50 Days of Bruabba

di Green Star 90
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Epifania ***
Capitolo 2: *** Il primo Bacio ***
Capitolo 3: *** Papara mij ***
Capitolo 4: *** Luce ***
Capitolo 5: *** Epifania (reprise) ***
Capitolo 6: *** Inseguimento ***
Capitolo 7: *** Confessioni ***
Capitolo 8: *** Fai silenzio ***
Capitolo 9: *** Inseparabili ***
Capitolo 10: *** La devastante consapevolezza della fine ***
Capitolo 11: *** La bustina ***
Capitolo 12: *** La terza incomoda ***
Capitolo 13: *** Buongiorno, agenti ***
Capitolo 14: *** Ipotesi di una vita non vissuta ***
Capitolo 15: *** Una carezza sull'anima ***
Capitolo 16: *** Frasi di circostanza ***
Capitolo 17: *** L'intimità di un abbraccio ***
Capitolo 18: *** Presentazione ***
Capitolo 19: *** Lavata di capo ***
Capitolo 20: *** Tortura ***
Capitolo 21: *** Vuoto al diaframma ***
Capitolo 22: *** Le cinghie ***
Capitolo 23: *** Schiavo ***
Capitolo 24: *** Rossetto ***
Capitolo 25: *** Adozione ***
Capitolo 26: *** Lo sapevi? ***
Capitolo 27: *** Bravo Giovanna, bravo ***
Capitolo 28: *** Esame ***
Capitolo 29: *** Crostatine ***
Capitolo 30: *** Rivelazione ***
Capitolo 31: *** Camicie rosse ***
Capitolo 32: *** Gelosia ***
Capitolo 33: *** Scuole ***
Capitolo 34: *** Per sempre insieme ***
Capitolo 35: *** Pensiero intrusivo ***
Capitolo 36: *** Soltanto una sensazione ***
Capitolo 37: *** Canzoni sotto la doccia ***
Capitolo 38: *** Matrimonio a tre ***
Capitolo 39: *** Bagno di mezzanotte ***
Capitolo 40: *** Re e regine ***
Capitolo 41: *** Canzoni sotto la doccia (reprise) ***
Capitolo 42: *** Condoglianze dal Giappone ***
Capitolo 43: *** Malattia ***
Capitolo 44: *** Un incubo chiamato GioMis ***
Capitolo 45: *** Il collare ***
Capitolo 46: *** Tatuaggio ***
Capitolo 47: *** Conseguenza inevitabile ***
Capitolo 48: *** Catarsi della sofferenza ***
Capitolo 49: *** Empatia ***
Capitolo 50: *** Il giusto finale ***



Capitolo 1
*** Epifania ***


1. Epifania
(Head)canon

 

 

Due giorni non bastano per comprendere il legame tra due persone, ma in mezzo alla baraonda degli eventi l’empatia cognitiva di Giorno ha accusato qualche colpo. Comprensibile considerato quante volte ha – hanno – rischiato la vita.
La barca procede spedita verso il compimento di quella missione suicida che non sa se lo vedrà vivo, eppure, per la prima volta da quando lo conosce, ha veramente capito perché stia così tanto sul cazzo ad Abbacchio.
Gelosia, dannata. E chi se lo immaginava.
Non che si aspetti che dei malviventi schiudano il loro cuore al primo sconosciuto che passa, ma prima, quando ha sentito fare ad Abbacchio quella specie di dichiarazione è stato come se un’epifania gli avesse tirato uno schiaffo.
Anzi, gli schiaffi sono stati due.
Uno per le circostanze che lo hanno spinto a confessare.
Un altro perché non sa che Bucciarati è un morto che cammina.
Giorno non dice – e non dirà – niente, si comporta come se non se ne fosse accorto perché quello è un segreto che si porterà dentro per sempre.
Chissà se Bucciarati lo sa.
Si corregge: da quanto tempo Bucciarati lo sa?
 


***

Ed eccomi qua con la prima flash dedicata alla Bruabba. Come con la prima raccolta aggiornerò ogni settimana anche su Ao3 assieme alla relativa traduzione. 
Alla prossima!



 

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Capitolo 2
*** Il primo Bacio ***


2. Il primo Bacio
Vampire: The Masquerade AU

 

 

Quando cala la notte, Napoli si riempie delle stesse creature che infestano i sogni degli esseri umani. E quelli appollaiati sul tetto di Palazzo Fuga hanno da poco abbandonato le loro vite da mortali per accogliere quella dei non morti. Né l’inseguito e nemmeno l’inseguitore immaginavano che giocare a guardia e ladri sopra quell’edificio enorme, in pieno inverno, fosse così eccitante.
«Allora?» la risata di Bucciarati è cristallina, si guarda i polsi avvinghiati dalle mani artigliate del suo predatore e piega la testa di lato «Vuoi dirmi qualcosa che so già, non è vero?».
Anche da mostro non ha perso quella sua capacità di capire le intenzioni di chi gli sta di fronte. Abbacchio molla la presa, sorpreso – ma forse neanche più di tanto – della domanda, per poi controbattere con un’altra. A differenza dell’altro, la sua voce è arrochita dall’emozione.
«Da quanto tempo lo sai?».
Bucciarati gli si avvicina e gli prende una mano. Il polpastrello dell’indice saggia la punta del canino e quella della lingua. Non è necessario dare una risposta verbale per capire che Abbacchio lo amava sin dai tempi in cui potevano vedere la luce del sole.
Bucciarati gli sbottona la camicia quel che basta per scoprire il collo e i pettorali.
«Posso darti un bacio?»
«Non devi chiederlo».
I canini penetrano nella carne inerte e la sensazione è quanto di più piacevole possa mai provare un vampiro.
Non si è accorto che gli artigli si sono serrati attorno alla nuca dell’amante.

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Capitolo 3
*** Papara mij ***


3. Papara mij
Goose AU

 

 

Bruno Bucciarati e Leone Abbacchio sanno di avere una missione importante da compiere, ma hanno dimenticato di cosa si tratti. Sono seduti al loro solito tavolo del Libeccio e desinano piacevolmente con babà alla crema e tè nero. Al centro della tavola un’oca li fissa compiaciuta, se non fosse per il coltello di Narancia nel becco sarebbe carinissima. I due sanno, non si sa come, che se si alzassero l’oca li inseguirebbe per ucciderli. È un animale potentissimo che nemmeno il boss di Passione è riuscito a sconfiggere.
«Senti ma...» inizia Abbacchio «quant’è che dobbiamo stare qua?».
Bucciarati stiracchia le gambe sotto la tovaglia e intreccia le dita in grembo. Quello che ha appena gustato è il miglior babà del mondo.
«Per sempre, mio caro» risponde finalmente «l’oca ha deciso così»
«Ma noi abbiamo un lavoro da completare...» inizia Abbacchio.
«Sì, sì, l’incontro con Giorno Giovanna...»
«Io che mi ingelosisco di Giorno...»
«Noi che recuperiamo Trish Una e il tesoro di Polpo…»
«Il noleggio dello yacht...»
«Va beh dai, Vento Aureo, no?»
«Vento Aureo»
«Però noi siamo qui con quest’oca» puntualizza Bucciarati «quindi vuol dire che l’oca ha deciso che staremo insieme per sempre»
«E chi se ne frega di Vento Aureo!» esclama Abbacchio.
L’oca fa “quack”. È riuscita nel suo intento.
«Lo sai che ti amo?» dice Bucciarati.
«Anche io ti amo» risponde Abbacchio.
«E allora scambiamoci un bacetto prima che le seguaci dell’oca ci facciano a pezzi».
E Abbacchio non è mai stato così felice di eseguire un ordine.
 

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Capitolo 4
*** Luce ***


4. Luce
(Head)canon

 

 

Ascoltami
Ora so piangere
So che ho bisogno di te
Non ho mai saputo fingere
Ti sento vicino
Il respiro non mente
In tanto dolore
Niente di sbagliato

Niente, niente

 

 

«Il sunto della canzone di Elisa è questo:».
Sera del ventisei febbraio.
Dal piano di sopra i vicini non si preoccupano del volume alto della televisione, ma quelli di sotto non ci fanno caso. Sono troppo impegnati a metabolizzare quello che è appena accaduto per arrabbiarsi con un manipolo di studenti che cantano a squarciagola le canzoni di Sanremo.
«Due persone lontane stanno piangendo nello stesso momento, per lo stesso motivo».
C’è stata una dichiarazione, poi un mezzo litigio, e poi un aggrovigliarsi di labbra e braccia e corpi che si contaminano alle lacrime e al sudore figli della disperata consapevolezza che quella relazione non avrebbe avuto alcuno sbocco. Era – è – logico.
«Ad unirli, la stessa lacrima che diventa luce, sole, speranza».
I vicini di sotto si tengono per mano e ascoltano in religioso silenzio la nuova canzone di Elisa in quella notte di fine inverno che sarà anche l’ultimo. Fare dell’amore rabbioso è l’unico lusso che possono permettersi, una droga alla quale non avranno tempo di assuefarsi.
Uno dei due si gira su un fianco e posa la testa sul petto dell’altro. I vestiti sparsi per la camera gridano il silenzio di due vite rovinate che non vedranno più la luce.
I vicini di sopra continuano a cantare.

 

Anche se dentro una lacrima, come un sole e una stella
Luce che cade dagli occhi sui tramonti della mia terra
Su nuovi giorni in una lacrima come un sole e una stella
Siamo luce che cade dagli occhi sui tramonti della mia terra
Su nuovi giorni
Ascoltami

 

 

***

 

Quelle riportate in corsivo sono le parole pronunciate da Raffaella Carrà per annunciare il brano di Elisa. Il Sanremo 2001 è andato in onda (sic!) dal 26 febbraio al 3 marzo 2001 ed è stato l’ultimo che Bruno, Leone e Narancia potrebbero aver visto. Link al video di riferimento.
 

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Capitolo 5
*** Epifania (reprise) ***


5. Epifania (reprise)
(Head)canon

 

 

Mista aveva appena imballato lo scatolone con le ultime cose di Abbacchio e si era assicurato che nel saloncino di quell’appartamento che non avrebbe più rivisto il suo padrone non fosse rimasto nemmeno un effetto personale. Non aveva pianto, non aveva voluto pensarci. Non lo aveva fatto nemmeno quando se lo era visto morto in Sardegna e non lo avrebbe fatto adesso. Non aveva senso, era già successo.
Sul tavolo sgombro era rimasto il cellulare. Avrebbe dovuto ficcarlo in mezzo al resto del ciarpame ma per qualche motivo era rimasto lì, come fosse pronto per essere utilizzato da un momento all’altro dal suo proprietario. Non lo aveva mai prestato a nessuno, poteva dirsi fosse patologicamente possessivo nei confronti di quell’aggeggio.
Colto da un’improvvisa curiosità mescolata al senso di colpa, Mista lo afferrò e premette il tasto di accensione dopo aver spalancato lo sportellino.
Home. Menù. SMS. In cima vi era una corrispondenza fitta con Bucciarati, ma non vi era nessun accenno inerente alle attività di Passione. Iniziò a scorrere, e più scorreva più la mano libera si serrava attorno alla bocca. Durante i loro anni assieme non si era accorto di niente, eppure eccola lì, la verità, spiattellata sullo schermo di un telefonino che avrebbe dovuto distruggere per non violare la privacy di due morti.
E tuttavia, era arrivato a leggere i due messaggi finali risalenti agli ultimi giorni di marzo.
 

Nn fare il geloso, ti amo

Ti amo

 

Prima che potesse farci qualcosa, Mista spense il cellulare e iniziò a singhiozzare.

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Capitolo 6
*** Inseguimento ***


6. Inseguimento
1600 Venice Carnival AU

 

 

Tra le lagune veneziane invase di maschere, un mantello nero insegue un mantello bianco, i due re della scacchiera che danno spettacolo dinanzi agli altri pezzi. Il crepuscolo fa luccicare i ricami dorati delle vesti, i passi concitati che fanno voltare dame e gentiluomini verso quei due garzoni che sonoscono il galateo.
E purtuttavia, a cosa importa a un corvo del galateo quando deve predare un colombo?
Il corvo fa scivolare una mano da sotto il mantello e riesce ad afferrare il colombo che ride, cerca di dimenarsi ma alla fine cede, vuole essere predato perché il loro travestimento è lo specchio di ciò che celano al di sotto.
Il corvo porta con sé il colombo in un vicolo, gli sfila via la maschera e lo bacia, in bocca, sul collo, sulla fronte, ovunque riesca a raggiungerlo, e poi infila le mani sotto la calzamaglia tra i gemiti trattenuti a stento e i respiri affannosi.
Mentre le maschere fanno le maschere, due amanti hanno gettato le loro e prendono in giro buone maniere e divina creanza facendo ciò che si addice a un marito e a una moglie nel talamo nuziale.
Ma a Carnevale persino i vescovi chiudono un occhio.

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Capitolo 7
*** Confessioni ***


7. Confessioni
What If?

 

 

Bucciarati tiene le gambe accavallate e il mento appoggiato a una mano. Fugo gli è seduto davanti. Il suo sguardo è basso, è a un passo dallo scoppiare a piangere, ci sono troppe emozioni nell’aria e non possono essere trattenute a lungo. Taormina è stata un’esperienza più terribile di quel che Fugo si aspettasse e non sono necessarie altre parole per capire che ha lasciato la Sicilia da uomo nuovo.
«Non hai di che scusarti...» dice Bucciarati.
«Sentivo di averne bisogno...» si difende Fugo.
«Avevi fatto la tua scelta...»
«Lo so, però...»
«Però basta» il tono di Bucciarati è fermo ma calmo. Non v’è odio e non ve ne sarà mai «Non voglio condividere con te il peso di un senso di colpa che non esiste. Per favore, alzati».
Fugo obbedisce non senza strofinarsi gli occhi lucidi con una manica. Non riesce però a sostenere lo sguardo del suo capo, la vergogna è ancora tanta.
«Io e Leone stiamo assieme».
Fugo sgrana gli occhi e stavolta lo guarda in faccia. Se è di confessioni che devono parlare, quella è l’occasione adatta.
«È successo dopo i fatti di Roma, ne avevamo passate troppe per continuare a fare finta di niente» anche Bucciarati si alza «sei il primo della squadra a cui lo dico e penso sia giusto così. Domani sera lo annunceremo agli altri».
Fugo annuisce senza dire una parola. Deglutisce e si stringe nelle spalle, all’improvviso sente freddo.
Le lacrime scorrono copiose, una delle braccia del capo gli cinge le spalle.
Lui, che è sempre stato reputato il più intelligente, adesso si sente l’ultimo degli stupidi.

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Capitolo 8
*** Fai silenzio ***


8. Fai silenzio
(Head)canon

 

 

Abbacchio respira con affanno, gli sembra che tutta la spiaggia lo stia ascoltando ed è tremendamente imbarazzante.
Gli è sembrato di riconoscere l’ombra di Fugo in mezzo al marasma di tende, ma non vuole accertarsene, in realtà non gliene frega niente, vuole solo che gli altri dormano o se ne vadano a fanculo lontano da loro.
Ritrovarsi la testa di Bucciarati in mezzo alle gambe durante una nottata d’estate in spiaggia è quanto di più eccitante si possa immaginare, peccato che il bastardo abbia deciso di fargli un pompino proprio la notte di ferragosto, in mezzo agli altri bagnanti, e prima o poi gliela farà pagare. Beninteso non ora, ovviamente.
Una mano tiene Bruno per la testa, l’altra è occupata a tappare la bocca, sia mai esca un gemito.
Sente la punta della lingua ripercorrere l’asta e disegnare un otto sul glande.
Ti prego, non smettere più.

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Capitolo 9
*** Inseparabili ***


9. Inseparabili
Parrots AU

 

 

Quando la Trish si avvicina agli inseparabili del negozio viene subito attirata da una coppia che condivide una piccola gabbia: il mascherato bianco e blu liscia col becco la testa di quello albino e sono i due uccellini più adorabili che abbia mai visto.
Il cartello apposto sulla base della gabbia così recita: Agapornis maschi non vendibili separatamente. Rivolgersi al personale per l’acquisto.
 

Tempo mezz’ora e la strana coppia di inseparabili è dentro una scatola sul sedile anteriore dell’auto, verso la loro nuova – e definitiva – casa.
L’inseparabile albino, che sembra anche il più aggressivo dei due, scalpita con le zampette sul cartone. Quello mascherano cinguetta, forse sta dicendo all’altro di stare un po’ zitto, o almeno è ciò che Trish immagina stia facendo.
«Che nomi posso darvi?» Trish tamburella con le dita sul volante e all’improvviso l’illuminazione, è così scontato che si sorprende di non averci pensato direttamente in negozio.
«Bruno perché hai la testolina nera e Leone perché hai un bel caratterino!» dice più allo specchietto retrovisore che ai due animaletti che, nel frattempo, hanno iniziato a cinguettare all’unisono.
Lo avrebbero fatto per sempre.

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Capitolo 10
*** La devastante consapevolezza della fine ***


10. La devastante consapevolezza della fine
(Head)canon

 

 

Non sapeva né il perché né il come, ma quando era uscito di casa sapeva che di lì a poco avrebbe piovuto.
Sapeva che avrebbe dovuto parlare con l’ubriaco ex poliziotto sull’orlo del baratro. Sapeva che la caduta dentro quel baratro era solo stata rimandata di poco.
Quella sensazione di predestinazione lo angosciava così tanto da mozzargli quasi il respiro ma era come se i piedi si muovessero da soli, la sua volontà altro non era che un ingranaggio del meccanismo del destino.
Avrebbe voluto avvertire l’ex poliziotto di fuggire da lui e dalla vita che stava per offrirgli, di cambiare nome e magari persino Paese, di ricostruirsi da capo lontano da Napoli e, per favore, per favore Dio misericordioso, di non affidare la propria esistenza nelle mani di quel ragazzo col caschetto nero e l’ombrello.
Avrebbe voluto dirgli queste cose, ma l’ingranaggio eseguiva imperterrito la rotazione per il quale era stato creato e il subconscio sperava che un qualche evento catastrofico potesse rompere la macchina del destino.
Quei due alla vecchiaia non ci sarebbero arrivati perché il destino aveva deciso che loro erano bestiame da abbattere.
La pioggia era cessata, e con essa la notte.
E poi di nuovo giorno, e poi notte.
Fino all’ultimo reset da qualche parte in Florida.

 

 

***

 

 

Ispirazione

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Capitolo 11
*** La bustina ***


11. La bustina
(Head)canon

 

 

Ci sono delle volte in cui l’arte di farsi i cazzi propri non raggiunge la mente di Narancia; una di queste volte la sua curiosità è colpita da una bustina di plastica, vuota, colorata di viola e con un vago odore di lattice.
Narancia, che sta imparando a leggere, scandisce a voce alta la parola strana stampata sulla bustina che ha trovato a casa di Bucciarati sotto il divano, tant’è che il capoccia del gruppo lo ascolta, lo raggiunge in soggiorno e poco manca che l’aplomb se ne vada a quel paese perché Narancia non sa e non può immaginare con chi abbia usato il contenuto della bustina l’altra sera.
«Bucciara’, che cos’è questo Durex?».
E adesso come glielo spiega?

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Capitolo 12
*** La terza incomoda ***


12. La terza incomoda
(Head)canon

 

 

Che aspetto ha la disperazione?
Molti si lancerebbero in descrizioni raccapriccianti o tutt’al più grottesche di un sentimento che veramente pochi hanno saggiato empiricamente, ma nella realtà di tutti i giorni essa appare più innocua di quello che sembra.
La disperazione si era impossessata di Bucciarati sin dalla tenera età. Coloro che lo ritenevano un benefattore non immaginavano nemmeno quanto dolore si portasse dentro, ma chi ne aveva avuto un assaggio capiva al volo che lui era lungi dal potersi definire tutto d’un pezzo.
Quella pantomima Bucciarati smetteva di recitarla le notti in cui non riusciva a prendere sonno, che solitamente coincidevano con le giornate particolarmente stressanti – leggasi fare a pezzi qualcuno per Polpo.
Abbacchio era forse l’unico ad averlo visto senza corazza. Magari qualcuno aveva intuito che Bucciarati fosse solo un ventenne sfortunato che giocava a fare il camorrista, ma chi lo aveva veramente visto come un ventenne sfortunato che giocava a fare il camorrista era soltanto Abbacchio.
Tra disperati non ci si aiuta, ma ci si può confortare. Ed era quello che faceva Abbacchio quando sorprendeva Bucciarati seduto sul divano alle cinque del mattino, ancora vestito e con le macchie di sangue dell’ultima vittima ammazzata. Gli si sedeva accanto, appoggiava la testa sulla sua spalla e lì restava, senza dire una parola.
Che aspetto ha la disperazione?
Per Abbacchio somigliava a una terza incomoda. L’amante che entrambi si scopavano e con la quale riempivano di corna il legittimo partner.
Dio, se scopava bene però.

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Capitolo 13
*** Buongiorno, agenti ***


13. Buongiorno, agenti
(Head)canon

 

 

«Leo’, hai visto che taglio di precisione? Ma com’è possibile secondo te?»
Abbacchio si accovacciò accanto al collega con l’espressione di chi si sta contenendo dal rimettere la colazione. Vero era che la giovane età non gli aveva fatto accumulare chissà quanta esperienza, ma era altrettanto vero che guardare un cadavere fatto a pezzi con precisione chirurgica e senza una goccia di sangue avrebbe spiazzato anche il più navigato degli sbirri.
Mentre facevano spazio a quelli della scientifica per tutti gli esami del caso, un crocchio di passanti iniziò a formarsi da dietro le volanti. Bisbigli, segni della croce, si mormorava di Passione e del fatto che quel fetente una fine così se la meritava. Voci, soltanto voci.
Un ragazzo si staccò dal mucchio per avvicinarsi a loro. Era vestito di bianco e i capelli neri incorniciavano un visetto guardingo ma cortese, probabilmente condividevano la stessa età.
«Buongiorno, agenti. È successo qualcosa in questa zona?»
«Buongiorno, c’è stato un omicidio, ma non possiamo dirle altro. Entro stasera sgombereremo l’area».
«Ah» il ragazzo si toccò il mento e spalancò gli occhi, sembrava davvero sorpreso «capisco, pover’uomo chiunque sia. Perdonate il disturbo, vi auguro una buona giornata».
Mentre Abbacchio lo vedeva allontanarsi si insinuò forte e inquietante il dubbio che c’entrasse qualcosa. Aveva sentito parlare di un certo Bucciarati, nell’ambiente della mala, un tipo gentile ma che non conveniva fare incazzare, ma non avendolo mai visto in faccia – e non possedendo alcuna prova a riguardo – non poteva certo intentare un processo alle intenzioni. Chissà che collegamento c’era tra lui e quel Bucciarati.
«Leo’, andiamo? Stai ancora a guardalo».
Abbacchio si riscosse. Scacciò quei pensieri stupidi e sperò di non farsene venire ancora nel corso della giornata.
«Scusami, arrivo».

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Capitolo 14
*** Ipotesi di una vita non vissuta ***


14. Ipotesi di una vita non vissuta
(Head)canon

 

 

«Non è vero! Non può essere successo davvero! Che cavolo aspetti?! Guariscilo Giorno! Ti devo prendere a calci, razza d’imbecille?! Ti ho detto di guarirlo!».
Non te l’ho mai confessato, ma a volte cerco di immaginare la nostra vita se non fossimo dei criminali. Condurremmo una vita noiosa fatta di bollette da pagare, scazzi al lavoro e telefonate per sapere come stiamo. Invece sento Narancia urlare e la risacca del mare e non riesco a collegare le due sensazioni. Forse ci riesco, ma non voglio veramente farlo.
«… Abbacchio sta per riprendersi! Ci vuole solo un po’ di tempo! Se aspettiamo si alzerà, vedrai! Vero, Giorno? È già successo in passato, no?!».
Immagina di rientrare a casa stanco morto e di darmi un bacio prima ancora di toglierti il cappotto. Poi ti siedi sul divano e inizi a raccontarmi della tua giornata mentre io ti intimo di mettere subito le pantofole perché sai che non mi piace quando entri in casa con le scarpe da lavoro, ma tu finisci per dimenticarlo tutte le volte e non posso farci niente, perché questo è e resterà per sempre il tuo incorreggibile difetto.
«Ma che dici, Bucciarati! Si può sapere che stai dicendo?!».
Scusami, Narancia sta andando in escandescenza e non riesco a calmarlo, è fatto così, non possiamo farci niente. È come quando dimentichi di infilare le pantofole, non prendertela con lui.
«Ma lo volete proprio abbandonare qui?! Bucciarati! Come puoi lasciarlo qui da solo?!».
Adesso però devo andare. La cena è in frigo, ti basta riscaldarla. Giuro che torno, il mio è un addio temporaneo. Hai solo commesso l’errore di morire prima di me, va bene. Ti raggiungerò presto. No, non dirò niente ai ragazzi, te lo prometto.
«Io non voglio abbandonarlo!».
A dopo, Leone.

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Capitolo 15
*** Una carezza sull'anima ***


15. Una carezza sull’anima
Slice of life AU

 

 

«Ultimamente ti vedo spesso con questo guaglione più alto di te. Come si chiama? Perché non me lo presenti?».
Paolo Bucciarati era conosciuto per essere un uomo testardo e semplice, dedito al lavoro e alla famiglia. Teneva molto sia alla propria condotta che al benessere del figlio, suo unico e inestimabile tesoro.
«Vuoi conoscerlo? Perché? È solo un compagno di scuola»
«Quando sta con te ridi sempre, sei allegro. Ti vedo felice».

Paolo Bucciarati certe cose potrebbe non comprenderle. È nato in un’altra epoca con la sua morale e la sua visione della realtà, quindi una sua ipotetica chiusura mentale potrebbe definirsi giustificabile. Però, quando il sentimento di affetto è genuino non c’è mentalità che possa tenere. Un figlio non lo scegli al mercato, quando nasce lo devi crescere così com’è perché sarà anche il tuo tesoro ma non puoi possederlo. I figli appartengono al mondo ed è sempre stato così.
«Boh, forse… Sì, sono felice papà, e forse mi piace».
Paolo Bucciarati certe cose deve imparare a comprenderle. La volontà c’è, l’affetto anche, il tempo, si spera, pure. Dà una carezza a suo figlio, è un bravo ragazzo, doveroso, ubbidiente, gentile. È perfetto. La sua è una carezza che scalda l’anima.
«Se sei felice tu sono felice anche io. Come si chiama questo guaglione?»
«Leone, si chiama Leone»
«Di’ a Leone che questa carezza è anche per lui».

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Capitolo 16
*** Frasi di circostanza ***


16. Frasi di circostanza
(Head)canon

 

 

Come si dice in circostanze del genere? Che è accaduto in un attimo? Che si è trattato di un errore? Che può capitare?
Cazzate.
Era soltanto questione di tempo prima che accadesse. Caspita, questa è una frase di circostanza.
C’è che Bucciarati e Abbacchio si stanno baciando dopo aver compiuto una missione nella quale hanno rischiato di finire ammazzati. Che Abbacchio, non potendone più di tenersi tutto dentro, aveva ficcato la lingua nella bocca del suo capobanda e quello non aveva protestato, anzi. Una parte di Abbacchio aveva avuto paura che Bucciarati potesse reagire male e invece gli sta mordendo il labbro inferiore con una voluttà tale da farlo impazzire.
Di sicuro gli dirà che è stata una sbandata, di non pensarci e di dimenticare quanto accaduto per non complicare la situazione. Peccato che la mano avvinghiata al collo gli suggerisca che quelle saranno parole buttare al vento.
Dannazione, l’ennesima frase di circostanza.
Finiranno a casa di uno dei due a fare l’amore, non lo vogliono ammettere ancora ma è quello che vogliono, la nottata sta andando a parare proprio lì.
E va bene così.

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Capitolo 17
*** L'intimità di un abbraccio ***


17. L’intimità di un abbraccio
(Head)canon

 

 

Non si direbbe, ma Abbacchio è un tipo che apprezza il contatto fisico. Ma a darglielo devono essere poche persone fidate.
Una di queste è quello che si suppone essere il suo capo, anche se capo, lui, non si è mai sentito, specialmente nella situazione in cui si si trovano in questo momento.
Abbacchio si è addormentato ancora vestito accoccolandosi sul ventre di Bucciarati. Gli ha circondato l’addome con le braccia e ha chiuso gli occhi mentre Bucciarati gli accarezzava distrattamente i capelli. Bucciarati sa che quei momenti sono più intimi del sesso e la sua posizione di aspirante caporegime non gli consentirebbe di esternare quel genere di sentimenti, ma adora da matti vedere Abbacchio abbandonare ogni difesa e lasciarsi andare in un sonno che gli fa dimenticare di esistere.
Bucciarati spegne la lampada sul comodino e inarca leggermente la schiena per stendersi meglio sul letto sfatto. Una mano si posa sul collo di Abbacchio e l’indice intercetta una ciocca di capelli.
La afferra e inizia a giochicchiarci nel buio.
Perché non può durare per sempre?

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Capitolo 18
*** Presentazione ***


18. Presentazione
(Head)canon

 

 

«Quindi questo è tuo padre».
Abbacchio si accovacciò per vedere meglio il loculo. Non aveva detto niente a Bucciarati, ma si era presentato con un mazzo di fiori che avrebbe sistemato sulla fioriera del signor Paolo.
«Piacere di conoscerlo» aggiunse, mentre cambiava l’acqua e sostituiva i fiori appassiti con quelli portati da lui. Bucciarati non aveva commentato la sorpresa, ma dal suo sguardo languido era chiaro che lo stesse ringraziando con gli occhi.
«Sei il primo a venire qui» disse Bucciarati più ai fiori che ad Abbacchio. Non voleva guardarlo in faccia, quel momento per lui era emotivamente troppo forte «voglio pensare che… non lo so, magari sareste andati d’accordo»
«Con questa faccia?» Abbacchio sfoderò l’autoironia per allentare la tensione.
«Perché, che ha la tua faccia?»
«Narancia dice che somiglio a un cane rabbioso».
Bucciarati soffocò una risata e gli diede un pugno sul braccio. Stava ancora evitando di guardarlo in faccia.
«Grazie» disse Abbacchio «grazie davvero».
Bucciarati si strinse nelle braccia, più tardi avrebbe pianto, Dio solo sa quanto tenesse all’incontro tra Abbacchio e suo padre.
«Restiamo un po’?» domandò Bucciarati.
«Va bene, tanto non c’è fretta».

 

 

***

 

 

Ispirazione

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Capitolo 19
*** Lavata di capo ***


19. Lavata di capo
(Head)canon

 

 

«Ma insomma, si può sapere che ti passa per la testa? Potevi restarci secco, te ne rendi conto o devo farti un disegnino?».
Bucciarati era sia arrabbiato che sollevato. Arrabbiato perché Abbacchio aveva fatto di testa sua e ci aveva quasi rimesso un braccio per colpa di uno Stand che lanciava lame rotanti, sollevato perché Abbacchio ne era uscito solo con un taglio sulla guancia. Quindi quella del capo era a tutti gli effetti una sfuriata priva di tensione, tant’era che Fugo e Narancia si stavano trattenendo dal ridere e Mista e i Pistols seguivano la sfuriata con la stessa passione che impiegavano quando davano Terra Nostra in TV.
«Potevi farti ammazzare, perché non mi hai chiesto aiuto invece di farti tagliare la faccia? Sei veramente un...».
Bucciarati non ebbe mai modo di dire ad Abbacchio cosa fosse veramente, perché quello, che se n’era stato zitto per tutto il tempo, gli aveva cinto la testa con un braccio e se l’era portata dritta al petto, al centro della zona lasciata scoperta dalla blusa.
Fugo e Narancia erano scoppiati una risata fragorosa, mentre Mista e i Pistols avevano riprodotto sette perfette “O” con la bocca.
Quanto a Bucciarati, si era ammutolito di colpo come se qualcuno lo avesse spento col telecomando. La scenetta durò per alcuni interminabili secondi prima che Abbacchio lo lasciasse andare: quando Bucciarati riemerse dai suoi pettorali era talmente paonazzo che sembrava stesse per esplodere.
Ignorando la faccia di bronzo di Abbacchio e le risate di Fugo e Narancia, percorse di gran carriera il soggiorno e infilò la porta senza dire niente.
«Uà, Abba’, se lo faccio anche io a Bucciarati si zittisce?» domandò Narancia con le lacrime agli occhi.
«Macché, secondo me ti prende a sberle» rispose Fugo «mica tieni il fisico palestrato come il suo!».
 

***

 

 

Terra Nostra
 

Ispirazione

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Capitolo 20
*** Tortura ***


20. Tortura
Villains AU

 

 

Abbacchio afferrò la testa del suo ex boss per i capelli e piegò le labbra in una smorfia. Davanti a lui vi era Risotto imbavagliato e legato a una sedia. Dietro, spalle appoggiate alla parete e braccia incrociate, Bucciarati assisteva alla scena con quieto giubilo. Vederlo torturare e uccidere gli oppositori lo eccitava come poche altre cose nella vita.
«Sai che non vado tanto per il sottile» disse Abbacchio accarezzando la testa come se fosse un pupazzo al quale era affezionato «ma stasera voglio essere magnanimo con te: dicci dove si trova la figlia di Diavolo e ti darò una morte indolore; opponiti e ti faccio fare la sua stessa fine».
Gli sventolò davanti la testa mozzata per rimarcare il concetto. Risotto, dal canto suo, rimaneva impassibile.
«Non ne caverai niente, è troppo orgoglioso per confessare» intervenne Bucciarati.
«Hai ragione» cogliendo la palla al balzo, Abbacchio fece rotolare la testa per terra e recuperò un cofanetto. Quando lo aprì e ne mostrò il contenuto ai presenti gli occhi di Risotto si fecero di fuoco.
«Dici che vedendo i pezzetti di Prosciutto cambierà idea?» domandò a Bucciarati. Abbacchio adesso teneva in mano delle dita mozzate prive delle unghie. Risotto prese ad agitarsi sulla sedia.
«Scusa, non ho sentito» Abbacchio liberò la bocca di Risotto dal bavaglio per permettergli finalmente di parlare.
«Vai a farti fottere» fu ciò che l’ostaggio vomitò con tutto l’odio che aveva in corpo.
Abbacchio sospirò fingendo dispiacere.
«Quindi non ci dirai dove nascondete la figlia dell’ex boss. Pazienza» sempre dal cofanetto, recuperò delle pinze insanguinate «vuol dire che ti farò fare la stessa fine del tuo amico».

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Capitolo 21
*** Vuoto al diaframma ***


21. Vuoto al diaframma
(Head)canon

 

 

Come sarebbe vivere la vita senza il vuoto al diaframma che ti mozza il fiato e ti fa pentire di esistere a ogni respiro?
È quello che si domanda Leone Abbacchio quando l’ansia lo coglie nei momenti di fragilità, che solitamente coincidono con le ore notturne. Cerca di inspirare profondamente per alleviare la sofferenza, ma quando quella stronza decide di farsi viva nemmeno i santi in paradiso possono fare alcunché.
«Di nuovo?».
Una mano gli accarezza i capelli e si ferma dietro l’orecchio. I polpastrelli strofinano piano quel lembo di pelle e chi riceve quella piccola cura palliativa non si sente degno di tanta attenzione. Quella notte Bruno Bucciarati è passato da lui perché ha capito che l’avrebbe trascorsa in bianco in preda al malessere.
«Purtroppo» Abbacchio abbandona la testa sullo schienale della poltrona e si porta una mano sotto lo sterno. Non sa se vorrebbe che quell’attimo terminasse il prima possibile o se proseguisse per sempre.
«Non ti merito» butta lì.
Bucciarati gli posa un bacio sulla ritrosa.
«Non è vero».

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Capitolo 22
*** Le cinghie ***


22. Le cinghie
(Head)canon

 

 

«E queste che sono?».
Narancia teneva in mano una coppia di cinghie. Le aveva pescate da sotto il letto di Abbacchio ed era entrato in salotto mostrando la sorpresa al padrone di casa e a Bucciarati, i quali assunsero un’espressione da sfinge non appena le videro penzolare dalla presa del più giovane: pessima idea quella di far passare la sbornia a Narancia a casa dell’alcolizzato della banda. Tra l’altro quei maledetti affari erano spariti settimane prima e adesso la sorte aveva ben pensato di farle ritrovare dall’ultimo degli scemi.
«Ti devi fare i caz-» Abbacchio iniziò a latrare come al solito, ma Bucciarati lo intercettò con un calcio sugli stinchi.
«Sono cinghie» rispose Bucciarati inflessibile.
«Cinghie?» ripeté Narancia.
«Non hai mai visto delle cinghie?»
«Ma a che servono?»
«Sono accessori per un costume» spiegò Bucciarati «La prossima settimana è Halloween»
«Ah» disse Narancia dubbioso «quindi non servono per scopare e voi due non siete ricchioni?».
Stavolta il calcio agli stinchi lo diede Abbacchio a Bucciarati.
«No» Abbacchio si alzò e strappò il corpo del misfatto dalle grinfie del ficcanaso «sono per un costume, ok?»
«Ok» ripeté Narancia.
«Ok» ripeté Abbacchio.
«Ok» Narancia guardò intensamente Abbacchio «quindi ti travesti da cane antidroga al guinzaglio?».
Bucciarati si morse l’interno della guancia per non scoppiare a ridere. Abbacchio, invece, era diventato di fuoco.
Bel modo di fare coming out.

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Capitolo 23
*** Schiavo ***


23. Schiavo
Ancient Rome AU

 

 

«Da dove vieni?».
Brunus pone sempre questa domanda ai nuovi schiavi che entrano in servizio presso la sua famiglia. Sa che il suo è un pensiero sconveniente, ma non ha mai creduto che i cosiddetti barbari fossero inferiori ai cittadini di Roma. Se così non fosse i capifamiglia non sgomiterebbero per aggiudicarsi i migliori insegnanti dalla Grecia.
Quell’oggi suo padre aveva condotto a lui uno straniero dalla pelle candida martoriata dalle cicatrici e dalla criniera di un biondo freddo che non aveva mai visto in testa a nessun concittadino. Ha lo sguardo indurito da chissà quali brutte esperienze e la postura inequivocabile di chi considera casa i campi di battaglia. Lo vede schiudere le labbra sottili e sillabare un latino stentato:
«Vengo dalla Germania, dominus»
«Ti prego, non chiamarmi così» dice il padrone di casa porgendogli una mano «anche se formalmente mi appartieni non ho intenzione di trattarti male».
Lo schiavo non dice una parola. Guarda però la mano che gli viene porta e non sa cosa significhi.
«Vieni, ti mostro la tua nuova casa e i tuoi nuovi compagni» senza attendere una risposta da parte sua, Brunus gli afferra un polso per condurlo in giardino «non so cosa hai passato, ma spero che qui ti troverai bene».
Lo schiavo lo segue con uno stupore che stenta a esternare del tutto. Di tutti i padroni presso i quali poteva capitare, è finito senz’altro nelle mani del più bizzarro. Tra non molto scoprirà che quella bizzarria sarà ciò che gli farà scalpitare il cuore.

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Capitolo 24
*** Rossetto ***


24. Rossetto
(Head)canon

 

 

«Ah, ma che fai?».
Abbacchio si allontanò da Bucciarati tradendo la propria indignazione con una risata. Bucciarati aveva trovato un rossetto dimenticato nel cassetto del comodino e con quello ci si era dipinto le labbra nel tentativo di riempire di impronte a forma di bacio qualsiasi punto del corpo di Abbacchio che riusciva a raggiungere. Dopo il sesso aveva sempre voglia di fare un po’ lo stupido, sicché era una delle poche occasioni in cui poteva concedersi di essere solo un giovinastro qualunque.
«Ti starebbe bene il rosso addosso» rispose Bucciarati come se non stesse facendo niente di male «sicuro di non voler provare?».
Abbacchio si riavvicinò a lui con una punta di sospetto. Poi un mezzo sorriso gli scoprì un canino.
«Ok, mi hai convinto» si portò una mano all’inguine e cominciò a stimolarsi il pene «però sai dove mi starebbe veramente bene il rosso?».
Bucciarati piegò la testa di lato, il rossetto ancora in mano a mo’ di arma di seduzione improvvisata.
«No, dimmelo tu».
Abbacchio allungò la mano libera e afferrò la testa di Bucciarati per baciarlo: al sapore della saliva si aggiunse quello del rossetto.
Staccò le proprie labbra dalle sue e guidò la testa di Bucciarati più in basso.
«Vedi?» gli sussurrò Abbacchio «È qui che il rosso mi sta bene».

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Capitolo 25
*** Adozione ***


25. Adozione
Dogs AU

 

 

«Avevi detto che Guido era l’ultimo»
«Lo so, ho infranto la promessa, però guarda quanto è carina, è adorabile»
«Adorabilissima, guarda… Non me ne frega niente comunque, tu la accudisci e la fai vaccinare, io ti darò nemmeno una mano, sei avvisato».
Bruno sapeva che gli avvertimenti di Leone non si sarebbero avverati, ma ogni volta che un nuovo cucciolo varcava la soglia di casa il teatrino era sempre lo stesso. Bruno gli sventolava il randagio di turno, Leone brontolava qualcosa e tempo una settimana dopo quest’ultimo dormiva con la bestiola acciambellata sul petto e guai a chi gliela toccava, incluso Giorno col quale intratteneva un rapporto di amore-odio. Comunque fosse, Bruno gli stava sventolando davanti una cagnetta dal pelo rossiccio appena uscita dal canile, gli occhietti lucidi e la coda scodinzolante stavano a indicare che pretendeva già un sacco di coccole.
«Le hai dato un nome o… ?»
«Si chiama Trish» Bucciarati se la strinse al petto e si rivolse verso gli altri quattro cani «e voi la tratterete bene, d’accordo?».
Le reazioni furono variegate: Pannacotta se ne stava in disparte nella sua cuccia, faceva sempre così quando giungeva un nuovo cane in appartamento; Narancia e Guido si erano lanciati entusiasti contro le gambe di Bruno e puntavano i musi verso la nuova arrivata impazienti di annusarla; Giorno, invece, stava seduto dietro Leone e osservava la scena con moderato interesse e la coda che ondeggiava pigramente.
«Visto?» fece Bruno riferendosi a Giorno «Anche lui approva».
Leone si voltò per mostrargli i denti, venendo ricambiato dal cane.
«Va bene, teniamo anche Trish» sbuffò «ma dopo di lei basta, ok?»
«Ok!».

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Capitolo 26
*** Lo sapevi? ***


26. Lo sapevi?
(Head)canon

 

 

Se togli la rabbia a Pannacotta Fugo, quello che rimane è un ragazzino con la faccia esangue rannicchiato sulla poltrona preferita del suo (fu) capobanda. Un’immagine patetica alla quale Guido Mista non mostra nessuna compassione poiché impegnato a fare manutenzione alla canna della pistola. Giorno può anche aver riaccolto il più giovane in Passione, ma l’altro sopravvissuto del gruppo non ha intenzione di abbattere il muro che ha eretto tra loro due.
«Lo sapevi?» chiede a un tratto Fugo con lo sguardo fisso su uno dei braccioli.
Mista si blocca per un attimo e poi riprende con la pulizia della pistola come se niente fosse.
«Che Bucciarati e Abbacchio avevano una tresca» riprende Fugo «non me l’hanno detto loro, li ho beccati per sbaglio su questa poltrona mentre... li ho beccati per sbaglio».
Mista sembra essere diventato sordo. I movimenti, però, si fanno meccanici, un tradimento appena percettibile del suo linguaggio del corpo.
«Mi avevano chiesto di non farne parola perché ci avrebbero pensato loro» Fugo si passa una manica sul naso «non ne hanno avuto il tempo. Non lo so, forse Abbacchio si incazzerebbe come una bestia se fosse qui, ma credo sia giusto che tu lo sappia per...»
Mista si alza di scatto, recupera la pistola e lascia la stanza. Non l’ha ancora superata perché se così fosse lo prenderebbe a calci.
Fugo stringe ancora di più le ginocchia al petto e inspira profondamente, quasi voglia cercare l’odore dei morti sul velluto di quella poltrona.
Con Giorno aveva pianto così tanto che credeva di aver prosciugato gli occhi.
Si è sbagliato di grosso.

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Capitolo 27
*** Bravo Giovanna, bravo ***


27. Bravo Giovanna, bravo

Parody AU

 

 

Quella mattina in villa si respirava un’aria frizzante. Abbacchio stava verniciando un’enorme gabbia per uccelli e Giorno vestito da maggiordomo lo stava aiutando appollaiato in maniera sensuale sulla scala. Dalle camere interne si vide arrivare Bucciarati, splendido come sempre, con indosso soltanto una vestaglia:
«Cosa state facendo?» chiese loro.
«Sto verniciando» rispose Abbacchio ammiccando al suo uomo «e Giovanna mi aiuta».
Bucciarati indugiò sullo spacco di cosce di Giorno reso ancora più provocante dal vedo-non vedo della gonna – aspetta, quand’è che Giorno si sarebbe cambiato per indossare la gonna?
«Bravo Giovanna, bravo» commentò Bucciarati accarezzandosi il mento e pregustando ciò che sarebbe successo in quella gabbia verniciata…


O forse no.
Abbacchio aprì gli occhi e imprecò. Poi si alzò dal letto ignaro dell’orologio che segnava le quattro del mattino, lasciò la propria camera, si diresse verso quella di Giorno, bussò forte alla porta e, senza attendere risposta, entrò come una furia.
«Abbacchio, ma cosa...» iniziò Giorno.
«Bravo Giovanna un cazzo!» esclamò l’intruso «Se ti becco ancora nei miei sogni quel pennello te lo faccio ingoiare».
E senza aggiungere altro tornò indietro e si richiuse la porta alle spalle.
Giorno, più confuso che assonnato, rivolse uno sguardo di cisposa perplessità verso l’orologio sul comodino che segnava le quattro del mattino.
«Ma cosa ho fatto?» domandò all’apparecchio che, ovviamente, non rispose alla domanda.
Di una cosa, però, era certo: lui non è mai stato un gran pittore.

 

 

***

 

 

Riferimento

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Capitolo 28
*** Esame ***


28. Esame
(Head)canon

 

 

Bucciarati camminava intorno allo Stand della nuova recluta esaminandone l’altezza, il colore e il display sulla fronte. L’iridescenza di quella emanazione spirituale si rifletteva sulle pareti della camera dalla quale si udiva la pioggia scrosciare ancora insistente, un caleidoscopio di colori smorti come smorto appariva il cielo di quel giorno.
Il proprietario dello Stand si era messo in disparte e si sentiva come se lo stessero spogliando. Era sempre quella la sensazione che provava ogni volta che qualcuno era in grado di vedere il suo sé stesso metafisico.
«E lo hai chiamato Moody Blues? Interessante» Bucciarati intrecciò le mani dietro la schiena e seguitò a esaminare il display sulla fronte dello Stand «Ed è in grado di ripercorrere eventi e persone del passato. È corretto?»
«Sì» rispose laconicamente la nuova recluta, il cui senso di vergogna si acuiva di momento in momento. Non capiva come un’abilità del genere potesse rivelarsi utile alla camorra.
«Questo potere mi piace» commentò infine Bucciarati che, non pago del potere psicologico che aveva ottenuto dall’esame di Moody Blues, puntò gli occhi su quelli della nuova recluta.
«Allora, vuoi unirti a me?».

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Capitolo 29
*** Crostatine ***


29. Crostatine
(Head)canon

 

 

«Smettila di dire stronzate»
«Io non dico stronzate e tu devi smetterla di nascondere la testa sotto la sabbia»
«Dai, stiamo parlando di Bucciarati e Abbacchio, mica di quei finocchi di Squalo e Tiziano»
«Pronuncia ancora la parola “finocchio” e ti faccio ingoiare la caffettiera»
«Non ne hai il coraggio»
«Mi stai provocando?».
Mentre Mista e Fugo discettavano amabilmente sull’orientamento sessuale dei due membri più grandi della squadra come soltanto loro sapevano fare, Narancia li ascoltava tra un morso alla crostatina alla nutella e un altro in religioso silenzio. Quell’argomento era uno dei pochi che riusciva a distogliere la furia di Fugo da lui per indirizzarla verso qualcun altro, in questo caso Mista. Onestamente parlando a Narancia non fregava niente se Bucciarati e Abbacchio stavano insieme o no, gli fregava solo che Fugo non facesse ingoiare a lui la caffettiera e che non venisse coinvolto nella discussione.
«Hai le prove di quello che dici?» sentì incalzare Mista «Altrimenti stai dicendo un sacco di stronzate»
«Ma se l’altra sera li abbiamo visti infilarsi due metri di lingua in bocca? Ma sei coglione o cosa?» inveì Fugo in procinto di perdere la pazienza «Davvero Guido, sei di un ottuso che la metà basterebbe!»
«Sarà stato un malinteso» Mista liquidò la faccenda dandogli le spalle per dedicarsi alla moka che gorgogliava sul fornello «te lo dico io, erano ubriachi e avranno creduto di baciare una ragazza, io li conosco molto bene».
Narancia e Fugo si scambiarono un’occhiata che esprimeva sconforto reciproco. Il capo di Mista finocchio? Kittamuort.
«A me piacciono le crostatine alla nutella, ma anche quelle alla marmellata non sono male» intervenne Narancia «e a me Bucciarati e Abbacchio sanno di persone che le mangerebbero entrambe»
«Ma che cazzo dici Narancia?» sbottò Mista.
«Guarda che ha ragione lui, non c’è niente di male nel mangiare crostatine alla marmellata, sai? E se a te non piacciono non sei autorizzato a prendere in giro chi ha gusti diversi dai tuoi».
Mista, che non capiva cosa c’entrassero le crostatine con il discorso che avevano intrapreso, alzò gli occhi al cielo.
«Se lo dite voi».

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Capitolo 30
*** Rivelazione ***


30. Rivelazione
Parody AU

 

 

La banda si era riunita su ordine di Bucciarati e Abbacchio, che sedevano dietro la scrivania dell’ufficio. Sui loro volti si leggeva la gravità di un segreto che non poteva più essere tale. Troppo tempo era trascorso, troppe le missioni portate a compimento e, proprio per questo, era giunto il momento di tirare fuori quella rivelazione. Mista, Narancia, Fugo, Giorno e Trish stavano in piedi, tesi come corde di violino e talmente silenziosi che si poteva pensare avessero lasciato la lingua a casa. La tensione era tale da rendersi quasi insostenibile
«Ragazzi» esordì Bucciarati «devo farvi una confessione. Ormai non posso più tenerlo per me»
«Per noi» lo corresse Abbacchio.
«Per noi» ripeté Bucciarati, che tirò fuori da uno dei cassetti una pila di documenti «Arrivo al sodo: siete stati tutti adottati».
Le reazioni furono immediate: Mista sbiancò, Narancia spalancò la bocca, Fugo si mise le mani in testa, Giorno la testa la scosse e Trish cacciò un urlo.
«Bugiardi!» Narancia diede voce al pensiero degli altri figli adottivi, troppo sconvolti per profferire parola «Mi avete fatto credere di essere vostro figlio per tutto questo tempo! Credevo che mi avessi partorito tu!»
«No aspetta, io...» iniziò Bucciarati.
«Niente ha più senso!» proseguì Narancia sovrastando le rimostranze della sua madre (padre?) adottiva (adottivo?) «Una vita vissuta nella menzogna non vale la pena di essere definita tale! Finora ho condotto un’esistenza all’insegna dell’ignoranza sulla mia ascendenza, vita grama la mia, vita grama!»
«Bruno» mentre Narancia continuava con le sue farneticazioni, Abbacchio avvicinò le labbra all’orecchio di Bucciarati «quand’è che Narancia ha imparato a parlare in maniera forbita?».
Bucciarati fece spallucce, nemmeno lui aveva idea da dove provenisse quell’improvvisa ricchezza lessicale.
«E comunque» aggiunse Abbacchio «te l’avevo detto che era ancora troppo presto per dirglielo».
Bucciarati sospirò.
«Hai ragione».

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Capitolo 31
*** Camicie rosse ***


31. Camicie rosse
Risorgimento AU

 

 

Abbacchio tirò a sé Bucciarati nel vicolo e gli tappò la bocca con una mano: appena in tempo per non farsi vedere dal gruppetto di camicie rosse che passava per la via principale. Lui, ex carabiniere, non avrebbe mai immaginato che sarebbe giunto il momento di avere a che fare con quei briganti che volevano liberarli da coloro che un tempo considerava sovrani.
Solo quando il manipolo rosso si fu allontanato liberò Bucciarati dalla stretta.
«Potevi andarci più forte eh?» lo canzonò lui tra un boccheggio e l’altro.
«Ti basta chiedere» ricusò l’altro incrociando le braccia al petto e guardandolo di sbieco. Solo quel delinquentello con la camiciola bianca e gli occhi da birbante riusciva a strappargli certe battute audaci.
«Sei divertente» Bucciarati incrociò a sua volta le braccia come per sfidarlo «allora, che vuoi fare? Ci vuoi parlare?».
Abbacchio fece un cenno di assenso. Era arrivato il momento di voltare per sempre le spalle ai Borboni.
«Presentiamoci al loro covo, e poi porteremo Mista, Narancia e Fugo»
«D’accordo» Bucciarati sbirciò ancora oltre il vicolo per assicurarsi che non passasse nessun altro, poi afferrò la mano di Abbacchio «quindi andiamo?».
Abbacchio deglutì. Potevano crepare quella notte stessa, oppure potevano scrivere la storia. Lo avrebbero fatto per loro stessi e per l’Italia.
«Andiamo».

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Capitolo 32
*** Gelosia ***


32. Gelosia
(Head)canon

 

 

Bucciarati teneva le braccia incrociate e fissava con cipiglio giudicante il biondone grande e grosso che, simulando un’aria strafottente, teneva le mani in tasca e guardava ovunque tranne che la faccia del suo capo. Se lo era trascinato in disparte per fargli un discorsetto sulle buone maniere da tenere coi novellini, ma a quanto pareva il colpevole non sembrava intenzionato a chiedere scusa.
«Si può sapere cosa ti passa per la testa di servire il tuo piscio a Giorno?» domandò Bucciarati, che forse conosceva già il perché.
Per tutta risposta, Abbacchio prima sbuffò, poi calciò l’aria sempre tenendo le mani in tasca e infine si decise ad affrontare lo sguardo di Bucciarati. Benedetti i capelli lunghi che nascondevano le orecchie in fiamme.
«Non intendo dare spiegazioni di un comportamento del quale conosci la matrice. Non costringermi a reputarti meno intelligente di quello che sei».
Complimenti Leone, una replica degna dello stronzo quale sei.
Bucciarati non si scompose. Sciolse anzi le braccia dal petto e gli diede le spalle, cavare una risposta normale da Abbacchio era un’impresa difficile persino per lui.
«Probabilmente sono davvero meno intelligente di quello che reputi» disse infine «ma lo sono abbastanza da ricordarti che ti conviene farti passare la gelosia che provi verso chiunque tu creda voglia portarmi a letto».
Abbacchio aprì bocca per ribattere, ma dalla gola non uscì un suono. Colpito e affondato.
«Finiamo questa missione e ne discutiamo da persone adulte, d’accordo?».
Abbacchio non poté fare altro che annuire.
D’accordo.

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Capitolo 33
*** Scuole ***


33. Scuole
(Head)canon

 

 

Bucciarati non ha mai terminato le scuole medie e per questo, quando ne ha l’occasione, cerca come può di colmare questa lacuna. Qualche volta lo si vede con un libro in mano, altre, invece, pone qualche timida domanda ad Abbacchio, il quale, miracolo, non sembra per niente scocciato. È come se in quei momenti i ruoli si invertissero e il capo fosse quello che le scuole dell’obbligo le ha finite. È una specie di metamorfosi che vede il più taciturno della banda sciorinare questo o quell’evento storico o regione italiana o autore letterario e il capo ammutolirsi per assorbire quante più informazioni possibili. Non si direbbe ma anche quella dinamica si può ascrivere alle manifestazioni d’affetto che forse sono qualcosa di più.
Nessuno lo sa, nemmeno gli altri membri della banda. Non è anche questa intimità?

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Capitolo 34
*** Per sempre insieme ***


34. Per sempre insieme
(Head)canon

 

 

Giorno porge con apatia la mano ai (pochi) parenti accorsi per riconoscere le salme dei defunti in obitorio. Ironia della sorte, a Bucciarati e ad Abbacchio sono state riservate due celle vicine, a dimostrazione di quanto la sorte, più spesso che a volte, abbia un senso dell’umorismo terrificante.
Ci sarà il funerale? Certamente. Ma saranno insieme o si svolgeranno cerimonie distinte? Non so signora, signore, chi cazzo tu sia che non ha pensato prima al benessere di quello che ti era figlio o nipote, non so assolutamente niente.
Ma sì, facciamolo questo funerale assieme, da quel poco che aveva visto non era quello che desideravano? Stare per sempre insieme? E allora che ci stiano almeno nella morte, insieme.
Questo almeno glielo deve, no?
Per sempre insieme, come nelle migliori delle tragedie.

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Capitolo 35
*** Pensiero intrusivo ***


35. Pensiero intrusivo
(Head)canon

 

 

Il palo si conficca nell’asfalto molle e scongiura per un soffio l’intento omicida di Secco. Bucciarati ci si aggrappa addosso come quella volta di una vita fa.

 

«Dai, non ci credo, l’hai preso veramente! Adesso ti aspetti che ti faccia un balletto privato con questo affare?»
«Secondo te perché l’ho preso? Tra me e te sei tu il più bravo con le movenze da pole dance»
.

 

«Sei un gran rompiscatole, Bucciarati… Dovresti aver capito che a corto raggio sono più efficiente io! E ora mi stai intralciando! Ti sistemo qui e subito!».

 

«Leone?»
«Eh?»
«Sei sicuro che non sembro un deficiente attaccato a questo palo?»
«Fossi anche deficiente saresti il deficiente più sexy di Napoli».

 

La cerniera spezza il palo e cerca di trafiggere Secco, ma l’avversario schiva il pericolo. Nemmeno la raffica di pugni di Sticky Fingers risparmia a Bucciarati lo schianto contro la vetrina del bar. Il dolore fisico non gli appartiene più, ma quello dell’anima continua a tormentarlo con ricordi strazianti.

«Ma bravo» lo canzona Secco «molto astuto, mi sei scappato di nuovo per un pelo… però...».

 

«Potrei...»
«No, non dirlo!»
«Potrei fare uno spettacolo anche per i ragazzi!»
«Bruno, ma che cazzo! Me l’hai fatto ammosciare!».

 

«… Il tuo corpo ha davvero qualcosa di strano… Cos’è? Come fai? Hai infranto una vetrina, eppure stai perdendo pochissimo sangue, e anche quel taglio sul collo non sembra darti fastidio».
Bucciarati è già morto da un pezzo, ma non può permettersi di morire veramente adesso. Per quanto una parte di sé lo abbia accettato e anzi lo desideri, deve ancora attendere prima di rivedere Leone.
 

Per favore, sii paziente. E grazie per il palo e per tutto il resto.

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Capitolo 36
*** Soltanto una sensazione ***


36. Soltanto una sensazione
(Head)canon

 

 

Smettila di fantasticare. Non è da te, è deleterio. Smettila, lui non ti vuole.
Abbacchio non esterna mai i propri sentimenti. Ci sono dei momenti in cui lo si vede in disparte, con le cuffie, accucciato in maniera scomposta sul divano dell’appartamento di uno della banda e non parla se non quando interpellato.
Smettila. È soltanto una sensazione, smettila. Uno come lui può permettersi di meglio di un fallito come te.
Abbacchio sembra guardare tutti dall’alto in basso, quando cammina per strada i passanti lo scansano perché di avere grane con un ex sbirro che può stenderti con un pugno non ne hanno voglia. È palese che uno come lui non sappia cosa significhi provare emozioni positive.
Smettila, non ti è concesso essere felice, men che meno di fianco a lui. Toglitelo dalla testa, finiresti solo nella merda. Ricordati che sei un fallito.
Abbacchio gli accenni di felicità li affoga nell’alcol perché così è più semplice continuare a recitare la sua pantomima. Tanto nessuno se n’è ancora accorto, men che meno Bucciarati.
Smettila. Non pensare a lui. E prendi un’altra bottiglia, che questa è terminata. Meriti solo questo. Ricordati che sei un fallito e che lui gli alcolizzati li odia. È soltanto una sensazione. Bevi, ti ripeto.

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Capitolo 37
*** Canzoni sotto la doccia ***


37. Canzoni sotto la doccia
(Head)canon

 

 

«I feel so unsure
As I take your hand and lead you to the dance floor
As the music dies, something in your eyes
Calls to mind a silver screen
And all its sad goodbyes».

 

Bucciarati si arrestò dietro la porta del bagno e tese l’orecchio cercando di fare meno rumore possibile; Abbacchio stava cantando George Michael sotto la doccia con una pronuncia e un’intonazione più che discrete. Non lo aveva mai sentito esibirsi al di fuori delle mura del bagno, ma sapeva che quando veniva colto in flagrante diventava una furia – e le impronte manesche sulle schiene di Narancia e Fugo costituivano una dimostrazione sufficiente.

 

«I’m never gonna dance again
Guilty feet have got no rhythm
Though it's easy to pretend
I know you’re not a fool
I should've known better than to cheat a friend
And waste the chance that I’d been given
So I'm never gonna dance again
The way I danced with you, oh!».

 

Si disse quindi che, siccome non voleva assolutamente una manata sulla schiena, era meglio allontanarsi alla chetichella. Fece appena in tempo a sentire il getto d’acqua interrompersi all’improvviso e a spostarsi per evitare che la porta spalancata lo colpisse sul naso e si ritrovò davanti l’insospettabile cantante nudo, furente, bagnato e armato di flacone dello shampoo da tirare addosso all’impiccione di turno.
«Narancia, porca put-!» Abbacchio si arrestò col braccio a mezz’aria pronto a lanciare. Guardò Bucciarati con occhi prima spiritati e poi sorpresi, arrossì di colpo e si richiuse la porta alle spalle.
Bucciarati, che non sapeva se ridere o fare finta di niente, rivolse uno sguardo carico di sensi di colpa alle gocce d’acqua lasciate da Abbacchio e si domandò se fosse il caso di chiedere scusa dopo.
«Sappi che ti toccherà scusarti!» sentì latrare da Abbacchio dal bagno.
Bucciarati si strinse nelle spalle.
Non sapeva se spaventarsi o eccitarsi.

 

 

***

 

 

Ispirazione

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Capitolo 38
*** Matrimonio a tre ***


38. Matrimonio a tre
Wedding AU

 

 

Nel suo abito di sposa, mentre attraversa la navata della chiesa, Trish appare radiosa. Sorride agli invitati che si voltano a guardarla, ma sono in pochi a sapere che quella gioia è fittizia. Il futuro sposo la accoglie con uno sguardo benevolo che gli altri scambiano per amore ma che in realtà comunica la grande pena che prova verso la ragazza e il suo destino di moglie deciso dal padre. Il testimone è l’unico a non essersi voltato al passaggio della sposa, fissa il leggio con la Bibbia apposto sull’altare e non sorride affatto. Se non fosse per la ciocca di capelli chiari che si scosta dal viso sembrerebbe una statua. Ad eccezione di loro tre nessuno sa che la notte precedente lui e il futuro sposo hanno consumato un addio al celibato all’insegna del sesso. Si sono promessi che quella sarebbe stata l’ultima volta, ma è palese che quella fosse una bugia. Il letto non sparirà, semplicemente si sdoppierà alla bisogna: uno per il piacere e l’altro per il dovere di concepire figli.
Il sacerdote comparve dalla sagrestia, gli invitati si alzarono in piedi.
Che la farsa abbia inizio.

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Capitolo 39
*** Bagno di mezzanotte ***


39. Bagno di mezzanotte
(Head)canon

 

 

Che cos’è la libertà?
Per alcuni ha a che fare con azioni semplici, come gettarsi nel Tirreno a mezzanotte. Bucciarati e Abbacchio, a volte, lo facevano. A dire il vero lo fanno ancora, perché la libertà non finisce quando l’essere umano smette di esistere. È un concetto che travalica i secoli e le generazioni, e pertanto nemmeno la morte può nulla contro di essa. Per cui, se dovesse capitarti di passare per Napoli e volerti concedere un bagno di mezzanotte, pensa a quei due ventenni che di tanto in tanto smettevano i panni dei malviventi per indossare quelli della salsedine e che adesso, forse, si staranno scambiando un bacio nelle acque dell’Aldilà.
E per te, lettore, che cos’è la libertà?

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Capitolo 40
*** Re e regine ***


40. Re e Regine
(Head)canon

 

 

Abbacchio non andava pazzo per il Carnevale. Uno perché i travestimenti non gli erano mai interessati, e due perché ogni volta Narancia voleva che l’intera squadra si abbigliasse a tema, e quell’anno si era messo in testa di far conciare tutti in versione Medievale – grazie Fugo, grazie per i tuoi libri del cazzo che leggi a quel cretino che poi si fissa su un argomento per settimane intere.
«Io faccio il paggio» stava dicendo Narancia serioso «Mista sarà il cavaliere, Fugo il Papa, Bucciarati il re e Abbacchio la regina».
«Ma falla tu la regina!» rimbeccò Abbacchio «Secondo te vado in giro con la gonna, vero? Te lo puoi scordare»
«Io non ho i capelli lunghi e soprattutto non faccio gli occhi dolci a Bucciarati come fai tu, quindi sei più adatto a fare la regina» spiegò Narancia come se stesse parlando a un bambino di cinque anni «e poi ti ho preso il vestito viola scuro, sei sicuro di non volerlo indossare?».
Abbacchio gli si avvicinò con aria minacciosa, le braccia conserte e gli occhi che lanciavano saette. Quando assumeva quell’atteggiamento per il malcapitato era presagio di percosse.
«Quindi non vuoi essere la regina di Bucciarati?» pigolò Narancia.
«S… no!» balbettò Abbacchio.
«Nemmeno se diventate re tutti e due?».
Abbacchio rimase immobile. Non sapeva se rispondere o tirargli un cazzotto.
«Vado a procurarti un altro costume da re» disse Narancia tutto contento.

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Capitolo 41
*** Canzoni sotto la doccia (reprise) ***


41. Canzoni sotto la doccia (reprise)
(Head)canon

 

 

«I feel so unsure
As I take your hand and lead you to the dance floor
As the music dies, something in your eyes
Calls to mind a silver screen
And all its sad goodbyes».

 

Va bene, Careless Whisper parla di tradimento, ma è una colonna sonora pazzesca per le scopate sotto la doccia delle tre del mattino, quando in casa non c’è nessuno.
Il corpo di Bruno era premuto contro le piastrelle della doccia e i suoi polsi erano bloccati dietro la schiena dalla stretta – dolorosa – di Leone. Sapeva che stava tergiversando per prolungare la sua sofferenza.
«Non avevi detto che toccava scusarmi?» soffiò a chi aveva beccato a cantare George Michael sotto la stessa doccia alcuni giorni prima.
Sentì i capelli tirare e per poco non si lasciò scappare un gemito. Ancora pochi secondi e avrebbe saggiato la penitenza per tutta la sua lunghezza.
 

«I’m never gonna dance again
Guilty feet have got no rhythm
Though it's easy to pretend
I know you’re not a fool
I should've known better than to cheat a friend
And waste the chance that I’d been given
So I'm never gonna dance again
The way I danced with you, oh!».

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Capitolo 42
*** Condoglianze dal Giappone ***


42. Condoglianze dal Giappone
(Head)canon

 

 

Giorno Giovanna si arrestò a pochi passi dai loculi e mostrò all’ospite l’ubicazione dei componenti della squadra che non ce l’avevano fatta. Quando Koichi Hirose lo superò per rendere omaggio all’ex capobanda di Giorno, non poté fare a meno di fare una constatazione.
«Coraggioso da parte tua farli seppellire assieme nonostante il divieto delle famiglie. Fammi capire… Te lo hanno detto loro o lo hai intuito da solo?»
«A dire il vero mi è stato mostrato» Giorno si strinse nelle spalle mentre osservava Koichi sistemare i fiori sulle tombe di Bucciarati e Abbacchio «non serve che qualcuno ti confessi qualcosa per riconoscerne l’esistenza, a volte bastano gli sguardi e i gesti».
Koichi sorrise. Avrebbe redatto un resoconto dettagliato per il signor Kujo, ma avrebbe omesso quel dettaglio. D’altronde non era necessario.
«Capisco» commentò.

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Capitolo 43
*** Malattia ***


43. Malattia
(Head)canon

 

 

Il passato è la malattia della quale soffre la maggior parte dei membri di Passione. Non è circoscritta solo alla banda di Bucciarati, ma si espande a macchia d’olio sulle altre squadre, come una epidemia, infettando gli sguardi dei loro appartenenti con una cattiveria e una apatia che non si vedono in quelli delle persone per bene.
Abbacchio non è da meno, anzi: lui è uno di quelli che non è riuscito a schermarsi con degli anticorpi decenti e quindi il suo stato di criminale presenta due facce: una di palese insofferenza nei confronti della vita e l’altra di totale spegnimento emotivo quando si ubriaca. In entrambe le occorrenze si affaccia beffarda la causa scatenante di tutto ciò.
Bucciarati sa quanto forte può diventare un legame una volta che due individui si raccontano reciprocamente ciò che li ha resi cattivi e apatici, quella maledetta causa scatenante che li ha allontanati dalle persone per bene. Incredibilmente, Abbacchio gliene ha parlato la notte del loro primo incontro, quando lo ha raccolto per strada. Conosceva già il suo passato, ma sentirselo raccontare dal diretto protagonista fa l’effetto di un dono dal cielo da cogliere al volo.
Un legame così formato è difficile da spezzare. Una persona malata che si spoglia, che decide di mostrare la propria ulcera dell’anima, vuole più dell’intimità meccanica scaturita dal sesso. E finché vivrà, Bucciarati vorrà curare questo male perché così facendo è come se contribuisse ad alleviare il suo, di male.
Quanto al resto, sesso compreso, arriverà dopo. Ma il legame è già formato. 

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Capitolo 44
*** Un incubo chiamato GioMis ***


44. Un incubo chiamato GioMis
Parody AU

 

 

Il corpo di Giorno era quello di un dio. Un dio da venerare, baciare, abbracciare e soddisfare in ogni sua voglia, perché a Giorno piaceva giocare a fare la divinità androgina che richiede attenzioni da pochi eletti.
E Mista era proprio un eletto. Caspita, fare l’amore con uno schianto come Giorno Giovanna era quanto di più irraggiungibile potesse definirsi, era l’apoteosi dell’estasi mentale e fisica e per questo non vedeva l’ora di abbassagli i pantaloni per scoprire quella peluria d’oro puro che sembrava filata dalle mani degli angeli…

 

Abbacchio si svegliò di soprassalto. Il movimento fu così brusco che anche Bucciarati si svegliò.
«Uà, Leone, che c’è il terremoto per caso?».
Abbacchio si tolse le coperte di dosso e lasciò la camera da letto senza dire niente. Dopo alcuni secondi Bucciarati udì lo schioccare di due ceffoni e la conseguente lamentela di Mista. Quando il silenzio tornò ad albergare in casa, Abbacchio si rimise a letto.
«Non c’è nessun terremoto» spiegò finalmente «dovevo solo ricordare a qualcuno, a differenza di me e di te che siamo la coppia più bella del mondo, che in fatto di partner ha dei gusti di merda».
«Oh!» sentirono urlare da Mista «A me piace a’ pucchiacca, stronzo!».
Bucciarati tirò su col naso e lasciò cadere la testa sul cuscino.
«Io comunque te l’avevo detto che leggere fanfiction con Narancia ti avrebbe fatto male».

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Capitolo 45
*** Il collare ***


45. Il collare
(Head)canon

 

 

«Ehi Fugo, per caso Bucciarati sta per adottare un cane?».
Fugo sollevò lo sguardo dal caffè della mattina e rivolse un’occhiata scocciata a Narancia.
«Non che io sappia» sbuffò, una mano sui capelli arruffati delle sette e un quarto «farti i cazzi tuoi ti sembra un’opzione poco allettante?»
«Ho trovato un collare a casa sua!» ribatté Narancia leggermente offeso «Stava dentro il cassetto del comodino»
«Lo sapevo, non ti fai mai i cazzi tuoi» Fugo alzò gli occhi al cielo e sospirò affranto «quando il capo ti porta a casa sua per smaltire la sbornia non devi permetterti di rovistare tra le sue cose, d’accordo? Non voglio più ripetertelo»
«Sì, va bene, ma io voglio sapere se Bucciarati sta per adottare un cagnolino!» Narancia cominciò a saltellare attorno al tavolo, preso di entusiasmo per la scoperta «Era un collare nero e viola con il guinzaglio, era troppo carino! Somigliava ai vestiti che indossa Abbacchio di solito».
Il volto di Fugo assunse le sfumature più variegate nel giro di pochi secondi, dal fastidio era passato a una specie di epifania al quale solo lui sembrava avere assistito. Vedendolo strabuzzare gli occhi e bere di colpo il suo caffè, a Narancia parve che stesse per avere un mancamento.
«Oh, ma tutto a posto?» domandò, completamente ignaro di cosa gli fosse passato per la mente.
«Tranquillo Narà, è solo mal di vivere» disse Fugo, riuscendo a sviare il discorso verso una mezza verità.
Peccato che durò troppo poco.
«Ma allora? Bucciarati sta per adottare un cane o no?».

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Capitolo 46
*** Tatuaggio ***


46. Tatuaggio
(Head)canon – anime only

 

 

Una cosa che Leone ama fare, ma che non rivelerebbe a nessuno, è ripercorrere con i polpastrelli l’inchiostro impresso sul torace di Bruno. Lo trova incredibilmente rilassante soprattutto nelle notti d’estate, quando ci si concede di dormire a petto nudo.
Succede allora che Leone poggia l’orecchio sul cuore di Bruno, lo ascolta battere e lascia che le dita vaghino da sole sulle linee un po’ curve e un po’ a zig zag fino ad arrivare al cuore tatuato sotto lo sterno, che viene solleticato delicatamente per suscitare uno spasmo di risa o chiedere altri dieci minuti di amore.
Nessuno conosce il significato di quel tatuaggio, ma a Leone poco importa. Secondo la sua interpretazione, quei segni leziosi sulla pelle simboleggiano l’istinto predatorio di Bruno. Una belva gentile coi deboli e spietata a letto e coi nemici.
Bruno solleva il busto, costringendolo a staccarsi da lui. L’interruzione del contatto dura poco, perché subito dopo la mandibola di Leone viene afferrata e un paio di labbra si posano sulle sue.
La belva si è risvegliata di nuovo.

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Capitolo 47
*** Conseguenza inevitabile ***


47. Conseguenza inevitabile
What If?

 

 

Quando Bucciarati aveva avuto la consapevolezza di essere un morto che cammina, sapeva che alla sua dipartita Abbacchio non sarebbe sopravvissuto a lungo. La storia dello zombie redivivo era stata raccontata all’ex poliziotto da quello stronzo di Giorno, subito dopo avere incassato un paio di pugni sul setto nasale che gli avevano macchiato di sangue quel bel faccino di cazzo che reputava la causa della scomparsa dell’unica persona della quale gli importasse veramente qualcosa.
Ragion per cui, esaurite le lacrime e la rabbia, non restava che confermare l’intuizione di Bucciarati: infilarsi nella vasca da bagno piena di acqua calda, immergercisi e tagliare polsi e braccia con una lametta. Veloce e stordente come nessun bicchiere di vino avrebbe mai fatto.
Quella sera aveva abbracciato Mista e Trish con un trasporto che non gli apparteneva, gli aveva augurato la buonanotte e si era incamminato verso casa con una leggerezza nel cuore che non aveva mai provato: era tutto finito, non avrebbe più lottato contro i suoi demoni perché aveva accettato la sconfitta serenamente, non ne valeva più la pena.
Erano questi i suoi pensieri mentre chiudeva il rubinetto dell’acqua calda e iniziava a spogliarsi. Era tutto perfetto, nessuno lo avrebbe disturbato.
Immerse un piede, poi l’altro, e infine si sedette; trasse un profondo sospiro e lasciò che i vapori gli impregnassero i capelli di umidità.
Fatto ciò, prese la lametta sul bordo della vasca.

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Capitolo 48
*** Catarsi della sofferenza ***


48. Catarsi della sofferenza
(Head)canon

 

 

Bucciarati ha commesso diversi crimini nel corso della sua breve esistenza, e per quanto possa essere ritenuto un brav’uomo il disgusto nei riguardi di cosa è diventato riaffiora a volte dai meandri della sua mente. Pensarci conduce a una catarsi che cela la sua anima masochista.
E di questo Abbacchio è al corrente, un po’ perché masochista lo è anche lui, un po’ perché sa quanto Bucciarati goda nel provare sofferenza quando sono da soli in camera da letto.
Dopo un tempo indefinito in ginocchio e con le manette legate dietro la schiena, le articolazioni delle braccia urlano pietà e si uniscono in coro alla libido non soddisfatta, pulsante, che divora i lombi e annulla la volontà.
Bucciarati potrebbe chiedere di smetterla ma non riesce perché la costrizione fisica lo sta facendo andare in overdose. Più soffre più ne vuole e non sa come uscirne.
«Leone» dalla sua voce esce un tono di supplica che stenta a riconoscere suo «quanto vuoi farmi restare in questa posizione?».
La mano di Abbacchio afferra le manette e le strattona verso il basso, costringendo Bucciarati a inarcare la schiena, il gemito di dolore e piacere che esce dalla gola lo fa vergognare e ciò gli provoca ulteriore godimento. Due labbra si avvicinano all’orecchio mentre l’altra mano si chiude sulla gola:
«Te lo giuro, sei la cosa più bella del mondo».
La mano stringe, il respiro si fa affannoso. Se quello è l’inferno, è giusto che ci restino per sempre.

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Capitolo 49
*** Empatia ***


49. Empatia
(Head)canon

 

 

Giorno Giovanna si portò la tazza di tè alle labbra, chi glielo aveva versato teneva una faccia da stronzo, ma era comunque una scortesia rifiutare, magari almeno in quell’occasione il suo intuito poteva anche sbagliarsi.
Eppure le narici gli suggerirono che quello in realtà era piscio.
Fammi capire, faccia da stronzo, pensò Giovanna, sei invaghito di Bucciarati e vuoi farmi credere di essere solo uno stronzo e non un’aspirante fidanzata gelosa?
«Una tazza anche per me, grazie» disse appunto Bucciarati che non si era accorto del giochetto.
«Non potresti ordinare qualcos’altro?» rispose serafico la faccia da stronzo.
Sai che questo comportamento non fa altro che renderti parecchio infantile agli occhi di chi si presume sia la persona che ti piace? Come reagirebbe se venisse a sapere quello che servi ai tuoi rivali immaginari?
«Che c’è ora?» incalzò lo stronzo «Mi hai pure ringraziato per averti versato il tè… e adesso non lo bevi? Cos’è, non è abbastanza caldo? Non ti piace?».
I due membri più giovani della banda ridacchiavano, quello col cappello si godeva la scena senza comprendere il sottotesto della goliardata, mentre Bucciarati appariva sempre più confuso.
«Non sarà che non lo vuoi bere perché non ti va di diventare nostro amico?»
«Cosa state complottando?».
Non lo so Bucciarati, chiedilo alla faccia da stronzo che ha il coraggio di pisciare dentro una teiera ma non di dichiararsi.
Giorno bevve, o almeno, lasciò intendere di farlo trasformando uno dei suoi denti in una piccola medusa che andrò ad assorbire il contenuto della tazza.
Le facce dei suoi nuovi “amici” si trasformarono all’unisono, inclusa quella di Bucciarati che aveva finalmente scoperto il trucco.
Chissà se vivrai abbastanza a lungo da renderti conto che non ti sono nemico, faccia da stronzo, pensò Giorno mentre si godeva il plauso della tavolata.

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Capitolo 50
*** Il giusto finale ***


50. Il giusto finale
Ireneverse

 

 

A Napoli si respira aria di primavera. Considerato che nei giorni precedenti gli strascichi dell’inverno avevano portato con loro nuvoloni e temporali, rivedere il cielo terso è un toccasana per l’anima.
Un uomo è fermo sul marciapiede di via Toledo, è uno dei tanti passanti che trafficano la strada, quasi si confonde tra la folla e non possiede caratteristiche che possano renderlo riconoscibile dalla massa. Appare stanco per via di un turno di lavoro massacrante, ma a parte questo non ha motivo di odiare la vita, anzi. Da essa ha ottenuto ciò di cui aveva bisogno e va bene così, le è grato per questo.
Controlla l’orologio: sa bene che la puntualità è la caratteristica fondamentale della persona che sta aspettando, per cui non si sorprende di vederla spuntare alle cinque in punto, anch’essa dall’aria stanca, la divisa sgualcita nel borsone e il cappello da poliziotto sotto il braccio.
«Giornata stressante?» lo saluta lui con un bacio sulle labbra – alcuni passanti si voltano a guardarli sorpresi, i due ci sono abituati e non vi fanno più caso da un pezzo – e lo prende per mano.
«Ho messo al gabbio tre ceffi e l’ultimo ha cercato di accoltellarmi, ma a parte questo tutto bene dai» sospira lui, talmente esausto che nemmeno il sarcasmo riesce a ristorarlo «questo si deve lavare» dice accennando al cappello «mi è caduto dentro un cassonetto mentre cercavo di acciuffare questo fetente e non voglio metterlo assieme alle altre cose… che schifo»
L’altro apre bocca perché vuole sapere a tutti i costi perché un malvivente abbia deciso di nascondersi dentro un cassonetto per sfuggire agli sbirri, ma i due vengono intercettati da una coppia di neosposi stranieri in viaggio di nozze: la coppia regge una cartina della città e appaiono in difficoltà.
Il poliziotto in borghese fa un passo avanti e sfoggia il suo inglese da liceo, non se la cava male ed è sempre stato bravo ad aiutare i turisti a ritrovare la strada per i loro alloggi.
I neosposi ringraziano e le due coppie si separano, guardandoli allontanarsi dalla direzione opposta scoprono che la donna ha una voglia a forma di stella sulla spalla sinistra scoperta.
«Dai, mi racconti perché ti è finito il cappello nel cassonetto della spazzatura?».
Un altro sbuffo, ma è solo una finta, perché subito dopo la richiesta viene esaudita.
E va bene così, perché questo è il giusto finale anche se i protagonisti non lo sanno.

 

 

 

50 DAYS OF BRUABBA

 

FINE

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