Save your tears, basato su lacrime versate.

di Sidney Prescott
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Prologo. ***
Capitolo 2: *** Amedeo. ***
Capitolo 3: *** Fiammetta. ***
Capitolo 4: *** Alba. ***
Capitolo 5: *** Andrea. ***
Capitolo 6: *** Edoardo. ***
Capitolo 7: *** Diletta. ***
Capitolo 8: *** Elio. ***
Capitolo 9: *** Ada. ***



Capitolo 1
*** Prologo. ***


Save your tears.
(basato su vere lacrime versate.)


 
Milano, 2023  (diciamo Milano ma non è mai Milano Milano).
 
Premessa importante, non si tratta di una storia strappa lacrime, niente che vi farà urlare per lo stupore o simili, questo è semplicemente il diario di bordo di una 20enne che, sebbene le alte aspettative, si è già pentita di essere cresciuta!



Da dove cominciare? 
Inizio sconforto: settembre 2021.
Onestamente non lo so nemmeno io, ma posso dirvi che tutto quello che leggerete saranno piccoli frammenti di vita vera, di persone come tante altre, che magari non hanno nulla di speciale agli occhi dei più, ma ne hanno avuta e ne hanno per me, una ragazza come loro che non ha niente di diverso da migliaia di altre.
Siamo un gruppo di disillusi, figli di una generazione sazia e incapace di sognare, che non trova più meraviglia nemmeno nelle piccole cose e questo, lasciate che ve lo dica, fa capire quanto i nostri animi siano malati: non apprezziamo più niente, tutto ci sembra dovuto e non abbiamo nemmeno più voglia di guadagnarcelo.
Da qui nasce la nostra malattia.
Ma siamo ancora in grado di guarire? 
Vi racconterò in breve, senza annoiarvi, la storia di 8 ragazzi, 8 amici, 8 sconosciuti alle volte, finiti insieme per caso, fatalità, legati da sentimenti del tutto normali, a volte sfociati in qualcosa di più complicato, ma uniti, nel bene e nel male, o almeno questo è quello che mi piaceva pensare fino a quel maledetto settembre del 2021, dove le nostre vite, in un modo o in un altro, sono finite per cambiare.
Cosa ci ha uniti? 
Niente di più basico, i banchi di scuola, niente di speciale fin qui, direte voi, e invece no, razza di miscredenti che non siete altro; se ci fate caso, i gruppetti di “maranza” di oggi sono una sorta di branco, uno identico all’altro, nessuno è capace di distinguerli: parlano allo stesso modo, si vestono allo stesso modo e ciò che è peggio, si comportano tutti alla stessa e identica maniera. 
Anche questo, purtroppo, fa parte del cancro sociale a cui andiamo incontro giorno per giorno.
Noi invece no, eravamo tutti fottutamente e splendidamente diversi, al punto di doverci chiedere come cazzo fossimo finiti tutti insieme!
Tutto nasce nel settembre del 2016, in un liceo della bassa Brianza, uno di quelli conosciuto per il livello di istruzione alla Fantozzi, dove i centenari docenti si vantavano di ricoprire un ruolo di spicco fra le scuole più riconosciute della regione: una vera pletora di cazzate.
Non era il posto a fare la differenza, ve lo assicuro, perchè all’interno di quell’istituto, sebbene i numerosi asti coi docenti e col sistema, ho lasciato dentro un grosso numero di bei ricordi; ma la domanda vera è…tutto finisce nel settembre del 2021?
Vorrei rispondere, ma non posso farlo, non ancora.
Dov’eravamo rimasti?
Ah, già!
8 amici; potrei scrivere intere pagine senza mai arrivare al succo, alla conclusione, anche perchè se ci arrivassi davvero significherebbe che non ho più avuto modo di conoscerli, perchè la nostra amicizia sarebbe già terminata; ma da qualche parte, forse, posso cominciare.
Amedeo…Amedeo forse è la strada più facile per cominciare questa storia, e non perché non sia in qualche modo meno importante, ma perché, in fondo, lui non si è mai preso davvero sul serio come avrebbe dovuto. 

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Capitolo 2
*** Amedeo. ***


Atto primo: Amedeo.
 

Amedeo.

La prima volta che ho visto Amedeo Massari ero in un periodo di merda della mia vita: appena bocciata, fresca fresca, convinta di non ritrovare nessuno di interessante su quei già conosciuti banchi di prima (per la seconda volta) liceo, ma il futuro mi avrebbe riservato un tipo stravagante, e non disperso, oh no!
Proprio lì, accanto, vicino a me.
Le superiori, si sa, non sono gentili con nessun fanciullo, specialmente se appena uscito dalla terza media con un sorriso stampato in faccia e tanta voglia di distinguersi tra gli altri: si, Amedeo era ed è un cazzotto in bocca o una ventata d’aria fresca, specialmente tra una marmaglia di adolescenti incapaci di essere se stessi per non stonare nel gruppo.
Non era affatto il mio tipo, troppo solare, troppo estroverso, troppo protagonista in quella classe dove la supremazia femminile la faceva da padrone; insomma, lui era il leader dell'opposizione, seppur deboluccia, maschile, ma cosa volete che ne freghi mai ad una 15enne ripetente incazzata col mondo, con tutto e tutti?
Ve lo dico io: un emerito cazzo.
Amedeo faceva sorridere, e questo bastava: faceva?
Sì. Amedeo mi faceva sorridere, e non perchè ora sia meno divertente di allora, anche se vi giuro che trattenere le risate in sua compagnia era cosa assai difficile, ma perchè adesso non so più se quelle risate siano dettate dalla felicità oppure dalla semplice circostanza, in uno squallido bar, di uno squallido paese di un’altrettanto squallida provincia.
Cosa ricordo di Ame prima di tutte le sue innumerevoli cazzate?
Dio, da dove comincio?
Non era un'amante della scuola, anzi, ma riusciva a cavarsela come pochissimi, e non certo per via delle “sudate carte”, perchè vi assicuro che in 5 anni l’unico sudore versato era quello durante le ore di Educazione Fisica (che noi chiameremo così perché “arruolamento forzato con il generale Francisco Franco” è poco educato) o forse quello causato dalla forza di immaginazione impiegata nell’inventare stronzate apocalittiche durante le interrogazioni, ma sapete cosa c’è di sconvolgente?
Lui i professori li intortava tutti, ma tutti, non c’era verso.
Ame è un autentico romagnolo, ci sapeva fare, anzi, ci sa ancora fare, ma una cosa che non è mai, e dico mai, cambiata in tutti questi anni è il non saper trattare, né con le ragazze e nemmeno coi confini imposti, forse, per non farsi troppo male dentro.
Il personaggio lo avete inquadrato, no? 
Lo spirito della classe con la parlantina facile, la battuta pronta, ma non appena si presentava l’occasione di conoscere una ragazza, Amedeo, dacché era il Cicerone del momento, finiva per essere esattamente come l’imperatore Claudio, e non perchè era zoppo (il buon Amedeo è più che sano), ma perchè si faceva, e fa, sopraffare da qualsiasi buona donna finita nel suo mirino.
Ame non è un cacciatore, è quello che finisce per spararsi perchè tiene il calcio del fucile al contrario, puntato proprio dritto in faccia.
Se solo sapeste le ore passate a cercare di convincere quella autentica testa di c***o ad aprire gli occhi sulla realtà, ma alla fine sappiamo tutti che non esiste più grande cieco di chi non vuol vedere, ed è proprio questo che, negli anni, ha portato la bella luce di Ame, quella che ricordo dal primo giorno di scuola, a scemare, minacciando tante, troppe volte, di spegnersi da sola.
Non sono qui per biasimare Amedeo o nessuno dei miei 7 amici, voglio solo raccontarvi come i cambiamenti siano inarrestabili, per quanto vorremmo fermarli, non c’è verso ne di controllare il tempo, riavvolgerlo o riviverlo: possiamo conservare i ricordi, ma così facendo rischiamo di cadere nella spirale della depressione.
Io ci sono caduta, non so se mi sono ripresa, è difficile capirlo, ma ognuno di noi ha la sua droga: la mia è il passato, ma quella di Amedeo credo sia il concedere la sua luce senza ricordarsi di far pagare la bolletta a chi ne usufruisce.
Non serve a niente nascondersi dietro ad un cartonato costruito, e quando si è alle superiori, pur di farci accettare, ci inventeremmo la qualunque, ma non basta  certamente il fumo di una canna ad annebbiare il nostro riflesso allo specchio, perché siamo sempre gli stessi, non importa quante maschere usiamo per fingerci qualcuno che piace solo a terzi, ma non a noi.
E Amedeo di maschere è uno che se ne intende.
A differenza di molti di noi che sembrava farsela sotto dalla paura, Ame pareva correre dietro al suo futuro dopo il diploma, dove tutto è buio e senza certezze: l’attore, si, lui voleva essere attore.
No, non è una cazzata da sitcom italiana, lui ci voleva provare per davvero, nonostante lo scetticismo di noi altri figli (non di puttana) ma della sfiducia, che cercavamo di dissuaderlo, forse arrivando anche a ferirlo, sebbene lui non ce l'avesse mai detto (e di questo mi scuso personalmente): è molto più facile mollare in partenza che inseguire sogni lontani, lontani per comuni bastardi come noi, figli del popolo, figli di operai e di semplici promesse, lontani dai riflettori e dalla notorietà.
Oggi? Che ne è di Amedeo oggi?
Ancora di Ame non ho notizie certe, non so se è felice, non so è lo stesso Ame che ho conosciuto, non so se lo sarà più; ve l’ho detto, il passato non lo riavvolgiamo, è un brutto vizio che inseguo come Ame insegue ragazze che lo distruggono, o amicizie che lo avviliscono.
Lo spengono.
Sapete perché ho datato l’inizio di questa storia al settembre del 2021?
Perchè è da lì che sono iniziati i nostri guai: quando eravamo a scuola non facevamo altro che lamentarci in continuazione, di ogni cosa, dei compiti, dell’essere svilente dei professori, dei compagni di classe che avremmo volentieri messo sotto con la macchina fingendo di aver lasciato giù il freno a mano, ma sapete cosa resta di tutti quei fastidi e capricci?
Un pericoloso vuoto, perchè è vero, non ci accorgiamo di ciò che perdiamo finchè non lo possiamo più riavere: quando eravamo a scuola eravamo insieme, contro dei docenti annoiati e dei compagni frivoli, ma eravamo insieme, e le incertezze sparivano, ma una volta ottenuto il diploma?
Si apriva il ballo delle certezze, delle responsabilità, di un futuro che avevamo paura di accogliere e che, si, ancora ci spaventa a morte o almeno, per quel che mi riguarda, mi terrorizza.
Chissà se Amedeo, nonostante tutto, sorriderebbe in faccia anche ad una simile voragine; mi piace credere che farebbe così, come quando ridevo di qualche cazzata detta con lui davanti ad una delle mummie che si spacciava come professoressa al liceo, così forte da avere le lacrime agli occhi, incuranti dei richiami e delle minacce di Tutankhamon dietro la cattedra.
In quel momento niente faceva più paura, nemmeno l’espressione mesta del futuro appena dietro l’angolo.
Ma chi sono io per parlarvi dei miei compagni senza prima essermi presentata?
Chiamatemi Ada, Ada Parisi, ho quasi 22 anni, sono al secondo anno di università, non ho idea di che cosa fare della mia vita e sono della Bilancia.
Le mie generalità?
In generale sto così e così, ma adesso sono qui per raccontarvi la storia di 8 ragazzi come tanti, la storia di Amedeo, di Alba, Andrea, di Fiammetta, Elio, Diletta ed Edoardo.
Chi sono, direte voi: non ha importanza come li chiameremo, la loro essenza non cambierà affatto, ma in qualche modo dovrò pure identificarli a questi stronzi!
Dicevamo….era il settembre del 2016…

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Capitolo 3
*** Fiammetta. ***


Atto secondo: Fiammetta.

Fiammetta.

Era il settembre del 2016 e, a differenza di Amedeo, Fiammetta Redaelli non mi ha colpito subito.
Perchè?
Perchè Fiammetta sembrava essere tutto ciò che una ragazza adolescente voleva e soprattutto doveva essere: la teenager che si riscattava dopo il suo canto del cigno, che passava dall’essere una semplice My Doll ad una Bratz griffata, dopo aver abbandonato le insicurezze fisiche e i rifiuti dai tempi delle scuole medie per abbracciare le novità del liceo, dove tutto è apparentemente concesso e non bisogna fare altro che prenderlo e sfoggiarlo davanti ad un'orda di mocciosi insicuri, pronti a puntare il dito e a sparlare dietro le spalle di chi vantano avere come amici.
Sì, era questo il mondo che si presentava davanti alla bella Fiammetta, dal sorriso grande a mezzaluna, ma lei ancora non sapeva che quelle incertezze non l’avrebbero abbandonata affatto: erano vive e vegete dentro di lei, e lo sarebbero state finchè non si sarebbe svegliata da sola, e non con il bacio del primo vero amore.
La sua grande e primordiale debolezza.
Ricordo bene il nascere della nostra amicizia, fuori dai parametri di entrambe: lei viveva in un mondo diverso dal mio, e non perchè fosse frivola o sciocca, come a molti piaceva pensare per semplice invidia, ma perché quella principessa incantata vedeva amore e leggerezza anche dove non c’erano. Cresciuta forse troppo in fretta, tra le braccia dello storico Raoul, il belloccio tamarro di quartiere che tutte le vrenzole del paese e non desideravano, una coppia adulata e criticata,durata una vita o forse due; ma non è mai amore quando si tradisce, ci si lascia e si riprende, e Fiammetta era, nella sua mente adibita a tribunale, sia vittima che imputato.
Raoul poteva anche essere l’adone delle adolescenti dell’epoca, ma era e resterà per sempre, anche nel cuore di Fiammetta, il primo amore nato e poi sfiorito all’ombra dell’abitudine, della monotonia, della tristezza, perchè lei voleva volare via da quel mondo ovvio e già conosciuto; Raoul sarebbe rimasto per sempre il sempliciotto della bassa Brianza, che passava dalla ragazza più carina ad un altra di settimana in settimana, ma lei voleva davvero davvero essere uno dei tanti capitoli della vita di qualcun altro? 
No.
Se credete che Fiammetta sia rimasta a rileggere il paragrafo della sua esistenza con Raoul non avete prestato sufficiente attenzione, perchè dopo di lui ci sono state molte, moltissime altre annotazioni a piè pagina, ma nulla che valga la pena del pepe di quella ragazza: sì, la prima cosa che associo alla personalità di quella compagna e amica dal giacchino di pelle rosa, piena di aspettative e desideri, è il peperoncino.
Amedeo era sole, Fiammetta era brio, era vita, è vita, una vita che procede su binari sconnessi che ancora non conoscono la strada della stazione d’arrivo, finendo così per perdersi tra le mille fermate senza mai capire quale di loro sia l’effettivo capolinea e non solamente una semplice sosta. 
Come vi dicevo, io e lei non avevamo avuto il colpo di fulmine come con Ame, ma è stato un lento crescendo fino a che la nostra presenza era quasi, per forza di cose, perennemente congiunta, al punto da essere perfino scambiate l’una con l’altra ma non c’era modo, per un occhio attento, di confondere due cose si, forse apparentemente simili, ma non uguali, complementari, ma non intercambiabili. 
E il tempo passava, velocemente, e piano piano, senza nemmeno accorgercene, iniziavamo a riunirci attorno, pezzo dopo pezzo a quella sorta di puzzle creato dalla fatalità, ma nel mentre crescevamo; non era scritto da nessuna parte che il 2016 si sarebbe fermato al mese di settembre, perché arrivò anche il 2017, come il 2018 e così via.
Il tempo se ne andava e Fiammetta cresceva, così come me, come Ame e come gli altri 5 splendidi idioti che sarebbero arrivati dopo, cambiava inesorabilmente, non che ci fosse da fargliene una colpa, ma mentre lei lo faceva rideva con volti nuovi, compagnie diverse, amici diversi, nuovi e fallaci amori uno più disastrato dell’altro, a volte senza nemmeno accorgersi che le stesse mani che le offrivano un Negroni Sbagliato erano le quelle che, nel mentre,reggevano il coltello per pugnalarla alle spalle.
Non sapete quanto sia difficile ed irritante veder piangere chi ami e non poter far niente per cambiare le cose, quando non sei tu il fautore del male, perchè sei lì, inerme, e non puoi far altro che essere una spalla su cui piangere, per quanto patetico e smielato sia.
E credetemi, Fiammetta non aveva pianto solo per il rozzo Raoul, per il tronfio Brambilla, un gretto borghesotto brianzolo per cui aveva avuto una svista, o per l’acerbo Leoluca, ultima fiamma liceale dovuta probabilmente alla necessità di aria fresca, o forse dal bisogno di trovare qualcuno più immaturo di lei per poter finalmente crescere: Fiammetta piangeva perché nessuno sembrava capirla, ascoltarla.
Lei aveva solo un boia davanti alla porta della classe, e quel boia si chiamava società: le stesse ragazze che le avevano sorriso erano quelle che l’additavano, i sorrisi falsi, le calunnie, Fiammetta era tornata nel Medioevo e ancora non se n’era resa conto. 
Ma se pensate che solo lei sia stata vittima di queste lingue, siete in errore; anche Amedeo era finito nella stessa spirale infernale e, mentre gli anni passavano, avevano scelto di fuggire entrambe in una dimensione che per noi altri del gruppo era impossibile raggiungere. 
Avete presente il film “Un ponte per Terabithia”, dove i protagonisti si inventano un mondo immaginario da raggiungere saltando il fiume?
Ame e Fiamma avevano fatto la stessa cosa, per scappare dalle voci, dallo sconforto, per perdersi; bastava prendere e saltare dall’altra parte, ma si erano dimenticati di lasciarci le istruzioni per come raggiungerli, ed era quasi impossibile farlo senza una corda.
Vi mentirei però se vi dicessi che Fiamma era sola contro il mondo; non lo era, non come credeva di esserlo. Prima di me c’era Alba Sorrentino, di cui vi racconterò più avanti, una sorta di antagonista accanto al personaggio di quel peperoncino, ma di maligno aveva poco e nulla, poiché era una specie di grillo silenzioso sempre dietro l’angolo, pronto a pestare il piede di Fiamma sul precipizio per la cazzata numero n° 1000.
La faceva ugualmente?
Ovviamente si, ma almeno il dolore della botta era attutito dalla piccola spalluccia della Sorrentino, sempre con lei dai tempi dell’asilo: Alba era una piccola mano di Fatima made in Caserta.
Mi chiederete anche qui che ne è stato della Redaelli dopo il diploma; ho una risposta meno vaga rispetto a quella di Ame, forse perchè le nostre strade non si sono diramate poi così tanto, o forse perchè Fiamma, a differenza di Massari, ha sempre avuto un debole per rileggere i capitoli precedenti e perdersi in essi senza vergogna, ballando al ritmo di una musica tutta sua fatta di azzardi, rimorsi, magari anche rimpianti, chi lo sa, ma sta ancora ballando, ed è tutto quello che conta.
Fiammetta cade, ma si rialza, Fiammetta piange, Fiammetta ride, Fiammetta ama, Fiammetta fuma, Fiammetta lavora, Fiammetta se ne frega, ma soprattutto, continua a sbagliare e ballare.
E no, balla da sola, perchè non ha bisogno di nessun cavaliere sfigato che la inviti sulla pista, mentre a bordo campo saranno sempre presenti le arpie dalla lingua biforcuta a fissarla, ansiose della sua ennesima storta sui tacchi alti.
Le troiette di quartiere però non sanno una cosa; Fiammetta non ha mai ballato sui tacchi, perché lei stessa mi ha insegnato che non c’è niente che non si possa raggiungere con un paio di comode e vecchie Converse, una tuta larga e sgualcita e i capelli raccolti sulla nuca in una scombinata cipolla.
Questo gruppo però va avanti, perchè dopo Fiammetta arriva il terzo anello; di chi vi stavo parlando?
Ah,sì, stavamo iniziando a parlare di Alba…

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Capitolo 4
*** Alba. ***


Atto Terzo: Alba.


Alba.

Chi è Alba Sorrentino?
Me lo sono sempre chiesta anche io, ogni mattina che sentivo il suo nome a metà dell’appello prima di fare lezione, ogni volta che la vedevo accanto a Fiammetta, ogni volta che veniva puntualmente interpellata da un insegnante per regalarci qualche sua perla di saggezza o delucidazione, perchè lei doveva essere sempre sul pezzo, lei non doveva sbagliare. Mai.
Non so chi sia davvero quella piccola ragazzina, ma posso dirvi con tutta certezza chi non è Alba. 
A differenza di Amedeo e Fiammetta,che potevano essere facilmente imputabili di debolezze e perdizioni, ad Alba questo non era consentito, perché non poteva essere come loro, lei era diversa: chi lo aveva deciso?
La società, vestita da giudice togato: in una mano reggeva il cuore di Alba, nell'altra, invece, le chiavi della sua cella, fatta di apparente perfezione e rettitudine.
Alba era un mito plasmato dalla mente dei docenti, l’alunna perfetta che non doveva mai essere colta in fallo, era stata idealizzata a tal punto che non poteva essere altro che ciò che tutti si aspettavano, un’icona, una figura da seguire, accantonando del tutto le sue insicurezze, le sue fragilità, la sua umanità.
Alba non piange, Alba non si concede, Alba vive in una sfera di cristallo e nessuno può permettersi di sporcarla con le proprie mani indegne: era questo il mantra che veniva predicato quando quel viso dolce e apparentemente pio si palesava sulla bocca di tanti.
Alba era, secondo i più, quel personaggio di Jane Austen incapace di deludere chi le stava attorno, seguendo alla lettera un piano definito che lei non aveva mai scritto: Alba era un programma che non aveva mai dettato,redatto o perfino accettato.
Mentre Fiammetta e Amedeo venivano derisi, criticati e fatti a pezzi, Alba era elevata come la Madonna sopra la folla dei peccatori, come Monica Bellucci nel film “Malena”; non voglio certo insinuare che Alba abbia a carico le colpe di una vedova siciliana nel periodo di guerra, ma se pensate che le malelingue siano diverse, allora, non avete davvero compreso il tipo di società in cui viviamo, perché le cose non cambiano, al massimo peggiorano.
Malena era bellissima, Malena era abbandonata a se stessa, Malena doveva restare nella sua campana di vetro poiché, in caso contrario, sarebbe caduta dal suo piedistallo di perfezione e si sarebbe mescolata alla comune folla: avrebbe perso la sua purezza.
Non vi suona forse familiare? A me si.
Fiamma e Ame erano già macchiati, Alba no; perfino Amedeo era rimasto folgorato da questo mondo che col suo c'entrava ben poco, un monsone estivo che lo aveva stravolto, e non avete idea di come abbia cercato di entrarci dentro diverse volte, ma credo che il suo errore non sia stato tanto l’essere diverso da Alba, quanto più dimenticarsi che, per essere in sintonia vera l’uno con l’altro, bisognava togliere di mezzo le maschere e aprire le gabbie.
Ame aveva parlato ad Alba, ma non aveva ancora aperto la porta della cella, rimanendo divisi da un muro di ferro, di bugie, di ideali impropri e di incomprensioni.
Anch’io, per un momento, ho creduto al santino che era stato creato di quella ragazza, ma solo quando l’ho strappato ho capito che Alba Sorrentino in realtà era una semplice adolescente, innamorata di cose più delicate che della semplice estetica ed apparenza: Alba era innamorata dell’essenza della vita, dell’arte, delle pagine di un libro, di uno scatto rubato con la sua macchina fotografica, dell’odore della carta lucida appena stampata con la sua Polaroid.
Solo perché Alba non aveva scoperto l’amore presto come Fiammetta con Raoul, non significava certo che ne fosse immune o disinteressata, doveva solo continuare a scoprire il mondo fuori dalla gabbia; avrei voluto capire prima la natura reale della Sorrentino, lontano dai canoni imposti e dai limiti pre designati dalla scuola e dagli stessi compagni, ma non mi pento di averli cancellati, almeno in parte, personalmente, facendola così entrare nel mio di mondo, mai stato così distante dal suo per pura semplicità.
Come Raoul per Fiammetta, un bel giorno, lontano da occhi indiscreti, anche dai miei, era arrivato un certo Tancredi nella vita di Alba, nel modo più indisturbato e senza pretese di tutti; vi confesso che la prima volta che l’ho visto ho sorriso per l’assurdità della cosa. Quando sono i nostri amici ad innamorarsi diventiamo l’avvocato più cinico e sputa sentenze che ci sia, ma quando siamo noi ad ad alzarci dal banco dei testimoni le cose cambiano da così a così.
Tancredi e Alba erano come Lilly e Il vagabondo, c’era intesa, c’era divertimento, c’era quel brio che all’inizio è in grado di farti credere che ci saranno perfino dei progetti più grandi, ma anche Alba si sarebbe presto resa conto che lei non era una semplice cagnetta da impressionare e che Tancredi era solamente un randagio senza meta, facilmente comprabile con un osso lanciato dal primo offerente, ma questo non cancella le sensazioni da loro, da lei, provate, per la prima volta. Alba aveva chiuso i libri, Alba aveva finalmente sbagliato, ma adesso Alba era finalmente libera.
Era libera di sbagliare, come me, come Ame e come la sua inseparabile Fiammetta che, per una volta, avrebbe potuto essere lei un’isola sicura su cui approdare per la sua piccola amica dal cuore spezzato.
Tancredi, da randagio qual era, aveva cercato di ritornare nel mondo di Alba più di una volta ma si era ritrovato davanti al muso una porta sbarrata, chiusa; non pensate che sia facile voltare le spalle ad un ex, per quanto male ci sia stato nell’ultimo periodo, in un modo o in un altro lo avete amato, ma è perchè ci amiamo di più che, ogni tanto, dovremmo chiudere più spesso le serrature a doppia mandata, e Alba lo aveva fatto con tanto di porta blindata. Tancredi aveva provato a rivendicare un amore che aveva contribuito ad uccidere, ma Alba non era certamente la bambina da proteggere che tutti avevano idealizzato fino ad allora; lei era come me, era come Fiamma, come Ame, come tutti noi, aveva preso uno schiaffo che sicuramente l’aveva fatta tremare e piangere, ma era rimasta in piedi.
Alba era una ragazza cresciuta, Alba non era il soprammobile di Capodimonte che sua nonna custodiva gelosamente in qualche vetrina per non scheggiarlo, e non era nemmeno ciò che gli insegnanti pretendevano che lei fosse senza ascoltare davvero le sue parole e desideri: Alba è viva, non è una Barbie.
Quando ci siamo diplomate, un paio di anni fa, lo sconforto era presente, ma ero sollevata perchè immaginavo che io e lei saremmo rimaste insieme, frequentando perfino la stessa università, creando in me quella sicurezza immaginaria che non sarei rimasta sola, ma non avevo ancora imparato che i programmi, che io seguivo come una macchina senz’anima, si possono anche infrangere: Alba ha lasciato l’università qualche tempo più tardi, creando una sorta di maremoto e scompiglio generale, perché aveva abbattuto quello schema perfetto che si era preparato per lei fin dal settembre del 2016.
Adesso Alba lavora, come tanti ragazzi della sua età, passa da un impiego all’altro come ogni giovane disilluso e conscio del futuro incerto che si trova davanti, da una cotta ad una frequentazione, lasciandosi alle spalle quel mondo di progetti imposti che non era il suo, partendo probabilmente alla ricerca del suo posto nel mondo, come tutti noi ma, se posso ancora parlavi così di lei, è perchè non l’ho persa, a dispetto del piano assurdo che si era imposto tra di noi con pronostici non esattamente positivi.
Io non ho certezze da offrire ad Alba, ogni anno parto con l’idea di essere migliore, ma all’arrivo dell’autunno mi rendo che l’anno è quasi passato e non sembra essere cambiato nulla da quello di prima; sono trascorsi due anni da quel settembre del 2021, ma a me sembra essere passata una vita intera e non ricordo affatto come siamo arrivati fino a questo punto.

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Capitolo 5
*** Andrea. ***


Atto quarto: Andrea.

Andrea. 

Andrea Laganà è un capitolo della mia vita che inizia ben prima del 2016, è il segnalibro che ha scandito parti della mia crescita dall'infanzia fino ad oggi, ma sarebbe stupido raccontarvi ciò che Andrea era prima delle scuole superiori, perciò ripartirò da quando è tornata nella mia storia, e ciò che è peggio, è il rombo di tamburi con cui lo ha fatto.
Dopo la mia bocciatura era cambiato il rapporto con lei, eravamo sì, migliori amiche, ma avevo costruito un muro da tutto ciò che riguardava l’universo della mia vecchia classe, includendo perfino Andrea, sebbene non ne avesse alcuna colpa; vi chiederete allora come sia possibile un ritorno!
L’anno successivo, seconda liceo, Andrea, nel suo canonico silenzio, era entrata nella mia nuova classe, ma di nuovo c’era solo la lettera della sezione, perchè per me e lei, probabilmente, c’era solo qualcosa che era stato bruscamente interrotto ma poi riunito dalla stessa sorte, toccata prima a me ed infine anche a lei, ma eravamo nuovamente insieme, in un modo o in un altro.
Io ero riuscita ad andare avanti grazie ad Ame, Fiamma, Alba e anche altre persone che ormai non fanno più parte della mia vita da tempo, ma Andrea come poteva conoscere questo mio mondo? Come poteva apprezzarlo come facevo io? Non era possibile, per quanto davvero lo desiderassi; non si può costringere ogni frammento della nostra esistenza a coesistere, come un'unica grande famiglia (e non quella di Charles Manson), ma una semplicemente unita dal caso. Ho sempre pensato che Andrea provasse ad assecondarmi nei miei desideri, ma che non fosse mai davvero ciò che voleva e, personalmente, mi maledico per non averglielo mai chiesto, ma io vi sto raccontando una storia che è già accaduta e, come da premessa, non la possiamo più cambiare. Volevo che fosse felice con me, con loro, ma non era la sua felicità, non era il suo mondo, anzi, ho sempre sospettato che Andrea fosse venuta da uno spaziotempo incomprensibile per le persone che le stavano accanto, un universo affascinante e allo stesso tempo fragilissimo, come lei, sebbene dimostrasse l’esatto opposto per non essere ferita, vittima anche lei di un sistema che le andava stretto e che odiava, e che probabilmente odia anche oggi, ma di cui pare essere la vittima e mai l’artefice.
Un mio terribile difetto è sempre stato fare e seguire tutto quello che mi passava per la mente e ,mentre Andrea cercava di riemergere in questa nuova dimensione sconosciuta, dei nuovi compagni, amici, frequentazioni, io non facevo che allontanarmi da lei per il semplice fatto che non riuscivo ad accettare questo suo cambiamento, questo suo evolversi: ho odiato Andrea perchè era creativa, ho invidiato Andrea perchè, a differenza mia, riusciva a strappare un sorriso bonario a chi non la conosceva con la sua umiltà, non ho sopportato Andrea per via dei suoi silenzi al punto da volerla prendere a schiaffi, e non ho retto Andrea quando l’ho vista ridere accanto a Sabrina, una delle storiche fiamme di Amedeo, che preferirei vedere ai domiciliari piuttosto che per strada.
Solo allora ho capito che tutti i fastidi e le intolleranze per l’anima introversa ma allo stesso tempo spaziale di Andrea non erano nient'altro che campanelli di allarme: avevo finito per innamorarmi senza mai davvero capirlo, ed era così facile scaricare la colpa sulla luna storta del momento per non pensarci preferendo, e di questo mi pento, frequentare persone di cui non mi importava nulla piuttosto che ammettere a me stessa la verità.
Ma innamorarsi della propria migliore amica era come fare una scommessa al totocalcio: o vincevo e portavo il premio a casa, o mandavo tutto a puttane e non mi sarei nemmeno ripresa lo scontrino della ricevuta!
Non sono qui a raccontarvi la mia storia d’amore con Andrea, quanto più come sia finita in pareggio: ancora una volta i miei pronostici erano sbagliati, perché non ho perso né Andrea e nemmeno la sua amicizia, l’unica cosa che ancora non so spiegare nemmeno a me stessa e che forse non ha nemmeno una definizione da manuale, se mai ne esistesse uno. 
Che lei non avrebbe mai fatto collisione nel mondo di Ame e dei ragazzi ormai era appurato, erano anime troppo distanti, troppo disuguali, e la mia stava al centro, un po come quell’orrendo grafico che ci fanno vedere a scuola per la spiegazione delle intersezione tra due insiemi, avete presente?
Non ero certo l’unica ad aver notato questa bivio come non ero nemmeno l’unica anima ad essere entrata in contatto con quella di Laganà, perchè anche un altro ragazzo, non poi così lontano dal ritornare di nuovo nella mia vita, si era reso conto di quanto lei fosse speciale, ma non sempre finiamo per ricambiare l’interesse di qualcuno, così Edoardo, di cui vi parlerò tra un po, aveva finito per essere folgorato da un fulmine a ciel sereno, restando però bruciato nel suo percorso.
Quel fulmine era proprio Andrea; sapete perchè è così speciale? Perché è così diversa? Perché Andrea vedeva la società esattamente come la stessa società vedeva lei: un alieno, una forma di vita non identificata e non aveva alcun interesse nell’entrarci in contatto, capirla o anche solo esplorarla. Io non credo personalmente negli extraterrestri, ma sarebbe abbastanza presuntuoso credere di essere l’unica razza presente nell'infinità dello spazio, ma Andrea mi ha dato qualcosa in cui credere, preservare, stando molto attenti, però, anche a non distruggere quella stessa forma di vita che cercava, come E.T, di tornare a casa.
Amata, un posto dove sentirsi se stessa, nonostante il mondo avverso e le tendenze controcorrente.
Sapete, dopo la fine della nostra relazione, credevo che non avrei visto più i colori e le realtà immaginarie di Laganà, credevo che le avrei perse per sempre, perché è sciocco pensare che dopo la fine di un amore ci sia inequivocabilmente un nuovo inizio: no, quella persona potreste anche perderla per sempre, e non lo decidete voi, quindi fate bene a metterci una pietra sopra perchè l’unico ricordo che avete potrebbe tramutarsi in odio.
Se oggi siamo qui è perché Andrea me l’ha permesso, e non il contrario; se c’è una cosa che lei mi ha insegnato più di tutti, è che l’amore e l’amicizia sono due anelli interconnessi, non sono affatto distanti come crediamo, dopotutto quante volte ci è capitato di scambiare un sentimento per l’altro?
Entrambe hanno bisogno di tempo, di affetto, di parole, ma non troppe, di fatti, di piccoli gesti che ormai la gente dà per scontati, e soprattutto hanno bisogno di cura: non pensate mai che le cose arrivino per caso. Sapete, Andrea, per un periodo, ha avuto anche una passione per le piante e, anche se non avete la più pallida idea di cosa sia la botanica, immagino che non sia difficile capire anche per voi che cosa accade se non eseguite, giorno per giorno, il giusto procedimento.
Se date acqua in quantità giuste, giorno per giorno, quel germoglio crescerà, magari lentamente, magari ci metterà anni, come quelli che ci abbiamo messo io e Andrea per arrivare fin qui; se invece vi ricordate di curarla quando avete tempo, quando vi ricordate, quando se ne presenta l’occasione, avrete solo un giardino spoglio, ma anche nel caso opposto, se la dose d’acqua fosse in eccesso, vi ritroverete con una povera piantina satura di attenzioni, di macchie, perché non siete stati in grado di capire dove fermarvi e quando dire basta.
Oggi Andrea sta ancora cercando di capire cosa farne del suo futuro; so che vorrebbe prendere una navicella e partire per terre lontane, terre che forse immagina solo lei, forse da sola, forse in compagnia, ma Andrea dovrà fare i conti con la realtà, perché purtroppo vive sulla terra con tutti noi, e non c’è galassia in cui si possa andare per sfuggire alle cose, al dolore, all’evidenza dei fatti, alle delusioni, agli amori che falliscono, alle amicizie che si sgretolano, agli anni che passano e alle difficoltà che si incontrano, giorno dopo giorno.
Non posso certo parlare per Ame, Fiamma, Alba o per gli altri: questi 7 amici non provengono tutti dalla stessa dimensione, ma sono stati costretti a transitare assieme nello stesso sistema per diversi anni, quindi credo che qualcosa di Andrea sia rimasto anche in loro, positivo o meno che sia.
Forse il suo sorriso impacciato, forse le sue battute colorite, forse il suo stravagante abbigliamento d’altri tempi, o forse una pennellata di assurdità in grado di colorare, almeno per un po, i nostri mondi grigi e monotoni, anche solo per un giorno, con un po di sana follia.
A proposito di pianeti e di asteroidi, vi avevo accennato di Edoardo, giusto?
Perchè se Andrea è un alieno, credo che Edoardo sia direttamente residente nell’area 51…

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Capitolo 6
*** Edoardo. ***


Atto quinto: Edoardo.

Edoardo.

Sapete cos’altro ha portato quel settembre del 2021, insieme a sentimenti contrastanti e novità, di nuovo nella mia vita?
Edoardo Iannacone, che avevo tralasciato nelle mie memorie oltre quel muro di cui vi parlavo con Andrea: Edoardo era fuori dal seminato, era parte di una storia che con la mia non c’entrava assolutamente niente, era quell’improbabilità infinitesimale che in genere gli ingegneri usano per assicurarsi che non si ripeta un altro disastro nucleare, un altro Chernobyl che si sarebbe benissimo potuto evitare, ma avevo volutamente dimenticato di leggere le istruzioni per l’uso, gettandomi a capofitto in un capitolo nuovo, senza protezioni.
Con Laganà aveva già rischiato di perdere una scommessa, con Edoardo invece non mi importava nemmeno di pensare alle controindicazioni, e sapete perchè?
Perché era la cosa più assurda che mi potesse succedere.
Edo non mi era mai piaciuto, non che avessi avuto modo di frequentarlo prima della mia bocciatura 5 anni prima, ma a pelle mi stava proprio sul cazzo: sapete quel pizzicorio che vi prende non appena qualcuno di indesiderato si fa spazio nella vostra cerchia di amici e, in particolare, alla vostra migliore amica?
Bingo. 
Ma erano già passati anni da allora, perciò non potevo imputare nulla a quel ragazzo, se non essersi avvicinato troppo al mio filo spinato ancora eretto sulla nostra strada: io Alpha, lui Beta, Io Gamma, lui Omega, io dicevo sushi, lui diceva pizza, io dicevo adesso, lui più tardi, non c’era assolutamente nulla che ci accomunasse, forse l’unica cosa era esserci infatuati in precedenza della stessa ragazza, ma oltre quello?
Nada.
Non eravamo davvero amici prima di allora, ma solo semplici conoscenti: questo eravamo, due ragazzi che si erano ritrovati, per caso o per maledizione, allo stesso tavolo in una cena con altre comparse frazionarie, alla stessa festa di compleanno, nella stessa casa a trascorrere le vacanze, nello stesso bar a prendere un caffè, sulla stessa panchina di un parco a parlare di cose assurde e assolutamente banali, sugli stessi sedili posteriori di una macchina nel silenzio di un bacio, con i vestiti che facevano fatica a restare al loro posto.
Gli unici momenti in cui io ed Edoardo, probabilmente, non eravamo in grado di scornarci su tutto, ma i baci non possono durare per sempre e, prima o poi, bisogna ritornare a respirare aria fresca, perché quella rarefatta che appanna i vetri non sempre ci consente di ragionare lucidamente, non come, purtroppo, dovremmo.
Chi era Iannacone alle superiori? Purtroppo non posso dirlo con certezza, l’unico ricordo che ho di lui è in compagnia del suo vecchio amico Fulvio, un presuntuoso di cui conosco davvero poco, ma erano quasi divertenti da vedere sempre insieme, praticamente l’articolo “il”, un po come me con Fiammetta; era una sua caratteristica, anzi, lo è tutt'oggi, seguire a menadito una sorta di programma non scritto, una specie di routine, quella persona che in montagna percorre sempre il sentiero già battuto e si tiene alla larga da quello ombroso e ricolmo di vegetazione che potrebbe farlo cadere giù nella scarpata.
Avete presente la canzone di Max Pezzali, “Stessa storia, stesso posto, stesso bar”, dove parla della sua gioventù con i suoi amici?
Edo era proprio così, non serviva scalare i monti per impressionarlo, gli bastavano poche certezze nella vita, forse perchè nessuno gli aveva insegnato che, anche nell’incertezza, si possono scoprire cose meravigliose, che spaventano, che fanno male, ma che possono sorprenderci, sempre. Ma non pensate che Edo sia solo l’acqua in risposta al fuoco, o il sole al temporale, vi racconterei una storia che non è la sua, anche se non la conosco così bene come avrei sperato, ma che almeno posso provare a narrarvi.
Edoardo è il ragazzo disilluso e senza aspettative che si accontenta di un sorriso e di una carezza gentile, Edo è il ragazzo che trema quando non riesce ad esprimere ciò che prova perché non ama parlare, Edo a volte preferisce perdersi nel calore di un abbraccio piuttosto che lasciarti andare, Edo vorrebbe entrare in punta di piedi nella vita degli altri e stazionare a mo di anestetico, sperando di non ferire nessuno per non essere ferito a sua volta, ma Iannacone non sa che la morfina è una droga molto pericolosa e che è meglio sentire ogni sfumatura del trauma piuttosto che non provare nulla del tutto. 
Soffrire serve per capire fin dove possiamo arrivare, avvertire dolore è l’unico modo per scindere realtà da immaginazione, provare è l’unico sistema per uscire dal nostro mondo perfetto e renderci conto che esistono anche gli altri, ma bisogna stare attenti anche all’eccesso di sopportazione: Edoardo l’ho sempre visto come un soldato, un martire che non evitava la sofferenza attorno a lui, ma ci si immergeva al punto da non sentirla fino a quasi accettarla, senza mai rivendicare il suo diritto alla vera felicità e libertà, all’esternare il suo di peso, come un giogo silente sulla sua schiena, caricato da madre, padre, scelte sbagliate, amici incoscienti e troppo pigri per sentirlo urlare, e muri mai infranti, e forse anche un amore troppo vorace incapace di guarirlo, sebbene gli innumerevoli sforzi.
Ma Edo, nonostante tutto, è ancora un soldato, perché non ha perso la voglia di sognare.
Edo sognava dietro alle pagine dei suoi libri fantasy, sognava di combattere nemici immaginari con spada e armatura, di farli a pezzi e di incassare il bottino dopo aver salvato una città in rovina, come Alba volava lontano sulle ali del suo ippogrifo alla ricerca di posti incantati, di incantesimi che potessero cambiarla e renderla ancora più strepitosa di quanto già non fosse, come Fiammetta leggeva di amori incredibili, dove l’unica cosa che davvero contava era aprire gli occhi sulle imperfezioni di entrambi e amarsi incondizionatamente, come Andrea si immergeva in epoche passate, stretta in un corsetto broccato, pronta a prendere parte ad un ballo ottocentesco al suono di un valzer, e come Amedeo partiva per non tornare mai più nei posti che lo avevano fatto soffrire, un viaggio di sola andata all’insegna della sua sola e unica felicità.
Io ho sempre odiato quel genere, non sono mai riuscita, a differenza loro, ad interfacciarmi a qualcosa che non avesse un fondo di vero, di reale, restando forse ancorata alla fredda verità, ma con Edo penso di aver assaggiato, per la prima volta, il sapore di qualcosa di irrealistico e diverso; sebbene gli avvertimenti, sebbene fosse brutalmente chiaro che la nostra era solo una stupida e semplice fantasia, ci abbiamo provato ugualmente, seguendo forse l’istinto e il brio che in genere ci conduce sulle strade sbagliate, nonostante i nostri amici siano lì con il cartello “STOP” proprio davanti a noi.
Ma quanto è bello sbagliare? E quanto fa male quando te ne accorgi? Quanto piangi quando l’hai davvero capito? E soprattutto…come sorridi per averlo fatto lo stesso, nonostante tutto e tutti?
Che lo vogliamo o meno, tutti i nostri ex, i nostri amici, amori, cotte, nemici, scrivono un capitolo dentro di noi senza chiederci il permesso e non possiamo impedirglielo in alcun modo, le persone che incontriamo finiscono per definirci, cambiarci in tanti modi, ognuno di noi supera a suo modo il passaggio di quella storia e sceglie: esistono solo 3 modi per poterlo fare.
O rileggiamo quel capitolo finchè non avremo più lacrime per piangere, o per odio lo strappiamo, oppure lo superiamo, ma non ci illudiamo che non sia più parte di noi, perché lo sarà sempre.
Ora non so cosa ci sia nella sua mente, e forse nemmeno mi importa perchè non ho più alcun diritto su di lui, anzi non l’ho mai avuto, come lui non ha mai preteso nulla da me, e per questo posso ritenere sia stato un buon compagno, ma ci sarà sempre un piccolo pezzo di puzzle, dentro di me, che avrà messo lui, che mi ha reso la persona che sono adesso e che sarò in un futuro, forse quando rileggeremo tutti questo diario e rideremo o piangeremo per quanto saremo cambiati da qui alla prossima vita.
Ma per ora Edo studia, Edo va avanti, Edo sfreccia con quel suo passo sempre avanti di almeno 5 metri con le cuffiette nelle orecchie, con qualche pezzo metal forte abbastanza da azzerare qualsiasi suono attorno a lui in grado di distrarlo o di farlo cadere nel burrone delle insicurezze, Edo legge il capitolo successivo della sua vita e lo fa con innegabile curiosità e forse un pizzico di timore, in compagnia delle risate e delle battute senza senso di Elio, che scopriremo a breve, dei travestimenti a tema di Andrea, per cui non nutre un particolare entusiasmo ma, perlomeno, si diverte, anche se fa fatica ad ammetterlo, e chissà, magari ritornerà anche alle feste che organizzava Ada, riunendo così assieme nuovamente quegli 8 folli amici: magari stavolta sarà lui a baciare Amedeo al posto della Parisi, chissà!
Se io ed Edo torneremo ad essere amici come prima?
Io ed Edoardo non eravamo amici prima di innamorarci, o se lo eravamo era una definizione bizzarra di amicizia, ma questo purtroppo non so dirlo, è un capitolo che ancora non ho scritto ma che sono curiosa di leggere, ma le parti si scrivono in due, ed è ciò che Edo, purtroppo, non ha mai capito, o forse l’ha fatto ma sono ancora troppo immatura per poterlo vedere.
Ad oggi Iannacone è ad un passo dalla sua prima laurea, e non potrei essere più felice di così, anche se le cose non sono più le stesse di una volta; lo vedrò mettersi in testa quella ridicola ghirlanda e festeggiare per il suo traguardo, uno dei tanti che spero raggiunga, con o senza di me, ma so per certa una cosa.
Saprò sempre dove trovarlo, allo stesso posto, stesso bar, in compagnia dello snob Fulvio, del crocerossino Fabrizio e della sua fidanzata Stella, del timido Mauro e del playboy Roberto, sempre pronto a dispensare consigli su come rimorchiare, con una delle sue orribili e variopinte camicie sempre in mostra.

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Capitolo 7
*** Diletta. ***


Atto sesto: Diletta.

Diletta.

Credo che Diletta Mancini sia un capitolo che tutti gli adolescenti di qualsiasi paese meritino di leggere almeno una volta, per sentirsi meno soli e soprattutto per capire che nessuno nasce preparato ad affrontare la vita, quindi smettiamola con questi sciocchi preconcetti, perchè non esiste manuale in grado di insegnarci cosa fare o come comportarci, se non la vita stessa.
Diletta è arrivata più tardi rispetto a tutti gli altri, dalla città vicina, a gamba tesa ad anno già iniziato, trovandosi davanti all’odiosa realtà dove i ragazzi avevano già fatto gruppo e lei era rimasta come un pesce fuor d'acqua, sola in un mondo nuovo e poco ospitale, ma questo non è durato poi tanto, perchè anche Andrea era già passata in quella stessa fase, ed è finita per tenderle una mano, come ha fatto poi Fiammetta e anche tutti gli altri.
Entrare in sintonia con Diletta, però, non era affatto facile, poiché sembrava essere avvolta da una bolla spessa, e non di sapone o di cristallo, come quella di Alba, quanto più una polvere, che le impediva di vedere quanto fosse bello e unico essere se stessi, in un mondo di fotocopie, dove non c'era ambizione più grande se non quella di essere la ragazza più ambita da tutti.
Quella più bella, quella più sgamata, quella che più sapeva farci coi ragazzi, quella che i professori amavano, quella in grado di farsi rispettare, quella sempre al centro dell'attenzione e alla moda; Diletta voleva essere quell'ideale malato e perverso che la gente osannava, che promuoveva come una propaganda politica, ma queste vessazioni assurde non fanno altro che uccidere le ragazze come Diletta, quella vera però. 
Quella ragazza timida che non ci vede bene, e quindi mette gli occhiali, quella che non capisce un concetto e alza la mano per chiedere spiegazioni, quella che non ama i vestiti attillati e preferisce quelli comodi e sportivi, quella che prova ancora imbarazzo quando un ragazzo la guarda fisso negli occhi e si volta dall'altro lato tutta rossa, quella che quando si parla di sesso ride insicura, quella ragazza impacciata che, quando si ritrova in un gruppo di arpie, è costretta a nascondere tutte le sue insicurezze per non essere additata come codarda o goffa.
Ma dove sono le colpe di Diletta?
Perché si deve nascondere, quali sono i suoi errori? 
Diletta è difettosa, Diletta non è in grado di camminare sui tacchi senza sorreggersi al corrimano, Diletta non sa stare più di 5 minuti con un vestito corto senza tirare giu i lembi ripetutamente con le mani, Diletta non sa sedurre un ragazzo senza apparire sciocca e senza mettersi in ridicolo…Diletta non sa, ma che cosa dovrebbe sapere, allora?
La Mancini, per colpa di questa pressione, si è ritrovata ad invidiare e forse odiare, all'occorrenza, quelle stesse caratteristiche ricercate che rivedeva in maniera distratta nelle stesse persone che finivano poi per starle accanto: voleva rubare quell’immagine falsa, quell’icona profana che avevano disegnato di Fiammetta, essere l’oggetto di desiderio degli adolescenti del tempo, sostituirsi agli occhi della classe al posto di Alba, diventando così quell’idolo fasullo di perfezione e di immacolata concezione che tanto piaceva agli altri, strappare la maschera di Amedeo anche solo per un’ora ed essere al centro del palcoscenico, davanti agli occhi di tutti, infilarsi nello spirito di Andrea per appropriarsi del suo stile estroverso, a differenza del suo essere, e sfilare davanti agli stessi occhi che l’avevano tanto sottovalutata e criticata.
Diletta aveva capito tutto dei desideri della società, ma non aveva capito assolutamente niente dei suoi, perché li aveva archiviati come troppo infantili ed inadatti, non dando nemmeno la possibilità a se stessa di potersi specchiare senza quella nube di polvere che aveva attorno.
Diletta si guarda allo specchio, Diletta non ha assolutamente niente che non vada, Diletta è anche molto carina, Diletta non è perfetta o da copertina, ma è tutto quello che una persona può amare senza rinunciare ad una singola parte di lei, alla sua goffaggine, al suo sorriso accennato, ai suoi capelli perennemente scombussolati, ai suoi tempi, unici come lei, senza doversi affannare in questa corsa ridicola indetta da non so chi a quei traguardi futili che un qualche dittatore troppo annoiato ha imposto senza il consenso di nessuno.
Anzi, Diletta ha conosciuto molti più cretini di quanti non si creda, ma nessuno di loro sembra aver voluto rispettare quel confine che molti bruciano come se niente fosse, come se nulla avesse più importanza e tutto dovesse essere concesso subito: quel confine si chiama tempo, ed è senza prezzo.
Diletta studiava e studia con passione, ricordo bene ogni momento, ogni messaggio disperato prima di una verifica o di un’interrogazione, ricordo benissimo l’ansia che emanava come un diffusore per ambienti, forte e costante; non era la prima della classe, ma il suo impegno era imbattibile,e anche i risultati mica faticavano ad arrivare, ma ci voleva tempo, e nessuno può pretendere che venga diminuito, accorciato o modificato. Diletta un giorno si laureerà, ma non oggi, Diletta un domani troverà la via più consona verso le stelle che tanto ama, ma ancora non la conosce, Diletta si imbatterà in un ragazzo che ancora non è in programma,che le farà capire quanto è perfetta nella sua imperfezione, ma non è ancora il momento, perchè Diletta deve ancora crescere e non ha alcuna intenzione di farlo correndo, non con una caviglia rotta, con le lacrime agli occhi, con il cuore a pezzi e dei panni troppo stretti che non sono i suoi.
Se penso a Diletta mi viene in mente la giovane Vic Beretton, ma forse pochi di voi conoscono “Il tempo delle mele”, ma non c’è di che preoccuparsi, sono qui per questo: Vic è poco più che ragazzina, come la Mancini, ma già sogna il suo futuro, lontano dall’infelicità di due genitori divorziati in continuo conflitto, lontano da quelle coetanee che si gettano senza pensare verso le prime esperienze sessuali o amorose solo per avere di che discutere con la massa, Vic si traveste, non è mai uguale, Vic mette i baffi, Vic legge e soprattutto ascolta una musica tutta sua, Vic conosce il misterioso Mathieu in una festa in cui non si riconosce, perché lei ama la musica, ma non fa parte del mondo dei balli proibiti e delle discoteche, Mathieu questo lo sa e le fa ascoltare la sua cassetta preferita.
Loro ballano un lento, mentre il mondo fuori è frastornato dal rumore, loro ascoltano le parole di Richard Sanderson, gli altri invece sentono solo l’euforia del ballo e perdono il controllo, loro vivono nella loro “Reality”, le persone invece vivono direttamente la vita degli altri, languendo sullo sfondo della loro senza mai essere veramente i protagonisti.
In attesa del suo Mathieu, Diletta conosce Cesare proprio tra un corso ed un altro dell’università, raggiungendo quella sorta di dimensione tanto agognata, ma solo quando toglie le cuffie del suo walkman si rende drasticamente conto che Cesare non è nient’altro che un'illusione travestita da sogno.
La musica si azzera, gli astri si disallineano, il cielo diventa grigio, la puntina graffia il vinile e lo rende inutilizzabile: solo adesso la Mancini si rende conto che anche lei era rimasta vittima dello scherzo atroce che è la letteratura, l’immaginazione, l’amore narrato da scrittori troppo ubriachi per raccontare la verità.
L’amore non è solo baci in riva al lago, l’amore non è solo una cena al lume di candela, l’amore non è il regalo di consolazione post litigio per rimettere le cose apposto, l’amore non è una lettera smielata dopo una tonnellata di bugie raccontate per mesi e mesi. Diletta piange e dà fuoco ai suoi libri, chiama Fiammetta e urla: Fiammetta sorride amara, mentre attorciglia attorno al dito la cornetta del telefono.
Lo odio,vorrei non averlo mai incontrato, singhiozza Diletta in un angolo della sua camera.
Io te l’ho detto, ma dovevi farti male da sola prima di credermi, le risponde Fiamma, grattando la testolina della sua barboncina, addormentata sul suo grembo.
La Mancini aveva trascorso talmente tanto tempo fra i pensieri della società avvelenata da intossicarsi perfino lei stessa: non aveva creduto a tutte le botte prese in faccia dalla Redaelli, non aveva nemmeno pensato a cosa ci fosse dietro ai silenzi di Alba e al suo tacito assenso che non aveva affatto il sapore della libertà, non si era mai chiesta se tutte le malelingue e le cattiverie dette alle spalle di Amedeo l'avessero mai portato a dipingere un sorriso di pagliaccio forzato sulle sue labbra, Diletta non ci aveva pensato perchè era troppo impegnata ad essere chi non era, pur di indossare la corona di regina del nulla almeno per un giorno, uno soltanto.
Cesare ora non è altro che uno dei volti sbiaditi della massa, come tutte le persone che avevano cercato di cambiare Diletta; non si è ancora ripresa del tutto, ma sa che Fiammetta le racconterà quanto sia faticoso amare e amarsi, perché nessuno sa da dove cominciare, perchè a volte si viene traditi, Amedeo le dirà quante sicurezze e quanto tempo rubi via il semplice amare la persona sbagliata, Andrea le asciugherà la lacrima sulla guancia e le farà vedere quante strade possono esserci una volta che si è detta la parola fine, perchè non ne esiste una univoca, Edoardo potrà mostrarle che non sono solo le ragazze a farsi le paranoie su come si sfiora una pelle che non è la propria, la paura di fare del male a chi teniamo di più, come Alba le ricorderà che, una volta finita l’ultima pagina di un libro, si ritorna alla realtà e che il principe azzurro non ha ne la carrozza e nemmeno la corona, al massimo una squallida 600 parcheggiata fuori e una valanga di cazzate nascoste nel vano portaoggetti.


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Capitolo 8
*** Elio. ***


Atto settimo: Elio.

Elio.

Se penso ad Elio Rizzo penso allo sbarco degli americani in Normandia, penso al Piano Marshall a seguito della Seconda Guerra Mondiale, penso all’Unità d’Italia nel ‘61, penso all’inno di Mameli che fa cantare tutti gli italiani con un’unica voce, perché Elio Rizzo è quello che firma l’armistizio per riportare la pace, è quello che mette d’accordo tutti anche in tempi difficili, è quello che salva la situazione con la sua semplice risata, è la bandiera bianca che ricorda agli animi che non è cosa buona essere sempre in collera con il prossimo.
Elio è fatto così, ed è stato l’ultimo anello a chiudere questa catena di amore, di rabbia, di sorrisi e anche di dispiaceri: se devo essere sincera non ricordo il preciso istante in cui Elio è entrato a far parte del gruppo, ma ora che c’è non se ne può più fare a meno anche volendo, e questo non lo vorrei mai, è certo.
Rizzo non era il tipico adolescente cresciuto nell’epoca della diseducazione, del bruciare le tappe, dell’indifferenza sociale, della superficialità e del semplice apparire, no, lui era uscito direttamente dal ‘700: un Luigi XVI dai modi eleganti, a volte buffi e un po goffi, ma mai offensivi, mai volgari, quel lord, d’aspetto e d’animo, che non volge lo sguardo altrove se alla sua dama cade il ventaglio, ma glielo raccoglie, magari sbirciando sotto la gonna, ma lo fa con estrema discrezione.
Insomma, Elio Rizzo sembrava un piccolo figlio di via Monte Napoleone appena sceso nei sobborghi di Sesto San Giovanni: forse stonava, forse non avrebbe dovuto nemmeno essere lì, ma non si era fatto scoraggiare né dall'ambiente e nemmeno dalle persone, che lo vedevano solo come uno strambo damerino so tutto io.
Sebbene fosse con noi dalla prima superiore, non l'avevo mai notato con la giusta attenzione, restando nel mio come una sorta di latitante impaurito dalle luci delle strade per non essere riconosciuto dalla polizia, e camminare accanto ad Elio era come avere i riflettori del perbenismo e della perfezione puntati contro. Perchè?
Elio era il primo al banco, Elio era quello che aveva sempre la risposta pronta alla domanda, Elio era lustrato come un penny, Elio era il cocco dei professori, Elio era il vicino che la domenica arrostiva quelle cazzo di costolette sul barbecue e ti salutava sempre sorridente, che aveva l’erba sempre perfettamente tagliata non oltre i 3 cm di altezza, che aveva la colonia dietro per ricordarci che la classe non è acqua, che rifaceva il parcheggio ad L almeno 3 volte per rientrare nei confini dello stallo senza mai nemmeno sfiorare i bordi.
Irritante, vero?
Immaginate quanto dev’esserlo stato per un ragazzo di soli 15 anni, essere esattamente tutto quello che gli altri si aspettavano da lui.
Perfetto.
Alba era stata sopraffatta da una completezza che non aveva mai voluto, attribuita dal suo viso angelico e dai modi semplici e cortesi, Elio invece inseguiva quell’ideale di perfezione che portava solo e unicamente ad una cosa: dissociarsi del tutto dalle emozioni, chiuderle in un barattolo e gettarlo in mare, un po come facevano i marinai con i messaggi nelle bottiglie ritrovate lungo le coste.
Il messaggio di Elio sapete cosa diceva?
Aiutatemi, aiutatemi perché questo mostro non sono io.
Non mi è mai piaciuto il mare, lo odio, mi da quel senso di vuoto e di profondità immensa di cui non potrò mai toccare il fondo, e odio tutto quello che non riesco a conoscere perchè mi fa paura, la paura di essere risucchiata in un vortice orribile da cui nessuno mi tirerà mai fuori, ed è la stessa sensazione che provavo quando vedevo Elio costernarsi in continuazione per qualsiasi cazzata che non fosse in ordine, al suo posto, in un rigoroso schema che solo la sua mente riusciva ad elaborare.
Ma anche Elio aveva la sua breccia, la sua faglia di Sant'Andrea, ma per arrivarci bisognava scavare talmente in fondo che si rischiava quasi di perdersi, e solo quando riuscivo a beccarlo da solo potevo effettivamente capire che, con gli altri, era pura e meticolosa finzione: un sorriso sempre lieto, come se non ci fosse niente in grado di sconvolgerlo, di turbarlo, come se non esistesse situazione in grado di metterlo in difficoltà, o persona che potesse metterlo in soggezione.
Elio era come Alex Murphy in Robocop; lo so,sono una figlia degli anni ‘80 nata nell’epoca sbagliata, ma non esiste personaggio migliore di questo per potervi descrivere il buon Rizzo. Alex era un poliziotto incorruttibile che, a seguito di un incidente sul lavoro, muore, ma viene riportato in vita come macchina: un agente di polizia cibernetico programmato solo per fare giustizia, infallibile, il cui unico scopo era fare pulizia senza alcuna distinzione.
Una macchina può permettersi questo lusso, ma un uomo?
Come può un uomo non essere sfiorato dalle sensazioni più fragili dell’animo umano?
Risposta lampante: non lo può fare, perchè altrimenti è solo un pezzo di carne senz’anima. Alex, seppur morto, seppur in piedi grazie alla scienza, al metallo e ad un chip conficcato nel cervello, era stato un uomo, era ancora un uomo, e non c’era esperimento che potesse strappargli via la sua anima, la sua coscienza, la sua empatia. 
Lo stesso valeva per Elio Rizzo, un ragazzo che era stato plasmato da mamma e papà, dal sistema, da tutti, ad essere non solo un bravo ragazzo, ma un ragazzo perfetto, e vi posso assicurare con estrema certezza che bontà e perfezione non sono sinonimi nemmeno nel peggiore dei suoi incubi. 
Mi sono ritrovata ad ascoltare i pensieri di Elio nei momenti in cui non mi aspettavo nemmeno più di sentire la sua voce con un tono pensieroso, un filo di paura, incertezza, ma anche lui ha ceduto, la sua breccia si è finalmente fatta più grande, una diga del Vajont che ha aspettato solo la caduta di un masso gigantesco per poter inondare e distruggere un paese intero: quel masso era l’università.
Ho sorriso, perché Elio era finalmente diventato un bambino vero. Aveva paura del fallimento, di deludere, di non essere all’altezza delle aspettative, di aver creato un cartonato più grande di lui e ci si nascondeva dietro, era passato dal filosofeggiare con disinvoltura al confessarsi davanti ad un prete che aveva commesso più peccati di lui, ma appunto per questo poteva capirlo e mettergli una mano sulla spalla, ma non poteva certo assolverlo: io sono come Elio, tutti siamo come Elio, e non voglio certo che questo capitolo diventi una parabola oppure una lezione di catechismo, perché non c’è nulla di cattolico in tutto questo, si tratta solo di una lezione di vita che affligge anche quelli che ci sembrano 10 passi avanti a noi, mentre invece cercano di non far notare a nessuno il loro dolore, e continuano ad avanzare anche con una palla di cannone attaccata alla caviglia che li trascina giù in mare.
Non credete mai a chi vi dice che non ha problemi, non credete mai ai sorrisi disinvolti, non fatevi ingannare da chi vi accoglie sempre fra le vostre braccia senza farvi mai pesare nulla: solo perchè non si confessano con voi non significa che non stiano annegando a loro modo.
Ma anche Elio è stato molto fortunato, perchè Edo sapeva nuotare meglio di come filosofeggiava, e Andrea era già pronta a riva per rianimarlo, con un goccio di rum si intende, pronti a riunirsi tutti quanti davanti alle stelle del cielo di una Sicilia lontana, in una vacanza che nemmeno io avrei immaginato se non fossi stata lì, seduta accanto a loro sulla sabbia fatta di sassi acuminati, che ha dato il via a tante, troppe cose, ma non mi pento di nessuna di loro, perché adesso so qualcosa in più di Elio, come per esempio che non si è mai reso conto che mi fossi frequentata per anni con due dei suoi più cari amici, proprio sotto al suo naso, ma era pur sempre un inizio.
Dopotutto, potevamo aiutarlo ad aprirsi, mica a cambiare.
Elio Rizzo è un ragazzo d’altri tempi, che ama le stranezze, la buona cucina, le chiccherie, ma ama anche ridere davanti ad una banale pizza e una birra, purchè sia artigianale, sempre pronto a dirvi di si per qualsiasi follia, ed è una cosa che io non posso che ammirare, perchè nessuno al giorno d’oggi sembra più essere disponibile a concedere il proprio tempo, una valuta che non si può barattare e che non potrete riavere indietro, nemmeno col cashback. 
Che ne è stato del mitico ragazzo perfetto seduto al primo banco?
Non lo so, non conosco nessuno con questo nome, ma se parlate di Elio Rizzo, studente non poi così modello e mio amico, posso dirvi che ancora prosegue la sua strada nella mia stessa facoltà, maledicendosi a giorni alterni tra un manuale di diritto privato e un esame ripetuto a destra e sinistra, ma non ha più paura di ammettere il fallimento, le debolezze e forse anche i suoi stessi difetti, e spero che un giorno potrà essere tutto quello che vorrà, non dovendo soddisfare le aspettative di nessun altro che non siano le sue.
(Mi auguro che nel suo encomio di apertura si ricordi di ringraziare le pacche di Amedeo sulle sue spalle, i discorsi profondi sostenuti con Edo a seguito indigestione al Burger King, i sorrisi di Fiamma, Alba e di Diletta a tutte le sue battute e alle sue stranezze, gli insulti di Andrea per la sua spiccata dote nel farsi derubare da qualsiasi venditore catanese in vacanza e le parole di Ada che, un po crude e a volte un po cotte, lo hanno sempre punzecchiato a fare del suo meglio, dal giorno 0 fino alla fine.) 

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Capitolo 9
*** Ada. ***


Atto ottavo: Ada.


Ada.

Non sono un'amante dei fatti miei, di raccontarmi, di espormi davanti alla folla armata di giudizi e di critiche distruttive, ma la massa potrà succhiarsi il cazzo da sola perchè io sono il peggior giudice, l’avvocato più crudele, il testimone più omertoso e l’imputato più infido sulla scena dell’omicidio di Ada Parisi, perchè non vi parlerò direttamente di me, la catena fatta dai 7 anelli precedenti di cui già vi ho raccontato, bensì attraverso l’identità di una 22enne di provincia come molte altre, il cui peggior nemico e assassino non è nient’altro che se stessa.
Ada era l’alunna che nessun professore avrebbe mai amato, non a prima vista, incapace di seguire i comandi, imbottita di orgoglio e di arroganza come suo padre e di onore e testardaggine come sua madre, una ragazza che non riusciva ad ammettere i suoi errori, che non guardava in faccia a nessuno, e per questo suo stesso atteggiamento avrebbe preso molti, moltissimi schiaffi, dalla famiglia, dalla scuola, dal primo ragazzo di cui si sarebbe davvero innamorata e dal suo stesso riflesso nello specchio, che cambiava sempre perchè Ada odiava rimanere sempre uguale, seguendo lo scorrere delle stagioni, da un colore di capelli ad un altro.
Ada è sveglia, intelligente, ma potrebbe essere di più, è quello studente che potrebbe ma non si applica, è quella ragazza che potrebbe essere quella giusta, ma resta solo un’amica perchè è troppo, o forse troppo poco, quella confidente a cui affidi i tuoi segreti quando sei sull’orlo del precipizio e ti trattiene per i capelli dal non gettarti, ma che non ti sfiora in maniera gentile perché non ha conosciuto questo aspetto dell’affetto, non in questo modo blando. Ada è un po tutto e anche un po niente e rischia di cadere nel nulla, perché è la prima a non piacersi mai, oppure ad amarsi più di chiunque altro, un giorno si specchia e sa che potrebbe ottenere tutto quello che vuole semplicemente spogliandosi di più, il giorno dopo piange e si odia perché potrebbe vestire una taglia in meno come non avere quelle cicatrici sul corpo, il giorno prima ha i capelli lunghi e neri come piacevano ad Andrea, il giorno dopo li ha rossi e corti come li voleva il bugiardo Guido,uno dei tanti che si era preso gioco di lei fin dal primo momento. Ada ha gli occhi verdi ma poi li vuole azzurri, ha i capelli lisci ma poi li vuole ricci, un giorno vuole diventare magistrato e cambiare il mondo, quello dopo vuole mandare tutto a farsi fottere e fuggire, con tutti i sogni che ha represso nel cassetto perchè lei non vede il mondo a colori.
Ada vede il mondo in bianco e nero, perchè tutte le sue sfumature sono state rubate via dalle continue delusioni, dalle aspettative, dal non ascoltare il suo cuore preferendo seguire la ragione, infatti tende sempre a razionalizzare tutto, e quello che non ha una spiegazione logica dev'essere tagliato fuori senza alcuna spiegazione.
Ada non riesce ad innamorarsi sfacciatamente come Fiammetta, a sognare come Alba, a stare zitta come Edo, ad immaginare come Andrea, a sorridere come Elio, ad essere ingenua come Diletta, a fregarsene come Amedeo, perché la legge della mente non ammette ignoranza, e il cuore, ve lo posso assicurare, ignora tutti i pericoli, i segnali, è una parte sadica di noi che ci spinge a dare tutto anche quando non otterremo niente in cambio, al costo di essere pugnalato, calpestato, rifiutato e poi rimesso insieme con del nastro carta.
La Parisi però non è solo solo una corte dell'Inquisizione spagnola, sebbene le evidenti prove dimostrino il contrario; lei vorrebbe essere menefreghista, ma non ci riesce perché appena esce di casa incontra qualcosa che le ricorda quegli anelli che la tengono insieme e pensa sempre a loro, cerca di ripartire sempre dal sesso per non innamorarsi mai più e per tenere tutto distante, ma appena si accorge dell'evidenza dei fatti manda all'aria tutti i suoi piani all'insegna della ragione, sebbene non riesca a dire ad alta voce due semplice parole: ti amo.
Magari fosse uno scherzo, ma purtroppo non lo è; una studentessa di giurisprudenza, che riesce a ripetere complessi articoli a memoria, non sa dire due semplici parole tanto sciocche e conosciute?
No. Ada non le sa dire perché non crede in esse, perché nessuno le ha mai dimostrato il contrario fino ad oggi, e non perché le sia mancato l'affetto dei suoi amici, seppur altalenante, o l'amore, seppur interpretato in maniera differente da tutte le altre persone con cui è stata, ma perché crede che la gente sprechi troppo tempo appresso alle parole e poco ai fatti, e per un avvocato è praticamente l'antitesi vivente.
Sebbene gli alti e bassi, i momenti di vuoto, di collera, questa ragazza ha un inguaribile difetto, uno solo, direte voi: avete ragione, ha anche un altro difetto.
Riprovarci, ricominciare da capo, nonostante i miliardi di no ricevuti durante tutta la vita; lei sembra più forte non perché è cresciuta a suon di schiaffi, non perché ne ha passate tante o forse anche per quello, ma perché ha qualcosa in cui credere: se stessa.
Se dovessi associarla, credo che lei sia venuta su nello stesso mondo in cui è cresciuta Rory Gilmore di Una mamma per amica: Rory è tenace, sa sempre cosa vuole, a 18 anni crede di sapere tutto ma non ha idea di cosa fare di se stessa a 22, è presuntuosa, terribilmente realista e anche molto critica nei confronti di se stessa, è graziosa a suo modo, sebbene non abbia i modi di una lady o la sensualità di sua madre Lorelai, ma Rory vuole andare ad Harvard da tutta la vita, Rory ha amato il dolce Dean anche se non era cosa la giusta perchè lui voleva tanto restare sul suo pianeta senza approcciarsi troppo al suo, Rory ha lasciato il burbero Jess perchè, sebbene diversi ma dannatamente simili, erano troppo distanti e avrebbero solo finito per ferirsi l’un l’altro, Rory cambia i piani e finisce a Yale, Rory lascia l’università ma poi ritorna, piange, si tinge i capelli, li taglia, mente a sua madre, finisce in prigione per una notte pur di scappare dalle stesse delusioni che aveva ricevuto Ada; l’unica differenza però è che Ada sta ancora aspettando il suo Logan, e non perchè ricco o di successo, ma perchè Logan avrebbe raggiunto Rory perfino in capo al mondo pur di vederla sorridere.
Ada è esattamente come Rory Gilmore: sa che non sarà la più bella del mondo, ma sa perfettamente che non passa inosservata agli occhi di nessuno, sa benissimo che se solo si impegnasse un po di più potrebbe arrivare a risultati pazzeschi in barba a chi ci mette settimane a studiare, Ada sa che ama come nessun altro cazzo sa fare perché non c'è più niente che la spaventi, e Ada ha già pianto a sufficienza, quindi aspetta che il mondo le metta davanti le sue prove più difficili, perché stavolta è munita di casco e di ginocchiere sulla pista di pattinaggio che l’attende.
Non pensate ad Ada come un narratore onnisciente, che vede le cose da quella prospettiva così alta e irraggiungibile, fredda e intangibile, perchè non è così; lei è talmente piena di battaglie interne che il pugno è sempre pronto a schiacciare il bottone rosso per lanciare una bomba verso il suo cuore e distruggerlo, ricominciando da capo ogni volta, sebbene volesse disperatamente ritornare indietro in trincea a raccogliere i pezzi del suo organo martoriato, a recuperare le macerie delle sue decisioni brutali e purtroppo senza via di ritorno. 
Ada avrebbe voluto rialzare la cornetta e dire ad Amedeo che ci sarebbe stata, anche ore ed ore, in qualsiasi lingua e momento, per ascoltare tutto ciò che gli passava per la mente sotto quel sorriso indebolito, avrebbe voluto fermare Edo e colpirlo in viso, per dirgli che non aveva mai lottato per lei come avrebbe dovuto, ma lo ha lasciato andare, avrebbe dovuto ricordare a Fiammetta quanto fosse splendida senza tutto quel trucco e quelle persone false che le ballavano attorno come un rito vodoo, avrebbe dovuto avere meno paura delle malelingue della società e amare Andrea sebbene vivessero in dimensioni parallele, ascoltare magari i suoi sogni avventati di una probabile vita insieme, ma non riusciva a discostarsi dalla brutale mancanza di realisticità di quei desideri, avrebbe dovuto dire ad Elio che non era poi così sbagliato aspirare ad essere perfetti, almeno un po, a distaccarsi dalla massa, avrebbe potuto prendere Diletta e darle quella sicurezza di cui aveva bisogno anche solamente standole accanto, ma non l’ha fatto, e soprattutto avrebbe dovuto prendere Alba per mano e mostrarle che in realtà non è vero che non le piacciono i suoi mondi fantastici, ma che semplicemente era troppo spaventata di credere in qualcosa che non poteva toccare, perchè il terrore di risvegliarsi senza il principe Caspian e le sue avventure incantate era perfino peggiore dei suoi innumerevoli rimorsi e rimpianti. 
Ada ora è su un treno che non sa dove porta, ci è salita senza neanche guardare la destinazione, perchè Ada è fatta così, è un’impulsiva del cazzo che si pentirà più tardi delle sue scelte, ma alla fine, a differenza di molti, ha avuto le palle di prenderle queste decisioni. Ha su le cuffie, sta ascoltando una canzone abbastanza triste e che forse non l’aiuterà a stare meglio, forse la conoscete, ma come tutti i capitoli precedenti, la vostra ignoranza, almeno da lei, è perdonata: si chiama Out of Time, di The Weeknd.

 
The last few months, I've been working on me, baby
There's so much trauma in my life
I've been so cold to the ones who loved me, baby
I look back now and I realize

Ada guarda fuori dal finestrino e vede il paesaggio svanire man mano che il treno acquista velocità, come vede il riavvolgersi della sua adolescenza, di tutti i suoi errori, vede quello che le sue scelte hanno causato, tutte volontarie, nessuna esclusa. 
 
I remember when I held you
You begged me with your drowning eyes to stay
And I regret I didn't tell you
Now I can't keep you from loving him, you made up your mind

Ricorda tutte le possibilità che ha avuto, le persone che ha conosciuto, amato, deluso, lasciato, non curandosi delle loro lacrime come gli altri non si erano curati delle sue, ha un nodo in gola perchè avrebbe potuto fare diversamente, non mandare all’aria il suo primo anno di liceo, essere meno fredda con chi la voleva al suo fianco, meno giudice e più vittima, meno testimone e più imputato.
 
Say I love you, girl, but I'm out of time
Say I'm there for you, but I'm out of time
Say that I'll care for you, but I'm out of time
Said, I'm too late to make you mine, out of time 

Ada non ha più tempo, perchè quel tempo è ormai passato da un pezzo, si asciuga una lacrima sporca di matita nera, ma sulla sua guancia resta l’alone di trucco ugualmente, come resteranno anche tutte le splendide cose che ha fatto e che non sono mai passate in secondo piano, come quelle cattive e dettate dalla mente più che dal cuore. Ada non può più tornare ai suoi 16 anni perchè ora ne ha 22 e non ha più gettoni da inserire nella cabina telefonica per parlare con quell’adolescente di una volta.
 
If he mess up just a little, baby, you know my line
If you don't trust him a little, then come right back, girl, come right back
Gimme one chance, just a little, baby, I'll treat you right
And I'll love you like I should've loved you all the time


La Parisi sa che non è più un’adolescente, ma alla fine ha solo 22 anni, e ha tutta una vita davanti, milioni di persone che deve ancora conoscere, relazioni da far fallire, chissà, magari anche matrimoni che diventeranno divorzi futuri, lei questo ancora non lo sa perchè prevederla è troppo complicato, ma sa che può rimediare dove ha sbagliato; Ada avrà anche deluso, ferito e dimenticato, ma Ada una volta ha anche amato,è stata presente e non ha mai scordato nulla, nemmeno un singolo dettaglio.
 
 Don't you dare touch that dial
Because like the song says, you are out of time
You're almost there, but don't panic
There's still more music to come before you're completely engulfed
 In the blissful embrace of that little light you see in the distance


Quella ragazza adesso sorride, perchè non sa se quegli 8 amici torneranno uniti, non sa se invece col passare di qualche anno finiranno per perdersi, per odiarsi, o forse perfino ignorarsi completamente, lei non sa niente, non sa nemmeno se è ancora innamorata, arrabbiata, ma tutto quello che sa invece è che ha conosciuto da vicino ognuno di quei 7 anelli, e non smetterà mai di ringraziarli, sia per la gioia che per il dolore causato. Il treno si arresta di colpo: fermata Sant’Ambrogio.
 
Soon you'll be healed, forgiven, and refreshed, free from all trauma, pain, guilt, and shame
You may even forget your own name, but before you dwell in that house forever
Here's 30 minutes of easy listening to some slow tracks, on 103.5 Dawn FM

Ada scende, fa freddo, ma a lei piace così: il vento le butta giù il cappuccio, adesso ha i capelli neri e corti, come piacciono a lei, ora sa cosa vuole, e vuole vivere senza più guardare indietro, ormai è troppo tardi per cambiare il passato, ma il futuro era proprio di fronte a lei, spaventoso, certo, magari anche fuori dalla sua portata, ma vi pare che fino ad ora si sia tirata indietro?
Nah. 
Questa era la storia di 8 ragazzi, tutti figli di gente comune, uniti dal filo rosso del caso, separati e riuniti dalla sorte, senza un futuro certo ma tutti con un passato, tutti diversi e magicamente tutti simili.
Per ora vi ho raccontato tutto quello che c’era da sapere, quindi devo chiudere il diario e ritornare a lezione, ma se mai ci saranno nuovi capitoli, beh, sarete i primi a saperlo, perchè sarete voi stessi a scriverli, io mi occuperò semplicemente di narrarli.
      
         Per sempre vostra, Ada Parisi.   

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