin sotto le orecchie, danno un tocco di genuinità alle sembianze decise. La ricrescita visibile della barba incornicia il viso, accentuando l’aspetto maturo.
Indossa abiti da lavoro, un grembiule e guanti, sporchi a causa della pesca appena terminata. Nonostante l’innegabile aspetto attraente, gli occhi marroni sono il tratto più caratteristico, caldi e dolci, e quando sorride, lo fa con un'eccitazione sincera, come un bambino che scopre il mondo.
Ha un'aura affabile e un atteggiamento gentile verso gli altri. La figura è atletica, slanciata, snella, però forte.
Nel polso sinistro è ancorato un braccialetto intrecciato fatto a mano con fili colorati sgargianti, è un semplice tocco di brio che si distingue dal vestiario neutro.
 
 
D’un tratto alza lo sguardo timido fino a me e m’inchioda il cuore. È uno strappo inaspettato, un colpo basso, un’eventualità a tradimento.
È  una fitta penetrante al centro del torace, imprevista, confusa, come quando ti pungi con la punta di un ago nascosto alla vista e ti ritrai d’istinto per appurare il danno. Guardi stizzita il foro che sanguina e provi rabbia per esserti fatta stupidamente male, un po’ ti biasimi e un po’ ti commiseri.
Il dolore però dura un attimo, metti il disinfettate, un cerotto e dimentichi in fretta.
Il dolore che m’investe ora infuria durevole, è coercitivo, autocratico, più lo guerreggio e più rischia di trucidare empio, squarcia fuori il cuore dalla gabbia toracica e lo stringe fino a farne polvere. I nodi nell’anima vengono falciati uno ad uno, le priorità sradicate, la mia missione perde d’importanza, le sofferenze smarriscono nerbo, non rammento neppure perché sono qui, che senso ha ogni cosa attorno a me o chi sono. Dal cumulo reciso tuttavia, perviene un filo scintillante spoglio da legature, si distacca dalla mia oscurità per imbattersi a metà strada con il filo scaturito dal petto dello sconosciuto sulla barca, concependo infine un vincolo indissolubile.
 
 
Sorride ad uno dei suoi amici che gli parla, lo fa per cortesia, la sua testa è impegnata e distratta e assente, prosegue a smistare il pesce in un riflesso meccanico, e di nuovo le iridi terrigne è me che esaminano. Rammenta un bosco d’autunno dopo un temporale violento, odore fresco di corteccia ruvida, un falò crepitante nella notte alla quale vorrei fermarmi a riscaldare, un cavallo selvaggio che corre libero in una radura all’imbrunire.
Così terreno, così virile, così umano.
 
 
È in quel preciso istante che un altro pezzo si frammenta, divengo un puzzle che si dissolve, un ammasso di avanzi sfigurati.  
 
 
Azzarda un’occhiata in più, una di troppo, ed un’altra ancora. Conosco quello sguardo, la luce del desiderio che brilla in lui accecandolo, la porta che intende sfondare se non impedisco sul nascere qualsiasi accesso alla follia.
Conosco anche la mia di reazione, il cuore brucia tormento, la speranza che arde nel buio, una brama straziante che si dibatte feroce nell’anima.
Ho detto a mia madre che non mi sarei mai sottomessa al destino, che lo avrei combattuto con ogni cellula del mio essere, invece l’ho già fatto, sono in ginocchio, prostrata ai piedi di una sorte che deride crudele. E non posso fare altro che arrendermi ad esso.
 
 
Raccatto stizzita i libri, devo essere razionale, non è più tempo di sogni e speranze, e, sotto una combinazione di sorpresa, delusione e confusione dell’uomo, vado via piccata senza mai voltarmi indietro.










Note: 
Ultimamente la Musa Ispiratrice è benevola, forse quest'anno è stata più fruttuosa che in tutta la mia vita, quindi ne approfitto fino a quando posso e quindi ecchice qui con una nuova long. 
Inizio già io con l'essere super critica, perché forse avrei potuto impegnarmi un pochettino di più, ma la storia è venuta fuori così, quindi niente boh, spero che possa piacere a qualcuno. 

La stesura della storia è già completa, quindi, salvo imprevisti, pubblicherò come mio solito un capitolo a settimana fino alla fine. 


I posti ed i personaggi sono completamente inventati da me e nulla di quello che ho scritto è vero.


 

Non accetto insulti, commenti idioti, critiche gratuite senza un vero motivo logico. Non verranno accettate nemmeno le critiche pesanti, con i "non ti offendere", sperando che io non mi offenda. Verranno segnalate al sito e poi cancellate. Se non vi piace, nessuno vi obbliga a leggere e soprattutto a commentare.


La storia può presentare errori ortografici, dato che preferisco non sottoporre le mie storie a nessuna Beta.

 

Un abbraccio.
DarkYuna. 


 

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Capitolo 2
*** 2. ***


2.









La ventura ha per noi labirinti ciechi e funerali dell’anima da peregrinare lungo tutta una vita, le sue cagioni non sono mai quelle che ci aspettiamo, ma tra le più crudeli.  Una danza fatale tra il lutto e il desiderio, in mezzo al crepuscolo eterno e alla luce sfuggente.
Apriamo gli occhi quando la fine è ad un metro.
Non v’è salvezza.
Mai.
 
 
Ad un certo punto del mattino, quando le ombre della notte sono ancora intrecciate ai sogni di fiele, i destini si scontrarono in un'armonia tragica. Il chiarore pallido del sole, come un pugnale di lutto, squarcia il soffitto, svelando il vuoto che scava abissi e tragedie.
Per la prima volta, in trentadue anni, mi sento sola. Mi consumo, mi dispero, mi spengo. E sono davvero sola.
Sono un carillon rotto in una stanza dimenticata nella polvere di in un cereo e rigido inverno di neve, di cui nessuno udirà mai la nenia, perché non esistono mani abbastanza pazienti in grado di aggiustarmi, assisto allo scorrere del tempo e sono spettatrice passiva della vita.
La verità è che qui ho fatto un altro buco nell’acqua e non voglio ammetterlo.
Sono anni che mia madre mi segue in un silenzio rassegnato nella mia insania in giro per il mondo, sappiamo entrambe che non v’è soluzione per la maledizione, che siamo segnate, lo siamo tutte, costrette all’esilio per un delitto di cui non siamo peccatrici.
Eppure rinunciare è più desolante che seguitare nella follia.
 
 
Affondo il viso nel cuscino, c’è olezzo dolciastro di salsedine e terra, un filo di frescura alita dalla finestra aperta, gli uccellini si svegliano nel giardino, le onde si infrangono giù dalla scogliera. La pace mi trangugia, ma non trovo più conforto in essa, ha smesso di essere un porto sicuro.
Un porto… già.
Rotolo da un lato del capiente letto, fisso l’indefinito del marmo bianco ed iridi al sapore di bosco autunnale splendono nel cervello.
Sorrido tra me e me. Come ho potuto trovare attraente un pescatore? Uno che molto probabilmente odora di pesce dalla mattina alla sera.
Io, poi, che già odiavo il pesce, ancor prima di diventare vegana.
Eppure c’è un alcunché, un sussurro velato al vespro, nell’ultimo lampo di un sole vibrante, che non riesco ad estinguere. Qualcosa che s’agita sul fondo del cuore, una leziosità dolcissima che s’attacca ed imprigiona.
 
 
Un frastuono brusco, che si ripete ritmicamente, invade inaspettato nella pacatezza del mattino.
Innervosita balzo sul pavimento freddo e a passo di carica vado alla finestra, pronta ad incenerire chiunque stia facendo tale fracasso, ma il cagionante non è l’anziano custode che è venuto nelle settimane precedenti. Beh, a meno che non sia divenuto un aitante Antinoo nella più appetibile variante eterosessuale.  
Un giovane uomo sguarnito di maglia, si sta prendendo cura del giardino con un tosaerba vecchio modello, uno di quelli che farebbero invidia ad un treno a carbone.
Spalanco le palpebre sconvolta… è il pescatore del giorno prima! Stavo pensando a lui neppure tre secondi fa. 
 
 
Il giorno mette in risalto la pelle dorata. Il corpo è prestante, con una muscolatura definita ma non eccessivamente sviluppata, segno di una vita attiva e di un lavoro fisicamente impegnativo.
Le gocce di sudore perlacee si formano sulla pelle, scivolano lungo i muscoli tesi e guizzanti. Il viso è concentrato, i capelli neri e ricci disordinati, sudati, morbidi.
Emana una sorta di virilità caratterizzante, una bellezza semplice e genuina, che non lascia per nulla indifferente.
Il cervello s’avvita in un girone infernale di riflessioni oscene, illeciti scenari voluttuosi e peccati carnali, gemiti rotti nella penombra dell’oblio, piacere rovente tra lenzuola nere. Vengo inghiottita in un turbine di roghi e cupidigie, le vampe corrompono, inquinano, avvelenano… posso quasi saggiare quel corpo penetrare incontrollato alla ricerca disperata della perdizione di sé, un godere tenebroso che deflagra, un ossessione vorace, un delirio incessante.  
 
 
L’uomo solleva lo sguardo su di me, spegne in tutta fretta l’aggeggio diabolico e lo poggia a terra, aprendosi nel sorriso più genuino e puro mai incontrato. Un’opera d’arte di rara bellezza, fa dimenticare le preoccupazioni in cui annego regolarmente, pestare più forte il cuore, perdo totalmente il controllo delle riflessioni e delle azioni. Anche la maledizione scapita nerbo, la rilego all’ultimo posto di una top ten, nella quale, le prime nove posizioni, sono sfacciatamente conquistate dall’uomo nel mio giardino.
 
 
Esamina nemmeno fossi l'unica persona al mondo, come se tutto fosse giusto e possibile. Proprio come il giorno prima.
Quell’occhiata, quella della speranza di una possibilità, quella dannata occhiata, è qui presente, palpabile e non c’è modo di frenarla.
<< Buongiorno signorina. >>, saluta gentile, il sorriso onnipresente. La voce è una melodia profonda ed avvolgente, capace di catturare l'attenzione di chiunque lo ascolti. Un baritono caldo e sicuro di sé, con un leggero accento che rivela le radici locali. << Chiedo scusa per il rumore, l’ho svegliata? >>.
 
 
Non mi ha chiamata “signora”: guadagna di diritto dieci punti.
Puntello il gomito sul parapetto, gravo il mento nel palmo della mano. Fingo distacco e disinteresse, in realtà dentro un vulcano s’è risvegliato dopo anni ed anni di inattività. Apprezzare i frutti di Madre Natura non è così grave, un mero interesse non può innescare la maledizione, nessuno corre pericolo oggi se godo un po’ anche io della bellezza di un uomo mezzo nudo che si prodiga ai miei servigi.
<< Chi sei? >>.
 
 
Batte più volte le palpebre, tira indietro i capelli umidi nel gesto più semplice e al contempo più erotico mai visto. Sono quasi abbacinata.
<< Aidan Whitethorn, signorina: il figlio del custode. Mio padre non è potuto venire, quindi lo sostituirò io per le prossime settimane. >>.
 
 
Il destino ha davvero deciso di metterci lo zampino e di rendermi la vita più difficile di quel che già è.
Ho incontrato il vecchio custode un paio di volte, è mia madre ad occuparsi degli umani, io non sono brava con i rapporti, preferisco tenermi lontana da chiunque; percepisco il pericolo alitarmi sul collo, ed è un respiro gelido come la morte. Temo che questo secondo incontro non sia casuale, che le trame della sorte si siano messe in moto e che alla fine piangerò. E molto.
Tuttavia, nonostante tutti i campanelli d’allarme stiano a squillarmi nelle orecchie come le campane della chiesa durante la messa cristiana della domenica, faccio la cosa più stupida che una strega intelligente e sagace come me possa fare.
 
 
Schiocco la lingua al palato, inarco un sopracciglio, la mimica si fa maliziosa.
<< Hai sete Aidan? >>. Non è un semplice invito, lo so io, lo sa lui. È il preludio a qualcosa di più, gli spiano un tappeto rosso sangue per entrare nella mia vita, lo sto punendo ad una fine atroce. È solo un bicchiere d’acqua, mi ripeto, una gentilezza che di norma non elargisco mai, voglio ingannarmi di non essere io la prima a cercare un pretesto per un epilogo diverso.
 
 
Ci pensa su relativamente poco, annuisce un paio di volte: l’occasione diventa concretezza.
 
 
Faccio un cenno.
<< Entra. Ti apro. >>.
Cos’è che sto cercando di fare?
Dimostrare a me stessa che sono più forte di una maledizione secolare? Che verrò risparmiata? Che affrontandola di petto riuscirò a vincerla? Che se non posso spezzarla, posso ingannarla? Che con me sarà diverso?
Cosa?
Cosa spero?
Di vincere mettendo in pericolo un’anima innocente?
È strano. Tutto strano. Troppo strano.
Non è una situazione nella quale sono a mio agio, non invito un umano attraente in casa, sono molto più rigida nelle regole di quanto possa sembrare.
 
 
Lo analizzo, esamino, osservo, studio.
Da vicino ha un’ascendenza letale sul sistema nervoso, non odora di pesce come avevo superficialmente ipotizzato, anzi, profuma di pulito e fresco, perfino il sudore non emana un fetore repellente. Non ho proprio nulla a cui appellarmi per fare un passo indietro, qui sono gli ormoni a capeggiare l’istinto.
 
 
Tracanna assettato l’acqua direttamente dalla bottiglia di vetro, non si accorge subito di essere l’oggetto di analisi taciturne e chimere scarlatte, è più impegnato ad ispezionare l’arredamento della cucina, e della casa in generale.
Se sta cercando una qualche prova che possa smascherarci o una traccia di soprannaturale, si sbaglia di grosso. Siamo streghe, non stupidi umani.
 
 
Resto lontana, ancorata al mobilio, un felino che sorveglia la propria preda, in attesa tra le ombre di un passo falso per divorare.
<< Ti occupi di interni? >>, domando sardonica, dato l’interesse lampante che mostra.
 
 
Deglutisce goffo, sorride imbarazzato per essere stato colto in fallo.
<< No, è che in realtà non ero mai entrato qui dentro. >>, afferma sincero e sbalordito, come se vi fossero grandi dicerie e maldicenze sul maniero e su chi vi abita, e suppongo che debba essere così. Un posto solitario, in cima ad una collina, dove non c’è mai nessuno e che in passato è stato coinvolto in vicende misteriose. Le basi tipiche per tracciare voci e calunnie.  
 
 
<< Immagino tu sia entrato in tutte le case del paese? >>, replico pungente, per spegnere l’espressione sbigottita che m’infastidisce. È palese che per lui questa casa è diversa.
Le prove di coraggio si fanno a quindici anni, non a trenta suonati. Già me lo vedo correre in centro per spifferare chissà quale baggianate inventate, magari domani mi ritrovo sul serio su un rogo in piazza, all’ora di pranzo, giusto in tempo per il dessert.  
 
 
Poggia la bottiglia sul tavolo, si rende conto del tono stizzito.
<< In realtà sì, sono un tuttofare e spesso aggiusto, costruisco, taglio l’erba… >>, indica il giardino con il pollice, per sottolineare che è qui per questo motivo, << … mi adatto. >>.
 
 
Mi soffermo un secondo di troppo sulle mani, grandi, affusolate, che possono afferrare con forza una rete pesante e, allo stesso tempo, sfiorare con dolcezza la pelle di una donna. E la peluria sul torace, non eccessiva, scura e dannatamente sexy.
Annuisco appena, allontano in fretta lo sguardo, quell’uomo è una tentazione vivente e il fatto che sia mezzo nudo nella mia cucina non aiuta affatto. Mantengo decoro, contegno ed impassibilità, la mia imperturbabilità è leggenda.
<< L’acqua puoi tenerla. >>, dico gelida, per chiudere la conversazione e farlo uscire di casa. Non sono brava nei discorsi, mia madre è perfetta in questo, un’encomiabile padrona di casa, ma oggi non è qui, è andata a Gleannach per il fine settimana, la città confinante a dieci minuti di macchina, a trovare il parentame.
Se non posso farne a meno, evito di mescolarmi con le altre streghe, siano esse del mio stesso sangue o meno. Soprattutto le prime.
La maledizione ha gettato il caos nella nostra stirpe, quindi che ognuna si tenga il proprio caos senza infettarci a vicenda, non voglio avere nulla a che fare con loro.
 
 
<< Non dovrebbe far entrare degli sconosciuti in casa. >>, prorompe improvvisamente, come se fosse la prima cosa venuta in mente da dire per impedirmi di andarmene.
 
 
Inarco le sopracciglia, un sogghigno scioglie i lineamenti rigidi.
<< Temi per me o per gli sconosciuti? >>.
 
 
La domanda strampalata lo coglie alla sprovvista.
<< Per… lei… signorina. >>.
 
 
Gli lancio uno sguardo eloquente, sono gli sconosciuti che dovrebbero avere timore di entrare in casa, non il contrario. Se un malintenzionato dovesse decidere di farmi del male, si ritroverebbe in dieci secondi sotto tre metri di terra, morto stecchito.
Tra i due, quello in pericolo è lui.
<< Dormi sogni tranquilli, Aidan. La casa è aperta per te, se vuoi tornare a dissetarti hai libero accesso. >>. Proseguo a camminare, lui ci riprova di nuovo.
 
 
<< Si fida così? Di uno sconosciuto? >>. Pare il cardine base delle sue inquietudini.  
 
 
Mi stringo nelle spalle indifferente, da un lato mi divertono i buffi tentativi di trattenermi. È palese che stia cercando un modo del tutto goffo ed impacciato per conversare: non ci sa proprio fare.
<< Ti chiami Aidan, no? >>.
 
 
<< Sì, signorina. >>.
 
 
<< Vedi? Non sei più uno sconosciuto. >>.
 
 
Fa un passo verso di me.
<< E lei? Signorina? >>.
 
 
Sospiro appena, la mia freddezza ha effetto negativo sulla sua timidezza, è in difficoltà, gli concedo un armistizio, dopotutto neppure io voglio che la chiacchierata si concluda così.
<< Hespera. >>. Gli offro la mano cordiale, non se lo fa ripetere due volte e, prima di ricambiare entusiasta, si pulisce le mani sporche di terra ed erba sui pantaloni. Sceglie dei modi del tutto spontanei ed involontari per essere eccitante, oppure è il mio cervello a vedere cose eccentriche dove non ci sono. La presa è avvolgente, decisa, nondimeno gentile. << Sei quello del porto, vero? >>. Con un’abilità provetta da attrice consumata, fingo di riconoscerlo solo ora.
 
 
<< Sì signor… Hespera. >>. È felice che sia, in qualche modo, rimasto impresso. E non immagina neppure quanto.
 
 
<< Coincidenza, non trovi? Ieri al porto, oggi in casa mia… chissà domani dove ci rincontreremo? >>. Le frasi hanno un significato recondito, come se non fosse del tutto casuale la sua presenza. Dubito che sia la maledizione, non è così che agisce di norma, penso che abbia combinato lui stesso una maniera per venire al posto del padre.
 
 
<< Un caffè? >>, propone, meravigliandomi.
 
 
<< Come? >>.
 
 
<< Io… no niente, volevo invitarti a bere un caffè domani. >>. Si gratta impacciato la nuca. Ci stava rimuginando da quando l’ho fatto entrare in casa. << O un succo di frutta se non ti piace il caffè, o non lo so. Se non ti piace niente, va bene un bicchiere d’acqua. Ti piace l’acqua? >>.
Non posso fare a meno di sorridere, il suo modo impacciato e maldestro di comportarsi stecca di netto con l’apparenza seducente. Non te lo aspetti da un uomo così affascinante di essere una frana nel provarci con una donna.
 
 
<< Mi stai chiedendo davvero se mi piace l’acqua? >>. È così assurdo che non riesco a credere alle mie orecchie.
Se avessi delle migliori amiche, sarebbe l’argomento notturno di gossip vivaci tra ragazze.
 
 
<< Io, beh, credo di sì… sì. >>. È sbalordito da se stesso per la stupidità delle domande.
 
 
<< Sì, penso che l'acqua mi piaccia. È fresca, dissetante... me la farò andare bene. >>. Trattengo l’eccesso di risa. Mi avvio verso il corridoio, scoppierò a ridere quando non potrà più sentirmi. << Una colazione. Domattina alle nove, signor factotum. Dimmi dove e mi farò trovare lì. >>. Come fai a rifiutare un invito del genere, con un tizio così adorabilmente imbranato?
 
 
<< Potrei passare a prenderti io? >>, si offre di getto. << Se per te non è un problema, ovvio. >>.
Ha proprio deciso di interpretare il ruolo del principe scolorito che salva la povera donzella indifesa. Peccato che io non sia una donzella indifesa e questo non è un film della Disney. Io sono la strega cattiva della favola.
È la prima volta che lascio il timone in altre mani, voglio capire fin dove arriverà questa imbarcazione e in che acque m’immergerò.
 
 
<< Sì okay, va bene. >>.
 
 
S’illumina d’arcobaleno e fulgori, il sorriso coinvolge gli occhi grandi.
<< Oh bene! Fantastico! Grazie. >>.
 
 
Addirittura mi sta ringraziando?
<< Chiudi la porta quando esci di casa. Sia mai entrino altri sconosciuti di cui tu debba preoccuparti. >>. Scuoto la testa, ed esco fuori dalla cucina, sghignazzando rallegrata.
 
 
<< Sì giusto. Grazie. Farò un altro po’ di rumore, poi giuro che mi toglierò dalle scatole. A domani! >>, strepita, angustiato che non riesca più ad udirlo.
 
 
Ad ogni passo che getto tra me e quell’uomo, l’umore riprende ad essere tetro e melodrammaticamente decadente, mi rendo conto di aver fatto una sonora cazzata, un’efferata debolezza che non avevo mai permesso accadesse in precedenza, un errore madornale che non doveva neppure capitare per sbaglio.
Non ho buttato una vita intera di eremo ed isolamento per giusta causa, per farmi fregare dalla turbolenza ormonale di un’adolescente instabile e mettere in pericolo la vita di qualcuno che non sa neppure in che calamità si sta cacciando.









Note: 
Ecchiceeeeeeeeeeeeee bella gente con il secondo capitolo di questa storiellina piccina.
OKAY LO SO, la trama è scontatissima, però non giudicate solo da questi primi capitoli, date una possibilità a questa storia, perché vi prometto che il bello deve ancora arrivare.

Da una parte abbiamo Hespera, una strega aristocratica, facente parte di una delle famiglie più prestigiose nel mondo della magia, dall'altra abbiamo Aidan, un uomo semplice, umile, un tuttofare dall'animo gentile e parecchio ma PARECCHIO impacciato.
Riuscirà Aidan a scongelare il cuore della bellissima Hespera? 
E la maledizione colpirà anche lui? Schiatterà o riuscirà a sopravvivere? 

Ringrazio i fantasmini che stanno leggendo, ricordate (se lo desiderate) di lasciarmi qualche piccola recensione, così da aiutarmi a migliorare e sapere cosa ne pensate. 

 

La storia può presentare errori ortografici.

 

Un abbraccio.
DarkYuna. 

 

 

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Capitolo 3
*** 3. ***


3.









La paura si insinua in una lama gelida nelle vulnerabilità, fendono il coraggio, mentre si approssima la cognizione di aver abbracciato una fatalità di cui poco ho nozione, se non che è irrevocabile, feroce, spaventosa… e il timore dell'ignoto inquina l'anima, un assenzio indolente che si conficca nelle crepe, sferrando infine la trappola fatale.
È la spasmodica fregola di normalità, di liberarmi della Spada di Damocle che punta minacciosa alla mia testa, perfino della stregoneria che scorre nelle vene, vorrei essere semplicemente io.
Non Hespera la strega, Hespera la figlia della potente Thalassa, Hespera il membro della prestigiosa famiglia Duskmire. Non voglio più vivere in funzione di chi sono per gli altri, di chi dovrei essere, di quel che sono o che faccio o non faccio, delle previsioni sulla mia persona, di ciò che ci si aspetta da una strega del mio livello e status sociale.
 
 
Vorrei passare inosservata tra la gente, nessuno che mi addita, zero chiacchiere sul mio conto, smettere di nascondermi nemmeno avessi ucciso qualcuno. Non dover più stare attenta ai segreti che custodisco, tenermi lontana dall’esistenza per paura di vivere troppo e poi pentirmene.   
Mi rendo conto che ho fatto molto sì, nel mondo magico, ma tirate le somme le mie mani sono vuote, così come lo sono io.  
 
 
Gli occhi s’arrossano e pungono di tracolli, batto le palpebre per ricacciare indietro le lacrime, riaffioro dal gorgo nero delle paturnie mentali.
Il rombo fragoroso del vecchio furgone scassato di Aidan, aiuta a tenermi fuori dai malumori. La vernice bianca è sbiadita ed ha diverse ammaccature sulla carrozzeria. L'interno è semplice e trasmette una calda atmosfera rustica. Nonostante l'aspetto trasandato, è tenuto in ottime condizioni meccaniche ed è manifesto che il suo proprietario è affezionato a quel mezzo, che lo aiuta nelle attività quotidiane.
Il motore produce un ronzio che si ode quando è in movimento, un suono che fa parte della quotidianità e si mescola con le confusioni del paese costiero.
La gente per strada riconosce Aidan tramite quel fracasso, tutti lo salutano e lui ricambia cordiale, strombazzando spesso il clacson. È ben inserito nella società locale, e lo invidio per questo: ha radici salde nella terra.
 
 
Al contrario io non resto nello stesso posto per più di un anno.
La sua sola presenza è come se riuscisse a mettere in stand-by l’angoscia, è un’emozione nuova, leggera, fresca come questa mattinata estiva, dove ho la sensazione che tutto sia possibile, anche essere felice.
 
 
<< Hai sempre vissuto qui? >>, proseguo un discorso di circostanza iniziato da quando è venuto a prendermi. Di tanto in tanto il silenzio cala, perlopiù è lui a tenere viva la conversazione: è molto curioso.
 
 
<< Esatto. >>.
 
 
Lo sviscero guardinga, nelle espressioni e movenze, voglio carpire i segreti più oscuri, se è onesto, degno di fiducia.
Ha su di sé un paio di calzoni in tela robusta color cachi, una camicia bianca dal tessuto fresco a maniche corte, scarponcini da lavoro ormai consumati.
Siamo così diversi io e Aidan, anche nei semplici indumenti, le sue vesti sono funzionali, resistenti e spesso segnate dalle operosità di un lavoro manuale. Nel suo abbigliamento non vi sarà mai nulla di ricercato o raffinato.
Dall’altra parte ci sono io, abituata all’eleganza e sofisticatezza anche negli abiti più basici, con dettagli intricati e ricercati, ed un’oscurità peculiare.
 La differenza è lampante.
 
 
Come possono due mondi così distanti a coesistere?
 
 
Tuttavia, non vorrei nessuno oggi qui con me, se non questo sconosciuto dal sorriso spontaneo e gli occhi genuini. Sono abituata a ben altri uomini, ed ho imparato ad odiare chi indossa una maschera per nascondere il vero sé, in favore di un’apparenza artificiosa. Nel mondo della stregoneria, nessuno è mai davvero chi millanta.
 
 
<< Sei mai andato altrove? Fatto un viaggio? Visto nuovi posti? >>.
 
 
<< Un giorno mi piacerebbe. Purtroppo tra il lavoro e gli imprevisti, c’è sempre qualcosa che mi fa rimandare, però un giorno mi piacerebbe. E tu, invece? Hai l’aria di aver viaggiato molto, sbaglio? >>. Getta occhiate ad intermittenza tra me e la strada.
 
 
Scuoto appena il capo, il problema non è il viaggiare, è il non fermarsi mai. Ed una volta che hai visto tutto, non c’è più niente a suscitare un barlume.
<< Non sbagli. Viaggio molto per… lavoro. >>.
 
 
<< Che lavoro fai? >>.
 
 
<< Fotografa. >>, invento di sana pianta. La balla regge, lui se la beve.
 
 
Si anima di stupore.
<< Davvero? Devi aver visto tanti posti! >>.
 
 
<< Abbastanza. >>. Troppi.
 
 
Un’increspatura incide un solco tra le sopracciglia scure.
<< Quindi sei solo di passaggio qui? >>. Non sa celare la delusione nella domanda imparziale, è palpabile nella voce il malcontento.
 
 
Tra le numerose risposte che avrei potuto dare, scelgo l’unica che ci espone entrambe a far i conti col motivo che ha spinto lui ad invitarmi oggi, ed io ad accettare.
<< Ti dispiacerebbe? >>, lo sfido a rivelarsi.
 
 
<< Credo di sì. >>, rivela di getto, con un’onestà assoluta a cui non sono avvezza.
A noi streghe insegnano sin da bambine a non essere mai completamente sincere, a non mostrare tutte le carte, che vuotare il sacco ha più lati negativi che positivi, per questo resto scioccata dalla maniera spontanea di Aidan di mostrarsi così con qualcuna che sa che potrebbe andarsene in qualsiasi momento. << Insomma, in realtà devo confessarti che l’altro giorno al porto non era la prima volta che ti vedevo. >>, svela imbarazzato. Le guance s’imporporano di una nuvola tenue di timidezza.
Non ha proprio alcun timore a giocare a viso scoperto, quasi non si rendesse conto delle conseguenze che possono portare l’essere così schietto.
 
 
<< Ah no? >>. L’intreccio si fa interessante, la trama si infittisce, arriva il colpo di scena.
 
 
<< Ti ho vista arrivare a Coralba. E poi ogni mattina al porto mentre leggevi quei libri voluminosi, ed in giro di tanto in tanto. >>, accomuna tutto in una volta le svariate occasioni in cui sono stata la protagonista dei suoi occhi. Se solo sapesse che quei “libri voluminosi” siano antichi manoscritti di stregoneria, e che io sia una strega maledetta capace di oscuri incantesimi.
Non credo che sarebbe poi così felice di avermi invitata stamane.
 
 
Tiro la bocca verso un angolo, nell’ombra di un sorriso che trattengo.
<< Mi stai dicendo che mi hai stalkerata? >>, provoco ilare.
 
 
<< No, no! >>, si affretta a negare. << Non lo farei mai! Però, ecco, insomma, è parecchio difficile non notarti. >>. Suona molto come un complimento. Impacciato sì, buffo ed imbranato, ciò nonostante un complimento molto simpatico.
Difficile non notare una straniera con numerosi tatuaggi, lunghi capelli neri, dall’aria ambigua.
 
 
Soppeso la confessione genuina e i suoi contenuti arcani. 
<< Da quanto stavi cercando un modo per avvicinarti e chiedermi di venire a bere dell’acqua con te? >>, giungo all’unica verità esistente.    
 
 
Aidan mi guarda stupito, che io abbia capito più di quanto lui intendesse divulgare.
<< Sin dal primo momento. >>. E di nuovo la sincerità corrosiva mi spiazza.
Quest’uomo non ha alcun filtro tra cervello e bocca, perfino gli occhi sono privi di ombre ed inganni, un mare limpido nella quale navigare con fiducia.
Vorrei dirgli che avrei accettato immantinente.
Sì, anche due mesi fa, anche prima di conoscerlo, avrei accettato, non so che, mi rendo conto che c’è qualcosa di sconosciuto e primitivo che guida le mie azioni, ed ha avuto origine l’altro giorno al porto.
 
 
So creare l’Elixiflame ad occhi chiusi dall’età di nove anni, piegare gli elementi al mio volere, sono una linguarum vir: una studiosa di lingue. Ne so parlare molte, comprese alcune lingue remote e rare, il latino, il greco antico, il sanscrito, il gaelico scozzese.
Destreggiare le armi nere ed essere letale con quelle bianche, neutralizzare i Golem dell'Ombra, ma niente conosco dell’amore. E se l’amore è questa devastazione corrosiva che brucia nel costato, allora non imparerò niente da esso e non lo voglio.
No grazie, rifiuto l’offerta e vado avanti.
Ben presto diventa spaventosamente chiaro che non posso semplicemente rigettare la bislacca pulsione che mi spinge verso Aidan, non posso recidere le fila e respingerlo come è stato in passato con altri prima di lui. Le tecniche consumate si inginocchiano al suo cospetto, nessuna scusa regge, né scappatoia, per contenere questo treno dai freni rotti in discesa.  
 
 
Per la prima volta nella storia della magia, un essere umano getta un incantesimo su una strega.
 
 
"An Teach Ceoil" è un pub accogliente situato in un’angusta strada di ciottoli, dove le macchine non possono transitare. La facciata è decorata con pannelli di legno scuro intagliati con motivi celtici, una piccola insegna in ferro battuto pende sopra la porta d'ingresso. La luce soffusa filtra dalle finestre, l'atmosfera all'interno è confortevole ed ospitale, le pareti sono guarnite con dipinti di paesaggi silvani e strumenti musicali tradizionali. Un grande camino al centro del pub aggiunge ulteriore comfort, soprattutto durante le fredde serate d'inverno. Ci sono tavoli di legno rustici e sedie imbottite dove gli ospiti possono gustare un buon caffè o una pinta di birra.
Una piccola area del pub è dedicata alla musica dal vivo, nella quale band locali suonano musica tradizionale e contemporanea.
È il luogo ideale per gli amanti della cultura celtica e per chi desidera trascorrere serate all'insegna della musica e del buon cibo.
Anche qui tutti salutano e scambiano discorsi di contingenza con Aidan, deve essere davvero conosciuto ed apprezzato dai suoi concittadini.
 
 
Scegliamo di sederci ad un angolo del pub, non ho voglia di essere l’oggetto di occhiate invadenti per chi entra nel locale.
<< Qui dentro è famoso "Il tavolo degli amori perduti”. Secondo la leggenda, le coppie che si siedono lì spesso finiscono per innamorarsi follemente o, al contrario, si separano in modi drammatici. >>, racconta, intanto che attendiamo che qualcuno venga a prendere le nostre ordinazioni. Indica un tavolino al centro dello stanzone, è ricoperto da scritte, nomi di coppie, simboli, perlopiù cuori, alcuni incisi, altri scritti con inchiostro nero. << E la "Candela dell'Amore Eterno"… >>, una candela rossa consumata per i tre quarti posta in una nicchia sul muro, <<… secondo la tradizione viene accesa solo dalle coppie innamorate che desiderano che il loro amore duri per sempre. Si dice che il pub conservi un registro segreto con i nomi delle coppie che hanno acceso la candela e che il loro amore sia sempre stato destinato a durare. >>, narra con un tocco di leggera ironia, mostrando quanto tenga mettermi al corrente di queste storie.
 
 
Mi piace ascoltarlo parlare, la voce è calda e coinvolgente, distensiva, a tratti rassicurante, calma le tempeste e accende il desiderio. Non abbassa mai lo sguardo, lo tiene dritto nel mio per tutto il tempo.
 
 
<< Non dirmi che non ti sei mai seduto a quel tavolo o acceso quella candela? >>, lo fomento un po’ per apprendere ulteriori dettagli sul suo passato.
 
 
Scuote deciso la testa, i capelli neri, leggermente arruffati, gli finiscono sul volto e gli danno un'aria da ribelle gentile.
<< Mai. Non mi siederei mai a quel tavolo. >>. È alquanto terrorizzato.
 
 
<< Perché? >>.
 
 
<< E rischiare di perdere una persona importante? No, mai. >>. Ci crede davvero a queste favole, le prende seriamente. << E non ho neppure acceso la candela, no. È per l’amore eterno, io non ho mai incontrato nessuna che fosse la persona giusta per accenderla… >>, lascia le parole in sospeso, mi aspetto quasi un “fino adesso”, le premesse ci sono, però evita di essere così melenso. In fin dei conti non ci conosciamo neppure e suonerebbe parecchio stucchevole e fuori luogo dire e fare cose così smancerose.
Gli occhi, tuttavia, ultimano la frase che non ha avuto l’ardimento di completare.
 
 
Divergiamo perfino nella colazione.
Opto per un primo pasto leggero, all’italiana, è raro che mangi al mattino, quindi sentenzio il tutto con caffè e soia alla vaniglia ed un croissant vegano.
Mentre Aidan è l’esatto opposto, si attiene in pieno ad una Irish Breakfast, salsicce, bacon, uova al tegamino, fagioli, pomodori arrostiti e pane tostato. Beve un tè nero, servito con latte.
Faccio fatica a guardarlo mangiare, sono sazia per osmosi, io finisco relativamente in cinque minuti, mentre per lui la situazione si protrae.
Non è lui ad essere strano, sono io.
 
 
<< Sei molto popolare. >>, deduco, dopo che l’ennesimo individuo lo saluta calorosamente.
 
 
Mastica a bocca chiusa ed inghiotte il boccone prima di parlare. È educato.
<< Popolare? Oh no, ci conosciamo tutti qui, Coralba è un posto piccolo, se vivi qui da una vita è normale. >>. Poi fa un cenno del mento verso alcune persone al bancone che confabulano con il barista, rivolgendoci occhiate invadenti. << Sei tu ad essere molto popolare qui. >>.
 
 
Seguo la direzione del suo sguardo, fisso bieca il gruppetto che, intimoriti dall’espressione gelida, la smettono di studiarmi come una cavia.
<< Da quando siete tornate a  "La Collina delle Rose Nere", non si fa altro che parlare di voi in paese. >>. Poggia le posate sul tavolo, sposta il piatto vuoto da un lato ed incrocia le braccia.
 
 
<< Collina di cosa? >>, replico attonita.
 
 
<< Delle Rose Nere. Beh, il nome è dato dalla varietà incredibile di rose nere che crescono nel giardino di casa tua. Mai viste prima. >>.
Le rose nere sono l’aspetto meno bizzarro, se dovesse proseguire questa follia tra di noi, sarebbero ben altre le cose incredibili alla quale Aidan sarebbe testimone.
 
 
<< Immagino. >>, cerco di chiudere in fretta questo discorso. Non sono a mio agio a trattare simili argomenti, non stavolta, non con lui.
 
 
<< E le storie. >>.
 
 
Mi irrigidisco sul posto, la mimica cambia, il buon umore va a farsi fottere.
<< Che storie? >>, sibilo come un serpente velenoso.
 
 
<< Stupidaggini in realtà. Maledizioni, sparizioni misteriose… streghe. >>. Non prende sul serio le dicerie, vuole solo che il silenzio non si insinui.
 
 
Inarco le sopracciglia, annuisco un paio di volte, assecondo il racconto per vedere dove mi porterà.
<< Streghe. >>, ripeto impenetrabile. << E tu? Tu cosa ne pensi? Ti sembro una strega? >>.
 
 
L’espressione cade nel lancinante, intima, penetrante, capace di imbrigliarmi nella letale tela di una Phoneutria fera. Gli occhi sono saldi e concentrati, senza distrazioni, sembrano scrutarmi l’anima, la spoglia, l’accarezza, ci fa l’amore più e più volte, sono nuda nello spirito. Desiderio, passione, il coinvolgimento emotivo è più potente di quanto avessi concepito.
Le pupille si dilatano, un tocco di veemenza in più al contatto visivo.
Accade l’universo senza che una parola venga pronunciata.
<< Mi sembri… tu. >>, mormora determinato, dopo averci riflettuto qualche istante.
 
 
Ero certa che avrebbe detto qualcosa di stupido per cercare di essere a tutti i costi spiritoso, che avrebbe così rotto quell’aura magica che si sta attorcigliando attorno a noi, una buona occasione per perdere interesse. E invece ha deciso che non basta stregarmi, no, lui vuole fare molto di più, vuole mettermi in ginocchio alla sua completa mercé, ed io non chiedo altro che questo. In ginocchio, in balia delle ingordigie più turpi.
<< È davvero questo che pensi? >>.
 
 
Sta camminando su una fune malferma, ad ogni passo la corda si sfalda, basta una mossa azzardata e cadrà nel vuoto.
<< Penso che mi piace la tua compagnia. >>. Si stringe nelle spalle, raddrizza la schiena. << Quello che sei o non sei non ha davvero importanza. Le maschere che ti hanno affibbiato gli altri, non hanno niente a che fare con questo, con me… con… noi. >>. Man a man che pronuncia la frase, la cadenza si assottiglia fino a divenire un sussurro di cuore sull’ultima parola.
 
 
Non mi lascio soggiogare, anche se il caos al sapore di chimera sta ovattando il cervello ed abbassando le difese. Non voglio darmi per vinta, non è vero, non esiste un uomo che possa volermi nonostante tutto.
<< Cosa vuoi dimostrare, Aidan? >>. L’intonazione muta radicalmente, è un’accusa altera che non può essere irretita. << Mi porti qui, un posto frequentato da tutti quelli che conosci, entri in casa mia, ti fai vedere in giro con me… è una prova di coraggio? Una scommessa? Cosa? Un trofeo? >>. Gli interrogativi sono vere e proprie calunnie affilate, fanno rapidamente presa in chi ho di fronte. << Cosa vinci se ti porti a letto la strega? >>.
 
 
Si affanna a negare, a scuotere la testa, a smentire con forza e benché io sia sulla difensiva, avverto la sincerità delle intenzioni riversarsi su di me.
<< Hespera ti sbagli! Volevo portarti in un luogo con tanta gente per non farti pensare che volevo provarci al primo appuntamento. >>, si affanna a spiegare, balbettando ed agitandosi.
 
 
Inarco le sopracciglia, si sta sputtanando con le sue stesse mani.
<< Quindi non ci stai provando? >>, colgo la palla al balzo. Gli sto rendendo questo incontro un vero e proprio incubo.
 
 
<< Sì. >>, dice di primo acchito. << No. Cioè forse. Può darsi. Se dico di sì, ti arrabbi? Però “provarci” suona brutto, io vorrei conoscerti ecco. Così suona meglio, è più bello, che poi è la verità. >>, barbuglia velocemente, infilandosi in un cul de sac.  
Non riesco a non farmi trascinare, il suo essere impacciato è la caratteristica più tenera e rara che abbia mai trovato in un essere umano. Ed infatti, lui è il primo ad averla.
Ho voglia di baciarlo da quando l’ho visto allo scalo e la necessità diventa esuberante ogni momento sempre più.
 
 
Un silenzio paralizzato turba la chiacchierata agitata, la mimica bizzarra mi fa scoppiare a ridere a crepapelle. Lui pare ravvivarsi di conseguenza, è un’alba che sorge dietro le montagne.  
<< Okay basta, giuro che la smetto. Tregua. Anche a me piacerebbe conoscerti meglio Aidan, ma senza giochetti okay? Basta domande tattiche, comportamenti schematici o strategie di conquista. Rilassati, respira, non devi dimostrarmi niente o impressionarmi, sono dove voglio essere… e mi piace dove sono. Anche la compagnia non è male. >>.
Per un po’ abbandono le briglie dell’autocontrollo, permetto agli eventi di plasmare il presente come meglio crede, niente può rovinare questa giornata così perfettamente normale... nemmeno la maledizione. 
 
 
Più tardi, l’incontro fa progressi in spiaggia, Il mare piatto e trasparente culla le onde, il sole inizia a scaldare la pelle, godiamo della vista sconfinata dell'orizzonte, la brezza marina vezzeggia i volti, scompiglia i capelli. Parliamo di sogni, aspettative e progetti futuri. E tra le risate e le parole condivise, il tempo sembra fermarsi, forgiando un momento di intimità irripetibile.
Non sarò mai più felice come lo sono adesso, mi aggrappo a questo palpito come una condannata a morte, non durerà a lungo, mettere la vita di un innocente in pericolo è fuori discussione. Coralba non era la soluzione, la maledizione non può essere spezzata e prendo coscienza di essermi involontariamente arresa alla realtà: sono stanca di lottare. Mia madre aveva ragione.
Trovo conforto nel concetto che, partendo a breve, potrò rompere qualsiasi sentimento si sia creato.
 
 
<< E dove te ne andrai dopo? >>, chiede Aidan, tenendo un passo morbido, lento, una passeggiata tranquilla, senza fronzoli o ruoli.  
 
 
<< Forse tornerò a casa mia, dove sono nata. Ho molte cose in sospeso, mi fermerò di viaggiare per un po’, devo dare spazio ad altre aspetti della mia vita… sento di non aver realizzato niente di consistente, di dover ancora fare, prenderò altre strade, quelle percorse fino ad oggi non erano adatte a me. >>.
 
 
Rallenta fino a fermarsi del tutto.
<< Non tornerai più a Coralba. >>. Non è una domanda, più un’amara ovvietà.
 
 
Arresto il passo, lo scruto seria.  
<< No. >>, ammetto incolore. Se mi ripresentassi, metterei seriamente a repentaglio la sua incolumità, ed è proprio per quel che saggio che preferisco troncare ogni rapporto sul nascere.
 
 
<< Perché allora hai accettato di uscire con me? Se non eri intenzionata a restare o a tornare, perché? >>.
 
 
Un fiume in piena di concetti e fatti prendono campo nel cervello, non saprei neppure da dove incominciare per una delucidazione che abbia senso e per non essere presa per pazza.
<< È complicato. >>.
 
 
<< Posso essere un sempliciotto te lo concedo, non sono di certo al tuo livello, non ho visto il mondo, non ho una laurea e non sono sicuramente l’uomo adatto per una persona così “particolare” come te… ma non sono stupido Hespera, so ancora capirle le cose complicate. >>.
 
 
Perché deve rendermi la situazione più difficile di quel che è?
<< Tu mi piaci Aidan. >>, è un incipit disastroso, il preludio di un proiettile impietoso. No, non sono ammattita d’improvviso e non sto neppure giocando a carte scoperte, ma preferisco una mezza verità detta per tutelarci entrambe, che una verità terribile che ci condanni all’inferno.
 
 
<< Ma non sono alla tua altezza, è questo? >>, taglia corto risentito, prendendo un abbaglio. << Giusto, come non pensarci prima? Ti farei sfigurare, no? Come potresti mai presentare uno come me alla tua famiglia? Ai tuoi amici? Nei luoghi altolocati che frequenti? Sei abituata ad altri ambienti, non ad un semplice pub, non ad un mercato di paese, non ad un uomo che per vivere fa tanti mestieri in cui si sporca, che suda, che puzza magari, no?! E quando ti chiederebbero come ci siamo incontrati? Mentre pescavo? Mentre ti tagliavo il prato? >>.
 
 
Il volto, di solito sereno e brioso, si anima con una passionale energia oscura che disorienta. Le sopracciglia si increspano e stringono convulse, attribuendo allo sguardo un'aura di impeto rovente. I muscoli delle braccia si contraggono visibilmente mentre arringa, ci sta mettendo tutto se stesso. Le vene riaffiorano sul collo, è paonazzo.
Gli occhi si infiammano, immensi, penetranti, un'attraente amalgama di determinazione e vulnerabilità. È fuoco corvino sotto la cenere, un temperamento veemente, rivela una parte di sé che lo rende incredibilmente provocante, sexy, affascinante, sensuale, una concomitanza pericolosa di mascolinità e bramosia, sprigiona un magnetismo irrefrenabile.
 
 
Dovrei lasciare che desuma ciò che meglio gli aggrada per frenare qui questa insania, sarà più facile per lui dimenticarmi se l’infatuazione si trasforma in rabbia ed odio, ma l’ultima cosa che avrei confidato è l'ondata di eccitazione assurda e tensione erotica che mi sradica, una forza primitiva che non lascia scampo.
Il corpo reagisce mio malgrado, non risponde più ai comandi del raziocino, strappa le redini della disciplina e solo quando sono ad un metro da Aidan vedo con chiarezza quel che sta per accadere.
Mi getto letteralmente tra le braccia accoglienti e lo bacio con una crudeltà devastante. Sono implacabile, selvaggia, avida, esagitata, inesorabile, una vita intera a dettare disposizioni ferree su ciò che non potessi fare e ciò che mi era concesso, a stare attenta a questo e a quello e a quell’altro ancora, e adesso qualcosa si è irrimediabilmente rotto.
 
 
Non puoi sperare di rammendare una diga che si è scheggiata, l’acqua deve seguire il suo corso e lo farà nel modo più violento possibile.
 
 
È una fame straziante che dilania, un baleno di intimità che svincola dal resto del mondo. Quel bacio si contorce in una spirale di arcano tormento, una fiamma avvolgente che ci immola amanti proibiti nel rogo del peccato. I corpi si fondono nell'abbraccio, la depravazione sradica, il desiderio tronca gli obblighi dell'oscurità che ci assoggettano, congiungendoci in un abbraccio violento, le anime fiammeggiano insieme nell’abisso dell’inferno.
 
 
Un barlume di criterio squarcia il velo della lussuria, spalanco gli occhi d’improvviso nel vuoto dello sgomento, un morso terrificante squarcia lo stomaco nel rendermi concretamente conto dell’efferato crimine commesso.
 
 
Merda!
 
 
Cosa cazzo ho fatto!?









Note: 
Inizio sempre con le buone intenzioni, poi niente, i miei personaggi prendono il sopravvento e fanno un po' come cavolo glie pare, quindi eccoli qui che già non hanno iniziato e già litigano e si baciano pure! 

Chiarisco alcune cose da me inventate all'interno del capitolo:
-l’Elixiflame è una pozione complessa che guarisce da ogni male. Sono poche le streghe che riescono a farla in modo corretto. 
-Linguarum vir: è una studiosa di lingue tra le streghe. A volte diventa una vera e propria professione.
-Le leggende di cui narra Aidan sono tutte inventate da me.

La  Phoneutria fera invece esiste veramente, ed è uno dei ragni più velenosi al mondo. 


Detto questo, beh, raghi, la storia inizia ad avviarsi, quindi vedremo dove ci porterà questo viaggio tra due mondi così diversi. 
 

La storia può presentare errori ortografici.

 

Un abbraccio.
DarkYuna


 

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Capitolo 4
*** 4. ***


4.









Nell'amplesso del destino, il cuore si eclissa come un'ombra. Con il trascorrere del tempo la passione diviene un'ossessione, e l’anatema dell'amore funesto incalza verso la fine che tanto sgomentavo.
 
 
Mia madre Thalassa è seduta a capotavola, il vuoto nelle iridi di ghiaccio la inghiotte, un cadavere che respira, l’ombra della grandiosa strega che era un tempo è un ricordo sbiadito nelle trame di un passato glorioso.
Ecco… è quella la fine che farò io: un corpo morto svuotato dal dolore del lutto.
Intravedo una parvenza varcare il viso aristocratico, una stella cadente che si spegne nella notte, al concludersi della storia tragica che le ho a dir poco vomitato addosso.
Un tramestio delittuoso ingloba in una prigione inclemente, guarnita di stalagmite infettate, attendo una soluzione, una verdetto, la forca.
 
 
<< Strappami il cuore! >>, strepito sconvolta, battendo drastica entrambe le mani sul tavolo. << Toglimi questo sentimento del cazzo che mi intossica il sangue. Non ragiono da quando è iniziato, non sono più io, la mia testa è costantemente a quell’uomo! Deve finire. Ora! >>. Se si venisse a sapere nella Thaumaturgia delle Profondità che un umano di sesso maschile ha messo in ginocchio una strega, soprattutto una Duskmire , non potrei più farmi vedere nell’istituzione magica.
 
 
Sospira calma, non si lascia impressionare dai modi estremi, è abituata ad avere una testa calda per figlia. Finalmente mi guarda.
<< Hespera è ciò che sei, ciò che siamo: non potevi fuggire per sempre. >>.
Non è la risposta che mi aspettavo, quel suo essere remissiva all’inevitabile mi fa imbestialire ulteriormente.
 
 
<< No! >>, erompo esasperata ed affranta. << Ci deve essere un altro modo! Se non posso vincere la maledizione, allora posso fare qualcosa su di me! Un rituale… una volta ho letto qualcosa a riguardo, per spezzare le anime o qualcosa del genere. >>.
 
 
L’espressione si indurisce, serra le labbra, gli occhi emettono fulmini.
<< È magia oscura, Hespera. Un rituale dai risvolti ignoti che incanala dentro di te i sentimenti e ricordi di entrambe. Le anime vengono spezzate contro natura, in modo drastico, impedendo di essere di nuovo unite, anche nelle vite successive. Verreste condannati a vagare come anime solitarie, incapaci di trovare la pace o il conforto. Inoltre, la separazione delle anime potrebbe avere impatti imprevedibili su entrambi, influenzando la vostra vita in modi che nessuno potrebbe predire. Questa soluzione terribile suscita un'agonia insopportabile e il più delle volte porta alla follia… la tua. La sua. La vostra. È irreversibile, una volta compiuto, non si torna più indietro. Sei disposta a correre questo rischio? Sei disposta ad andare contro il destino? >>.
 
 
Sono pronta ad impazzire per salvare la vita di un uomo che neppure conosco, ma che sento germogliarmi dentro come una quercia millenaria?
Perdere la ragione, pur di tenerlo in vita?
Regalargli un’esistenza a metà, se significa non lasciarlo morire?
A cosa sono propensa a rinunciare per non sporcarmi le mani del sangue di qualcuno che fa vibrare il cuore in un volo di farfalle corvine, nel distacco della solitudine?
Nessuna prima di me lo ha mai fatto, quale strega, così fiera e orgogliosa della propria natura, rischierebbe di perdere tutto per un uomo? Specialmente se umano?
Le streghe sono troppo altere per smarrire se stesse in favore di qualcuno.
Le altre della mia famiglia hanno lasciato che la morte facesse loro visita, non avrebbero mai rinunciato al dono oscuro.
 
 
Vacillo un istante, poi rammento gli occhi teneri di Aidan, il sorriso candido, il sapore della bocca e l’anomala pulsione che mi assoggetta, perfino adesso, a volerlo, come se da questo dipendesse la mia vita.
<< Non ricorderebbe nulla? >>, mi assicuro. Il sacrificio posso farlo una volta sola, devo essere certa che sia l’incantesimo giusto.
 
 
<< Sarebbe salvo. >>, garantisce smorta, arresa all’idea di perdere anche una figlia, oltre al marito.  
 
 
<< Posso farcela, posso sopportarlo. Dimmi cosa fare?! >>, decido risoluta. Sono abbastanza forte da preservare la ragione.
 


 

*****
 
 
 
 
 
Rileggo per la quinta volta la lista assurda degli ingredienti… mai una volta che un antico rituale richieda semplicemente dello zucchero o candele bianche o piume di piccione, facilmente reperibili e che non fanno rischiare una denuncia per dei reati macabri.
 
 
“-Cenere di un rovo nero.
-Radici di cicuta.
-Piuma di corvo notturno.
-Polvere di ossidiana nera.
-Un frammento di specchio rotto durante un eclisse di luna di sangue.
-Un lume nero, fatto con la cera di candele usate in una notte di luna nera.
-Un ciondolo magico a forma di luna crescente.
-Sigillo dell’Abisso dell’Anima su pelle di serpente.
-Sperma e sangue dell’anulare sinistro dell’uomo da affatturare.”
 
 
 
<< S-sperma e sangue? >>, prorompo scombussolata. Alzo il naso dal vetusto tomo di stregoneria primitiva, agitata. << Come diavolo faccio a prendere queste cose? >>. La voce si assottiglia, fino a divenire un falsetto grottesco, forse sto perfino arrossendo.
Il cervello sta già ricamando trame di depravato rosso velluto sui cospicui sistemi sconci di come possa recuperare i due elementi.
E tutti i modi non sono per compiere un rituale che spezza le anime, ma per andare oltre, superare i limiti, fondere le anime in un liturgia carnale che unifica il corpo, lega lo spirito, incatena il cuore. Mi basta rammentare l’odore del corpo per perdere la ragione, dimenticare il perché delle azioni, manderei a farsi fottere il piano, perché l’unica cosa che vorrei fottere sarebbe lui.
Batto più volte le palpebre, freno le riflessioni turpi, mi manca quasi il respiro, ce li ho tutti ritratti in faccia le intenzioni degenerate.
 
 
Mia madre mi esamina con uno sguardo eloquente, increspa le sopracciglia, a disagio per la domanda sciocca.
<< Tesoro, di solito con le mani. >>. Sfoglia altri libri nella biblioteca, è alla ricerca di qualcosa di personale.
La frase fa fatica ad essere assorbita dalle orecchie, perfino la mente la rigetta. Fa caldo qui dentro, decisamente caldo, molto caldo, troppo caldo!
 
 
<< Scherzi? >>, ansimo turbata.
 
 
Non distoglie l’attenzione dalla sua indagine.
<< Non di proposito. >>.
 
 
<< Io non posso avvicinarmi a lui per fare… questo! È fuori discussione! >>. Perdo il controllo ogni volta che è nei paraggi, figuriamoci se i miei intenti di partenza sono questi, non arriverei neppure a sfiorarlo con la giusta lucidità per portare a termine la missione.
È la cosa più rischiosa che abbia fatto in vita mia, supera perfino quando ho rubato un artiglio ad un Draconorchio.
 
 
Si ferma di leggere, considera paziente, l’unica sconcertata sono io. Per lei è la prassi, nel nostro mondo è abitudine agire così, nessuna si è mai fatta dei problemi, e neppure io… fino ad adesso.
<< Hespera, nessuno ha mai detto che sarebbe stato facile… se lo fosse, potrebbero farlo tutti, no? Invece solo noi streghe possiamo. >>. Riflette un paio di secondi. << Puoi irretire i suoi sensi con la radice di Euforbia. Mettine un po’ in polvere in una bevanda e sarebbe in grado di darti pure la vita, così sarà più facile: non farebbe troppe domande. Forse neppure se lo ricorderà. >>, propone, con una leggerezza spaventosa, come se fosse del tutto normale violare il libero arbitrio di una creatura vivente. E forse sì, forse per noi streghe è davvero normale agire in maniera scorretta, normale fare del male, normale uccidere.
Ma non per me. Non più.  
 
 
<< È… orribile. Io non farò questo. >>. Metto in discussione perfino il codice morale delle streghe.
Un bel giorno mi sveglio e mi rendo conto che nel nostro mondo è tutto sbagliato.
 
 
Inarca le sopracciglia, ora esterrefatta dal mio reagire così inusuale, non si capacita del perché tanta reticenza.
<< Non eri tu che detestavi gli esseri umani e ti sei intestardita a salvare proprio l’unico che morirà a causa tua?! >>, riassume barbaramente l’intera faccenda. Adopera una spietatezza che non è da lei.
 
 
<< Detestare gli esseri umani è un conto, drogarli per abusare di loro è un altro! Ho sempre affrontato gli avversari a testa alta, dando modo loro di difendersi lucidamente. E stavolta non sarà differente. >>.
 
 
Chiude rumorosa il libro polveroso, siamo giunti al nocciolo della spinosa questione.
<< Hespera lui non è un avversario, non è qualcuno che devi combattere, non c’è onore nemmeno nello spezzare le vostre anime! Anche quello è amorale: stai decidendo per lui! Vuoi essere davvero irreprensibile? Digli la verità e lascia che sia lui a decidere. >>.
 
 
<< Ma chi cazzo deciderebbe di morire per colpa di una che hai baciato una sola volta? Nessun pazzo arriverebbe a tanto, mamma! Sono io che ho deciso per lui nel momento che ho accettato di uscirci insieme… anche se mi cacciasse, la maledizione agirebbe lo stesso, perché è a me che piace! >>.
 
 
<< E chi deciderebbe di impazzire consapevolmente per uno che ha baciato una sola volta? Torna in te Hespera, questa storia è un’insania! Stai agendo come se avessi perso il discernimento! >>.
 
 
Faccio un passo indietro nei propositi, mi rendo conto che mia madre ha ragione, sto operando come una scriteriata qualsiasi e non come una strega di un certo calibro. Mi ha assecondata, con la speranza di farmi rinsavire.
 
 
<< Se fosse stato facile aggirare la maledizione, credi che nessuna delle nostre antenate lo avrebbe già fatto? Che io non lo avrei fatto?! Svegliati Hespera sono anni che andiamo in giro alla ricerca di qualcosa, di una traccia, di un appiglio e se non lo hai trovato fino ad oggi, ti è mai passato nell’anticamera del cervello che forse non c’è una soluzione? Che le persone che amiamo sono destinate a morire e basta? E a noi non resta che guardarle senza poter fare niente? >>. La pira dell’insurrezione si smorza con la stessa celerità con cui si è infervorata. << È accaduto Hespera, fattene una ragione! L’unica cosa che ti resta è fare i bagagli e andarcene stasera stessa e non saprai mai le sorti di quell’uomo. Altrimenti resta qui e vivi con lui ciò che gli resta: è comunque un morto che cammina. Sta a te scegliere il male minore. >>.
 
 
L’incubo è ad occhi aperti, nessuno verrà a svegliarmi, non tirerò un sospiro di sollievo nel rendermi conto che è stato solo un brutto sogno e sono al sicuro nella realtà. La consapevolezza fa a brandelli il cuore, collaudo un dispiacere inenarrabile, è eccessivo, grande e paradossale sentirlo ora, con una tale empietà.
Deglutisco più volte per mandare giù il groviglio di lacrime che si è rappreso in gola: sono in trappola. Il calappio paralizza, spalle al muro, le vie di fuga si carbonizzano. 
<< Mi stai dicendo che a prescindere di ciò che sceglierò, morirà comunque? >>.
 
 
Non ci gira attorno, la pugnalata me la dà guardandomi dritta negli occhi, non risparmia niente, la lama l’affonda in profondità all’anima e me la spezza dentro.
<< Era morto nel momento stesso che ti ha guardata la prima volta. Non sei tu che lo hai condannato, ma lui stesso quando ha oltrepassato il varco per raggiungerti. Puoi passare i prossimi anni nel chiederti come sarebbe stato se fossi rimasta o restare qui ed amarlo più di te stessa fino a quando non arriverà la sua fine. L’epilogo sarà lo stesso. >>.
 
 
Devo sorreggermi allo scaffale di libri dietro di me, le gambe tremano, un singhiozzo sfugge al controllo, gli occhi s’inondano di squallore.
Immersa in un turbinio di emozioni, gli abissi tumultuosi sopraffanno e trascinano a fondo, lì dove il buio eterno regna. La paura è una nebbia fitta, si insinua nella testa, sorgono interrogativi senza risposta.
La certezza di essere irrimediabilmente attratta da Aidan mette a disagio, fa sentire vulnerabile, come se stessi camminando sul bordo di un precipizio sfornita di rete di sicurezza.
 
 
Le notti seguenti si popolano di nozioni inquietanti, sevizie in cui il suo sguardo ne fa da padrone. Questa delirante brama carnale fa parte del destino o della maledizione? E se continuo a reprimere quella fiamma ardente finirò spedita a calci in culo nel disfacimento.
Evitare Aidan, in attesa di una fermezza sensata, non basta.
Tremo dinanzi al dominio inconfutabile, di quanto sia il cardine base sulla quale costruisco le giornate. Questa attrazione ha il sapore di un frutto proibito, come Eva nel giardino dell'Eden, tentata di coglierlo anche a costo di perdere tutto ciò che ha.
A volte, mi sorprendo a vagheggiare un futuro con lui, una vita insieme, fatta di semplici gesti quotidiani e di un amore profondo. Ma tale chimera è immantinente offuscata da una trappola di terrore, il timore della morte incede mano nella mano con me, che possa scagliare il sinistro artiglio contro di lui.
Sono stretta tra due mondi opposti: la maledizione che tormenta la mia discendenza da secoli e il sentimento che freme in catene per quell’uomo dagli occhi di terra e il sorriso da angelo.
 
 
Le trepidazioni aggressive obbligano a percorrere un cammino incerto, verso una ventura che è ancora nascosta nell'oscurità.     











Note: 
Eccomi con l'ultimo capitolo per quest'anno. Dovevo pubblicare venerdì, ma tra il Natale e il preparare e i regali e le feste etc etc, niente non ce l'ho fatta, quindi recupero oggi che è una giornata più calma e tranquilla. 
Il prossimo capitolo, salvo imprevisti, sarà tra 7 giorni, come sempre. 

Dal capitolo precedente avevo dimenticato di dirvi cosa sono i Golem D'Ombra: sono costruiti dalle ombre stesse, questi golem sono formidabili, privi di emozioni e obbediscono solo al loro oscuro creatore.

Di questo capitolo invece abbiamo: 
-Radice di Euforbia: esiste davvero in natura (ed è tossica), ma in questa storia serve come una droga per irretire i sensi. 
-Draconorchi: Sono esseri simili a draghi, ma più piccoli e malvagi. Possiedono ali e artigli affilati, e possono lanciare incantesimi distruttivi.
-Sigillo dell'Abisso Anima: Questo simbolo rappresenta la connessione tra le anime gemelle.
-Thaumaturgia delle Profondità: è la società magica segreta ed antica di cui fanno parte le streghe e tutte le creature magiche esistenti.

Beh, detto ciò, ringrazio sempre tutti coloro che leggono e seguono in silenzio. Buone feste a tutti e felice anno nuovo.


 

La storia può presentare errori ortografici.

 

Un abbraccio.
DarkYuna


 

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Capitolo 5
*** 5. ***


5.









Tra le fiamme delle utopie e l’inverno della realtà, le anime predestinate navigano le acque tempestose del disprezzo, inseguono l'abbraccio oscuro che unisce eternamente. Negli oceani neri dell'amore, sprofondiamo o risorgiamo, ma ciò che rimane inosservato è la bellezza dell'abisso.
Dobbiamo scontrarci per ballare nel buio, ardendo di un’estasi divina fino all'inevitabile tramonto.
Sospesa, il cuore un fragile cristallo giustiziato tra righe di un foglio spiegazzato, dalla grafia rabberciata, letto e riletto più volte, sfiancata dalla battaglia che infuria impietosa nel cervello.
 
 
<< Che intendi fare? >>, sollecita mesta mia madre, ferma alla finestra, considera un particolare indefinito al di là del vetro.
 
 
Chiudo gli occhi, li copro con un avambraccio e sbuffo frustrazione, sdraiata comoda sul divano.
<< Sparire dalla faccia della terra. >>. Ed è la sincerità più autentica e provata mai esternata.
 
 
<< Non puoi tenerlo al guinzaglio per sempre: merita una spiegazione. >>, nonostante non sia affatto contenta della situazione creatasi, mantiene buonsenso ed equilibrio nei consigli. << Devi prenderti la responsabilità delle tue azioni. >>.
Non ho più dieci anni, lei non può più risolvere i miei casini, ne ho trentadue ora e devo sbrigarmela da sola.
In teoria dovrei ragionare da adulta, in pratica vorrei fuggire come una bimba che ha appena fatto l’ennesima marachella. Non posso, non mi è concesso, non più.  
 
 
Schiudo il pezzo di carta sgualcito, alcune delle frasi della lettera restano marchiate a fuoco nel tessuto cerebrale.
 
“Ma ho bisogno di parlarti”.
“Non riesco a smettere di pensarti.”.
“Sono confuso, non mi era mai capitato niente del genere prima”.
“Ti aspetterò in spiaggia per un’ora”.
“Non evitarmi ancora, ti prego.”.
“Aidan”.
 
 
Il suo nome scoppia in un fuoco d’artificio al centro del petto.
<< Come ti è sembrato? >>, domando per l’ennesima volta. Ho posto tale quesito almeno sette volte da quando Aidan è venuto a cercarmi nuovamente stamattina, ed ha trovato mia madre a fare le mie veci. Sprovvista dell’audacia che mi contraddistingue, ho atteso rintanata in camera mia che se ne andasse. E l’ho spiato celata, mentre attraversava il giardino guardando più volte verso la mia finestra, nella vana speranza di vedermi.  
 
 
<< Come qualcuno vittima del Passio Infinita. >>. Il più potente sortilegio d’amore, chi ne è olocausto ha degli esiti devastanti, e non finisce mai bene. << Magari la maledizione lo ha fatto impazzire, anziché… >>. Inspira più forte, si allontana dal nucleo delle concezioni che l’attanagliano.
 
 
<< Può capitare? >>. La guardo mentre viene a sedersi vicino a me, sul divano.
 
 
Scuote poco la testa.
<< Forse. Sappiamo così poco delle forme in cui opera la maledizione. Di certo deve rendere il cuore della strega glaciale di sofferenza, quindi sì, forse è un lento declino verso l’inevitabile, così da originare maggiore supplizio. >>.
 
 
Deglutisco più volte, mi pento di essere venuta a Coralba, di aver inseguito concitata la maledizione, persuasa che avrei potuto spezzarla, invece stavo partecipando nel suo spietato gioco. Ed ha vinto.
<< Mamma cosa faresti al mio posto? >>. È l’ultima fiducia, mi affido al consiglio di chi osserva la faccenda con occhi esterni, qualsiasi cosa, ed io la farò. 
 
 
Non ci pensa neppure un istante.
<< Esattamente quello che ho fatto con tuo padre. Non rimpiango niente, lui lo sapeva, Hespera: sapeva sarebbe morto. Abbiamo vissuto ogni giorno come se fosse l’ultimo su questa terra, e non ho mai scorto un centimetro di pentimento in lui. Mai. Neanche una volta. >>. Prende una mia mano nelle sue. << Hespera tieniti ancorata ad un porto sicuro, non lasciarti andare completamente, mantieni i piedi ben saldi a terra, non aprire del tutto il tuo cuore. Un ultimo muro. >>. Sono gli avvertimenti funesti di chi deve prepararsi all’epilogo peggiore e non sarà comunque mai pronta alla battaglia.
 
 
Ascolto in una reticenza funerea, ho già demolito quell’ultimo muro, ecco perché non riesco semplicemente a tagliare il filo rosso che mi conduce ad Aidan. 
E quando scendo in spiaggia, sono un drappo nero di avvilimento, un’orma dopo l’altra sulla rena umida che l’acqua salata cancella, la marea avvolge in un amplesso inquieto. Ogni passo è un fardello, una ferita, una memoria che urla nel passato, nell'oscurità che attorciglia l'anima in siffatto interminabile corteo funebre. Eppure, cammino, cammino senza fine, attratta dalla forza implacabile di quella voragine cupa che minaccia di annientare, la stessa forza che mi lega all’uomo alla quale sto andando in contro, come un maleficio crudele.
Ancora un'ora di tormento, di incertezza, di paura.
 
 
Aidan è seduto sulla sabbia qualche metro più avanti, e, come se un richiamo notturno lo avesse destato, si volta a me. Balza in fretta in piedi, si scrolla i pantaloni marroni, prova a rendersi presentabile, è inutile. Lui è bellissimo nell’imperfezione, selvaggio, disordinato, semplice.
Non sperava più che venissi.
Il volto stanco è segnato da un'ansia impaziente, le labbra ansimano nell'attesa. Le spalle leggermente curve gli conferiscono un'aria vulnerabile, ha sacrificato la sicurezza in nome della speranza. Gli occhi, profondi e intensi, riflettono l'agitazione e la determinazione di un uomo innamorato che non vuole rinunciare. È lì, immobile, il suo cuore è un oceano tumultuoso e carico di emozioni.
Il sole si abbassa sullo sfondo di questo incontro tragico, sporcando il cielo di sfumature di arancio, scarlatto e viola. I flutti lambiscono delicati la riva, accompagnati dalla filastrocca rassicurante del mare.
La brezza leggera accarezza i suoi capelli ribelli; e il mondo intorno scompare, lasciando spazio solo all'incanto del momento.
 
 
Schiarisco appena la voce, ogni battito riecheggia in un richiamo profondo e antico, risuona nel petto con una forza implacabile.
<< Sono qui. >>, dico solamente, la gola riarsa, il coraggio vacilla.
 
 
Lui distende il braccio, nel pugno chiuso vi è qualcosa di ignoto che vuole donarmi.
<< Cos’è? >>.
 
 
<< E' una pietra runica. Me l'ha data mia madre perché ricordassi la mia promessa. >>.
 
 
Non capisco subito, sono troppo agitata, non discerno la citazione che a me è molto cara.
Prende gentile la mia mano e vi adagia sopra un’ovale pietra cinerea, liscia al tatto, intagliata a mano, con delle rune sopra che riconosco a menadito: è uno dei miei tatuaggi.   
<< Tienila. Come promessa. >>, confessa con una dolcezza che sbriciola le conclusive salvaguardie.
 
 
Il cuore incalza, come se volesse raggiungerlo, come se volesse gridare all’universo intero il sentimento violento che nasce nel crepuscolo della condanna. È un battito impetuoso, irruente, una melodia selvaggia che satura l’eterno vuoto, e mi lascio dislocare dalla sinfonia.
È la frase che Kili, il nano de “Lo Hobbit”, dice all’elfa Tauriel nel terzo film della trilogia.
Kili è il mio personaggio preferito da sempre, a lui ho dedicato il tatuaggio con le rune, una scritta in elfico e la parola “Amrâlimê”, provenienti dalle stesse pellicole.
Nessuno, mai, prima di Aidan, era riuscito nell’impresa di sconvolgermi l’esistenza ad una concavità tale. Ha trovato una fenditura e la sua luce mi è esplosa dentro.
Mi ha guardata bene… e mi ha vista davvero.
 
 
Si volta su se stesso rassegnato, e quando fa per andarsene, lo freno d’impulso per un polso.
<< L’hai fatta tu? >>, la voce traboccante d’emozione. So che è stato lui, ma ho bisogno di sentirmelo dire.
 
 
Considera di sottecchi il punto esatto dove la pelle fredda avvolge la sua bollente.
<< Sì. >>.
 
 
<< Perché? >>, insisto, incapace di comprendere un gesto sostanzioso simile.
 
 
<< Hai detto che te ne saresti andata… >>. E così sostenendo utilizza come riferimento la tragica storia d’amore tra Tauriel e Kili, dove, per l'appunto, alla fine lui muore.
 
 
Per un istante temo che sappia già, che il gesto non sia un caso, che la storia faccia da monito per un futuro già scritto.
<< Pensi che una pietra possa essere una promessa? Che tornerò per ridartela? >>.
 
 
Non v’è alcuna intonazione, resto neutra, quasi spietata, intanto dentro mi consumo.
<< Non sono così stupido. >>. Anche lui è incolore, resta dolce seppur provi ad apparire distaccato, è difficile desumere i pensieri. << È solo una promessa… e le promesse, si sa, possono infrangersi. Volevo solo vederti l’ultima volta, ecco. >>.
 
 
Non intendo lasciarlo andare facilmente.
<< È vero quello che hai scritto nella lettera? >>.
 
 
Si gira a me, l’ho punto sul vivo, non è tipo che mente sui propri sentimenti, è di un’altra pasta lui, non è capace di fingere per giungere ad uno scopo.
<< E se fosse? Cosa cambia? >>, esplode con troppa enfasi. Poi si accorge di aver reagito in maniera esagerata, che non è questo l’ultimo ricordo che vuole io conservi, e torna ad essere calmo e spigoloso. << Io ho capito e non sono arrabbiato, non te ne faccio una colpa. Veniamo da due mondi diversi, io non ho da offrirti ciò a cui tu sei abituata, e va bene così. Ma perché mi hai baciato? Perché? >>.
Le iridi intrise di angoscia fanno prontamente presa al centro del torace, tra il cuore e l’anima, in un angolo oscuro che non sapevo di possedere, e se anche volessi mantenere una parvenza di ritegno, la fermezza viene meno.
 
 
<< Perché non ho voluto fare altro dal momento in cui ti ho visto. >>, svelo schietta, e resto scombussolata da ciò che la bocca ha detto. L’ho pensato e le parole hanno varcato da sole le labbra. Che cazzo sta succedendo?
 
 
La confessione lo frastorna, analizza come se avessi appena parlato in un’altra lingua. Ad un certo punto increspa le sopracciglia, le fattezze mutano celere, assumendo una sfumatura di biasimo.
<< Per te è tutto un gioco? Mi illudi, baci, sparisci, torni per andartene di nuovo! È così che sei abituata a fare? È così che tratti le persone? >>. Indietreggia offeso, riprende da dove lo avevo fermato poc’anzi. Marcia a grandi falcate, non ci penso due volte ad inseguirlo, contravvengo così ad un’altra consuetudine decorosa del mio mondo, rincorrendo un umano: un uomo per giunta!  
 
 
<< Tu mi confondi! >>, urlo ad un certo punto. È troppo veloce, ha gambe allenate, forti, scattanti, non riesco a stargli dietro, e se lo lascio andare adesso non avrò altra occasione. << Perché nessuno prima di te mi è mai davvero piaciuto. >>. Nuovamente la bocca si separa completamente dal cervello, per collegarsi a filo diretto con l’anima, è lei che parla attraverso le parole concitate.
 
 
Si ferma sul posto, dandomi modo di raggiungerlo.
<< E questo cosa cambia? >>, sussurra in un fil di fiato.
 
 
Penso a mio padre, a quanto felice è stato con mia madre, e scoprire oggi che sapeva di avere poco tempo a sua disposizione e che aveva comunque scelto di amare fino alla fine, infonde la giusta temerarietà per proseguire.
<< Che sono qui per mantenere una promessa. >>.
 
 
Non si lascia convincere facilmente, è un osso duro.
<< E cosa sarà del tuo lavoro, dei tuoi viaggi… della tua agognata libertà? Come pensi di costruire qualcosa con me? Mi hai visto? >>. È di nuovo fuori di sé. Si volta per affrontarmi, se dobbiamo discuterne, vuole guardarmi negli occhi. << Mi hai visto bene Hespera? E tu? Tu ti sei vista? Ma dove pensi che possiamo andare? Chi vogliamo prendere in giro? Tra meno di un mese sarai scappata a gambe levate. Questo è un borgo, non una grande città piena di occasioni. >>. Addita i vestiari, ma per lui è più di questo. Gli è impossibile immaginare un futuro dove due come noi possano essere felici.
 
 
Ho permesso ad una bugia di ferirlo, adesso devo concedere alla verità di dargli il colpo di grazia.
<< Hai ragione Aidan… scommettiamo però che non sarò io a scappare a gambe levate? >>. Avanzo ineluttabile, tendo il braccio, nel palmo la pietra runica che ha intagliato per me, e sotto il suo sguardo disordinato, il sasso vibra di vita propria ed un bagliore sfavillante viene fuori da esso, rivelando a lui la mia vera natura.
 
 
Tutti quei racconti sulle streghe a cui non ha mai creduto e poi si è fatalmente imbattuto in una di esse, innamorandosene per giunta.  













Note: 
Questa storia mi è praticamente sfuggita di mano. I miei progetti iniziali erano altri, ma i protagonisti hanno deciso di fare quel che vogliono xD
E quindi Hespera ha già confessato ad Aidan che è una strega, ed ha deciso di dare una possibilità a questa strana e folle storia d'aMMMMore.
Ma sarà davvero tutte rose e fiori? Ed Aidan accetterà il fatto che Hespera sia una strega? E la maledizione? Accetterà anche lei, sapendo che dovrà morire? 


Ringrazio sempre i fantasmini che mi leggono, grazie davvero di cuore! 


 

La storia può presentare errori ortografici.

 

Un abbraccio.
DarkYuna

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Capitolo 6
*** 6. ***


6.
 








Nella penombra vespertina dell’ardente sodalizio, dove l'amor s'intreccia al tormento insaziabile di una sinfonia perpetua, ogni affetto è un voto imperituro, privo di confini. L’arcano è effigiato nel marmo onirico delle tenebre senza fine, suggella il patto tra il crepaccio delle essenze e la fiamma delle passioni vietate.
È una salto nel buio, dove spero che le mani di un perfetto sconosciuto siano lì per prendermi.
 
 
Aidan è appollaiato sulla rena umida, sorregge le braccia sulle ginocchia piegate verso il torace. Batte le palpebre frastornato, gli occhi sono sconnessi di fronte a sé, prova a fare chiarezza nel racconto assurdo che gli ho narrato.
Non ho avuto il coraggio di essere sincera fino in fondo e rivelargli della maledizione, attendo il momento giusto per concludere ciò che ho iniziato.
Solleva le iridi sino a me, ha la fronte aggrottata, le rughe di apprensioni cave.
<< È per questo? Che ti stavi tirando indietro? >>.
 
 
Resto in piedi dinanzi a lui, ferma immobile in una precaria armatura di carta. Tra le mani la pietra runica che ha intagliato per me, diviene una un portafortuna nella quale spero ardentemente.
<< Non c’è mai stato altro motivo. >>, chiarisco scrupolosa, per confutare ogni dubbio a riguardo. Il fatto che siamo inconsueti, che io sia abituata ad ambienti sofisticati, mentre lui è più genuino, non è mai stato un problema per me, anzi, Aidan attrae proprio per questo, perché è diverso da tutto ciò che conosco e da dove vengo.
Una boccata di aria pura in una distesa d’oscurità.
 
 
Annuisce tra se e se per una riflessione privata.
<< Era più facile che io credessi di non essere abbastanza, che rivelare un segreto di questa… portata. >>, si rende conto, le tessere del puzzle sul mio atteggiamento strampalato vanno magicamente al loro posto. << Le voci erano vere, dopotutto. >>.
 
 
Schiarisco la gola, traggo un profondo respiro che si ghiaccia nei polmoni.
<< Sì, le voci erano vere. Dopotutto. >>, ribadisco in un fil di fiato, guadagnandomi un’occhiata strana, non proprio di rifiuto, più come se si fosse tolto un fardello ponderoso dalle spalle. << Ora lo sai. >>.
 
 
<< Non sei una fotografa. >>, arguisce avveduto, dopo una manciata di secondi. << E non viaggi per lavoro. >>.
 
 
Faccio di “no” con la testa.
 
 
<< Cos’altro mi hai detto che non è vero? >>.
 
 
Ecco ci siamo, è il momento della resa dei conti… ora sì che sarà lui a disertare.
<< Il motivo per cui sono qui, in questo posto. >>, annuncio con un’inflessione grave.
 
 
Anche il suo sguardo cambia al mutare del mio tono.
<< Ti ascolto. >>.  
 
 
Da dove caspita inizio? Per chi fa parte del mio mondo, l’anatema che grava sulla nostra casata è celebre, non v’è nessuno che non la conosca, è la prima volta che mi trovo in una situazione in cui devo spiegarla.
<< C’è… un’ombra, su di noi: sulla mia famiglia intendo. Una cosa che mi muove da dieci anni. Sono qui perché in base alle poche notizie che ho trovato, è qui che il tutto ha avuto inizio. >>.
 
 
<< Di cosa parliamo di preciso? >>.
 
 
<< Una maledizione. >>, confesso di botto.
 
 
<< Una maledizione?! >>. È visibilmente sbalordito, gli occhi si aprono ampiamente, rivelando una miscela di sorpresa, confusione ed incertezza. L’espressione è un misto di timore e meraviglia, le sopracciglia lievemente aggrottate intanto che cerca di elaborare la scoperta inaspettata. << Sento che questa cosa centra con me. >>.
 
 
<< Sì. >>. L’affermazione viene fuori sussultante.
 
 
<< Fino a che punto? >>.
 
 
Prendo tempo, le parole frullano caotiche nel cervello, non riesco a dargli una percezione che non sia la peggiore.
<< Colpisce chi amiamo… che siano amici o… o. >>, non termino la frase, lascio che ci arrivi da solo.
 
 
Boccheggia ansante, come se stesse cercando di recuperare i vocaboli giusti da utilizzare, la voce viene meno. Gli occhi sono penetranti su di me, mette insieme le porzioni della nuova realtà per capire appieno l'entità della divulgazione e cosa significhi per me, per lui… per noi.
<< In che modo, “colpisce”? >>, calca di proposito “colpisce”, anche se lo sa, vuole che dia un profilo all’incubo.  
 
 
<< Se è solo amicizia, le persone tendono ad allontanarsi senza motivazione, nel migliore dei casi. >>.
 
 
<< Altrimenti? >>, incalza impaziente.
 
 
<< Altrimenti le cose cominciano ad andargli male. Molto male. All’inizio sono piccole cose, piccole sfortune, incidenti casuali, cose che di solito accadono, ma in una vita intera, non tutte insieme, non tutte in una volta. Più è forte il sentimento e più sono forti le conseguenze. >>.
 
 
<< E per gli “o”? >>. È la parte che gli preme maggiormente.
 
 
<< È diverso. Peggio. >>.
 
 
Deglutisce rumoroso.
<< Definisci “peggio”. >>.
 
 
<< Nel momento in cui il cuore della strega è totalmente preso, la persona che ama muore. >>, rendo noto secca.
 
 
Cambia posizione, distende le gambe, piega la schiena in avanti, adesso un altro peso gli è piombato sulle spalle. Più oneroso di quello precedente.
<< Che stai cercando di dirmi, che se continuiamo, morirò? >>.
 
 
Non rispondo all’ennesimo quesito, non direttamente. 
<< Ho sperato che potessi detestarmi in qualche modo, che lasciandoti credere la cosa sbagliata alla fine ti saresti rassegnato e lasciato perdere. >>.
 
 
Balza in piedi come una molla rotta, finalmente reagisce nella forma giusta.
<< Hai un modo del tutto strano di farti detestare! Ti ricordo che mi hai baciato, e lo hai fatto consapevole di quello che stavi facendo! Dio, Hespera! Ti rendi conto di quello che mi stai dicendo? E non è il fatto che tu sia una strega a sconvolgermi, ma il fatto che morirò se questa cosa tra me e te dovesse continuare… e me lo dici adesso che… >>. Si interrompe prima di andare oltre. L’essersi molto esposto in passato con la sottoscritta non ha avuto i risvolti sperati. << Oh merda! Merda! Merda! >>. Pesta un piede a terra.
 
 
Non può biasimarmi per averglielo tenuto segreto, d’altro canto è finito in una pozza maleodorante di guai a profusione, con un epilogo non molto felice.
 
 
<< Quindi cosa? Visto che mi piaci, morirò? Quanto mi resta? >>.
 
 
<< Non mi è dato modo saperlo. Mio padre è morto dopo più di vent’anni di matrimonio felice con mia madre. A volte accade prima, altre volte è più lento, preceduta da una lunga malattia o disgrazie. Non è sempre uguale. >>.
 
 
La virulenza delle commozioni si sfuma.
<< Tuo padre… >>.
 
 
<< Ho tentato fino all’ultimo. Ero venuta qui per questo motivo, per impedire che capiti ancora… è da quando ho memoria che evito contatti duraturi con le persone, per questo viaggio spesso, per spezzare i legami, ostacolare le persone di affezionarsi a me. Ero venuta qui perché speravo ancora in una soluzione… e tu non eri previsto. Sono sempre stata molto attenta, non ho mai permesso a nessuno di avvicinarsi, di superare i confini, perché sapevo quale sarebbero state le conseguenze! Ma poi ti ho visto al molo quella mattina, e c’era qualcosa in te, qualcosa che non so, qualcosa che non ho mai trovato in nessuno! >>.
 
 
Ascolta in un silenzio abbattuto.
<< Non so se essere contento o estremamente arrabbiato. Per una volta che mi piace una persona, quella persona sarà la mia morte. >>. Inumidisce le labbra. << Non l’hai trovata la soluzione, vero? >>.
 
 
<< Volevo andarmene per questo… le soluzioni che ho trovato non sono quelle che avevo sperato e sono altrettanto pericolose. >>. L’incantesimo per dividere le anime è una delle idee peggiori che abbia mai avuto.
 
 
Annuisce più volte, raddrizza le spalle, osserva il faro acceso all’orizzonte, proietta pennellate di bianco sulle acque cobalto.
<< Anche se volessi, non posso più tirarmi indietro, il fatto è che sento qualcosa per te e non posso cancellare tutto: non sono in grado. Mettermi qui a negare, recriminare, litigare, è fuori luogo e controproducente… è successo, sta succedendo e succederà. >>. La sta prendendo meglio di quanto confidassi, non si sta arrabbiando, non sta urlando, non piange. Non fa niente, tranne accettare ciò che il futuro ha in serbo per lui. << Quindi, va bene, facciamolo! >>.
 
 
Acciglio la fronte, spiazzata.
<< Facciamo cosa? >>. Colgo un doppio senso a sfondo erotico che è solo nella mia mente. Ma posso pensare cose del genere in un momento del genere?
 
 
<< Continuare. Fin quando durerà, qualunque sia la strada. Se morirò, voglio aver vissuto davvero prima, voglio che sia vero, intenso, totale. >>. Esamina con una riverbero splendente nelle iridi calde autunnali. << Se ci pensi bene è il cardine base della vita, possiamo morire in qualsiasi momento, ma crediamo sempre di avere più tempo, un domani, seconde e terze possibilità, però non è così. Potevo morire da un momento all’altro anche prima di te, solo che ora ho un motivo vero per vivere ogni istante pienamente. >>.
 
 
Il discorso si schianta senza deviazioni al centro dell’anima, lì dove c’è quell’unica crepa nella quale si è già conficcato, persiste a colmare il vuoto, trabocco di farfalle di luna, volo leggiadra nella brezza marina notturna. Tenue, impalpabile, libera.
È lì che le promesse prendono vita, tra le tenebre immense e il richiamo delle stelle, e il loro significato si fonde con il mistero che aleggia in quegli occhi languidamente mielati. È un dialogo tra cuori affamati di eternità, un'armonia sospesa di due anime intrecciate nel manto celestiale dell'universo.            
E non mi sento più sola.
 
 
Per quella sera abbandono il passato, le cospicue maschere che mi trascino dietro, non sono più una strega, il mio nome non ha alcuna importanza, sono finalmente io.
Ceniamo seduti su una panchina di legno scuro nella pittoresca piazza centrale di Coralba, circondati da antichi edifici in stile marinaro, adiacenti ad un delizioso chiosco dipinto di blu e bianco, che vende panini imbottiti. La brezza marina mitiga l’afosa serata di inizio Luglio, le luci dei lampioni forgiano un'atmosfera intima e romantica; ci sono molti turisti, musica e confusione.
Condividiamo risate e conversazioni, godendo di una serata speciale, la più bella della mia intera esistenza.
 
 
Aidan addenta vorace la sua cena, mentre io di tanto in tanto mi incanto a scrutarlo, trascurando tutto il resto.
<< Non ti facevo tipa da panini. >>, bofonchia, deglutendo più volte un boccone più grande del solito.
 
 
<< Mi sa che mi hai giudicata male… mi piace molto questo. >>. Con un gesto agglomero la situazione d’insieme in cui ci troviamo, dove la semplicità regna sovrana. << Non devo stare attenta a nessuna etichetta, non vengo giudicata, non devo dimostrare niente, né buone maniere o sorrisi fasulli. È bello stare così. >>.
 
 
Si ferma di mangiare, è sul serio interessato a ciò che ho da raccontare. La maledizione aleggia ancora su di noi, ma ha stranamente perso vigore, è una canzone in sottofondo che nessuno ascolta.
<< Com’è il “mondo” dalla quale provieni? >>.
 
 
<< Non bello come tanti pensano. La società magica è complessa e stratificata. È una rete di streghe, stregoni, creature magiche e spiriti che coesistono con il mondo umano, anche se spesso in segreto. Ci sono diversi clan e fazioni, ognuno con le proprie credenze, tradizioni e obiettivi. Alcuni cercano la conoscenza e la saggezza, altri cercano il potere e il dominio. Ma c'è anche una parte della società che lavora per mantenere l'equilibrio tra il mondo magico e quello umano. >>. Bevo un sorso di aranciata prima di continuare, Aidan pende letteralmente dalle mie labbra.  <<  Vedilo come un intricato labirinto di alleanze, rivalità e segreti. Ci sono molte leggi e regole non scritte, è molto importante il nome della casata, fondamentale nella collettività. La classe sociale è tutto, il proprio status economico, la forza magica… spesso ti trovi a dover salvare la facciata, si fanno scelte di convenienza, come quella dei matrimoni per esempio. Ora è un’usanza meno attuata, anche se ancora molto radicata, ma un tempo era normale sposare umani o creature soprannaturali perché lo imponevano le famiglie. I primi per le influenze che potevano avere nel mondo umano, le seconde per il sangue: più potere. >>.
 
 
<< Immagino che tu abbia infranto qualche regola, rivelandomi chi sei? >>.
 
 
Sorrido maliziosa, è l’aspetto meno preoccupante al momento.
<< Mai seguito una regola che non sia mia. >>. Aidan non farà mai parte del mondo magico, è l’unico legame terreno che ho con la quiete, non permetterò a nessuno di rovinarmelo. << Sono tante le cose che non dovevo fare e che ho fatto. Per le altre streghe, avere una maledizione come la mia, è sinonimo di vanto… per me è quello che è: una punizione. Non mi sono mai adattata al mio mondo, né a quello umano. Io sono nel mezzo, un limbo, una mina vagante che non sa disinnescarsi, non vado bene come strega, ma non posso vivere tra gli umani, quindi vago, da un posto all’altro, da una bugia all’altra… sono così stanca di non appartenere a niente e a nessuno. E se a quindici anni mi gloriavo di non avere catene o padroni, ora sono stanca Aidan. Stanca di stare sola. >>, mai dette queste verità ad anima viva, neppure a mia madre, la persona più vicina a me.
 
 
Timidamente la mano cerca la mia. È un gesto inaspettato, mettiamo alla prova le nostre reazioni e quando con ardimento intreccio le dita alle sue, capisco che non voglio mai più sfiorare altro uomo che non sia lui.
Preferisco morire adesso che trascorrere un solo istante dove Aidan non c’è.
<< Se vuoi… possiamo costruirne uno noi di mondo. Insieme. >>. Le guance s’imporporano di leggiadrie e timidezze, il sorriso luminoso rischiara la faccia di miele. << Così non ti sentirai mai più sola. >>.
 
 
Mi faccio intrepida nei gesti, di solito non dimostro mai affetto nelle azioni, sono restia anche nelle parole, un fantoccio altero che prova a scrollarsi la neve dal cuore e mi accosto a lui per adagiare la testa sulla spalla, mentre osserviamo la piazza animarsi di visitatori e residenti.
Anche lui si adatta al nuovo ruolo, il braccio scivola attraverso la mia schiena per stringermi delicato a sé  come una reliquia di inestimabile valore scoperta in un angolo di una stanza obliata, che vuole preservare con cura. Percepisco il suo cuore danzare un valzer fragoroso al ritmo delle stelle sopra di noi.
Esatto… noi.  

















Note:
Con un po' di ritardo perché sono stata un tantino impegnata tra le feste ed altro, ma ecchice qua con il sesto capitolo.
Aidan ha scoperto della maledizione e l'ha presa tutto sommato bene dai, ha una visione molto schietta, genuina e semplice della vita. Il suo discorso rispecchia il suo modo di vivere, quindi sa che potrebbe morire in qualsiasi momento, ma era così anche prima, quindi ha accettato il suo destino. 
Hespera invece non si arrenderà comunque, non ora che ha incontrato qualcuno che le ha preso il cuore. Quindi continuerà a lottare, nonostante tutto. 

Volevo ringraziare IMMENSAMENTE
 AdhoMu che ha recensito, sto ancora saltando di gioia. GRAZIE!
Ringrazio anche i fantasmini che seguono questa storia. 


 

La storia può presentare errori ortografici.

 

Un abbraccio.
DarkYuna

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Capitolo 7
*** 7. ***


7.








La luce si dissolve, assorbita dalla notte come un segreto celato dagli angoli più oscuri dell'universo. Nell'aria, il profumo di mistero e passione si fa sempre più fitto, intanto che i destini si tessono in un abbraccio fatale. Tutto è calma apparente, ma gli incubi si annidano nell'ombra, pronti a risvegliare orrori sepolti nei segreti dell'anima.
Nelle settimane successive la vita prende una piega inaspettata, è un susseguirsi di sorrisi, felicità mai saggiate, premo a fondo il pedale dell’acceleratore, una follia in cui mi butto ad occhi chiusi, il cuore palpita frenetico, mi rendo conto di quante cose mi sono privata per timore di vivere troppo… e che sapore ha l’amore.
Il vero amore. 
 
 
Ma chi è nato nelle tenebre, non può sperare di vivere nella luna, poiché, presto o tardi quelle tenebre da cui rifugge lo colpiranno per riportarlo all’inferno.
 
 
Ed è per questo che adesso sto guidando a rotta di collo giù per la  "La Collina delle Rose Nere", è un sussurro, solo un flebile e debole sussurro al risveglio di uno degli incubi più agghiaccianti, che mi spinge a superare i limiti consentiti di velocità per raggiungere il centro del paese. Ho il cuore che brucia di una pira animalesca, i polmoni liquefatti dal panico più raccapricciante, proprio come quando è accaduto con mio padre, la replica è la medesima, un terrore che squarcia e si ciba del buonsenso. 
 
 
Rischio di finire fuori strada due volte, non importa, la mia vita non conta, l’obiettivo è arrivare prima della Morte: la partita oggi la sto giocando con lei.
Parcheggio il SUV in doppia fila, lascio perfino il motore acceso, lo sportello aperto e scendo a rotta di collo, corro per la strada del mercato del paese dove lavora Aidan.
Un vivace spettacolo di colori, suoni e odori mi passa attorno.
Le bancarelle sono piene di prodotti freschi e artigianali, una varietà di frutta e verdura, disposte in file ordinate come gemme in una corona naturale. Le arance brillano come piccoli soli, le mele emanano un loro profumo avvolgente e le fragole piccole pietre preziose rosse. I venditori di formaggi offrono un assortimento di gusti e profumi che tentano i visitatori, con il loro richiamo irresistibile.
Nelle bancarelle dei fiori, mazzi di petali colorati si coordinano, diffondendo un olezzo che cattura i sensi. I banchi di spezie esplodono di aromi di terre antiche in cui sono stata.
 
 
La strada chiusa al traffico è animata da artisti di strada che suonano musica tradizionale, una colonna sonora vivace. I turisti si spostano pigri tra i banchi, devo schivarli, mi rallentano, sono costretta a spingerli malamente. Più di qualche volta mi becco delle rispostacce poco gentili, di norma replico per le rime, ma gli insulti mi scivolano addosso come acqua fresca d’estate, ho cose più importanti alla quale prestare attenzione.
Cerco disperata i tratti familiari nei volti degli sconosciuti, individuo il banco del pesce ubicato verso la fine della lunga strada. Riconosco uno dei suoi amici, di lui non v’è traccia.
 
 
Mi fermo, ho il fiato grosso, faccio violenza su me stessa per parlare.
<< Dov’è Aidan?! >>, interrogo agitata al suo amico… Dean, David, Darrell o qualcosa del genere. Non rammento mai i nomi, li dimentico il secondo dopo che li ho appresi.
 
 
<< Ehi ciao Hespera! >>, accoglie caloroso. Lui se lo ricorda bene come mi chiamo, beato lui, io ho il cervello di una centenne nel corpo di una di trentadue. Corruga le sopracciglia, non comprende il perché sia turbata a quel modo. << È successo qualcosa? >>.
 
 
Un flebile respiro gelido fa intirizzire la pelle sul collo, il respiro della Morte mi ha raggiunta.
Accade tutto con una lentezza logorante, distolgo gli occhi dall’uomo dietro al bancone, vengono richiamati a gran voce dalla strada, lì dove il passaggio dei mezzi è consentito, nel petto ho una grancassa che rintocca l’orologio della fine, segna l’ora cruciale. Ed è allora che lo vedo.
È vicino ad un furgone scolorito, sta impilando le cassette di legno di pesce su un carrello portapacchi da trasportare al banco, qualcuno lo saluta ed è mentre sta per attraversare la carreggiata distratto che, dalla parte opposta un camion arriva a gran velocità, nemmeno avesse perso il controllo.
Fragile, esposto, in pericolo…
 
 
Non mi fermo a riflettere, ogni palpito è prezioso, se ci fossero meno umani userei semplicemente la magia, ma non posso, non qui, devo rischiare il tutto per tutto.
Scatto verso di lui, non c’è un piano sensato, vado semplicemente allo sbaraglio come ho sempre fatto, metto in pericolo perfino me stessa per salvarlo.
Aidan si rende conto della mia presenza all’ultimo, poi del camion che lo ha puntato, non fa in tempo a togliersi dalla strada, la confusione lo inchioda sul posto. Mi lancio su di lui, uso il peso del corpo di rimbalzo per spostare il suo di forza: il camion ci schiva per un pelo.
Colpiamo il selciato con violenza, rotolando entrambi a terra. Si ode un tonfo sordo, e il mercato è un’accozzaglia di grida spaventate.
Nel secondo successivo, un male acuto al braccio mi fa imprecare sommessa.
Ignorando il dolore, sollevo lo sguardo per assicurarmi che lui sia al sicuro. Aidan è scosso su di me, fortunatamente illeso, quella che s’è fatta seriamente male sono io. Il suo peso mi schiaccia.
 
 
<< Hespera! >>, ripete più volte, sotto shock. Si issa malfermo sulle ginocchia, cerca frenetico se io abbia ferite evidenti, trema in maniera visibile, gli occhi s’affollano di lacrime, smarrisce il controllo.
 
 
<< Mi sono rotta il braccio, cazzo! >>, inveisco con calma, la fitta mi costringe a terra, la testa vortica convulsa, tengo fermo il polso sinistro sullo stomaco. Mi sono già rotta le ossa in passato, riconosco il dolore.
 
 
<< Cosa hai fatto? Perché? Perché? >>, blatera in preda ad un terremoto interiore. È chiaramente sconvolto dall’incidente, devo prendere la situazione in mano.
 
 
<< Aidan respira, sono viva. Starò bene, ma ora devi portarmi a casa mia. >>. Se non avessi le vertigini, mi alzerei tranquillamente per tornare alla mia macchina e andare a casa da sola. Non è un braccio rotto a fermarmi: ho subito di peggio.  
 
 
<< Cosa? No! Devo chiamare un’ambulanza, subito! >>. L’urgenza nella voce è straziante, è stata colpita una persona che per lui significa tanto. Non affronta il frangente con l’adeguata lucidità.
 
 
<< No! >>, enfatizzo razionale. << In ospedale no! Devi portarmi a casa mia. Mia madre saprà cosa fare. >>. Mai stata in un ospedale umano e non inizierò adesso, le loro tecniche barbare imporrebbero una guarigione lenta e dolorosissima.
 
 
Osserva come impazzito, diviso da quel che è giusto fare e ciò che gli chiedo io.
 
 
<< Aidan, fidati di me. >>, lo prego.
Le persone si sono affollate intorno a noi, preoccupate e curiose. Parlano, parlano tutte insieme, parlano di cosa fare e non, parlano… decisamente troppo!
 
 
Titubante accetta la mia follia, prende d’impeto in braccio, si fa largo tra la gente per convogliarci al furgoncino scassato parcheggiato qualche metro più avanti. Mi adagia accorto di fianco al posto del guidatore, poi sale anche lui e parte più veloce che può.
<< Non chiudere gli occhi! >>, strepita fuori di sé. << Non devi addormentarti, Hespera! >>. Lancia sguardi ad intermittenza tra me e la strada, ha smarrito il controllo totale.
 
 
Un ghigno amaro si stampa sul viso.
<< Non sono in punto di morte Aidan, mi sono solo rotta il braccio. >>. Ho ancora la forza per fare una battuta provocatoria. << Cerca di non ammazzarmi tu piuttosto! >>.
 
Schiva per un pelo una macchina a cui ha tagliato la strada in curva.
<< Cosa… come? Come lo sapevi? >>. Non ha bisogno di ragguagli sull’incidente, è consapevole del perché, sapevamo che questo giorno sarebbe giunto, non così presto però: ciò che non gli è chiaro è ben altro.  
 
 
Scrollo il capo, le azioni sono appena accennate, la sofferenza si sta irradiando a tutto il corpo, qualsiasi movimento mi fa vedere le stelle.
<< Non lo so. >>. Mai avuto premonizioni o simili, è tra i pochi doni soprannaturali che non sono riuscita a coltivare, alla fine ho rinunciato, credendo di non essere portata. Il mio sesto senso ha sempre fatto acqua da tutte le parti. << Quando mi sono svegliata ti ho… sentito. Non chiedermi come, perché non mi è… >>. Un fulmine a ciel sereno blocca la frase. Una reminescenza sconnessa, ambigua, che fatico a rammentare come si deve, prende il sopravvento.
Non ho mai prestato particolare attenzione a questo antico mito, l’ho sempre sottovalutato, giudicato solo una diceria, una stupidaggine, appunto.
Una vaga speranza tra gli umani più che per le streghe, perché le streghe non soffrono la solitudine, noi ci beiamo di essa.
In teoria.
Perché la pratica è tutt’altra cosa.
 
 
<< Che c’è? >>, interroga Aidan, confuso dall’improvviso zittirmi. << Ti senti male? >>. Gli ci vorrà molto per riprendersi dall’episodio di oggi, il mio cervello invece sta già navigando in altri mari, talmente abituata agli imprevisti che oramai non costituiscono più alcun problema.
Se fosse vero, se l’intuizione si rivelasse reale… io sarei in un mare di guai.
 
 
<< No, voglio solo tornare a casa. >>, chiudo in fretta il discorso, la voglia di scherzare è venuta meno, anche la voglia di vivere non è pervenuta.
 
 
*****
 
 
La tempesta è giunta infine.
E non parlo solo di quella che si è abbattuta su Coralba al crepuscolo, sospendendo il festival estivo serale ed obbligando i cittadini ed i turisti ad una delusa ritirata nelle loro abitazioni.
Mi riferisco anche alla tempesta che ha travolto me, precisamente spezzandomi il polso sinistro mentre salvavo l’uomo di cui sono innamorata.
Mia madre Thalassa ha impiegato tutto il pomeriggio a risaldarmi l’osso, applicando abbondante Iperico selvatico e Rosmarino, e steccando il braccio: domattina starò già meglio. Sono imbottita di Artiglio del Diavolo, ed è come un post sbronza, fin troppo chiaro ed assennato.
 
 
Aidan è fermo in una posizione statica da quasi dieci minuti davanti la finestra, tiene le mani in tasca ed osserva il giardino che costeggia la proprietà, smarrito in elucubrazioni private. È troppo buio per vedere realmente alcunché, prova solo ad ingannare il tempo, compiendo azioni senza senso.
Non si è mosso da questa stanza neppure per un istante.
 
 
<< Dovresti tornare a casa a riposare, tra qualche ora sarò come nuova. >>, dico ad un certo punto, attirando la sua attenzione.
 
 
Fuoriesce dalla catatonia con un lungo sospiro, si volta su se stesso e si mantiene lontano.
<< Resto un altro po’ se non ti dispiace. >>. L’apprensione ha solcato un cipiglio scuro tra le sopracciglia. Benché sia fuori pericolo, non abbassa la guardia. << Come ti senti? >>.
 
 
<< Come una che è già stanca di essere trattata come una bambolina delicata di porcellana. >>. Preferisco tuttavia, rimanere sdraiata, non garantisco che la pressione sanguigna non giochi qualche brutto scherzo. << Avvicinati. >>.
 
 
Sorride appena, è un’azione vuota, meccanica, non si è del tutto ripreso, sul suo viso leggo l’angoscia malcelata. Viene a sedersi all’estremità del letto a due piazze. È la prima volta che entra nella mia camera.
 
 
<< Vicino a me. >>, specifico, tamburellando l’altra mano sul lato vuoto del letto.
 
 
Tentenna di defaillance.
<< Sei sicura? >>. Non siamo mai stati distesi nello stesso letto.
 
 
<< Non mi romperò, stai tranquillo. Stai con me stanotte, vuoi? >>.
 
 
Si sdraia impacciato al mio fianco, trovo riparo sul suo torace, sono più tranquilla se è qui con me e posso tenerlo d’occhio. Il suono del cuore culla i pensieri.
<< Sarà sempre così tra di noi? Tu che ti fai male per salvarmi? Io che sarò sempre più vicino alla morte che alla vita? Cosa accadrà la prossima volta? Ti romperai qualche altra cosa o peggio? E se il camion avesse investito te? >>.
 
 
<< Noi streghe siamo più forti di quanto tu possa credere. >>, lo rassicuro sincera. Prima di dichiarare morta una strega, ne deve passare di acqua sotto i ponti. << È difficile per noi morire… l’unico che può davvero uccidermi sei tu. >>. Incontro l’occhiata allarmata a metà strada. Devo ancora accertarmi che la mia teoria sia esatta, anche se so che è così, che non ho bisogno di parlarne a mia madre, né di fare ricerche. È vero, è reale, è davvero lui… 
 
 
<< Non puoi tenermi sotto una campana di vetro per sempre. >>, non è petulante, rimarca solo la dura concretezza.
 
 
<< E non intendo farlo, permettimi solo di… starti più vicina. Solo questo. >>.
 
 
<< Più di così? >>, scherza a stento, riferendosi a noi due abbracciati. È una comicità vuota, satura di tristezza.
 
 
<< Qualche incantesimo di protezione. So che non serviranno a nulla, ma lasciami provare. Non sentirai dolore, per te non cambierà nulla, voglio solo essere certa, va bene? >>.
 
 
Batte le palpebre, le iridi languide annegano nelle mie, la bocca si distende in un caldo sorrido familiare. Il tempo cadenzato da una ventura avversa, altera ogni momento d’una intensità lacerante, e vengo sbaragliata da un’atroce sincerità: non posso vivere in un mondo dove lui non c’è.
 
 
Lambisce i miei capelli, l’indice si sofferma sul mio naso e tamburella dilettevole. Le punte delle dita sfiorano delicate la pelle.
<< Hai già stregato il mio cuore… puoi farmi tutto ciò che vuoi. Non ho paura Hespera, non mi sono mai sentito più vivo in vita mia da quando ti ho incontrata, voglio che tu lo sappia, che tu sappia che non lo rimpiango, non rimpiango niente, che se tornassi indietro sceglierei ancora di avvicinarmi a te. Sceglierei di nuovo questo, sceglierei di nuovo te. >>. 
 
 
Ripenso al rituale per spezzare le anime, quello che mi condurrebbe con un biglietto di sola andata alla pazzia, ma che garantirebbe una vita lunga ed in salute a lui e nella dissennatezza del dolore prendo la più difficile delle decisioni.
Sangue e sperma, chiedeva il sortilegio.
E sia.
 
 
<< Fai l’amore con me. >>, pronuncio a bruciapelo, spiazzandolo. Attrice consumata, dissimulo con maestria il vero stato d’animo, in verità vorrei scoppiare a piangere.
 
 
<< A-adesso? >>, replica imbarazzato, balbettando. Oltre ai baci, non siamo mai andati oltre.
 
 
<< Sì, adesso. >>, insisto determinata, salendo procace su di lui a cavalcioni. << Ho voglia di fare l’amore con te adesso. >>.
La bocca cerca famelica la sua, mi ferma prima che possa continuare.
 
 
<< M-ma aspetta, non mi sono fatto neppure una doccia, ho gli abiti da lavoro sporchi! E-e p-poi tu hai il polso rotto! Ed oggi è stata una giornata così. Aspettiamo per favore! >>.
Non m’importa se non sia pulito, né che abbia un odore forte, men che meno che il dolore possa ostacolare. Lo voglio come un addio che non posso tollerare, con una violenza tale che stanotte sarò io a morire.
 
 
Lo analizzo sbigottita, nel mio mondo nessun maschio rifiuta una proposta del genere.
<< Perché mi respingi? >>. Non sono offesa, né ferita, più che altro sorpresa, molto sorpresa. << Ho fatto qualcosa di sbagliato? >>.
 
 
Si spinge seduto verso di me, blocca il mio viso tra le mani.
<< Oh no, no, Hespera! No, tu sei perfetta, anche troppo perfetta. Incredibilmente perfetta! Non credere che io non ti desideri più di qualsiasi altra cosa al mondo, non ho fatto che desiderarti sin dall’inizio, ma un conto è il desiderio e un conto è la realtà. >>.
 
 
Credo di essermi persa qualche pezzo della spiegazione strada facendo.
<< Che significa? >>.
 
 
Abbassa gli occhi, gonfi di vergogna, fallisce due volte la confessione.
<< È la prima volta. >>, mormora così a bassa voce che in un primo momento non credo di aver capito bene. << Ecco, l’ho detto. Ora lo sai. >>.
La purezza della confessione, il tono dolcemente imbarazzato, le fattezze tenere, hanno un’influenza prodigiosa, spengono la ragione, incendiano il cuore.
Lo contemplo, ed è come se non avessi fatto altro negli ultimi cento anni, come se avessi atteso lui nel corso dei secoli, come se ogni cosa che io abbia fatto, detto, sbagliato, rinunciato, era un “frattempo”, in attesa di lui, in attesa di questo unico momento in cui finalmente il mio destino, quel misterioso filo d'argento che si tesse nelle eternità, trovasse il giusto intreccio.
Lo sguardo si perde nell'abisso profondo degli occhi di terra, ed io vedo la mia anima riflessa lì, non esiste passato, presente o futuro che valga, se non questo attimo incantato in cui il mondo intero è diventato un preludio a lui, al suo sorriso, al suono della voce, all'odore della pelle.
Un'unione che nessun tempo, nessuna magia, nessuna creatura, né nl cielo e né in terra, potrà mai spezzare.
 
 
Le difese cadono con uno schianto di cristalli corvini, nuda nell’essenza primordiale, inerme, faccia a faccia con il sentimento più radicato, immenso e reale che abbia mai sperimentato.
La paura si mescola alla passione, la dolcezza si unisce alla ferocia, lo abbraccio di slancio, il bacio è il più crudele dei commiati, una fiele che non riesco a mandare giù, nel calore del corpo contro il mio so di essere finalmente a casa, non devo più fuggire. In lui trovo il mio rifugio, la mia salvezza, la mia ragione di essere.
È il mio destino.
Ora lo so.
 
 
<< Aidan. >>, sussurro in un singhiozzo che sconquassa i polmoni, mentre riprendo da dove mi ha fermata, trascinandolo giù nel letto con me. << Io ti amo. >>.









Note: 
Con un ritardo incredibile, ecchice qui con il settimo capitolo di questa storia.
Beh, si sapeva che prima o poi qualcosa ad Aidan doveva accadere, ma Hespera è riuscita a salvarlo. Ma quante volte ci riuscirà? E cos'è che ha capito? Farà davvero l'incantesimo spezza anime? 
In questo capitolo mi sono proprio impegnata per far uscire la dolcezza "spupazzosa" di Aidan, che anziché preoccuparsi di essere ad un passo dalla morte, è ad Hespera che pensa. Sempre e comunque.

Di solito scrivo storie erotiche, ma non so il perché, in questa storia non me la sono sentita di aggiungerci descrizioni minuziose di sesso. Mi sembra più una storia dolce, malinconica, non ce le vedevo delle scene erotiche. Vorrei che si tenesse su quel tono tenue e delicato che ho scelto per la narrazione. 

Ringrazio sempre chi segue questa storia anche in silenzio.

 

La storia può presentare errori ortografici.

 

Un abbraccio.
DarkYuna


 

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Capitolo 8
*** 8. ***


8.
  
 
 
 
   
 
 
 
“Nelle tenebre dell'oblio, ti nascondo la via,
Tra le pieghe del tempo, lontano da qui,
Del mio amore per te, tu non ricorderai,
Solo nel mio cuore, questo segreto serberai.”
 
 
 
 
 
 
 
Al mare affido il mio cuore.
La Luna, signora pallida, è piena ed alta nel manto di tenebre, testimone inquieta del sacrificio. La costa, il palcoscenico dell’agonia. Le acque nere trangugiano l’incantesimo e con esso anche la pietra runica che Aidan ha inciso per me.
Spezzo la mia anima.
Spezzo la sua anima.
Le strade si dividono.
Finisce qui per sempre.
 
 
All’alba il nome svanirà dai suoi ricordi, sarò sabbia portata via dal vento, e lui dimenticherà che sono mai esistita, si risveglierà nel suo letto e sarà la routine di sempre. Ma io… io rimarrò intrappolata nei frammenti dell'anima, in una follia immortale e devastante. Eppure, è l'unico modo. È l'unica via per salvarlo dalla mia oscurità.
 
 
Condanno me stessa a una vita di tormenti e pazzia per amore, rifiuto l'eternità per quell’irripetibile istante di felicità che non sarà mai più mio, rinuncio all'infinito per un'unica speranza di liberazione. Ma il mio cuore è ormai lacerato, e mentre l'oscurità dell'incantesimo prospera, so che il mio destino è sigillato, perché ho scelto la via dell'ombra, il percorso della solitudine eterna, ho deciso di diventare uno spettro dell'abisso per proteggerlo, anche a costo della mia stessa vita.
 
 
Cammino, cammino tutta la notte, un fantasma nero che vaga per ogni strada di Coralba, negli angoli pieni di Aidan, sento le sue risate, la luce negli occhi, la bellezza del sorriso. Passo dopo passo il sortilegio cancella le mie tracce e di me non v’è altro che il niente.
Torno a quella mattina al porto, è tutto uguale stanotte, sono io ad essere diversa.  
Nel silenzio dell’inferno, ogni varco è un stiletto che affonda nel petto, un ricordo che svanisce come fumo tra le dita, il dolore è l'unico compagno che resta, l'unica impronta dell’amore alla quale ho rinunciato, l'unico legame con un passato ormai corrotto nell'oblio.
 
 
<< Hai pronunciato l’incantesimo con il dolore nel cuore. >>, sussurra sconvolta mia madre dietro di me. Ha sentito il potere scatenato dall’antico sortilegio, ciò nonostante non è arrivata in tempo, ogni cosa è compiuta. Ha il fiato corto, ha corso più che ha potuto, ma non può più salvarmi, oltre mio padre perderà anche me.
 
 
Come se avesse azionato un tasto diretto agli occhi, scoppio a piangere a dirotto, le corro incontro e crollo in una voragine dalla quale non risalirò mai più. Le lacrime scorrono copiose, un oceano di dolore che mi affoga nell’oscurità, inondando ogni angolo del mio essere. È il prezzo della scelta.
<< Divisi c’è una speranza, insieme siamo morti entrambi. >>. Perché non ci sarò io, se lui non vive.
 
 
Bacia sulla fronte, tiene stretta tra le braccia, vezzeggia i capelli, cerca i primi flutti dell’insania.
<< Torniamo a casa Hespera, la nostra vera casa… rincolliamo i cocci, rincominciamo tra la nostra gente, lì saremo al sicuro. Per favore, Hespera. Per favore! Basta cercare una soluzione, un modo per rompere la maledizione, basta con tutta questa disperazione, non ce la faccio più ! >>. Tra le altre streghe, il mio squilibrio sarà vigilato.  
 
 
Annuisco più volte, tiro su sgraziata con il naso, oramai ho perso tutto, le mani tornano ad essere vuote, così come la mia vita. Non rimane altro che le vestigia di un amore mai conosciuto, una cicatrice fuggevole nel passato, un sospiro di contrizione velato nel baratro di giorni che non si ripeteranno mai più.
<< Andiamo via mamma. >>.  
 
 
 
 
 
 
 
 
5 anni dopo
 
 
 
 
 
 
 
 
 
Niente resta mai immutato, neanche la fine.
Le anime scelte dal destino troveranno incessantemente un modo per rincontrarsi, anche se le attese e il vuoto sembrano separarle. La connessione è scolpita nell'eternità, e le forze dell'universo le guideranno implacabilmente verso il rinnovo di quel legame, senza curarsi di sfide e prove che dovranno affrontare lungo il loro cammino.  
 
 
Torniamo sempre dove siamo stati più felici, perché quelle sono le terre che il cuore conosce meglio. Non importa quanto tempo sia trascorso, né quante avversità abbiamo incontrato. Le radici dei ricordi felici sono profonde e salde, e ci tirano dolcemente indietro, come una casa a cui si è sempre appartenuto, anche se per un po' ci si era smarriti per strada.
Tutto rifiorisce, anche quello che non credevamo mai avremmo potuto riavere.
 
 
Raccolgo altri Boletus edulis, il faggeto quest’anno ne è straripante, sono spuntati per la prima pioggia d’autunno. Il bosco è una tavolozza di tonalità che vanno dal vermiglio ardente, all'arancione brillante e allo zafferano dorato, i colori si mescolano in un caleidoscopio naturale che istoria il paesaggio.
L'aria è pervasa da aromi terrestri, con il profumo della terra umida, del muschio e del legno bagnato. È un richiamo alla vitalità della natura che si prepara per l'inverno.
Nonostante la vivacità delle nuance e dei suoni, c'è un senso di pace e tranquillità che avviluppa. La Baia del Silenzio mantiene la promessa di quiete, con i ritmi naturali come il canto degli uccelli e il fluire del ruscello.
Gli animali selvatici si preparano per il lungo letargo freddo, cercando cibo tra i frutti caduti dagli alberi.
Riconciliarmi con Madre Terra ha presentato l’eremo più sopportabile.
 
 
Le foglie cadono lentamente dagli alberi, cammino su un tappeto soffice e multicolore e, sotto i piedi, il fruscio delle fronde secche è una costante melodia autunnale. Godo dei tiepidi fulgori del giorno, canticchio spensierata, gli scoiattoli, abituati alla mia presenza, trottano accanto a me, regalo loro delle ghiande.
Un formicolio nella frescura cattura l’attenzione, una sottile vibrazione elettrica, sussurri di magia che aleggiano tra gli alberi secolari: un’altra strega è qui.
Una strega con il mio stesso sangue.
Seguo il sentiero di terra fino al cottage di massiccio legno scuro, divenuto oramai parte integrante del paesaggio silvano.
Mia nipote Aria è qui.
In realtà non è mia nipote in senso letterale, è la cugina della cugina di qualche altra cugina di una lunga stirpe che non avrà mai fine, l’ho vista nascere e crescere, è come se fosse la figlia che non avrò mai. Una giovane strega dalla dissidente chioma ramata, le iridi verdi ferine, porta abiti leggeri e fluttuanti mogano, decorati con dettagli ricamati di stelle e lune dorate. A tracolla una borsa marrone ingombrante.
L’ultima volta che l’ho vista era una ragazzina non ancora sbocciata, mentre ora una donna bellissima è quella che mi attende all’entrata di casa.
 
 
<< Zia Hespera! >>, strepita, illuminandosi. Corre verso di me, getta le braccia al collo e m’investe con il brio della sua gioventù. << Non sei cambiata per nulla! >>.
 
 
<< Uno dei pochi aspetti positivi dell’essere una strega: si invecchia con calma. >>, commento divertita, e sorpresa della sua presenza qui. << È da tanto che non ci vediamo, quanti anni hai ora? >>.
 
 
<< Diciotto compiuti da poco! >>. Si scosta dalla stretta, tiene la mia mano tra le sue.
 
 
<< Che ci fai qui? >>. Baia del Silenzio non è luogo di passaggio, se si viene qui c’è una chiara intenzione di avere a che fare con la sottoscritta.
 
 
<< Oh zia! Ho tante cose da raccontarti. >>, freme al solo pensiero. Non sta più nella pelle. << Ho bisogno del tuo aiuto. >>.
 
 
Annuisco, non ho la più pallida idea del motivo che l’ha spinta a me, suppongo siano cose leggere, delle stupidaggini, in fondo è ancora una bambina ai miei occhi.
<< Vieni, entriamo in casa: ti preparo una cioccolata calda. >>. La guido all’interno del cottage, il fuoco è ancora acceso e crepitante.
 
 
Si siede al tavolo vintage in cucina, toglie la tracolla, intanto che mi appresto a preparare una buona cioccolata calda.
 
 
<< Allora, che si racconta nella comunità magica? >>. Non sono davvero interessata a cosa è accaduto durante la mia assenza, è solo un modo come un altro per imbastire una conversazione di circostanza. Sono davvero contenta che lei sia qui, un volto familiare dopo tanta emarginazione.   
 
 
<< Conflitti, alleanze, c’è chi viene, c’è chi va: le solite cose. >>.
 
 
La sento trafficare alle mie spalle, sta tirando fuori delle cose dalla borsa.
<< E a te? Cosa mi racconti di bello? Cosa ti ha portato qui? >>.
 
 
Pensa bene a come divulgare la causa perno, poi capisce che non può addolcirmi la pillola e parla come meglio le viene.
<< Zia mi sono innamorata. >>, confessa a bruciapelo, procurandomi una stilettata a tradimento nel costato. Lì dove c’è la cicatrice imputridita di un’anima spezzata, che non è mai guarita davvero, l’oscurità ha ricamato mostruosità ed ossessioni.
Le mani tremano, faccio fatica a non far cadere il pentolino sul fuoco, con la cioccolata che sto mescolando.
 
 
Deglutisco a fatica un groviglio che s’è serrato in gola, gli occhi dilatati nel vuoto, il corpo si contrae impulsivo: so perché è qui.
La guardo da sopra una spalla, i denti talmente serrati che rischio di frantumarli.
<< Aria… no. >>, sibilo glaciale. È un inganno alla quale non ero preparata. Mi volto a guardarla rigida, ha subissato il tavolo di libri vecchi, fogli di pergamena, documenti più recenti. È come essere tornata di colpo al passato.  
 
 
<< Zia tu sei l’unica! L’unica che ha inseguito la maledizione! >>, insiste con l’estro che solo un giovane cuore preso d'amore dispone. 
 
 
<< Ed ho perso! >>, grido, spaventandola. << Guardami Aria! Guarda dove sono! Guarda la mia vita! Mi hai guardata bene? Io ero come te, con quel fuoco di guerriglia, credevo che l’avrei vinta, che l’avrei spezzata, che per me sarebbe stato diverso… >>, le ultime parole vanno via via spegnendosi, lo squilibrio bussa insistente alla mia porta, riesco a tenerlo imbrigliato a fatica. Non sono impazzita no, ma forse impazzire sarebbe stata una sentenza migliore, <<… che sarebbe stato diverso. >>. Un paio di occhi di terra sono ancora ben chiari nella mente.
 
 
Ricordo ancora tutto di lui, benché non abbia sue foto, è qui, immutato, radicato, perpetuo nel tessuto delle memorie, il suo viso non è mai sfiorito. Non ho smesso di pensare a lui neppure per un anelito dell’artefatta bonaccia, di un trillo dell'alba, o un riflesso dorato del tramonto.
 
 
<< Non c’è soluzione, non c’è… preparati a soffrire. >>. Non voglio avere mai più a che fare con questa storia. Mai più!  
 
 
Aria balza in piedi, non mollerà tanto facilmente.
<< Ma l’ultima volta che ci hai provato ti mancavano dei pezzi, zia! Ascoltami un momento. >>. Prende un vetusto dipinto e me lo ficca a forza sotto il naso.
 
 
Lo sfondo del dipinto è un paesaggio incantato, con un prato fiorito che si estende fino all'orizzonte: La Collina delle Rose Nere. Gli alberi secolari e maestosi circondano la coppia, creando un'atmosfera di serenità e mistero. Il cielo è dipinto con sfumature di cobalto e viola, mentre le stelle iniziano a puntellare il firmamento.
Vi sono due persone ritratte.
Lei è vestita con un abito da dama del 1400, realizzato in tessuti preziosi e ricamato con dettagli floreali e gioielli scintillanti, lunghi capelli corvini, iridi di ghiaccio. Lui invece ha su di sé abiti più semplici e rustici, una giacca di lino e un cappello di paglia, la capigliatura è castana, ribelle, l’espressione però è dolce. Un netto contrasto tra i due.
I volti sono affrescati con espressioni appassionate. Lei guarda lui con occhi luminosi e un sorriso radiante, mentre lui la tiene delicatamente per la vita, con un’intensità di devozione e amore negli occhi.
Le mani dei due amanti sono intrecciate in un gesto d'amore e connessione.
 Il dipinto è incorniciato da dettagli fatati, piccoli fiori che brillano di luce propria e farfalle che volteggiano nell'aria.
Nel dipinto, è evidente che l'amore tra i due è eterno ed indissolubile, nonostante le differenze sociali.
 
 
I polpastrelli sfiorano la carta ruvida, riconosco il mio volto in lei, i tratti sono sbiaditi, però identici: non posso sbagliare.
E lui… lui è un sordido dolore, impettito, categorico, nelle concavità del mio essere, dove i cenci sopravvissuti dell’anima si destano.
Aidan.
Gli occhi si velano di lacrime, il vuoto avvolge, un singhiozzo risale violento dai polmoni, un suono straziante che si libera dalla gola senza il mio consenso. È un grido silenzioso di dolore che si propaga nell'aria. Le palpebre pesano, quel ritratto è un ponte verso un passato che non ho mai superato.
È come se l'immagine del volto di Aidan avesse il potere di farmi perdere la presa sulla realtà, e tutto ciò che resta è una sensazione di vuoto.
Siamo noi, ma non siamo noi.  
 
 
<< C-chi… chi sono? >>. I ricordi affiorano in modo travolgente. Le immagini di ciò che ho perduto, dell’amore devastante, della corsa contro la maledizione, della separazione funesta e della solitudine, si riversano nella testa come un fiume impetuoso.
 
 
<< Lei è Eleanor Hastings, una nostra antenata, nata nel 1399 e morta nel 1418. >>.
 
 
<< E… e lui? >>.
 
 
<< Thomas Wakefield. Un pescatore di quella che oggi viene chiamata Coralba, ma all’epoca era agglomerata a Gleannach, hanno conquistato l’indipendenza agli inizi dell’800. >>.
 
 
Le rivolgo l’occhiata più sconvolta e confusa che dispongo.
<< Non l’ho mai sentita. >>. Pensavo di sapere tutto, invece mi sbagliavo.
 
 
<< Eleanor è stata cancellata dagli alberi genealogici della famiglia, zia. Lei era promessa in sposa ad un signorotto locale, un certo Silverfield, quel matrimonio avrebbe conferito lustro, potere e ricchezze, nonché un nome prestigioso. Per obbligarla a sposarsi, il padre di lei uccise Thomas… e la costrinsero a sposarsi con Silverfield, ma aveva in grembo il figlio di Thomas, e dopo che diede alla luce una bambina, si suicidò, gettandosi in mare. >>. Aria si aggrappa letteralmente al mio braccio. << Zia ho controllato almeno mille volte: la maledizione ha avuto inizio da questo evento. Eleanor deve aver fatto qualcosa, forse ha maledetto il suo stesso sangue, ma la maledizione pronunciata con il dolore nel cuore ha preso campo e si è estesa fino ad oggi, fino a noi. >>.
 
 
La verità porta uno scompiglio non indifferente, sbroglio istantaneamente la matassa intricata: Aidan Whitethorn è il discendente di Thomas Wakefield.
L’attrazione irrefrenabile tra me ed Aidan era il riflesso dell’amore immortale tra Eleanor e Thomas, che è esploso non appena ci siamo incontrati… o ritrovati dopo secoli. Ecco perché quell’incessante bisogno di lui che non riuscivo a soffocare.
 
 
<< Guardala zia, Eleanor è uguale a te, e tu sei la prima che è riuscita a salvare la persona che ama, anche se hai dovuto pagare un prezzo altissimo. Questo deve pur significare qualcosa? La soluzione è lei, la soluzione sei tu. >>.
 
 
E come se Aria avesse scagliato un sasso sul pelo di un lago calmo, scoppio in un pianto convulso, perché il desiderio s’accende accecante e mi espone a pelle diretta alla luce del sole.
Ed urlo, urlo con tutto il fiato che mi è rimasto in corpo, urlo la disperazione che ha scavato ad unghiate e sangue un pezzo dopo l’altro, mi accascio su me stessa e finisco sul pavimento freddo. Le lacrime scorrono senza controllo, fiumi tumultuosi di pianto e dolore. È un urlo che squarcia il silenzio dell'anima, una catarsi di emozioni incontenibili.
 
 
Aria si inginocchia al mio fianco, avvolge il corpo sussultante, tenta di contenere la crisi.
<< Non arrendiamoci zia, possiamo ancora spezzare la maledizione, c’è ancora una speranza. >>.
 
 
Ho affidato al mare il sortilegio che spezza le anime, non può essere più sciolto, è tardi… troppo tardi.  
C’è ancora speranza sì, per lei, ma non per me.

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