As Cold As Dragonbreath

di _Layel_
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Il Drago e la Caverna ***
Capitolo 2: *** Nella Tana del Lupo ***
Capitolo 3: *** I Cattivi delle Favole ***
Capitolo 4: *** Hai Paura? ***
Capitolo 5: *** Chi di Spada Ferisce... ***
Capitolo 6: *** Vecchie e Nuove Conoscenze ***
Capitolo 7: *** Nido di Spine ***
Capitolo 8: *** Il Mio Idolo ***
Capitolo 9: *** Pulcini ***
Capitolo 10: *** Il Principe Ranocchio ***
Capitolo 11: *** Riunione di Famiglia ***
Capitolo 12: *** Non Siamo Soli ***



Capitolo 1
*** Il Drago e la Caverna ***


As Cold As Dragonbreath

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Il Drago e la Caverna

Keigo aveva perso il conto di quante volte il suo calice di vino fosse stato riempito, come se i servitori stessero cercando di prosciugare le riserve del palazzo. Sì passó le mani sugli occhi. Non meritava una festa simile: cantori, giocolieri e dodici portate diverse erano riservate alla nobiltà. E Keigo di nobile non aveva neanche la fibbia della cintura.

Non era inconsueto che ricevesse lettere dal palazzo, il consiglio del re aveva spesso missioni da affidargli. Era lo stemma personale del re - una fiamma rossa e blu - ad averlo lasciato a bocca aperta per cinque minuti buoni. Il contenuto della lettera, poi, gli aveva fatto desiderare che il messaggero fosse stato derubato prima di arrivare alle porte della sua casa. Per quanto il messaggio gli risultasse sgradito, aveva preparato immediatamente i bagagli alla volta di Musutafu, la capitale.

Il giorno seguente aveva varcato le porte della città con il suo apprendista, Tokoyami Fumikage, il suo più giovane e unico apprendista, e si era scontrato con una folla gioiosa, che tendeva le mani e acclamava il suo nome come se fosse un eroe. Nessun membro della corte li aveva accolti, seppur le strade pullulassero di guardie. Lo stemma della monarchia ricopriva ogni superficie disponibile: draghi rossi erano dipinti sulle rocce del selciato, sulle porte delle case, sulle armature dei soldati. In ogni parte del regno il popolo era molto orgoglioso dello stemma del drago rosso, fiero della forza che simboleggiava; anche i finimenti del cavallo di Keigo portavano i colori della corona. Ma, dopo aver visitato quasi ogni villaggio del regno, Keigo poteva affermare che il drago non era mai tanto ostentato quanto a Musutafu.

Si erano fatti strada nel mare di strette di mano e sorrisi, raggiungendo il palazzo reale. Keigo venne fatto accomodare immediatamente nella sala del consiglio. Tokoyami era stato costretto ad aspettarlo fuori e Keigo ne era grato: non voleva che il ragazzo fosse tirato in mezzo. Invece del re, che non vedeva l’ora di incontrare, si trovò davanti una donna sulla cinquantina, la copia sputata delle rane che vivevano nello stagno dietro casa sua, che gli spiegò dettagliatamente in cosa consisteva la sua missione e gli fece garbatamente intendere che se avesse rifiutato avrebbe potuto dire addio a vita e rango. Keigo non si sentiva pronto a rinunciare al titolo di Cavaliere (e alla testa) perciò aveva accettato con un finto sorriso. In cambio la donna gli aveva comunicato che l’indomani il re avrebbe tenuto una festa in suo onore e questa volta Keigo non ebbe bisogno di alcun incentivo.

Il re, però, non si era ancora fatto vivo e Keigo stava iniziando seriamente ad annoiarsi.

“Scusate signore, voi siete il Cavaliere Hawks?” Keigo quasi si rovesciò il calice di vino addosso quando la vocetta acuta di un bambino lo svegliò dal torpore in cui era caduto. Si passò una mano sugli occhi e sorrise alla bambina dai grandi occhi rossi che lo guardava incantata.

“Beh, che ne dici?” disse, arruffando le piume rosse delle sue ali. Se c’era un Cavaliere facilmente riconoscibile quello era Keigo, o Hawks, come la maggior parte delle persone del regno lo conosceva. “Hai bisogno di qualcosa?” Le chiese gentilmente e la bambina si girò più volte verso la folla, prima di trovare lo sguardo di un ragazzo dai capelli viola, che la incoraggiò con un piccolo cenno della mano. La bambina fece un profondo respiro e iniziò a parlare senza alzare gli occhi dai suoi sandali.

“E-ecco voi… voi avete delle bellissime ali, signore. Anche io un giorno voglio diventare un Cavaliere coraggioso come voi!” Alla fine aveva preso coraggio e alzato gli occhi, un sorriso timido le spuntava tra le ciocche bianche. “Anche il mio fratellone pensa che siate molto coraggioso, ma è troppo orgoglioso per dirvelo.” A questo Hawks rise apertamente, arruffando i lunghi capelli della bambina e lanciando un’occhiata al ragazzo che probabilmente era il fratello maggiore.

“Sono sicuro che un giorno diventerai un grande Cavaliere, specialmente con un Alias come quello,” disse mentre accennava al piccolo corno che le spuntava tra le ciocche bianche. “Gli unicorni sono animali molto forti.” La bambina annuì, la bocca mezza aperta e gli occhi spalancati. “Ti faccio i miei migliori auguri, piccola. ” Lei fece un veloce inchino e corse verso la folla, saltellando e parlando animatamente con il fratello. Hawks si alzò dalla posizione accovacciata in cui finiva sempre quando parlava coi bambini e fece un cenno al ragazzo. “E porta i miei auguri anche a tuo fratello!” Alzò abbastanza la voce perché entrambi lo sentissero e rise di nuovo quando il ragazzo lanciò un’occhiataccia alla sorellina.

La parte che preferiva dell’essere un Cavaliere era parlare con i bambini. Loro non lo trattavano con il finto rispetto che tutti gli aristocratici riservavano ai Cavalieri o con la devozione pregna di richieste che veniva dal popolo.

Quello dei Cavalieri non era un titolo nobiliare, ma più un rango dell’esercito: i più abili combattenti del regno venivano investiti dal re del rango di Cavaliere e giuravano di proteggere la sua gente e i membri della famiglia reale. Rispondevano solo e direttamente al re e rimanevano in servizio per tutta la vita. Il Cavaliere Hawks era diventato molto famoso molto velocemente, le sue ali si erano rivelate un grande strumento d’attacco e di difesa e molte volte erano l’unica cosa che le persone ricordavano di lui. Gli ammiratori non gli dispiacevano, non facevano male al suo ego, ma più serviva come Cavaliere e più gli sembravano acclamazioni poco meritate.

Il breve scambio con la bambina sembrò incoraggiare molti dei presenti a porgli domande e fare commenti. Più i curiosi aumentavano e le riserve di vino diminuivano, più le domande si facevano scandalosamente personali e i commenti irriverenti. Alcune persone sembrava che stessero parlando con un tavolo di mogano e non con un essere umano.

Keigo cercò più volte di scusarsi e di sgattaiolare in qualche angolo buio della sala per avere un po’ di pace, ma era difficile non essere notati con un paio di grandi ali rosse sulla schiena. La parte più difficile era sicuramente non dare un pugno in faccia a nessuno di quegli aristocratici pomposi che lo sminuivano ogni volta che apriva bocca.

Fortunatamente un principe arrivò in suo soccorso, senza mantello azzurro o cavallo bianco, ma con un calice di vino in una mano e un’aria annoiata. La folla si aprì per permettere il suo passaggio, chiunque fosse nel suo raggio visivo chinava il capo e si faceva rispettosamente da parte. Era il più giovane dei figli del Re e allo stesso tempo il più famoso. Che fosse per il suo bell’aspetto, per la misteriosa cicatrice che gli copriva l’occhio azzurro o perché nella linea di successione aveva scavalcato il fratello maggiore, i pettegoli erano in disaccordo.

Shouto Todoroki gli fece un cenno con il capo e lo invitò a seguirlo. Keigo, ovviamente, non poteva rifiutare e a malincuore dovette abbandonare i cari nobili che gli stavano lanciando sguardi tanto malevoli che avrebbero fatto inacidire tutto il vino del banchetto. Una volta finito l’incontro con il principe, e stando a cosa si diceva su di lui, sarebbe stato breve, quegli avvoltoi lo avrebbero mangiato vivo. E menomale che l’uccello da caccia era lui.

Uscirono su una terrazza che dava sui giardini del palazzo, Keigo chiuse le grandi porte a vetri e notò che il principe aveva abbandonato il suo calice al lato di un busto del re. Avere sculture di se stesso in giro per il proprio palazzo rientrava fin troppo nel carattere di Re Eiji e Keigo dovette trattenersi dallo sghignazzare.

"Vostra Altezza, vi rivolgo i miei più sinceri complimenti e ringraziamenti per la stupenda celebrazione che avete—"

"Mio padre vi ha affidato un incarico, dico bene?" Gli occhi bicolore del principe erano fissi nei suoi, nessuna emozione sembrava attraversarli, se non una leggera irritazione, che Keigo pensò dovuta agli inutili convenevoli. Oppure alla menzione del re. Seppure il principe fosse cresciuto nella corte più sfarzosa di quel lato di mondo, l'astio che provava per il padre era un segreto mal celato. Nessuno sapeva con certezza quale fosse la ragione, ma si speculava che la scomparsa dalla vita pubblica della regina ne fosse la principale causa. Keigo osservò il viso del principe, le scaglie bianche e rosse che rimandavano al suo Alias scintillavano alla luce delle torce, e si chiese come un drago di fuoco potesse essere stato ustionato.

"Sì, Vostra Altezza. Sua Maestà mi ha incaricato di una missione, ma temo che i dettagli siano confidenziali."

"Immaginavo," il principe si voltò per contemplare il giardino sottostante, lasciando efficacemente cadere l'argomento quando chiese a Keigo del viaggio che aveva fatto per raggiungere il palazzo.

Keigo non se lo fece ripetere e si lanciò in un racconto dettagliato di strade e villaggi, non volendo dare al principe la possibilità di ripensarci. Tra il re e il principe avrebbe scelto di obbedire al re. Suonerà pure vanesio, ma gli piaceva tanto la sua testa da volerla mantenere attaccata al collo. Allo stesso tempo, però, finire sulla lista nera del Principe Ereditario poteva essere altrettanto, se non più, spiacevole.

"Vi tratterrete molto nella capitale?" Il principe continuava a non guardarlo, gli occhi fissi su qualcosa sotto di loro. Keigo si appoggiò alla ringhiera, dando le spalle al giardino, ma con la coda dell'occhio riuscì a vedere cosa Shouto Todoroki stava osservando. O meglio, chi.

"No, Vostra Altezza. Appena finita la celebrazione mi dirigerò in un villaggio del sud."

Due giovani erano seduti su una panchina vicino alla fontana nel centro dei giardini e sembravano star avendo una piacevole conversazione. Uno aveva un cespuglio di capelli scuri e stava raccontando qualcosa di molto emozionante alla ragazza che gli sedeva accanto. Lei continuava a sorridergli, rapita. Era impossibile capire a chi il principe fosse tanto interessato e Keigo non ci teneva troppo ad indagare. Almeno per ora.

"Vi sono frequenti incursioni di briganti, se non erro.”

"Esatto, Vostra Altezza, mi basterà aggirare l’area di Kamino e non dovrei avere problemi." Keigo chinò leggermente il capo e decise di dargli corda. Il principe era sicuramente ben informato e, in teoria, Keigo non stava disubbidendo a nessun ordine. Garantirsi il sostegno del principe sarebbe stato solo fruttuoso. Inoltre, queste ad un ascoltatore casuale sarebbero apparse solo come chiacchiere di cortesia.

"Vado a incontrare vecchi amici. Non li vedo da tanto tempo che quasi non ricordo come sono fatti." Keigo fece una piccola risata, effettivamente non aveva idea di che aspetto avessero le persone che stava cercando. Solo qualche indizio seminato qua e là da fonti non troppo attendibili.

"Affari personali, quindi. Deduco che la vostra compagnia non vi seguirà."

Il ragazzo in giardino si era alzato in piedi sulla panchina e stava mimando la parte migliore della storia. L'espressione del principe sembrava si fosse sciolta leggermente e non tentasse più di imitare le statue di ghiaccio che decoravano la sala banchetti.

Interessante.

"Sarò solo. Non voglio spaventare i miei amici facendogli arrivare un intero corteo in casa." La sua copertura non avrebbe retto per un solo istante se si fosse presentato con scudieri e araldi e, per quanto fosse ripetitivo, Keigo ci teneva ad arrivare al suo ventiquattresimo compleanno.

"Capisco. Portate i miei saluti ai vostri amici, Hawks."

Con quello il principe si scostò dalla ringhiera e ritornò nella sala, non scomodandosi a riprendere il suo calice ma camminando abbastanza lentamente da permettere a Keigo di rispondere.

"Certamente, Vostra Maestà. Lo apprezzeranno sicuramente." Fece un profondo inchino e non si voltò finché il principe non richiuse la porta a vetri dietro di sé. I due ragazzi si erano alzati dalla panchina ed erano quasi scomparsi dalla vista, camminando attraverso i viali del giardino.

Il Cavaliere lanciò un'altra occhiata alla porta che lo separava dall’aria asfissiante della sala e prese un respiro profondo. Alla sera una sottile brezza accarezzava i tetti della capitale e Hawks non desiderava nulla di più che spiccare il volo.

Cosa che poteva facilmente fare.

Ma, avrebbe dovuto farlo? La risposta era ovviamente no, quella festa era stata organizzata in suo onore e sarebbe stato molto scortese e un po’ vigliacco fuggire dalla finestra. Però, se si fosse assentato solo per qualche minuto non se ne sarebbe accorto nessuno, erano tutti troppo presi dall’arrivo del principe per notare l’improvvisa scomparsa dell’ospite d’onore, vero?

Era inutile stare a discutere con la propria coscienza, Keigo aveva preso la propria decisione appena il principe gli aveva fatto il favore di condurlo sulla terrazza. Lasciò che il suo corpo prendesse la forma del suo Alias e aprì le ali, lasciandosi trasportare da quel leggero venticello estivo.

Contrariamente alla norma, la sua forma più riconoscibile era quella umana. I Cavalieri erano famosi per i loro potenti Alias, la forma animale che ogni persona possedeva, ma Keigo era stato ben attento a tenere nascosto il suo. La gente immaginava che fosse qualche sorta di grande uccello rapace e perciò il piccolo falco dal dorso rossiccio passava inosservato. Non era esattamente un Alias minaccioso come il drago di fuoco del re o bizzarro come la giraffa di Best Jeanist. Ciò per cui Hawks era conosciuto erano le ali rosse che manteneva anche nella forma umana e che gli consentivano di spostarsi più velocemente di qualsiasi altro Cavaliere. Dopo tutto lui era Hawks, il Cavaliere Alato.

Si immerse tanto nel piacere di sentire il vento tra le piume e nella sensazione di libertà che lo avvolgeva ogni volta che volava, da perdere completamente la concezione del tempo. Venne bruscamente risvegliato da un’improvvisa scintilla apparsa al limitare della foresta che stava sorvolando. Sembrava provenire dal lato di un monte, tanto in alto da essere quasi impossibile da raggiungere per un essere umano. Lui era sempre stato una persona curiosa e ingiustamente attratta dalle cose luccicanti, perciò decise di aumentare la distanza che lo separava dal suolo e andare ad investigare.

Trovò una grande caverna nascosta dalla conformazione della parete rocciosa, invisibile da terra e irraggiungibile da chi fosse sprovvisto di ali. Keigo si avvicinò all’entrata, curioso di sapere cosa avesse prodotto lo scintillio e per poco non finì arrosto.

Una fiammata blu emerse dalle profondità della caverna e Keigo riuscì a schivare solo grazie agli anni di allenamento a cui i suoi tutori lo avevano sottoposto. Non aver mai potuto giocare con i bambini della sua età si era rivelato, ancora una volta, utile.

Il falco emise un pigolio indignato e si appollaiò su una roccia a lato dell’entrata della caverna, assicurandosi di essere protetto dalla parete rocciosa. Dall’interno uscì un ringhio seguito da uno sbuffo di fumo, tanto minaccioso che se Keigo fosse stato un normale falco, o qualcuno un po' più sobrio, sarebbe sicuramente volato via senza nemmeno pensare di voltarsi indietro.

Il suo istinto di sopravvivenza non era mai stato tra i più grandi neanche prima di accettare la nomina a Cavaliere, ma non aver mai perso una battaglia lo deve aver fatto rimpicciolire alle dimensione di una formica visto che ritornò, volontariamente, nella linea di fuoco di ciò che molto probabilmente era un drago. La curiosità uccise il gatto, ma il gatto non sapeva volare.

Era pronto a schivare un’altra scarica di fiato incandescente, ma quella non arrivò. Si addentrò più in profondità e per poco non si schiantò contro una stalattite.

Era veramente un drago.

Non il drago che si aspettava però.

Aveva immaginato che, vista la passione per la piromania, sarebbe stato un drago di fuoco l’abitante della caverna. Quello che aveva davanti, però, aveva decisamente l’aspetto di un drago di ghiaccio; erano più piccoli dei draghi di fuoco e molto più piccoli dei draghi di terra, che molte volte raggiungevano le dimensioni di montagne. Nel buio si distinguevano le grandi ali ripiegate sul dorso, estremamente simili a quelle di un pipistrello e lo scintillare delle scaglie bianche, che in alcuni punti erano assenti, lasciando scoperte chiazze di pelle violacea.

Sarebbe stato romantico dire che la prima cosa che Keigo vide furono i sottili occhi turchesi del rettile, ma sarebbe anche una menzogna. La prima cosa che Keigo notò furono i lunghi e affilati artigli delle zampe e gli appuntiti denti grandi quanto il suo Alias. Aveva dei bei occhi, ma gli artigli e le zanne lo preoccupavano molto di più.

E sputava fuoco. Un fuoco molto caldo, che non assomigliava per nulla all’alito glaciale dei suoi simili. Che fosse un qualche miscuglio di specie? Non era più così raro di quei tempi, considerando che solo il re lo aveva fatto ben tre volte.

Lo sguardo del drago era difficile da interpretare: decifrare l’espressione di grandi rettili non era mai stata la sua specialità, però non sembrava troppo turbato, se si escludevano i sottili rivoli di fumo che gli uscivano dalle narici e andavano a unirsi alla nuvola grigiastra che fluttuava sul soffitto della caverna.

Keigo aveva trovato una sporgenza nella parete su cui appollaiarsi, vicino all’uscita, e il drago non sembrava volerlo attaccare di nuovo. Il rettile perse subito interesse nel piccolo falco che cercava di fondersi con la parete. Tornò alla sua occupazione, che consisteva nell’indirizzare le sue fiamme su un lato della caverna e mantenerle abbastanza da fondere la roccia.

Keigo rimase ad osservarlo per un indefinito intervallo di tempo. Era incantato dal modo in cui il drago riusciva a esercitare tanto controllo sul suo fiato da toccare solo un circoscritto punto della parete, abbastanza lontano da lui così che il calore non bruciasse le piume di Keigo. Il Cavaliere era certo di non aver mai visto un drago mantenere le proprie fiamme a quella temperatura tanto a lungo. E aveva combattuto a fianco del re, il più potente drago di fuoco del regno. O, a questo punto, il secondo più potente.

Il rettile si mosse, gli occhi turchesi lo inchiodarono al muro. Keigo arruffò le piume, tentato di tornare umano per chiedergli perché il suo sguardo fosse tanto triste. Il drago emise un altro sbuffo di fumo dalle narici e si avviò verso l’uscita, spiccando un poderoso salto e nascondendo gran parte delle stelle con le sue ali. Keigo rimase di nuovo solo nella buia caverna e per un istante si chiese se dovesse cercare di seguire il drago. Il distante ricordo del palazzo e della festa in suo onore gli fece rinunciare. Sarebbe stato molto fortunato se nessuno si fosse accorto della sua fuga.

Il viaggio di ritorno al palazzo fu breve, Hawks, in fondo, era quello veloce, e stranamente nessuno notò la sua ricomparsa.

Atterrò sulla stessa terrazza dalla quale era partito, la porta era ancora miracolosamente aperta perciò non dovette scassinare nessuna serratura per entrare a palazzo. Non credeva che Sua Maestà l’avrebbe trovato molto... appropriato. Scivolò all’interno e capì subito perché gli invitati non avevano sentito la sua mancanza. Metà degli tenevano a malapena gli occhi aperti e l’altra metà stava cercando di salvare i tappeti della sala dallo stomaco di chi aveva bevuto un bicchiere di troppo.

Keigo vide il suo apprendista, il volto semi-coperto dalla sciarpa nera che non abbandonava neanche in estate, che si dirigeva verso di lui, il passo abbastanza fermo indicava che era solo moderatamente pieno di vino.

“Siete tornato,” Tokoyami fece un cenno verso la porta che dava sulla terrazza: il ragazzo era sempre stato un attento osservatore. “L'oscurità della notte vi ha rinfrancato dalla frivola luminosità che infesta ogni momento di questa celebrazione?”

Il Cavaliere dovette trattenere una risata. Non poté fermare però il sorriso che gli spuntò in volto. Tokoyami era sempre così drammatico. “Ho fatto un piccolo giro di ricognizione. Non è che mi sono perso l’arrivo di Sua Maestà Todoroki?” Non aveva mai visto il re al di fuori del campo di battaglia e si sarebbe preso a calci da solo se avesse perso la possibilità di incontrarlo in un ambiente tanto informale.

“Non preoccupatevi, non ci ha degnato della sua presenza per tutta la durata di questo ignobile festino.” Le parole di Tokoyami suonavano estranee alle orecchie di Keigo, il suo apprendista solitamente aveva un’alta considerazione del loro sovrano. Che avesse parlato con qualche anarchico quella sera? Oppure era solo un tantino brillo.

“È meglio che moderi le parole, Tokoyami. Non offendere mai un uomo in casa sua.” Sussurrò Keigo, “Comunque è meglio così, preferisco che il re non ci abbia visto in questo stato.”

“A voi sicuramente non avrebbe visto.”

Sì, era decisamente il vino a parlare.

“Non mi sono neanche assentato per così tanto,” il tono del Cavaliere era quello di un bambino che negava di aver mangiato tutte le crostate con le mani sporche di marmellata. “Solo un paio di ore -silenzio, non voglio saperlo- per una ricognizione assolutamente necessaria.” Keigo non avrebbe permesso al suo cervello di pensare di essersi allontanato per più di due ore, anche se i raggi del sole che spuntavano ad oriente affermavano il contrario.

Tokoyami si fece ancora più serio del suo solito, impresa difficile, ma che gli riuscì alla perfezione e annuì solennemente. “Un incendio. È per questo che sapete di fumo.” Il suo aiutante stava chiaramente aspettando una lode per aver risolto il puzzle con così pochi pezzi, ma Keigo era momentaneamente preso dalla lotta interiore tra dover dire la verità, specialmente in luce a quante menzogne lo attendevano, o accogliere la scusa che gli veniva offerta.

“Avevo visto del fuoco,” disse alzando le spalle e, beh, aveva visto del fuoco. “Alla fine pensi di proseguire verso est?”

Tokoyami scosse la testa, “Ho trovato una compagnia interessante qui in città. È un giovane che comprende l’oscurità che avvolge questo mondo e riesce ad abbracciarla.”

“Aw, Tokoyami ti sei fatto un amico!” Keigo gli gettò un braccio attorno alle spalle, solo per essere scacciato via quasi immediatamente. Ma il Cavaliere era riuscito a cogliere il sorriso dell’altro prima che lo nascondesse.

“Siete veramente inappropriato signore.” Tokoyami lanciò un’occhiata fuori da una delle grandi finestre e aggiunse, “Vado a prepararmi per il mio allenamento mattutino, con permesso.” Fece un piccolo inchino col capo, inchino che Keigo ricambiò, e poi si diresse verso le porte della sala. Dove trovasse la forza di volontà per allenarsi dopo una notte in bianco passata a bere andava oltre le capacità di comprensione di Keigo.

Il Cavaliere iniziò invece la ricerca di una taverna, non desiderando nulla di più che un cuscino soffice sotto la guancia e una superficie piatta su cui crollare. Quella sarebbe stata l’ultima notte in cui avrebbe dormito sonni tranquilli.

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Note

Questa è la seconda volta che pubblico questa fanfiction. La prima volta, per una serie di motivi, non era stata quella giusta. Avevo incontrato un grande blocco, non riuscivo a continuare a scriverla e vederla incompleta mi riempiva di tristezza.

Spero che questa volta vada meglio! E anche se non dovesse essere così, almeno non rimarrà a prendere polvere nel pc.

Nuovi capitoli ogni martedì,

Layel

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Capitolo 2
*** Nella Tana del Lupo ***


Nella Tana del Lupo

La fibbia del mantello gli era troppo stretta attorno al collo e lo strozzava ogni volta che girava la testa. Era però una precauzione necessaria, le sue ali erano visibili quanto la luce di un faro nel cielo limpido e, se voleva evitare che la missione fallisse ancora prima di iniziare, doveva tentare di essere discreto. Fortunatamente in quella parte del regno in pochi si facevano gli affari degli altri e molti avevano qualcosa da nascondere.

I suoi stivali venivano risucchiati dalla strada fangosa ad ogni passo e Keigo rimpianse di aver rifiutato un cavallo quando era partito dalla capitale. Certo, avrebbe dovuto dormire con entrambi gli occhi aperti per evitare che qualche ladruncolo lo rubasse, ma almeno i suoi pantaloni sarebbero stati asciutti.

Non che si fosse fatto delle grandi dormite da quando era entrato nelle periferie della città di Kamino. Cavallo o no, da quelle parti si trovava sempre un malintenzionato pronto ad alleggerirti della borsa o, al peggio, della vita. Perciò Keigo si era sporcato i capelli biondi di fango, aveva nascosto le sue ali e da due giorni camminava silenziosamente per i solchi nella terra che un tempo erano state strade.

Una volta giunto in città aveva scoperto che una delle case in rovina affacciate sulla piazza era vuota, perciò l’aveva resa il suo 'quartier generale'. Dormiva sulle vecchie assi del pavimento circondato da muri di pietra annerita e da un odore marcio, stantio, che gli si era appiccicato addosso da quando era entrato in città.

Di giorno la piazza era deserta. Keigo aveva fatto una passeggiata per controllare la zona e gli era capitato di fermarsi nella taverna all’angolo della strada. Non aveva insegna, il sottile ma insistente odore di alcool economico era l’unico indicatore che in quel posto ci fosse di più di finestre rotte e edera velenosa. Il locale era caldo, troppo caldo per quella mattina di fine estate, un grande fuoco scoppiettava nel camino in fondo alla sala e Keigo contò la bellezza di tre avventori. Due erano tanto presi dal loro gioco di dadi che non alzarono nemmeno lo sguardo, il terzo sedeva con le spalle alla porta e russava rumorosamente sul tavolo. Il bancone era vuoto e Keigo decise di tornare quando sarebbe stato meno probabile che l'oste si ricordasse di lui.

Poco prima che il sole tramontasse, nella piazza iniziavano a comparire figure incappucciate, che zoppicando e imprecando si dirigevano verso la taverna come falene attratte dalla luce di una torcia. Keigo appoggiò un gomito alla piccola parte di muro che era sopravvissuta all’incendio e si preparò il pugnale in grembo: in caso uno di quei criminali si fosse avvicinato troppo al suo nascondiglio.

Ufficialmente, la città di Kamino era abbandonata. Quasi mezzo secolo prima un incendio aveva distrutto e corroso il centro città, non risparmiando il tempio o la sede consolare. Tra i sopravvissuti si era diffusa la credenza che la città fosse maledetta e che chiunque vi fosse rimasto avrebbe affrontato catastrofi ben peggiori di un incendio. Perciò nessuno viveva più a Kamino; nessun uomo onesto, almeno. La città fantasma era diventata il centro della malavita del regno. Troppo vicina al confine per mobilitare un ingente numero di soldati, soprattutto perché il regno confinante non aspettava che una scusa per dichiarare guerra, Kamino rimaneva intoccata. Un problema persistente, che si tentava di contenere con missioni simili a quella di Keigo, ma quasi impossibile da risolvere.

Keigo si alzò assicurando il pugnale alla cintura, buttandosi il mantello sulle spalle e maledicendo ancora una volta la fibbia, quella città e il caldo estivo che gli ricopriva le mani di sudore.

Arrivò fino alla porta della solita e probabilmente unica taverna del centro città e si appoggiò pesantemente contro la porta, cercando di apparire disinvolto mentre faticava ad aprire quella solida asse di legno. Questa volta la sua comparsa attrasse qualche sguardo, alcuni sottili e sospettosi, altri annebbiati e attratti dal rumore della porta che sbatteva. Nessuno parve riconoscerlo e presto tornarono ai loro affari.

Camminò verso il bancone, dove l’oste stava ignorando gli ordini dei nuovi avventori per partecipare ad un'animata discussione con un cliente dal viso coperto da una maschera nera e grigia. Keigo si sedette su uno sgabello e si guardò discretamente intorno. I tavoli erano pieni, uomini erano perfino seduti sulle scale e, per quanto ci provasse, Keigo non riusciva a distinguere più di un paio di parole dalle venti conversazioni diverse che venivano urlate da un tavolo all’altro.

Alla sua destra, l’oste, un uomo alto e dai capelli grigi, aveva ricominciato a servire da bere. L’uomo mascherato continuò a parlare al suo vicino, una figura completamente coperta da sciarpa e cappuccio. Dall’ombra sotto cui si nascondeva arrivavano sporadici riflessi di luce, come se indossasse svariati gioielli. Keigo lo stava probabilmente fissando in modo troppo ovvio, perché l’uomo si girò nella sua direzione e Keigo poté giurare di aver visto un lampo di azzurro.

L’oste gli si piazzò davanti e disse senza tanti convenevoli, “Che ti porto?”

Keigo si scrollò di dosso la sensazione di disagio che l’uomo incappucciato gli aveva trasmesso prima di rispondere all’oste.

“Una pinta.” Fece una pausa ed aggiunse, “Bionda.” L’oste gli lanciò un’occhiata divertita e scosse la testa prima di riempire il boccale.

"Non sei di queste parti." Disse appoggiando la birra sul bancone e facendone cadere alcune gocce sulla superficie di legno. Gli fece un segno con le dita e contò con attenzione le due dracme che Keigo gli aveva passato.

"Si nota così tanto?" Fece una leggera risata e si asciugò le mani sudate sui pantaloni. Prese un sorso e scrollò le spalle, "Vengo da ovest."

“L’aria delle montagne era troppo pulita?” Chiese l'oste mentre lucidava un bicchiere con una crepa su un lato che non sembrava più in grado di conservare alcun tipo di liquido.

“Un po' troppo pulita per i miei affari, voi mi capite.” L'uomo lo squadrò per un momento, poi lo sguardo gli cadde sul borsello con le monete che Keigo aveva dimenticato sul bancone.

"Affari, eh? E di che affari stiamo parlando?"

Keigo si reclinò all’indietro e sorrise pigramente, "Avrei dovuto incontrarmi con un amico, fa parte di un gruppo, com’è che l’aveva chiamato… unione? Lega?"

L'espressione dell’oste si indurì. Poi lanciò un'occhiata tanto veloce alla sua sinistra che se Keigo non fosse stato, beh, Keigo, se la sarebbe persa. Sorrise, mostrando un dente d’oro, “Potrei conoscerlo, ma… sono vecchio, ho la testa che perde colpi...” Ora guardò palesemente il borsello con le monete, continuando a ghignare. Il Cavaliere fece scivolare verso di lui otto dracme, investendo nelle informazioni che questo tizio forse possedeva. Il gruppo che stava cercando era conosciuto, o il re non lo avrebbe incaricato di infiltrarsi nei loro ranghi, e sperava che quest'uomo, in quanto oste, conoscesse qualcuno disposto a fare da tramite tra Keigo e la banda criminale che si faceva chiamare Unione dei Villain. Non il massimo della fantasia, secondo Keigo.

“Ah sì! Ora ricordo, la memoria dei vecchi, che vuoi farci. Sei dalla persona giusta, ragazzino.”

“Quando potrei incontrarlo?” Keigo fu tentato di dare un'altra moneta all’oste, ma decise di stringere le corde del borsello. Apparire disperato portava soltanto a bugie e debiti.

“Ma ce l'hai davanti. In carne e ossa!" L'oste allargò le braccia e si sistemò gli occhiali che gli stavano scivolando dal naso. "Giran, piacere." Keigo non gli strinse la mano. "Quindi, perché vuoi conoscere i miei ragazzi? Ti avverto che scelgono con molta cura le persone con cui giocare.”

Keigo sospirò e gli recitò la copertura che si era creato durante il viaggio. Tenne la voce bassa e ferma, parlando lentamente e alzando il tono quando arrivava a punti in cui serviva più enfasi.

“Mi piaci molto piccoletto. Guarda io posso metterti in contatto con uno dei ragazzi, che ne dici?"

"Sta bene. Quando?"

"Beh, questo dipende da quanto sei motivato."

Keigo lasciò cadere altre quattro monete sul bancone, la separazione col denaro sempre più dolorosa. Si aspettava di essere derubato una volta a Kamino, ma non in senso tanto metaforico. “Questo, più altre quattro a cosa fatta. Lo vedrò domani.”

Giran annuì un paio di volte, l’avidità gli faceva brillare gli occhi. “Bene per domani te lo trovo. Sì, sicuro, domani è perfetto, piccoletto.”

“Giá che sono qui, ci sono camere?” Era da due settimane che non dormiva su un letto e in una stanza che si potesse chiudere a chiave.

“Ah, certo,” Giran tirò fuori una chiave con un cordoncino rosso da sotto il bancone. “L’ultima porta in fondo a destra.” Keigo tese una mano per prendere la chiave, ma l’oste si ritrasse e gli fece segno di no con il dito. “Sono tre dracme.” Keigo gli strappò la chiave dalle dita tanto velocemente che Giran non ebbe il tempo di chiudere la bocca. Si strinse il mantello sulle spalle ed evitò gli uomini addormentati sulle scale. Sopra il brusio della taverna gli giunse la risata gracchiante dell'oste.

Davanti alla porta della sua camera, segnata da un cordoncino rosso annodato alla maniglia, ci trovò addormentato un cane dal pelo sudicio. Lo allontanò con un piede e questo iniziò a uggiolare. Quando capì che Keigo non lo avrebbe fatto entrare in camera gli ringhiò contro e si appoggiò a un altra porta. Keigo si chiese se fosse un Alias oppure un vero animale e se Giran gli avesse fatto pagare comunque il soggiorno.

La prima cosa che fece una volta girata la chiave nella toppa fu togliersi il dannato mantello. Gettò gli stivali infangati davanti al caminetto spento e imprecò quando vide che del fango era finito sulle coperte. Poi rifletté che quella doveva essere la cosa più pulita che vedevano da tempo e cadde sul cuscino. Un po’ di riposo era sempre il benvenuto, anche se in un posto di merda come quello.

+

Il vicolo era buio, un'unica candela risplendeva dietro il vetro sporco di una finestra. Keigo stava cercando di non battere il piede sul terreno ma diventava più difficile a ogni minuto che passava.

Era da circa un'ora che aspettava, l'aria fredda della sera iniziava a dargli fastidio. Si strinse nel mantello, l'ultima cosa che voleva era farsi trovare tremante dalla persona che doveva incontrare. Un rumore di passi risuonò all'entrata del vicolo e Keigo volò per l'ennesima volta sul balcone mezzo crollato di una casa. La persona che stava barcollando per la strada non si fermò né si guardò intorno. Keigo sbuffò frustrato e si appoggiò al muro. Era la terza volta quella sera.

La luna era vicino all’occidente quando un frusciare di stoffa arrivò da destra. Un'ombra si separó da quelle create dagli edifici in rovina e strisciò lungo il muro, un leggero scintillio proveniva dalle parti non coperte dall'oscurità.

+

Dabi era in ritardo, ma non accelerò il passo.

Trascinava i piedi, prendendosi il tempo per ammirare lo schifo che aveva intorno. La luna delineava le sagome dei corpi smembrati degli edifici, ossa di legno che svettavano solitarie nel cielo. La risata stridula di un barbagianni lo inseguiva per la strada e Dabi lo avrebbe volentieri incenerito se solo lo avesse visto. Un ratto grande quando un piccolo cane gli attraversò la strada, per nulla disturbato dalla sua presenza mentre trasportava un oggetto informe su cui Dabi non volle investigare. Che città disgustosa. Guardò il ratto scomparire nel buco di un muro e sbuffò di nuovo. Da quando era uscito non faceva altro che sbuffare.

Shigaraki avrebbe potuto mandare qualcun altro a fare ‘sto lavoro… Sentí tirare i punti che gli tenevano insieme la faccia, l'espressione distorta da un ghigno. Sì, certo. Come se qualcuno di quegli idioti potesse anche solo provare a mantenere un segreto. O a fare più di due frasi coerenti di fila.

Twice avrebbe accolto la recluta a braccia aperte, dicendogli che era perfetto e pessimo per la loro organizzazione. Poi lo avrebbe trascinato nel loro nascondiglio senza fargli mezza domanda importante. Oh, ma sicuramente gli avrebbe chiesto il suo colore preferito e quante ore dormiva la notte. La pazza, Toga o qualcosa del genere, lo avrebbe ammazzato. E una spia morta non serve a un cazzo. La lucertola e il mago erano via a fare qualcosa, non stava ascoltando quando gli avevano detto cosa e Shigaraki aveva insistito che "Dabi lo aveva trovato e Dabi se ne sarebbe occupato". Non era tecnicamente vero, ma dalle discussioni con gli imbecilli si ricavano solo gran mal di testa.

Ovviamente non aveva accettato solo perché il capo glielo aveva ordinato: era curioso di sapere cosa volesse l’uccellino. Uno dei cagnolini del re veniva ad abbaiare alla loro porta. Dabi gli avrebbe aperto e magari dato un paio di carezze per farlo stare buono. Poi gli avrebbe sbattuto la porta in faccia.

Aveva visto il Cavaliere la prima volta alla locanda di Giran mentre faceva domande non molto discrete all'oste che, come al solito, lo aveva spennato. Non letteralmente, anche se sarebbe stato molto più divertente. Dabi era in quel buco di fogna con Twice che doveva fare la sua bevuta settimanale con il suo grande amico Giran e Shigaraki non lo lasciava più bere per conto suo dall'ultima volta. L'Unione ci aveva rimesso un braccio e un intero membro.

Twice stava blaterando di cavalli o centauri, Dabi non provava neanche a seguire, quando aveva sentito un paio di occhi frugare sotto la sua sciarpa. Aveva incrociato lo sguardo con quello di uno straniero sporco e coperto da un mantello. Giran, notato il suo interesse, aveva attaccato bottone con il nuovo arrivato. Il giorno dopo l'oste gli aveva riferito le richieste del tizio e i suoi sospetti sulla sua identità. Che fosse un Cavaliere lo aveva ammesso lui stesso e non ci voleva un genio per indovinare cosa nascondesse sotto quel mantello.

Hawks era il miglior Cavaliere del regno, perfino a Kamino aveva i suoi ammiratori, e racconti di quanto grandiose fossero le sue ali prima o poi giungevano alle orecchie di tutti. Dabi fece una smorfia. Non era particolarmente curioso di incontrare un Cavaliere, ne aveva carbonizzati abbastanza da perdere interesse, ad essere particolari erano i motivi del Cavaliere. Giran aveva accennato a vendetta, tradimento e regicidio. Tutte cose troppo familiari per Dabi.

La strada in cui dovevano incontrarsi era vicino al centro della città, di notte qualcuno girava sempre ed era meglio avere le spalle coperte. L'uccellino non avrebbe avuto nessuna possibilità contro di lui, ma preferiva non essere completamente solo se fossero arrivati a termini non troppo amichevoli. Hawks sarà sicuramente impazzito cercando di capire quale degli ubriaconi che gli barcollavano di fianco era quello che doveva incontrare.

Un sorriso pigro gli comparve in volto ed entrò nel vicolo.

La strada era deserta. Dabi assottigliò lo sguardo, sperava per quel pollo che si fosse presentato. Stava già pregustando la sua espressione terrorizzata mentre lo strappava dal letto, le urla con cui si sarebbe accasciato a terra mentre il fuoco gli bruciava carne e ossa.

Il suo fantasticare venne interrotto da un fruscio alla sua sinistra. Il Cavaliere gli atterrò di fianco dal balcone su cui era appollaiato. Per gli dei, è proprio un piccione.

"Hawks." Dabi ghignò quando vide il Cavaliere irrigidirsi. Gli fece un cenno col capo e si tolse il mantello, allargando le ali. Il loro vibrante rosso gli fece ribollire qualcosa nello stomaco, ricordi che pensava di aver chiuso a chiave iniziavano a turbinare davanti ai suoi occhi, l'odore di fumo gli riempì le narici, stava soffocando.

"Suppongo voi siate il contatto di cui Giran mi ha parlato. Signor….?" La domanda lo riportò nel vicolo, dove Hawks lo guardava con le sopracciglia alzate. Riprese a respirare e gli rispose con un mezzo sorriso.

"Nessun signore, uccellino." L'occhio di Hawks ebbe un leggero tic al soprannome. "Se vuoi sapere quale nome urlare, Dabi andrà bene." Il ghigno di Dabi si allargò alla confusione del Cavaliere e poi al leggero rossore che gli comparve sulla punta del naso.

"Temo di dover rifiutare la vostra proposta, signore. Sfortunatamente non siete il mio tipo." Gli occhi di Hawks scivolarono sulle cicatrici violacee che ricoprivano la pelle di Dabi. Stronzo.

Dabi si appoggiò con la schiena al muro, le mani che affondavano nelle pieghe del suo mantello nero. "Dovresti fare il bravo uccellino se vuoi far parte dell'Unione. Io sono il tuo biglietto d'entrata dopotutto." Gli occhi di Dabi non lasciarono mai quelli ambrati del Cavaliere e vide chiaramente il loro cambiamento. La scintilla di rabbia e determinazione che apparve appena prima di aprire bocca.

"Ho valide ragioni per entrare. Così come le hai avute tu." Dabi lo guardò con disprezzo, ma il pennuto non gli stava prestando attenzione, era perso nel cielo, l'espressione lontana. "Io devo cambiare le cose."

Dabi sbadigliò.

"Da quando sono Cavaliere non ho fatto altro che eseguire degli ordini. In nome del bene superiore e tutte quelle belle cazzate. Noi dovremmo proteggere le persone, rendere il regno più sicuro, dovremmo… non dovremmo uccidere innocenti. Non sai quanti di noi sono disposti a fare qualsiasi cosa per una manciata di dracme. Per un grammo di fama.

"Ho cercato di ignorarli, di ignorare il disgusto che provavo per questi falsi Cavalieri. In questo regno c'è qualcosa di marcio, di profondamente marcio e devo fare qualcosa per cambiarlo. So che volete spodestare il re. Lasciate che vi dia una mano." Alla fine del suo commovente discorso Hawks era tornato a guardarlo, aspettando una qualche risposta. Magari una grattatina dietro le orecchie.

Questo starebbe simpatico a Spinner, con tutte ste chiacchiere idealiste.

"E il re?" Giran aveva sicuramente parlato dell'omicidio di un reale e a Dabi di tutto il resto interessava ben poco. I suoi motivi si erano rivelati abbastanza noiosi. Non si era nemmeno sforzato di creare una copertura originale.

"Il re cosa?" Hawks aveva drizzato le spalle e gonfiato le ali. La sua espressione gli fece quasi venire i brividi.

"Qual è il tuo problema con lui?" Chiese Dabi e scacciò la smorfia che volle comparirgli in viso: Shigaraki gli aveva rivolto la stessa domanda prima di entrare nell'Unione. L'ultima cosa che voleva era trasformarsi in quel verme.

"I miei problemi con il re sono affari miei." Il pennuto lo guardò negli occhi, un sorriso gli comparve sul viso. "Ti dirò solo che non vedo l'ora di spedirlo all'altro mondo."

"Mettiti in fila." Dabi si staccò dal muro e iniziò a camminare in una direzione casuale. Non controllò che Hawks lo stesse seguendo, sapeva che gli era dietro.

"Quindi?"

"Quindi cosa, uccellino?" La luna stava scomparendo oltre l'orizzonte e i colori dell'alba tingevano il cielo di giallo.

"Sono dentro?"

Dabi si guardò intorno. "Io ti vedo abbastanza fuori." E rise alla sua battuta.

"Questo è il tuo meglio?" esclamò Hawks espressione a metà tra l’incredulo e il disgusto. Almeno le sue espressioni facciali erano divertenti.

"Mica scrivo commedie."

"Grazie agli dei."

Si guardarono per un momento. Hawks che si stringeva le ali attorno a sé, cercando di proteggersi dal freddo. Quelle piume sembravano molto morbide; e anche molto infiammabili.

"É appena iniziato il tuo periodo di prova. Giran ti darà altre istruzioni." Dabi se ne andò nella direzione opposta, le mani nelle tasche e tanta voglia di bruciare qualcosa.

Per fortuna l'uccellino non lo seguì.

+

Note

Questo è il mio capitolo preferito, adoro Dabi e scriverlo è sempre molto divertente. La scorsa settimana mi ero dimenticata, questo è il mio Tumblr se volete chiacchierare di anime/fanfiction!

Al prossimo martedì,

Layel

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Capitolo 3
*** I Cattivi delle Favole ***


I Cattivi delle Favole

La porta della vecchia sagrestia strisciò sul pavimento e lasciò una mezzaluna di graffi sulle assi di legno marcio. Dabi la chiuse con un calcio, non badando al riverbero di legno contro legno che si propagò per le volte del soffitto. Raggi polverosi si facevano strada a fatica tra le vetrate, illuminando le ragnatele che decoravano come fili di perla i candelabri scoloriti. Il fumo aveva annerito la base delle colonne di pietra e il fuoco divorato gli arazzi; del tempio rimaneva solo uno scheletro cinereo lasciato a marcire al sole. Nessun dio l’avrebbe più reclamato come casa, ecco perché se l’erano preso loro. Per Shigaraki, il capo della banda, il fatto che vivessero in un tempio distrutto era ‘simbolico ed evocativo’. Dabi odiava l'acqua che gocciolava dal soffitto e l’odore di muffa che gli scivolava nel cervello ogni volta che entrava. Avrebbe volentieri scambiato il ‘simbolo delle loro future imprese’ con qualcosa di più asciutto e con meno statue.

Strisciò gli stivali tra la polvere, rigirandosi tra le dita una piuma rossa. Se l’era trovata sulla manica mentre tornava alla base dall’incontro con il Cavaliere e da allora non aveva smesso di giocherellarci. Si appoggiò alla vasca centrale e attese che qualcuno degli altri strambi comparisse. Dabi grattò con un dito la scaglia bianca alla base del polso, una delle poche sopravvissute, la staccò pian piano dalla pelle, lasciandosi dietro un semicerchio di pelle rosa e sensibile.

Non alzò lo sguardo quando due coppie di passi risuonarono nella navata, accompagnati dalla risata stridula di una ragazzina.

Shigaraki Tomura camminava curvo verso di lui, la mano mozzata che gli copriva la faccia era simile a un grande ragno. Una mano pallida si grattava il collo già pieno di cicatrici, e più la ragazzina sghignazzava, più lui si graffiava. Spinner gli aveva confessato che a volte il capo gli dava i brividi. A Dabi ricordava il viscido corpo di un serpente a cui era stata tagliata la testa e il modo in cui si agitava nella polvere per sfuggire al secondo colpo del badile.

"Vuoi tacere." Gracchiò il capo alla ragazzina, Toga, che stava ancora blaterando di solo gli dei sanno cosa. Toga rimase in silenzio per tre secondi esatti prima di rivolgersi a Dabi con un ghigno.

"Hai incontrato il tipo? È carino?"

"È utile?" Si intromise Shigaraki dopo essersi seduto sul piedistallo di una statua. Era la sua preferita: la donna, invece di correre e urlare come facevano di solito, era caduta in ginocchio per pregare. Come se un qualche dio avrebbe mai ascoltato una sporca ladra. Ora avrebbe pregato per sempre, carne e sangue tramutati in pietra dagli occhi rossi di Shigaraki. Dabi doveva concederglielo, l’abilità del suo Alias era incredibilmente divertente.

Dabi rimise la piuma in tasca e rispose a Shigaraki. "Solo se lo usiamo bene. Non mi fido di lui."

Shigaraki grugní e riprese a grattarsi il collo. “Fatti dire tutto quello che sa. Poi possiamo liberarcene.”

“Non ci avevo proprio pensato,” rispose sarcastico, “e, dimmi, come distinguiamo la verità dalle cazzate? In tutto quello che mi ha detto oggi non c’era una parola onesta.”

“Eppure non l’hai ucciso!” Esclamò Toga mentre un sorriso malizioso le tagliava il viso, le guance rosse e gli occhi sognanti.

“Ti stai rammollendo.” Lo derise Shigaraki, che aveva finalmente smesso di grattarsi il collo.

Dabi si scostò dalla vasca, pugnale in mano. Shigaraki fece per togliersi la mano dalla faccia, l'occhio spalancato, ma un urlo stridulo impedì loro di uccidersi a vicenda.

"Questa è sua!" Toga stava saltellando sul pavimento di pietra mentre agitava una piuma rossa come se fosse una bandiera. Dabi si infilò la mano in tasca e imprecò. Gli doveva essere caduta mentre aveva preso il coltello e quell'avvoltoio ci si era fiondata sopra.

"Mi sarà rimasta addosso da prima."

Lei emise un gridolino deliziato. Toga, il cui Alias era un pipistrello, era molto più simile a un corvo: attratta dalle cose colorate e scintillanti a cui riservava la sua totale attenzione per due minuti netti prima di annoiarsi, gettarle via e cercare qualcos'altro di colorato e scintillante. Se Dabi l'avesse ignorata si sarebbe stancata presto. E se la stramba avesse deciso che lei e la piuma ormai erano inseparabili Dabi avrebbe comunque trovato il modo di riprendersela. Per ora voleva evitare le domande che tanto attaccamento a una stupida piuma avrebbe causato.

"Quindi che facciamo col Cavaliere?"

Shigaraki era perso nei suoi pensieri, un sottile rivolo di sangue colava dal lato del collo dove si era grattato più ferocemente. "Basta non usarlo come informatore. Possiamo fargli fare il lavoro sporco al posto nostro e allo stesso tempo vedere fin dove è disposto a spingersi. Magari vuole veramente unirsi a noi."

"Sicuro," sbuffò Dabi, "Da che inizio?"

"Conosci i nostri obiettivi, usa un po' di fantasia." Shigaraki si alzò dalla statua, borbottando qualcosa sull'avere trascorso fin troppo tempo con delle seccature, e si incamminò verso la scala che portava ai vecchi alloggi dei sacerdoti. Prima che Toga potesse saltellargli dietro Dabi la afferrò per un braccio e la tirò a sé.

"Prova ancora a seguirmi," sibilò, "E ti strozzo con le tue stesse ali."

Lei fece un sorriso ampio e tagliente, un canino ancora macchiato dal sangue della sua precedente vittima. "Se non ti ammazzo prima io, Dabi-chan."

Dabi lasciò la presa e Toga iniziò a canticchiare mentre usciva dal tempio. Scosse la testa e si chinò per raccogliere la piuma rossa dimenticata sul pavimento. Che branco di svitati.

+

Il cielo coperto rendeva la notte tanto buia che Dabi aveva difficoltà a distinguere le proprie mani. In lontananza brillava la fioca luce di un falò, le fiamme si contorcevano nella notte, delineando le sagome addormentate di chi le aveva accese. Dabi si avvicinò silenziosamente. Sei figure dormivano intorno al fuoco, i lineamenti stranieri e le borse lasciate incustodite. Probabilmente erano dei viaggiatori che venivano da oltre il fiume che segnava il confine meridionale del regno. Purtroppo per loro non sapevano che a Kamino quello a cui non si fa la guardia diventa di dominio pubblico.

Dabi iniziò a frugare tra le borse, cercando la bisaccia con il denaro. Ispezionò le monete cercandone alcune che somigliassero a delle dracme, ma tutto quello che questi viaggiatori avevano era conio straniero. La bisaccia cadde a terra con un tintinnio e Dabi si rassegnò a rubare la fiaschetta di vino. Raccolse anche una brace del falò, per illuminare la strada e non inciampare in ogni buca e ciottolo. La sua mano sentì solo un lieve calore, come se avesse avvicinato appena la mano alla fiamma e si voltò per andarsene.

Dalla sua sinistra provení un frusciare di stoffa, uno degli stranieri alzò la testa, gli occhi stretti per aggiustarsi alla luce. Scattó a sedere quando vide l'intruso che stringeva in una mano un pezzo di legno incandescente e nell'altra una delle loro borse. Dabi sentì la sua confusione tramutarsi in paura. Sapeva di essere uno spettacolo raccapricciante. Le spille di metallo che tenevano insieme la pelle ustionata a quella sana brillavano in contrasto con le ombre del suo mantello. La sua espressione era perennemente distorta dalle cicatrici che gli sfregiavano il viso, dando l'impressione di un essere mostruoso, saltato fuori dalle storie di paura che si raccontano ai bambini. Ricordava come si era staccato le scaglie a una a una mentre il fuoco gli divorava la pelle scoperta. Come sua madre aveva urlato e pianto e implorato di smettere, per favore, ti ucciderai!

Dabi sorrise all'uomo che stava gridando in una lingua straniera mentre si stringeva alle coperte e si incamminò nella foresta.

Dopo l'incendio aveva corso tanto quanto il suo corpo carbonizzato gli consentiva. E ricordava con dolorosa precisione ogni ramo che gli aveva graffiato le gambe, ogni spina che gli si era conficcata nei piedi nudi, ricordava quanto la pelle tirasse nei punti di sutura e che uno sbuffo di vento fosse capace di piegarlo in due.

"Ehi, tu!"

Il viaggiatore doveva aver preso coraggio, si era alzato e lo seguiva gridando, probabilmente troppo stupido per capire che Dabi non aveva la più pallida idea di cosa stesse dicendo. Aumentò il passo, seccato. Valutò se spegnere la brace che teneva in mano, ma quell'uomo non era così importante da rinunciare alla sua fonte di luce.

"Fermati! Da quello che hai preso!" L'accento era tanto pesante che Dabi faticava a distinguere le parole, pur essendo nella sua lingua.

Si inoltrò nella foresta, seguendo un sentiero che rimaneva in vita solo grazie ai suoi stivali. Prendeva occasionalmente sorsi di vino e non si preoccupava di nascondersi. Se quell'idiota l'avesse seguito sarebbe stato l'unico a rimetterci.

L'ostinato viaggiatore lo raggiunse nella sua radura, provando di non essere il più brillante del suo regno. Se si fosse fermato prima Dabi avrebbe lasciato correre, ma ormai aveva visto la sua radura e non accennava a volersene andare.

Dabi aveva avuto una lunga giornata. Era in piedi dalla sera precedente, aveva dovuto sopportare le chiacchiere del grande Hawks e aveva perfino aiutato Twice a tornare più o meno sobrio. Non aveva voglia di un'altra seccatura, lo avrebbe eliminato velocemente.

Il sangue iniziò a scorrere più lentamente, al limite del congelamento, e la sua prospettiva cambiò mentre prendeva la forma del suo Alias. Ora il viaggiatore gridò di terrore. Fuoco incandescente lo avvolse, gli si avvinghió ai vestiti, alla pelle, alle ossa. Le sue urla si spensero e dell'uomo non rimase nulla. Che triste fato, morire per una fiaschetta di vino.

Due rivoli di fumo gli uscirono dalle narici, il muso distorto nella grottesca replica di un ghigno. Spalancò le ali e prese il volo.

Provò a ruggire ma non emise suono. Sapeva che il vino (e il fuoco) gli irritava la gola ma continuava ostinatamente a berlo. Mr Compress gli diceva che prima o poi sarebbe rimasto senza voce. Shigaraki aggiungeva che quello sarebbe stato un giorno felice per tutti. Dabi li mandava entrambi a cagare.

+

Dabi odiava volare.

Da quando il fuoco gli aveva rovinato le ali volare era faticoso e a tratti doloroso. Le ali riuscivano appena a sostenere il suo peso e prendere velocità era fuori discussione. La pelle priva di scaglie soffriva al contatto con le raffiche di aria fredda e doveva essere sempre all'erta nel caso qualcuno troppo curioso cercasse di seguirlo.

Si aggrappò alla montagna con gli artigli, scalfendo la parete di roccia per arrampicarsi fino alla sua caverna. L'aveva trovata quando ancora viveva con la sua famiglia, durante una delle ricognizioni che suo padre faceva in continuazione. Era il posto perfetto per nascondersi: la caverna era invisibile da terra, protetta da pareti ripide e rocce affilate. Gli animali, una volta fiutato il suo odore, giravano alla larga, prendendo la saggia decisione di nidificare sui monti vicini.

Eppure un falchetto dalle piume rosse non solo era riuscito a trovare il suo nascondiglio, ma ci tornava regolarmente, non curandosi del drago di sei tonnellate che avrebbe potuto schiacciarlo con una zampa.

Entrava cautamente, pronto a scattare al primo segnale che indicasse l'arrivo di fiamme incandescenti. Cinguettava il suo saluto e si appollaiava su una stalagmite, seguendo attentamente i movimenti di Dabi. Col passare dei giorni il falco si fece più ardito, voltandogli intorno e cinguettando quando Dabi faceva qualcosa che non gli andava a genio. Questo includeva spaventarlo con ringhi improvvisi e cercare di azzannarlo. Dabi non aveva realmente intenzione di mangiarlo, ma quei suoni lamentosi lo divertivano. E se una parte di lui si sentiva sola in quella scura e fumosa caverna, nessuno lo avrebbe mai saputo, meno di tutti il falco.

Un frullio d'ali catturò la sua attenzione e mentre voltava la testa, l'uccellino gli si appollaiò sulla zampa. Lingue di fumo gli uscirono dalle narici. Un piglio gli giunse alle orecchie, ma il suo compagno non si mosse dal suo nuovo trespolo. Dabi non poté fare a meno di ridere di nuovo, lasciando che la caverna si riempisse di fumo. Quel falco era veramente matto. Era in momenti simili che si chiedeva se quello fosse un vero uccello o un Alias. Aveva comportamenti decisamente umani, ma aveva anche l'intelligenza di una gallina. Quindi, o era un falco molto intelligente, o un umano molto stupido.

Appoggiò il muso al terreno e osservò il cielo schiarirsi, passando lentamente dal nero della notte al grigio dell'alba. Lo spazio riparato e caldo della caverna lo invogliava a restare. Era da due notti che non dormiva e l'Unione sarebbe sopravvissuta un giorno senza di lui. Per lo meno avrebbe migliorato la giornata a Shigaraki. Con la coda dell'occhio vide il falco che sonnecchiava sulla sua zampa e gli parve un peccato costringerlo a svegliarsi. Distese le ali e abbassò le palpebre. La vendetta poteva aspettare un giorno.

+

Note

Buon Natale, buon Santo Stefano e buone feste!!!

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Layel

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Capitolo 4
*** Hai Paura? ***


Hai Paura?

Keigo era seduto su uno dei barili nel retrobottega della taverna. Un mozzicone di candela illuminava a stento gli scaffali stracolmi il cui contenuto sembrava cambiare ad ogni tremolio della fiamma. I suoni della taverna erano attutiti da una massiccia porta di legno - che Giran riusciva ad aprire con sorprendente agio - e le voci degli avventori si mescolavano in un brusio indistinto, un sottofondo rilassante che dava l’impressione di essere racchiusi in una bolla. Keigo era stranamente tranquillo in quella stanza buia. Teneva gli occhi chiusi e la testa appoggiata al muro, conscio che l'unica entrata era protetta dal ghigno sghembo dell'oste. Nell’accampamento in città non poteva abbassare la guardia, molti non si sarebbero fatti scappare la possibilità di uccidere un Cavaliere e nelle camere della taverna c’era sempre il pericolo che qualcuno sgattaiolasse dentro. Nel retrobottega, invece, solo due persone sarebbero potute entrare: Giran che lo invitava gentilmente a sloggiare o il suo contatto con l’Unione dei Villain. Keigo cercava di non soffermarsi sul fatto che dei criminali gli infondevano tanta sicurezza.

Da due settimane ormai lui e Dabi si incontravano nella taverna, dove c’era più caldo e più alcool che in un vicolo sudicio, e Dabi gli affidava incarichi ridicoli per ‘testare la sua lealtà’. Faceva più che altro lunghi voli verso paesi dimenticati dagli dei per verificare le scorte di viveri e la disponibilità di uomini per l’esercito. Si sentiva come un responsabile del catasto reale o un esattore delle tasse.

Sapeva che questa situazione non poteva continuare per sempre: se voleva mantenere credibile la propria copertura avrebbe dovuto affrontare Dabi e fargli capire che o gli faceva incontrare il capo o avrebbe passato informazioni a un altro gruppo di criminali. Però continuava a rimandare. Temeva che la risposta fosse negativa, che Dabi lo mandasse a quel paese impedendogli di portare a termine la missione. Ignorò il mal di testa che iniziava a premere dietro le tempie e si concentrò sullo sbraitare di Giran. Finalmente era arrivato.

La porta si aprì, portandosi dietro i rumori e la luce della stanza principale prima di chiudersi con un tonfo. Dabi entrò nel cerchio di luce della candela e si appoggiò a una cassa. Iniziò a giocherellare con qualcosa che aveva in tasca, senza alcuna intenzione di iniziare la conversazione.

“Già ubriaco a quest’ora?”

“Non so cosa stai insinuando, uccellino.”

“Beh, o sei ubriaco, o il tuo senso dell’orientamento è tanto lacunoso da farti perdere per le strade della tua città.”Nonostante fosse Dabi a scegliere l’orario dei loro incontri, riusciva sempre e comunque ad arrivare in ritardo. Secondo Keigo lo faceva appositamente per fargli saltare i nervi e, per quanto faticasse ad ammetterlo, ci stava riuscendo.

“Non è la mia città.” Ribatté con disprezzo. Keigo scrollò le spalle. Aveva incontrato il gran totale di due persone che affermavano con orgoglio che Kamino fosse la loro città: Giran e Twice, l’unico altro membro dell’Unione che avesse conosciuto. Twice lo aveva accolto in modo tanto amichevole che per un momento Keigo si era dimenticato che stava trattando con un criminale ricercato. Magari non il più sveglio, ma pur sempre un criminale.

“Neanche la mia. Riesco comunque ad arrivare in orario.”

Dabi non rispose. Strano, solitamente sfruttava ogni occasione che aveva per rispondergli a tono, oggi invece era particolarmente silenzioso.

“C’è un motivo per cui sono qui?” Keigo tenne il tono leggero sperando di ricevere un incarico semplice e finire al più presto l’incontro. Aveva imparato che il Dabi silenzioso era da temere molto più di quello dalle battute sarcastiche.

“La sai usare?” Fece un cenno alla spada che Keigo portava alla cintura.

“No, guarda, sono stato nominato Cavaliere per la mia abilità come cuoco.”

“Intendo, sai uccidere?” Keigo colse il sottile ‘Sei disposto a farlo?’ che aleggiava nell’aria tra di loro. Inclinò la testa di lato. Dabi stava ancora evitando il suo sguardo e nella luce fioca era difficile capire a cosa stesse pensando.

“Sai vero che ho combattuto in guerra?” Questo si guadagnò l’attenzione di Dabi.

“Sono passati quasi dieci anni. Devi aver avuto…” Si interruppe per cercare l’età corretta o forse per la sorpresa una volta realizzata la risposta.

“Tredici anni.” Keigo ignorò la capovolta che fece il suo stomaco quando realizzò che nello sguardo di Dabi, sotto la rabbia, c’era compassione. Era proprio caduto in basso se perfino i banditi provavano pietà per lui. Alzò il mento. “Il regno aveva bisogno di me.”

“Oh certo. Senza un ragazzino di tredici anni saremmo stati spacciati.”

"Ho fatto il mio dovere. Non so neanche perchè mi sto giustificando, mi hai appena commissionato un omicidio.” Keigo si accorse di aver perso il suo accento quando Dabi lo guardò incuriosito. Imprecò mentalmente. Quando si arrabbiava tendeva a dimenticare l’accento che i suoi tutori gli avevano religiosamente insegnato.

Dabi non fece domande. Riprese a parlare a voce bassa, il tono amaro. “Visto che sono un criminale non posso riconoscere le stronzate? Ti ha ipnotizzato per bene, uccellino.”

“Sono qui proprio perché—"

"Risparmiatelo. Sei qui perché ti ho chiamato e ti ho chiamato perché devi sistemare un paio di bastardi per me.”

E questo come ti rende diverso dal Re che tanto detesti? Keigo lo pensò ma non lo disse, sapeva che avrebbe scatenato una reazione esplosiva e non aveva la minima intenzione di combattere in uno sgabuzzino. Tra ali e spada sarebbe stato in netto svantaggio, specialmente perché l’unica arma che aveva mai visto addosso a Dabi era un pugnale.

“Cosa hanno fatto per meritarsi l’esecuzione?” Scelse invece di chiedere. Dabi evitò di nuovo il suo sguardo con una smorfia e Keigo poté quasi giurare di aver visto la pelle delle guance non coperta da cicatrici, arrossire. Se la luce non gli giocava brutti scherzi, Dabi era imbarazzato per qualcosa e Keigo avrebbe fatto del suo meglio per scoprire per cosa.

“Mi stanno tra i piedi.”

“Vuoi che uccida qualcuno perchè ti sta tra i piedi?”

“Esatto.” Rispose con esitazione, chiaramente cosciente di quanto suonasse assurdo alle orecchie di Keigo.

“Perchè non te ne occupi tu? Mi sembra una questione personale.” Non era particolarmente contrario all’idea di giustiziare dei criminali, specialmente se questi riuscivano a rendere una persona come Dabi tanto nervosa, ma stava cercando di scoprire perché Dabi non volesse affrontarli. Forse i loro Alias erano troppo potenti rispetto al suo? Era una questione numerica? In ogni caso avrebbe potuto chiedere il supporto degli altri membri dell’Unione… a meno che non volesse farlo.

“Cerchi di tirarti fuori, uccellino? Un po’ di sangue ti spaventa?” Keigo si sarebbe quasi messo a ridere da quanto palesemente stesse cercando di cambiare argomento. Stava per ripetere la domanda precedente quando gli venne un’idea. Poteva risolvere il dilemma che lo attanaglia da giorni. Rispose in tono leggero, alzando già le mani in segno di pace.

“Per me sei tu quello spaventato.” E come previsto lo sguardo di Dabi si fece pericoloso. “Ehi, prima di pugnalarmi, lascia che ti dica che non mi interessa. Ucciderò questi tizi, ma in cambio voglio che mi presenti agli altri membri dell’Unione.”

“Certo. No.”

Ora doveva solo sperare di non aver sopravvalutato quanto l’altro necessitasse il suo aiuto. Keigo scrollò le spalle e si alzò dal barile. “Uccidili da solo.”

Dabi assottigliò lo sguardo, il blu delle sue iridi sfavillava alla fiamma arancio della candela. “Cazzo, d’accordo.” Si mise a giocherellare con una delle graffette di metallo che aveva ai polsi. “Ti farò incontrare gli strambi - sappi che ti stavo facendo un favore - Twice ti confermerà che sono loro.”

Keigo annuì e fece la parodia di un inchino, “È un piacere fare affari con voi.”

“Quanto una coltellata nel ginocchio. I bastardi sono accampati nel fienile vicino al ponte, credo siano in quattro. Uno dei loro Alias è un animale di piccola taglia, un qualche roditore. Ah, vengono da oltre confine.”

“Da oltre confine?” Chiese stupito e leggermente preoccupato. Non poteva uccidere emissari stranieri per soddisfare un capriccio di Dabi, specialmente visto che il loro regno era quello contro cui avevano vinto la scorsa guerra.

“Non si capisce un cazzo di quello che dicono. Tranquillo non è gente importante. Ladri, al massimo.”

“Uhm… dammi un paio di giorni e te li levo di torno, principessa.” Poteva risparmiarselo? Oh sì. Vedere l’azzurro dei suoi occhi diventare quasi incandescente ne era valsa la pena? Sicuramente.

“Sono a tanto così dall’incenerirti.”

“Uhm, però sei talmente freddo. Rilassati e ne riparliamo?"

“Proposta pericolosa.” Sussurrò con una punta di divertimento negli occhi.

Keigo si avvicinò e rispose allo stesso tono, "Il pericolo è il mio mestiere. Io rido in faccia al pericolo.” E gli rise effettivamente in faccia.

Dabi lo spinse via mentre cercava di mascherare un sorriso. “Citare le storie per bambini? Veramente?”

Keigo si strinse nelle spalle, sollevato di aver alleggerito il tono della conversazione. “Di solito funziona.” Iniziò a indossare il suo fedele mantello, cercando di nascondere al meglio le ciocche bionde sotto al cappuccio.

“Certo, se devi sedurre un undicenne.”

Guardò Dabi con un sopracciglio alzato e un ghigno in faccia. Lui si accorse del suo errore e sbuffò esasperato. “Ne ho più di venti.”

“Buono a sapersi.” Afferrò la maniglia e piantò i piedi a terra per fare leva. Quella porta era dannatamente pesante.

Dabi gli appoggiò una mano sulla spalla e si abbassò per sussurrargli all’orecchio. Il suo fiato era tanto caldo da essere fastidioso, “Non deve saperlo nessuno.”

Keigo annuì con decisione e Dabi lo lasciò andare. Aprì la porta a fatica e si fiondò fuori dal locale in cerca di una boccata d’aria. Fece appena un cenno a Giran prima di uscire. Camminò per le strade scure della città, lasciando che i suoi piedi lo riportassero all’accampamento nella casa abbandonata.

Quindi Dabi non voleva che i suoi compagni lo sapessero e il dover chiedere aiuto a Keigo lo imbarazzava. Nulla di strano nell’ultima parte, Keigo avrebbe pregato i suoi tutori in ginocchio prima di rivolgersi a Dabi, ma la segretezza verso i suoi compagni lo incuriosiva parecchio. Era sicuro che Dabi rispondesse a un qualche superiore, il capo che sporadicamente Twice nominava e l'obiettivo della missione di Keigo, quindi nascondergli informazioni rientrava in un atto di insubordinazione. Se avesse ucciso questi ladri si sarebbe inimicato il capo dell’Unione? Si fermò nel centro della strada ad osservare il cielo stellato. Il giorno dopo avrebbe chiesto a Twice come funzionavano le dinamiche di potere in quel loro gruppo e poi avrebbe deciso se fosse più rischioso aiutare o non aiutare Dabi.

+

“Aw, amico, sei troppo bravo! È solo fortuna!” Esclamò il criminale noto come Twice mentre buttava le carte perdenti sul tavolo. Keigo sorrise amabile e gli riempì il bicchiere di vino.

“Nah, sei giusto un po’ distratto.”

Convincere Twice a spostare le loro chiacchiere a casa sua era stato semplice: Twice si fidava quasi ciecamente di Keigo anche se lo conosceva da appena una settimana. Lo aveva visto per la prima volta alla locanda mentre era in compagnia di Dabi e Keigo aveva colto l’occasione al volo. Dabi non ne era stato affatto contento ma ormai Keigo si era presentato.

All’inizio i continui litigi che Twice aveva con se stesso lo avevano spiazzato, ma presto aveva imparato a considerare solo l’opinione che più gli faceva comodo. Da quel giorno avevano continuato ad incontrarsi per un bicchiere o una partita di carte - Twice era stato entusiasta di scoprire che Keigo era un giocatore peggiore di lui, ma non sapeva che Keigo lo lasciava vincere di proposito. Twice era l’opposto di Dabi: amichevole, rumoroso e tanto ingenuo quanto un criminale può esserlo. Se si fossero incontrati in altre circostanze lui e Keigo sarebbero potuti diventare amici.

“C’è qualcosa che ti preoccupa? Problemi con il capo?” Chiese Keigo con finta noncuranza mentre mescolava le carte. ‘Ti piacerebbe saperlo,’ gli avrebbe risposto Dabi.

“Si sta sforzando tanto ultimamente e vorrei poterlo aiutare di più, capisci? Non voglio averci niente a che fare!” Twice si strofinò il capo, imbarazzato, “Non potrei parlarne, però.”

“Oh, nessun problema!” Keigo ridacchiò e distribuì le carte, “Pensavo steste litigando o qualcosa del genere.”

“Certo che no! Tutti i giorni! È un po’ aggressivo ma alla fine agisce sempre nel nostro interesse, capisci? È un buon capo. Lo detesto, io sarei molto meglio!

“Sì, ho notato. Vi lascia anche molto liberi, no?” Keigo continuava a parlare in tono disinteressato, come se stesse semplicemente cercando di mantenere attiva la conversazione.

“Molti si sono uniti proprio per quello. Dabi non si vede mai! Non gli serve averci attorno tutto il tempo.” Twice aggrottò la fronte quando vide le sue carte, fece la prima mossa e Keigo guadagnò ben tredici punti.

"In fondo la libertà garantisce più lealtà delle catene. A Musutafu non potevo fare un passo senza che il re lo sapesse,” Ti ha ipnotizzato per bene, uccellino. Doveva aver mostrato più amarezza di quanta intendesse perché Twice gli diede una pacca confortante sulla spalla.

“Ti vendicherai. Lo odio! Con noi puoi fare quello che ti pare, basta che non intralci il capo e dai una mano quando serve.”

“Bene!” Keigo tornò a sorridere e scivolò la mano vincente sul tavolo. Twice lanciò via le carte con un’imprecazione e un complimento. Finì un altro bicchiere e chiese la rivincita. Keigo decise di lasciarlo vincere questa volta. In fondo, gli aveva detto tutto quello che aveva bisogno di sapere. Ora Keigo doveva solo liberarsi di una manciata di ladri prima di incontrare il capo su cui il re gli aveva chiesto informazioni.

+

Note

Amo Twice alla follia. Auguri di buon anno!!

Layel

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Capitolo 5
*** Chi di Spada Ferisce... ***


Chi di Spada Ferisce…

La luce del crepuscolo ritagliava la scura silhouette della fattoria. Volute di fumo si innalzavano da uno dei comignoli e il sole si rifletteva sul fiume che scorreva poco distante, creando un'immagine di pittoresca tranquillità. Se ignorava i resti diroccati del fienile e i canti ubriachi dei ladri, Keigo poteva immaginare la famiglia che viveva nella fattoria: il padre contadino ben conosciuto in città, la madre dolce che insegnava alle figlie a tessere e accompagnava i figli a scuola, i bambini che sguazzavano felici nel fiume. Proprio come quelle che vivevano ai confini del villaggio di Keigo; allegre anche quando il raccolto era scarso o l'inverno rigido perché trovavano conforto nella reciproca compagnia. Quanto le aveva invidiate da bambino.

Il suono di vetri rotti lo riportò al presente. Giusto, era qui per uccidere dei criminali, non per rivangare vaghe e vecchie memorie.

Assunse la forma dal suo Alias e volò su una delle finestre della facciata. I vetri sporchi e il sole calante non aiutavano certo la visibilità ma grazie agli occhi del falco riuscì a distinguere le sagome all’interno. I quattro ladri erano raggruppati nel polveroso salotto, due seduti davanti al caminetto con le spalle alla finestra, un altro era piegato su un tavolo e parlava concitatamente con i suoi compagni mentre il quarto era disteso sul divano, i cocci di una bottiglia o di un bicchiere sparsi sul pavimento. Hawks non riusciva a vedere quali armi possedevano o se le avessero con loro in quel momento perciò doveva muoversi con estrema cautela.

Fece un volo di ricognizione intorno alla fattoria per cercare una via d’entrata che non annunciasse la sua presenza ai ladri. Trovò un’apertura tra le assi del tetto e ci si infilò. La stanza in cui era entrato un tempo doveva essere la cameretta di un bambino: un cavallino di legno era abbandonato in un angolo e il letto era sfatto, come se fosse stato abbandonato di corsa. La maggior parte dei poderi all’esterno della città non erano stati intaccati dall’incendio e molte famiglie avevano tentato di rimanere nelle proprie case solo per essere derubate e uccise dai malviventi che stavano prendendo il controllo della città. Hawks sperava che gli abitanti di questa fattoria fossero riusciti a scappare prima che succedesse.

Di nuovo umano scivolò silenziosamente per i corridoi, la spada stretta in pugno e il mantello abbandonato nella cameretta. Gli avrebbe solo impacciato i movimenti e i ladri sarebbero morti prima di poter spargere la notizia che Hawks era in città. Raggiunse la sommità delle scale ed esitò sentendo voci provenire dal piano di sotto. Due persone stavano litigando mentre una terza si intrometteva per cercare di riportare la calma; i suoni della loro lingua gli erano lontanamente familiari, i suoi tutori gliel’avevano insegnata prima che si arruolasse nell’esercito, ma era passato tanto tempo che riusciva solo a cogliere alcune delle parole più elementari. Una volta terminata questa missione si promise di riprenderne lo studio, in questo momento gli sarebbe servito capire l’argomento della discussione.

Una volta ai piedi delle scale si ritrovò in una piccola stanza di passaggio; la porta che dava sul soggiorno era socchiusa e Hawks si appoggiò alla parete per osservare attraverso l’apertura. Uno degli stranieri che era seduto vicino al caminetto si era alzato in piedi e stava discutendo con l’uomo che si trovava dalle parti del tavolo, a meno di due metri da Hawks. Questo allungava il suono della lettera S, caratteristica comune se il proprio Alias era un serpente o una lucertola, mentre l’uomo vicino al fuoco aveva due grandi corna ricurve che gli spuntavano ai lati del capo. Hawks sperò fosse un piccolo ovino piuttosto che, per esempio, un bufalo. L’ultimo ladro di cui doveva occuparsi nell’immediato - a quello addormentato avrebbe pensato in un secondo momento - era magro e slanciato e portava barba e capelli lunghi; aveva inoltre smesso di partecipare alla conversazione per fiutare l’aria. Un canide, che fortuna.

Impugnò il pugnale con la sinistra e la spada con la destra e aprì la porta con una spallata. L'uomo dall’Alias-serpente riuscì appena a spalancare gli occhi dalla sorpresa prima che il fendente di Hawks gli aprisse lo stomaco. Si voltò verso sinistra e lanciò il pugnale, riuscendo a colpire l’altro uomo alla base di un corno. Prima che potesse reagire una massa ringhiante e pelosa lo costrinse sul pavimento, Hawks gli bloccò le zanne con le mani, lo colpì al fianco con un calcio e quando il lupo indietreggiò Hawks sfruttó il suo piccolo Alias per liberarsi. Umano di nuovo, riprese la spada e colpì il lupo al fianco. Questo tornò umano e cercò freneticamente di fermare l’emorragia. Hawks ne ebbe pietà; Gli tagliò la gola con un movimento fluido e preciso.

Hawks e l’uomo addormentato erano rimasti gli unici vivi nella stanza, l’Alias-forse-montone era scappato con il suo pugnale lasciandosi dietro una scia insanguinata. L’uomo sul divano non si era mosso dall’inizio della battaglia, russando tranquillamente con una serena espressione sul volto; dall’odore doveva essere ubriaco.

Hawks sollevò la spada.

Una freccia ruppe i vetri della finestra e gli si conficcò nella spalla. Lasciò cadere la spada con un grido e si buttò a terra. Altri due dardi seguirono il primo, sibilando nell'aria a poca distanza dalla sua testa. Strisciò verso le scale e si nascose dietro la porta spalancata; La spalla gli pulsava, un dardo di almeno una spanna gli spuntava dalla carne, l'estremità visibile era nera e appuntita. Assomigliava molto ad un aculeo e Hawks sperò che non fosse avvelenato.

"Cavaliere!" Un uomo dalla voce acuta e nasale spalancò la porta del soggiorno che strisciò stanca sui cardini poco usati. "Ti ha mandato quel mostro, vero? Forza, esci ed affrontami! Non credevo che Hawks fosse un tale vigliacco!" Il ladro parlava con un forte accento ma in modo chiaro e borioso. Questo dov’era nascosto? Come ho fatto a non vederlo?

"So che ti ho colpito, Cavaliere. È meglio per te se la finiamo in fretta: il mio veleno agisce rapidamente. Ho visto persone strapparsi la pelle per sfuggire al dolore!"

Oggi non era il suo giorno fortunato.

Se solo fosse riuscito a raggiungere la spada che giaceva inutile sotto al divano. Hawks si alzò cautamente in piedi, sopprimendo un gemito quando spostò il peso sul braccio ferito. Deglutì e chiuse gli occhi, concentrandosi sulle vibrazioni che percepiva attraverso le sue piume. Sentì lo sfregare dell’acciaio sul legno - aveva raccolto la sua spada? - e un tonfo sordo seguito da un’imprecazione assonnata. Perfetto, ora doveva affrontare due criminali mentre era disarmato e con un dardo avvelenato nel braccio; non poteva nemmeno trasformarsi nel suo Alias perché il falco non avrebbe potuto sopportare la ferita.

Un solo paio di passi si avvicinò al suo nascondiglio, forse l’altro era troppo ubriaco per combattere o l’Alias-istrice era tanto pieno di se da credere di poterlo sconfiggere da solo. Hawks si tastò le tasche dei pantaloni alla ricerca di qualcosa di anche lontanamente affilato; trovò la spilla d’argento che usava per assicurare il mantello. Non era molto ma se la sarebbe fatta bastare. La impugnò con la sinistra, il sudore e il sangue rendevano la presa poco salda, ma a questo punto che differenza faceva? Magari non sarebbe riuscito a sopravvivere al veleno ma si sarebbe assicurato di portare quel bastardo all'inferno con lui.

Si scostò dal muro e trattenne il fiato.

Quando le unghie dell’uomo grattarono contro il legno della porta, Hawks non esitò. Diede un calcio alla porta che gli finì dritta in faccia, rompendogli il naso. L'uomo venne colto di sorpresa, tenendosi il viso sanguinante con una mano e cercando maldestramente di colpirlo con una spada che era troppo lunga per lui. Hawks gli si lanciò addosso, scaraventandolo contro il muro e conficcandogli la spilla nell’occhio. L'uomo gridò in modo raccapricciante. Gli aculei che gli ricoprivano la schiena erano schiacciati in modo innaturale, alcun tanto piegati da conficcarsi nelle braccia dell’Alias-istrice. Hawks continuò a premere finché l’uomo non lasciò la spada, facendola cadere nella pozzanghera di sangue che stava crescendo ai loro piedi.

Hawks, stremato dalla battaglia e dal veleno che gli scorreva nel braccio, si concesse un momento di distrazione per raccogliere la sua arma. Mentre le dita si stringevano attorno all'elsa le sue piume captarono un movimento. Hawks alzò gli occhi; L’uomo stava sollevando un aculeo con una mano insanguinata.

Non avrebbe fatto in tempo a schivare.

Un urlo si levò tra le pietre della fattoria; Hawks si stupì che non provenisse dalla sua bocca. L’uomo davanti a lui rimase immobile, i lineamenti contorti in un grido che non aveva avuto la possibilità di terminare, la pelle grigia a scheggiata come roccia. Hawks non aveva mai visto nulla di simile. Si alzò con cautela, la spada stretta nella mano sana. Vicino alla porta riposava un serpente dal colorito grigio-azzurro, non più lungo del suo braccio, gli occhi chiusi. Hawks non lo aveva sentito arrivare. Ad essere onesti non si era neanche accorto dei ripetuti suoni bagnati che provenivano dal salotto.

A questo punto non ci teneva troppo a investigare; che il serpente fosse l’Alias del quinto membro che aveva mal utilizzato la sua abilità o un anonimo salvatore, ad Hawks non importava. Iniziò a salire le scale ma si fermò sul secondo scalino quando vide la porta aprirsi di nuovo.

“Hawks, amico, ci sei? Stai scappando come un vigliacco?”

Hawks fissò Twice in completa confusione. Poi il serpente si dissolse in una pozzanghera di fango e la stanza inizió a girare. Twice fu veloce a prenderlo prima che sbattesse la testa contro gli scalini. Gemette quando gli afferrò il braccio ferito e Twice mormorò una scusa mentre lo accompagnava in salotto. Puntini neri gli danzavano davanti agli occhi e l’ultima cosa che sentì prima di svenire fu una voce femminile che esclamava:

“Haw-chan! Quanto sei carino ricoperto di sangue!”

+

Si risvegliò sul divano con un fastidioso peso sul petto; il serpente grigio sibilò irritato prima di strisciare sul pavimento. Keigo si alzò e seguì il rettile che ad occhi chiusi lo conduceva per i lunghi e stretti corridoi della casa. Sapeva che tra poco avrebbero dovuto raggiungere delle scale, ma non ricordava esattamente dove si trovassero. Il serpente lo portò davanti ad una porta. Qualcosa gli diceva che al di là di quella porta lo attendeva qualcosa di orribile. Tentò di andarsene, ma il suo corpo non lo ascoltava. Il serpente oltrepassò la soglia e così fece Keigo.

Era nel tempio dov’era cresciuto. Alte colonne bianche risplendevano alla luce della luna, l’acqua della vasca ottagonale rifletteva le stelle. Keigo vi immerse le mani come da rituale, ma quando le ritrasse, invece di gocce d’acqua purificatrici, erano ricoperte di sangue. Si allontanò inorridito. Doveva pulirsi. Se i suoi tutori l’avessero visto in tali condizioni o peggio, se un abitante del villaggio fosse entrato nel tempio… Scese nelle stanze sotterranee, pareti di pietra seguite da pareti di pietra, una stanza vuota dopo l’altra, il bisogno di trovare dell’acqua pulita sempre più pressante: sapeva che se non si fosse lavato le mani non sarebbe uscito mai più.

Le finestre di casa sua erano illuminate dall’interno. Il suo apprendista giocava a carte con il ragazzo che aveva incontrato a palazzo, le loro tuniche bianche erano sporche di sangue. Prima che potesse reagire il serpente scivolò sotto la porta d’ingresso. Keigo urlò ma nessuno lo sentì. Provò a muoversi, a spalancare le ali, ma i suoi arti erano pesanti come la pietra. Continuò a gridare avvertimenti mentre le pareti di casa si incrinavano e iniziavano a crollare. Tokoyami scomparve in un mucchio di cenere. A quel punto Keigo fu capace di aprire la porta, solo per trovarsi davanti Dabi che lo guardava con pietà. Faresti di tutto per il re, vero uccellino? Venne avvolto da fiamme rosse e blu, il calore insopportabile, e questa volta il suo grido lo sentì forte e chiaro.

“Merda, Dabi tienilo fermo!”

Due mani lo inchiodarono al materasso e Keigo spalancò gli occhi. Quelli azzurri di Dabi lo fissavano da sopra di lui e Keigo rabbrividì al ricordo del sogno. Tentò debolmente di alzarsi ma le mani di Dabi lo costrinsero a rimanere disteso.

“Sei vivo.” Commentò in tono leggero, anche se il suo volto tradiva sentimenti più complessi che Keigo avrebbe analizzato una volta che si fosse sentito meno di merda.

“Certo che è vivo,” rispose una voce sconosciuta alla sua destra, Keigo voltò il capo e vide un uomo dalla pelle ricoperta di scaglie verdi che gli fasciava la spalla. “Non mi sarei messo a curare un morto, non ti pare?”

Keigo, però, non condivideva la stessa sicurezza di quel… medico? Non sapeva quanto tempo era passato ma il veleno avrebbe dovuto ormai aver fatto effetto. Però, escludendo il dolore sordo alla spalla e il mal di testa che gli impediva di aprire gli occhi per più di cinque secondi di fila, non si sentiva tanto male da volersi strappare la pelle.

“Veleno.” Gracchiò una voce che faticò a riconoscere come sua.

“Veleno?” Dabi aggrottò le sopracciglia e si rivolse al medico, “L’aculeo era avvelenato?”

Quello scosse la testa, “Non mi sembra. Sono passati due giorni, avremmo dovuto notarlo. E da quello che so gli aculei degli istrici non sono avvelenati.”

“Era questo che intendevi?”

Keigo capì con molto ritardo che la domanda era stata rivolta a lui e annuì con vigore. Il movimento lo stordì e dovette chiudere gli occhi. Si rilassò sul letto mentre una mano calda gli accarezzava i capelli. Il sonno arrivò con la deliziosa consapevolezza che non sarebbe morto avvelenato.

+

Il tramonto tingeva le case del villaggio di rosso mentre madri e padri chiamavano i rispettivi figli a cena. Keigo era seduto al lato della strada, un bastoncino in mano, e tracciava il suo nome nel terreno arido. Uno dei bambini che sapeva scrivere gli aveva insegnato da quali lettere era composto il suo nome e come si pronunciavano. Ripassò sulle lettere, premendo con tanta forza che il ramoscello si spezzò. Il sole scomparve oltre l'orizzonte, ma il rosso non abbandonò la strada, insinuandosi tra le pietre del selciato e le assi delle case. Keigo aveva la sensazione che qualcosa fosse fuori posto. Sul terreno il nome "Keigo" stava iniziando a scomparire; I solchi si riempirono e la terra tornò liscia.

"Hawks!"

La voce rabbiosa di suo padre. Keigo scattò in piedi, ma non riuscì a muoversi. Il panico gli chiuse la gola e gli bloccò le gambe. Doveva tornare a casa. Qualcosa di orribile sarebbe successo se non lo avesse fatto. Iniziò ad avanzare lentamente, troppo lentamente, come se stesse tentando di camminare nella melassa. La voce si fece più vicina, ora riusciva a vedere la sagoma di suo padre. L'uomo alzò un braccio e Keigo trattenne il respiro.

Venne risvegliato dallo sbattere di una porta.

Si voltò lentamente verso l’origine del rumore, socchiudendo gli occhi con un mugugno quando la luce dell’esterno gli ferì la retina.

“Haw-chan! Sei sveglio!” Trillò una ragazzina dai capelli biondi raccolti in due crocchie. Si sedette ai piedi del materasso e gli sorrise mettendo in mostra due canini innaturalmente affilati. Probabilmente una caratteristica del suo Alias.

Mentre Keigo tentava di mettersi seduto - e di allontanarsi il più possibile da quella tizia - una seconda persona entrò nella stanza, una molto più familiare e benvenuta. Twice reggeva una scodella in una mano e un bicchiere nell’altra, il viso era nascosto dalla solita maschera, ma Keigo era quasi sicuro che stesse sorridendo. “Ti abbiamo portato qualcosa da mettere sotto i denti, ottima qualità! Il pane è vecchio di due giorni!”

Keigo accettò l’unta brodaglia e il pane raffermo con gratitudine; non sapeva da quanto non mangiava e stava morendo di fame. Tra un boccone e l’altro ispezionò la stanza. Si trovava in una camera dalla pianta ottagonale, di blocchi di pietra levigata, senza finestre. L’unica uscita era la porta da cui Twice e la ragazzina erano entrati; oltre al duro materasso su cui era disteso, non c’erano altri mobili. Era praticamente identica alle stanze sotterranee del tempio di Fukuoka, la città in cui aveva passato l’adolescenza.

“Dove sono?”

Twice iniziò con entusiasmo, “Oh, nel nostro—”

“Letto.” E venne bruscamente interrotto dalla ragazzina, che si passò la lingua sui denti affilati prima di continuare. “Sei a letto, Haw-chan. Devi guarire da quella bellissima ferita.”

Keigo annuì e raschiò il fondo della scodella con il cucchiaio. Che si trovasse nel covo dell’Unione? O magari era solo nel rifugio di questa ragazzina. A proposito…

“Tu sai il mio nome, ma io non so il tuo,” disse prima di prendere il bicchiere che Twice gli stava passando.

La ragazzina ridacchiò e arrossì, “Sono Himiko Toga. Le tue ali hanno un colore squisito.”

“Si può dire lo stesso dei tuoi capelli, ti donano.”

Gli occhi di Himiko Toga scintillarono e si rivolse a Twice, indicandolo con un coltello che aveva estratto dalla cintura. “Vedi? Lui sì che è un gentiluomo.”

Twice cadde in ginocchio ai suoi piedi e la pregò di perdonarlo, promettendo che sarebbe stato il miglior corteggiatore che avesse mai avuto. Toga gli diede un paio di colpetti sulla testa per consolarlo. Per quanto quel drammatico teatrino fosse esilarante - e leggermente preoccupante, quanti anni aveva Toga? - Keigo era infreddolito (della sua camicia neanche l’ombra, almeno aveva ancora addosso i pantaloni) disarmato e molto confuso.

“Scusate se mi intrometto, ma dov’è la mia spada? E i miei vestiti?”

“Ah! Non preoccuparti. Ti restituiremo tutto.” Toga inclinò il capo di lato, “Ma non il pugnale. Mi piaceva tanto che me lo sono tenuto. Alla fine ci devi una ricompensa, no?”

Ricompensa? Non ricordava di aver mai chiesto nulla alla ragazzina o di averla incontrata prima di… la fattoria. Quindi era lei la persona che, insieme a Twice, lo aveva salvato. Beh, quello portava più domande che risposte. Cercò di non mostrarsi confuso e sorrise riconoscente. “Immagino di dovervi ringraziare.”

“Nah, amico, non ce n’è bisogno: fai parte della squadra. La prossima volta ti arrangi.”

Keigo imputò il rimescolare che sentiva nello stomaco alla zuppa probabilmente andata a male. “Uhm, ho una domanda.” Sapeva per esperienza che girare intorno al punto con Twice non era efficace e anche Toga sembrava una persona diretta.

“Chiedi pure amico. Non voglio sentirla.” Toga si limitò a fissarlo interessata. Il suo sguardo era addirittura più inquietante di quello di Dabi, ma forse era perché a lui si era abituato.

“Come mi avete trovato?” Perchè non sono riuscito nè a vedervi nè a sentirvi?

“Ti abbiamo seguito, ovvio!” Disse Toga con entusiasmo e senza un attimo di esitazione.

“Con l'Alias di Toga non è stato per niente difficile. Un gioco da ragazzi.”

Maledisse mentalmente tutti gli dei che conosceva e anche qualcuno sconosciuto. Lo stavano pedinando. Certo che lo stavano pedinando. Almeno lo aveva saputo prima di riportare le informazioni al re.

“Parlando di Alias, Twice, il tuo… sei una specie di basilisco?”

“Eh? Ah, no, molti si confondono. Sei proprio scemo. Il mio Alias crea una replica esatta di chiunque misuri!” Prese una cordicella dalla tasca dei pantaloni e la mostrò a Keigo con orgoglio.

Keigo osservò il metro con apprensione. Se Twice avesse sfruttato il suo stato di incoscienza per prendergli le misure… Keigo non riusciva neanche ad immaginare quale danno sarebbe per il regno se una sua copia fosse nelle mani dei criminali.

“Qualunque Alias. Ad eccezione di se stesso— ma ora non è importante.” Spiegò Toga, che aveva notato la sua preoccupazione. “Non può copiarti quando sei umano, Haw-chan. Comunque, che ci facevi in quella fattoria?”

Prima di rispondere Keigo valutò con attenzione quale versione riportare. Dabi gli aveva chiaramente imposto di non parlare di quest’incarico con gli altri membri e dubitava che anche dopo il suo salvataggio avesse ammesso di essere coinvolto. Toga non glielo avrebbe chiesto altrimenti. E se anche loro ne fossero già a conoscenza, Keigo avrebbe solo dimostrato di essere una persona che mantiene la parola data. Si strinse nelle spalle. “Avevo un conto in sospeso.”

“Ah! Te l'avevo detto.Non ne avevo idea!” Esclamò Twice, vittorioso, “Perché altro se no? Non c'è nulla da rubare.”

Toga inclinò il capo, “Quindi non ti ha mandato Dabi?”

Keigo alzò gli occhi al cielo e non dovette fingere l’irritazione, “Sai, non vivo per compiacerlo.”

Twice annuì con enfasi, sottolineando quanto si trovasse d’accordo, ma Toga continuò ad osservarlo curiosamente. Keigo, volendo uscire da quella conversazione, esagerò uno sbadiglio. “Grazie per il pasto. Mi sento ancora abbastanza debole, vorrei riposare un po’.”

“Sicuro, amico! Scansafatiche. Tra un paio d'ore viene Spinner che ti cambia le bende.” Raccolse ciotola e bicchiere dal pavimento e fece un elaborato inchino davanti alla porta. “Prima le signore.”

Toga ridacchiò mentre saltava giù dal letto. Prima di uscire gli rivolse un sorriso a trentadue denti e Keigo notò che alcuni erano sporchi di sangue. “Dormi bene, Haw-chan.”

+

Fortunatamente tutti i templi del regno erano costruiti secondo gli stessi parametri o Keigo si sarebbe già perso tra le labirintiche camere di pietra. Il Cavaliere aveva atteso che i passi di Toga e Twice scomparissero, aveva contato fino a 200 e poi era uscito silenziosamente nel corridoio. Sperava di poter dare un’occhiata in giro e trovare più informazioni su dove si trovava e sui componenti dell’Unione. Dalla grandezza della sua stanza aveva capito di trovarsi negli alloggi degli allievi dei Sacerdoti perciò stava cercando le scale che lo avrebbero portato al primo livello sotterraneo, dove solitamente c’erano le camere dei Sacerdoti. Da bambino odiava dormire in quelle celle sotterranee senza luce né finestre, perciò trovare la scala fu un sollievo. Salì velocemente e per poco non si scontrò con un uomo che veniva dalla direzione opposta. Lo riconobbe e imprecò sottovoce.

+

Dabi era annoiato. Era annoiato e perciò stava andando a trovare il Cavaliere che da sveglio offriva più intrattenimento rispetto che da svenuto. Era solo annoiato e Toga aveva torto. Poteva uccidere senza provare rimorso: non sarebbe bastata una coltellata a farlo sentire in colpa. Il tempio sotterraneo non gli piaceva, con i suoi corridoi claustrofobici e la puzza di muffa. Aveva sempre e solo visto la parte superiore, come la maggior parte del popolo, e da bambino ne ammirava gli arazzi colorati e la vasca di acqua limpida. Sua madre aveva l’abitudine di attendere al servizio di metà settimana con lui e sua sorella, vestiti a festa. Era una delle poche cose che ancora la rendeva felice.

Una goccia di sangue gli rigò la guancia. Spalancò la porta che dava ai sotterranei e scese le scale, tentando di togliersi la macchia dalla faccia. Mancò poco che un’idiota non gli venisse contro. Alzò lo sguardo e si trovò faccia a faccia con un Cavaliere molto sorpreso e molto nudo.

“Già in piedi?” Dabi aveva una mezza idea di cosa stesse cercando di fare Hawks, uno sforzo inutile a suo parere.

Hawks ridacchiò forzatamente e si strofinò la nuca imbarazzato, “Ho cercato di dormire, ma mi è venuto freddo. Hai visto i miei vestiti?

“Tanto non troverai niente.” Hawks lo guardò confuso e, Dabi doveva ammetterlo, era un grande attore. Capiva perché fosse stato scelto proprio lui come spia.

“Avete preso in ostaggio la mia camicia?”

“Sai di cosa parlo.” Dabi si appoggiò alla parete e notò che le ali dell’altro si erano gonfiate leggermente. Quindi Hawks stava veramente frugando nel loro covo. “La tua roba è di sopra. Ce l'aveva Toga, non so dove l'abbia messa.”

“Sì, a proposito, non è stato molto carino farmi pedinare.”

Dabi aggrottò la fronte, “Io non ho fatto niente, uccellino. Quella non riesce a farsi i cazzi suoi.” E ora non poteva neanche prendersela con lei, perché aveva salvato il signor Ali di Fata.

“Decisamente curiosa.” Concordó Hawks con una smorfia. Dabi assottigliò lo sguardo. Non è che…

“Le hai detto qualcosa?”

“Certo che no! Per chi mi hai preso!” Hawks si appoggiò teatralmente una mano al petto, al petto nudo e con fin troppi muscoli per uno che combatteva con una spada tanto leggera. Dabi aveva il forte desiderio di toccarlo. Ma che cazzo?

“Dabi?”

Non si era accorto del silenzio finchè Hawks non l’aveva rotto. Rispose con un intelligente, “Mhm?”

“Avevano visto il tuo Alias, vero?”

Ma che cazzo? Dabi alzò un sopracciglio mentre l’espressione terrorizzata di un uomo in fiamme gli tornava alla memoria. Quella sera non si era accorto che alcuni dei suoi compagni lo avevano seguito, ma il fatto si rivelò ovvio quando una banda di stranieri iniziò a chiedere informazioni su di lui a mezza città. Nessuno a Kamino avrebbe mai dovuto conoscere il suo Alias, era fin troppo palese; inoltre, lo conservava per un momento speciale.

Hawks si strinse nelle spalle, “Uno di loro ha menzionato un 'mostro'. Il tuo Alias, immagino. Non potevi ucciderli da solo e nemmeno chiedere aiuto ai tuoi compagni perché avrebbero fatto troppe domande. Ammetto che essere l'ultima spiaggia mi ferisce immensamente.”

Dabi lo guardò con una smorfia, “Ho sottovalutato la tua intelligenza.”

“È un complimento quello?” Il sorriso del Cavaliere sembrava quasi sincero, “Ascoltate tutti! Dabi mi ha appena fatto un complimento!”

“Vaffanculo.”

“Ah, molto meglio. Credevo fossi malato.”

Dabi stava dibattendo se mandarlo di nuovo a quel paese o se spingerlo semplicemente giù dalle scale, ma Hawks lo interruppe con un’altra domanda scomoda. Qual'era il problema del piccione quel pomeriggio?

“Quindi… niente Alias?”

“Parli proprio tu.”

“Il mio è abbastanza ovvio.” Hawks spalancò le ali, ma Dabi era sicuro che sapesse cosa intendeva. Nessuno aveva mai visto l’Alias del Cavaliere Hawks e Dabi iniziava a pensare che fosse qualcosa di estremamente imbarazzante.

“Anche il mio.” Non sapeva perché glielo avesse detto, non si fidava di lui. Cambiò velocemente argomento, sperando di finire la conversazione. “Vai a metterti una maglia, mi sta venendo da vomitare.”

+

Note

Credo che questo sia il capitolo più lungo della storia. Ho pensato parecchie volte se fosse meglio dividerlo a metà, ma la suddivisione non mi convinceva mai del tutto quindi alla fine l’ho lasciato così lmao.

Non credo di averlo già scritto, ma la storia avrà un happy ending! No worries!

Al prossimo martedì,

Layel

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Capitolo 6
*** Vecchie e Nuove Conoscenze ***


Vecchie e Nuove Conoscenze

Vostra Altezza Reale,

La missione procede a rilento. Sono entrato in contatto con alcuni membri della banda e ho potuto appurare l'Alias solo di un numero ridotto. Non si fidano ancora completamente, ma con un po' di tempo mi infiltreró completamente nei loro ranghi. Dei membri che ho incontrato un paio hanno Alias degni di nota: uno è un serpente che pare tramuti in pietra con lo sguardo, presumo una specie di basilisco, non sono sicuro a chi appartenga, molto probabilmente a un uomo coperto da scaglie che ho incontrato di sfuggita; l'altro è in grado di replicare l'Alias di chiunque, non so se la potenza della copia sia uguale all'originale, né quante copie può produrre. Di uno non sono completamente certo, ma pare abbia a che fare con il fuoco–

Keigo sollevó la penna dal foglio. I suoi sospetti sull'Alias di Dabi si erano consolidati dal loro ultimo incontro. Non aveva prove sicure, ma il drago di ghiaccio che incontrava nelle notti in cui aveva bisogno di rilassarsi e pensare era ustionato in vari punti: zampe, collo, ali. E di cosa era ricoperto il corpo di Dabi? Ustioni. Ustioni che nascondevano ogni segno fisico che gli Alias si lasciavano dietro. “Il mio è abbastanza ovvio.” "Anche il mio."

Se aveva ragione allora la missione era giunta al termine... Ma lo sarebbe veramente stata? Era quasi sicuro che il re gli avrebbe ordinato di ucciderlo. Keigo era forte e veloce, ma lo era abbastanza da sconfiggere un drago? Inoltre c'erano ancora punti che non gli erano chiari; se avesse riportato l'informazione sbagliata?

Non poteva rischiare.

Una goccia d'inchiostro cadde sulla carta, costringendo Keigo a prendere un nuovo foglio. Riscrisse la prima parte della lettera, ma cambiò il finale.

–sia uguale all'originale, né quante copie può produrre. Il capo mi è ancora inaccessibile, ma credo che i vostri sospetti siano fondati. L'Alias di fuoco deve essere il suo.

Appena scoprirò nuove informazioni le comunicherò immediatamente,

Umilmente,

Hawks

Poggiò la penna sulla cassa che gli faceva da tavolo e chiuse la boccetta d'inchiostro. Un raggio di sole illuminava l’interno della sua base, irrompendo senza filtri dal buco nel muro che dava sulla piazza. Le strade della città erano deserte, come era solito durante il giorno, ma Keigo rimaneva allerta. Era già successo che Toga comparisse nella base in piena mattina, apparentemente dal nulla, per passare del tempo con lui e raccontargli le sue serate. A Keigo non interessava quale malvivente la ragazzina avesse dissanguato, ma annuiva e sorrideva amichevole. Se lei l’aveva preso in simpatia, perché sprecare il vantaggio? Le visite a sorpresa rendevano, però, incredibilmente complesso e stressante comunicare i suoi progressi al re. Keigo aveva già preso la decisione di affidare la lettera a un amico, non poteva rischiare di essere seguito a palazzo o di affidare informazioni incriminanti a un messo, ma il problema principale era scriverla. Osservò l’inchiostro che si asciugava lentamente sulla carta e ripassò la storia che avrebbe raccontato a Dabi quella sera per giustificare il suo bisogno di recarsi al Nord.

+

Finalmente, dopo un mese passato tra criminali, Keigo avrebbe incontrato una faccia amica. Si inserì in una corrente ascensionale mentre una fastidiosa vocina nella sua testa gli ricordava che, per i suoi standard, anche Twice si poteva classificare come amico. Altra grande differenza tra la sua immagine pubblica e quella privata. Chi aveva anche solo sentito parlare di Hawks era certo che avesse innumerevoli amicizie -e amanti- sparse per tutti gli angoli del regno. Hawks faceva del suo meglio per alimentare quei pettegolezzi, perché lo facevano sembrare amichevole e con i piedi per terra e portavano i criminali a sottovalutarlo. Keigo, dal canto suo, poteva contare gli amici sulle dita d'una mano ed erano tutte persone con cui lavorava. Gli amanti, poi… l’idea di prender moglie non era esattamente di suo gusto, se così si può dire, e non si sentiva per niente a suo agio nel visitare bordelli - gli portavano alla memoria brutti ricordi di giovani venduti per essere usati, anche se per una buona causa.

Virò all’improvviso quando si ritrovò troppo vicino a un abete. Forse Dabi aveva ragione: lo avevano ipnotizzato. Ma non aveva importanza, finché avrebbe potuto aiutare il popolo Keigo avrebbe rinunciato al controllo e lasciato che Hawks facesse ciò che era necessario.

Arrivò nella città di Hosu nel tardo pomeriggio, dopo tre giorni di viaggio e quasi quattordici ore di volo. Era quasi certo che nessuno dell’Unione lo avrebbe seguito per un tragitto così lungo, ma era comunque meglio non essere troppo incauti. La ragione ufficiale della sua partenza era il compleanno di un amico che si sarebbe insospettito se non si fosse presentato. Era molto comodo, per Keigo, che l'amico in questione fosse uno dei più potenti Cavalieri del regno, perché l'ultima cosa che l'Unione voleva era che un altro Cavaliere si immischiasse nei loro affari.

Hosu era la seconda città per grandezza e importanza dopo la capitale. Sorgeva su un promontorio tra i laghi Gemelli -due grandi laghi collegati all'estremità settentrionale da uno stretto canale- e comunicava con i regni a Nord e Ovest attraverso i fiumi che vi sfociavano. Il regno, privo di accesso al mare, la utilizzava come principale scalo commerciale, perciò la città era sempre in fermento.

La piazza principale era affollata: il grande mercato mensile era alle porte e pareva che mezza città fosse uscita di casa per aiutare nei preparativi. Uomini e donne correvano affaccendati, portavano assi di legno, fiocchi, nastri, vettovaglie. Il centro città era colorato, rumoroso, frenetico e Keigo era finalmente a suo agio. Non amava le folle, attirava troppa attenzione, ma vedere tanta gente onesta lavorare insieme per creare qualcosa di bello gli rinfrancava lo spirito. Hosu era una città viva, pulsante e sicura. Keigo trillò allegro al pensiero del morbido letto in cui avrebbe dormito.

+

La residenza di Best Jeanist sarebbe stata facile da individuare anche se Keigo non avesse saputo la strada a memoria. Si trovava vicino al centro ma, invece che affacciarsi sull'affollata piazza, si faceva scudo degli alti edifici che la circondavano creando l'artificio di un ambiente raccolto. Best Jeanist era un amante della bellezza e dell'ordine e questo si rifletteva perfettamente nella sua dimora. Era una villa a tre piani, i superiori occupati da due simmetriche file di finestre ornate da davanzali di marmo finemente intagliato; l’entrata era protetta dalla strada da colonne affusolate che offrivano riparo dal sole e dalle intemperie.

All'impressionante portone di legno faceva guardia un ragazzo dall'espressione tempestosa e lisci capelli biondi. La sua coda color miele era rigida e ostile. Keigo non lo aveva mai visto, ma i Cavalieri prendevano frequentemente nuovi scudieri quindi non né fu sorpreso.

Anche in questo campo Hawks era l'eccezione, preferiva lavorare da solo perché pochi riuscivano a stargli dietro e francamente si considerava un pessimo insegnante. Però, aveva visto in prima persona cosa Tokoyami fosse in grado di fare, il suo era un Alias estremamente potente e instabile, e per qualche ragione si era trovato ad accoglierlo. Forse per la simile natura dei loro Alias, forse perché gli ricordava se stesso. Comunque, nell'ultimo anno, aveva finito per affezionarsi al serioso scudiero. Una debolezza, ma Keigo non era riuscito ad evitarlo.

"Che vuoi?" Sbottò il ragazzo a guardia della porta.

Keigo inclinò il capo al tono informale e rispose con un sorriso, "Devi esserti svegliato dalla parte sbagliata del letto. Perdonerò le tue brutte maniere—"

"Oi! Chi ti credi di essere!"

Keigo poteva giurare di aver sentito il ragazzo ringhiare e se il suo Alias era un canide non sarebbe stato tanto inusuale, "Ma come? Non mi riconosci!"

"Certo che ti conosco! Sei quell'uccellaccio." Il ragazzo incrociò le braccia al petto, fiero di aver mostrato la sua conoscenza e insultato Keigo allo stesso tempo.

"Eh, mi hanno detto di peggio," fece un gesto per scacciare l'insulto con la mano, "Come ti chiami?"

"Bakugou Katsuki." Rispose tra i denti.

"Uhm… è così che vuoi essere chiamato una volta Cavaliere?"

"Non sono affari tuoi!" Ora Keigo era sicuro che avesse ringhiato, "Dimmi cosa vuoi e vattene."

Keigo sorrise di nuovo, perché sembrava irritare il ragazzo, "Le due cose sono un po' in contrasto. Sono qui per vedere Best Jeanist, come credo tu possa immaginare."

Bakugou Katsuki assottigliò lo sguardo e aprì la porta, prima di urlare: "Vogliono il vecchio!" per il corridoio. Keigo lo seguì all'interno e notò distrattamente che un'altra guardia aveva preso il posto di Bakugou. Lo sfarzo dell'esterno impallidiva con l'arredamento interno. I pavimenti lucidi di marmo bianco e nero si congiungevano con le alti pareti affrescate, interrotte qui e là da caminetti alti quasi quanto Keigo. La mobilia era minimale, specialmente nei corridoi, Jeanist gli aveva spiegato che preferiva che gli affreschi parlassero da sé: aveva chiamato i migliori artisti del regno, aveva tutte le ragioni per sfoggiare il loro operato. Keigo ne rimaneva incantato ogni volta; notava sempre nuovi particolari, come se tra una visita e l’altra li aggiungessero per continuare a meravigliarlo. La casa di montagna di Keigo sembrava una bettola a confronto; effettivamente ogni casa, ad esclusione del palazzo reale, sembrava una bettola a confronto.

Bakugou lo condusse fino al cortile interno dove Best Jeanist allenava i suoi scudieri. Il clangore delle lame e le grida di incoraggiamento rimbalzavano lungo il corridoio che portava al giardino. All'esterno il sole garantiva una perfetta illuminazione e le alte pareti bloccavano l’aria autunnale che al Nord era particolarmente pungente. Il cortile era di forma quadrata, circondato da un portico e adornato da basse e curate siepi. Una volta erano presenti anche delle statue, ma dopo che un ragazzo ne aveva decapitata una, Jeanist le aveva rimosse.

Era chiaro che l’altro Cavaliere non si aspettasse la sua visita. Quando lo vide arrivare assunse una posa incuriosita - l’unico modo che Keigo aveva per capire cosa stesse pensando visto che il collo della giacca gli copriva interamente naso e bocca - e rimase imperterrito anche sotto lo sbraitare della guardia. Keigo si stampò in faccia un sorriso affabile e spalancò le braccia. “Jeanist! Da quanto tempo!”

Le sopracciglia dell’altro scomparvero sotto la sua curata acconciatura, “Hawks, che sorpresa. Non ti aspettavo.”

“Ah, ma come potevo perdermi il compleanno del miglior uomo che conosco!” Gli appoggiò una mano sulla spalla e mantenne il contatto visivo. Ovviamente non era il compleanno di Jeanist - Keigo non aveva idea di quando fosse - ma l’uomo aveva una mente veloce e attenta e Keigo contava che gli avrebbe retto il gioco. “Ho fatto i salti mortali per riuscire ad essere presente, mi merito almeno il posto d'onore al banchetto.”

Best Jeanist annuì, accettando la sua copertura, prima di sospirare, “Temo che non ci saranno banchetti quest’anno: devo partire alle prime luci dell’alba e non voglio essere spiegazzato.”

Spiegazzato . “Ti capisco. Peccato, però, ho fatto talmente tanta strada per arrivare in tempo. Non hai idea di che correnti ci sono al confine sud.”

“Non un’idea alcuna, no.” Lo guardò con disapprovazione e curiosità e Keigo si sentì quasi in dovere di scusarsi. Era chiaro che Jeanist non voleva essere tirato in mezzo a ciò che lo aveva portato a sud . “Purtroppo non ho la fortuna di poter volare. Comunque una cena informale può essere organizzata, lascia che-”

“Ehi vecchio!” Bakugou Katsuki lo interruppe, mostrando un’incredibile mancanza di rispetto per il suo mentore, “Quando cazzo pensavi di dire che è il tuo compleanno?”

“Modera il linguaggio,” rispose senza pensare, “Ho già spiegato che non avevo intenzione di festeggiare quest’anno. Annunciarvelo vi avrebbe solo distratto dal vostro allenamento,” disse a voce abbastanza alta da farsi sentire da tutti i suoi allievi. “Ora, Bakugou, perché non sei al tuo posto?”

“Ho lasciato Eijiro,” borbottò colpevole. Keigo era impressionato dalla maestria con cui Jeanist stava controllando quel ragazzo tanto esplosivo.

“Sai anche tu che non è il suo compito. Capisco che eri emozionato di incontrare Hawks-”

“Dei no!”

“Ma devi comunque mantenere la tua posizione. Ora vai.”

Bakugou gli lanciò un’occhiataccia, come se fosse colpa di Keigo, e poi se ne andò pestando i piedi.

“Adorabile.” Commentò sarcastico.

“Deve imparare a controllare meglio le sue emozioni e a parlare in modo più setoso.”

Setoso? Molte cose erano particolari rispetto a Best Jeanist, ma la più strana era di gran lunga la sua ossessione per la seta e i tessuti. Praticamente tutto quello che indossava e tutti gli arredi di casa erano di seta. Passione costosa, ma i soldi li aveva quindi perché non usarli.

“Ora, che ne diresti di rinfrescarti mentre finisco di supervisionare l’allenamento? Ci ricongiungeremo a cena, se sei d’accordo.”

Keigo sorrise, genuinamente questa volta, e accettò di buon grado. Un servitore lo accompagnò nelle sue stanze - all’ultimo piano, con ampie finestre affacciate sul cortile - e lo informò che l’acqua per il bagno sarebbe stata pronta tra pochi minuti. Scivolò nella vasca, facendo attenzione a non bagnare le ali, e cinguettò contento. Questo era ciò che un Cavaliere avrebbe dovuto fare: rilassarsi in bagni caldi che profumavano di lavanda con fin troppo tempo libero a disposizione. Non brindare con vino scadente in compagnia di assassini.

+

“Dove andrai domani?” Chiese Keigo mentre si riempiva la bocca di pollo arrosto. Le portate di quella “cena informale” sarebbero state sufficienti per sfamare tutti gli scudieri di Jeanist e le loro famiglie; Keigo non avrebbe permesso che andasse sprecato. Avrebbe finito tutto, anche a costo di star male: chissà quando gli sarebbe ricapitato un banchetto simile.

“Ri-accompagno alcuni dei miei allievi al campo d’addestramento UA; il periodo che dovevano passare con me è terminato. Devo ammettere che sarei felice se tornassero da me una volta ottenuto il titolo, hanno grande potenziale.”

Keigo annuì pensieroso, “Sai anche il mio scudiero è rimasto in città per allenarsi… Mi domandavo se dovessi lasciarlo alle loro cure.”

“Dipende da quanto tempo puoi dedicargli.”

Keigo prese una cucchiaiata di zuppa e alzò le spalle, “Non molto, purtroppo. Andrai solo al campo UA? O pensi di fermarti nella capitale?”

Jeanist addentò con eleganza un pezzo di patata arrosto, “Sarebbe scortese non rendere omaggio a Sua Maestà se sono nei paraggi, non trovi?”

Quindi Jeanist non aveva alcuna intenzione di andare a palazzo a meno che Keigo non avesse avuto bisogno che andasse. “Eh, credo sia meglio che tu faccia una visita, non vogliamo certo che si offenda.”

“No, sicuro. Molto poco soffice come comportamento.”

“Già… poco soffice.” Keigo nascose il sorriso nel calice di vino.

Continuarono a conversare in modo affabile - nulla d’importante venne detto - mentre finivano lentamente le otto portate da cui era composto il banchetto. Al termine della cena Keigo si alzò con fatica dalla sedia - aveva mangiato e bevuto troppo - e strinse Jeanist in uno scomodo abbraccio. “Tanti auguri, vecchio mio, e buon viaggio.” Fece scivolare la lettera per il re in una delle sue innumerevoli tasche.

Jeanist, al contrario di Keigo, mantenne la sua dignità, dandogli una leggera pacca sulla spalla e rassicurandolo con un cenno del capo. “Sei libero di soggiornare qui fino al mio ritorno.”

Keigo sorrise e lo salutò stupidamente con una mano. Ritornò nelle sue stanze, dopo aver sbagliato porta un paio di volte, e si buttò sul letto a baldacchino. Si abbandonò al sonno con un sorriso soddisfatto e lo stomaco pieno.

+

“Te la stai godendo proprio per essere una cosa che odi.”

Keigo si svegliò di soprassalto, tutti i sensi all’erta e le ali gonfie. Scrutò la stanza in cerca dell’intruso ma non vide nessuno. Che se lo fosse immaginato? Si alzò dal letto e controllò dietro alle pesanti tende delle finestre, nel guardaroba e nella stanza da bagno. Nessuno. Doveva aver bevuto più di quanto pensasse. Si sistemò di nuovo sotto le coperte e chiuse gli occhi.

“Sei in grado di vedere al buio?”

Keigo spalancò gli occhi ma rimase immobile. Quindi c’era qualcuno nella sua stanza; bene, non stava impazzendo. Ma anche, male, c’era qualcuno nella sua stanza. Le sue piume captarono un movimento alla sua sinistra, vicino alla finestra e dalla parte opposta rispetto a come Keigo era girato. L’intruso fece tre passi verso di lui.

“Dabi non ce l’aveva detto, immagino che non sappia tanto quanto vuole far credere."

Dabi? Un membro dell’Unione era lì? Keigo sospettava che qualcuno lo avrebbe seguito, ma sperava che il lungo viaggio avrebbe fatto desistere Toga. Questa persona, poi, suonava completamente diversa da Toga. La voce gli era familiare ma non aveva idea di dove l’avesse sentita.

L’uomo si avvicinò ancora e Keigo non esitò. Afferrò il pugnale che teneva sotto il cuscino e si buttò contro l’intruso. Lui gridò prima di essere inchiodato a terra dal peso di Keigo, la lama affilata del pugnale a un respiro dalla gola.

“Cosa ci fai qui?” Sibilò Keigo che finalmente l’aveva riconosciuto. Era il medico dell’Unione, quello che gli aveva curato la spalla, e il probabile possessore dell’Alias basilisco.

“Datti una calmata!” Urlò agitato il medico, cercando di spostare Keigo da sopra di lui. Keigo in risposta premette con più forza il pugnale.

“Perché sei nella mia stanza?” Chiese con quanta calma riuscisse a racimolare. Era furente. Finalmente poteva avere un paio di giorni per rilassarsi e non pensare e questa specie di lucertola doveva irrompere nella sua camera nel cuore della notte per fare commenti sarcastici? Keigo non l’avrebbe ucciso perché non era un assassino. Ma aveva il forte desiderio di dargli un pugno.

“Devo tenerti d’occhio! Non mi sembra che a Toga tu sia saltato addosso.” Si divincolò di nuovo e le scaglie ruvide del suo braccio ferirono la mano di Keigo. Lo lasciò andare. Si sedette sul letto, il pugnale ancora stretto tra le dita e un leggero pulsare alla spalla. Erano passate due settimane, ma ogni tanto la ferita riprendeva a far male. Specialmente se faceva movimenti bruschi.

“Al tempo ero ferito.”

“Ah, già, prego. Bel ringraziamento il tuo.” Il medico si alzò in piedi mentre si massaggiava la gola.

Keigo prese un respiro profondo. Doveva essere civile. “Giusto. Ti ringrazio…?"

"Spinner."

"Spinner. Non potevi aspettare il mattino per i tuoi ringraziamenti?"

Spinner tamburelló nervosamente gli artigli sulla gamba, "Ci sono troppi Cavalieri di giorno."

"Nessuno ti ha chiesto di venire." Keigo mantenne un tono neutro ma la sua espressione era chiaramente esasperata.

"Escluso Shigaraki." Rispose Spinner automaticamente, ma si rese subito conto del suo errore.

"Shigaraki?" Erano solo due i membri che ancora doveva conoscere, il capo e uno sfuggente ‘mago’ - almeno così lo chiamava Dabi. Secondo i loro accordi, Keigo avrebbe dovuto incontrare tutti i membri dell’Unione in cambio dell’uccisione di quei ladri, ma Dabi apparentemente non aveva grande influenza sul capo - Shigaraki? - e il ‘mago’ era fuori città. Keigo, inoltre, non era nella posizione per fare troppe richieste.

"Comunque, puoi vedere al buio?"

"Già.” Keigo gli permise di cambiare argomento, sicuro che non avrebbe ottenuto altro da Spinner. Dalla descrizione di Twice sembrava una persona alquanto raccolta e di poche parole. E poi c’era un'altra cosa che Keigo voleva sapere. “Anche tu mi sembra. Il tuo Alias… sei il serpente?"

"Ser— serpente?!” Esclamò Spinner indignato, “Sono un gecko!"

"Scusa, beh puoi capire la mia confusione.” Keigo alzò le mani e finse di ricordarsi improvvisamente di qualcosa. “Ah! Parlando di Alias… Tu sai qual è quello di Dabi?"

Spinner lo guardò scettico. "Perché ti interessa?"

"Me ne aveva parlato qualche tempo fa e mi chiedevo se lo sapeste anche voi." Alzò le spalle e mantenne un tono leggero e noncurante.

Spinner aprì la bocca un paio di volte, come un pesce, prima di decidersi a parlare, “Ma quindi voi… Si è veramente messo a… con un Cavaliere?"

Non era esattamente la reazione che si era aspettato da Spinner ma non ci guadagnava niente a negare una relazione di amicizia con Dabi. Anzi forse avrebbe potuto trarne vantaggio. Inclinò la testa e sorrise, "Ci sopportiamo."

Spinner fece una smorfia, "Sì, disgustoso, non voglio sapere altro." Si prese un momento per riflettere prima di continuare, "Nessuno sa qual è l'Alias di Dabi."

"Oh… quindi sono speciale."

"Ti ho detto che non volevo saperlo!"

Keigo rise a tanto disgusto per così poco e si costrinse a non pensare alle implicazioni dei commenti di Spinner. Perchè mai credeva che… Non è che Dabi…? No. Non doveva pensare. Osservò con attenzione l’uomo che ora stava camminando per la sua stanza ed esaminava i vari cassetti con disapprovazione. Aveva il corpo interamente coperto di scaglie - almeno quello che Keigo poteva vedere sotto tutte quelle camicie, bende e spade - caratteristica rara nella loro società. Gli Alias lasciavano solo alcune caratteristiche alla parte umana, abbastanza da essere vagamente riconoscibili ma non tanto da oscurare l'umanità. Ovviamente c’erano eccezioni in entrambi i sensi: chi quasi non aveva caratteristiche residue, come Twice, e chi ne aveva in sovrabbondanza, come Spinner.

Spinner urtò contro un vaso, mandandolo in mille pezzi sul pavimento. Keigo sospirò. "Perché sei qui Spinner?"

"Ti pedinavo."

"No, quello lo so. Perché sei nella mia camera da letto a notte fonda? Nel senso, so di essere attraente ma—"

"No! Che schifo.” Keigo dovette trattenersi dal ridere. Spinner continuò con più serietà, “Volevo farti delle domande. Sulle tue motivazioni."

"Capisco. Ti avverto che mi sono appena svegliato, potrei non dare il mio meglio."

"Le tue parole erano molto simili a quelle di Stain. Anche tu segui la sua ideologia?"

Eccolo: Stain, l'Elimina Cavalieri. Sapeva che prima o poi avrebbe dovuto dare la sua opinione su quella storia. Nelle leggende, Stain era uno degli antagonisti che il leggendario Cavaliere All Might doveva affrontare e l’unico che non veniva completamente sconfitto. Il personaggio di Stain voleva ripulire il mondo dalla corruzione e da quelli che chiamava ‘falsi Cavalieri’. Per realizzare il suo ideale però, uccideva i malcapitati, perciò All Might lo dovette affrontare. La loro battaglia era sempre descritta come un dibattito acceso più che uno scambio di pugni e, alla fine della ballata, All Might non sembrava il vero vincitore. L’ideologia di Stain è ancora condivisa da molti, perciò la sua storia è stata bandita in ogni angolo del regno.

Keigo non ci aveva mai dato troppo peso prima di questa missione e decise di rispondere nel modo più plausibile. "Sai, 'seguire' è una parola grossa. Condivido ciò che ha detto, perché il sistema dei Cavalieri è corrotto, ma non… non faccio tutto questo per lui. Lo faccio per me. Non ho mai avuto la possibilità di scegliere in che direzione portare la mia vita, quindi questo, devo farlo per me." Ti hanno ipnotizzato per bene, uccellino.

Dei, sta zitto!

"Anche tu per vendetta?" Spinner sembrava deluso, come se si aspettasse qualcosa di più da Keigo.

"Non ci stiamo vendicando un po' tutti? Che sia della società o di una persona… che differenza fa?" Keigo era stanco di essere giudicato anche da chi non ne aveva alcun diritto.

"Nessuna. Ecco perché ti abbiamo accettato tra di noi. Ero un po' scettico su di te, specialmente dopo averti visto con sto ricco bastardo, ma se mi dici che Dabi… e poi sembri sincero. Potrei fidarmi."

Keigo trattenne il fiato. Spinner, un uomo che aveva conosciuto solo quella sera, si fidava di lui? Di Keigo, la spia doppiogiochista che non aveva fatto altro che mentire? Che gli stava mentendo proprio in quel momento? Non era il primo membro dell’Unione che gli riponeva la sua fiducia: Twice l’aveva affermato entusiasticamente durante il loro secondo incontro. Ma la fiducia di Twice era ingenua e facile da ottenere. Spinner, invece? Spinner era un estraneo che si fidava di lui perché lo considerava parte del suo stesso gruppo. Lo considerava un compagno e per Keigo era incomprensibile.

Si concentrò sulla parte del discorso più semplice da spiegare, "Capisco il tuo scetticismo. Mi godo queste comodità perché che altro potrei fare? Dormire sul pavimento per protesta? Il letto rimarrebbe nella stanza e io mi sveglierei col mal di schiena."

"Sei più sopportabile quando non deliri dalla febbre."

"Grazie?"

Dopo di quello la loro conversazione finì presto, Keigo era stanco e aveva fin troppi pensieri che gli ronzavano per la testa e Spinner aveva voglia di sgranchirsi le gambe e dare un’occhiata in giro. Prima di addormentarsi Keigo si chiese come avrebbe potuto ricevere la risposta del re se Spinner gli era sempre alle calcagna.

+

La soluzione arrivò due settimane dopo, alla vigilia del ritorno di Jeanist. Una guardia lo aveva informato che Jeanist li avrebbe raggiunti quella sera e aveva commentato che si doveva festeggiare. Keigo chiese dove si trovassero le cantine e si procurò mezza dozzina di bottiglie.

Quella sera ne stappò una in camera e invitò Spinner - sempre nascosto nei paraggi sotto forma del suo Alias - a bere. Gli riempì il bicchiere e chiese seriamente, "Quindi tu… perché sei nell'Unione? Vuoi 'aggiustare la società' come Stain?"

Spinner era completamente immune al suo fascino - un duro colpo per l'ego di Keigo - quindi procedere in modo professionale era la linea migliore.

Spinner buttò giù metà del suo bicchiere e tamburellò un artiglio sul vetro. “All’inizio sì. I Cavalieri si arricchiscono alle spalle del popolo e poi non compiono neanche il loro dovere. Volevo eliminarli tutti. Così come loro hanno— Per Shigaraki è un po’ diverso. Lui vuole essere libero di fare ciò che gli pare e… beh a noi sta bene così. Un mondo senza Re e Cavalieri. La libertà di essere chi si vuol essere, no?”

“Sembra bello,” Keigo sorseggiò il vino e riempì di nuovo il bicchiere di Spinner. “E uccidere il Re può portare a un mondo più libero?”

Spinner bevve e rise, “Tranquillo, una coltellata al vecchio bastardo te la lasciamo dare.”

Keigo ridacchio anche se si sentiva vuoto, “Certo.”

+

Best Jeanist arrivò poco prima dell’alba e incontrò Keigo con esattamente il messaggio che si aspettava. Spinner dormiva, ubriaco, da ore e Keigo aveva già preparato le sue borse.

“Hawks, sei stato convocato a palazzo.”

+

Note

Spinner, a Hawks: Ma quindi tu e Dabi… Ceh voi… 🤏 🤌☝🤙

Mi diverto con molto poco. Su Bakugou (e Kirishima) stavo pensando di scrivere una OneShot, sempre in questo universo, potrebbe essere un’idea interessante? Fatemi sapere! :D

Commenti e recensioni mi fanno un sacco piacere, non siate timidi ;)

Al prossimo martedì,

Layel

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Capitolo 7
*** Nido di Spine ***


Nido di Spine

Aveva Sei anni.

L’aria era piena del canto delle cicale e il frusciare delle foglie. Il profumo del legno e dei fiori che costellavano i rami degli alberi si mischiava con quello della pioggia appena caduta producendo un aroma fresco e rilassante. Keigo guardava con occhi spalancati un cardellino che stava nidificando sullo stesso ramo su cui era seduto. Il bambino era immobile, quasi non respirava, per non spaventare l’uccellino. Il cardellino, però, era tranquillo: frullava le ali in cerca di rametti adatti al suo nido e ogni tanto guardava Keigo con curiosità. A un certo punto gli si avvicinò saltellando e cinguettò. Keigo cinguettò in risposta, vagamente imbarazzato da quel suono che non emetteva mai, e sorrise quando il cardellino si posò sul suo ginocchio.

A Keigo piaceva la foresta. Era un luogo calmo, silenzioso e dove poteva volare. Si divertiva a volteggiare tra i tronchi degli alberi e a fare a gara con le lepri che saltellavano nel sottobosco. Keigo poteva cinguettare, pigolare, poteva ridere, senza che qualcuno domandasse il silenzio. Nella foresta che circondava il suo paese Keigo poteva esistere.

In lontananza si udì il tintinnare di campanelli. Il cardellino gli scappò dal grembo quando Keigo si alzò in piedi. Era ora di rientrare a casa. Sfruttò l'altezza dell'albero e si lasciò cadere nell'aria profumata. Prese velocità con due potenti battiti di ali, preoccupato di tornare il prima possibile.

Quando fu in vista del villaggio Keigo rallentò per atterrare al confine del bosco. Ai suoi genitori non piaceva vederlo volare. Iniziò a correre per il sentiero fangoso, i sandali che quasi cadevano a pezzi dietro di lui, perché ai suoi genitori piaceva ancora meno che fosse in ritardo.

La famiglia di Keigo era povera. Non a causa di qualche crudele scherzo del fato o del destino immutabile di chi era nato dalla povertà. La famiglia di Keigo era povera perché nessuno dei componenti voleva che non lo fosse. Sua madre tesseva qualche capo per il macellaio del paese, ma la loro qualità era tanto infima che era ovvio che il macellaio fosse spinto più dalla pietà che dal bisogno. Suo padre era il figlio più giovane del conciatore - una famiglia di tutto rispetto e con molto denaro - che ne era diventato l’erede dopo la sfortunata morte del fratello maggiore. La sua sarebbe potuta essere una vita agiata e tranquilla. Invece mise incinta una lavandaia, sua madre, e le malelingue del paese li costrinsero a sposarsi. Il conciatore - che conosceva suo figlio meglio di chiunque altro - lo escluse dal testamento e lasciò la sua attività ai giovani apprendisti. Suo padre era furioso. Era bloccato in un matrimonio con una donna che non amava - e da cui non era amato - con un bambino da mantenere e nessuna idea su come fare soldi. Alla fine il modo lo trovò, un modo che non richiedeva troppe energie: derubare i viaggiatori che attraversavano il valico di montagna. Così dal rispettato figlio del conciatore diventò lo sporco ladro che tutti evitavano.

Suo padre era infelice. Anche sua madre era infelice. Keigo sapeva che se non fosse esistito, le vite di entrambi sarebbero state migliori.

Entró in casa e si sedette silenziosamente nell’angolo dell'unica camera che possedevano. Sua madre lavorava al telaio, l'espressione amara e distante. Non lo guardò neppure, non lo faceva mai, ma la sua bocca prese una piega disgustata, come se avesse sentito un cattivo odore. Keigo non si aspettava niente di diverso.

Suo padre tornò poco dopo, le tasche più vuote di quando era uscito e la puzza di alcool che gli impregnava i vestiti. "Inutile moccioso."

Un fremito di paura attraversò Keigo. Si costrinse ad alzarsi, lo sguardo fisso sul pavimento e le mani che gli tremavano.

"Dove sei stato?" Biascicava le parole e doveva reggersi al muro per non cadere.

"Fuori, signore." Rispose Keigo, in un sussurro appena udibile.

"E cosa facevi ‘fuori’?" Gli chiese canzonatorio, perché sapeva già la risposta.

“Niente.” Gli si spezzò la voce sull'ultima sillaba e corse il rischio di alzare gli occhi per giudicare la reazione di suo padre.

“Come immaginavo.” Sputò l'uomo mentre avanzava barcollando verso l'angolo dove il bambino era ancora rintanato. “Sempre a fare niente sei.” Afferrò Keigo per la maglia logora e lo sollevò di peso da terra. Il suo alito era caldo e puzzava e Keigo voleva piangere. "Dimmi, cosa sei nato a fare, se non servi a niente?"

Keigo chiuse gli occhi e non rispose. Pregò gli dei che lo lasciasse in pace. Suo padre gli diede un brusco strattone, come a tirargli fuori la risposta a forza e Keigo riaprì gli occhi. “Non lo so.”

“Certo che non lo sai,” lo scaraventò a terra, come un sacco di spazzatura. “Inutile e pure scemo.” Gli sputò sulla guancia e Keigo, contro ogni buon senso, fece una smorfia disgustata. Suo padre lo vide. “Non ti piace, eh, piccolo ingrato? Vediamo come ti piace questo.” Sollevò le gamba e Keigo trattenne il respiro.

Percepì il movimento d'aria, ma il colpo non arrivò. Si azzardò ad aprire gli occhi e vide l'espressione stupita di suo padre: l'aveva mancato. Lo stupore si tramutò in rabbia. Questa volta lo colpì. Ancora e ancora e ancora. Keigo si coprì la faccia con le mani, perché non voleva un altro occhio nero, e attese. Due lacrime si erano accumulate agli angoli dei suoi occhi; non c’era un muscolo del suo corpo che non dolesse. Dei vi prego fatelo smettere.

Dopo un'eternità, suo padre gli sputò di nuovo in faccia - questa volta Keigo non aveva le forze di mostrare alcuna emozione - e si buttò a dormire sul giaciglio che condividevano.

Sua madre gli tirò uno straccio. "Ripulisciti."

Il bambino si tirò a sedere a fatica e asciugò la saliva dalla guancia. Prima di dormire, come ogni sera, pregò gli dei di dargli finalmente pace.

+

La settimana seguente il paese era in fermento. Nella vicina cittadina di Fukuoka il re sarebbe venuto a far visita e tutti si stavano preparando per andarlo ad acclamare. Tutti, ma non Keigo. Sua madre e suo padre erano partiti per Fukuoka con l’intento di alleggerire quante più borse possibili e avevano rinchiuso Keigo in casa. Una pesante asse di legno chiudeva la porta dall’esterno e le finestre erano troppo piccole perché Keigo potesse passarci.

Trascorse tre giorni sdraiato a terra, reso indolente dalla noia e debole dalla fame e dalla sete. Sperava che i suoi genitori non tornassero. Sperava che finalmente lo avrebbero lasciato in pace. E gli dei, misericordiosi, esaudirono il suo desiderio.

Il quarto giorno il pesante tonfo dell’asse lo destò dal dormiveglia. Keigo si nascose nel suo angolo, tremante e affamato, mentre la porta si apriva. Entrò sua madre, il volto stralunato e il fiato corto. Gli occhi spalancati di lei caddero sul bambino e un bagnato singhiozzo la scosse da capo a piedi. Le lacrime iniziarono a scenderle sulle guance e la donna si accovacciò su di sé, gridando dal dolore.

Keigo la guardò con rabbia. Doveva smetterla. Se suo padre l’avesse vista piangere in quel modo se la sarebbe presa con entrambi. Doveva smetterla di urlare e piangere come se ne avesse il diritto. Anche Keigo voleva piangere, ma sapeva che non era permesso. Si avvicinò esitante a sua madre e le pose uno straccio sporco che forse un tempo era stato un fazzoletto. Lei non diede neanche segno di averlo visto. Keigo allora allungò la mano e le toccò i capelli biondi tanto simili ai suoi. “Pulitevi. Se mio padre vi—”

Una mano scheletrica gli afferrò il polso, stringendo tanto da far male. Sua madre alzò il capo e il suo sguardo gli fece paura. “Il bastardo—” tossì a lungo, ogni respiro un rantolo e Keigo la trovò disgustosa, “Il bastardo s’è fatto prendere.” Rise amaramente, “L’hanno preso, capisci? Moriremo di fame!” E rise sguaiatamente mentre ancora stritolava il polso di Keigo e lui, per la prima volta, ebbe paura di sua madre.

“Chi l’ha preso?” Per Keigo era inconcepibile che qualcuno potesse sconfiggere suo padre.

Sua madre si asciugò la saliva che le era colata sul mento mentre tossiva e sputò a terra, “Niente di meno che Sua Altezza.”

Il re in persona aveva arrestato suo padre? Un semplice ladro? Keigo non capiva, “Come?”

“Dei se sei stupido.” Disse con disgusto sua madre, lasciandogli il polso. “Quel bastardo ha ammazzato un ricco. Per sbaglio, dice lui. Il re l’ha preso subito. E noi due siamo morti.” Si lasciò cadere sul pavimento e non disse più una parola. Keigo sentì un’ondata di amore così forte per il loro sovrano che lo lasciò senza fiato. Il re lo aveva liberato. Lo aveva salvato. Grazie, dei, per aver accolto la mia preghiera.

Sua madre era ancora sul pavimento e Keigo provò a fare domande, ma venne accolto solo da occhi spenti e rassegnati. La porta era aperta. Keigo guardò sua madre riversa a terra e poi uscì di casa.

Tornò che la giornata era quasi giunta al termine con un piccolo sacchetto di verdure quasi marce e i pochi resti di carne che il macellaio gli aveva dato. Accese il fuoco sotto al tegame e iniziò a preparare la solita zuppa che aveva visto fare a sua madre mille volte. Con i soldi che aveva preso a quei viaggiatori era riuscito a comprarsi anche un tortino alle more che aveva divorato appena l’aveva avuto tra le mani. Sua madre si sarebbe accontentata della zuppa. Quando le mise la ciotola davanti lei si tirò su leggermente, vide il cibo e iniziò lentamente a mangiare. “Dove hai preso i soldi?”

“Rubati,” rispose semplicemente Keigo mentre mangiava avidamente. Era da quattro giorni che non metteva niente nello stomaco.

Sua madre fece un verso di scherno, “Buon sangue non mente.”

Keigo si ritrovò a odiarla come mai prima. Lui non era suo padre. Keigo era diverso, Keigo era migliore, aveva appena aiutato sua madre, aveva… aveva derubato dei poveri viaggiatori. Lo aveva fatto per sopravvivere. Sentì le lacrime bruciargli dietro le palpebre. Lui non era suo padre.

+

Aveva Sette anni.

Odiava rubare, ma continuava a farlo. Ormai sua madre non prendeva più quelle poche commissioni che le richiedevano, quindi Keigo doveva rimanere appostato tutto il giorno al passo di montagna per aspettare ignari viaggiatori. Per fortuna, Keigo era veloce, abile e aveva le mani piccole. Riusciva a prendere abbastanza da farli sopravvivere.

Keigo era seduto sul ramo di un albero, le ali ripiegate con cura dietro di sé e giocherellava con una foglia gialla che gli era caduta in grembo. Tra poco sarebbe iniziato l’inverno e non avrebbe più avuto la copertura delle chiome degli alberi. L’inverno era sicuramente il periodo peggiore: le dita, il naso e le orecchie diventavano insensibili a causa del freddo, le sue ali si riempivano di brina e nei casi peggiori, ghiaccio, e i viaggiatori che tentavano di superare il valico erano rari e lontani nel tempo. In inverno, Keigo cacciava. Prendeva piccoli animali: scoiattoli, topi, uccelli. Cacciare era faticoso, dava poco da mangiare e a Keigo disgustava uccidere. Ma sarebbero morti di fame. Sopravvivenza del più forte, giusto?

Keigo era seduto sul ramo di un albero e guardava una comitiva che lentamente risaliva la salita. Aprì le ali e si preparò a saltare. Vide la comitiva e si dovette fermare. Due uomini a cavallo erano in testa e aprivano la strada a un terzo cavallo che trasportava una giovane legata e imbavagliata. La giovane era incosciente, accasciata sulla sella, e Keigo poteva vedere chiaramente i lividi su braccia e gambe. Indossava la tonaca bianca tipica dei religiosi. La comitiva era chiusa da un ultimo uomo, che doveva controllare che la prigioniera non fuggisse. A Keigo si bloccò il fiato in gola. Doveva aiutarla. Aveva un piccolo e vecchio pugnale in tasca, rubato anche quello, e sapeva quali punti colpire per uccidere qualcuno.

Quando ci ripensava, Keigo non riusciva a ricordare cosa fosse successo. Sapeva solo di essersi diretto a casa, portando a fatica il cavallo della ragazza, con le braccia e il viso grondanti di sangue. Si lasciava tre cadaveri dietro di sé.

Ricordava il viso orripilato di sua madre e come si era opposta a portare la ragazza in casa loro. Keigo si era limitato a guardarla, le guance sporche di sangue non suo. Sua madre non era riuscita a reggere il suo sguardo. Aveva chinato il capo e gli aveva lasciato fare ciò che credeva. Keigo aveva liberato la ragazza e l’aveva adagiata con attenzione sul loro giaciglio.

Quando la ragazza si svegliò era spaventata e disorientata. Vide questo bambino con le ali rosse ricoperto di sangue che le tendeva un pezzo di pane raffermo e pensò di essere alla presenza di una divinità. “Cosa—” la sua voce era rauca dal disuso, “Cosa è successo?”

Keigo non aveva mai conosciuto un adulto dalla voce tanto gentile. “Siete al sicuro ora.”

“Chi siete?”

“Io—” Keigo aveva un nome, quello che sua madre gli aveva dato, e aveva un cognome, quello che suo padre gli aveva dato, ma non voleva che la ragazza conoscesse nessuno dei due. Odiava il suo cognome e il suo nome sembrava troppo insignificante per qualcuno di tanto bello. Si ricordò del suo Alias, un falco sparverius dal dorso rosso, e gli venne un’idea. “Sono Hawks. Voi?”

La ragazza gli sorrise, un sorrise tanto dolce che Keigo si ritrovò a sorridere a sua volta. “Ah, capisco: un aspirante Cavaliere. Lo sono anch’io, sapete?”

Un Cavaliere? Keigo ebbe l’improvviso terrore che stesse per arrestarlo, “Io non volevo… stavo solo cercando di aiutarvi! Non volevo…”

“È tutto a posto.” Gli posò delicatamente una mano sul viso mentre si metteva a sedere, “Avete corso un grave rischio per me e ve ne sono grata. Io sono Tsutsumi Kaina e servo al tempio di Fukuoka. Voi avete un grande potenziale.”

Keigo spalancò la bocca, voleva dire alla ragazza che si sbagliava, che lui non aveva assolutamente niente; era stupito, inutile, un fardello. Ma la sua espressione era così speranzosa e la sua mano tanto gentile che Keigo non volle deluderla. Prima che potesse anche solo fare un cenno d’assenso venne strappato dalle calde mani della ragazza e stretto nelle gelide grinfie di sua madre.

“Il moccioso resta con me.” Gli conficcò le unghie nella spalla e Keigo sussultò appena. Nel tono di sua madre non c’era affetto: lui le serviva solo per trovare da mangiare. Lui apparteneva a lei come un cavallo a uno stalliere con l’unica differenza che era lo stalliere a prendersi cura delle sue bestie e non il contrario.

Tsutsumi annuì lentamente e, seppur sorridendo, Keigo notò il disgusto con cui guardava sua madre. Tutti in paese guardavano Keigo allo stesso modo, ma non Tsutsumi. Lui per lei era qualcosa di bellissimo. Keigo non riusciva a capacitarsene.

Tsutsumi Kaina passò lì la notte e ripartì per Fukuoka il mattino seguente. Keigo non pensava di aver mai provato tanta tristezza nel perdere qualcuno. Fino all’ultimo era stato tentato di andare con lei, di sgattaiolare via e viaggiare verso terre lontane con la ragazza. Però, si ricordò di sua madre e di come sarebbe morta se non fosse stato con lei. Keigo rimase. Dei, vi prego, fate che possa rivederla.

+

Cinque giorni dopo, per la sorpresa e la felicità di Keigo, la ragazza tornò. Non era sola però: quattro uomini con le tonache dei sacerdoti viaggiavano con lei e per un terribile momento Keigo pensò che volessero arrestarlo. Ma non fu quello che avvenne.

Si presentarono e chiesero cortesemente di poter parlare con sua madre. Keigo li fece accomodare, apprensivo, e si lasciò trascinare nel bosco da Tsutsumi. Lei gli raccontò leggende di Cavalieri sorridenti e senza paura, di scontri epici, di gloria, onore, ricchezze. Keigo pendeva dalle sue labbra. Non si era mai concesso di immaginare qualcosa di più, qualcosa di migliore e ora non voleva più smettere.

“...ed è obbligo di ogni Cavaliere servire e onorare il Re e la famiglia Reale.”

Keigo si illuminò, “Il Re?” Eccolo, l’uomo che Keigo ammirava sopra ogni altro. Era quasi una divinità per lui. “I Cavalieri incontrano il Re?”

Tsutsumi sorrise, quel sorriso che a Keigo piaceva tanto, “Ma certo. Durante la cerimonia di investitura e anche in seguito, quando li convoca a palazzo.”

“Allora,” disse Keigo, risoluto, “Voglio diventare un Cavaliere e incontrare il Re!” Si rabbuiò, pensando a sua madre e al modo in cui vivevano, “Scusate, che cosa stupida da dire.”

“Non l’ho trovato per niente sciocco, Hawks. Scoprirete che il vostro sogno è più realizzabile di quanto crediate." Appena la frase lasciò le sue labbra, due sacerdoti si avvicinarono a loro, osservando Keigo compiaciuti.

“Caro giovane, siamo giunti ad un accordo con tua madre, partirai con noi oggi stesso per ottenere un’istruzione e un allenamento degni di un futuro Cavaliere.”

Keigo non riusciva a credere a quello che stava sentendo. Senza che nessuno potesse fermarlo, volò velocemente in casa e trovò sua madre china sul pavimento. Davanti a lei aveva una pila di dracme. Gli occhi di Keigo luccicarono alla vista di tanto denaro. “Come avete fatto?”

Sua madre si accorse solo allora che lui era in casa, gli sorrise zuccherosa e Keigo lo trovò orribile, “Quei bei signori,” e indicò i sacerdoti che aspettavano sulla soglia, “mi hanno promesso venti dracme per ogni mese che sarai via. Un bell’affare non trovi?”

Gli girava la testa. Queste persone erano disposte a pagare tanto per lui? Ma lui non valeva così tanto. Era un ladro, un assassino, figlio di un ladro e assassino. Cosa aveva fatto per meritarsi il denaro di queste persone?

“Hawks,” un sacerdote gli posò delicatamente una mano sulla spalla, “Non volevamo che lo sapessi in questo modo, ma non c’è più ragione di nasconderlo. Tua madre vivrà una vita confortevole e sicura se tu verrai con noi a Fukuoka. Ti faremo diventare un Cavaliere.”

Keigo non trovò nulla da obbiettare. Questi sconosciuti gli stavano offrendo tutto ciò che aveva sempre voluto, lo stavano salvando solo perché erano di buon cuore, e Keigo accettò entusiasta.

Non guardò sua madre prima di andarsene, non le disse addio. L’ultima immagine che ebbe di lei fu questa donna scheletrica vestita di stracci che guardava delle monete con tutto l’amore con cui non aveva mai guardato Keigo.

+

Aveva Dieci anni.

La luce del sole si rifletteva sulla vasca d’acqua cristallina che si trovava al centro del tempio. Keigo dovette ripararsi gli occhi con una mano per poter continuare a leggere il manoscritto. I suoi tutori, i Sacerdoti del tempio, gli insegnavano tutte le materie fondamentali per diventare un cavaliere. Oltre a leggere e scrivere, sapeva far di conto, conosceva la storia, ricordava le leggi e studiava la letteratura. Le sue lezioni si svolgevano in un luogo separato rispetto a quelle degli altri bambini: loro si trovavano al di fuori del tempio dove un Sacerdote gli insegnava conoscenze base mentre Keigo era all’interno e ad un livello estremamente avanzato rispetto ai suoi coetanei.

La vita al tempio era dura. Si svegliava al sorgere del sole per aiutare a pulire e riordinare il tempio, passava la mattina concentrato sullo studio e il pomeriggio si allenava in vari tipi di combattimento; la sera - dal tramonto al sorgere della luna - si dedicava alla preghiera e all'irrobustimento del carattere. Keigo non aveva giornate di pausa, non poteva parlare con nessuno al di fuori del tempio, doveva essere rispettoso e obbediente. Era dura, ma Keigo non sarebbe tornato indietro per niente al mondo.

Una bacchetta di legno schioccò sul ripiano di marmo su cui Keigo stava scrivendo, a pochi centimetri dalle sua dita. Keigo chinò il capo, “Domando scusa, ero distratto.”

“Hawks, i Cavalieri non hanno tempo per distrazioni. Credevo fossi motivato a raggiungere il tuo obiettivo.” Il Sacerdote fece un gesto con la bacchetta e Keigo allungò le mani.

“Lo sono,” disse convinto. Si interruppe quando la bacchetta gli cadde sulle nocche. Strinse i denti. “D’ora in poi mi impegnerò di più.”

E così fece. Mise tutte le sue forze nell’essere l’alunno modello. Non mancava mai la consegna di un compito, non mostrava mai svogliatezza durante l’allenamento, non era mai irrispettoso verso gli dei, non si lamentava mai. Anche se la buia camera in cui dormiva gli faceva venire gli incubi. Anche se gli dolevano tutti gli arti dopo un allenamento più intenso del solito. Anche se rimaneva sveglio tutta la notte per completare i compiti. Keigo ce la metteva tutta per diventare un Cavaliere.

E per Tsutsumi.

“Hawks?” Un sussurro familiare scivolò sotto la porta della sua camera.

“Sono sveglio.” Rispose Keigo con lo stesso tono di voce.

Una mano candida aprì la porta e Tsutsumi entrò reggendo una candela mezza mangiata dalle fiamme. “Ho trovato solo questa.” Disse con tono di scusa.

Keigo le sorrise, “Andrà benissimo. Sei sempre così gentile, Tsutsumi.”

Lei lo guardò sovrappensiero prima di arruffargli i capelli, “Te lo meriti, uccellino. Con tutto il lavoro che fai è solo giusto che tu possa dormire sereno.”

“Puoi restare, Tsutsumi?” Keigo ormai glielo chiedeva ogni notte. Conosceva la risposta, ma si portava continuamente a sperare in qualcosa di diverso. Per Tsutsumi provava un’adorazione pari a quella per il Re e un amore ancora più grande. L’amore puro che un bambino prova nei confronti della sorella maggiore, che nonostante tutto, lo fa sempre sentire al sicuro.

“Non sta sera, uccellino.” E gli dava un bacio sulla fronte, prima di lasciarlo solo.

+

Aveva Tredici anni.

Era inginocchiato nella vasca ottagonale situata nel centro del tempio, otto sacerdoti vestiti di bianco erano disposti ad ogni angolo e bruciavano mazzolini di achillea. Aveva gli occhi chiusi e inspirava il fumo a pieni polmoni. Indossava l’armatura completa - meno l’elmo - e il rosso dello stemma del drago creava riflessi rosati sulle bianche colonne. Gli facevano male le ginocchia e l’acqua era fredda. L’emissario del re iniziò il discorso. Per quanto provasse Keigo non riusciva a prestare attenzione: la sua mente tornava continuamente a lei.

“Hawks, sugli dei onnipotenti, giurate di prendere ordine dal Re e soltanto dal Re durante lo svolgimento del vostro incarico?”

“Lo giuro.”

“Giurate di difendere il regno e tutti i suoi abitanti da ogni minaccia che il Re riterrà tale?”

“Lo giuro.”

“Giurate di dare la vita per il regno e tutti i suoi abitanti?”

“Lo giuro.”

“Giurate di servire fino alla morte o alla privazione del vostro titolo?”

“Lo giuro.”

“E infine, siete pronto a morire per il Re qualora fosse necessario?”

“Lo g— Sì. Lo sono.”

“Hawks, della città di Fukuoka,” l’emissario poggiò la punta della lama sulla fronte di Keigo, “Vi nomino Cavaliere del Re da oggi fino alla fine del nostro regno.” Sollevò la spada e la tese a Keigo per l’elsa.

Lui la prese con la mano che gli tremava leggermente, baciò l’elsa, e si alzò in piedi. I Sacerdoti iniziarono ad applaudire e a congratularsi, ma tutto quello che Keigo poteva sentire era una voce che gli diceva tra i singhiozzi: “Non posso più sopportarlo. Io non so più chi sono, Hawks. Devi ascoltarmi. Vattene! Scappa finché sei in tempo.”

Keigo era rimasto ed ora era un Cavaliere. Non era stato il re ad investirlo del titolo, ma questi erano tempi difficili e Keigo capiva. Il regno aveva bisogno di lui. E ora anche Keigo poteva fare la sua parte. Avrebbe combattuto e mostrato al re tutta la sua forza e il suo valore.

Il giorno dopo Keigo partì con l’emissario e gli uomini di Fukuoka per il campo di battaglia. Lui non disse addio a nessuno: l’unica persona a cui teneva l’aveva abbandonato.

+

Aveva Quindici anni.

Hawks, non solo era sopravvissuto alla guerra, ma era diventato un vero e proprio eroe. Non c’era persona nel regno che non conoscesse il suo nome o non avesse sentito parlare delle sue ali. Hawks era acclamato e osannato in ogni città in cui entrava, riceveva doni, offerte, aiuti. Tutti lo amavano.

Eppure Keigo si sentiva vuoto. Hawks era perfetto, allegro al punto giusto, sempre gentile, un poco irriverente e mai infelice. Keigo era rintanato in un lontano angolo della sua coscienza, bendato e imbavagliato, nascosto a tutti e soprattutto a se stesso. Hawks aveva fatto delle cose orribili - per il bene di tutti, si ripeteva - e Keigo era rimasto a guardare. Hawks era amato, ma Keigo era solo. Hawks era sicuro di sé, mentre Keigo era confuso, perché nonostante tutti gli insegnamenti ricevuti, non era sicuro di aver fatto la cosa giusta.

Aveva visto il Re sul campo di battaglia e il Re lo aveva scacciato come un moscerino fastidioso. Ma questo era perché Hawks si era comportato come Keigo avrebbe fatto, o così almeno si diceva.

Tornò a Fukuoka tra gli applausi e le lodi dei suoi concittadini che attribuivano a lui una vittoria per cui i loro cari erano morti. Keigo arrivò al tempio e i Sacerdoti lo accolsero con preoccupazione, più che orgoglio. Non erano mai orgogliosi. Gli espressero il loro turbamento e gli ordinarono una missione. Keigo si rifiutò immediatamente.

“Non è questo il momento di essere egoisti, Hawks. Le permetterai di uccidere altri innocenti solo per una flebile amicizia giovanile?”

E visto che ancora si mostrava reticente: “Questo è un ordine ufficiale del Re. È tuo dovere eseguirlo.”

Quindi Hawks legò un urlante Keigo negli anfratti del suo io e accettò l’incarico.

+

Hawks la uccise nel sonno. Sapeva che se l’avesse sentita parlare tutte le catene con cui aveva legato Keigo sarebbero state inutili. Sarebbe crollato, domandando il perdono tra le lacrime e i singhiozzi, perché se lei poteva perdonarlo allora forse ci sarebbe riuscito anche lui. Hawks le strinse la mano che si raffreddava velocemente e si addormentò con lei tra le sue braccia.

+

Aveva Ventitré anni.

Vide in lontananza le torri del castello. Stava per avere un colloquio privato con il Re dopo quasi quindici anni di attesa. E gli avrebbe mentito per proteggere un criminale. Keigo si preparò ad atterrare su un balcone e, distrattamente, si chiese come fosse possibile che tutte le persone che amava fossero assassini.

+

Note

Devo ammettere che non ricordavo che questo capitolo fosse così triste, ma ehm sono cose che capitano lol Hawks ha un posticino speciale nel mio cuore. Spero vi sia piaciuto!

Al prossimo martedì,

Layel

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Capitolo 8
*** Il Mio Idolo ***


Il Mio Idolo

!!Con questo capitolo il rating è cambiato ad arancione. C’è una scena leggermente esplicita verso la fine del capitolo, se preferite saltarla è compresa tra i segni “-+-”!!

Le torri del castello svettavano sulla città come imponenti guardiani di pietra. Rivestite di lastre di marmo rosso riflettevano la luce del sole e davano l’impressione di essere le scaglie cangianti di un grande drago di fuoco. Il castello era circondato da una sola cinta di mura ed era chiaro fosse stato costruito più per ostentare il potere della famiglia reale che per scopi difensivi. Non era mai successo che dei nemici esterni penetrassero tanto a fondo nel regno da arrivare alla capitale; e nessuna ribellione iniziata nel regno dei Todoroki era andata a buon fine; il drago dei regnanti non aveva mai ceduto.

Questa era la seconda volta che Keigo entrava a palazzo e già era stufo del cerimoniale di corte. Prima di sorvolare la città aveva assunto la forma del suo Alias per attirare meno attenzione, poi aveva avuto la brillante idea di entrare da una finestra. Avrebbe saltato le domande al cancello, i convenevoli con gli aristocratici nei corridoi e le ore di attesa nel vestibolo; Keigo era consapevole di star passando davanti a i poveri contadini che dovevano esporre le proprie rimostranze al re, ma era di fretta. Voleva evitare che qualcuno dell’Unione riuscisse – in qualche modo – a trovarlo prima di aver conferito con il re.

Atterrò su un balcone nell’ala est del palazzo. La porta a vetri che dava sull’esterno era aperta, le tende bianche catturate dalla brezza svolazzavano leggermente. I suoni di una discussione si fecero strada all’esterno e Keigo tese l’orecchio. Forse sarebbe stato più sicuro andarsene subito, ma ciò che stava sentendo lo incuriosiva.

“Natsu, ascoltami!” Disse esasperata una donna. “Ti sto chiedendo solo un altro po' di tempo!”

“Un anno, Yumi! Un anno! E cosa credi che cambierà?” Un uomo le rispose con lo stesso tono, ma con più rabbia nella voce.

Natsu e Yumi. Che fossero…? Aveva avuto proprio la fortuna di capitare nelle stanze dei principi?

“Shouto avrà l'età giusta per salire al trono e…”

“E? Il vecchio bastardo sarà ancora lì. A meno che tu non abbia intenzione di farlo fuori—”

“Shhhh, Natsu!”

“—non vedo come possa cambiare le cose.”

Questi erano sicuramente il principe Natsuo e la principessa Fuyumi Todoroki. Tutti nel regno sapevano che il rapporto tra il re e il figlio più giovane, Shouto, era tutt'altro che idilliaco, ma Keigo non aveva idea che l’animosità si estendesse anche al resto della famiglia. Il principe aveva addirittura menzionato l’omicidio del re.

“Se te ne vai anche tu la mamma non lo sopporterá.” Fuyumi era rassegnata, triste.

La regina era l’erede di una potente stirpe di draghi di ghiaccio e la sua bellezza era cantata in ogni angolo del regno. Dopo la nascita del principe Natsuo la salute della regina era peggiorata e ad oggi non usciva mai dal palazzo, né si mostrava al popolo. A Keigo la famiglia reale era sempre apparsa come un sogno bellissimo e faceva fatica ad associare il dolore che sentiva nelle loro voci con l’immagine perfetta che aveva in testa.

“Dici ‘anche tu’ come se Touya avesse deciso di andarsene.” Sputò Natsuo con amarezza. Touya? Il primogenito del re? Keigo ne aveva sentito parlare di sfuggita - perché il re non apprezzava che venisse nominato - e sapeva solo che il principe era morto in tenera età.

“Parlavo di Shouto!”

“Ma certo, parli sempre di Shouto!” Le gambe di una sedia graffiarono il pavimento, “Sai anch'io ho sogni, desideri, non c'è da essere il figlio perfetto per volere una vita felice!”

“Credi che io non li abbia?! Che voglia rimanere al capezzale di nostra madre per sempre?” Fuyumi suonava stanca, non era la prima volta che avevano questa discussione.

“Nessuno ti obbliga a farlo.” Se Natsuo avesse potuto, avrebbe congelato l’intera stanza solo con la voce.

“Il dovere mi obbliga.” Fuyumi, grazie alle caratteristiche del suo Alias era invulnerabile al freddo, letterale e metaforico. “Lasciare la mamma e Shouto e il nostro popolo al loro destino? La gente è infelice, Natsu.”

“Lo so bene.” Anche Keigo lo sapeva: nei vari villaggi visitati per conto dell'Unione il malcontento verso il sovrano era palese. Il re aveva in programma un’altra guerra d’espansione e le tasse erano più alte che mai. Specialmente nei paesi recentemente conquistati tirava aria di rivolta e la leva militare non avrebbe alleggerito gli animi. “Finché il vecchio è al potere non possiamo farci niente.”

“Andarsene non migliorerebbe la situazione!”

“Io e Nozomi vogliamo sposarci, Yumi. Non posso farlo con Enji tra i piedi, Nozomi non è abbastanza ‘nobile’ per i suoi standard. Ma ci sposeremo. Andremo in un altro regno se necessario.” Keigo non aveva aveva mai sentito il nome ‘Nozomi’ prima d’ora, non sapeva neanche che il principe fosse fidanzato. Aveva fatto un buon lavoro nel mantenerlo segreto.

“Natsu, io… io voglio che tu sia felice. Ma,” Fuyumi prese un sospiro tremante, “non posso tenergli testa da sola. Ora che Shouto è al campo UA io non so… non riesco…”

“Ehi, ehi, vieni qui. Posso… posso ritardare fino alla fine dell'anno. So che vuoi fare del bene, Yumi.” Disse con un sorriso, “In questi mesi troveremo una soluzione.”

Keigo era pronto a volare via ma in quell’esatto istante una folata di vento spalancò la porta. I principi si voltarono verso di lui, sorpresi. Keigo sorrise e abbozzò un inchino. “Non volevo intromettermi, Vostre Maestà, cercavo solo una scorciatoia per conferire con vostro padre.”

Natsuo lo guardò con sospetto, mentre Fuyumi si asciugava discretamente le lacrime. “Entrate pure, Cavaliere.” Disse lei con un sorriso, “Le nostre porte erano troppo piccole per contenere la vostra fretta?”

“Perdonatemi, ora vedo quanto sciocca fosse la mia idea,” si inchinò di nuovo mentre osservava la stanza. Era un salotto dall’ampio soffitto finemente decorato; ciò che stupiva Keigo era la totale assenza di rosso. Lo stemma dei Todoroki non era presente né nell’arredamento né negli abiti dei principi. Predominava il bianco e l’azzurro che – dalle lezioni sull’aristocrazia che Keigo aveva sostenuto da bambino – riconosceva come i colori della regina.

“Non è quello che ha detto.” Lo riprese Natsuo, lasciandolo senza una risposta appropriata da dare. “Quanto avete sentito?”

“Sono appena arrivato, Vostra Maestà.”

Natsuo assottigliò lo sguardo: non gli credeva ma non poteva provare il contrario. Fuyumi appoggiò una mano sul braccio del fratello e lo guardò con disapprovazione, “Forza Natsu, non essere così ostile con il nostro ospite. Hawks, vi accompagnerò da mio padre così avrete la certezza di essere ricevuto immediatamente.”

“Non dovete scomodarvi—”

“Insisto. Abbiate la gentilezza di accompagnarmi.” Il tono di Fuyumi era gentile, ma non avrebbe accettato un rifiuto. Keigo avrebbe dovuto trovarsi un lavoro in cui era meno pericoloso dire di no alle persone. Chinò il capo e le offrì il braccio. Prima che uscissero dalle stanze Fuyumi e il fratello ebbero una silenziosa conversazione di sguardi. Keigo non aveva abbastanza esperienza sui fratelli per capire cosa significassero.

"L'ultima volta che vi ho visto a palazzo è stato durante la festa in vostro onore, anche se voi probabilmente non mi avrete notata." La principessa iniziò la conversazione in tono leggero e Keigo le fu grato: era bravo a parlare del più e del meno.

"Devo essermi perso nei festeggiamenti per non aver notato una dama della vostra bellezza." Forse aveva esagerato. Sperava di ricevere solo uno schiaffo e non una condanna per pubblica indecenza.

Fuyumi non fece nessuna delle due cose. Rise in modo delizioso e arrossì leggermente, "Smettetela. Eravate molto concentrato su mio fratello, a quanto ricordo."

"Il principe è stato estremamente cortese. Abbiamo avuto una piacevole conversazione: sinceramente un giovane dall’intelletto acuto.”

Fuyumi si fermò nel mezzo del corridoio e lo guardò pensosa. Keigo inclinò il capo, “Qualche problema, Vostra Maestà?”

“Vi stancate mai di interpretare questo ruolo?”

Cosa? “Maestà non credo di capire—”

“Non insultate l’intelligenza di entrambi, Hawks.” Sollevò il capo, tracciando con gli occhi le linee dell’affresco che decorava il soffitto, “Anch’io recito una parte. Tutti noi lo facciamo, dobbiamo farlo. Ma voi… voi avete scelto questa vita. Non lo capisco.”

“Ogni Cavaliere sceglie di servire la corona.”

“Esatto. Ma ora ci siete qui voi, Hawks. Assecondatemi per un momento. Perché avete scelto di diventare Cavaliere? Di dare la vita per mio padre?”

“Lo ammiro. Mi ha salvato da… dalla mia famiglia. Ho il dovere di ripagarlo.” Keigo non né aveva mai parlato con nessuno, neanche con i Sacerdoti, ma l’istinto gli diceva di potersi fidare della principessa. Che lei avrebbe capito.

“Vi ha liberato da una gabbia e voi vi siete chiuso in un'altra? Vedete è proprio questo che non capisco.”

La testa di Keigo scattò di lato e i suoi occhi ambrati incontrarono quelli di lei. Quante volte aveva ripetuto all’Unione che voleva essere libero? Era una copertura convincente, ma lui era felice nel suo ruolo perché poteva aiutare le persone. Questo almeno si ripeteva da un mese a quella parte, e ora la principessa, che lo conosceva appena, aveva superato tutte le bugie che diceva a sé stesso e esposto la verità.

Ma era la verità?

“Credete che i Cavalieri non debbano esistere?”

“So che il sistema può essere migliore. Con mio nonno quella di Cavaliere era una carica onorevole istituita con il solo scopo di proteggere la corona. Ma mio padre… Lui è sempre stato affamato di fama."

"Altezza, quale risposta vi aspettate da me?" Questo era territorio pericoloso. La principessa poteva permettersi di criticare suo padre ma Keigo no. Allo stesso tempo non era saggio contraddire un reale e Fuyumi sperava nella sua comprensione.

Fuyumi lo guardò intensamente, come se stesse cercando di leggergli nel pensiero, "Una onesta."

Keigo si stupì quando scoprì di potergliela dare. "Il sistema potrebbe essere migliore.”

La principessa annuì e riprese a camminare. Lo condusse per lunghi e ampi corridoi, sorridendo ai membri della corte che incontravano durante il loro cammino. Il silenzio era più straziante dell'interrogatorio di Fuyumi, ma Keigo si trovava a corto di parole. Stava ancora riflettendo su ciò che si erano detti e su quello che aveva sentito nelle stanze del principe Natsuo.

La sala del trono si trovava nell’ala centrale del palazzo, perciò Keigo fu sorpreso quando si accorse che Fuyumi si stava dirigendo a ovest. Non era familiare con il palazzo reale, ma era quasi certo che in quest’ala vi fossero gli alloggi privati dei sovrani. Fuyumi si fermò davanti a una porta decorata con draghi intagliati e fece un cenno alla guardie che, senza fare domande, la aprirono. "Qui è dove ci lasciamo. Confido nella vostra discrezione, Cavaliere."

Keigo fece il consono inchino, “E io nella vostra, Maestà.”

Una delle guardie lo accompagnò all’interno. Lo studio era ben illuminato da due ampie finestre davanti alle quali era posta un’elegante scrivania. Il re stava leggendo una pergamena con concentrazione. Era un uomo dalle spalle larghe, la corporatura massiccia e l’espressione severa. Avrebbe potuto facilmente uccidere Keigo a mani nude. Le scaglie rosse sul lato sinistro del suo volto erano solcate da un profondo graffio. La ferita era vecchia di anni, ma Keigo non ricordava di averla vista sul campo di battaglia.

“Il Cavaliere Hawks.” Lo annunciò la guardia prima di chiudere la porta e tornare alla sua postazione. Keigo alzò il mento e gonfiò le ali. Questa sarebbe stata la prima vera impressione che il re si sarebbe fatto di lui. Prese un profondo respiro senza farsi notare; lo studio sapeva di vecchi libri e inchiostro.

Il re non diede segno di averlo visto. I reali solitamente facevano attendere i loro sudditi per mostrare la propria superiorità rispetto ai tempi dei comuni mortali. A Keigo venne in mente Dabi e il suo essere perennemente in ritardo ai loro incontri. Il pensiero lo fece sorridere, Dabi era la persona più lontana dalla famiglia reale alla quale potesse pensare.

“La situazione vi diverte, Hawks?” Keigo smise di sorridere all’istante. Il re non lo aveva ancora guardato, ma riusciva comunque a metterlo in soggezione.

“Affatto, Vostra Altezza.” Si inchinò profondamente. “È un onore per me incontrarvi. Pensate, sogno questo momento da quando—”

“Ho ricevuto la vostra lettera. Spero che di persona possiate offrirmi un resoconto meno scarno.” Finalmente alzò gli occhi e la sensazione di deja-vu fu tanto forte che Keigo dovette prendere un momento per ricomporsi. Che gli ricordasse tanto il principe Shouto? Eppure…

“Certo, sire. Sono giunto a Kamino circa due mesi fa e ho stabilito immediatamente un contatto con l'Unione dei Villains. Gradualmente ho guadagnato la sua fiducia e dopo due settimane circa mi ha presentato al resto dei membri. Per ora—”

“Chi è il vostro contatto?”

Keigo esitò per un solo istante, ma il re lo notò ugualmente. “Un criminale dall’Alias sconosciuto, neanche i suoi compagni sanno quale sia. Si fa chiamare con un nome fasullo come molti dei suoi compagni.”

“Non mostra alcun segno fisico del suo Alias?” Il re era scettico, anche Keigo lo sarebbe stato al suo posto.

Scosse la testa, “È possibile che li abbia rimossi.”

Il re considerò quest’opzione, prima di prendere una boccetta d’inchiostro per prendere appunti sulla pergamena che stava leggendo. “Continuate.”

“Certo. Per ora il capo mi è inaccessibile, ma ho acquisito abbastanza informazioni sugli altri per escludere l’opzione che siano l’Alias di fuoco. Due sono sufficientemente innocui: Alias di piccole dimensioni e con pochi utilizzi in combattimento. Un altro, un uomo di nome Twice, è in grado di replicare qualunque Alias—”

“Qualunque?”

“Esatto, Vostra Maestà. Vi è inoltre un serpente molto simile a un basilisco, ma non ho abbastanza informazioni per determinare la sua pericolosità.”

“Resoconto alquanto lacunoso.”

“Vi chiedo umilmente scusa. Farò meglio.”

Il re si prese del tempo per pensare. Finì di prendere annotazioni sulla pergamena, si alzò, prese un libro dalla libreria e iniziò a sfogliarlo. Keigo seguì ogni suo movimento con crescente nervosismo. Odiava quel silenzio e che il re fosse scontento di lui. “Cosa porterebbe il loro capo ad uscire allo scoperto?”

“Un’emergenza credo. Probabilmente se un altro membro fosse in pericolo o—”

“Perfetto, ecco il modo.”

Keigo aggrottò le sopracciglia. “Il modo, sire?” Sperava che la sua intuizione fosse errata.

“Uccidetene uno e l’Alias di fuoco si farà vivo.” Lo disse come se stesse parlando del tempo e Keigo si odiò perché qualche mese fa avrebbe eseguito senza porre domande.

“Uccidere…? E chi… come—”

Il re chiuse il libro con un tonfo sordo. “Vi darò istruzioni più precise, visto che vi è tanto difficile da comprendere. Uccidete un membro dell’Unione, quel Twice che mi avete nominato, e quando l’Alias di fuoco si farà vivo voglio che lo portiate da me.”

Twice. Perché proprio… Twice gli aveva salvato la vita. “Vostra Maestà, con tutto rispetto, ma perché proprio Twice?”

“Avete una ragione particolare per tenerlo in vita?”

“No, io non—”

“Perfetto. Allora procedete.”

No. No no no. “Sire, Twice non ha—”

“Cosa, Hawks? Colpe?” Il re lo sfidò a contraddirlo anche se sapeva di aver vinto in partenza. Hawks aveva giurato obbedienza. “È un criminale che sta mettendo a rischio la sicurezza del mio regno. Perché volete salvargli la vita? A voi non riserverebbe la stessa cortesia.”

Sbagliato, sbagliato, sbagliato. “Siete sicuro che questa sia la strategia migliore?”

“Mettete in discussione il mio giudizio?” Il tono del re era pericoloso.

Cazzo. “No, Sire.”

“Bene. Eseguite gli ordini e portate a termine la missione.”

“Certamente,” si inchinò profondamente, “con permesso, Sire.”

“Accordato.”

Keigo uscì dallo studio del re con la testa che doleva e l’impellente bisogno di una distrazione.

+

La distrazione la trovò in un’elegante via della città. Era tardo pomeriggio quando lasciò il palazzo e il suo vagabondare per la città aveva fatto giungere la sera. Si trovava davanti a un alto edificio in pietra bianca con piccole rose rosse intagliate nel legno della porta. Keigo sapeva cosa simboleggiavano, il simbolo era uguale in ogni parte del regno: un bordello. Uno anche abbastanza rinomato dalla clientela che ne usciva e entrava. Keigo aveva bisogni di smettere di pensare. Perché… se non avesse detto il nome di Twice al re, se non avesse cercato di proteggere Dabi, se avesse rifiutato con più decisione, se, se, se. Inspirò profondamente l’aria pregna di una cacofonia di profumi ed entrò.

Non era così che si era immaginato un bordello. Si trovava in un salotto elegante, dove distinti signori conversavano tranquillamente in compagnia di giovani estremamente attraenti e poco vestiti.

“Alcuni sono alla ricerca solo di buona compagnia,” una ragazza dai capelli biondi gli spiegò con un sorriso. Keigo non l’aveva notata e sobbalzò appena nel sentire la sua voce. “Cosa possiamo fare per voi, Cavaliere? Cercate qualcosa di particolare?”

“Uhm…” Avrebbe dovuto ponderare maggiormente questa decisione. Era estremamente in imbarazzo e non sapeva cosa la ragazza si aspettasse da lui. Quale risposta avrebbe dato Hawks?

La ragazza gli sorrise comprensiva, “Partiamo dalle basi, preferite una compagnia maschile o femminile?”

“Cosa?”

“Nessuno vi giudicherà qui, siamo pagati per mantenere il silenzio.”

Giusto. Certo. Respira, Keigo, hai vinto la guerra per gli dei! “... maschile. E c’è qualcuno di moro?” Non sapeva se era una cosa normale da chiedere, ma ormai lo aveva fatto. Perché lo avesse fatto era un’altra domanda della quale non conosceva la risposta.

“Certamente. Troverò il meglio per voi.” La ragazza scomparve e tornò con un ragazzo dei capelli corvini, leggermente più basso di Keigo e bellissimo.

“Sono Ryusei, mi prenderò cura di voi per questa sera.” Keigo si trovò a ricambiare il sorriso.

Lo seguì fino ad una stanza scarsamente illuminata con un solo, grande letto come arredamento. Ryusei si distese sulle coperte, la sua pelle candida risaltava sulle lenzuola scure come la luna nel cielo. E Keigo capì il perché della sua richiesta: che completo imbecille. Ryusei gli sorrise mentre slacciava lentamente la tunica che aveva addosso e Keigo pensò che lui sarebbe stato più difficile. Si tolse la giacca e la camicia con impeto, non doveva pensare.

-+-

Le lenzuola erano soffici sotto le sue mani e il ragazzo era bellissimo. I suoi occhi scuri lo guardavano con desiderio - o una buona replica - ma avrebbero dovuto essere più chiari. Smettila.

"Niente baci," sussurrò Keigo, perché quello era un livello di intimità che non era disposto a raggiungere, e il ragazzo annuì con un dolce sorriso. Keigo non era sicuro di volere dolce. Le mani del ragazzo gli accarezzarono delicatamente la schiena, evitando con cura le ali, e Keigo avrebbe voluto che tirasse, graffiasse, marchiasse. Perché lui non sarebbe stato delicato. Per concentrarsi su qualcos'altro prese in mano il ragazzo e lo accarezzò distrattamente. I suoi gemiti erano dolci e delicati e Keigo non poteva farcela.

-+-

Si alzò dal letto e iniziò a rimettersi la camicia.

"Qualcosa non va? Se io non vi piaccio posso chiamare uno degli altri—"

"Tranquillo, non sei tu il problema. Credo di essere ubriaco," Era una bugia, ma sarebbe diventata molto presto realtà. Entrare nel bordello era stato un errore, chiedere un ragazzo moro era stato un errore anche maggiore. Dei, Dabi mi sta rovinando la vita. "Ti pago comunque tutta la notte. No— Non ringraziarmi."

Keigo lasció la borsa con il denaro ai piedi del letto prima di uscire dalla stanza, lasciandosi dietro un perplesso ma felice Ryusei.

La notte era ancora giovane, e Keigo aveva tutta l’intenzione di bere fino a dimenticarsi il suo nome. Trovò una taverna poco lontano e fece buon uso dei soldi che la corona gli dava per fare il loro lavoro sporco.

+

Note

Un sacco di nuovi personaggi in questo capitolo e tutti Todoroki! (Tranne Ryusei che appare in questo capitolo e poi mai più, rip).

Finalmente è stato introdotto Endeavor, e ha affidato a Hawks un compito non facile, che ve ne pare?

Al prossimo martedì,

Layel

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Capitolo 9
*** Pulcini ***


Pulcini

Quando Keigo si svegliò la stanza era completamente buia. Non ricordava con precisione dove fosse, sapeva però di aver bevuto e di starne pagando le conseguenze. Una saetta di dolore gli partì dalla testa quando un altro avventore sbatté una porta. Le sue ali erano piegate in una posizione tanto scomoda quanto dolorosa e impiegò i dieci minuti successivi a cercare di sistemarle senza vomitarsi addosso.

Riuscì, grazie a un qualche miracolo, a trovare entrambi gli stivali e a infilarli nei piedi corretti. Uscì in un corridoio stretto e poco illuminato, con una mezza dozzina di porte identiche alla sua che si intervallavano sulle pareti. Quando scese le scale, queste protestarono rumorosamente e la spia in Keigo volle evitare le assi che scricchiolavano; il Keigo sbronzo, invece, si impegnò a scendere senza inciampare nei suoi piedi. Una volta arrivato al bancone chiese all'oste un bicchiere d'acqua e poi ne chiese altri due. Stava pian piano ricominciando a sentirsi un essere umano.

E più la sbornia passava più ricordava quello che era successo il giorno precedente: le domande della principessa Fuyumi; il colloquio con il re; l’ordine; la spaventosa realizzazione che questa volta non avrebbe potuto eseguirlo. Perchè, da due mesi a quella parte, Hawks era finito in secondo piano e Keigo non era pronto a rinunciare al controllo.

Ma il re lo aveva salvato. Gli doveva obbedienza. I criminali devono essere eliminati per il bene di tutti. Eppure…

Si alzò. Rimanere in quella taverna non gli avrebbe dato nessuna risposta e alcuni degli avventori iniziavano a lanciargli sguardi sospettosi. Dannate ali.

La strada era larga e affollata, piena di rumori e profumi che peggioravano il suo mal di testa. Keigo si tenne a distanza dalla sporcizia che occupava il centro e camminò rasente alle mura degli edifici. Le gente gli cedeva il passo, additando le ali e mormorando il nome. Se solo avessero saputo quanto sangue macchiava le mani del loro eroe. La nausea tornò e dovette appoggiarsi alla parete di una casa.

"Vi sentite bene, signore?"

Keigo alzò lo sguardo e si trovò davanti una riccioluta testa di capelli verdi e un sorriso abbagliante. Questo ragazzo… gli ricordava qualcuno ma non riusciva a capire chi. Che lo avesse incontrato alla corte del re? Annuì e si allontanò dal muro. "Non preoccuparti. Piuttosto, lavori a palazzo?"

“No, signore. Voi… voi siete Hawks, vero?” Chiese il ragazzo con gli occhi brillanti di emozione. Perfetto, un altro ammiratore.

“A quanto pare.” Sperò che il suo sorriso non risultasse forzato. “Qual è il tuo nome?”

"Midoriya Izuku. Oh! Forse il vostro apprendista vi ha parlato di me! Cioè, non sto dicendo che ci sia molto da dire, sono una persona abbastanza ordinaria, non che sia una brutta cosa—"

"Non lo è per niente.”È un privilegio che pochi possono permettersi. Keigo interruppe le parole ansiose di Midoriya Izuku e gli posò una mano sulla spalla per condurlo via dalla strada principale. Si era stancato delle occhiate insistenti dei passanti. "Conosci Tokoyami?"

Midoriya annuì deciso, "Frequentiamo lo stesso campo di addestramento."

“Sei al campo UA?" Non aveva notato alcun segno di Alias, il che non era impossibile ma sicuramente raro.

“Esatto! Il modo in cui sono entrato è un po’ complicato… Ma Tokoyami è fortissimo! Ha un Alias estremamente potente e con così tanti utilizzi! Certo, il suo controllo è ancora un po’ instabile, ma con un po’ di allenamento e l’aiuto del nostro insegnante—”

“Midoriya?” Keigo lo interruppe di nuovo, aveva la sensazione che se lasciato andare il ragazzo avrebbe parlato per giorni. “Puoi portarmi da lui?”

"Certamente!"

“E, per curiosità, chi è il vostro insegnante?"

“Il Cavaliere Eraserhead!”

“Oh dei.”

+

Arrivarono in un ampio spiazzo verde circondato da alti abeti. La loro ombra copriva le cascine di legno che ospitavano gli aspiranti Cavalieri. Il campo UA era il più grande e ben organizzato campo di addestramento per Cavalieri del regno: chi riusciva a superare le prove di ammissione quasi certamente avrebbe ottenuto il titolo. La leggenda narrava che fosse stato il mitico All Might ad esserne il fondatore.

Keigo si era sempre tenuto alla larga: non aveva mai avuto interesse nelle nuove generazioni e gli insegnanti del campo non lo vedevano di buon occhio. Tra tutti, chi meno sopportava Hawks era proprio Eraserhead.

“Maestro!” Gridò Midoriya appena entrarono nel campo visivo dell’insegnante. “Ecco le funi per la festa della prossima settimana. Mentre ero in città ho incontrato—”

“Hawks.” Eraserhead lo fulminò con lo sguardo. Aveva un aspetto trasandato, come se non avesse dormito da giorni, ma Keigo non lo avrebbe sottovalutato; Eraserhead era forte, pericoloso e testardo. “Cosa ci fai nel mio campo.”

“Eraserhead! Anche per me è un piacere rivederti. Sono qui per vedere il mio apprendista.” Keigo lo salutò con un ampio sorriso e l’abbozzo di un inchino. Ereaserhead non ricambiò nessuno dei due.

“No.”

Il sorriso scomparve dal viso di Keigo. “Eraser, parlerò con Tokoyami con o senza il tuo permesso. Non c'è motivo di litigare.”

L’uomo incrociò le braccia, “Perché vuoi vederlo?”

“Innanzitutto è il mio apprendista—”

“Ma davvero?”

“ —secondo devo riferirgli che non potrò più continuare ad essere il suo maestro.”

L’affermazione colse Eraserhead alla sprovvista: lo squadrò per diversi secondi con la fronte aggrottata.

“Soddisfatto?”

“Per niente. Spero che i tuoi motivi siano seri e non un altro dei tuoi capricci.”

Keigo sospirò, si aspettava una risposta simile. “Ho il miglior interesse di Tokoyami in mente.”

“Il ragazzo non lo accetterà.” Sospirò, “Midoriya, accompagnalo sulla montagna.”

Midoriya annuì con vigore. Keigo si era dimenticato che il ragazzo era ancora lì. Si chiese cosa pensasse di lui: un Cavaliere che abbandona il proprio scudiero senza una ragione apparente.

“Grazie Eraser.” Fece per andarsene ma la voce di Eraserhead lo trattenne.

“Hawks. Il ragazzo ha fiducia in te.”

Keigo annuì e lo salutò con un gesto.

Forse è l'unico.

+

"Da questa parte!" Midoriya Izuku si incamminò nella foresta, per un sentiero che conosceva a memoria.

Proseguirono in silenzio e ciò non aiutò a sciogliere la matassa di pensieri nella mente di Keigo. Doveva distrarsi in qualche modo. "Allora Midoriya, qual è il tuo Alias?"

"Oh! Non ne ho uno!"

Keigo era sorpreso, “E sei riuscito ad entrare al campo? Complimenti!”

Midoriya gli fece un sorriso accecante, “Grazie, signore!”

“Non darmi del ‘signore’, se proprio chiamami ‘maestro’.”

Il ragazzo si inchinò tanto da toccare terra con la fronte. “Chiedo profondamente scusa, sign— maestro!”

Keigo rise come non rideva da mesi. “Tu si che sei un ragazzo sveglio. Manca molto?”

"Ah! No, è proprio dietro quella sporgenza," rispose indicando la parete rocciosa che si trovava davanti a loro. "Dovremmo già sentirli…" sussurrò tra sé e sé.

Quasi a dargli ragione un urlo acuto echeggiò tra gli alberi. Subito dopo si sentì un forte gracchiare e delle voci concitate. Keigo sorrise, quei suoni gli erano familiari.

"Tokoyami!" esclamò appena entrò in vista della caverna. Un corvo grande quanto un cavallo gli volò incontro, rimpicciolendosi man mano che si avvicinava. "Hai fatto amicizia!" Keigo diede una pacca sulla spalla dell'ormai umano Tokoyami e salutò i tre ragazzi che lo guardavano stupiti.

O almeno, due lo guardavano stupiti mentre il terzo aveva la stessa espressione curiosa che Keigo aveva visto quasi due mesi prima sulla terrazza del palazzo. "Vostra Altezza," disse inchinandosi.

Il Principe Ereditario inclinó la testa di lato e guardò Midoriya che annuì incoraggiante. "Qui sono solo Todoroki," disse infine.

"Certo, Todoroki," rispose Keigo. Non aveva mai visto il Principe mostrare segni di insicurezza o cercare il supporto di qualcun altro. Si ricordò improvvisamente che aveva appena quindici anni.

"Maestro, cosa vi porta qui?" Tokoyami lo guardava in attesa, con ancora più piume che capelli. Keigo lo avrebbe preso in giro se fosse stato un qualsiasi altro giorno.

"Sono qui per vedere il mio allievo preferito!” Keigo gli mise un braccio attorno alle spalle e non si stupì quando Tokoyami lo scacciò via.

“Sono il vostro unico allievo.” Rispose monotono, ma il suo sguardo era comprensivo.

“È per questo che mi piaci Tokoyami! Pensi di riuscire a trovare un po’ di tempo per me tra gli allenamenti?”

“Abbiamo terminato, sei libero di andare Tokoyami.” Fu il principe a rispondere e a Keigo venne immediatamente un dubbio. Poteva essere una carta utile da giocare in seguito: non che avrebbe mai ricattato un reale, ma le garanzie non sono mai troppe. Specialmente ora.

"Todoroki, non sapevo voleste diventare un Cavaliere."

"Infatti non dovevate saperlo."

"Scusami, Todoroki!" Midoriya si passò una mano tra i capelli, "Non credevo ci fossi anche tu con Tokoyami."

"Le sue fiamme mi aiutano a controllarmi," si intromise Tokoyami. Keigo annuì, era effettivamente una soluzione efficace: l'Alias di Tokoyami era incredibilmente potente al buio, ma anche molto difficile da tenere a bada. La luce era l’unica cosa che poteva calmarlo e una delle teste del drago del principe sputava fuoco.

"Non dovete temere Todoroki, il vostro segreto è al sicuro con me.” Keigo mantenne il tono leggero, ma il principe capì ugualmente. “Mi scuso per dovervi lasciare così presto, ma il dovere chiama. Tokoyami." Fece un inchino al principe e salutò i ragazzi con un gesto della mano.

"Hawks, un momento."

Keigo represse un sospiro frustrato. Doveva parlare con Tokoyami prima che perdesse la convinzione: più tempo passava con il suo allievo e meno voleva lasciarlo andare. "Vostra Altezza?"

"Vi sarei grato se vi fermaste nella mia cabina prima di lasciare il campo. Grazie. Ah, ed è Todoroki." Al termine della frase il principe sollevò un angolo della bocca e guardò Midoriya, che rispose con due pollici alzati. Keigo non capiva cosa ci fosse di divertente.

"Non è assolutamente un disturbo, Todoroki. Sarò lì prima di pomeriggio."

Prima di iniziare a camminare si assicurò che nessuno avesse altri compiti da assegnargli, prese Tokoyami sotto braccio e si inoltrò nel bosco. Seguí il suono di un ruscello finché non trovò il rivolo d'acqua. Non aveva idea di dove fosse, ma non era importante. Voleva solo mettere quanta più terra possibile tra loro e il principe.

Si sedette sulla riva, l'erba era umida sotto le sue dita e l'aria sapeva di fresco. Tokoyami stese il suo mantello a terra e si posizionò vicino a lui.

"Cosa vi turba?" chiese il giovane apprendista.

"Certo che oggi è una bella giornata, eh Tokoyami?" Keigo indicó il cielo, evitando lo sguardo preoccupato del suo allievo.

"Si tratta dell'incarico che il re vi ha affidato?"

Un profondo sospiro lasciò il petto di Keigo e la mano gli ricadde in grembo. "Non riuscirò più ad essere il tuo insegnante." Ammise a fatica.

"Suppongo non possiate darmi un'ulteriore spiegazione." Disse Tokoyami, non triste né rassegnato, ma con la seria calma con cui affrontava le sfide particolarmente difficili. Keigo si chiese quando si era meritato tutta quella comprensione.

"Mi dispiace."

Tokoyami scosse la testa, "Il vostro lavoro è indispensabile per mantenere l'equilibrio tra luce e oscurità. Non scusatevi quando state facendo la cosa giusta."

Un pugnale si conficcò tra le costole di Keigo, il senso di colpa risalì la sua cassa toracica fino alla trachea e strinse. Sorrise con difficoltà e conficcò gli artigli nel terreno fangoso.

"Hawks?"

Scattò in piedi, "É meglio che vada a vedere cosa vuole il Principe, non vorrei certo far aspettare Sua Maestà." Allargò le ali, ma Tokoyami lo trattenne per un braccio.

"Prendetevi cura di voi."

"Anche tu, caro. E prendi a calci 'solo Todoroki' da parte mia nel prossimo scontro, intesi?" detto questo spiccò il volo, determinato a trovare le cabine il prima possibile e a finire il colloquio ancora prima.

+

La cabina di Shouto Todoroki non fu difficile da individuare. Era la più grande nel campo, con gli stemmi grigi e bianchi della regina alle finestre e Midoriya che ci saltellava davanti.

"Hawks! Siete arrivato!" Il sorriso di Midoriya era contagioso e Keigo si ritrovò ad imitarlo.

"Il principe è dentro? O è ancora 'solo Todoroki'?"

"Vi aspetta nel soggiorno! E credo che per ora sia meglio chiamarlo 'Vostra Altezza'." Midoriya si accigliò, iniziando a fare congetture su cosa prevedesse il galateo di corte in una situazione simile. Hawks lo lasciò parlare e salì i gradini del portico.

L'interno era interamente in legno, illuminato dal sole che filtrava tra le finestre, un buon profumo di erbe aromatiche nell'aria. Il soggiorno era la seconda porta sulla destra. Due divanetti erano sistemati davanti al caminetto, spento, e su uno di essi sedeva il principe ereditario. La sua postura era impeccabile mentre leggeva attentamente una lettera. Piuma e calamaio erano posati sul tavolino, con un piccolo pezzo di cera e una candela a completare il quadro.

Keigo si schiarí la gola, "Vostra Maestà."

"Hawks," disse senza distogliere lo sguardo dalla lettera, "Accomodatevi."

Keigo si sistemò sull'altro divanetto e aspettò che Todoroki posasse la lettera. "Ieri avete incontrato mio padre."

"Sí, Vostra Altezza." Non aveva senso mentire, specialmente perché aveva una mezza idea di chi avesse rivelato al principe quell'informazione.

"Come vi è sembrato?"

"Domando scusa?"

Todoroki lo fissò, nessuna emozione visibile sul suo volto. Keigo stava quasi per rispondere quando l'altro distolse lo sguardo e continuò.

"Siete riuscito ad entrare in contatto con l'Alias di fuoco?" Alzò lo sguardo dalla lettera e aggiunse, "Ovviamente nulla di questa conversazione uscirà da qui."

Keigo, che non aveva molte opzioni e non si sentiva per niente rassicurato rispose con un breve, "Non ancora, Altezza."

"Ma è questione di tempo."

Keigo annuí lentamente.

"Quando succederà ho bisogno che gli consegnate questa lettera." Mentre parlava Todoroki aveva iniziato a sciogliere il blocchetto di cera bianca sulla carta. Quando la considerò sufficiente vi premette sopra l'anello che aveva al dito. Il simbolo con tre diamanti della regina sigillò la lettera.

"Mi state chiedendo di tradire la corona."

"Vi sto chiedendo di consegnare una lettera. Le implicazioni morali sono vostre da decidere."

Keigo guardò il braccio teso del Principe. Allungò lentamente la mano e si rigirò la lettera tra le dita.

"Se accetto di consegnarla dovrete dirmi il motivo di quest'ossessione per l'Alias di fuoco." disse Keigo. Poteva capire perché il re volesse trovare il capo di un gruppo di rivoltosi, ma il principe Todoroki? Non avrebbe compiuto tradimento, perché di quello si trattava, senza una buona ragione.

"Non avete il diritto di darmi ordini." Rispose secco il principe.

Keigo gettò la lettera sul tavolo, "Allora vi auguro buona fortuna, Maestà." Si alzò dal divanetto, ma il sospiro seccato di Todoroki lo trattenne dall'uscire dalla porta.

"Sedetevi, Hawks. La vostra richiesta è giusta, vi chiedo scusa. Tenete a mente che un numero molto ristretto conosce i fatti che sto per raccontarvi. Escluso mio padre, sono tutte persone di cui mi fido ciecamente: se la voce si diffonde, saprò chi incolpare."

Keigo riprese posto di fronte al principe e mantenne il suo sguardo. Un segreto in più non lo spaventava. Dubitava che fosse peggio di quello che il re gli aveva chiesto di fare. Deglutí per ricacciare l'amaro in fondo alla gola.

"Come penso sappiate, il matrimonio dei miei genitori era puramente di interesse. Nell'interesse di mio padre, per essere precisi. Vedete, lui aveva l'obiettivo di creare il successore con l'Alias più potente nella storia della famiglia Todoroki. Tanto potente da superare in fama anche gli eroi delle leggende: per questo sposò mia madre, che possedeva l'Alias opposto ma complementare al suo. E, come spero abbiate capito, io sono il suo magnum opus, la combinazione perfetta di ghiaccio e fuoco. Prima di me ci sono stati quelli che lui chiama 'fallimenti': i miei fratelli. Il più grande era un drago con una potenza di fuoco addirittura superiore a quella di mio padre, ma con il difetto di assomigliare troppo a nostra madre; la sua costituzione era quella di un drago di ghiaccio e non poteva sopportare le temperature a cui arrivava il suo fiato. Nessuno nella famiglia sa di preciso cosa sia successo, ma un incendio scoppiò nelle camere di mio fratello e metà del castello venne distrutta. Mio fratello è scomparso da allora."

"Credete che sia l'Alias di fuoco?" Dabi. No, impossibile. Impossibile.

Todoroki lo guardò compiaciuto e annuí. "Esatto. Crediamo che sia a capo dell'Unione dei Villains."

"Come fate ad averne la certezza?"

"É per questo che vorrei gli recapitaste il mio messaggio."

Keigo riprese la lettera. L'unica cosa che la distingueva era lo stemma della Regina, nessun riferimento al destinatario. "Non penserete che il re…" Era un sovrano severo e temuto, ma Keigo non riusciva a concepire che avesse fatto volontariamente del male a suo figlio. E che stesse ancora cercando di farlo. Quella del principe era una disperata teoria, forse un modo per venire a patti con la morte del proprio fratello.

"Non lo considero al di sopra di lui, specialmente dopo ciò che vi ha chiesto di fare. Ora, spero accettiate."

Keigo ebbe un momento di panico. Il principe lo sapeva. Lo avrebbero arrestato. Il processo lo avrebbe trovato colpevole e se fosse stato fortunato sarebbe caduto dalle mura con una corda intorno al collo. Fece un respiro profondo. Sii razionale. Il principe lo sapeva da quella mattina e non aveva mostrato alcuna intenzione di farlo arrestare. O impiccare. Inoltre Todoroki aveva bisogno di Keigo.

"La consegnerò. Non prometto una risposta, quello è matto."

“Matto? Perciò lo avete incontrato.”

Merda.

“Maestà—”

“Mio padre non lo saprà. Hawks, giochiamo dalla stessa parte.”

“Certo, Altezza.” Ma Keigo non ne era tanto sicuro.

Todoroki annuì, non aspettandosi una risposta diversa e i due si congedarono.

Prese il volo appena fuori dalla cabina. Si sentì leggermente in colpa di non aver salutato Midoriya, ma il ragazzo non era nei paraggi e Keigo non si sentiva di navigare tra i gruppi di ragazzini che gli avrebbero sicuramente rivolto lodi che non si meritava.

Ora doveva prendere una decisione, il re o il principe?

+

Note

Ho editato questo capitolo alle sei di mattina, potrebbero esserci degli errori, stavo praticamente dormendo in piedi lol Hawks sta iniziando a capire l'identità di Dabi (finalmente aggiungerei) e beh, cosa deciderà di fare??

Al prossimo martedì,

Layel

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Capitolo 10
*** Il Principe Ranocchio ***


Il Principe Ranocchio

Il volo verso Kamino fu straziante. Alla stanchezza fisica che quasi tre ore di volo ad alta velocità provocavano dovette aggiungere la completa confusione che regnava nella sua testa.

Dabi era l'Alias di fuoco.

Era Todoroki Touya.

Il principe ereditario.

Keigo sperava di sbagliare e che tutto fosse solo il frutto di sfortunate coincidenze. Magari un altro drago di ghiaccio con l'abilità di sputare fuoco e segni di ustioni si nascondeva nel bosco.

Ma chi prendo in giro, Dabi è il principe e suo padre mi ha ordinato di riportarlo a palazzo in catene.

Suo padre mi ha anche ordinato di…

Keigo si dovette fermare su un albero ai confini di Kamino. Da quell'altezza poteva vedere tutta la città; le abitazioni semi-intatte delle periferie decadevano più ci si avvicinava al centro città. Un cuore marcio che aveva avvelenato Kamino e tutti i suoi abitanti. Keigo poteva disfarsi di quel marciume; poteva eliminare un poco di male e fidarsi del suo sovrano. Eppure…

Twice gli aveva salvato la vita.

Il suo sovrano aveva portato il figlio maggiore a darsi fuoco.

Gli artigli di Keigo graffiarono il tronco dell'albero. Doveva parlare con qualcuno di imparziale e che non fosse nella sua testa o sarebbe impazzito.

Spiccò il volo e si diresse verso la dimora di Twice.

+

La casa era interamente bruciata. Strisce di cenere dove un tempo c’era la porta d’ingresso; il nero della notte come tetto e solo due muri ancora in piedi. Piante invasive avevano ricoperto il pavimento e creato un selvaggio tappeto verde. Un piccolo sentiero navigava tra le macerie e portava a una pesante botola di pietra che in quel momento era spalancata. La cantina era l’unica parte che era stata risparmiata e uno dei membri dell’Unione ci aveva stabilito la propria dimora. Keigo si stampò un sorriso in faccia e scese con cautela lungo la scala a pioli appoggiata alla parete di pietra.

“Amico, non ti vedo da una vita! Vattene!” Twice era seduto su una delle due sedie spaiate in quel buco che chiamava casa; una mano lo salutava mentre l'altra lo mandava a quel paese.

“Ciao, Twice.” Keigo si lasciò cadere sulla sedia, il corpo pesante quanto la sua coscienza. “Ho bisogno di un consiglio.”

“Spara! Ti avviso che non sono il migliore per queste cose, chiedi a Toga, è lei l’esperta in questioni di cuore.”

“No, no. Non si tratta di cuore. È una questione più… ipotetica.”

“Mimetica?”

L’ondata di affetto che investì Keigo lo lasciò senza fiato. Rise a suo malgrado. Che diavolo sto facendo? “Twice, hai mai dovuto fare qualcosa anche se sapevi che era tremendamente sbagliata?”

L’uomo si grattò la nuca, “Quand’ero più giovane ho rubato a un sacco di gente, sapevo che non avrei dovuto ma era quello o morire di fame, sai?”

Dove hai preso i soldi? Rubati. “Sì. Sì, capisco. I ricchi dicono di fare la cosa giusta, ma non sono loro che non hanno da mangiare.”

“Hah! Ben detto!” Alzò il bicchiere vuoto e Keigo fece lo stesso. Brindarono alle ingiustizie che li avevano portati lì, a bere aria nella cantina di una casa bruciata.

“Comunque, amico, se non vuoi farlo non farlo. Hai noi adesso a guardarti le spalle! Arrangiati da solo!”

Keigo prese una delle dracme sparse sul tavolo e iniziò a giocherellarci, un goccio di vino gli servirebbe. “Il problema è che ho paura. Ho paura che se mi rifiuto ora mi sarei potuto rifiutare anche prima.” Lei sarebbe ancora viva.

“Magari no.” Twice gli diede una pacca sulla spalla, “Io ora non rubo più perché c’è il capo a darmi una mano! Non avevo alternative prima.”

Io l'avevo. Potevo dire di no e non l’ho fatto. “Tu sei un brav’uomo, Twice.”

“Tanto quanto te, amico! Andiamo a bere così ti tiri su?” Twice si avviò verso la scala a pioli.

Quando Keigo si alzò, il peso della spada quasi lo trascinò a terra. Appoggiò la mano sull’elsa e strinse.

“Ah, dei, Dabi sarà felice di vederti!”

+

L’alba tinse il cielo di rosso. Le scaglie bianche del drago sembravano sporche di sangue. Dabi conficcò gli artigli nella roccia. Neanche la fresca brezza autunnale riusciva a calmarlo. Aveva visto il Cavaliere in città la notte prima e lo aveva aspettato da Giran. Lo stronzo non si era presentato. D’accordo, Dabi non aveva aspettato proprio tutta la notte, ma almeno due ore in più del solito era rimasto. Che aveva da fare di più importante di ingraziarsi il suo contatto? Conficcò gli artigli più in profondità, creando quattro larghi solchi nella roccia. Moriva dalla voglia di bruciare qualcosa.

Proprio allora, con un tempismo impeccabile, un frullare di ali si udì al di fuori della caverna. Il falchetto si fermò all'entrata, vacillò e si trasformò in essere umano. Hawks indossava una camicia logora, aveva profonde borse sotto gli occhi ed era più pallido delle scaglie di Dabi. Il fodero era vuoto e le piume delle ali sembravano stropicciate.

"Sorpreso di vedermi qui?" chiese al grande rettile che lo osservava con sospetto. "Non c'è bisogno di mantenere la farsa, io so chi sei, tu sai chi sono eccetera. Cambia forma, ho delle domande da farti."

Il drago mosse la coda senza distogliere lo sguardo dal Cavaliere. "Dabi? Bene, come vuoi. Ho una lettera per te. Mi è stata consegnata da tuo fratello; devo inchinarmi, Vostra Maestà?"

Il ruggito del drago echeggiò per la caverna, accompagnato dal graffiare di artigli sulla pietra. Tornato il silenzio al suo posto c'era un uomo pronto a uccidere. "Non osare."

"E io che pensavo mi volessi ai tuoi piedi." Lo derise Hawks. "Dev'essere stato molto divertente prendermi per il culo per tutto questo tempo."

"Non so di che cazzo stai parlando. Dammi la lettera." Sapeva che era vivo. Sapeva che era vivo. Era troppo presto. Aveva bisogno di più tempo. Tempo. Tempo—

"Perché non me l'hai detto?" Hawks lo afferrò per un braccio, le ali gonfie e il viso contorto dalla rabbia.

Dabi non ci stava capendo più un cazzo. "Uccellino, se non te ne fossi accorto, ma non siamo amici. Appartieni al bastardo che voglio uccidere, non ti devo niente."

"Io non— Rimangiatelo."

"Mi stai dicendo che quell'uomo non controlla ogni tuo respiro?" Dabi allungò una mano verso la cintura dell'altro. Se non gli avesse dato la lettera se la sarebbe presa da solo.

Hawks lo anticipò e gli bloccò il braccio. I suoi artigli gli graffiavano il polso. Prima che Dabi potesse formare un pensiero coerente e dargli un calcio, Hawks lo afferrò per il bavero e lo baciò.

Un gufo fischiò per l'ultima volta quella mattina. Dabi spinse via il Cavaliere e si pulí la bocca con una mano. "Ma che cazzo?"

Il panico negli occhi di Hawks venne presto rimpiazzato da un sorriso compiaciuto. Falso. "Cosa? Il re mi ha ordinato di fare anche questo?"

Dabi fece un respiro profondo, infilò la mano in tasca e strinse l'elsa del pugnale. "Dei se mi fai schifo."

Il Cavaliere si sgonfiò visibilmente. “Non… Tuo padre non mi ha mandato qui, sono venuto di mia spontanea volontà.”

“Non è mio padre,” sibilò Dabi.

“Sì, d’accordo.” Fu allora che Dabi lo vide. Hawks era stanco. Il suo viso, per la prima volta da quando lo conosceva, non era costretto dietro alla solita maschera di sicurezza e arroganza. “Per qualche motivo pensavo di potermi fidare di te,” sussurrò.

Dabi per un istante dimenticò come si respirava. “Perché?”

Hawks lo guardò confuso.

“Perché sei qui?”

“La lettera—”

“Cazzate.”

Hawks prese un respiro tremante. “Mi è stato ordinato di uccidere Twice.”

Un calore bruciante risalì lungo la sua trachea, il fuoco premeva per uscire, esplodere e condannare entrambi. “Brutto figlio di puttana.”

“È vivo!” Esclamò prima di proteggersi con le braccia. Gli tremavano le mani. “Ho fallito.”

E Dabi capì. "Se è una condanna che cerchi non la troverai qui. Il tuo re sarà più che felice di metterti una corda attorno al collo."

Hawks si accasciò alla parete di pietra e si lasciò scivolare a terra. "Non so cosa sia giusto fare."

"Quello che ti pare." Dabi si sedette sul bordo della caverna con i piedi che penzolavano sullo strapiombo. Il cielo si stava rischiarando. "Ora sei un traditore, puoi fare il cazzo che ti pare."

Hawks non rispose per parecchi minuti. Poi si tirò in piedi e con le ali che strisciavano sul pavimento gli porse la lettera. Il sigillo – il moccioso aveva usato quello di sua madre – era intatto e non c'era segno che fosse stata letta. Dabi voleva darci fuoco.

"Il re cosa ne sa?"

Hawks alzò le spalle, "Nulla, presumo. Il principe mi ha fatto giurare segretezza e promesso una veloce esecuzione dovessi rimangiarmi la parola."

"Almeno questo sa farlo." Continuò a guardare quel fragile pezzo di carta per quelle che gli parvero ore. Staccò con cautela il sigillo di cera, facendo attenzione a non lasciare neanche un segno sulla carta. La grafia era elegante e decisa, simile a quella di Fuyumi, eppure estranea. Shouto non sapeva ancora scrivere quando Dabi se n'era 'andato'.

Touya,

So che siete vivo.

Non voglio pretendere di conoscervi o richiedere favori nel nome del sangue che ci unisce; sarebbe quanto mai presuntuoso da parte mia.

Ciò che voglio chiedervi è di lavorare insieme verso un obiettivo comune.

Il gruppo a cui vi siete unito è in cerca di cambiamento, esattamente come lo sono io. Uniamo le forze. Come avrete capito non posso discuterne in dettaglio in questa lettera, ma spero che potremmo parlarne di persona.

Prima di prendere decisioni affrettate vi consiglio di ascoltare ciò che ho da dire.

Se il mio contatto è rimasto fedele potrete consegnare la risposta, qualunque essa sia, a lui.

Nessuno sa di questo scambio.

Shouto

Dabi era immobile. Il suo primo istinto fu la fuga, perché sapevano dov'era ed era troppo presto. Volle anche strappare quelle parole che avevano il potere di distruggere tutto ciò a cui aveva lavorato fin'ora. Invece rimase immobile, rigido come se l'Alias di Shigaraki lo avesse guardato dritto negli occhi, una statua di pietra seduta sull'orlo del precipizio.

"Genti del popolo, ammirate! Il mio più forte erede e il vostro futuro sovrano!" Il re era affacciato al balcone con un bambino di cinque anni in braccio. Il bambino scalciava e gridava perché odiava il tocco di suo padre.

Quel bambino non era Touya. Touya sarebbe stato riconoscente, sarebbe stato dignitoso, non avrebbe fatto una scena come quel marmocchio. Perché Touya era il primogenito, Touya era il più forte, Touya si meritava le lodi di suo padre. Non Shouto.

E ora il bambino perfetto gli chiedeva aiuto. Aveva bisogno della sua forza. Dabi voleva ucciderlo. Voleva ucciderlo per rendere il re miserabile. Ma forse…

Dabi si schiarì la gola, "Ti ha detto altro?"

"Solo di riferire la risposta."

"No, non—" rilesse la lettera, "cosa sai? Su di me."

"Eri il principe Todoroki Touya e sei morto in un incendio. Ma non è così, giusto?"

"Touya è morto quel giorno. Io sono ancora qui."

"Quanti anni avevi?" Hawks si sedette di fianco a lui, lo sguardo cortesemente distante dalla lettera.

"Tredici. Volevo combattere, il bastardo me lo impedì."

Hawks rise amaramente, "Non è buffo che la guerra abbia privato entrambi dell'identità?"

"Non è stata la guerra."

Dabi finalmente riuscì a risvegliare i muscoli. Lanciò una veloce occhiata al Cavaliere; la luce dell'alba gli addolciva i lineamenti e Dabi si ricordò che poco tempo prima le loro labbra si erano toccate.

Non è il momento, cazzo.

Accartocciò la lettera e se la mise in tasca. "Uccellino, tra una settimana sul Sekoto Peak. Fa in modo che il moccioso ci sia."

Senza aspettare una risposta prese la forma del suo Alias e spiccò il volo. Non aveva ancora deciso cos'avrebbe fatto una volta incontrato suo fratello, ma sperava che l'incontro fosse almeno divertente. Planò dopo due possenti battiti di ali; c'era troppa luce per volare a lungo senza essere notati. Troppe persone conoscevano già la sua vera identità.

Il sottobosco era umido e fresco sotto le sue zampe. Dabi si sarebbe volentieri coricato tra le foglie e avrebbe dormito per il resto della giornata.

La neve fresca brillava al sole; i rami scossi dal vento sembravano sottili dita scheletriche pronte ad afferrarlo. Dabi era disteso nella neve. Le ferite bruciavano, scottavano, ogni respiro era doloroso. Ecco come sarebbe morto.

"Hey, amico! Stai proprio tirando le cuoia, eh? Ti vendo in salute!"

Dabi sbatté le palpebre; era l'unica parte di lui che non gli facesse male. Non poteva voltare la testa per vedere chi aveva parlato, né rispondere. Aveva la mandibola completamente ustionata.

"Ti porto in città che lì c'è qualcuno che può aiutarti."

Un uomo dai capelli biondo cenere e una benda sugli occhi entrò nel suo campo visivo. Aveva una lunga cicatrice in fronte e nella benda erano stati praticati due fori per consentirgli di vedere. Dabi non sapeva cosa pensare di quest'estraneo che senza farsi domande se l'era caricato in spalla e lo aveva trasportato fino a una malconcia branda in una stanza sotterranea.

Twice aveva trovato un dottore che potesse curarlo e per mesi aveva assistito alla sua guarigione. Gli aveva procurato cibo, vestiti e un tetto sopra la testa. Durante le lunghe giornate passate a letto Twice gli aveva raccontato la sua vita, di come era riuscito a clonare se stesso e di come questo l'aveva distrutto. Gli aveva confidato che si sentiva estremamente solo e quando l'aveva visto nel bosco la prima cosa a cui aveva pensato era stata:

"Se lo salvo avrò compagnia."

Dabi non si era affezionato a Twice, perché aveva giurato di non affezionarsi mai più a nessuno. Ma gli doveva la vita.

Dabi si sollevò da terra. Se quell'idiota di Twice si fosse fatto uccidere dell'uccellino non avrebbero trovato neanche le ceneri.

+

Note

Che dire follettini e follettine… il big reveal! Fatemi sapere cosa ne pensate!

Al prossimo martedì,

Layel

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Capitolo 11
*** Riunione di Famiglia ***


Riunione di Famiglia

La cabina di Todoroki Shouto era come se la ricordava; interni di legno decorati con i colori freddi della regina, solo la mobilia più essenziale e Midoriya Izuku che leggeva un libro in salotto.

“Il principe Shouto è sveglio?”

Il giovane sobbalzò sul divanetto e strinse il libro al petto, “Hawks! Non vi aspettavamo… ehm, cioè, Shouto dorme. Il principe.”

“Potresti chiamarlo? È urgente.”

L’espressione di Midoriya si fece seria ed annuì, “Se volete ristorarvi un poco mentre lo sveglio ci sono alcune provviste in cucina.”

Keigo lo ringraziò e, quando fu fuori dalla vista, si lasciò cadere sul divano. Il volo da Kamino al campo UA era durato tutto il giorno e tutta la notte precedente; non riusciva ad alzare le braccia da quanto dolevano i muscoli della schiena e i suoi occhi erano secchi e pesanti per aver affrontato il freddo vento autunnale così a lungo. Se qualcuno avesse tentato di assassinarlo in quell'istante Keigo non avrebbe potuto fare nulla. La sua spada era dimenticata sul pavimento della casa di Twice, da mesi non portava più la spilla con lo stemma dell’ordine e il mantello l’aveva perso da qualche parte lungo quelle trecento miglia. Di Hawks solo Keigo era rimasto e Keigo non avrebbe voluto difendersi.

Almeno Twice era vivo.

E Dabi… l'aveva baciato. Dei del cielo.

“É l’alba, Hawks,” disse infastidito il principe. Era fermo sulla soglia, indossava una leggera camicia da notte e poco altro. Le metà bianche e rosse dei capelli, solitamente nettamente divise, erano un groviglio spettinato.

“L’ho notato, Vostra Altezza. Se la risposta non vi interessa posso anche tornarmene a Fukuoka.” Troppo sfacciato. Non è questo il modo di parlare a un principe. Ma a questo punto, ha importanza?

“Avete una risposta?” Shouto era stupito, quasi incredulo. Midoriya gli posò una mano sulla spalla. Keigo era sempre più convinto di voler prendere parte all’incontro.

"Ha accettato. A condizione," la sua ala sinistra ebbe uno spasmo, Keigo mantenne la voce ferma, "A condizione che anch'io sia presente."

Shouto lo guardò con sospetto, "Estremamente conveniente per voi, Cavaliere."

La vista stava iniziando ad offuscarsi, i contorni dell’elegante mobilia sempre più sfocati. "Vuole avere qualcuno dalla sua parte."

"E da quando siete dalla loro parte, Hawks?"

Non lo sono. Ho risparmiato Twice. Ma non—

"So il luogo e il giorno, chiedere il vostro permesso è solo una formalità."

Shouto assottigliò lo sguardo e… ecco la somiglianza. Keigo poteva vederla ora. Quell'iride azzurra e gelida era l'esatta replica di quelle di Dabi. "Vi consiglio di non tirare troppo la corda." Scambiò uno sguardo con Midoriya e continuò, "Permesso accordato, Hawks. Dove si terrà l'incontro?"

+

Gli alberi sui versanti del Sekoto Peak avevano già perso la maggior parte delle loro foglie. I sentieri erano rivestiti da uno spesso strato di gialli, rossi e marroni; la foresta sembrava in fiamme.

I piedi di Dabi slittavano sul bagnato e l'umidità si infilava tra i punti di sutura fino ad inzuppargli le ossa. Non sentiva freddo, non poteva, ma sulle chiazze di pelle sana aveva la pelle d'oca. L'ultima volta che era salito su questo monte aveva avuto tredici anni.

Si allenava di nascosto degli occhi di suo padre, si spingeva fino al limite, finché le sue lacrime evaporavano e sveniva tra l'erba soffice della montagna. Quando tornava al castello era sua sorella a prendersi cura delle sue ferite e suo fratello a cui si aggrappava la notte. Per un mese continuò a bruciarsi le squame di giorno e sorridere a sua madre di sera. Ma nulla rimane un segreto a lungo nella corte del re. Suo padre gli vietò di continuare gli allenamenti, gli vietò di vedere i suoi fratelli, gli vietò di uscire dalle sue stanze. "Lascia perdere," gli diceva, "È troppo debole," sussurravano i servitori, "Il tuo corpo non lo può sopportare," blaterava sua madre. Un pomeriggio d'inverno Touya era scappato dalle sue stanze, era tornato sul suo caro monte e aveva atteso. Il drago bianco si trattenne fino a notte inoltrata, ogni minuto che passava aggiungeva un ceppo alla rabbia incandescente che gli ruggiva nel petto. Alla fine non riuscì più a contenerla, ed esplose con lei. Sulla scrivania di suo padre riposava un pezzo di carta che leggeva: "Raggiungetemi sulla montagna e vi mostrerò il mio valore."

Dabi stritolò la piuma rossa che aveva in tasca mentre entrava nella spaziosa radura. Il tempo aveva cancellato le sue tracce; gli alberi svettavano rigogliosi, i tronchi privi di bruciature; l’erba e i bassi arbusti erano ricresciuti dai moncherini ustionati che si era lasciato dietro. Non aveva specificato dove sul monte si sarebbero incontrati, e contava che il principino si perdesse nei boschi prima di arrivare alla sua radura. Un cinguettare allegro si levò dalle chiome degli alberi. Chissà se il piccione si sarebbe fatto vivo.

Con quello che ormai faticava a definire ‘fortuito tempismo’, Hawks entrò nel suo campo visivo e si appollaiò su un albero ai lati della radura. Una volta che si fu sistemato lo salutò con una mano.

“Ogni volta che ti vedo diventi più ridicolo,” rispose con un malcelato sorriso.

Hawks fece per rispondere, ma si interruppe. Dal folto del bosco un ragazzino dai capelli rossi e bianchi e la testa alta entrò nella radura.

Shouto lo osservò con curiosità, come se stesse cercando di catalogare uno strano ed esotico animale appena aggiunto alla collezione reale. “Siete venuto.”

Una risata sommessa provenne dalle chiome degli alberi. Che bambino.

“Pensavi avessi paura di te, moccioso?”

Shouto annuì con decisione. “Considerando che vi nascondete da dieci anni, lo ritenevo ovvio.”

“Brutto figlio di—”

“Guarda che è anche tua madre,” disse una terza voce mentre il suo proprietario emergeva dagli alberi. Era un giovane alto, dai capelli bianchi, stretto in un mantello azzurro. L'ultima volta che Dabi l'aveva visto aveva ancora i denti da latte.

"Natsu… Che cazzo ci fai qui?"

Suo fratello colmò la distanza tra loro con tre rapide falcate e gli posò una mano sulla spalla. Il tono complice, come se stesse per rivelargli un segreto. "Volevo assicurarmi che fossi ancora il più basso."

Dabi sogghignò e indicò il livido quasi scomparso sotto l'occhio destro di suo fratello. "Vedo che continui a scendere le scale di faccia."

"È successo una volta!" Gli diede una spianata giocosa mentre rideva, "Questo è il ricordo di una sfortunata lezione di scherma.”

“Perché hai ancora bisogno di lezioni?”

Natsuo lo spintonò di nuovo, buttandolo quasi in terra, e Dabi gli lanciò la sua migliore occhiata omicida. Non dovette servire a molto, perchè Natsuo lo guardò pieno di sincerità e sollievo e disse, “Sono felice che tu sia qui."

Sono felice che tu sia vivo, che tu abbia deciso di incontrarmi, che tu sia la stessa persona con cui giocavo ad acchiapparello nei corridoi; Natsuo non lo disse, ma la sua espressione era un libro aperto. Dabi si trovò a corto di parole; si era aspettato un aspro confronto, dure negoziazioni e magari qualche pugno tra lui e il fratellino perfetto, ma Natsuo non lo aveva previsto. Così come non aveva previsto la nostalgia di un'infanzia che pensava irrecuperabile o i sensi di colpa per un'azione che riteneva giusta.

Shouto ruppe il silenzio, "Non sei in grado di scendere le scale, Natsuo?"

Natsuo si strofinò il collo, "Forza, veniamo al dunque."

"No, il moccioso ha ragione, Natsu, quando imparerai a camminare?"

"Magari una volta sposato," intervenne di nuovo Shouto, peggiorando di dieci volte l'imbarazzo di Natsuo.

"Ti stai per sposare? E non mi inviti, brutto bastardo." Il piccolo Natsuo col moccio al naso e le ginocchia sbucciate si stava per sposare. Dabi non si era mai soffermato sul passare del tempo, da quando era sopravvissuto a morte certa i giorni si erano fusi insieme in un inestricabile matassa di rabbia, vendetta e il puro desiderio di sopravvivere. Su Kamino i mesi e gli anni non lasciavano traccia, già marcia fino al midollo, che altro poteva fare il ticchettio delle lancette? Ma gli anni erano passati e i bambini che ricordava erano adulti. La nostalgia tornò più forte di prima.

"No, non— Pensavo fossi morto fino al mese scorso!" Natsuo si passò una mano sul viso, "Comunque per ora non ci sarà alcun matrimonio."

"Vuole qualcuno che non sbava mentre dorme?"

"Nozomi mi ama!"

"Il problema è Enji," s'intromise Shouto. Il gelo scese sulla radura. Il nome di quel bastardo riusciva ancora a farli tremare tutti come foglie. Sei patetico.

"Vedo che non è cambiato niente."

"Ma potrebbe." Shouto si era avvicinato al centro dello spiazzo, l'approccio di Natsuo l'aveva incoraggiato a farsi avanti, ma le sue spalle rimanevano tese. "Io e Natsuo abbiamo escogitato un modo per permettere che ognuno di noi viva la vita che più desidera."

Natsuo annuì, "Shouto pensa che il gruppo con cui sei affiliato possa darci una mano."

"Volete uccidere il nostro caro padre?" Era l'unico motivo per cui avrebbero mai potuto aver bisogno dell'Unione. Quello, o far scoppiare una guerra.

Natsuo prese un brusco respiro, ma non rispose. Shouto, invece, aveva meno remore morali del fratello; oppure il vecchio si era spinto tanto oltre da prosciugare perfino l’infinita pazienza di questo stoico ragazzino. "Esatto, ma ciò che chiediamo ai tuoi compagni è una mera distrazione."

"I membri dell'Unione cosa ci guadagnano?"

"Condoni dei loro crimini—" Dabi interruppe la spiegazione di Shouto con uno sbuffo divertito. Nella remota possibilità che venissero arrestati, i membri dell'Unione sarebbero stati pronti a morire per i propri ideali. Shouto continuò senza prestargli attenzione, "E il governo sulla parte meridionale del regno".

"Tou, noi…" Natsuo teneva lo sguardo a terra, si vergognava di ciò che stava per dire, "Noi non siamo abbastanza forti per ucciderlo da soli."

"O non ne avete le palle?" Iniziò a camminare per la radura, le foglie secche schiacciate dai suoi stivali erano le uniche ad emettere suono. Non erano stupidi. Facevano fare il lavoro sporco a qualcuno che era già condannato, o ritenuto morto nel suo caso, così che il popolo potesse in seguito simpatizzare con loro ed accettare il cambio di sovrano. Infondo nessuno vorrebbe farsi governare da dei parricidi.

Ma alla fine, a Dabi del regno non interessava. Poteva farsi sfruttare se significa raggiungere il suo obiettivo. "Fratellini, io ci sto, non vedo l'ora di fare la pelle al bastardo, ma i miei compagni non saranno così facili da convincere. Possono semplicemente prendersi quello che vogliono."

Un’impercettibile ruga si formò tra le sopracciglia di Shouto, unico indizio della sua irritazione, "Quanto pensano possa durare un governo instaurato con la forza?"

"Tou, siamo disponibili ad accettare ulteriori richieste se questo non è abbastanza."

Dabi scrollò le spalle, "Ne parlerò con il capo, ma non posso dare garanzie."

"Grazie," disse Shouto, dal suo tono non si riusciva a capire se fosse genuino o sarcastico, ma la sua rabbia, che era stata placata dall’inaspettato arrivo di Natsuo, gli fece sentire solo lo scherno, la presunta superiorità. Quanto lo odiava.

Dabi ghignò beffardo, il sapore del fuoco già presente sulla sua lingua. Avrebbe impiegato un attimo per trasformarsi nel suo Alias e bruciare quell’insolente ragazzino. "Non mi serve la tua gratitudine, moccioso. Mi basta pensare alla faccia di Enji quando scoprirà che il suo capolavoro l'ha tradito."

"Tou—"

"Spiegami una cosa, Shouto, tu sei il suo preferito, il figlio perfetto, quello venuto fuori giusto. Perché mai vorresti ucciderlo?"

Shouto alzò il mento, nulla nella sua espressione lasciava trapelare alcun turbamento, solo determinazione, "Voglio che mamma possa vivere la vita che merita e che Fuyumi prenda il posto che le spetta nella successione." Si voltò verso Natsuo, gli occhi addolciti dall'affetto, "Che Natsuo possa essere felice. Non resterò il suo capolavoro per il resto della mia vita."

"Vengo prima di Fuyumi nella linea al trono." A questo punto parlava solo per mettere zizzania.

"Vuoi la corona?" Shouto lo sfidò con lo sguardo.

Voglio ucciderti. Posso ucciderti. Ma… Natsuo è qui, al tuo fianco, pronto a prendere le tue difese. Hawks è nascosto tra gli alberi, probabilmente sarebbe abbastanza veloce da poter scappare in tempo, ma se non lo fosse? Da quanto mi interessa… Dei. "Lei cosa sa del vostro piccolo piano?"

"Niente," rispose Natsuo, "Yumi è buona, migliore di ognuno di noi. Non— non vogliamo coinvolgerla più del necessario."

"Da bravi fratelli," disse sarcastico. La parodia di una famiglia normale. Non avrebbe ucciso suo fratello oggi, perché suo padre non avrebbe potuto assistere. Forse non l’avrebbe mai ucciso, perché, dovendo a malincuore citare Shigaraki, si era rammollito.

"Esatto." Shouto era totalmente serio; se Dabi non lo detestasse lo avrebbe quasi trovato divertente.

"Abbiamo un accordo, Tou?"

Dabi alzò le spalle, aveva molto su cui pensare, "Ci penserà il piccione qui a tenerci in contatto." Girò sui tacchi e senza aspettare una risposta si addentrò tra gli alberi.

"Tou!"

Alzò una mano in segno di saluto ma non si voltò. Passare troppo tempo in compagnia di Natsuo sarebbe stato pericoloso, se non per il pericolo di essere scoperti, sicuramente per mantenere la sua aria da freddo omicida.

In lontananza giunse il frusciare di foglie e rami, e poi i saluti affrettati del Cavaliere. In due possenti battiti di ali gli fu accanto. "Cosa ti fa pensare che voglia prendere parte a un regicidio?"

Dabi gli posò una mano sulla spalla e gli sussurrò all'orecchio, "Non ti è rimasto altro, uccellino." Si allontanò e a voce alta annunciò, "Ora vediamo se in città si trova qualcosa di commestibile."

+

Note

Questo è il gay awakening di Dabi. Scrivere dei Todoroki è sempre molto divertente eheh

Al prossimo martedì,

Layel

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Capitolo 12
*** Non Siamo Soli ***


Non Siamo Soli

Camminarono in silenzio tra gli stretti sentieri di montagna; Keigo svolazzava di ramo in ramo come piccolo falco rosso mentre Dabi arrancava tra foglie secche e ciottoli scivolosi. Tralasciando il commento di Dabi sul trovare del cibo, nessuno dei due aveva un vero motivo per continuare il viaggio insieme. Keigo avrebbe potuto volare oltre le cime degli alberi e proseguire verso ovest finché non avesse scorto le famigliari montagne su cui era cresciuto. Eppure rimase al fianco del criminale. Lo attendeva sui rami più bassi per permettergli di raggiungerlo e cinguettava quando Dabi imprecava contro le radici degli alberi.

Dopo poco più di un’ora giunsero alle pendici del monte, Dabi era piegato su se stesso e prendeva grandi boccate d’aria, mentre Keigo era fresco e riposato come se si fosse appena fatto otto ore di sonno.

“Togliti quel sorriso dalla faccia,” disse Dabi tra i rantoli.

Keigo alzò le spalle, l’essere più in forma di Dabi lo faceva sentire estremamente compiaciuto, “Non è colpa mia se hai il fisico di un bambino malaticcio.”

Prese un lungo e difficile respiro, “Bastardo.”

Keigo riprese a camminare, stava già facendo buio e il paese più vicino era ad almeno due ore di distanza. “In verità,” disse mentre osservava l’orizzonte, “I miei genitori erano sposati.” Le torri del palazzo reale si vedevano a malapena, gli occhi sensibili di Keigo riuscivano solo a cogliere le sagome azzurre che si stagliavano all’orizzonte.

“In verità,” lo imitò Dabi, “Non me ne frega un cazzo.”

“Ma davvero?” chiese con finto stupore, “E io che pensavo volessi scoprire tutti i miei segreti.”

Dabi si asciugò il sudore dalla fronte, “In questo momento voglio bere.”

“Con una piccola deviazione arriviamo a quel ruscello,” suggerì Keigo mentre indicava una striscia argentata alla loro destra.

“Alcool, uccellino.”

“Allora non posso aiutarti."

“Nulla di nuovo.”

“Bastardo.”

Dabi gli rivolse un’occhiata divertita, “Anche i miei genitori erano sposati.”

Il sentiero che stavano percorrendo era deserto, nei campi coltivati che li circondavano i contadini si stavano preparando per tornare a casa dalle loro famiglie. Nessuno gli prestava attenzione, erano solo due viandanti con gli stivali impolverati. “Non so perchè, ma lo immaginavo. A proposito, come devo chiamarti ora? Chiamarvi?”

“Non dire cazzate.”

“Quindi è… eri serio quel giorno nella caverna? Touya è morto?”

“Lo siamo un po’ tutti. Se non uccidessimo le versioni passate di noi stessi non potremmo essere ciò che siamo ora.”

L'aria autunnale li sospingeva in avanti come una mano gentile che li guidava nella giusta direzione. “E se preferissimo chi eravamo?

“È questo il tuo grande dilemma, uccellino? Non puoi tornare indietro. Sognare di poterlo fare ti renderà solo miserabile. Piangersi addosso non serve a un cazzo. Anche i "se" e i "ma" non servono a un cazzo. Se non ti piaci, cambia. Brucia il te presente e diventa chi vuoi essere.”

“Certo che sei filosofico quando sei disidratato,” Keigo cercò di scherzare, ma la frase gli uscì più amara di quanto aveva previsto.

Dabi continuò col suo discorso come se non l'avesse sentito, “Non capisco cosa ti freni. Ormai il passo l'hai fatto. Liberati."

“Se solo fosse così facile.”

“Grazie al cazzo," rispose mentre si staccava una delle scaglie bianche dell'avambraccio, “Forza, come ti chiami?”

Keigo si aspettava quella domanda da quando aveva rivelato a Dabi che conosceva la sua vera identità. Se la aspettava eppure non aveva una risposta. Camminarono in silenzio sullo stretto sentiero battuto dalle ruote dei carri, mentre Keigo rimuginava su quelle tre parole. Perché ora, a distanza di sedici anni da quando Kaina gli aveva posto la stessa domanda, Hawks aveva assunto un significato completamente diverso. Non simboleggiava più il sogno di un bambino, la speranza di poter diventare qualcosa di più, ma gli anni passati dietro una maschera, a non sapere più chi era. Capiva perché Kaina se n'era andata, capiva perché avesse voluto essere libera, e capiva perché gli era stato ordinato di ucciderla. Hawks aveva ucciso così tante persone che non riusciva neanche a distinguere i loro volti. Ma anche Keigo l'aveva fatto. Perché lui era entrambi, era sempre stato entrambi.

"Sono Keigo."

Un sorriso di scherno gli alterò i lineamenti, "Wow, me l'hai detto davvero."

"Dei, sei proprio…" Cercò un aggettivo dispregiativo adatto, ma tutto ciò a cui riusciva a pensare era come il rosso del tramonto gli illuminasse il viso. "Perché hai scelto Sekoto Peak?"

Dabi si massaggiò il collo con una mano; ora riusciva a respirare normalmente, ma il suo passo era ancora estremamente lento. Ogni traccia di divertimento era scomparsa dal suo viso, la sua espressione gli ricordava il loro primo incontro, distante e guardinga. “Ci venivo da bambino.”

“Tipo un nascondiglio segreto? Il mio era la foresta vicino al villaggio.”

La campagna che circondava la capitale era pianeggiante e Sekoto Peak era un basso monte solitario, che svettava intruso in quella distesa piatta. Keigo era abbastanza familiare con l’Alias di Dabi da sapere che per un drago di simili dimensioni sarebbe bastata un’ora per andare dal palazzo al monte, ciò che non capiva era come il passaggio di un drago bianco fosse stato cancellato dalla memoria degli abitanti.

“Una cosa del genere,” disse prima di accelerare il passo, lasciando Keigo indietro, “Muoviti o non arriviamo più.”

+

Quando giunsero al villaggio il sole era già scomparso oltre l’orizzonte, ma ad accoglierli non furono le buie strade di un villaggio di contadini. Dai poderi immersi nella campagna alle villette nel centro del villaggio, ogni abitazione era illuminata a festa. Sulle finestre delle case erano accese candele rosse, sulle porte erano dipinti soli, alberi da frutto e altri prodotti della terra. Sui sentieri erano stati sparsi petali di rosa che ora erano quasi scomparsi tra il fango e la polvere. Keigo osservava i colori e le luci con la stessa meraviglia e lo stesso calore che aveva provato durante il mercato di Hosu. Camminarono per strette vie rese ancora più strette dei gruppi di persone raggruppati fuori dalle loro case, c’era chi suonava, chi cantava e un’indistinto chiacchiericcio di sottofondo. La pungente aria invernale era riscaldata dal calore della comunità e dai bicchieri di vino caldo che venivano passati tra gli abitanti. A Keigo ricordava le feste di paese che spiava dal cortile della sua catapecchia.

Stava per chiedere a Dabi se avesse idea di cosa si celebrava, ma rimase interdetto dall’espressione di infantile meraviglia sul viso dell’altro. Aveva gli occhi spalancati, naso e guance arrossate dal freddo, e il suo sguardo indugiava sulle decorazioni sui muri, le calde luci delle candele, la spensieratezza che si respirava nell’aria. Si voltò verso di lui e gli prese un braccio, “Andiamo in piazza.”

Lo trascinò per le vie, sbagliò strada un paio di volte, ma alla fine arrivò alla piccola piazza del paese. Lì le decorazioni raggiungevano l’apice, ai lati della piazza splendevano due grandi falò, uno davanti al tempio e uno davanti alla casa più riccamente decorata del paese. Al centro svettava un albero ricoperto da foglie rosse e gialle, adornato da pezzi di stoffa rossi e piccoli oggetti colorati. Un gruppo di bambini si stava rincorrendo ai suoi piedi, si nascondevano dietro il tronco per tendere agguati, e le loro grida si mescolavano con tutti gli altri suoni della festa.

“Sai cosa si celebra? Non mi sembra che in questo periodo ci siano feste religiose.”

Quando non ricevette risposta Keigo si voltò verso Dabi. Stava fissando un punto dall’altra parte della piazza, l’espressione corrucciata.

“Dobbiamo andare.”

Keigo lo bloccò prima che potesse scappare, “Cosa succede? Ci sono delle guardie? All’entrata del paese non ho visto nessuno.”

“Andiamo e basta,” disse con urgenza e si infilò in una piccola via tra due edifici. Keigo sfoderò il pugnale e lo seguì.

“Puoi almeno dirmi da cosa stiamo scappando?” Aveva raggiunto Dabi, ancora fuori forma dalla scalata di quel pomeriggio. Non lo degnò di un’occhiata, ne rallentò, anche se gli risultava sempre più difficile respirare.

“Stai… zitto…” lo ammonì tra i rantoli.

Keigo aggiustò la presa sull’elsa del pugnale e si concentrò sui suoni che li circondavano. Musica allegra giungeva dalla piazza mischiata al brusio di decine di voci che parlavano all’unisono. Era difficile cogliere i passi di un eventuale inseguitore; i loro rimbombavano nel vicolo, al ritmo del cuore che gli pulsava nelle orecchie. La sua vista, eccezionale alla luce del giorno, di notte era praticamente inutile. Era estremamente frustrante scappare da fantasmi con gli occhi bendati.

“Se mi spiegassi potrei darti una mano ad evitarli.” Era tanto così da prenderlo per le spalle e scuoterlo finché non avesse risposto.

Dabi si fermò in mezzo alla strada e lo fulminò con lo sguardo. “Tutto quello che devi sapere è che dobbiamo levarci dal cazzo.”

Hawks stava per protestare quando una voce femminile lo interruppe.

“Finalmente! Vi ho trovato! Pensavo sareste riusciti a scappare.” Entrambi riconobbero quella voce. Dabi chiuse gli occhi e prese un lungo respiro.

“Cosa vuoi?”

Todoroki Fuyumi abbozzò un sorriso e sistemò una ciocca bianca che era sfuggita dalla sua acconciatura. “Vi ho visto nella piazza e ho pensato di porgervi un saluto. Cavaliere.” Gli fece un cenno col capo, che lui esitò a ricambiare.

“Quei due bastardi mi hanno mentito.” Dabi ribolliva di rabbia.

“Non so bene a cosa ti riferisci, ma ti garantisco che è molto difficile tenermi all’oscuro.”

Keigo annuì con convinzione e Dabi gli lanciò un’occhiata prega di domande. Hawks respinse le sue preoccupazioni con un gesto della mano. “Ti spiego dopo.”

“Non cambia il fatto che mi avevano assicurato che tu non ne sapessi niente.”

“Credi veramente che i nostri fratelli mi nasconderebbero il tuo improvviso ritorno nel mondo dei vivi?”

“Ovvio che no,” disse con amarezza.

“Certamente non me l’ha detto nostro padre. O il Cavaliere.” Congelò Keigo con un’occhiata.

“Lascialo fuori,” lo difese Dabi. Keigo fece del suo meglio per ignorare il caldo sentimento che gli si diffuse nel petto. “A questo punto perché non sei venuta anche tu? Cos’è questa farsa?”

Fuyumi lo osservò per un lungo momento, il suo viso era imperscrutabile. “Hai incontrato Natsuo e Shoto.”

“Smettila di fare l’ignorante.”

“Non credi,” disse con dolcezza, “Che se avessi avuto l’opportunità di incontrati l’avrei colta? Quale sarebbe il senso di orchestrare un incontro casuale in un paese di cui neanche conosci l'esistenza?”

“Non sapevi che ero qui?” chiese esitante.

“Come avrei potuto saperlo? Sono venuta alla festa e vi ho visto nella piazza. Presumo che anche tu mi abbia vista e sia scappato.” Si avvicinò con cautela, come se stesse approcciando un animale pericoloso. “Sono così felice di vederti, Touya.”

Dabi non indietreggiò, ma Keigo era sicuro che avrebbe voluto. “E che cazzo. C’è qualcosa che possiamo bere? Non posso affrontare un’altra riunione di famiglia da sobrio.”

Keigo pensava che Fuyumi sarebbe stata offesa da un commento tanto scortese, ma lo sorprese di nuovo, e rise. “Conosco il posto perfetto. Dopo di voi.”

Li condusse di nuovo nella piazza fino ad un banchetto costruito fuori dalla taverna del villaggio. Una donna e due uomini stavano servendo liquido scuro e fumante, profumava di chiodi di garofano e alcool. Keigo si avvicinò a Dabi. “Cos’è?”

Fuyumi rispose per lui: “Vin brulè! È una bevanda tipica di questa festività.”

Keigo si rivolse di nuovo a Dabi per verificare che fosse tanto all’oscuro quando lui. Bene, almeno avrebbero fatto una brutta figura insieme.

"È semplice vino speziato, ma in una serata come questa è proprio quello che ci vuole," continuò Fuyumi con un sorriso.

Davanti alla bancarella si era radunata una piccola folla. Vari gruppi di persone si erano fermati a parlare e nella confusione era impossibile capire dove iniziasse la fila per comprare da bere. Per fortuna Fuyumi seppe destreggiarsi tra la folla con abilità e li condusse velocemente da un'oste. La donna aveva lunghi capelli bianchi e le orecchie da coniglio; la principessa la salutó come una vecchia amica.

"Rumi, questi sono i vecchi amici di cui ti parlavo, perché non gli offri qualcosa da bere?"

"Sicuro, i tuoi amici sono anche miei amici," esclamò con una punta di sarcasmo prima di riempire due bicchieri. Keigo lo prese riconoscente e notó subito che la bevanda gli riscaldava le dita. Dabi aveva finito il vino tutto d'un sorso ed era arrossito su naso e guance. Divenne presto la bevanda preferita di Keigo.

Mentre bevevano l'oste li scrutò dall'alto in basso. Se riconobbe Hawks non lo diede a vedere, ma commentò l'aspetto di Dabi con Fuyumi: "Sicura che siete parenti? La bellezza di famiglia non l'ha ereditata."

Lei le accarezzò discretamente un braccio. "Non essere scortese."

Keigo osservò attentamente Dabi in attesa della sua reazione. Lui sollevò il bicchiere e disse con un ghigno, "Fammene un altro, sgranocchia-carote."

"Brutto pezzo di merda!" Rumi si scagliò su Dabi, saltó oltre il banchetto e gli atterrò addosso. Alzò un pugno, pronta a fargli saltare tutti i punti, ma Keigo fu più veloce. Le bloccò le braccia e fece del suo meglio per tenerla ferma. Per essere una semplice oste era estremamente forte. Si calmò solo quando Fuyumi intervenne. La principessa si scusò con i passanti per aver causato tanto trambusto, separò i due, e gli fece una ramanzina sul modo corretto di comportarsi in pubblico.

"Yumi, hai sentito come mi ha chiamata!"

"Lo so," concesse Fuyumi, "Ma non puoi prenderlo a pugni nel mezzo della piazza!"

Dabi ghignò di nuovo, "Che? Ti sei offesa? Scommetto—"

"Piantala." Questa volta fu Keigo a intervenire. "Che ne dite di ignorarvi per il resto della notte? Così io e la— e Fuyumi possiamo bere in pace." Riuscì a correggersi in tempo. L’oste sapeva molte cose, come il rapporto di parentela tra Dabi e Fuyumi, ma non era detto che fosse a conoscenza del titolo della principessa.

“Mi togli tutto il divertimento, uccellino.”

Rumi si coprì la bocca e finse di sussurrare, “Non mi avevi detto che erano dalla nostra parte.”

“Onestamente non ne ero a conoscenza nemmeno io,” rispose Fuyumi e li scrutò con curiosità.

Che stessero parlando dell’accordo tra Dabi e i suoi fratelli? Più Keigo rimuginava su quell’eventualità più gli sembrava impossibile. A quanto pare Dabi stava facendo i suoi stessi calcoli, lo sguardo perso nel vuoto e l’espressione corrucciata. Per evitare lo scoppio di un’altra lite Keigo si schiarì la gola e chiese: “È una festa pagana? In questo periodo dell’anno non ci sono celebrazioni religiose.”

Fuyumi annuì con convinzione, “Si celebra l’arrivo dell'inverno!"

Keigo la guardò scettico; strano che in un paese di contadini si celebri l’arrivo della stagione più dura e difficile da superare.

“No, non proprio,” intervenne Rumi, “Si celebra il pero: l’albero nel centro della piazza. Quando sta per arrivare l’inverno e l’albero non ha più foglie verdi sui rami si organizza una festa in suo onore. Più foglie rimangono all’albero al momento della festa, più l’inverno si preannuncia mite. È una tradizione che dura da sempre.”

“Ed è vero?” chiese Dabi, “Fa meno freddo quando ci sono più foglie?”

Rumi alzò le spalle, “Per ora sì. Ma non è quello il punto, le feste tengono alto il morale e ci fanno tirare avanti.”

Keigo si guardò intorno e respirò l’aria di spensieratezza che li aveva avvolti da quando erano entrati in paese. “Funziona.”

“C’è un posto dove dormire?” La domanda di Dabi lo colse alla sprovvista, ma un veloce sguardo al suo viso gli rivelò che stava disperatamente cercando di nascondere ciò che provava.

Un sorriso pericoloso comparve sul viso di Rumi. “Finalmente guadagno qualcosa!”

+

Erano in una singola camera al secondo piano della taverna. Le pareti erano di pietra e una piccola finestra dava sul retro dell’edificio. I letti erano posizionati di fronte all’unico caminetto – che avevano acceso appena entrati – ed erano ricoperti da soffici pellicce. Era un posto confortevole e pulito. Keigo si sedette sul letto più vicino alla finestra e osservò il cielo scuro. "Non avevo mai notato questo paesino."

"Difficile vedere gli altri quando si vive tanto al di sopra.” Dabi prese posto al suo fianco con uno sbuffo e finì il suo terzo bicchiere.

La chiara sagoma della luna si intravedeva tra le nuvole, un occhio benevolo che li osservava tra i tetti delle case, "Parli per esperienza o stai cercando di farmi la predica? Perché ti assicuro di aver iniziato in un paese che fa sembrare questo la capitale."

Dabi scosse la testa, "Sto solo dicendo che quando si è abituati a dover sempre guardare in alto è difficile rendersi conto del resto."

"Forse non si vuole vedere.” I musicisti in piazza finirono la canzone e per qualche istante ci fu silenzio. "È impossibile salvare tutti."

"Lo stai comunque facendo." Lo disse come un'affermazione, un dato di fatto, senza giudizio o accusa. Keigo non sapeva bene cosa rispondere, non riusciva a convincersi che fosse vero. Aveva il desiderio di aiutare più persone possibili, ma come poteva essere quella la strada giusta?

"E tu? Vuoi solo… ucciderlo? E poi?"

"Poi basta." Lasciò cadere il bicchiere a terra e si lasciò cadere all’indietro. Il materasso lo accolse con un tonfo, "È l'ultima cosa che mi rimane da fare."

"Che spreco," rispose con una semplicità disarmante.

Dabi lo osservò per un lungo momento, l'azzurro dei suoi occhi rifletteva la luce delle candele e l'intensità delle sue emozioni. "Mi vuoi dire che tu hai un piano? Un "visse felice e contento" che ti aspetta una volta che questa merda finirà? Sei solo quanto me."

Le sue parole avrebbero dovuto ferirlo, ma tutto ciò che provava era il forte impulso di lenire il dolore che l'altro sentiva. Ora che erano lì, seduti nella stanza buia di un paese in festa, soli se non per l'altro, Keigo si accorse di quanto Dabi fosse diventato un cardine della sua vita. Non riusciva ad immaginare un futuro in cui Dabi non fosse al suo fianco. Come nemico o amico non importava.

"Non siamo soli." I loro sguardi si incontrarono ed entrambi capirono il significato di quelle parole. Dabi si alzò sui gomiti per poterlo vedere meglio e le loro ginocchia si sfiorarono. Keigo poteva sentire il freddo che emanava il suo corpo. Soppresse un brivido.

"È impossibile," Dabi sussurrò.

"È molto semplice in verità." Inclinò leggermente la testa e sorrise come se lo stesse prendendo in giro. "Vuoi che ti faccia vedere come si fa?"

Dabi fece la smorfia tipica di chi si stava trattenendo dal ridere. Scosse la testa e si strofinò gli occhi con le mani, "Ma che cazzo…" Tornò a guardare Keigo e in un battito di ciglia lo stava baciando.

Durò un’eternità o un attimo, ogni senso sopraffatto dall’altro; il profumo di fuoco e cenere, il freddo delle sue labbra, il battito del suo cuore. Keigo aveva spalancato le ali e non se n’era nemmeno accorto. Si separarono e le sue mani erano nei suoi capelli, sulle sue guance, sul suo corpo. Keigo provava un sentimento che non aveva mai sentito prima d’allora. Si sentiva a casa. Che pensiero terrificante. Si lasciarono, perché non sapevano che altro fosse giusto fare, e Keigo si concentrò su una crepa nella parete. Tutto tranne i suoi occhi. “È stato uno sbaglio?”

Non vide l’espressione di Dabi, continuava a non volerlo guardare. “Dipende. Vuoi che lo sia?”

Vuoi continuare a scappare, a nasconderti, a rinunciare? Pretendere che non sia successo sarebbe più semplice. Sarebbe la cosa giusta da fare. Keigo però era stanco di fare la cosa giusta per gli altri. “No.”

“Allora no. Non deve cambiare niente, uccellino.” Tornò a sdraiarsi sul letto e questa volta Keigo lo guardò. Quell’incredibile essere umano che gli aveva stravolto la vita, la persona più irritante che avesse mai incontrato perché riusciva a vedere oltre la pesante armatura dietro cui si nascondeva da sempre.

“Potremmo provare. Quando sarà tutto finito.”

Dabi sorrise beffardo e dolce allo stesso tempo, “Dovrei cambiare i miei piani.”

“Dovresti, sì,” sussurrò mentre si chinava per baciarlo di nuovo.

Lo prese per il mento e lo allontanò abbastanza da poterlo guardare negli occhi, “Vedremo,” disse sulle sue labbra. Per Keigo era abbastanza.

+

Note

IMPORTANTE: questo è l’ultimo capitolo che pubblicherò, per lo meno per ora. Ho metà del prossimo capitolo scritto, ma non so se o quando lo finirò. Quando ho iniziato a pubblicarla avevo l’intenzione di finire, o almeno continuare, ma è da qualche mese che ho perso interesse per My Hero Academia e purtroppo continuare a scrivere questa storia era diventato più un compito che un passatempo divertente.

Un grazie grandissimo a chi ha letto fin qui (almeno si sono baciati, eh?), spero che vi sia piaciuta!

Alla prossima storia,

Layel

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