Happy birthday, once and for all!

di orikunie
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Tik Tok, on the clock ***
Capitolo 2: *** Tutte le mie prime volte ***



Capitolo 1
*** Tik Tok, on the clock ***




Per Tobio, leggere quel messaggio a mezzanotte e mezza è strano.
Strano per così tanti motivi che elencarli tutti sarebbe proprio una perdita di tempo. 

Strano perché, in primis, appunto, è notte fonda. E Tobio di solito a quell’ora è già nel tiepido abbraccio di Morfeo, accoccolato nel lenzuolo fresco e avvolgente. Mai e poi mai si sarebbe azzardato a rimanere sveglio così a lungo: la sua tabella di marcia prevede sempre una corsa mattutina che non può e non deve essere intralciata dal sonno arretrato.
Strano perché di norma, dalle ventidue, il suo cellulare  giace spento e dimenticato sul comodino, sotto carica, pronto a destarlo alle cinque e trenta minuti del mattino.
Strano perché dovrebbe essere irritato da quel mostruoso ritardo e tuttavia tutto quello che sente adesso è eccitazione che comunque lo terrebbe sveglio.
È la prima volta che lo fa.
È la prima volta che rimane in piedi fino a quell’ora, con gli occhi arrossati e infastiditi dalla luce asettica e bluastra del cellulare, a scrollare senza un fine preciso pagine social che, giustamente, non aggiornano e non postano nulla di interessante.
Ma lui deve rimanere sveglio. Se lo è imposto perché questa sera di giugno non è come le altre sere.
Questa sera potrebbe essere la prima volta di qualcosa.

E mentre impaziente osserva il tempo rallentare all’avvicinarsi della mezzanotte, calcia via il lenzuolo e si rotola prono.
Con suo stupore, l’orologio sullo schermo sembra volergli giocare uno strano scherzo: ha l’impressione che si sia bloccato e i minuti che separano le ventitré e cinquantasette minuti del venti giugno dal giorno successivo invece che tre diventano infiniti.
Si tortura i capelli, li afferra con entrambe le mani e con rabbia abbandona il cellulare sul cuscino, fiducioso che in questo modo darà sollievo alla sua smania e che il tempo riprenderà a scorrere normalmente.
Eppure, quando gli occhi vengono feriti di nuovo dalla luce dello schermo, i minuti sono ancora fermi a cinquantotto.

Impossibile.
Irrazionale.
Figurarsi se può accettare una cosa simile, uno smacco così fastidioso, proprio lui, Kageyama Tobio, giovanissimo e prodigioso alzatore che a diciassette anni ha già ricevuto la sua convocazione nella V-League.
Ha una percezione del tempo precisa, perfetta, conosce i cicli del proprio corpo maniacalmente: per esempio sa che ci vogliono trenta secondi esatti per recuperare dopo uno scambio di palla impegnativo durato almeno un minuto.
Ma quando si tratta di lui… ecco, tutto va a puttane. E si innervosisce perché ha pensato la parola puttane. Non che sia mai stato esageratamente sboccato, ma il nuovo coach che lo attende gli ha già preventivato di coltivare anche la sua immagine, di “Curare la percezione che il pubblico ha di te”, testuali parole. Che palle. Ops, di nuovo.
Vabbè, insomma, il succo del discorso è… a che pro? Doversi fermare a fine partita a rispondere ai giornalisti piuttosto che pensare al proprio corpo che necessita di cure immediate è una stron-... una gran perdita di tempo.

 

Tempo.

Quasi gli sfugge il cellulare dalle dita quando si affretta a risvegliarlo dallo standby. 

Mezzanotte e un minuto. 

Cazzo. Oh no, lo ha fatto ancora.
Si morde la lingua come se avesse parlato ad alta voce, come per punirsi, e apre freneticamente il programma di messaggistica.
Sbaglia un paio di volte a trovare il contatto giusto, tanto che a una certa pensa sia un autosabotaggio: anche perché il contatto è fissato lì in alto, il primo, come sempre. 

Quelli più giù sono di sua madre e di Miwa. Sua sorella gli invia almeno un messaggio al giorno. L’ha presa come abitudine da quando è uscita di casa e Tobio trova la cosa fastidiosa. Un po’ una forzatura della loro relazione fratello/sorella, da sempre vagamente insipida. Ma la mamma ci tiene un sacco, quindi forse Miwa gli scrive di più per fare contenta la madre che non per sapere davvero come sta.
Lo sguardo cade nuovamente sui numeri in alto a sinistra dello schermo. 

Mezzanotte e due minuti.
Inaccettabile.
E va anche vagamente nel panico quando apre la chat corretta e legge lo stato: online

Ecco. 

Lui avrà già ricevuto altre decine di messaggi in quei due minuti.
Sicuramente Yachi si sarà messa la sveglia, o avrà programmato un messaggio.
Programmare l’invio di un messaggio.
Maledizione, quella è una cosa a cui avrebbe dovuto pensare lui. Assurdo che non gli sia venuto in mente prima.
Eppure… quella scritta online gli mette i brividi.
È un po’ come se lui fosse lì in attesa, con il telefono fra le mani. Un po’ come se i suoi occhi nocciola lo stessero guardando tramite quello stato, con il fiato sospeso. Con le lentiggini illuminate dalla luce fredda del monitor, nell’oscurità della sua stanza. Probabilmente è appena rincasato dal lavoro part-time che si è trovato, secondo i suoi calcoli non ha ancora fatto una doccia, puzzerà come una capra, ma comunque si è buttato sul letto. Disgustoso.
Mezzanotte e tre minuti.

Tre fottutissimi minuti di ritardo.

Di nuovo, una parolaccia. Di questo passo l’ allenatore dovrà inserirlo in qualche stupido programma di mental coach per il controllo della rabbia.
Tobio, se fai così spaventi i fan.” Ci ha parlato poche volte, ma la sua voce se la figura in testa perfettamente e risuona su tutte le pareti della scatola cranica. Lui vuole giocare a pallavolo, fanculo i fan.
… Non va bene per nulla questa cosa.
Quando abbassa un’altra volta lo sguardo, i minuti sono diventati quattro. E nel constatarlo, inizia a pensare che il ritardo sia talmente eclatante da aver creato un gap incolmabile.
Cioè, ha davvero senso ora inviare il messaggio? Quattro minuti di ritardo.
Dire quattro minuti oppure ventitré ore, cinquantasette minuti e cinquantanove secondi facendosi sfuggire quella giornata è praticamente la stessa cosa.
Quando si parla di proroghe simili è inutile insistere. Ha semplicemente perso il momento.
È rimasto sveglio tre ore, quattro - anzi cinque ormai - minuti e trenta secondi per nulla. Ha perso tre ore, cinque… vabbè, insomma, abbiamo capito, tutto questo tempo per poi lasciar perdere.
Tobio sei un codardo. Te lo eri ripromesso, no? Quest’anno sarebbe stato diverso. Quest’anno doveva essere diverso perché aveva fatto una stron… una stupidaggine dietro l’altra in quelli precedenti. Quest’anno lo avrebbe festeggiato in un modo migliore, speciale. Quest’anno sarebbe stato lui una persona migliore, un amico, un uomo migliore… e avrebbe reso quell’esperienza unica, come sarebbe dovuta essere, no? E l'avrebbe fatto con un gesto che per Hinata sarebbe stata probabilmente una sciocchezza, ma che per Tobio valeva lo sforzo di un coraggio accumulato in tre anni di liceo.
Così sarebbe dovuto essere e invece, come sempre, è stato capace di mandare tutto a farsi fottere.
Sì, coach, hai capito bene. Ho mandato tutto a farsi fottere.
Fanculo le buone maniere. È arrabbiato. È arrabbiato con se stesso, con la sua immotivata fiducia nelle sue scarse capacità comunicative - che, diciamocelo, al tramonto dei diciassette anni dovrebbero essere almeno in parte date per assodate - e furioso con quell’idiota che si era reso schifosamente speciale da meritarsi tutte quelle ore di sonno perse.
Speciale.
Quando Tobio fa di nuovo i conti su quanto poco tempo manchi alla sua sveglia, ormai arresosi alla realtà che no, non invierà mai quel messaggio, pensa che… Hinata sia veramente speciale.
Hinata Shoyo vale cinque ore, cinquantacin…cinquantasette minuti di sonno. E andranno calando, ne è sicuro. Una follia.
Il pensiero risulta irritante, tanto che si stringe nelle spalle quando digrigna i denti e ne risulta uno stridio fastidioso che gli fa accapponare la pelle.
D’altro canto, Hinata è così.
Glielo ha detto lui che è una calamita, no?

Scuote la testa e riordina i pensieri, arrossendo un po’.
Gli ha detto lui che è l’esca più forte. E l’esca più forte cosa fa? Calamita gli occhi di chi lo guarda. E lo fa bene. Maledettamente bene. Lui acceca. In campo, Hinata funge da specchietto per le allodole, è quel fascio di luce che parte da una superficie riflettente e ti colpisce dritto negli occhi. E prima che tu te ne accorga rimani stregato e cieco al resto del mondo e stai lì a farti bruciare la retina da quel raggio di sole.
Tobio si volta supino e si schianta entrambe le mani in volto, lasciando cadere il cellulare con un tonfo sul proprio petto. Si strofina gli occhi che pizzicano, assonnati. Eppure sa che prenderà sonno a fatica.
Raggio di sole.
Sono proprio un coglione, faccio pensieri così profondi però non sono capace di augurargli buon compleanno a mezzanotte.

Hinata compie diciotto anni. Diciotto.
La verità di tutto questo trambusto emotivo? È l’ultimo che quel boke festeggia in Giappone.

“E quindi?”, uno direbbe, “Dove sta la motivazione di tutta questa angoscia? In fondo può mandargli gli auguri a mezzanotte anche in Brasile.” Fra di loro ci saranno solo diciassettemila trecentosessanta chilometri, una distanza che non impedisce certo a un messaggio di arrivare in tempo reale.
Sicuramente con un ritardo meno vergognoso di quello che ho fatto io stasera.

Il vero problema è che Tobio si è fatto mille aspettative e questo messaggio di tanti auguri non sarebbe dovuto essere un semplice messaggio.
Aveva iniziato una settimana prima costruendosi castelli nella testa.
Il quindici di giugno si era detto: quest’anno gli faccio un regalo.
Ma l’idea era affogata di fronte ad una pasticceria: era sicuro che a Hinata sarebbe piaciuto un dolce, ma il dolce in questione si sarebbe guastato in sei giorni, e non avrebbe mai ritrovato il coraggio di entrare in pasticceria il giorno stesso del suo compleanno.
Poi il sedici giugno, con il pizzicore che gli provocava la parola giugno nella nuca, aveva pensato che forse poteva offrirgli la cena. Ma la sola idea di chiedere a Hinata di uscire a cena gli aveva fatto sbagliare un’alzata ad un allenamento di prova con la nuova squadra, e aveva avuto lo sguardo allibito di tutti addosso. Avrebbe voluto scavarsi una fossa e sparire. E come ripicca quel giorno non aveva nemmeno risposto ai messaggi di Hinata che era arrivato a chiamarlo, preoccupato. Come se fosse stata colpa sua. Ovviamente lo era, no? È sempre colpa di quel boke.
Il diciassette di Giugno iniziava a sentire un fastidioso bruciore di stomaco e aveva optato per offrirgli il pranzo. Meno formale. Oltretutto lo aveva fatto altre centinaia di volte, a scuola, quando Hinata dimenticava a casa il suo bento e condividevano quello che gli aveva preparato la mamma. Il solo pensiero di tutte le occasioni in cui si erano sfiorati le dita appiccicose di cibo per accaparrarsi il pezzo di frittata più grande gli fa venire i brividi. Non ha senso invitarlo a pranzo, si sarebbe per certo trovato le sue manacce nel piatto.
Il diciotto giugno finalmente aveva messo da parte l’idea del cibo. Ok, un regalo sportivo. Lo avrebbe apprezzato, giusto? Il problema era che in meno di un anno si sarebbe trasferito in Brasile a giocare a Beach Volley — il suono di quella parola ancora è stopposo nella sua testa, proprio non riesce a digerire l’idea e sarebbe stato costretto ad abbandonare tutto in Giappone. Ginocchiere, scarpe. Il tape non lo aveva mai usato e da idiota quale era, non sarebbe mai stato capace di farlo. L’aveva subito immaginato ricoperto di strisce colorate messe a caso.

Il diciannove giugno aveva deciso infine che l’idea migliore sarebbe stata giocare. Quale miglior modo di passare il suo compleanno, se non a schiacciare le proprie alzate perfette? Un vero regalo, una concessione d’oro. Si sarebbe preso qualche ora di pausa e… ma no, che scemenza. Non sarebbe stato nulla di speciale.
Il venti giugno si era arreso all’idea che il miglior regalo che potesse fargli fosse augurargli buon compleanno. Poteva sembrare un’ovvietà, ma Kageyama non si era mai speso per fargli dei veri, sinceri e sentiti auguri. Per tre anni si era ritrovato a masticare un ‘auguri’ fra i denti, soffocato da quelli entusiasti dei compagni di squadra. Quest’anno sarebbe stato diverso.
Avrebbe aspettato sveglio e sarebbe stato il primo. E in un angolino remoto della sua testa aveva anche pensato che… sarebbe stato fico farlo di fronte a casa sua.
Si era immaginato di vedere Natsu che lo sbirciava con aria terrorizzata da dietro una tenda. E lui in silenzio avrebbe aspettato, calciando ciottoli giù dalla collina, finché non lo avrebbe sentito tornare con la sua bicicletta cigolante.
Lo avrebbe visto risalire il sentiero tutto accaldato, illuminato dalla luce dei lampioni. Si sarebbe tolto il cappello di tela bianco e avrebbe sgranato gli occhi quando lo avrebbe visto in piedi, di fronte al muretto. Poi avrebbe accelerato il passo e lui sarebbe rimasto lì immobile fingendo che fosse tutto ok e che il cuore non gli stesse esplodendo nel petto, finché una volta l’uno di fronte all’altro non gli avrebbe detto “Buon compleanno, Hinata”. E Hinata avrebbe sorriso. Avrebbe fatto un sorriso enorme, felicissimo, raggiante.
Ce l’ha stampato nella testa quasi come fosse successo veramente e sta per fare un lungo sospiro quando il cellulare gli vibra sul petto.
Lo afferra, i numerini in bianco indicano mezzanotte e quindici minuti.
La chat con Hinata è ancora aperta e proprio lui gli ha appena inviato un messaggio.

Hinata Shoyo
    Non riesci a dormire?

I primi istanti di panico vengono sostituiti dal dubbio. 

L’istinto gli suggerisce di dargli dell’idiota e di non rompergli le palle, che al massimo lo ha svegliato lui, ma… la realizzazione arriva come un fulmine a ciel sereno.
Nella barra di scrittura svettano due lettere vicine e la barra verticale lampeggia subito dopo.


mb |


Per sbaglio deve aver premuto qualche tasto a caso sul tastierino e Hinata aveva visto che gli stava scrivendo.
Che figuraccia.
Potrebbe dirgli che si è sbagliato, no? Il problema è che non ha nemmeno la scusa di una sorella minore che gioca con il suo telefono, scusa per altro utilizzata spesso da Hinata. Kageyama lo insultava ogni volta quando succedeva, ma in cuor suo gli piaceva l’idea che potessero essere bugie dette solo per avere la sua attenzione e per poter parlare insieme.
Insomma, si è messo in un pasticcio.

Kageyama Tobio
      No

 

Semplice. Conciso. Impanicato, in realtà.
Non sa che dirgli, di solito è Hinata quella che ha sempre la battuta pronta, la frase giusta al momento giusto.
Lui è quello silenzioso che si mangia le parole e al massimo alza la voce.

Hinata Shoyo
     Ti va qualche palleggio notturno??

Tobio si piega a quell’improvvisa scarica di adrenalina e si prepara.


CONTINUA

 

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Capitolo 2
*** Tutte le mie prime volte ***


È mezzanotte e quarantacinque minuti quando Hinata passa a prenderlo sotto casa, a bordo della sua fedele bicicletta cigolante.
In volto ha stampato quel sorriso radioso che Tobio si era immaginato poco prima, con l’unica differenza di non esibire la pelle accaldata che aveva colorato la sua immaginazione.
Comunque, trovarsi di fronte a lui gli fa attorcigliare lo stomaco. Sia in senso buono, perché ormai lo ha capito che Hinata gli fa quell’effetto; sia in senso cattivo, perché nella sua testa continua a ripetersi “È il suo compleanno. È il suo compleanno. È il suo compleanno.” Ed è un po’ come se si trovasse in uno di quei quei sogni dove ha paura e vorrebbe urlare fortissimo, ma la voce non vuole uscire.
È una fortuna che Hinata riempia perfettamente quel suo ostinato e teso silenzio.
Parla di questo, di quello.
Parla della pallavolo, del suo lavoro, del Brasile. 

Il fatto che si vedano pochissimo a causa degli impegni reciproci fa sì che, quelle poche volte che riescono a farlo, Hinata voglia raccontargli mille cose.
E il Tobio di qualche anno prima gli avrebbe sicuramente dato un pugno in testa per zittirlo, ma il Tobio di oggi ringrazia ogni sillaba che viene scandita dalla sua lingua.
È un po’ come se si sentisse sollevato dal proprio dovere: in fondo non è colpa sua se non gli ha ancora fatto gli auguri, è solo che lui parla troppo e non riesce a prendere la parola, tutto qui.
Fra uno “Sbam!” e un “Gwaaah!” arrivano al solito parco, Hinata abbandona la bicicletta sotto alla luce ballerina di un lampione e iniziano a fare qualche palleggio.
La voce squillante di Hinata scompare, resta solo il frinire dei grilli e il rumore di qualche auto che passa nelle vie adiacenti. Il dolce tonfo della palla che si appoggia alle loro dita e viene rimandata in aria è confortante, ritmico, e Tobio viene cullato da quella che gli sembra una ninna nanna.
Non passa molto prima che la stanchezza si faccia sentire: le gambe diventano molli e le ginocchia tremano di tanto in tanto sotto il suo peso. Diventa quasi un movimento automatico, quel leggero piegamento dei gomiti e delle dita per risollevare la palla in aria… tanto che, arrivato di nuovo il suo turno, non si accorge che la Mikasa ci mette troppo ad arrivare.
Un sogghigno lo distrae e sussulta destandosi dal suo torpore. Quando riporta lo sguardo di fronte a sé quasi viene investito dalle vertigini dato il repentino movimento del capo, e barcolla: Hinata reclina la testa di lato e stringe le labbra, l’espressione di chi sta trattenendo a malapena le risate.
« Sei stanco, ne*? »
Stanco è un eufemismo.
Kageyama non crede di essersi mai sentito così assonnato in vita sua. È convinto che se si stendesse sull’erba fresca si addormenterebbe immediatamente, proprio come ha visto fare tante volte a Natsu, la sorellina di Hinata, quando insisteva per giocare con loro in giardino e poi crollava fra i ciuffi d’erba, esausta. Si strofina gli occhi e si morde le labbra per sedare uno sbadiglio che gli contorce il volto.
« Hei, Kageyama, grazie. »
« Mh? »
Tobio alza lo sguardo impiastricciato dalla stanchezza e sussulta. Il sorriso che ora sfoggia Hinata è di una tenerezza meravigliosa, invitante, calda. Le labbra appena tirate disegnano due fossette deliziose, due virgole sotto un mare di lentiggini. 

Kageyama si sente sciogliere, avverte tutta la sua compostezza smantellarsi pezzo per pezzo, secondo per secondo, minuto per minuto.
Il tempo, certezza inoppugnabile della vita di Tobio, all’improvviso lo tradisce: inizia a contrarsi e dilatarsi a ritmo con il battito del cuore che ora gli galoppa nel petto, lasciandolo senza fiato e diventando responsabile della sua perdita di contatto con la realtà.
Percepisce le guance accaldate e l’imbarazzo colorargli il viso, le orecchie, il collo… e spera che le ombre notturne possano nascondere quell'insieme di emozioni: la verità è che le sente così amplificate, così rumorose nel suo petto, che ha l’impressione che stia tutto colando fuori dal suo corpo, che trasudi dalla sua pelle in copiose gocce. Eppure sudare era sempre stata una cosa fisiologica, una risposta naturale del suo corpo in funzione della regolazione termica. Allo stato attuale invece, risulta irrazionale, immotivata, esagerata.
« Ho detto grazie, Bakayama! Questo è… il miglior regalo di compleanno di sempre! »
E nel dirlo Hinata esplode in una risata che ricorda quei video che aveva visto a scuola nell’ora di scienze, quando il professore proiettava sul muro le simulazioni di due galassie che collidono. Quelle labbra tese non gli illuminano solo il viso, perché Hinata sembra risplendere nell’oscurità. E Tobio per un attimo smette di respirare.
No, non è il momento di perdersi, sveglia. Questo è troppo importante.
Kageyama deglutisce, scuote il capo per riprendersi e ragiona sulle sue parole, sfoggiando la più perplessa delle espressioni. « Che stai dicendo, idiota?! Io non ti ho fatto proprio nessun regalo! »
Di nuovo Hinata ride, e come spesso accade Tobio si sente combattuto fra la voglia di spaccargli la faccia e quella di imprimersi quel suono nella testa.
« Nessun regalo? ‘Yama, pensi che non ti conosca?! È  il regalo migliore che potessi farmi! »
Nel dirlo estrae il cellulare dalla tasca e si avvicina: Tobio non registra nemmeno i due passi indietro che i propri piedi muovono d’istinto . 

Hinata gli mostra il blocco schermo del suo telefono: l’ora indica le due e trenta minuti. Quasi non ci crede, è più di un’ora e trenta minuti che giocano e chiacchierano.
« Tu mi hai regalato il tuo tempo. E lo so quanto è prezioso, sai? Lo so che sei un maniaco ossessivo col tuo stupido orologio biologico! Eppure… eccoti qui, a fare uno strappo alla regola… per me. »
Un colpo di cannone lo avrebbe reso sicuramente meno sordo. Le orecchie fischiano ed è sicuro che non sta respirando.
Mentre ripone il cellulare in tasca, Hinata arrossisce.
Arrossisce.
E per sua sfortuna Kageyama conosce quel sintomo. Lo conosce così bene da averlo provato più e più volte sulla propria pelle ogni volta che Hinata gli saltava sulla schiena a tradimento, ogni volta che si cambiavano negli spogliatoi e i propri occhi indugiavano sulla sua pancia piatta e sulla peluria ramata che spariva sotto l’elastico dei pantaloncini. 

« È la prima volta che arrossisci con me. »
Gli esce così: a Tobio quelle parole si srotolano sulla lingua e affiorano sulle labbra con una naturalezza disarmante, con un tono così dolce e imbranato al tempo stesso che quasi non si riconosce. Non ha nemmeno avuto il tempo di pensarle che già avevano rotto il silenzio. E una volta presa coscienza del misfatto, succhia l’aria fra le labbra e si morde la lingua e rimane lì, immobile, terrorizzato, con il petto gonfio che minaccia di esplodere. 

« Tu dici? Allora è la nostra prima volta…! » Hinata ride a denti stretti, gli occhi quasi scompaiono dietro gli zigomi: dondola sui talloni e si nasconde il viso fra le mani, chiaramente imbarazzato da quello che ha appena detto.
Hinata, cosa ti passa per la testa…?
Lo osserva stropicciarsi le guance e poi afferrarsi i capelli, stringe forte gli occhi e si morde il labbro inferiore, rivolgendo il volto verso il cielo stellato.
Talmente bello in quel momento di passione e sofferenza che Tobio legge tutto il suo tormento: perché Hinata è cristallino come l’acqua, trasparente come un vetro. È come se vedesse i suoi pensieri contorcergli il viso e disegnare rughe fra gli occhi e linee dure sulla mandibola. Si incendia e diventa un tutt'uno di sfumature rosso/arancioni con i suoi capelli, fiamme che gli adornano i lineamenti nell’oscurità.
E Tobio non può che ammirare in silenzio e subire: e il suo corpo risponde a quel richiamo, arde di emozioni nuove e i pensieri si aggrovigliano nella testa.
Kageyama, per la prima volta nella sua vita, spera.
« Yama… »
Hinata tiene ancora le mani a coppa sotto il viso, sono pronte a nasconderlo di nuovo se dovesse rendersi necessario, Kageyama lo sa perché vede chiaramente le spalle contratte e tutto il suo essere tentare di rannicchiarsi su se stesso e scomparire.
Lo guarda deglutire, prendere tempo, aprire le labbra e non produrre alcun suono. Contempla il suo viso che si contorce in qualcosa di nuovo e amaro: insicurezza, incertezza.
E proprio mentre sta per leggere la sconfitta in quei lineamenti tesi, Tobio esplode: si lancia e lo avvolge in un abbraccio che sente essere la cosa giusta da fare.
Lui trema sotto il suo tocco, madido di sudore proprio come lui. La loro pelle scivola l’una contro l’altra, Hinata si contorce, cerca di divincolarsi nelle sue braccia, uggiolando e ringhiando ma… è sublime quando finalmente lo avverte arrendersi e sospirare. E dopo quel respiro, una magia: i loro corpi fanno quello che Tobio, in fondo, sapeva fosse possibile. Si incastrano. Si adattano perfettamente l’uno all’altro. Quando uno inspira, l’altro espira e viceversa, in una danza, senza mai contrastarsi.
È sempre stato così tra loro, perfettamente armonizzati in un rapporto complicato, a cui Tobio sapeva mancare qualcosa.

E quel qualcosa inizia a crescergli dentro, monta come una risacca a minacciose ondate schiumose e rumorose, a ritmo con un battito cardiaco violento e incalzante.
« … vorrei tu fossi tutte le mie prime volte. »
La voce di Hinata gli entra nel petto, crea una breccia proprio lì dove le parole sono state pronunciate e si infiltra nella sua cassa toracica; lì mette radici, ma quando nasce non sboccia come un fiore. Implode.
Il mondo, così come Tobio lo conosceva, sembra collassargli addosso. Tutto. Dal terreno sotto i suoi piedi, ai lampioni, al cielo e alle stelle: l’universo gli cade dentro, riversandosi con in lui e comprimendolo. Tutto si focalizza in un unico punto minuscolo al centro del proprio cuore, crea una pressione immensa e insopportabile e poi, finalmente, esplode.
Tobio divampa su Hinata quando le loro bocche collidono.
E quando riapre le palpebre, tremante per quello che gli è appena successo, si ritrova i suoi occhi addosso, enormi, pupille affamate e dilatate piantate nelle sue. Le loro labbra sono ancora lì, le une vicinissime alle altre, a respirarsi addosso.
E che sensazione gloriosa è sentire le braccia di Hinata risalire insicure al proprio collo, avvolgerlo e avvicinarlo. E di nuovo le loro labbra si toccano. Gli occhi si chiudono e si riaprono quando si separano. È un rituale strano e tutte le consapevolezze di Tobio si attorcigliano perché non capisce come sia possibile che sappia quello che sta facendo. È tutto perfettamente perfetto, tutto al posto giusto. Le mani, le labbra e persino la testa sanno benissimo quello che stanno facendo. Un istinto primordiale risvegliato in lui e che muove il suo corpo come un burattinaio esperto, nonostante sia tutto così nuovo.

Il respiro gli si spezza nel torace quando ancora una volta si lascia cadere su Hinata e congiunge le loro bocche: qualche frammento di secondo prima che accada avverte lo sguardo di Shoyo fare scintille. E una deve essere finita direttamente sulle sue labbra, che sembrano prendere fuoco.
Si stringono così forte l’uno all’altro che Tobio percepisce ogni sporgenza ossea di Hinata pungerlo dolorosamente. E ora vuole respirarlo, vuole divorarlo, vuole riempirsi i polmoni e lo stomaco di Hinata che, come se lo sapesse, gli geme in bocca mescolando le loro salive, facendo scivolare le lingue l’una sull’altra.

È un crescendo di desiderio meschino, qualcosa che dà a Tobio una frustrazione incolmabile. Le mani si aggrappano, strappano, stringono nel tentativo di sedare quella brama senza fine. 

Ancora. Ti prego.

È un qualcosa che si concentra dove i loro corpi si toccano con più insistenza. Lo arde vivo, e di nuovo avverte quella sensazione di implosione, come se avesse un buco nero al posto dell’addome determinato a risucchiare Shoyo e intrappolarlo al suo interno.
E ringrazia l’albero a cui si appoggia e che gli sorregge la schiena, perché non è più padrone del suo corpo e anche il solo rimanere in posizione eretta si sta rivelando un compito arduo.
Le mani spingono Hinata lì, verso il centro del suo tutto, dove si incanala la propria passione.
E lui mugola ansimandogli in bocca, afferrandogli i capelli disperatamente e tirandoli fino a fargli male, ma Tobio non si ribella perché sa che è tutto proprio come dovrebbe essere: straziante, sconvolgente, opprimente.
Boccheggia sulle sue labbra e sa di aver pronunciato il suo nome più volte e di rimando, nella nebbia della passione, sente Hinata fargli eco e rispondergli.
Tobio respira forte, fortissimo. La gola fa male, la bocca fa male, la mandibola fa male.
Le orecchie sono ovattate dalla pressione sanguigna che si alza, sente le labbra umide di saliva pulsare, quasi esplodere quando Hinata le abbandona per posargli un bacio bagnato e bollente sul mento.
Eccola.

Tobio sussulta e spalanca gli occhi.
La percepisce chiaramente. È una scintilla di coraggio, una sensazione che risale dall’addome e si arrampica nelle viscere fino a raggiungere il petto.
Io… posso farcela!

È con trasporto che Tobio afferra il viso di Hinata con entrambe le mani e lo guarda fisso negli occhi, e dai non guardarmi così idiota, ci sono quasi…!
« Hinata…! »
« Sì…?! » Lui si sporge in avanti e gli afferra i polsi, ha gli occhi che brillano più del cielo stellato sulle loro teste, ricolmi di un’aspettativa che lo arde vivo. 

Hanno entrambi il respiro sospeso: l’istinto di Kageyama di baciarlo ancora e lasciare perdere il suo obiettivo è una tentazione a cui non deve cedere.
Prende un profondo respiro e Hinata già sorride. Certo che sorride. Lui ce la sta facendo!
« … buon compleanno! »
L’ha fatto. Tobio si sente invincibile. Ci ha messo quasi tre ore, ma ce l’ha fatta. È come se si fosse improvvisamente svuotato e nuovamente riempito al tempo stesso: svuotato di un peso, ma ricolmo di un sentimento enorme, pesante, infinito che lo completa.
Gonfia il petto e un sorriso soddisfatto gli si allarga in viso… ma, con suo stupore, Hinata mette il broncio.
« Sei serio? »
…Uh?
Impiega un attimo a rispondere. È come se gli fosse caduto un masso in testa.
« Che? … Perchè?! Ti sembra che stia scherzando, pezzo d’imbecille?! » Gli basta un niente per accendersi. Che vuol dire “Sei serio?”?!
« Veramente hai rovinato il momento solo per farmi gli auguri?! »
Hinata si divincola dalla sua presa e fa qualche passo indietro, incrociando le braccia sul petto. Il rossore dolce dell’imbarazzo che gli adornava il viso scompare.
Tobio è maledettamente, fottutamente confuso. « Scusa, ti aspettavi che ti dicessi cosa esattamente?! Te ne stavi lì con quella faccia ebete in attesa! »
« C’erano altre decine di cose che potevi dire! »
E sì, nella furia del momento comunque Kageyama ringrazia che siano le due di notte e che non ci siano abitazioni nelle vicinanze: perchè stanno facendo a gara a chi alza di più la voce. L’ultima cosa che gli serve prima di entrare nella V-League è una denuncia per disturbo della quiete pubblica. Altro che mental coach.
« Ah si?! Tipo cosa, sentiamo! »
« Tipo…! »
Ma proprio mentre allarga le braccia, il viso di Hinata vira su tutte le sfumature del rosso e si zittisce. E Kageyama non può fare a meno di sentirsi ancora più perplesso.

Silenzio.
Black out.

Hinata boccheggia e la sua espressione, da imbronciata quale era, assume una sfumatura amara, e non lo aiuta a capire.
Il vecchio mondo che gli era collassato addosso per poi esplodere e mutare in qualcosa di così vivo e stupendo, quasi cosmico, torna ad essere freddo.
Le sicurezze a cui si era sempre aggrappato, come lo scorrere del tempo, tornano precipitosamente a lui come a volerlo aiutare, a volerlo sorreggere in questo vuoto assoluto in cui sta cadendo. I secondi tornano a scandire il tempo in un ticchettio angosciante nella testa, come una bomba che minaccia di esplodere.
Proprio quando credeva di aver raggiunto il suo massimo, il suo apice, di aver dato il tutto per tutto, scopre che Hinata è di nuovo un passo avanti a lui. E non lo riesce a raggiungere, perché percepisce in qualche modo che il ragazzo, che sembra non conoscere più così bene, sta diventando per lui inafferrabile.

D’improvviso, le parole che gli aveva detto poco prima perdono di senso: “È il regalo migliore che potessi farmi!”. 

Sei un bugiardo, Hinata. Sei un ingordo e un egoista. E io più di così non posso fare.

Ma le parole vengono pronunciate solo nella sua testa, e tutto sommato suonano come una rassicurazione. Tobio Kageyama è uno che conosce i propri limiti meglio di chiunque altro al mondo.
Vorrebbe scusarsi, quando avverte i muscoli rilasciare la tensione accumulata e tutto il suo corpo sembra voler scrivere la parola resa. Vorrebbe scusarsi perchè Hinata ha l’espressione del terrore in viso, quella di chi pensava di avere la vittoria in pugno e se l’è vista sfuggire dalle mani.

Quando lo vede muoversi verso di lui, Tobio si aspetta di ricevere un pugno.
E invece passa oltre, dandogli una spallata che lo fa incespicare.
Avrei preferito un pugno.
Ma è andata così, pensa, mentre il cigolio della bicicletta di Hinata si allontana.
E Tobio cerca disperato di riallacciarsi ai suoi secondi, minuti e ore che questa notte lo hanno tradito, abbandonandolo. 

Sussulta accorgendosi del chiarore del cielo, sorpreso da un’alba che, contro ogni aspettativa, è già arrivata.
Questa notte ha imparato un’altra lezione importante.
Il suo spazio e il suo tempo sono stati calpestati e rimodulati da Hinata.
Quel bacio ha sconvolto il mondo di Tobio e ha tarato di nuovo l’affezionato orologio biologico che pensava di conoscere come il palmo della propria mano.
Hinata voleva che lui fosse tutte le sue prime volte, gli aveva detto.
In fondo sa che non sarà mai all’altezza di questa richiesta, e sa che la sua testa sta navigando in un oceano inesplorato e confuso, mentre ci ripensa. Non ha idea di cosa volesse dire il boke con quelle parole ma… se Tobio è riuscito a raccogliere il coraggio una volta, è sicuro di poterlo fare di nuovo.
Fanculo. Io VOGLIO essere tutte le tue prime volte! Qualsiasi esse siano!
 

Si volta in direzione della collina e si lancia in una corsa sfrenata, sentendo già su di sè gli occhi curiosi di una bimba sbirciare lui e suo fratello da dietro le tende della propria cameretta. 




NOTE DELL'AUTRICE

Grazie per aver letto questa fic partecipante alla challenge “Prime volte” del gruppo facebook ‘Komorebi Community’.
Come parole chiave per questa fic ho utilizzato MESSAGGIO, MEZZANOTTE e COMPLEANNO.
Come sempre, ringrazio la meravigliosa e fantastica Giorgi_B che esegue questi splendidi lavori di restauro sulle mie fanfiction, la mia beta fidata, unica nel suo genere <3 La mia gioia <3

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