A Merry Albelli Christmas

di crazyfred
(/viewuser.php?uid=82886)

Disclaimer: Questo testo proprietà del suo autore e degli aventi diritto. La stampa o il salvataggio del testo dà diritto ad un usufrutto personale a scopo di lettura ed esclude ogni forma di sfruttamento commerciale o altri usi improri.


Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Capitolo 1 ***
Capitolo 2: *** Capitolo 2 ***
Capitolo 3: *** Capitolo 3 ***
Capitolo 4: *** Capitolo 4 ***



Capitolo 1
*** Capitolo 1 ***




 


 
A Merry Albelli Christmas - Capitolo 1

 

“Non ho capito ancora perché i tuoi suoceri non vengono a cena stasera” domandò Matilde mentre, con i guanti bianchi lucidava la cristalleria prima di metterla sul tavolo della sala da pranzo. Maya, forse per la prima volta in vita sua, era ben contenta di aiutarla: ora che c’era Alex, finalmente si era materializzato un posto per lei dal lato adulti della tavolata, lontana da Leone e Filippo, i nipoti di Ruggero. “Perché a differenza vostra sono delle persone estremamente abitudinarie e tradizionaliste” spiegò a sua madre “per loro la vigilia e il Natale si passano in famiglia” “Ma qui siamo in famiglia…”
Quello non poteva negarlo nessuno: Ruggero e Matilde erano in grado di far sedere alla stessa tavola Carlo d’Inghilterra e lo spazzino di Campo de Fiori e far sentire entrambi a loro agio, ma non era quello il punto; per Cesare e Maria il Natale aveva delle tradizioni inamovibili … dai soldi nascosti sotto al piatto dei nipoti – i quali avrebbero dovuto fingersi puntualmente sorpresi – alla tombolata prima della messa di mezzanotte e naturalmente le ventimila portate da consumare a ciclo continuo dalla vigilia fino a Santo Stefano.
“Maria non ha uno chef personale come te …” “Cos’hai da ridire sulla mia cucina?” Ruggero sbucò fuori dal nulla, complice l’oscurità del corridoio che portava in cucina, con il grembiule a coprire un gilet di lana dal taglio tirolese che, a cena, avrebbe abbinato alla tradizionale giacca di loden verde che forse aveva anche più anni di lui. A Maya piaceva pensare che fosse uno di quei cimeli di famiglia che amano tramandarsi nelle casate nobili, come le decorazioni natalizie o i piatti e l’argenteria. La sua teoria era stata corroborata dai figli di Ruggero, i quali avevano confermato che, da quando ne avevano memoria, quella era la “divisa” paterna durante le feste di Natale. Erano quelle piccole cose che rendevano le lunghe giornate delle feste più tollerabili quando era la pecora nera di famiglia, ora invece erano il pepe di un periodo stressante, ma tutto sommato piacevole. “I miei gamberoni al cognac sono leggendari” continuò l’uomo, impettito, tirando un decanter fuori dalla vetrinetta.
“E non solo quelli” lo adulò Maya, ma era sincera: il cenone della vigilia era l’highlight culinario delle feste. Quando si era posto il problema di overbooking per le feste non c’aveva stato il minimo dubbio: il 24 a Grottaferrata e per il resto poteva anche decidere tutto Alex.
Ora che ci pensava, era stato stranissimo quando una sera, con nonchalance, mentre stavano sul divano dopo cena a rilassarsi dopo il lavoro, Alex le aveva chiesto cosa avrebbero fatto a Natale. Fino a quel momento, non ci aveva minimamente pensato: avevano fatto l’albero insieme, anche Giulia li aveva aiutati e per l’occasione aveva preparato anche gli omini di pan di zenzero e il sidro di mela caldo che forse era un po’ eccessivo per il Natale a Roma ma aveva profumato tutta casa di Natale …cannella, chiodi di garofano, arance … era quasi troppo perfetto; quando però aveva realizzato che essere insieme significava anche programmare quei giorni di festa qualcosa l’aveva colpita dentro, come una freccia che fa centro in pieno petto. Non che non si vedesse come una coppia ormai stabile con Alex, ma era un passo avanti enorme per la loro relazione, non paragonabile a niente che avevano vissuto fino a quel momento.
“Mi dispiace che non ci sarai domani, tutto qui” sospirò Matilde, mentre aspettava che la figlia le passasse i piatti da disporre sul tavolo. Non era una novità che qualcuno dei figli mancasse a Natale: Lavinia era un medico, Lorenzo per anni aveva vissuto all’estero; ma quell’anno si respirava un’aria diversa e tutti attorno a lei sembravano volerne godere appieno. “Mamma lo abbiamo già fatto questo discorso. Qui la vigilia e domani dai miei suoceri. Con i figli che stanno con la madre, Alex ha diritto a passare il Natale almeno con i suoi. E poi ci rifacciamo a Capodanno, l'ho promesso…”

Preparato il tavolo, la giovane se ne andò a sedere in salotto su una delle poltrone bergère in velluto rosso, davanti al camino acceso. Lì, su un piccolo tavolino, l’aspettava una tisana zenzero e limone che quel cuoricino di Ruggero aveva lasciato per qualche minuto in infusione; accanto alla tisana, aveva sistemato anche un vassoietto con i dolcetti tipici che un collega viticoltore gli aveva recapitato - e con quello si era andato a far benedire ogni proposito di mantenersi leggera per la cena. Era stata una lunga giornata: lei e Alex erano andati al lavoro con i regali e un trolley con il necessario per cambiarsi già nel bagagliaio; dall’ufficio, a fine giornata, erano poi andati direttamente a Grottaferrata in gran fretta per far contenta sua signoria Matilde Gaetani che, a differenza di Maria Bonelli, non aveva poi così grande bisogno di una mano per i preparativi, ma era pur sempre sua madre e le voleva bene anche quando andava sull’orlo di una crisi di nervi senza apparente motivo. 
Sorseggiando l’infuso caldo Maya ripensò a quello che le aveva detto Olivia quando, invitandola a passare l’ultimo dell’anno con lei a Cortina – dopo che l’anno prima le aveva dato buca – Maya aveva declinato ancora una volta l’invito spiegandole che avrebbe passato la notte di San Silvestro in famiglia. “Le feste in famiglia sono l’anticamera del matrimonio, Maya, occhio a pacchettini piccoli sotto l’albero quest’anno!”
Ovviamente l’amica scherzava, tra di loro il sano sfottò era all’ordine del giorno, ma era vero che le cose stavano diventando sempre più “strette” tra le loro famiglie. Non aveva mai la sensazione di correre o bruciare le tappe, anche quelle feste si stavano svolgendo nell’ordine naturale delle cose, ma avrebbe voluto che il tram tram della vita quotidiana non le lasciasse così poco tempo per fermarsi ad apprezzare quello che stava accadendo come avrebbe meritato: quando si fermava, come in quel momento, si sentiva travolta da una valanga di emozioni positive, forti e potenti che era difficile riuscirle incamerarle tutte insieme.

“Ma dov’è finito Alex?” le domandò il patrigno, entrando in salotto senza che lei se ne accorgesse e facendola sussultare “l’ho mandato a prendere del vino in cantina, mica a fare la vendemmia” “È andato giù con tuo figlio, si saranno persi in chiacchiere…”
Il figlio in questione, Roberto, era il primogenito di Ruggero ed era tornato per feste dalla Svezia dove viveva con la sua famiglia: era un ingegnere e tutto quello che aveva imparato dal padre sulla terra era rimasto per lo più una passione; Ruggero continuava a sperare che un giorno potesse continuare la sua attività, oltre che la casata, ma sarebbe stato più saggio riporre speranze su Angelica, sua figlia, agronoma di professione, che però aveva deciso di crearsi una strada altrove, lontano dal padre. Un giorno, forse, sarebbe tornata ad occuparsi di casa sua: per ora stava bene dove stava, anche lei all’estero, in Germania.
“Siamo qui, papà, tranquillo!” esclamò Roberto, esibendo con aria trionfale assieme ad Alessandro le bottiglie che avevano selezionato. I due uomini si erano immediatamente presi, forse anche grazie agli interessi comunque e all'età simile. “Siete andati in cantina, mica a fare la spedizione dei mille!” li prese in giro Matilde, spuntando dal corridoio “e che avete preso? Un nero? Mangiamo pesce questa sera” “Questo non è un nero … è un pinot” la ammonì il genero “andrà benissimo con la bouillabaisse di Ruggero” “Finalmente qualcuno che parla la mia stessa lingua in questa casa”
Matilde scosse la testa. “Ma non potevi cucinare una cosa più semplice?” “E senza la mia zuppa tu quando la usavi la zuppiera di mia nonna che tanto ti fa impazzire?” E anche quella era una delle tradizioni di Natale che potevano essere spuntate dall’elenco di Maya, perché non c’era un Natale dalla principessa Torlonia che non prevedesse una frecciatina tra Ruggero e Matilde: sua madre non amava cucinare, da piccoli in casa c'era la governante che faceva anche da mangiare e le evitava di ‘perdere tempo’ in cucina e ora con Ruggero aveva fatto proprio bingo. Lei apprezzava, lui adorava che lei apprezzasse, ma si punzecchiavano comunque, ogni volta.
“Ma mia sorella non è ancora arrivata?” domandò Roberto. “No…Lollo ha chiamato un quarto d’ora fa e ha detto che il treno era appena arrivato” spiegò Matilde “il tempo di passare a prendere anche Lavinia e Philippos e saranno qui in un’oretta” “Ah, già dimenticavo che non ho una sorella normale. Da non credere che preferisca fare 12 ore di treno piuttosto che prendere l’aereo” “Ce n’è una in tutte le famiglie…noi abbiamo Lavinia: non ha l’auto per non inquinare, ma scrocca sempre passaggi a destra e sinistra” “Maya! Non essere severa con tua sorella, con quello che le passa lo Stato in ospedale…” “Ma’ è un medico, non vive sotto i ponti e lo sai pure tu, non incominciare a difenderla!” “Ragazze! È Natale!!!” le fermò il padrone di casa, prima che iniziasse il botta e risposta tra mamma e figlia.
“Meno male che era la mia famiglia quella casinista” sussurrò Alex all’orecchio di Maya, chinandosi su di lei per posarle un bacio sul collo, approfittando della privacy che lo schienale alto della poltrona offriva e poi, con un gesto fluido, sgraffignare un dolcetto da piccolo vassoio. “Non ho mai detto che la mia fosse fatta di statue di cera…è proprio come la tua, solo con una casa più grande a disposizione e le porcellane dell’800. Comunque…non pensare a rubarmi baci e dolcetti” concluse, ridacchiando al compagno che sgranocchiava un ricciarello con aria furba e compiaciuta “alzati da qui che è ora di andarsi a preparare!”

“Allora Lavinia, prima mi stavi dicendo che state cercando casa…” a tavola, Angelica tirò fuori uno degli argomenti principali di conversazione degli ultimi tempi tra gli Alberici: Lavinia sarebbe andata a convivere con Philippos. Tra loro due e Maya che aveva fatto entrare Alex in famiglia con tutti gli onori, Matilde era irrefrenabile: il nomignolo di Mrs Bennet era tornato di gran moda, a sua insaputa, tra i suoi figli. Alla sola parola casa, infatti, Matilde si era quasi messa sull’attenti, con le orecchie come due antenne, pronta ad elargire commenti e pareri. “Ah sì, il cohousing era una buona soluzione … checché ne dica mia sorella” spiegò, puntigliosa, notando che Maya aveva alzato gli occhi al cielo, in disappunto “ma ora con un compagno è tutto diverso, abbiamo bisogno della nostra privacy. Solo che Roma è una giungla a livello immobiliare, non ne usciamo. E Lorenzo ci ha detto di non comprare” “Non è vero!” si difese il fratello “Vi ho semplicemente detto di preparavi psicologicamente all’idea di pagare un mutuo da qui a trent’anni se vi va bene” “Li hai uccisi insomma…” commentò Alessandro, ridendo strategicamente dietro il tovagliolo. 
Philippos spiegò diplomaticamente che era importante per loro rimanere vicino al lavoro, continuando a spostarsi con i mezzi pubblici il più possibile.
“Se solo le mie figlie mi ascoltassero una volta che fosse una…” sospirò Matilde, passando un pezzettino di pane alla sua cagnolina Bianca che lo reclamava da sotto il tavolo “avevano trovato un appartamentino a Balduina che era un bijou” “A parte che lo avevi trovato tu, non noi… e poi mamma ok che siamo medici, ma toglierci un rene per pagare l’affitto mi sembra un tantino estremo” ironizzò la figlia “non abbiamo bisogno di certo bisogno della piscina condominiale”  Angelica comprese di aver percorso un sentiero alquanto minato e si sentì in dovere di virare l’attenzione via da Lavinia. “E invece voi, Maya? Non mi dite che siete una di quelle coppie LAT che vanno tanto di moda oggi…” “Una coppia che?” domandò Ruggero. “Living apart together” spiegò Alex “tempo fa ne abbiamo parlato anche su Roma Glam ... comunque decisamente no, non siamo una di quelle coppie" No, non era per quello che il grande passo della convivenza stava ancora aspettando. “Diciamo che abbiamo bisogno di un collaudo un po’ più lungo del normale nella nostra situazione” tagliò corto Maya. 
La loro situazione era molto semplice in verità e Maya non ne faceva mistero con nessuno: vivevano la loro quotidianità come una qualsiasi coppia di fatto, tra Testaccio e Borgo Pio, come capitava; con il divorzio di Alessandro ancora in corso e la sentenza che tardava ad arrivare, nessuno dei due aveva sentito la necessità di andare oltre, inoltre vivere insieme significava ospitare i ragazzi ogni due settimane ed era una cosa che non si poteva imporre loro dall’oggi al domani. C’erano tante cose da considerare, progettare e cambiare prima di poter vivere sotto lo stesso tetto in pianta stabile.

Dopo cena, la famiglia si era spostata in salotto per giocare a carte o a biliardo e parlare accompagnandosi con un liquore e i sigari per gli uomini. I bambini invece erano stati spediti come sempre nella vecchia stanza dei giochi: anche se nell’arredamento era rimasta praticamente ferma all’infanzia dei loro bisnonni, Thyra, la moglie di Roberto, con la sua incredibile pazienza da maestra d'asilo, riusciva ogni anno ad inventare dei giochi a tema per intrattenerli finché non fosse ora di andare a dormire: a vedere i preparativi per l’arrivo di Babbo Natale, con il vassoio di biscotti, il latte e le carote per le renne, Alessandro non poté fare a meno di pensare alla sua bambina e a quanto le sarebbe piaciuto preparare il cibo speciale per gli elfi – fiocchi d’avena e polvere magica …ovviamente. 
Così aveva approfittato di quel momento di relax per una telefonata ai figli, che erano andati con la madre e i nonni in montagna.
“Giulia che hai?” indagò Alex. “Niente…” mugugnò la piccola. “Come niente? Si vedono gli occhietti lucidi anche dal telefono!” confermò Maya, anche lei apprensiva. “Sono solo stanca” “Allora vai a dormire” la spronò il padre “prima che Babbo Natale passi, non devi assolutamente vederlo altrimenti non lascia il regalo per te, hai capito?” 
La bambina, strofinando gli occhi già arrossati, annuì e salutò il padre e la compagna mandando loro un bacio con la mano e lasciando il telefono nelle mani del fratello maggiore. “Che ha fatto tua sorella?” domandò Alex a Edoardo, mentre il ragazzo si allontanava da Giulia e dal caos della sala da pranzo della casa di Roccaraso dove la famiglia di Claudia si riuniva ogni anno per Natale. “Ma niente…era arrivata ad un numero dalla tombola ma poi ha vinto Asia...” “Ah ci sono anche i cugini di mamma quest’anno? Beh almeno non siete soli…” “Almeno non c’è il nonno di mamma” “Edooo!” lo rimproverò Maya, senza però nascondere l’occhiolino e un sorriso complice “almeno evita di farti sentire...” “Maya ma pure tu ti ci metti?!” la riprese il compagno, al quale rispose con una linguaccia impertinente, mentre le risate del ragazzino riecheggiavano dall’apparecchio.
Il nonno di mamma, come lo aveva ribattezzato Edoardo (quando era di buona vena, altrimenti era molto brevemente quel cesso), era Bruno, il nuovo compagno di Claudia. A differenza di Alessandro e Maya, Bruno e Claudia avevano deciso di non passare il Natale insieme, ma sarebbero partiti per festeggiare il Capodanno non si era ben capito dove appena i ragazzi fossero tornati dal padre. La versione ufficiale era che anche Bruno doveva passare il Natale con i suoi figli, ma la verità Alessandro la sapeva bene ed era venuta neanche a dirlo da quella bocca della verità in miniatura che era la sua bambina: Bruno mal sopportava Edoardo e Giulia. Lui, ormai in procinto di andare in pensione, non era più abituato ad avere in giro ragazzini nel pieno delle turbe ormonali adolescenziali o bambine scatenate - Maya si era quasi strozzata con lo spritz che stava bevendo quando aveva partecipato a quell’assurdo aperitivo di presentazione per cui Claudia aveva insistito tanto e il tizio le aveva detto di avere una figlia della sua età: non si poteva pretendere che uno che era più vicino a diventare nonno che a fare il padre avesse entusiasmo da vendere nei confronti di Edoardo e Giulia che erano due ossi duri anche per lei.
I tre chiusero la telefonata mandando gli auguri anche a Claudia che era apparsa brevemente, con Giulia tra le braccia che era finalmente crollata, per un saluto di circostanza.
“Ci pensi che tra poco sarà il nostro primo Natale assieme?” domandò Alex, accarezzando una gamba di Maya, velata da un collant nero. Sua sorella l’aveva presa in giro per quella minigonna in tartan rossa per tutta la sera, ricordandole della solenne promessa fatta qualche anno prima di non indossare mai il rosso a Natale e Capodanno, che faceva tanto mainstream. Non poté fare altro che ridere con lei: la Maya di Viale Parioli ne diceva di cazzate. “Tecnicamente è già il nostro primo Nata-” “Noooo!”
Dal divano, dove si erano appartati, Maya ed Alex si alzarono di scatto verso il tavolo verde da cui provenivano gli schiamazzi e dove tutta la comitiva era riunita. Lorenzo rideva come un matto, Ruggero batteva le mani e Lavinia, con le mani sulla bocca, sembrava più che altro sotto choc. “Che succede?” domandò la ragazza, avvicinandosi, perplessa. “La cosa peggiore possibile” decretò Lavinia, telegrafica. “No, cioè Maya, non puoi capire, vieni a vedere” la incitò suo fratello.
Al tavolo erano seduti Matilde, che aveva di fronte a sé Laura, la moglie di Roberto, e Philippos che era evidentemente in squadra con Roberto. Maya non aveva mai imparato a giocare a brigde – in realtà sì, ma per sua madre la pensava diversamente – ma sapeva riconoscere quello che vedeva sul taccuino dei punteggi: la coppia di Roberto e Philippos aveva appena battuto quella di Matilde e Thyra. Nella storia dei Natali alla villa non era mai praticamente successo prima, non a bridge quantomeno: si ricordava una Scala40 vinta da Lavinia nel 2016 con Matilde che aveva partecipato comunque al cenone della vigilia nonostante la febbre a 39.
Era devastata, e i suoi figli lo sapevano bene, lo vedevano nei suoi occhi, anche se le circostanze e la sua buona educazione le imponevano contegno.
“E meno male che non sapevi giocare!” commentò, alla fine, con compostezza molto british. “Fortuna del principiante, Matilde" si giustificò Philippos “e poi non è troppo diverso da un gioco di carte greco" Lavinia gli tirò allora un piccolo colpo sulle spalle, una specie di TACI espresso a gesti in un momento in cui era meglio non dire altro. “Si vede che Alessandro allora è fortunato in amore…” soggiunse la donna, stizzita e chiaramente sorvolando sull’offesa che aveva arrecato al suo gioco di carte preferito “non si è mai permesso di vincere contro di me"
Alessandro avrebbe voluto contraddirla, ricordandole che avevano giocato insieme un paio di volte perché praticamente costretto. Matilde non aveva nulla contro il compagno della figlia, era un bravo ragazzo con una solida carriera e di sani principi, e non era assolutamente una questione di mariti e buoi dei paesi tuoi, ma semplicemente spariva quando Alessandro era nei paraggi, era più forte di lei. “Non mi permetterei mai” rispose l’uomo, nonostante Maya gli chiese, sottovoce, di non incoraggiarla. “Ecco, bravo”
Il povero Philippos, dopo quella bravata, passò il resto del tempo in silenzio, contrito; Alessandro e Lorenzo provarono a tirargli su il morale, offrendo sigari e brandy, ma ormai il danno era fatto e soprattutto era dispiaciuto che Matilde si fosse giocata la vigilia…e forse pure il Natale.
Per smorzare i toni e per frenare le crisi al limite della ludopatia della madre, Lavinia tornò a parlare dei suoi progetti di coppia, nella speranza di distrarla e farle risalire il morale. “Nella nostra situazione ci vorrà un sacco per mettere d’accordo tutti” spiegò “i suoi nemmeno li conosco, non sono conservatori ma a quanto pare ci tengono che il figlio alla fine si sposi con rito greco ortodosso…insomma penso che dovremo armarci di pazienza per fargli capire che potrebbe non essere possibile” “Di dove hai detto che è Phil?” “Patmos” “Oh beh, un matrimonio su un’isola greca io però non lo scarterei…” le confessò Maya. “E infatti io mi chiamo Lavinia, non Maya” la sorella minore le fece una smorfia insolente ma divertita “sono innamorata, ma la mia ragione funziona ancora benissimo. Una cosa alla volta.” “Mi sarei stupita del contrario! Tu sei quella che Maya pensaci, Maya stai attenta, Maya non ti pare di star correndo troppo…ah, l’amore!” “Eddai Maya ora non fare la stronza!” “Scusate, ma è più forte di me! Non riesco ad essere seria e sdolcinata a lungo…mi sale la glicemia” “Tu hai qualche rotella fuori posto, l’ho sempre pensato…”
A fine serata, nonostante l’insistenza di Matilde perché restassero a dormire alla villa, Alex e Maya tornarono a Roma. C’era un argomento che l’uomo avrebbe voluto affrontare una volta a casa, ma la sua lentezza nel trovare le parole giuste per affrontarlo gli fecero perdere il momento opportuno e Maya aveva finito presto per addormentarsi; non c’era però da biasimarla, erano quasi le due di notte e avevano avuto entrambi una giornata lunga e movimentata. La verità era che lui era un inguaribile paranoico del kaiser: lo era per natura, ma dopo l’incidente di percorso che c’era stato tra loro due era peggiorato: ora stava perennemente con le antenne ben sintonizzate per carpire anche la minima insofferenza di Maya. Le pratiche del divorzio procedevano purtroppo a rilento; le richieste della donna erano inconciliabili con quelle di Alessandro e non riuscivano a trovare un punto di incontro, a differenza di quanto era accaduto per la separazione: erano finiti in tribunale e questo aveva allungato i tempi a dismisura e aveva convolto anche i figli – esattamente ciò che Alessandro non avrebbe mai voluto che accadesse. Maya gli era sempre vicino, non aveva mai smesso di fargli sentire il suo supporto, persino quando era necessario che facesse un passo indietro. Forse – anzi quasi sicuramente – era solo la sua testa a farsi pippe mentali, forse erano solo i suoi sensi di colpa che gli restituivano una sensazione sbagliata, ma non sarebbe stato strano se Maya avesse avuto voglia di qualcosa in più che, al momento, lui non poteva darle; una notte, però, non cambiava la situazione e poi tutto era pronto.

Il mattino dopo, nella camera da letto ancora al buio, la sveglia risuonò da un cellulare. Alex sentì Maya scendere giù dal letto in men che non si dica, senza nemmeno dare a lui il tempo di capire dove fosse, che giorno e che ora fossero e forse persino chi fosse lui stesso. “Avevi dimenticato di toglierla?” borbottò, stiracchiandosi nel letto. “No, no…è ora, dormiglione! Buon Natale!” Di buona lena, Maya aprì le persiane delle finestre, lasciando entrare la luce bianca e opaca di un mattino di Natale fino a quel momento nebbioso e umido, in una parola orribile. “Ma…ma che ore sono?” “Le 9.30, abbiamo dormito pure troppo” gli disse, rimontando sul letto per stampargli un bacio su una guancia e, dispettosa come un elfo, togliergli le coperte di dosso. Tutto ciò che Alessandro poté fare a quel punto, mentre Maya usciva dalla stanza di ottimo umore a discapito dell’ora e della serata di baldoria fino a tardi, era alzarsi anche lui e raggiungerla nella zona giorno. Forse non tutti i mali venivano per nuocere, pensò, non appena le sue sinapsi si attivarono: era talmente spensierata che quello che non era riuscito a fare la sera prima sarebbe di sicuro andato a buon fine.
“Ti dispiacerebbe spiegarmi perché ci siamo alzati alle così presto?!” Il tono sarcastico della domanda, che a Maya non passò inosservato, lo salvò da morte certa: quello, e un aspetto ancora arruffato che lo rendeva tremendamente carino e coccoloso agli occhi della giovane. L’uomo si avvicinò all’isola della cucina, dove Maya era intenta tagliare delle fette di pandoro, mentre sul fornello più piccolo c’era un bricco con del latte e la moka era sul piano pronta perché Alex potesse prepararla come piaceva a lui; posò un bacio veloce sul collo della donna che sfiorata dalla barba appena accennata fu attraversata da un brivido piacevole lungo la schiena. “I miei ci aspettano per pranzo, mica per colazione!” “Per farmi dire da tua sorella che mi sono presentata solo per mangiare? Ma non se ne parla proprio…”
A Maya avrebbe fatto davvero piacere poter dire che i rapporti con Anna erano migliorati, ma non era così. Non la osteggiava, ma se poteva trovare un difetto in ogni cosa che faceva era al settimo cielo. “Ma non c’entri tu, Anna fa così con tutti” Alex ormai s’era rassegnato: sua sorella aveva un carattere di merda. “Sarà pure come dici tu ma voglio comunque andare a dare una mano, mi fa piacere” “Come vuoi, ma c’era bisogno di svegliarsi così presto…?” sbuffò Alex, preparando la moka. Aveva dovuto dire addio al bel programmino che si era prefissato per quella mattina: restare a letto fino a tardi senza figlie che ti buttano giù a suon di grida e salti. “Così possiamo fare colazione con calma e prepararci per bene. Il sonno lo recuperiamo domani, promesso” provò a convincerlo, sbattendo le ciglia con fare fintamente innocente e civettuolo al tempo stesso.
Ora o mai più Alex, dai cazzo! Non poteva più ritardare quel discorso che non aveva nemmeno iniziato la sera prima. “Siamo stati bene da tua madre, no?” esordì, cambiando argomento, mentre portava i caffè a tavola. “Molto! Anche i figli di Ruggero sono stati più affabili del solito” commentò la ragazza, distrattamente, presa più dalla marmellata che stava spalmando sul pandoro che dalla conversazione. “Sarà stata la vittoria di Philippos …” ridacchiò Alessandro, sagace “ha messo tutti di buon umore, eccetto lui e tua madre” “Soprattutto mia madre!” “Però è felice per lui e Lavinia, non vede l’ora di poter entrare in casa loro” Sei un cazzo di genio! Aggancio perfetto! “Mia sorella fidanzata e con una casa tutta sua…mi fa troppo strano” “Tecnicamente no…” “Tecnicamente un par di ciufoli…intanto vanno a convivere e poi per Capodanno va in Grecia a conoscere i suoceri. I presupposti ci sono tutti, anello e proposta sono dettagli, lascia fare…”
Eccallà… di nuovo quella pulce nell’orecchio di Alex, una sorta di allarme rosso senza senso. “Mi dispiace Maya” sussurrò, sistemandole una ciocca di capelli prima che finisse nella tazza di latte e caffè che si stava versando. “Ti dispiace? Cosa?” “Mi dispiace non poterti dare quello che ha tua sorella…” “Sarebbe a dire?” la ragazza si mise a sedere come faceva sempre quando c’era da fare un discorso importante, con una gamba sulla seduta della sedia, sotto al sedere, e la schiena drittissima, leggermente sporta sul tavolo, verso di lui. “Una relazione normale, la prospettiva di un famiglia…” “Lo stai facendo di nuovo” lo riprese. “Cosa?” “Stai facendo di nuovo frullare il cricetino nella ruota dentro quella testolina paranoica, riesco a vederlo” disse, picchiettando sulla fronte dell’uomo “era da un po’ che non succedeva” “È solo che … ci sono momenti in cui mi sembri strana” “Stammi a sentire Alessandro Bonelli. Io non sono mia sorella, non ho bisogno di fare tutto quello fa lei, o avere quello che ha lei. E se ti sono sembrata strana è solo perché stanno cambiando tante cose e a volte non ci sto dietro, tutto qui. It’s the end of an era …in un certo senso” “Ne sei proprio sicura?” domandò l’uomo dubbioso, aggrottando le sopracciglia. Lo sapeva che il matrimonio era una tappa importante per lei, un traguardo a cui aveva sempre aspirato. “No, ok… ma non nel modo in cui pensi tu. Se e quando succederà sarà un modo per suggellare qualcosa che abbiamo già. Tu sei già la mia famiglia” “Davvero?” “Ti direi parola di scout, ma quando ero bambina li detestavo…” sorrise, facendogli l’occhiolino maliziosa “E comunque non è vero quello che hai detto…che mi manca una relazione normale o la…la prospettiva di una famiglia” ribadì Maya, prendendo un grosso sorso dalla tazza di latte e caffè “quale coppia è normale? Mia sorella e il ragazzo? Ma li hai visti? E noi siamo già più famiglia di loro, non ci manca nulla”
Alex a quel punto si alzò e andò a prendere un pacchetto sotto l’albero, una piccola shopper nera e lucida con un semplice fiocco rosso, senza scritte o altri rimandi al contenuto o alla provenienza. Era lì da qualche giorno e non avendocelo messo lei, Maya capì subito che era regalo da parte di Alex per lei ma non fiatò né provò a sbirciare. In passato lo avrebbe fatto, ma non era più quel genere di persona. “Non avevi detto che era una tradizione di famiglia aprire i regali tutti insieme?” “Sì ma questo non può aspettare” le spiegò, sogghignando.
Olivia l’aveva avvertita: mai fidarsi dei pacchetti piccoli a Natale. Ora temeva un po’, sinceramente. Non lo sapeva nemmeno lei cosa temeva o perché.
Aprì il pacchettino con le mani che tremavano leggermente e nemmeno la confezione era d’aiuto: il fiocchetto infatti, era talmente stretto che non voleva saperne di sciogliersi, ma forse era solo lei che si era innervosita inutilmente e aveva finito per diventare un’incapace.
Dentro c’era una scatolina ancora più piccola, bianca, annodata da un altro fiocco rosso: se il suo contenuto era ancora incerto, con qualche possibilità che il suo fosse solo un abbaglio, c’erano pochissimi dubbi che provenisse da una gioielleria. E non da una gioielleria qualsiasi: la più antica di Roma, che fa mostra dei propri gioielli dal 1860, come recitano orgogliosamente le vetrine di via del Corso e il logo dorato sul fiocco della scatolina.
Avrebbe voluto chiedergli se avesse idea di quanto costasse un gioiello lì, ma era una domanda retorica visto che un acquisto era proprio davanti ai suoi occhi e lo avrebbe indossato a breve. La verità era che, per il loro stile di vita, a volte faceva fatica a ricordare che Alessandro stava più che bene economicamente. Ironia della sorte era il buon partito che aveva sempre cercato: semplicemente, era arrivato quando aveva smesso di far caso a quel genere di cose.
Tirò fuori l’astuccio di velluto scuro quadrato, adatto ad un piccolo gioiello. Olivia, tacci tua, perché mi hai dovuto dire quella cosa sui gioielli…! Non riusciva ad aprirlo, era come paralizzata. Non per l’oggetto in sé – non si rifiuta mai un gioiello – ma per quello che poteva significare. Alex non era tipo da imboscate … hai già dimenticato del campeggio? Non inventare scuse, Maya … non su cose così importanti almeno.
“Apri!” la incalzò, col fiato sospeso. La situazione era quella che era, di certo non poteva essere così avventato da … no, a quanto pareva lo era eccome. Un anello. Una fedina per la precisione. Una fedina a tutto giro di brillanti bianchissimi. Maya era senza parole, il cuore in gola e una mano ancora tremante sulla bocca che cercava di nascondere la cascata di emozioni che la stava inondando in quel momento: stupore, emozione, frenesia, panico, disappunto. “Perché?” forse non era la domanda più giusta ma non era capace di dire altro. Ad Alex quella sola breve parola fu sufficiente per riconsiderare tutte le sue scelte di vita. Non poteva essere andata così male?! Andava tutto bene fino a 5 minuti prima…
“Per quello che hai detto poco fa” esordì, pesando ogni singola parola e cercando di far valere tutte le sue capacità di convincimento affinate in anni e anni di lavoro nell’imprenditoria. Ma questo era un campo dove era sempre stato una frana, non era la stessa cosa. “Siamo…quello che siamo…una coppia, una famiglia, e vorrei che lo sapessero tutti. Non ti posso dare di più per ora, ma ti posso dare me stesso e la promessa che, per me, sei qui sempre” concluse, prendendo la mano di Maya e portandola sul suo cuore. “Non c’entra niente mia sorella, vero?” domandò, riprendendo il fiato che le era mancato per qualche secondo. Anche sua sorella, sotto l’albero, quella mattina avrebbe trovato un anello. Non come quello, molto più modesto, ma non valeva un centesimo in meno in quanto a valore affettivo. Quando Phil le aveva chiesto di accompagnarla alla ricerca dell’anello perfetto, Maya aveva trovato in Alex la persona perfetta con cui condividere il segreto senza scoppiare. “Perché altrimenti è una cosa che dobbiamo decidere insieme, Alex. Non così, in 5 minuti davanti a un caffè”
“Ma va’…ti sembro uno che copia le idee altrui?!” sogghignò ammiccando, ma presto si fece di nuovo serio “non sono qui a chiederti nulla che non possa darti in questo momento. Ma quello che sono, con tutti i miei casini e i miei difetti … sono tuo. E se mi vorrai, penso sia arrivato il momento di lasciare il residence.” Ne avevano parlato diverse volte dalla fine dell’estate, quando erano tornati insieme, e la soluzione che avevano trovato era stata la migliore possibile. Lo sapevano entrambi che prima o poi avrebbero rimosso anche quel paletto, ma la decisione era solo di Alex. “È da un po’ che ci penso, non c’entra tua sorella…il modo in cui Edoardo si fida di te, finalmente. Giulia che te lo dico a fare”
“Quindi cosa diremo a chi vedrà questo anello?” Il pensiero di Maya corse inevitabilmente al pranzo che l’aspettava di lì a qualche ora. “Diremo che mi sto riservando il diritto di prelazione” chiosò, sornione “sei delusa?” “Delusa? E perché? Fatti meno paranoie Alessandro Bonelli, nemmeno ti sei reso conto che mi stai regalando il Natale perfetto” “Per l’altra questione?” “Venire a vivere qui…definitivamente?!” già, presa in contropiede da tutta quella situazione e soprattutto dalla dichiarazione quasi non aveva fatto caso a quello che Alex le aveva chiesto. Non faceva granché differenza per la loro vita quotidiana, praticamente erano sempre insieme ad eccezione di un weekend ogni due settimane, eppure per la loro relazione significava il mondo. Sia Giulia che Edoardo erano stati a casa sua, a mangiare una pizza, a passare un pomeriggio insieme, ma alla fine arrivava sempre l’ora dei saluti. Annunciare la convivenza ufficialmente significava condividere la sua intimità con i figli del suo compagno, e tutte quelle cose che, come con tutti gli ospiti, si nascondono dentro gli armadi o dietro porte strategicamente chiuse. Significava ben di più di quanto all’apparenza potesse sembrare e più ci pensava, più iniziava a sembrare una cosa enorme. Sarebbe diventata qualcosa di più della ragazza di papà.
“Non vedo l’ora” “Davvero? Sei contenta?” “Cazzo sì!” esclamò, scoppiando in lacrime e risate in un misto di gioia e tensione, sporgendosi per stampare un bacio sulle labbra di Alex che rideva, ma era altrettanto frastornato. “Ora però fammi vedere come ti sta”
Maya fece per tirare fuori l’anello dalla custodia, ma poi ci pensò su un attimo. “Mettimelo tu” esclamò, orgogliosa, passando l’astuccetto nelle mani di Alex. L’uomo la guardò toccato ma allo stesso tempo con un sorriso sghembo stampato sul suo volto. A volte si chiedeva come fosse possibile che trovasse perfettamente normale compiere certi gesti con Maya, quando in passato si sarebbe fermato mille volte a pensarci su, a ponderare se fosse il caso di prendersi più tempo e non correre; ora però aveva la risposta: in amore non c’è un tempo giusto, solo quello che il cuore detta a ciascuno.
Le mise l’anello al dito ed ebbe la conferma che non c’era niente di più preciso che quel momento tra di loro, nella casa che sarebbe stata la loro, la mattina di Natale. La vera si incastonava perfettamente nella mano lunga e candida della giovane. “Perfetto, assolutamente perfetto. E calza come un guanto, come hai fatto?” “Ormai dovresti saperlo che ho i miei metodi …” la provocò, accarezzandole la mano. Maya ci pensò su, anche se quel cerchietto di brillanti che continuava a fissare non le rendeva molto facile concentrarsi. “Stai scherzando?” scoppiò “Quando credevo di aver perso l’anello di nonna lo avevi preso tu? Io stavo morendo Alex, non so se ti rendi conto…” “È l’unico che indossi all’anulare sinistro, dovevo correre il rischio. Mi perdoni?” “Solo perché mi hai preso un anello che forse vale di più di questo appartamento” sogghignò facendogli l’occhiolino e una linguaccia spiritosa “solo perché ti amo da morire”

Ritorna all'indice


Capitolo 2
*** Capitolo 2 ***


 


 

A Merry Albelli Christmas - Capitolo 2



“Buon Nataleee!!!” “Auguriiii!” esclamarono in coro Alex e Maya, appena la porta di casa Bonelli si aprì davanti a loro. Daniele, i capelli arruffati e ancora in pigiama, stava in piedi davanti alla porta con lo sguardo perso nel vuoto, evidentemente sveglio da troppo poco per avere un contatto umano con il resto del mondo. “Ci fai entrare o ci accomodiamo qui?” ironizzò lo zio, notando lo stato catatonico che era peggiore di quello del figlio quando lo aveva chiamato per gli auguri in piena colazione quella mattina. “Eh? Ah sì, scusa…li avete gli elmetti?” “Va già così male?” domandò Alex e suo nipote annuì, scrollando le spalle, desolato; eppure ad Alex non sembrava andasse così male: l’anno precedente, al suo arrivo, aveva trovato sua madre e sua sorella che comunicavano – no, sbraitavano rendeva meglio - a volume altissimo tramite le scale, una dalla cucina e l’altra dal piano di sopra. “Che significa? Fate capire anche me…” sollecitò Maya. La risposta però non si era fatta tardare: dalla cucina si levò la voce di Maria che rimbeccava sulla figlia a proposito di tutti i tentativi già fatti per far andare via una non meglio identificata macchia
“Zio Piero ha macchiato la tovaglia col vino rosso e non riescono a smacchiarla” spiegò il ragazzo. Zio Piero era il fratello di Maria e aveva passato la vigilia con loro la sera prima. “Oggi dopo pranzo viene tutta la corte celeste a prendere il caffè e tu’ madre dice che non sa ancora come apparecchiare la tavola … ma chi se ne frega della tovaglia, basta che magnamo!” esclamò Cesare, sbraitando e scuotendo la testa mentre scendeva le scale “Buon Natale cocca!” “Buon Natale Cesare!”
I due si abbracciarono, non prima che Cesare spedisse il nipote a svegliare suo fratello, raccomandando che entrambi mettessero qualcosa di decente addosso prima che sua moglie o sua figlia usassero molta meno diplomazia. “Ma come tutta la corte celeste? Pure zia Iole?” indagò Alessandro, sconcertato e preoccupato. “Soprattutto zia Iole”
Tranquilla, sarà un Natale semplice e in famiglia, erano state le ultime parole famose dette a Maya quando avevano deciso di stare a casa di Maria e Cesare. E ora come glielo spiegava che non lo sarebbe stato?
Un lato positivo, l’unico probabilmente, di non passare le feste in famiglia per tanto tempo era che Alessandro non vedeva da secoli l’esercito di ottuagenari che componeva la sua famiglia: zie, zii (e ci metteva pure i cugini che non avranno avuto 80 anni ma erano comunque vecchi dentro) e che durante l’anno spariscono ma magicamente riappaiono sotto le feste come la cometa del presepe. L’anno precedente, in piena crisi coniugale, erano riusciti a tenerli fuori dalla porta perché i panni sporchi, era opinione dei suoi, andavano lavati in casa. A questo giro però, a quanto pare, non si era proprio potuto evitare; la colpa, stando a suo padre, era tutta di sua madre: Maria aveva detto ai quattro venti che la sua nuova nuora sarebbe stata a pranzo con loro e tutto il parentado si era letteralmente autoinvitato per, testuali parole, un caffè e una fetta di pandoro. Il sottotesto era chiaro: volevano conoscerla. Te pareva.
“Chi è zia Iole?” chiese Maya. “Mia sorella…” rispose Cesare. “Praticamente è Anna con 25 anni di più” sussurrò Alex all’orecchio della ragazza per non farsi sentire dal padre “lei e mamma si beccano da quarant’anni. Tutto deve essere perfetto quando c’è lei” Quando Alex quella mattina aveva visto Maya sulle spine perché non voleva che Anna le parlasse male dietro, pensò a quante volte aveva sentito sua madre usare le stesse parole e comportarsi allo stesso modo nei confronti di sua cognata, ma non aveva idea che l’uragano Iole si sarebbe abbattuto sulla Garbatella proprio nel pomeriggio di quel santo giorno. Sarebbe stato meglio se il suo cervello si fosse fatto i fatti suoi una volta tanto. “Tu sistema i regali sotto l’albero” disse Maya, togliendo il cappotto e poggiandolo assieme alla borsa sull’attaccapanni dell’ingresso, intraprendente “io vado a vedere se posso dare una mano” 

“Buondì e buon Natale!” esclamò Maya, entrando in cucina, con un sorriso smagliante. Anna al saluto della cognata rispose a mezza bocca, stampandole due baci di circostanza sulle guance, ma Maya era talmente zen quella mattina, piena di gioia per quello che era accaduto a casa, che aveva deciso di trovare del buono in tutto quello che aveva: nulla le avrebbe rovinato quel Natale. Oltretutto in quel marasma nessuno si era accorto ancora del suo anello: non se ne vergognava di certo, ma voleva tenere la notizia della convivenza per sé ancora per un po’, se non altro per Giulia ed Edoardo che dovevano saperlo da loro. “Ciao Maya! Auguri bella!” esclamò invece sua suocera, a braccia spalancate e in attesa di abbracciare calorosamente la ragazza che non se lo fece ripetere due volte “ti abbiamo dato un bel benvenuto oggi eh? Scusa sa’, ma mio fratello ieri sera ha fatto un macello. Quella bella tovaglia rossa…” “Posso dare una mano?” chiese la ragazza, ma guardandosi intorno capì che non c'era molto che potesse fare. Praticamente era tutto pronto: il profumo del brodo di carne speziato leggermente con cannella e noce moscata si diffondeva nella stanza mentre bolliva lentamente sul fuoco e si mischiava con quello del timballo che cuoceva in forno. A breve, conoscendo Maria, a quelle prelibatezze tradizionali si sarebbe aggiunto anche l’abbacchio, cotto all’ultimo momento per essere caldo e scrocchiarello come piaceva a Cesare. “Solo se sai smacchiare una tovaglia e la sai asciugare prima di pranzo senza l’asciugatrice che non abbiamo” rispose sarcastica Anna. “Ehm quello non lo fare…ma possiamo provare a rendere natalizia la tavola con quello che c’è …”
Maria guardò la ragazza come se la proposta che le aveva fatto le avrebbe salvato non solo la giornata, ma la vita, come se nessuno finora avesse pensato alla soluzione più ovvia; la donna la trascinò così in salotto, sfogandosi con lei riguardo alla cognata e di come fosse in grado di sindacare pure su una tavola a fine pasto. Dove l’ho già sentita questa storia … ah già … corsi e ricorsi storici. Maria non era fortunata come lei, purtroppo, non aveva il lusso di potersi confidare apertamente con suo marito: Cesare e Iole, infatti, erano legatissimi, guai a dire qualcosa di male nei suoi confronti di fronte a Cesare. “Per mio marito, sono io quella che ingigantisce le cose” concluse, mentre tirava fuori dallo stipo in salotto tutta la biancheria da tavola a disposizione. Maya faticava a crederci, ma sapeva che Maria bugie non ne diceva.
“Buongiorno a tutti!” esclamò una voce che scendeva dalle scale. Valerio il vichingo, come ormai Maya lo aveva affettuosamente ribattezzato, si era ufficialmente alzato e si era degnato di scendere a fare colazione. A mezzogiorno. Mentre cercava di convincere Maria che non era il rosso a fare Natale ed era in realtà tutta colpa della Coca Cola, Maya cercava di rimanere impassibile - ma con poco successo - al baccano che proveniva dalla cucina, dove suo suocero in cucina battagliava con il nipote la cui unica colpa era di voler scaldare un po’ di latte e mangiare dei biscotti mentre si stava già preparando il pranzo. Non erano scene a cui era abituata e quattro mesi di frequentazione dei Bonelli erano ancora troppo pochi per essere assuefatti: in lei, ogni volta, la gioia di essere lì con loro, mista all’incredulità per la fortuna che aveva avuto. Non che la sua famiglia contasse meno, o fosse meno famiglia, e la sera precedente gliene aveva dato conferma, ma i Bonelli avevano una sorta di chaotic energy di cui proprio non riusciva a fare a meno.
Il ragazzo aveva finito col trascinarsi in sala da pranzo, nella speranza che la nonna prendesse le sue difese. “Nonna per favore gli dici qualcosa?” “Ah Ce’ e fallo magnà in santa pace! Piuttosto, vai a controllare se è tutto in ordine in bagno, che tua sorella con una scusa o un’altra va a ficcare il naso pure lì” “Pure per il bagno metti in mezzo Iole?” “Ah Ce’ allora non hai capito? Quando Maria ti dice qualcosa la devi fare e muto” disse, con un tono militaresco. L’uomo, borbottando qualcosa di incomprensibile, sparì al piano di sopra, proprio come gli aveva detto sua moglie. “Grazie no’!” “T’ho difeso ma tu' nonno tutti i torti nun ce l’ha, se ti metti a mangiare latte e biscotti ora…” “Non ti preoccupare, no’, non ci lascio niente” “Eh! Come se non lo sapessi…piuttosto, non fare lo scostumato...” lo riprese, accennando a Maya. “Hai ragione” confermò Valerio, tornando più serio “buon Natale alla zia più figa che c’è!”

La compostezza era durata il tempo di pronunciare quelle parole con uno sguardo vispo e malizioso di chi era perfettamente conscio e determinato a dire quello che ha detto. “Valerio!” dalla cucina, le voci di Alessandro e Anna tuonarono all’unisono: se c’era qualcosa su cui i due andavano perfettamente d’accordo era il tenere in riga i due ragazzi nonostante la maggiore età. “Madò! Ma che so’ Superman quei due che ce sentono pure da lontano? … E comunque ho detto figa, non gnocca” “Ringrazia che è Natale, sennò la zia ti avrebbe già piazzato una cinquina, altro che tua madre e tuo zio” ribatté Maya, mostrandogli un rovescio con la mano sinistra ma senza speranze di restare seria. A causa della poca differenza d’età, per lei Valerio e Daniele non potevano essere davvero dei nipoti, ma doveva trattenersi sempre dal trattarli come amici perché ormai era chiaro che con un minimo di confidenza diventavano implacabili. “Ringrazio sì…con quell’anello m’avresti sfonnato ‘na guancia”
Maya si freddò, coprendo istintivamente la mano con l’altra; sua suocera, tutta presa a tirare fuori i piatti con cura e attenzione dalla credenza dovette fermarsi anche lei per evitare di anticipare il capodanno di una settimana e fare i botti con i piatti. “Che ho detto?” domandò Valerio perplesso “è un anello normalissimo, o no?” “Niente… non ti preoccupare” lo tranquillizzò Maya, tornando a respirare “normalissimo non direi, è il regalo di Natale di tuo zio, dovresti conoscerlo ormai” “Madonna bella, Maya, è un regalone!” esclamò Maria, prendendole la mano. “Basta che gli è rimasto qualche spicciolo per noi…” commentò il ragazzone, sarcastico e sfacciato. “Che impunito! Vattene va’! Prima che t’arriva na ciavatta stamattina! Scusalo Maya…è na guerra dentro a sta casa, na guerra!” “Tranquilla, comunque non è che volessi nascondere l’anello o chissà cosa. Ma non c’è niente da dire, almeno per ora” “Almeno per ora?” indagò la donna. “Capiscimi Maria, è giusto che prima parliamo con Edoardo e Giulia” “È giusto. Ora dimmi che bicchieri vuoi” disse la donna, cambiando argomento “oddio, non che io abbia tutta questa scelta...”
Era tranquilla, fin troppo tranquilla; Maria non era un’impicciona, quello era il ruolo di Cesare, lei era molto più discreta: per quel motivo, la serenità con cui aveva chiuso l’argomento le dava ragione di credere che sapesse molto di più di quanto non desse a vedere. “Che mi vuoi dire Maria? …come se non l'ho capito che tuo figlio si è consultato con te prima di tutto”

Madre e figlio avevano un rapporto speciale, Maya lo sapeva e lo rispettava, perché non era morboso, e Alessandro non era di quegli uomini che corrono dalla madre se le cose non vanno bene: pur dando la sua opinione o un consiglio, del resto, Maria lo aveva sempre lasciato libero di prendere la decisione finale, con tutti gli errori o le conseguenze del caso. “Oh Maya non sai quanto sono contenta che finalmente s'è deciso!” esclamò la donna, evidentemente felice di poter vuotare il sacco “lo so che ci so' i ragazzi e le cose si devono fare bene pure per loro, ma vi volete bene! Edoardo secondo me si convince più facilmente se vi vede insieme che se continua a fare avanti e indietro” “Speriamo che sia così”
Tutto sommato ora avevano trovato un equilibrio, non l’aveva solo accettata, ma sembrava trovarla insperatamente simpatica, e auspicava di non mandare tutto in malora con la notizia della convivenza. “Però se non vuoi che si sappia ancora per un po’ io quantomeno cambierei dito” suggerì Maria, facendole l’occhiolino “prima che mio marito si insospettisca”

“Voi due…ancora a scegliere il corredo?” chiese Alessandro, addentando del formaggio che aveva rubato di nascosto dalla sorella in cucina. “C’è zia Iole che viene a conoscermi, Alex, deve essere tutto perfetto” spiegò Maya, alzando gli occhi al cielo, con quella giusta dose di ironia da non offendere la madre di Alessandro. A lei non importava fare bella figura con una persona che, se andava bene, avrebbe visto una volta ogni 365 giorni, ma era importante per Maria e a lei ci teneva eccome.

Alla fine, al momento di sedere a tavola, la tavola natalizia che Maria tanto agognava era forse anche meglio di come la donna l’avrebbe mai immaginata. Maya aveva scelto la tovaglia ricamata col punto a giorno che Maria aveva messo quando era stata a pranzo la prima volta da loro, semplice ed elegante, abbinandola con il servizio buono di piatti e bicchieri, dalle linee classiche e col filo d’oro – sotto lo sguardo di Maria che, incredula, si segnava col segno della croce all’idea che quei bicchieri, usati con parsimonia in casa sua, finissero tra le mani dei nipoti. “Se non usi la cristalleria a Natale, quando la usi?!” “Eh…ma mi piacerebbe arrivasse a Santo Stefano!”
Per accontentare sua suocera, aggiunse un tocco di rosso e vintage con delle vecchie palline che Maria si ostinava a conservare ma che ogni anno figlia e nipoti scartavano dall'albero, e pulite a dovere, trovarono nuova vita come segnaposti. Con la corona dell’avvento strategicamente riciclata a centro tavola – per sua fortuna non aveva l’aspetto classico di una ghirlanda rotonda - l’atmosfera era diventata calda, sofisticata e luminosa e a Maria non pareva nemmeno di trovarsi nel salotto di casa sua. “Maya! Da questo momento sei ufficialmente addetta a preparare la tavola ad ogni pranzo di Natale e Pasqua!” la avvertì Cesare, solenne, come se la stesse mettendo in guardia da una minaccia. “Non esageriamo Cesare, non ho fatto nulla…” “Non è vero, ci vuole occhio per certe cose e tu ce l’hai” rincarò la dose Maria “non sembrano nemmeno le mie cose”
Benché fosse felice di aver contribuito a superare quella piccola crisi e, se ci fosse stato bisogno, di aver conquistato punti pesanti in famiglia, la faceva sentire a disagio essere vista come la perfetta, quella che ha tutte le doti giuste, il talento, il buon gusto: ma ho anche dei difetti, le veniva voglia di gridare a volte.

 

“È vero che domani mi sequestri in casa?” domandò Maya ad Alessandro, mentre salivano in auto per tornare a casa. “Affermativo” sghignazzò l’uomo, compiaciuto, mettendo in moto; fosse stato per lui, del resto, l’avrebbe braccata a letto anche quella mattina “ma perché?” “Mia madre mi ha appena scritto che viene a Roma per andare a trovare mia zia e vorrebbe che andassi con lei. Non sapevo nemmeno fosse scesa per le feste. Ho fatto indigestione di parenti oggi che mi basta per un anno direi”
La zia in questione era la sorella di suo padre, viveva a Torino con il marito, i suoi cugini avevano studiato all’estero e l’unico contatto che aveva con tutti loro erano i post su Instagram e gli auguri sotto le notifiche del compleanno su Facebook. Dopo che la nonna era morta non erano più tornati a Roma, o forse sì ma non lo aveva mai saputo: non per cattiveria o altro, ma la vita fa così, a volte, ti fa perdere di vista e scioglie anche i legami, senza rancori.
“I miei zii ti hanno prosciugato eh” “Beh direi…”
Non era andata male, anzi alla fine erano stati tutti cortesi, anche se lei temeva sempre la gentilezza troppo ostentata. Forse era solo abituata male dalle sue esperienze, perché la sua vecchia comitiva erano così falsamente cortese, al punto da non essere credibile, a volte persino di proposito. E poi c’era zia Iole. Lei era un discorso a parte: era andata in crash totale quando si era accorta che né Maria né Cesare avevano nulla da ridire verso questa giovane adulta che era entrata nella vita del loro figlio di mezza età e anzi sembravano essersi acclimatati benissimo a questa situazione di famiglia così moderna e allargata. Aveva provato ad allearsi con sua nipote Anna, ma a quanto pare è vero che a Natale succedo i miracoli perché la donna non era in vena di cattiverie e così, alla fine, zia Iole era rimasta in minoranza, costretta a soccombere. Li aveva invitati tutti a giocare a carte una sera delle feste: non ci sarebbero mai andati e questo lo sapeva pure lei, ma era una specie di messaggio cifrato per dare la sua rassegnata benedizione, se mai ce ne fosse stato bisogno.
“Mia sorella mi ha stupito, comunque” esclamò Alessandro, impegnato alla guida. “Secondo me c’è qualcosa che bolle in pentola. O piuttosto qualcuno…” “Dici? Ti ha detto qualcosa” “Ti pare che si confida con me?” gli fece notare Maya “no, ma l’ho vista più in forma del solito, più serena” “E speriamo” E speriamo sì, pensò Maya, così non sarebbero più loro al centro dell’attenzione in casa. Poco prima di pranzo, al momento dello scambio dei regali, era stato difficile affrontare la Santa Inquisizione che rispondeva al nome di Cesare Bonelli; comprensibilmente non poteva credere che i due non si fossero fatti un regalo per Natale e da buon impiccione ci aveva messo poco a notare lo smartwatch nuovo di zecca al polso di Alessandro. Per fortuna Valerio non aveva aperto bocca, e Maya sospettava che la nonna lo avesse corrotto sottobanco, ma la soluzione l’aveva trovata Alex: gli orecchini che indossava Maya, dei bellissimi pendenti a forma di luna, regalo di Matilde, potevano tranquillamente passare per il primo regalo natalizio di un compagno. “Potevi inventarti un weekend a Parigi come regalo” gli aveva sussurrato Maya all’orecchio, sarcastica, ad allarme rientrato “così poi mi ci dovevi portare davvero”

Ritorna all'indice


Capitolo 3
*** Capitolo 3 ***


 

 
 
A Merry Albelli Christmas - Capitolo 3


 
Al lavoro, con Alice che la stuzzicava, e sulla chat delle amiche, Maya aveva minimizzato; persino con Monica, incontrata assieme a suo marito nel viale sotto casa di ritorno dall’ufficio, aveva finto, ma la verità era una sola: temeva quella serata più di ogni altra cosa al mondo, più della cena con i suoceri il giorno del compleanno di Alex, più di quella sera che aveva deciso di fidarsi e aspettare Alex davanti al Colosseo senza la certezza che sarebbe arrivato.
Alessandro, agli occhi di Maya, la faceva sempre così facile: vado a prendere i ragazzi dalla madre, torno e cuciniamo qualcosa insieme. Come fosse la cosa più facile del mondo. E lo era quando erano soli, lo era stato pure quando la invitava il sabato sera al residence con i figli e lei arrivava con i cartoni delle pizze e lui cedeva ai popcorn sul divano durante il film. Ma stavolta era diverso: dire ad Edoardo della convivenza – Giulia non la contava, lo sapevano pure i muri che quello scricciolo nella sua testa probabilmente aveva già scelto il design della cameretta - era la tredicesima fatica di Ercole. Era un ragazzo difficile da prendere: introverso, non sai mai cosa gli passa per la testa, un attimo è disponibile e comprensivo, quello dopo chiuso e insofferente; magari era passato sopra alla loro relazione, riusciva a tollerare la presenza di Maya fintanto che la sera ognuno dormiva a casa propria, ma condividere la stessa casa? Quella era tutta un’altra storia e non lo avrebbe biasimato se avesse imposto un alt. Le avrebbe fatto male, ovviamente, perché nella sua testa ormai era fatta e non si tornava indietro, ma lo avrebbe capito.
Alessandro però, al contrario di quanto credeva Maya, non era mica così tranquillo. Sentiva quel compito gravargli sulle spalle come un macigno. Lo avrebbero fatto insieme, ma sapeva che toccava a lui parlare con i suoi figli, trovare le parole giuste perché accettassero Maya totalmente. Era opinione comune che con Giulia sarebbe stato un gioco da ragazzi, ma in quei giorni che avevano separato il Natale dal loro ritorno a Roma aveva messo in dubbio persino quella verità che fino ad un giorno prima aveva visto come incontrovertibile: e se per caso fosse stata colta da gelosia? Se a rendersi conto che il padre divideva il letto con un’altra donna avesse cambiato idea? Non potevano permettersi il lusso di dare nulla per scontato, perché è proprio lì che si cade. L’ultima volta che aveva dato qualcosa per scontato, stava per perdere Maya, non avrebbe più corso il rischio. E quando sminuiva con Maya lo faceva non perché fosse convinto che sarebbe stata una passeggiata, ma perché vedeva che non era serena e non c’era bisogno di riversarle addosso anche le sue paure.
Ora però erano in ballo e bisognava ballare.
“Maya? Mayaaa?” la voce di Giulia reclamava a gran voce la sua amica grande, non appena il padre aveva fatto scattare la serratura.
“Arrivo! Sono in bagno!” esclamò la donna, lavando le mani.
Ma la piccola in men che non si dica aveva già spalancato la porta, nonostante i rimproveri del padre.
“Ciao Puffetta!!!” esclamò Maya, mentre la bambina corse a stringerla in un abbraccio. Maya fu costretta a fare le contorsioni per raggiungere l’asciugamano e ricambiare l’abbraccio a sua volta.
“Mi sei mancata!”
“Pure tu piccolina!” rispose, cercando di ricacciare il magone. Non poteva dirle certe cose!!! Eccheccacchio! “Ti sei divertita in montagna?”
“Siiiì! Lo sai che al corso di sci mi hanno dato pure la medaglia?”
“Davvero?” La bambina annuì vistosamente.
“Ero la più brava del corso”
“Non ne avevo dubbi”
“Guarda che l’hanno data a tutti i bambini la medaglia, Giuls…” la corresse il fratello, guastafeste, mentre le due tornavano in zona giorno.
“Non è vero!”
“Sì che è vero, l’ho visto io!”
“Ma io sono stata comunque la più brava!”
“Sì, come no…”
“Ma tu quando impari a chiudere la bocca? E zitto un po’…” Alessandro frenò Edoardo che si limitò a salutare Maya alzando leggermente il braccio. Andavano d’accordo, ma non ci si poteva aspettare grande affabilità, nessuno lo pretendeva da lui, andava benissimo così.
Alex approfittò che i figli si erano spostati in zona giorno per rubare un bacio a Maya, che non vedeva da quella mattina: il periodo delle feste non era mai stato un periodo tranquillo a Roma Glam, ora che c’era pure Roma Pop era anche peggio; fu però un bacetto veloce: era un paradosso, perché con la più piccola non si era mai fatta troppi problemi, ma davanti ad Edoardo Maya non ce la faceva proprio a lasciarsi andare totalmente, il pensiero di infastidirlo era sempre dietro l’angolo. Aveva fatto passi da gigante da fine estate, ma c’era ancora tanta strada da fare; ed era anche per questo che la serata e l’annuncio che avrebbero fatto li preoccupava.
“Hai anticipato qualcosa a Edoardo?” indagò, sottovoce e guardando di nascosto il ragazzo.
“Gli ho solo detto che c’è una cosa che dobbiamo dirgli”
“E lui?”
“Una volta essersi sincerato che non fossi incinta è stato tranquillissimo”
Ad Alex venne un colpo a sentire le parole del figlio, ma era comprensibile, poverino, visto il tono grave che aveva usato; non era colpa sua, era troppo giovane e inesperto per capire che in una coppia normale una cosa come quella si programma. Loro non sapevano nemmeno cosa avrebbero mangiato quella sera, figurarsi prendere in considerazione un figlio anche solo come ipotesi.
“Certo che pure tu…” soggiunse Maya, esasperata “conoscendoti chissà come glielo hai detto”
Alessandro, spalle al muro, non si perse d’animo e, tolto il giaccone, in men che non si dica era già in cucina, le maniche della maglia tirate su e pronto all’azione ai fornelli “Che volete mangiare?”
Con il gran da fare del lavoro e i ragazzi che tornavano dalla montagna non c’era stato tempo per organizzare nulla di preciso, ma per sfamarli andava bene qualsiasi cosa; mal che andava, in freezer c’era sempre qualcosa che Maria o Ruggero avevano portato per delle non meglio precisate emergenze. Alla fine nel ballottaggio tra la pasta alla vodka e i calzoni in padella, neanche a dirlo, avevano vinto i secondi. Non si riteneva una maga al di fuori dei dolci, ma con lo stipendio di dicembre si era regalata una planetaria che non vedeva l’ora di provare e poi una confezione di farina e di lievito istantaneo non mancavano mai nella sua cucina, come le aveva insegnato La Betty: in mezz’ora sarebbero stati pronti e fumanti. Mentre Alex era di spalle, a preparare i condimenti, e Maya sul piano dell’isola versava nell'impastrice tutti gli ingredienti, Giulia stava seduta su uno sgabello intenta ad osservare ogni mossa. Non stava facendo nulla per il momento, ma il grembiule da cucina che le avevano messo addosso la faceva sentire importante. Edoardo invece, disinteressato, guardava dello sport in tv. Andava tutto bene.
“Insomma Puffetta” iniziò Maya “non mi racconti nulla del Natale, che ti ha portato Babbo Natale?”
Alex aveva fatto il regalo con la sua ex moglie: conoscendo Claudia, Alessandro voleva impedire che si innescasse una guerra al regalo più bello, e così aveva premuto per farlo insieme. A Maya, Claudia aveva concesso - troppa grazia  - di occuparsi della calza della Befana, e chissà se c'era un sottinteso malevolo da parte della Stronza, non ne sarebbe stata stupita. Ma a lei faceva piacere: avrebbe potuto viziarla con i dolciumi che Claudia bandiva dalla dieta della piccola, specialmente da quando si era iscritta a scuola di danza. 
“Tante cose”
“Davvero?”
“Merida con il cavallo...” iniziò la lunga lista la bambina, che aveva superato la fase Frozen ed era entrata da poco in quella Brave “il libro delle principesse, un pigiama…e a te?”
“A me?” domandò Maya, colta alla sprovvista “Babbo Natale non porta i regali ai grandi, solo ai bambini”
“E quello?” domandò la bambina, puntando all’anello che aveva poggiato sul piano per non sporcarlo “quello non ce l’avevi prima”
“Eh no…” sospirò … non le sfugge proprio nulla “è un regalo del tuo papà”
“Davvero?”
Alex si voltò, buttando un occhio anche al figlio che era sul divano: come sua abitudine, probabilmente stava ascoltando fingendo di non prestare attenzione; al momento giusto, lo avrebbe coinvolto.
“Sì, ho chiesto a Babbo Natale se potesse fare un’eccezione per Maya” inventò “e lo abbiamo trovato sotto l’albero la mattina di Natale”
“Vuol dire che sei stata tanto brava!”
“È bravissima infatti” concordò Alex, posando un bacio sulla guancia della compagna, soddisfatto che sua figlia dimostrasse affetto sincero per Maya; lo aveva sempre fatto, fin da prima che loro due fossero una coppia, ma i bambini sanno essere creature complesse, che cambiano idea e visione del mondo attorno a loro rapidamente. Questo per fortuna, non era il caso di Giulia.
“Ora signorina però basta chiacchiere” disse Maya, 
spargendo un po’ di farina sul piano dell'isola e facendo scivolare il panetto di impasto dalla ciotola  “prendi il mattarello che mi aiuti a stendere la pasta, ormai ci siamo”
 
Avevano passato la cena a discutere del più e del meno, come se quella cena non fosse stata organizzata con uno scopo preciso. Avevano tirato fuori ogni argomento: le giornate in montagna dei ragazzi, i regali, il menù di Natale, i programmi per la notte di San Silvestro; non che Maya non c’avesse provato a fulminare con lo sguardo Alessandro, di tanto in tanto, per spingerlo a tirare fuori la questione ma per lui non sembrava mai esserci un momento giusto.
“Era tutto buono vero?” domandò Alessandro ai figli, quando ormai sul tavolo non erano rimaste nemmeno le briciole.
Giulia rispose affermativamente in men che non si dica, con l’ultimo boccone ancora in bocca, e il padre dovette correre con il tovagliolo a pulirle uno sbuffo di salsa al pomodoro dall’angolo delle labbra. Per Edoardo parlava invece il piatto, vuoto e senza neanche un crostone lasciato da parte, come faceva spesso in pizzeria, ma non disse nulla: con il telefono poggiato sul bicchiere davanti a lui, era troppo impegnato su Whatsapp per interagire con i suoi commensali.
“Edo, allora?” lo incalzò il padre “devo buttare il telefono dalla finestra per avere la tua attenzione?”
“A pa’ e non rompe…era tutto buono Maya, grazie” disse “contento? Non c’ho più 5 anni che ci servono queste smancerie e Maya lo sa che se una cosa non mi piace lo dico, non dobbiamo fare la famiglia del Mulino Bianco”
“Sì lo so Edo, non c’è bisogno, va bene così” rispose la giovane.
“No, non va bene così. Sempre con la testa su quel coso” borbottò Alessandro.
Maya, però, con uno sguardo eloquente si rivolse al compagno perché ci desse un taglio. Quel commento sulla famiglia perfetta era proprio ciò che più temeva e sembrava cadere a pennello in quella circostanza. Aveva ragione: forse con Giulia ci si poteva avvicinare, ma loro quattro insieme come potevano essere davvero una famiglia?! Al contempo però Maya era consapevole che non avrebbe dovuto assolutamente trasmettere le sue paure o i suoi dubbi ad Alessandro perché, se lo conosceva abbastanza, poi si sarebbe scagliato contro il figlio e invece dovevano discutere civilmente, come erano riusciti a fare negli ultimi mesi.
“Va beh dai, tranquillo, quante volte sto io al cellulare e non dò retta a nessuno, e poi non c’è bisogno di riempirmi di complimenti” minimizzò, per capendo che la questione andava ben oltre la cena o un grazie.
“No Maya ma non era per te, era tutto buono ma mi fa incazzare quando pretende che giochiamo alla famigliola perfetta. Mia madre sta con uno che pare mio nonno, lui sta con te che col dovuto rispetto c’hai solo 15 anni più di me. Ti pare na famiglia? Perché se lo è, è proprio na famiglia de merda!” Maya frenò Alex dal rispondere a tono, stringendogli la mano quasi affondando le unghie nella pelle; la vecchia Maya, di pancia, gli avrebbe tranquillamente risposto che non era un problema loro se sua madre s’era messa con un vecchio, ma la nuova Maya sapeva che occorreva pazienza e diplomazia. “Edo…”
“Oh ma che volete da me?” disse il ragazzo alzandosi da tavola “io non ho più detto una parola, mi sono fatto andare bene tutto, pure quando avrei mandato volentieri a fa-… a quel paese qualcuno”
Alessandro prese un lungo respiro ed era di nuovo calmo. Fece un cenno a Giulia, piccolo ma immediato a sufficienza perché la bambina capisse che doveva andare in braccio a lui. Si portò verso il salottino e si accomodò, con la bambina sulle gambe.
“Vieni a sedere qui Edo, per favore”
Ma Edoardo non ne voleva sapere, era salito in cima alle scale che portavano in terrazza e quello era il segnale che voleva essere lasciato in pace a sbollire, che avesse ragione o torto non faceva differenza.
“Scendi” ripeté al figlio “Maya anche tu, vieni”
C’era qualcosa nella sua voce, un tono severo e grave, che nessuno pensò bene di contraddire; al contempo, però, c’era una nota dolce e comprensiva che allontanava ogni timore.
“Questa sera doveva essere speciale” esordì, quando erano tutti riuniti sul divano “non avevamo preparato niente ma francamente io e Maya pensavamo che sarebbe stato più facile di così” sei un maledetto bugiardo Alessandro, non ci credi nemmeno tu, disse tra sé e sé “io lo so che per te è stato un periodo di grandi cambiamenti, e non ti ringrazierò mai abbastanza per la pazienza che hai avuto con me, e pure con mamma. E anche tu, Giulietta, sei stata bravissima. Anche con Bruno, davvero”
Non era facile per loro accettare due persone nuove nella propria vita, così diverse tra loro e che avevano ribaltato la loro quotidianità quasi dall’oggi al domani.
“Però ora c’è un ultimo sforzo che vi devo chiedere…non siamo la famiglia perfetta, non lo siamo mai stati e forse non lo saremo mai ma ci vogliamo bene e quella è la cosa che più conta.” Dovevano capire che adesso però nella sua vita c’era anche un’altra persona, e che lui era intenzionato a non farla andare da nessuna parte. “A Maya voglio bene come ne voglio a voi e credo … no, ne sono certo … che anche per lei sia così e ci piacerebbe provare a passare del tempo insieme …tanto tempo” disse, guardando Maya negli occhi e prendendola per mano “per noi non è affatto un gioco”
Maya ricambiò quella stretta non abbassando mai lo sguardo, senza paura, per la prima volta, del giudizio di quel ragazzo che era seduto lì di fianco a loro. Se dovevano fare quella cosa, doveva accettarli così com’erano. E cioè insieme. “Quello che papà vuole dire” esordì lei, la voce che tremava ma che non si fermava “è che vorrebbe lasciare il residence e venire a vivere qui. Con me”
“E noi?” domandò Giulia, innocentemente “Come facciamo quando dobbiamo stare con papà?”
“Facciamo che dovrete sopportare anche me, se vorrete, ovviamente. Siete sempre i benvenuti qui, Giulia, anche quando non sono i giorni di papà” “Questa sarà casa nostra” spiegò Alessandro, picchiettando sul viso della bambina che scoppiò a ridere “ma non solo mia e di Maya, di tutti e quattro”
“Ah…quindi era questo che dovevate dirci”
“Esatto”
“Mm…” mugugnò Edoardo, riflessivo e forse scettico “e dove staremmo io e Giulia, non è una casa molto grande”
“Per adesso c’è la cameretta, ma ci inventeremo qualcosa” lo rassicurò Maya.
“Inventarsi qualcosa tipo trasferirsi altrove, saremmo in quattro e questa casa è palesemente per due persone”
“Ma non è vero! Tu non puoi ricordarlo ma quando ero ragazzo qui in quattro ci stavamo benissimo e quando erano piccoli i tuoi cugini ci stavano in 5. È più grande dell’appartamento al residence” Alessandro azzardò la strada della tentazione “e poi qui possiamo fare quello che volete, è una tela bianca”
“Possiamo mettere anche un letto con le scale?”
“Un letto a castello vuoi dire? Perché no?” rispose Maya, divertita dall’espressione usata dalla bambina ma anche contenta che fosse già così propositiva che si era già prenotata il lettino superiore: ma su di lei non aveva dubbi.
“Io non ho capito perché con tutti i soldi che hai non potete prendere una casa più grande in centro e più comoda per noi” “Perché devi fare sempre il difficile, Edo? Io faccio il massimo per rendere tutta questa situazione più serena per tutti ma per favore, ogni tanto vienimi incontro anche tu.”
Testaccio era un posto speciale, voleva solo la possibilità di dimostraglielo. D’altro canto, Alessandro continuava a ripetersi che doveva mettersi nei panni del figlio, che doveva guardare sempre ogni cambiamento dal suo punto di vista: quello, cioè, di un ragazzo che aveva visto il suo mondo stravolto nel giro di un anno o giù di lì, che dopo una vita ad essere comodamente all’ombra della madre, si era trovato ad avvicinarsi – chi lo avrebbe mai detto – al padre, perché almeno lui non aveva mai fatto nulla di nascosto e non si era trovato una nuova compagna che tollerava a malapena la sua presenza e quella di sua sorella. Probabilmente sentirsi così ben voluto, paradossalmente, lo destabilizzava. Per il momento l’avrebbe chiusa lì, gli avrebbe dato modo di assorbire la cosa e ne avrebbero parlato quando lui avrebbe ritenuto più opportuno. Si alzò, facendo scendere la figlia dalle sue gambe e in silenzio si mise a sparecchiare, aggressivo quasi sulle stoviglie malcapitate.
“Io non ce l’ho con voi, Maya” disse il ragazzo, però lo diceva rivolto a suo padre che continuava impassibile, nero in volto, in quello che stava facendo “e sono pure contento se non stiamo più in una specie di albergo se devo dirla tutta. Ma lui dice che fa le cose per noi ma non lo vedo tanto…alla fine quel che importa sono sempre le sue necessità”
“Adesso basta” un tintinnio aggressivo di posate che venivano scaraventate nel lavandino fece sussultare Maya e il ragazzino “ce ne andiamo!”
“Ora però non fare così …” Edoardo guardò il padre spiazzato, perché forse per la prima volta si era reso conto di aver esagerato e aver fatto un casino, se nemmeno le lamentele di Giulia fecero desistere l’uomo da quella decisione drastica.
“Forza! Mettete le giacche!”
Fu Maya, in quel momento, ad incoraggiare i figli del compagno a non fare ulteriori storie e a obbedire; mentre i due erano in corridoio a rivestirsi, si avvicinò al compagno, aggrappandosi con le mani al dolcevita nero che gli fasciava il torso come un guanto. Lui le posò delicatamente una mano sulla guancia, ma si vedeva lontano un miglio che si stava sforzando per sorriderle e tranquillizzarla.
“Proprio non ne possiamo parlare?”
“Devo farlo io stavolta, tu hai fatto anche troppo” disse, con un colpetto di dita sul naso e andando a sussurrarle un ti amo all’orecchio. Sapeva bene che effetto le faceva e lo faceva proprio per quello, ma Maya sapeva anche che non era una ruffianata e ci credeva davvero, le dispiaceva solo che non fossero riusciti a superare insieme quell’ostacolo. Ma per Alessandro non si trattava di un semplice ostacolo: era letteralmente un muro che suo figlio abbatteva e ricostruiva a giornate alterne ed era diventata una situazione insostenibile oltre che francamente ridicola arrivati a quel punto.
Non essere troppo severo con lui…era stata l’ultima raccomandazione di Maya sull’uscio di casa, prima di prendere l’ascensore. E invece doveva esserlo, perché non era più tollerabile che fosse sempre lei la comprensiva e l’accomodante. Suo figlio aveva 16 anni, non 6 e non stava dimostrando alcun segno di maturità. Con l'anno nuovo sarebbe andato per un semestre a studiare in Inghilterra, ma con queste premesse non avrebbe avuto la serietà neanche per andare in gita mezza giornata ad Ostia Antica. Lo spedì nel sedile posteriore assieme alla sorella, per mantenere la promessa fatta alla compagna di non scomporsi in auto e non fare scenate davanti alla bambina. Come se Giulia non avesse capito…aveva la testa di un’adulta in un corpicino di sei anni. Tornati a casa, del resto, avrebbe sentito comunque tutto quello che c’era da dire.
“Qual è il tuo problema, avanti…” disse, uscendo sul terrazzino. Stasera mi sa che una sigaretta non me la toglie nessuno.
Alex si affacciò al muretto: l’umidità di quella sera aveva avvolto persino la vista del cupolone che si scorgeva di solito dal loro appartamento e bagliori rossastri si alzavano dai lampioni della piazza sottostante e dai vicoli attorno.
“Nessuno” rispose il ragazzo, telegrafico, fermo vicino alla finestra.
“Io vorrei sapere perché fai così?” domandò il padre, senza guardarlo direttamente, dandogli le spalle “un momento va tutto bene e quello dopo sei nervoso e intrattabile. Pure con Maya … andava così bene, che ha fatto di male stavolta?”
“Niente…”
“E allora? Perché hai detto quella cosa? Com’è che hai detto? Ah sì …” proseguì l’uomo, stavolta girandosi perché suo figlio potesse vedere quanto gli aveva fatto male “alla fine quel che importa sono sempre le sue necessità
“Non volevo…non intendevo…”
“No, no, tu intendevi eccome” lo bloccò il padre, avvicinandosi, lo sguardo cupo e duro; Edoardo era grande, aveva la macchinetta per girare per Roma indisturbato, presto con la scuola sarebbe partito per un quadrimestre all’estero, aveva il suo bel da fare con le ragazze … se era grande per tutto quello, era abbastanza grande per prendersi le responsabilità delle proprie parole. “Lo so che io e te non abbiamo avuto sempre un bel rapporto. Anzi, penso che non l’abbiamo avuto nemmeno un rapporto per un bel po’” ammise “per tanto tempo ho pensato che un buon padre dovesse dare il meglio ai propri figli, solo che mi sono accorto tardi che non si trattava di cose materiali. Un buon padre è quello che sa dare il meglio di sé ai propri figli”
Aveva avuto l’esempio perfetto dei propri genitori: non avevano mai vissuto nel lusso, nella sua infanzia avevano fatto tanti sacrifici e ora che ci pensava aveva ricevuto tanti no celati da compromessi, alternative. Eppure non c’era un ricordo che fosse triste, brutto, turbolento. Persino quando sentiva di averli delusi profondamente, in quella notte brava prima degli esami, alla fine della fiera aveva deluso più sé stesso che loro.
“E lo sai come posso darvi il meglio di me?” riprese “Solo stando bene. Con Maya e sì, in quella casa. Magari arriverà un momento in cui non sarà più così e le cose cambieranno ancora, ma c’è una cosa che ho imparato nella vita è che solo le cose che muoiono non cambiano…”
Non gli avrebbe detto che era così che si sentiva nel matrimonio con sua madre e che lei aveva fatto un favore a tutti e due prendendo e andandosene, ma forse era intelligente abbastanza da cogliere l’allusione perché vide Edoardo annuire.
“Non ti ho mai negato nulla di materiale, ma per troppo tempo ti ho negato la versione migliore di me” concluse.
“Oltre che boomer, pure poeta…” lo canzonò suo figlio, con una smorfia.
“Che testa di cazzo che sei!” scoppiò a ridere Alex, più forte di ogni tentativo di restare impassibile e irreprensibile.
Braccò il figlio in un abbraccio lottando contro le sue resistenze. “Hai capito quello che volevo dire? Rispondi o ti schiocco pure un bacio sulla guancia”
“Dai pà smettila…”
“Rispondi”
“Sì che ho capito… e basta!”
Il padre lo lasciò andare, soddisfatto di aver chiuso quella questione con un sorriso e senza imposizioni. “Hai capito davvero?”
Il ragazzo annuì “Adesso è diverso…sei diverso, si vede. E lo so che è pure grazie a Maya. Non sono contrario che vai a conviverci, lei è una a posto”
“E allora?”
“Non lo so che m’è preso pà, per un attimo non c’ho visto più e ho finito per fare lo stronzo senza motivo”
“Sei geloso?”
“E de che? Non c’ho mica 5 anni”
“Eh, non lo so mica, sai…”
“Vaffanculo pa’…comunque può essere, ma non di Maya. È solo che ... per voi con Giulia ... boh, cioè…forse è più facile stare insieme”
Non riusciva a dirlo, ma era chiaro: per loro tre – e con tre intendeva sua sorella, ovviamente - era più naturale sembrare una famiglia. E lui non se ne sentiva parte: Alex non aveva mai preteso da suo figlio che trattasse Maya da matrigna e neanche lei lo voleva, al solo pensiero scoppiava a ridere o finiva per fare qualche vocina comica da matrigna cattiva delle favole; ma nessuno aveva messo mai in discussione il suo posto in quel nuovo nucleo che si stava costituendo.
“E lo stesso vale per te, ma se non lo provi che ne sai. Pensi che per noi sia più facile solo perché siamo più grandi? Anche noi abbiamo le nostre paure, ma se non ti butti non impari mai a nuotare. Dai … adesso fai un colpo di telefono a Maya e chiedi scusa per la scenata”
“Devo proprio? Tanto lei lo sa che non era per lei…”
“Devi” chiuse il discorso Alessandro, rientrando in casa, lasciandogli tra le mani il suo telefono con la chiamata già in corso.
 

 

Ritorna all'indice


Capitolo 4
*** Capitolo 4 ***


 

 
 
A Merry Albelli Christmas - Capitolo 4


 
 
“Ti posso dare una mano?” domandò Alessandro, mentre era ancora in bagno a darsi una rinfrescata appena rientrato dal lavoro “ho bisogno di distrarmi”
“Innanzitutto togli le nostre giacche dall’attaccapanni” lo riprese Maya, urlando dalla cucina a causa della radio accesa mentre liberava la lavastoviglie in modo che né sua madre né sua suocera si accorgessero che per lei, per pigrizia, 
era diventata una credenza alternativa “e poi non essere così melodrammatico. È Capodanno, non puoi pretendere che tuo figlio a 16 anni lo passi ancora con te”
“Sta sempre col telefono, a tavola, in bagno, nel letto in piena notte…e quando mi serve non risponde?” sbottò l’uomo.
“Ti serve?” domandò, facendo una smorfia sarcastica di fronte a Giulia che guardava la tv seduta ad uno degli sgabelli dell'isola in cucina e si coprì la bocca per non ridere di suo padre. “Dico solo che vorrei sapere se è tutto ok, se è arrivato a destinazione. Le conosce le regole…ma poi abitiamo in una città così grande, c’era proprio bisogno di andarsene fuori Roma?”
Tutto quel dramma era dovuto a Edoardo, che se n’era andato con la ragazza e altri compagni di scuola a passare la notte di San Silvestro fuori porta e sarebbe tornato a casa solo il giorno dopo; gli aveva assicurato che c’erano anche i genitori della fidanzatina ma si sa come sono i ragazzini, specialmente quelli viziatelli e un po’ snob come quelli che erano nella scuola che frequentava: la bugia era sempre dietro l’angolo.
“Saresti stato più tranquillo se ti avesse detto che se ne va a ballare in un locale del centro?” tagliò corto Maya, sbucando dal telaio della porta del bagno; Alex scosse la testa, sorridendo sommessamente: come sempre, Maya aveva centrato il bersaglio in pieno. “Deve fare le sue esperienze, come le abbiamo fatte anche noi alla sua età” continuò … anche mettersi nei guai, ma questo non lo avrebbe detto ad alta voce “sta a te dargli gli strumenti per fare le scelte migliori”
“Come farei senza di te?” le domandò, avvolgendole le spalle e stampandole un lungo bacio sulla guancia, tenendola stretta stretta a sé.
“Te la caveresti benissimo, perché sei una persona intelligente”
“Ma? Non mi dire che non c’è un ma…”
“Ma siccome sei un uomo ci arriveresti molto più lentamente”
“Eccallà…” si lagnò lui mentre quella fossetta sul labbro superiore che lo faceva andare fuori di testa si arricciava sul viso della sua compagna che a differenza sua invece sogghignava soddisfatta.
“Comunque per l’aiuto, bisogna preparare gli antipasti”
Indipendentemente dalla decisione sulla convivenza, lei e Alex avevano scelto quella serata per fare le presentazioni ufficiali tra i suoi suoceri, sua madre e Ruggero ed era l’occasione perfetta per fare anche l’annuncio: tutti, manco a dirlo, avevano accettato con piacere, ma con la premessa fondamentale che avrebbero preparato una portata ciascuno; la versione ufficiale era che non volevano sovraccaricare Maya e Alex che non erano in ferie dal giornale, tuttavia Maya non poté fare a meno di sospettare che, se si fidavano delle sue doti di pasticcera, altrettanto non poteva dirsi per il resto della sua cucina. Le faceva però comodo quel piccolo favore e non disse nulla.
“Molto bene, ma prima approfitterei di quest’ultimo momento da soli prima che arrivi la ciurma per un piccolo festeggiamento … privato”
“Che hai in mente? Gradirei che la biancheria intima rossa arrivasse integra a mezzanotte” sussurrò Maya mentre l’abbraccio si faceva più stretto.
“Ma che hai capito? Sempre a quello pensi … ti ricordo che c’è Giulia di là” con quella lingua lunga che si ritrovava sua figlia, Alex convenne che non fosse il caso di portarla dai nonni prima dell’ufficializzazione della convivenza e così in quei giorni di vacanza da scuola l’aveva portata con loro in redazione, dove la bambina era una vera e propria reginetta…per non dire despota.
“Dovrebbe farti piacere…” ironizzò la donna.
“Cosa è successo un anno fa, più o meno a quest’ora?” domandò lui, sorvolando: gli faceva piacere ovviamente, ma rischiavano di non uscirne più da quella conversazione se avesse risposto.
“Ehm…mmm…oddio!” negli occhi di Maya lo stupore di chi ha ricordato di punto in bianco.
“Lo avevi dimenticato?!”
“Solo per un attimo, con tutto il daffare di questi giorni…” Alex non c’era rimasto male, era sempre comprensivo con lei perché lui per primo cadeva in fallo, ma la giovane si sentiva in dovere di recuperare comunque “non potrei dimenticare il giorno che ci siamo messi in questo casino … in questo bellissimo casino” aggiunse, notando che Alex aveva aggrottato per un attimo le sopracciglia.
Non era stato facile arrivare dov’erano ora, da quel bacio rubato e in parte respinto sotto casa, con i figli di Alex che li avevano accettati completamente, le famiglie in procinto di conoscersi e una normalissima vita di coppia sul punto di fare un piccolo ma significativo passo in avanti. Quel passo avanti era stato preceduto da diversi passi indietro, piccole incertezze, cadute, salite, momenti in cui erano entrambi quasi sul punto di rinunciare, ma ce l’avevano fatta e ora si sentivano forti e sicuri più di ogni ostacolo.
“Puoi dirlo forte…un casino bellissimo, non tornerei mai indietro” Come poteva? Avrebbe barattato la sua vita di adesso con un sepolcro imbiancato.
“Lo spero bene” ironizzò Maya interrompendo la sua risata sarcastica solo quando le labbra di Alessandro si posarono sulle sue, avvolgendola col profumo fresco e forte dell’eucalipto del sapone per il viso che aveva appena usato. Allora sì che le cose si facevano tremendamente serie.
“Ma state sempre a baciarvi voi due?!” la vocina di Giulia arrivò dal corridoio, in piedi con le mani sui fianchi di fronte alla porta del bagno “suona il campanello e io non posso rispondere”
Non era infastidita o arrabbiata, lei fin da subito aveva accettato la situazione nuova, la sua innocenza le aveva permesso di cogliere quello che agli adulti, con le convenzioni e i pregiudizi, spesso sfugge, cioè che la felicità rende tutto più sano, anche se significa che certe cose possono cambiare.
“Ops! Scusa hai ragione”
“Non lo avevamo sentito Puffetta, perdonaci, c’era la radio accesa … andiamo subito” la rassicurò il padre, prendendo in braccio la bimba che alzò gli occhi al cielo a quella scusa.
“Momento privato finito” decretò Maya in fondo al corridoio, aprendo il portone e mettendo a posto la cornetta del citofono “sono mia madre e Ruggero”
 
 
“Se me lo avessi detto prima, si faceva una telefonata alla figlia di Maria Pia e il 2 gennaio lei sarebbe stata qui a prendere le misure”
“Mamma ho già dato uno sguardo al sito dell’IKEA, ci sono tante idee carine che possiamo adattare per il momento, non preoccuparti. Devo arredare una cameretta, non rifare la casa da cima fondo” spiegò Maya a Matilde, che se ne stava sul divano a sfogliare delle riviste mentre gli altri si davano da fare ai fornelli. Lei in cucina non ci sapeva mettere mano, era risaputo e tutti si erano arresi a fare a meno di lei.
Dire a sua madre della convivenza era stata la cosa più facile del mondo, anche perché non l’aveva fatto lei: non appena lei e Ruggero avevano varcato la soglia di casa, Giulia aveva dato la notizia, senza mezzi termini, a dispetto delle raccomandazioni di non dire niente, che doveva essere una sorpresa; tutta orgogliosa, la bambina aveva persino domandato se era piaciuta la sorpresa. Più difficile era stato invece far accettare a Matilde che, vista la fretta di non restare nel residence oltre il mese di gennaio, avrebbero trovato una soluzione temporanea per i ragazzi e poi, con calma, avrebbero capito come dare loro lo spazio che meritavano, approfittando anche del soggiorno all’estero di Edoardo con la scuola. Ma la principessa Torlonia non si era trasformata in Mrs Bennet per caso: e così insisteva, punzecchiava, tartassava fino allo sfinimento, come la goccia cinese. A seconda dell’occasione, c’era sempre qualche professionista di sua conoscenza da poter chiamare, rigorosamente figlio di una delle cariatidi, che Maya era arrivata a domandarsi se non li inventasse di proposito, perché era un numero spropositato di figli per quelle 3 o 4 donne che bazzicavano regolarmente la villa.
“È così brava…vedessi che lavoro che ha fatto per la casa del Professor Montini! Altro che Ikea! Alex dille qualcosa!”
Tipico di Matilde: se Maya non stava ad ascoltarla, ricorreva ad Alex, nella speranza che il genero intercedesse per lei.
“Tranquilla Matilde, non andiamo all’IKEA…lo sai che Maya si diverte a prenderti in giro. Ma prima di fare progetti sulla casa dobbiamo viverci tutti insieme per un po’ per capire che migliorie apportare”
“Non è che ci vuole Leonardo Da Vinci per capire di cosa hanno bisogno due ragazzini con 10 anni di differenza…” commentò, sbuffando e alzandosi dalla poltrona per andare verso il giradischi; quando faceva così, era chiaro che aveva chiuso l’argomento ma senza dare agli altri la soddisfazione di avere l’ultima parola e bisognava starci. “Non mi dire …!” esclamò, tirando fuori dal mobile un vinile “hai addirittura un 33 giri della Deutsche Grammophone…Neuejahrskonzer in Wien 1991 – Wiener Philarmoniker und Claudio Abbado
Leggeva quel titolo solennemente come se fosse stata un’assidua frequentatrice del Festival di Salisburgo e fosse fluente nella lingua di Mozart, ma in realtà aveva solo brutti ricordi d’infanzia per l’estate passata in Svizzera a riprendersi da una brutta polmonite, sola e con una brutta governante dall’italiano sgangherato che la rimproverava perché non le piaceva bere il latte. In quanto alla musica classica le piaceva, ma non aveva mai approfondito gli studi oltre qualche lezione di piano dalle suore ricevuta da ragazzina. Ruggero invece era un cultore d’opera ed era l’unica ragione per cui di tanto in tanto lasciavano i Castelli per tornare a Roma.
“Appassionato anche tu?”
“Veramente no” ammise candidamente Alessandro, che non perdeva una prima all’Opera di Roma ma solo perché era uno di quegli eventi dove si va per incontrare gente e stringere mani “ma a Porta Portese ho quasi portato via un’intera bancarella che il proprietario mi ha fatto questo omaggio”
La donna mise la puntina sull’inizio del disco e lasciò partire valzer e altri balli da sala a cui invitò Giulia la quale, divertita, non si tirò di certo indietro: oltre alla scuola elementare aveva iniziato anche ad andare a scuola di danza e passava ore davanti allo specchio a ripetere le posizioni che le insegnavano alla sbarra o altre piccole coreografie, e quel diversivo era perfetto per tenerla lontana dalla tv, cosa a cui teneva tanto sua madre.
“Ruggero ma non potevi semplicemente portare un cotechino con contorno di lenticchie come fanno tutti gli esseri umani al Cenone di Capodanno?” domandò Maya mentre l’uomo era indaffarato a stendere funghi e speck su un rotolo di pasta sfoglia.
“Lo sai Maya, io o cucino a modo mio o non cucino proprio…”
Non le dispiaceva, quel cotechino travestito da filetto alla Wellington sarebbe stato certamente una prelibatezza, ma le era quasi venuto da ridere quando era arrivato a casa sua con tutti i ferri del mestiere che sembrava più un chirurgo del Gemelli che un uomo che cucina.
“La prossima volta che voglio fare una cena di lavoro ricordami di chiamarti…con un home chef in famiglia, chi me lo fa fare di andare al ristorante?!” L’uomo fu lusingato dalla battuta di Alessandro, ma mise subito un freno alle sue velleità, ricordandogli che per lui cucinare era un piacere e non un lavoro, lo faceva solo per la famiglia.
 
Una volta che la sala da ballo fu chiusa – a stare appresso a Giulia, dopo la prima polka Matilde era già col fiatone – era arrivata finalmente ora di dare una sistemata al tavolo. Maya avrebbe voluto farlo da sola, con calma, senza la Santa Inquisizione a controllare ogni sua mossa … come se non avesse imparato da lei, ma non c’era stato tempo materiale.
“Metti un runner?” domandò sua madre, nascondendo malamente lo sdegno “con tutte le belle tovaglie che ho nei cassetti”
“Nei cassetti di casa tua, che stanno bene con casa tua, non qui”
Quella era la sua casa: la casa di una giovane donna che si era trovata a ricostruire da zero la sua vita con poco e che stava iniziando a creare qualcosa con il suo compagno. Non era una casa da servizi di porcellana, tovaglie antiche e argenteria, sebbene avessero qualche mobile di modernariato e ogni tanto andavano a fare acquisti nei mercatini delle pulci. Ecco perché quella sera i suoi ospiti si sarebbero dovuti accontentare di piatti spaiati e tovagliette in rafia.
“Il mix and match è la novità di quest’anno, Matilde, parola di Roma Glam” dichiarò Alex, mentre spalmava del formaggio sui crostini “e se c’è qualcuno con cui essere tranquilli che non verrà fuori un’accozzaglia, quella persona è tua figlia”
Quando si era 
fatta avanti per organizzare il cenone di Capodanno a casa sua aveva dovuto fare per i conti con la prima esigenza di una vita non più solo di coppia, ma di famiglia; aveva bisogno di apparecchiare una tavola che non fosse per gli amici che si accontentano dei piatti usa e getta. A differenza di sua madre e sua suocera lei non aveva bisogno – né aveva spazio – per servizi che sarebbero rimasti chiusi in credenza ad eccezione di un paio di giorni l’anno, per questo si era messa alla ricerca di qualcosa che fosse adatto per il quotidiano, quando erano solo in due, ma che facesse la sua bella figura anche nelle occasioni speciali. Alla fine, quando aveva trovato quello che cercava e lei e Alex erano tornati a casa con le scatole del set aveva avuto una strana ma piacevole sensazione: era il primo passo concreto per quella convivenza che di lì a poco avrebbero sperimentato.
Lei che aveva sguazzato nelle formalità per anni, ora disponeva con soddisfazione sulla tavola i suoi piatti spaiati, e poco le importavano le occhiatacce della madre: a lei, che amava giocare con i colori, i tre colori che aveva scelto - bianco, sabbia e turchese - erano sembrati perfetti per creare contrasti e combinazioni. Lo stesso aveva fatto con i bicchieri, trovati a prezzo stracciato in un negozio che stava chiudendo i battenti; avrebbe taciuto sulle posate, che le aveva prestato la signora Rossi prima di partire per passare il Natale da sua sorella, visto che quelle che aveva adocchiato su internet non sarebbero arrivate in tempo. Più la tavola prendeva forma e più pensava che fosse una felice metafora di come era riuscita a mettere insieme tanti pezzi diversi nella sua vita, tante realtà differenti e a farle funzionare.
“Allora? Che ne dici? Mi promuovi comunque?” domandò a sua madre, una volta finito. “Mh, direi di sì, una volta accese le candele sarà più facile creare atmosfera”
Non era snob sua madre, né cattiva, ma ancora qualche volta le veniva spontaneo dare la priorità alle cose sbagliate. E sperava dunque che per quella serata avesse finito, e confidava nel suo buonsenso per non mettere a disagio Maria e Cesare, le persone più semplici e alla mano che conosceva.
“E i tuoi Alex?” domandò Ruggero.
“Stanno per arrivare” rispose l’uomo, sbirciando l’orologio al polso “conoscendo mia madre avrà cucinato più del dovuto per cena e ora mio padre starà borbottando per sistemare tutto in auto”
“Allora ho come l’impressione che tua madre e Ruggero andranno tremendamente d’accordo” ammiccò Matilde che per la prima volta si era avvicinata all’isola della cucina, ma solo per piluccare dal tagliere una fetta di salame; di contrabbando, passò una mozzarellina anche a Giulia che da dolce furbetta qual era la ringraziò con un bacio sulla guancia. E Matilde, che da quando nella sua vita erano entrati i nipoti di Ruggero non aspettava altro che diventare nonna, si sciolse in un brodo di giuggiole.
 
Alessandro in effetti era stato profetico, o semplicemente li conosceva fin troppo bene. Così come li aveva descritti, infatti, erano entrati in casa, con Cesare che borbottava per le mani quasi ustionate e altre storie sui vassoi e su quanto cibo avesse cucinato sua moglie: in sostanza, un copione d’ordinanza per i coniugi Bonelli. Maya si fece dare i cappotti e Maria, prima di entrare in soggiorno, raccomandò al marito di chiudere la bocca e calmarsi. “Non farmi fare le solite brutte figure!” lo fulminò.
“Io? E quando mai?” rispondeva puntualmente l’uomo con sua moglie che alzava gli occhi al cielo e lui, sornione, strizzava l’occhio alla sua nuora preferita che doveva impiegare tutte le sue forze per non far uscire nemmeno un risolino. Lei, del resto, voleva bene ad entrambi e voleva restare totalmente neutrale.
Maria entrò risoluta nella zona giorno, complice anche la nipotina che era accorsa sul pianerottolo appena aveva sentito il campanello suonare. Alessandro si era fatto avanti a dare una mano: non solo perché sembrava che a cena ci fosse un reggimento da quanta roba aveva portato con sé, ma soprattutto per allontanare Giulia dai nonni prima che facesse con loro lo stesso danno fatto con Matilde e Ruggero.
Il problema, però, nemmeno si poneva: Maria era talmente concentrata a spiegare a suo figlio e a sua nuora cosa aveva preparato per la cena, cosa doveva andare in forno a riscaldare e quant’altro che le presentazioni filarono via lisce in poche semplici parole, senza troppi convenevoli. Dritta al punto e senza fronzoli, come piaceva a Ruggero.
“Allora, qui c’è il primo” spiegò, scartando brevemente un angolino della teglia di alluminio usa e getta che rilasciò un’alta nuvola di vapore e un odore incredibilmente invitante.
“Ma’, ma hai fatto la lasagna? Ti avevo detto una cosa semplice…conoscendoti hai fatto pure la sfoglia in casa”
“Oh, stai tranquillo, è con le verdure, capirai che c’è voluto!” minimizzò la donna “una lasagnetta leggera leggera ci sta sempre bene a cena. E non c’è problema se avanza, tanto si riscalda! Non è vero signor Ruggero?”
“Ben detto!” E quella piccola frase per Ruggero bastava e avanzava per avere un ottimo biglietto da visita della signora che aveva di fronte.
“E poi col condimento avanzato ho fatto due polpette per l’amore bello mio che io lo so che non va tanto appresso alla carne” continuò, facendo un occhiolino alla nipotina che rispose con il dito sulla guancia; Giulia già pregustava, infatti, i manicaretti che la nonna le aveva appositamente preparato. Che poi, secondo Maya, di certo non era vero che le era avanzato il condimento, come spesso accadeva cucinava in abbondanza apposta per fare le polpette per la bimba, ma era un pensiero così dolce e così tipicamente da nonna che nessuno l’avrebbe rimproverata per quello. Nemmeno Ruggero, che si era tanto impegnato perché la cena fosse di gradimento per tutti: anche lui per i suoi nipoti faceva lo stesso, anche avvicinare i suoi piatti gourmet al fast food a stelle e strisce. E poi aveva tirato fuori anche un vassoio di crispelle, dolci e salate, una specialità del suo paese di origine che a detta sua nun me pare capodanno si nun le faccio, niente niente porta zella...
Dall’altro lato della barricata, nel salottino, la mamma di Maya stava servendo un cocktail analcolico, l’unica cosa Ruggero le lasciava fare quando si metteva lui ai fornelli. “Ora che la conosco signora Matilde capisco un sacco di cose su sua figlia” esordì Cesare, serio, con quel suo accento romano a marcare fortemente un italiano forzato “con una mamma così, Maya non poteva essere non essere altrettanto bella”
“Adulatore!” rise la donna, arrossendo garbatamente nascondendo la bocca dietro la mano, con raffinatezza “E io invece capisco da dove viene la galanteria di Alessandro”
“Signora non ci faccia caso e soprattutto non si abitui, tutte queste smancerie sono l’eccezione, non la regola” commentò Maria, fulminando il marito con un’occhiataccia eloquente. Dopo cinquant’anni insieme, era ancora gelosa marcia, ancora territoriale nei suoi confronti ma al punto giusto, senza esagerare. Un amore così Maya un po’ lo invidiava e un po’ cercava di carpirne i segreti. “Chissà perché a casa non le fai mai” continuò l’anziana, polemica “eh Cesare?”
“Che c’entra casa? Là ci sono i nipoti…ah signora Matilde, un capello bianco per ogni guaio che mi fanno passare da quando sono nati…se vuole un consiglio spassionato: i nipoti sono bellissimi, ma a sera mi creda dovrebbero tornarsene a casa loro. Alla nostra età…mia e della mia signora perché lei è giovanissima …uno c’ha bisogno un po’ di pace, mi creda”
 
“Papà?”
“Dimmi amore” Alessandro aveva trascurato un po’ la bambina con i preparativi ma tra i due forse era lui quello che se ne stava rammaricando di più: Giulia del resto, essendo la piccolina di casa, riceveva sempre tutte le attenzioni e non si sentiva mai messa da parte.
“Adesso a nonno e nonna posso dirgliela quella cosa?” Ma lo disse a voce così alta che nessuno poté far finta di ignorarla. A Cesare si rizzarono le orecchie, a maggior ragione quando uno sguardo complice passò tra sua moglie e Maya e Matilde, pur composta, ammiccava altrettanto complice.
“Che cosa me dovete dì?” scoppiò allora Cesare, ancora in piedi, poggiando il suo bicchiere sul tavolino di fronte al divano e portando le mani ai fianchi, come faceva sempre quando la sua sopportazione era al limite “Che tanto lo so che qua tutti sapete già tutto…poi avete pure il coraggio di dire che sono un impiccione. Se sono sempre l’ultimo a sapere le cose, si nun me dite mai niente, in qualche modo dovrò sapere quello che succede sotto al mio naso”
Alessandro scambiò uno sguardo di intesa con Maya: era un piccolo cenno, che ai più sarebbe passato inosservato, ma a loro bastava per dirsi che tergiversare non serviva più a niente, men che meno con Cesare che sembrava pieno di quell’attesa. Sapeva? No, ma era altamente probabile che qualcosa, a quel punto, l’avesse intuita.
“Lo sai che io vengo a vivere qui?!” dichiarò la bambina, orgogliosa.
“Che vor’ dì?” domandò il nonno, preso in contropiede.
“Giulia non è proprio così” la riprese il padre “spiegalo meglio”
Aveva detto la stessa cosa a Matilde e Ruggero, provocando la stessa, comprensibile, reazione; anche se la notizia non era propriamente corretta, l’unica cosa che alla bambina interessava di tutta quella storia era la conseguenza che avrebbe avuto su di lei. Le piaceva andare dove aveva vissuto il suo papà fino a quel momento, con le colazioni al bar e quell’aria da vacanza in città, ma le piaceva di più quella nuova idea che Maya e il suo papà avevano avuto: odiava dover andare via quando andavano a trovarla.
“Sì cocchetta, spiegalo meglio a nonno tuo…” la incalzò Cesare.
“Papà ha detto che viene ad abitare qui da Maya e quindi ci vengo pure io”
“Quando…” il padre la incoraggiò ad essere più precisa.
“Quando devo stare con papà…sì vabbeh” commentò Giulia, con il suo solito temperamento, come se quella precisazione che il padre le stava chiedendo di fare fosse ovvia e inutile e non interessasse a nessuno, in particolare a lei. Mancavano solo gli occhi al cielo per la seccatura.
“Ce l’ha fatta!” sentenziò l’uomo spalancando le braccia, aggirando completamente il figlio e rivolgendosi direttamente a Maya che gongolava, annuendo “mi chiedevo quanto ancora avrebbe aspettato…tra quella lì e i giudici arrivano prima i 18 anni di Giulia che il divorzio me sa…”
“Io sarei qui, papà, eh…buonasera”
“Almeno gliel’hai regalato un anellino a sta poverina?”
“Poverina? Maya, per piacere, almeno tu difendi quel po’ di reputazione che mi è rimasta…”
Ma prima della sua compagna ci pensò sua madre “Anellino? Ah Cè…” ma poi continuò bisbigliando all’orecchio del marito, facendogli notare l’anulare, dove la fedina di brillanti faceva bella mostra.
“Tu lo sapevi?” domandò indignato a sua moglie.
“Una madre sa anche quando non sa” chiosò, diplomatica “vero signora Matilde?”
“Ben detto!” confermò la madre di Maya, alzando il suo bicchiere con l’aperitivo.
Si unirono tutti al suo brindisi ma senza discorsi o manifestazioni plateali che non erano da loro e poi, without further ado, si spostarono a tavola per iniziare la cena, perché la convivialità, che entrambi avevano messo da parte a lungo, era diventata ora la parte più importante della loro vita, anche di quella di coppia. Loro, che per troppo tempo avevano avuto agende piene ma vite vuote, ora erano avidi di compagnia, di quella buona con cui puoi stare anche in silenzio e sentire di aver passato una serata indimenticabile, non di quelle messe su per forza, che si affannano a fare perché non condividono nulla in realtà.
 
“Allora, sei contento che divento tuo inquilino?”
“Mio che?” non è che Cesare non avesse capito cosa il figlio intendesse, è che sulla terrazza, con i fuochi d’artificio che dirompevano in cielo in mille colori e tuoni, si faceva davvero fatica a sentirsi pur a pochi centimetri di distanza. Alessandro ripeté la domanda, avvicinandosi all’orecchio del padre e alzando il volume della voce più che poteva…quasi non sentiva sé stesso. Il padre sorrise, sornione, senza guardare suo figlio ma rivolgendo il suo sguardo davanti a sé, in fondo al terrazzo, dove Maya e Giulia stavano con Matilde a guardare i botti, appoggiate al parapetto della terrazza, puntando ad ogni nuovo sparo in una direzione diversa.
Era soddisfatto, Cesare, che suo figlio fosse tornato in sé; forse tornato era la parola sbagliata, perché a lui per primo non interessava una marcia indietro. Sta di fatto che nell’uomo fatto e finito che stava di fianco a lui, alto e fiero, professionista di successo, padre attento, premuroso e rigoroso al punto giusto, Cesare rivedeva dopo tanti anni suo figlio, la versione cresciuta del ragazzetto di borgata che sfrecciava col suo motorino sotto casa: ora non faceva più le impennate col suo Piaggio senza casco, aveva due figli, un’azienda da mandare avanti, ma negli occhi quella stessa luce di allora e Cesare non lo aveva visto così per troppo tempo.
“Sei mio figlio, sei mio ospite, non inquilino…già mal digerivo che Maya pagasse l’affitto”
“Non se ne parla pà, i patti sono patti e lo sappiamo tutti e due a cosa ti servono questi soldi” Valerio non aveva voluto continuare gli studi, ma Daniele era ben determinato ad andare all’università e Anna, da sola, non poteva farcela.
“Siete uguali per me e mamma”
“La vostra parte con me l’avete fatta quando studiavo, non c’è bisogno che facciate ancora sacrifici inutili” Anche perché in un certo senso glieli aveva già imposti quando avevano cambiato casa, quando li aveva supplicati di non vendere quell’appartamento di Testaccio e per dare la caparra sulla casa alla Garbatella avevano dato fondo ai loro risparmi. “Altrimenti me la compro e tagliamo la testa al toro” Era un’idea che ronzava per la testa di Alessandro da un po’, che avrebbe risollevato i suoi e sua sorella, ma era ancora presto per fare progetti concreti, prima doveva sistemare tutti gli aspetti materiali del divorzio.
“Ecco, in questo non sei cambiato per niente” commentò suo padre.
“In cosa?”
“Niente … lascia stare, fisime mie”
Non era cambiato in questo, ma del resto come avrebbe potuto? Non gliele faceva una colpa, ma lui che era stato solo un operaio era costantemente stupito da quanto facilmente suo figlio potesse parlare di soldi con tanta leggerezza di comprare e vendere, spendere e spandere senza che fosse mai un problema. Ma in fondo, da padre, aveva sempre voluto il meglio per suo figlio e ora poteva toccare davvero con mano, con immenso orgoglio, tutto il meglio che suo figlio aveva ottenuto – sudando e faticando – dalla vita.
 
Erano le 2, forse anche più tardi. Gli ospiti erano andati via quasi controvoglia, trattenuti dalla piacevole compagnia. Ruggero, Maya lo sapeva bene, era un abile anfitrione e sapeva mettere a suo agio chiunque, persino Maria e Cesare che erano sempre molto diffidenti e riflessivi quando si trattava di conoscere qualcuno per la prima volta. Rimasti soli, lei ed Alessandro misero in ordine la zona giorno ma senza affannarsi troppo, ci avrebbero pensato meglio con la luce del sole e riposati al mattino o, perché no, anche al pomeriggio … il primo dell'anno potevano permettersi di non pensare alla sveglia.
“Giulia” sussurrò Alex, accucciandosi davanti al divano dove sua figlia, stremata dalle ore piccole, era crollata dal sonno “è ora di andare a casa Puffetta, è tardi”
“Voglio dormire” lagnò la piccola, stropicciando gli occhi e stiracchiandosi.
“Lo so, per questo andiamo a casa...dai papino!”
L'uomo si rialzò, lasciando alla bambina il tempo necessario di riconnettersi con il mondo circostante. Andò verso Maya, che appoggiata allo stipite dell'ingresso del soggiorno, lo guardava trasognata tenendo in mano le loro giacche.
“Non vedo l’ora che arrivi il giorno in cui non dovrò più darti la buonanotte al telefono” ammise l'uomo, prendendo il giaccone della compagna ed indossandolo “e invece lo farò guardandoti negli occhi e baciandoti”
Liberò il collo della donna dai capelli che ormai scendevano liberi ben oltre le spalle e con la sua mano fece gradita incursione fino alla nuca, accarezzando con il pollice la guancia. Senza nemmeno doversi chinare troppo, Alex eliminò la distanza tra sé e Maya poggiando le labbra sulle sue.
“Ma lo fai già...e molto spesso” fece notare la giovane, sorniona. La casa era in penombra, ma non serviva la luce per capire che ancora, dopo un anno, quei gesti la mandavano su di giri. Con la mano sul suo collo, Alex sentiva la giugulare pulsare veloce.
“Sai cosa voglio dire…”
“Sì, lo so” confermò Maya, abbassando lo sguardo; no, non era timidezza: era sottile seduzione. “E anche io non vedo l’ora” riprese “a tal proposito…perché non restate qui?”
“Restare qui?”
“Ma sì, il letto è grande e poi quanto spazio può occupare questo scricciolo?”
“Non lo so...certo l'offerta è allettante, ma non voglio farla dormire vestita e non abbiamo nemmeno un cambio per domani”
“Mmm...forse hai ragio- no aspetta un attimo, c'è quella tuta che ha sporcato qualche settimana fa e non ti avevo ridato”
Era una tuta felpata di Peppa Pig, gliel'avevano regalata i nonni materni ma lei la odiava perché diceva – giustamente – che era troppo grande per Peppa Pig e poi sembrava davvero un pigiama. Finiva per metterla solo quando era in casa per tutto il giorno e faceva sempre di tutto per sporcarla così da disfarsene il più velocemente possibile. Poi domani tornate a casa e le fai una bella doccia...non le vengono i pidocchi per una notte”
Alex rise al pensiero di Claudia che non avrebbe mai approvato, precisina com'era, un tale fuori programma: ma Claudia non c'era.
“Andiamo papà?!” Giulia si avvicinò al padre, appoggiandosi a lui di peso come fosse una colonna: in piedi sì, ma ancora assonnatissima: Alex la prese in braccio e la piccola – che non era poi più così piccola, subito sì accucciò sulla spalla del padre e meccanicamente chiuse gli occhi.
“Che dici Puffetta” domandò il padre, bisbigliandole all'orecchio “restiamo qui questa notte a dormire?”
“Con Maya?”
“Sì”
“Nel lettone?” Alex annuì, mentre attento scrutava il viso della bambina: era fondamentale per lui capire – anche se non era difficile da prevedere – la reazione della piccola di casa.
“Ok” rispose telegrafica, con somma sorpresa di tutti: il sonno evidentemente era più forte del suo affetto per la sua amica grande; “però” aggiunse, dopo un lungo sbadiglio “dormi te al centro”
“Io al centro? Va benissimo, ci dormo molto volentieri in mezzo alle mie donne”

Ritorna all'indice


Questa storia è archiviata su: EFP

/viewstory.php?sid=4071694