Cuore di Zingara

di KikiWhiteFly
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** 1. Soldato e Gitana ***
Capitolo 2: *** 2. Ricatto ***
Capitolo 3: *** 3. Prigione ***
Capitolo 4: *** 4. Sapore di libertà ***
Capitolo 5: *** Epilogo (~ Cuore di Zingara) ***



Capitolo 1
*** 1. Soldato e Gitana ***




Sono sincera: in questa storia ho messo il cuore.

Un po' perché ho avuto un periodo abbastanza critico, indi, volevo tornare a farmi viva coi contest -dopo un'estate senza computer, praticamente XD- con qualcosa di serio. Non perché altre mie storie non lo siano, semplicemente questa ha qualcosa di diverso, è come se avessi scrutato dentro me stessa, a fondo, e poi avessi trasportato quei sentimenti nella mia storia.

Tutto partì da un disegno... io frequento il Liceo Artistico, quindi per me disegnare è normale. Iniziai ad abbozzare uno schizzo, che poi si trasformò in un vero e proprio disegno... e poi i miei personaggi presero vita, Sasuke e Sakura *_*. Me lo sentivo, dovevo scriverci qualcosa... qual occasione migliore se non un'imminente contest?<3.

Vi presento così una fan fiction che mi resterà sempre nel cuore, il “Cuore di Zingara” -così come cita il testo- è diventato anche il mio, con il tempo... Posso dire di essere felice ed un po' emozionata, perché Quinta su Ventuno non me l'aspettavo proprio... in più a parimerito con Darkrose86 e questa è la cosa che mi ha scombussolato di più. È un onore esser arrivata a parimerito con lei, davvero. Non lo dico con falsa modestia o semplicemente per elogiarla, ma perché è davvero così.

È una fan fiction di quattro capitoli, più l'epilogo. Spero vi piaccia <3... ahimè dovete già sapere che sarà angst ^^... metterò il giudizio della giudiciaH (Red Diablo) nell'epilogo, onde evitare spoiler <3.







Un grazie speciale alla mia beta Elwerien.

Una carissima ragazza che ieri sera è andata a dormire

ad un orario indecente solo per moi, e mi ha sopportata tutti questi

giorni nelle mie continue -e ormai abituali- crisi del “Non ce la faccio a continuare”

XD. Inoltre adoro questa ragazza, perché si dimostra una persona estremamente garbata e

socievole, con cui mi trovo veramente in armonia <3.

Abbiamo la stessa vena di sadismo/angstosità *ç*, indi per cui ogni cosa che scriviamo sa di sangue <3.

Fan fiction dedicata ad Elwerien,

un TesoVo di persona <3.








Cuore di Zingara





1.


Soldato e Gitana








Ancheggiava il bacino, con perfetto controllo. I suoi occhi erano socchiusi, si lasciava trasportare dal suono del cembalo, tastando con perfetta audacia il suolo arido ora divenuto un palcoscenico per grandi talenti. Forse gli sguardi correvano alla prorompente scollatura oppure allo spacco oltremodo provocante… ma non le importava granché. Mostrava gambe e braccia senza alcun pudore, la sua era una sensualità da strega, avevano detto in molti. Sì, lei era una strega.


Così ormai veniva nominata. Bastava dar voce ad un alito di vento, e tutti si fidavano della prima insulsa menzogna che passava di strada. La gente era ingenua e allo stesso tempo cattiva. Ingenua, sì. Andavano incontro a falsi ideali e stupidi ragionamenti. Cattiva, perché parlavano senza cognizione di causa. Era abituata, ormai, a quelle occhiate languide che le rivolgevano, a quegli sguardi che non elogiavano sicuramente la sua indole artistica.

“Prostitute a quest’ora! Quasi quasi ne approfitto!”

Ecco, il solito marpione da quattro soldi. Ad accerchiarsi intorno a lei folle di umili briganti e artigiani, che non si tiravano indietro a qualche risata di scherno, peraltro assolutamente ridicola. Un coro di risa sguaiate perforò le sue orecchie; ma a Sakura Haruno bastava guadagnare il pane da portare in tavola e racimolare qualcosa per tirare avanti. Il resto era solo rumore.

Questa era la sua vita. Questa era la sua casa.


La strada.

Quella strada che a volte rendeva felici, altre volte rendeva disperati.


Almeno fino a quel giorno. Dietro la folla inferocita spuntò qualcuno… aguzzò la vista, aprendo le palpebre dapprima socchiuse: un mantello nero si fece strada e superò tante persone. Lui, con quello sguardo gelido e quel portamento regale, incuteva una certa soggezione.

“Andatevene.” Il suo tono era pacato, eppure gelido. Sakura si ricordò di respirare solo dopo pochi istanti. Ora poteva sfiorare il soffice mantello, poteva notare la spada custodita nel fodero; e allora capì. Capì che tutte le sue fantasie potevano andare bellamente a farsi benedire.

“Un soldato?” domandò più a se stessa che a lui. Quello che prima era un dubbio ora diveniva una certezza, dal momento che l’uomo in questione aveva cacciato fuori una lama che scintillava alla luce del sole. “Un assassino”, lo guardò con disprezzo, quando sentì la punta gelata sulla sua epidermide.

“Andatevene” ripeté. “Le streghe come voi hanno vita breve, ricordatevelo”, e fece un po' più di pressione sulla sua pelle. Ottenne l'effetto desiderato: le labbra della zingara si fecero contratte. 
Adesso si stava mordendo il labbro inferiore coi denti, sofferente.

Essere disgustoso. L'Haruno trattenne un conato di vomito, indietreggiando di parecchi centimetri. Il suo braccio aveva preso a sanguinare, di poco. Il segno della spada sarebbe comunque rimasto, senza alcun dubbio. Era capace di uccidere... senza pietà. Si trovò con le spalle al muro, le vecchie pietre che si sgretolavano dietro la sua schiena. Lo fissò, senza alcun timore; poi fece leva sulla pietra più sporgente di tutte e vi appoggiò un piede. “Gli assassini invece...”, non riuscì a trattenersi. Conosceva i rischi e i pericoli: poteva ritrovarsi piegata alle sue stesse volontà in un batter d'occhio, ma di sicuro non avrebbe trattenuto quel boccone amaro in gola. Lui le prestò una certa attenzione, esortandola a continuare. “... gli assassini pagheranno il sangue che è stato versato dagli innocenti. Ricordatevene”.


E, con un agile scatto, si trovò dall'altra parte. Il cuore in gola, le ginocchia tremolanti, il respiro affannato. Sakura strisciò verticalmente, affondando il capo tra le mani; e pianse, ma non di dispiacere o di sofferenza. Bensì di paura, quella strana forza che agitava il suo animo e si prendeva gioco delle sue sicurezze. Il senso di terrore che aveva sentito mentre il soldato la guardava negli occhi, pensando a qualcosa tutt'altro che innocente... I suoi occhi, appunto, sembravano volerle squartare l'anima. Singhiozzò più forte, tappandosi subito dopo la bocca. Stava convivendo col pensiero che lui sarebbe potuto venire a prenderla nella notte, strapparle il cuore e gettarlo nelle fauci del fiume più vicino, senza che nessuno sospettasse di nulla.


Batteva ancora, troppo rapidamente.

Sentiva che stava per andare in crisi, doveva calmarsi. Inspirò ed espirò più volte, inalando l'ossigeno necessario. Alla fine si pulì il viso col dorso della mano, non potendo eliminare però quegli occhi, lo sentiva perfino lei, arrossati. Erano divenuti gonfi e tanto stanchi, che temeva di cadere in preda del sonno da un'istante all'altro. Si rialzò, cautamente, marciando con passo sicuro lungo le strade piene di zingari... gitani. La gente pronunciava con disprezzo quella parola, quasi a volerla vomitare. Erano convinti che le persone come loro non fossero altro che ladri. E invece, l'unica cosa che Sakura vedeva mentre camminava, era l'onestà. Quell'onestà che le era stata infida dall'altra parte della barricata, quell'onestà che, quando vogliono, gli uomini sanno mostrare anche se sanno già di non poterla mettere in pratica: non con loro.

Cosa c'era poi di diverso fra i loro mondi?. I bambini avevano lo stesso sorriso di quelli ricchi, le donne faticavano come muli durante la giornata ma tornavano a casa abbracciando i loro figli, e i padri si preoccupavano come perfetti capo famiglia, accollandosi tutto sulle proprie spalle. Non capiva, allora: cosa c'era di diverso?. Un piccolo nodo le bloccò la gola. Respirò frustrata.


D'altronde non possiamo aggiustare tutti i torti di questo mondo. Possiamo solamente sperare in

qualcosa di migliore, in fondo... sognare non costa nulla.


“Sakura, hai visto... Ho finito tutto!”, esclamò una piccola birbante di pochi anni leccandosi il contorno delle labbra. Le stava tirando forte la gonna e rivolgendole un sorriso a trentadue denti, ansiosa di ricevere complimenti. “Bravissima!”, le rispose lei, accarezzandole la testolina mora. La piccola gioì alcuni istanti, poi corse dalla sua mamma, appoggiandosi alle sue ginocchia. La ragazza invece posò il mestolo: non aveva molta fame. Decise di saltare la cena, lasciando quasi come un fantasma la catapecchia che fungeva da abitazione. Sollevò la tenda -la porta-, uscendo fuori e sentendo il fresco venticello pungerle la pelle. Prese una delle fasce che teneva legata in vita, passandosela sulle spalle. Dopo tanto tempo guardò la luna in cielo, alta e maestosa, eterna e immortale. Ecco, così sarebbe voluta nascere. Fissò con occhi meravigliati la forma circolare, immersa in uno sfondo blu scuro: il cielo, ornato a tratti da nembi di brillanti.


Ma in fondo, si disse, si sarebbe accontentata di venir trattata come un essere umano.


Quel pensiero la amareggiò, e priva di paura o inquietudine, a piedi nudi, percorse la strada deserta; era solo curiosa e determinata, perfino di scoprire i pericoli del mondo. Più in là vedeva delle luci lampeggiare... no, non luci: erano fiaccole. Enormi fiamme, rosse e splendenti, stavano avvicinandosi sempre più, man mano che il suo passo si faceva più lesto. Si nascose dietro una roccia, lanciando però un’occhiata con la coda dell’occhio a quel gruppo di soldati che sembravano sulle tracce di qualcuno. Vedeva due mani gesticolare e spiegar loro i comandi. Erano proprio soldati, pensò con rammarico. Rispondevano a qualunque richiesta con un sì affermativo, seguito quasi sempre da signore. Se assottigliava lo sguardo poteva notare un mantello scuro, una chioma color petrolio, un'espressione ostile e sgarbata, di chi non voleva perdere. Certo, era lui!

Il pensiero la irrigidì all'istante; trasalì incerta, come se sapesse già di dover andare al rogo. Già, perché da quando c'era il “famoso Uchiha” in città, una gitana alla settimana veniva bruciata viva, nel grande falò della domenica pomeriggio, con tanto di sentenza di morte per stregoneria. Che idiozia. Le streghe erano ben altre, in questo mondo insozzato dalla guerra e dalla povertà. E, mentre loro perdevano tempo a dare alle fiamme l'intera città, i criminali se ne andavano a piede libero, e non venivano nemmeno puniti. E così era quello il famoso Uchiha?

Impose al suo udito di cogliere anche il più piccolo e impercettibile suono, sforzandosi, cercando di tradurre in parole i loro monosillabi. “Avete capito? Voglio la gitana bionda, Ino Yamanaka” e si trattenne dall'urlare, sentendo però una scossa di paura in fondo al cuore. Ino, avrebbero ucciso Ino!. Non poteva permetterlo, non colei che conosceva da sempre e con cui era cresciuta insieme, non la sua migliore amica. “... viva o morta”.

“Viva o morta”, aveva aggiunto, pregustando già la vittoria. Ma non avrebbe ucciso l'ennesima innocente: Sakura non l’avrebbe permesso. Avrebbe messo fine a quella strage disonesta di corpi, martoriati e poi gettati tra le fiamme, uno dopo l'altro. Decise che si sarebbe mossa, aspettando il momento più opportuno per agire... il cuore scalpitava, la paura diventava un tutt'uno con il suo corpo, respirare ormai aveva perso il suo significato. Solo quando non distinse più le ombre degli uomini proiettate sulle rocce scarne intorno, solo allora si mosse, prestando sempre attenzione. Guardò avanti e indietro, con maniacale metodicità. Avanti e indietro, sempre, attenta a quello che vedeva a terra, ai sassolini aguzzi e agli animali che si volevano arrampicare sulle sue gambe. Viva o morta. Il suono di quelle parole le sembrava così sprezzante che sentiva che avrebbe sognato quella frase –qualora, ovviamente, fosse riuscita ad addormentarsi. Sentiva che avrebbe potuto morire nel sonno, al rogo, attaccata ad un cappio, scivolando su quei sassi apparentemente innocui. Tutto il mondo era diventato un immenso covo di pericoli, una giostra delle torture a cui non voleva prender parte. Fece alcuni passi, lesta. Respirò -era ancora viva. Poi si fece ancora più avanti, andando ad urtare una roccia. “Diamine”, si trattenne dall'imprecare.

Aveva paura che perfino i suoi silenzi fossero udibili.

“Dovrebbe stare più attenta”, disse un uomo, rimproverandola. Una punta di crudeltà in quella frase. E, fino ad allora, conosceva solo un uomo che conservava tanta malvagità. “Uchiha”, scandì bene, attenta a non sbagliare. Voleva liberarsi ma la sua stretta era ferrea, rigida, e l'aveva avvelenata come un serpente, perché non riusciva proprio a muoversi.

“Gitana”

“Sakura”, lo corresse. Le parole le morirono in gola in quello stesso attimo, quando avvertì il suo mantello sfiorarle le esili spalle. Poi  sentì  qualcosa nel cielo... Si voltò a guardare: ora i nuvoloni coprivano la maestosità della luna e la pioggia sembrava voler diventare fitta. Se il suo tocco prima era lieve, inudibile, appena accennato, adesso era pesante, rumoroso; così tanto che l'unica soluzione pareva essere quella di tapparsi le orecchie. “Piove”, comunicò all'uomo che si stava allontanando da lei. Il buio le copriva la visuale, rendeva i suoi sensi meno acuti; era solo riuscita ad avvertire l’uomo scostarsi da lei. Ora quelle mani sporche del sangue versato dagli innocenti avevano contaminato la sua pelle. La vergogna e l'orrore le scatenarono un brivido per nulla piacevole lungo la sua colonna vertebrale, facendole solamente disprezzare il genere umano.

“Hai sentito”

Disse lui, prendendole bruscamente un braccio e portandola in una via deserta ma con un piccolo barlume di luce. Ora riusciva a distinguere il color sangue di quegli occhi carnefici, avvertiva la paura come una costante. “S-sì”, disse, indietreggiando ancora. Si trovava ancora con le spalle al muro: era infatti incollata ad una porta di legno e la pioggia si stava prendendo gioco della sua vista, offuscandogliela. E il tempo sembrava peggiorare, la pioggia imperversava sui loro corpi, bagnava i vestiti, picchiettava sui massi e sui ciottoli lungo la strada. “M-mi... Ucciderete?”, aveva detto, mostrandosi fin troppo audace. Quello ci aveva pensato un momento, poi, con quel suo tono gelido, leccandosi le labbra -cosa che faceva alquanto spesso: forse faceva pensieri perversi o sadici, non avrebbe saputo dirlo; sapeva solamente che era un tic nervoso che non lo abbandonava-, scandì anche lui le parole. “Sarebbe troppo facile”.

E abbassò impercettibilmente lo sguardo, temendo di perdere l'orgoglio. “Ma lo farete”, si torturò con le dita, domanda retorica.

“A tempo debito”, posò un braccio sulla porta di mogano. Sakura ebbe un fremito, il raziocinio veniva sempre meno.

“Cosa volete fare?”, chiese, incerta. Aveva tentato la fuga ma i riflessi dell’altro erano pronti, fin troppo. Era stato addestrato proprio come un perfetto soldato.

“Divertirmi”, e si avvicinò ancora di più, impattando col proprio corpo su quello più esile della zingara, totalmente allibita dalla situazione. Ora le sue mani si erano staccate ma erano andate a incidersi sopra le spalle di Sakura. Poi erano scese un po', quel poco che bastava per avvistare la sua prorompente scollatura e per far correre le fantasie degli uomini con pensieri poco casti, anzi, profani. E lei era rimasta immobile, subiva quella tortura senza proferir parola, come una bambola di pezza. L'Uchiha aveva abbassato il capo e Sakura era sicura di aver sentito qualcosa di strisciante correre dall'incavo del collo fino alla curva del seno. Le sue mani andarono a bloccare quelle dell'uomo, totalmente preso dalla situazione, ma sembrava non trovar pace e nemmeno starla a sentire. Si erano spostati un po', incollati al muro di una strada disabitata, senza che lei potesse nemmeno chiedere aiuto. “Cosa state facendo, adesso?”, la mano del soldato correva verso la sua gamba, aveva alzato un po' la gonna, mentre con l'altra gamba bloccava il suo corpo, inchiodandola. Era arrivato fino al fianco, riusciva a sentire la stoffa della biancheria intima contro le sue dita. Giocò un po' con l'orlo, sentendo il tremore della ragazza sotto di sé; temeva proprio di averla impaurita. Quel tanto che bastava per non sentirla fiatare più.

“Potrei andare avanti”, e la ragazza sbarrò le palpebre, totalmente terrorizzata. “Ma mi fermerò. Non c'è gusto senza la tua partecipazione”

“La mia partecipazione?”, domandò, scettica. In quale universo si sarebbe mai sognato la sua approvazione a una cosa tanto disgustosa?.

“Quella che mi darai, altrimenti la tua amica morirà”

Tasto dolente, assai dolente. La pioggia in quel momento terminò, lasciando comunque la sua presenza. L'Uchiha tese una mano, senza più avvertire lo scroscio dell’acqua sul proprio palmo: vedeva solamente delle goccioline che grondavano dai tetti delle abitazioni. “Buonanotte, gitana”.

Cosa avrebbe dovuto fare ora?. Era possibile che lui la stessa ingannando, con uno dei suoi sporchi trucchetti?

La notte avrebbe portato consiglio...

Sempre se al suo ritorno non fosse stato già mattino inoltrato.



Continua...

****

Quinta Classificata

Vincitrice del Premio Originalità

Vincitrice del Premio Emozione

La fan art è ad opera mia e guai a chi la copia è_é. 

La fan art per intero, a chi interessasse vedere le mie scarse capacità artistiche XD: http://img225.imageshack.us/img225/1223/sasusaku.jpg

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Capitolo 2
*** 2. Ricatto ***


FF Da postare


Cuore di Zingara

2.

Ricatto









Le vie a quell'ora erano deserte e ciò incuteva un certo timore, indubbiamente. Sakura quella notte aveva dormito sopra uno scomodo giaciglio, sporco e polveroso. Tossì un paio di volte, scrollandosi di dosso quei batuffoli di polvere che erano rimasti impregnati sopra i vestiti. E i suoi occhi si schiusero, completamente. Si strinse nelle spalle quando una brezza proveniente dal Nord attraversò con crudeltà la sua colonna vertebrale... Sentì un brivido felino camminare lungo la schiena, unito a uno strano formicolio alle articolazioni. Sospirò amaramente quando si accorse di avere freddo. Allora, disgustata, riprese la coperta insozzata e se la poggiò sulle spalle, sopprimendo il conato di vomito sul nascere.

La sua mente balenò ai ricordi della notte prima. Strinse con violenza i pugni chiusi, accigliandosi; il soldato le aveva proposto un compromesso bello e buono a cui, però, non sarebbe scesa, a nessun costo. D'altro canto, cosa poteva fare?

Perdere Ino sarebbe stato come perdere una compagna, una sorella, un'amica preziosa. Perché loro erano cresciute insieme ed avevano attraversato quei solchi apparentemente insormontabili che avevano affrontato nella vita mano nella mano, avevano riso quando si erano ritrovate a condividere un tozzo di pane in due e avevano pianto pensando alle loro precarie condizioni. Rinunciare alla propria libertà per la libertà di un altro essere umano?

Gettò il viso nella fonte, rimanendo in apnea alcuni secondi. Poi strofinò con irruenza le due mani sulle gote candide, levandosi  i granelli di polvere e le macchie di terra... Zingara che non sei altro. Sporca strega, Diavolo travestito da angelo, essere abominevole.


Quante parole di scherno le erano state rivolte; sospirò, pensando a quante parole avesse tacitamente ignorato, soffocando in gola quel boccone troppo amaro. Il capo scattò all'indietro, quando sentì una presa sui capelli di un'improponibile colore. “Ahi!”, gridò, mostrando i denti.

“Non sei rincasata stanotte, eh?”, la presa non accennava a diminuire. Sakura bestemmiò un paio di volte, nascondendo un ghigno.

“Ino, lasciami!”, ma non le dava ascolto. Sakura cercò di liberarsi, compiendo una piroetta degna di un'acrobata; Ino finì a terra, miseramente.

“Hai barato”, confermò Ino, visibilmente stupita. La terra le era entrata nelle unghie, sul viso, nel corpo... Si rialzò di scatto, sputando a terra. “Non hai risposto, Sakura”, le ricordò. La ragazza eluse con una certa indifferenza l'amica, voltandole bruscamente le spalle. Allora la bionda si sentì offesa e le balzò di nuovo addosso, finendo per salire sopra le sue spalle.

“Cosa diavolo fai, Ino?!”, esclamò, perdendo l'equilibrio.

“Parla o ti spezzo l'osso del collo”, una minaccia. La ragazza decise di sottovalutarla, scostandosela da vicino e riprendendo la propria strada. “L'hai voluto tu”.

Tempo un attimo, e si era ritrovata con il capo affondato nell'acqua, di nuovo in apnea. “Parli?”, domandò, rialzandole per un momento il capo. Sì, l'amica non era quel che si dice una ragazza signorile. I suoi modi, brutali a dir poco, assomigliavano di più a quelli di un soldato senza pietà... Inaspettatamente l'Uchiha rientrò nei suoi pensieri. Scosse il capo con fermezza, forse quella proposta che le aveva fatto era una trappola, così... per vedere fino a che punto era disposta a reggere il suo gioco fasullo.

“Ino! Smettila...”, la supplicò, nascondendo all'interno di una ciglia una lacrima.

“Cos'hai?”

Lasciò improvvisamente la mano, prendendole invece il mento e scrutando attentamente nelle sue iridi smeraldine. “Tu stai piangendo”, affermò, dopo un attento esame. Sakura rifiutò scortesemente la sua mano, facendosi spazio nella piazzetta. Strofinò una mano sopra gli occhi, cercando di non dar a vedere quella fragilità tanto nascosta.

“Non dire stupidaggini”, la liquidò, camminando svelta. E la bionda la stava seguendo, determinata a sapere il motivo di tanta sofferenza. Se la conosceva almeno un po', finché non l'avesse scoperta non si sarebbe data pace.

“Cosa c'è? Mi nascondi qualcosa?”, la rimbeccò, con tono di sfida.

Le aveva afferrato il polso e l'aveva voltata dalla sua parte, facendole compiere un mezzo giro. Il volto diafano, pallido, bianco latte, era adesso dimora di alcune stelle morenti che lentamente stavano solcando lo zigomo. Si fermò ad osservarle, poi, resasi conto della situazione, le pulì le guance, con un pezzo di stoffa. “Ino, promettimi che starai attenta”.

Le intimò, prendendole le mani e scuotendole ripetutamente. Ino la guardò come si guarda un pazzo, un mentitore, un bugiardo; rinnegò immediatamente le definizioni quando si accorse di aver davanti a sé l'amica. E non una qualunque, bensì l'unica e la sola. In quello sporco mondo devastato dalla guerra, i pregiudizi, la povertà... Beh, c'era un granello di umanità. Quel microscopico briciolo di sentimento, grande o piccolo, ora era diventato dimora dei loro cuori e delle loro menti. Quella che stava legando Ino e Sakura non era un'amicizia comune. Si sa, le amicizie passano.

Con rammarico e per esperienza, Sakura dovette aggiungere una nota dolente. Nel lungo cammino che l'attendeva sarebbero passate centinaia di persone, le quali per un momento si sarebbero dimostrate amiche, e l'attimo dopo sarebbero tornate ad essere semplici conoscenti. Ma nulla poteva essere paragonato con quella tenera amicizia nata per una strada cittadina. Perché Ino non era un'amica bensì l'amica. Le dita si intrecciarono, gli occhi si stavano cercando, ormai sbarrati, spaventati, sbigottiti. La bionda fece un cenno d'assenso col capo: sebbene le fosse stato celato tutto quel mistero, sentiva di doversi fidare di Sakura, perché è proprio questo che fanno le amiche, no?. Si doveva fidare, le sue parole non era lasciate andare al caso, non lo erano mai state e non avrebbero cominciato di certo in quel momento.

“Starò attenta”, mormorò, mettendo a tacere il cuore dell'amica. Lo sentiva, perfino da quella distanza. Batticuore di spavento, pieno di ansia. Avrebbe voluto farle qualche domanda ma sentiva che non avrebbe ricevuto risposta. Ritenne più doveroso assecondarla, in un casto silenzio che raccoglieva in sé tante parole.

“Lo so, ti sembrerò strana. Ma... se ti perdessi Ino, sarebbe come perdere una parte della mia vita. Promettimi che vivrai, dimmi che mi vuoi bene...”, ed in quel momento la vide delirare e proferire le cose più astruse e inconcepibili. Qualcosa che ruotava sempre attorno al discorso “morte”; il respiro si mozzò, sembrava quasi in preda al panico.

“Calmati... ehi, non morirò!”, stava esclamando, cullandola tra le proprie braccia. E nel petto il chiaro segno di una sofferenza, di una forte amicizia, di un dolore che sembrava ucciderla. Ino ancora non sapeva, e, da una parte, era meglio così: voleva evitare di farle nascere qualche strana paranoia, doveva proteggerla a suo modo, guardandosi sempre intorno. “... In cielo non ci sarebbero persone come te”.

Ed in quel momento il suo cuore si fermò, stavolta per l'emozione. Sakura si tenne stretta alle spalle dell'amica, affondando col mento nella sua pelle, stringendo gli occhi ogni volta e sentendoli arrossare sempre di più.

“Noi non ce la meritiamo questa vita”, intervenne l'Haruno, calmandosi un poco. Ino scosse il capo, dandole pienamente ragione.

“Nessuno di noi è felice”, che frase amara.

Sembrava che la vita andasse vissuta unicamente per il denaro, per i beni materiali, lasciando da parte ogni sentimento che non fosse sinonimo di avidità. Sakura sfidò l'amica: ormai si poteva considerare una superstite del mondo se aveva fronteggiato tante cose, rimanendone sempre indenne.

“Forse nemmeno nella prossima. Forse non ci sarà una prossima vita, tanto vale vivere questa.”, formulò quel pensiero, malinconicamente. Entrambe abbassarono per un momento lo sguardo, fissando il terreno umido; anche quel giorno il tempo era uggioso. La pioggia pareva voler tornare da un momento all'altro, profanando con scaltrezza e crudeltà le abitazioni precarie e poco stabili degli zingari, che avevano lavorato tanto per costruirsi un tetto sopra la testa. Se anche il cielo era avido, che possibilità avevano loro con gli esseri umani?.

“Non so, Ino. Forse nessuno ha quel che merita...”, rifletté Sakura. “... forse nessuno di loro là fuori è felice perché non ha mai conosciuto il dolore”.

Proferì, diretta e incisiva. Quelle parole le aveva scolpite nel petto, e, sebbene potessero sembrare una crudeltà, erano veritiere e non erano frasi incompiute di un'arrogante rivoluzionaria. Era la realtà che si palesava ogni giorno davanti ai suoi occhi, in questo mondo che non conosce pietà, che dipende da ogni lusso e agio, che vive solo per ricevere senza fare fatica alcuna. Temeva che il suo cuore, ricolmo di rabbia, potesse bruciare da un momento all'altro.



...And my more having would be as a sauce


To make me hunger more, that I should forge


Quarrels unjust against the good and loyal,


Destroying them for wealth.

 

This avarice


Sticks deeper grows with more penicious toot


Than summer-seeming lust...”(*)





 

“Conosce il dolore solo chi ha sofferto veramente, Sakura.”

E Ino le diede le spalle, lasciandosi indietro il broncio dell'amica. Lo doveva ammettere: quella frase, sebbene molto triste, era veritiera. “Aspetta...”, la fermò. Una domanda indugiava sulla punta della lingua. “... cosa vuol dire zingara?”.

La bionda amica si voltò. Sospirò languidamente, concedendole uno sguardo per alcun istanti; poi le si avvicinò, e, prendendola per le spalle, la guardò negli occhi, scrutando con meticolosità lo smeraldo che vi era racchiuso. “Significa estraneo per loro. Gli uomini hanno sempre paura di ciò che non conoscono”, precisò un attimo dopo. Sakura sentì una stretta al cuore, uno strano formicolio alle mani, un brontolio di rancore allo stomaco. “Sei così ingenua, amica mia”.

E le spostò alcune ciocche di capelli, portandole ordinatamente sopra le sue orecchie. Poi si defilò, lasciandola sola.


Conosce il dolore solo chi ha sofferto veramente.

Sakura si chiedeva se la felicità, invece, la conoscessero solamente i ricchi.

 

 

 

 

 

Il soldato si sfilò il guanto nero, con un semplice gioco di polpastrelli. “Legga, Colonnello”, lo informò un soldato di livello inferiore, passandogli qualche foglio sgualcito. Sasuke lo guardò di sfuggita, osservando con un certo disgusto l'altezza dell'uomo che aveva di fianco... Sfiorava appena le sue spalle. Il corpo invece era robusto, sopra la media. Scostò i batuffoli di polvere che si erano depositati sopra il proprio mantello, poi aprì il giornale, scrutando con attenzione tutti i titoli.

Gli zingari infestano ancora le strade”


Quello era l'articolo che lo preoccupava più di tutti. Gettò con violenza il giornale sopra il bancone e trattenne una bestemmia tra i denti, non potendo fare a meno di corrugare bruscamente il proprio sguardo. Ciò che aveva di fronte era uno squallido sceneggiato della vita di ogni giorno: gitani che rubavano. Perché loro non lo guadagnavano, il salario. Inebriavano le menti, confondevano i sensi, la realtà diventava finzione, il vero si trasformava in falso. Tante erano le metafore che gli venivano in mente, e, meticolosamente, le selezionò. Una per una. Un ghigno di circostanza gli balenò sulle labbra opache quando vide l'ennesima prostituta di strada darsi da fare; quello che vedeva di fronte a sé era un corpo sinuoso, dalle forme ben pronunciate, il seno generoso che ingannava le menti degli spettatori che si fermavano, almeno per un'istante, a osservare quei passi che si susseguivano uno dopo l'altro. 

“Interveniamo?”, il soldato scattò all'istante appena vide in che direzione il Colonnello lasciava indugiare il proprio sguardo.

“Non ci sarebbe gusto, in questo modo”, frenò l'uomo, battendolo sul tempo. La sua mano ostacolava il soldato che ancora non riusciva a comprendere il significato di quelle parole. “Voglio l'amica”, sentenziò.

Nessuno capì l'astruso significato di quelle parole; l'Uchiha ebbe un'illuminazione, come se fosse stato improvvisamente folgorato. Dettò ordini, e i soldati scattarono attenti e circospetti, muovendosi da un lato all'altro della città. Davanti ai suoi occhi, una scena oltremodo interessante: la fine di una gitana. Sorrise beffardo, mentre osservava la bionda incatenata con dei ferri arrugginiti, dai quali cercava in qualche modo di divincolarsi. Che illusa.

E questo è solo l'inizio...

Si disse, vedendo trasportata la donna da due emergenti soldati, mentre quella stava già piangendo lacrime amare. Poi si voltò in sua direzione, quasi terrorizzata. Il respirò le si mozzò in gola, una piccola circonferenza di stupore etichettò le sue labbra, improvvisamente boccheggianti.

Perché era il terrore quello che dimorava negli occhi delle persone, quando incontravano il nobile Uchiha. Era terrore quando lui passava tra le strade, mantello nero alla mano, spada custodita nel fodero. Era solo la sua espressione sinonimo di paura, solo il suo volto, cupo e ingrigito, segnato dal tempo da piccole ragnatele ai lati degli occhi che ingannava i sensi, tramortiva di paura.

Rise, di un sorriso malvagio.


Sentiva che i fuochi d'artificio sarebbero presto scoppiati... e ad accenderli sarebbero state loro: le gitane.

******************************

(*): Tratto da Macbeth, William Shakespeare.

Eccovi la traduzione <3:


... e l'avere sempre più sarebbe per me una salsa

che mi darebbe sempre più fame, cosicché inventerei

falsi litigi con gli uomini buoni e leali [...]


Questa avidità è piantata più a fondo, e cresce da radice

più perniciosa della estiva lussuria[...]”


Se ci pensate è vero *Annuisce*


Ed ora, veniamo a noi... *__*.

Grazie ai ben 199 lettori,

*_*

A chi ha messo nei preferiti e alle seguite. Ma soprattutto il mio ringraziamento va' a quelle persone che hanno commentato questa fan fiction <3:



alechan_96 (Ecco, aggiornato ^^. Sì, dici?. Bene, allora non sono così scarse le mie capacità artistiche, buono a sapersi XP), valehina (AW! Cara *-*. E sì, è abbastanza bastardo Sas'ke, ho faticato per farlo rimanere IC XD. Felice che ti piaccia anche la fan art e grazie mille!), ballerinaclassica (sì, questa fan art l'ha vista mezzo mondo, renditi conto °_°. Sono felice che ti piaccia, e sì, ci tengo particolarmente, l'ho curata in ogni particolare, attenta a far quadrare tutto alla perfezione. Addirittura pensavo di non arrivare molto in alto viste le mie “avversarie”, come ad esempio te, per l'appunto XD. Ancora non mi capacito, invero °_°. Grazie mille CollegaH, che è meglio <3), Mayumi_san (Sei libera di fare pensieri sconci XD. Uhm, sì, ti vedo spesso gironzolare nel mio account e nelle mie SasuSaku XD. D'altronde sono il mio pairing del cuore, dopo lo ShikaIno <3. Comunque sia, grazie mille e, per l'appunto, io amoH quel libro *-*), kry333 (ecco qua il continuo ^^. Questo disegno è piaciuto a tutti °w°... meno male, pensavo fosse una schifezza XD), Caomei (Sì, mi chiedo anche io perché non scrivo originali, in fondo sono tutte Alternative Universe; però sono troppo affezionata a Sasuke e Sakura <3).



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Capitolo 3
*** 3. Prigione ***




3.

Prigione








“Maledetto bastardo... Figlio di putt-”

“Ah, io baderei a tenere a freno la lingua, gitana”. L'ammonì l'uomo, prendendole il mento e studiandolo.

Sakura, dal canto suo, non poteva fare nulla: le sue mani erano incatenate a due vecchi ferri arrugginiti. Non poteva nemmeno muoversi, poiché lo stridio del metallo le era insopportabile. Ora era sotto la custodia del soldato, che non mancava di ricordarle quanto fosse inferiore a lui.

Il volto di Sakura s'incrinò, denotando un certo disgusto. La mascella si fece più mascolina, lo sguardo spietato, come quello di un ostaggio che si trova nella tela dell'assassino e voleva liberarsene, a qualsiasi costo. Fu quasi tentata di sputargli in faccia, magari avrebbe corroso -almeno un po' – quella sua crudeltà. Il soldato disegnò il contorno del viso della zingara tra le proprie mani, percorrendo con l'indice le linee del volto diafano.

“C-cosa state facendo?”, chiese, improvvisamente insicura. L'Uchiha ghignò, beffardo.

Si sentiva potente solo perché aveva il coltello dalla parte del manico? Faceva male -molto male- a sottovalutare una ragazza cresciuta per strada, esperta di tutte le arti del mestiere. Perché se c'era una cosa che per strada si imparava era vivere. E sopravvivere.

Quella era certamente la circostanza meno piacevole in cui era capitata, in assoluto la più assurda e ingiusta. Ma se ne sarebbe tirata fuori, com'era successo fino ad allora, negli anni passati. Sakura non fu dunque da meno: gli sorrise anche lei, tanto -presto o tardi- avrebbe avuto la sua vendetta, e gliela avrebbe fatta pagare cara a quel fottuto bastardo.

“Osservo. Faresti bene a non contraddirmi, il falò per la tua amichetta è sempre pronto”, disse, liberandosi del mantello scuro.

Sakura imprecò sottovoce, mordendosi il labbro inferiore; lo faceva per Ino, continuava a ripetersi, quasi fosse un ritornello. La sua attenzione, ora, volgeva piuttosto ai gesti poco consueti del soldato, improvvisamente liberatosi dallo sfarzoso mantello di velluto che lo faceva sembrare una figura esageratamente grande. Se guardava le sue spalle, adesso, poteva notare quant'erano gracili, seppur muscolose e sviluppate da duri allenamenti; non sembravano più così terrificanti. Ora poteva vederlo avanzare verso di lei, le maniche improvvisamente alzate e risvoltate più volte, quasi dovesse prepararsi a fare qualcosa. Sakura avvertì un fremito, una scossa di dolore, il cuore in gola.

“C-cosa?”, tentò di sillabare.

“Un'altra domanda e sei morta”, e l'Uchiha le mostrò un coltellino svizzero. Aveva la punta affilata e la lama sottile, quel poco che bastava per ferirle mortalmente l'epidermide e farla volare in un momento nell'aldilà. Capì in quel momento che il confine tra la vita e la morte era davvero sottile, sottile come quella lama che si era avvicinata alla sua gola tanto che poteva sentire sulla sua pelle i dentini appena un po' pungenti del coltello. Allora il battito della ragazza prese ad accelerare, le sue difese vennero meno, il respiro si fece mozzo e irregolare. È pazzo... completamente pazzo!

Pensava, mentre un  rivolo salato le segnava il volto. Bastava guardarlo negli occhi per accorgersi della sua follia, della sua rabbia, del suo odio, del suo cinismo verso una cultura che non gli aveva fatto niente, in fondo. Il suo obbiettivo era quello: sbarazzarsi degli zingari, eliminarli dal mondo, perché feccia della Terra.


E dopo? Dopo sarai soddisfatto?


Chiuse gli occhi, strizzandoli. Improvvisamente quella lacrima le sfiorò la pelle, danzando sulla gota marmorea. L'Uchiha ritrasse il coltellino, infilandoselo nel taschino. Adesso rideva, di una risata isterica e insoddisfatta, dannatamente fastidiosa ad udirsi.

“Paura, eh?”, domandò, asciugandosi le labbra con la lingua.

Sakura non rispose. Ma quel suo sorriso sghembo la irritava, quel suo carattere irritante affollava -ormai da innumerevoli notti- il suo sonno; l’Uchiha si prendeva gioco del suo riposo, la minacciava in un incubo, la voleva avere per sé, per giocarci come più gli aggradava. C'erano anche notti in cui  si affacciava in ben altra maniera nei suoi sogni; ma preferiva non pensarci. Era assurdo immaginare una cosa simile, specie quando il soldato la odiava, la detestava, sognava di vederla bruciare al rogo e non si sarebbe dato pace fino a quando non avesse visto coi suoi stessi occhi che lei si trovava negli Inferi.

La gitana sbatté la testa, con violenza, sulla pietra ormai rovinata di quella squallida prigione. Un posto macabro, un piccolo metro quadrato totalmente buio, tranne che in un lato, dove vi era luce grazie ad una fiaccola di fuoco. Poi, da una parte, delle ferriate arrugginite, e aldilà di esse solo oscurità, profonda e abissale. Quando l'aveva visto per la prima volta aveva deglutito: aveva capito che da quel posto non c’era via di scampo, e che probabilmente tante persone vi erano morte ingiustamente. Sentiva ancora l'odore di cadavere perforarle le narici: l'odore dei corpi che ancora permeavano, trascinati per terra, quando la loro volontà era venuta meno. E, se guardava attentamente il pavimento in pietra, poteva notare ancora gli schizzi di sangue, ormai muffa, in lungo e in largo.

Quante persone erano morte lì?

Deglutì ancora, trattenendo un conato di vomito. Lei non sarebbe stata la prossima, no, diamine! E mentre ancora contemplava i profili ormai metodici della stanza, vide l'Uchiha sfilare dal mantello con una certa nonchalance una stoffa di un anonimo color ciliegio. Uno straccetto da pezzenti, che adesso si premurava di passarsi sotto il naso, come a valutarne l'odore.


Bastardo.


“Chissà se ti donerebbe...”, si avvicinò, legandoglielo al collo, quasi fosse un fiocco. “... come cappio al collo”, e sorrise di nuovo, malvagiamente. Adesso il corpo dell'uomo era impattato contro il suo, e l'intenzione non era stata affatto casuale. Si era perfino premurato di legarle il bavaglio alla bocca, così da non farle proferir parola. Vani erano stati i tentativi di liberazione, vane le imprecazioni e i “basta” mugugnati ad alta voce.

L'Uchiha l'aveva zittita, cercando con le mani la sottana, sepolta sotto stracci di stoffa. Finalmente era riuscito a sfiorare le sue gambe, e stava salendo su, piano.


E, ad ogni passo, Sakura sentiva il cuore urlare nel petto.

Stava per perdere la sua patetica verginità, conservata con dignità fino ad allora, alla veneranda età di vent'anni.

Stupida Sakura... pensavi forse che l'avresti conservata per l'uomo che amavi? E l'avresti protetta, con tutte le tue forze, omaggiando solo il più galante degli uomini con quel piccolo -grande- regalo, sentendoti per la prima volta donna?

Come sei ingenua.

 

“NO!”, pensò, quando due dita si erano intrufolare nella sua intimità, spezzando quella barriera di ingenuità e quel bozzolo protettivo che era sempre stata la sua innocenza.

“Cosa c'è gitana? Sei forse vergine?”

A quella domanda non aveva risposto: non ne aveva avuto il coraggio. “Oh, che sorpresa”, si era fermato, per un misero attimo. “Pensavo che voi prostitute di strada foste abituate a concedervi”.

E aveva riso di lei, per l'ennesima volta. Le lacrime di Sakura erano diventate violente, aggressive; ormai non riusciva più ad immaginare quale altra emozione potesse dominare il suo animo, se non la sofferenza. E fu così che Sasuke Uchiha spinse, con più violenza stavolta, le due dita, affondando nella parte più inviolata del suo corpo. Lei gridò, urtò le fragili barriere dell'udito umano, ebbe l'impressione che quell’urlo si fosse elevato fino in cielo, muovendo la fronda di un albero.

“Cosa c'è, Sakura?”, era la prima volta che la chiamava per nome. “Piangi? Forse non hai capito...”, si avvicinò al suo timpano, sussurrandole semplicemente: “... per avere quello che vogliamo, dobbiamo prima perderlo. Ed è così per la tua stupida verginità... volevi mantenerla? Beh, dovevi prima perderla. Devi prima soffrire per essere felice...”, c’era una certa amarezza in quel timbro quasi affranto, quasi quel soldato ne avesse passate di tutti i colori.

Ma non doveva compatirlo: lui era il nemico, e stava compiendo un atto ignobile sul suo corpo, un atto che era un reato, che andava pagato. Se col sangue o con la legge lo avrebbero deciso in seguito. L'Uchiha le aveva rubato quanto di più prezioso aveva conservato, l'aveva privata del primo piacere, con una violenza da assassino, come lo erano quegli occhi truci, ingannevoli. Perché potevano essere affascinanti, sì, ma se si cadeva all'interno di quelle iridi onice si rischiava di rimaner intrappolati.

Ed altre lacrime scalfirono il volto minuto di Sakura, che ormai si chiedeva se valesse la pena vivere, oppure se fosse meglio mettere fine alla propria vita con quel coltellino svizzero, tentatore. Ora il suo sguardo vagava in basso, dove il soldato non si era accontentato di un semplice sfizio -lo avrebbe potuto ancora perdonare, qualora si fosse fermato-, ma si era avventato con le labbra sulla sua carne, quella più morbida e gradevole. Sapeva dove toccare, nei punti giusti, e si era slacciato la cinghia dei pantaloni, ora, pronto a godere di quel piacere -mentre lei, vittima, era incatenata ad una parete, ad una catena di ferro, come una belva.

Vani furono i tentativi di fermarlo e di scalciare come un cavallo. Il soldato la fermò, applicando una certa forza alla sua caviglia, premendo sull’osso fino a farla gemere di dolore; sentiva di avere una gamba lussata, dannazione. Con potenza le aveva fermato un piede, e sentiva che quando avrebbe camminato -sempre se lo avesse fatto ancora-, avrebbe zoppicato.

“Se lo fai ancora, procederò anche con l'altra”, e si era fermata. A quel punto l'aveva lasciato fare, sul suo corpo; gli aveva dato il permesso -tanto se lo sarebbe preso lo stesso- di giocare come più gli aggradava. E, ovviamente, l'Uchiha in questione non aveva perso tempo: sfrontato e deciso, aveva puntato con una certa precisione al suo obbiettivo, nemmeno fossero le sue stupide armi che tanto amava armeggiare in platea.

Dolore. Dolore. Dolore.


Un altro urlo, gettato nel vuoto. L'abisso di parole che si era impastato nella sua bocca -molte delle quali insulti verso l'uomo in questione-, le si erano sciolte sulla lingua, nel momento stesso che quel processo doloroso aveva avuto inizio. Agonizzante, riuscì ad aprire un po' gli occhi, osservando con quanta violenza l'uomo cercasse di venirle dentro, quasi quella sua intimità non avesse profondità.


Ino... vuoi dire che tu hai già...”, non era riuscita a finire la frase, ostacolata dal troppo imbarazzo. L'amica, invece, sempre sfrontata ed estroversa, aveva subito dissimulato quel disagio, intimandole di abbassar il tono di voce e facendole l'occhiolino.

Non vorrai mica far saperlo in giro! E comunque sì, è capitato...”, si era giustificata.

Sakura aveva spalancato la bocca, il più possibile. “Con chi?!”, aveva chiesto, guardando in giro qualche spasimante della bionda.

Beh... hai presente il Nara?”, a quell'ultima parola arrossì, mostrando quel sottile strato di fragilità che celava nell'animo. Gli occhi di Sakura ora erano spalancati, venivano sbattuti con meno regolarità di prima.

L-Lui?”, la ragazza si ritrovò spiazzata. Ino confermò, annuendo col capo. “E... com'è?”, chiese, cercando di darsi un contegno.  

Beh...”, le gambe della ragazza si distesero, così come il suo sorriso, sempre più somigliante ad una mezza luna argentata. “... è come volare in paradiso. Non sai per quanto tempo, anzi... il tempo pare non esistere più. È come volare, Sakura”, e l'emozione la si leggeva negli occhi, ancora un po' lucidi, e l'espressione assente, vaga, persa nel vuoto.


Ino le aveva detto che quella di sentirsi parte l'uno dell'altra era una magica sensazione, quasi paradisiaca. Allora perché stava piangendo? E non erano lacrime di gioia e commozione, bensì di dolore, quel dolore folle che sentiva anche adesso che l'Uchiha si stava appropriando con una certa bramosia del suo corpo, sbattendola più volte contro le rocce antiche.


È come volare, Sakura.


Volare? Il suo corpo era incatenato al suolo, rigido. Sentiva la realtà piombarle addosso, come un macigno enorme, gravoso. L'unico momento in cui non sentiva più di toccar terra era quando il soldato spingeva con violenza nella sua, oramai, sudicia epidermide, minacciandola con la forza di non urlare -o avrebbe usato metodi meno galanti per farla tacere.


Questo lo chiami volare, Ino?


 

Non sapeva quanti minuti -forse ore?- erano trascorse. Sentiva il respiro affannato di Sasuke, quello suo più lieve e delicato. Osservava una chiazza a terra, una chiazza rossa. Capì, immediatamente.


 

Doveva essere sangue versato con piacere.

E invece era sangue insozzato, sporco, ingiusto.

Sakura osservava... con una certa meticolosità stava analizzando la chiazza a forma

di circonferenza che copriva per metà la mattonella di pietra.

E prese a lacrimare, di fronte ad una simile scena. Prese a piangere, sopra quella macchia traditrice, beffarda, sciocca e inutile.

 

 


 

Il soldato si stava ricomponendo, quasi non fosse successo nulla. Le staccò la fascia che le legava il collo, gettandola malamente a terra. Lo vedeva, Sakura: in tutta la sua perfezione, splendente come un diamante, quasi affascinante. Se non fosse stato per quella brama di potere e quell'assurdo odio che covava da decenni verso un'altra cultura... razzismo, solo razzismo. Perché si ha sempre paura del diverso; perché gli uomini vorrebbero essere burattini tutti uguali, manovrati da un unico filo, e vorrebbero creare le loro regole, padroneggiare il mondo, vivere coi propri simili.

Gli uomini sono egoisti. Triste, vero?

Sognano una vita utopica, senza nessun problema. Ma gli zingari, gitani, gente di strada o come dir si voglia... cosa avevano fatto di male? Erano diversi?


Era un peccato essere diversi, almeno nel 1482.



Diverso? Cos'è diverso?

In fondo, se una gitana si chiamasse Sakura, senza distinzioni di sorta, non sarebbe un essere umano, in ogni caso?


Era questo l'eterno mistero che affliggeva il mondo, provocando una baraonda. Tante -assurde e sciocche- polemiche per una razza, un popolo che non aveva nulla da invidiare agli altri. Cosa è diverso?

Sakura rifletté tutta la notte, dopo che l'Uchiha, trasportandosi dietro quel sentimento di rancore che si era annidato negli anni all'interno del suo cuore, aveva lasciato la stanza. Sakura aveva i vestiti sdruciti, l'aspetto probabilmente impresentabile, ciocche di capelli ormai crespe, intoccabili. Occhiaie scavate in profondità, occhi che ormai avevano perso il loro splendore, spenti.

Riuscì a darsi solo una risposta: diverso?

Diverso non significava nulla se non simile.

Ebbene sì, gli uomini avevano paura di scoprire un'altra faccia della medaglia, probabilmente la loro -quella più nascosta-, quell'intoccabile e impronunciabile volto della moneta.



Cosa vuol dire diverso?

Semplice: simile.



**************


Miei prodi, come avrete capito, ormai, questa storia ha ben poco di romantico, anche perché il mio intento era quello di far riflettere su alcuni temi: la diversità, quello che significa diverso, il rispetto della gente verso le zingare, a quell'epoca e tante altre cose.

Bon, il prossimo è l'ultimo capitolo, poi ci sarà l'epilogo <3.


Grazie a:



RBBA (Eheh, Sasuke nelle mie fic è sempre un bastardo, e qui non è stato da meno ^^. Fammi sapere, bye!), alechan_96 (Grazie *__*. In effetti la giudice mi ha dato il massimo punteggio per l'IC, il ché mi ha reso felicissima *__*, avevo una paura di sgarrare XD. Grazie ancora!), kry333 (Ecco qua, l'aggiornamento! Il prossimo capitolo probabilmente ti chiarirà molte cose, intanto spero che questo ti sia piaciuto. Grazie della recensione!), Caomei (Mansy-chan <3. Non posso che diventare paonazza di fronte i tuoi elogi, >///<. Grazie ancora!), bravesoul (Che onore essere commentata da te *-*. Felice che ti piaccia, in questa fic ci ho messo tutta l'anima, praticamente <3, meno male, è apprezzata ^^. Grazie ancora! ), ballerinaclassica (CollegaH <3. Una delle più meravigliose non so, ma una delle quali ci ho messo più corpo-anima-mente-cuore di sicuro XP. Sono felice che ti sia piaciuta, ti adoVo *_*)

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Capitolo 4
*** 4. Sapore di libertà ***





4.

Sapore di libertà








Alle prime luci dell'alba -o almeno così credeva che fosse, visti i raggi quasi timidi che entravano con lentezza nello scarso metro quadrato- Sakura si svegliò, a causa di una manata ben poco galante sul volto. Si trovava in una sorta di catalessi, sul punto di destarsi ma sempre con quella spiacevole sensazione di poca lucidità, dovuta più che altro allo stress accumulatosi.

Non mi sembra l'ora di dormire... non vorrai mica perderti il falò in piazza?”, disse il soldato, sghignazzando assieme ai suoi inferiori. Quest'ultimi erano semplicemente schiavi del padrone, umili servi che pendevano dalle sue labbra e se l'Uchiha intimava loro di fare qualcosa, quelli non se lo facevano ripetere due volte.

Patetici” pensò Sakura, distinguendo nuovamente i profili della prigione. In seguito sentì lo stridio delle catene che le attanagliavano i polsi, crudelmente.

Q-quale falò?”, aveva un brutto -bruttissimo- presentimento. Sentì il soldato schioccare le dita e i suoi polsi liberarsi dalla presa; le braccia, finalmente, potevano riprendere a toccarle i fianchi. Quella piacevole sensazione però non durò a lungo poiché i due soldati la presero di forza, immediatamente, legandole le mani con una cordicella. Dietro di loro Uchiha controllava tutto, quasi per paura che la zingara potesse sfuggirgli.

Com'era prevedibile, Sakura era malferma sulle proprie gambe. Se una gamba era perfettamente funzionale, l'altra era da meno, purtroppo.

Una zingara zoppa!”, sghignazzò l'uomo, coinvolgendo in quella sadica risata anche l'altro.

Sakura non gli prestò troppa attenzione. Il suo corpo traballava, si muoveva lentamente, il dolore era tale da coinvolgere tutti gli apparati... d'altronde, era questo il peso da sopportare.   

Si morse le labbra con veemenza, toccando finalmente terra. Un suolo arido, un terriccio polveroso che di tanto in tanto alzava nuvoloni che Sakura respirava a pieni polmoni; tossì per la terza volta, accorgendosi solo in quel momento di aver toccato terra con le ginocchia sbucciate. L'Uchiha la prese per il capo, di forza. Le fece assai male quando afferrò la chioma rosa e la tirò a sé, sussurrandole una delle sue minacce: “Guarda gitana... guarda che bel falò. Non ti è... familiare?”, il brutto presentimento si faceva più vivo che mai.

La ragazza alzò il capo, spalancando le iridi e mordendosi le labbra per non gridare.

 

E che le mie parole urtino il cielo...

Questo cielo rosso sangue,

ove si sentono piovere gocce di pioggia vermiglia a catinelle.

 

Sakura!”, gridava Ino, in preda all'isteria. I lunghi capelli biondi volavano come seta nell'aria, e bianco era il vestito che le fasciava il corpo. Bianco come quella purezza, quell’ingenuità di bambina che aveva sempre conservato negli anni.

I suoi occhi scrutavano nella folla, alla ricerca della migliore amica, l'unica e la sola che poteva salvarla da quell'inferno.  

 

Ma tu non andrai all'inferno Ino...

non c'è posto per te, lì.

 

Sakura! Aiutam- Aiut--”  il grido si faceva sempre più debole; di lì a poco avrebbe cessato di esistere. L'ultima parola di Ino sarebbe stata “aiuto”... incredibile. Lei, che non aveva mai chiesto aiuto a nessuno, che se l'era sempre cavata, raccattando qualche spicciolo per strada e facendoselo bastare per una settimana.

Ino, che era cresciuta con lei, che l'aveva raccolta dalla strada, le aveva insegnato come ballare, come destreggiarsi, come muoversi davanti ad un pubblico. E le aveva insegnato anche come comportarsi... era stata lei -solo lei- che aveva temprato il suo carattere. Ino amava la vita... in ogni sua sfumatura. Amava sorridere, saltare, ballare. E... sì. Era particolarmente esibizionista, sicura di sé, sfrontata. Ecco perché in tanti si arrendevano a quella sua autorevolezza e al contempo a quella sgarbatezza tipica di chi è cresciuto per strada. Ma era anche particolarmente volubile in fatto di uomini, estremamente fragile... ma questo, a chi importava?


Perché la gente vede solo quello che vuol vedere. Perché dietro quella Ino così frizzante e spumeggiante si nascondeva quella più sensibile, quel fragile essere umano che si commuoveva per una stella cadente, forse l'unica della sua vita. Quel misterioso intrigo della natura, quel pasticcio di tanti ingredienti che faticava persino a ricordarne.


Oh, Ino era tutto questo. E molto di più.


Sakura annaspò, divincolandosi dalla presa dei due uomini e assestando loro un calcio ben piantato alle caviglie, che adesso si stavano massaggiando, doloranti; e corse, facendo leva su una sola gamba -dato che anche le mani erano fuori uso-, verso quel piccolo teatrino, allestito con un semplice tronco, una corda che circondava la figura angelica che vi era sdraiata, e le fiamme ancora cocenti, cremisi, danzavano nell'aria creando strane illusioni.

Ad esse si univa una grande nube, una coltre di fumo che faticò a respirare. Pianse, battendo con la testa sul legno del piccolo rettangolo in legno, ove era posata quasi come una Madonna immacolata la figura di Ino... i suoi lunghi capelli stavano bruciando, carboni ardenti stavano risucchiando la bellezza che c'era in lei, il fascino che esercitava sugli uomini di ogni rango.

Il suo brio naturale stava morendo nel fuoco, il sorriso era ora dimora delle fiamme, che si impadronivano con avidità della sua bocca; in seguito, solo ossa sarebbero rimaste.

E poi cenere, polvere, inutilità.

 

Cenere siamo e cenere diventeremo.

Siamo inutili... inutili a questo mondo. Sakura l'aveva capito, adesso che vedeva Ino bruciare viva, davanti ai suoi occhi. Uno spettacolo che le faceva accapponare la pelle, che sarebbe rimasto senza alcun dubbio vivo nella sua mente.

La nostra esistenza prende vita nel momento stesso in cui ci accorgiamo di perderla.

Vale a dire che ci accorgiamo veramente di quanto vale la nostra vita solo quanto siamo sul punto di abbandonarla, e forse non riflettiamo mai abbastanza sul fatto che è preziosa, e che vale la pena di viverla.

 

La cosa peggiore era che non aveva potuto far niente e, cosa ben più grave, era stata un'ingenua. Un'ingenua che si era illusa: aveva dato fiducia alle parole di uno spietato assassino, di un maniaco sessuale, di un uomo senza valore, anche se gli erano rivolti molti onori.

L'avete uccisa...”, articolò, impastando nella bocca parole acide. Un magone allo stomaco, un peso che le sopprimeva il petto, impedendole di provare anche solo quel briciolo di pietà.

 

Perché adesso Ino era cenere e lo era per colpa sua. Ora, avrebbe dovuto espiare quel peccato.

E l’inferno non bastava a redimerlo da quella colpa, le fiamme non sarebbero state sufficienti a giustificare un simile scempio dell'esistenza fatta persona... avrebbe dovuto morire e rinascere, morire e rinascere, finché quell'animo assatanato non avrebbe trovato riposo.

 

Ahimè...”, proferì lui, mettendole una mano sulla spalla.

 

Non toccatemi!”, urlò, squarciando il cielo. “Assassino! Vigliacco! Bastardo!”, gliene gridò di tutti i colori, bestemmiò un paio di volte, ad alta voce, mentre un coro di “Oh”, e di “Povera ragazza, adesso chissà cosa le accadrà”, le arrivavano come frecciatine ai timpani, volenti o nolenti.

 

Faresti meglio a non agitarti troppo, gitana”, grugnì sprezzante.

Giocò col viso della ragazza, passando con un dito lungo i suoi lineamenti. Alla fine, con un semplice trucco di prestigio, le fu dietro; ora poteva accarezzare la linea più nobile del collo, quella che adesso era tesa come una corda di violino, nervosa. “Questa corda...”, ed estrasse una semplice cordicella, passandogliela attorno alla gola. “... segna il confine tra la vita e la morte” sussurrò in modo quasi sadico, con l'intento di farlo sentire solamente a lei. Strinse maggiormente, tirandola verso di sé... inevitabilmente il capo scattò all'indietro, il volto si contorse in una smorfia di dolore, una sofferenza terrificante che fino a quel momento non aveva mai provato.

La folla stava osservando la scena provando enorme pena per la ragazza, ma nessuno aveva il coraggio di opporsi ad una simile ingiustizia. Solo quando il volto di Sakura divenne di un colore simile al porpora, allora decisero d'intervenire, intimando all'Uchiha di smetterla... ma quello non mollava, sembrava si divertisse, quasi la zingara fosse un burattino, capitato però in mani sbagliate.

 

Lasc-Lasciatemi”, tentò di spiegare, anche gestualmente. Un attimo dopo avrebbe sentito il collo libero da quel cappio assassino, il conato di vomito bloccato in gola, le nausee improvvisamente soppresse.

 

Uno sguardo ostile.

L'Uchiha schioccò le dita, chiamando a rapporto i primi malcapitati che si trovavano nelle vicinanze. Questi si portarono una mano al capo, gridando un “Sì, Signore”, forse con troppa enfasi.

Portate questa sporca prostituta nella sua cella. Non legatela, ci penserò io”, telegrafò.

In seguito due tenenti la portarono di forza via dalla piazzetta, sbattendola dritta dietro le sbarre.

 

Te lo prometto Ino

-fosse anche l'ultima cosa che faccio-

il tuo sacrificio non resterà invano.

 

 

Il soldato le lanciò uno sguardo canzonatorio, ghignando di piacere. Ordinò ad altri due soldati minori di cancellare le tracce di quel corpo bruciato, di spargere le ceneri a terra, come immondizia, così tutti lo avrebbero calpestato.

 

Se ci riflettiamo, è strano.

Non c'è limite alla malvagità, alla crudeltà dell'uomo.

Alla sua bontà invece sì.

Peccato, vorrei che fosse il contrario.

 

 

 

L'Uchiha rientrò nella stanza, lasciandosi dietro il rumore dei carri, le ruote delle carrozze, il semplice cianciare senza cognizione di causa dei contadini ignoranti, l'aberrante scenario che gli si proponeva tutti i giorni di fronte: quello di persone che lo odiavano, sognavano di vederlo morto, e avrebbero pestato i piedi sulle sue ceneri tante di quelle volte che avrebbe sentito le pedate anche all'Inferno. Ma non gli dispiaceva.

No. Finché era al potere, poteva decidere di far morire tutti, in un unico grande falò... poteva torturare ed in seguito martoriare i loro corpi, senza alcun pudore.

Forse era cresciuto in tal modo a causa dei suoi genitori... se di genitori si poteva parlare. Quel bastardo di suo padre se ne era andato presto di casa, e sua madre era diventata isterica da allora, sempre pronta a bestemmiare, in nome di quel marito e in nome di quei figli che aveva avuto, e che adesso rinnegava, e a cui augurava la morte.

Il destino le si rivoltò contro, truce. Perché, solo pochi anni dopo, la donna, in seguito a quella pazzia, aveva deciso di compiere un gesto estremo: il suicidio.

Se lo ricordava ancora, quel fottutissimo giorno... lo aveva svegliato sua madre, e ancor prima suo fratello. Portava un fazzoletto nero intorno al capo, si rigirava la fede nuziale senza tregua, piangeva e rideva con la stessa intensità... Sasuke lo aveva sentito: sarebbe stata l'ultima volta che l'avrebbe vista. Sua madre teneva tra le mani stretto un rosario e pregava, ansiosamente, continuamente, ripeteva ossessionata le Ave Maria e i Padre Nostro laddove li aveva lasciati, e poi, a metà della preghiera, ricominciava daccapo, guardando in alto nel cielo.

Bella giornata”, aveva detto sottovoce, osservando i nuvoloni scuri che stavano sfumando il cielo. Poi aveva dato ai figli un bacio, era corsa via come un'ossessa, e Sasuke e Itachi avevano capito -ma avevano fatto finta di non capire.

Itachi, il più grande e il più responsabile, gli aveva preso la mano, in un gesto da uomini -cresciuti troppo in fretta, forse.

Ora siamo soli”, sillabò, osservando la sagoma della madre ormai invisibile.

La coperta di nubi ostacolava loro la visuale, così Sasuke ritenne più opportuno spingersi finché la sua vista glielo permetteva.

Già... siamo soli”, il tono monocorde del bambino aveva un che di malinconico, triste... era stato allora che aveva iniziato a farsi le ossa, a lavorare come un mulo, a trovare il pane per strada, perché nessuno ti da' niente per niente.

 

La dura legge della vita.

Così come hai guadagnato quel tozzo di pane, gli altri sono già pronti a riprenderselo, e a sputarti in faccia, se ne hanno voglia.

Perché erano questo gli uomini: avidi di potere, veterani della lussuria, maestri dell'agiatezza.

E Sasuke aveva capito, da allora.

Era troppo ingenuo...

Qui chi semina raccoglie.

E chi non raccoglie... può considerarsi un fallito.

 

Hai capito allora cos'è un uomo, Sas'ke?”, gli domandavano i suoi amici. Sasuke si torturava da mesi con quella domanda, senza trovarne risposta. Ora che si era spaccato la schiena, lussato una gamba, ora che aveva sputato sangue nei campi...  ora poteva dare una risposta.

Sì. Sì che lo so”, avevano annuito gli altri, interessati alle sue teorie. “È quello che comanda. E un giorno lo sarò anch'io”

Vuoi comandare?!”, che sogno strano, pensavano i bambini. Ma lui un bambino non lo era più, anche a nove anni, si poteva considerare un uomo.

Io sono nato per fare il padrone, non certo lo schiavo”

 

 

 

Detto fatto.

Ora Sasuke Uchiha era uno spietato e temuto soldato di livello medio-alto... aveva tutto quello che voleva, bastava che schioccasse le dita e poteva dar vita alla cenere, e allo stesso tempo farla bruciare. Col tempo quel ruolo era diventato una costante, e tutti da allora lo conoscevano come il “Terribile Uchiha”, l'incubo dei criminali e soprattutto degli zingari. Le sue avversità erano cominciate osservando quei rivoltanti balletti mal coreografati, un astruso modo di vestirsi che destava non poco scalpore, in netta contrapposizione agli eleganti abiti d'epoca del ceto alto.

Poi era apparsa lei, in un lampo.

Quella naturalezza nei movimenti, le piroette che compiva, i movimenti che incastrava perfettamente tra corpo e mente... ben diversa dalle zingare che era solito vedere.

La studiava da molto tempo, ricalcava le sue forme nella mente, gli si sovrapponevano milioni di immagini di quella danzatrice senza tecnica. Si era insinuata come un tarlo nella sua mente, scavandone la profondità, e sentiva il bisogno di conoscerla, di parlare con lei... e l'unico modo per farlo era incatenarla, con la forza. Dote che aveva sempre usato e gli era sempre stata di grande aiuto, dal momento che aveva imparato a sue spese che con la forza si ottiene tutto.

 

 

L'Uchiha entrò a passo lesto nel piccolo covo quasi deserto, un rifugio spartano, senza troppi ghingheri. L'ideale per una prigionia a tempo indeterminato che si sarebbe risolta come le altre prima di essa, con un grande falò a cui erano tutti invitati. Il soldato ghignò, davanti alla sagoma della gitana, tramortita di paura. Glielo leggeva negli occhi: terrore nel suo sguardo.

Andatevene, idioti”, gridò ai due uomini che si stavano premurando di tener ferma la zingara.

Quelli subito annuirono, defilandosi dalla stanza, lestamente. Sakura osservò il loro goffo modo di muoversi, la loro dedizione al padrone, quasi quello fosse Dio.

Un Dio di morte.

Lasciate questa prigione e andate ad arrestare gli altri gitani”, ringhiò loro contro, sbattendoli letteralmente fuori. Solo dopo un istante di silenzio, l'uomo torno a leccarsi le labbra; osservò il sorriso della ragazza, ostile.

Siamo solo noi due...”, lasciò in sospeso la frase, dando a intendere ben altro scopo che una semplice conversazione.

Andate a farvi fottere”

...”

Silenzio. L'uomo schifò per un momento la donna, facendo una smorfia di disappunto. “Dì un'altra parola e hai firmato la tua condanna a morte”. Quello sguardo ghiacciato la paralizzò.

L’uomo le aveva preso il mento, poi aveva spinto il suo collo in alto, minacciandola. Il suo corpo era andato ad impattare nuovamente contro quello di Sakura. E quest'ultima stavolta non si fece scrupoli... fece un gesto estremo e, forse, avventato. Gli sputò in faccia.

Esatto, un grume di saliva adesso scendeva sulla guancia del soldato che, prontamente, ripulì quella sostanza liquida, impastata da una bocca troppa audace e sfrontata.

Puttana”, grugnì, afferrandole bruscamente i polsi e cacciando fuori un coltellino dalla tasca.

Il suddetto coltellino attraversò con una certa lestezza le vene del braccio di Sakura, che divennero più sporgenti: quand'era nervosa o tesa era sempre così. Tremò, come una foglia scossa dal vento.

L'uomo avrebbe potuto affondare la lama nel suo braccio da un momento all'altro, senza provare la minima pietà. Avrebbe intrapreso una lunga crociata dalla sua spalla fino al palmo della mano, tracciando una linea retta color carminio.

Ora non parli più?”, domandò.

Se lo trovò dietro, in un attimo. Quella lama infilzata nel suo collo premeva forte. Gli occhi carnefici la stavano guardando come una carne destinata al macello, con la sola differenza che lei sarebbe bruciata viva, al rogo. Una lacrima sul suo volto, tuttavia altalenante tra la ciglia e l'iride.

Aveva pochi minuti per riflettere: pochissimi. Il coltellino le sfiorava la pelle, cercava di affondare ma poi si fermava sempre; l'intento dell'Uchiha non era quello di ucciderla, solamente di torturarla. Era quasi tentata... avrebbe dovuto solo trovare il momento opportuno per poi prendersi la sua rivincita, portando il coltello dalla parte del manico.

Valutò le opzioni, concentrandosi. Avrebbe potuto ribaltare la situazione a suo favore, volendo. Fece mente locale: doveva valutare velocemente, con astuzia e furbizia. Strizzò gli occhi, si guardò circospetta attorno, e in un attimo attuò il suo piano. “Io non sottovaluterei le gitane...”, mormorò con particolare enfasi quell'ultima parola. L'Uchiha arcuò un sopracciglio, abbassando un po' la cresta, probabilmente; Sakura ghignò, prendendo un gran respiro e compiendo quel gesto folle ma estremo. Come si suol dire: a mali estremi... estremi rimedi.

Con tutta la forza che aveva in corpo, sfilò quel coltellino all'uomo, astuta come solo una volpe sa essere. Quello se ne accorse immediatamente, e cercò di riprendere ciò che gli apparteneva, ma lei si era preparata psicologicamente a quel momento: fece una delle sue piroette acrobatiche -quelle che il Colonnello Uchiha disprezzava, e che invece, adesso, si stavano dimostrando d'aiuto-, affondando con la gamba all'interno del petto dell'uomo. Probabilmente gli fece male, dal momento che, quello soffocò un gemito di dolore, tenendosi lo stomaco... la smorfia disgustata, la bocca contorta, il grume di saliva che aveva fatto uscire fuori dalla sua bocca, per non rischiare di soffocare. Sakura sorrise, per un decimillesimo di secondo; aveva avuto la sua piccola -grande- rivincita. Adesso però ne doveva subire le conseguenze... l'uomo s'avventò su di lei, con tutta la sua forza, tentava di strappargli quell'oggetto di mano, e non avrebbe esitato a romperle le ossa, se ne avesse avuto l'occasione. Dal canto suo la zingara si difendeva come poteva, grazie a quelle acrobazie che le erano tornate tanto utili, in un momento di panico come quello; proprio per questo motivo decise di non far affidamento sul terrore e sulla costante agitazione, bensì sulla sfrontatezza, sull'audacia e sul coraggio. Quello che tanti altri prima di lei non avevano avuto. Fu un duro gioco di sguardi, ingannevoli sorrisi, falsi convenevoli; e alla fine la rosa prevaricò, con una mossa assai pericolosa.

Cos... Cos'ho fatto?”, davanti a lei un macabro spettacolo. Non se ne era reso nemmeno conto... in quei pochi attimi sospesi tra vita e morte, tra razionalità e follia, aveva affondato il coltello nel petto dell'uomo... cosa diavolo le era saltato in testa?. Mise una mano davanti la bocca, macchiandosi del suo sangue.

Era un'assassina, era una dannatissima assassina, adesso. Colavano ancora stille di sangue dalle sue mani, piccole gocce che andavano ad urtare il terreno, leggere. Di fronte a lei, Sasuke Uchiha era morto... non se ne capacitava. Gli occhi erano chiusi - e a guardarli così non incutevano neppure tanto timore -, il corpo era caduto all'indietro, battendo sonoramente con la testa sul pavimento roccioso. Si guardò ancora una volta le mani, schifata. Si sarebbe dovuta levar via quel sangue, avrebbe dovuto cancellare quelle tracce dalle sue mani, avrebbe dovuto lavarsele, pulirsele, senza lasciare più alcun segno.

Ma sapeva già, in fondo, che quel sangue sarebbe rimasto indelebile,

non avrebbe potuto lavarlo via in alcun modo.

Incancellabile.

 

Cosa doveva fare, adesso? Uscire?

Non sarebbe passata di certo inosservata, non se era una zingara che girava a piede libero, senza nessun soldato che le prestava attenzione. Peraltro, ricordò le ultime parole dell'Uchiha ai soldati minori: a quanto pareva in quel posto non c'era nessuno. Avevano ubbidito agli ordini del maggiore; Sakura sospirò, avrebbe dovuto compiere il secondo gesto più macabro della sua vita. Soppresse il conato di vomito. Lo doveva fare per salvarsi la pelle; Ino l'avrebbe capita. Pensò alla bionda amica, il suo sorriso raggiante ridotto in cenere; serrò un pugno, nervosa. Non era il momento di rivangare i brutti ricordi di qualche ora prima, non era nemmeno il momento per soccombere alle emozioni.

Si avvicinò al corpo dell'uomo, senza più alcun timore. Estrasse il coltello che gli aveva premuto sullo stomaco, e non si era fermata lì. Aveva infilzato quella lama sì, e, per un solo e miserabile momento, ci aveva giocato, dando vita a quella bramosia di vendetta, che credeva di tener nascosta in cuore. Con un grande sforzo, estrasse la lama metallica, respirando a pieni polmoni l'odore fresco del sangue, unito a quella muffa che vigeva nella prigione. Un odore acre, malevolo, assolutamente irrespirabile... ciononostante fece uno sforzo, cacciando fuori il coltellino svizzero con cui l'Uchiha tanto la minacciava.

E così, alla fine, è stato lui ad ingannare te.

Pensò, mentre compiva un altro sforzo per sfilare il mantello dell'uomo. Quel mantello di velluto, morbido e soffice... un po' intimidatorio, un po' affascinante; quel panno che le aveva sfiorato più volte l'epidermide, talvolta con un cenno quasi insensibile, talvolta con un tocco profano, rude. L'aveva avvolta in quell'indumento, forse con poca galanteria, forse violentemente, ma era stato l'unico tocco che le aveva fatto rimbalzare per un attimo il cuore; perfino sotto quella dura scorza di crudeltà, aveva intravisto un barlume di malinconia, una velata nostalgia e un’amara tristezza. Alla fine era giunta ad una conclusione: l'Uchiha aveva sofferto, duramente. Sakura s'infilò il cappuccio, coprendo i capelli che, seppur di un colore opaco, erano sempre visibili alla luce del sole.

Da quanto tempo non la vedeva? Le mancava la luce... le mancava poter vedere un raggio vagabondare sulla sua pelle, senza meta.

Afferrò il coltellino, lo arrotolò tra le vesti, coprendolo con quante più stoffe fosse necessario. Con le mani che le formicolavano ancora si allacciò il mantello, nascondendosi all'interno di quel travestimento. L'ultima cosa che vide fu quel suo corpo, immobile, statuario. Perfino con quell'espressione cadaverica in volto, conservava il suo ghigno di circostanza, beffardo.

E una piccola, minuscola, sensibile lacrima le rigò la guancia. “Abbiamo pareggiato i conti, Uchiha”.

E si defilò, nascondendo un ghigno sardonico tra le labbra, scomparendo da quella sudicia stanza, impregnata di un odore ancora lugubre.

Il giorno dopo avrebbero trovato uno straccio, di un'anonima stoffa color salmone, accanto al corpo del Colonnello Uchiha, assassinato, per motivi che erano ignoti; né,, tanto meno, si conosceva l'assassino.

Quella stoffa...

Nessuno ne capì mai il significato.

 

***********


Dico subito che questo è stato in assoluto il capitolo più difficile da trattare... infatti rileggendolo devo tirare ancora un sospiro di sollievo,
giuro °_°
Sarà che in questa storia mi sono immedesimata troppo, chissà °°.
Vi ringrazio infinitamente, come sempre *_*. Ahimè stavolta non posso ringraziarvi, vi basti sapere
che sto facendo Storia dell'Arte, e sono sommersa dai compiti.
Grazie a tutti,
Ki-chan =).




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Capitolo 5
*** Epilogo (~ Cuore di Zingara) ***


Epilogo



~ Cuore di Zingara

 




Sakura canticchiava una canzone, osservando un'alba appena sorta... uno spettacolo a dir poco stupendo. Trovava affascinante studiare le sfumature del sole, dalla più scura alla più chiara, in una scala di colori, uno dopo l'altro; quel momento magico che preannunciava la nascita di una nuova giornata, la sicurezza che era ancora nel mondo.

Ora Sakura era lontana, distante dal luogo dove originariamente era nata e vissuta. Aveva bisogno d'aria, di cambiamento, di sano ossigeno da respirare. Proprio per questo inspirò ed espirò a pieni polmoni, sentendo quell'aria un po' frizzante tipica dei paesi nordici.



Ogni tanto il vento le parlava...

Sussurrava qualcosa: un flebile suono, armonico.

Cosa diceva?

Beh, non l'aveva mai capito.

Sembrava una litania che si ripeteva senza fine, una strofa dopo l'altra... forse solo la sua sciocca immaginazione, chissà.


Non avrebbe più riavuto indietro ciò che le era stato rubato. Poteva cancellare i baci dolenti, le lacrime amare, i momenti di terrore.



Il vento sibilava qualcosa, ancora.




Cercava di afferrare il senso di quelle parole, ma le sfuggiva dalle mani. Poi le parve di sentire una voce familiare, in lontananza; un brivido corse lungo la sua colonna vertebrale. Ora, anche ora che era morto, la tormentava? Giurò di aver appena udito la voce quasi ultraterrena dell'Uchiha. Poteva essere ancora illusione? Il sorriso sfumò sulle sue labbra, mentre un'espressione piuttosto scettica le copriva il volto, sostituendosi a quella sensazione di beatitudine che aveva provato prima.

Si alzò in piedi, cercando di tenersi in equilibrio sul rettangolo in cemento, lungo e stretto. Certo, era un po' scomodo, ma era la visuale più bella di tutte, quella... ecco perché, ormai da anni, ogni mattina si alzava poco prima dell'alba per osservare quel pittoresco quadro di luci e colori che tingevano il cielo.

Uchiha”, le parve di vederlo, doveva essere illusione. Sì, non poteva vedere un defunto, che oltretutto aveva ucciso con le sue stesse mani; aveva sentito il suo battito ormai assente, il suo respiro inesistente, il suo corpo fermo, immobile. Gli rivolse un'occhiata algida, lasciandolo parlare.

Non abbiamo ancora pareggiato i conti”.

Cosa intendeva dire? Sakura arcuò un sopracciglio; poi avvertì qualcosa sgretolarsi sotto i suoi piedi ed ebbe un brutto presentimento.

Si voltò dall'altra parte del muretto, ove c'era un grande fiume. Trasalì, decidendo di scendere... ma qualcosa la frenò. Era il braccio di Sasuke, la sua espressione dura, lo sguardo ostile.

Cosa...”, non finì la frase.

Te l'ho detto, gitana... non abbiamo ancora pareggiato i conti”, e sorrise sghembo, spingendola qualche centimetro più in là. Quella situazione era decisamente surreale, motivo per cui, in un primo momento Sakura, non parve credere a quello spettro.

Cosa stai facendo?”, era al limite del muretto, sarebbe bastata un'altra spinta e sarebbe caduta giù, in un baratro.

E chi lo avrebbe saputo? Nessuno.

Quella era una delle zone più deserte, in assoluto. Respirò a malapena, cercando di spostarsi, di sfuggire dalla presa dell'Uchiha, ma lui sembrava esercitare un potere troppo potente su di lei. Talmente forte che poteva solo soccombere.

Va' all'Inferno!”, gli gridò, con le lacrime agli occhi.

Volentieri”, disse lui, per niente toccato. “... ma non sarò il solo”, e con una leggera spinta Sakura fece un capitombolo, urtando le rocce aguzze che incontrava lungo la discesa... e alla fine cadde nel fiume, ma ormai aveva perso conoscenza.

Ormai aveva perso la vita.


Sasuke la osservava dall'alto. Quella figura galleggiante, sudicia, si muoveva nell'acqua, che la stava trasportando sempre più in là... e una grande chiazza rossa si stava espandendo sempre di più. Probabilmente la punta di una roccia era andata a urtare la sua schiena, poi, con maggior potenza, si era spinta nella debole carne della zingara, aprendole uno squarcio enorme.

 

Ecco, ora abbiamo pareggiato i conti”.

Si voltò, camminò a passi lenti e cadenzati, poi la sua figura si smaterializzò.


 

 

When our actions do not,

Our fears do make us traitors

 

-Quando non sono le nostre azioni, sono le nostre paure

a farci apparire traditori- (**)

 







Fine.















(*)-(**): Macbeth



Finita.

Posso dire, senza alcun dubbio, che questa è la storia in cui ho messo più impegno <3. Non mi sto chiedendo perché nessuno abbia commentato lo scorso capitolo, non ho nemmeno intenzione di supplicare un commento XD.

Mi piace questa fan fiction, l'ho postata e ne sono felice... il resto ha poca importanza <3. Grazie mille delle letture. Grazie a chi mi ha spronato ad andare avanti nei momenti d'abbattimento, a chi mi ha detto che ne valeva la pena, chi ha apprezzato persino il mio modo di disegnare °°. Per questo e per altri motivi...

Grazie Efp <3.



Vostra Kiki.

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