Il volto dell’inganno

di Winterwings
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** PREMESSE ***
Capitolo 2: *** DEDICA ***
Capitolo 3: *** PROLOGO ***
Capitolo 4: *** CAPITOLO I - IL PROCESSO ***
Capitolo 5: *** CAPITOLO II - LUCI BLU ***
Capitolo 6: *** CAPITOLO III - CAOS ***
Capitolo 7: *** CAPITOLO IV - LA SUA CADUTA, LA MIA ROVINA ***
Capitolo 8: *** CAPITOLO V - INGIUSTIZIE E BUONE CAUSE ***



Capitolo 1
*** PREMESSE ***


🥀

Il volto dell'inganno

⭕️
La presente storia affronta tematiche delicate come l'abuso di alcol e droghe, omicidi e depressione; fa inoltre riferimenti, anche se in maniera velata, a prostituzione e stupro.
Gli elementi, seppur trattati in maniera leggera potrebbero urtare la vostra sensibilità, vi consiglio dunque in tal caso, di non leggerla.

Qualunque riferimento a luoghi specifici e persone realmente esistenti, vive o defunte è puramente casuale.
 

♠️
Innanzitutto grazie di essere qui, significa molto per me! Ho sempre avuto una certa difficoltà nell'esporre i miei lavori e di certo mai avrei immaginato di dare luce a una delle mie storie. Mi auguro che sia di vostro gradimento e che possiate innamorarvene un po' come è successo a me;

Il volto dell'inganno é una storia complessa che racconta di vendetta e amore perennemente in contrasto. Non esiste l'uno senza l'altro e a farne le spese sarà proprio la nostra giovane protagonista. Essa incarna il dolore e l'astuzia, consumata dall'ira e dall'odio è disposta a fare qualunque cosa pur di arrivare al suo scopo. Può essere un personaggio odioso e calcolatore, certamente in questo caso il fine non giustifica i mezzi, ma è proprio questo fine il traguardo della sua personale odissea, ricordate però...

Niente è come sembra ed Eleonora sta per scoprirlo proprio assieme a voi!

Vi auguro una buona lettura,
E.

 

©️ Tutti i diritti sono riservati e qualunque violazione senza un esplicito consenso legale è considerata punibile per legge.

 

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Capitolo 2
*** DEDICA ***


♾️
Con amore dedico a te questo piccolo, ma importante traguardo... Sai bene che senza la tua fondamentale presenza niente di tutto ciò sarebbe stato possibile, quindi, grazie per avermi donato la vita e in un certo senso aver consumato un po' di più la tua, mamma.

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Capitolo 3
*** PROLOGO ***


Sarei stata la protagonista di ogni prima pagina del paese nonché di tutti i notiziari alla televisione, il mio volto sarebbe stato ovunque per parecchio, troppo, tempo; stava per scoppiare il nuovo caso mediatico dell'anno e io ne avrei fatto clamorosamente parte. Avrei tanto voluto esserne orgogliosa, ma ahimè, non avevo proprio nulla di cui gioire. All'intera Italia non sarebbe importato solo chi avessi ucciso, ma anche come e perché, sarei stata ricordata come una spietata e calcolatrice assassina, ma con stile da vendere, questo ve lo assicuro;

Non fu facile realizzare immediatamente cosa accadde, l'avevo immaginato milioni di volte ma di certo non in quel modo e soprattutto non in quel momento, avevo abbassato la guardia e ne avevo appena pagato il carissimo prezzo... la colpa era innegabilmente mia. Abbandonai con cautela la pistola al suolo respirando profondamente, non potevo crederci... avevo finalmente ottenuto ciò che volevo, la mia tanto agognata vendetta, eppure perché non mi sentivo libera come speravo? Cos'era quel nodo che avevo in gola? Perché ciò che mi sarebbe accaduto da lì a poco aveva totalmente perso la sua importanza? Presi il cellulare dalla borsa mentre lo sguardo di Alessandro mi perforava, era lui la risposta a quel profondo malessere che sentivo.

- Perdonami...

Dissi con un filo di voce che non sembrava appartenermi e in realtà neanche la parola che avevo appena pronunciato mi si addiceva un granché.

- Eleonora... io... non...

Era immobile e probabilmente sotto shock. Le sue mani tremavano e nel suo sguardo c'era qualcosa, qualcosa che per la prima volta non seppi cogliere. Non riuscivo neanche a guardarlo negli occhi a causa del mio senso di colpa, in quel momento alle stelle. Era fin troppo anche per me, che stavo evitando deliberatamente di guardare dentro quei pozzi così belli e profondi, distrutti, distrutti proprio da me che mi ero improvvisata maldestramente artefice sia del mio che del suo destino rovinando innegabilmente tutto. 

- Il mio nome prima di iniziare tutto questo era Emanuela.

Sorrisi mesta e per la prima volta, sincera. Effettivamente lo ero stata anche quando avevo detto di amarlo ma non potevo di certo biasimarlo se arrivati a quel punto avesse smesso di darmi la sua fiducia.

- Eleonora è stata solo una conseguenza. Una stupida e infantile conseguenza.

Mi voltai dandogli le spalle mentre osservavo il muro di cinta che mi ero creata attorno crollare e seppellirmi fra le sue stesse macerie, detriti che avevo voluto io e io soltanto. Sentivo rimbombare i battiti del mio cuore ma non potevo permettere né all'adrenalina né ai miei reali sentimenti di rovinare tutto, non di nuovo. Feci partire quella maledetta chiamata prima di potermene pentire e fuggire via, lontano da lì, da lui e da tutto ciò che ci circondava, da quel piccolo angolo di paradiso dove eravamo stati così felici e che si era appena trasformato nel mio personale inferno, pieno di rimembranze del passato e con l'eco gravoso del presente.

- Pronto? Si... venite a prendermi, ho appena ucciso un uomo.

Una lacrima sfuggì al mio controllo, non per il cadavere che giaceva inerme ai miei piedi, ma per me stessa; finalmente era tutto finito, ma le ultime parole di Lorenzo sarebbero rimaste per sempre impresse nella mia mente come marchiate a fuoco... un eterno monito per ricordare chi ero davvero e che cosa ero stata disposta a fare.

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Capitolo 4
*** CAPITOLO I - IL PROCESSO ***


Eleonora, 2023
 
Non sentivo niente, assolutamente niente, né rimorso né pentimento, ma neanche la leggerezza che credevo avrei provato, ero il nulla più totale o almeno così credevo. Erano già passati due lunghissimi mesi in cui avevo avuto modo di risaldare la mia corazza e concentrarmi su di me e sul mio obiettivo. Entrai a testa alta e sicura di me in aula, con quell'audacia che ormai faceva parte di me, scortata da una guardia e sotto il palpabile sgomento dei presenti. Quando dissi "con stile da vendere" non stavo mentendo e anche in quella situazione il personaggio di Eleonora Torre, doveva apparire spiazzando i presenti, gli stessi italiani che la volevano condannata all'ergastolo. In fin dei conti Eleonora era sempre stata questo, sola e pura apparenza, una corazza inespugnabile che aveva finito per distruggerla. Per il grande giorno dell'udienza mi era stato chiesto di vestirmi nel modo più semplice possibile, niente gioielli, niente tacchi, niente provocazioni, per questo la mia apparizione fu una sgradita sorpresa anche per l'avvocato che aveva preso le mie difese quando mi vide varcare la soglia con indosso un elegantissimo tailleur nero, una camicia bianca e delle décolleté nere lucide. Ai lobi portavo orecchini di diamanti e al collo la collana coordinata, entrambi regali di Alessandro, mentre sulle mie labbra spiccava un provocatorio rossetto rosso messo di proposito per infastidire ancora di più la corte, il mio principale intento. Il mio avvocato strabuzzò gli occhi, probabilmente pentendosi seduta stante del suo incarico, mentre mormorii di disapprovazione riempirono l'aula. Il mio strafottente sorriso crebbe, quel genere di reazione mi divertiva parecchio, per tutti ero l'assoluta colpevole, la sociopatica narcisista che aveva orchestrato tutto fin dall'inizio e in fin dei conti a me andava bene così, doveva andare così. Improvvisamente, quando il mio sguardo finì catturato in un paio d'occhi di ghiaccio limpidi come l'acqua, quello che restava del mio cuore si frantumò definitivamente portando a galla i miei veri sentimenti, il tutto in solo attimo; lui era lì, incredibilmente vicino ma fin troppo lontano anche per poter sperare in un minimo contatto, era a pochissimi metri da me, pochi metri che a entrambi, ne ero certa, sembravano essere chilometri. Stavo sottoponendo Alessandro alla prova più difficile di tutta la sua vita, quello sì che non me lo sarei mai e poi mai perdonato. Indugiai nei suoi splendidi e rari occhi solo qualche secondo in più, colta da un'improvvisa quanto breve e dolce debolezza, prima di distogliere completamente lo sguardo e ignorarlo, dovevo restare impassibile e lucida, ma l'averlo così vicino non aiutava, lui era diventato il mio punto più debole.
Ci fu richiesto di alzarci in piedi all'arrivo della corte, presiedeva un giudice non troppo alto dai capelli quasi bianchi e due occhialoni a incorniciargli gli occhi grigi e il volto scarno.
- Buongiorno. Le prove sono state tutte depositate per tempo, direi quindi di lasciare la parola all'avvocato Bertolaso, rappresentante degli interessi della vittima.
Sbuffai rumorosamente ed evidentemente spazientita, se ne accorsero tutti.

- Davvero? Vittima?

Sussurrai ironica al mio legale che con la successiva occhiataccia che mi riserbò mi fece immediatamente desistere dal fare altri commenti fuori luogo. Mi ero ripromessa di comportarmi bene in aula, niente bravate o sciocchezze ma a dire il vero non ero certa di riuscirci realmente. Quella scintilla d'impulsività che avevo in petto non ero mai riuscita ad eliminarla del tutto, faceva parte integrante del mio essere, vecchia me o nuova me. Sorrisi appena, dovevo tenere duro. Per Sarah. Per Alessandro.

- Buongiorno. Oggi l'intera corte è stata convocata per portare alla luce la verità dietro un ingiusto e premeditato crimine, oggi, il fatto di cronaca più attenzionato dall'intero popolo italiano. Siamo qui per ricostruire e spiegare come quest'omicidio fosse stato programmato nei minimi e sconvolgenti dettagli dalla mente della qui presente imputata Emanuela D'Amato, che sotto falso nome ha compiuto questo imperdonabile delitto. Porteremo a galla l'insensata e malsana vendetta che ha spinto una donna a uccidere un uomo senza provare il minimo rimorso, a intrufolarsi in casa sua e tessere silenziosamente la sua trama mortale senza alcun diritto. L'imputata è capacissima d'intendere e di volere, consapevole delle sue azioni sin dal primo istante in cui ha messo in piedi questa farsa.

- Vorremmo udire anche la sua versione dei fatti signorina D'Amato, le ricordo che è sotto giuramento e commettere atto di spergiuro in aula è un gravissimo reato.

Reato, di certo non il primo che stavo per compiere. Tutta la mia vita era stata una menzogna, quell’apparenza che avevo creato attorno a me e al mio personaggio e perfino la legge che stava per giudicarmi colpevole in quel momento mi sembrava una grandissima bugia;
Il momento era arrivato, presi un profondo respiro pronta a raccontare per la prima volta, seppur parzialmente la storia; probabilmente fu anche questo ad accrescere la popolarità del mio caso, nessuno fino ad allora conosceva il movente, anche la mia identità era un mistero, nessuno sapeva nulla, pendevano tutti dalle mie scarlatte labbra. Fu così strano per me iniziare a esporre quella vicenda ed esternare così pubblicamente il mio stato d'animo, i ricordi non mi sembravano più tanto lontani e sbiaditi mentre i presenti udivano la mia voce e il mio racconto veniva registrato dai giornalisti. Alessandro continuava a non staccarmi gli occhi di dosso, mentre il senso di colpa continuava a divorarmi da dentro le viscere: nonostante tutto, lui era lì per me e in quel momento realizzai quanto fossi stata stupida, lui c'era sempre stato, e io? Io me ne ero scaltramente servita. Se davvero avessi saputo giocare le mie carte non ci saremmo mai trovati in una situazione simile, avevo sopravvalutato le mie capacità. Come in trance, i suoi occhi erano posati su di me mentre ascoltava quella parte della storia e io sperai che per il bene di entrambi mi stesse maledicendo. Doveva odiarmi, sarebbe stato più semplice per tutti e due.

- Il giorno in cui mia sorella scomparve io me lo sentì che era morta, potrete pensare che io sia melodrammatica, ma davvero, quel giorno qualcosa dentro di me si incrinò irrimediabilmente. Sarah era una persona speciale, eravamo particolarmente legate l'una all'altra e con la sua morte non ho solo perso una sorella... mi è stato tolto tutto quanto. Lei si era sempre occupata di me e improvvisamente mi sono ritrovata da sola, la colonna portante della mia vita non c'era più.

Respirai nervosamente ricordando il volto di colui che me l'aveva strappata, colui che indirettamente si era ritrovato così legato alla mia strada.

- Con non poca sorpresa appresi che Sarah aveva intestato sia a me che a nostra madre due conti in banca in cui aveva versato abbastanza soldi per sopravvivere dignitosamente per un bel po', il frutto del suo lavoro e il motivo per cui, forse, era stata uccisa. Fu nell'esatto momento in cui lo realizzai davvero che decisi di usare la mia parte per autofinanziare il mio piano.

La mia espressione corrucciata lasciò spazio ad un sorriso sadico da mettere i brividi e dovevo ammetterlo, ero una grandissima attrice. Non era solo Alessandro a dovermi odiare, ma tutta l'Italia.
- Ammette quindi davanti alla corte e davanti al giudice di aver premeditato tutto sin dal primo istante?

- Si.

Lo dissi senza esitazione, sicura di me e delle mie parole per sempre indelebili.

- A quando risale l'inizio del suo piano?

- Cinque anni fa circa, avevo diciannove anni.

- Le prove e la testimonianza che lei stessa ci sta fornendo sono schiaccianti, lei è indifendibile. La meschinità e il sangue freddo con cui ha sparato alla vittima denotano quanto lei sia priva d'anima e cuore. Lei è una persona spregevole.

Deglutì, mandando giù l'ennesimo, inspiegabile magone e per una frazione di secondo guardai nuovamente Alessandro, il ricordo dello sparo sarebbe stato per sempre negli incubi di entrambi; io ero proprio come mi aveva descritta l'avvocato, priva d'anima e cuore frantumati e consumati dalla rabbia e dal rancore. Non potevo però negare che Alessandro aveva quasi cancellato quel marcio che si era radicato così profondamente in me, con pazienza e dedizione l'aveva in parte convertito, rendendomi nuovamente vulnerabile. L'avvocato Bertolaso voleva vedermi crollare... peccato che non sarebbe mai e poi mai accaduto, ero vulnerabile, ma di certo non stupida.

- Lorenzo Duca era il figlio maggiore di una benestante e rispettabile famiglia, premetto che nessuno in quest'aula vuole negare l'evidente sconsideratezza dello stile di vita della vittima né tantomeno negare ciò che è sotto gli occhi di tutti: Lorenzo era caduto da parecchio tempo preda di alcuni vizi, da cui però stava cercando di liberarsi con impegno da mesi.
In un attimo mi venne in mente proprio quel viscido durante uno dei suoi festini privati, lo ricordai nitidamente seduto fra Laura e un'altra donna intento a bere e farsi di chissà quale sostanza. Rideva e mi guardava di sottecchi con quegli occhi così oscuri e vuoti da mettere i brividi. Anche lui era senz'anima e cuore lo sapevo per certo, ma con un dettaglio che lo differenziava da me, io lo ero diventata solo a causa sua mentre lui era proprio nato così, cresciuto fra vizi, sfarzo e incapace di accontentarsi. Oscurità aveva generato altra oscurità, contaminando la mia anima e segnando la nostra condanna a morte, prima la sua e poi la mia. Quell'uomo, se così lo si poteva definire, avrebbe potuto liberarsi di tutti anche di sua madre ma non di certo della droga che tanto amava, forse anche più di Claudia, certo, ammesso che l'avesse mai amata davvero;

Il mio avvocato prese la parola proprio come avevamo pianificato e il mio sguardo passò dal mio legale a quello dei Duca. Quel giorno con le nostre azioni avremmo riaperto quel maledetto caso, lo sapevo, nonostante la completa sfiducia che avevo nei confronti della legge tutto sarebbe stato portato a galla, avrei riavuto presto la mia verità.

- Non vorrà di certo far credere alla corte che la "vittima", come lo chiamate voi, fosse un Santo. Non era solo la droga uno dei suoi peggiori vizi; infatti, non è un segreto che fosse indirettamente legato a un giro di prostituzione, senza contare le denunce che sono state depositate agli atti, denunce di molte donne, alcune delle quali addirittura appena maggiorenni che dichiarano di essere state vessate e circuite dalla vostra vittima. Io non sono qui solo per difendere la mia cliente, che oltretutto si dichiara colpevole senza attenuanti, ma anche per portare alla luce un altro fatto di cronaca a cui, a quanto pare, non è stata data la stessa importanza mediatica: l'omicidio di Sarah D'Amato, la sorella dell'imputata nonché mia assistita, un caso che non solo è stato anticipatamente chiuso ma anche insabbiato e dimenticato da tutti ormai avvenuto sette anni fa. Sette lunghi anni senza giustizia per questa donna al servizio dello stato, morta in circostanze sconosciute, viva solo nei ricordi di chi l'ha amata e forse anche di chi le ha tolto la vita.

- Ha detto bene, indirettamente. Oh, Vostro Onore, come potremmo mai basare questo dibattito sulle testimonianze di escort, ballerine e donne con precedenti di estorsione? Chiaramente tutte le accuse sono state mosse a discapito del mio cliente solo per un motivo cioè, estorcergli del denaro. È chiaro come il sole! Inoltre, il caso di Sarah D'Amato è stato chiuso e archiviato poiché risolto, la poverina si è semplicemente suicidata.

Sentì montare una rabbia incontenibile dentro di me all'udire quelle assurde parole e vedere il sorrisino di scherno che l'avvocato mi rivolse mi dette una nuova certezza, lui lo sapeva. Strinsi i pugni conficcandomi le unghie laccate di rosso nella carne fino a farmi male, espirai e poi ripresi il controllo. Guardai allibita il mio avvocato, sapevo che varie sfumature di rosso coloravano il mio viso e lui di rimando mi guardò facendo un brevissimo cenno col capo. "Non ancora" mi parve di capire dalla sua espressione e usai tutta la mia forza interiore per trattenermi. Dovevamo ottenere la riesumazione dei resti, resti che purtroppo avevo avuto modo di identificare al tempo. Bertolaso prese fra le mani una lettera che era stata depositata agli atti e rigirandola fra le dita puntò il suo sguardo indagatore su di me.

- Signorina D'Amato, lei conosce il contenuto di questa lettera?

- Certamente.

- Potrebbe dirlo alla corte?

Annuì. Quella lettera era la prova, mia sorella non si era suicidata e quelle parole lo dimostravano. Non seppi mai chi me la recapitò, ma chiunque fosse immaginavo che prima o poi sarebbe uscito allo scoperto per farsi rendere il favore. Nessuno a questo mondo fa niente per niente, l'avevo scoperto a carissimo prezzo.

- È stata scritta da Sarah, la perizia calligrafica inoltre ha dato un'ulteriore conferma. Mi è stata recapitata qualche giorno dopo la sua morte. Non indica solo le sue ultime volontà ma anche il nome di chi l'avrebbe uccisa se quell'operazione non fosse andata a buon fine e di chi, se fosse morta e il caso fosse stato insabbiato, avrebbe contribuito a coprire tutto.

L'avvocato della controparte continuò quindi il suo breve interrogatorio. Odiavo il suo sguardo di sufficienza, era palese il suo intento di farmi passare per la "poco di buono" della situazione e per quanto io avessi davvero vestito quei panni non poteva evitare così a suo piacimento il nocciolo della questione... Il punto non ero solo io, ma Lorenzo Duca sottoterra e il caso di Sarah chiuso e con le mie azioni, forse, riaperto. Sentivo che stavo finalmente per ottenere giustizia, quella stessa giustizia che era stata negata a mia sorella finita nel dimenticatoio di qualche archivio per troppo tempo.

- Potrebbe fare questi nomi?

- Lorenzo Duca.

- E il secondo?

- Non è pervenuto. Come lei avrà avuto modo di notare, una parte del foglio è stata strappata, probabilmente dalla stessa persona interessata a non far conoscere il suo nome e la sua colpevolezza in merito alla vicenda.

Non sapevo davvero il nome del o dei complici, ma a quel punto non mi sorpresi più di tanto nel constatare che probabilmente anche l'avvocato vi era invischiato. Avevo imparato ad analizzare le persone, i loro movimenti e le loro espressioni, quell'avvocato era fin troppo sicuro di sé, inoltre quei continui sorrisini di scherno e sguardi taglienti non mi convincevano affatto, lui sapeva.

- Si tratta solo di supposizioni ed è inammissibile basare un processo su delle supposizioni.

Lo fulminai con lo sguardo. Erano supposizioni? Sicuramente sì, ma ben fondate e anche lui lo sapeva, aveva avuto modo di conoscere molto bene Lorenzo da vivo e in carne e ossa, tirandolo fuori dai guai che quel suo sconsiderato mondo portava con sé. Sospirai ancora, dovevo assolutamente trattenere la mia lingua biforcuta, ma quell'uomo m'irritava così tanto... un po' come la sua adorata vittima.

- Continui signorina.

- Sarah è morta perché sapeva troppo, ha interferito con gli affari di Lorenzo Duca e ne ha pagato il prezzo. Emanuela D'Amato è morta ed Eleonora ne ha preso il posto. Non credo ci sia nient'altro da aggiungere.

- Chi è realmente Eleonora Torre?

Sorrisi con orgoglio, Eleonora era stata il mio più grande capolavoro.

 

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Capitolo 5
*** CAPITOLO II - LUCI BLU ***


Emanuela, 2017
 
Ricordo nitidamente la notte in cui conobbi Bryan Rollins e il momento in cui entrai a far parte della sua solitaria e misteriosa vita;
Avevo decisamente bevuto troppo quella sera e davvero non credevo di poterci riuscire, almeno fino a quel momento, poiché durante quasi tutto l'anno precedente avevo dimezzato i miei pasti e introdotto alcol a fiumi, la via più facile e veloce per dimenticare e per sparire. La musica sembrava volesse spaccarmi i timpani mentre ballavo frivola fra la folla di altrettante persone ubriache e sconosciute incurante dei pericoli che avrei potuto correre e non solo. Non ero solita frequentare discoteche ma qualcosa in me era profondamente cambiato in quelle ultime due settimane e dovevo ammettere che quel senso di ebrezza e adrenalina non mi era indifferente, sentivo di star combattendo quella bestia che avevo dentro, quella depressione che mi aveva portato a vedere specialisti e ad assumere farmaci completamente inutili e soporiferi;
Avevo deciso di festeggiare così il raggiungimento della mia totale indipendenza, quella notte compivo finalmente diciotto anni. Il locale in cui mi trovavo, il Rouge, non era di certo un posto adatto a me o per meglio dire alla vecchia me e nonostante non riuscissi più a provare "divertimento" per qualcosa dovetti ammettere che il luogo non mi dispiaceva affatto, era tutto sommato carino e ben arredato, nonostante lì dentro girasse veramente di tutto e fosse frequentato da ogni categoria di persona. Un'improvvisa ondata di calore mi spinse a sfilarmi la giacca, lasciando in vista il mio striminzito top e ad allontanarmi dalla pista. Ero così satura d'alcol che nemmeno andai ad ordinare, addentrandomi invece per la prima volta nel privé in cerca di qualcosa o qualcuno. Se la pista da ballo era stracolma, il privé conteneva circa un quarto delle persone, uomini seduti ai tavoli, donne poco vestite appartate sugli eleganti divani o ancora "coppie" se così potevo chiamarle, intente a ballare e baciarsi, il tutto illuminato da luci blu neon.  Ero nuova a quel tipo di ambiente e credo proprio di essermi lasciata sfuggire una smorfia di disgusto, non ero abituata a quel genere di promiscuità ed effusioni pubbliche. Mi guardai intorno e fu in quel momento che la vidi: una bellissima donna ballare per tutti quegli uomini. Il suo viso sembrava di porcellana, privo di difetti, ma non fu questa la cosa che mi colpì davvero; era di un'eleganza e una bravura stupefacente, sprecata per il privé di un locale. Solo per un attimo desiderai essere al suo posto e dimenticare quel disastro che era la mia vita. Tutti gli sguardi erano per lei che con sensualità e grazia riusciva a muovere il suo corpo e a esprimere ciò che sentiva o almeno ciò che lasciava trasparire, elegante e sicura di sé come una gatta. Avevo sempre ballato a livello agonistico ma mai di certo a quei livelli, eppure non saprei dire cosa mi spinse esattamente a salire su quel palcoscenico una volta che lei ebbe terminato. Non mi importava di sembrare goffa o altro, cercavo di riprodurre ciò che avevo appena visto e a giudicare dagli sguardi che mi erano stati riserbati non dovevo essere stata troppo male. La mia bravata non durò poi così tanto poiché l'alcol che avevo in corpo mi tradì, regalandomi violenti capogiri. Scesi, guadagnandomi ulteriori occhiate, mormorii e anche applausi, ironici probabilmente, il mio momento di ribalta era stato breve ma intenso. Avevo l'adrenalina alle stelle e di sicuro ci avrei riprovato da sobria. Quando una nuova canzone ripartì e io ripresi a ballare questa volta uno stile a me più conosciuto, due mani fredde si adagiarono prontamente sui miei fianchi scoperti, rompendo in parte lo stato di semicoscienza ed ebrezza in cui mi trovavo. Era un tocco mascolino ma tutto sommato delicato che mi regalò piccole scosse elettriche più che piacevoli.
- Balli molto bene, ma non puoi stare qui.
Lo sconosciuto accostò le labbra al mio orecchio, pronunciando quelle parole e mettendomi i brividi. Non avevo idea di chi fosse, ma la sua stretta non m'infastidì più di tanto. Volevo godermi quella serata e per la prima volta essere un'altra persona rispetto a quella che ero sempre stata. In me era in atto una profonda trasformazione, qualcosa che a stenti riuscivo a comprendere ma che sentivo essere giusto.
- E chi lo dice?
Lo dissi in maniera sfacciata, mentre le sue mani salivano sulle mie spalle scoperte. Appoggiò il mento nell'incavo del mio collo e potei giurare di averlo sentito inspirare il mio profumo.
- Lo dico io.
- E chi saresti tu? Sentiamo un po'?
In quel momento decisi di voltarmi, compì una giravolta scoordinata finendo proprio a pochi centimetri dal viso del mio affascinante interlocutore o, meglio, a pochi centimetri dalle sue labbra.
- Il proprietario.
Disse con un enorme sorriso sornione stampato sul volto riflesso di blu. Io rimasi senza fiato e parole, l'avevo già visto in giro, era un ragazzo molto particolare: alto, dalla carnagione chiara, dai capelli biondo scuro mossi e gli occhi verdi come smeraldi, con un leggero velo di barba e i tratti del viso spigolosi, insomma, molto difficile da dimenticare. Smisi di analizzare e imprimere i dettagli del suo volto ravvicinato abbassando lo sguardo. Non riuscivo a sostenere quel contatto visivo così penetrante e profondo. Era parecchio strano, l'ebrezza e la sfacciataggine dell'alcol erano appena scivolate via dal mio corpo rendendomi vulnerabile da quello sconosciuto.
- Scusami. In questo periodo non sto bene non comprendo nemmeno io cosa mi passi per la testa...
Feci per muovermi, ma il mio corpo mi tradì e inciampando appena finì sorretta dalle sue forti braccia. Avvampai, non solo a causa degli effetti dell'alcol ma anche perché l'averlo così vicino mi imbarazzava parecchio. Non era stata una mia impressione, il suo tocco era davvero gelato e nuovi brividi si irradiarono dal punto in cui i suoi polpastrelli sfioravano la mia pelle.
- Lo vedo che non stai bene, vieni con me, ti porto in un posto più tranquillo.
- Ma non ti conosco neanche.
- E tu ragazzina non dovresti neanche essere qui. Quanti anni hai? Diciotto?
- Quasi o appena compiuti, dipende, che ora è?
Sorrisi frivola mentre il suo sguardo virò dal confuso allo sbalordito e il suo volto tradì un pizzico di preoccupazione.
- Accidenti, vieni con me. Forse qui dentro sono la persona più inoffensiva che hai incontrato in tutta la sera, ed è un paradosso per me, credimi.
Sorrise teso passandosi una mano fra i capelli. Fu così che senza proferire parola salimmo al piano di sopra, in quello che poi scoprì essere il suo piccolo appartamento. Era pericoloso e sconsiderato? Assolutamente sì. M'importava? No.
- Quanto hai bevuto?
Mi chiese una volta che mi accomodai scomposta sul suo divano in pelle color crema.
- Reggo bene l'alcol. 
Sorrisi senza rispondere alla sua domanda. Non credo che, se glielo avessi detto mi avrebbe creduto o quantomeno sarebbe cambiato qualcosa.
- Questo forse è ciò che pensi tu ma non ciò che penso io. Hai preso qualcosa? Qualcosa che non fosse alcol?
Il suo sguardo si fece serio. Se fossi stata drogata me ne sarei sicuramente accorta e anche lui suppongo, avevo sviluppato una tolleranza all'alcol ma non di certo alle droghe.
- Assolutamente no. Ho solo bevuto... sei così premuroso con tutte le neo-diciottenni che incontri nel tuo locale?
- Mai. Anche perché, qui le neo-diciottenni non entrano... come hai detto che ti chiami?
Abbozzai un mezzo sorriso mentre lo sconosciuto mi scrutava dalla testa ai piedi, soffermandosi su un punto particolare situato sul mio viso. Aveva degli occhi bellissimi, tristi quasi quanto i miei.
- Non l'ho detto e poi li dimostro già da un pezzo diciotto anni.
- Eccome ragazzina, sembri una sedicenne addirittura.
Mi canzonò lui con un sorrisetto, scompigliandomi i capelli, quella sera mossi. La confidenza che aveva usato non m'infastidì, anzi mi fece piacere, permettendomi di sentirmi ancora di più a mio agio lì con lui, uno sconosciuto.
- Dopo questa sera non voglio più vederti qui dentro, hai capito? Non è un posto adatto a te.
Lo guardai fisso negli occhi, volevo ritornarci in quel locale e non solo come spettatrice.
- Cosa devo fare per poter lavorare qui?
Avevo appena deciso che da quel momento in poi, mi sarei presa tutto ciò che desideravo senza privarmi più di nulla.
- Niente perché è assolutamente fuori discussione.
- Ma...
- Niente ma, questo non è un posto per brave ragazze, qui girano robe... pesanti e pericolose per ragazze come te. Non mi importa se domani avrai diciotto anni, questo continuerà a non essere un luogo per te.
Gli presi la mano, alcuni anelli d'acciaio luccicavano fra le sue falangi, lui mi guardò sorpreso.
- Chi ti dice che io sia una brava ragazza? Oltretutto... non posso stare a casa.
- E perché non puoi?
Chiese con un misto di curiosità, guardando interrogativo la mia mano stringere la sua, ghiacciata.
- Perché finirei per fare qualcosa di cui potrei davvero pentirmi.
Fu così che da ubriaca confidai i dettagli della mia caduta verso la depressione a un estraneo, io e Bryan quella notte diventammo più che ottimi amici;
Eleonora, 2023
- Eleonora Torre è un personaggio interamente inventato, nato dalla mia mente e da una serie di coincidenze fortuite. Tutt'oggi non sono in grado di spiegare precisamente da dove nacque l'idea, posso solo dire che, evidentemente ha funzionato, non mi troverei qui altrimenti, non crede anche lei avvocato Bertolaso?
Sorrisi tagliente dopo aver pronunciato quelle parole, guadagnandomi occhiatacce da tutti i presenti, avvocati e giudice compresi, avevo appena sfidato pubblicamente la corte e anche se ciò di certo non giovava a mio vantaggio non posso negare che mi dilettò parecchio. Giocare con loro mi dava una sensazione di potere e sicurezza che ormai conoscevo bene, tante volte nei panni di Eleonora avevo avuto modo di sperimentarla sentendomi quasi invincibile, sempre un passo avanti agli altri. Inoltre, stavo mentendo e lo sapevo fin troppo bene, Eleonora Torre non era nata solo grazie al mio ingegno, senza il suo tocco non sarebbe mai stata così perfetta, ma Bryan doveva assolutamente rimanere fuori da quella maledetta faccenda.
- Quindi ammette di aver creato il suo alter ego da sola?
- Si, ma non definirei Eleonora un'alter ego, più una... nemesi. Caratterialmente e fisicamente sono due persone ben diverse, Emanuela è una ragazzina...
Citai il nomignolo con cui Bryan amava stuzzicarmi.
- Eleonora invece è una donna.
- Lei si sta beffando della corte o sbaglio? Cosa vuole insinuare? Vuole forse far credere a noi tutti di essere mentalmente instabile, magari di soffrire anche del disturbo dissociativo della personalità? Non intenerisce proprio nessuno.
Sorrisi abbassando solo per un secondo lo sguardo, chissà se Bryan mi stava guardando... Lo rialzai sicura e ferrea inchiodandolo dritta negli occhi dell'avvocato che intimorito da quella improvvisa presa di sicurezza spalancò appena le labbra, interdetto dalla mia improvvisa reazione, lo sapevo, potevo sentirlo e vederlo da come aveva assunto quella postura rigida, da come si torturava le unghie e da come il suo modo di respirare fosse nettamente cambiato.
- Assolutamente no, intendo solo dire che a oggi in me di Emanuela è rimasto ben poco ed è più semplice per me identificarmi come Eleonora Torre, l'assassina che avete contribuito a creare e che adesso volete annientare credendo di cancellare così le falle del vostro falso e imperfetto sistema, lo stesso che risparmia gli assassini mandando a morire coloro che si schierano dalla parte della legge. Con tutto il rispetto, la vostra amata legge, mi fa schifo.

 
♠️
Ciao a tutti cari lettori di EFP! Dopo tantissimo tempo in cui non solo è cambiato un po' il mio stile di scrittura ma anche le mie idee, ho deciso finalmente di ripubblicare qualcosa. ^^ 
All'inizio avevo scelto Wattpad come unica piattaforma ma ho deciso di ritornare alle mie amate origini e condividere anche con questa splendida comunità la mia storia. Mi auguro di vero cuore che sia di vostro gradimento e che almeno un po' abbia acceso la vostra curiosità;
La storia è ancora in fase di scrittura e a tal proposito vi sarei grata se esprimeste il vostro parere, elemento importantissimo per migliorarmi. Io non credo di saper scrivere, ma assolutamente ci provo, la scrittura in qualche modo è parte integrante di me! 
Il terzo capitolo è già presente su Wattpad per questo oggi ho deciso di pubblicare il secondo, mentre Sabato 30 aggiornerò con la terza parte... Per la quarta invece ci si vede Sabato 6 Gennaio, l'aggiornamento sarà effettuato contemporaneamente sia qui che sull'altra piattaforma.
Volevo anche informarvi che sulla mia pagina Instagram @_.winterwings._  sono presenti piccoli trailer dei capitoli e il book trailer.
Grazie, sia a chi deciderà di recensire sia a chi silenziosamente darà un'occhiata alla mia storia, per me è comunque importante... A prestissimo! 
Vi auguro di cuore buone feste e vi mando un grosso e caloroso abbraccio!
Winterwings
 

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Capitolo 6
*** CAPITOLO III - CAOS ***


Emanuela, 2018

Dolore. Lo sentivo espandersi lentamente per tutto il mio corpo attaccando le mie membra da cima a fondo rendendomi inesorabilmente schiava;
Paura. Essa invece riuscivo quasi a sentirla scorrere nelle vene, disciolta nel mio stesso sangue: l'ebrezza dei pochi momenti in cui mi sentivo per la prima volta libera e svincolata da tutto veniva abilmente sostituita rendendomi talmente vuota da far male;
Caos. C'è poco da dire sul caos, esso lo sentivo divorarmi dall'interno, rendendomi ceca e sorda, rendendomi nulla, paralizzando la mia mente e consentendo al dolore e alla paura di agire indisturbati prendendo interamente possesso di me. Il caos era in grado di distruggere qualunque cosa sfiorasse, io ero in grado di distruggere qualunque cosa sfiorassi.
Strinsi convulsamente i miei capelli fin dall'attaccatura, tremavo, un gelido vento imperversava dentro di me facendomi perdere il controllo delle mie azioni oltre che del mio corpo.
Sfiorare i punti di pressione non era servito proprio a nulla e neanche contare innumerevoli cifre o ancora elencare ciò che avevo intorno aveva migliorato il mio stato, l'attacco di panico stava avendo la meglio. Ultimamente le mie crisi erano aumentate e nonostante gli innumerevoli farmaci che mi erano stati prescritti continuavano a presentarsi sempre più forti e prepotenti;
Non riuscivo a respirare, i polmoni bruciavano da matti e nessun suono fuoriusciva dalle mie labbra, mentre i miei occhi non riuscivano a distinguere nulla oltre che il buio più totale.
Stringevo, stringevo fino a farmi male sperando di potermi risvegliare da quello stato di apparente ma dolorosa trance, anche se alla fine sapevo bene che nessun dolore avrebbe mai sovrastato quel tipo di crisi. Il mio cuore batteva talmente forte da sembrare in procinto di esplodere, sentivo il suo eco fin dentro il cervello mentre la consapevolezza di non esser poi così forte come volevo far credere avanzava, d'altronde non lo sarei mai stata, non se avessi continuato ad essere Emanuela, chiaramente.
Qualche lacrima disperata solcò il mio viso, odiavo essere schiava di quella maledetta forza che mi costringeva a prostrarmi in ginocchio di fronte a uno scherzo della mia mente, così debole e fragile di fronte a essa, la paura che contenevo nei meandri del mio e ormai a detta di tutti, malato cervello. Quel maledetto seme si era instillato a forza dentro di me come un invadente parassita. Il mio cuore perse un battito e un filo d'aria raggiunse i miei polmoni alleviando il bruciore e permettendomi di ricominciare a respirare. Era stata una crisi molto feroce e per niente breve, non credo che riuscirò mai a dimenticare quel tipo di dolore, come non potrò mai dimenticare ciò che i miei occhi credettero di vedere: tenevo una pistola fra le mani, le mie mani così affusolate e curate che non sembravano neanche appartenermi, unghie appuntite e laccate di rosso che mai avevo avuto e mai di certo avrei pensato di poter avere al di fuori di quella bizzarra idea. Un paio d'occhi verdi con riflesso il mio volto mi scrutavano terrorizzati, mi erano fin troppo familiari, erano tristi, sofferenti, occhi che avrei riconosciuto ovunque e fra mille. All’improvviso non fu più mia sorella Sarah a trovarsi davanti a me, ma Lorenzo, con la mia pistola puntata fermamente in fronte. I suoi occhi anch'essi verdi, troppo simili a quelli di mia sorella ma talmente tetri da mettere i brividi mi scrutavano senza timore e con innata superbia, non aveva paura né di me né della morte... lui stesso era stato portatore di morte, come poteva aver paura di me? Immaginai di premere il grilletto e la mia mente riprodusse il sonoro rumore di uno sparo, lui non c'era più ma sul mio volto c'era un distorto sorriso, qualcosa che in quel momento non mi piacque affatto e probabilmente fu in quel momento che il mio ultimo briciolo di umanità scomparve. Tornai seppur affannosamente a respirare, il dolore si stava affievolendo portando con sé tutto ciò che di buono era rimasto. Da quel momento, non lo sapevo ancora, sarei stata in grado di provare solo odio, il sentimento anticristiano per eccellenza. In qualche modo avevo appena venduto la mia anima a qualcosa di molto, molto pericoloso che per molto tempo mi avrebbe garantito fortuna e occasioni valide. Lasciai di scatto la presa sui miei capelli, finalmente in grado di sentire il dolore che mi ero autoinflitta. Tracce di sangue e innumerevoli fili dorati adornavano le mie mani come macabre decorazioni rosso e oro. Col dorso della mano mi asciugai il viso dalle lacrime, le ultime, giurai letteralmente a me stessa. Quella notte, in qualche perverso modo nacque una prima bozza di Eleonora e io non ebbi mai più una sola crisi per tutto il resto della mia vita. Presto mi sarei tramutata in una specie di mostro, lo stesso tipo di essere da cui Sarah amava proteggermi e che aveva finito per ucciderla, un mostro senza scrupoli e coscienza, un mostro che doveva eliminarne un altro. Ormai era tutto scritto oltre che deciso, sarei stata un essere dannato con due anime distinte e separate, la prima di cui non sarebbe rimasto neanche un corpo mentre la seconda, pronta anche a uccidere, si sarebbe presa tutto, dal primo all'ultimo pezzo di me. Forse stavo diventando psicotica, non saprei dirlo... mi feci addirittura pena con quel discorso interiore che stavo intavolando con me stessa, stavo solo molto male ed ero come sempre da quando Sarah non c'era più, sola, sola con me e la mia mente.
Il mio sguardo ricadde nuovamente sulle mie mani, mani così diverse adesso che le guardavo con altri occhi, diverse come lo ero io.
Forse fu uno scherzo del destino visto come andarono le cose, eppure quella breve e illogica visione mi aveva mostrato la strada, la stessa strada che avrei inconsapevolmente intrapreso portando me stessa all'autodistruzione. Io sarei diventata presto il caos che tanto avevo temuto, avrei distrutto tutto ciò che mi circondava con un solo tocco... oh se solo l'avessi saputo;
Mi avviai in bagno verso lo specchio, erano le tre di notte circa ma era tutto talmente chiaro e lucido per me. Fu così che presi in mano un paio di forbici e iniziai convulsamente e senza ritegno a tagliare i miei lunghi capelli color oro come fossi in trance. Ero senza espressione, vitrea e vuota come un pezzo di ghiaccio, allo specchio sembrava proprio che qualcos'altro avesse preso possesso di me. Ero diversa, così diversa che neanche i miei occhi sembravano più appartenermi. Sarei diventata una figura sensuale ed elegante, un po' come mi ero appena immaginata stregata dalla crisi ma per i miei capelli biondi non c'era spazio... essi li avevo immaginati neri, neri come la pece e corti come mai avevo osato fare, forse, talmente corti a causa del ricordo dei miei frequenti attacchi di panico e forse, neri come il mio caos. Il mio volto da ragazzina era improvvisamente scomparso indurendosi e sembrando istantaneamente più maturo. Sarei cambiata, sarei stata sempre in ordine... sarei diventata una splendida donna, sicura di me, vuota e sola ma con la vendetta in pugno, cosa avrei potuto desiderare di più? Oltre che la testa di quell’aguzzino su un piatto d'argento ovviamente! Mi guardai dritta negli occhi e l'impeto di rompere lo specchio fu forte ma l'inutilità di quel gesto non mi avrebbe portato proprio da nessuna parte; era del tutto inutile rinnegare la mia immagine, ero stata debole, in quel momento sembravo invece una pazza uscita da chissà quale manicomio... ma presto sarei stata completamente diversa dalle precedenti e imbarazzanti versioni di me;
Poggiai le mani sul lavabo osservando le ciocche bionde che giacevano sull'immacolata porcellana, alcune macchie di sangue lo adornavano come un monito, il cambiamento necessitava di un sacrificio.

- Cos'hai fatto?!

Udì lo sgomento alterare la voce alle mie spalle. Non mi voltai neanche immaginando il suo volto stanco e stremato, stremato da me che non ero la figlia perfetta né tantomeno la preferita. Per lei ero sempre stata la figlia problematica, ero semplicemente la secondogenita.

- Ho avuto l'ennesima crisi.

Presi un respiro.

- E tu non c'eri.

Confessai con un filo di voce. Ero stanca, veramente stanca e la mia voce risultò quasi come una supplica, nient'affatto il mio intento.

- Stavo riposando, Emanuela, cosa che avresti dovuto fare anche tu. Avresti potuto chiamarmi, dopotutto.

Aprì il rubinetto non prima di aver lasciato cadere le ciocche per terra, l'acqua ghiacciata cancellò le tracce di sangue fresco sia dalle mie mani che dal lavandino raffreddando a fondo anche il mio animo.

- Come posso chiamarti se mi manca il fiato? Eh?

Strinsi un pugno e le mie nocche divennero bianche. Ira. L'ultimo sentimento che in quel momento lambiva la mia anima era proprio l'ira, uno dei sette peccati capitali e forse il più grave che aveva sfiorato il mio essere quella notte, uno dei due che contribuì a forgiare il mio futuro e pessimo carattere.

- Pretendi forse che smetta anche di dormire per sorvegliarti? Non ti sembra di esagerare ora?

Un pizzico di fastidio cambiò la glaciale voce di mia madre. Anche lei era esausta, lo eravamo entrambe, ma lei tendeva davvero a minimizzare tutto ciò che mi orbitava attorno.

- Scusa se disturbo il tuo riposo con le mie crisi, almeno fra le due tu riesci anche a dormire.

Mi voltai agguantando un asciugamano e osservando il suo volto in penombra.

- Smettila di fare la melodrammatica. Credi forse che a me tua sorella non manchi? Non mi laceri l'anima sapere che non esiste più?

Puntai i miei occhi nei suoi talmente uguali ai miei ma così glaciali e privi di emozione nei miei riguardi. Io i miei occhi azzurri li avevo ereditati proprio da lei mentre Sarah probabilmente aveva ereditato i suoi occhi verde smeraldo da nostro padre, anche lui, a quanto pare, fuggito appena in tempo da nostra madre.

- Lo so che avresti preferito riavere lei, l'avrei voluto anch'io... e invece? Invece ti è toccata la psic...

La sua mano impattò istantaneamente sulla mia guancia sinistra, il bruciore arrivò immediatamente e il suo schiaffo ferì ciò che restava del mio orgoglio frantumandolo in pezzi. Immaginai che probabilmente il carattere dovevo averlo ereditato da mio padre, ogni mia frase suscitava in lei un fastidio ben più profondo, radicato in qualcosa di antico e perduto che io mai avrei potuto scoprire. Il rancore sembrava divorarle l'anima quando si trattava di me, l'unico essere vivente in grado di risvegliare quel genere di reazione.

- Smettila, non voglio più sentirti. Va a dormire e piantala con queste sciocchezze. È tutto dentro il tuo cervello, prendi quelle dannate pillole e dormi. Dormi e tutto passerà prima di ciò che credi!

Lo disse con un tono talmente distaccato e alterato da gelarmi sul posto. Mi lasciò così, sbattendo la porta della sua camera e sola con un vistoso segno rosso sul viso. Poco dopo tornai in camera con le idee più chiare che mai, buttai innanzitutto tutte quelle inutili pillole dopodiché presi una valigia da sotto il mio letto, ci scaraventai dentro quanti più vestiti possibili, mi vestì e senza lasciare neanche un biglietto uscì. Vagai con una meta ben precisa, ritrovandomi davanti alla porta di Bryan, che non fu poi così sorpreso di vedermi nonostante fossero ormai quasi le cinque. I suoi occhi si sgranarono alla vista dei miei capelli rovinati e della valigia.

- Ti preparo una camomilla, mh? Sta tranquilla, io sono qui, sono qui con te.

Mi disse stringendomi gelosamente al suo petto e immaginando già cosa fosse accaduto. Il pungente odore di fumo riempiva già la stanza, segno che anche lui fosse già sveglio da un po'. Immaginavo per certo che anche lui la notte fosse tormentato almeno quanto me.

- No, non serve. Ho solo bisogno di dormire e di poter contare su qualcuno.

Mi accarezzò il viso nel punto in cui la mano di mia madre si era schiantata contro la pelle, la stanchezza iniziava a farsi sentire e gli occhi mi bruciavano da matti, fu così che chiusi le palpebre terribilmente stanche e gonfi.

- Tu potrai sempre contare su di me.

Mi accarezzò il viso, passando poi le mani fra ciò che restava dei miei capelli. Avvicinò le labbra alla mia fronte lasciando un tenero bacio su di essa. Istantaneamente mi rilassai.

- Perché?

Disse dispiaciuto oltre che quasi sofferente, sapevo bene quanto gli piacessero i miei capelli.

- Li ho tirati talmente forte da odiarli, odiarne la lunghezza, il colore, detestandoli perché nonostante li stessi tirando a sangue in quel momento non riuscivo a sentire neanche dolore. Non fanno più per me, questo corpo non fa più per me.

Dissi sottovoce mentre lui mi stringeva ancora al suo petto.
- Andiamo.

Mi accompagnò dolcemente. Mi stesi al suo fianco, il letto era troppo grande solo per il ragazzo, ma perfetto per entrambi eppure, nonostante ciò, decisi di stringerlo a me come un'ancora, come se non ci fosse abbastanza spazio per entrambi, come se potesse dissolversi e sparire improvvisamente anche lui. Lo immaginai così, a vegliare su di me e sul mio sonno, mentre crollavo cullata dal suo respiro con la testa sul suo petto. In qualche inconsapevole modo avevo iniziato a distruggere anche lui tirandolo nel baratro giù con me; mi avrebbe seguito ovunque, anche all'inferno se solo glielo avessi chiesto.

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Capitolo 7
*** CAPITOLO IV - LA SUA CADUTA, LA MIA ROVINA ***


Bryan, 2020

- Tu devi aiutarmi, in un modo o nell'altro devo inserirmi nel suo dannato mondo. A qualunque costo.

Quella frase o, meglio, quell'affermazione, devo essere sincero mi spiazzò e non poco. Non avrei mai e poi mai potuto immaginare che quella frase apparentemente sconnessa avrebbe segnato l'inesorabile inizio di quella follia e anche la sua fine, cambiando per sempre sia la mia che la sua sorte.

- Come?

Dissi aggrottando le sopracciglia e fingendo di non capire. Quel piccolo e insignificante gesto mi causò un breve ma pungente fastidio a causa di una ferita che mi ero procurato recentemente e di cui riportavo un paio di punti proprio al sopracciglio sinistro;

Sul viso di Emanuela non vi era più traccia della graziosa ma acerba ragazzina, al suo posto c'era una bellissima giovane e risoluta oltre che maledettamente astuta, dovevo ammetterlo. Quella sera al Rouge ero rimasto profondamente colpito dai suoi occhi azzurri limpidi e da quel sorrisetto sarcastico e saccente che le adornava il volto, per me era bella, bella da togliere il fiato e da subito avevo avuto modo di sperimentare una sorta di attrazione fatale che mi spingeva sempre più verso di lei, forza che finiva inspiegabilmente per accontentare ogni suo più piccolo capriccio e desiderio. La conoscevo bene ormai, quasi come il palmo della mia mano, specialmente da quando aveva varcato la mia soglia per restare. Aveva solo ventun anni e un carattere tremendamente focoso, eppure, dovevo ammettere che era molto più matura rispetto la sua giovane età. Era rimasta da sola e con le sue sole forze era riuscita a emergere lentamente dal suo personale inferno, la ammiravo per questo, io stesso non c'ero mai completamente riuscito. D'altronde la madre l'aveva lasciata da sola allo sbaraglio mentre il padre... il padre Emanuela neanche aveva idea di chi fosse e già questo la diceva abbastanza lunga;

Da quando si era imbattuta sulla mia strada avevo deciso che sarei stato io a sorreggerla finché ne avesse avuto la necessità, lei aveva bisogno di me e io avevo capito di averne di lei, un disperato e maledetto bisogno. Emanuela non sapeva niente di me, non aveva idea di che cosa mi fossi macchiato in passato, non conosceva e probabilmente mai avrebbe appreso i segreti inconfessabili che nascondevo dentro di me e che percepivo ogni giorno come una costante spada di Damocle. Ero un cattivo ragazzo e lo riconoscevo, per questo avrei dovuto stare lontano da lei in modo da non contaminarla, eppure non ci riuscivo, non riuscivo a fare a meno di lei. Risollevarla dal baratro stava innegabilmente aiutando anche me.

- Hai capito benissimo, non fare il finto tonto.

Si trovava sul mio, ormai diventato suo, divano, scalza e con un bicchiere del mio migliore vino bianco in mano. Affondai sulla mia poltrona aspirando una boccata dalla sigaretta che tenevo fra le dita squadrandola dalla testa ai piedi con un sorrisino sarcastico. Ogni volta che la guardavo sembrava ipnotizzarmi e non faticavo a immaginare a quanti altri ragazzi continuasse a fare lo stesso e identico effetto. Quel pensiero ad essere onesti m'infastidiva da matti, ne ero maledettamente geloso, lei era di tempra forte, non aveva certo bisogno di me e l'impressione che anche lei prima o poi avrebbe potuto lasciarmi mi lacerava, anche se mai l'avrei ammesso davvero. Tutti in un modo o nell'altro avevano finito per lasciarmi e io ne conoscevo benissimo il motivo ma lei... lei era una boccata d'aria fresca per me che ero sommerso da tutto quel fumo nero e catrame. Me ne ero lentamente innamorato e ne ero ben a conoscenza.

- Innanzitutto, devi imparare a mantenere la calma, sei troppo impulsiva per i miei gusti ragazzina.

Pronunciai quelle parole per darle fastidio, era divertente. Era istintiva e con una lingua più tagliente del vetro ma l'adoravo, aveva rivoltato totalmente la mia vita e le mie prospettive dandogli finalmente un senso, quel famoso senso che in America non ero mai più riuscito a trovare dopo l'incidente.

- Si chiama carattere, Bryan.

Emisi un sonoro sbuffo... ero in dovere di correggerla, con quel temperamento tutto pepe si sarebbe presto cacciata in grossi guai e no, non potevo permetterlo, non a lei.

- Chiamalo come vuoi, ma se vuoi davvero portare a termine la tua bella idea, il tuo carattere lo devi domare. Le tue emozioni devono restare qui.

Dissi indicando la mia tempia. Era testarda e troppo reazionaria, avrebbe dovuto imparare a ragionare e ad agire con cognizione di causa... dopodiché sarebbe stata un'ammaliatrice pressoché perfetta.

- Non qui.

Terminai il mio breve discorso esortativo poggiando la mia mano aperta sul petto dove anatomicamente era situato il cuore. Roteai poi gli occhi prendendo un'ulteriore boccata di fumo mentre lei mandava giù l'ennesimo sorso di vino dalla quale ormai era completamente assuefatta. Non mi piaceva affatto ma non potevo rimproverarla poiché avevo fatto cose di gran lunga peggiori, non me ne sentivo degno.

- E poi? Queste sono solo semplici nozioni.

Posò una mano affusolata sotto la mandibola assumendo uno sguardo indagatore. Quei grandi occhi azzurri ridotti a piccole fessure mi fecero sorridere, la conoscevo abbastanza da sapere che non mi avrebbe lasciato in pace fin quando non le avessi dato una risposta, per lei esaustiva. A volte mi sembrava una bambina dal carattere esplosivo.

- Ma si può sapere dove vuoi arrivare? Cosa vuoi che ti insegni?

Sbuffai con una punta di fastidio, quel giorno aveva toccato il fondo con le sue allusioni strane e io avrei dovuto bloccarla sul nascere e invece? Invece indovinate un po', l'assecondai;
Mi aveva in pugno e lo sapeva, aveva in qualche modo percepito lo strano effetto che mi faceva la sua vicinanza, la sua vista e perfino il suo profumo mentre io evidentemente non avevo ancora capito proprio nulla.

- Ti ho appena detto che ho bisogno del tuo aiuto.

Alzai un sopracciglio e il fastidio tornò come un acuto monito.

- E io, continuo a ripeterti che non riesco a seguirti.

Finì il contenuto del suo bicchiere, guardandomi ipnoticamente negli occhi e la mia corazza di ghiaccio si sciolse come neve al sole. Bramavo quello sguardo, desideravo averlo solo e soltanto per me e il sapere che alla fine non era così faceva male, male come un pugnale nel petto. Male come un pugnale piantato dritto nel cuore da lei.

- Mi devi portare da lui.

Il mio sguardo si posò sulle sue labbra mentre pronunciava quelle parole. Presi l'ultima boccata dalla mia sigaretta prima di gettarla senza toglierle gli occhi di dosso. Solo Dio era a conoscenza di quanto avrei voluto baciarla...

- Ucciderlo non ti restituirà tua sorella.

Deglutì a fatica scacciando via il pensiero della mia bocca sulla sua in un momento simile e mentre lei abbandonava con nonchalance il suo bicchiere, io per smorzare la tensione che si era creata dentro di me accesi una nuova sigaretta. Continuare a fumare così tanto mi avrebbe portato alla morte certa ma era l'unica valvola di sfogo su cui potevo contare, l'unica cosa che rilassasse le mie membra e calmasse il mio cuore.

- Lo so benissimo, ma devo farlo comunque. Non ha senso che io continui questa farsa, non ho più nessun altro scopo nella vita se non vendicare mia sorella, non provo più niente, neanche la metà di ciò che ero in grado di provare prima, ogni emozione è fluita via lentamente dal mio corpo dal giorno in cui sono rimasta sola. Sarah non è stata la prima e non sarà neanche l'ultima, umanamente non posso permettere che qualcun altro pianga un famigliare per colpa sua.

Soppesai le sue parole, lo scopo era giusto ma l'intento sbagliatissimo. E poi, da quando era così altruista verso il prossimo?
Se solo si fosse guardata intorno si sarebbe resa conto che io ardevo d'amore per lei e ne avevo di certo abbastanza per entrambi e per affievolire la sua voglia di vendetta e sangue.

- Io sono qui, Emanuela.

Scosse il capo ma sorrise. Avrebbe potuto stringere il pugno e frantumare i resti del mio cuore, eppure le sarei stato comunque accanto fedele come un cagnolino... ero messo molto male e per fortuna (o sfortuna, dipende dai punti di vista) ne ero anche consapevole.

- Lo so ma non mi basta.

Un sospiro abbandonò le mie labbra, ovviamente non era abbastanza. L'ebrezza di quel maledetto vino l'aveva portata a esternare le sue malsane idee recluse fino a quel momento in qualche meandro della sua scaltra e contorta mente. Mi riconobbi in un certo senso e sorrisi nel pensare che donna più adatta a me non esisteva su tutta la faccia della terra.

- E cosa vorresti fare sentiamo? Andare a Napoli, poi? Presentarti a casa sua, piantargli una pallottola in fronte e dopo? Non potrà mai funzionare, non così. Non basta conoscere il suo indirizzo e saper sparare, non basta neanche vestirsi bene ed entrare in società. Devi imparare a mascherarti e a proteggerti, devi entrare a far parte di quel genere di quotidianità è vero ma devi soprattutto avere una storia abbastanza convincente da permetterti di agire indisturbata, da ipnotizzarli tutti. Devi giocare con le loro menti e soprattutto, prendilo come un consiglio personale, il menzognero deve avere buona memoria.

- Bryan, non sono parole quelle che voglio da te. Portamici e insegnami.

Mi alzai in piedi, guardandola serio come non mai.

- Non è qualcosa che posso insegnarti io, non del tutto almeno. E poi io devo proteggerti non buttarti direttamente fra le fauci del leone.

Anche lei si alzò raggiungendomi e fermandosi a poco meno di un palmo da me. Il suo sguardo era ferreo come non mai.

- Non ho bisogno della tua protezione, per l'ennesima volta, ho bisogno del tuo aiuto. Fra i due lui non è il leone ma la lepre.

Fu dura, estremamente dura. Tese una mano e io di rimando gliela strinsi.

- Desidero mettere fine alla sua inutile vita e per quanto sia spregiudicato e sbagliato, niente e nessuno potrà farmi cambiare idea, neanche tu. Voglio solo sapere se sei con me o contro di me.

Guardai le nostre mani intrecciate non potendo fare a meno di pensare che stavo per farle commettere uno degli errori più grandi della sua vita. Ci stavo ricadendo, la parte di me che credevo sopita si stava ridestando ancora. Se non fossi stato attendo avrei potuto rovinarla anche se in realtà ci stava pensando egregiamente anche da sola.

- Qui il problema non è essere con te o...

Poggiò il suo affusolato indice sulle mie labbra. Aveva sempre avuto delle splendide mani ma ultimamente aveva iniziato a curarle quasi maniacalmente e quello smalto rosso sangue che indossava non faceva altro che evidenziare quanto la sua personalità stesse pericolosamente cambiando, attraendomi ancora di più a lei che stava diventando la perfetta femme fatale. Una parte di me desiderava farla desistere da quell'idea... ma l'altra parte, quella oscura e celata impazziva dalla voglia di accontentarla. D'altronde un essere come Lorenzo Duca a chi sarebbe mai potuto mancare? Neanche a sua madre probabilmente... e poi, se avevo capito una cosa di Emanuela era che sarebbe stato pressoché impossibile farle cambiare idea. La tentazione era forte e stava avendo la meglio.

- Tu sei pazza lo sai? completamente pazza, ti sei bruciata i tuoi ultimi neuroni a forza di bere.

Sorrise scuotendo il capo davanti alla mia affermazione mentre io da ridere non ci trovavo proprio un bel niente. Le sfiorai la guancia lasciando incontrare i nostri sguardi, in lei riuscivo a leggere solo determinazione in quel momento, nient'altro se non pura e macabra determinazione.

- Bryan, io e te siamo uguali, tu puoi comprendermi, io lo so. Non a caso sei l'unico.

Mi rivolse il suo migliore sguardo ammaliatore, aveva vinto;

Fino a quel momento credevo di essere stato un grandissimo stronzo manipolatore ma dovetti amaramente ricredermi, la ragazza che avevo davanti mi aveva di gran lunga battuto in astuzia e tattica risvegliando la mia vera indole criminale. Mi torturai il labbro inferiore deglutendo appena, non l'avrei abbandonata... e se ci fosse caduta dentro allora l'avrei seguita.

- Stai sanguinando.

Disse improvvisamente preoccupata, rivolgendo la sua attenzione al mio sopracciglio al quale probabilmente doveva essere appena saltato qualche punto. Sorrisi come uno stupido: per lei mi ero anche beccato un bel pugno in faccia.

Bryan, 2023

Li maledissi tutti innumerevoli volte, vederla lì trattata come una comune delinquente mi fece ardere di rabbia. Quel processo lo stavamo guardando tutti e anche se desideravo con tutto il cuore essere lì a fianco a lei in quell'aula, non potevo di certo dimenticare ciò che mi aveva confidato e la promessa che avevo dovuto farle, giurando di non mettere mai piede in quel tribunale. Un solo minuscolo sospetto del mio palese coinvolgimento sarebbe stato abbastanza per farmi chiudere in una cella a vita e non potevo permetterlo, lei aveva bisogno di me fuori, solo a queste condizioni, mi aveva detto, avrebbe accettato il patteggiamento che il suo avvocato stava cercando di farle disperatamente ottenere;

Purtroppo per me qualcuno si era messo in mezzo fra noi, sgretolando parte di quel piano e a causa sua, no, non saremo caduti insieme come avevo programmato. Eleonora aveva deciso di consegnarsi spontaneamente tenendo me e lui assolutamente fuori da quella faccenda. Il mio vero e unico problema era che, alla fine della mia sorte non m'importava poi molto... era la sua che avevo dannatamente a cuore. Dovevo restarne fuori e sorvegliare quel figlio di papà, sorvegliarlo affinché non crollasse, la parte più difficile e dolorosa di quel giuramento, quella che feriva a morte il mio orgoglio di uomo. Per un attimo scorsi il volto di Alessandro, colui che avevo imparato a evitare come un morbo e la mia invidia salì a galla, non si staccavano gli occhi di dosso e mentre lei apparentemente imperturbabile rispondeva egregiamente lui sembrava pendere dalle sue labbra.
 

Strinsi la mano in un pugno, lei si era presa tutto di entrambi in egual misura; eppure, aveva finito per scegliere lui, un ragazzo con cui evidentemente la famosa scintilla era scattata, un tipo con cui non aveva mai avuto e mai avrebbe avuto niente in comune. Cosa aveva di diverso dagli altri? Cosa diamine aveva di diverso da me? Strinsi forte e non mi fermai neanche vedendo le mie nocche sbiancare. La voglia di sferrare un pugno al muro era forte ma dovevo trattenermi, non avrebbe risolto il mio problema causandomi invece un fastidio perenne per qualche settimana, l'ennesimo a causa di Emanuela/Eleonora, la mia rovina. Il destino aveva giocato un brutto scherzo a tutti e tre e in un certo senso Eleonora si stava offrendo come un agnello all'altare. La metafora agnello/Eleonora mi fece storcere le labbra, quella donna era tutto fuorché un agnellino innocente.

- Ma come diavolo fa ad essere così impassibile dopo tutti questi inganni? Dopo addirittura un omicidio!

Pronunciò l'avvocato aspro come dall'inizio del processo. Avevo osservato attentamente come gli aveva tenuto testa, caparbia e astuta aveva appena incantato metà aula con i suoi stratagemmi e le sue parole ben calibrate. Nessuno la giustificava, apparentemente era colpevole di tutto ma né la corte né gli avvocati si immaginavano quanto fossero in torto. Dannatamente in torto.

- Non mi pento di nulla, quindi se è una qualche forma di autocommiserazione o pentimento quella che vuole sentir uscire dalle mie labbra, sappia che non otterrà nulla se non il mio silenzio.

Il povero avvocato era ignaro dell'effetto che la sua indignazione aveva su di lei che scaltramente se ne stava nutrendo tramutandola in forza e sicurezza. L'avrebbe portato al punto di strafare, prima o poi avrebbe commesso un errore, un piccolo errore che lei avrebbe trasformato in un grosso vantaggio. Come io stesso le avevo insegnato, i dettagli erano tutto.
Guardai nuovamente Alessandro... se era vero che l'amavo avrei dovuto farmi da parte, ma ormai era risaputo: per i miei trentadue anni, ero un tipo dannatamente egoista.

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Capitolo 8
*** CAPITOLO V - INGIUSTIZIE E BUONE CAUSE ***


Eleonora, 2022


Avevo mai avuto alternativa? Oh! Si, certo che l'avevo avuta, eppure per qualche strano motivo andavo sempre a cacciarmi dentro qualche guaio inseguendo inesorabilmente la strada sbagliata;

Eravamo a Napoli da soltanto una settimana ed ero riuscita a fare già innumerevoli e infantili stupidaggini, fra cui finire talmente tanto in basso da abbindolare un tipo tanto bello quanto insignificante e permettergli di mettermi le sue manacce addosso. Non erano le sue mani quelle di cui avevo bisogno, né tantomeno le mani di chiunque altro, ero semplicemente in cerca di svago, qualcosa che non riuscivo più ad avere da molto, troppo tempo. Ero diventata apatica e se da un lato adoravo il mio essere impeccabilmente fredda e scostante dall'altro ogni tanto si faceva strada in me una sorta di insoddisfazione, un qualcosa che assomigliava tremendamente alla solitudine.
Solitudine, il prezzo che dovevo pagare per ottenere vendetta, il mio riscatto.

Quella sera trascinai quel ragazzo con molto meno trasporto del solito all'interno del privé e nell'esatto momento in cui sentì adagiarsi le sue mani sui fianchi e la sua bocca sul collo capì: la recita era appena giunta inesorabilmente al termine.

Mi percorsero una serie tremori assolutamente non piacevoli segno che il mio corpo era già stanco delle sue attenzioni e la mia mente nauseata da così tanta inutile apparente perfezione.

L'uomo o, meglio il ragazzo a cui appartenevano quelle mani era bello, davvero bello e schifosamente privo di difetti ma talmente arido da suscitare in me un mix di emozioni poco gradevoli oltre che fastidiosissimi brividi nel momento in cui cercò di farsi strada al di sotto della mia camicetta intensificando quel bacio non così desiderato, almeno non dalla sottoscritta.

Misi fine a quel contatto con innata disinvoltura, sapevo bene di apparire ai suoi occhi dura e imperturbabile come il marmo e ad essere onesti la cosa non mi dispiacque affatto, d'altronde amavo avere potere, averlo su tutto e soprattutto sulle emozioni altrui, poter controllare gli altri e portarli inevitabilmente dove volevo fin quando mi andava;

Richiusi i primi due bottoni della mia camicia, mi aggiustai i capelli e risistemai la sbavatura del rossetto sotto il suo sguardo più che deluso oltre che profondamente risentito. L'avevo preso in giro abbastanza, mi ero già stufata di un gioco inutile e privo di senso. Era tempo sprecato cercare di cavare sangue da una rapa ed era palese che quel genere di contatto non avrebbe mai giovato a nulla, io avrei continuato ad essere una lastra di ghiaccio senza sentimenti in ogni maledettissimo caso.

- Non puoi...

Mi voltai raggelandolo immediatamente sul posto. Lo vidi boccheggiare appena, sorpreso di un così tanto repentino cambio d'espressione da parte mia. Facevo spesso questo effetto, il mio aspetto non era terrificante ma il mio sguardo sì, uno sguardo truce da omicida, la quale mi consideravo già. Non avevo ancora ucciso nessuno ovviamente, ma le mie intenzioni erano chiare e la voglia di voler uccidere qualcuno era già di per sé la dimostrazione di una mente alquanto deviata.

- Non posso cosa, scusa?

Passò una mano fra i corti capelli castani. I suoi occhi d'ambra puntati nei miei.

- Non puoi andare via così.

Mi disse inquieto e io sorrisi squadrandolo dalla testa ai piedi. Mi faceva dannatamente pena.

- È stato bello... ma adesso credo sia solo un tuo problema, non mio.

Il mio tono accompagnato da un bel sorriso risultò ironico e cattivo, proprio come volevo. Era stato divertente fino a quel momento ma davvero, niente di più.

- Posso pagarti se vuoi...

Il ribrezzo risalì su per tutta la mia spina dorsale mentre il disprezzo mi pervase, quel genere di uomo mi faceva letteralmente schifo.

- Puoi pagarmi per vedermi ballare idiota, niente di più e poi detto sinceramente, non ne vali proprio la pena.

Sbattei la porta alle mie spalle e lo lasciai lì, interdetto e rifiutato forse per la prima volta in tutta la sua giovane vita. Non cambiavo opinione su quei quattro blasonati figli di papà, il loro mondo, nonostante ci fossi dentro quasi fino al midollo, continuava a darmi perennemente la nausea;

Uscì dal locale impettita con solo un lungo cappotto beige a coprirmi. Era febbraio e fuori l'aria gelida sembrava riflettere perfettamente il mio stato d'animo interiore. Salì sulla macchina di Bryan parcheggiata sul viale di fronte e partimmo senza proferire una parola. Sapeva dove ero stata e con chi, d'altronde ovviamente non approvava.

Spesso la sua gelosia era opprimente, non avevo bisogno di protezione né tantomeno di una "balia", ma lui si ostinava a vedere in me ancora la ragazza distrutta in mille pezzi che aveva bussato alla sua porta. Io però non ero più Emanuela e di sicuro mai sarei tornata ad esserlo, doveva farsene una ragione come me l'ero fatta anch'io tanto tempo prima. La vecchia me ormai era morta e sepolta, al suo posto c'era solo dolore, c'ero io, sorta da quei cocci che una volta rimessi insieme, parola mia, non si sarebbero mai più rotti.

- Sei stranamente silenzioso.

Non ero una tipa particolarmente loquace ma vedere Bryan così silente fece scattare in me un piccolo campanello d'allarme. Nessuna ramanzina, nessun rimprovero, solo silenzio, insolito e assordante come non mai.

- Bryan, dimmi cosa succede.

Il suo profondo sospiro confermò il mio sospetto, qualcosa di inusuale o, peggio, doveva essere accaduto. Lui sapeva bene quanto odiassi girare in torno a un argomento, non avevo bisogno di fronzoli per addolcire la pillola, volevo solo la verità per quanto diretta e dura potesse essere.

- É stata trovata morta una ragazza.

Disse solo con un filo di voce e ciò bastò per raggelarmi il sangue nelle vene. Un'altra famiglia avrebbe pianto una figlia e tutto, ne ero certa, solo a causa di quel maledetto demonio. Non poteva essere un caso e lo sguardo serio di Bryan confutò ancora la mia tesi...

- Dimmi tutto.

Eleonora, 2023

- Quella sera lavorai fino a tarda notte, molto più tardi del dovuto. Sapere che a pochi passi da me c'era la mia tanto agognata vittima suscitava nel mio animo un senso di potere assoluto, lui era lì, seduto davanti a me per tutto il tempo e ignaro di ogni cosa... perfino di chi fossi davvero. Mi osservava di sottecchi, prendeva tempo per osservare ogni mio movimento e sembrava non volermi più togliere gli occhi di dosso.

Feci una pausa, ricordando quegli occhi verdi così inchiodati ai miei e quel viso così bello quanto crudele e spietato.

- Il mio piano prevedeva inizialmente di sedurlo e poi ucciderlo, anche quella sera stessa se fosse stato necessario, proprio come aveva fatto con mia sorella, a sangue freddo e senza rimorso... invece...

Il mio sguardo si posò sulla figura di Alessandro addolcendosi appena. Invece il destino si era intromesso. Non avevo mai creduto a simili fandonie ma d'altronde la stessa Eleonora era nata da una visione notturna più che distorta e indotta da un attacco di panico; quindi, a quel punto potevo anche permettermi di iniziare a credere nel destino. E poi, c'era anche da dire che solo il fato poteva essere così bastardo. Prima ti dà e poi ti toglie tutto con interessi altissimi.

- Invece è stato più semplice sedurli entrambi, o sbaglio signorina?

Avevo la nausea alla sola idea, ma si, dovetti annuire e confermare quella stramaledetta versione. Tante volte l'avevo ripetuto a me stessa, così tante da convincermene.

- Il mio incontro con Alessandro non posso negare che abbia ribaltato ogni mio piano e intenzione ma la mia vendetta era sempre lì, in agguato e in attesa di essere placata... non si è mai spenta, almeno fino a quando non ho preso fra le mani quella pistola... e ho agito come era giusto che facessi.

L'avvocato sorrise sghembo. Era convinto di avermi in pugno. Alla fine, stavo dicendo proprio ciò che voleva sentirsi dire, stava assaporando il suo breve momento di gloria, convinto di star facendo bene il suo lavoro. Fu divertente farglielo credere.

- Sadica.

Parve sussurrare. Nessuno lo ammonì.

- Ma lei si rende conto, vero, di aver distrutto una famiglia? Di aver ucciso un innocente!

Persi volutamente la calma, dovevo apparire per quella che volevo realmente essere, un'assassina e quel teatrino doveva terminare in quel momento e per mio volere.

- Lorenzo Duca era tutto fuorché innocente avvocato e lei lo sa... lei lo sa bene non è così?

Insinuai, facendo finta di sapere qualcosa di cui non possedevo neanche uno straccio di prova certa. I suoi gesti, le sue parole e ogni cosa nell'avvocato che avevo di fronte mi portava a pensare che non solo fosse a conoscenza di inconfessabili verità ma ne fosse stato addirittura complice. Rimaneva legato al defunto da una specie di patto stilato silenziosamente e col sangue, un patto col demonio, il demonio ammaliatore che in realtà era Lorenzo.

- Non ho idea di cosa...

- Smettiamola con questa recita avvocato. Quante volte ha dovuto tirarlo fuori dai guai? Quanti omicidi avete insabbiato lei e la sua cara vittima? Quanti eh?

Il mio tono inquisitorio lo destabilizzò e non poco, di certo non si aspettava quella repentina presa di posizione. Ci eravamo appena scambiati i ruoli.

- Obiezione!

- Signorina D'Amato la prego di...

Mi voltai verso il giudice.

- Vostro Onore, nonostante io provi un profondo e ben fondato disprezzo per la corte, la legge e tutto ciò che è coinvolto in questo processo, lei è l'unica autorità che intendo e continuerò comunque a rispettare; non mi proclamo innocente, ma dannazione, ho ucciso un uomo, un uomo che era feccia e santificarlo adesso non solo rende vano il mio, per quanto immorale gesto, ma non rende soprattutto giustizia alle vittime. Il processo D'Amato va riaperto, adesso! E non solo... anche gli altri! Giustizia deve essere fatta.

Il giudice mi guardò negli occhi, non lessi disprezzo sul suo volto, cosa che invece potevo ben notare negli altri membri della corte. Lui sembrava in qualche modo "intendere" il motivo delle mie sconsiderate e sbagliate azioni. Non mi giustificava affatto ma in qualche distorto modo poteva, forse, comprendermi.

- Signorina... sono costretto a farla uscire dall'aula...

Chinai il capo, non sconfitta ma momentaneamente sospesa. Mi lasciai ammanettare e scortare fuori dall'aula. Poco prima di varcare la soglia però mi voltai, sorprendendo tutti e persino me stessa. Guardai Alessandro, l'avvocato Bertolaso, la famiglia Duca e tutti coloro che in quel momento osavano giudicarmi impacchettati nei loro schifosissimi vestiti costosi e d'alta sartoria.

- Non mi pento di nulla, piuttosto voi fate ammenda con i vostri demoni e forse se esiste davvero un Dio, avrà pietà. Io sono solo la punta dell'iceberg, quante altre famiglie avete distrutto col vostro silenzio? Quante famiglie credete che abbiano pietà dei carnefici delle loro figlie, sorelle e madri? Eh? Pentitevi e dimostrate di non essere tutti viscidi assassini come me e il vostro caro, amato e santificato Lorenzo Duca, dimostrate di avere a cuore le sorti del vostro paese già in rovina e soprattutto smettetela di chiudervi nella vostra gabbia dorata fatta d'omertà.

Dopodiché uscì così a testa alta e con lo sguardo di tutti addosso, la mia anima sembrava alleggerita da un peso in meno mentre una lacrima solcò il mio viso, la prima lacrima dopo davvero tantissimo tempo.

Alessandro, 2023

Emanuela. Eleonora. La donna che amavo e che avevo imparato a conoscere aveva ragione, aveva avuto sempre dannatamente ragione. Osservai l'intera corte interdetta, i giurati allibiti e addirittura alcuni sguardi allarmati. Il suo discorso era stato un monito per tutti: certi crimini non potevano più essere permessi né passati per incidenti o suicidi, certi atti andavano puniti anche se a perpetrarli era la Napoli per bene e intoccabile, i signorotti di cui anch'io in fondo facevo vergognosamente parte.

- Pazza scatenata... l'ergastolo è l'unica cosa che merita una come quella...

Un sussurro spezzato di Claudia arrivo alle mie orecchie e non potei che provare pietà per lei che non aveva neanche la più pallida idea di chi fosse davvero il Lorenzo Duca di cui si era, inspiegabilmente innamorata. Claudia di certo lo ignorava, ma io no, mai avrei potuto farlo e mai certamente avrei dimenticato.

La mia attenzione ricadde sulle mie mani, prima sulla sinistra e poi sulla destra... l'anello dalla pietra color acqua marina aveva da sempre adornato la mia mano come un monito d'appartenenza a qualcosa che mai avrei pensato di rinnegare... mai fino a quel momento s'intende. La fascetta d'argento che invece indossavo all'anulare sinistro mi ricordava invece una tacita promessa... avevo finalmente trovato l'amore e non l'avrei lasciato per niente al mondo.

Decisi così di compiere un gesto che, sapevo avrebbe ferito e lasciato senza parole tutti, specialmente la mia famiglia: di scatto mi alzai in piedi accettando ogni genere di occhiata, sfilai con rabbia l'anello simbolo della mia stirpe e lo scaraventai al suolo con tutta la rabbia e la forza che possedevo in corpo. L'avevo sempre gelosamente adorata quella gemma così simile al colore dei miei occhi e così simile anche al colore degli occhi di Eleonora, ma in quel momento per me non significava più niente, niente se non la vergogna di appartenere a quel genere di categoria corrotta.

- Alessandro cosa...

Disse mia madre sotto shock. Vidi il terrore passare per le sue iridi, ancora una volta.

- Vi detesto. Detesto la vostra falsità, detesto ciò che fingete di rappresentare e detesto anche la vostra maledetta convinzione. Da oggi in poi, non consideratemi più parte della vostra famiglia. Mi vergogno di far parte della vostra amata ed elogiata categoria, vi rinnego, vi rinnego uno per uno!

- Alessandro no, non anche tu!

Urlò straziata e in lacrime mia madre fra le braccia di mio padre. Apparenza, vile e inutile apparenza destinata solo agli occhi sociali, quella scena mi diede la nausea;

Era ufficiale, la mia famiglia era rimasta senza lo straccio di un erede legittimo, prossima alla totale rovina. Per la terza volta mia madre avrebbe pianto un figlio perduto e per la terza volta ciò che restava della mia famiglia avrebbe incontrato il dolore di un lutto, dolore che gli stavo rendendo più che volentieri viste le circostanze. Con le loro scelte sconsiderate avevano prima programmato e poi distrutto le nostre vite... questo non potevo assolutamente perdonarglielo.

Avremmo presto pagato per i nostri peccati e per ciò che avevamo permesso oltre che lasciato accadere. Eravamo tutti responsabili ma io forse, lo ero stato più degli altri.

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