A Very Merlinatural Christmas

di OrnyWinchester
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Tutto quella notte ***
Capitolo 2: *** Le porte di Avalon ***
Capitolo 3: *** La formula dell’immortalità ***
Capitolo 4: *** In principio ***
Capitolo 5: *** Anime perdute ***
Capitolo 6: *** Il momento della verità ***
Capitolo 7: *** Il viaggio degli eroi ***



Capitolo 1
*** Tutto quella notte ***


Tutto quella notte
 
«Buongiorno, Dean!» disse Sam, entrando nella cucina del bunker degli Uomini di Lettere di Lebanon con un cappello natalizio da Babbo Natale.
Suo fratello era seduto a tavola, tenendosi la testa con le mani, e aveva gli occhi gonfi e lucidi per la mancanza di sonno e per la sbronza della sera precedente.
«Uooh! Parla piano, Sam!» lo esortò, portandosi le dita sulle tempie.
«Serataccia?» chiese il ragazzo, allegro e incurante della sua condizione di difficoltà.
«Mmh.» mugugnò Dean in risposta.
Sam, nel frattempo, si diresse verso il frigorifero per prendere il latte, poi sistemò due tazze sul tavolo e agguantò una scatola di cereali dalla dispensa.
«Magari oggi è meglio una colazione più classica e leggera.» disse, prima che Dean potesse obiettare qualcosa riguardo alla sua scelta, visto che le sue preferenze ricadevano sempre su bacon grigliato e qualche altra pietanza piena di grassi.
«Non voglio mangiare niente, Sam!» esclamò Dean in risposta, sollevando la tazza che aveva tra le mani per mostrargliela. «Del caffè nero e bollente è più che sufficiente.»
«Dean, ma quanto hai bevuto?» domandò Sam, preoccupato. «Più del solito, intendo.»
Il più giovane dei Winchester rimase perplesso nel vedere suo fratello in quello stato pietoso, perché Dean beveva praticamente… da sempre e ormai aveva sviluppato una certa tolleranza all’alcol. Le poche volte che lo aveva visto in condizioni simili era stato per via di qualche incantesimo o di qualcosa che concerneva il loro “lavoro”.
«Non me lo ricordo!» ammise Dean, parlando a bassa voce. «Avevo appuntamento con questa ragazza…»
«Chissà perché i tuoi racconti più strani iniziano sempre così!» lo interruppe Sam.
Dean lo guardò torvo, poi riprese il filo del discorso.
«Avevo appuntamento con questa ragazza, che alla fine mi ha dato “buca” e, siccome in quel locale la compagnia era scarsa e poco appetibile, sono andato al bancone e mi sono messo a bere qualche birra.»
«Una classica serata alla “Dean Winchester” dopo che ha rimediato una fregatura!» commentò ancora Sam.
«Poi, è arrivato questo tizio!»
Sam aggrottò le sopracciglia e sorrise divertito.
«Un tizio? Davvero, Dean?» scherzò. «Voglio dire, non c’è niente che non vada, ma non credevo che tu…»
«Piantala, Sam! E lasciami parlare!» lo interruppe a sua volta il fratello. «Dicevo. E’ arrivato questo tizio e si è seduto anche lui al bancone. Ha iniziato a raccontare le sue disavventure, a parlare dei suoi guai e alla fine, siccome ero l’unico idiota in tutto il bar che era stato ad ascoltarlo, mi ha offerto un paio di birre.»
Sam sorrise nel comprendere il circolo vizioso in cui era finito il ragazzo.
«Tu hai ricambiato la cortesia, avete fatto un altro paio di giri di bevute e, più che affogare i dispiaceri nell’alcol, siete letteralmente annegati nella birra, non è così?»
«Già!» si limitò a replicare Dean, sibillino.
Sam tornò nuovamente davanti al frigorifero e ne estrasse un limone, lo tagliò in due e con una mano spremette il contenuto di ciascuna metà nella tazza con il caffè che era in mano a Dean.
«Così dovrebbe andare meglio con i postumi della sbornia!» affermò, sicuro, togliendosi il cappellino natalizio e sistemandoglielo in testa. «E tra un paio d’ore ti voglio in forma. Dobbiamo addobbare questo posto come si deve. Tra qualche giorno è Natale!»
 
***
 
Il sole si levava flebile all'orizzonte, tingendo il cielo di Camelot di sfumature di rosa e arancione. La sua luce danzava sulla superficie delle mura di pietra candida del castello, creando un'atmosfera meravigliosa e suggestiva. Avvolto da un sottile manto di neve appena caduta, sembrava un'opera d'arte incantata, ridestata dalla magia dell'inverno.
«Sire, è ora di svegliarsi!» esclamò pacatamente Merlino, entrando nella stanza da letto di Artù. «Se non vi alzate immediatamente, arriverete in ritardo per la riunione del consiglio. E sappiamo bene quanto possono diventare irascibili i consiglieri più anziani quando si tratta di aspettare!»
«Sta’ zitto, Merlino!» si lamentò Artù, rigirandosi tra le lenzuola del letto e portandosi un cuscino in faccia per bloccare i raggi del sole, dopo che il suo servitore aveva scostato le tende dalle finestre.
«Sire, non fatevelo ripetere ancora.» continuò Merlino. «Vi conviene alzarvi e fare subito colazione.»
Artù sbuffò e cercò di aprire gli occhi, restando quasi accecato dalla luce del mattino.
«Avete fatto molto tardi ieri sera alla taverna, non è vero?»
«Non più del solito.» rispose il re, cercando di mettersi a sedere sul letto.
«Allora, avete bevuto più del solito!» constatò il servo, notando lo stato in cui era il sovrano.
«Mi hai scambiato per Galvano?»
«No!» rispose secco Merlino. «Lui regge bene l’alcol, sire.»
Artù lo guardò di sottecchi per quella battuta di pessimo gusto, poi provò a fare mente locale sugli accadimenti della sera precedente, quando si era recato alla taverna locale insieme ad alcuni cavalieri per trascorrere una piacevole serata di svago.
«La birra che ci hanno servito doveva essere avariata.» osservò, contrariato. «Oppure l’idromele.»
«Non può semplicemente essere che ne avete bevuto troppo?» suggerì Merlino, con un grosso sorriso stampato sul viso.
«No, Merlino.» rispose Artù, visibilmente irritato da quel commento. «Avevo appena bevuto un bicchiere di idromele, quando un viandante, un forestiero credo, ci ha offerto da bere dopo aver saputo che eravamo il re e i cavalieri di Camelot. Voleva… ringraziarci dell’ospitalità e della sicurezza del regno.»
Artù si soffermò a pensare alle parole che aveva appena pronunciato e qualcosa sembrò non convincerlo.
«E, allora, quanto avete bevuto, poi?» domandò il servo.
«Non ricordo con esattezza. Un paio di boccali, suppongo.»
«E come possono avervi ridotto così, sire?»
«Non ne ho idea.»
Merlino comprese che qualcosa non andava nel discorso del re, ma, per quello che ne sapeva lui, Artù poteva aver bevuto molto più di quello che ricordava e aver dimenticato ogni cosa. Eppure, nonostante questa fosse la spiegazione più ovvia, sentiva che c’era dell’altro.
«La prossima volta mi toccherà venire con voi e assicurarmi che torniate al castello in condizioni più accettabili.» disse subito, cercando di sviare l’attenzione del sovrano sull’argomento.
 
***
 
«Sam, dobbiamo proprio agghindare il bunker come se fosse Las Vegas?» domandò Dean, seccato dalla nuova visione del Natale di suo fratello.
Da quando Jack aveva rimesso ogni cosa a posto, dopo le diatribe con Chuck, per Sam era diventato molto importante addobbare il bunker di Lebanon in modo tale da renderlo accogliente e allegro, proprio come doveva essere una vera casa a Natale. Un albero enorme, carico di luci scintillanti, palline, fiocchi e nastri colorati, faceva ogni anno la sua comparsa nella sala principale. E non mancavano decorazioni di ogni sorta, dai classici ornamenti rossi e dorati alle ghirlande di luci e candele, riproduzioni di Babbo Natale, renne di stoffa e luccichii vari. Tutte le stanze recavano qualche oggetto in tema con il periodo di festa. Perfino le camere da letto avevano agrifogli e nastri rossi e verdi attorno alle cornici delle porte.
«Non vedo perché non dovremmo!» rispose Sam, in piedi su una scala di legno, intento a sistemare il puntale in cima all’albero.
«Perché è una gran seccatura, ecco perché!» ribatté Dean, poco entusiasta della nuova mania di suo fratello. «Ci sono tanti altri modi in cui preferirei spendere il mio tempo libero!»
«Tipo bere fino a non ricordare più nulla?!» ironizzò in risposta Sam, dopo quello che era accaduto la notte precedente.
«Non sei divertente, Sam!» esclamò il maggiore dei Winchester, poi mormorò tra sé e sé: «Non vedo l’ora che questo periodo finisca e con esso la frenesia irritante della gente!»
Non importava quanto ci provasse, semplicemente non riusciva a sopportare l'idea di dover appendere tutte quelle lucine e quelle decorazioni. Comprendeva Sam perché anche lui in passato, quando sapeva di avere i giorni contati a causa di un patto stretto con un demone degli incroci, aveva sentito la necessità di trascorrere un Natale normale con albero, decorazioni, regali e tutto il resto. Ma ora le cose erano cambiate e, a casa Winchester, Natale non era mai stato sinonimo di normalità, non si era mai respirato lo spirito natalizio.
Poi, all’improvviso, sotto gli occhi increduli di Sam, accadde un evento impensabile.
Una luce dorata e brillante comparve accanto a Dean e, come un flusso di energia scintillante, lo avvolse, facendolo brillare a sua volta. La lucentezza si intensificò e, come per magia, iniziò a sollevare il ragazzo da terra. Sembrava che stesse volando, anche se non aveva ali. Sam si portò una mano davanti agli occhi per vedere meglio. I capelli scompigliati di Dean si agitavano nell’aria come se fossero stati presi da un vento invisibile e la sua pelle splendeva di una luce intensa. Lo scintillio aumentò ancora fino a diventare accecante. Fu allora che, in un attimo, Dean scomparve nel nulla.
Davanti ad un esterrefatto Sam restò solo il flusso di energia magica, che ondeggiò nell’aria come un serpente luminoso. Poi, anche quello svanì, lasciandosi dietro solo una leggera scia di polvere dorata.
 
***
 
«Merlino, calmati e smettila di sfogliare quel libro con così tanta veemenza! Finirai per strapparlo!» suggerì Gaius, mentre il mago, incurante delle sue parole, continuava ad armeggiare con il grande tomo in pelle che il medico di corte gli aveva regalato al suo arrivo a Camelot.
«Non posso, Gaius!» rispose questo preoccupato. «Artù era troppo strano stamattina e sono sicuro che sta accadendo qualcosa!»
«Cosa te lo fa dire?! Il fatto che di tanto in tanto anche il sovrano di questo regno si ritrovi a bere un bicchiere di troppo?! Secondo me, ti stai agitando inutilmente.» convenne il medico.
«No, Gaius. Credetemi! C’era veramente qualcosa di strano nel racconto di Artù e credo che se ne sia accorto anche lui! Quale forestiero offre da bere al re e ai suoi cavalieri per “ringraziarli dell’ospitalità”?! E’ una sciocchezza colossale! E, mi dispiace dirlo, ma solo Artù poteva crederci!» disse Merlino in apprensione.
«Credi che qualcuno possa averlo avvelenato, non è così?» chiese Gaius, fissandolo con inquietudine.
«Avvelenato, maledetto, stregato o qualunque altra cosa si possa fare con un boccale di alcol alla taverna!» proferì il mago, nervoso.
«Però, a parte una spossatezza più marcata del solito, non mi hai riferito che Artù mostrasse dei segnali riconducibili alla magia.»
«No, ma potrebbero sopraggiungere in seguito, come quell’occhio della fenice, stregato da Morgana in persona.» osservò Merlino, richiudendo di scatto il libro. «Ma ora non ho tempo! Devo andare al cortile d’allenamento e aiutare a portare le armi!»
«Non preoccuparti! Continuerò io a cercare nei testi e, se dovesse venire fuori qualcosa, verrò ad avvisarti quanto prima!» provò a tranquillizzarlo il medico di corte.
«Vi ringrazio, Gaius! Vi sono riconoscente!» replicò il giovane mago, sforzandosi di sorridergli.
Poi, uscì dall’alloggio e si avviò verso il cortile a passo sostenuto. Si fermò nell’armeria per recuperare le balestre che doveva recare con sé e riprese il tragitto verso il luogo dell’addestramento. Giunto in prossimità, vide che il re e i cavalieri si stavano già esercitando, scambiandosi alcuni fendenti. Non riuscì a fare un altro passo che una luce abbagliante apparve dal nulla. Una lingua di magia scintillante circondò tutti coloro che in quel momento si trovavano nel bel mezzo del cortile innevato. Il bagliore aumentò e chiunque ne fosse stato avvolto si staccò dal suolo fino a fluttuare in aria, riflettendo su di sé quella lucentezza. La brillantezza che li aveva rapiti divenne sempre più insostenibile alla vista di Merlino e, in un istante, tutti scomparvero all’improvviso. L’energia magica che li aveva pervasi continuò ad ondeggiare in cielo come una scia di fumo giallastra, poi si dissolse, lasciando cadere a terra tanti granelli di polvere dorata.


 

Angolo autrice

Un saluto a tutti e un sentito grazie a chi leggerà questa storia, a chi la recensirà e a chi farà entrambe le cose.
 
Segnalo che gli eventi seguiranno quelli di “Distopia di una giornata nostalgica” e ne conterranno qualche piccolo riferimento, ma la storia può essere letta in maniera del tutto indipendente.
 
Dedico questa storia a AndyWin24 e Swan Song, due autori di grande talento, che ho avuto il piacere di leggere e con i quali ho potuto confrontarmi in modo sempre piacevole, sincero e cortese. Le vostre osservazioni e i vostri commenti sono stati molto preziosi, così come le storie che avete scelto di condividere.
 
Il prossimo aggiornamento arriva venerdì. Grazie ancora a tutti!
Tanti auguri di buon Natale!

 

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Capitolo 2
*** Le porte di Avalon ***


Le porte di Avalon

«Grazie per essere venuto così presto, Bobby!» disse Sam, mentre con l’altro scendeva di corsa le scale del bunker.
«Ho fatto il prima possibile. Non ero lontano da qui.» affermò l’uomo, seguendolo a distanza di pochi passi.
Più Sam lo osservava, più non riusciva a capacitarsi di quanto le fattezze e perfino il carattere dell’anziano cacciatore fossero in tutto e per tutto identici al Bobby Singer che i fratelli Winchester conoscevano e consideravano da sempre come un padre. Anche se davanti a lui c’era il Bobby dell’Altra Dimensione, un universo alternativo in cui Sam e Dean non esistevano.
«Stavi dando la caccia a qualcosa?»
«Do sempre la caccia a qualcosa, Sam!» replicò questo in tono un po’ burbero. «Sono ormai troppo vecchio per cambiare abitudini.»
Sul grande tavolo sul lato sinistro della sala erano aperti alcuni spessi libri, vecchi e consumati, e il notebook di Sam si trovava a navigare su un sito di mitologia.
«Allora, cos’è successo a tuo fratello? Racconta!» lo invitò Bobby, mettendosi a sedere.
«La verità è che non lo so, Bobby. E’ sparito, inghiottito da una luce! E’ questa l’unica cosa che ho visto!» spiegò questo, allarmato.
«Una luce, tipo quella degli alieni? Abbiamo a che fare con l’Area 51?»
«Non credo si trattasse di alieni!» constatò il più giovane dei Winchester. «Loro non rilasciano questa!»
A quel punto, tirò fuori da una tasca un sacchetto di stoffa rossa con la faccia di Babbo Natale impressa sopra, poi versò con cautela il suo contenuto sul tavolo, proprio davanti al viso esterrefatto di Bobby. Una pioggia di tanti minuscoli granelli di polvere dorata discese come un fiume sulla superficie liscia.
«Cosa sono? I glitter con cui stavate decorando questo posto?!» ironizzò l’uomo, guardandosi attorno, quasi infastidito da tutti quegli addobbi.
«No, Bobby.» scosse la testa Sam. «Questo è tutto quello che è rimasto dopo che quella luce ha prima sollevato da terra Dean e poi lo ha risucchiato chissà dove!»
«Non ci giurerei, ma sembra polvere fatata a prima vista!» disse Bobby, più serio. «Tu hai scoperto altro?»
«Sono arrivato più o meno alle tue stesse conclusioni. Anche se qualcosa non torna!»
«A che ti riferisci, ragazzo?»
«Al fatto che le fate non vanno in giro a rapire la gente così, come se niente fosse. Anni fa, durante una caccia, Dean è stato rapito dalle fate e, poi, rilasciato all’improvviso. Ma in quel caso stavamo indagando sul luogo di alcune sparizioni e avevamo pestato i piedi a colui che si è rivelato essere l’artefice di tutto. Adesso che motivo ci sarebbe?» osservò Sam.
«Ne avrà fatta arrabbiare qualcuna! Sai com’è Dean, no?»
«Sono settimane che non ci muoviamo da Lebanon e, poi, come avrebbero fatto delle fate ad entrare nel bunker?! Sai che è a prova di esseri soprannaturali! Invece, Dean è stato rapito qui dentro, proprio davanti ai miei occhi! Io credevo che potesse trattarsi di una pooka, che è un’abile mutaforma, ma…»
«E’ magia!» esclamò Bobby, convinto, passandosi i granelli dorati tra le mani. «E a giudicare dal colore di questa polvere fatata, si tratta di una magia che non tutte le fate sono in grado di usare.»
«Vuoi dire che è stata una fata di… di rango superiore a rapire Dean?» chiese Sam, deglutendo a fatica.
«Una Regina, per la precisione!» annuì Bobby. «Solo i loro poteri sono in grado di agire a così grande distanza. Mi sono già imbattuto in questo genere di eventi nell’Altra Dimensione e non credo che qui le cose siano così diverse.»
«E come faccio a salvare mio fratello? Non ho idea di dove possa trovarsi adesso.»
«Dove vengono portati tutti coloro che affermano di essere stati rapiti dalle fate?»
«Oh, andiamo, Bobby! E’ solo una diceria! Non ci sono prove che sia vero!» protestò Sam, agitato.
«Se hai altri posti da vagliare per cercare Dean prima che quelle fate gli strappino le budella, fai pure, Sam!» convenne l’anziano cacciatore, mettendosi a sfogliare le pagine di uno dei libri che Sam stava consultando.
«No, non li ho!»
Bobby smise di girare le pagine, non appena si trovò di fronte ad una raffigurazione di una specie di isola magica che sorgeva al centro di un immenso lago cristallino. Tamburellò le dita sulla pagina in questione, quasi divertito, e sorrise.
«Allora?»
Sam sbuffò e distolse lo sguardo dall’immagine.
«Allora penso proprio che dovrò recarmi ad Avalon per salvare Dean!»
 
***
 
«Prendi questo libro, Merlino!» suggerì Gaius, mettendogli di fianco un tomo dalla copertina olivastra, mentre il mago stava sfogliando una serie di testi voluminosi. «Di sicuro tratta l’argomento meglio degli altri che hai visionato finora.»
«Grazie, Gaius!» replicò il giovane, prendendo tra le mani il libro a cui si riferiva il medico di corte. «Sapevo che c’era qualcosa di strano nel racconto di Artù!» esclamò, allarmato. «Se solo avessi avuto il tempo di…»
«Merlino, non colpevolizzarti!» provò a rincuorarlo Gaius, posandogli una mano sulla spalla. «Non avresti potuto fare niente per aiutare Artù o i suoi cavalieri. E’ successo tutto talmente in fretta! E prima non avevi idea di cosa cercare!»
«Già, ma ora non è che la situazione sia molto migliorata… Sappiamo per certo che il loro rapimento, se così vogliamo chiamarlo, è opera delle fate perché questa polvere dorata è inequivocabile. Ma di quali fate stiamo parlando?!»
«Quel testo descrive in modo accurato tutte quelle conosciute, o almeno credo.» ipotizzò l’anziano medico. «La sua redazione risale a diversi anni fa e non so se nel frattempo ci siano state delle evoluzioni.»
«Me lo farò andare bene lo stesso, Gaius.» annuì il mago, sicuro.
Merlino lesse diverse pagine, restando in rigoroso silenzio fino a quando non si soffermò su una sezione di quello scritto. Essa faceva riferimento al potere che hanno alcune fate di rapire gli esseri umani per condurli al loro cospetto e…
«Ucciderli?!» esclamò, sconvolto, alzandosi in piedi. «Non può essere!»
«Merlino, che succede?» chiese Gaius, in apprensione.
Il mago si lasciò ricadere sulla sedia di legno e si portò le mani alla testa prima di rispondere.
«La faccenda è più complicata del previsto, Gaius.» sospirò, turbato. «Secondo il libro che mi avete dato, Artù e i cavalieri sono stati rapiti dalle fate per… per nutrirsene!»
«Sei sicuro, Merlino? Non ho mai sentito dire che le fate mangino gli esseri umani!»
«Scusate, mi sono espresso male. E’ che sono molto preoccupato!» si giustificò. «Non volevo dire che se ne cibano, ma che si nutrono della loro essenza, della loro anima, mentre li uccidono tra atroci sofferenze.»
«Sì, invece, questo è decisamente possibile.» affermò Gaius, mesto. «Del resto, ne avevamo avuto prova già con quel tizio, quel… Aulfric, se non ricordo male.»
«Sì, infatti. Ma quell’uomo era stato bandito da Avalon e, anche se aveva ancora i suoi poteri, poteva considerarsi alla stregua di un qualunque mago. Ricordo che lui e sua figlia condussero Artù fino alle sponde del lago, affinché si consegnasse spontaneamente agli Sidhe che vivevano sull’isola. Nessuno dei due fu, però, in grado di rapirlo.» rammentò il mago. «Tra l’altro, Gaius, credevo che l’unica popolazione fatata che abitasse l’isola al centro del lago fosse proprio quella degli Sidhe. Invece, da quello che leggo in questo libro, ce ne sono a decine.»
«Naturalmente. Gli Sidhe sono solo le fate più numerose di questa popolazione magica. Ma ne esistono tante e quasi tutte dimorano sull’isola in mezzo al lago di Avalon.» confermò l’anziano.
«Sono stato in quel luogo tante volte, ma non mi è mai capitato di vederne. A parte quando ho eliminato proprio Aulfric e Sophia, ovviamente. Anche se è pur vero che sono sempre rimasto sulle sue rive.»
«E’ normale che tu non le abbia viste, perché sanno come nascondersi all’occhio umano. E anche a quello di un grande mago come te. Molte delle specie di cui stiamo parlando hanno il potere di rendersi invisibili. Le capacità delle fate non sono da sottovalutare, soprattutto in virtù della loro grande varietà.»
Merlino riprese tra le mani il libro dalle pagine di pergamena ingiallita e continuò a seguire con lo sguardo il testo, muovendo ritmicamente la testa da una parte all’altra.
«Qui c’è scritto che solo una Regina delle fate è in grado di richiamare qualcuno a sé mediante la polvere fatata. E questo perché le fate comuni non possono disporre della polvere a loro piacimento.» ricapitolò, cercando di dissipare la confusione che la questione gli aveva causato. «Quindi, la scena che è accaduta davanti ai miei occhi è stata opera di una Regina delle fate.»
«Già. E di sicuro Artù e i cavalieri saranno stati condotti sull’isola. Non ti resta che andare ad Avalon, se vuoi sperare di salvarli.»
Merlino si alzò di scatto dalla sedia e, mentre si incamminava verso la sua stanza da letto, aggiunse:
«E devo anche fare in fretta! A quest’ora la Regina delle fate potrebbe essere sul punto di banchettare con le loro anime!»
 
Clunk! Tingle! Clang!
Una serie di rumori indistinti provenne dalla stanza di Merlino con il mago evidentemente intento a cercare qualcosa.
Quando riapparve sulla soglia e scese rapidamente gli scalini che lo separavano dal tavolo a cui era seduto Gaius, aveva in mano un bastone di legno con un grande cristallo blu all’estremità e un paio di cinghie di pelle marrone per trasportarlo. L’asta, liscia e levigata, presentava una serie di incisioni legate alla magia nell’antica lingua Ogham.
«Sarà meglio che porti questo con me. Mi è stato utile in passato!»
Era lo stesso bastone appartenuto a Sophia, la figlia di Aulfric, con cui Merlino aveva già eliminato il folletto Grunhilda e diversi Sidhe, tra cui quello che possedeva la principessa Elena di Gawant. Sicuramente era una risorsa importante per affrontare le insidie di Avalon e il mago sapeva bene che poteva contare sullo sconfinato potere che esso racchiudeva, in grado perfino di “tenere la vita e la morte nelle proprie mani” (“abas ocus bithe duthected bithlane”), come recitava il bastone gemello appartenuto ad Aulfric e andato distrutto.
«Merlino, fai attenzione! So quanto è grande la tua magia, ma quel posto è pieno di pericoli anche per uno con i tuoi poteri. Le fate sono note per gli inganni e i tranelli che ordiscono ai danni di chiunque si frapponga tra esse e i propri scopi, non dimenticarlo!» lo avvisò Gaius, con il volto contratto e irrigidito e una certa preoccupazione che scaturiva dal suo sguardo corrucciato.
«Non temete, Gaius! Farò attenzione! Anche se sapete meglio di me che salvare il re e i cavalieri rientra nei miei compiti, nel mio destino. Non posso agire altrimenti! Anche a costo della mia stessa vita.» rispose il giovane mago, a sua volta cupo, ma convinto.
Poi, si mise la sacca di pelle in spalla e con il bastone magico ben stretto nella mano sinistra fece un cenno di saluto al medico di corte, chiudendosi la porta dell’alloggio alle spalle, diretto alla volta di Avalon.
 
***
 
Nel cuore del lago di Avalon si trova un'isola magica. Non si sa molto di quest'isola, ma si narra che sia un luogo di magia e mistero. Sembra che nessuno sia mai riuscito a raggiungerla, ma molte storie e leggende si sono succedute nei secoli. Alcuni sostengono che si tratti di un paradiso perduto, altri che celi solo incubi e terrore. Nessuno sa davvero cosa si nasconda sull'isola, ma chiunque abbia avuto anche solo la fortuna di vederla da lontano ne è rimasto affascinato.
Essa, in realtà, è circondata da una foresta incantata e da una barriera magica che la protegge dal mondo esterno. Al centro si trova un grande castello di pietra nera, disabitato e occultato all’occhio umano da una fitta e rigogliosa vegetazione. Tutto quello che si riesce a scorgere in lontananza è unicamente la sua torre più alta, un giorno destinata ad essere la dimora della fata più potente mai giunta ad Avalon, che popolerà la magione di tante creature magiche e fatate. Fino a quando essa non reclamerà il suo posto, esseri come fate, elfi, gnomi, ninfe, folletti e, perfino, qualche unicorno vivono liberi in tutta l’isola.
Mentre una nebbia leggera e luminescente di solito la avvolge e le dona un’aura mistica, la barriera magica impedisce agli esseri umani di entrare.
Tranne quando questi vengono invocati da una Regina delle fate…
 
Dean Winchester sollevò la testa di scatto, non appena riprese conoscenza. Lo sguardo era ancora annebbiato e quello che lo circondava appariva sfocato. L’ultima cosa che ricordava era una luce molto intensa che si irradiava tutt'intorno a lui, sollevandolo da terra e facendolo fluttuare in aria. Senza padroneggiare più i movimenti delle braccia e delle gambe, era come se avesse galleggiato in un mare di energia luminosa. Poi, il suo corpo era diventato leggero come una piuma. E si era sentito come se stesse sognando.
«Ma che diavolo…» imprecò, facendo per alzarsi.
Solo allora si accorse di essere legato braccia, mani e piedi da robuste corde e di non riuscire ad assumere altra posizione che quella seduta, in cui già si trovava. Provò a liberarsi, ma ogni tentativo fu vano. Così, non essendoci molto altro che potesse fare, si guardò intorno per capire dove fosse finito perché di certo c’era che il panorama intorno a lui non aveva niente a che vedere con il bunker degli Uomini di Lettere di Lebanon.
Si trovava in una radura verde e lussureggiante vicino ad una foresta immensa con le chiome degli alberi che rilucevano al sole e somigliavano a tanti smeraldi. Il colore era ovunque intenso e brillante. Era nei fiori che sembrano sbocciare dappertutto; era nei frutti maturi e deliziosi che pendevano dai rami; era nell'acqua cristallina di un ruscello che scorreva poco distante; era perfino nella pietra scura con cui era stato costruito un castello appena visibile in lontananza. In quel paesaggio incantevole dove i flutti di una cascata scendevano da una piccola collina come se fossero lacrime di gioia e le voci melodiche e dolci delle creature che lo abitavano popolavano l’aria fresca e frizzante, Dean si sentiva al tempo stesso estasiato da quel posto misterioso e inquieto per i pericoli che esso poteva celare. Non era un caso, infatti, se chi lo aveva rapito, lo aveva condotto lì.
Perso nella bellezza ipnotica di quel luogo suggestivo, poi, non si era reso conto di non essere il solo a trovarsi in quella situazione di prigionia forzata. Poco distante da lui, infatti, giacevano svenuti, anch’essi con le corde attorno a spalle, mani e piedi, altri cinque uomini, avvolti in mantelli rosso cremisi. Uomini che non riusciva a vedere bene per via del loro stato, ma che aveva comunque riconosciuto da alcuni tratti fisici. Erano re Artù e quattro dei suoi fidati cavalieri della Tavola Rotonda, che Dean aveva avuto modo di conoscere e frequentare quando lui e suo fratello Sam erano finiti a Camelot durante uno strano viaggio nel tempo.
Si fermò a fissarli, incredulo e sbigottito, perché non immaginava che li avrebbe mai rivisti. Invece, ora erano proprio lì, nemmeno troppo lontani da lui, nella sua stessa condizione di prigionieri di chissà quale folle essere!
All’improvviso, Artù si risvegliò lentamente, assonnato e confuso, con la testa che gli ciondolava sul petto. Tentò di sollevarla per capire dove fosse e provò a muovere le braccia, ma si accorse che qualcosa lo teneva bloccato. Guardò verso il basso e vide che i suoi polsi erano legati. Provò a muoversi, ma i suoi movimenti furono limitati dalle corde che lo tenevano stretto. Non sapeva dove si trovava e non ricordava nulla di ciò che era successo. Solo allora udì una voce vagamente familiare che si rivolgeva al suo indirizzo. Voltò la testa verso destra e notò un uomo, anch’egli legato al pari suo e dei suoi quattro cavalieri. Gli sembrò di riconoscerlo, quando questo disse ad alta voce:
«E’ un piacere rivedervi, sire. Anche se avrei sperato che accadesse in circostanze più piacevoli!»
 
«Come siete finiti qui, tutti voi?» domandò Dean ad Artù e ai cavalieri, dopo che anche questi avevano subito il suo stesso brusco risveglio.
«Credo che sia stato a causa della magia!» iniziò il sovrano di Camelot. «Ci stavamo esercitando nel cortile, come di consueto, quando una luce brillante ha iniziato a fluire verso di noi, come un fiume in piena, inarrestabile e irresistibile. Poi, ci ha imprigionati nella sua stretta, troppo potente per riuscire a liberarci, e ci ha sollevati in aria come fuscelli. A quel punto, la spirale di luce che ci aveva intrappolato è scomparsa e noi con lei, immagino. Perché da quel momento non ho altri ricordi.»
«Era come se stessimo volando, anche senza il bisogno di ali.» aggiunse sir Leon, ancora più meravigliato del re.
«I miei capelli andavano dappertutto nell’aria e non riuscivo a vedere più di tanto. Una bella seccatura!» constatò sir Galvano, mentre sir Parsifal sogghignò.
«Sicuro, Galvano!» esclamò sir Elyan, sarcastico. «Sono i tuoi capelli in disordine il problema più grande della giornata! Il fatto di essere legati senza sapere dove ci troviamo e perché è un dettaglio trascurabile a confronto.»
Tutti sorrisero a quell’affermazione, Dean compreso.
«Anche a me è successa più o meno la stessa cosa e, proprio come voi, non riesco a capirne il motivo. Senza contare questo posto. Guardatelo! Non ho idea di dove possiamo essere!» spiegò il cacciatore, infastidito dalla situazione di incertezza.
«E’ evidente che la magia ci ha trasportato in un luogo che nessun essere umano potrebbe mai immaginare. Non ho mai visto niente del genere! Questo dimostra quanto può essere pericolosa la stregoneria!» affermò Artù, serio, nonostante l’armonia di quel luogo non riuscisse ad incutergli alcun timore.
«Anche Sam si trova qui?» domandò Elyan a Dean.
«No, non credo almeno. Quando la luce mi ha preso eravamo insieme a casa nostra, ma non mi è sembrato che desse la caccia anche a lui. Era solo me che voleva!» rammentò il maggiore dei Winchester, sebbene i suoi ricordi in merito fossero alquanto confusi.
«Se vogliamo toglierci dai guai, la prima cosa da fare è andarcene di qui. Avremo tempo dopo di farci tutte le domande del caso.» disse Galvano, strattonando con forza le corde che lo tenevano legato.
«Non credere che non ci abbia già provato! Ma anche queste funi devono essere magiche perché non si muovono di un millimetro e io inizio ad averne abbastanza di tutta questa situazione!» mugugnò Dean, sempre più irritato. «Dobbiamo trovare un modo per liberarci e alla svelta!»
«Non avere tanta fretta, umano arrogante!» minacciò una voce femminile di cui nessuno riusciva ancora a vedere il volto.
Una specie di ronzio seguì quelle parole fino a quando una scia luminosa non si fermò davanti ai prigionieri e da essa, come per incanto, si materializzò una bellissima donna dalla pelle diafana e luminosa, di un color pesca chiaro. Aveva lunghi capelli d’oro, sottili come la seta, e grandi occhi verdi, brillanti come smeraldi. Indossava una veste color lavanda che sembrava fluttuare nell'aria e aveva una corona di fiori intrecciati tra i capelli. Le sue ali, verdi e splendenti, l’avevano condotta lì grazie ad un volo leggero e silenzioso ed era circondata da un alone di luce quasi mistica.
«Si può sapere chi diavolo sei tu?» sbottò Dean, all’improvviso.
La sua collera fece sussultare anche re Artù e i suoi cavalieri, che per un istante sembravano come rapiti dall’incredibile bellezza della fata e dal suo sorriso incantevole.
«Come osi rivolgerti a me con questo tono?» tuonò la creatura.
«Fanculo le buone maniere! Sei tu che ci hai rapiti e condotti qui, no? Dicci cosa vuoi!» continuò Dean.
«Sono re Artù di Camelot e questi sono i miei uomini. Nel mio regno la magia è bandita, ma non ho mai fatto niente che potesse offendere la tua gente. Che ragione hai di tenerci imprigionati alla tua mercé?» chiese, allora, il sovrano, adirato, provando a scuotere ancora una volta le corde con le spalle, come se quel gesto rimarcasse la situazione di cattività in cui erano.
«Ah, piantatela!» rispose la fata in tono freddo e distaccato. «Le vostre chiacchiere mi faranno venire il mal di testa!» «So perfettamente chi siete e vi rivelerò il motivo per cui vi ho condotti qui, sull’isola di Avalon, al mio cospetto, solo quando lo riterrò opportuno!»
Prima che qualcuno potesse replicare, nell’aria si avvertì nuovamente lo stesso suono che aveva annunciato l’arrivo della fata, solo che questa volta era più lieve e sommesso. Pochi attimi dopo una seconda creatura fece la sua comparsa di fianco alla prima e le rivolse un inchino sentito. Aveva la pelle d’ebano e i capelli mossi color verde menta. Indossava un vestito corto della stessa tonalità dei capelli, decorato con alcune pietre preziose.
«Mia signora Clíona, vi domando perdono per il ritardo. Questi patetici umani hanno forse osato importunarvi?» chiese in tono servile verso l’altra fata.
«Non preoccuparti, Aingil, non mi importa un bel niente di loro. Una volta raggiunto il mio scopo, nessuno ne avrà più memoria.» rispose la sovrana, glaciale.
Allora Aingil si voltò a scrutarli tutti.
«Manca ancora qualcuno!» esclamò.
«Arriverà, non temere!» le fece cenno Clíona.
Aingil aveva uno sguardo strano, risentito, e i suoi occhi verdi e brillanti si posarono su Dean.
«Bentrovato Dean!» gli disse, irriverente. «Come mai Castiel non è ancora corso a salvarti?!» «Oh, già, non può! Non più!»
L’accenno di quella fata a Castiel e alla sua morte fece trasalire Dean, che sulle prime non riusciva a spiegarsi come una creatura magica di Avalon potesse conoscere lui o l’angelo. Forse voleva dire che avevano avuto già a che fare con lei in passato. Poteva essere successo la volta in cui era stato rapito dalle fate per alcune ore, ma non ne aveva conservato alcun ricordo e Castiel non ne era mai nemmeno stato a conoscenza. A quel punto, non sapeva cosa pensare. Qualcosa nel modo in cui questa lo fissava, però, gli lasciava credere che ci fosse molto di più che uno scontro passato.
«Mi conosci?» le chiese semplicemente.
«Avremo tempo per i convenevoli quando anche Sam sarà qui insieme a noi!» si limitò a dire Aingil, lanciando un’occhiata complice a Clíona, che rivolse al cacciatore un sorriso maligno.
Dean, Artù e i cavalieri le guardarono costernati, incapaci di comprendere chi fossero e cosa volessero da loro, mentre queste lasciarono la scena allo stesso modo in cui l’avevano presa.

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Capitolo 3
*** La formula dell’immortalità ***


La formula dell’immortalità

Clíona, la Regina delle fate, passeggiava nervosamente per tutta la stanza, attendendo l’arrivo della sua accolita Aingil. Si sentiva emozionata e turbata al tempo stesso al pensiero che presto avrebbe ottenuto quello che più desiderava, che il sacrificio di quegli umani le avrebbe consentito di tornare a splendere come una volta. Ad ogni passo la sua veste viola svolazzava con leggiadria e i suoi capelli dorati fluttuavano nell’aria, come se volessero riprodurre il turbinio di pensieri che in quel momento affollava la sua mente.
Approfittò del momento di solitudine e, messasi comoda, iniziò a ripercorrere la lunga vicenda che l’aveva condotta fino a quel punto.
 
***
 
«Hai chiesto di vedermi, Aingil?» domandò Clíona, stupita dalla richiesta della fata.
«Sì, mia regina. Ho bisogno di conferire con voi su una questione della massima importanza.» replicò questa, inchinandosi al suo cospetto.
Nella sala del trono, una stanza incantevole e piena di luce con il soffitto decorato con pinnacoli di pietre preziose, la Regina delle fate sedeva al centro su un magnifico trono di cristallo scintillante.
«Mi stupisce tanta formalità da parte tua, a dire il vero. Credevo volessi sfruttare questa seconda opportunità per vivere libera da legami e costrizioni di ogni genere. Quando ti ho accolta tra le mie fila in questa isola meravigliosa e pacifica, hai espresso questa precisa volontà. Cos’è cambiato ora?»
«Ecco… io…» tentennò Aingil.
«Avanti, parla! Credi che abbia tutto il tempo del mondo da dedicarti?»
«Si tratta proprio di questo, in realtà.»
«Di questo, cosa? Vuoi finirla di essere così criptica?»
«Del vostro tempo su questa terra.» disse finalmente la fata dai capelli color menta.
«Non capisco a cosa ti riferisci.» replicò Clíona, rabbuiandosi.
«Al fatto che siete ogni giorno più debole e che state per morire.» insistette Aingil.
«Come ti viene in mente un’idea simile?» sbottò la regina, alzandosi dal trono e iniziando a passeggiare con agitazione.
«Qualche notte fa vi ho vista assorbire l’anima di quel folletto e ho riconosciuto i segni del vostro malessere. E’ stato così che ho capito che il vostro tempo stava per esaurirsi e che, anche se vi nutriste di tutte le anime di quest’isola, questo non basterebbe a farvi rimanere in vita a lungo.» spiegò la fata.
«E sei venuta qui per ricattarmi? O per biasimarmi?»
«Niente di tutto questo, maestà. Non avete nulla da temere. Il vostro segreto è al sicuro con me.»
«E allora cosa vuoi?» domandò Clíona, visibilmente sconcertata, guardando fuori da una grande finestra che dava su uno dei giardini fioriti più belli di Avalon.
«Aiutarvi!»
«Aiutarmi?!» disse questa, stupita, voltandosi di scatto.
«Voi mi avete accolto nella vostra dimora e mi avete concesso la libertà di cui necessitavo. Finalmente ho potuto essere me stessa senza imposizioni…»
«Abbiamo condiviso in amicizia una parte importante della nostra esistenza, anche se in quell’occasione sei stata migliore di me. Furba e astuta quanto serviva per non farti scoprire, hai mantenuto il tuo posto fino a quando è stato possibile, mentre io sono stata esiliata e costretta a vivere in questo stato per il resto dell’eternità.» «Anzi, di quella che credevo essere l’eternità!» precisò la regina con noncuranza, mentre i suoi capelli dorati splendevano alla luce del sole che penetrava dalla finestra. «E’ per questo motivo che comprendo lo scoramento di ritrovarsi dall’oggi al domani ad essere una fata e a doversi abituare a questa vita e a quello che essa comporta.»
«Ed è per lo stesso motivo, regina Clíona, che mi sento in debito con voi e desidero aiutarvi a sopravvivere.»
«Di sopravvivere in questo stato ne ho abbastanza, mia cara amica. Ho vissuto secoli in questo luogo, sono diventata la regina delle Aes Sídhe per lungo tempo e ora non intendo accettare l’idea che non c’è niente che io possa fare per proseguire il mio cammino. Ma purtroppo è così. E quello che desidero è che nessuno sappia quello che sta accadendo: ci sono fate che non impiegherebbero che pochi istanti a nutrirsi della mia essenza e a prendere il mio posto. Anche se alla fine dovrebbero scontrarsi con il mio stesso problema.» disse Clíona, riluttante.
«Quello che sono venuta a proporvi non è un rimedio temporaneo, bensì una soluzione definitiva.» statuì la fata con orgoglio, andandole vicina.
«Ma che stai blaterando?! Se fosse esistito un modo per salvarmi, l’avrei di certo saputo!»
«Vi assicuro che è così, mia regina!»
«In questo caso, parla! Ti ascolto!» ribatté la regina, scettica.
«Nel lungo periodo in cui siamo state lontane, ho potuto apprendere molte cose che riguardavano gli esseri umani, così come quelli soprannaturali.» iniziò il suo racconto Aingil. «Non conosco i motivi che vi hanno portata ad un passo dalla morte, ma so che la cosa di cui una fata, una Regina delle fate, ha più bisogno è che la sua aura rimanga sempre al massimo del suo vigore. Se dovesse indebolirsi, come accaduto nel vostro caso, servirebbe “rinsaldarla” nutrendosi dell’anima o dell’essenza di altri esseri viventi, proprio come state facendo voi. Ma gli esseri che avete scelto non possono garantirvi alcuna sopravvivenza perché la loro misera esistenza non conta un granché. Invece, altre anime, anime di coloro che hanno fatto incetta di creature magiche nella loro vita, possono garantirvi secoli di tranquillità, se non addirittura l’intera eternità.»
Clíona alzò lo sguardo e fissò Aingil con una tale intensità che ciascuna delle due fate quasi riusciva a specchiarsi l’una negli occhi dell’altra. Meraviglia e sorpresa si impressero sul suo incantevole viso.
«Sei sicura di questa cosa, Aingil? Io non ho mai sentito niente del genere.»
«Non mi sorprende. Voi vivete qui ad Avalon dall’alba dei tempi e siete all’oscuro delle faccende dei mortali. Io, invece, mio malgrado, sono stata in loro compagnia anche per troppo tempo. Ma ciò mi è servito per acquisire preziose conoscenze, come potete vedere. Quando un essere umano uccide una creatura magica, è come se la sua anima ne acquisisse il potere intrinseco. Quante più creature si uccidono, tanto più l’anima si “carica” di questa magia. Ed è proprio di essa che avete bisogno per la vostra sopravvivenza.» continuò a spiegare Aingil.
«Mi stai dicendo che se assorbissi l’anima di un umano che ha ucciso molte creature magiche, la mia essenza di fata accoglierebbe anche tutta questa magia di cui esso è saturo?»
«Precisamente.»
«Ma anche se le cose stessero così, dove troverei degli umani in grado di soddisfare la gran quantità di magia di cui necessito?» domandò Clíona, restia.
«Di questo non dovete preoccuparvi. Ho io qualcuno che fa al caso vostro. Delle mie… vecchie conoscenze, che è ora che paghino per le atrocità che hanno commesso. Miserabili umani!»
«E di chi si tratta?»
«Dei fratelli Winchester! Sam e Dean Winchester!» concluse la fata con un sogghigno malefico in volto.
 
***
 
«Mia regina, una donna, una strega mi sembra di aver capito, richiede udienza con voi!» annunciò Aingil, la fata dai capelli verde menta, entrando di fretta nella sala del trono delle Aes Sídhe.
«Di quale strega stiamo parlando?» sbuffò Clíona, seduta sul trono di cristallo con il viso appoggiato su una mano.
«Di Morgana.»
Clíona, allora, si sollevò di scatto e prestò attenzione alla faccenda.
«Falla accomodare!» disse in tono autoritario.
In quel momento, però, una giovane donna dai lunghi capelli scuri stava già varcando la soglia e con un gesto della mano scaraventò Aingil contro una parete, poco contenta del trattamento diffidente che questa le aveva riservato. Poi si presentò davanti alla regina con un atteggiamento insofferente. L’atmosfera vitale che si respirava ad Avalon si incupì di colpo. Non era tanto la figura debole ed emaciata della strega, né le sue vesti scure, quanto la sua aura magica, che trasudava malvagità e negatività da tutti i pori!
La fata le lanciò una lunga occhiata, carica di stupore ed interesse, prima di consentirle di parlare.
«Come hai fatto a raggiungere questo luogo? Il tuo viaggio deve essere stato lungo e periglioso!»
«Niente affatto! Una nostra amica comune mi ha indicato la via giusta da seguire.»
«A chi ti riferisci, strega?» chiese la sovrana con diffidenza.
«Alla Cailleach!»
La regina fece una smorfia, stupita da quella risposta, ma le bastò per degnare la strega della sua attenzione.
«E cosa ti porta ad Avalon e al mio cospetto, sacerdotessa Morgana?»
«Clíona…»
«Regina Clíona» la corresse.
Morgana la guardò di sottecchi, visibilmente infastidita, poi proseguì.
«Regina Clíona, sono qui per proporvi un patto.»
«Un patto? Che genere di patto?»
«Uno che converrà tanto a me quanto a voi!» replicò Morgana, sogghignando.
«Ti ascolto, sacerdotessa.»
«Non molto tempo fa ho avuto modo di stringere un accordo con la Cailleach. Avevo bisogno di strappare il velo che separa il mondo degli spiriti da quello dei vivi e, per mezzo del sacrificio di mia sorella Morgause, lei ha fatto in modo che ciò accadesse.» spiegò la strega, iniziando a girare a piccoli passi tutt’intorno alla fata. «Tuttavia, la perdita di mia sorella è stato un prezzo troppo alto da pagare. E, per questo, desidero riaverla con me!»
«Posso comprendere la sofferenza che può averti causato questo lutto, ma non vedo come io possa fare qualcosa per risolvere il problema. Non ho il potere di far tornare in vita i morti. Per quello dovresti rivolgerti ad un necromante!» osservò Clíona.
«Un necromante potrebbe riportare indietro solo l’ombra di Morgause, proprio come riuscirei a fare io stessa. No, non è a questo genere di ritorno che mi riferivo! Io voglio che mia sorella torni indietro tale e quale a quella che era prima del suo sacrificio.» sostenne Morgana, convinta. «Per questo, sono tornata sull’Isola dei Beati per affrontare il discorso direttamente con vostra madre, la Cailleach, e proprio da lei ho appreso che, combinando i miei immensi poteri magici con quelli di una fata, potrei essere in grado di far tornare Morgause dal regno degli spiriti.»
«La Cailleach è sempre stata buona e caritatevole con me, come una vera madre, e tale la considero. E’ stata l’unica che mi ha aiutato quando mi sono ritrovata esiliata in questo corpo da fata e mi ha insegnato come sfruttare ogni occasione che mi era stata concessa. Se è stata lei a mandarti qui, non dubito delle sue azioni. Tuttavia, non capisco come io possa esserti di aiuto, Morgana. Come anche tu saprai benissimo, i miei poteri non possono unirsi a quelli degli esseri umani, nemmeno ai tuoi, che sei una sacerdotessa dell’Antica Religione.» spiegò con cautela la fata.
«Non sono venuta a chiedere i vostri poteri, Clíona. Ma a proporvi uno scambio equo. Vedete, la Cailleach mi ha parlato del vostro problema e potrei essere in grado di fare qualcosa per voi.» disse Morgana, lanciandole un sorriso malizioso. «Posso fare in modo che la vostra essenza si rinvigorisca, consegnandovi degli umani che di sicuro fanno al caso vostro, visto il gran numero di creature magiche a cui hanno tolto la vita. In questo modo riuscirei perfino a liberarmi di loro una volta per tutte e voi potreste avere le loro anime.»
Clíona la fissò sgomenta, conoscendo perfettamente la natura manipolatrice di Morgana, che, per raggiungere i propri scopi, era perfino più subdola di una qualunque fata.
«E cosa chiedi in cambio?» le domandò titubante.
«Vi offro l’anima di mio fratello Artù e quella dei suoi cavalieri in cambio dei poteri da fata.»
La Regina delle fate continuò a guardarla di traverso, senza comprendere le reali intenzioni della perfida strega.
«Non preoccupatevi! Non sono i vostri poteri quelli che voglio! Conosco un incantesimo che mi permetterà di acquisire i poteri delle fate, ma deve essere una regina a pronunciarlo per conferirmeli. E so che la vostra specie non fa niente in cambio di niente. Per questo il patto che vi propongo è questo: vi metterò in condizione di condurre al vostro cospetto Artù e i suoi cavalieri per avere le loro anime e, una volta che avrete riacquistato la condizione migliore, pronuncerete l’incantesimo e mi donerete i poteri di fata, così potrò utilizzarli per riportare in vita mia sorella Morgause.» propose Morgana, con piglio autoritario.
Clíona non rispose immediatamente e apprezzò il fatto che la strega le desse il tempo di riflettere e non le facesse pressione in merito. Si rendeva conto che concedere i poteri di una fata ad un essere già tanto potente e quasi invulnerabile come Morgana era un rischio, soprattutto perché metteva a repentaglio l’ordine cosmico tra bene e male. Ma al tempo stesso sapeva di aver bisogno di quante più anime possibile per non soccombere e quelle di Artù e dei suoi cavalieri, al pari di quelle dei due cacciatori indicati dalla fidata Aingil, erano colme della magia di cui lei necessitava per riprendere definitivamente il pieno controllo di sé. Decise, pertanto, che avrebbe corso quel rischio.
«Va bene, Morgana. Accetto la tua proposta.» disse seria. «Mi metterò in contatto con te al momento debito per condurre ad Avalon tuo fratello e i suoi uomini. Solo quando avrò assorbito le loro anime, acconsentirò alla tua richiesta. Ma bada bene! Se qualcosa dovesse andare storto, non ci sarà niente che potrai fare per ottenere i poteri di fata che tanto brami.»
Morgana sogghignò ancora una volta e non rispose, lieta che i suoi argomenti di persuasione avessero sortito gli effetti sperati.
 
***
 
Clíona era ancora immersa nei suoi ricordi quando Aingil entrò nella sala del trono e chiuse la porta con accortezza, strappandola ai suoi pensieri. La loro conversazione non poteva e non doveva essere udita da nessuno, che si trattasse di un umano, di una fata o di un qualunque altro essere presente su quell’isola.
«Mia regina, come intendete procedere con i prigionieri?»
«Non mi resta che aspettare l’arrivo dell’altro Winchester. Altrimenti, il mio piano non potrà compiersi e tutti i nostri sforzi si saranno rivelati vani.» replicò Clíona, cercando di rimanere impassibile, ma non senza che un velo di preoccupazione trasparisse dal suo viso angelico.
«Come avete detto voi poc’anzi, Sam non si farà attendere. Lo conosco bene e so che farebbe di tutto per salvare suo fratello.»
«Lo so, Aingil. Ma temo che potrebbe non aver compreso…» iniziò ad analizzare la Regina delle fate.
«Vi garantisco che ha compreso perfettamente! Dean è sparito davanti ai suoi occhi, non impiegherà molto a correre in suo aiuto.»
«Sei sorprendente, Aingil! Quando ci sono di mezzo i Winchester mostri sempre un incredibile vigore. La tua brama di vendetta nei loro confronti è quasi più grande delle mie necessità!»
«Non immaginate nemmeno quanto li detesti per quello che mi hanno fatto! Ma ora finalmente pagheranno e almeno le loro vite saranno servite ad uno scopo più importante!» rispose Aingil, inchinandosi nuovamente al cospetto della regina.
«Apprezzo la tua lealtà e riconosco che la tua intraprendenza mi è stata fondamentale. Altre fate, al posto tuo, avrebbero approfittato della situazione per prendere il mio posto. Tu, invece, pur custodendo da tanto un’informazione così preziosa, non te ne sei servita.» la lodò Clíona, invitandola a rialzarsi con un gesto della mano.
«Siete voi, e voi soltanto, che servo, mia regina! Abbiamo affrontato tante battaglie insieme e, anche quando siamo state divise per molto tempo, alla fine siamo riuscite a ricongiungerci! E voi mi avete dato la possibilità di vivere al vostro fianco senza pensarci un attimo! Come avrei potuto tradire la vostra fiducia?» proferì Aingil, sicura e lusingata.
«Eri un’alleata preziosa nel luogo da cui entrambe proveniamo e sapevo che lo saresti stata ancora qui ad Avalon. Non mi sbagliavo sul tuo conto, Aingil.»
«Mi avete donato una nuova vita e vi sarò debitrice per sempre. E’ per questo che il vostro piano deve essere portato a compimento, regina Clíona.» aggiunse la fata, compiaciuta. «Piuttosto, non credete che il mago possa rappresentare un ostacolo alla sua riuscita?»
«No, e spero per lui che non s’intrometta nella faccenda.»
«Sapete anche voi che proverà a salvare il suo re e i suoi amici.»
«Già. Ma ho stretto un patto e intendo portarlo a termine. Ne ho bisogno, d'altronde. Solo che io, a differenza di Morgana, sono a conoscenza della vera identità di Emrys e, se non posso fermarlo, so come rallentarlo giusto il tempo che servirà!» disse Clíona, certa.
 
***
 
Una spessa spirale di particelle color cobalto si materializzò all’improvviso sulle sponde del lago di Avalon. Mentre le acque limpide e tranquille sembravano incuranti di quell’energia magica, un ragazzo molto alto con i capelli castani lunghi fino alle spalle apparve all’interno della spirale magica, tenendo in mano una sorta di cristallo trasparente a forma di prisma. I vortici blu rilasciati dalla magia pian piano si dissiparono, divenendo sempre più chiari fino a scomparire del tutto.
Sam Winchester si guardò attorno per capire dove fosse finito e il rassicurante paesaggio lacustre dinanzi a lui lo rasserenò riguardo alla sua destinazione. Il cristallo di teletrasporto che aveva trovato tra le cose appartenute alla strega Rowena MacLeod lo aveva quasi certamente condotto ad Avalon. Mentre si domandava cosa su quell’isola così pacifica e incantata avesse potuto rapire suo fratello Dean, un rumore in lontananza attirò la sua attenzione.
Proprio in quel momento un drago scuro si stava librando in aria, sostenuto dalle sue ampie ali, che si muovevano con rapidità, mentre il vento gli accarezzava il corpo. Lentamente, ma con determinazione, il drago planò verso il basso. Poi, con un ultimo, potente battito, si posò agilmente sul terreno, mentre il suo corpo si sollevò per attutire l’impatto e i suoi artigli affondarono nella terra. Rimase immobile per un momento, come se stesse assaporando la sensazione dell’erba morbida e fresca, poi sollevò la testa e guardò in direzione di Sam. I suoi occhi sembrarono soffermarsi su di lui. Nel frattempo, abbassò il corpo e permise al “viaggiatore” issato sul suo dorso di discendervi. Un giovane esile dai capelli corti e scuri lo accarezzò in segno di ringraziamento e solo allora si accorse della presenza del cacciatore, sorridendogli, non senza una buona dose di stupore da parte sua.
«Sam! Che ci fai tu qui?» chiese.
«Merlino! Sei proprio tu?!» rispose questo, abbagliato dalla visione del drago.
«Sì, chi altri potrebbe chiedere un passaggio ad un drago?» gli sorrise il mago. «Credevo di avervi rimandato nel vostro tempo. Non dirmi che qualcosa è andato storto.»
«No, il tuo incantesimo ha funzionato alla perfezione, grazie ancora. E’ successo qualcosa di strano legato a questo posto. In realtà, non riesco nemmeno io a spiegarmi come faccia a trovarmi nella tua epoca. O forse sei tu che ti trovi nella mia.» disse Sam, incerto.
«Non capisco, Sam! Spiegami cosa ti ha portato ad Avalon e cerchiamo di comprendere quello che è accaduto.»
«Vedi, Merlino, Dean è stato rapito davanti ai miei occhi e credo che l’artefice di tutto sia la fata che ha rilasciato questa polvere dorata» spiegò il ragazzo, mostrandogli il sacchetto di stoffa rossa in cui l’aveva riposta.
Merlino ascoltò con attenzione il racconto di Sam e storse il naso nell’apprendere quelle notizie.
«Anche Artù e i suoi cavalieri sono stati rapiti dalle fate, Sam, e mi trovo qui per la tua stessa ragione.» chiarì, amareggiato, pensando come il rapimento di Dean complicasse ulteriormente tutta la faccenda.
«Tramite un incantesimo e un cristallo di teletrasporto sono riuscito a materializzarmi qui ad Avalon, dove è possibile che tengano prigioniero mio fratello. Ma a questo punto, non so…»
«Non sei in errore, giovane Winchester.» lo interruppe Kilgharrah con gli occhi che gli brillavano di saggezza antica. «L’isola al centro del lago di Avalon è un luogo legato all’origine della magia e, come me e le creature che vi abitano, possiede un potere antico che la fa essere un posto senza tempo. In questo luogo, non esiste un oggi o un domani, ma solo un sempre. Quando si raggiungono queste sponde, il tempo non scorre più allo stesso modo in cui gli umani sono abituati a misurarlo. Esso è eterno, Avalon è eterna. Per questa ragione, pur essendo partiti da due epoche diverse, tu e il giovane mago vi siete ritrovati nello stesso punto, nel punto in cui dovevate arrivare.»
«Stai dicendo che questo è un luogo che funge da ancora per il fluire del tempo, Kilgharrah?» gli chiese Merlino.
«Non un’ancora qualsiasi, bensì l’ancora di tutti i tempi!» replicò il drago con autorità.
«Quindi, è come se ad Avalon tutto il tempo si fosse fuso in un unico infinito istante!» aggiunse Sam.
«Esatto! Avalon esiste e nient’altro ha valore! Esiste nel tempo e nello spazio, ma anche al di fuori di essi. Semplicemente esiste!»
Sam e Merlino annuirono impressionati dalla rivelazione del Grande drago.
«Ora per me è giunto il momento di andare. E’ stato un piacere esserti di aiuto, giovane mago! Giovane cacciatore!» li salutò la creatura con un cenno della testa. «Buona fortuna!»
Poi, dispiegò nuovamente le ali e con uno strattone vigoroso si alzò in volo.
«Grazie, Kilgharrah!» urlò Merlino, mentre il drago agitava con forza la coda e si allontanava a gran velocità.
Sam, nel frattempo, si era messo il cristallo in tasca e si stava incamminando verso il lago per cercare una barca o un qualsiasi altro mezzo che li avrebbe potuti condurre sull’isola di Avalon. Tuttavia, non riuscì ad avanzare di pochi passi che venne sbalzato all’indietro con un volo di un paio di metri, prima di atterrare pesantemente a terra. Solo allora Merlino si accorse di quello che era successo e andò ad aiutarlo. Sam si rialzò lentamente, dolorante e confuso, e si guardò intorno, cercando di capire cosa potesse essere accaduto.
«Non ci è consentito l’accesso al lago, Sam. Non così.» disse Merlino, sicuro. «Una barriera magica invisibile impedisce a chiunque di entrare.»
«Ma allora come faremo a salvare Dean, Artù e i cavalieri, se non ci è permesso raggiungere l’isola?» domandò il ragazzo, disorientato.
Merlino si liberò le spalle dalle cinghie di pelle che erano fissate al bastone magico e strinse saldamente l’oggetto nella mano destra, quasi come se stesse impugnando uno scettro, tenendolo bene in vista per mostrarlo a Sam.
«Facile! Con questo!» rispose in tutta tranquillità.
Puntò l’estremità con il cristallo blu in direzione della barriera e una serie di piccoli lampi dorati fuoriuscirono da esso e si infransero contro il confine invisibile. La barriera divenne di color bianco soffuso e un varco si aprì proprio nel punto colpito da Merlino.
«Ecco! Ora possiamo andare!»

 

Angolo autrice

Un saluto a tutti e un sentito ringraziamento a chi sta leggendo o leggerà questa storia.
Colgo l’occasione per augurare un buon 2024 a tutti voi!

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Capitolo 4
*** In principio ***


In principio

 
«Uffa! Ma quanto ci mette?! Se continua così, dovrò aspettare un’infinità!» bofonchiò Crocker, mentre, nascosto tra le ombre della notte, rivolgeva da lontano l’attenzione all’ingresso di un locale.
Il bar era meno frequentato del solito quella sera di dicembre e il cluricauno aveva pensato che non poteva esserci occasione migliore per avvicinare i fratelli Winchester. Purtroppo per lui, però, solo Dean, il maggiore, si era recato a bere, mentre l’altro non si era mosso dal bunker. Da quel che aveva intuito, il tipo aveva appuntamento con una ragazza molto avvenente. Sfortunatamente, la giovane non si era ancora fatta viva. Finché, ad un certo punto…
«Bingo!» esclamò Crocker, vedendola arrivare.
Così, si precipitò verso di lei e con disinvoltura schioccò le dita. Questa, come in preda ad una perdita di memoria, si guardò intorno senza rammentare perché si trovasse lì. Poi, tornò alla sua auto con uno sguardo confuso, mise in moto e lasciò il parcheggio. Solo allora Crocker, apparentemente un uomo di mezza età, con altezza che non superava il metro e mezzo e con gli occhi scuri e scintillanti, decise di entrare nel locale.
Era piccolo e poco gettonato, con un bancone di legno e un paio di sgabelli. Le pareti erano rivestite in pannelli di legno scuro. Gli scaffali dietro il bancone erano pieni di bottiglie di liquori e il barista stava servendo un cliente. L'aria era un po' viziata e in sottofondo si sentiva la musica leggera e tranquilla dei motivetti natalizi. C'erano solo un paio di persone nel bar, sedute ai lati del bancone, intente a bere e a chiacchierare. Crocker si accomodò di fianco ad un giovane dai capelli corti castano chiaro, particolarmente attento a fissare la soglia ogni volta che la porta si apriva.
«Aspetti qualcuno, amico?» gli chiese incuriosito.
«Una ragazza, ma ormai non credo che arriverà più!» rispose Dean Winchester, bevendo un sorso dalla sua bottiglia di birra.
«Non sai come ti capisco!» ribatté l’altro. «A me succede molto spesso e in modo del tutto inspiegabile!»
Il cacciatore lo osservò e, notando come il suo interlocutore non spiccasse per avvenenza, si limitò ad annuire.
«E per giunta, solo pochi giorni fa ho perso anche il lavoro!» continuò questo, bigio. «Dove ne trovo un altro poco prima di Natale?»
«Ah, ho sentito che al centro commerciale qui vicino stanno cercando delle persone per “L’Angolo di Babbo Natale”. Magari potrebbero assumerti come… elfo?!»
Nonostante le fattezze di quell’uomo richiamassero molto quelle di uno degli elfi natalizi, Dean si pentì subito di quello che aveva appena detto e guardò il tizio con aria mortificata, preoccupato che si fosse offeso. Invece, questo continuò a sorseggiare tranquillamente la sua birra e gli rivolse perfino un sorriso allegro in risposta.
«Sai una cosa?! Credo proprio che domani ci farò un salto!» disse, speranzoso. «Permettimi di ringraziarti, offrendoti il prossimo giro!»
Prima che Dean potesse rispondergli, l’uomo aveva richiamato l’attenzione del barista e gli aveva fatto segno di servire altre due birre.
Avevano passato il resto della sera a conversare e a bere, fino a quando Dean non si era alzato per andare in bagno. Allora, dopo essersi accuratamente guardato attorno, Crocker aveva estratto una piccola fiala da una tasca della giacca di velluto verde scuro e ne aveva versato il contenuto dorato nella sua bottiglia, mimetizzandolo con la birra. Al suo ritorno, lui e Dean avevano continuato a parlare, accompagnando le chiacchiere con una buona dose di bevute fino a tarda notte, quando i due si erano salutati.
Rimasto solo, il cluricauno sorrise soddisfatto. Anche se non era riuscito ad abbindolare Sam, almeno non sarebbe ritornato da Clíona a mani vuote!
 
***
 
Heinze si fermò e si appoggiò ad un albero, esausto.
«Oh, accidenti!» esclamò, piegandosi per l’affanno. «Ma questi cavalieri non si stancano mai di gironzolare tutto il giorno?»
Il cluricauno aveva seguito silenziosamente i Cavalieri della Tavola Rotonda di Camelot per gran parte della giornata, ma non aveva avuto modo di avvicinarli o di scorgere re Artù, né tantomeno di poter avere libero accesso al loro cibo. Così, decise che la maniera migliore di agire sarebbe stata quella di affidarsi a ciò che i cluricauni come lui sapevano fare meglio, ovvero bere, bere e ancora bere.
Aveva appreso che di sera i cavalieri si recavano spesso nella taverna locale per ritemprarsi dalle fatiche quotidiane, così aveva convenuto che quello sarebbe stato il suo obiettivo. Tuttavia, restava ancora un problema da risolvere.
Era, infatti, necessario che anche re Artù si unisse a loro, affinché il suo piano potesse compiersi e potesse averli tutti alla sua mercé. Così, in qualità di viandante, ospite della locanda “The Rising Sun”, aveva instillato nel taverniere Evoric l’idea che sarebbe stato un ottimo richiamo per tanti forestieri se avesse avuto anche il sovrano tra i suoi clienti. Evoric, un omone alto con i capelli corti e biondi, non se l’era fatto ripetere due volte e, avendo annusato la possibilità di lauti guadagni da quella situazione, aveva convinto i cavalieri a coinvolgere anche il re in una delle loro uscite alla città bassa.
Finalmente la sera tanto agognata da Heinze era arrivata e, quando Artù e i suoi uomini avevano fatto il loro ingresso nella taverna, il cluricauno, sotto le mentite spoglie di uno straniero, si era agghindato di tutto punto per confondersi tra la clientela, anche se non era riuscito a nascondere il grosso nasone a patata violaceo, che doveva alle tante sbronze accumulate nel corso degli anni. Un po’ per abitudine, un po’ per scaramanzia, non se l’era sentita nemmeno di lasciare il suo vecchio berretto rosso, compagno di tante avventure e disavventure, nella speranza che lo assistesse nell’impresa.
Rimasto inizialmente in disparte, man mano che le ore passavano e i suoi bersagli diventavano sempre più disinibiti a causa dell’alcol, si era progressivamente avvicinato a loro e aveva iniziato a ridere delle loro storie e delle loro battute.
«E quella maledetta Lamia? Per poco non mi uccideva!» disse sir Elyan, ricordando una delle loro recenti traversie.
«E’ incredibile come avesse un ascendente così forte su tutti noi!» concordò sir Galvano, bevendo un lungo sorso dal suo boccale.
«Non proprio su tutti!» replicò re Artù. «Stando a quello che mi ha raccontato Gwen, lei e Merlino non ne erano succubi!»
«Beh, sì, può darsi!» ammise sir Parsifal, ormai quasi ubriaco.
«Non è stato di sicuro un bell’esempio che quattro cavalieri di Camelot grandi e grossi come voi si siano fatti sopraffare così facilmente.»
Heinze, a quel punto, ritenne che era giunto il momento della sua entrata in scena.
«Domando scusa, signori!» proferì teatralmente. «Ho capito male o voi siete dei cavalieri che difendono la sicurezza di questo regno?»
«No, buon uomo, avete capito benissimo!» rispose Artù, anche lui un po’ alticcio. «Sono proprio dei cavalieri e io sono re Artù, sovrano di Camelot.»
L’uomo gli strinse la mano con enfasi e prese uno sgabello da un tavolo lì vicino per sedersi accanto a loro.
«Ma è meraviglioso, sire! Non sapete quale onore è per me, un povero viandante, fare la vostra conoscenza!» continuò a proferire in modo pomposo, aggrottando le folte sopracciglia grigie. «Non so come ringraziarvi per l’ospitalità che ho ricevuto in questo regno così pacifico e per la sicurezza che questo luogo è riuscito ad infondermi!»
«Mi fa piacere che vi siate trovato bene a Camelot.» aggiunse Artù, compiaciuto.
«Oh, più che bene!» continuò a recitare il cluricauno. «E non vorrei sembrare sfrontato, ma gradirei offrire a tutti voi qualcosa da bere per ricambiare almeno un po’ della gentilezza che ho ricevuto.»
Mentre tutti i cavalieri, ebbri, lanciarono grida di entusiasmo per l’offerta dell’uomo, Artù si limitò a rispondere con un cenno di assenso della testa. Heinze, allora, si recò al bancone e, senza essere visto, lasciò cadere nei boccali un liquido dorato contenuto in una fiala. Sul suo viso scintillò un sorriso beffardo, dimostrando un'ingegnosità senza pari.
Tornato al tavolo, si sorbì altre chiacchiere e altre storie, reagendo con la stessa teatralità mostrata in precedenza, fino a quando li salutò per ritirarsi nella stanza della locanda dove alloggiava.
Se per Artù e i suoi cavalieri quello era stato a tutti gli effetti un addio, per Heinze non poteva che trattarsi di un arrivederci, conscio che l’indomani avrebbe finalmente messo le mani su ciascuno di loro e li avrebbe condotti ad Avalon al cospetto di Clíona.
 
***
 
Il giorno seguente Crocker e Heinze si erano ritrovati davanti alla barriera magica sulle sponde del lago di Avalon, in attesa di potervi accedere. Se Heinze era giunto fin lì con ben cinque prigionieri da offrire alla Regina delle fate, Crocker ne trasportava solo uno, ma la sua essenza stracolma di magia era ben più percettibile di quella degli altri.
Ann, una delle fate più vicine a Clíona, era giunta fino alla barriera d’ingresso per riferire i loro propositi e, avendo ricevuto indicazioni in tal senso direttamente dalla sovrana, aveva aperto il confine magico e aveva consentito loro di raggiungerla per consegnare i prigionieri.
«Credi che la regina ci permetterà di tornare ad Avalon?» chiese Crocker, passeggiando su e giù per la radura verde con le sue scarpe a punta nere con delle grandi fibbie argentate.
«Lo spero proprio!» rispose Heinze, sistemandosi il berretto rosso. «Non ho fatto tutta questa fatica per nulla!»
«Abbiamo portato alla regina quello che ci ha chiesto, in fondo!» continuò il cluricauno, passandosi nervosamente una mano sui capelli rossicci.
«Io sì, tu non so. Mi risulta che fossero due i prigionieri che dovevi portarle!»
«Lo so, ma non è colpa mia se il fratello di questo idiota vive praticamente recluso, senza svaghi o vizi.» rispose, allungando l’indice tozzo verso Dean, che giaceva a terra svenuto e legato. «Comunque, gli ho lasciato degli indizi per attirarlo qui, così da tendergli una trappola. In questo modo Clíona avrà ugualmente quello che desidera.»
«Se lo dici tu!» fece spallucce Heinze, poco convinto.
«Tu, intanto, pensa ai fatti tuoi! E ai prigionieri che hai con te! Se dovesse arrivare il mago a salvarli, non vorrei trovarmi in mezzo alle vostre dispute!» obiettò Crocker, offeso, incrociando le braccia.
«Sei tu che non devi impicciarti dei fatti miei!»
«Cerchi guai, amico?»
Il cluricauno Crocker distese allora le braccia, come per sgranchirle, poi le piegò e mostrò due pugni all’indirizzo di Heinze.
«Avanti, fatti sotto!» lo sfidò, avvicinandosi un po’, ma senza troppa enfasi.
«Osi minacciarmi?!» replicò Heinze, spostandosi a sua volta verso di lui con un paio di rapidi saltelli.
Mentre si stavano fissando con uno sguardo decisamente torvo ed erano sul punto di ingaggiare una rissa, un’eco rimbombò nell’aria come un boato, facendoli tremare e tornare ciascuno accanto al proprio “bottino”.
«Fate silenzio!» tuonò Clíona, furente.
La Regina delle fate aveva una voce dolce, melodiosa ed equilibrata e udirla proferire con quel tono sgraziato e rabbioso fece rabbrividire e irrigidire i due cluricauni litigiosi.
Avvolta dalla sua luminescenza mistica, Clíona apparve davanti a loro e, facendo fluire i suoi lunghi capelli dorati al soffio delicato del vento, iniziò a passeggiare da una parte all’altra, scrutando con interesse gli esseri umani che i due avevano condotto al suo cospetto; la fidata fata Aingil dai capelli color menta la seguiva di qualche passo, curiosa.
«Crocker e Heinze, avete svolto con prontezza il compito che vi ho affidato. Confesso che non ero certa di potermi fidare di voi dopo le gravi colpe di cui vi siete macchiati.» iniziò il suo discorso con fermezza, rivolgendo loro fugaci occhiate cupe. «Vedo, però, che qui manca ancora qualcuno…» aggiunse, fermando lo sguardo su Dean. «Dov’è Sam Winchester?»
«Vostra maestà, non mi è stato possibile raggiungerlo!» si giustificò Crocker. «Ma ho fatto in modo che assistesse alla cattura di suo fratello e sono convinto che verrà a cercarlo. Così, sarà anche lui a vostra disposizione.»
Clíona stava per ribattere, quando fu Aingil a parlare per prima.
«Altezza, ho modo di credere che il cluricauno dica il vero. Conosco i Winchester e si comportano proprio come egli ha detto. Non dubitate che avverrà esattamente questo. Sam non lascerebbe mai Dean nei guai senza provare a fare qualcosa!»
«Bene! Mi fido della tua parola, Aingil. Per questo, per il momento sospendo il giudizio nei vostri confronti.» sentenziò, rivolta ai due cluricauni. «Quando Sam raggiungerà anch’egli Avalon e quando avrò preso finalmente le anime di tutti costoro, solo allora sarete liberi di tornare su quest’isola e le vostre colpe saranno perdonate.»
«Vostra maestà, io ho portato a termine il mio compito e vi ho consegnato niente meno che re Artù di Camelot in persona e i suoi cavalieri più fidati.» disse Heinze, timoroso, guardandola con supplica. «Non potreste far tornare almeno me ad Avalon?»
«No!» esclamò Clíona, decisa. «Tu e Crocker avete tolto la vita ad un’altra creatura di quest’isola e, pertanto, la legge magica in vigore in questo luogo prevede che ne siate banditi a vita. Tuttavia, un’azione meritevole potrebbe spingermi a concedervi la grazia di cui avete bisogno per tornare dal vostro esilio. Ma questo avverrà soltanto dopo che io avrò ottenuto quello che desidero, nella sua totalità! Quando si condivide la colpa, si condivide anche il perdono. Tienilo bene a mente, Heinze!»
«Ma io non ho forse rispettato il vostro volere? Non ho forse fatto quanto avete chiesto?» domandò servilmente Heinze.
Aingil si avvicinò a lui con fare minaccioso e lo prese per il bavero della giacca.
«La nostra regina si è spiegata fin troppo bene e, se è la sua grazia quella che cerchi, ti consiglio di attenerti a quanto ha deciso. Quando sarà il momento, tu e il tuo amico potrete fare ritorno ad Avalon, non un istante prima di allora!» proferì la fata in tono arrogante. «Sono stata chiara?»
«Cristallina!» disse Heinze, riluttante, chiudendo la bocca.
«Aingil, ti chiedo la cortesia di accompagnarli nella mia dimora e di assicurarti che rimangano lì fino a nuovo ordine. Non voglio problemi con gli altri schieramenti fatati o con qualunque altro essere magico, ma questi due possono tornarmi utili nel prosieguo del mio piano.» ordinò Clíona.
«Naturalmente, mia regina. Me ne occuperò io. Non avete di che preoccuparvi!» la rassicurò l’altra fata, rivolgendole un mezzo inchino.
Aingil prese i due cluricauni per le braccia e si avviò in direzione della magione delle fate. D’un tratto si fermò di colpo e si voltò verso Clíona.
«E con loro cosa avete intenzione di fare adesso?»
«Niente, per ora. Almeno fino a quando anche Sam Winchester si unirà a noi.» disse, convinta e con un tono quasi beato. «Lasciamo che abbiano il tempo di risvegliarsi e di capire. Che si godano questa meravigliosa isola e questi bei momenti perché saranno anche gli ultimi per loro!»
 
***
 
«Merlino, hai la più pallida idea di dove stiamo andando?» chiese Sam, dopo che i due stavano camminando in mezzo ad una rigogliosa e verdeggiante foresta da almeno un paio d’ore. Nonostante il luogo ombroso, l'aria era fresca e profumata degli aromi più gradevoli di fiori, in parte sconosciuti, e il canto melodioso di alcuni uccellini suscitava quiete e tranquillità.
«Non proprio, Sam. No!» ammise il mago con dispiacere. «Questo posto è nuovo anche per me. E’ la prima volta che vengo su quest’isola e non so nemmeno se questa foresta interminabile possa essere il frutto di una qualche magia di illusione.»
«Non potresti usare i tuoi poteri?»
«Lo sto già facendo!» rispose, mentre i suoi occhi si illuminarono nuovamente di una luce dorata. «Ma ogni volta la strada da percorrere che mi indicano è proprio questa!»
«Mmh!» mugugnò il cacciatore, stufo di camminare a vuoto e inquieto per le sorti di suo fratello.
«Non preoccuparti, Sam! Raggiungeremo presto Dean, Artù e gli altri. Non dubitarne!» cercò di fargli coraggio Merlino.
«Sempre a patto che riusciamo ad uscire da questa foresta!» borbottò ancora Sam.
«Guarda, Sam! Credo che quella sia l’uscita. Lì, davanti a noi, dietro a quegli alberi secolari.» esclamò all’improvviso il mago, rassicurato.
Sam fissò il punto indicatogli da Merlino e notò come più avanti rispetto a dove si trovavano in quel momento ci fosse una strana apertura, delimitata da quelli che sembravano due alberi di frassino che si curvavano in maniera anomala. Gli alberi erano fitti e alti e i rami si intrecciavano, formando una volta verde scuro. Sembrava che avessero creato un passaggio appositamente per qualcuno o qualcosa. Man mano che si avvicinavano, si percepiva un'aria diversa, più densa e carica di energia; ogni albero sembrava pulsare di vita. Era come se quel posto fosse vivo. Sul legno che si intesseva fino ad assumere la forma di un arco erano incisi degli strani simboli antichi, delle rune. Sam diede loro un’occhiata, ma non riuscì a decifrare l’iscrizione, mentre Merlino le osservò con particolare attenzione prima di riprendere in mano il bastone magico degli Sidhe.
«Conosci queste rune, Merlino?» gli domandò Sam.
«Sì, ne parla un libro di magia che Gaius mi ha regalato quando sono arrivato a Camelot. Se non ricordo male, dovrebbe trattarsi di un rituale dell’Antica Religione per impedire a chi non aveva la magia di addentrarsi in particolari luoghi ritenuti inviolabili.» spiegò il mago, concentrandosi per ricordare l’incantesimo che gli avrebbe permesso di oltrepassare la volta.
«Quindi, se non ti avessi incontrato sulle sponde del lago di Avalon, non avrei potuto salvare Dean?» osservò Sam, incupito.
«Probabilmente no. Anche se qualcosa mi fa pensare che abbiano lasciato volutamente delle tracce, affinché tu lo seguissi in questo posto. Altrimenti, come avresti potuto scoprire in così poco tempo chi aveva rapito tuo fratello e dove lo aveva portato?» disse Merlino, distrattamente, soffermandosi a riflettere sul significato delle rune.
«Fantastico! E’ una trappola!» convenne Sam, allargando le braccia.
«E’ probabile!» rispose Merlino, scuotendo il capo e arricciando le labbra. «Direi che stiamo per scoprirlo!»
Il mago ripeté nella testa la formula per oltrepassare il varco alberato, mimando le parole in lingua antica con la bocca.
«Allora, vediamo!» «Forþġestīġ, āfind sōþ!»
Mentre pronunciava l’incantesimo, i suoi occhi si illuminarono e lo stesso identico bagliore circondò di calda luce dorata i rami che costituivano la volta dell’arco, facendola risplendere. Una specie di velo trasparente sembrò levarsi e fluttuare via dall’uscita della foresta magica, liberando il passaggio ai due giovani.
«Possiamo attraversarlo, adesso.» disse Merlino, sicuro, increspando la bocca a formare un tiepido sorriso, mentre Sam osservava stupefatto la grandezza della sua magia.
Oltrepassarono quell’ennesima barriera che delimitava la foresta, Merlino avanti e Sam subito dietro di lui di pochi passi fino a quando si ritrovarono nel bel mezzo di una radura lussureggiante, che sembrava brillasse ovunque di luce verde.
«Ah!» esclamò all’improvviso Sam. «E’ accecante!»
«Cosa?» domandò Merlino, voltandosi verso di lui.
«Questa luce! A te non dà fastidio?»
«Quale luce?» chiese ancora il mago.
«La luce verde.» replicò Sam, parandosi gli occhi con una mano. «Tu non la vedi?»
«No, Sam!» disse Merlino, guardandosi intorno. «Credo che sia un effetto di questo posto. Aspetta!» «Swaþra!»
La luce sfolgorante che stava torturando la vista di Sam si quietò all’improvviso, facendosi fioca e rilassante. Il paesaggio divenne incantevole ai suoi occhi. Sulla destra c'era un ruscello che scorreva armoniosamente e rifletteva il verde della radura; appena più in là c'era una piccola cascata che scendeva dolcemente da una collinetta. L'acqua era limpida e cristallina e il suono della cascata riempiva l'aria.
«Ti ringrazio, Merlino!» disse il ragazzo, mentre gli sembrò di scorgere qualcosa in lontananza. «Guarda laggiù!»
Il mago osservò con attenzione e si portò una mano alla bocca per l’incredulità: sei persone giacevano a terra, imprigionate da funi che legavano loro mani e piedi.
«Credi che siano loro?» lo incalzò Sam.
«Chi altri? Dobbiamo raggiungerli immediatamente, Sam! Andiamo!»
Merlino prese di nuovo in mano il bastone ma, prima di mettersi a correre nella loro direzione, fece brillare gli occhi per usare su di esso la sua magia.
«Āċiere
Il bastone magico appartenuto agli Sidhe mutò immediatamente la sua forma, trasformandosi in una spada, uguale in tutto e per tutto a quelle contenute nell’armeria di Camelot.
Mentre Merlino si apprestava a raggiungere i sei prigionieri, Sam si fermò un attimo e si guardò intorno perché, nonostante la soavità di quel luogo incantato, percepiva che qualcosa non andava e si sentiva osservato. Non notò niente che confermasse i suoi timori, ma continuò a fissare con attenzione ogni angolo di quel posto.
Poi, scosse la testa e si affrettò a seguire di corsa il mago, ricordando che il motivo per il quale si era recato ad Avalon era solo ed unicamente la salvezza di Dean.
A quel punto, senza che il ragazzo potesse averne il sentore, da dietro un cespuglio si sollevò piano una figura esile con dei grandi occhi verdi che gli lanciò contro uno sguardo carico di odio.
«E’ l’ora della resa dei conti, Sam Winchester!» proferì in tono rabbioso, mentre vedeva il cacciatore allontanarsi per ricongiungersi a suo fratello.

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Capitolo 5
*** Anime perdute ***


Anime perdute

 
«Artù!» gridò forte Merlino per richiamare la sua attenzione, non appena riconobbe il profilo del sovrano.
«Merlino?!» si domandò il re, incredulo nel veder apparire all’improvviso il suo servitore.
«State tutti bene?» chiese il mago, quasi senza fiato, piegandosi sulle ginocchia per riprendersi dalla corsa forsennata.
«Merlino! E tu che ci fai qui?»
«Mi sembra chiaro! Sono venuto a salvarvi!» annaspò ancora alle prese con lo sforzo.
«Salvarci? Tu?! Ma come ti salta in mente?» disse Artù, riluttante, fissandolo con reticenza.
«Beh!» si limitò a commentare il servo, allargando le braccia come a mostrare la situazione in cui erano.
«Come hai fatto a trovarci?» gli domandò, allora, sir Galvano.
«Già!» concordò Artù. «Come hai trovato questo posto?»
Merlino rimase un attimo sovrappensiero, preoccupato di tradirsi in qualche modo e di far scoprire la sua magia.
«Gaius!» esclamò di colpo. «E’ stato lui a dirmi dove avrei potuto trovarvi. Gli ho raccontato quello che avevo visto con i miei occhi quando siete spariti tutti in quella luce fortissima e mi ha detto che probabilmente erano state le fate a rapirvi e a condurvi sull’isola di Avalon.»
Artù annuì e si convinse della sua spiegazione.
«Già che sei qui, allora, aiutaci a liberarci da queste corde!» disse sir Elyan, strattonandole con forza con le spalle.
Il mago fece per slegare il cavaliere, ma si accorse immediatamente che le corde non cedevano, così sfilò dalla tasca destra una lama simile a quella di un coltello e si apprestò a reciderle. Purtroppo, anche questo tentativo risultò vano.
«Quanto ci metti, Merlino?» borbottò Artù. «Possibile che anche in una situazione di pericolo come questa tu sia tremendamente lento?!»
«Ci sono quasi!» rispose il servo.
Si chinò per far credere a tutti di stare imprimendo maggiore forza per allentare i nodi, ma il suo vero scopo era quello di non farsi notare mentre usava i suoi poteri. Sapeva che quello era l’unico modo per liberare tutti, così da dietro la schiena di Elyan fece brillare i suoi occhi e la sua magia fece il resto. Mentre quelle prime corde cedevano, scivolando a terra, Sam li raggiunse, anch’egli affaticato per aver corso.
«Stanno tutti bene?» chiese a Merlino, ricevendo una risposta affermativa con un cenno del capo da parte del mago, ora intento a liberare sir Leon.
«Sammy, come sei finito qui?» gli disse Dean, molto confuso, non appena lo vide.
«E’ una storia lunga, Dean, e non ho molta voglia di raccontarla!» tagliò corto il ragazzo, limitandosi a salutare con un gesto della mano Artù e i suoi cavalieri e a porgere a Dean un pugnale angelico.
«Che ti prende, Sam?» lo incalzò il fratello.
«Prendilo. Non si sa mai! Credo stia per succedere qualcosa di strano in questo posto. Voi, piuttosto, siete riusciti a scoprire niente da quando siete qui?»
I prigionieri, a turno, raccontarono dello strano risveglio in quel luogo così misterioso, della comparsa della Regina delle fate e dell’insolita fata dai capelli color menta che la accompagnava come un segugio.
«Così, questa fata ha menzionato Castiel e ha detto che stava aspettando che io vi raggiungessi?»
«Aspetta un attimo. Chi è questo Castiel?» s’intromise sir Galvano.
Sam e Dean si guardarono perplessi, sapendo benissimo di non poter rispondere che Castiel era un angelo e che ora era in Paradiso come aiutante di Jack. Le cose da spiegare sarebbero state troppe e i punti poco chiari molti di più. Per questo Dean si limitò a dire:
«Un nostro amico!»
Il cavaliere annuì, convinto.
«E’ andata proprio così!» confermò, poi, il ragazzo al fratello.
«Vuol dire che ci conosce! Che sa delle nostre vite e quello che facciamo.» constatò Sam. «E forse l’abbiamo già incontrata prima d’ora… nel nostro lavoro!»
«Ma è impossibile!» esclamò sir Parsifal, stupito. «Voglio dire, se vi foste imbattuti in lei in passato l’avreste notato! E come potevate avere a che fare con una fata?!»
«Ahm…!»
«In verità, è possibile, Parsifal!» rispose prontamente Merlino, che aveva notato la difficoltà dei Winchester a dare una spiegazione al grosso cavaliere biondo. «Gaius sostiene che alcuni esseri fatati siano abilissimi a mescolarsi tra la gente, senza che nessuno riesca a scoprire la loro vera identità. E’ uno dei modi con cui scelgono le loro prede! Infatti, mi sembra di aver capito che Dean non l’avesse riconosciuta, no?»
Il cacciatore scosse la testa, pensieroso.
«Fantastico!» urlò Artù, arrabbiato. «Ci mancava solo questa. Siamo diventati tutti esche per fate! E a quale scopo, poi?»
«Sempre Gaius afferma che si cibano di anime. Evidentemente le vostre anime hanno qualcosa che le ha attratte!» spiegò il servo, cercando di minimizzare il discorso che implicava allusioni specifiche alla magia.
«A questo punto conviene andarcene via di qui alla svelta.» sostenne sir Leon, dopo che erano stati liberati tutti.
«Sono d’accordo.» gli fece eco Artù, che, poi, si rivolse a Merlino e a Sam. «Voi sapete come uscire da questo posto?»
«Dobbiamo tornare indietro, nel punto da cui siamo arrivati.» rispose il primo. «Una volta lì, potremo provare a…»
La sua risposta fu interrotta da un forte ronzio. Clíona, la Regina delle fate, non si mostrò loro, ma ebbero ugualmente modo di udirla e di percepirne le intenzioni bellicose.
«Non avete ancora capito che non andrete da nessuna parte?» proferì in tono velenoso, mentre tutti guardavano da una parte all’altra, cercando di coglierne la posizione con lo sguardo. «E ora che siamo finalmente tutti qui, è giunto il momento di rendervi utili alla mia causa, di dare un senso alle vostre insulse vite, che finora non hanno fatto altro che combattere i miei simili!»
«Ci hai condotto qui per punirci?» chiese Artù ad alta voce, in modo leggermente sarcastico.
«Artù, lasciate perdere!» intervenne Merlino, scoraggiato, colpendosi la fronte con una mano, preoccupato che il temperamento del sovrano avrebbe potuto peggiorare la situazione.
«No, Merlino! Non lascio perdere! Questa creatura…, questa fata, sostiene di volerci uccidere per ripagare i torti subiti dalla sua specie. Ma, anche se in tutta Camelot la magia è bandita da molti anni, nessuno di noi ha mai dato la caccia agli esseri che non si sono rivelati una minaccia per il regno.»
«Non gli avete dato la caccia, ma non avete nemmeno esitato a condannarle a morte quando ve ne siete trovati davanti una!» ribatté Clíona, stizzita. «E ora sarete ripagati con la stessa moneta!»
«Fatti vedere, puttana!» esclamò, allora, Dean, furente. «E ripeti queste cose guardandoci in faccia, se ne hai il coraggio!»
Una risata di scherno riecheggiò forte per tutta la radura.
«Non crederai di poterti prendere gioco di me in questo modo, cacciatore. Anche se devo dire che ero stata avvisata sulla tua indole!» disse ancora Clíona, apparentemente più calma. «Qui le regole le faccio io e mi mostrerò quando lo riterrò opportuno. Non vi ho condotto ad Avalon per sorbirmi discorsi sulla giustizia e sull’onestà. Se volete sfidarmi, fate pure! Vi aspetto!»
Clíona aveva appena terminato di pronunciare quelle parole che su tutto il gruppo scese all’improvviso una fitta nebbia, tanto che divenne impossibile a ciascuno riuscire a vedere al di là della propria persona.
 
***
 
«Mia Regina, non credete di aver esagerato?» chiese Aingil, preoccupata, mentre passeggiava nella sala del trono dove si trovava Clíona e da dove aveva mandato il suo messaggio ai prigionieri. «Se qualcosa dovesse andare storto, se qualcuno di loro dovesse perdere accidentalmente la vita…»
«Finiscila con tutte queste paure, Aingil!» la rimproverò la regina. «C’è la mia vita in gioco, non la tua. Possibile che tu non abbia ancora capito?»
«Capito, cosa?»
«Ora che sanno chi li ha condotti qui e perché, non esiteranno a darmi la caccia in lungo e in largo per tutta l’isola e io ne approfitterò per frapporre degli ostacoli tra me e loro. Se qualcuno sarà sul punto di soccombere, uno di quei due sciocchi cluricauni lo condurrà da me e assorbirò in men che non si dica la sua anima. In caso contrario…»
«…avranno l’occasione di uccidere tutti gli esseri magici che impediranno loro il cammino, accrescendo ancora di più la magia della loro anima prima che ve ne impossessiate!» terminò la frase Aingil, comprendendo finalmente le intenzioni di Clíona.
«Come vedi, Aingil, a prescindere da qualunque cosa sceglieranno di fare, io vincerò comunque!»
 
***
 
La nebbia aveva iniziato ad avvolgere ogni cosa, limitando la vista. Era una nebbia particolare, densa e pesante, che sembrava voler prendere possesso di tutto quello che incontrava. Era una nebbia che non permetteva né di vedere né di respirare. Tutto era circondato da quel manto grigio e impenetrabile. Sembrava di essere in un altro mondo, senza luce e senza speranza; sembrava che l’isola incantata che si estendeva florida davanti agli occhi non fosse che una mera illusione. Ciascuno degli otto giovani presenti in quel luogo era in grado solo di sentire il proprio respiro e il proprio cuore che batteva forte. In quella situazione era impossibile riuscire ad orientarsi. Camminare in quella nebbia era come camminare in un incubo, senza sapere come muoversi o dove mettere i piedi.
«Artù?» fu di Merlino la prima voce che si riuscì ad udire.
«Merlino!» replicò il re. «Dove sei?»
«Non lo so! Non riesco a vedere nulla. Attorno a me c’è solo nebbia!»
«Sammy, stai bene?» domandò, allora, Dean, in cerca del fratello.
«Sì, ma non riesco a muovermi da qui. Non si vede niente e non so dove andare!»
«State tutti bene?» chiese Artù, preoccupato di non sentire le voci dei suoi cavalieri.
«Io sì, sire.» rispose prontamente Parsifal.
«Anch’io!» gli fece eco Elyan.
«Io, invece, no.» ribatté Galvano, seccato. «Ho sbattuto contro qualcosa, ma non so di cosa si tratti!»
«Non farci caso! E’ solo il tuo ego!» lo schernì Elyan, suscitando le risate di tutti.
«Ti sei fatto male, comunque?» chiese ancora il sovrano.
«Ne ho viste di peggio in passato!»
«E Leon?!» si domandò Artù, in apprensione. «Leon? Puoi sentirmi?»
«Sì, sire.» si udì rispondere debolmente da un punto in lontananza.
«Come facciamo ad andarcene di qui, adesso?» chiese Galvano, irritato e provato.
«Come facciamo anche solo a fare un passo senza cadere a terra, vorrai dire!» lo rimbeccò Artù.
«Aspettate, vedo qualcosa!» esclamò di colpo Merlino.
«Cosa?»
«Una scia luminosa e dorata che procede in modo irregolare.» spiegò il mago.
«Ora la vedo anch’io!» disse Dean.
«Sembra anche a me di vederla!» aggiunse Parsifal, entusiasta.
«Quelli di noi che la vedono, dovrebbero seguirla e sperare che conduca in salvo o, quantomeno, in un posto migliore di questo!» convenne il maggiore dei Winchester.
«Non sarà pericoloso?» domandò Merlino, prudente. «Voglio dire, non ci condurrà dritti in trappola?»
«Se non l’avessi notato, Merlino, noi siamo già in trappola!» lo redarguì il sovrano di Camelot. «Seguiamo quella benedetta scia e vediamo dove ci porta!»
Artù, allora, estrasse lentamente la spada dal fodero, con uno scintillio argenteo che risplendette in quella coltre grigiastra, e si preparò ad avanzare con attenzione. Anche gli altri cavalieri lo imitarono, sfilando con grazia le rispettive spade e brandendole con orgoglio. Sam e Dean impugnarono saldamente i loro pugnali angelici, mentre Merlino strinse tra le mani il bastone che aveva trasfigurato in una spada, ma che non aveva perso le sue doti magiche. Non sapevano chi o cosa li attendesse alla fine di quel percorso, ma sapevano che dovevano proseguire. Quella scia luminosa era una scintilla di speranza in una notte senza stelle e non potevano lasciarsela sfuggire, ovunque essa conducesse. Senza esitare, iniziarono a seguirla, mentre la luce li guidava in avanti.
 
***
 
L'aria era dolcemente profumata dalle fragranti essenze delle piante, dei fiori e degli alberi. Il sole era tornato a splendere nel cielo azzurro senza nuvole, inondando la terra di una luce abbagliante. Non c’era più alcuna traccia della densa nebbia che all’improvviso era scesa su di loro, quando re Artù raggiunse una stradina costeggiata di erba fresca e fiori colorati. Si guardò intorno e non vide anima viva: doveva essere stato il primo ad oltrepassare la coltre brumosa. Poco dopo anche Sam sopraggiunse dalla stessa direzione imboccata dal sovrano.
«Non avete incontrato nessun altro?» gli domandò, perplesso.
«No, tu sei il primo.» notò Artù.
«E’ strano, così come è strana tutta quest’isola!» sbottò Sam, infastidito.
A quel punto fu sir Leon a sbucare dalla stessa via, seguito di qualche passo dal ragazzone grande e grosso quale era sir Parsifal.
Attesero invano che qualcun altro li raggiungesse e, mentre stavano per tornare indietro per accertarsi che gli altri non avessero bisogno di aiuto, un omino dai capelli rossi e dalle scarpe nere a punta con le fibbie argentate, apparve nel bel mezzo di quel sentiero.
«Non aspettate e non cercate!» esclamò con veemenza. «Tanto non arriveranno!»
«Che significa?» domandò Sam.
«Che non sono qui! Hanno seguito un’altra strada e, se tutto andrà bene, li rivedrete alla fine di questo percorso, altrimenti mai più!» spiegò il cluricauno Crocker. «Comunque, è un sollievo sapere che ci sei anche tu, Sam, altrimenti me la sarei vista davvero brutta!»
Sam gli si fiondò addosso, ma il cluricauno schioccò le dita e fece appena in tempo a spostarsi prima che il cacciatore riuscisse ad afferrarlo.
«Calma, ragazzo! Non alterarti!»
«Che volevi dire prima?»
«Oh, è molto semplice. Avevo il compito di condurre te e tuo fratello su quest’isola, ma solo quel credulone si è fatto raggirare dalle mie chiacchiere e dall’alcol che gli ho offerto! Una bevanda speciale!» rammentò, facendo illuminare i suoi viscidi occhietti scuri.
«Hai portato qui anche noi?» s’intromise Artù.
«Oh no, Vostra Maestà!» rispose, facendo un inchino plateale rivolto al re. «Quello è stato compito di un altro della mia specie. Io non ho avuto il piacere…»
«Brutto insulso, piccolo…» lo offese Parsifal, mentre riuscì ad afferrarlo per il collo della giacca verde e a sollevarlo.
«Non ti conviene farmi del male, bestione! Altrimenti la tua vita potrebbe finire proprio qui, in questo momento!» lo canzonò Crocker con un ghigno perfido.
«Parsifal, mettilo giù!» gli ordinò Artù, preoccupato per il suo cavaliere, provando a capire qualcosa in più riguardo a quella situazione. «E cosa dovremmo fare a questo punto?» domandò al cluricauno.
«Oh, è facile! Vi spiegherò tutto come si deve!» rispose questo, sfregandosi le mani.
 
***
 
«Ma dove diavolo mi trovo?» si domandò Dean, guardandosi intorno. «E dove diavolo sono finiti tutti?»
Il sole splendeva alto nel cielo e il suo calore era confortevole. I raggi caldi gli accarezzavano la pelle. Tutto riluceva lì intorno. L'aria era limpida e frizzante e la nebbia che aveva avvolto ogni cosa sembrava essersi dissipata da un istante all’altro senza una spiegazione ben precisa. Del resto, quello era un luogo magico e non era immaginabile comprenderne a fondo le leggi che lo governavano.
Ma fu proprio questo particolare a rendere ancora più inquieto Dean, che ormai aveva a che fare con quel genere di cose da molto tempo e sapeva alla perfezione che in posti come quello tutto era possibile. I suoi pensieri furono interrotti dal sopraggiungere di Merlino, che scrutava guardingo ogni angolo di paesaggio, come se qualcosa di terribile stesse per sbucare fuori da qualche parte da un momento all’altro.
«Merlino!» esclamò Dean per attirare l’attenzione del mago.
«Dean! Scusa, ma non ti avevo visto. Non c’è nessun altro qui, a parte noi due?»
«No! Non si è visto ancora nessuno!»
«Speriamo che non sia successo loro niente di male.» convenne Merlino, preoccupato, guardando indietro verso il punto da cui era venuto.
«Sembri molto provato. Magari dovresti fermarti a riposare all’ombra di uno di questi alberi…»
Il mago scosse la testa con vigore.
«No, sono troppo in apprensione. Riposerò quando questa faccenda sarà finita e ognuno di noi sarà al sicuro.»
In lontananza apparvero due profili illuminati dalla luce del sole e non fu possibile distinguerli fino a quando non furono molto vicini. Si trattava di sir Elyan e di sir Galvano, che discutevano pacatamente a proposito di quel luogo e della nebbia che si erano appena lasciati alle spalle.
«Merlino, è un piacere rivederti!» disse Galvano, dandogli una piccola pacca sulla spalla.
«Anche per me, Galvano. State bene?»
I due cavalieri annuirono convinti, anche se era evidente che la stanchezza stesse prendendo il sopravvento su di loro, tanto che Galvano sprofondò nell’erba alta e morbida, cercando di trovare ristoro alle sue fatiche.
«Ah! Chi potrebbe mai pensare che un posto incantevole come questo possa nascondere così tante insidie?» disse, mettendosi a sedere.
«E’ a questo che servono posti del genere, a confondere e a ingannare.» rispose Dean, imitandolo e accomodandosi sull’erba.
«Chissà che fine hanno fatto gli altri!» osservò Elyan, voltandosi indietro per dare un’occhiata.
«Non fatevi troppe domande, tanto non arriveranno!» si udì una voce quasi gracchiante in risposta.
Tutti e quattro iniziarono a guardarsi intorno con frenesia, cercando di capire da dove provenisse quella voce e a chi potesse appartenere.
All’improvviso, un omino con un berretto rosso comparve non molto distante da loro e si mise a scrutarli con curiosità.
«Ehi! Ma tu sei quello che ieri sera ci ha offerto da bere alla taverna! Ti ho riconosciuto!» esclamò Elyan, adirato.
«Lieto di aver lasciato un buon ricordo, cavaliere.» disse il cluricauno Heinze, mimando una sorta di inchino.
«Sei tu che ci hai attirato in questa trappola? Come hai fatto?» domandò Galvano, alzandosi di colpo e guardandolo torvo.
«Quanta enfasi! Non c’è nessun bisogno di alterarsi troppo, anche perché sareste i soli a farne le spese.» ribadì Heinze, invitando alla calma. «Sì, sono io che vi ho condotti qui, voi due cavalieri, intendo. Il resto non è affar mio. E’ bastato “addolcire” un po’ le vostre bevande e voilà
«Perché siamo qui?» chiese Dean, furente.
«Io eseguo soltanto gli ordini che mi sono stati dati. I motivi non rientrano nella mia conoscenza.»
«Ma ora perché sei qui? Dev’esserci qualcos’altro che vuoi da noi, no?» domandò Merlino, titubante e poco convinto dal comportamento dell’essere magico.
«Ovviamente. Sono qui per mettervi alla prova e capire se siete in grado di passare oltre o di perire su questo sentiero così soleggiato!» li stuzzicò.
«Dicci una volta per tutte cosa diavolo vuoi, figlio di puttana!» gli intimò Dean, puntando verso di lui il pugnale che aveva in mano.
«Sfidarvi! Mi sembrava chiaro. Se vincerete, avrete libero il passaggio, altrimenti la vostra misera esistenza si fermerà in questo luogo.» illustrò il cluricauno. «La paura di uno sarà la paura di tutti. Allora, chi si fa avanti per primo?»
Galvano gli andò incontro deciso e con la spada sguainata.
«Andiamo. Finiamola qui.»

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Capitolo 6
*** Il momento della verità ***


Il momento della verità


«Che significa?» domandò Merlino, incredulo. «Galvano, aspetta! Non ti avvicinare a lui!»
Il cavaliere gli fece cenno che andava bene così e avanzò, fermandosi a non più di un paio di passi dal cluricauno. Merlino lo fissò, terrorizzato. Apprensione e trepidazione si impadronirono di lui quando vide il suo amico farsi sempre più prossimo al folletto. Il suo cuore batteva forte nel petto mentre cercava di pensare a qualcosa che potesse aiutarlo, ma non riusciva a trovare nulla. Non senza usare la magia e rivelare i suoi poteri a tutti. Rimase a guardarlo, impotente, mentre la sua mente correva a mille. Galvano, dal canto suo, sembrava fin troppo sicuro di sé. Il barlume di spavalderia che lasciava intravedere nei suoi occhi scuri era un modo con cui scacciava i brutti pensieri e si convinceva che tutto sarebbe andato per il meglio, che era solo un’altra prova da affrontare e superare per dimostrare di meritare di essere un cavaliere della Tavola Rotonda. Aveva paura di rimediare un’inevitabile sconfitta, ma affrontare anche quella sfida con coraggio era l’unico modo per non fallire. Avrebbe combattuto fino all'ultimo respiro perché quella era la loro unica possibilità di salvezza.
Il tempo sembrava procedere a rallentatore e Merlino, se da un lato si fidava del fatto che Galvano fosse abbastanza forte e determinato da affrontare qualsiasi cosa gli si parasse davanti, dall’altro temeva per la sorte del suo amico e decise che non poteva semplicemente starsene fermo a guardare. Doveva fare qualcosa per aiutarlo, anche se non sapeva ancora cosa. Nello stesso momento in cui sollevò verso Heinze la spada trasfigurata per lanciargli un incantesimo, il cluricauno scomparve in uno scintillio brillante, lasciandosi dietro una risata acida.
«Ma che diavolo succede in quest’isola?» borbottò Dean, al limite della sopportazione per via di quei giochetti mentali che tanto odiava. «Sono impazziti tutti?»
Merlino rimase immobile con la spada alzata non sapendo cosa pensare e, quando stava per aprire bocca, le parole gli rimasero ferme in gola.
Un ululato terrificante e agghiacciante riecheggiò potente lungo quel sentiero, facendo trasalire i quattro e stordendoli.
«Ma che cos’era?» domandò sir Elyan, sconvolto.
«L’urlo di una banshee!» rispose Dean, scuotendo la testa.
«Di una che?»
«Di una banshee. E’ una creatura magica che si dice porti sventura. Il suo urlo è un presagio di morte e c’è chi sostiene che quello stesso suono sia in grado di uccidere chiunque lo ascolti.» spiegò il cacciatore, preoccupato.
«Beh, ma non è stato così.» s’intromise Galvano. «Siamo ancora tutti vivi, o sbaglio?»
«Tu non avevi paura delle banshee, immagino.» disse Merlino riluttante.
«Merlino, io non sapevo nemmeno cosa fosse una banshee fino a quando Dean non ce lo ha spiegato un istante fa.»
«Quindi, quell’urlo non faceva parte della prova a cui si riferiva quello strano tipo…» convenne Elyan.
«Temo proprio di no. Semmai era una minaccia di morte.» analizzò Dean, di sicuro molto più esperto dei due cavalieri sull’argomento.
All’improvviso, un rumore spaventoso squassò l'aria. Il terribile fragore di una gigantesca creatura in avvicinamento sembrò scuotere la terra stessa. Il suo verso era stridente e maledettamente familiare, così come il fetore nauseabondo che emanava, mentre il suolo tremava sotto le sue zampe. La creatura, una bestia feroce che veniva da un mondo lontano e oscuro, sembrava quasi voler annientare tutto ciò che incontrava sul suo cammino.
Era un Wilddeoren gigante, un esemplare molto più grosso di quelli con cui avevano avuto a che fare in passato a Camelot.
«E quello che diavolo è?» domandò Dean, strabuzzando gli occhi.
«Un Wilddeoren! Uno molto grosso!» esclamò Galvano, sbuffando. «Ci mancava soltanto questa!»
«Sembra una specie di… ratto gigante.» osservò Dean, disgustato, mentre fissava la creatura dalla pelliccia rada con i due enormi denti ben riconoscibili.
«E’ proprio quello che sembra.» gli confermò Merlino, anch’egli non troppo contento di vedere la creatura in cui si era già imbattuto diverse volte.
«Fantastico!» esclamò il cacciatore. «Immagino che ora dovremo ucciderlo!»
«Immagini bene, altrimenti diventeremo noi il suo pasto.»
«E’ carnivoro?»
«Già. Ma è completamente cieco e fa affidamento sull'udito e sull'olfatto per trovare le sue prede.» aggiunse il mago, sollevando nuovamente la spada.
«Ma possiamo ucciderlo, non è vero?» chiese ancora Dean, nauseato e forse vagamente intimorito.
«Io ne ho ucciso uno, non molto tempo fa.» disse Galvano. «Non mi piaceva l’idea di essere annusato da una cosa ripugnante come quella. Ma questo è molto più grande. Non penso che riusciremo a finirlo con un fendente o due.»
«Allora diamoci da fare!» propose Elyan.
 
***
 
«Umpf!» sbuffò forte Artù.
Ormai aveva perso il conto di quanto tempo fosse passato da quando il cluricauno Crocker aveva spiegato loro la missione da portare a termine e, poi, era scomparso in un puf da un momento all’altro.
Seguendo le sue indicazioni, si erano messi in marcia per raggiungere il resto del gruppo, ma qualcosa doveva essere andato storto…
Dopo aver inforcato la prima strada a sinistra dello strano bivio che si era materializzato davanti ai loro occhi, il gruppo formato da re Artù, sir Leon, sir Parsifal e Sam Winchester non avrebbe mai immaginato che quella sarebbe stata solo la prima di infinite svolte, apparentemente tutte sbagliate.
«Sono passate ore da quando abbiamo iniziato a camminare, ma sembra che non ci siamo mossi nemmeno di un passo!» borbottò Parsifal.
Sam alzò la testa e guardò il sole, sempre fermo sul punto più alto del suo arco, poi scosse la testa.
«Qualcosa non va?» gli domandò Artù.
«Non lo so, sire. A prima vista è proprio come sostiene Parsifal, ma se ci pensiamo bene siamo su quest’isola da tanto, quasi un giorno forse, ma non è mai scesa la notte.» constatò, amareggiato. «Avevo sentito dire che ad Avalon il tempo scorre diversamente, ma non capisco se il nostro problema dipenda solo da questo oppure se, in realtà, non ci stiamo muovendo affatto.»
«Vuoi dire che sono ore che stiamo imboccando sempre lo stesso sentiero?» chiese sir Leon.
«Qualcosa di simile, sì. Non riesco a capire bene come funziona, ma penso che sia come una specie di rompicapo da risolvere.»
«Un rompicapo di cui non abbiamo le informazioni, però.» osservò Artù, perplesso.
«Un rompicapo in cui spetta a noi trovare sia la domanda che la risposta, sire.» concluse Sam, mesto, prima che si rimettessero in cammino.
La strada era simile a un labirinto e, in quella fase, era facile perdersi in essa. Non vedevano più il punto dal quale erano partiti, mentre quello di arrivo era sempre lì, stagliato davanti a loro e distante solo di un breve tratto, anche se raggiungerlo era praticamente impossibile. Una volta attraversato per intero, ci si trovava dinanzi una nuova biforcazione, poi un’altra e un’altra ancora. Avevano percorso così tanta strada che iniziavano ad avere male ai piedi. Sembrava che ciascuno di quei bivi rappresentasse una scelta che poteva cambiare il corso della loro vita per sempre e una sensazione di mistero aleggiava nell'aria. Tuttavia, fino a quel preciso momento l’unica sensazione plausibile era che quegli incroci si sarebbero ripetuti all’infinito. Potevano decidere di andare a sinistra o a destra, ma alla fine tornavano sempre davanti ad un’altra scelta.
Anche il paesaggio non era di alcun aiuto. Ciascuna diramazione era costeggiata da profumata erba color giada e da alberi dalle fronde ombrose che si ripetevano a ritmo più o meno costante, sparsi qua e là.
«Fermiamoci un attimo!» propose re Artù, dopo averne attraversato invano ancora svariate.
Sam e i due cavalieri si sedettero a terra, mentre il sovrano rimase a guardare inquieto oltre l’orizzonte.
«Quella creatura, quel… Come ha detto di chiamarsi?!»
«Mi sembra che abbia detto “cluricauno”, sire.» disse sir Leon.
«Beh, sì, lui, insomma. Ci ha spiegato che avremmo dovuto scegliere la strada che ritenevamo più giusta e percorrerla e, in questo modo, sperare di riunirci con gli altri. Ma non ha specificato altro, o sbaglio?»
«No, ha solo fatto tanti discorsi inutili sul significato di prendere la decisione corretta, ma non mi è sembrato di cogliere niente che potesse esserci d’aiuto.»
«Io non capisco.» continuava ad arrovellarsi la testa Sam.
«Cosa?»
«Il senso di tutto questo, Leon!» «La Regina delle fate ci ha condotti qui per ucciderci perché, come ha spiegato Merlino prima, per qualche ignoto motivo reclama le nostre anime. Eravamo tutti in quella radura e poteva provare a portare a compimento il suo piano; invece, ha scelto di “giocare” con noi. Che senso ha tutto questo?»
«Hai ragione, Sam!» notò Artù. «Ma noi non sappiamo come ragionano queste fate o qualunque altra creatura magica.»
«Potrebbero divertirsi a cacciarci, proprio come facciamo noi con la selvaggina!» ipotizzò Parsifal.
«Non credo.» scrollò la testa Sam. «Sono già capitato in una situazione del genere e quel tipo di caccia non funziona così. Avrebbero già preso qualcuno di noi. Anche se, a pensarci bene, in quel caso non si trattò di creature magiche, ma di una strana famiglia alquanto terrificante.»
Artù storse il naso.
«Sam, toglimi una curiosità! Nel vostro lavoro di mercanti, capita spesso a te e a tuo fratello di imbattervi in queste cose?»
Sam si fermò a riflettere. Non voleva che Artù potesse in qualche modo collegarli alla magia, non dopo tutto quello che era successo durante il loro soggiorno a Camelot. Soprattutto, non voleva che il re potesse dubitare di Merlino, a causa dell’amicizia che aveva stretto con lui e Dean.
«Più di quanto vorremmo, sire.» disse, riluttante. «Ci troviamo spesso a viaggiare un po’ dappertutto e purtroppo non tutti i luoghi che visitiamo sono come Camelot.»
«E’ vero!» concordò Artù. «Ci sono fin troppi regni che ancora tollerano la pratica della magia e questo li rende dei posti poco sicuri, soprattutto per chi ne è all’oscuro.» «Ma ora non voglio divagare dal nostro problema. Se non dovessimo riuscire ad andarcene da qui, ogni altro discorso sarebbe completamente inutile.»
«Perché non proviamo ad aspettare?» propose sir Leon.
«Aspettare?» chiese di rimando sir Parsifal.
«Sì. Aspettare. In fondo quel cluricauno ha detto che avremmo dovuto operare una scelta. Ma questo non significa per forza procedere sul percorso di destra o su quello di sinistra. Potremmo anche decidere di non scegliere e di restare dove siamo, in attesa che succeda qualcosa.» spiegò il cavaliere.
«Beh, abbiamo provato a percorrere numerose strade e non è servito a niente. Sostare per un po’ e attendere gli sviluppi della questione, potrebbe anche funzionare.» rifletté Artù, mettendosi a sedere di fianco agli altri tre. «Tu che ne pensi, Sam?»
«Al momento non vedo molte altre valide opzioni, se non continuare a peregrinare senza meta.» concordò il cacciatore. «Aspettiamo…»
 
***
 
Sull’altro sentiero dove si trovavano Merlino, sir Elyan, sir Galvano e Dean Winchester, lo scontro con il Wilddeoren era iniziato già da un po’. Le spade si scontravano con furia contro il gigantesco mostro e colpi decisi venivano assestati a destra e a manca sul suo enorme dorso liscio e viscido. Anche Dean era riuscito a procurargli copiose ferite con il pugnale angelico, ma, non trattandosi di un demone vero e proprio, il suo effetto non poteva essere troppo efficace.
Galvano ed Elyan si muovevano rapidamente, cercando di attaccare il Wilddeoren nei suoi punti deboli. Le loro stoccate erano precise e potenti, ma il mostro era molto più grande e più forte di loro e riusciva a parare ogni offensiva con le sue robuste zampe. Il clangore metallico delle spade risuonava ovunque e nell’aria si poteva quasi percepire l'odore della paura e dell'eccitazione, oltre al fetore emanato dalla bestia. All’improvviso, il Wilddeoren caricò con violenza, sollevando una delle enormi zampe per colpire Galvano. Il cavaliere si tuffò di lato, evitando l’impatto, e poi contrattaccò, puntando la sua spada verso l’altra zampa anteriore della creatura e trafiggendola con vigore. L’urlo che ne scaturì in risposta fu lugubre e minaccioso, con il Wilddeoren che iniziò a scuotere la coda da una parte all’altra e prima centrò con questa Elyan in pieno petto, facendolo cadere a terra, poi, mentre si divincolava, ferì Dean ad un braccio con uno dei suoi artigli affilati come lame di rasoio.
«Elyan, stai bene?» domandò Merlino, in apprensione per il cavaliere.
«Sì, è solo una botta.» rispose questo, mentre cercava di rimettersi in posizione per attaccare nuovamente la bestia.
«Dean, tutto ok?» chiese Galvano, accortosi del suo ferimento.
«E’ un graffio, anche se sto veramente iniziando a perdere la pazienza con quel coso.» disse il cacciatore, non mancando di rammentare la sua particolare avversione ai roditori.
Prima che il Wilddeoren potesse attaccare di nuovo, Merlino, senza farsi notare, fece finta di agitare a sua volta la spada con cui aveva trasfigurato il bastone magico e, nel frattempo, lanciò verso di lui un potente incantesimo che gli rese le zampe scivolose e lo fece crollare a terra.
«Slīdaþ!»
Il mostro, allora, non si diede per vinto e cercò di rifilare un morso a Galvano con le sue zanne lunghe e squadrate, ma il cavaliere fu più rapido ed eluse anche questo assalto, mentre i due grossi denti andarono ad infilarsi dritti nel terreno.
I due cavalieri e Dean lottavano con tutte le loro forze per prevalere su di lui, mentre Merlino approfittava di ogni momento utile per scagliargli addosso qualche incantesimo.
Alla fine, dopo una lotta estenuante, con un ultimo potente colpo, Galvano e Dean riuscirono ad uccidere il Wilddeoren, penetrandogli la pelle e trafiggendogli la gola rispettivamente con la spada e con il pugnale angelico. L’animale emise un grido di dolore e rabbia che risuonò per il sentiero come un boato e, infine, cadde a terra con un tonfo sordo. Dean, esultante, alzò il pugnale in aria in segno di vittoria, poi tutti e quattro si guardarono, ansimando, mentre il corpo del mostro venne lentamente assorbito dalla terra.
 
***
 
Dopo aver atteso a lungo che la strada dinanzi a loro subisse anche un minimo mutamento, i quattro, guidati da Artù, si erano rimessi in cammino, questa volta sperando di trovare qualche indizio nei meandri del paesaggio che contornava il tragitto, come era già accaduto a Sam e Merlino, quando avevano scoperto il varco nella foresta. Ma questa volta non sembrava decisamente quella la soluzione.
«Non c’è via d’uscita!» esclamò sir Leon all’ennesimo tentativo vano. «Abbiamo provato di tutto, ma la verità è che siamo bloccati in questo posto.»
«E’ vero!» gli fece eco sir Parsifal. «Le abbiamo tentate praticamente tutte e non c’è stato niente da fare. Abbiamo avanzato a coppie, uno alla volta, chi per una strada chi per l’altra… Niente!»
«Deve esserci qualcosa che non abbiamo fatto!» insinuò Artù, provando a capire in cosa potesse risiedere la soluzione di quella specie di enigma a forma di bivio.
«Non ci siamo arresi.» disse Parsifal. «Forse è questo che dovremmo fare!»
«No, non penso proprio. Sarebbe un segnale di debolezza e sono convinto che non ci porterebbe da nessuna parte.» obiettò Sam, pensieroso.
«Ma non sappiamo come procedere. Cos’altro possiamo fare?»  chiese il cavaliere, stremato ed esausto.
La sua domanda risuonò per qualche istante nella mente di Sam come una sorta di richiamo, un’eco lontana che lo riportava alla sua adolescenza e alle sue letture. Rammentò qualcosa che era sepolto nella sua memoria da anni, ma che lo aveva accompagnato per molto tempo con grande piacere. In quello scenario mistico e suggestivo, gli sembrò di sentire davvero il consiglio che il professor Albus Silente raccomandò ad Harry Potter in una delle sue tante avventure. Quando non si sa come procedere, è saggio tornare sui propri passi.
«Ma certo!» esclamò, convinto, con un mezzo sorriso stampato sul viso.
«Cosa, Sam?» gli chiese Artù, stupito di quel repentino cambio di atteggiamento del ragazzo.
«Dobbiamo tornare indietro! Se vogliamo procedere, dobbiamo tornare indietro!» ripeté, ormai certo che quella fosse la soluzione.
Artù e i due cavalieri si guardarono stupiti. La sicurezza con cui Sam aveva sostenuto l’idea di dover proseguire a ritroso li lasciò spiazzati, soprattutto perché nessuno fino a quel momento aveva pensato che potesse essere così semplice.
«Sam, sei sicuro?» gli chiese Parsifal.
«Sì. Del resto è l’unica soluzione che non abbiamo ancora provato.» annuì il più giovane dei Winchester.
Artù osservò la sensatezza dell’affermazione del ragazzo; inoltre, un tentativo in più o in meno non avrebbe cambiato la loro situazione, dopo ore ed ore di peregrinazioni inutili.
«Non perdiamo altro tempo!» disse il re, fidandosi di quell’intuizione.
Tutti e quattro si alzarono in piedi, si voltarono, dando le spalle al bivio che avrebbero dovuto oltrepassare, e iniziarono a procedere a passo sostenuto verso quella strada, che poteva essere una di quelle che avevano già percorso o, parimenti, una completamente sconosciuta.
Mentre la percorrevano all’incontrario, la via stretta e sinuosa si snodava tra gli alti alberi in una sorta di labirinto naturale. Le rocce e le piante sembrano fatte di cristallo e sabbia dorata. La terra sembrava fremere sotto i loro piedi. Il sentiero era un'esperienza a sé. Ad ogni passo era come se il mondo incantato di Avalon si aprisse un po' di più a loro, rivelando segreti che prima non conoscevano.
Giunti alla fine, il tragitto che avevano appena attraversato scomparve all’improvviso e si ritrovarono immersi nello stesso scenario idilliaco da cui erano partiti, ma questa volta non c’era più alcun bivio o alcuna strada.
«Ottimo lavoro, Sam!» esclamò Artù, compiaciuto, dandogli una pacca sulla spalla.
«Grazie, sire.» sorrise il cacciatore, ancora incredulo per i complimenti ricevuti dal leggendario re di Camelot.
«Guardate là, c’è qualcuno!» disse sir Leon all’improvviso, puntando il dito in direzione di un antro roccioso che spuntava tra la vegetazione.
«Quelli sono mio fratello e Merlino.» osservò Sam.
«Già. E ci sono anche Elyan e Galvano con loro.» aggiunse Artù. «Raggiungiamoli!»
 
***
 
Il caldo bagliore del sole avvolgeva il giardino che si estendeva ai piedi della magnifica magione delle fate. Era un luogo incantato, un santuario di bellezza e mistero. Ogni pietra e ogni fiore sembravano respirare con una vita propria, mentre gli alberi imponenti danzavano gentilmente al vento, facendo luccicare le chiome verdeggianti. Le foglie sembravano dipinte con tutte le sfumature dell'arcobaleno, brillando con tonalità accese sotto i raggi del sole.
La porta d'ingresso del giardino era composta da una maestosa arcata di fiori intrecciati, che si alzava con grazia e si apriva su un'esplosione di colori. I sentieri di pietra, accarezzati dalle radici degli alberi secolari, si snodavano attraverso l'erba verde e soffice. Il profumo dolce e raffinato delle rose selvatiche si univa all'aroma seducente dei gigli bianchi, creando un'atmosfera inebriante.
Al centro del giardino, un'enorme fontana scaturiva acqua pura e cristallina, creando un vortice incantato di suoni rinfrescanti. L'acqua scendeva dolcemente, formando cerchi concentrici che si espandevano al contatto con la superficie della fontana.
«Dove diavolo siamo finiti?» domandò Dean, guardandosi intorno come se fosse stato catapultato dritto in un libro di fiabe.
«In un sogno…» disse Artù, anch’egli fermandosi ad ammirare l’incanto del giardino fatato con ritrosia. «…oppure in un incubo.»
Al termine delle rispettive prove, annunciate con teatralità dai cluricauni Heinze e Crocker, i due gruppi si erano finalmente riuniti e avevano deciso di procedere verso il centro dell’isola per sconfiggere la Regina delle fate ed evitare che questa tornasse a tormentarli. Tuttavia, a differenza di quello che tutti credevano, la dimora di Clíona non si trovava in quell’enorme castello scuro incastonato nel bel mezzo di Avalon, bensì in un palazzo molto più appariscente e vivace, circondato dall’immenso giardino dove gli otto avventurieri stavano camminando.
«Credo che quella fata viva qui!» ammise Merlino, indicando piccole fatine curiose che danzavano leggere sulla punta dei fiori, creando un'atmosfera di magia e meraviglia.
«Ci ha condotto volutamente nella sua tana?!» ringhiò Dean, incredulo, sgranando gli occhi alla vista della magione oltre il giardino.
Sembrava costruita interamente con materiali naturali: le pareti erano composte da tronchi di albero intrecciati, mentre il tetto era ricoperto di foglie color argento e petali di fiori multicolori. Ad adornare la facciata, c'erano piccoli cristalli che brillavano sotto la luce del sole, creando riflessi magici. Mentre in prossimità di quello che doveva essere l'ingresso principale si trovavano due pilastri di quercia, gli alberi intorno alla dimora erano decorati con una moltitudine di lanterne fatate.
«Ogni cosa che si trova qui dà l’idea di essere ben diversa da ciò che sembra.» convenne sir Galvano, facendo una smorfia.
«Questo posto è così…» tentò di dire sir Elyan, anche se gli mancarono le parole per definirlo.
«Assurdo?!» ipotizzò Dean.
«Di sicuro non si vede tutti i giorni.» gli fece eco Artù.
«Ben arrivati!» disse, all’improvviso, Clíona, affacciata al balcone della residenza, realizzato con legno di quercia incantato e pietra di luna.
Artù, Merlino, i cavalieri, Sam e Dean rivolsero l’attenzione alla figura che, con le braccia allargate, li scherniva da lontano.
«Perché stai facendo tutto questo, quando eravamo già nelle tue mani?» le chiese Artù a voce molto alta, per essere sicuro che la fata sentisse le sue parole.
«Questo non è importante!» ribatté lei. «Non per voi!»
Aingil, la fata dai capelli color menta, le andò vicino e la affiancò, posando le mani sul parapetto, adornato con delicati fiori di campanula, che oscillavano dolcemente al vento.
«Mia regina, non dovete giustificare le vostre ragioni di fronte a questa feccia, a questi umani irrispettosi e privi di ogni ritegno.»
«Non ho intenzione di farlo, puoi starne certa!» le bisbigliò, senza che gli altri potessero udirla.
«Temete il mago, non è vero?» chiese Aingil a voce ancora più bassa.
«Sarei una stupida a sottovalutare Emrys. Sono tante le profezie sul suo conto e tante ancora le sue grandi e innegabili doti.»
«Che stanno confabulando?» domandò Artù, impugnando saldamente la spada e iniziando ad avanzare verso la magione, seguito dai suoi cavalieri.
«Vi conviene fermarvi!» gridò allora Clíona. «Non è ancora giunto il tempo di ricongiungerci!»
«Cos’altro vuoi da noi, si può sapere?» urlò Sam a sua volta, molto indispettito.
«Prima di trovarci finalmente faccia a faccia, dovrete sconfiggere il mio esercito!» proferì con imponenza la Regina delle fate.
«Ma che significa? Di quale esercito parla?» disse Parsifal.
Il cielo si oscurò, mentre un sinistro silenzio scese sul giardino fatato. Una moltitudine di piccole creature simili a farfalle emerse dalle ombre, irradiando bagliori di luce. Fluttuavano nell'aria, mentre le ali sfavillanti tremolavano nell'oscurità e risuonavano come campane tintinnanti. Ogni fata sembrava un sussurro di magia, pronta a mostrare il proprio potere.
Merlino si guardò attorno, prima di richiamare l’attenzione degli altri, visibilmente preoccupato.
«Di questo!» disse, infine, indicando tutto intorno a loro.
Ad un cenno di Clíona, le fate si mossero all’unisono e scesero dal cielo, circondando i cavalieri come tante stelle cadenti che si materializzano sulla terra e scagliandosi ad una velocità impressionante contro di loro. Ma nemmeno il gruppo di guerrieri si fece trovare impreparato. Le spade e i pugnali angelici brillavano come fulmini nelle loro mani e nei loro occhi si scorgeva una grande determinazione, mischiata all’ansia per la sfida che stavano per affrontare.
La battaglia finale aveva avuto inizio.

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Capitolo 7
*** Il viaggio degli eroi ***


Il viaggio degli eroi

 
«Come facciamo a liberarci di tutte queste fate?» urlò Elyan, dopo averne eliminata una.
«Continua a colpirle!» gli intimò Artù, anch’egli alle prese con una dozzina di piccoli esseri.
Lo scontro era una danza frenetica tra guerrieri e fate. I fendenti si scontravano con le ali delle creature, risuonando come una dolce melodia di guerra. Il clangore delle spade si opponeva ai sibili degli incantesimi fatati, con Merlino che cercava di annientarne quante più possibile con il bastone degli Sidhe, ancora sotto l’effetto dell’incantesimo di trasfigurazione. Mentre il rumore metallico delle armi si univa al canto del vento, l'aria bruciava di energia mistica. Tuttavia, l'equilibrio di quel luogo era stato spezzato e la magia stessa sembrava ribellarsi. Molti sortilegi ad opera dell’una o dell’altra fazione si perdevano in quello scenario senza andare a segno o senza produrre alcun effetto.
I combattenti si avventavano sulle fate, cercando di avere la meglio con la loro abilità e la loro destrezza. Ma le fate non erano avversarie semplici: con velocità e agilità sovrannaturali, riuscivano spesso a schivare gli attacchi con grazia e leggerezza, lasciando solo una brezza fresca ad accarezzare le lame delle armi. I loro sguardi sfidanti, poi, rivaleggiavano vigorosamente con l'ardore dei cavalieri.
Ogni colpo era un'esplosione di luce e potenza.
«Dobbiamo essere più rapidi!» convenne Sam, facendo dissolvere una fata in tanti piccoli frammenti luminosi, dopo averla trafitta con il pugnale angelico.
L’arma non funzionava come al solito perché quelle creature, seppur mosse da cattive intenzioni, non rappresentavano una minaccia di tipo demoniaco. Tuttavia, i fratelli Winchester riuscivano ad usarla come una qualunque altra lama che era in grado di eliminare esseri così piccoli.
«Sono troppe!» osservò sir Galvano. «Sembra che ogni volta che ne uccidiamo una, ne spuntino fuori altre dieci!»
Mentre il cavaliere parlava, Merlino notò che Clíona ed Aingil si stavano gustando la scena con trepidazione e si soffermò a riflettere sul loro ambiguo comportamento. Fu allora che comprese i motivi di tanta teatralità e di tanto accanimento. Più esseri magici venivano uccisi, più le anime avrebbero acquistato valore ai loro occhi e al loro scopo.
«Se rimaniamo fermi qui, non ne usciremo più!» urlò il mago. «Dobbiamo arrivare alla regina al più presto!»
«Come pensi di fare?» gli chiese Elyan, sfinito. «Non stiamo guadagnando nemmeno un passo verso la sua dimora. E se abbassiamo le armi, ci schiacceranno in un solo istante. Sarà la nostra fine!»
«Dobbiamo dividerci!» intimò re Artù agli altri.
Sir Leon alzò la testa e osservò le posizioni di tutti in quel momento.
«Sire, sarà meglio che andiate insieme a Sam e Dean. Siete quelli più vicini e con più possibilità di farcela.» disse, facendosi strada tra le scie luminose delle creature con la propria spada.
«E voi? Pensate di riuscire a tenere a bada tutte queste fate?»
«Non temete. Non ci faremo sorprendere!»
«Ci vuole molto di più di uno stormo di esserini luccicanti per riuscire a fermarci!» confermò Parsifal, convinto, continuando ad annuire.
«Sbrigatevi prima che vi siano addosso!» consigliò Galvano.
«Ci pensiamo noi a finire qui.» aggiunse Elyan con tono rassicurante.
«Va bene. Ma fate attenzione. Non voglio dover dire addio ad un altro di voi!» disse il re, ripensando alla prematura fine di sir Lancillotto, avvenuta solo pochi mesi prima, in una situazione del tutto analoga a quella.
«State tranquillo! Appena ci saremo liberati di queste fate, vi raggiungeremo.» concluse sir Leon.
«Merlino!» urlò allora il sovrano. «Tu vieni con me!»
Il mago, che di nascosto stava sprigionando dal bastone magico una luce bluastra in cui danzavano piccoli fulmini per eliminare le fate che gli erano intorno, sussultò all’ordine del re.
«Io? Siete sicuro?» domandò senza troppa enfasi, poiché, come al solito, avrebbe seguito Artù in ogni caso.
«Che domande! Certo che sono sicuro!» rispose questo con ovvietà. «In caso contrario, rischieresti di fare una brutta fine in mano a quelle creaturine. Non voglio averti sulla coscienza!»
Merlino fece un mezzo sorriso e scosse la testa, colpendo le ultime fate che gli si erano poste davanti, prima di avere la strada libera verso la magione di Clíona.
 
***
 
L'entrata principale della dimora si profilava maestosa davanti a chiunque si avvicinasse e difficilmente non si restava stupiti dalla sua magnificenza. Le porte d'avorio, finemente intagliate con motivi che ricordavano foglie delicate, si aprivano con un semplice tocco, rivelando un atrio luminoso ornato da mosaici dai colori vivaci e scintillanti. Una volta varcato l'ingresso, si veniva accolti da un vortice di profumi delicati di fiori rari. Tutto l’interno di quella residenza incantata sembrava fatto di cristallo e argento che riflettevano la magia che la avvolgeva. Appena superato l'ingresso, una scala di legno di quercia intarsiato con incisioni di piante rampicanti conduceva al piano superiore e alla sala del trono in cui si trovava la Regina delle fate insieme ad Aingil.
Se Artù e Merlino potevano non trovare troppo strano quello scenario, Sam e Dean ebbero quasi la sensazione di trovarsi intrappolati in una fiaba, in cui dovevano scovare la strega malvagia o il cattivo di turno.
«Non avrei mai immaginato di ritrovarmi a camminare nella casa di Barbie!» ironizzò Dean, mentre percorrevano cautamente la scalinata.
«Di cosa?» gli chiese Artù, perplesso.
«Di… una bambola, sire.» aggiustò il colpo il cacciatore. «Non sembra anche a voi di essere in una casa delle bambole?!»
«Non hai tutti i torti!» concordò il re. «Merlino, tu per sicurezza rimani dietro di noi!»
«Certo, maestà!» rispose il servitore, strabuzzando gli occhi e lanciando uno sguardo complice a Sam.
Alla fine delle scale, una luce quasi innaturale sembrava diffondersi da una delle stanze, così decisero di iniziare la ricerca della fata proprio da quel punto.
Varcata la soglia, si ritrovarono nella sala del trono di Clíona, con la regina che attendeva trepidante il loro arrivo, seduta sul suo seggio di cristallo, mentre la fidata Aingil era in piedi al suo fianco con un’espressione guardinga.
«Ben arrivati! Era ora che ci degnaste della vostra presenza!» li schernì Clíona, alzandosi e allargando le braccia esili con leggiadria.
«Siamo qui per la resa dei conti, non per diventare la tua cena!» le disse Dean, furente.
La regina sorrise, quasi incurante di quelle parole, mentre Aingil esplose di rabbia.
«Come osi insultare così la mia Regina, stupido, inutile umano?!»
«Beh, tanto inutile non direi, altrimenti non mi avreste portato qui, no?» rispose il cacciatore, scuotendo la testa.
«Siete qui, tutti voi, perché non siete altro che misero nutrimento!» inveì Aingil. «Tutti gli esseri umani non sono altro che cibo per le creature superiori! Non ci si può aspettare qualcosa di diverso da una feccia come voi!»
«Ora che ci hai spiegato il tuo punto di vista, si può sapere perché ce l’hai tanto con noi?» le urlò contro Dean.
«Ancora non l’hai capito?!»
«Che ci conosciamo già?! Non ci voleva molto! E poi dici che siamo noi umani quelli inutili!» tuonò, fiondandosi contro Aingil con il pugnale angelico ben teso nella sua direzione. «Parla una buona volta!»
Le ultime parole di Dean, però, si fecero faticose. Il ragazzo annaspò con la sensazione di non riuscire più a respirare. Il suo volto divenne contratto, i lineamenti tesi e gli occhi spalancati, come se fosse tormentato da un'entità invisibile che stringeva la sua trachea con un'inesorabile presa. Clíona aveva appena sollevato due dita in maniera del tutto impercettibile e con un lieve colpo era riuscita a chiudere la gola del cacciatore, mostrando il dolore e la sofferenza che era in grado di infliggere a coloro che osavano sfidarne l'autorità. Le spalle di Dean, intanto, si piegavano sotto il peso dell'agonia, mentre le sue mani si aggrappavano disperate al petto, cercando un frammento di sollievo che sembrava non arrivare mai.
Sam, Merlino e Artù si mossero all’unisono per aiutarlo, ma ogni respiro era un tormento, un richiamo alla libertà che sembrava sempre più lontana.
«Finiscila!» gridò Sam all’indirizzo della Regina delle fate, mentre tentava di sostenere il fratello. «Smettila di fargli del male!»
Dopo quelli che parvero infiniti, interminabili attimi, finalmente Dean tornò a respirare, boccheggiando a fatica con il volto paonazzo.
«Stai bene?» gli chiese Merlino, ancora in apprensione, andandogli vicino.
«Sì!» rispose lui con difficoltà.
Mentre cercava di riaversi, nella sua mente cominciarono a riaffiorare dei nitidi ricordi di un’altra circostanza in cui aveva provato la stessa sensazione. Era stato quando Zaccaria l’aveva torturato tra mille atrocità con il suo potere della biocinesi, affinché diventasse il tramite dell’arcangelo Michele. Un pensiero, allora, balenò nella sua mente.
«Sei un angelo!» esclamò, non appena riuscì a parlare.
«Cosa?» domandò Artù, incredulo.
Sam guardò stranito, prima verso Dean, poi verso Clíona e non gli sfuggì un ghigno compiaciuto che si scambiarono, a quel punto, la regina e Aingil. Questo voleva dire che…
«Bravissimo, Dean!» disse Aingil, lasciando partire un applauso sarcastico. «Complimenti per essere arrivato alla soluzione!»
«Ma che significa tutto questo…?» continuò a chiedere il re di Camelot.
«Aspettate, sire. Lasciamoli parlare prima di giungere a conclusioni affrettate.» lo esortò Merlino, che seguiva con particolare interesse l’evolversi della situazione.
Artù rimase in silenzio, ma non abbassò la spada, limitandosi a lanciare occhiate torve a destra e a manca.
«E’ incredibile, Dean, quanto tu possa sembrare fragile e indifeso in questo momento!» continuò Aingil, mentre il maggiore dei Winchester la fissava sconvolto.
«Chi diavolo sei? Chi diavolo siete, tutte e due?»
«Noi non abbiamo mai avuto il piacere di conoscerci, ma Aingil mi ha raccontato molte cose interessanti su di te!» precisò Clíona, prendendo la parola per ristabilire la gerarchia con l’altra fata.
«Dicci chi sei e facciamola finita!» intervenne Sam, rivolto alla fata dai capelli color menta.
«Davvero non vi ricordate di me, esseri patetici? Stupidi scimmioni buoni a nulla!»
Un lampo di odio balenò nei suoi occhi color smeraldo, lasciando intravedere tutto il risentimento e l’astio che nutriva per i due cacciatori.
«Uriel!» disse Dean, all’improvviso.
Aingil sorrise compiaciuta ed annuì.
«Vedo che ti ricordi di me!»
«I complimenti sono sempre stati il tuo forte!» ribatté Dean con una smorfia.
«Quindi, quello che si dice è vero!» domandò Sam, agitato. «Le fate non sono altro che angeli caduti!»
A rispondere alla sua domanda fu Clíona.
«Non tutte le fate, solo la maggior parte di noi.» spiegò, mettendosi a passeggiare con grazia e facendo oscillare la sua veste. «Io sono tra le prime a cui è toccata questa sorte. Avevo un ruolo di rilievo tra le schiere angeliche, ma avevo le mie idee e la mia visione su come dovesse andare il mondo e su quello che noi angeli dovevamo reclamare.»
«E così hai seguito la discesa negli inferi del tuo capo con un viaggio di sola andata!» la interruppe Dean.
«Io non ho capi!» disse la fata, furente, pur cercando di darsi un ritegno. «Ma fui esiliata come molti altri della mia specie, anche se i miei peccati non vennero considerati così gravi da meritare l’inferno. Fu così che mi ritrovai su quest’isola, con questo corpo e con questa nuova essenza e pian piano riorganizzai la mia esistenza in virtù di questo, potendo ancora contare su molti dei miei vecchi poteri.»
«Ma la “Fata madrina” di fianco a te non può aver avuto la tua stessa sorte perché abbiamo avuto a che fare con lei solo pochi anni fa.» constatò Dean, con una punta di sarcasmo.
«No, infatti. Io sono divenuta una fata solo dopo che tu mi hai ucciso, Dean. All’inizio ero smarrita e senza sapere cosa fare.» raccontò Aingil. «Poi, ho incontrato Clíona con cui avevo stretto una forte sintonia già quando entrambe eravamo nella nostra forma originale. Lei mi ha aiutato, mi ha spiegato come affrontare questa nuova occasione e…»
«…e sei diventata la sua puttana.» concluse Dean, arrabbiato, prendendosi tutti i rischi del caso.
«Così, ho potuto contare su Aingil Anúabhair, un angelo orgoglioso, come dice il nome stesso.» affermò Clíona, tenendo dietro di sé con un braccio l’altra fata. «E’ stata un’alleata importante e mi ha permesso di mettere le mani su di voi, maledetti Winchester.»
«Ma che significa tutto questo?» domandò Artù, arrabbiato e incredulo, non potendo più trattenersi. «Fate, angeli, magia… Spiegatemi che sta succedendo perché proprio non lo capisco!»
«Che state per diventare tutti, o quasi, inutili corpi vuoti, privati delle vostre misere anime. Anime che, tuttavia, contengono qualcosa di estremamente importante per me, oserei dire vitale!»
Il “quasi”, usato dalla Regina delle fate, era un chiaro riferimento a Merlino, o Emrys, come era conosciuto da quelle parti. Clíona sapeva perfettamente di non potersi opporre ai suoi poteri; ciononostante, non aveva la minima intenzione di consentirgli di frapporsi tra lei e le sue “prede”.
«E’ per via delle creature magiche che hanno ucciso, non è vero?» domandò Merlino, torvo, quasi urlandole contro. «La magia di cui si sono caricate le loro anime per questa ragione ti serve come nutrimento per sopravvivere!»
«E tu che ne sai, Merlino?» chiese Artù, trovando strano il comportamento del suo servitore.
«Gaius!» si limitò a rispondergli il mago, rimanendo fisso sulla fata e attendendo una sua risposta.
«Aspetta un attimo. Sono quasi sicuro che le fate siano immortali. Come può avere bisogno di “energia” per sopravvivere?» domandò, allora, Sam.
«Qualcosa deve avere interferito con la sua situazione perpetua e… ora le serve altro carburante.» ipotizzò Dean, guardando a turno gli altri. «E per intenderci, il carburante siamo tutti noi!»
«Come osi?» lo minacciò ancora Aingil/Uriel. «E’ solo la vostra anima, piena delle malefatte che avete compiuto contro gli esseri magici, ad essere utile alla Regina. Mai degli sporchi esseri umani potranno servirla.»
«Intanto non vi siete fatti remore quando si trattava di farci uccidere altri vostri simili per “arricchire” le nostre anime della magia di cui avete bisogno!» esclamò Artù, che ormai aveva compreso l’espediente che le due fate avevano utilizzato.
Dean lo fissò e fece un ghigno compiaciuto all’indirizzo del sovrano.
«Beh, quelle fate sanno di essere servite a qualcosa di più grande!» ribadì Clíona, senza scomporsi.
«La tua vita conta più della loro: è questo che pensi?!» insistette Artù.
«Cosa c’è di così diverso da quello che lega te e i tuoi cavalieri? Forse per te non è lo stesso? Forse non sono rimasti a combattere contro il mio esercito fatato, mentre tu sei potuto giungere indisturbato fin qui?»
«Ti sbagli!» proferì il re. «La mia vita non vale più della loro, anche se è opinione comune pensare questo quando c’è un sovrano di mezzo. E io non ho mai mentito loro, gettandoli in mezzo a battaglie che non potevano vincere o a situazioni che li avrebbero messi in pericolo. Sono sempre stato onesto e, quando mi hanno seguito, l’hanno fatto per loro libera scelta, consapevoli dei rischi che stavano correndo!»
«E, soprattutto, non ci ha mai obbligato a fare niente!» confermò sir Galvano, sopraggiungendo nella stanza, seguito dagli altri tre cavalieri.
Merlino notò come, in tutto quel trambusto, non si fossero resi conto che i clangori metallici delle spade erano cessati da un pezzo e che la battaglia con le fate inviate da Clíona doveva essere finita, in un modo o nell’altro.
«Se sono le nostre anime quelle che vuoi, perché non vieni a prenderle?» la sfidò sir Elyan.
I volti di ciascuno erano più determinati che mai a combattere, anche se la fatica e la stanchezza erano ormai sopraggiunte. Il loro petto si gonfiò d'orgoglio, sprigionando un coraggio indomabile, e l'adrenalina che scorreva nelle vene faceva fremere i loro corpi. L'aria era carica di tensione, permeata dell'antica magia che pervadeva la terra di Avalon.
Clíona rappresentava l'essenza stessa della superbia, risplendendo di una bellezza radiante. La Regina delle fate, allora, schioccò le dita e richiamò a sé i due cluricauni Heinze e Crocker, ultimo baluardo della sua difesa. Anche lei ed Aingil erano pronte ad iniziare quell’ultima battaglia senza esclusione di colpi. E il suo gesto gli diede il via.
 
***
 
I cluricauni erano stati incaricati dell’arduo compito di tenere Emrys lontano dagli altri, mentre Clíona avrebbe assorbito le loro anime poco alla volta, man mano che le sarebbero stati sotto tiro. Aingil/Uriel, invece, aveva preteso che la regina le concedesse l’occasione di eliminare i Winchester e di consegnarglieli per gustarsi appieno la sofferenza che avrebbero provato nel momento in cui questa avrebbe strappato loro l’anima, lasciandoli morire come due gusci vuoti. Altre fate, tra quelle che servivano Clíona nella sua dimora, si unirono alla battaglia nella loro forma più umana, sparpagliandosi tra i cavalieri e ingaggiando duelli con loro.
Artù, mentre era sul punto di colpirne una, si ritrovò spalla a spalla con Sam.
«Toglimi una curiosità!» gli disse, ansimando per lo sforzo. «Anche tu e tuo fratello combattete la magia?»
Sam rimase spiazzato dalla domanda, senza sapere come replicare.
«Andiamo, Sam! Se siete qui anche voi, deve essere per il nostro stesso motivo. Allora?» insistette ancora, sferrando un fendente dritto contro il busto di una fata, che cadde a terra morta.
«Beh, in un certo senso…» ammise il cacciatore.
«Bene!» aggiunse semplicemente il sovrano, compiaciuto dall’avere simili alleati dalla sua parte.
La battaglia intanto infuriava con i cavalieri impegnati a fronteggiare la dozzina di fate che erano giunte a protezione della regina e la stessa che usava la sua magia per ostacolare Merlino e i fratelli Winchester, i quali puntavano a terminare in fretta quel duello, eliminando lei ed Aingil.
Clíona, allora, chiuse gli occhi e, con una mano sollevata, iniziò ad intonare un incantesimo antico, mentre le sue parole fluivano con una grazia senza pari. Un vortice d'aria cominciò a formarsi nel centro della sala, avvolgendola in una mistica danza eterea. Il vento le rispondeva con una sinfonia melodiosa, dimostrando una profonda connessione tra la fata e gli elementi stessi. Mentre il turbine intorno a lei si faceva più forte e tumultuoso, le sue mani si illuminavano di un bagliore verde incantato. Una corrente potente materializzò e sollevò dal suolo foglie, petali e polvere. Ben presto tutta la stanza fu travolta dalle raffiche, con le fate che, in questo modo, si trovarono in una posizione di vantaggio in quanto, per la loro stessa natura, non risentivano della magia elementale. Nonostante ciò, i colpi metallici delle armi non cessarono nemmeno per un istante e nessuno si tirò indietro all’incedere della battaglia.
Nel tentativo di raggiungere Aingil/Uriel, Dean venne sbalzato all’indietro da una folata particolarmente vigorosa e, dopo aver battuto violentemente la testa, svenne a terra, privo di sensi.
 
Si ridestò di colpo, ma intorno a lui non c’era più niente e più nessuno. Per un istante ebbe la sensazione di trovarsi nuovamente nel Vuoto, ma subito si rese conto che lo scenario era diverso, confuso e nebuloso. Man mano che si voltava da una parte all’altra, la nebbia si infittiva attorno a lui, avvolgendolo in un abbraccio umido, e i suoi passi risuonavano su un terreno invisibile.
«Ciao, Dean!» si sentì chiamare in una sorta di eco, senza vedere da dove provenisse quella voce, una voce che aveva udito molte volte e che conosceva alla perfezione ormai.
«Castiel?!» domandò, perplesso.
«Sì, sono proprio io.» rispose l’angelo, facendosi avanti in quell’atmosfera etera e comparendo davanti a lui, seppur con delle fattezze alquanto sfumate.
«Castiel, dove mi trovo?» gli chiese il cacciatore, non appena lo vide in piedi di fronte a lui. «Sono morto?»
«No, Dean, non temere. Siamo in una dimensione che in realtà non esiste, ma che Jack è riuscito a creare provvisoriamente in ragione del luogo in cui ti trovi in questo momento.» spiegò Castiel, sorridendo.
«Jack?»
«Sì, lui vi osserva spesso perché sente la vostra mancanza e, quando ha visto che tu e Sam eravate in pericolo, ha cercato un modo per aiutarvi. E’ per questo che sono qui!»
«Ti ha mandato Jack? Ma come potete aiutarci nella situazione in cui siamo?»
«Non possiamo combattere al vostro fianco, ma non dimenticare che Clíona e Uriel sono pur sempre angeli caduti.» osservò Castiel.
«E quindi, cosa può fermarli?»
«Questa!» disse l’angelo.
Nelle sue mani apparve, all’improvviso, avvolta in una luce divina, una meravigliosa spada, la cui lama, lunga e affilata, brillava di un bagliore argentato, emettendo un riverbero che incantava chiunque si fermasse a fissarlo. L’elsa, un’impugnatura avvolta in radici d'argento intessute con fili dorati, si fondeva armoniosamente con la lama, come se l'essenza della Terra si unisse a quella del Cielo. Al centro, un gioiello splendente emanava una luce pura e penetrante.
«Una spada!» convenne Dean.
«Non una semplice spada, Dean. Questa è una Spada Celeste, forgiata personalmente da Jack. E’ un’arma molto più potente dei pugnali angelici di cui disponete tu e Sam. La sua punta è in grado di penetrare ogni cosa, mentre la sua energia fa sì che ogni colpo sia inarrestabile e letale contro le creature che state combattendo.» illustrò con precisione Castiel, porgendogliela.
«Grazie!» disse Dean, prendendola in mano con timore e percependo subito il suo immenso potere.
«Quando avrete sconfitto Clíona e le sue fate, la spada tornerà al suo posto da sola: tu e Sam non dovrete fare nulla.»
«Ho capito!»
«Ora è giunto il momento di salutarci. Buona fortuna, Dean!» si congedò l’angelo.
Si girò e fece per andarsene, quando la voce di Dean lo richiamò.
«Castiel!»
«Sì, Dean?» domandò, voltandosi verso di lui e facendo oscillare il suo trench beige.
«Tu e Jack state bene?» gli chiese il cacciatore, pensieroso.
«Ma certo, Dean. Non potrebbe essere diversamente. Non preoccuparti per noi.» cercò di tranquillizzarlo l’angelo, mentre continuava a sorridergli con pacatezza.
«Anche voi ci mancate!» esclamò il ragazzo.
«Lo so, Dean. E anche Jack lo sa.» rispose Castiel, annuendo con voce calma e rilassata. «Buon Natale, Dean!»
Prima che il cacciatore potesse rispondere, la figura dell’angelo si sfumò ulteriormente e si dissolse nei contorni nebulosi di quella dimensione celeste.
 
Dean riprese conoscenza e stavolta si trovava nuovamente nella sala del trono di Clíona, dove la battaglia tra le due fazioni ancora infuriava prepotente. Non avrebbe saputo dire quanto tempo era trascorso da quando era svenuto, dopo il colpo alla testa, ma da una rapida occhiata gli parve che, nel frattempo, né Sam, né Merlino e i cavalieri avessero riportato gravi ripercussioni.
Improvvisamente, prima ancora che potesse rendersi conto di quello che era accaduto nella dimensione celeste durante l’incontro con Castiel, nella sua mano destra apparve, come per magia, la Spada Celeste che l’angelo gli aveva mostrato. Nell’impugnare quell’arma divina, percepì un calore rassicurante infondersi attraverso l’elsa, che gli donò una sensazione di eterna protezione. Al contrario, il suo peso era sorprendentemente leggero, quasi come se la mano non dovesse essere gravata dal suo potere immenso.
Senza pensarci due volte, il cacciatore si diresse direttamente verso Aingil, intento a chiudere una volta per tutte i conti con quella che era stata l’angelo Uriel in passato e che ora aveva trascinato nuovamente lui e Sam in un altro dei suoi deliri. La fata dai capelli color menta usò i suoi poteri per richiamare contro Dean un vortice di sabbia violento e dirompente. Tuttavia, l’arma che questo impugnava lo rese immune anche a quel tipo di magia e, in men che non si dica, i due si trovarono faccia a faccia.
«E’ arrivata la tua fine, Uriel! Spero tanto di non rivedere mai più il tuo brutto muso, qualunque sembianza esso assuma!»
«Credi di potermi uccidere così, come se niente fosse? Io non sono uno di quegli esserini che vi siete divertiti a schiacciare in giardino…» gracchiò Aingil/Uriel.
«No, è vero, per te sarà peggio!» gli promise Dean, furente.
Poi, senza pensarci ulteriormente, infilzò il busto della fata con la Spada Celeste e questa strabuzzò gli occhi per l’incredulità di quello che stava avvenendo. Un forte dolore attraversò tutto il suo corpo mentre la lama la trapassava da parte a parte come un raggio di energia ardente. Non ebbe nemmeno il tempo di replicare che esplose in tanti minuscoli granelli di polvere dorata.
«Dean, stai bene?» gli domandò Sam, che lo aveva raggiunto dopo averlo visto discutere con Aingil.
«Sì, è tutto a posto, Sam.» lo tranquillizzò. «Uriel ha finito di darci fastidio!»
«E quella spada?»
«Un regalo di Jack e Castiel.»
«Non capisco.» disse Sam, voltandosi in giro per la sala del trono. «Anche Jack e Castiel sono qui? Com’è possibile?»
«No, ti spiegherò tutto più tardi. Adesso diamo una mano agli altri e mettiamo fine a questa follia!» replicò il maggiore dei Winchester.
 
La morte di Aingil creò molta preoccupazione in Clíona, che ora si vedeva privata della sua spalla più solida.
Oltre a poche fate, che ancora stavano duellando freneticamente contro i cavalieri di Artù, sul campo restavano solo i due cluricauni. La regina, allora, decise di affrettare le cose e si fiondò contro il sovrano, nel momento esatto in cui questo trafisse Heinze con la sua spada e il folletto cadde a terra inerme, con gli occhi vitrei persi nel vuoto e un pallido sorriso ancora impresso sul volto.
Clíona usò uno dei suoi potenti incantesimi e dalle sue mani si sprigionò un raggio di colore viola, che, come un’intricata spirale, avanzò furioso e colpì Artù in pieno petto, gettandolo a terra. Sir Galvano, che stava duellando con Crocker, notò la situazione di difficoltà del re e con un paio di rapidi e potenti fendenti si sbarazzò dell’altro cluricauno e si affrettò a raggiungerlo per aiutarlo. Un altro raggio impetuoso di Clíona lo travolse e lo scaraventò addosso ad Artù.
Con due rapidi balzi la regina fu di fianco a loro e, prima che qualcuno la ostacolasse, si precipitò ad assorbire le loro anime, che brillavano di un'intensità unica e irripetibile. Un flusso di tante minuscole particelle argentate iniziò a levarsi dai due cavalieri e a dirigersi verso Clíona, che con le mani distese convogliava dentro di sé la loro energia vitale. Merlino si accorse immediatamente di quello che stava accadendo e, dopo aver eliminato l’ennesima fata fulminandola con il bastone degli Sidhe, attraversò la grande stanza per fermarla. Per paura di non riuscire a salvare Artù e Galvano, si frappose immediatamente tra i due e Clíona, facendo loro da scudo. L’incantesimo della fata, allora, cambiò bersaglio e si concentrò su di lui, iniziando ad assorbire la sua anima. L'energia magica si fece sempre più palpabile nell'aria, pronta a sprigionarsi in una potente esplosione. La Regina delle fate voleva evitare a tutti i costi lo scontro con Emrys, preoccupata di non poter reggere il confronto con lui. Tuttavia, si ritrovò inebriata dal grande potere che scaturiva dal mago e decise di proseguire quanto iniziato. Se fosse riuscita ad ottenere anche la sua anima, avrebbe avuto accesso ad ogni tipo di energia di cui poteva avere bisogno. La magia di Merlino, però, reagì spontaneamente a quell’aggressione, senza che il ragazzo usasse alcun incantesimo. Il potere che emanava sembrava fluire attraverso ogni poro della sua pelle e i suoi occhi iniziarono a brillare di una conoscenza millenaria. Le energie arcane si materializzarono intorno a loro, creando un vortice di pura magia che avvolse entrambi nelle sue spirali. In quel flusso Clíona, la Regina delle fate, divenne sempre più brillante. Non riuscendo ad opporre alcuna resistenza alla forza del mago, esplose in tanti minuscoli granelli di polvere fatata. La luce travolse ogni cosa nella sala del trono e tutti ne furono accecati. Quando la luminescenza si placò, in quello che era stato il teatro di un’epica battaglia erano rimasti solo Sam, Dean, Merlino, Artù e i cavalieri della Tavola Rotonda. Non c’era più alcuna traccia di Clíona o di quello che era stata, né tantomeno delle fate al suo comando. Anche la Spada Celeste era scomparsa.
Tutti si ritrovarono in un crescendo di emozioni, travolti dalla gioia e dall'euforia di un combattimento glorioso. Era l'ora dei festeggiamenti, con i cuori dei cavalieri colmi di trionfo ed entusiasmo. Elyan guidò la prima di tante grida di gioia che si propagarono tra di loro, continuando a risuonare e ad amplificarsi come un’eco; Galvano e Parsifal si strinsero con enfasi l’avambraccio, in perfetto stile cavalleresco, orgogliosi e sfiancati dai loro sforzi; Leon sorrise sollevato; Sam e Dean risero a loro volta, dandosi a vicenda una pacca sulla spalla.
«E’ stato incredibile!» esclamò Artù, dopo aver alzato la sua spada in aria in segno di vittoria, come era solito fare dopo i duelli più ardui. «Iniziavo a perdere le speranze di uscire illesi da questo posto!»
«Già!» concordò Merlino, guardandolo di sottecchi. «Soprattutto perché voi e Galvano stavate per diventare mangime per fate!»
Il mago tirò un sospiro di sollievo per essere riuscito a fronteggiare ancora una volta un’insidia tanto temibile. Poi, si aprì in un immenso sorriso che coinvolse anche gli altri, che nel frattempo si abbracciavano l’un l’altro in una calma surreale.
«A proposito di cibo…» intervenne proprio Galvano. «Sono talmente affamato che mangerei un bue intero. Avete notato che da quando siamo finiti su quest’isola non abbiamo ancora messo niente sotto i denti?»
«Credevo che il Wilddeoren avesse fatto passare la fame anche a te!» disse Elyan con una smorfia disgustata, mentre ripensava all’essere che avevano dovuto fronteggiare.
«Tutto sommato, a noi non è andata così male se avete dovuto vedervela davvero con un Wilddeoren gigante!» notò Parsifal, quasi confortato. «Avrei preferito camminare per altre ore piuttosto che essere attaccato da quel coso!»
«Cosa credevi?» lo incalzò Artù. «Che in questo posto si venisse rincorsi da torte di mele giganti, eh Parsifal?»
«No, sire. Perché in quel caso Galvano le avrebbe mangiate tutte prima!» replicò il cavaliere, suscitando tante risate nei suoi compagni d’avventura.
«In realtà, una bella torta non sarebbe dispiaciuta nemmeno a me!» disse Dean, cominciando a sentire i morsi della fame. «O un hamburger succulento…»
«Questo perché sei un ingordo, Dean.» gli sorrise sarcastico Sam, dandogli una piccola gomitata su un fianco.
«Un ham… cosa?» domandò Artù, interrogandosi sulla parola appena pronunciata dal maggiore dei Winchester.
«Un panino morbido con tanta ottima carne succosa e fumante insieme a salse appetitose che stuzzicano il palato.» puntualizzò il ragazzo, ricevendo tante occhiate torve di rimando.
«Così non vale, Dean.» lo redarguì Merlino, allargando le braccia. «Stai facendo venire l’acquolina in bocca a tutti!»
Dean sorrise, compiaciuto.
«Mi dispiace.» disse Sam, mortificato. «Quando c’è di mezzo il cibo, mio fratello non sa comportarsi come dovrebbe.»
«Non ti preoccupare, Sam.» lo tranquillizzò Artù. «Come puoi vedere, anche tra noi cavalieri non manca di certo chi non sa privarsi dei piaceri della tavola.»
«Mi stanno fischiando le orecchie, sire.» lo prese in giro Galvano.
«Già.» rispose Artù, lanciandogli un’occhiataccia in risposta. «Comunque mi ha fatto molto piacere rivedervi, Sam e Dean. E spero che la prossima volta, se mai ce ne sarà una, la situazione non sia così pericolosa.»
«E’ stato un piacere anche per noi, sire.» annuì Sam.
«Magari la prossima volta sarete voi a finire dalle nostre parti!» aggiunse Dean.
«E perché no?!» disse il re. «A questo punto potrebbe accadere di tutto.»
«Anch’io sono convinto che in un modo o in un altro ci rivedremo.» concluse Merlino, mentre ormai stavano lasciando la magione delle fate.
 
***
 
Il sole d'inverno splendeva alto nel cielo blu sopra Camelot, cospargendo la terra di un manto di purezza immacolata. Lo scenario era avvolto da una magnifica coltre di neve scintillante appena caduta, mentre l'aria era tersa e frizzante.
L’intero regno di Albione sembrava addormentato sotto il bianco abbraccio invernale con i soffici fiocchi di neve che ricoprivano ogni cosa e in alcuni punti formavano piccoli cumuli candidi, come cuscini morbidi adagiati sul paesaggio sospeso nel tempo.
«Merlino, ancora una volta sono molto fiero di te!» si complimentò Gaius, dopo aver appreso dell’avventura sull’isola di Avalon.
«Vi ringrazio, Gaius! Ma stavolta ho temuto di non farcela. Quel posto era saturo di magia e i miei poteri potevano non bastare a sistemare le cose con quelle fate.»
«Ma di nuovo le tue immense abilità hanno fatto la differenza!» obiettò il medico di corte.
Merlino, seduto di fronte a lui, annuì, poi portò indietro la testa, come per riposare dalle tante fatiche. All’improvviso, si sentì bussare alla porta e re Artù varcò la soglia dello studio del medico di corte.
«Sire!» esclamò Merlino, preoccupato, mettendosi subito in piedi. «Siete già sveglio? Non mi sembrava di essere in ritardo!»
«No, non lo sei!» confermò il re. «Sono io che mi sono alzato presto questa mattina. E, visto che la neve è scesa per tutta la notte, non posso che annullare ogni esercitazione. Fa troppo freddo per l’addestramento.»
«Volete che vi faccia preparare qualcosa di caldo nelle cucine?»
«No, lascia stare. Sono solo venuto ad informarti che ho indetto un banchetto per stasera.»
«Un banchetto? E per quale ricorrenza?» chiese il servitore.
«Oh, nessuna in particolare, in realtà. Ma con questo freddo non c’è molto che si possa fare, così ho pensato che un banchetto avrebbe intrattenuto tutti.» spiegò Artù.
«Capisco, sire. Beh, mi metto subito al lavoro, in questo caso.»
«Va bene, ma mi farebbe piacere se questa sera partecipaste anche tu e Gaius come invitati. E lo stesso vale anche per Ginevra, naturalmente.»
«Ma certo, sire. Contate pure sulla nostra presenza!» rispose Gaius, contento, sfoggiando un grande sorriso.
«Bene! A stasera, allora!» annuì il sovrano, congedandosi da loro.
 
I grandi tavoli di legno si estendevano lungo tutto il vasto salone, risplendendo sotto la luce calda delle fiammelle che bruciavano nei bracieri appesi alle pareti di pietra. I candelabri d'argento emanavano una luce soffusa, creando un'atmosfera magica e incantata. Le pareti erano tappezzate da pesanti tendaggi dalla calda tonalità cremisi, mentre un fuoco scoppiettante ardeva nel camino. L'aria era pervasa dai profumi di erbe aromatiche e cibi appetitosi, provenienti dalle cucine, che si mescolavano alle essenze avvolgenti dei gigli e delle rose con cui era stato decorato il salone.
«Artù ha fatto le cose in grande!» esclamò Gaius, varcando la soglia insieme a Merlino, vestiti entrambi di tutto punto.
«Già! E’ costato un gran lavoro a tutta la servitù, credetemi!» osservò il mago.
«Peccato che non ricordi nulla di quello che è successo ad Avalon!» constatò il medico. «Sarebbe stato un buon modo per festeggiare la vittoria.»
«E’ vero, ma forse è meglio così!» disse Merlino, deciso. «Nessuno mi ha visto usare la magia, ma ci sarebbero state troppe cose da spiegare in ogni caso. E’ un bene che l’isola si preservi da sola, cancellando i ricordi degli esseri umani. Dev’essere per questo che nessuno sa cosa si celi al suo interno.»
«Di sicuro è così.» annuì Gaius. «Comunque, se Artù ha deciso di festeggiare, forse un piccolo barlume di quello che è accaduto lì è rimasto dentro di lui.»
«E’ possibile, sì.» rispose, lanciando un’occhiata ai gigli e alle rose, gli stessi fiori che avevano trovato nella magione delle fate.
«E quei due ragazzi? Nemmeno loro ricorderanno niente?» domandò l’anziano medico.
«No, Gaius, temo di no.»
L’arrivo dei servi con vassoi colmi di fragranti pietanze e arrosti profumati invitò gli ospiti a sedersi e ad assaporare tutte quelle prelibatezze, insieme a stufati gustosi e pane appena sfornato. I commensali si radunarono intorno alla tavola, chiacchierando animatamente e brindando alle occasioni di festa. Anche Gaius, Merlino e Gwen presero posto tra gli altri invitati. Cavalieri e dame poterono godere di una serata di allegria e divertimento, con musica e risate che si diffusero nell'aria in un clima elettrizzante.
 
***
 
Le strade di Lebanon erano illuminate da luci scintillanti, le vetrine dei negozi brillavano con splendidi decori e un delicato profumo di dolci e spezie si diffondeva ovunque. Nel bunker degli Uomini di Lettere, Sam e Dean si preparavano a trascorrere il Natale, immersi nel delizioso odore di un tacchino arrosto che abbracciava ogni angolo.
I due fratelli erano seduti sul divano e cercavano di fare mente locale su quello che era accaduto negli ultimi giorni.
«Sei sicuro di avermi visto brillare e scomparire all’improvviso?» chiese per l’ennesima volta Dean.
«Certo. Su questo non mi sbaglio, Dean. Purtroppo, il resto diventa confuso e non ho ricordi di quello che è successo dopo che ho parlato con Bobby.»
«E, secondo voi, sarei stato rapito dalle fate?»
Sam annuì, quasi in imbarazzo.
«Beh, se ora sono qui, devi essere venuto a cercarmi. E devi anche avermi trovato, Sammy!»
«E, se davvero le storie sulle fate sono vere, è per questo motivo che non ricordiamo nulla!» concluse Sam. «Alla fine, tutto è bene quel che finisce bene!»
Dean annuì incerto, facendo spallucce. Poi, si voltò e prese una busta rossa per regali e la porse a Sam.
«Buon Natale, Sam!» esclamò, sorridente.
Sam lo fissò incuriosito e stranito al tempo stesso.
«Non credevo ti andasse di scambiarci i regali e fare… cose natalizie.»
«Beh, ho cambiato idea. Avanti, prendila!»
Sam prese la busta, la aprì e tirò fuori un libro piuttosto malconcio con la copertina sbiadita che riportava disegni illustrati di cavalieri.
«E questo dove l’hai trovato, Dean?» domandò, entusiasta, con gli occhi che gli brillavano per l’emozione.
«Ricordi quel box che papà aveva affittato? Quello in cui aveva riposto tutte le nostre cose? Il libro sulle storie dei cavalieri della Tavola Rotonda che ci leggeva da piccoli era proprio lì, in uno dei tanti scatoloni. E ho pensato che ti facesse piacere riaverlo!»
«Grazie! Sono anni che non lo vedevo!» disse Sam, contento, rigirandoselo tra le mani. «Ah, aspetta, Dean! Anch’io ho qualcosa per te!»
Corse in camera sua e tornò dopo pochi minuti con un pacchettino di carta blu, che mise direttamente nelle mani di suo fratello.
«Grazie, Sam!» disse Dean, scartando con sorpresa il suo dono.
Avvolto nella carta da regalo, c’era un cordoncino di cuoio nero da cui spiccava un ciondolo argentato a forma di spada, uguale in tutto e per tutto alla Spada Celeste che Jack e Castiel avevano donato a Dean per sconfiggere le fate di Avalon.
«Un nuovo amuleto!» sorrise Dean, indossandolo.
«Ho pensato che fosse ora di cambiare!»
«Hai pensato bene! Grazie, Sammy!» «Oh, e non dimentichiamoci queste!»
Da dietro il divano tirò fuori delle birre e ne porse una a Sam.
«Non dimentichiamoci nemmeno del tacchino!» disse il ragazzo, mentre “brindavano”.
«Non l’hai cucinato tu, vero Sam?» chiese Dean riluttante con una smorfia.
«No, tranquillo. L’ho solo riscaldato!» rise Sam.
«Bene! Allora andiamo a mangiare!»
A quel punto, si alzarono all’unisono per raggiungere la cucina.
«Buon Natale, Dean!»
«Buon Natale, Sammy!»


 

Angolo autrice

Un saluto a tutti e un sentito grazie a chi sta leggendo questa storia e a chi la leggerà in futuro. Grazie anche a chi l’ha messa nelle preferite, nelle ricordate o nelle seguite.
Sono contenta che finora siate stati in tanti a seguirla.
Un ringraziamento particolare ad AndyWin24, Swan Song e Dramon20 per aver condiviso con me il loro punto di vista sulla storia.
Grazie ancora a tutti!
Tanti saluti!!!

 

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