Dei sperduti

di the beast02
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Ombre sulla valle ***
Capitolo 2: *** Coloro che guardano ***



Capitolo 1
*** Ombre sulla valle ***


Un rumore si levò da sotto il pavimento, poi un altro seguitò subito dopo, e un altro ancora a seguire. Catherine si girò nel letto tentando di ignorare quei rumori ritmati che si avvicinavano sempre di più. La ragazza aprì lentamente gli occhi e spostò una ciocca di capelli rossastri da davanti il suo viso, la stanza era avvolta in quella tiepida luce della prima mattina, il vento faceva svolazzare le tende e portava il rumore del paese che si svegliava. 
La porta si aprì lentamente, cigolando come se non fosse oliata da anni, forse lo era, chissà “Ehi dormigliona, è tempo di svegliarsi” Catherine sospirò e si mise a sedere sul letto, la voce aleggiava nella stanza vuota, la ragazza girò la testa e si stropicciò gli occhi “Tu devi sempre darmi fastidio vero?” disse annoiata verso la finestra, una piccola risata si alzò da sotto il letto “Sai che adoro svegliarti” Catherine si alzò i piedi rabbrividendo per il pavimento freddo, poi fece due passi verso la finestra e ci si appoggiò con il corpo, ammirando il panorama del primo mattino. 
 
Il paese di Catherine era piccolo, ma pieno di vita, la gente dalla città veniva sempre a visitarlo, sembra c’entrasse qualcosa con una qualche leggenda o credenza popolare. La ragazza sospirò e cominciò a mormorare una melodia mentre si dirigeva verso l’armadio per prendere i vestiti “Ti vedo diversa stamattina” sentenziò la voce sotto il letto, “paura del grande evento?” Catherine si girò e guardò accigliata verso il letto, poi fece un mezzo sorriso “perché dovrei esserlo? Insomma, è il mio destino no?” Disse cercando di convincersi, poi ricominciò a intonare la melodia e andò verso la porta della stanza, un rumore sibilante si fece strada da sotto il letto “non mi aspetti più?” Un serpente rosso strisciò verso il Catherine, le squame verdi smeraldo rifletterono la luce del primo mattino creando un affascinante gioco di luci. Il serpente si attorcigliò su sé stesso e si alzò. Gli occhi gialli da rettile fissarono intensamente la ragazza, cercando una sua reazione, Catherine sorrise e toccò vicino a sé con il suo piede “ma no figurati, sai che ti aspetto sempre Sebastian” disse mentre il serpente cominciò a scalare il corpo della ragazza, infine giunse sulla spalla e, con quello che poteva essere scambiato con un sorriso, leccò la guancia di Catherine.  

La ragazza si lavò e preparò con cura, indossò gli stivali più comodi che avesse, erano un po’ vecchiotti, neri e con qualche graffio qua e là, non che Catherine potesse permettersi più di quello. Una sorta di tunica, nera anch’essa, le copriva il corpo fino alle ginocchia, un giacchetto in pelle rosso le copriva le spalle e, infine, un capello marrone le adornava il capo, si guardò allo specchio un paio di volte con uno sguardo di malcelata tristezza in viso. “Stai benissimo” disse Sebastian facendo saettare la lingua “già, spero che piaccia anche a loro” mormorò Catherine come risposta 
 
Il paese era già in completo movimento, la ragazza si sedette al tavolo e si preparò una fetta di pane con della carne affumicata mentre si godeva il miscuglio di rumori fuori casa sua, sentiva il martello del fabbro, il correre dei garzoni e il ridacchiare delle bambine che giocavano fuori casa. Catherine rimase lì seduta ad assaporare quella mattinata calda e accogliente mentre mangiava svogliatamente la colazione, rimase seduta per un po’, con la testa appoggiata su una mano, mentre fissava la luce che fuoriusciva dalla finestra “Sai che non puoi rimandare per sempre” Sibilò il serpente con tono apprensivo, la ragazza sorrise e accarezzò la testa del suo amico squamoso “tranquillo, lo so”  
 
La casa era piena della melodia di Catherine, quasi come se non esistessero altri rumori al di fuori della sua voce, la ragazza camminava elegante da una parte all’altra della casa preparando i vestiti e lo zaino da portarsi “Cosa dici? Pensi che basterà?” il serpente fece un cenno con il capo e si strofinò sulla guancia di Catherine “andrà benissimo” disse dopo poco “ma ora è tempo di andare” la ragazza si lasciò scappare un sospiro mentre si metteva lo zaino in spalla, poi, controllando un’ultima volta di avere tutto, si avviò verso la porta e, con decisione, la aprì. 

Il villaggio, preso com’era dalle sue faccende, non si accorse della ragazza che camminava pensosa per quelle vie, né si accorse di come, tutto sommato, il tempo sembrava andar peggiorando, il sole splendeva alto certo, e una leggera brezza muoveva le radure attorno al piccolo paesino, ma, guardando con più attenzione, verso le alte montagne nebbiose, si poteva vedere un addensarsi di nubi. Ma nessuno ci prestò attenzione “Beh, dove vuoi andare come prima tappa?” chiese il serpente. Catherine sorrise e scrollò un pochino le spalle “direi la città, alla fin dei conti ancora non so dove devo andare” Il serpente storse un pochino la testa e la guardò “Ma sei sicura di quel che stai facendo?” La ragazza ridacchiò “no, assolutamente no” disse mentre si avvicinava alla fine del villaggio, poi voltò la testa un’ultima volta, un triste sorriso le si dipinse sul volto, sperava che qualcuno la salutasse, che qualcuno le chiedesse di restare...Catherine si lasciò andare a un lungo sospiro che si perse nel vento, poi si girò, e si allontanò verso il bosco intonando quella melodia che la accompagnava da quando era piccola
 
 
“Non mi hai mai detto come conosci questa melodia” Chiese Sebastian, la ragazza fece una smorfia mentre interrompeva la melodia “perché non lo so, la ricordo da quando sono piccola, ma non so chi me la abbia insegnata” disse mentre proseguiva per il sentiero, gli alberi si stagliavano alti e le loro foglie lasciavano filtrare pochi raggi di luce, dando al bosco un’atmosfera fredda, quasi innaturale 
“Alle volte li vedo sai?” Disse Catherine sistemandosi lo zaino in spalla “di chi parli?” “degli Dei” disse “beh, di quello che rimane di loro” aggiunse abbassando lo sguardo “è il ciclo della vita, anche gli Dei muoiono” disse il serpente attorcigliandosi verso il collo di Catherine “ma verranno rimpiazzati, come è giusto che sia” aggiunse alzando la testa e guardando in giro, dopo quella frase, una pesante cortina di silenzio era calata tra i due, entrambi sapevano che erano discorsi da non fare, d’altronde, anche il silenzio ha orecchie. “Strano” disse Catherine ridacchiando “ho vissuto qui tutta la mia vita, conosco questi boschi come le mie tasche, eppure, ora più che mai, sento di star sbagliando strada” Sebastian non rispose, si limitò a un leggero sibilo mentre si attorcigliava su sé stesso 
 
Ormai la luce era di un color arancio bruciato, gli alberi proiettavano ombre e forme mai viste, Catherine sospirò e cominciò a fischiare una vecchia ninna nanna. La melodia accompagnava il loro passaggio fin quando, alle prime ombre della sera, non uscirono dal bosco, la radura si stagliava a perdita d’occhio, il vento portava suoni e odori da chissà dove “Dicono che siano le fate a popolare i venti, che siano loro a trasportare i rumori e gli odori” Disse Catherine mentre si fermava a osservare il paesaggio, il vento gli mosse i riccioli rossicci davanti al volto e le gonfiò il giacchetto in pelle “Catherine...” Sebastian aveva una voce triste, rassegnata, la ragazza si girò, già sapendo cosa avrebbe incontrato “Lo so...” rispose mentre guardava le nubi scendere minacciose verso il suo villaggio, verso casa. La ragazza fece un lungo sospiro e si rimise in cammino, tenui luci in lontananza le indicavano la strada, una dolce melodia le arrivò alle orecchie “resisti Sebastian, ancora poco e saremo alla prima tappa” Catherine cominciò ad accarezzare la testa del suo amico squamato che, dopo poco, si addormentò. 

La ragazza camminava nella notte scura senza esitazione, il passo cadenzato e ritmato, leggera e silenziosa si avvicinava alle luci della locanda. *SNAP* Catherine si fermò e girò la testa verso la fonte del rumore, prese rapidamente Sebastian e lo infilò nello zaino, infine, con la calma e la concentrazione di un predatore, scrutò tutto attorno a sé. Catherine inclinò rapidamente la testa verso sinistra, il rumore di una freccia le sibilò nell’orecchio “Eheheh, abbiamo fatto troppo rumore vero?” la voce era roca, graffiata Catherine storse la bocca in una smorfia, due, no, tre uomini, tutti attorno a lei “Non ho tempo di giocare con voi” rispose mentre riprendeva a camminare, un lampo argentato le saettò davanti, la ragazza lo scansò di poco, il suo vestito non fu così fortunato, un piccolo taglio all’altezza delle ginocchia era il testimone del colpo “Ti consiglio di restare ferma” La voce veniva da dietro di lei, ma la spada era di qualcuno che le stava davanti, e il rumore di passi proveniva dal suo fianco destro, una mano le toccò lo zaino, Catherine scattò verso sinistra evitando di striscio una seconda spadata, poi senza che potesse far niente, sentì un colpo alla nuca e si accasciò a terra gemendo per il dolore, ci mise pochi secondi per riprendere il controllo di sé, ma erano comunque troppi, gli uomini le erano addosso, erano in quattro, tre le stavano sopra, il quarto la aveva colpita, ma non riusciva a capire dove fosse.
 

Una torcia si accese nel buio davanti a lei, qualcuno sulla strada forse, poco importa, ora riusciva a vederli. Aveva contato bene, i passi erano di tre persone, i corpi, tuttavia, erano di quattro esseri. I banditi sogghignarono verso la torcia e uno di loro lanciò un coltello in quella direzione, un rumore sordo e poi passi di qualcuno spaventato, la torcia era caduta e le ombre che venivano proiettate creavano una grottesca messa in scena. Catherine sorrise e mormorò qualcosa tra sé e sé, le ombre intorno a lei si mossero e, prima che i banditi si accorgessero della situazione, attaccarono i loro proprietari, delle grida si levarono nella notte, la ragazza spostò il corpo di quello che le stava sopra e si alzo, prese la torcia e si girò verso i corpi. Due erano perfettamente normali, un po’ denutriti, pieni di cicatrici e con vestiti luridi, ma tutto sommato normali, il terzo corpo invece...Catherine rabbrividì e prese Sebastian dallo zaino, il serpente sbadigliò storcendosi la mandibola “Te lo ho detto di stare attenta” Il serpente girò la testa verso i corpi “beh, questo non lo si vede tutti i giorni” l’ultimo bandito, per meglio dire, gli ultimi due, erano formati da un solo corpo, le gambe erano tozze e la vita era larga, il corpo era più in carne degli altri, all’altezza dell’ombelico c’era una grossa protuberanza, come un grande ramo di carne, che andava a formare il corpo dell’ultimo bandito, una specie di mostro, con braccia estremamente lunghe e grosse, il volto completamente deformato e senza una vera bocca, solo uno spacco poco sotto il naso, come una lunga e profonda cicatrice, la pelle era lucida, come se fosse stata lavorata “Catherine, ti consiglio di andare, sai che non dovresti stare in giro di notte” mormorò Sebastian mentre fissava quel corpo raccapricciante. La ragazza annuì e riprese la strada per la locanda, le ombre create dalla torcia le danzavano intorno come bambini gioiosi. 

La luce della locanda era come un faro in quel mare di tenebre, nonostante la tarda ora si potevano udire musiche e voci provenire dalla sua direzione, Catherine si fece luce con la torcia e, passo dopo passo, si avvicinò a quello strano edificio. La locanda era costituita da due edifici in pietra, il primo, decisamente grande, era in pietra antica, lo si capiva dalle crepe e dalle varie piante rampicanti che si attorcigliavano sulla struttura, dalle grandi finestre al piano terra fuoriusciva una luce giallognola e accogliente, lo stesso non si poteva dire per il piano superiore, che invece sembrava completamente spoglio e freddo. Il tetto, o meglio, la copertura in paglia, stava più in alto del primo piano; “Quindi”, pensò la giovane “ci sarà una soffitta dove poter riposare”. Il secondo edificio sembrava molto più malridotto, la porta, stavolta in metallo, era l’unica cosa nuova, i muri sembravano tarlati, una finestra era rotta e al tetto sembrava mancassero diverse zolle di paglia. Catherine si avvicinò alla porta in legno della locanda, su di essa, intagliata in modo raffazzonato, si ergeva una scritta “AL PONTE DEL DIAVOLO” La ragazza inclinò la testa da un lato pensosa, infine, dopo un profondoLa luce della locanda era come un faro in quel mare di tenebre, nonostante la tarda ora si potevano udire musiche e voci provenire dalla sua direzione, Catherine si fece luce con la torcia e, passo dopo passo, si avvicinò a quello strano edificio. La locanda era costituita da due edifici in pietra, il primo, decisamente grande, era in pietra antica, lo si capiva dalle crepe e dalle varie piante rampicanti che si attorcigliavano sulla struttura, dalle grandi finestre al piano terra fuoriusciva una luce giallognola e accogliente, lo stesso non si poteva dire per il piano superiore, che invece sembrava completamente spoglio e freddo. Il tetto, o meglio, la copertura in paglia, stava più in alto del primo piano; “Quindi”, pensò la giovane “ci sarà una soffitta dove poter riposare”. Il secondo edificio sembrava molto più malridotto, la porta, stavolta in metallo, era l’unica cosa nuova, i muri sembravano tarlati, una finestra era rotta e al tetto sembrava mancassero diverse zolle di paglia. Catherine si avvicinò alla porta in legno della locanda, su di essa, intagliata in modo raffazzonato, si ergeva una scritta “AL PONTE DEL DIAVOLO” La ragazza inclinò la testa da un lato pensosa, infine, dopo un profondo respiro, bussò.

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Capitolo 2
*** Coloro che guardano ***


Coloro che guardano
 
La taverna era accogliente, due cameriere con un amichevole sorriso portavano bevande e cibo agli avventori, destreggiandosi tra le eventuali toccate poco gradite degli stessi, una di loro si girò verso la porta, il suo sorriso brillò ancor di più e si avvicinò a Catherine “Salve e benvenuta al “Ponte del diavolo” se è affamata posso portarvi qualcosa da mangiare” la ragazza fece poi un piccolo inchino aspettando la risposta. Catherine si guardò attorno e fece un cenno con la testa “Volevo anche sapere se fosse possibile dormire” La cameriera alzò istintivamente gli occhi al cielo e poi si girò verso le scale “Ehi Dar, è rimasta una stanza libera?” detto questo, la cameriera si spostò e indico un tavolo vuoto, Catherine si sedette e rimase in silenzio, i rumori e la musica continuavano, ma più il tempo passava e più lei si sentiva gli occhi di tutti puntati addosso. Dopo poco un uomo scese pesantemente le scale: era basso, con una grande pancia che strabordava dalla unta maglia decisamente troppo piccola peer lui; barcollando si cominciò a sistemare i pantaloni mentre si dirigeva dalla cameriera “Sì sì, tanto la stavo già sistemando” la voce era roca, come se si fosse appena ripreso da un attacco di tosse. “Dar ce lo offri un giro? La caccia è andata bene” a parlare fu uno del gruppo dietro Catherine, aveva un boccale di birra strapieno e rideva come se fosse stato il terzo o il quarto della serata “bah, sai che non faccio sconti” disse di rimando il proprietario, poi si girò verso la ragazza e mise una mano sul tavolo “allora, che ti porto?” Catherine studiò l’uomo per un secondo, il braccio destro era pieno di cicatrici, alcune erano coperte da vari tatuaggi “della carne e un boccale di birra andranno benissimo, e volevo chiedere una stanza per la notte” Dar socchiuse gli occhi mettendo in mostra le profonde occhiaie “vai pure tu a quel maledetto villaggio?” borbottò mentre andava a prendere un bicchiere e delle posate “fidati di me, quel posto è maledetto” Lo zaino di Catherine si mosse e, Sebastian ne uscì strisciando, poi si attorcigliò al polso della ragazza come fosse un braccialetto. 
 

“Ehi bellezza, se vai al villaggio ti accompagniamo noi, bisogna stare attenti ai banditi” il ragazzo si alzò dal tavolo e si mosse verso Catherine, che, di contro, gli rifilò un’occhiataccia “Ehi dico sul serio” continuò lui sedendosi accanto alla ragazza “Non è vero ragazzi?” il gruppo rispose in coro ridendo, Catherine non fece nulla, si girò semplicemente verso il ragazzo e lo scansò con una mano “non sono interessata” disse semplicemente. Dar tornò a breve con un piatto con della carne e patate, oltre a un boccale di birra “ti consiglio di lasciarla stare” borbottò lui rivolgendosi al ragazzo “mi chiedo come facciate a sopravvivere là fuori se siete così ingenui” Catherine non disse nulla, spostò semplicemente il piatto verso un’altra parte del tavolo e si mise a mangiare in silenzio.  

 

“Ehi che bel braccialetto” il ragazzo si avvicinò di nuovo a lei “sono partito con il piede sbagliato prima, mi chiamo Wil” ora che le stava vicino Catherine sentiva perfettamente la puzza d’alcool nel suo alito, era nauseabonda, mise giù il boccale convinta di non poter reggere l’odore ancora per molto “Hai un bellissimo braccialetto sai?” Wil fece per toccare Sebastian che, tuttavia, gli sibilò contro mostrandogli i denti “CAZZO” il ragazzo barcollò indietro e cadde tra le risate generali dei commensali, Catherine osservò per un attimo il ragazzo mentre si alzava in piedi e, ancora intontito, se ne tornava al suo posto. La ragazza poté finire in pace il resto della cena, dopodiché, si fece dare da Dar le chiavi della stanza “Se serve qualcosa chiami pure me, mi chiamo Madeline” disse la cameriera con un sorriso, Catherine rispose al sorriso e augurò la buona notte. 
 
La stanza non era pulita, la polvere si vedeva a vista d’occhio, ma poco importava, le lenzuola non sembravano lerce e il letto sembrava essere decente, Catherine accese la piccola lampada a olio e si preparò per la notte “Pensi al villaggio?” chiese Sebastian risalendo il braccio e sistemandosi sulla spalla della ragazza “magari si possono ancora salvare” Catherine si accostò alla finestra e si godé il vento fresco della notte, un rumore la destò dai suoi pensieri, aguzzo la vista verso l’orizzonte e lo vide, era una creatura gigantesca, sovrastava tutti gli alberi e la testa arrivava quasi a toccare le nuvole. La creatura aprì quella che sembrava la bocca, il luccichio dei denti si vedeva nella notte, non un suono venne emesso. “Tutto bene Catherine?” chiese il serpente “tutto bene, come ho detto, è solo strano vederli camminare così, senza meta, ed è strano essere l’unica a vederli” La creatura girò la testa verso Catherine e, dopo poco, cominciò a vagare di nuovo senza una meta, l’ultima cosa che la ragazza vide fu il corpo della creatura trapassare la montagna e, infine, scomparire del tutto.  
Catherine si staccò dalla finestra e, dopo aver controllato che la porta fosse saldamente chiusa, si mise a letto. La notte fu agitata, colma di incubi e di preoccupazioni, quando le prime luci dell’alba cominciarono a infiltrarsi nella sua stanza Catherine era sveglia da ore, Sebastian era rannicchiato vicino al suo collo e il freddo sospiro scandiva lento il passare del tempo. 
Catherine prese il serpente tra le mani e lo posò delicatamente sul comodino, dopo di che andò verso il bagno. Lo specchio era sporco e crepato in alcuni punti, la ragazza si spogliò e rimase per un attimo a fissarsi il corpo pallido, scrutando con attenzione poteva ancora vedere ferite e cicatrici di quando era piccola. La bocca di Catherine si distorse in una piccola smorfia simile a un sorriso mentre si ricordava le vecchie avventure al villaggio, si diede un piccolo schiaffo sul viso, non era il momento giusto per rimuginare sul passato.  
Sebastian allungò il suo corpo e aprì i piccoli occhi gialli “Catherine?” chiamò alzando la testa “Arrivo tranquillo” la risposta fece girare il serpente, che rapido scivolò verso la fonte del rumore “non capisco l’ossessione di voi umani per i vestiti, mi pare che tanto siate abbastanza fragili anche con quegli stracci addosso” Catherine sospirò e inclinò la testa verso Sebastian, non tentò nemmeno di coprirsi le nudità, quel serpente non aveva proprio il concetto di privacy “Dai lasciami preparare, abbiamo ancora un bel po’ di strada da percorrere” disse accostando la porta 
 


Dopo essersi finita di preparare Catherine si accostò ancora alla finestra, il sole splendeva alto nel cielo, le nuvole erano distanti, a malapena visibili, pur essendo mattina c’era già molto movimento, troppo a dire il vero, Catherine si sbrigò e aprì silenziosamente la finestra cercando di capire i discorsi delle persone di sotto. “Lo so, è difficile crederlo, ma ti assicuro che questa è opera di un oracolo” La ragazza riconobbe la voce, era uno del gruppo dell’altra sera, stava parlottando con una cameriera, poi, poco più avanti, li vide; erano tre soldati, le armature erano inconfondibili, il drappeggio rosso rubino, l’armatura in argento, e quel simbolo...sullo scudo e sulla corazza era riportato lo stemma della Capitale: un grande ragno bianco sopra una tela cremisi su sfondo nero, stando alle leggende era un simbolo antico, di quando la Capitale era la sovrana del mondo intero, di quando gli Dei camminavano ancora tra i mortali.  
Catherine sobbalzò sentendo bussare alla porta “Mi scusi, posso entrare?”, la ragazza si girò e fece un profondo respiro, era solo Madeline, la cameriera gentile “S-si arrivo subito” fece un altro respiro profondo e si diresse verso la porta, poi, la aprì dolcemente, il sorriso di Madeline la accolse “Scusami per il disturbo, ma devo sistemare la camera” la cameriera entrò e cominciò a sistemare il letto “A quanto pare c’è stato un omicidio stanotte” continuò in un tono calmo, come fosse una cosa normale “Se posso, lei ha visto niente prima di arrivare qui ieri?” Catherine scosse la testa, il cuore le cominciò a battere forte in petto, non era mai stata brava a mentire “P-purtroppo no” Madeline tirò un sospiro “ora avremo soldati tra i piedi tutto il giorno” borbottò di rimando “A proposito, si fermerà molto qui da noi?” il tono era diverso, sembrava speranzoso adesso, come un bambino che chiede di rimanere a giocare dall’amico, la ragazza sentì Sebastian muoversi verso il suo polso, attorcigliandosi come suo solito “temo di no, a dire il vero questa è stata una fermata imprevista, penso che partirò a breve” Catherine si guardò intorno cercando con lo sguardo se ci fosse altro da prendere “Ah già, dev’essere bello il festival” disse la cameriera in un triste tono “Mia madre ci andò una volta, me lo raccontava ogni anno, speravo di portarcela ma poi...scusami” Madeline si bloccò e provò a trattenere le lacrime, poi, fece un falso sorriso e uscì di corsa dalla camera “La madre è morta da poco, malattia dell’oblio, non riusciva neanche a ricordarsi come si chiamasse la sua unica figlia” Mormorò Catherine guardando la stanza vuota “Odio poter veder tutto questo” disse mentre prendeva le sue cose, poi scese rapidamente le scale, alla porta c’era il proprietario e i tre soldati che parlottavano “Ve lo ho detto, ieri sera qui stavano cantando e ballando, non avrebbero sentito neanche l’apocalisse con tutto l’alcool che hanno bevuto” borbottò Dar evidentemente stufo della presenza degli uomini “Ora se volete scusarmi, ho delle cose da fare” continuò mentre barcollava verso la cucina “Scusami” Catherine gli toccò una spalla “io dovrei pagare la cena e la stanza” Appena finita la frase uno dei soldati girò la testa verso di lei, Catherine si maledisse in silenzio rendendosi conto dell’errore “Signorina, potrei farle alcune domande?” La ragazza annuì “se possibile vorrei prima pagare il locandiere” Il soldato sorrise e annuì, poi uscì dalla taverna insieme agli altri “Dunque, la cena e la camera? Neanche la colazione, sempre così di fretta” Borbottò Dar mentre faceva i conti “3 monete d’argento” Catherine tirò fuori il borsello e prese 4 monete “la 4 datela a Madeline per favore, e chiedetele scusa da parte mia” Il locandiere la guardò storto, poi scrollò le spalle e se ne andò verso la cucina chiamando Madeline. 
 
La guardia la aspettava sull’uscio con uno sguardo torvo, come se già sapesse la risposta a domande che andavano ancora fatte “Non si preoccupi” disse mentre allargava un finto ma accogliente sorriso “non ci metteremo molto, come già saprà ieri c’è stato un crimine, o meglio, un duplice omicidio” Catherine rabbrividì mentre ricordava gli eventi della notte precedente “Si, ho sentito parlarne stamattina” La guardia annuì mentre guardava su un logoro taccuino tirato fuori da chissà dove “C’erano due banditi, e un testimone afferma che stavano lottando con qualcuno, tu ne sai nulla?” La ragazza scosse la testa “No, quando sono arrivata io era tutto tranquillo” Lo stomaco di Catherine si contorse, qualcosa non tornava. “Capisco, stia attenta nei suoi viaggi” Disse con un sorriso “Ho sentito che vuole andare verso la Capitale” la ragazza ricambiò il sorriso cercando di apparire naturale, Sebastian si mosse impercettibilmente, anche per lui c’era qualcosa che non tornava. 

 

 

Catherine si mise in viaggio in fretta e furia, non le piaceva stare vicino alle guardie, facevano troppe domande “Anche tu hai avuto quella sensazione?” Chiese Sebastian risalendo dal polso verso la spalla, Catherine annuì mentre si addentrava nella foresta, quando era piccola ogni foresta le era assolutamente proibita, doveva sempre stare alla luce del sole, le veniva detto che le ombre hanno occhi e artigli e bisogna stare attenti, tuttavia, ora come ora, il sentiero non conveniva, troppa gente, troppi rischi “Si...” borbottò Catherine dopo un po’ “Quel soldato ha detto qualcosa di strano, ma non capisco cosa” Un movimento attirò l’attenzione della ragazza che vide, solo per un istante, un grosso lupo aggirarsi tra gli alberi, era veloce e silenzioso “I corpi...”continuò lei “la guardia ha detto che ieri hanno...ho, ucciso due persone, ma ieri c’era anche quell’altro” disse rabbrividendo, il lupo, silenzioso come era arrivato, era già scomparso.  
 


La foresta era stranamente silenziosa, niente animali, niente avventurieri, era come se tutto fosse immobile, Catherine fece finta di non pensarci e continuò a camminare, Sebastian si era addormentato di nuovo facendo sorridere la ragazza “bella compagnia che mi sono trovata” pensò sorridendo mentre il ritmato sospiro del serpente le accarezzava il collo. Ormai era in viaggio da ore, avrebbe dovuto essere stanca, affamata, eppure quel pensiero le attanagliava lo stomaco impedendole di provare nulla che non fosse ansia, che fine aveva fatto l’ultimo corpo? Forse non era morto ed era scappato? Impossibile, forse non lo avevano trovato? Eppure, stava accanto agli altri due. Così presa da questi pensieri quasi non si accorse che, finalmente, aveva raggiunto il limitare della foresta, la luce del sole quasi la accecò, in compenso svegliò il serpente che si allungò sbadigliando “Uh, siamo arrivati?” Catherine si fermò a sedere su un tronco caduto, detestava la Capitale, le città non le piacevano, era tuttavia innegabile che fosse una vista da mozzare il fiato: 

 

Si diceva che la Capitale fosse un dono degli Dei agli uomini che sempre li avevano serviti e riveriti, in effetti era difficile pensare che fosse stata fatta da dei miseri mortali. La città sorgeva su un grande altopiano, nella parte bassa sorgevano case e mercati a perdita d’occhio, un eterno pulsare di vita che non si fermava mai, neanche la notte. Attaccate alle pareti dell’altopiano c’era vari marchingegni che permettevano di salire e di scendere come si voleva, beh, non proprio, d’altronde erano tutti strettamente sorvegliati, solo gli autorizzati potevano salire al piano superiore. La parte più alta risplendeva come fosse fatta di diamanti, il sole batteva sulla gigantesca chiesa e la faceva risplendere di mille e più colori. Catherine sospirò mentre la stanchezza e la fame cominciavano a raggiungerla “Sai” disse mentre smontava lo zaino per prendere da mangiare “Si dice che la Capitale sia perfetta, che non ci siano crimini, perché nessuno oserebbe profanare il dono degli Dei...” Alla ragazza scappò un'amara risata mentre tirava fuori un pezzo di pane, lo divise e ne diede una parte a Sebastian “E tutti ci credono, fa strano sai? Vederli mentre si aggirano nei dintorni della città, se gli Dei sono morti perché posso vederli?” mormorò lei mentre una grande creatura volante si aggirava sopra la città “Quello dovrebbe essere Raohr, si dice che suo padre, il sole, lo esiliò sulla terra per un qualche crimine e che lui, da allora, provi a volare sempre più in alto urlando pietà e pregando di poter tornare tra i cieli con i suoi simili” Sebastian guardò in alto ma, come al solito, non vide nulla. Era invidioso della giovane, lei poteva vederli, anche se, a dire di Catherine, era una vista pietosa, carcasse che camminano senza uno scopo, senza un perché... “Si dice anche che la terra non sia altro che una prigione per gli Dei, commisero crimini così violenti da non poter mai più scappare da questo luogo” Catherine sospirò e indicò il gigantesco altopiano dove sorgeva la parte sacra della Capitale “E si dice anche la Capitale sia la stessa cosa, si dice che, nelle viscere di quell’altopiano, ci siano le prigioni, posti così orribili che nemmeno la Morte viene a reclamare le anime dei prigionieri” 

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