Acqua, fuoco

di BluCamelia
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Prima parte: i due mercanti ***
Capitolo 2: *** Un segreto? ***
Capitolo 3: *** Forse un amore proibito ***
Capitolo 4: *** Forse un morbo dimenticato ***
Capitolo 5: *** Forse un potere arcano ***
Capitolo 6: *** Forse un viaggio impossibile ***
Capitolo 7: *** Seconda parte: i due Presidenti ***
Capitolo 8: *** Un cittadino dell'emisfero settentrionale ***
Capitolo 9: *** Una città nell'emisfero meridionale ***
Capitolo 10: *** Un relitto su un satellite ***
Capitolo 11: *** Un esiliato su un mondo lontano ***
Capitolo 12: *** Un robot nella stanza accanto ***



Capitolo 1
*** Prima parte: i due mercanti ***


Zak, il naso incollato all'oblò, scrutava attentamente le stelle e la grande sagoma nera che a tratti le oscurava. Non era una vista interessante; non si riusciva a distinguere molto a parte le forme squadrate della Stazione Spaziale Cinque di Nyniv, ma era un modo per tenere a bada l'ansia. In quel momento probabilmente i doganieri stavano attraversando il condotto mobile che collegava la stazione d'ingresso alla loro astronave.

«Sei pronto, Alvan?» chiese.

Domanda inutile. Tra loro due quello nervoso non era certo Alvan.

Il portello si aprì e i doganieri salirono a bordo.

Entrò per primo un uomo di mezza età, robusto, con capelli brizzolati così crespi che gli formavano una specie di casco intorno alla testa, seguito da due giovani, un maschio e una femmina che sembravano dell'età giusta per sedersi sui banchi di scuola. Tutti e tre indossavano uniformi marrone scuro decorate da bottoni, cinture e distintivi color rame.

Il più vecchio si presentò come Doganiere Anziano Benno e disse: «I vostri documenti, prego.» Zak glieli porse. Mentre l'uomo li controllava, i ragazzi chiesero a Zak e Alvan di infilare la mano in uno strano apparecchio.

«È un microrivelatore, segnala eventuali germi pericolosi» spiegò la ragazza. Era decisamente carina. I lunghi riccioli a cavatappi e le labbra a cuore gli ricordarono Zabella.

«Ah... sì, l'avevo immaginato. Solo che da noi si usa un altro modello» rispose distrattamente Zak. In realtà i suoi pensieri erano altrove.

I doganieri erano molto abbronzati e avevano occhi e capelli neri. Dalle sue parti erano caratteristiche fisiche poco diffuse, e, per quanto ricordasse, non aveva mai visto insieme tre persone con quell'aspetto. Il loro galattico suonava brusco e veloce, con strane pause tra una parola e l'altra. Benno usava una colonia speziata dall'aroma così pungente che gli faceva prudere il naso.

Sentì una stretta allo stomaco e gli occorsero alcuni istanti per riconoscerla, perché non la provava da anni. Era felicità. Ogni piccolo particolare gli confermava che si era lasciato la vecchia vita a migliaia di anni luce di distanza, dall'altro lato del buco nero centrale. Ce l'aveva fatta!

Appena formulato il pensiero si accorse che Benno ci stava mettendo un po' troppo a esaminare i documenti. Represse l'impulso di chiedere se ci fossero problemi, per paura di risultare troppo ansioso di passare l'esame, ma cominciò a spostare il peso da un piede all'altro.

«Venite dal settore di Anacreon?» chiese Benno, alla fine.

«Esatto.»

«Lo chiedo perché sui documenti c'è il sigillo imperiale, e Anacreon è un regno indipendente.»

«Il nostro pianeta, Tumbok, non fa parte del regno di Anacreon.»

«Tutto il settore è indipendente da un secolo. Come mai usate ancora il sigillo imperiale?»

«Temo che la nostra classe burocratica sia molto conservatrice» rispose Zak, con un sorriso fuggevole e un'espressione annoiata che voleva significare 'tra noi ci capiamo'.

«Molto conservatrice davvero» disse la ragazza in tono cupo, come se l'arretratezza dei burocrati la angustiasse. Poi scoppiò a ridere.

La risata squillante risuonò così inaspettata e fuori luogo che per un momento Zak si chiese seriamente se fosse impazzita.

«Tirocinante Lynna!» tuonò Benno.

La ragazza si zittì immediatamente.

Benno si rivolse a Zak ed Alvan. «Vi prego di seguirmi» disse, e si infilò nel condotto.

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Capitolo 2
*** Un segreto? ***


Con un gemito Melanna allungò la mano da sotto le lenzuola per rispondere alla chiamata. Attivò solo l'audio, non era il caso che Benno fosse informato su che modello di pigiama usava.

«Ci sono problemi alla Cinque?» chiese, e poi si diede mentalmente della stupida per la domanda. Non si disturbava il Sovrintendente delle Stazioni in piena notte per fare due chiacchiere.

Da quando Nyniv si era dichiarato indipendente, grazie alla sua abile politica di mediazione era riuscito a evitare sia le spedizioni punitive dell'Impero che le scorribande dei Signori della Guerra, conservando una certa prosperità. La decisione di non prendere una posizione netta però, con la confusione che regnava nella Galassia, comportava molti problemi. Spesso alla frontiera si presentavano situazioni politicamente delicate, o intricate dal punto di vista legislativo; in questi casi il ruolo di Melanna era quello di intervenire seguendo una direttiva ben precisa: mettere al primo posto l'interesse di Nyniv.

«Abbiamo fermato due mercanti provenienti dalla periferia» rispose Benno.

«Oh no, di nuovo la Fondazione?» mormorò Melanna. La solita rogna. Atterravano su Nyniv dicendo che volevano vendere un carico di lavatrici e poi, non si sa come, mettevano in mezzo i preti.

Benno prese la domanda alla lettera e rispose: «Non è chiaro. Affermano di venire da quel settore, comunque. Questo è il capo della spedizione, Zak Savallis.»

Sullo schermo apparve la faccia di un biondino pallido con capelli folti e sparati in tutte le direzioni e un viso aguzzo. Lievi rughe di allegria agli angoli degli occhi gli aggiungevano qualche anno, rovinando un po' l'aria da folletto.

Melanna curvò le labbra. «Non proprio il classico mercante.»

«Secondo la storia che ci ha raccontato, faceva l'imprenditore su Tumbok, settore di Anacreon. La sua azienda è fallita e ha pensato di vendere le rimanenze su altri mondi. Siccome non aveva esperienza come mercante, si è preso un socio.» La faccia di Savallis sparì, sostituita da quella squadrata di un uomo con capelli cortissimi e labbra tumide che spiccavano tra i ciuffi biondi della barba. Gli occhi grigio-azzurri molto distanziati avevano uno sguardo inespressivo, anzi, un po' stolido. Del resto i mercanti non erano esattamente noti per il loro interesse per la fisica iperspaziale o la poesia milliana. «Alvan Lisser, anche lui di Tumbok» continuò Benno.

«Questo va meglio» commentò ironica Melanna. «Ma qual è il problema?»

Benno sembrava titubante. «Se volete avere la bontà di guardare la registrazione del colloquio, Sovrintendente... ho l'impressione che ci sia sotto qualcosa di grosso.»

Melanna alzò le sopracciglia: «Spionaggio?» Avrebbe dovuto aspettarselo. Era il motivo più frequente per chiedere il suo intervento, vista la sua abilità nel leggere il linguaggio corporeo.

«Non credo proprio.» Lo schermo si divise in due e nella metà inferiore apparve una tessera di materiale lucido, ingrandita. «Questi sono i documenti che hanno presentato.»

Melanna si sedette sul letto e avvicinò il viso allo schermo, come se dubitasse del messaggio che le inviavano le pupille. «Per la Galassia, è uno scherzo?»

L'altro scrollò le spalle.

«Adesso capisco anche di meno perché mi avete chiamato. Nessun agente segreto, o più genericamente nessun individuo pericoloso si presenterebbe con un falso così grossolano. Speditelo in una scuola elementare con un calcio nel sedere e trattenete tutta la merce, come multa per aver insultato la nostra intelligenza.»

«Ecco, ci sarebbero altri elementi di interesse che risultano dall'interrogatorio, se vole...»

«Sì, lo so, se voglio avere la bontà di guardare la registrazione.» Melanna sbuffò. «E vediamo questo colloquio, allora.»

Il Doganiere Anziano fece un cenno di assenso e sparì, sostituito dalla ripresa di una stanza spoglia. A una scrivania era seduto lo stesso Benno. I due mercanti entrarono e si accomodarono su due sedie davanti alla scrivania. Lisser era un omone. Indossava i pantaloni di una tuta da lavoro, stivali pesanti e un gilè di sintopelle chiuso da alamari, che copriva solo in parte il petto muscoloso. Savallis era di statura media, con un fisico più morbido, e un abbigliamento più ricercato. Una corta tunica azzurro pallido metteva in risalto il colore degli occhi, e i pantaloni grigi erano infilati in un paio di stivaletti lucidi.  Gli abiti non avevano lo scintillio metallico tipico dei vestiti in voga tra i ricconi della Galassia, ma una morbida lucentezza serica, e sembravano confortevoli e costosi.

«Dunque, voi sareste Zak Savallis e Alvan Lisser, mercanti di Tumbok, giusto?

«Giusto» disse Savallis, girandosi furtivamente a destra e a sinistra come per valutare eventuali pericoli in agguato negli angoli della stanza. Melanna si accorse che sul lato sinistro della testa aveva i capelli quasi completamente bianchi. Quando aveva visto la foto l'aveva presa per una differenza di illuminazione.

«Mmm, davvero.» Il tono di Benno era bonario, ma al biondino non sfuggì il sottinteso, perché chiese, in tono poco convincente: «Dubita della nostra identità?» Il Doganiere Anziano lo guardò con ironia, le sopracciglia alzate e le mani giunte sotto il mento, ma non rispose.

«No, decisamente non sono spie» commentò Melanna, reprimendo un sorriso. Quel tipo non aveva i nervi abbastanza saldi per vendere gelati sul lago Valabinno, se ricordava bene i bambini che lo frequentavano.

«Si può sapere il motivo, se è lecito?» continuò Savallis.

«Tanto per cominciare, non sento un accento della periferia. Ascoltare il vostro galattico imperiale è un piacere, sembra di guardare un iperdramma all'olovisione.»

Un sorriso decisamente simpatico si aprì sulla faccia di Savallis: «Si tratta di questo? Pensate che sia una spia sotto copertura? Viviamo in una zona della periferia così isolata che il nostro dialetto si è sviluppato in qualcosa di incomprensibile a orecchie esterne, per questo chi vuole viaggiare studia il galattico imperiale. Una trattativa d'affari non scorre molto liscia se bisogna ripetere ogni frase tre volte, vi pare?»

Melanna esaminò il suo linguaggio corporeo. Sembra sincero.

«Vorrei avere il piacere di sentire anche voi, se non siete muto» disse Benno a Lisser.

«Volete chiedermi qualcosa di particolare?» La voce era sorprendentemente melodiosa ed educata in confronto all'aspetto rozzo dell'uomo.

«Lo stesso accento» constatò il Doganiere Anziano. «Avete studiato il galattico imperiale insieme leggendo le battute di La Duchessa di Hestelonia? Chi faceva Lord Vaxon e chi la duchessa?»

«Perché questo sarcasmo?» chiese gentilmente Savallis.

«Perché, giovanotto» (Savallis sorrise tirandosi una delle ciocche bianche) «non solo non siete mercanti della periferia, ma direi che non ne avete neanche mai incontrato uno. "Meglio prendere lezioni di dizione, non vorrei che gli stranieri avessero difficoltà a comprendermi." Come no. Un mercante si limiterebbe a parlare più lentamente e a ripetere. A parte tutto, la semplice idea di parlare come un damerino dell'Impero lo disgusterebbe.» Il sorriso di Savallis svanì. «Sono disposto a credere che a un imprenditore benestante venga un'idea del genere, ma Lisser dovrebbe essere un mercante, stando alle sciocchezze che ci avete propinato.»

Lisser intervenne: «È questo il capo d'accusa per cui ci state trattenendo? Parliamo il galattico imperiale?»

«No il capo d'accusa è un altro» Benno gli porse la tessera lucida. «Che mi dice di questo?» chiese, indicando un disegno in rilievo sul lato del documento.

«È il sigillo.»

«Già, il sigillo imperiale. S-3.»

Melanna era proprio curiosa di sapere come avrebbero giustificato una tale stupidaggine. Il sigillo aveva la forma di una S elaborata, l'iniziale di Stannel, il nome dell'imperatore, con tre aste verticali all'interno, un modo arcaico per indicare il numero tre usato in contesti ufficiali. Ma l'imperatore sul trono era Stannel VI.

«E allora?»

«Ah, andiamo bene, non sa come funzionano i sigilli imperiali... e io che credevo fosse una semplice distrazione del falsario. S-3, Stannel III. Un imperatore di seicento anni fa, e la data del documento è di dieci anni fa.»

«La nostra regione è stata una delle prime a staccarsi dall'Impero. Probabilmente da quando siamo rimasti isolati il formato dei documenti non è stato aggiornato.»

«Sciocchezze. I burocrati conoscono molto bene i sigilli, è il loro lavoro. No, questo documento è stato creato da un artigiano abilissimo ma ignorante. Per inciso la prima provincia si è dichiarata indipendente solo un centinaio di anni fa, nessun mondo è rimasto isolato per seicento anni.»

«Ah, be', se siete così sicuro di conoscere la sorte di ogni pianeta della galassia...» disse Savallis. Il suo tono ironico di fronte a un'accusa grave stupì Melanna, visto il nervosismo che aveva dimostrato in precedenza.

«Stiamo perdendo tempo. La nostra politica di neutralità tra l'Impero e i regni periferici ci ha assicurato grandi vantaggi commerciali; il lato negativo è che Nyniv è considerato il paese della cuccagna sia dai predoni della periferia che cercano di arraffare gli ultimi rimasugli di lusso imperiale, sia dai ciarlatani di Santanni che vengono qui credendo di trovare dei selvaggi e pensano di imbrogliarci. Mi pare che facciate parte della seconda categoria.»

«Non sono un truffatore, ho delle merci e voglio venderle onestamente.» Savallis sembrava realmente offeso.

«Perché i documenti falsi allora? Ma in realtà non è importante. Parliamoci chiaro, al re di Nyniv non piace che si cerchi di prenderlo per i fondelli. Però è evidente che non fate parte della nostra giurisdizione, quindi se avete documenti falsi per qualche guaio che vi è capitato in patria a noi non interessa. Pagate la multa e andatevene. Se volete provare su un altro pianeta, però procuratevi dei falsi decenti...»

Melanna alzò la voce: «Doganiere Anziano, ma che diavolo...?»

Benno riapparve sullo schermo. Era arrossito, per quanto glielo permettesse la carnagione. «Mi dispiace, Sovrintendente. Quel giovanotto mi è simpatico e mi è sembrato del tutto innocuo.»

«Potevate almeno spegnere il registratore prima di dare certi consigli» brontolò Melanna.

La registrazione ripartì.

«...in teoria dovremmo arrestarvi e interrogarvi perché potreste essere delle spie, ma possiamo fare un'eccezione. Basandomi sulla mia esperienza, sono abbastanza sicuro che non siate ricercato in tutta la galassia per crimini verso l'umanità.» Benno cominciò a ridere per sottolineare la battuta, ma la risata gli morì in gola. Il sorriso di Savallis era svanito. Il mercante sbarrò gli occhi, perse il poco colore che aveva e si afflosciò sulla sedia.

La registrazione era finita.

«Sarebbe questo l'elemento di interesse? Pensate che sia svenuto perché è davvero ricercato per crimini contro l'umanità? Quel tipo è un fascio di nervi, sarà stata la tensione dell'interrogatorio. Gli avete dato qualcosa da mangiare?»

Benno non disse nulla ma guardò Melanna con imbarazzo e una traccia di rimprovero, giocherellando con i bottoni di rame che chiudevano l'uniforme sulla pancia prominente.

Melanna sospirò. «Inviatemi la registrazione, la studierò meglio.»

Benno annuì con visibile sollievo.

Melanna proiettò di nuovo gli ultimi istanti del colloquio. Non c'era da sbagliarsi, il viso di Savallis, che di fronte all'attitudine amichevole di Benno si era disteso, era diventato livido all'improvviso, proprio in corrispondenza delle parole 'crimini contro l'umanità.' Non poteva ignorare quel fatto, sebbene... che diavolo, il giovanotto era simpatico anche a lei. Intrappolato in quella goffa rete di bugie sembrava vigliacco e anche un po' stupido, ma, appena la tensione si allentava, anche solo per il tempo necessario a pronunciare una frase, rivelava un carattere molto più vivace.

Riguardò la registrazione da capo aumentando l'ingrandimento per non perdersi il minimo particolare delle espressioni facciali dei due. Ignorò le evidenti bugie di Savallis e si concentrò sul suo linguaggio corporeo in modo più sottile.

Si rimise in contatto con Benno.

«Credo di sapere di che si tratta, e se ho ragione potete smettere di preoccuparvi. I crimini galattici non c'entrano. Comunque per sicurezza verrò alla stazione per interrogarli di persona.»

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Capitolo 3
*** Forse un amore proibito ***


«Non ero mai svenuto prima» disse Zak, in tono meditabondo.

«Direi che non era il momento giusto per provare questa nuova esperienza.»

Zak girò di scatto la testa verso Lisser e il suo compagno fece balenare la dentatura candida, come per scusarsi di uno scherzo maldestro. Ma gli occhi non mostravano traccia di divertimento.

«La smetti di sottolineare tutte le stupidaggini che faccio?»

«Sai bene che ne farei a meno, ma me l'hai chiesto con molta insistenza.»

«Sì, ma questa non è esattamente una critica costruttiva, mica l'ho scelto io di svenire.» Zak si appoggiò al muro con le mani dietro la nuca. Era seduto sul lettino di quella che gli era stata presentata come l'infermeria della stazione Cinque, ma che secondo lui era più che altro una cella. Prima di tutto era dipinta di un opprimente color marrone, in contrasto con il resto della stazione tinteggiata in diverse gradazioni di color sabbia, e poi l'intero arredamento era formato da un lettino e una sedia. Nessuna traccia di attrezzature mediche.

L'unica decorazione era lo stemma del regno di Nyniv che campeggiava al di sopra della porta. Zak arricciò il naso, riconoscendo lo stemma imperiale ruotato di novanta gradi in modo da trasformare la prua dell'astronave che si stagliava contro il sole in una torre affusolata. Il tutto color rame. Se fosse stato il re di Nyniv avrebbe scelto uno stemma diverso, visto che ci teneva tanto all'indipendenza.

L'oblò panoramico di fronte al letto non aveva sbarre, ma la cosa non era significativa visto che come via di fuga da una stazione spaziale sarebbe stato decisamente scomodo. Almeno era rivolto dalla parte opposta rispetto al sole e Zak poteva guardare le stelle, che però in quel momento gli davano sui nervi. La galassia si stava dimostrando più ostile di quanto avesse immaginato.

Aveva messo nel conto di essere scoperto, il loro travestimento non era esattamente a prova di bomba. Ma, accidenti, il suo geniale piano aveva fatto ridere una ragazzina!

Per non parlare del colloquio col Doganiere Anziano. Snervante. E la battuta finale sui crimini contro l'umanità gli aveva dato il colpo di grazia.

Zak sentì il rumore della porta che scorreva e distolse lo sguardo dall'oblò per vedere chi era entrato. Abbassò subito gli occhi, sentendo le guance che gli diventavano bollenti. Sulla soglia c'era una donna che indossava solo una cintura color rame e due stemmi a forma di sole che le coprivano i capezzoli.

Represse l'istinto di scuotere la testa per scacciare la visione assurda e azzardò una seconda occhiata. La donna non era nuda, indossava un'uniforme aderente dello stesso color cioccolata della sua pelle. Anche tenuto conto dell'abbronzatura nyniviana non aveva mai visto nessuno con una carnagione simile.

Aveva un viso rotondo e un po' piatto, con occhi allungati a forma di goccia, sormontati da sopracciglia arcuate, e un nasino dalla punta smussata, una faccia che sembrava strana abbinata al fisico slanciato. Due corte trecce aderenti al capo tenevano i capelli neri e lanosi scostati dal viso e li lasciavano cadere liberi sulle spalle. Aveva anche tre piercing color rame, tre barrette al sopracciglio destro. Zak ricordò che il Doganiere Anziano aveva una barretta e pensò che fosse un distintivo del suo grado. Quindi era appena salito di due gradini nella scala gerarchica... dei guai.


***


Melanna valutò con una rapida occhiata i due soggetti. Quando era entrata Savallis aveva distolto lo sguardo, arrossendo. Forse proveniva da qualche pianeta puritano dove le donne dovevano vestirsi in modo da nascondere le forme; questo avrebbe avvalorato la sua ipotesi.

Disse: «Zak Savallis e Alvan Lisser, vi saluto. Sono Melanna Liù, Sovrintendente delle stazioni spaziali di Nyniv. Ho visto la registrazione del vostro colloquio. Come vi ha già detto il mio collega, eventuali irregolarità commesse nella vostra patria non ci interessano, quindi perché non mi raccontate la verità? Vi avviso che faccio parte delle forze di sicurezza e sono un'esperta di interrogatori, quindi mi accorgerò se mentite. Altre menzogne serviranno solo a esasperarmi e a convincermi che il vostro segreto dev'essere effettivamente interessante.»

I due non risposero. Lisser non mosse un muscolo, Savallis incrociò le braccia e cercò di rendere la sua faccia inespressiva. Sembrava l'anello debole, così si rivolse a lui.

«Allora dovrò arrivarci da sola. Guardando la registrazione, dai vostri micromovimenti sembra che vi fidiate in modo totale del vostro socio e in qualche modo contiate su di lui per farvi togliere dai pasticci, il che è peculiare, visto che il capo della spedizione sareste voi. Il linguaggio corporeo di Lisser invece tradisce un grande sforzo per dominarsi e non spaccare la testa al Doganiere Anziano ogni volta che ha un atteggiamento minimamente ostile nei vostri confronti...»

«Vi sbagliate di grosso» disse Lisser, calmo. Dal vivo la sua voce melodiosa risultava ancora più bizzarra.

Melanna si girò verso di lui. «Va meglio "tradisce un grande sforzo per non caricarsi Savallis sulle spalle e portarlo il più lontano possibile dal Doganiere Anziano?"» Il tono era ironico. «Davvero, siamo in piena Duchessa di Hestelonia. In ogni caso si tratta di un atteggiamento protettivo.» Tacque in attesa di una reazione. Vedendo che non arrivava, aggiunse un suggerimento: «Certi mondi sono molto bigotti, vero?»

Savallis riuscì a restare immobile ma gli sfuggì un rapido battito delle palpebre. Sorpresa. Perché la sua ipotesi era giusta o perché quello che Melanna aveva insinuato non gli era mai passato per l'anticamera del cervello?

Era quello il guaio del suo addestramento. Il linguaggio corporeo tradiva le reazioni emotive dell'interrogato indicando dei punti caldi, un po' come nel vecchio gioco 'acqua, fuoco', ma ricomporre le emozioni in un quadro che avesse senso logico non era sempre facile.

«In un mondo in cui la religione viene presa molto sul serio, l'amore tra due uomini può essere considerato un crimine contro l'umanità, in quanto interferisce con il matrimonio e la procreazione.»

Savallis sussultò e contrasse le labbra. Avrebbe potuto essere una reazione scomposta trattenuta a fatica o l'inizio di una risata subito soffocata.

Melanna concentrò la sua attenzione su Lisser. Un tipo interessante, anche se faceva del suo meglio per passare inosservato. Aveva l'aspetto del rude mercante, ma quando apriva bocca si esprimeva come una persona educata. A volte sembrava quasi un avvocato. Inoltre, a parte l'atteggiamento protettivo nei confronti del socio, durante gli interrogatori non aveva mai mostrato reazioni emotive degne di nota. Un tipo molto freddo, o forse perfettamente addestrato. Era possibile che fosse lui la spia... ma perché portarsi dietro quella palla al piede di Savallis e quei documenti ridicoli?

Non riusciva ad arrivare ad una conclusione. Avrebbe dovuto esaminare anche la registrazione di questo colloquio, sperando che bastasse.

In caso contrario, non le restava che l'ultima spiaggia.

Chiamare suo zio.


***


«Potrebbe essere una via d'uscita, sai» disse Alvan.

«Cosa, far finta di essere una coppia? Quella donna terribile si accorgerebbe subito che mentiamo.»

«Ma ha già dedotto l'esistenza di una relazione tra noi basandosi sul linguaggio corporeo. Ci basterebbe confermare. Non credo che ci chiederebbe di avere un rapporto sessuale davanti a lei per controllare i nostri micromovimenti.»

«Ti ho mai detto che brutto effetto fa sentire un omaccione come te che parla di sesso con quel tono tecnico?»

«Veramente no. Abbiamo già parlato delle mie capacità sessuali, e se posso ricordartelo sei sceso nei particolari quando mi hai raccontato dei tuoi festini a Thesal...»

«Allora non sembravi un tipaccio, e poi, nessuno aveva accennato alla possibilità di una tua partecipazione! Tra l'altro probabilmente ci stanno ascoltando e ci siamo bruciati anche questa carta.»

«No, non avrei mai iniziato il discorso se non fossi ragionevolmente sicuro che non ci sono microspie, fidati di me.»

«Facciamo così, non diciamo una parola a proposito della nostra presunta relazione. Forse quella donna penserà che siamo troppo a disagio per ammetterlo.»

«Può funzionare. Sei davvero a disagio, e lei lo leggerà nel tuo linguaggio corporeo.»

«Bah, a furia di parlarne quasi quasi mi sto abituando...»

«Pensavo che, anche senza arrivare a un rapporto sessuale, a scopo di verosimiglianza sarebbe utile scambiarci almeno un bacio davanti a Melanna. Io non ho problemi a fingere, ma per te probabilmente sarebbe più difficile. Consiglierei di fare un po' di pratica finché siamo soli.»

Zak alzò entrambi i pollici. «Disagio alle stelle. Sei un asso, Alvan.»


***


Respanno Izan era il fratello del nonno materno di Melanna. Da piccola lo chiamava zio, ma da quando se ne serviva come consulente in caso di problemi alla frontiera aveva cominciato a chiamarlo per nome, sperando che il vecchio tagliasse corto con le carinerie e si concentrasse sul caso.

Izan era un sociologo. Il suo contributo era utilissimo perché non si era specializzato nel declino dell'Impero come la maggior parte dei colleghi, ma trovava molto più interessanti le vicende della periferia. La sua fissazione particolare era un gruppo di pianeti chiamato Fondazione, che si stava affermando nel settore di Anacreon grazie a una bizzarra combinazione di superiorità tecnologica e oppressione religiosa. Le aveva anche spiegato la filosofia alla base della loro società ma non ci aveva capito molto, e comunque la filosofia non le interessava, le interessavano solo i risvolti politici.

Per prima cosa gli avrebbe chiesto se era possibile che esistesse un mondo così tagliato fuori dal traffico galattico da sviluppare un dialetto incomprensibile e commettere errori sciocchi come quello dei documenti. Probabilmente Tumbok esisteva davvero (sarebbe stato azzardato presentarsi come cittadini un un mondo inesistente quando il database di tutti i pianeti abitati della Galassia era facilmente accessibile) ma tutto il resto poteva essere inventato. Controllare per vie ufficiali sarebbe stato troppo difficile, visti i problemi tecnici, e soprattutto i costi, che comportava contattare un mondo di periferia dopo il distacco delle province dall'Impero.

Sullo schermo apparve un vecchio con due ciuffi di capelli candidi dietro le orecchie, baffi sottili e una barbetta appuntita che gli scendeva fino al petto. Gli occhi stretti e il viso rotondo erano simili a quelli di Melanna, ma la carnagione era di un olivastro chiaro e i capelli lisci e setosi.

«Ciao piccola Liù, che piacere vederti! Come stanno Muria e Symo? E Pilly?»

«Ciao Izan. Mamma e papà stanno bene, il mio puffolo kalganiano è morto ventidue anni fa.»

Con l'età Izan aveva sviluppato dei gravi problemi di memoria per quanto riguardava la vita quotidiana, ma stranamente tornava lucido quando entravano in gioco le sue conoscenze professionali. Se si aveva la pazienza di ascoltarlo blaterare su ricordi di vent'anni prima poteva essere un collaboratore inestimabile. C'era anche un lato positivo: Melanna non doveva più preoccuparsi della riservatezza, ma poteva dirgli tutto, tanto si sarebbe dimenticato i particolari fin troppo in fretta.

Gli fece un sunto delle stranezze dei due mercanti.

«Il fatto che parlino galattico imperiale è strano, non me ne capacito... ma il resto quadra. I mondi della Fondazione sono molto religiosi e probabilmente non vedono di buon occhio l'omosessualità. Le merci rivelano una tecnologia avanzata?»

«Non sono sicura, Izan, mi hanno detto che si trattava di vestiti fabbricati con qualche tessuto innovativo e non ho approfondito. Non mi è sembrato un commercio di rilevanza strategica.»

«Com'è la loro nave? Moderna?»

Melanna ridacchiò. «Se non fosse nuova di zecca la definirei una carretta. Lo scafo è tutto lucido ed elegante, ma ho visto i comandi ed è un modello vecchissimo; il generatore deve metterci due giorni a caricarsi per il balzo. Giuro che tra il loro accento e quella nave mi sembrava davvero di essere sul set di un iperdramma storico.»

«Davvero? Eppure le navi della Fondazione sono rinomate. Molto interessante, molto. Ma mi servono maggiori informazioni.»

«Posso far finta di dare loro via libera e parlare un po' con Savallis in modo amichevole, così evito che si blocchi e cominci a sparare idiozie. Fare domande sulle merci e sulla nave, cose così.»

«La mia brillante nipotina! Per forza hai vinto un premio scolastico...»

«Che premio?»

«Vedo che porti tre lance.»

Melanna sfiorò il piercing al sopracciglio: «Non è un premio, Izan, lo sai che ora sono un maggiore delle forze di sicurezza. Ti ringrazio, sei stato fantastico e ti chiamerò con le nuove informazioni.»

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Capitolo 4
*** Forse un morbo dimenticato ***


La Dogana li aveva finalmente autorizzati ad atterrare sul pianeta, sotto la condizione di una semplice ispezione della nave. I due tornarono a bordo. Dopo i colori caldi e le forme squadrate che dominavano nella stazione spaziale, l'azzurro argentato e le linee curve della sua astronave sembrarono a Zak usciti da qualche strano mondo onirico.

Appena atterrati Melanna si unì a loro. Cercò di farla sembrare una chiacchierata amichevole, ma era chiaro che era ancora in cerca di informazioni e aveva solo cambiato strategia.

«Ma esattamente cos'hanno di speciale i vestiti che vendete?» chiese Melanna a Zak, mentre passeggiavano pigramente per la nave. Alvan era rimasto nella sala comandi.

«Sono indumenti termici.»

Melanna lo guardò come se fosse uscito di senno. «Indumenti termici su Nyniv?»

Zak si era aspettato quel fraintendimento, così sorrise pazientemente. «Indumenti termoregolati, caldi quando fa freddo e freschi quando fa caldo. Dal freddo ci si può difendere con pellicce e giacche imbottite, ma combattere il caldo non è altrettanto facile. Per questo ho pensato di concentrarmi sui mondi caldi come Nyniv. Qui lavorare all'aperto in certi giorni dev'essere letteralmente un inferno.»

«Avete proprio ragione. Se ci fate caso, la maggior parte dei mondi importanti ha una temperatura media o addirittura bassa. A quanto pare le spedizioni alla ricerca di pianeti abitabili tendevano a evitare i mondi caldi proprio per questo motivo, visto che i lavori di terraformazione e costruzione delle infrastrutture sono molto pesanti.»

«Già, dal punto di vista dei coloni ha senso.» Zak si morse il labbro inferiore.

«Naturalmente ci sono le eccezioni. I miei antenati provenivano da un mondo molto caldo, quindi hanno pensato di sentirsi a casa su Nyniv. Avrete notato il colore insolito della mia pelle.»

«Puoi scommetterci che l'ho notato» mormorò Zak, fissando le braccia di Melanna. Per portare avanti la commedia dell'amicizia si era presentata in abiti borghesi, e la camicetta senza maniche lasciava scoperte le braccia scure e leggermente muscolose. Non era solo il colore ad attirare lo sguardo; la pelle sembrava molto liscia e leggermente lucida, e dava la strana impressione di qualcosa di elastico. Aveva una voglia matta di allungare una mano e toccarla.

Poi si accorse di come l'aveva guardata e del tono che aveva usato e arrossì.

Melanna scoppiò a ridere. Quando rideva metteva meno soggezione perché gli incisivi leggermente separati le davano un sorriso da bambina. «Niente paura, capisco la vostra curiosità. In effetti la mia famiglia è sempre stata fiera di questa caratteristica e ha cercato di preservarla attraverso matrimoni con persone altrettanto scure. Il nostro nome deriva da una parola che significa 'nero' in qualche linguaggio antico.»

«Ah... interessante. Comunque, una volta completata la colonizzazione, un mondo caldo ha i suoi vantaggi» disse Zak, la testa piena di immagini di spiagge, foreste tropicali e braccia e gambe nude e lucenti (no, l'ultimo pensiero era di troppo.)

«Tornando agli affari, questi abiti termoregolati sembrano basarsi su una tecnologia notevole. Tumbok fa parte della Fondazione?»

Zak esitò, come sempre davanti alle domande scomode. Doveva decidere in un secondo se confermare una teoria che rafforzava la sua posizione o rifiutare un'etichetta troppo limitante che avrebbe potuto tradirlo in seguito.

«Non fa parte della Fondazione, no, ma siamo abbastanza vicini e grazie al commercio beneficiamo della loro tecnologia.»

«Posso fare una domanda impertinente?»

«Ci mancherebbe, dopo la figura che ho fatto poco fa...»

«Che razza di pianeta è Tumbok, che ha una tecnologia così avanzata nel tessile e navi così obsolete? Se non fosse appena uscita dalla fabbrica direi che avete trovato un relitto imperiale su qualche asteroide e avete rubato i documenti allo scheletro seduto ai comandi.»

E ci andresti vicino. Solo, non era uno scheletro, ma una statua di ghiaccio. Quello squarcio nello scafo aveva risucchiato fino all'ultimo atomo di ossigeno. «Ah, la Fondazione sta molto attenta a quali tecnologie esporta. Vendere ai pianeti vicini navi moderne come le sue vorrebbe dire perdere la supremazia militare.»

Melanna non rispose. Zak aveva l'impressione che la donna cominciasse a convincersi. Come ulteriore incentivo le rivolse il suo sorriso più luminoso, e lei sorrise a sua volta. «Va bene, credo che abbiamo finito.» Il cuore di Zak sussultò dalla gioia. «Voglio solo vedere il contenuto dello scomparto 3.»

Il sorriso di Zak svanì in un istante. «Le scorte mediche? Perché la dogana dovrebbe controllarle? Sono per nostro uso privato.»

«Infatti normalmente non lo faremmo, ma, visto che vi siete messi d'impegno per risultare sospetti, abbiamo esaminato anche il progetto della nave. Lo scomparto 3 sembra troppo grande per essere usato solo per i medicinali. Devo controllare che non ci siano nascoste merci di contrabbando.»

«Non ce ne sono» si affrettò a dire Zak, sperando che lei gli leggesse il linguaggio corporeo e verificasse la sua sincerità. Ma il modo in cui l'aveva detto tradiva il reale significato di quella frase: "C'è qualcos'altro che non voglio farti vedere."

Melanna lo ignorò, si avviò al portello 3 e lo aprì. Spalancò gli occhi, per quanto permetteva quel loro taglio sottile. «Accidenti!»


***


«Sono abbastanza da rifornire un ospedale, altro che uso privato. A cosa vi servono?»

«Non esageriamo. Soffro di una condizione, e ho programmato un lungo viaggio. Non sapevo se sui mondi che avrei visitato avrei trovato i medicinali necessari.»

«Non ricominciate con le sciocchezze, per favore. Non sarà una fornitura da ospedale ma è tre o quattro volte la quantità che vi servirebbe per tutta la vita!»

«Dimenticate che c'è anche Alvan...»

«Figuriamoci, naturalmente ha la stessa vostra condizione!»

«In effetti sì. Vi ho già detto che il nostro mondo è molto isolato. Abbiamo perso le difese naturali contro certi microorganismi diffusi in altri pianeti, quindi usiamo degli stimolanti del sistema immunitario.»

«È lo stesso una scorta eccessiva.»

«Meglio andare sul sicuro. Non so se si nota ma sono un tipo un po' ansio...»

Melanna afferrò Zak per il braccio, glielo torse dietro la schiena e sbatté l'uomo contro la paratia, provocando uno schianto metallico. Sentendo l'inefficace resistenza dell'altro, lo sbatté al muro altre due volte per dissuaderlo.

«Non farlo!» gridò Zak, in tono duro.

«Non sei nella posizione di dare ordini» ringhiò Melanna, vicino al suo orecchio.

«Diceva a me.» Melanna girò di scatto la testa senza allentare la presa e si ritrovò il naso a un palmo dalla barba di Lisser, che la fissava torvo con le braccia muscolose incrociate sul petto. Doveva essersi avvicinato di soppiatto facendo in modo che gli schianti coprissero il rumore dei suoi passi. Accidenti, se sapeva muoversi.

Melanna tornò a rivolgersi a Zak.

«Zak Savallis, sono stufa dei tuoi giochetti. Non volevo farlo, ma sono costretta ad arrestarvi tutti e due e a farvi interrogare come si deve. Quanto a voi, Lisser, vi consiglio vivamente di seguire il consiglio del vostro socio e seguirmi senza fare scherzi.»


***


Melanna si rigirava nel letto.

Le analisi delle scorte mediche avevano rivelato che in parte si trattava davvero di preparati per rafforzare il sistema immunitario. C'erano però anche una serie di sostanze sconosciute con effetto stimolante e rigenerante a largo raggio, come se i due soffrissero di qualche malattia che provocava un indebolimento e un collasso finale di tutti gli organi. Ne sapeva quanto prima, ma aveva mandato la notizia a Izan, nel caso lui riuscisse a ricavarci qualcosa.

Comunque non era l'enigma in sé a tenerla sveglia, ma qualcos'altro.

Era furiosa con Zak.

Aveva cercato in tutti i modi di aiutarlo. Diavolo, aveva addirittura ignorato il suo linguaggio corporeo quando aveva parlato della Fondazione... non denotava esattamente una menzogna, quanto una grande incertezza, come se le conoscenze di Zak sulla sua politica economica fossero molto scarse... e quell'uomo continuava a raccontarle favole ridicole e a trattarla da stupida! Adesso era costretta a consegnarlo alle forze di sicurezza, che sarebbero state molto meno gentili. Proprio così, era furiosa con Zak perché l'aveva letteralmente costretta a consegnarlo ai torturatori. Ora capiva meglio lo sciocco gesto del Doganiere Anziano, che gli aveva consigliato di procurarsi dei falsi migliori; non poteva negare che quel ragazzo avesse il dono di suscitare simpatia.

No, simpatico non era la parola giusta, in quel momento l'avrebbe preso a schiaffi. Forse 'disarmante' sarebbe stata una definizione miglio...

Il terminale lampeggiò emettendo un suono fastidioso.

Un messaggio alle tre di notte non è mai una buona notizia, e Melanna quasi rotolò dal letto riconoscendo sullo schermo il codice di Izan. Non era una videochiamata, ma un messaggio scritto. Forse aveva voluto lasciarle la scelta tra leggerlo subito e lasciarlo alla mattina dopo. L'orario faceva comunque pensare che fosse urgente. Si alzò per leggere più comodamente e lo aprì.

Sorrise vedendo delle frasi assurde sottolineate. Controllando il messaggio prima di spedirlo Izan le aveva evidenziate per correggerle, ma poi se ne era dimenticato.

Leggendo la lettera il suo sorriso svanì.


Cara Liù,

per quanto riguarda la tua ricerca scolastica

il problema dei due mercanti è così intrigante che ho passato tutto il giorno, e la notte, a leggere notizie e rapporti dal settore di Anacreon, dall'epoca della sua indipendenza a oggi. Ma ho trovato qualcosa che mi ha preoccupato, e, considerando il tuo ultimo messaggio dove mi racconti delle scorte mediche, ho pensato che fosse il caso di informarti immediatamente.

Centocinquant'anni fa il pianeta Hollij è stato messo in quarantena per via di una malattia contagiosa che provocava un invecchiamento accelerato durante l'infanzia, fino alla morte che sopraggiungeva verso i trent'anni. Non ho trovato notizie successive a questa e non so se sia mai stata trovata una cura. Ma supponi che i tuoi mercanti siano fuggiti da Hollij violando la quarantena. Questo spiegherebbe l'isolamento estremo del pianeta, le scorte mediche, il ragazzo dai capelli precocemente bianchi e la frase sui crimini galattici, perché diffondere una malattia del genere su altri mondi corrisponderebbe perfettamente a questa definizione.

Se fosse così, il fatto che abbiano scelto un mondo turistico e trafficato come Nyniv fa quasi pensare che vogliano diffonderlo deliberatamente, ma questa è solo la fantasia di un vecchio pessimista. Ma soprattutto tu che sei ancora nell'età della crescita devi stare attent

Con affetto

Zio Izan


Melanna aprì l'armadio, si buttò una giacca sulle spalle e si diresse alla porta; poi cambiò idea, tornò al terminale e digitò in fretta e furia:


Caro Izan,

sei stato geniale come al solito, ma ti prego di non fare più cose del genere. Intendo stare sveglio tutta la notte (e scommetto a stomaco vuoto) per fare le ricerche che ti chiedo. Abbi cura della tua salute. Perdere il sonno per stanare i criminali è il mio lavoro, non il tuo!

Adesso fila a letto, che è tardi! (Ti ricordi quando me lo dicevi tu?)

Liù.


***


Appena Zak vide entrare Melanna con la giacca dell'uniforme sopra un pigiama rosa, una frusta neuronica in mano e lo sguardo bruciante come una fornace atomica, capì di essere nei guai.

Melanna gli puntò la frusta in faccia e lui si raggomitolò sul lettino. Avevano messo Alvan in una cella separata, quindi non poteva contare su quel deterrente.

«Tu, tu... piccolo verme, ho capito da dove vieni!»

Zak si coprì il viso con le mani.

«È Hollij, vero? E porti il morbo con te!»

Zak allargò un po' le dita per guardare Melanna, come sperando che avesse una spiegazione scritta in faccia. Ovviamente questo non servì a migliorare la sua comprensione, e alla fine abbassò le mani. «Che morbo?»

«Il morbo... quello che c'è su Hollij. Che fa invecchiare i ragazzini.» Melanna sorrise senza umorismo. «Ho capito tutto. Scommetto che hai dodici anni o qualcosa del genere e che Lisser è tuo padre. Si spiegherebbe perché lui sia così protettivo, e perché un uomo dall'apparente età di quarant'anni sia così imbelle da fare tenerezza.»

La faccia di Zak diventò scarlatta e la bocca si contrasse in una smorfia. Urlò: «Grazie tante, maledetta strega!»

«Che reazione! Forse giocando ad 'acqua, fuoco' ho finalmente trovato una zona calda?»

«Su Nyniv è un complimento dire a un uomo adulto che è imbelle e fa tenerezza?» Con uno sforzo Zak abbassò la voce fino a un tono normale. «Senti, alla stazione d'ingresso ci hanno esaminato col microrivelatore, lo sai che siamo puliti.»

«Abbiamo esaminato voi, non la nave. Basta una balla di merce contaminata per spopolare un intero settore.»

«Esaminate pure la merce e tutta la nave, i virus sono proprio l'ultima cosa che trasportiamo.»

«Certo, perché le forze di sicurezza non hanno altro da fare che prendere dei microrivelatori ed esaminare la tua nave centimetro per centimetro. No, caro Zak, questo giochetto acqua e fuoco deve finire. È ora di passare a un metodo più efficace. Domani mattina arrivano i ragazzi specializzati in interrogatori.»

«Credevo che fossi tu l'esperta in interrogatori.»

«Io sono l'esperta in interrogatori amichevoli. Leggo il linguaggio corporeo. Quelli leggono nel pensiero.»

«Nessuno nella Galassia sa leggere il pensiero» disse Zak con una punta di incertezza.

«Chiunque nella Galassia sa leggere il pensiero, sa ha abbastanza soldi da pagare una sonda psichica.» Scrutò le sue reazioni. «Sei preoccupato, ma non terrorizzato... muori di paura all'idea che qualcuno scopra il tuo segreto, ma non hai paura della sonda che lo rivelerebbe con certezza? E in più potrebbe danneggiarti il cervello. Com'è possibile?» Zak si agitò sul lettino. «No, non disturbarti a inventare qualcos'altro, lo saprò domani mattina. Anzi, tra poche ore, perché ormai è l'alba. Questa è la tua ultima possibilità: resterò nella cella con te in caso cambiassi idea.»

Zak si raggomitolò di nuovo sulla branda e nascose il viso tra le ginocchia. Non aveva idea di cosa stesse facendo Melanna, ma dopo il rumore di una sedia spostata non aveva sentito nient'altro.

Quando udì scorrere la porta capì che il tempo era scaduto. Sollevò la testa e vide Melanna ancora seduta di fronte al letto e un agente sulla soglia. «La sonda psichica è arrivata. Da chi cominciamo?»

«Da quello che cederà subito e non ci scaricherà il generatore» disse Melanna con una smorfia che forse voleva essere crudele ma risultò solo amara. «Zak Savallis. Potete cominciare subito?»

«Tra un'oretta, i tecnici devono settare i parametri della sonda.»

«Aspetterò nell'edificio principale. Chiamatemi quando avrete finito.»


***


La chiamata arrivò dopo un'ora esatta.

Zak, Zak, sei peggio di quanto pensassi. Quanto hai resistito, dieci secondi?

L'agente sullo schermo si schiarì la gola. Non c'era bisogno della lettura del linguaggio corporeo per capire che non stava per annunciare un grande successo.

«Ecco, abbiamo avuto un problema» disse.

«Lo vedo benissimo» rispose lei a denti stretti. «Fate rapporto.»

«Forse risulterà più chiaro guardando la registrazione della seduta...»

«Mi sto stufando di sentire questa frase. Mandatemi il filmato.»

Melanna avviò il filmato.

Zak era legato con delle cinghie a un lettino, al fianco del quale c'era la sonda. Era pallidissimo e gli occhi spalancati guizzavano da una parte all'altra, ma teneva le labbra serrate, come determinato a non lamentarsi.

Uno dei tecnici regolava i quadranti della sonda. Muoveva le labbra ma non si sentiva alcun suono, così Melanna alzò il volume al massimo, ottenendo solo un borbottio indistinto. Forse stava leggendo tra sé i valori sui quadranti. L'altro tecnico armeggiava con due piastre collegate alla sonda. Nella stanza c'era anche un agente della sicurezza; era in piedi vicino alla porta e si limitava a controllare il prigioniero, che però non sembrava proprio in condizioni di tentare scherzi.

Il tecnico si avvicinò a Zak e gli accostò le piastre alle tempie.

«ALVAN!!!»

Melanna si portò istintivamente le mani alle orecchie. Abbassò il volume e sbuffò con disprezzo. Impossibile che Zak avesse sentito dolore in quel breve istante.

Il tecnico che aveva le piastre in mano, e che colto di sorpresa dall'urlo le aveva staccate dalla testa di Zak, le lasciò cadere. All'inizio Melanna la prese per una semplice goffaggine, ma poi vide che l'uomo camminava barcollando e portandosi le mani alla fronte. Anche il suo collega sembrava stordito, e si appoggiò pesantemente alla sonda, rovesciandola con un fracasso infernale.

«Per la Galassia, sono danni per migliaia di crediti! Spero che non diano la colpa a me.»

L'agente cercò di estrarre la pistola, ma anche lui si muoveva in modo scoordinato e l'arma finì a terra.

Pochi istanti dopo tutti e tre erano stesi sul pavimento, privi di sensi.

Entrò Alvan. Slegò Zak, che sembrava aver perso conoscenza come gli altri, e lo prese tra le braccia. Il mercante lanciò uno sguardo gelido alla telecamera, come se volesse rimproverare le forze di sicurezza per la loro brutalità, e Melanna provò un misto di divertimento e di assurdo senso di colpa.

Alvan uscì dalla stanza con il corpo del socio tra le braccia, senza correre ma a passo piuttosto spedito considerando che portava un uomo. L'attenzione di Melanna si focalizzò senza volerlo sul capo riverso di Zak e sulle sue mani pallide e completamente rilassate.

«Sembrano davvero lord Vaxon e la Duchessa di Hestelonia» mormorò. Quella scena le aveva provocato una punta di turbamento del tutto indipendente dal fallimento della missione.

Si rimise in contatto con l'agente. L'uomo aveva l'espressione di scusa di chi declina una responsabilità sgradevole.

«Immagino abbiano lasciato lo spazioporto. O sono riusciti a raggiungere la nave e partire?»

«Non ci hanno neanche provato, maggiore. Si sono diretti verso la campagna.»

«Capisco. Altre persone sono state colte da quella specie di malessere?»

«Sì, tutti quelli che hanno cercato di inseguirli.»

«Me lo immaginavo. Preparate un rapporto scritto, sto arrivando.»

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Capitolo 5
*** Forse un potere arcano ***


«Alvan, mi fai un favore?»

«Qualunque cosa, Zak.»

«Prendi il fulminatore e fammi saltare la testa.»

«Non questo.»

Se fosse stato un romanzo di avventure si sarebbero nascosti in una foresta, ma su quello stupido mondo arido una volta usciti dallo spazioporto si erano trovati in mezzo a una prateria ravvivata da sparuti boschetti, più che altro macchie di grandi cespugli. Erano l'unico riparo, a meno di non strisciare per terra per nascondersi in mezzo all'erba. Le piante erano poco più alte di un uomo, con foglie scure allungate e grandi fiori rosa dal profumo dolce e penetrante. Un ambiente piacevole. Zak giaceva su un letto di foglie secche, la testa poggiata sulle cosce di Alvan che sedeva per terra.

«Con così pochi posti dove nascondersi ci troveranno subito. Tanto varrebbe sparare un razzo segnalatore. Ma come mi è saltato in mente di venire qui? Perché non mi hai fermato? Lo so, scusa, hai tentato di fermarmi in tutti i modi esclusa una botta in testa. Forse avresti dovuto darmela... sono del tutto inadatto alla Galassia.»

«Se la situazione diventasse proprio disperata potremmo provare a riprenderci la nave, a costo di mettere fuori combattimento mezzo spazioporto. Probabilmente riusciremmo a fuggire prima che gli agenti si riprendano e lancino l'allarme. Ma secondo me è meglio trovare un accordo con Melanna, mi è sembrata ben disposta.»

Zak si sollevò sui gomiti e si girò a guardare il socio, incredulo. «Ben disposta? Mi ha sottoposto alla sonda psichica

«Durante le vostre ultime interazioni i suoi modi sono cambiati. Hai notato che adesso ti dà del tu e tende ad avvicinarsi fisicamente? Forse è un'ipotesi troppo azzardata, ma la sua rabbia nei tuoi confronti fa pensare più a una donna che non riesce a ricondurre il fidanzato alla ragione che a un funzionario frustrato da un problema difficile.»

«Non sospettavo una tua vasta esperienza in fatto di fidanzate arrabbiate. Cosa combinavi alle mie spalle?»

«Niente del genere, ma se ricordi per studiare la lingua abbiamo guardato insieme un sacco di iperdrammi.»

Zak rabbrividì. «Se devo contare sui teneri sentimenti di Melanna preferisco quasi farmi sondare, mi fa meno paura.»

«Non la trovi per nulla attraente?»

«Al contrario. Ma mi ha slogato il braccio e ammaccato la faccia solo perché le ho detto una mezza bugia sulle scorte mediche, non vorrei essere nei paraggi se sospettasse che ho approfittato delle sue debolezze.»

«Sei esausto. Prova a dormire, devi recuperare le forze e lo sai che con me sei al sicuro.»

«Mi sembra un'ottima idea.» Zak si stese di nuovo e chiuse gli occhi.


***


Fu questo gentile quadretto che si trovò di fronte Melanna quando li trovò: Zak addormentato con la testa sulle gambe di Lisser, all'ombra degli oleandri.

Si aspettava un atteggiamento ostile da parte di Lisser, ma il mercante sembrava calmo. Le fece solo cenno di avvicinarsi silenziosamente per non disturbare l'amico.

Zak dormiva con la testa poggiata sul lato destro, mostrando a Melanna il lato coi capelli bianchi. Se si aggiungevano le occhiaie e la piega stanca della bocca non dimostrava più trentacinque o quarant'anni, ma cinquanta. Melanna notò i solchi delle lacrime sulla guancia leggermente impolverata.

«Per la Galassia, non avevo mai visto un uomo adulto che piange.»

Zak sussultò e aprì gli occhi.

«Stai calmo, non sono venuta ad arrestarti. Come vedi sono in borghese.» Sorrise.

«Cosa vuoi, allora?» chiese Zak, stancamente.

Melanna lo osservò con il solito sguardo penetrante. «Sembri un po' meno rigido di prima nei miei confronti. Ho una proposta. Non vorrei proprio estorcerti la verità con le maniere forti, a parte le difficoltà impreviste.» Lanciò un'occhiata a Lisser e gli si rivolse in tono duro: «Dove l'avete nascosto lo storditore? Gli agenti che vi hanno perquisito si sono beccati un richiamo scritto per negligenza. Tecnicamente vi dovrei arrestare per aver assalito dei funzionari governativi nell'esercizio delle loro funzioni, ma, a parte un po' di mal di testa, stanno tutti benissimo, quindi per ora lasciamo perdere.» Tornò a rivolgersi a Zak: «Comunque non posso neanche chiudere gli occhi e buttare le mie responsabilità in un buco nero. Facciamo così, continuiamo a giocare ad acqua e fuoco. Se deciderò che non rappresentate un pericolo per il pianeta vi lascerò andare, indipendentemente dal fatto che abbia indovinato il segreto o no. Tra l'altro dopo la vostra fuga siamo stati costretti a ripiegare sull'analisi della nave e in effetti non c'è traccia di virus. Che ne pensi?»

«Non ho molta scelta ma non è un accordo malvagio, considerato che davvero non abbiamo la minima intenzione ostile.»

«Per fornirmi il materiale per il gioco però dovrai rispondere onestamente alle mie domande. Non ti chiederò il segreto, saranno domande indirette. Ovviamente se mentirai me ne accorgerò.»

«D'accordo.»

«Lisser è la tua guardia del corpo o il tuo avvocato?»

Zak sorrise. «Ammetto che lo studio delle leggi commerciali l'ho lasciato a lui, ma in realtà nessuno dei due. È mio amico da una vita. Abbiamo deciso che in questo viaggio mi avrebbe fatto da guardia del corpo, comunque. Come avrai notato è più forte di me.»

«Hai qualche altro motivo per venire su Nyniv, a parte il commercio?»

«Sì, voglio camminare su un mondo vivo. Il mio è moribondo.» Davanti all'occhiata confusa della donna aggiunse: «Sta morendo di vecchiaia.» Melanna aggrottò le sopracciglia. «Non di un morbo che provoca l'invecchiamento precoce, di vecchiaia naturale.» Incrociò le braccia sul petto e sorrise più apertamente.

Quel ragazzaccio chiaramente aveva deciso che essere il depositario di un segreto poteva avere dei lati divertenti. Per un attimo a Melanna tornò la voglia torcergli il braccio.

«Va bene, rifletterò sulle nuove informazioni. Ho detto ai miei uomini che non potete restare nella prateria e sicuramente per trovare dei viveri vi dirigerete a Carinni, dove vi farete notare per forza. Biondi con gli occhi azzurri, vestiti strani e quell'accento. Ho fatto diffondere la vostra descrizione. Naturalmente resterete qui, vi porterò cibo e acqua.»

«Vorremmo anche lavarci e cambiarci.»

Melanna alzò gli occhi al cielo: «Per la Galassia, vuoi anche una multivasca con getti profumati? Far arrivare un sistema idraulico fin qui darebbe un po' nell'occhio.»

«Una doccia sonica portatile? Tipo quella che si usa sulle navi per non consumare acqua?»

«Mmm... i primi dieci minuti di calma dopo il vostro arrivo e già pretendi un albergo di lusso. Non siete di sicuro mercanti della periferia.»

«Perché, su Nyniv lavarsi è un lusso? Con questo caldo mi immagino l'odore...»

Melanna raccolse una manciata di terra e gliela lanciò sulla tunica azzurra. Zak fece una smorfia e cercò di scuoterla via. «Ci vediamo domani. Una notte di digiuno e vestiti sudati non vi ucciderà.»

«Ma sono a digiuno da ieri!» Zak alzò la voce mentre Melanna si allontanava, ma lei non si fermò.


***


«Izan! Sarai felice di sapere che su Nyniv non si sta per scatenare nessuna epidemia. Abbiamo esaminato sia i mercanti che la nave e sono completamente puliti.»

«Magnifica notizia, Liù! Senti, chiami un attimo tua madre così la saluto? È un'eternità che non la sento.»

«Sarebbe un po' difficile, lo sai che abita nell'atollo meridionale. Purtroppo il fatto che i mercanti non vengano da Hollij significa che sono ferma allo stesso punto di prima. L'unica nuova informazione che ho è che vengono da un pianeta 'moribondo di vecchiaia'. Ti fa venire in mente qualcosa?»

«Certo. Trantor.»

«Suvvia zio, Trantor è l'ultimo posto dove avrebbero sbagliato il sigillo imperiale.»

«Forse avevano dei documenti antichi e hanno modificato solo le date e i nomi, ma non il sigillo che è quasi impossibile da falsificare proprio per la sua funzione. Avranno pensato che dei barbari della periferia non ci avrebbero fatto caso. S-III o S-VI, che differenza c'è?

«Circa seicento anni...»

Izan alzò le spalle. «Ci sono altri fattori che non hai considerato. Hai detto che sia tu che il Doganiere Anziano avete provato una strana simpatia per quel giovanotto e il desiderio di aiutarlo, nonostante stesse violando la legge.»

«Be', sì, ma che c'entra? Su Trantor sono particolarmente simpatici?»

«E mi hai detto anche che è difficilissimo leggere il linguaggio corporeo di Lisser, come se fosse perfettamente addestrato...»

«Infatti.»

«...che Savallis ha dimostrato una strana indifferenza per l'idea di essere sondato psichicamente, e che gli agenti hanno giurato che Lisser non aveva addosso nessuno storditore.»

«Izan, mi stai facendo morire dalla curiosità. Davvero esiste un'ipotesi che collega tutte queste stramberie?»

«Forse. Però è una congettura fantasiosa, non vorrei che pensassi che il tuo vecchio zio ha perso le ultime rotelle che gli restavano!»

«Per la Galassia, se non me la spieghi entro tre secondi faccio arrestare te!»

«Si tratta della Seconda Fondazione.»

Melanna si sentì sprofondare. «C'è un'altra Fondazione? Spero che siano solo due. Sentire tutte quelle contorsioni mentali sulla psicostoria e il grande Hari Seldon è stato già abbastanza pesante, non muoio dalla voglia di ricevere la doppia dose, tanto meno la tripla.»

«Non fare la bambina impertinente, o dico a tua madre di sculacciarti. La Seconda Fondazione è molto misteriosa. Secondo le parole di Seldon dovrebbe trovarsi all'altro capo della spirale galattica, dove finiscono le stelle o qualcosa del genere, e da alcuni accenni si capisce che sarebbe composta di psicostorici e dovrebbe aiutare la prima in caso di difficoltà.»

«'L'altro capo della spirale' mi sembra un'indicazione diametralmente opposta a Trantor.»

«Lasciami finire. Per un prezzo astronomico mi sono procurato una copia della biografia di Hari Seldon scritta da Zdenka Alurin. È introvabile, sembra che poco dopo la pubblicazione l'abbiano ritirata dal commercio, e leggendola si capisce il motivo. Comunque c'è un accenno al fatto che durante i suoi ultimi anni su Trantor Seldon stesse integrando la psicostoria con l'uso di poteri mentalici scoperti per caso tra i suoi collaboratori. Forse alcuni psicostorici con questi particolari poteri sono rimasti su Trantor, mentre il grosso della Seconda Fondazione veniva trasferita all'altro capo della Galassia. Sarebbero in grado di suscitare simpatia o antipatia secondo la loro volontà, controllare i micromovimenti, confondere la sonda psichica, e forse, se sono molto potenti, colpire le menti altrui a distanza.»

«Spaventoso. Ma se le due Fondazioni hanno lo scopo di tenere a bada la barbarie i loro membri sono proprio l'opposto dei criminali galattici.»

«Ma questi sono fuggiti da Trantor e vanno in giro con documenti falsi. Forse sono traditori.»

«Izan, non penserei mai che sei matto, ma comincio a pensare che dovresti scrivere fantascienza. Comunque sono a corto di ipotesi e non ci perdo nulla a testare anche questa. Ti farò sapere.»


***


Melanna si recò nel boschetto di oleandri con una doccia sonica, vestiti puliti, cibo e acqua, credendo di presentarsi nel ruolo di salvatrice, e fu quindi alquanto seccata nel trovare Zak che banchettava con sandwich e acqua aromatizzata. Sembrava a suo agio e non era più così pallido. A dire il vero il suo naso appuntito stava diventando di un bel rosa vivo.

«Quante persone avete stordito per questi?» chiese Melanna, riferendosi ai viveri.

«Neanche una» disse Zak. «Quando vuole Lisser si sa muovere in modo veloce e silenzioso.»

«Già, l'ho notato sulla nave. Oggi faccio una domanda proprio a Lisser, posso?» chiese in tono sarcastico. «Nel gioco va a vostro vantaggio, perché non riesco a leggergli i micromovimenti.»

«Avanti! Se la domanda è ragionevole dirà la verità. Se non lo è, si rifiuterà di rispondere.»

«Hai uno storditore subsonico?» chiese a Lisser, brusca.

«Sì.»

Tanti saluti alla teoria di Izan. Meglio così, aveva già abbastanza problemi senza dover affrontare dei superuomini. «Dove l'hai nascosto?»

«È in una capsula impiantata sottopelle. Lo attivo con la pressione di un dito.»

«Accidenti, uno storditore miniaturizzato! Hai altre armi del genere nascoste su di te?»

«Sì.»

«È normale sul tuo mondo?»

Zak scoppiò a ridere e lei immaginò la risposta di Lisser prima di sentirla. «Assolutamente no.»

Melanna si rivolse a Zak: «Perché non avevi paura della sonda psichica?»

«Sapevo che Alvan non l'avrebbe mai permesso. Oggi stai facendo troppe domande.» Staccò un pizzico di pane dal sandwich e se lo lanciò in bocca.

«L'ultima e ho finito. Quindi non siete due psicostorici di Trantor?»

«Due psicoche?» chiese Zak, allibito.

Melanna fece un gesto con la mano. «Non importa. Ci vediamo domani.»

«No, no, voglio sapere cosa sono gli... psico-stoici? Te ne esci con certe idee! quando mi hai accusato di essere il figlio dodicenne di Lisser colpito da invecchiamento precoce non riuscivo a crederci. Sul momento non ho potuto apprezzare l'umorismo, ma se ci ripenso adesso...»

Melanna lo fulminò con lo sguardo, poi sospirò, si sedette a gambe incrociate appoggiando la schiena a un albero di fronte a Zak, e raccontò la sua conversazione con Izan.


***


Zak era ancora incredulo. «Fantastico, semplicemente fantastico. Comunque mi dispiace ma il mio fascino è un dono naturale, non deriva da nessun arcano potere psichico.»

«Tu non hai nessun fascino naturale, scimmiotto.»

«Ah no? Forse una volta tanto dovresti fare attenzione al 'tuo' linguaggio corporeo.»

Il dolore bruciante alla guancia che seguì questa affermazione non fu proprio una sorpresa.

«Perché l'hai provocata?» chiese Lisser, dopo che Melanna si fu allontanata con andatura rigida. «Potresti inimicartela, proprio adesso che ha deciso di aiutarti.»

«Nooo. Col suo lavoro e il suo carattere è abituata ad avere il controllo, ma, alla faccia della mia famosa debolezza, con me non sa mai che diavolo sta succedendo, e questo la fa impazzire. E poi mi piace quando si arrabbia. A lei piace quando sorrido, l'ho notato.»

«Insomma, vi state corteggiando. Questo rafforza la mia impressione che potremmo dirle la verità. Non hai notato niente di strano nelle sue ipotesi?»

«Sì, sono sempre più pazze.»

«Appunto. Eppure, nonostante sia disposta a prendere in considerazione le idee più assurde, non si è mai avvicinata alla verità. Evidentemente noi non figuriamo nella sua lista personale di criminali galattici.»

«Stai suggerendo che ci siamo imbattuti in una delle poche persone in tutta la Galassia che hanno simpatia per la nostra gente?»

«No, sto suggerendo che non ha mai sentito parlare della nostra gente, o che non gliene importa  niente.»

Zak sollevò le sopracciglia, sorpreso.

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Capitolo 6
*** Forse un viaggio impossibile ***


Melanna era seduta al terminale. Aveva avuto intenzione di chiamare Izan, ma si era persa nei suoi pensieri e aveva finito con lo stare lì senza far niente.

Il suo comportamento aveva raggiunto un livello di stupidità tale da farsi notare perfino da Zak, che non sembrava esattamente una mente diabolica. Fino a quel momento si era autoconvinta che il suo impulso di aiutarlo fosse dettato da solidarietà umana, ma non poteva più prendersi in giro da sola.

Assurdo. Nel suo lavoro incontrava ogni giorno uomini di ogni genere, dai più affascinanti dandy dell'aristocrazia ai mercanti virili e avventurosi, e, se avesse avuto gusti difficili, anche tipi più originali. Una volta aveva accettato un invito a cena da un capitano con uno sfregio da coltello laser e una zanna di mugk appesa all'orecchio che, sebbene avesse rispettato scrupolosamente tutte le norme doganali, assomigliava un po' troppo all'identikit di un pirata ricercato nel Settore di Sirio. E andava a perdere la sua obiettività professionale per un tipo cicciotto e insignificante, per calare un velo pietoso sul carattere!

Sì, insignificante. L'unico tratto notevole di Zak era il sorriso. Aveva belle labbra dal contorno netto, con una fossetta centrale molto accentuata che gli dava un'espressione particolare, e denti perfetti.

No, così non andava. Stava facendo l'elenco di tutti i motivi per cui Zak non avrebbe dovuto piacerle e si metteva a pensare al suo sorriso.

Il terminale cominciò a ronzare e lampeggiare.

«Liù, vuoi farmi morire di curiosità! Per la tensione non ho mangiato niente dalla nostra ultima chiamata!»

«Direi che va bene così, Izan, ci siamo sentiti dopo colazione e adesso è ora di pranzo. Scusa, stavo proprio per chiamarti. La tua idea sugli psicostorici era brillante ma non è quella giusta. Tra l'altro non abbiamo pensato al fatto che non spiegherebbe il dialetto incomprensibile e le scorte mediche. Se hai qualche altra ipotesi fantascientifica sparala pure, tanto, se ho capito una cosa di questa storia, è che quando scoprirò la verità avrò difficoltà a crederci.»

«Sono contento che tu mi dica questo, perché in confidenza avevo un'ipotesi di riserva davvero fantascientifica. Non volevo parlartene perché mi piaceva di più quella sui trantoriani.»

Melanna sospirò. «Più fantascientifica dei poteri psichici?»

«Be', sì. I poteri mentalici sembrano incredibili, ma dopotutto ci sono dei documenti storici al riguardo, come il libro della Alurin. Almeno siamo sicuri che esistono...»

«Quindi la nuova ipotesi è basata su qualcosa che forse non esiste. Cominciamo bene.»

«Sai cos'è un wormhole?»

«Certo che lo so, guardo l'ipervisione.» Per un attimo Melanna restò sconcertata, poi capì. «Oh, no, vuoi dire che secondo te sono arrivati dall'epoca di Stannel III viaggiando attraverso un wormhole?»

«No, non dal passato, dal futuro.»

«Adesso mi sono persa.»

«Immaginati un futuro in cui si scopre come usare i wormhole per viaggiare nello spazio e nel tempo. I due per qualche motivo vogliono tornare all'epoca d'oro dell'Impero. Si procurano una nave e dei documenti corrispondenti a quel periodo, ma trasportano merci a tecnologia avanzata che permetteranno loro di diventare ricchi. Nel lontano futuro la lingua si è evoluta ed è diversa dalla nostra. I microorganismi sono mutati, così non hanno le giuste difese immunitarie. Magari hanno anche imparato ad allungare la vita usando sostanze stimolanti e rigeneranti su tutti gli organi. Purtroppo sbagliano i calcoli e finiscono nella nostra epoca tribolata. In ogni caso sono dei fuorilegge, perché portando conoscenze dal futuro si potrebbe cambiare la storia. Ecco il crimine galattico.»

«E il pianeta moribondo?»

«L'Impero è già in crisi da adesso, immaginati nel lontano futuro.»

«Ti stai contraddicendo. Hai descritto una tecnologia avanzatissima, com'è possibile che sia accompagnata da una tale decadenza?»

«Nell'Impero non si è mai visto, ma in teoria niente impedisce la coesistenza di un alto livello tecnologico e una forte decadenza sociale. Del resto, da come l'hai descritto, quel giovanotto non sembra essere cresciuto in un ambiente normale. Non lo vedrei bene neanche nei settori più ricchi di Trantor, anche lì devi imparare a cavartela perché è un intrigo continuo di tutti contro tutti.»

«Accidenti zio, suona quasi convincente. Il punto debole è il wormhole. C'è un motivo se questa teoria è uscita dalla scienza per entrare nella fantascienza: dopo ventimila anni di viaggi spaziali nessuno ha mai visto niente del genere. Per studiare i buchi neri ci abbiamo buttato dentro di tutto, ma non ne è mai uscito neanche mezzo atomo. Comunque proverò anche questa e ti farò sapere.»


***


«Oh oh, pericolo» disse Zak, vedendo arrivare Melanna.

Come se la donna avesse deciso di abbandonare ogni cautela, non solo si era vestita in borghese ma anche in modo molto più femminile: i capelli sciolti, che al sole rivelavano una sfumatura color cobalto, un vestito leggero di un beige rosato chiarissimo, come del latte con appena un pizzico di cacao, e braccialetti color rame ai polsi e alle caviglie. Portava una borsa che sembrava pesante. Zak lo trovò strano perché tra l'incursione di Alvan e i viveri portati da Melanna il giorno prima erano più che a posto come provviste.

Melanna frugò nella borsa e porse un vasetto a Zak. «Qualunque cosa abbiate rubato allo spazioporto, questa non l'avete di sicuro.»

Lui lo prese in mano e lesse l'etichetta. "Sorriso d'estate."

«Mmm... grazie.» Lo aprì. Conteneva una crema densa dal piacevole profumo di noce di cocco e vaniglia. Era la sua nuova tecnica, farsi carina e regalare dolci? Non era sicuro se per educazione avrebbe dovuto assaggiare subito la crema. Non aveva cucchiaini e non gli andava di usare un dito.

«Perché sei senza scarpe?» chiese Melanna. Zak indossava i vestiti puliti forniti da lei, camicie bianche con ampie maniche, fatte di un tessuto sottile, e pantaloni larghi color ruggine, ma era a piedi nudi. Alvan era vestito come lui ma si era tenuto gli stivali da lavoro nonostante la temperatura.

«Come prima domanda non c'è male. Perché gli aggeggi che ci hai portato non sono scarpe, sono ceppi appositamente studiati per impedire la fuga.» Si trattava di semplici solette con due sottili strisce di cuoio da infilare tra l'alluce e il secondo dito, ma Zak le trovava scomodissime.

Melanna sorrise. «Hai ragione, non è una gran domanda. Passiamo alla seconda, allora...»

Zak prese un cracker da una confezione già aperta, lo inzuppò nella crema e lo morse. Lo sputò disgustato.

«Ma che fai?» La donna scoppiò a ridere. «È crema solare, per la scottatura!»

«E come facevo a saperlo? Profuma come un dolce, e poi noi per proteggerci la pelle usiamo degli spray, non ci spalmiamo unguenti in faccia!» Le ultime parole furono pronunciate con leggero disgusto, come se la trovasse un'usanza da selvaggi. Ma Melanna si stava divertendo troppo per offendersi.

«Passiamo alla seconda domanda» ripeté, asciugandosi una lacrima. «A cosa servono le medicine?»

Zak sputacchiò gli ultimi residui di crema, si ricompose e sospirò. «Sugli stimolanti del sistema immunitario ti ho detto la verità. Il nostro mondo è molto isolato.»

«E le altre? Soffri di una condizione che ti indebolisce a poco a poco tutti gli organi?»

«Sì.»

Le ultime tracce di allegria svanirono dal viso di Melanna. «Stai... stai per morire?»

Per avvantaggiarsi nel gioco Zak aveva risposto al significato letterale della domanda, ma davanti all'evidente preoccupazione della ragazza si intenerì e ridacchiò: «Proprio per niente!»

Ora sembrava pronta a dargli un pugno. Forse aveva dato l'impressione di farsi beffe di lei.

«Che cavolo di condizione è?» chiese, con quel tono di voce che Zak considerava un segnale di pericolo.

«La stessa che hai tu. Si chiama mortalità.»

«Le medicine servono ad allungarti la vita?»

«Esatto.»

«Quanto ti aspetti di vivere?»

«Tredici decadi.»

«Quindi se ti sequestro quei preparati e li uso per me vivrò centotrent'anni?»

«Temo di no, c'è anche una componente genetica. Vivresti comunque più a lungo. Ma le scorte sono solo per una persona.»

Il viso di Melanna si rannuvolò ancora di più e Zak aggiunse: «Non voglio dire che non le dividerei con te - (meglio un tocco di galanteria, anche se lei aveva usato il verbo 'sequestrare') - ma se ciascuno di noi ne usasse solo la metà ovviamente non potremmo aspettarci la stessa efficacia.»

Lei sembrò pensarci per qualche istante poi cambiò argomento. «Posso sentire un esempio del vostro difficilissimo dialetto?»

Zak declamò "Nyniv è un bel pianeta" nell'accento del suo pianeta natio.

«Questo è un po' troppo. Hai semplicemente pronunciato dei suoni a caso» disse Melanna, che sembrava scossa.

Zak ripeté la frase più lentamente, poi ancora più lentamente. Alla terza ripetizione Melanna riuscì a decifrare le parole.

La ragazza trasse un profondo respiro. «Vieni da un'altra epoca?»

Zak ci pensò sinceramente, rendendosi conto di quanto dovesse sembrare assurdo. «In un certo senso.»

Questo mandò Melanna in confusione. Poi la sua espressione si indurì, aprì la borsa e prese uno strano aggeggio che assomigliava in modo inquietante a una pistola. Lo puntò alla faccia di Zak.

«Ehi, che scherzo è ques...» Zak sentì un dolore acuto a una narice. Melanna gli puntò la pistola al lato del viso e il dolore lo colpì all'orecchio.

Si toccò per controllare se ci fossero ferite e sentì che al lato del naso e al lobo dell'orecchio aveva due piercing, due bottoncini metallici rotondi.

«Scommetto che sono color rame» disse, sarcastico.

«Infatti. Sono due scudi. Significano che sei sotto la protezione personale del re di Nyniv, come ringraziamento per servizi speciali resi al governo.»

Be', era l'ultima cosa che si sarebbe aspettato. «Non mi risulta di aver reso servizi al governo, anzi. Come giustificherai questo atto con i tuoi superiori?»

«Ho tutte le giustificazioni che mi servono. Mi basterà pronunciare le parole 'armi miniaturizzate' e il generale avrà un attacco di convulsioni.»

«Ma così ci metterai nei guai!»

«Non potete consegnarmi quello stupido storditore? Se è sottopelle non ci vorrà chissà che operazione complicata per estrarlo. Dirò che l'avete comprato dalla Fondazione e non avete idea della tecnologia che c'è dietro. In cambio finché sarete sul pianeta nessuno può darvi fastidio, quali che siano le vostre vere identità e i vostri precedenti. Neanche io, se cambiassi idea. Quindi adesso che sei al sicuro puoi dirmi questo benedetto segreto.»

«Hai uno strano modo di chiedere favori...»

«Lo so che non sono stata molto simpatica, ma se non vuoi fare un piacere a me, almeno risparmia un infarto a un vecchio di ottantacinque anni. Mio zio è un sociologo e si sta consumando su vecchi libri e rapporti di cent'anni fa per capirci qualcosa di voi due.»

«Oh... al diavolo, va bene. Veniamo dal pianeta Aurora.»

Melanna lasciò cadere la pistola per i piercing, tirò fuori dalla borsa un visore e cominciò a digitare furiosamente. «Non c'è nessun pianeta chiamato Aurora! Per la Galassia, mi stai ancora raccontando fandonie!»

Zak alzò una mano: «Che ti prende, maggiore, non sai più leggere il linguaggio corporeo della spia nemica? Aurora non è nel vostro stupido elenco ma ti assicuro che esiste nello spazio reale.»

«Perché non figura nell'elenco? Se è un pianeta di criminali galattici le informazioni su questo mondo sono importanti.»

«È stato dichiarato zona vietata proprio per i nostri crimini, e così i suoi alleati, i cosiddetti mondi spaziali.»

«I pianeti nemici sono stati sempre conquistati o devastati, non ho mai sentito parlare di 'zone vietate' e neanche di mondi spaziali. Comunque, quale sarebbe questo crimine?»

«Abbiamo distrutto il pianeta Terra. Cioè, i miei antenati» aggiunse, come se avesse paura che Melanna lo colpisse all'improvviso. «In effetti quando gli imperiali, o i Coloni, come li chiamavamo allora, l'hanno scoperto, ci aspettavamo di essere bombardati. Ma la distruzione della Terra mediante l'aumento della radioattività è stato un processo lento, che si è svolto nel corso di diverse generazioni, così quando la cosa è saltata fuori ormai la rovina del pianeta era un fatto accettato e non ha provocato la fiammata d'odio che ci aspettavamo. Forse un po' anche perché  noi eravamo già in piena decadenza. I Coloni si sono limitati ad annunciare il Blocco: se un solo Spaziale si fosse azzardato a mettere il naso fuori dall'atmosfera, avrebbero ricambiato il favore trasformando tutti i nostri mondi in discariche radioattive.»

«Ma è una storia pre-imperiale. Durante l'ascesa dell'Impero innumerevoli mondi sono stati distrutti in guerra, a nessuno importerà se migliaia di anni fa è toccato anche a questo oscuro pianeta.»

«La Terra non era un oscuro pianeta, era importantissima. È stata il primo mondo dell'umanità.»

«Vuoi dire che era la capitale prima di Trantor?»

«No, era il mondo di origine dell'umanità. Prima delle civiltà terrestri non esistevano esseri umani nella Galassia.»

Melanna lo esaminò con il suo sguardo penetrante. «Per la Galassia, sei serio. Sai che ti dico, forse hai ragione a mantenere il segreto, conosco qualcuno che potrebbe ucciderti per questo.»

«Chi?»

«Mio zio. Se scopre che conoscevate il 'pianeta d'origine' e l'avete distrutto... davvero, l'unico rischio che correte è un plotone d'esecuzione formato da archeologi.»

«E il Blocco? Nell'Impero c'è una legge che ci vieta di lasciare i nostri pianeti sotto la minaccia di sterminare ogni singolo Spaziale nella Galassia.»

«Mi sembra ovvio che non è più in vigore ed è stato dimenticato» intervenne Lisser.

Zak si prese qualche istante per digerire l'informazione.

«Aspetta, ho affrontato tutto questo per niente? Interrogatori, sonda psichica, notti passate a rigirarmi sulle foglie secche... mentre avrei potuto semplicemente dire "piacere, Zak Savallis, cittadino auroriano nato nella città di Rhoxane, e questo è il mio robot Alvan Lisser" e nessuno avrebbe battuto ciglio?» Inspirò profondamente e tuonò in un insolito tono baritonale: «Per tutte le luci del nord!»

«Avrebbero battuto ciglio leggendo la tua data di nascita, visto che noi misuriamo gli anni dall'indipendenza di Aurora» ribatté Lisser.

«È strano, su Aurora mi sembravi praticamente umano, ma adesso il tuo modo di parlare pedante mi sembra molto robotico.»

«Io parlo come prima, è chiaramente un'impressione dovuta al contrasto tra i miei modi e il mio aspetto modificato per sembrare umano.»

Melanna si scosse. «Aspettate, credevo che un robot fosse un qualche tipo di collaboratore, ma se ho capito bene Lisser non è umano. Gli Spaziali hanno incontrato una razza aliena? Anche questo potrebbe essere rilevante per le forze di sicurezza.»

Zak si lasciò cadere sulle foglie secche. «Luci del nord, saranno spiegazioni lunghe. Ti assicuro che non è rilevante per la sicurezza. È un po' lungo spiegare cosa sono i robot, ma, primo, non sono alieni, secondo, non possono fare del male agli esseri umani ma anzi sono obbligati a proteggerli, è impresso nei loro cervelli. Avrai notato che il massimo di violenza usato da Lisser è stato lo storditore, che come hai detto tu lascia solo un po' di mal di testa.»

«Mmm... va bene, dei robot parleremo dopo. Adesso raccontami del tuo mondo. La situazione su Aurora dev'essere terribile se hai violato questo Blocco rischiando un attacco a tutti i mondi spaziali.»

Zak rabbrividì. «Non ne hai idea. Io ero la persona più giovane sul pianeta e l'unico con un po' di vitalità, gli altri settecento si limitavano a vegetare aspettando la morte.»

«Settecento! Non scherzavi quando l'hai definito moribondo! Mi immagino tutti gli edifici sbarrati e abbandonati...»

Zak sorrise amaramente. «Oh, niente del genere. I robot non permetterebbero mai che l'ambiente diventasse sgradevole per gli esseri umani.» La sua espressione si rannuvolò. «È proprio questo che mi ha quasi ucciso.»

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Capitolo 7
*** Seconda parte: i due Presidenti ***


Ad Alvan Lisser era capitato il peggior grattacapo che potesse affliggere un robot auroriano del duecentesimo secolo: un bambino curioso. Curioso degli altri mondi.

Finché si era limitato a sguazzare fino al ginocchio in qualche pozzanghera sostenendo che stava attraversando le lagune di Melpomenia, o a strisciare sotto dei cespugli spinosi dicendo che voleva esplorare la giungla di Pallas, poco male, ma verso i dieci anni il piccolo Zak cominciò a manifestare tendenze più preoccupanti.

«Da grande viaggerò nello spazio. Anzi, perché non partiamo subito?»

«Siete troppo giovane, signorino Zak.»

«Mi puoi accompagnare tu, e poi ci sono zone bambini nelle astronavi turistiche, l'ho visto all'olovisione.»

«Quello era solo uno sceneggiato. Non partono astronavi turistiche da Aurora, e neanche commerciali. È per via del Blocco.»

«Rubiamo una navetta piccola e partiamo noi due soli! Tu puoi pilotare e io sarò il passeggero. Una nave piccola è difficile da catturare, passeremo attraverso il Blocco!»

«Sapete bene che non posso permettervi di rischiare la vita. Ma forse quando avrete l'età giusta per viaggiare il Blocco non sarà più in vigore.» I nuovi robot avevano una programmazione abbastanza complessa da non aver bisogno di un esplicito ordine umano per inventare alcune piccole bugie. E alcune grandi.

«L'ha detto il Presidente Kristof?»

«Non proprio, ma lui non può sapere cosa succederà in venti o trent'anni, non vi pare?»

Zak sbuffò. «Vent'anni è lunghiiiiissimo.»

Speriamo che sia abbastanza lungo da farti passare quest'idea, pensò Alvan.


Il desiderio di Alvan si realizzò solo in parte. Crescendo Zak si concentrò su altri problemi, come il lavoro e le donne, dimostrando una certa predisposizione soprattutto per quest'ultima attività. Ma a lungo termine questi sfoghi non furono sufficienti a placare il suo desiderio di avventura.

Alvan gli consigliò allora di partecipare alla politica locale. Zak accettò ma restò ben presto deluso, sia perché non aveva avversari degni di nota, sia perché ai cittadini di Rhoxane non sembrava interessare un rappresentante politico pieno di idee e di energia per realizzarle. Ma intanto erano passati ben più di vent'anni.

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Capitolo 8
*** Un cittadino dell'emisfero settentrionale ***


Sentendo lo schianto Alvan si precipitò in sala da pranzo. Ma era solo Zak che aveva distrutto lo schermo dell'olovisore lanciandoci contro un vaso. Di nuovo.

«Non disturbarti a sostituirlo, non guarderò più l'olovisione. Giuro che, se sento di nuovo quel cammello di Kristof blaterare del Blocco con quella faccia lunga, prendo un trasporto per Eos e lo strozzo davanti alle olocamere!»

«Forse dovresti rassegnarti, Zak. La guerra fredda coi Coloni dura da millenni, non è ragionevole pensare che finirà proprio adesso solo perché tu vuoi viaggiare.» Normalmente un robot auroriano non si sarebbe rivolto con tanta confidenza al suo padrone, ma era stato proprio Zak ad ordinarglielo. Sentire 'signor Savallis' tremila volte al giorno l'avrebbe fatto diventare matto. Alvan era la persona (per modo di dire) con cui parlava di più; ovviamente il robot era un disastro come senso dell'umorismo, o per parlare di donne, ma intellettualmente Zak lo considerava una compagnia molto più stimolante degli altri abitanti di Rhoxane.

«Potresti pensare a cosa ti attrae tanto nell'idea di viaggiare e cercare di soddisfare questo bisogno in un modo diverso» continuò Alvan.

«Voglio incontrare persone nuove! Conosco a memoria tutti gli abitanti di Rhoxane, le loro facce e quello che pensano. E se non fosse abbastanza noioso così, loro non ci tengono alla mia compagnia. A quanto pare mi ritengono un ragazzaccio troppo rumoroso e con strane idee.»  

«È perché sono tutti più anziani di te. L'età media di Rhoxane è un po' alta.» Non aggiunse che l'atteggiamento anticonformista di Zak nel trattare il suo robot personale era uno dei tanti che lo rendevano indigeribile ai suoi concittadini.

«Bah, abbiamo fatto delle gite ad Apollyon e Iris e non ho visto grandi differenze. Però l'idea di andare a Eos a lanciare pomodori a Kristof a pensarci non è male. La capitale di Aurora non può essere un tale mortorio, ci devono essere dei giovani e un po' di vita.»

«Eos è troppo lontana, Zak, è nell'altro emisfero.»

Zak alzò la testa dal divano, sorpreso. «E allora? C'è un mini-blocco tra i continenti?» chiese, sarcastico.

«Sarebbe molto costoso, e secondo me inutile. Invece potremo andare a Thesal. È sicuramente abbastanza grande per i tuoi scopi, è la città più popolosa di Borealis.»

«Be', è sempre Aurora, con le solite idee, la solita moda e il solito Kristof appena accendi l'olovisione. Almeno a Eos le stelle sarebbero diverse! Ma provare non costa niente. Andremo a Thesal.»


***


Il viaggio a Thesal fu un successo, almeno fino all'incidente con Zabella. Zak perse ogni desiderio di intrattenimenti e vita sociale, fece i bagagli e tornò nella sua residenza a leccarsi le ferite. Decise di lasciar perdere le avventure e si dedicò al suo nuovo lavoro come stilista. Grazie al lavoro conobbe molte donne e cambiò idea. Così trascorsero altri anni.

Ma alla fine la vecchia inquietudine tornò a farsi sentire e ricominciò a parlare di un viaggio a Eos.

«Anche se è costoso, pazienza, del resto qui a Rhoxane non c'è niente per cui valga la pena di spendere soldi» disse ad Alvan, mentre sorseggiava il suo tè pomeridiano.

«No, davvero, Zak, te lo sconsiglio.» Il robot prese il vassoio degli snack, ormai vuoto, per sostituirlo con uno pieno. Zak si stava sfogando con il cibo. La sua salute avrebbe potuto risentire dei chili di troppo; avrebbe chiesto ai robot addetti alla cucina di usare ingredienti a basso contenuto calorico.

«Insomma, chi comanda qui? Comprami un biglietto per Eos per la settimana prossima!»

«Se me lo ordini esplicitamente dovrò farlo, naturalmente, ma devo avvisarti che non ci sono navette per la settimana prossima, né per la seguente. Dovresti aspettare un mese e il tuo conto in banca ne uscirebbe dimezzato.»

«Che diavolo dici? Quanto costa il biglietto?»

«Trentamila crediti.»

A Zak andò il tè di traverso e tossì. «Com'è possibile?»

«Ti sei lamentato molte volte del fatto che i cittadini di Rhoxane non siano interessati a viaggiare e tendano a starsene comodi nelle loro residenze. Temo che non sia un fenomeno locale ma planetario. Questo naturalmente ha causato una drastica riduzione dei voli con conseguente aumento dei prezzi. Non avrebbe senso far partire centinaia di navette vuote.»

«Ma insomma, Eos è la capitale! Ci sarà gente che ha bisogno di andarci!»

«In realtà no, la maggior parte degli affari si può concludere comodamente via visione.»

Zak abbassò la testa e rifletté sul fatto che anche il suo lavoro da stilista si svolgeva perlopiù senza contatti diretti. «Accidenti, stiamo prendendo la stessa china di Solaria. Con tutte le mie lamentele non me ne ero accorto. Speriamo di non finire come loro. Comunque non è possibile, non tutto si può fare via visione.»

«Le persone che hanno reale necessità di viaggiare investono in una navetta privata, che, di nuovo, per noi sarebbe una soluzione troppo costosa.»

«Bah, se uno stupido biglietto costa trentamila crediti tanto vale comprarsene una. Cercami una navetta di terza mano o qualcosa del genere.»

«Devo aggiungere...»

«È un ordine.»


***


Zak scrutò con aria torva la sua nuova navetta parcheggiata sul prato della residenza. Nuova per modo di dire.

«È un po' un rottame. L'hai fatta riparare, naturalmente?»

«Certo, ma gli elementi strutturali sono molto vecchi. Potrebbe esserci un cedimento da un momento all'altro.»

«Be' tutte le altre costavano troppo. Falla rifornire, prendi contatto con lo spazioporto di Eos e trovami un alloggio in città. Partiamo appena sarà pronta.»

«Non penso che sia il caso.»

Zak lo guardò storto. «Che c'è adesso? Non dirmi che far ricaricare la batteria atomica costa diecimila crediti, me ne sarei accorto dalle spese di manutenzione della residenza» disse, sarcastico.

«Nell'emisfero meridionale è appena iniziata la brutta stagione...»

Zak inclinò la testa e guardò Alvan socchiudendo gli occhi in modo ironico. «Ma certo, Eos è troppo lontana, e poi piove

«Come tu stesso hai notato, la navetta non è in buono stato. Farle affrontare delle tempeste comporterebbe un rischio eccessivo.»

«Alvan, se non fossi un robot con tanto di Prima Legge direi che ti stai divertendo a torturarmi! Per caso quando sarà finito l'inverno nell'emisfero meridionale mi farai notare che non possiamo partire perché sta iniziando l'inverno qui?»

«Questo sarebbe eccessivo. Basta controllare le previsioni del tempo e cercare di evitare le tempeste, ma il fatto è che per alcuni mesi i giorni privi di tempeste non saranno molti. Dovremmo aspettare la primavera di Eos, che coincide con il nostro autunno.»

«Altri tre mesi... Alvan, c'è qualche problema a Eos? Ti ordino di dirmi la verità.»

Alvan rispose con un ritardo di dieci millisecondi rispetto al suo normale tempo di reazione, una pausa non rilevabile dal lento cervello organico di Zak: «Naturalmente no. Nella capitale va tutto bene.»


***


Zak aveva accettato di rimandare il viaggio, ma non intendeva aspettare tre mesi. Aveva deciso di prendersi qualche settimana, il tempo per studiare il meglio possibile un manuale di pilotaggio. Non poteva fare pratica perché Alvan avrebbe capito cosa aveva in mente.

Voleva pilotare la navetta personalmente. In effetti, per la prima volta in vita sua, voleva andare da qualche parte senza il suo robot. Lo conosceva da tutta la vita e ormai si accorgeva da piccoli segni se dimostrava qualche squilibrio dovuto a un conflitto tra le Leggi. Non avrebbe potuto dire esattamente quale fosse il segnale d'allarme; aveva l'impressione che a volte Alvan esitasse, o desse risposte troppo indirette, o che il bagliore dei suoi occhi si intensificasse come se il suo cervello positronico fosse costretto a un superlavoro. Sapeva che in gran parte erano solo impressioni, perché nessun roboticista avrebbe progettato un cervello che reagiva in quel modo, ma, nonostante l'ordine diretto di dire la verità, era sicuro che Alvan gli nascondesse qualcosa. In effetti il fatto che avesse risposto a un ordine diretto era dannatamente inquietante, perché un robot poteva disobbedire alla Seconda Legge solo in nome della Prima. Cosa poteva esserci a Eos di pericoloso per un essere umano? Nessuna città di nessun mondo Spaziale era pericolosa.

Non poteva sopportare una simile tensione per tre mesi, a parte il fatto che Alvan sicuramente avrebbe trovato altre scuse. Così, appena ritenne di aver acquisito una conoscenza sufficiente delle tecniche di pilotaggio, allontanò Alvan con un pretesto, salì sulla navetta e partì.

Il robot l'avrebbe vista decollare da lontano, ma non poteva semplicemente requisire la navetta di un altro essere umano e seguirla. Ci avrebbe messo un po' a trovare un mezzo di trasporto, e questo avrebbe garantito a Zak un certo vantaggio.

Fu un lungo viaggio ma l'adrenalina lo aiutò a non sentire la stanchezza. Le condizioni meteorologiche nell'emisfero meridionale in effetti non erano buone. Per fortuna non incontrò vere e proprie tempeste.

Quando provò a contattare lo spazioporto di Eos non ebbe risposta, ma non si era davvero aspettato di riceverla.

Con il cuore che gli martellava in petto, penetrò lo strato di nubi e vide cosa c'era sotto.

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Capitolo 9
*** Una città nell'emisfero meridionale ***


Eos era un ammasso di rovine.

Non si curò di scegliere una pista allo spazioporto. Atterrò nel bel mezzo di una zona verde che secondo la sua mappa un tempo era stato il parco dell'università e si diresse correndo verso il centro della città.

Il palazzo presidenziale era un guscio vuoto e corroso. Quello stesso palazzo presidenziale che vedeva tutti i giorni fare da sfondo ai noiosi discorsi di Kristof.

Una guerra? I Coloni avevano bombardato Eos?

In tal caso ci sarebbe stato un residuo radioattivo, ma la vegetazione era troppo rigogliosa. Mentre atterrava aveva visto persino dei maledetti cani scappare spaventati!

E poi i danni agli edifici non erano quelli irregolari che ci si sarebbe aspettati nel caso di un bombardamento, ma sembravano prodotti dal tempo.

Zak prese in mano un pezzo di marmo che doveva essere appartenuto a qualche decorazione del palazzo e se lo rigirò in mano. Girovagò in mezzo alle rovine, stordito, e andò quasi a sbattere contro un monumento. La targa era illeggibile, ma l'aveva visto mille volte nei notiziari e nei film. Il monumento a Mandamus.

Quando si era scoperto che l'aumento della radioattività terrestre era responsabilità degli Spaziali e i Coloni avevano dichiarato il Blocco, gli auroriani, ormai incapaci di rispondere militarmente, si erano rifugiati nell'infantile ripicca di erigere un monumento a Mandamus. A quell'idiota che aveva ideato il piano per distruggere la Terra, con il risultato di riempire lo spazio di Coloni infuriati che li avevano imprigionati nei loro mondi come topi in trappola.

Gridò e lanciò il pezzo di marmo contro il monumento.


Quando riprese conoscenza era rannicchiato in posizione fetale ai piedi di un muro diroccato.

Tossì. Si sentiva la gola secca. Ricordò di aver lanciato sassi contro il monumento, urlando come un ossesso, finché il dolore al braccio l'aveva costretto a smettere; di essersi allontanato correndo, inciampando sulla pavimentazione sconnessa della piazza, cadendo, rialzandosi e inciampando di nuovo, finché a un certo punto non era più riuscito ad rimettersi in piedi.

Aveva chiuso gli occhi sperando di non riaprirli mai più.

Un rumore l'aveva strappato all'oblio. Erano i passi regolari di un robot. Alzò lo sguardo; le nubi si stavano diradando e i raggi aranciati del sole si riflettevano sul rivestimento metallico di Alvan.


***


Su Aurora non c'erano ospedali psichiatrici.

Una settimana prima Zak avrebbe affermato orgogliosamente che l'eugenetica Spaziale aveva eliminato tutti i disturbi mentali, ma ormai aveva sbattuto il muso contro la realtà: ciascuna delle comode residenze degli auroriani svolgeva le funzioni di una cella imbottita, dove il suo occupante viveva perduto in un mondo di fantasia.

Zak fu portato nella sua residenza e affidato alle sollecite cure dei robot. Non di Alvan. Zak gli aveva ordinato con estrema decisione di non comparirgli davanti agli occhi.

Giorni e giorni trascorsero avvolti dalla nebbia.

A poco a poco Zak riguadagnò un po' di lucidità e dovette ammettere che la sua reclusione non era più dovuta al trauma in sé, ma alla paura di affrontare la realtà che lo attendeva all'esterno. Era così grottesca che con tutta la sua fantasia non riusciva a immaginarsi la prossima mossa.

Un'altra settimana e cominciò ad annoiarsi.

Una mattina aprì gli occhi e con un movimento brusco si alzò a sedere sul letto, poggiando i piedi sul pavimento. «Alvan!» chiamò. Veramente gli aveva ordinato di andarsene e non farsi più vedere, ma la programmazione del robot era troppo avanzata per prendere l'ordine alla lettera.

«Sono felice di vedere che stai meglio, Zak.» Alvan gli era comparso davanti veloce come sempre.

«Mi devi delle spiegazioni. Cos'è successo a Eos?»

«È stata abbandonata cinquemila anni fa, per la continua diminuzione della popolazione. Gli abitanti si sono trasferiti nell'emisfero settentrionale» rispose Alvan in tono didascalico, come se non avesse passato decenni a nascondergli proprio quei fatti.

«Ma che dici? Cinquemila anni fa eravamo una colonia terrestre! No, aspetta, che stupido, i notiziari sono falsi. Luci del nord, è falso anche il calendario? In che anno siamo?»

«Ventimilatrentasette anno auroriano, ventitremilasettecentocinquantasette anno terrestre.»

Zak ripeté la data ma non riusciva a capacitarsi.

Sedicimila anni nel futuro! Aurora era un cadavere, Kristof era polvere, Amadiro era mitologia.

Abbassò lo sguardo e chiese sottovoce, muovendo appena le labbra pallide: «Tutto l'emisfero meridionale è disabitato?»

«Sì.» Dopo una delle solite pause che tanto avevano impensierito Zak in precedenza, Alvan aggiunse: «E gran parte dell'emisfero settentrionale. L'intera popolazione è concentrata sull'isola di Borealis.»

«A quanto ammonta la popolazione mondiale?»

«Settecento.»

«Migliaia? Tutti in Borealis?»

«Unità.»

Zak scosse la testa. «Ma non è possibile, settecento è la popolazione della sola Rhoxane. Che mi dici di Iris, Apollyon...?»

«Sono disabitate ma tenute in efficienza dai robot. Le persone che credi di aver visto sono in realtà robot umanoidi.»

«Stai scherzando!» Quella sì che era mitologia. «Robot umanoidi! Come il Rinnegato?»

«Esattamente.»

«Non sapevo avessimo ancora robot umanoidi» disse Zak, pensieroso. Poi impallidì ancora di più. «Thesal?»

Non aggiunse spiegazioni e Alvan rispose: «Vuoi sapere, credo, se le donne con cui ti sei intrattenuto a Thesal erano robot umanoidi. La tua supposizione è corretta.»

«Non... non Zabella!»

Alvan rimase in silenzio.

«Quando le ho chiesto di stare insieme mi ha buttato fuori dicendo che non voleva legami! Mi ha spezzato il cuore! Che fine ha fatto la Prima Legge?»

«Non poteva allacciare una relazione con te: un robot umanoide può passare per essere umano in situazioni che non richiedono una grande sottigliezza, ma la finzione non può reggere a una conoscenza approfondita. È chiaro che scoprire la verità ti avrebbe provocato una sofferenza ben maggiore di un rifiuto. Inoltre, secondo la mia programmazione, una delusione amorosa, sebbene causa di dolore, è un'esperienza umana normale e perfino con dei lati positivi, in quanto contribuisce alla maturazione psicologica del soggetto.»

Zak strinse i pugni e per la prima volta dall'inizio della conversazione fissò bellicosamente il robot negli occhi. «Secondo la 'tua' programmazione? Alvan, l'hai organizzata tu questa mascherata?»

«Lo scopo era di renderti più felice possibile e distrarti dal tuo desiderio di avventura. Zabella, come tutti i robot di Thesal, è stata programmata accuratamente per darti il massimo piacere. Non mi aspettavo che apprezzassi le sue arti al punto di provare dei sentimenti romantici.»

«Se fossi stato umano forse te lo saresti aspettato» brontolò Zak. «Comunque è certo che dimostri un diavolo di iniziativa per essere un robot! Ma dimmi dell'olovisione. Ho capito che si tratta di filmati antichi, ma perché proprio Kristof? È così deprimente che da solo ha aumentato la mia voglia di scappare da Aurora.»

«L'ho scelto perché nella sua epoca il Blocco era una relativa novità e ne parla continuamente. L'impossibilità di lasciare il pianeta avrebbe incrementato il localismo, rendendo più semplice il mio compito. Non che ce ne fosse bisogno: negli ultimi duemila anni sei l'unico che abbia espresso il desiderio di viaggiare. Inoltre Kristof è rimasto al potere insolitamente a lungo, quasi trecento anni... un altro segno della decadenza della politica auroriana... lo trasmetto in loop da millenni, la gente non si ricorda cos'ha sentito duecento anni prima e si limita a ripetere: "Luci del nord, i politici sono tutti uguali!"»

Zak balzò in piedi. «Questo non è un pianeta, è una pantomima!» urlò. «È così che i robot si prendono cura degli esseri umani? Sto cominciando a pensare che abbiano ragione i Coloni!»

Uscì dalla stanza, senza curarsi di Alvan che aveva preso a tremare e a emettere suoni sconnessi.

Zak entrò nella sala da ricevimento, ma non trovò di meglio da fare che sedersi sul divano con i gomiti sulle ginocchia e la testa bassa, nell'identica posa sconsolata che aveva assunto in camera da letto. Sapeva che Alvan l'avrebbe raggiunto appena passata la crisi.

Infatti dopo pochi minuti vide avvicinarsi i piedi del robot e alzò la testa.

«La situazione è terribilmente difficile. Ti assicuro che tutte le possibilità sono state vagliate attentamente e questa soluzione è stata giudicata la migliore. La meno dannosa, se preferisci.»

Anche se Alvan si era ripreso la sua voce era ancora leggermente alterata. Zak disse in tono calmo: «Scusa Alvan, vecchio mio. Come se non ti conoscessi. Se hai fatto queste cose vuol dire che le Tre Leggi non ti lasciavano scelta. Ma non capisco. Decidi cosa trasmettere all'olovisione, programmi gli altri robot, e puoi prendere dallo spazioporto la navetta che vuoi, o non mi avresti raggiunto così in fretta. Sono io il tuo proprietario, che ordini stai eseguendo?»

Alvan si sedette su una poltrona davanti a Zak, un gesto inaudito per un robot, ma evidentemente aveva pensato che essere costretto a tenere la testa sollevata durante una conversazione lunga sarebbe stato troppo stancante per l'umano.

«Sono stato progettato dal dottor Kloon, l'ultimo grande roboticista auroriano. Giudicava molto lucidamente lo stato del pianeta. Ha programmato me e un gruppo di altri robot per avere la massima capacità di giudizio autonomo, pur nell'ambito delle Tre Leggi. Dopotutto i robot del dottor Fastolfe hanno dimostrato quella che tu chiami 'un diavolo di iniziativa' nell'aiutare i Coloni; il dottor Kloon trovava stupido da parte degli Spaziali limitarsi a usare i robot come maggiordomi quando il cervello positronico aveva raggiunto un tale livello di complessità. Io sono il primo di questi robot speciali e dirigo gli altri.»

«Praticamente sei tu il vero presidente di Aurora. Be', tra te e Kristof non ho dubbi su chi scegliere. Che fortuna, il robot più importante del pianeta ed è capitato proprio a me...»

«Non si tratta di fortuna, le rare volte che un bambino si dimostra particolarmente curioso e intraprendente me ne occupo io. È difficile mantenere la finzione senza tarpargli le ali. Tutte le mie azioni sono state incentrate sul tuo sviluppo e il tuo benessere. Vedi che, al contrario, il vero presidente di Aurora sei proprio tu.»

«Sono lusingato!» Zak alzò di nuovo la voce. «Non hai mai pensato che un gruppo di persone 'intraprendenti' potrebbe affrontare la situazione, se sapesse la verità?»

«Temo che sia troppo tardi, Zak. L'ultimo gruppo di auroriani psicologicamente capaci di affrontare l'ignoto ha lasciato il pianeta migliaia di anni fa, sperando di forzare il Blocco e comprarsi la cittadinanza su un mondo dei Coloni in cambio di un'avanzata tecnologia nel campo delle microcolture alimentari. Non ho idea se abbiano avuto successo o se la nave sia stata distrutta. Dal fatto che non c'è stata nessuna rappresaglia contro i mondi Spaziali deduco che siano riusciti nel loro intento.»

«Allora non sono il primo. Alvan, me ne vado da questo buco, e, per Aurora, se provi a fermarmi in nome della Prima Legge ordinerò agli altri robot di distruggerti.»

«Non ce ne sarà bisogno. Ora che sai la verità, se restassi su Aurora avresti senz'altro un collasso psichico, mentre se provi ad affrontare il Blocco hai pur sempre qualche possibilità di cavartela, specialmente se ti aiuto io. La Prima Legge mi obbliga ad aiutarti.»

Zak si alzò dal divano, l'espressione un po' più serena per la prima volta da settimane. «Finalmente assomigli a un robot vero. Ma sei sicuro che non ci stiamo preoccupando per niente? Sedicimila anni! Forse quelle vespe bellicose dei Coloni si sono estinte guerreggiando tra loro.»

Alvan era scattato in piedi, come se stare seduto mentre il suo padrone era in piedi fosse un po' troppo. «Al contrario, si sono espansi in tutta la Galassia formando un Impero. Sono sempre bellicosi, comunque.»

«Allora dovremo sfuggire al Blocco.»

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Capitolo 10
*** Un relitto su un satellite ***


"Dovremo sfuggire al blocco" era una dichiarazione di intenti facile da annunciare ma difficile da realizzare. Appena cominciò a pensarci seriamente, Zak si rese subito conto delle difficoltà.

«Se sono passati sedicimila anni immagino che le navi spaziali siano un po' arrugginite» disse sarcastico ad Alvan.

«Abbiamo delle navette che possono uscire dall'atmosfera, per proteggerci da meteoriti e cose del genere, ma le vecchie navi iperspaziali sono fuori uso, sì.»

«Potete costruirne una nuova? Avete ancora i progetti?»

«In effetti possiamo fare di meglio. Una delle navette di cui ti ho parlato ha scoperto un relitto dei Coloni finito chissà come su Titone. I Coloni hanno avuto migliaia di anni per perfezionare il volo iperspaziale, sicuramente le loro navi sono più potenti e più sicure. Naturalmente non possiamo usare quel relitto, ma possiamo costruire una nuova nave con un'operazione di retroingegneria. Ma dove pensi di dirigerti?»

«Già, è questo il problema, non è vero? Ti direi che voglio andare su un altro mondo Spaziale, ma ho la strana impressione che siano ridotti più o meno come Aurora.»

«Trentanove mondi hanno cessato completamente le comunicazioni iperspaziali, gli altri nove sono effettivamente in uno stato simile a quello di Aurora. Anche peggiore, temo, forse perché non avevano i robot speciali del dottor Kloon.»

Zak cercò di immaginarsi uno 'stato peggiore' di quello di Aurora e rabbrividì. «Allora dovrò tentare la fortuna tra i Coloni. Dopotutto hanno occupato migliaia di mondi, non possono conoscerli uno per uno. Mi spaccerò per un Colono di qualche regione remota.»

«In tal caso saranno necessari altri preparativi, oltre alla nave. Dovremo intercettare le loro comunicazioni iperspaziali per informarci sulle notizie di attualità e i loro costumi, e per imparare la lingua. Inoltre dovrai essere accompagnato da un robot umanoide, o ti faresti immediatamente riconoscere come Spaziale.»

«Capisco, sì, ma non voglio un altro robot, voglio te. Fai mettere il tuo cervello in un corpo umanoide.»

«I robot umanoidi hanno un cervello progettato diversamente, per poter replicare i movimenti e i toni di voce umani. Ma posso trasferire le mie memorie in un cervello adatto.»

«No! Il tuo cervello originale verrebbe disattivato e saresti morto.»

«In un robot quella che tu definiresti 'personalità' è determinata solo dalla programmazione originale e dalle memorie. Duplicando questi elementi sarò io a tutti gli effetti.»

«Oh, va bene allora.»


***


«Accidenti, non è niente male, lo ammetto! Sembri proprio tu in versione umana.»

Il corpo umanoide che ospitava Alvan ne conservava la statura e la stazza massiccia, ma in qualche modo riusciva a rispettare anche le proporzioni del volto. Zak trovò particolarmente riuscita l'attaccatura dei capelli, che riprendeva la linea che aveva contornato il vecchio viso metallico, e gli occhi, di taglio allungato e discosti come le ellissi che avevano ospitato i sensori visivi del robot.

«Ho pensato che avresti apprezzato.» Anche la voce, sebbene umanizzata, ricordava quella originale.

 «Secondo te tra quanto tempo potremo partire?»

«Sto studiando le comunicazioni iperspaziali e devo avvisarti che la situazione è difficile. A quanto pare l'Impero è in crisi e alcuni viceré si sono dichiarate indipendenti; potremmo trovarci in mezzo a guerre e rivoluzioni.»

Pazzesco, si era risvegliato sedicimila anni nel futuro per ritrovarsi con un Impero e un'aristocrazia! E come se non bastasse l'Impero si stava disgregando. Barbarie allo stato puro. Amadiro e i suoi avevano sempre avuto ragione, anche se attaccare la Terra non era stata proprio una mossa geniale.

«Sto cercando di individuare un mondo relativamente sicuro e di escogitare una buona copertura» continuò Alvan. «In questo la rivolta delle periferie in parte ci avvantaggia, perché potremo presentarci come provenienti da quella zona e raccontare quello che vogliamo.»

«Purché facciamo in fretta. Le navette atmosferiche non possono determinare se in orbita ci siano astronavi che ci sorvegliano?»

«Non nelle immediate vicinanze, ma non possiamo sapere se i Coloni abbiano creato un cordone attorno ai mondi Spaziali. Secondo me altri sei mesi di preparativi dovrebbero bastare.»

«Sei mesi! Stai scherzando?»

«Prima di tutto devi imparare bene la lingua. E poi l'operazione di retroingegneria sulla nave è complicata, e non ho deciso come risolvere il problema delle armi. Ti ho spiegato che ci ritroveremo in una galassia turbolenta.»

«Be', anche se su Aurora non si usano praticamente mai abbiamo ancora dei fulminatori, immagino.»

«Senza offesa, ammesso che sia un'offesa, ma dubito che saresti capace di sparare a un altro essere umano. Quanto a me, ovviamente è fuori discussione. Quindi sto studiando delle armi difensive da nascondere sul mio corpo.»

«Mmm, non mi diventerai una specie di cyborg come quelli dei romanzi? Ho bisogno che su sia il più umano possibile.»

«Non preoccuparti, l'imitazione di umanità è molto accurata. Posso mangiare; inoltre ho un piccolo serbatoio di liquido e cartucce di coloranti e al bisogno posso lacrimare, urinare e persino sanguinare, tutto entro certi limiti.»

«E dalle mie esperienze a Thesal direi che i robot umanoidi non abbiano problemi neanche col sesso» disse Zak, sornione. Alvan rispose proprio con il tono tecnico che l'altro si era aspettato: «Sinceramente non ci avevo pensato perché a differenza delle altre è un'attività volontaria, ma immagino che potrei, aumentando il fattore di viscosità.»

Zak scoppiò a ridere e Alvan lo guardò senza fare una piega. Era il suo comportamento normale, ma con il nuovo aspetto umanoide l'inespressività colpiva come una stranezza.

«Ahi ahi, abbiamo scoperto il tuo punto debole. Non sai ridere?»

«Ma certo che so ridere. Sarebbe stata una grave lacuna.» Alvan si esibì in una specie di ghigno poco convincente.

«Non un gran che, ma pazienza, ci sono tanti umani veri che non hanno il minimo umorismo.»


***


«Buongiorno, Alvan» disse Zak, cercando di imitare la pronuncia degli imperiali. Era nello spogliatoio e si stava provando dei vestiti assurdi che, secondo Alvan, erano una tenuta diffusa  nella periferia della Galassia. «Orribile. Sei sicuro che siano giusti?»

«I notiziari imperiali non parlano molto della periferia, immagino per non evidenziare la debolezza del governo, ma l'unico mercante che hanno mostrato era vestito così.» La pronuncia di Alvan era già perfetta. Un cervello positronico ha qualche svantaggio sleale. «Dovresti portare la barba.»

«Una barba finta, perché sono depilato definitivamente... no, è veramente troppo» rispose Zak tornando al suo solito accento. «E comunque in tenuta da macho sarei ridicolo con la mia pancetta. Tu farai il mercante, io farò il nobile in esilio o qualcosa del genere.»

Alvan lo fissava inclinando la testa da un lato in modo curioso.

«Che hai da guardare?»

«I tuoi capelli stanno perdendo la pigmentazione sul lato sinistro» disse Alvan, con il classico tono alterato da circuiti in conflitto.

Zak si passò la mano tra i capelli. «Un ricordo della mia piccola gita a Eos. Cos'è che ti disturba? Hai paura che le tue robottine non mi trovino più affascinante?»

«Vedere un improvviso segno di decadimento fisico non aiuta le mie reazioni.»

«Non mi aiuti tu se dici cose del genere. A proposito, se faccio qualche sciocchezza dal punto di vista dei Co... degli imperiali, fammelo notare, capito? Dimenticati il rispetto per gli esseri umani e queste idiozie. Te lo ordino con rinforzo della Prima Legge. Qualunque errore potrebbe esserci fatale.»

«Va bene.»


***


Zak accarezzò con fare pensoso la superficie azzurro argento della sua astronave. Aveva chiesto ai robot ingegneri di copiare i motori e le apparecchiature della nave imperiale ma non lo scafo tozzo, che trovava orribile, così il design esteriore era ispirato alle vecchie navi auroriane e presentava linee  curve che confluivano dolcemente.

Si girò a contemplare per l'ultima volta il parco dall'erba bagnata, il suo albero di mele preferito, la sua stessa residenza le cui luci velate dalla nebbia si intravedevano in lontananza.

Chissà se, partiti lui e Alvan, gli altri robot domestici avrebbero spento le luci per sempre? Loro avevano la visione a infrarossi...

«Mi chiedevo...»

«Sì?»

«Io ero il più giovane. Che succederà quando sarà rimasta una sola persona?»

«Vivrà normalmente. Ogni tanto qualche robot umanoide lo inviterà a prendere il tè, gli chiederà di firmare una petizione o protesterà per uno sconfinamento delle macchine agricole, così l'auroriano non avrà il minimo sospetto di essere l'ultimo rimasto.»

«E dopo la sua morte? I robot si disattiveranno?»

«Sarebbe contro la Terza Legge. Partiranno per qualche mondo Spaziale alla ricerca di umani che possano apprezzare i loro servizi. Rischiare la distruzione per via del Blocco non sarà un problema per loro, visto che la Prima Legge ha precedenza sulla Terza.»

«Be', io non obbedisco alle Tre Leggi ma non è un problema neanche per me. Andiamo.»


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Capitolo 11
*** Un esiliato su un mondo lontano ***


Zak aveva raccontato la storia a Melanna, in modo un po' abbreviato e senza soffermarsi su particolari che avrebbe potuto apprezzare solo un auroriano, come le discussioni sulle Tre Leggi.

«Mi dispiace di averti trattato con disprezzo. In realtà sei l'uomo più coraggioso che abbia mai conosciuto. Neanche Morok il pirata si butterebbe tra le braccia dei suoi peggiori nemici con pochissime informazioni e una copertura così esile.»

«Grazie» disse Zak, freddamente. Non considerava la sua fuga da Aurora come un atto di coraggio. Se ti svegli in una bara aperta ti affretti a uscirne prima che qualcuno inchiodi il coperchio, non ti fermi a pensare a quali pericoli ti attendano all'esterno.

«Cosa farai adesso?»

«Per prima cosa devo recarmi in città... hai detto che si chiama Carinni? Per vendere dei gioielli. Ho la nave piena di provviste, scorte mediche e merci, ma non ho neanche un credito dei vostri.» Sorrise. «Un altro elemento sospetto, eh? Mi chiedo come l'avresti inserito nel puzzle, se l'avessi saputo.»

«Già. A proposito di puzzle, povero Izan. Posso raccontargli tutto? Se lo merita.»

Zak alzò le spalle. «Se mi assicuri che non ci saranno conseguenze...»

«Tranquillo, dimentichi che sei ospite speciale del re di Nyniv. A questo proposito mi è venuta un'idea. Come membro delle forze di sicurezza costretto a portare la divisa in questo caldo ti assicuro che mi piacerebbe molto se fosse fatta di tessuto termoregolato. Se fai un buon prezzo il governo potrebbe essere interessato. Posso procurarti un colloquio con l'ufficio che se ne occupa.»

«Oh, magnifica idea, grazie!»

«Ma che lavoro facevi su Aurora? Certo non vendevi questi vestiti.»

«No, ero uno stilista. Abiti e arredamento. Posso anche disegnarvi le nuove divise, se servisse.» E anche un nuovo stemma, pensò, ma aveva paura che suonasse come lesa maestà.

«Stilista? Non credo che ce ne siano su Nyniv. Potresti fare fortuna.»

«Grazie della fiducia, ma volevo viaggiare e Nyniv è il primo pianeta che vedo dopo Aurora. Non ho ancora deciso se dopo aver concluso i miei affari mi fermerò qui.»

«Capisco. Be', ora devo andare. Voi due siete al sicuro ormai, potete tornare allo spazioporto e alloggiare nella vostra nave. O andare in città, vendere i gioielli e pagarvi un albergo. O quello che vi pare. Ci sentiamo.» Fece un veloce cenno di saluto e si allontanò.

«Grazie, accettiamo il passaggio in città, visto che siamo senza soldi» disse Zak, ironico.

«Devi ammettere che sei stato un po' freddo con lei. Stai cambiando idea?» commentò Alvan.

«Sinceramente da quando il pericolo è passato ci sto ripensando. Pensa che inferno frequentare una donna che ti legge il linguaggio corporeo.»

«A parte il fatto che le sue capacità calano drasticamente quando è coinvolta a livello personale, ho notato che stai imparando a manipolarla, facendo affermazioni tecnicamente vere ma che conducono a conclusioni sbagliate.»

«Di che stai parlando?»

«Come quando hai detto che ti aspetti di vivere tredici decadi. Lei l'ha interpretato come una durata globale di centotrent'anni, non sa che ne hai già centosettanta e ti aspetti di arrivare a trecento.»

«Già. Se dico la verità c'è il pericolo che le mie scorte mediche diventino troppo attraenti, o addirittura di finire vivisezionato. Ma se permetti un rapporto basato su questi trucchi sarebbe un po' faticoso! E poi, perché stai caldeggiando una relazione tra me e Melanna? È perché viaggiando correrei maggiori rischi che rimanendo su Nyniv, vero?»

«Anche se nessuno ti prenderà di mira in quanto Spaziale, sì, la Galassia sta diventando un posto pericoloso, e temo che la protezione che potrei fornirti da solo sarebbe insufficiente.»

«Luci del nord, un robot pigro! Sarà, ma fammi un favore, stai alla larga dalla mia vita sentimentale. Hai già fatto abbastanza danni con Zabella.»


***


Melanna aveva chiamato Izan e gli aveva raccontato tutto. Il vecchio non aveva mai sentito parlare degli Spaziali o del Blocco, ma era quasi svenuto sentendo la parola 'robot'.

«Lisser è un robot? Un vero robot? Liù, ricordati che non si dicono le bugie! Mi prendi in giro? Un vero robot!»

Melanna aveva sbuffato. «Ti prometto che te lo farò conoscere al più presto.» Si era bloccata. La promessa sottintendeva un proseguimento del suo rapporto con Zak di cui non era affatto sicura. «Ma non c'è bisogno di eccitarsi tanto, ti assicuro che sembra una persona normalissima.»

Ne aveva approfittato per farsi spiegare che accidenti fosse un robot, perché sinceramente non l'aveva ancora capito, ma ne era uscita più confusa di prima. Aveva capito che erano 'esseri umani artificiali' (DNA sintetico? Allevati in provetta?) progettati per essere più forti e capaci degli uomini, ma con Tre Leggi codificate nel loro cervello in modo che non potessero ribellarsi ai loro padroni. Venne anche a sapere che la loro sola presenza minava le società umane e che aveva provocato infiniti dibattiti etici e forse una guerra. Melanna non ne fu sorpresa. Dalla storia imperiale sapeva che la schiavitù provoca la corruzione della civiltà, oltre a essere moralmente ripugnante.

Era proprio assorta in questi pensieri quando qualcuno suonò alla porta. Con sua grande sorpresa si trovò davanti Lisser.

«Puoi andare in giro da solo senza il tuo padrone?» gli aveva chiesto, sarcastica.

«Certo, a meno che la mia assenza non lo metta in pericolo. Ma Zak è perfettamente al sicuro nella cabina della nostra nave e sta dormendo.» Melanna notò che non aveva obiettato alla parola 'padrone'. «Hai ricevuto un premio?»

«Come?»

«Quella croce che porti all'orecchio...»

Melanna si toccò il nuovo piercing. «Ah, la spada. Sì, lo storditore miniaturizzato ha avuto un gran successo. Ma siediti pure, Lisser. A cosa devo questo piacere inaspettato?»

Lisser sedette. «Chiamami Alvan. Volevo assicurarmi che non interpretassi male il comportamento di Zak.»

«No, per favore, queste cose me le dovrebbe dire lui faccia a faccia.»

«Naturalmente. Ma qui c'è l'ostacolo di un contesto culturale che per Zak è scontato e per te è sconosciuto. Forse posso chiarire il problema grazie alla mia posizione neutrale.»

Melanna strinse le labbra. Certe volte il gergo pedante di Alvan la irritava da morire. «Puoi spiegarti meglio?»

«I tuoi apprezzamenti meno che positivi hanno ferito profondamente l'ego di Zak. Avrebbero infastidito anche un cittadino dell'Impero, ma devi capire che per lui è stato uno shock. Vedi, è abituato a considerarsi quanto di meglio offrisse il pianeta Aurora: il più attivo, curioso, audace...»

Melanna, che era rimasta in piedi, si mise le mani sui fianchi e sorrise sarcastica. «Era anche il più bello, per caso? Per la Galassia, che posto miserabile dev'essere Aurora!»

«...per questo, vedi, è come se fosse diviso in due. Ti ammira molto, ma è offeso e pensa che sarebbe umiliante frequentare una donna che lo vede come un dodicenne imbelle.»

«Gli ho detto che è l'uomo più coraggioso che abbia mai conosciuto, che vuole di più? Comunque se volevi fargli un favore temo che tu abbia ottenuto l'effetto contrario. L'ultima conversazione del genere l'ho avuta quando avevo quindici anni! »

«Volevo solo che prendessi in considerazione questo punto e ci pensassi, prima di metterci una pietra sopra. Ti ringrazio per il tempo che mi hai concesso.»

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Capitolo 12
*** Un robot nella stanza accanto ***


Nella cabina Zak, seduto sul letto, si gingilla senza entusiasmo con gli oggetti da vendere. Si fa scorrere tra le dita una cintura ad anelli d'oro e la guarda un po' perplesso, come chiedendosi cosa l'abbia spinto a concedersi quella stravaganza. Personalmente credo che fosse un ulteriore modo per sfogare la sua frustrazione, insieme alle donne e alle pietanze esotiche.

Risuona il segnale di un visitatore in arrivo.

«Alvan, cosa aspetti? Vai a vedere chi è.»

«Vado subito, però devo farti notare che trattare il tuo socio come se fosse il tuo cameriere potrebbe apparire fuori posto, e la gente potrebbe farsi domande.»

«Ma che seccatore che sei diventato... sicuramente è Melanna, e lei sa tutto.»

Al suo ordine diretto mi sono già avviato al portello, e in effetti di tratta della ragazza.

«Buongiorno Melanna» dico, a voce alta.  Zak si affaccia in corridoio e saluta a sua volta.

«Buongiorno» risponde distrattamente lei, guardandomi allibita. «Ah, Melanna è il nome di famiglia. Potete chiamarmi Liù.»

«Certo, Liù. È carino» dice Zak, senza convinzione, ma la ragazza non dà segno di averlo sentito. Probabilmente è sorpresa per il mio aspetto. Non sono più vestito da mercante, ma indosso abiti auroriani; inoltre non porto più la barba e i miei capelli sono ondulati e lunghi una decina di centimetri.

«Ho pensato che il mio atteggiamento e il mio modo di parlare non fossero adatti a un mercante e, in contrasto col travestimento, potessero risultare sospetti» le spiego, passandomi la mano sul mento.

«Come hai fatto a farti crescere i capelli così in fretta? Non è una parrucca.» Melanna alza la mano verso la mia testa come per verificare, ma ferma il movimento a metà.

«Sono un robot» rispondo. «Li ho cambiati.»

«Mmm, sì, capisco» dice lei, ma è evidente che non capisce affatto. Comunque non cerca di approfondire ma si rivolge a Zak: «Ieri io e Alvan abbiamo parlato del vostro pazzo pianeta» Zak mi lancia un'occhiata feroce. «Non credo che diventerà mai il mio mondo preferito, però mi ha  incuriosito. Mi chiedevo se avessi un fotocubo.»

«Neanche per idea! Come se volessi ricordarmi di quel manico...»

Tossicchio garbatamente. «A dire la verità, Zak, ho pensato che a mente fredda ti saresti pentito di questa decisione e ho portato a bordo un cubo con le tue foto preferite. L'avrei tirato fuori solo se tu avessi espresso rimpianto al proposito, naturalmente.»

«Ah... sempre previdente il vecchio Alvan. Va bene, possiamo guardare le foto insieme.»

Consegno il fotocubo a Zak, che lo accende e fa scorrere le immagini. Melanna si siede sul letto al suo fianco e lui fa un leggero movimento, ma non capisco se è un sobbalzo per la sorpresa o se si è scostato.

«Quanto verde! È un parco?»

«No, è la mia residenza.» Zak sorride e lancia un'occhiata furtiva a Melanna, che malgrado il suo disprezzo per gli Spaziali sembra affascinata da questa manifestazione di ricchezza. Poi con un gesto impercettibile mi fa cenno di lasciarli soli.

Eseguo. Ovviamente col mio udito robotico posso sentire perfettamente la loro conversazione da qualunque punto della nave.

Vado in cambusa a controllare se c'è qualcosa che dobbiamo procurarci urgentemente a Carinni. Abbiamo ancora ampie scorte perché siamo venuti direttamente da Aurora a Nyniv, ma siamo un po' a corto di frutta fresca.

Intanto dalla cabina mi arrivano i 'click click' di Zak che fa scorrere le foto.

«Un albero di mele veramente fondamentale...» dice Melanna.

«C'è poco da ridere, ci sono affezionato. Per anni e anni mi ci sono arrampicato sopra fino a quel ramo biforcuto, per la disperazione di Alvan. Per fortuna poi sono diventato troppo grosso.»

«Non hai foto di quand'eri piccolo?»

«No, avrebbe dovuto farmele Alvan? Per darle a chi?»

«E i tuoi genitori?»

«Su Aurora non viviamo con i nostri genitori.»

«Davvero?» chiede Melanna, scioccata.

«Eh sì» conferma Zak, con un tono malinconico che fa a pugni con l'indifferenza di un minuto prima. Nella società auroriana è perfettamente normale, anzi, le parentele biologiche sono considerate un argomento disgustoso, ma dopo la reazione della ragazza ne parla come se avesse sofferto. Scuoto la testa. (Per recitare meglio il mio ruolo ho studiato attentamente la mimica  umana, e mi esercito anche quando nessuno mi vede, per acquisire padronanza.)

Melanna non risponde, forse è davvero dispiaciuta per Zak. Sarà un ottimo ufficiale ma, come ho già notato, nei rapporti personali appare un po' ingenua.

«Alvan, puoi portarci un rinfresco per favore?» Zak non ha alzato la voce. Sa che lo sento benissimo anche da qui.

Secondo i suoi precedenti ordini, porto del tè e un piatto di pachinka, dolci solariani simili a grandi biscotti farciti.

Melanna ne prende una e la morde, ritrovandosi il mento e il corpetto del vestito ricoperti di crema alla nocciola. (Nessuno che non sia abituato fin da piccolo riesce a mangiarle senza sporcarsi. Una piccola burla di Zak per vendicarsi della figuraccia con la crema solare, suppongo. Non posso dire di approvare l'idea, ma, come mi viene ripetuto spesso, il corteggiamento è un campo in cui il mio giudizio è un po' carente.)

Dopo il primo attimo di stupore lei si limita a raccogliere un po' di crema con un dito e a leccarla. «L'hai fatto apposta, scimmiotto!» Zak cerca di reprimere la risata, ma non gli riesce molto bene. «Comunque è deliziosa.»

«Pachinka solariana» spiega Zak.

«Me lo segno. Vai pure avanti con le foto.»

«Non vuoi cambiarti?» chiede Zak, sorpreso.

Lei sorride mostrando lo spazio tra gli incisivi. «Era uno sporco trucco per farmi togliere i vestiti? Mi cambierò a casa, per ora basta una salvietta detergente.» Gliela porgo. «Grazie, Alvan.»

«Ah... come preferisci.» Zak sembra confuso. Non credo che abbia mai incontrato una donna a cui non importa di indossare un vestito vistosamente macchiato, specialmente se è in compagnia di un uomo per cui prova interesse. Ma naturalmente gli ufficiali delle forze di sicurezza hanno priorità diverse rispetto alle lady auroriane.

Torno in cambusa.

Click, click, click. Da dietro la paratia mi arrivano commenti, battibecchi e risate. La trovata di Melanna sembra avere successo, adesso i rapporti tra i due sono molto più sciolti.

«Allora, Zak...»

«Senti, il mio nome si pronuncia Saak con la esse dolce. Quando mi chiami Tsàk mi sembra di essere una marca di insetticida.»

Melanna ripete alcune volte il nome, correggendo la pronuncia e ridacchiando. Poi esclama: «Che colori! l'hai modificata?»

«Per niente, questo è un tipico tramonto auroriano. Tau Ceti è più freddo del sole di Nyniv e la luce ha una sfumatura rossastra, così l'alba e il tramonto hanno colori molto scuri.»

(Zak si sta pavoneggiando. Tau Ceti è il nome antico del sole di Aurora; non ho mai studiato il significato ma so che è basato sulle costellazioni che si vedono dalla Terra. Proprio per questo gli auroriani si guardano bene dall'usarlo. L'ultima cosa che vogliono è ricordarsi la loro origine terrestre.)

Click.

«Di nuovo la tua residenza? Sembra diversa.»

«No, questa è una residenza di amici nella città di Thesal.»

(Non sono sicuro che sia una buona idea mostrarle le foto di Thesal. Prima gli avrei consigliato di informarsi su quanto sia rigida la morale sessuale di Nyniv, o rischia di suscitare una reazione negativa. Ma ho il sospetto che dietro questa mossa di Zak ci sia il fallimento del suo tentativo di imbarazzare Melanna con le pachinka.)

Click.

Silenzio tombale.

«Se ti piace te ne mando una copia» dice alla fine Zak, in tono insolente.

«Vedo che i robot vi assistono nelle faccende più impensate» risponde la donna, gelida.

Alzo le sopracciglia fino all'attaccatura dei capelli. Il tono esterrefatto di Zak rispecchia perfettamente la mia reazione. «Co... come hai fatto a capire che sono robot?»

«Be', se mai ho visto due schiave...»

Rivolgo gli occhi al cielo. Melanna ha di nuovo offeso l'orgoglio di Zak, insinuando che l'unico motivo per cui delle donne potrebbero sperimentare con lui delle attività sessuali un po' ardite è perché sono obbligate.

A suo credito, Zak non rileva l'offesa e invece resta sconvolto dall'accusa di sfruttare sessualmente delle persone non consenzienti. Risponde quasi balbettando.

«Ma no... è per la posa? Volevo solo una foto ricordo un po' carina. Altro che schiave, quella con i riccioli mi ha trattato malissimo!»

«Un robot ti ha trattato malissimo?»

«Fattelo spiegare da Alvan, a quanto pare era per il mio bene» risponde Zak con una punta di acidità (sicuramente rivolta a me).

«E io che ti volevo invitare a una gita sul lago... mi immagino come mi avresti fatto mettere in posa per le foto ricordo!»

Sento Melanna che esce dalla cabina. Vado in corridoio per vedere se è molto offesa. Lei mi passa a fianco senza salutarmi e se ne va.

«Forse ho esagerato» dice Zak, affacciandosi nel corridoio.

«Tornerà. Non era veramente scioccata. Secondo me ha reagito così perché è sconveniente per una donna nyniviana far passare quella foto sotto silenzio come se fosse normale.» Una volta tanto ho studiato io il linguaggio corporeo della ragazza e ho notato che, sebbene il suo viso fosse una maschera di disapprovazione, i suoi movimenti erano rilassati.

«Bah, che usanze stupide. Perché dovrebbe mostrarsi scandalizzata se non lo è? Davvero, non so se riuscirò a sopportare tutte queste sciocchezze.»

«Per essere uno che ha sognato tutta la vita di viaggiare e si lamentava di sentire sempre le stesse idee, non stai reagendo molto bene alle differenze culturali.»

«Alvan, hai presente quando ti ho ordinato di criticarmi liberamente?»

«Sì?»

«Ordine revocato.» Zak torna in cabina.

Poco male. La mia programmazione è abbastanza versatile da permettermi di offrirgli tutti i suggerimenti necessari senza esprimerli in forma di critica.

Torno in cambusa e continuo a controllare le scorte. Dicevo che manca la frutta. Sono rimasti solo dei limoni; li tiro fuori dal refrigeratore insieme a un po' di ghiaccio. Melanna tornerà, probabilmente domani, e vorrei offrirle un rinfresco un po' meno problematico delle pachinka.

Un sorbetto al limone secondo me è perfetto per Nyniv.

FINE

*

*

*

NOTE PER LETTORI ASIMOVIANI

Era su un mondo abitabile, accogliente come Terminus, molto più accogliente di Comporellen. Sentiva il vento in faccia, il calore del sole sulla schiena, il fruscio della vegetazione nelle orecchie... Tutto familiare... solo che su quel mondo non c'erano esseri umani, perlomeno non più.

Era quello il problema? Era per questo che il pianeta sembrava così misterioso, inquietante? Perché era un mondo non solo disabitato, ma anche abbandonato?

Non era mai stato su un mondo abbandonato in precedenza; non aveva mai sentito parlare di un mondo abbandonato; non aveva mai pensato che si potesse abbandonare un mondo. Per quel che ne sapeva, tutti i mondi abitati dagli esseri umani erano rimasti abitati per sempre.

(I. Asimov, Fondazione e Terra)

*

Questo brano ha colpito la mia fantasia fin dalla prima lettura (ora sarò alla centocinquantesima).

Come può essere stata la vita degli ultimi abitanti, prima che il pianeta fosse abbandonato? E i robot, che devono assistere gli esseri umani in ogni circostanza, come avranno fatto a rendere sopportabile una situazione del genere?

Così è nata questa fanfiction.

Quindi per me il cuore del racconto non è il gioco a enigmi con Melanna, ma la storia di Zak e Alvan, sebbene sia la parte più breve.

Ho cercato di rispettare il più possibile l'universo asimoviano, tranne qualche libertà (per esempio, Stannel VI dovrebbe essere già morto durante l'era dei Mercanti.) Non riesco a immaginare come i fatti di I robot e l'Impero e il ruolo di Daneel siano diventati di pubblico dominio, ma così risulta dal racconto di Bander in Fondazione e Terra e dalle leggende che raccoglie Seldon in Preludio alla Fondazione, così ho seguito questa linea.

Ho anche fatto un accenno ai micogeniani, anche se la loro storia non mi è mai andata giù. Ammesso che davanti allo sfacelo di Aurora accettassero di trasferirsi su un mondo dell'Impero, penso che avrebbero scelto un mondo rurale con ampi spazi, non il peggior formicaio della Galassia. Per motivi psicologici e anche per la famosa paura delle malattie.

Infine, qualcuno potrebbe aver pensato: "Ma come può Alvan permettere i tentativi di fuga da Aurora, visto che si rischia non solo la vita del fuggiasco, ma addirittura lo sterminio di tutti gli Spaziali?" La mia risposta è che il dottor Kloon, scioccato dal comportamento di Daneel e Giskard, per evitare derive tipo Legge Zero ha programmato i suoi robot con una versione della Prima Legge rigidamente focalizzata sull'individuo con cui il robot ha concretamente a che fare, piuttosto che su gruppi lontani e coinvolti indirettamente. Volevo accennare alla cosa nel racconto ma ho lasciato perdere per non appesantirlo troppo.

Grazie per aver letto la mia storia.

C. B.

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