Odio antico

di aurtemporis
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Speranze ***
Capitolo 2: *** Giustizia arbitraria ***
Capitolo 3: *** Scopo ***
Capitolo 4: *** Piani ***
Capitolo 5: *** La Lettera ***
Capitolo 6: *** Yves ***
Capitolo 7: *** Ultimi preparativi ***
Capitolo 8: *** Innesco ***
Capitolo 9: *** Ricadute ***
Capitolo 10: *** Accordi ***
Capitolo 11: *** Carte scoperte ***
Capitolo 12: *** L'irreale ***
Capitolo 13: *** Resa dei conti ***
Capitolo 14: *** Rinascita ***



Capitolo 1
*** Speranze ***


"Odia quanto ti pare, anche fino all'ultimo soffio di vita. E quando ti sarai stancato, fosse anche nell'unico istante che ti resta, ti accorgerai che non hai niente da parte per riempire il baratro che lascerà"

____________

 

La pioggia batteva piano sulla tettoia della stamberga. I tavoli all'interno erano tutti sgomberi eccetto uno, sopra c'era una coppia di dadi e rotolava da una parte e dall'altra a seconda di chi lanciava. Un uomo barbuto, biondo e di bell'aspetto, sedeva su una sedia sgangherata; di fronte a questo, un ufficiale imparruccato con gli occhi azzurri spiritati e una decina d'anni in più.

"Che vi giocate adesso?" il biondo rise, il suo vecchio amico non aveva più il becco di una moneta in tasca, gliele aveva vinte tutte, ma non demordeva. "O forse è il caso che vi ritiriate, stasera la fortuna non è dalla vostra"

"Potete scordarvelo! Io arrivo sempre fino in fondo!" fece scorrere i dati nel bicchiere. Il biondo gli fermò la mano prima che lanciasse.

"Cosa mettete nel piatto, dunque?"

"Mio figlio che sta per nascere" disse l'ufficiale. L'altro sollevò le sopracciglia e poi le avvicinò crucciandosi così tanto da far comparire un profondo solco sulla fronte.

"Che volete dire?" con un volto perplesso attendeva spiegazioni e alla svelta.

"Mia moglie è incinta ed è questione di giorni ormai" ruotò ancora i dadi "darò al bambino il vostro nome, se perdo"

"Voi avete soltanto figlie, cosa vi fa supporre che arriverà un maschio?"

"Lo so" batté il bicchiere sul tavolo ma non lo alzò "e anche se nascesse una femmina, terrei fede comunque alla parola data"

Il biondo rise come un pazzo. Quel suo amico era un uomo nella cui franchezza confidava ciecamente però, riusciva a partorire delle idiozie tali a cui non poteva star dietro la fantasia di nessuno. "Dareste il mio nome a una bambina?"

"Se vincerete"

L'altro sghignazzò ancora più forte "Questa è la mia serata!" sollevò il bicchiere dal tavolo e scoprì una coppia di tre. Sorrise all'uomo inviperito che aveva di fronte, e quello sguardo incazzoso lo fece divertire ancora di più. Era quasi l'una di notte, il proprietario del locale strofinava un calice da così tanto tempo che poteva specchiarsi nel suo riflesso senza vedere il più piccolo alone. L'ufficiale imparruccato si lasciò andare sullo schienale della sedia e sospirò, ormai aveva dato la sua parola. "Oscar" pronunciò, dopotutto non era un brutto nome per un bambino, rifletté.

"Suona bene con il vostro nome di famiglia, no?" il biondo si stropicciò la barba e asciugò qualche goccia di vino che ci si era incagliata. Raccolse i dadi e glieli consegnò, poi si alzò dal tavolo e uscirono insieme. Il proprietario del locale tirò un sospiro, poteva finalmente chiudere. Odiava avere a che fare con i nobili, pagavano sempre, quello sì, ma doveva sopportare tutti i loro ghiribizzi. 

Il tipo biondo si legò stretto la borsa pesante dietro la cintola, sarebbe stata un bel bottino per qualsiasi ladro, se l'avessero vista. La pioggerella fastidiosa era ancora persistente.

"Attenzione, Oscar, avete detto che questa è la vostra serata ma la fortuna gira come il vento" l'ufficiale gli camminò di fianco per un po'. 

"Però stasera è con me" il biondo prese il cavallo, poi si separarono, ognuno verso la propria destinazione. L'ufficiale proseguì in direzione della sua residenza. Quando arrivò, grida di dolore riecheggiavano tra le mura. La moglie era in travaglio. La tata delle sue figlie andava su e giù con bacinelle piene d'acqua e mormorava preghiere e suppliche a tutti i santi che conosceva affinché proteggessero la madre e il nascituro. Il futuro padre camminava avanti e indietro nel corridoio del pianterreno, tenendosi ben lontano dalla stanza in cui la moglie stava tribolando per la sesta volta. "Sì, sarà un maschio, me lo sento" trascorse un'altra ora buona e poi un vagito gli fece brevemente sobbalzare la parrucca dal capo. Prese a correre su per le scale, spalancò la porta dov'era la moglie, senza badare a nient'altro puntò il piccolo fagottino che stringeva la tata. 

"È un maschio, vero?"

La tata gli fece cenno di no con il capo e strinse la piccola come a volerla proteggere dallo sguardo furente dell'uomo.

Aveva un'altra figlia. Perse ogni desiderio di vederla "Che me ne faccio di un'altra femmina!" prese a calci la sedia più vicina. La moglie era svenuta per lo sforzo e fortunatamente non lo poteva né vedere né sentire. E come se non bastasse, avrebbe dovuto darle il nome di quel suo amico. Quanto avrebbe voluto avere invece un po' della sua fortuna sfacciata, se di fortuna si trattava.

 

Dieci anni trascorsero velocemente. Nei possedimenti dei Jarjayes lavoravano diversi braccianti, circa una dozzina di famiglie. C'era un uomo poco oltre i quaranta, un certo Julien Grandiér, era colui che si occupava della mietitura e trebbiatura, nonché di adoperare il mulino per la macinazione. Aveva un solo figlio e gli stava insegnando il mestiere anche se era ancora poco interessato alla materia. André era un ragazzino felice seppur non avesse più una madre da molti anni. Un giorno di anni prima, la donna si era ammalata di una brutta tosse e qualche mese dopo, durante una notte, non era riuscita a superare le convulsioni. Il bambino l'aveva avuta intorno per poco tempo, restava però nei ricordi del padre e questo gliene parlava quasi ogni giorno. "Quando il grano viene ammassato per tenerlo conservato, prima della macinazione, va fatta attenzione alla temperatura, non deve mai salire tale da farlo fermentare. Un tempo si usava scavare delle fosse sottoterra, ma dovevano essere foderate di paglia e… Ehi? Mi ascolti?" l'uomo guardò il figlio undicenne che ondeggiava le gambe sopra al muretto, vicino al granaio, mentre mangiava una mela. "Sì, padre" gli sorrise.

"Tua madre una volta si nascose nel granaio" poggiò il covone a terra e si avvicinò allo stesso muretto dov'era il figlio, gli mise una mano sulla testa "il suo vecchio voleva farle incontrare il figlio del medico che abitava vicino a casa sua, ma lei aveva già scelto" alzò gli occhi per osservare le nubi di passaggio nel cielo di metà giugno.

André porse metà della sua mela al padre, l'uomo gli disse che era tutta sua, lui avrebbe mangiato poi, a fine lavoro.

"Padre, la mamma resterà sempre la mamma però, perché non vi siete mai risposato?"

Julien si strofinò le mani ruvide e non tolse gli occhi dal cielo "Una volta ci ho pensato, ma poi mi sono accorto che non ne sentivo la necessità, ho troppo da fare per un altro matrimonio. Ma forse sei tu che senti la mancanza di una donna per casa?"

"No, c'è la nonna" André gettò il torsolo alle sue spalle e sorrise ancora. La nonna, la madre del padre, era a riposo dopo una vita di lavoro come balia di quasi tutte le figlie del padrone; ormai cresciute, non avevano più bisogno di lei, anche fosse stata ancora nel palazzo.

"Ma la nonna ha un'età"

"Mi racconta un sacco di cose!"

"Lo so, ti ha anche insegnato a leggere e scrivere però, non può essere come una mamma"

"Sì invece" gli mostrò una ferita al ginocchio che si era cicatrizzata "questa me l'ha guarita lei, come tutte quelle che mi sono fatto prima" Julien gli stropicciò i capelli e si fece una risata.

Girava voce, in quel periodo, che era nata una nuova etichetta di cognac su iniziativa di un irlandese che aveva avuto un'intuizione a proposito dei vigneti francesi. Julien stava rimuginando da qualche tempo sulla prospettiva di comprarsi un pezzo di terra per farci crescere un vitigno di uva bianca, da rivendere poi alle distillerie. Poteva garantire un futuro al figlio, piuttosto che farlo lavorare facendogli prendere il suo posto, alle dipendenze di un padrone. Da parte aveva abbastanza, poi c'erano i risparmi della madre che aveva conservato con estrema parsimonia, per lui e il nipote. Poteva iniziare come locatario e poi magari comprarsi il terreno dopo i primi tempi. Accarezzò ancora una volta la testa del figlio e tornò al lavoro.

André se ne andò a zonzo per le terre, come faceva sempre quando non aveva niente da fare. Era poco prima di mezzogiorno quando vide una carrozza attraversare di gran fretta la strada che tagliava i campi. La seguì, immaginando che si fermasse al palazzo, che poi non era tanto distante da dove lui fosse. Il padre gli aveva sempre detto di tenersi lontano dai padroni, di non farli infastidire dalla sua presenza; il ragazzino obbediva, spiava da lontano. La carrozza si fermò e scesero tre giovani donne, anzi due giovani, la terza era una bambina circa uguale alla sua età. Tutte bionde, le aveva viste spesso ma non ne rammentava quasi mai i nomi, Marguerite, Hortense, Violette… Sembrava che la fantasia del padrone nello scegliere i nomi delle figlie fosse limitata ai fiori da giardino, tranne l'ultima. La più piccola era particolare. C'era una storia che si raccontava dietro quel nome che portava, André non sapeva quanto ci fosse di vero ma era divertente sentirne parlare ogni volta e con sfaccettature diverse.

"Quando mi portate con voi per fare da manichino su cui mettere e togliere vestiti, mi fate desiderare davvero di essere nata maschio!" strillò la più piccola mentre si toglieva un cappello pieno di fronzoli e lo lanciava al vento. Le sorelle sorridevano mentre seguivano i passi veloci della bambina bionda che varcava la soglia del palazzo.

"Oscar! Guarda che avremmo fatto lo stesso anche se fossi il nostro fratellino anziché sorellina, come con una bambola, stai bene con indosso abiti di ogni colore!" le disse una delle sorelle ridendo. Poi svanirono tutte e tre nel grosso palazzo. André rise e tornò indietro. Raccolse quel cappello leggermente impolverato che gli era planato vicino ai piedi e se lo mise sul capo. Era pesante e pizzicava. Capì perché l'avesse gettato via; le donne si torturavano con quelle cose, parrucche di dimensioni indicibili, corsetti a strozzatoio, pizzi e merletti su abiti ingombranti che lo facevano soffocare solo a guardarli, d'estate. D'inverno però ci si poteva anche fermare un po' ad ammirarle. Appese il cappello al ramo basso di un albero e si avviò verso casa.

 

All'approssimarsi dell'inverno, quando la farina era già pronta e insaccata per essere stoccata nel magazzino scorte, Julien si prese un paio di giorni per andare a cercare il suo terreno ideale. Lo voleva in pianura ma non su una piana, il suo luogo perfetto doveva essere una collina abbastanza spianata in cima e l'avrebbe trovata, a costo di girarsi tutta la Francia. Andò verso est rispetto Parigi, in quei due giorni aveva in mente di spostarsi solo da quella parte e vedere cosa avrebbe trovato. André aveva insistito per seguirlo, il padre invece gli aveva risposto che in sua assenza doveva badare alla nonna, non potevano certo lasciarla da sola. Gli alloggi dei lavoranti erano dentro la tenuta, non che l'uomo si preoccupasse poi tanto della sicurezza della madre, però si preoccupava del figlio, portarselo dietro per due giorni di viaggio estenuante, con il freddo che avanzava, non era cosa saggia. Così partì da solo. 

Quella mattina André tenne il broncio alla nonna, ma durò poco, nel mentre gli offrì un dolce al rum. "Nonna, perché voi siete venuta a lavorare qui?" domandò mentre masticava.

"Perché tuo nonno era a servizio qui prima di me, io sono arrivata poi, per seguirlo, e ci fidanzammo presto" la donna si sedette e tornò ad impastare farina e lievito. Non ce la faceva a stare in piedi a lungo, così si era fatta costruire un tavolo più basso dal figlio, su cui poteva lavorare anche da seduta. 

"Dimmi qualcosa della figlia più giovane del padrone, tu l'hai cresciuta?"

"Io le ho fatto da tata solo per i primi anni, non si ricorderà neppure di me. Quando è nata Oscar, il padre si aspettava che fosse un maschio" si fece una risata "lo ha sperato dalla prima all'ultima"

"Perché?"

"Cose da generali, passare il nome di famiglia e il grado, fatti che frullano per la testa di un militare. Però alla fine ha dovuto rassegnarsi"

"Raccontatemi del nome"

"Ah, lo so che stai pensando. Il nome è Oscarléne, non Oscar, la chiamano così in famiglia ma, quando andò a registrarla, il padre usò un espediente per non metterle il nome proprio dell'amico. Tutto per aver perso una scommessa; ma come si può, dico io, scommettere su una cosa del genere!"

André rise, le voci che aveva sentito erano vere, pressappoco. "Oscarléne, che buffo"

"Nessuno la chiama così, solo il padre. Non farti sentire a parlarne" la nonna si fece scivolare gli occhiali sul naso e lo fissò negli occhi "certe confidenze è meglio che non lascino mai il palazzo"

Quella sera, i due andarono a coricarsi dopo le prime stelle. Non riposarono molto a lungo, vennero bruscamente svegliati da urla e uno sparo. André scese dal letto con la sua veste da notte, afferrò il fucile del padre senza pensarci e andò accanto alla nonna. "Mettilo subito via!" la nonna gli disse di posarlo "Il padrone ha i suoi uomini di guardia, non farti mai vedere da loro con un'arma tra le mani, ti possono sparare prima che riesci a pronunciare una parola!" André non la ascoltò, si sporse dietro le tendine della finestra. Vide del movimento e poi dei cavalli fuggire, erano tanti, cinque o sei e avevano ciascuno un cavaliere ma c'era anche qualcos'altro sul dorso, come dei sacchi grossi. Udì sparare, poi altri cavalli seguire i primi, con un ritardo notevole. E quelli dovevano essere gli uomini di cui parlava la nonna. Guardie poco utili, pensò, sembrava quasi che gli avessero concesso un vantaggio, tanto erano stati lenti. Neanche il tempo di girarsi, che uno di quelli sfondò la loro porta. Entrò un uomo del padrone e puntò una pistola contro il ragazzino "Dammelo!" ordinò, fissando il fucile, il ragazzino tremante lo mise a terra all'istante, la guardia lo raccolse. Poi tornò a muoversi verso di lui. La nonna gli fece da scudo, bloccando il passaggio "Che maniere sono queste!"

"Togliti, vecchia!" l'uomo la scansò "Dove sta tuo padre?" l'uomo afferrò la veste di André e lo sollevò di un palmo da terra.

"Non c'è!" era spaventato, guardava la faccia della guardia e quella cicatrice che aveva sotto al naso, gli arrivava fino all'occhio destro.

"E dove sta?"

"Ha preso una licenza, il padrone lo sa! Il padrone lo sa!" André scalciava, voleva che lo lasciasse, si vide scaraventare a terra. La nonna si avvicinò per soccorrerlo ma la guardia la colpì con il calcio del fucile sulla testa. Andò giù, davanti agli occhi del nipote che gridò.

"Prendi il marmocchio!" disse a un altro dei loro che era sopraggiunto. "Il ladro dovrà tornare per forza per riprendersi il figlio"

Il ladro, così avevano chiamato suo padre, André si agitò, colpì sul naso quello che l'aveva afferrato "Mio padre non è un ladro!"

"Zitto, marmocchio!" la guardia lo prese a sberle. Gli torse le braccia dietro la schiena e lo spinse a camminare, André si voltò un'ultima volta a guardare la nonna che non si muoveva dal pavimento. 

"Nonna! Nonna!!" 

"Fai silenzio!" lo spinse fuori e lo condusse verso il palazzo. Il generale Jarjayes si stava ancora raddrizzando la parrucca dopo essere stato svegliato di colpo. Era scocciato per il freddo della tarda serata ancora di più che del sonno perso. "Che accidenti succede?!"

"Signore, dal granaio sono stati rubati dieci sacchi da mezzo quintale" disse la guardia con la cicatrice, che André sentì chiamare Pascal da quello che gli impediva di muoversi.

Il generale posò gli occhi sul ragazzino, era il figlio di Grandiér, lo conosceva. "Che c'entra il ragazzo?"

"Suo padre, pensiamo abbia organizzato il furto, era l'unico che poteva informare i complici su dove fosse il granaio e qual era il momento giusto per trovarlo a deposito"

"Non è vero!" André provò a parlare ancora ma la guardia lo colpì al volto con l'ennesimo schiaffo. Non riuscì a fermarlo lo stesso "Vi prego signore, non credetegli, mio padre è onesto! Tutti qui sanno dove sta il granaio!" il generale fermò la guardia che stava per colpirlo ancora.

"Dov'è andato tuo padre?" sapeva solo che gli aveva chiesto di potersi allontanare per due giorni.

"Voleva cercare un terreno da comprare, per farci crescere l'uva!"

Pascal rise "E con quali soldi vorrebbe pagarlo?"

"Quelli del furto!" asserì un'altra guardia.

"Non è vero!" André prese fiato "Papà ne ha da parte, e la nonna ha risparmiato!" un rivolo di sangue gli colò dal naso.

"Andate a controllare" disse il generale "se è un uomo intelligente, non li ha portati tutti con sé"

Una delle guardie si allontanò.

"Figliolo, è davvero una strana coincidenza che tuo padre parta e nello stesso frangente si verifichi un furto, non ti pare?"

"L'hanno fatto a posta!" il ragazzino si fece indietro per paura di venire di nuovo colpito dalla guardia che lo aveva fatto inginocchiare.

"Grandiér si è creato una scusante con la storia della vacanza, ha lasciato il figlio a casa sperando di tornare come niente fosse, dopo" la guardia con la cicatrice pareva aver già fatto il processo e condannato il padre. Il ragazzino non sapeva più che dire per difenderlo. "Quando prenderemo i suoi complici li faremo parlare e confesseranno"

Tornò la guardia che era andata a frugare nella casa "Solo stracci e una vecchia, morta" ghignò guardando il ragazzino che iniziò a tremare e piangere.

"Figliolo, purtroppo la tua storia non si regge su nulla di concreto" il generale ordinò di rinchiuderlo nei sotterranei. "Quando tornerà Grandiér, trattenetelo e portatelo da me"

Le grida e il pianto disperato del ragazzino si udirono fin dentro il palazzo, Oscar si destò e corse alla finestra della sua camera. Vedeva delle torce agitarsi davanti la residenza. Era sicura di aver sentito gridare. Poi le torce si allontanarono e il buio tornò ad assorbire ogni cosa. Ascoltò delle voci provenienti dal pianterreno, non sapeva che stava accadendo. Provò a girare la maniglia della porta ma poi calò il silenzio. Quando aprì la porta non c'era più nessuno e non si vedeva neppure la luce di una candela.

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Capitolo 2
*** Giustizia arbitraria ***


Nella piccola cella buia faceva freddo, c'era una grata in alto da cui passava l'aria e un piccolo spiraglio di luce. André batteva i denti e ormai non si asciugava neppure più il viso che era bagnato di lacrime e sporco di terra, come la sua veste un tempo candida. L'uomo che lo sorvegliava, mosso da carità, aprì la cella e coprì il ragazzino con un telo grezzo di lino. 

"Mi dispiace, ragazzo, non vorrei tenerti qua dentro" l'uomo gli massaggiò le spalle per riscaldarlo "questa cella è vuota da sempre, non ricordo che ci sia mai stato nessuno da quando ho memoria" e ora c'era un bambino, provava vergogna nel servire il padrone in quel momento. "Appena tuo padre tornerà, chiarirà tutto e tu potrai andare a casa"

Più tardi, quando dalla grata cominciò ad arrivare qualche misero raggio di sole, lo stesso uomo tornò con un bicchiere di latte e una minestra calda. Gli disse che non aveva trovato un cucchiaio, però poteva bere dalla scodella. André la prese con la mano tremante, l'uomo lo aiutò a tenere ferma la scodella e non la lasciò finché non fu svuotata.

"Signore, per favore avvisate mio padre!" si aggrappò alla sua manica mentre stava per richiudere la cella. "Ditegli che è successo prima che lo prendono le guardie! Hanno ucciso la nonna!"

"E quando dovrebbe arrivare?"

"Entro stasera, signore"

L'uomo sporse il labbro inferiore, poi gli fece un cenno affermativo con la testa. Julien lo conoscevano tutti alla tenuta, era sempre stato un uomo ligio al suo lavoro, mai una scaramuccia, mai una mancanza verso il padrone. Non credeva a una parola di coloro che l'accusavano di furto. Forse qualcuno voleva metterlo nei guai, ad ogni modo ci avrebbe parlato. Appese le chiavi al muro e lasciò il ragazzino nella cella. "Copriti bene, qui sotto l'umidità fa ammalare più del freddo" gli disse prima di andarsene.

L'ammanco del granaio non era poi molto, la guardia che era stata mandata a controllare aveva osservato che erano spariti sì dieci sacchi ma non erano neppure quelli più pieni ma quelli più esterni, gli ultimi poggiati accanto al mucchio. In sostanza, non mancavano cinque quintali, come aveva detto Pascal. Aveva dato una stima eccessiva.

 

Era tardo pomeriggio quando Julien vide la residenza dei Jarjayes da lontano. Non aveva trovato il suo terreno ideale tuttavia, dopo averci ragionato, si era accontentato di un pezzo di terra vicino Reims, come inizio poteva andare. Aveva dato una caparra per iniziare a lavorarlo. C'era già una casa appartenuta al precedente fittavolo, doveva solo rimetterla un po' in sesto. Sorrise, si sentiva soddisfatto dopotutto. Ad André quel posto sarebbe piaciuto, ed era anche ora che cominciasse a frequentare altri ragazzini nella piccola scuola che si trovava nei pressi della terra. Alla madre sarebbe piaciuta di meno, almeno per i primi tempi, era una donna che non amava molto i cambiamenti. Mentre proseguiva sul suo cavallo vide un uomo che l'aspettava seduto su un tronco contorto di un albero che stava lì da oltre un secolo. L'uomo socchiuse gli occhi e poi gli andò incontro. Julien lo conosceva, era il vecchio custode che si occupava di aprire e chiudere i cancelli della tenuta ogni santo giorno.

"Julien, fermati" l'uomo gli andò vicino. Gli raccontò brevemente i fatti "Mi dispiace per tua madre" lo vide scendere da cavallo e barcollare "l'abbiamo sepolta dove stanno tutti i parenti delle famiglie dei lavoranti"

"André! Dov'è mio figlio?!"

L'uomo si grattò il collo "Sta bene, non ti preoccupare, è nei sotterranei"

"Come nei sotterranei?!" l'afferrò per la maglia e lo tirò "Che gli hanno fatto?!"

"Sta bene, ti ho detto, calmati, sei tu l'unico che rischia qui!"

"Portami dal padrone!" aveva un foglio in tasca, era una specie di conclusione scritta dell'accordo sul terreno e della caparra ceduta. Era una prova che non si trovava alla tenuta all'epoca dei fatti.

L'uomo gli passò un mantello e gli disse di coprirsi, altrimenti l'avrebbero arrestato non appena avesse messo piede su quelle terre. "Cammina piano, di fianco a me, e non desteremo sospetti" l'uomo lo accompagnò e ogni tanto gli dava a parlare. Lo vedeva rigido e con i pugni serrati. "Lascia il cavallo fuori" gli disse che così non sembrava un viaggiatore che faceva ritorno. Julien deviò, voleva andare alla sua casa. L'uomo cercò di dissuaderlo ma l'impeto che muoveva le gambe dell'altro era troppo forte. Il custode era preoccupato che potessero vederli, quando giunsero alla casa la porta era spalancata. Entrarono rapidi. Stava iniziando a fare buio. Julien si accasciò sul pavimento, c'era una chiazza di sangue asciutta, ci poggiò una mano vicino. Le lacrime non poté più trattenerle. "Il padrone permette che le sue guardie uccidano le donne che hanno lavorato per lui!?" picchiò il pugno a terra.

"Hanno detto che è caduta da sola e ha battuto la testa, solo il bambino ha visto colpirla"

"Dio li maledica!" si alzò, spostò il letto della madre, c'era l'asse già divelta, avevano trovato i suoi risparmi, infilò la mano nell'intercapedine ma non trovò nulla. "Dannati! Farabutti!" riposizionò il letto al suo posto. 

"Non incollerirti, cerca di restare lucido, per tuo figlio" il custode cercò di toccargli una spalla ma, come in preda ad una scossa, l'altro lo scansò brusco e uscì fuori, rosso in viso e colmo di furia, dritto verso la residenza.

"Generale Jarjayes!" chiamò, poi si tolse il mantello e lo gettò sul terreno. Subito giunsero due guardie.

"Sei stato veloce" parlò Pascal che arrivò dopo quei due. Fece cenno con la mano di bloccarlo. Lo afferrarono e gli legarono i polsi dietro la schiena con una corda. L'uomo non fece resistenza.

"Dove sta mio figlio?"

"Sta bene, a breve lo rivedrai, lo faremo assistere allo spettacolo" parlò la guardia.

Il generale arrivò poco dopo, altri scagnozzi lo seguivano e si disposero a semicerchio intorno a lui come a formare una difesa. Julien non poteva credere di essere visto come un bandito.

"Signore? Di cosa sono accusato?" alzò lo sguardo per fissare i suoi occhi in quelli azzurri del padrone "Che ho fatto?"

Il generale sembrava scocciato, infastidito nel doversi occupare di quella faccenda "Sono stati rubati dieci sacchi di farina dal granaio, ne sai niente?"

"Signore, io sono andato a Reims, vi ho chiesto due giorni di permesso per il viaggio, posso provarlo. Guardate-" un calcio allo stomaco gli soffocò le parole in bocca, tossì con la testa piegata in avanti "...guardate nella tasca interna della mia giacca… Vi prego!" riprese a fatica.

"Si è creato un alibi con la scusa del viaggio, tutto preparato" parlò quello con la cicatrice che l'aveva colpito.

"Fa silenzio, Pascal. Il granaio è tua responsabilità, Grandiér, che tu ci sia oppure no, nulla cambia" affermò il generale.

Julien prese un lungo respiro "Ma, signore, non sono forse le vostre guardie che debbono occuparsi di queste cose? Non le pagate lautamente anche per questa ragione?"

"Le guardie devono mantenere l'ordine e occuparsi della sicurezza degli abitanti della residenza, nient'altro!" 

Il cielo era rabbuiato e ora stava cominciando a cadere anche qualche goccia di pioggia. Julien si voltò verso Pascal "Mio signore, le vostre guardie sono anche libere di uccidere una donna indifesa impunemente e rapinarla di tutti i risparmi di una vita?"

"La vecchia è morta da sola, cadendo" si difese quello con la cicatrice, intromettendosi di nuovo "e poi come fai a sapere queste cose se non c'eri?"

"Ho visto, adesso" Julien lo guardò con occhi carichi di odio "Ho visto! Che siate maledetto!" tornò a posare lo sguardo sul generale "Signore, non ho rubato niente, non ne avevo ragione alcuna, credetemi!"

"Che ne è stato dei complici, li avete catturati?" Jarjayes, infastidito anche dalle poche gocce di pioggia, ignorò l'accusato e si rivolse alle sue guardie.

"Ne abbiamo preso uno soltanto, mentre fuggiva" si leccò le labbra e poi fissò Julien "ha confessato che Grandiér è colui che ha architettato tutto!" gli puntò un dito contro.

"Menzogna!" digrignò i denti dalla rabbia "Fatemi parlare con questo testimone, portatelo qui! Fatemici parlare!"

"Desolato, è morto a causa delle percosse, sai com'è, abbiamo dovuto farlo parlare" gli mostrò i denti ingialliti in un ghigno "io e i miei uomini possiamo ripeterti ciò che ha detto, parola per parola"

"La tua parola vale come lo sterco di vacca! Cinquanta persone, fossero anche cento, che gridano una menzogna, non ne fanno una verità!" sputò in terra, subito dopo giunse un'altra guardia, portava il figlio in spalla.

"Padre!" il bambino venne trattenuto per un braccio dal correre dal padre.

"Vi prego, non fate del male a mio figlio!" supplicò al generale.

"Non temere, tuo figlio non subirà nessuna punizione. Tu devi confessare" disse quest'ultimo.

"Ma, signore, perché devo confessare una menzogna? A chi giova tutto questo? Come avrei potuto fare una cosa così stupida come mi si accusa?!"

"Basta bugie, Grandiér, lo abbiamo capito cosa hai fatto. Sei stato smascherato. Ti serviva del denaro per comprare un pezzo di terra, come ci ha rivelato tuo figlio" André lo fissava terrorizzato "così ti sei organizzato questa messa in scena, credendo che nessuno capisse le tue intenzioni. E con la scusa di un viaggio ti sei creato un alibi farlocco, hai pure lasciato qui tuo figlio e tua madre, per indurci a credere alla tua buona fede, e poi pensavi di tornare come niente fosse, dopo aver piazzato la merce!"

Julien osservò il generale, lo vedeva come indifferente nel voler scoprire davvero cosa era successo, pareva non interessargli la verità, piuttosto voleva accontentarsi di una spiegazione qualunque per punire poi un colpevole qualsiasi. Era stato un salariato in quella tenuta per più di quindici anni, e ora veniva trattato come il peggior criminale che ci avesse mai messo piede.

"Il tuo complice non ci ha rivelato il luogo dove è stata portata la refurtiva, fino alla morte" aggiunse Pascal.

"Grandiér, che tu confessi o meno la tua posizione non pare migliorare" il generale si asciugò una goccia di pioggia dal sopracciglio "per i ladri l'unica pena è quella capitale"

"Padre!!" André scoppiò a piangere. Il padre era pallido e ammutolito.

"Ma, per il ricordo che conservo della tua vecchia madre, che ha servito lealmente la mia famiglia per decenni, commuterò la pena in venti frustate e nell'amputazione della mano dominante. Sarai inoltre bandito da queste terre, tu e la tua progenie"

"Nooo!" André sfuggì alla presa della guardia e si gettò davanti ai piedi del generale "Vi prego signore, non lo fate!"

"La situazione di tuo padre non migliora, ragazzo, che tu supplichi o meno"

André si prostrò quasi a toccare la faccia in terra, con la sua veste già insudiciata e i tremori in tutto il corpo "M-mio padre non ha mai rr-rubato! Ve lo giuro!" balbettò, il cuore gli batteva forte, prese un lungo respiro "U-una volta stavamo al mercato, ha trovato una s-sacchetta piena di monete, era caduta a uno che camminava davanti" alzò lo sguardo con gli occhi colmi di lacrime "c'ero pure io, signore! È corso dietro a quell'uomo e gliel'ha ridata! Gliel'ha ridata!! Vi prego! Mio padre come fa a lavorare con una mano sola?!"

"Non ha importanza, un'azione disonesta cancella tutta una vita ben vissuta" il generale fece cenno di procedere con la mano. 

"PADRE!"

Pascal sollevò Julien di peso, gli tolse la giacca e strappò la camicia, lo condusse davanti a un albero, dove gli sciolse i polsi e li legò in modo che abbracciasse il tronco.

"André, non ti preoccupare, si può lavorare anche con una sola mano" il padre si girò e gli sorrise.

Pascal agguantò la veste sudicia del ragazzino che tentava di raggiungere Julien e lo sbatté in terra "Puoi guardare, ma fa silenzio!"

 

Oscar aveva di nuovo sentito delle grida, si avvicinò alla finestra e notò del movimento ma a distanza, non poteva distinguere cosa accadesse. Piano uscì fuori con le sue piccole calzature da camera e quando la giovane governante la vide si mise a correre, la evitò agilmente nell'attimo in cui questa tentò di afferrarla "Signorina! Signorina dove andate a quest'ora?! È buio!"

Appena la ragazzina bionda mise il naso all'esterno, si sollevò un vento forte da nord-ovest che le smosse la camicia da notte e fermò la pioggia. La bambina iniziò a camminare, verso le voci e le luci.

 

"Tre!" Pascal schiantò la frusta sulla pelle e la tirò via lasciando un solco insanguinato "Quattro!" menò un altro schiocco. L'uomo resisteva, con la faccia voltata verso il figlio, stringeva i denti così forte che sanguinavano. La mano di Pascal gli sbatté la fronte contro il tronco, poi gli si avvicinò per sussurrargli all'orecchio "La sai una cosa, Julien, mi hai servito un'occasione d'oro con quel tuo viaggio!" arrivò la quinta frustata. "Stavo aspettando il momento giusto da più di dieci anni!" la sesta e la settima fecero barcollare l'uomo. "Sempre preciso, sempre corretto, sempre puntuale. Quasi inattaccabile!" la guardia gli tenne fermo il collo "Ti ricordi del figlio del medico, non è vero?" Julien sgranò gli occhi e l'ottava e la nona frustata gli piegarono le ginocchia. "Mio fratello era un debole, dopo che tu e quella sgualdrina vi siete sposati, si è infilato una canna in bocca e ha premuto il grilletto!" Julien aveva perso il conto, Pascal aveva smesso di contare. "Era un debole, un codardo, mio fratello. Ma era pur sempre mio fratello" una sorta di insensibilità avvolse la mente di Grandiér. "La tua unica fortuna è che quella donnaccia di tua moglie è già morta. Tuo figlio invece sarà un morto di fame a vita o creperà di stenti, mi accerterò che nessuno gli offra mai aiuto dentro e fuori queste terre!" 

"Basta, Pascal!" il custode gli posò una mano sulla spalla e la guardia lo colpì con un pugno, spedendolo sulla terra umidiccia "Sono già ventuno, sadico di un bastardo!" gli strillò il vecchio custode mentre si rialzava dal fango, con la fronte arrossata.

 

"Padre, che ha mai fatto quell'uomo per meritarsi una tale punizione?" Oscar era arrivata alle spalle del generale e lui non se n'era accorto. Quando si girò, vide la figlia con gli occhi tremanti e fissi su quella schiena martoriata. Poi vide André.

"Che ci fai tu qui?!" la sollevò per la vita e la portò via.

"Padre! C'è un bambino! Perché?"

"Perché deve imparare cosa accade a chi mente, ruba e imbroglia!" André era sulle ginocchia e uno sguardo vuoto fissava il padre che si era riverso contro il tronco, le mani appese erano l'unica cosa a sorreggerlo ancora in quella posizione.

 

Le guardie liberarono le braccia di Julien e lo trascinarono lì dove avevano preparato un ceppo e un'accetta. Il custode li rincorse "Aspettate! Non ce la può fare come è già ridotto!" alzò le mani "Fatelo prima recuperare per qualche giorno, in prigione!"

"Lo hai sentito il padrone?" Pascal sorrise, ci sperava che crepasse. Di colpo avvertì un forte dolore al fianco, André l'aveva colpito con un sasso che stringeva nel pugno.

"Lascia mio padre!" tirò su la manica della veste e mise il piccolo braccio sul ceppo "Taglia il mio!"

Pascal lo schiaffeggiò, facendolo schiantare sul terreno "Hai fegato ragazzo, più di questo sacco di letame di tuo padre, ma non funziona così. Ma posso tagliarne due se vuoi proprio fargli compagnia" rise "alla fine gli è andata bene, un tempo i ladri venivano scuoiati vivi e la loro pelle esposta come monito!"

Il custode abbracciò il bambino e lo allontanò, nonostante questo scalciasse con tutta la sua forza. "Calmo figliolo! Sta calmo! Tuo padre avrà bisogno di te dopo, non devi comportarti così! Devi essere forte per tutti e due!" lo strinse e lo lasciò piangere. Lo riparò con il corpo per non farlo guardare. Poco dopo un grido fiacco si librò nell'aria, uno schizzo di sangue aveva macchiato il ceppo.

 

"Oscarléne! Non fare storie!" il generale mise giù la figlia una volta varcato l'uscio, una spinta di vento portò in casa del fogliame e altro, poi fece sbattere il portone. La bambina lo guardò spaventata, era la prima volta che aveva davanti agli occhi quel volto contorto in una smorfia così spietata. Non l'aveva mai vista. Rimase a fissarlo ancora per qualche momento, poi indietreggiò e cominciò a salire lentamente le scale che portavano al piano di sopra. I tuoni rimbombavano ma non cadeva più una goccia di pioggia.

Il generale vide un pezzo di carta arrotolato a cilindro ai suoi piedi, spinto da curiosità lo raccolse. Gli diede una scorsa veloce, non capì subito di cosa si trattasse, in alto c'era una data, poche righe con metri quadri e caparra, c'era infine una firma in calce, Julien Grandiér.

Il generale si accarezzò il viso, d'improvviso la mano cominciò a tremare, in un istante successivo accartocciò il pezzo di carta e lo gettò nelle fiamme vive del focolare. Andò poi a prendersi del liquore.

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Capitolo 3
*** Scopo ***


André tentava di sollevare il padre con tutta la forza ma non riusciva a fare più di tre passi senza cadere. Il custode gli aveva fasciato il braccio più stretto che poteva, poi era stato allontanato dalle guardie. Non gli permisero di prendere niente, neppure il suo mantello. Tutto quello che possedevano lo dovevano alle provvigioni concesse dal padrone, disse Pascal, e ingrati come erano stati, dovevano lasciare ogni cosa prima di venire cacciati. Il custode non diede peso a loro, si avvicinò ai due e sollevò il braccio sinistro di Julien, portandoselo intorno al collo, poterono così camminare fin fuori la tenuta. C'era una piccola chiesa lì vicino, al vecchio custode non venne in mente nessun altro luogo migliore su cui il generale e le sue guardie non potevano millantare diritti e pretese. Il cavallo che aveva atteso all'esterno li aiutò ad arrivare davanti la gradinata. André spingeva il corpo del padre privo di sensi assieme all'altro uomo, gradino per gradino, più d'una volta cadde sulle ginocchia, strinse i denti e iniziò a tirare ancora con più forza. "Aiuto!" chiamò il custode. Attese poco, si affacciò un prete con i sandali. Li vide, si precipitò quindi a soccorrerli. In tre riuscirono a portare Julien dentro la chiesa. Lo stesero sul pavimento, su un fianco, il prete andò a recuperare dei vestiti e coperte. Alcune persone di buon cuore portavano alla chiesa abiti usati, ma in buono stato, affinché venissero distribuiti ai più poveri. Il custode li informò che doveva andare, poteva attirare in quel posto le guardie se non si fosse fatto vedere per troppo tempo. Poggiò la mano sui capelli di André, il ragazzino aveva gli occhi bassi, non lo guardò uscire. 

Quella sera, il prete gli cauterizzò la ferita, ma non usò il fuoco, giudicò che era troppo debole per sopportare altri traumi. Fermò l'emorragia con un impacco di erbe che applicò anche sulla schiena, Julien aveva la febbre. André gli stringeva la mano. "Tuo padre è un uomo forte, figliolo, ora dipende dal suo fisico. Tu non perdere le speranze" il prete provò a confortarlo.

"André…" 

"Sono qui, padre"

Julien diede forma a un debole sorriso "Quando ti farai grande, comprati un pezzo di terra, promettimelo"

"Lo prenderemo insieme" André singhiozzò e si asciugò il viso su entrambe le maniche.

"Anche da solo, comprati la terra!" l'uomo aveva l'affanno "La terra, dammi ascolto…" chiuse gli occhi "La terra…" poi si assopì. Il figlio si sdraiò accanto a lui, non gli lasciò la mano. Il prete tornò a controllare più tardi, sistemò su entrambi una coperta massiccia di lana e li lasciò.

La mattina seguente. André si risvegliò con la mano fredda del padre stretta nella sua. Gli occhi arrossati lo guardavano, le mani lo scossero. Non c'era più un fiato che gli usciva dal corpo. Si asciugò il naso e si strinse al padre, un abbraccio forte, come non gliene aveva mai dati. Poi si sedette poco lontano e rimase a contemplarlo per molto tempo.

Il sole era alto in cielo quando il custode tornò in quella chiesa. Vide il ragazzino, esattamente dove l'aveva lasciato. Gli si avvicinò e quando toccò l'uomo a terra, André trasalì, come ridestato di colpo da una veglia. "Ci dobbiamo occupare del funerale"

Il prete lo fece seppellire assieme ai confratelli, nel terreno dietro la chiesa. Il custode pagò tutte le spese. Aiutò André a cambiarsi i vestiti e a ripulirsi il viso. "Figliolo, hai qualche parente ancora in vita?" domandò il prete.

André scosse il capo.

"Ti piacerebbe restare qui con noi, e studiare, finché non sarai più grande per decidere cosa fare?"

Il ragazzino rifiutò. Corse accanto al custode, quest'ultimo stava ancora fissando la croce di legno con su scritto il nome di una delle poche brave persone che aveva conosciuto in tutta la vita. 

"Dove posso andare per imparare a combattere?" gli domandò il ragazzino. 

Il custode immaginò cosa gli stesse passando per la testa. Si chinò quel tanto che bastava per avere quegli occhi tristi e arrabbiati allo stesso livello dei suoi "Ragazzo, ci sono due armi nella vita che devi imparare a usare. Una è la spada, l'altra è qui" si toccò una tempia, e sperò che il tempo avrebbe aiutato a fargli dimenticare in parte quell'orribile vicenda. Si fece dare carta e calamaio dal prete e scrisse una decina di righe. André ci fece scorrere gli occhi, gli apparve come una lettera di presentazione. "C'è un mio congiunto a Parigi, lavora come armaiolo, sia per privati che per l'esercito, ti prenderà come apprendista. Ti ho scritto l'indirizzo dall'altro capo del foglio, chiedi in giro se non trovi la strada" aggiunse infine che doveva andarci da solo, non poteva accompagnarlo, per la medesima ragione per cui non dovevano conoscere dove si nascondeva. 

"Potrò imparare a combattere?"

"Spero anche a fare dell'altro di più utile" il custode lo salutò. 

André si fermò a fissare la tomba del padre un'ultima volta e poi si voltò, un inchino profondo al prete che avrebbe voluto provare a insistere per farlo restare; contrariamente, il bambino dai capelli bruni scese quei gradini senza più girarsi.

 

Parigi non era un posto tranquillo, e non dava un gran benvenuto ai nuovi arrivati senza un soldo in tasca. La differenza che subito saltava all'occhio tra le campagne e la cittadina era la diffidenza, la cautela scorbutica che tutti mostravano nei sobborghi. Scomparsi i saluti amichevoli, l'aiuto insperato se si aveva un carico pesante da trasportare e il soccorso gratuito se ci si trovava in difficoltà. Tirava aria di rivalità anche per un tozzo di pane. 

La forgia era in attività da prima mattina. André picchiava il martello sulla lama arroventata, il filo di quella spada aveva perso la sua armonia, era incrinato in un paio di punti; lui era diventato abile nel rimettere le armi a nuovo. Dopo le passava sulla pietra e l'affilava fino a vedere la sua immagine riflessa nell'acciaio e spesso riusciva anche a tagliarci un foglio di carta senza sforzo. Erano ormai più di undici anni che faceva quel mestiere e si era irrobustito parecchio. L'armaiolo si chiamava Pierre e suo figlio Cédric si occupava delle consegne. Erano solo loro tre in quella bottega, il giorno in cui il piccolo André si era presentato a quella porta, l'uomo si era ritrovato con la lettera tra le mani e, anche se dubbioso inizialmente, lo aveva preso in casa sua. La moglie non fu affatto dispiaciuta, aveva sempre desiderato un altro figlio che non era mai arrivato. Quel ragazzino era ubbidiente, si accontentava di quello che gli mettevano nel piatto e non litigava mai con nessuno però, quando si trovava da solo e non sapeva di essere osservato, il volto traspariva rabbia, una collera che aveva messo radici in profondità nell'anima, e che sfogava solo nella bottega. 

André aveva scoperto che Cédric era un ragazzo particolare, biondo e riccio come il padre, non voleva essere toccato da nessuno. Quando, la prima volta che lo vide, aveva provato a posargli una mano amichevole sulla spalla era finito steso a terra e con un occhio gonfio. Parlava pochissimo ma non mancava di farsi una risata con lui, ogni tanto. Dopo i primi tempi aveva capito come doveva prenderlo. Quando André divenne abbastanza grande, Pierre lo prese da parte e gli raccontò una storia. Al tempo che Cédric aveva dodici anni, lo mandarono a recapitare un pugnale ad un uomo che lavorava come fornaio e che all'epoca aveva la stessa età di Pierre. Doveva essere una commissione semplice e veloce. Il fornaio lo fece entrare nel retrobottega, alcuni del posto lo videro ma non capirono cosa avvenne poi all'interno. Cédric, quando riuscì a scappare, era come stordito, fuori di sé, non si rendeva conto neppure di dove stava correndo. Gli abiti sgualciti e macchiati di sangue, così lo ritrovò il padre, vicino la Senna. Ci volle un giorno intero per riuscire ad avvicinarlo senza che gridasse. E ci volle un altro mese, per capire cosa era davvero accaduto, ma quell'uomo che lavorava al forno era già scappato nel frattempo. Pierre provava ancora impotenza e rabbia quando ci pensava, nonostante facesse di tutto per dimenticarlo e farlo dimenticare al figlio. Mai più ne aveva parlato, tranne con André quella volta, per fargli comprendere.

C'era poi una ragazza, si chiamava Mylène, il padre gestiva un banco del pesce e capitava spesso che dovesse affilare coltelli e forbici che la figlia portava sempre alla loro bottega, da quando aveva conosciuto André. Una volta, nel tardo pomeriggio, poco dopo la chiusura, i due si erano appartati sul retro. Una cosa veloce e impacciata per tutti e due che non avevano esperienze di nessun tipo. La cosa iniziò e terminò lì, ma rimasero in rapporti amichevoli. Erano bravi ad affilare le forbici, in quella bottega, oggetto davvero complicato da rinnovare. André si allenava con la spada, di sera, ne trovava sempre una nuova da provare, e cercava quella dall'impugnatura perfetta per una mano come la sua. Una spada da replicare o da usare come stampo per forgiarne una da zero, proprio come la immaginava da molti anni.

In realtà, non sapeva niente di tecniche di attacco e difesa, si era impegnato a maneggiare armi ma non aveva destrezza nell'uso in combattimento, non aveva mai usato un'arma su nessun essere umano. Gli serviva un maestro, ma i pochi soldi che guadagnava li metteva tutti da parte. Aveva una piccola cassetta di monete che scambiava sempre con il taglio maggiore per fargli occupare meno spazio. Non voleva sprecarli. Non si comprava niente se non fosse estremamente necessario. 

"André, ci pensi tu a questi ultimi pezzi?" Pierre era stanco e poi a giorni sarebbe stato il compleanno della moglie e non le aveva preso ancora un regalo. "Tanti anni che stiamo insieme e non so mai che regalarle per farla felice"

"Provate a stare con lei tutto il giorno, portatela in giro in città o fuori" suggerì il ragazzo. Si era trovato davanti una coppia di pugnali e tre spade.

"Bah, mia moglie è una donna del fare, non pensa a queste romanticherie, dovresti saperlo"

"Allora andate a controllare in cucina o nella casa, se c'è qualcosa di rotto o che funziona male, e glielo comprate nuovo" iniziò dalle spade, una aveva dei residui di ossidazione, dovevano averla conservata all'aperto.

"Potrebbe essere un'idea ma ho paura che se lo facessi dovrei comprare mezza casa nuova" rise.

"Cominciate con un oggetto che lei usa spesso…" una spada aveva un'incisione, la mise sotto la luce del sole, il nome che lesse gli fece tremare le mani dalla rabbia, Jarjayes. "Di chi sono queste spade?"

"Quali?" vide quella che teneva in mano "Quella arriva dal servitore di un nobile, l'ha lasciata ieri e verrà a ritirarla stasera"

"Posso portargliela io prima che venga a ritirarla, così ce li togliamo dai piedi. I nobili sono sempre fastidiosi da trattare" iniziò a lucidarla. Avrebbe voluto cancellare quell'incisione, assieme al proprietario che l'avrebbe impugnata.

"E perché andare fin dove stanno quando possono venire a prenderla i loro servi?"

"Per la mancia" disse André, senza distogliere lo sguardo dalla lama.

"Ah, furbacchione, ho capito" allora, gli accordò che se proprio ci teneva poteva andare, sempre se trovava l'indirizzo, perché lui non lo conosceva.

"Lo troverò" anche a occhi chiusi ci sarebbe arrivato.

André terminò la manutenzione del resto delle lame e in tarda mattinata si avviò sul ronzino di Pierre. Aveva infilato la spada nel suo fodero e poi in un sacco legato alla sella. La dimora dell'uomo che odiava tanto quanto le sue guardie, di cui una in particolare, non era tanto lontana da Parigi, a cavallo l'avrebbe raggiunta per l'ora di pranzo. Non sapeva cosa volesse fare una volta tornato alla tenuta, ma era sicuro che non l'avrebbero riconosciuto. Probabilmente lo davano per morto. Era cambiato parecchio, un po' più alto del padre e i capelli neri spettinati che gli coprivano spesso gli occhi quando non li cacciava indietro. E il nome, chi si sarebbe mai ricordato del nome del figlio di un bracciante, ammesso che l'abbiano mai saputo. Era certo che il padrone non ricordava neppure il nome di sua nonna, rimasta a servizio in quella residenza quasi tutta la vita.

La prima guardia la vide appena entrato nei confini delle terre, era un tipo sulla trentina la cui faccia gli era del tutto ignota. Quando lo fermò gli disse che arrivava dalla bottega dell'armaiolo e che doveva consegnare una spada. 

"Dalla a me, la consegno io al padrone"

"Devo essere pagato"

La guardia allora gli disse di seguirlo, André smontò da cavallo e tirandoselo appresso gli andò dietro. Strada facendo osservò il panorama, la tenuta era rimasta tale e quale a come lo era stata nei suoi ricordi. Le terre si allargavano di parecchio ai lati di dove sorgeva quel palazzo che detestava, come chi ci abitava. I campi di grano, con quelle spighe alte e bionde quasi pronte per la mietitura, gli ricordarono il padre e tutte le volte che si era spaccato la schiena chino a usare la falce. Quella terra maledetta che adesso gli faceva ribollire il sangue anche solo calpestandola. Giunto a metà di un lungo sentiero la guardia gli indicò di proseguire da solo, poiché non poteva lasciare la sua postazione "Più avanti incontrerai un altro dei nostri, riferisci a lui la stessa cosa che hai detto a me" dunque tornò indietro. André deviò lontano dalla strada dove la guardia gli aveva detto di proseguire, una sensazione di antica nostalgia lo attirò nei luoghi dove un tempo abitava con la nonna e il padre. La sua vecchia casa. Alcuni lavoranti lo videro, lui salutò, un paio risposero al saluto altri non gli diedero alcuna attenzione. La casa in legno che si trovò davanti era conciata male, pareva che nessuno ci avesse messo più piede. Non vide altri in giro, scese dal cavallo e si avvicinò fino a toccare la facciata guastata dalle intemperie. Sul retro c'erano ancora le tacche della sua altezza che il padre segnava di anno in anno. Posò una mano su quei segni, le dita grattarono il legno e si chiusero a pugno. Strinse forte. Si girò per tornare in groppa al ronzino, non se l'era sentita di entrare. Tagliò per i campi, poi nel piccolo bosco che faceva da cornice alla residenza. E si fermò quando udì qualcosa, come dei colpi. Incuriosito, tirò il cavallo in quella direzione. Vide una spada conficcarsi dentro una spessa tavola di legno, legata al tronco di un albero. Un'altra la affiancò alla stessa velocità, ficcandosi quasi nello stesso punto. Era ancora più curioso di scoprire chi era che si divertiva a lanciare le spade come fossero dei coltelli. Scese da cavallo e girò dalla parte opposta all'albero. Mosse cinque passi e ancora non aveva una visuale chiara, e forse non era il caso di proseguire, poi la punta di una lama gli comparve davanti al viso.

"Chi siete?" domandò una voce.

André sollevò le braccia "Sono l'apprendista dell'armaiolo, e sono qui per una consegna" 

"Siete totalmente fuori strada, signore" la spada si abbassò e dietro al fogliame comparve una giovane donna, con dei calzoni al posto di un vestito "La residenza è dall'altra parte" indicò con un braccio la giusta direzione, poi si spolverò la camicetta che non nascondeva le sue fome eleganti e scuoté i lunghi capelli biondi legati in una coda alta. André osservò gli occhi azzurri, come fossero magnetici gli impedivano di spostare i suoi.

"Quante spade avete, mia signora?" due conficcate nella tavola, una in pugno e altre giacevano in terra più lontano.

"Non vi riguarda, signore" la ragazza si voltò e andò a staccare le spade dall'albero.

"Perdonatemi, mia signora, perché le lanciate?"

"Neppure questo vi riguarda, signore"

"Forse perché non sapete usarle come si deve?" André sorrise e si accorse di averla punta nell'orgoglio, perché la ragazza interruppe quel che stava facendo. Subito dopo la vide incurvare le labbra e raccoglierne una da terra con la punta dello stivale per poi lanciargliela, il bruno la impugnò al volo.

"Bella presa, signore, vediamo chi tra noi due è più capace a usarle?"

Una voce nella mente gli suggeriva di non provarci, l'avesse battuta e l'avesse umiliata non sarebbe stata una buona cosa, per lui. Però non poteva neppure fare la figura del codardo. Immaginò che gli sarebbe bastato un affondo ben piazzato a disarmarla. Si mise in guardia.

La bionda sorrise, era una posa abbastanza rozza quella dello sconosciuto, comunque, attese che lui l'attaccasse. "Coraggio, signore, in fondo sono solo una donna"

André allungò un fendente dall'alto, la spada dell'altra lo bloccò e gli fece mulinare la lama, quindi lo disarmò. "Oh, sarà stato un colpo di fortuna, signore. Riprovate"

Il bruno raccolse la spada da terra, la fissò confuso, provò ancora ad attaccarla, dal fianco stavolta. Altra parata e stoccata di piatto sulla mano, che gli fece cedere l'impugnatura. André si lasciò scappare un'esclamazione divertita. La ragazza era una maestra e lo stava trattando come fosse un allievo indisciplinato. "Mi avete preso in giro, mia signora, voi siete allenata!"

"Siete stato voi a dire che non ero capace a usare una spada" 

"Sono terribilmente in imbarazzo" inchinò appena la testa per ammettere la sconfitta "mi piacerebbe imparare a maneggiarla come voi" André raccolse da terra l'arma per la seconda volta e gliela porse per il manico.

"Siete un armaiolo e non sapete difendervi?"

"So difendermi ma non ho mai avuto il privilegio di imparare davvero l'arte del combattimento"

La ragazza raccolse tutte le spade, le legò con una fascia di cuoio e le posò ai piedi dell'albero, André notò che c'erano molti segni sulla tavola, era da tempo che doveva fare da bersaglio.

"Posso insegnarvi, se non vi offendete"

"Davvero lo fareste?"

"Perché no, io ho imparato osservando gli altri, voi avete un'occasione migliore della mia" si sedette schiena all'albero.

André si accomodò in terra di fronte a lei, a distanza di cinque passi "Posso sapere come vi chiamate, mia signora?"

"Oscar"

Quel nome gli riportò alla mente ricordi dal passato. Il giovane bruno socchiuse le labbra e rimuginando non smise di fissarla. Avrebbe dovuto immaginarlo che si trattava di una delle figlie del generale.

"Lo so, fa lo stesso effetto a tutti quanti" replicò lei "ma il nome non ho potuto scegliermelo da sola" inarcò un sopracciglio e scrollò le spalle.

"Non vi sta poi tanto male, visto quanto siete abile con la spada" André sorrise, era quella ragazzina, l'ultima arrivata in quella famiglia. Com'era il nome per intero che gli aveva detto la nonna… Non lo ricordava, gli sarebbe venuto in mente. "Io sono André, un umile plebeo" sorrise indicandosi.

"Un plebeo molto curioso e sfacciato" Oscar incurvò altrettanto le labbra.

Quel piccolo spiazzo dentro la boscaglia era appartato e nascosto, il bruno comprese perché lei andava lì ad allenarsi, non voleva essere vista; maneggiare le armi non doveva rientrare nei passatempi delle nobildonne di quella famiglia.

"Perché vi allenate con la spada?"

"Non vi riguarda, signore"

Di nuovo quella frase seccante "Capisco, non volete dirmelo, deve essere un vostro segreto"

"Scusate ma, non avete da fare? Non dovete fare una consegna?" Oscar si alzò e afferrò il mazzo di spade.

"Avete ragione" sollevandosi da terra le disse di aspettare, tornò indietro e prese la spada che aveva legato al cavallo. La porse poi alla ragazza che si era intanto avvicinata "Uno scudo d'argento" e lo disse arrossendo.

Oscar sorrise "Avete fortuna, vi risparmiate di andare fino al palazzo" frugò in un piccolo taschino interno ai calzoni e gli porse una moneta d'oro. 

"Non ho resto, mia signora" arrossì ancora quando le loro dita si sfiorarono, guardava quella moneta nel palmo e non sapeva che fare.

"Ci avrei scommesso" la bionda rise "sto scherzando. Potete tenerla" gli disse poi quale strada doveva prendere per tornare indietro, come se lui non la conoscesse già, ma lei non poteva sapere. "Se volete davvero imparare a usare una spada, ci vediamo qui, tra due giorni, alla stessa ora" poi si girò e andò via.

"Grazie, mia signora" non era certo che l'avesse sentito. André strinse forte i pugni, non poteva accadergli niente di meglio di quello, la figlia gli avrebbe insegnato come uccidere il padre.

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Capitolo 4
*** Piani ***


Quando c'era il tempo, Cédric si sedeva in un angolo della bottega meglio illuminato e intagliava il legno. Creava dei piccoli oggetti quali soprammobili o anche arnesi da cucina, come mestoli, cucchiai e pure delle ciotole se il legno che avanzava era sufficiente. Non aveva mai voluto venderne neppure uno. Per l'anniversario di nascita della madre aveva scolpito sei cucchiaini di legno con estrema precisione. André andò a sedersi vicino a lui, gli piaceva guardarlo lavorare, però gli piaceva anche leggere, e lì c'era più luce. Da bambino non aveva capito cosa intendeva dire il vecchio custode quando aveva paragonato la mente a un'arma, poi invece iniziò a comprarsi qualche libricino, racconti inizialmente, era uno dei pochi sfizi che si toglieva spendendo una piccola parte dei suoi risparmi. Cédric sbatté il coltellino in terra proprio quando stava ultimando le rifiniture, era consumato e non facile di affilatura vista la forma a uncino "Inutile! Inutile!" strillò. Si era innervosito e quando faceva così diventava inavvicinabile. 

André chiuse il libricino "Niente è inutile, Cédric, guarda come te lo rimetto a posto" lentamente raccolse il piccolo coltello e fece vedere all'altro che lo poggiava sul tavolo da lavoro della bottega. "Sai come si fa ad affilare una lama così ricurva?" prese una pietra granitica a forma di gessetto e gli mostrò come strofinarla seguendo il filo tagliente "Devi muovere la mano come se fossi un pittore"

Cédric aveva raccolto le ginocchia al petto, lo stava osservando però.

"Un giorno, un fabbro perse la chiave di un lucchetto" iniziò a raccontare il bruno, fintanto che affilava "era un pezzo unico, come tutti quelli che aveva costruito in precedenza, la chiave era nata per quella serratura e quella soltanto. Il fabbro la cercò nella bottega giorno e notte, spostò mobili, spazzò in ogni angolo, frugò in ogni tasca, rovesciò ogni cassetto. La chiave era svanita. Tentò allora di aprirlo utilizzando una delle tante altre chiavi che possedeva. Nessuna funzionò. Preso dalla frustrazione lo gettò via. Il lucchetto, grande quanto il palmo di una mano, ruzzolò fuori dalla bottega e finì accanto ad un vagabondo. L'uomo aveva raccolto delle noci e non aveva niente per romperle, oltre le sue stesse mani. Così, quando vide il lucchetto, lo prese e lo usò come fosse un sasso. E svolgeva molto bene il compito" provò la lama del coltello sull'unghia e poi riprese ad affilare, Cédric lo stava ancora guardando in silenzio "terminato di adoperarlo, il vagabondo lo lasciò lì in terra e se ne andò. Il lucchetto rimase sul terreno per alcuni giorni, poi lo trovò il contabile di una famiglia, lo raccolse e lo portò con sé. Non era un lucchetto molto grande ma era robusto e pesante e l'uomo lo utilizzò come fermacarte. Rimase sulla scrivania per settimane, mesi, e dopo un anno intero venne posto dentro un cassetto. Molti anni passarono ancora, senza che nessuno mai lo togliesse da quel cassetto" fece un secondo tentativo sull'unghia e la lama la intaccò, un altro paio di passaggi e consegnò il piccolo coltello al ragazzo biondo.

Cédric lo afferrò e riprese esattamente dove aveva lasciato; dopo qualche istante si voltò verso André e gli sorrise.

Il bruno tornò a prendere il libricino ma continuò a raccontare "Capitò poi una nuova famiglia in quella casa, il contabile aveva lasciato le sue cose dopo che era mancato, non c'erano eredi. Il nuovo proprietario trovò il lucchetto nel cassetto, lo prese e vide che si era ben conservato, non era arrugginito, cercò la chiave nello stesso cassetto ma non la trovò. Ne aprì altri, ma niente chiave. Allora lo gettò nella spazzatura. Presto il lucchetto finì tra le cianfrusaglie di ferro abbandonate all'angolo della strada. Un altro fabbro di passaggio fu catturato da quell'oggetto. Lo raccolse e lo portò con sé, aveva un grande mazzo di chiavi, ne provò una per una per tentare di aprirlo. Quale era troppo grande, quale troppo piccola, e quale girava a vuoto o si incastrava. Decise che avrebbe costruito una chiave nuova appositamente per quel lucchetto. Ci lavorò per una settimana intera, ma niente. Nessuna chiave lo apriva, avrebbe potuto forzarlo, ma era un lucchetto che anche se bloccato non chiudeva nulla. Un pezzo di metallo che aveva perduto il suo scopo originario, anche sbloccato non sarebbe servito a nulla" 

"Inutile" disse Cédric mentre lavorava.

"Però, per quanto inutile, pareva che tutti quelli che lo trovavano gli concedevano almeno un tentativo per adoperarlo in qualcosa. Niente è inutile davvero. Tutto può servire almeno a uno scopo nel corso della vita"

"Che fine fa il lucchetto?"

"Beh, finisce nella roba da buttare del fabbro. Però poi lo prende qualcun altro che tenta ancora di aprirlo, passa molte mani quel lucchetto. Il libro però non dice che fine fa" 

"Diventa inutile" ribadì Cédric. Osservò il suo piccolo cucchiaio e fu finalmente soddisfatto, passò alla limatura di tutti e sei.

"Io penso che alla fine una chiave che lo apre la si trova" André chiuse gli occhi e intrecciò le mani dietro la testa. Subito gli vennero in mente quegli occhi azzurri che gli avevano perforato lo sguardo come una luce accecante. Scosse i capelli dalla fronte, non era proprio il caso di mettersi a pensare a quella ragazza e in quel modo, era sua nemica, doveva solo usarla finché gli sarebbe servita.

Mylène giunse in quel momento, bussò alla porta ma tanto di giorno era sempre aperta. "Voi due, scansafatiche!" sorrise nel vederli entrambi seduti "Ho portato i coltelli e le forbici, fate un lavoro veloce, mi servono entro stasera"

Cédric la ignorò e ammirò uno per uno i suoi cucchiaini contro luce per vedere se c'erano schegge o difetti. André la salutò, se ne sarebbe occupato lui, Pierre era uscito presto quel giorno, aveva detto che andava a cercare un vestito nuovo per la moglie. Ne aveva trovato uno nell'armadio, che la donna aveva rattoppato spesso, le doveva piacere, pensò l'uomo, perché non l'aveva buttato nonostante le condizioni in cui l'aveva ridotto il tempo. Se lo era portato dietro per non sbagliare con le misure. Mentre iniziava ad affilare i coltelli, André capì che era rimasto soltanto lui a non aver preso un regalo. "Mylène, secondo te che potrei regalare alla moglie di Pierre?"

La ragazza rimase a pensarci un po' "Un profumo" era una cosa che a lei avrebbe fatto molto piacere, ma costavano parecchio ed erano oggetti superflui secondo il padre e la madre.

"Ho capito" André si grattò la testa, doveva intaccare i suoi risparmi e la cosa non gli piaceva. Però c'era quella moneta d'oro che le aveva dato Oscar, tolta la differenza del compenso per il lavoro sulla spada, poteva anche essere sufficiente per una piccola boccetta di profumo, al limite ci avrebbe aggiunto il resto "Che tipo di profumo?"

"Chiedi al farmacista, quello che va di moda"

André annuì. Almeno ora aveva un'idea.

 

Trascorse un altro giorno, alla residenza Jarjayes era tarda mattinata. Il generale e la moglie sedevano in salotto, in una delle rarissime occasioni in cui si ritrovavano assieme nello stesso momento e nello stesso luogo. 

"Sono dieci pretendenti, tutti appartenenti a famiglie nobili di prestigio, e tutti hanno espresso interesse nella tua persona, Oscarlène" il generale mise tra le mani della figlia dieci ritratti abbozzati ma abbastanza verosimili.

La giovane bionda si voltò e fece ondeggiare il lungo vestito verde, camminando lentamente intorno alla stanza, cosa che il padre disapprovava vederle fare. Osservava attentamente uno per uno i volti "Questo lo conosco" sollevò uno dei fogli "la scorsa sera, quando siamo stati a Versailles, mi ha fermata e mi ha detto che assomigliavo alla sua trisavola, e voleva mostrarmi il dipinto della donna per convincermene, invitandomi a casa sua. Non lo trovate inquietante?" continuò a camminare per la sala "Quest'altro qui potrebbe essere vostro fratello, padre, e quest'altro mio nonno… Ma, ci vedete bene ultimamente, padre?" 

"Non metterti a fare dello spirito!" l'uomo sbatté sul tavolo la tazzina dalla quale stava bevendo un tipo di caffè corretto, la moglie non fiatò.

"Se non facessi dello spirito, dovrei credere che avete considerato di dare in sposa a un matusa la vostra ultima figlia" lo guardò seria "aspettate" gli mostrò un altro foglio "questo qui invece è quello che è stato già sposato tre volte, lo conoscono tutti a corte, non ha mai avuto figli e ha sempre incolpato le mogli e poi ripudiate" gettò il resto dei fogli sul tavolo "sembra che nessuno di loro sia adatto a me, non sarà forse meglio che me lo scelga da sola?" mostrò un sorriso quando vide il viso contratto dell'uomo, fece un inchino lieve al padre e alla madre "Con permesso" se ne andò via.

"Torna subito qui!" la voce del padre la inseguì mentre lei sollevò il vestito e corse su per le scale a due a due, essere l'ultima della famiglia era un problema ora che era cresciuta. Le sorelle non c'erano più e l'attenzione del padre si era concentrata su di lei e sulla smania ossessiva di vederla sposata entro l'anno, perché proprio sul finire dell'anno avrebbe compiuto ventuno primavere. "Che onta non essere sposati a ventun anni!" disse davanti allo specchio imitando la voce del padre, mentre disfaceva la complicata pettinatura "E quale ingratitudine! Dovrei gioire nel poter scegliere se sposare una cariatide o un libertino!" proseguì ridendo, si tolse il vestito e cercò i suoi abiti che indossava per cavalcare. Una volta cambiata, prese il nastro per i capelli e lo tenne fra i denti, li raccolse e li legò. Doveva incontrarsi con qualcuno ed era allegra all'idea di poter insegnare ciò che sapeva. Si calò dalla finestra, come aveva fatto innumerevoli volte quando non poteva farsi scorgere dai genitori o dalla servitù che poi, anche se la vedevano, facevano finta di nulla. Intanto che correva via, si trovò davanti un cavallo nero che si impennò, riuscì a evitarlo per miracolo.

"Stai attenta! Dove scappi con questa foga, ragazzina?" un uomo scese dal cavallo in fretta, per sincerarsi che stesse bene, un tipo con una folta barba bionda e capelli di pari colore ma con diverse ciocche bianche. Un tipo di mezza età insomma.

"Mi dispiace, signore, vado di fretta!" Oscar si tirò indietro, quando l'uomo le si avvicinò, gli fece capire che stava bene. Poi tornò a correre nella direzione che sapeva.

Il conte lasciò il cavallo a uno dei servi e si fece annunciare. Il generale era ancora in salotto e batteva una mano sul tavolo, proprio sopra i ritratti che aveva abbandonato la figlia. "Le sto dando la possibilità di scegliere, è così che mi ripaga!" alle altre figlie aveva messo davanti i futuri mariti senza che potessero fiatare, la sua ultima era una privilegiata, faceva quel che le pareva tutto il giorno, spariva e tornava anche tardi, cavalcava e sconfinava le sue terre, era diventata ingestibile. Doveva intervenire in qualche modo.

"Signore, c'è il conte Renaud" il maggiordomo si inchinò.

"Fatelo accomodare" il generale disse alla moglie di lasciarlo solo. La donna si ritirò senza farselo ripetere.

Oscar Renaud era rimasto quello che era sempre stato, un giocatore incallito, un marito infedele e un uomo con un buon fiuto per gli affari; da poco aveva rilevato una fonderia di cacao. "Buongiorno, vecchio mio" il generale detestava essere definito vecchio e l'altro si divertiva a chiamarlo così di proposito. 

"Che vi serve, conte?" gli fece cenno di sedersi.

"Per far visita a un vecchio amico non devo avere una ragione particolare, vi pare?"

"Non ci vediamo da un mese e sono anni che non venite in questa casa, dovete avere delle ragioni particolari per aver fatto un tale sforzo"

Il conte sorrise "Quanto siete malizioso" dopo una piccola pausa, riprese "ultimamente sono stato lontano dalla Francia per delle ragioni fruttuose" accarezzò la barba "ma dov'è la piccola Oscar? Vorrei tanto rivedere la mia figlioccia" la ricordava poco più che bambina.

"Di sopra" ordinò al maggiordomo di chiamare la figlia "e quale altro motivo vi ha tenuto lontano da casa?"

"Per chiudere un accordo, avete sentito parlare dell'Africa, immagino"

"Non sono certo un ignorante bifolco" Jarjayes gli offrì del vino. Ma avrebbe giurato che si trattava di qualche accordo vantaggioso per il conte.

"Ebbene, laggiù si possono fare degli affari molto proficui con i nativi del posto" in quel momento scese di nuovo il maggiordomo, con aria molto imbarazzata riferì che la signorina non era in camera.

Il generale chiuse le labbra in una riga stretta e strinse il calice, non era la prima volta che si comportava così.

Il conte si mise a ridere "State a vedere che forse mi sono imbattuto in lei poco prima, al mio arrivo!" batté le mani "E se era lei, caspita se è cresciuta!" prese un sorso del vino "Ho un figlio della sua età, più o meno, potrebbe piacergli, che ne dite? Se la vostra non è già promessa possiamo farli incontrare"

Il generale fece una smorfia e un gesto stizzoso "Ha un carattere poco propenso ad ascoltare consigli e ordini paterni"

"Proprio come il mio" Renaud aveva un figlio sui venticinque, era un sottotenente dell'esercito reale, aveva rifiutato tutte le aspiranti mogli che gli aveva presentato. "State a vedere che forse i due possono andare d'accordo, possiamo studiare un incontro casuale alla reggia, così, se non siamo noi a invogliarli, magari possono considerare di conoscersi"

"Vedremo" il generale si avvicinò al portone del palazzo, chiamò Pascal. L'uomo era invecchiato ma non aveva perso il suo atteggiamento arrogante né la postura stabile nel camminare, aveva solamente perduto il colore ai capelli, completamente. Uno dei suoi due uomini più fidati era venuto a mancare, al suo posto ce n'era uno molto più giovane. Non si spostava mai senza almeno due tirapiedi. "Cercate mia figlia Oscarléne e portatela qui da me, subito!"

Pascal si congedò dopo un inchino.

"Non ho mai capito perché avete storpiato il nome con quel suffisso così insensato" il conte gli era giunto alle spalle.

"È piuttosto ovvio, Oscar, voi sapete che non è un nome che si addice a una femmina"

"Se ricordate, io vi avevo avvisato a suo tempo" indossò il cappello che il maggiordomo gli aveva restituito in quel momento. Sghignazzò davanti al viso infastidito dell'amico. "Dovevate puntare il cavallo o usare una cambiale"

"Ormai"

"Già, ormai è fatta" il generale detestava quella smorfia compiaciuta che gli stava mostrando in quell'istante.

"Mi dovete dare la rivincita dall'ultima sera di un mese fa, ci vedremo al solito posto" gli rammentò il padrone di casa.

"Quando volete, ho molto tempo da dedicarvi, adesso" con un ultimo sorriso un po' troppo ironico, il conte oltrepassò la porta e al contempo gli disse di salutare Madame de Jarjayes, il generale non gliela faceva mai incontrare, era un'altra delle cose che poteva trovare molto divertente di quel suo vecchio amico, non fosse che lo innervosiva in misura maggiore.  

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Capitolo 5
*** La Lettera ***


Con la schiena contro il tronco, il tempo scorreva talmente lento che si stava stufando. Distese le gambe e le accavallò, forse quel plebeo non aveva un vero interesse nell'imparare a usare la spada, magari l'aveva detto tanto per dire, senza darci seguito. Oscar udì delle voci, balzò in piedi e si nascose dietro al grosso albero. Quello era Pascal. A suo parere, uno degli uomini più sgradevoli di cui si era circondato il padre. Una volta, da bambina, l'aveva visto uccidere un innocuo randagio a bastonate e, uno che era capace di quello, poteva fare qualsiasi cosa. Trattenne il fiato dietro all'albero e strinse forte le spade tra le mani. L'avesse vista sarebbe andato a spifferare del suo posto segreto. Ora che ci pensava, potrebbe comunque aver capito, la tavola di legno con cui si allenava era legata proprio lì e in bella mostra. Rifletté sull'ipotesi di cambiare posto nei giorni a venire. Aspettò ancora un po', quando si decise ad uscire da dietro l'albero udì di nuovo dei rumori, scricchiolii. Pascal che tornava indietro, immaginò, si sporse ma non c'era nessuno "Accidenti!" mormorò quando vide un ramo spostarsi e dietro apparire la figura del giovane bruno. "Ve la siete presa comoda"

André si tolse una foglia che gli si era incastrata tra i capelli "Per arrivare fin qui sono dovuto passare per una strada isolata" una scorciatoia che conosceva sin da bambino, consentiva di entrare nelle terre del padrone senza passare dalla via ufficiale. "Le vostre guardie mi avrebbero sparato a vista, ho corso un bel rischio"

Oscar gli lanciò una delle spade "Non sono le mie guardie e sì, avete ragione, la prossima volta, se ci sarà, ci vedremo su un campo neutrale" 

André prese un bel respiro e si mise in guardia. Oscar scosse la testa "No, non ci siamo" gli fece piegare il ginocchio della gamba parallela al braccio che impugnava la spada, il braccio opposto un po' sollevato per l'equilibrio e lo slancio. "Schiena dritta, leggermente di profilo. Sembrate uno accasciato sotto una botte di vino!" quando fu soddisfatta si spostò e lo guardò da più lontano "Meglio, e adesso ricordatevi questa posizione, imparatela a memoria" si dispose vicino a lui, di fianco e si mise anch'ella in posizione, spada sollevata e puntata alla tavola "affondi base" disse mostrandogli colpi elementari. Come aveva osservato fare al padre, le varie volte in cui aveva assistito alle lezioni che riservava agli allievi nella reggia, quando le capitava di passeggiare nei dintorni. Al padre piaceva vantarsi davanti alle figlie e non solo.

"Come vado?" André si girò verso di lei dopo una dozzina di tentativi.

"Avete una buona presa, siete andato sempre a bersaglio, ma siete lento" gli disse di ripetere la serie, quando terminò, insisté ancora nel far ripetere la serie e poi ancora da capo. Quando fu stanco da non poter più tenere la spada dritta, crollò seduto vicino l'albero. L'aria di primavera faceva già sudare.

La bionda si sedette poco lontano da lui, sempre contro quel grosso tronco. André sentì un profumo, come floreale, chissà se poteva chiederle il nome o di che tipo fosse, poteva essere un buon regalo per Anne. Un attimo dopo decise che non era il caso. "Scusate, Oscar, siete mai stata a Parigi?"

"Spesso" rispose l'altra, ma da quando le sorelle si erano tutte sposate riusciva a muoversi poco ufficialmente, solo con i genitori.

"Allora forse siete passata vicino la bottega in cui lavoro, si trova in una piazzetta, la prima che viene dinanzi arrivando in città dal vostro palazzo"

"Temo di no, quando vengo a Parigi non ho neanche il tempo di fare dieci passi da sola che mio padre si precipita ad afferrarmi per tirarmi via, come se avessi ancora dieci anni" sorrise sconsolata.

"Vostro padre non sa come ve la cavate con la spada?"

"Dio ce ne scampi!"  

André poggiò la testa sul tronco "Mi piacerebbe sapere perché vi siete avvicinata alle ar-" Oscar gli tappò la bocca con la mano. Arrivava qualcuno.

"Deve essere Pascal. Dobbiamo spostarci da qui" sussurrò lei, poi si alzò e con la spada tagliò la corda che reggeva la grossa tavola, che cadde sul terreno. Lasciò la spada infilzata a terra e prese la tavola a due mani, André l'afferrò dall'altra parte e incurvò le labbra davanti la faccia sorpresa dall'altra "Che c'è?" la bionda scrollò le spalle. Insieme la lanciarono nella boscaglia più irta. 

Il tempo di raccogliere le spade, André la prese per mano d'istinto "Seguitemi, la scorciatoia ci porterà fuori!" la sua mano callosa stringeva quella dell'altra ed era una strana sensazione, la sentiva forte nella sua, una mano che aveva altresì maneggiato armi ma in maniera diversa. Dove il bruno si era limitato a riparare e ricostruire, la bionda aveva adoperato quegli strumenti per il fine ultimo per cui erano nati. Quella mano nella sua era come l'impugnatura che stava cercando da sempre. Si morse la lingua per zittire quei vaneggiamenti. La ragazza era una sua nemica, sentì come avvampare la mano, la lasciò. Lei non fece una piega. Continuarono a spostarsi rapidi fino ad arrivare vicino i confini della tenuta. Soltanto lì, Oscar si fermò. Quando lui ormai era al sicuro.

"Scusatemi, è vero, voi dovete tornare indietro" André si grattò i capelli. Poi si guardò la mano e come se si vergognasse la nascose dietro la schiena. 

"Come fate a conoscere questa strada?" domandò lei incuriosita.

"Per caso, l'ho scoperta vendendo da voi" le consegnò la spada che aveva adoperato fino ad allora.

Lei gli disse di tenerla e che la prossima volta si sarebbero incontrati proprio lì dove si trovavano adesso, all'inizio di quella che lui chiamava scorciatoia. Tra due giorni, stessa ora. Si avvicinò e gli prese la mano che il bruno nascondeva, la strinse e la scuoté come a firmare un patto, poi gli sorrise "Continuate a esercitarvi, André"

Il giovane si inchinò di un poco e ricambiò con un fiacco sorriso. E così Pascal spadroneggiava ancora su quelle terre, scioccamente aveva creduto fosse stato assegnato ad altre mansioni più consone a uno della sua età. D'altro canto però era una buona cosa, pensò, era più facile vendicarsi, un individuo che meritava la sua ira ancora di più del padrone.

 

Hortense era la primogenita del generale, di lui aveva preso una caratteristica, indossava sempre una parrucca. Si distingueva così dalle sorelle, con quei capelli bianchissimi e voluminosi che le arrivavano quasi a mezza schiena. E quando camminava, sempre e solo a piccoli passi; elegante e raffinata come la madre e decisa e testarda come la stessa sorellina minore, che era la sua preferita. "Oscarléne" ed era anche l'unica, tra tutte le altre sorelle, a chiamarla con il nome che le aveva dato il padre per esteso.

Oscar si voltò da dove era chinata. "Sorella" un sorriso fugace, poi e tornò a fissare la lapide che aveva di fronte. C'era scritto: Marron Glacé Gradiér.

"Mi avevano detto che eri qui, non capisco però…" si avvicinò lentamente facendo attenzione a non infilarsi in qualche buco, il terreno era un po' dissestato.

"La manutenzione è scarsa, nostro padre è molto distratto di recente" la più giovane si alzò in piedi, e scrollò la terra dai calzoni. Aveva posato un piccolo mazzo di fiori sulla tomba.

"Ti ricordi di lei? Eri così piccola quando venne accomiatata" la sorella la prese sottobraccio.

"Ricordo i suoi abbracci" Oscar condusse la sorella lontano da quel luogo silenzioso. Camminarono a lungo, era una mattinata piacevole, non ancora troppo calda. Uno dei braccianti le salutò quando passarono di fianco al granaio. Oscar ricambiò il saluto "Come sta vostro figlio, passata la febbre?"

"Sì, madamigella. Vi ringrazio" l'uomo si tolse il cappello di paglia e si inchinò, e così rimase finché le due non proseguirono oltre.

"Nostro padre vuole che ti sposi, perché non l'accontenti?" iniziò a dire Hortense.

"Mi ci vedi sposata?" 

“Che t'importa, prenditene uno, anche se vecchio, chiudi la faccenda. Guarda me, ci passano venticinque anni con Alphonse. Non mi è infedele, non dormiamo neppure più assieme ma è un buon padre per i nostri due bambini"

"Ho capito, ti ha mandato lui per convincermi" sospirò.

"Sì, è vero. Però io sono tua sorella maggiore, mi preoccupo. Ti vedo troppo desiderosa di libertà, e noi donne, seppur nobili, la libertà dobbiamo conquistarcela entro piccoli spazi"

"Non io, Hortense, non io" strinse i denti e alzò gli occhi al cielo.

"Lo so, ti conosco. Ma, ti prego, non sfidare nostro padre" la camminata proseguì, lentamente, fino al ritorno alla residenza, e nient'altro venne detto.

 

La piccola chiesa era abbastanza affollata di domenica. André aspettava la fine della funzione, quando capitava fosse lì quel giorno specifico; era l'anniversario della nascita del padre e non mancava di portargli almeno un fiore. Il piccolo cimitero era stato ampliato in quegli ultimi undici anni, c'erano più tombe. Il prete gli andò vicino. "Perché non entri mai in chiesa?"

"Quel che voglio fare non piacerà a Dio, quindi preferisco tenermi fuori da casa sua" si alzò da dove era inginocchiato.

"Perché, invece di farti corrompere dalla rabbia, non pensi al tuo futuro?" il prete tentò di guardarlo ma il giovane si girò "Tuo padre avrebbe-"

"No, vi prego, non proseguite. Mio padre voleva solo campare in pace e due persone gliel'hanno impedito. L'hanno massacrato senza che avesse fatto nulla, senza neppure ascoltarlo!" si voltò e aveva gli occhi lucidi "Giuro su Dio che non mi fermerò finché non avrà avuto giustizia! E la mia di giustizia!"

"E quale sarebbe la tua giustizia? Ucciderli?"

"Ucciderli non basta, padre, devo escogitare qualcosa per farli soffrire fino all'ultimo respiro" strofinò gli occhi e prese la direzione della gradinata.

"E poi, quando saranno morti, che farai? Come ti sentirai?" il prete lo seguì "Credi ti farà stare meglio?!"

"Ne sono sicuro. Se agli onesti non ci pensa nessuno, e neppure Dio, si devono arrangiare da soli"

"Figliolo, Dio non amministra la vita degli uomini come fossero burattini, ci può solo indicare la direzione con un segno, un imprevisto, una sensazione, un dubbio… Ma decidiamo sempre noi come agire"

"Lasciate perdere le prediche, padre, non servono a niente con me, è solo tempo perso" distanziandosi, scese la gradinata in gran fretta.

Tornò in città e si ricordò del regalo che mancava, cioè il suo. Il giorno successivo sarebbe stato il compleanno della donna che considerava come una madre.

 

La mattina seguente, non appena si svegliò, André uscì di casa. Il laboratorio del farmacista non era tanto lontano dalla loro bottega, il bruno lo trovò facilmente. Entrò e dovette attendere tre persone prima di lui, quando l'ultima di queste uscì, rimase da solo con il proprietario. L'uomo lo squadrò intanto che lui si era avvicinato allo scaffale dove vi erano profumi e saponette "Qual è quello che piace di più alle donne?" domandò indicando la sequela di boccette dalle forme variegate e dai colori differenti.

Il farmacista si accarezzò i baffi e poi annuì "Ho capito, dovete fare un regalo" gli si avvicinò, quel giovane non sembrava uno molto facoltoso o che potesse disporre di una grossa cifra in denaro. Pareva un semplice popolano. Suppose che non era il caso di andare vicino agli oggetti più costosi "Ci sono anche delle ottime saponette profumate la cui essenza dura fino all'ultima bollicina, non come certe altre che vendono taluni, che dopo un paio di volte che vengono usate odorano di niente" prese una manciata di saponette rotonde e gliele porse.

"Non cerco sapone" André afferrò una boccetta e subito il farmacista gliela sfilò dalle mani.

"Fate attenzione, se cadono esplodono, sono boccette molto delicate" la rimise a posto "volete un profumo alla moda?" ne sollevò delicatamente uno di pochi millilitri "questo è arrivato anche a Versailles, di recente molte nobildonne lo adoperano, è al bergamotto, un agrume"

"Lo so cos'è" André incrociò le braccia, il farmacista stappò il piccolo boccettino e glielo fece annusare appena "No, troppo forte, qualcosa di più delicato ce l'avete?"

"Alla rosa? All'essenza di fresco? Una colonia floreale?"

"La colonia, fatemi sentire quella" il farmacista lisciò ancora i baffi e poi stappò un'altra boccetta con del liquido trasparente. André annuì, era proprio quella della figlia di quel dannato bastardo di un generale. "Va bene questa"

"Sappiate però che non va affatto di moda" comunque non era tra le più care, il farmacista pensò che avesse intuito quale scegliere per non spendere troppo. 

"Me la incarti come si deve" chiese André, ignorandolo.

"Cosa che faccio sempre, giovanotto" irritato, l'uomo portò la boccetta sul bancone. André intanto si era fermato accanto un'altra vetrina, con altre piccole fiale di vari colori.

"Cosa sono questi?"

"Veleni"

"E a che servono?"

"Che domanda sciocca, per uccidere delle bestie a quattro o anche a due zampe" l'uomo sperò che avesse capito, perché non sarebbe sceso nei particolari. Se poteva venderli era solamente perché in molti li utilizzavano come ratticidi o anche per eliminare lupi, donnole e cani selvatici. All'occorrenza, alcuni di quelli potevano stendere anche un orso, se ci fossero stati nei paraggi.

André si domandava se il generale avesse sentito la mancanza della figlia, se ci avesse sofferto nel caso che la ragazza fosse morta. Scacciò via quel pensiero. Aveva in mente dell'altro per danneggiarlo. Voleva vederlo in ginocchio, prima di mandarlo all'inferno. "Mi serve anche dell'alcol puro, cinque bottiglie"

"Che ci dovete fare?"

"Mi servono per la forgia" rispose André.

"E in che modo si usano nella forgia?" l'uomo era curioso.

"Non c'è tempo per mettermi a spiegare il modo, ce l'avete o no?"

"Vado a controllare" rispose ancora più seccato di prima.

Quando il giovane bruno uscì dal laboratorio, aveva un sacco di tela con quattro bottiglie d'alcol, la quinta l'uomo non l'aveva trovata, e un piccolo incarto elegante con la sua boccetta di profumo. Nel momento in cui rientrò a casa, vide Cédric che portava in tavola una specie di grossa zuppiera. Pierre si era occupato della cucina e la bottega era rimasta chiusa quel giorno. Anne non se ne stava a girarsi i pollici neppure quando capitava una ricorrenza che la riguardava, era andata a fare la spesa quella mattina presto e il marito dovette discutere animatamente per sostituirla nella cucina. Alla fine non aveva trovato un vestito adatto da comprarle in sostituzione del vecchio, quindi aveva deciso che quello era il suo regalo, così le disse. Anne si fece una bella risata, però aveva apprezzato lo sforzo della ricerca di un regalo che le piacesse.

André non aveva dei ricordi nitidi della madre, non ne ricordava il sorriso né la risata, né quando si adirava e strillava con il padre, non ne ricordava il viso e neppure il timbro di voce. Tutto quello che sapeva di lei era ciò che gli aveva raccontato il padre. Vedere Anne e Cédric abbracciati, la sola persona da cui il ragazzo biondo si faceva toccare, gli smosse un misto di malinconia e una punta d'invidia. "Cucchiaini perfetti!" la donna li osservò uno per uno, sapeva che il figlio era un tipo puntiglioso e desiderava che si esaminasse ogni piccolo dettaglio del suo lavoro. Stringeva la sua boccetta incartata e tutto d'un tratto cominciò a pensare che non fosse poi tanto adatta a una donna come Anne; quando lo avrebbe messo quel profumo? Durante il giorno lavorava in casa e quando usciva per compere non si improfumava di certo. Mylène era una ragazza, e gli aveva dato il suggerimento di una della sua età. La donna si avvicinò a lui, lo vedeva pensieroso. "Che c'è, André, quali conti non ti tornano?" gli disse scherzando.

Lui sorrise e le porse il suo regalo, ormai era lì e i profumi erano una di quelle cose che non si potevano conservare a lungo in boccette come quelle, studiate a posta per farli disperdere in fretta, almeno così aveva letto in un libro. 

Anne scartò il regalo e poi tirò fuori la piccola ampolla. In principio non capì cosa fosse, era un liquido incolore e senza alcuna etichetta, ma poi comprese. La stappò e ne prese una piccolissima goccia sul dito. "André…" lo guardò e si commosse. Chiuse la boccetta e l'abbracciò, forte, come aveva fatto con Cédric. Il ragazzo bruno versò una lacrima ma non si fece scorgere, la nascose strofinando una mano veloce sul viso. 

Il pranzo non era stato un granché, zuppa sciapa e carne bruciacchiata. Pierre in cucina era una sciagura, tuttavia la giornata trascorse serenamente, e quello bastò a rendere contenta la moglie. Intanto che André si occupava di ripulire la cucina dal disastroso Pierre, che fortunatamente ne era uscito per non farvi mai più ritorno, pensava che ora che era giunto il momento di agire, non poteva più restare con quella famiglia. Un errore l'aveva già commesso, aveva rivelato alla figlia del suo nemico dove abitava. Come uno stupido ragazzino adolescente che parlava troppo con le ragazze. Strinse forte il piatto candido nelle mani. Doveva andarsene, non ce l'avrebbe fatta a sopportare di veder soffrire a causa sua quelle tre persone che erano diventate la sua famiglia e a cui voleva un gran bene. 

Quello stesso pomeriggio, sul tardi, un uomo consegnò una lettera tra le mani di Pierre. Quando spiegò il foglio trovò poche righe. Se lo portò dietro fin dentro la bottega, dove accese una candela e si mise seduto. Suo cugino Théo era morto. Gli aveva scritto la figlia e gli faceva sapere anche dove l'avevano sepolto.

André fece caso alla luce nella bottega ed entrò con prudenza. Quel giorno dovevano essere chiusi e poi l'ora era tarda. "Sei tu, ragazzo?" l'uomo lo guardò triste "Ti ricordi quando arrivasti qui?"

Il giovane si sedette vicino a lui.

Gli mostrò la lettera, il vecchio custode che lavorava alla tenuta dei Jarjayes era morto da qualche giorno. Cosa particolare, non aveva voluto che lo seppellissero dove c'era il vecchio cimitero riservato alle famiglie dei lavoranti. Aveva scelto una piccola chiesa. 

"La lettera dice che la figlia di Théo ha lasciato una cosa per te al prete, da parte del padre. E dice anche che tu dovresti conoscere di che chiesa si tratta" raccontò Pierre, nella lettera si faceva menzione ad André solamente come l'apprendista giunto presso di lui anni prima. André non l'aveva mai più visto quell'uomo, dopo aver seppellito il padre era sparito dalla sua vita. 

 

Il giorno seguente, salì ancora una volta quella gradinata mentre il sole sorgeva piano dietro le sue spalle. Il prete, suo malgrado, era diventato l'ultimo legame rimasto tra la sua vecchia vita e la nuova. Si fermò davanti la tomba del padre, toccò la croce e sospirò, il suo fiore era ancora lì, in un bicchiere con acqua fresca. Più dietro, un salto di tre posti, c'era terra smossa di recente e ammucchiata davanti una lapide nuova, si avvicinò e lesse il nome. E così il custode si era fatto seppellire lì. Il camposanto di quella piccola chiesa, stava diventando piuttosto affollato. Qualche momento dopo si trovò davanti la sagrestia, si poteva accedere anche dall'esterno, c'era una porticina, a quell'ora il prete doveva trovarsi lì per la vestizione e per prepararsi alle funzioni mattutine. Bussò e attese. L'uomo aprì poco dopo, aveva indosso la sua solita tonaca. Quando lo vide, senza parlare, andò a prendere un'altra lettera, era avvolta a proteggere qualcosa all'interno. Gliela mise tra le mani e poi uscì fuori con lui. Il sole primaverile era piacevole dopo il fresco delle prime ore del mattino. Stava illuminando il retro della chiesa e quel campanile molto singolare, lievemente pendente in cima.

André aprì piano il foglio, una morsa gli serrò lo stomaco quando riconobbe gli occhiali della nonna. Li toccò appena, erano come li ricordava, piccoli, tondi e un po' graffiati. Deglutì, li ripose poi dentro la tasca interna della maglia che indossava. Anne cuciva tasche interne in tutti gli abiti, diceva che potevano sempre far comodo. Iniziò a leggere.

 

Pascal nasconde un segreto. Se ti giunge questa lettera e non la mia persona, vuol dire che non l'ho scoperto prima di andare all'altro mondo, oppure l'ho scoperto ma ci sono andato lo stesso per qualche ragione che non mi è riuscito di rimandare. Pascal conserva qualcosa nei suoi alloggi, ben nascosto, sono entrato due volte e non l'ho trovato ma lo so con assoluta certezza. A intuito ti dico che può essere usato a suo sfavore. 

Spero che ti sia trovato bene da Pierre.

E spero anche di non rivederti tanto presto.

Gli occhiali di tua nonna erano l'ultima cosa rimasta in quella che era la vostra casa. Li ho recuperati da sotto il letto prima che portassero tutto via. Non ci abita nessuno, nessuno ha voluto trasferirsi lì dopo la storia che si è sparsa e che conosci. Ora è vuota.

Buona fortuna, apprendista.

Théo

 

André accartocciò il foglio e lo appallottolò nel pugno. Se ne andò dopo un inchino lieve al prete, senza dirgli nulla. La lettera la diede da mangiare alla prima capra che incontrò, passando accanto a un recinto di ovini lungo la via, intanto che si recava a recuperare la spada. Era uno di quei giorni in cui doveva incontrare la sua nemica.

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Capitolo 6
*** Yves ***


"Di punta e parata, di taglio e parata!" Oscar gli mostrò i movimenti lentamente, poi incrociò la spada con lui e ripeterono in alternanza gli stessi colpi, prima a rilento, man mano più rapidi. I passi di André erano in equilibrio, osservò la ragazza, la postura tornava in posizione corretta dopo l'attacco e la difesa o viceversa. Andava bene, un moto di soddisfazione la fece fantasticare, poteva quasi soffiare il posto al padre come istruttrice degli allievi. In un'altra vita.

"Allenatevi con tutto, con le foglie che cadono, con un bersaglio grande come una mela e un altro che abbia una sagoma umana. Vibrate i colpi su oggetti rigidi e morbidi fino ad avere una maestranza tale da percepire la spada come se fosse… Avete mai giocato alla pallacorda?" infilzò una grossa bacca nel cespuglio più prossimo e la fece schizzare lontano scuotendo la spada.

"No, non mi pare"

"Non importa… Ricordatevi sempre, una lama si sfodera per proteggere qualcuno o qualcosa, non per attaccare senza distinzioni" lo guardò un momento negli occhi sperando avesse afferrato il concetto.

"E tutto questo l'avete imparato solo osservando gli altri?" André trafisse il terreno con la spada per riprendere fiato.

"Non proprio" la bionda andò a sedersi e gli disse di raggiungerla, c'era una bella vista sulla collinetta dove si erano fermati. "A Parigi, quando il crepuscolo si spegne, si scova un bel po' di gente disponibile per far pratica"

"Vale a dire?" il bruno non capiva, soprattutto non capiva quando diceva sul serio e quando lo prendeva in giro "mi avevate detto di avere sempre vostro padre alle calcagna"

"Nelle uscite ufficiali, sì. Nelle altre invece sono libera come l'aria" le suddette uscite non ufficiali erano quelle dove si camuffava con un lungo mantello e proteggeva anche il viso. "La libertà, André, va presa e preservata con le proprie forze, non si può aspettare che altri ce la concedano"

E così l'ultima delle figlie del padrone era insofferente alla vita aristocratica, e sapeva molto bene cosa voleva. Lui ridacchiò e intrecciò le mani dietro la testa, sdraiandosi sull'erba "Fatemi indovinare, vi siete così appassionata alla spada per essere libera?"

"Chissà… Due delle mie sorelle cantano molto bene, un'altra sa declamare poesie divinamente" disse Oscar "la spada mi ha attirato sin da bambina. Non vi è mai capitato di vedere una cosa per la prima volta e di pensare che vi si addice alla perfezione?"

"Sì, mi è capitato" la osservò mentre era distratta a seguire la linea d'orizzonte oltre la collina. Prima che lei lo vedesse girò la testa immediatamente e chiuse gli occhi. "Fate attenzione però, Parigi non è un luogo piacevole per una signora, dopo una certa ora, anche se sapete difendervi bene"

"Lo so, uno più forte lo si trova sempre, e io lo sto cercando da tempo" rispose l'altra sorridendo.

"Non ci scherzate su queste cose" André aprì un occhio e la guardò. Ma in fondo a lui cosa importava di ciò che accadeva alla figlia di quell'uomo maledetto? Avrebbe voluto tagliarsi la lingua.

"Non sono presuntuosa, so bene quando arriva il momento di non andare oltre" si sdraiò vicino a lui e i capelli neri e biondi si sovrapposero. La coda della ragazza era lunga ma anche i suoi bruni erano cresciuti parecchio, avrebbe dovuto legarli prima o poi.

"Come ve la cavate a correre, André?" si alzò e gli tese la mano.

Lui l'afferrò al volo senza pensarci un attimo "Me la cavo" nella stretta provò di nuovo quella sensazione particolare e la lasciò subitamente. Notò l'espressione perplessa sul volto della ragazza e tentò di mascherare con una scusa "Voi siete molto veloce con la spada ma io corro più forte di voi!" raccolse l'arma da terra e iniziò a muoversi giù per la collina, doveva distanziarsi, starle vicino lo turbava. Prese a correre come inseguito da una bestia famelica.

"Vi siete preso un bel vantaggio, imbroglione!" la bionda sorrise e gli corse dietro ma non fu capace di raggiungerlo. André toccò la vecchia staccionata che aveva aiutato a costruire suo padre e delimitava i campi coltivati dal resto del podere. Con il fiatone l'accarezzò veloce. Un momento successivo giunse anche l'altra e ci appoggiò la schiena. "Correte veloce…" prese un lungo respiro per rallentare i battiti.

"Tutta questione di natura… Però mi sorprende molto che siate arrivata appena uno sputo dopo di me" non voleva diventare triste di colpo, staccò gli occhi dalla staccionata. 

Lei si fece una risata "Lo ammetto, siete veloce a correre"

André si sedette spalle alla staccionata, era quasi ora di pranzo, non potevano restare fuori ancora a lungo. "Oscar, avete mai sentito la mancanza di qualcosa, nonostante siate una nobile?"

La ragazza guardò il cielo terso e si soffermò a pensarci pochi istanti "Un fratello" si girò verso di lui "voi?"

"Una sorella" rise, Oscar lo colpì in modo scherzoso con lo stivale, si stava prendendo gioco di lei, forse. "Ma più di una sorella, avrei voluto i miei genitori più a lungo con me e anche mia nonna" si alzò e le disse che doveva andare, senza permettere alla conversazione di proseguire. "Non posso assentarmi molto dalla bottega, altrimenti trovo arretrati di lavoro che mi durano fino a notte fonda" la salutò sorridendo e corse via. La bionda restò dov'era e lo seguì finché gli occhi poterono, si era alzato un po' di vento ma era piacevole.

André si morse le labbra e sentì dolore. Si maledisse per quanto fosse incapace di governare le emozioni. Si muoveva veloce intanto che si allontanava dai confini della tenuta. Rivide il ronzino dove l'aveva lasciato qualche ora prima, non era un cavallo che poteva attirare dei ladri. Però gli faceva sempre piacere ritrovarlo, ci era affezionato. Legò la spada al fianco dell'animale e salì in groppa. Era convinto che prima terminavano quelle lezioni e meglio era.

 

In città, un posto come un altro per distarsi veniva indicato in quella taverna che aveva una bella visuale sulla Senna. D'estate brulicava di zanzare ma fino al principio della primavera ci si poteva stare anche fino a tardi. André conosceva il proprietario dopo le tante volte che ci si era fermato. Spesso faceva compagnia ad alcuni soldati della guardia nazionale, aveva conosciuto un certo Alain, uno sbruffoncello con il vizio di attaccar briga dopo aver bevuto un paio di bicchieri. Invece che tornare alla bottega, André deviò lì, aveva fame e non gli andava di infastidire Anne, visto anche che aveva fatto tardi.

"Perché stai sempre qui a buttare quei quattro soldi che ti danno?" gli parlò il soldato dopo un sorso di birra che gli scolò sopra la divisa.

"Secondo me, la mia paga è migliore della tua" replicò André.

"Allora offrimi da bere!" gli circondò le spalle con un braccio.

André aveva del pollo fritto nel piatto davanti a sé, gliene offrì una coscia "Questa è l'unica cosa che ti posso offrire"

"Spilorcio!"

"Dovresti mettere anche tu qualcosa da parte, per quando sarai vecchio" disse André mentre prendeva quell'ultima coscia, Alain gliela tirò dalle mani.

"Questa è mia! Me l'hai offerta! Tirchio!" gli diede un morso.

"Non mi piace sprecare soldi, tutto qui" afferrò un bicchiere d'acqua.

"Neppure una birra? Taccagno proprio!"

"Hai finito?"

"No! Sei proprio un pidocchioso!" gli posò davanti una giara con metà della birra che stava bevendo "Tieni, strozzati!"

André rise. "Alla tua!" sollevò allegro la giara "Se a quest'ora sei già ubriaco, mi domando come fai a lavorare nell'esercito"

"Ehi, lo vedi quello là?" gli indicò un tipo in divisa con i baffi che stava tracannando del vino, e la bottiglia sul tavolo era tre quarti vuota "Quello è il mio comandante!" colpì André con uno schiaffo dietro la schiena e scoppiò a ridere. "E sai come si chiama?"

Un collega di Alain rise assieme a lui "Aspetta, glielo dico io!" si picchiò sulle ginocchia dal ridere e quando si calmò gli sussurrò all'orecchio "Lacoupe!"

André scosse il capo credendo fosse uno stupido gioco tra loro "Uomo di poca fede!" chiamò il comandante e questo si voltò dopo aver sentito il suo nome per due volte, Alain gli fece il saluto militare, l'ufficiale si alzò in piedi e barcollando ricambiò il saluto. Il resto del primo pomeriggio se ne andò veloce. Quando rincasò alla bottega, trovò effettivamente una cesta di arnesi metallici da affilare, tra cui alcune forbici che gli avrebbero portato via parecchio tempo. Si domandava quanto ancora poteva rimanere in quella casa. Aveva in mente un piano e avrebbe iniziato ad agire prima della fine dell'estate, e per allora sarebbe dovuto andare via. 

Si chiedeva anche che tipo di segreto nascondesse Pascal. "Per scoprirlo devo far ritorno nella terra di quel dannato Jarjayes" parlottò fra sé e contemporaneamente passava una lama sulla pietra della molatrice; il piano originale si incastrava bene anche con la ricerca di quel segreto, aveva chiaro in mente come fare ma doveva aspettare ancora. La fretta avrebbe rovinato ogni cosa e non poteva permetterselo.

 

Quella sera, la strada davanti l'ingresso della reggia vedeva continuamente scorrere carrozze. Per una che se ne andava un'altra ne arrivava. Un susseguirsi di nobili salì la piccola scalinata per accedere alla grande sala dove si sarebbe tenuto uno dei più grandi eventi mondani di quella stagione. Oscar Renaud aveva faticato a convincere il figlio a presenziare, l'aveva letteralmente tirato per un braccio per farlo salire in carrozza, e una volta arrivati alla reggia fu costretto a seguire il padre per non fare una pessima figura. Un giovane di bella presenza, con i capelli castani abbastanza lunghi e trattenuti in una piccola coda. "Eccoci qua, siete soddisfatto?" indicò il salone con il mento "Le solite ammucchiate di nobili che passano il tempo a trastullarsi senza fare niente di utile per la società"

"Yves, i nobili sono la società. Senza di noi esiste solo la noia e l'inerzia di un vivere sempre uguale" e poi aggiunse che non era vero che non facessero mai niente di utile, lui era un imprenditore di successo e procurava lavoro a molte persone. 

"Questo lo dite voi, se la nobiltà, se la corona esigesse tributi onesti dai cittadini vedremmo imprese e attività fiorire ogni giorno"

"Non ti ho fatto venire qui per parlare di politica, questa sera dobbiamo solo divertirci"

"Voi vi divertite tutte le sere, padre"

Il conte rise "Ma stasera ci sei anche tu, e ce la spasseremo insieme" lo prese per il braccio e lo tirò dove c'era maggiore aggregazione di persone. Si fermò solo quando vide il generale Jarjayes, con la moglie e l'ultima figlia. "Guarda un po' chi abbiamo stasera, quel mio amico a cui non piace mai perdere però si ostina sempre a giocare" uno sguardo su Madame Jarjayes, sollevò un calice dal vassoio che sosteneva il cameriere lì vicino e lo bevve tutto insieme. Poi fissò il generale, burbero e contrariato come sempre; e infine la ragione per cui era lì, la giovane ribelle.

Yves osservò nella sua direzione e vide a chi si riferiva. Gli occhi andarono sulla ragazza bionda con una complessa pettinatura e dalla bellezza rara che pur non ostentata veniva fuori di prepotenza.

"E ha portato anche la figlia, guarda che aria fiera che si dà, testa alta e postura sicura come fosse quasi un soldato, deve avere un caratteraccio insopportabile" quasi gli venne da ridere ma si trattenne "e non ha neppure un ventaglio, che pessima educazione devono averle impartito"

"Padre, se il vostro amico vi sta così poco simpatico perché intrattenere rapporti con lui?" chiese, senza distogliere i suoi occhi verdi di dosso alla ragazza. "Forse la figlia non è una donna così civetta o sguaiata da dover usare un ventaglio per comunicare quel che non potrebbe dire a viso aperto" 

"Il ventaglio è un accessorio che non deve mancare, fosse anche muta. Io la trovo una giovane un po' troppo fuori dall'ordinario" Renaud si schiarì la voce e prese un altro calice dal vassoio che il cameriere reggeva accanto a loro.

"Contenetevi, padre!" Yves alzò una mano e bloccò quella del vecchio Renaud per fargli posare il calice, non ci riuscì.

"Quante storie, reggo l'alcol molto meglio che cinque minuti in presenza di tua madre!"  

Come se avesse percepito che stavano parlando di lei, Oscar si girò a guardarli e Yves divenne rosso quando i loro occhi s'incrociarono brevemente. Si spostò poco dopo, il vestito le dava ingombro e quando qualcuno le si avvicinava troppo cercava di guadagnare altro spazio. Il ventaglio c'era stato in principio, le era caduto da qualche parte e non aveva certo voglia di cercarlo tra i piedi degli altri invitati.

"E, ditemi padre, conoscete il suo nome?"

Il conte dovette nascondere la smorfia divertita con un piccolo fazzoletto che usò per asciugarsi le labbra "Non lo ricordo bene, mi pare che somigli al mio. Il padre ha anche una pessima fantasia nello storpiare i nomi. Ma che lo chiedi a fare poi, non è lei il tipo di ragazza che dovresti frequentare… Guarda piuttosto la baronessa Floriane, lei sì che è il modello di moglie adatta a te che sembri uno che ha dimenticato dalla nascita come ci si diverte" gli indicò una giovane che stava seduta in un angolo a sventagliarsi, rideva da quando erano entrati e potevano sentirla sovrastare anche le note dell'orchestra. Quando il figlio si spostò verso i Jarjayes, il conte si appoggiò spalle alla colonna e sorrise largamente, afferrò un altro calice.

Yves si avvicinò alla bionda. Vide però che il padre di lei la stava allontanando. Si fermò e attese in disparte, ma adesso aveva ridotto la distanza rispetto a dove ella si trovava.

 

"Che succede, padre?" Oscar si era vista scansare, un tocco deciso dietro la schiena da parte del generale. 

"Non mi piace che quel tipo ti si avvicini" le fece un cenno ma non le disse di girarsi "il cascamorto insipido che ti ha adocchiato, il figlio di Renaud" pur senza conoscerlo, immaginava che non fosse tanto diverso dal suo vecchio che sapeva rendersi davvero indigesto anche lontano dal tavolo da gioco. Inoltre non aveva il desiderio di portare avanti a lungo quel sotterfugio che giudicava infantile.

La figlia aveva solo un vago ricordo del conte Renaud, quando gliel'avevano presentato era ancora una bambina ma, seguendo la direzione in cui guardava il generale, riconobbe l'uomo vicino la colonna, l'aveva visto pochi giorni prima alla residenza. Dopo intravide di nuovo il figlio, che si voltò di scatto quando lei lo guardò. La fece sorridere. Pareva più imbarazzato di lei ogni volta che il padre la obbligava a salutare quello che era un candidato papabile a diventare suo marito. "Capisco, guardatemi le spalle voi, padre, io vado a prendere un po' d'aria. Con permesso" e sorridendo ironica imboccò la direzione che dava sulla grande terrazza, sul tetto. 

Durante quei balli non accadeva mai niente di interessante, l'unica cosa che poteva far scalpore erano i pettegolezzi e gli scandali. Una noia infinita. Oscar si sporse oltre la balaustra, era una serata primaverile fresca. 

"Mia signora, vi dispiace se me ne resto anche io un po' qui?" per allentare la tensione giocherellava con una vecchia moneta di rame tra le dita.

Si voltò e riconobbe il tipo che il padre doveva tenerle alla larga "Certo che no, signore"

Yves le rimase molti passi distante, poggiò i gomiti sulla fredda pietra e si sporse anche lui, c'era una sottile brezza e qualche nuvola in cielo che si spostava frettolosa sopra le luci della reggia.

Dì qualcosa, dì qualcosa, si ripeteva lui a mente fintanto che rigirava le mani una nell'altra "È bello il silenzio, non trovate?" e subito si pentì della frase stupida che aveva pronunciato.

"Perdonatemi, voi siete?"

"Chiedo scusa per non essermi presentato subito" Yves si girò a guardarla e si staccò dalla balaustra "Yves Renaud" le fece un inchino.

Un nome breve e con omessi appellativi, pensò Oscar sorpresa, si presentò a sua volta e cercò di essere altrettanto sintetica. "Sapete, Yves, ho la sensazione che i nostri genitori stiano tentando maldestramente di farci conoscere senza darlo a vedere"

Yves sorrise, era di nuovo arrossito. Che vergogna, questa sua timidezza che non lo abbandonava mai neppure alla sua età. "Può darsi, mia signora" il padre non gli aveva mai parlato in modo così aspro di una nobildonna, prima di quella sera, tanto che sembrava proprio fatto intenzionalmente. "Mio padre muore dalla voglia di combinarmi un matrimonio, e forse sta cercando nuove strategie visto che le vecchie non hanno funzionato" tornò a guardare al di là del parapetto. 

"Vi capisco, assolutamente" ma lei alla fine avrebbe dovuto cedere, non sapeva per quanto ancora il generale avrebbe tollerato i suoi rifiuti. 

"Data la situazione, mi domandavo, mia signora, se aveste qualcuno, si insomma, qualcuno che abbia già catturato il vostro interesse" 

La bionda sollevò lo sguardo oltre la reggia, qualcuno le passò per la testa senza neppure stare a pensarci, ma era qualcuno di incompatibile con il suo status sociale. A chi era andata a pensare poi, un allievo restava un allievo e un insegnante un insegnante, rimestare e confondere i ruoli sarebbe stato azzardato. "Nessuno di reale. Voi avete qualcuno di speciale?"

Yves era talmente rosso che non si voltò "Nessuno…" deglutì e non si girò, niente al mondo gli avrebbe fatto incrociare di nuovo quel viso in quel momento, poteva imbarazzarsi ancora di più e fare solo pessime figure. Le mani sudate gli fecero scivolare la moneta che cadde giù dalla terrazza, e non poté farci niente; si sporse di poco e imprecò a mente.

Le faceva un po' tenerezza quel tipo, lei non era una persona che amava mettere in difficoltà gli altri, quindi tagliò lì e non parlò più. Il silenzio era davvero una buona cosa certe volte. Faceva cogliere ciò che non si sentiva nel chiasso, anche da così distanti. Nella grande sala da ballo qualcuno grido forte. Yves si staccò dalla balaustra e si piazzò davanti alla bionda, come a difenderla, non aveva né la sua spada né la sua divisa, non gli era mai piaciuto mostrarsi in abiti militari durante i balli a corte, però poteva proteggerla comunque.

"Andiamo a vedere che succede?" suggerì Oscar. Yves annuì, non l'avrebbe lasciata sola, né lì fuori né all'interno. Prima che potessero muovere un passo, il generale Jarjayes si precipitò alla terrazza.

"Venite, vostro padre sta male!" si rivolse al giovane.

Yves scese di corsa in sala e trovò l'uomo disteso in terra, violaceo, occhi sbarrati. Non c'erano ferite. Si inginocchiò vicino a lui e una mano tremante cercò le pulsazioni sul collo. Era morto.

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Capitolo 7
*** Ultimi preparativi ***


"Veleno" sussurrò Oscar, voleva avvicinarsi per essere d'aiuto in qualche modo ma il padre la trattenne.

"Non ti accostare a loro!" il generale la condusse lontano da Yves che stava muovendo le mani sui vestiti del padre come se volesse svegliarlo, senza rendersi conto di ciò che faceva.

"Padre, un momento, non possiamo abbandonarli così!"

"Se ne occuperanno le guardie di palazzo!" la tirò verso l'uscita, dove diversi altri li stavano anticipando. Chiamò anche la moglie che stava tenendo sott'occhio, era più distante, si sorreggeva a una colonna ed era pallida da sembrare svenire da un momento all'altro. "Smettila di contraddirmi e andiamocene!" comunque si mettessero le cose, non gli andava per niente di restare in quella sala in cui tutti sapevano che erano amici, chi poteva escludere che chi gli aveva causato la morte non prendesse di mira anche egli stesso o la sua famiglia; questo disse alla figlia.

L'uomo attese che il defluire verso l'uscita si sfoltisse e poi seguì la moglie, che incedeva poco più avanti, scossa e tremante. Oscar strattonò il braccio dalla presa del padre e camminò verso la carrozza. Quando faceva il generale, sia pure con la moglie e le figlie, non c'era modo di fargli cambiare idea. Quella sera il ballo terminò in modo disastroso, la regina e il re videro tutti gli ospiti fuggire. Strada facendo verso la sua tenuta, il generale fece mente locale sugli affari in corso di cui sapeva del suo appena defunto amico e al fatto che giocasse di continuo come se non subisse mai perdite. Non aveva che qualche barlume di memoria del padre del conte, anche lui era stato un amante del gioco d'azzardo, tanto che una volta era arrivato a scommettere la vita, ma gli era andata male. La rendita che aveva Renaud derivava esclusivamente dalle sue attività lavorative perché dal padre aveva ereditato solo debiti, il vecchio conte era scomparso decenni prima e pareva non essere mai stato baciato dalla stessa fortuna che circondava il figlio, almeno fino a quella sera. Decise che nei giorni successivi al funerale avrebbe fatto in modo di incontrarsi con Yves.

Uno dei medici di corte aveva esaminato il cadavere. Niente tracce di ferite, e dal colorito del viso, pieno di capillari viola in superficie, suppose che l'ipotesi dell'avvelenamento era la più plausibile. Pareva avesse smesso di respirare di colpo, una paralisi indotta. Accanto all'uomo c'era un calice in frantumi, doveva essergli caduto dalle mani. Yves sedeva sul pavimento e guardava il padre, scioccato non diceva una parola. "Sottotenente" udì la brusca voce del suo comandante. Si alzò in piedi e assunse una posizione sull'attenti, lo fece di puro carattere poiché aveva solo voglia di vomitare in quel momento.  "Renaud, vostro padre aveva dei nemici?" domandò il comandante che aveva circa la stessa età del padre.

"Molti…" Yves non ne conosceva gli affari nei dettagli ma sapeva per certo che aveva rovinato tante, troppe persone al gioco. Era talmente abile che poteva vincere una mano dopo l'altra per tutta una serata, in differenti tipologie di scommesse. Come se attirasse la fortuna con la sola sicurezza di essere certo di vincere.

Il comandante si grattò la discreta barba "Qualcuno in particolare tra i nobili?"

"Molti, comandante" tornò a dire, la voce fiacca spiegò poi che il padre frequentava casinò e taverne indifferentemente. Lì dove si giocava e dove poteva divertirsi, si fermava. E aveva anche la pessima abitudine di sedurre le mogli altrui, la madre ne aveva sofferto molto i primi anni, poi si era come assuefatta alle sue abitudini, neppure lo considerava più un marito, si evitavano da anni. E lui, che era l'ultimo figlio, era rimasto ferito molto più dei suoi due fratelli. Faceva prima a elencare gli amici che i nemici. "Mio padre aveva a che fare con molta gente, continuamente" 

"Ho capito" gli posò una mano sulla spalla "cominceremo dalla servitù che si occupava del servizio in sala. Con il fuggi fuggi che c'è stato il colpevole si sarà certamente messo in salvo per tempo" 

Yves annuì e tornò a guardare il cadavere del padre che veniva composto e sistemato su una lettiga. I sovrani gli avevano temporaneamente accordato la cripta che si trovava nei sotterranei, finché non fosse giunta una carrozza a portarlo via, e si sperava avvenisse entro l'indomani.

 

Da quel giorno ne trascorsero molti altri, finché sopraggiunse il principio dell'estate. L'ennesimo posto diverso dove avevano scelto di incontrarsi era diventato il luogo di uno scontro reale dopo settimane di addestramento. André si difendeva e attaccava in modo più che soddisfacente, poteva tener testa alla maggior parte delle persone che la bionda aveva affrontato fino ad allora. "Siete molto migliorato, André. Deduco che vi siete allenato anche da solo, molto bene"

"Ancora non riesco a battervi però…" si asciugò il sudore dalla fronte.

"Non ci sperate troppo" lei gli fece un sorriso furbo.

"Staremo a vedere"

"Intanto continuate ad allenarvi, non si sa mai, potreste vibrare un colpo impossibile da parare prima o poi" scherzò Oscar. Andò a sedersi vicino a un piccolo ruscello che scendeva come secondario da un fiumiciattolo immissario nella Senna. Si bagnò il viso e si sdraiò.  

André immerse una mano nell'acqua con il palmo verso l'alto, l'osservava scorrere limpida e lenta. Si girò a guardare il viso della ragazza che se ne stava sull'erba a occhi chiusi. Quel ruscello gli avrebbe fatto comodo, più tardi. Da lì, la tenuta si vedeva bene nel suo insieme, era vivace come ogni giorno lo era stata anche nei suoi ricordi di bambino. "Oscar, posso farvi una domanda?"

"Chiedete"

"Perché vi siete spesa così tanto a insegnarmi la spada?"

La bionda aprì gli occhi e si mise seduta, le dita accarezzavano l'erba "Non lo so. Uno vede qualcuno che ha bisogno di una mano, e l'aiuta"

André abbassò la testa "Sono tutti come voi i Jarjayes?"

"Non potremmo essere più diversi" sorrise "ma credo che in ciascuno di noi si possano trovare delle doti, e vale anche per voi" ogni tanto lo vedeva mutare espressione in un istante. Avrebbe voluto chiedere, ora come nei giorni passati assieme, ma non lo faceva mai, aveva il presentimento che non le avrebbe detto la verità. Nascondeva qualcosa che lo tormentava e lei avrebbe voluto sapere di cosa si trattava. C'era nell'aria come la sensazione che quella sarebbe stata l'ultima volta che si fossero incontrati, e il pensiero le avvitò lo stomaco. Di tanto in tanto, il bruno la guardava in silenzio e pareva che lo stesso identico timore gli attraversava la mente. Non c'era più motivo di vedersi se ormai aveva imparato a difendersi decentemente, giusto? Un popolano non poteva frequentare la nobiltà, neppure sostargli vicino, tantomeno una nobildonna. Erano stati fortunati per tutte le volte che nessuno della tenuta aveva fatto caso a loro. Anche se Oscar sapeva bene che buona parte della servitù aveva in lei una stima profonda, e non l'avrebbero tradita neppure l'avessero vista. E non poteva metterci la mano sul fuoco che non fosse già accaduto.

"André…"

"No, per favore, non ditemi nulla, ho capito" le porse la spada che gli aveva prestato per tutto quel tempo.

"Che avete capito?" gli disse che poteva tenerla, era sua ormai.

"Lo so, lo so che non possiamo più…" André era nervoso, spostava il peso da una gamba all'altra, la sua nemica gli aveva scavato l'anima e l'aveva occupata di forza. Ora si sentiva togliere l'aria dal petto, perché non poteva più starle vicino, sfiorarle la mano con una scusa o l'altra, o ancora vederla ridere per qualsiasi scemenza o gioco facessero insieme. Ed era proprio il momento opportuno, per ciò che si doveva compiere da lì a breve. "Siete la prima persona che ammiro e rispetto, tra i nobili" e probabilmente l'ultima, pensò. Si allontanò di qualche passo.

"Aspettate, André…" strinse i pugni, come poteva dirlo per non farlo sembrare inopportuno "Se mi dovesse capitare di tornare a Parigi, cercherò la vostra bottega, ve lo prometto" 

André annuì, si inchinò con sincera devozione. Certo che non l'avrebbe più trovato da Pierre nel prossimo futuro. Quella sera stessa avrebbe parlato con l'uomo per allontanarsi dalla famiglia; non dovevano avere alcun legame con lui fin quando non avesse portato a termine il piano. Se ne andò rapido, non voleva che lei vedesse quelle lacrime che gli bagnavano il viso ma, se si fosse girato anche solo una volta, avrebbe scorto le stesse lacrime negli occhi della ragazza bionda che, immobile, lo accompagnavano mentre se ne andava tra l'erba folta.

 

"E dove vuoi andare?!" Pierre fece saltare il martello per aria quando André gli disse che voleva andarsene per un po' "Quanto tempo ti ci vuole?"

"Non lo so, il tempo necessario. Ma tornerò"

"E nel frattempo chi manda avanti le commissioni?"

"Assumete qualcun'altro, provvisoriamente" suggerì, intanto che infilava alcuni abiti in una grossa sacca che subito dopo appese a tracolla.

"Quanto la fai semplice, tu!" dove lo trovava uno abile e che fosse disponibile subito "Che ti è successo, perché hai preso questa decisione?"

"Un vecchio problema da risolvere, me lo sto trascinando dietro da quando arrivai qui. Devo chiudere un conto aperto"

Pierre non gli credette. Era un bambino quando era arrivato, che problema poteva mai avere di irrisolto, forse si era messo nei guai e stava cercando di levarsi di torno. "Se hai fatto qualcosa, se ti serve aiuto, dimmelo"

"Non ho fatto nulla" ancora, pensò "non temete, nessuno verrà a cercarmi e a chiedere di conto a voi" forse la ragazza bionda poteva anche avventurarsi fin lì, si domandò se dovesse lasciar detto qualcosa o un biglietto. Poi si decise a non far nulla. Andò nella sua stanza e svuotò la piccola cassetta di tutte le monete, le fece scivolare in una scarsella che si legò al collo e poi infilò nella camicia. Andò a salutare Anne e le disse che partiva per un viaggio ma che sarebbe tornato. La donna l'abbracciò, si aspettava che un giorno o l'altro se ne sarebbe andato, l'aveva visto molte volte con la faccia di qualcuno che subiva un richiamo distante e che mai si era interrotto. 

"Fa attenzione, c'è tanta gente cattiva nel mondo"

André ricambiò l'abbraccio e le sorrise.

Cédric aveva sentito ma se ne era rimasto in disparte, quando André si avvicinò, lo guardò con i suoi grandi occhi castani, erano tristi e spaventati. "Ti ho fatto qualcosa?" sfregò i capelli con la mano. 

Il bruno avrebbe voluto stringerlo proprio come Anne ma rimase fermo "No, perché lo chiedi?"

"Te ne vai"

"Ho un vecchio, anzi, due vecchi nemici da abbattere" gli fece cenno con l'indice sulle labbra di non raccontarlo ai suoi "hanno fatto troppo male per restare impuniti"  

"Uomini cattivi?"

André annuì. 

"L'odio consuma le persone, mi ha detto papà una volta"

Non erano parole false, ma non poteva dirgli che l'odio era quello che gli aveva dato la forza di tirare avanti nei primi tempi successivi la perdita del padre e della nonna "Non preoccuparti, Cédric, il mio odio si estinguerà con loro"

 "Aspetta" lo vide svanire nella sua stanza. Dopo poco tornò e gli consegnò un oggetto, era una canna di legno, piccola e affusolata, completamente cava. "Contro i cattivi" Cédric gli fece cenno di soffiarci dentro. E allora André capì cosa fosse; una cerbottana, poteva tornargli utile.

"Grazie, fratello" lo guardò un'ultima volta e cercò di soffocare le lacrime mordendosi la lingua "Abbi cura di Anne e Pierre"

"Tu abbi cura di André" gli disse l'altro e lo vide rivolgergli un sorriso.

Uscì dalla casa poco dopo. Si affrettò in direzione della taverna sulla Senna.

 

Yves sedeva davanti al generale a palazzo Jarjayes. Due calici vuoti sul tavolino di mezzo tra le due sedie. Il soldato teneva stretto entrambi i braccioli della grossa sedia, come se dovesse aprirsi una voragine sotto ai piedi e dovesse cadere da un momento all'altro. Il generale guardava il tavolino e ogni tanto buttava un occhio verso le scale, poi di nuovo sul tavolino. C'era silenzio, era calato dopo l'ultima frase pronunciata dal generale al maggiordomo. Fate scendere Oscarlène. Da quel momento, la quiete apparente era durata parecchi minuti. Il sottotenente sentiva caldo e la divisa gli dava una sensazione di soffocamento. Avrebbe voluto uscire fuori di corsa. Perché l'uomo aveva chiamato la figlia? Lui era andato lì solo per rispondere a una cortesia; riferire le ultime informazioni sulle indagini che stavano conducendo sul padre e che ancora non avevano portato a nulla di concreto. Poteva essere stato uno qualunque della servitù a buttare del veleno proprio nella coppa che lui avrebbe preso, oppure avevano reso mortali tutte le coppe su un unico vassoio, per non correre rischi che la mancasse; un vassoio che non era stato ritrovato così come nessun altro era stato colpito oltre il padre. Colui o colei che aveva pagato il servo non aveva lasciato tracce. Li avevano interrogati tutti e nessuno pareva consapevole, oppure il colpevole recitava in modo straordinario, così bene da non contraddirsi, così cinico da ripetere la stessa storia senza passi falsi. Quasi da far sembrare che fossero tutti ignari. A ogni modo, il re li aveva licenziati tutti, ne avevano assunti di nuovi e nessuno di questi era collegato da nessuna parentela con i precedenti. 

Muoveva una gamba nervosamente, e stava sul punto di chiedere al generale di non disturbare la figlia, forse era impegnata in altro. Alzò gli occhi sulle scale quando udì il lieve suono di tacchi scendere. La giovane bionda posò gli occhi prima sul padre, poi li spostò sul giovane che arrossì istantaneamente. Come niente fosse, proseguì a scendere fin quando non fu vicino a loro, il vestito bianco frusciò ancora un attimo e poi si fermò mentre lei porgeva un saluto rapido "Padre, Conte Renaud"

Yves si alzò in piedi e si inchinò, anche troppo.

"Alla buon'ora!" il generale le disse di sedersi.

"Chiedo perdono, padre" si accomodò "ero in procinto di scendere ma proprio nel momento in cui stavo uscendo dalla stanza, proprio quando stavo lasciando la maniglia, mi sono accorta di aver dimenticato questo" mostrò un ventaglio e incurvò un po' le labbra. Il padre crucciò la fronte, quella sua ultima figlia perdeva ventagli continuamente. 

"Non mi interessa dove fossi e che stavi facendo, ascolta cosa ho da dirti piuttosto" il generale si alzò allora in piedi "il conte è qui per chiedere la tua mano"

Il sottotenente divenne tanto rosso da avvertirlo senza uno specchio, gli bruciava il viso e avrebbe voluto sotterrarsi. Non aveva mai avanzato nessuna richiesta del genere. Gli occhi spaventati e imbarazzati si posarono sulla ragazza come a volersi scusare. Oscar gli sorrise e gli rivolse uno sguardo complice, a voler dire di non preoccuparsi, conosceva bene suo padre. Quando trovava persone malleabili di carattere, se così si poteva dire, calcava la mano nel prendersi confidenza e mostrarsi autoritario, soprattutto se molto più giovani di lui. Ora che il padre del sottotenente era mancato, quasi come ne fosse egemone, si stava intromettendo nella sua vita in maniera inaccettabile per ambedue i giovani che lo ascoltavano blaterare di data per il matrimonio e obblighi che avevano entrambi verso le loro famiglie.

Oscar annuiva mentre l'uomo parlava e allo stesso tempo serrava con forza le dita intono al ventaglio. Su quella terza sedia, un po' più distante dalle altre due e che occupava con tutto il suo vestito sfarzoso. Yves si rifiutava di guardarla in viso, sempre arrossito e a disagio. Probabilmente avrebbe voluto andarsene via alla svelta da quel palazzo e non rimetterci più piede, almeno quello era ciò che sarebbe passato a lei per la testa, a parti invertite. "Va bene, padre, ma ne possiamo discutere un'altra volta? Ho un tremendo mal di testa" si alzò dalla sedia e ignorò il volto iracondo dell'uomo "Yves, cortesemente, mi accompagnereste a prendere un po' d'aria fresca?"

Il sottotenente non se lo fece ripetere, era scattato di nuovo in piedi e la precedette verso l'uscita della sala. Dopo un saluto al generale, sull'attenti, fece strada alla figlia. E appena l'aria tiepida del tardo pomeriggio lo investì ne prese una bella boccata. 

"Vi chiedo perdono a nome suo" iniziò lei scuotendo i capelli che scivolavano fuori dalla sua elaborata acconciatura "certe volte non si rende conto di oltrepassare perfino quel che si può definire decenza"

"Non importa, mia signora" Yves deglutì e le camminò due passi dietro.

"Ciononostante, non fate caso a ciò che ha detto. Presto si concentrerà su qualcun altro che gli susciterà maggior interesse e si dimenticherà di voi"

Lui sorrise. Dì qualcosa, dì qualcosa, dannazione! "Io, io non ci sarei riuscito"

"Lo so, voi siete una persona a modo, non avreste messo in difficoltà nessun altro che conoscete appena" rispose lei.

Non era quello che lui intendeva, ciò che voleva dire era che a chiederle la mano così all'improvviso, egli stesso non ne sarebbe stato capace, ma lo desiderava. Non voleva lo giudicasse come qualcuno che non teneva in considerazione i sentimenti degli altri, delle donne in particolare, e decidere ogni cosa solo con il padre. Tuttavia avrebbe gioito se, invece di reagire così garbatamente, avesse assecondato la proposta.

"Voi non assomigliate molto a vostro padre, è così?" domandò lei inclinando la testa all'indietro.

"Neppure voi al vostro" replicò l'altro.

"Vi spiace camminare al mio fianco? Mi verrà male al collo altrimenti" riuscì a far ridere anche lui, che pareva una corda tesa. Eppure non era mai stata quel genere di persona da mettere in soggezione gli altri.

Yves le offrì il braccio e lei accettò. "Io sono cresciuto, direi obbligato, a non assomigliare a mio padre. Mia madre non voleva che ne prendessi le cattive abitudini" e supponeva che la ragazza conoscesse quali fossero, era famoso per i suoi vizi. E la carriera militare era stata la scelta migliore per allontanarsi da lui, già da ragazzino.

"Ho capito, con il mio invece ho da spartire solo una cosa…" salutò uno dei domestici che passò loro di fianco.

"Buonasera, madamigella" replicò l'uomo piegandosi in avanti con l'aiuto di un bastone. 

Yves salutò a sua volta "Pochi lo fanno" meravigliato allargò il suo sorriso "rivolgersi alla gente comune" proseguì.

"Io e voi siamo tra quei pochi" strizzò un occhio e lo fece arrossire di nuovo.

"Quando mi avete detto che non avevate nessuno di reale, che intendevate? Avete un ideale di uomo?" il sottotenente trovò un guizzo di audacia e cambiò argomento.

"No, non ho un ideale" eppure qualcuno lo era diventato, così per caso e un po' per volta, tanto che ormai pareva un pensiero reale, immaginarsi insieme in un quadro futuro. André era già presenza fissa nella sua vita. Anche se si distraeva, capitava inevitabilmente quell'occasione in cui la mente si liberava e andava a cercare il volto del bruno e il suo modo quasi rabbioso di imparare a tirare di spada, così determinato che le aveva fatto crescere il desiderio di insegnargli. "L'irreale a cui mi riferisco, è quello che si scontra con la società come oggi la conosciamo…"

Yves perse il sorriso e cominciò a comprendere che forse la porta del cuore della ragazza era già chiusa. Dentro c'era qualcun altro. Comunque, valutò che non era un sentimento che la rendeva felice. Scese il silenzio tra i due e perdurò fino al termine della passeggiata.

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Capitolo 8
*** Innesco ***


"Ho cancellato il marchio con uno scalpello, non ti preoccupare!" strillò Alain mentre gli mostrava due armi da fuoco che aveva rubato dalle casse dell'armeria. "Mi avevi chiesto gli ultimi modelli, eccoli" erano due pistole a pietra focaia "te le ho caricate, palla e polvere sono già in canna ma se ti servono altri colpi ti spiego come si fa"

"No, mi bastano due tiri singoli" André ne afferrò una, sembrava solida e una volta impugnata si era come concretizzato nella mente ciò che stava per fare. Alla fine non se la sentiva di usare la spada, era come se infangasse ciò che la bionda gli aveva insegnato, rivoltandoglielo contro.

"Allora, devi solo abbassare il cane per caricarla, e stai attento, il grilletto è sensibile" gli disse di tenerle in quella posizione orizzontale, a riposo, e verticale quando stava per usarle. Erano in una scatola di legno e riparate da pagliericcio che le nascondeva, se si apriva la scatola senza cercare a fondo non si vedevano. "Hai una buona mira?"

"Non mi serve la mira per la distanza da cui voglio sparare. Ce li avrò davanti agli occhi e a uno sputo dai piedi" strinse i denti e fissò le due armi.

Alain si grattò dietro un orecchio "In cosa ti sei cacciato esattamente? Contro chi ti devi battere?"

"Niente che ti possa interessare, cose vecchie e personali" chiuse la scatola e prese un pugno dei risparmi che aveva portato con sé, gli lasciò undici monete d'oro "per il rischio, così puoi ricomprarle e metterle a posto in futuro"

Alain rise "Non penso proprio di poterle sostituire con altre, senza marchio" ma non lo avrebbe fatto comunque, quelle monete avrebbero sfamato tutta la sua famiglia perlomeno per qualche mese. Anche se un po' gli dispiaceva portargliele via, ma i tempi erano quelli che erano. "Sai, comincio a pensare che è vero che hai una paga migliore della mia. Che mestiere fai?"

"Mi sono licenziato" André sollevò una mano per salutarlo e lo lasciò lì, senza continuare il discorso. Era il tramonto, si fermò a osservare le correnti della Senna. Ci tirò un sasso e non sortì alcun effetto, come se le acque l'avessero ignorato, proseguivano a scorrere sempre nella stessa direzione, senza increspature. Avrebbe voluto essere come quel fiume. Perdonami, padre, se non li ho messi da parte per la terra ma, il macigno è pesante e non lo sopporto più... 

C'era un piccolo fienile abbandonato appena fuori la periferia di Parigi, l'aveva scoperto per caso qualche mese prima, quando era di ritorno da uno dei suoi primi incontri con Oscar. Quando pensava alla ragazza con il sorriso contagioso e i capelli scintillanti lo sconforto per quello che voleva fare lo travolgeva. L'avrebbe odiato a morte. Due lacrime rabbiose gli sfuggirono dagli occhi quando si lasciò cadere su un mucchio di paglia ammuffita. Lì sotto ci nascondeva le quattro bottiglie d'alcol e la spada. Non c'erano alternative, ripeté tra sé. Se ricordava bene, gli alloggi delle guardie si trovavano vicino al palazzo. Pascal doveva avere lì la sua dimora. Théo non gli aveva lasciato indicazioni particolari quindi presunse che nulla fosse cambiato dall'ultima volta, di quando da ragazzino poteva girare quelle terre liberamente. Erano anche gli alloggi da cui la nonna e il padre gli dicevano sempre di stare alla larga, e dire questo a un bambino significava accendergli una curiosità tale da fissargli bene in testa il luogo. Lui ci era andato abbastanza vicino da entrarci una volta, nonostante le raccomandazioni. Le guardie che aveva incontrato nella tenuta dei Jarjayes trattavano come insetti insignificanti tutti gli altri che vi lavoravano. Sembravano essere proprio l'ideale di cui amava circondarsi il generale, a sua difesa e di ciò che gli apparteneva. Venivano tutti dal popolo ma, appena concedeva loro un po' di potere da esercitare senza ripercussioni, fosse pur simile a quello di un gallo dentro un piccolo pollaio, e purché non scavalcasse mai l'ordine gerarchico, li aveva fatti suoi servi fedeli. E Pascal rappresentava lo stampo d'eccellenza del generale, da usare come riferimento. 

Afferrò le quattro bottiglie e le infilò in una sacca di tela dall'intessitura molto stretta. La luce era quasi calata del tutto. Doveva aspettare solo un altro po'. Il clima era mite e umido ma a quell'ora della notte il fresco si sentiva ancora. Si era fatto buio da molto tempo quando si decise a uscire dal fienile. Non avvertì paura nel momento che imboccò la via che portava alla tenuta, neppure rabbia, doveva chiudere una questione che non si poteva più rimandare. Quella era la sensazione. Di essere arrivato al termine di una lunga strada che aveva percorso per undici anni. In ogni caso, era solo alla prima parte del piano, le pistole le aveva lasciate al fienile. Se tutto andava come sperava, non gli sarebbero servite quella sera. Portò solamente la spada e la sacca. Arrivò presso il ruscello, quello che aveva veduto durante l'ultima lezione di spada. Mise a tacere la mente che tornava a ricordargli che dopo quello che stava per fare non sarebbe più potuto tornare indietro, l'avrebbe perduta per sempre, qualsiasi cosa fossero l'uno per l'altra. 

Lasciò il sacco e la spada sul greto del torrente e si immerse completamente; rabbrividì sul momento ma rimase sdraiato in quel mezzo metro d'acqua finché non si abituò alla temperatura, poi uscì e fece gocciolare i vestiti. Durante la notte c'erano un paio di guardie che facevano la ronda ma non si spingevano oltre le case abitate e la residenza dei padroni o altre zone strategiche, ovverosia i depositi e i granai, che in quel periodo dell'anno dovevano essere pressoché vuoti. Ma i campi erano deserti, e le spighe alte gli arrivavano fino a poco sotto la vita. Ricordava che da bambino si divertiva ad accarezzarle in verso contrario finché gli grattavano la pelle. Una volta la nonna gli raccontò una vecchia leggenda germanica sulle spighe di grano. Anticamente gli steli erano colmi di chicchi da cima fino a terra; un giorno, una donna passò per i campi e strappò un paio di quelle lunghe e ricche spighe per pulire il vestitino del figlio che si era sporcato di fango. In quel momento giunse anche il dio della natura, vide e divenuto furioso disse che, poiché gli uomini lo sprecavano, gli steli non avrebbero più dato nessun chicco di grano. Gli esseri umani allora iniziarono a supplicarlo, senza grano molti non avrebbero avuto di che sfamarsi e sarebbero morti di fame anche parecchi animali, a cominciare dalle galline e dai polli che non avevano alcuna colpa. Allora il dio si impietosì e, ascoltando le loro preghiere, prese una spiga e la ripulì di tutti i chicchi tranne un ciuffetto in alto, esattamente così come era da tutti conosciuta al presente. Tanto gliene sarebbe bastato e tanto meno ne avrebbero sprecato.

"Mi spiace, caro dio della natura, stanotte dovrò farti un gran torto" mormorò André. Posò la sacca in terra e la svuotò in mezzo al campo. Mise la cerbottana di Cédric nei calzoni e afferrò le quattro bottiglie. Stappò la prima e la svuotò nella sacca, non appena il liquido prese a gocciolare, la sollevò sopra la testa e la oscillò vigorosamente in senso circolare. Esattamente come aveva visto fare al padre anni fa, quando voleva asciugare in fretta le foglie di basilico da essiccare dopo averle lavate. Il liquido schizzò distante come una pioggia orizzontale e nell'aria si spanse un forte odore alcolico. Doveva essere veloce, si spostò per i campi principali e ripeté quel processo per altre tre volte. Quando ebbe finito, rapido si distanziò fino a raggiungere il perimetro esterno dei campi. Era buio, per accendere un fuoco si accovacciò accanto alle spighe e dopo qualche scintilla ottenne delle braci. Raccolse alcune di quelle braci dentro la cerbottana e soffiò con quanto fiato avesse, più volte. Una ventina di metri poté raggiungerli, vide accendersi qualche focolaio sparso, il vento seppur mitigato dall'umido avrebbe aiutato a invadere campo per campo. Non ne avrebbero mai capito l'origine, quel tipo di alcol puro si estingueva senza lasciare tracce. Alla prima fiammata che gli illuminò gli occhi, assimilò che non si tornava più indietro. A prescindere dal resto, sarebbe stato un bel danno per il padrone. Incurvò le labbra soddisfatto. Gli abiti bagnaticci per il momento contrastavano il calore, si avviò verso gli alloggi delle guardie. Il fuoco correva da parte a parte e avvolgeva anche dove l'alcol non era arrivato. Se qualcuno non fosse accorso a spegnerlo non avrebbe lasciato sopravvivere più niente di coltivato in quella tenuta. Quando udì il primo grido d'allarme, affrettò il passo. 

L'alloggio di Pascal era quello più vicino al palazzo e, se tutto era rimasto come allora, poteva raggiungerlo solamente tagliando per la boscaglia e doveva attraversare un lungo tratto senza copertura. Pensò che gli servisse un secchio da portarsi dietro per camuffarsi tra gli altri; secchi se ne trovavano sempre ovunque ma in quel momento non ne vedeva neppure uno. Doveva muoversi. Mentre tutti correvano nella direzione opposta, Pascal era rimasto a presidiare l'ingresso del palazzo. Quando André lo vide si nascose tra due facciate di abitazioni, ma non avrebbe potuto riconoscerlo, era cambiato molto al contrario della guardia, che era rimasta come ce l'aveva da sempre impressa a fuoco nella memoria. Fatta eccezione per i capelli imbiancati, e lo ricordava più alto. La mano si spostò sulla spada, aveva il desiderio impellente di infilzarlo proprio in quel momento ma si trattenne. Non era andato lì per quello. Però se non si spostava avrebbe dovuto camminargli davanti e sarebbe sembrato fuori luogo con un incendio in attivo. Avrebbe potuto chiedergli chi fosse, e parlare con lui era l'ultima delle cose che voleva fare. Le grida aumentarono, tutti i lavoranti stavano lasciando le case con le famiglie. André provò un improvviso senso di colpa, il fumo era denso e giungeva fino a lì. Però era arrivato per una ragione e non se ne sarebbe andato senza aver scoperto cosa nascondeva quel dannato Pascal. Lo osservò prendere un mastello e finalmente spostarsi. 

Avanzò di soppiatto, con le mani che faceva correre parete per parete, il bruno giunse alla porta della casa. Era chiusa ma non a chiave. La aprì ed entrò in silenzio. Dove poteva mai nascondere qualcosa a cui teneva, uno come Pascal? Era buio e non poteva accendere candele. Però poteva cercare lo stesso, riflessi abbaglianti di luce giungevano comunque dalle finestre. Aprì cassetti e li richiuse, iniziò a tastare il pavimento con i piedi che sembrava stesse pigiando l'uva per il vino "Non può aver copiato la nonna" mormorò, le assi erano usurate ma nessuna traballava, erano tutte inchiodate alla perfezione. Cambiò camera, trovò un solo letto e nessun abito femminile "Il dannato non si è sposato?" la casa era spoglia, c'era solo lo stretto necessario. Iniziò a pensare che Théo si fosse sbagliato; se davvero nascondeva qualcosa non era in quella casa. Non lasciò nessun cassetto senza aprirlo e trovò solo abiti smessi, minutaglia e oggetti di poco conto. Inoltre non aveva visto che pochi spiccioli, il che rafforzava la sua idea che là dentro non c'era niente da custodire di prezioso. Il vero nascondiglio doveva essere altrove, forse in una delle case degli altri scagnozzi. Non poteva saperlo senza andare a controllare e il tempo diminuiva. Le voci esterne erano un miscuglio di grida atterrite e ordini. L'odore acre di fumo era entrato anche in quella casa. Soprattutto dalla porta che era socchiusa, l'aveva lasciata così per tenersi pronta una via di fuga rapida.

Decise che era ora di andarsene, lasciò tutto più o meno come l'aveva trovato. Accostatosi alla finestra, guardò fuori e gli parve che non ci fosse nessuno davanti la porta. Mentre attraversava il breve corridoio che divideva le poche stanze notò un quadro appeso al muro, un dipinto solitario che sembrava fuori posto in quella casa. Era un dipinto piccolo, due braccia di larghezza per una di altezza. Lo staccò e tastò sul legno del tramezzo, bussò con le nocche, niente. Riprese il quadro per riporlo al suo posto ma toccandolo con le dita fece caso a un'altra cosa, non c'era polvere, invece ne aveva trovata quasi un dito sui mobili e anche sulle mensole della cucina. Trasportò il quadro vicino alla finestra, mostrava un cavallo in corsa su uno sfondo rupestre appena accennato. Girò il quadro e spostò i ganci, non appena li ebbe sollevati tutti e quattro il foglio di legno saltò come se fosse forzato.  Appoggiò la cornice sullo stomaco e infilò la mano per tirare fuori delle pagine piegate in due. Non c'era tempo per leggerle, le prese e richiuse la cornice. Sistemato il quadro al suo posto, si avvicinò alla porta e osservò fuori da uno spiraglio. 

 

"Tenete le finestre chiuse!" gridò il maggiordomo a tutti i servi dentro il palazzo. Oscar aveva lasciato la sua camera ed era corsa dai genitori, una volta che li aveva trovati in buona salute, era uscita sulle scale. Il padre la chiamò dicendole di tornare nella sua stanza, ma non lo ascoltò. "Madamigella, l'incendio si è esteso e faticano a contenerlo, non bisogna aprire nessuna imposta!" le disse.

La ragazza si strofinò i capelli sciolti, era in camicia da notte "Vado a vestirmi, così posso aiutare"

"No, mia signora, non uscite, vi prego!" il maggiordomo le spiegò che non erano le braccia che mancavano ma il tempo e l'acqua.

"Due braccia in più fanno sempre comodo, ci sono dei bambini là fuori, Dio non voglia che raggiunga le case!" tenne ferme le mani agitate del maggiordomo che la supplicavano di ascoltarlo. Corse poi in camera a cambiarsi. Poco tempo dopo scese le scale e si precipitò fuori. Avevano disposto dei sacchi di terra per impedire alle fiamme di propagarsi ma quello che stava funzionando davvero come tagliafuoco erano i granai in pietra. I campi li avevano abbandonati e ormai neppure provavano ad avvicinarsi, le spighe erano incenerite. Oscar stava spingendo le famiglie verso il palazzo "Andate, riparatevi all'interno, il fumo è mortale più velocemente delle fiamme!" alcuni bimbi piccoli si trovarono senza genitori, usciti all'improvviso per spegnere il fuoco. Ne afferrò un paio e li trasportò fino all'ingresso, dove fece aprire al maggiordomo "Fate entrare tutti!"

"E voi?"

"Dopo!" si voltò e urlò che nessuno restasse all'esterno della tenuta "Chiudete, Victor, e aprite solo se sentite bussare!" il maggiordomo la guardò preoccupato ma eseguì l'ordine. Il viso era sporco di fumo e gli occhi le bruciavano, osservò tutto intorno a sé, cominciò a fare il giro per vedere se c'era rimasto qualcuno. Si bloccò quando vide del movimento vicino agli alloggi delle guardie. Un uomo che correva, ma fuggiva dalla parte sbagliata.

"Non di là!" Oscar gli andò dietro "Fermatevi!"

André si voltò quando udì quella voce, erano a venti passi, non di più. I riflessi delle fiamme li circondavano. Vide sconcerto sul volto della bionda, le labbra si schiusero ma non uscì una sola parola. Agitò la testa, avrebbe voluto scomparire se ne avesse avuto il potere. Un passo indietro e la fissò. Mandò giù la saliva che sapeva di fumo. "Perdonami!" si voltò e corse.

"André!" la bionda protese un braccio ma non si mosse, lo guardava andarsene, fuggire, non per ripararsi dalle fiamme ma per allontanarsi da lei "ANDRÉ!"

Perché si era girato, pensò miseramente intanto che si addentrava nella boscaglia che circondava la residenza per giungere fino alla sua scorciatoia. Che errore sciocco aveva commesso alla fine. Gridò mentre correva. Salì in alto. Gli mancava il fiato quando, fermo su un'altura, si voltò. La tenuta bruciava. Aveva sentito piangere e urlare donne e bambini. Le mani si aggrapparono ai capelli e le lacrime cominciarono a inondare gli occhi. Lei non l'avrebbe perdonato e lui non doveva neppure chiederglielo. C'era gente innocente lì, che ne avrebbe pagato le conseguenze, aveva colpito i lupi e agnelli allo stesso tempo. Riprese a correre fino alla discesa. L'altura scomparve e coprì i bagliori della tenuta, avanzò incespicando sulla strada e vagò per ore. Poco prima dell'alba arrivò ai piedi di una gradinata familiare. Le gambe l'avevano portato lì. La chiesa era appena accarezzata dall'aurora. Scese sulle ginocchia e coprì il viso annerito con le mani. Lasciò cadere il sacco con le quattro bottiglie vuote che si era trascinato sulle spalle e abbandonò la spada. Portò un ginocchio sul primo gradino consumato, e poi l'altro lo raggiunse, salì il gradino successivo muovendosi sulle ginocchia e continuò, uno dopo l'altro "Chiedo perdono…" sussurrò prima di salire ancora un altro gradino "Perdonatemi…" le lacrime gli bagnavano il viso "Non volevo far male a innocenti, perdonatemi…" salì e salì ancora, fino all'ultimo. Quando raggiunse il livello del suolo, poggiò le mani e la fronte sul terreno e rimase così. E così lo trovò il prete, quando qualche tempo dopo uscì dalla canonica. 

"Figliolo, che ti è successo?" era sporco, in lacrime e non si alzava da quella posizione prostrata. Si avvicinò, e il giovane gli afferrò la tonaca "Padre, perdonatemi!"

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Capitolo 9
*** Ricadute ***


Era mattina da un pezzo. I fumi si sollevavano ancora dai campi diradati. Le fiamme si erano spente da sole perché non avevano trovato più nulla da divorare. I capelli biondi erano in parte appesantiti dal grigio cinereo e diversi ciuffi si erano incollati sul viso dal sudore, sfuggiti al nastro scuro che li legava. Un bambino di dieci anni le porse un otre d'acqua. Lei gli sorrise e poi bevve, gliela restituì rapida e il bambino corse da qualcun altro. Gli occhi arrossati dall'aria pesante guardavano la desolazione che la circondava. Il padre urlava ordini a Pascal, le case erano state invase dai fumi, tutte quante, ma nessuna era stata intaccata dalle fiamme. Un miracolo che non ci fossero state vittime, a parte un paio di persone intossicate stavano tutti bene e poche di loro ancora nel palazzo. Oscar si allontanò nei boschi intorno la tenuta, si fermò solo quando raggiunse quel grosso albero che portava ancora i segni della tavola che ci era stata legata per anni. Poggiò una mano sul tronco e una lacrima furiosa corse giù. Quando le urla rabbiose si placarono, strinse i denti e abbracciò l'albero poggiandoci la fronte. Picchiò un pugno sulla corteccia.  

I raccolti, andati, niente rendita per quell'anno, niente paga per i braccianti e niente sostentamento per quelle famiglie. Doveva trovare una soluzione, il padre non era un uomo munifico e altrettanto poco era empatico. Già esigeva che si dovevano colmare le perdite solamente di ciò che serviva a palazzo. Doveva trovare un modo per salvare le famiglie dal venire abbandonate ed essere costrette a cercare lavoro altrove, prima dell'autunno.

Più tardi, la residenza si svuotò degli ospiti inattesi che avevano suscitato la stizza del generale "Questa casa non è un ospitale!" aveva strillato alla figlia. Lei non lo aveva neppure guardato, era andata di corsa a lavarsi e poi, senza toccare cibo, era uscita, calandosi per la finestra. Abbigliata come era solita fare nelle sue sortite cosiddette non ufficiali. Mentre gli camminava vicino avvolta nel mantello, lesse la gratitudine negli occhi di un uomo e una donna che avevano passato la notte al sicuro, grazie a lei; aveva una ragione in più per darsi da fare. Un anno di paga per una quindicina di famiglie al massimo. Era una cifra grossa per chi come lei non aveva alcuna rendita e dipendeva dal padre per ogni spesa. Afferrò i guanti e si affrettò a prendere il suo cavallo. Vide Parigi quando il sole volgeva a ovest. Lasciò il cavallo a un abbeveratoio e pagò una moneta al guardiano. 

"Guarda un po' chi si rivede, l'ombra bionda" il vecchiardo sorrise. Alcuni la chiamavano così, dopo qualche tempo che aveva preso ad aggirarsi per le strade e i boschi per soppesare le sue abilità con la spada. Un mantello con un cappuccio così largo da coprirla fin sopra la bocca, lo sollevava solo mentre combatteva e inevitabilmente mostrava i capelli biondi legati da un nastro scuro. In quelle occasioni, c'era sempre una maschera a coprirle gli occhi.

"Oggi non sono qui per misurarmi con nessuno, sto cercando un uomo" il cappuccio del mantello rimase lì dov'era, tanto l'uomo la conosceva bene. 

"Chi?"

"Un armaiolo, si chiama André"

L'uomo esibì una smorfia "Mai sentito nominare" allora la ragazza glielo descrisse, poteva averle mentito sul nome. Il guardiano dovette deluderla ancora. "Non so proprio come aiutarti, ragazza" era uno dei pochi a conoscere la sua identità, per diretta ammissione della stessa. Una di quelle sere in cui era andata in cerca di qualcuno contro cui usare la spada rimase ferita e l'uomo, che non le era mai apparso come una minaccia, l'aiutò. Cosicché poté tornare al palazzo senza che nessuno sapesse mai della sua coscia sanguinante. 

"Non fa niente, lo troverò in qualche maniera"

"Che t'ha fatto?"

"Ha portato l'inferno nella mia vita" replicò lei con occhi incolleriti. Abbassò subito la testa e poi salutò, dicendogli che sarebbe tornata a riprendere il cavallo prima del tramonto. 

 

…la bottega in cui lavoro, si trova in una piazzetta, la prima che viene dinanzi arrivando in città dal vostro palazzo

 

Dal suo palazzo si arrivava sì in una piazzetta ma ormai non aveva più alcuna fiducia in quello che le aveva detto, non credeva neppure che fosse davvero un semplice armaiolo; per quanto ne sapeva poteva essere un malvivente che si era approfittato della sua buona fede. Eppure, quell'ultimo sguardo che le aveva rivolto, era parso sinceramente addolorato. Doveva sapere, doveva parlarci a tutti i costi. Non aveva voglia di girarsi tutte le botteghe nella piazza in pieno giorno. Non le rimaneva che chiedere a qualcheduno. L'armeria più vicina le dissero che si trovava alla fine della piazza, poco prima che si giungesse all'ultima strada trasversale a sinistra. "Ma è una piccola bottega, se cercate di sbrigarvela velocemente dovete andare a quella che sta attaccata al magistero" le fece cenno con un dito.

"Vi ringrazio" quella che stava cercando doveva essere proprio quel buco piccolo e angusto così come appariva dall'esterno. Usciva del fumo dalla fornace. "Salve" pronunciò non appena ci mise piede. Non aveva sollevato il cappuccio e doveva sembrare un individuo losco, ma le importava poco. C'era un giovane, biondo e riccio, la fissò e attese che chiedesse. "Sto cercando un tale di nome André, lavora qui?"

Il giovane scosse il capo senza parlare. Dietro di lui giunse Pierre, dietro la tenda massiccia che separava la fucina dallo stanzino che usavano per accogliere i clienti. "Non c'è nessun André, chi siete voi?" e usò un tono un po' brusco.

"Non ha importanza il nome" Oscar si guardò un po' attorno e poi si voltò in direzione della porta "se lo vedete, ditegli che l'insegnante di spada lo sta cercando"

Cédric si strofinò i capelli. Si stava incuriosendo di quella persona, somigliava a una famosa figura mitizzata che circolava in città.

"Che diamine state dicendo? Quale insegnante di spada?!" il padre scansò il figlio e inasprì ancora di più i toni. Chiunque fosse, non gli piaceva quella calma apparente che mostrava.

"Certo che vi scaldate molto, per qualcuno che non c'è neppure" sorrise sotto al cappuccio "rammentatevi le mie parole" uscì. Dalla veemenza dietro cui si era fatto scudo, suppose che quel tale sapesse esattamente chi stava cercando. Il dubbio che le rimaneva era che non ci sarebbe tornato tanto presto in quella bottega, se come immaginava si stava nascondendo. Non aveva idea se l'incendio l'avesse appiccato lui, un suo complice o se dietro quel perdonami che aveva pronunciato c'era dell'altro. Fatto stava che le era apparso come un atteggiamento colpevole.

Poteva essere scappato ovunque, cercarlo per tutte le strade era impossibile e neppure era detto che si trovasse ancora a Parigi. Rabbia, rabbia e ancora rabbia. Le gambe la riportarono dove aveva lasciato il cavallo. Si fermò quando udì dei passi avvicinarsi velocemente alle sue spalle. Girandosi vide una ragazzina che non le arrivava neppure alla spalla "Io lo conosco, va spesso alla chiesa quando non sta qua" le disse. Poi distese una mano con il palmo rivolto verso l'alto.

Oscar la invitò a seguirla, non aveva niente addosso, la ragazzina acconsentì. Quando arrivò al suo cavallo, il vecchio non c'era ma l'animale era ben fissato a una pertica. La bionda infilò le dita nella bisaccia e prese tre scudi d'argento, li posò tra le mani dell'altra. "Quale chiesa?"

"Quella che sta fuori Parigi" alzò un dito e puntò una direzione "ha il pinnacolo del campanile pendente da un lato, non vi potete sbagliare" la ragazzina sorrise "ciao, ombra bionda!" scappò via. 

"Accidenti!" montò in groppa, i capelli le sfuggivano anche da sotto al cappuccio. Di giorno non doveva più farsi vedere per un bel pezzo. Una chiesa fuori Parigi, come se ce ne fosse una soltanto, con tutto il campanile danneggiato non era cosa facile da trovare. Doveva chiedere a qualcuno, ancora.

 

André sedeva sull'ultimo gradino in alto della chiesa, gli occhi leggevano quei fogli che aveva preso nella casa di Pascal. Pagherò, cambiali con la sua firma e poi c'era un nome che non conosceva, lui non ne sapeva niente di nobili, ricevimenti o feste a Versailles. Un certo Conte Oscar M. Renaud. Strofinò l'indice sotto al naso e tirò su un respiro pesante. Aveva rubato delle copie di cambiali, e cosa poteva farci? Che gli importava quanti soldi doveva a quel tizio nobile, che portava lo stesso nome della donna che… Grattò i capelli ancora sporchi di cenere e ingoiò l'angoscia. Doveva restare lucido. Avrebbe voluto avere Théo lì accanto per rivolgergli qualche domanda. 

"Che ti affligge, figliolo?" il prete sollevò la tonaca e si sedette vicino a lui. "Perché non vuoi confessarti? Credo che tu ne abbia bisogno"

"Non saprei da dove cominciare…" come poteva ottenere il perdono? Lui per primo non riusciva a perdonarsi. André gli mostrò i fogli. "Non so cosa farci" strinse i pugni, aveva dato fuoco a tutta la tenuta per quelli, e in parte anche per nuocere al generale, e adesso era come avere solo aria tra le mani "Sono cambiali?"

Il prete crucciò tutte le rughe sulla fronte "Alcuni sono vecchi pagamenti già effettuati, non sono tutte cambiali, sono ricevute di debiti saldati, la cambiale è una sola" gliela mostrò, riportava una cifra enorme, per loro, diciannovemila lire (*) "ed è quella più recente" poi puntò un lungo dito magro su una delle ricevute "leggi, pagamento in quindici sacchi da dieci libbre, venti da quindici libbre… non ha mai saldato in danari. Solo in libbre di qualche bene primario" 

"Cosa dite?" André prese i fogli e osservò con più attenzione.

"Avresti dovuto restare qui e imparare le scienze e la matematica" lo rimproverò il prete "ma chi va per questi mari, questi pesci prende. Non c'è proverbio più adatto a te!" 

"E va bene! Lo so che sono ignorante rispetto a voi, ma ho anche passato una nottata di-" trattenne la volgarità che gli stava uscendo dalla bocca "brutta, brutta nottata"

"Vieni dentro, ti preparo una tinozza d'acqua calda, così potrai lavarti"

André tornò a posare gli occhi sui fogli. Sacchi, di cosa? Grano, altri cereali, o qualcosa di più prezioso? E dove poteva averli presi in quantità così grosse? Se arrivavano dalla tenuta, poteva significare che quel bastardo aveva derubato quel dannato di un generale senza che se ne accorgesse. Che li nascondesse dentro a un quadro faceva presupporre che la provenienza fosse proprio quella che gli stava passando per la testa, e che niente avesse di lecito. Non riuscì a trattenere una risata isterica. Lo sgherro di cui più si fidava era quello che gli ripuliva i depositi delle eccedenze e magari anche delle scorte di riserva, come quelle che avrebbero dovuto riparare i danni che aveva arrecato l'incendio. Avvertì di nuovo la morsa della colpa per ciò che aveva fatto. Se quei fogli avessero davvero provato l'enorme furto, nelle mani giuste sarebbero costati come minimo la forca a Pascal. Lui però voleva vederlo soffrire e supplicare, prima di ucciderlo con le sue mani.

Dopo essersi lavato, l'acqua della tinozza uscì torbida come una pozzanghera di campagna dopo un temporale estivo. "Da quanto tempo non ti lavavi, figliolo?" il prete osservava schifato quella specie di fanghiglia. 

"Non è come pensate, padre, è che quando mi sono immerso nel ruscello poi mi si è attaccata addosso tutta la cenere sollevata dai venti…" rinunciò a raccontare. Quando era arrivato lì quella mattina, non era sceso nei dettagli con il prete. Il più anziano aveva capito che ne aveva combinata una grossa e che si era pentito ma non sapeva altro. Però gli strascichi del fumo dell'incendio si erano visti bene anche da quella chiesa. "Sarà qualche settimana che non mi faccio un bagno vero"

"Questa è l'acqua di uno che si è rotolato assieme ai maiali!" il prete rovesciò il grosso recipiente fuori, nel giardino. Gli gettò in mano un cambio d'abiti pulito. 

"Grazie, padre" l'uomo con la tonaca se ne andò. Era quasi l'ora dei vespri. 

André andò a raccogliere il sacco che era rimasto ai piedi della gradinata per tutto il giorno, con la spada e il resto. Lasciò le bottiglie vuote davanti la canonica, potevano sempre servire, erano delle belle bottiglie. Il sacco l'abbandonò. La spada la legò al fianco e si indirizzò verso il fienile, ora che il sole aveva completato un altro arco temporale.

Non fece molta strada.

"ANDRÉ!"

Il grido gli attraversò tutto il corpo come la scarica di un fulmine. Mise a fuoco nelle ultime luci rossastre del tramonto, un mantello cadde dalle spalle della ragazza bionda e la punta di una lama lucente si alzò contro di lui. "Oscar" la mano cercò la spada che ella stessa gli aveva donato, scosse la testa "non posso morire, non ancora!" 

Lei avanzò con passo spedito.

Lui indietreggiò "So di non avere possibilità contro di te, ma mi difenderò in tutti i modi possibili!" sfoderò la spada e la sollevò mettendosi in quella posizione di difesa che gli aveva insegnato "Dammi l'opportunità di parlare, prima!"

"Ti ho chiamato, sei fuggito! Se l'uomo che ho conosciuto non esiste…"

"Eccolo qui, è davanti a te, niente è cambiato!" andò ancora più indietro.

"Menti!" la spada sollevata era ancora puntata contro di lui "Arrivi tu e tutto brucia! E poi ti dai alla fuga, come un coniglio!"

"No!" André agitò i capelli, esasperato "Non potevo spiegarti ieri, tu non sai!"

Gli era arrivata abbastanza vicino "Cosa non so?!"

Il bruno sospirò e lasciò cadere l'arma, non aveva senso combattere contro di lei. Aveva voluto crederlo ma non era mai stata sua nemica, non avrebbe potuto diventarlo neppure se l'avesse ucciso ora, in quell'istante. "Ti prego, calmati e ti racconterò ogni cosa!"

"Come faccio a crederti ancora, razza di bugiardo manipolatore!" aveva le guance arrossate dalla rabbia. Lanciò la spada che stringeva nel pugno al lato della strada, si ficcò nelle radici di un albero. "Pensi che abbia paura di battermi a mani nude?" chiuse la mano destra e strinse i denti "Credi non abbia capito perché l'hai gettata via?" non aveva mai partecipato a risse, né menato le mani e sapeva che così era lei quella in svantaggio.

André si lanciò contro e l'atterrò sulla schiena. Le bloccò i polsi nei pugni "E tu invece credi che avrei potuto colpirti? Sciocca!" la bionda provò a svincolare i polsi ma era complicato, il peso di lui le schiacciava le braccia. "Lo so che stai pensando a un altro modo per liberarti, e che combatterai fino all'ultimo ma, placa la tua rabbia, non scontrarla con la mia che non è rivolta contro di te!" proseguì fissando quegli occhi furiosi. 

"Toglimi le mani di dosso!"

"No!"

"E che vorresti fare?" chiese con un filo di timore. Tentò di muovere le mani ma non riusciva a sfilarle dalla morsa.

"Niente" continuava a guardarla "ho conosciuto sulla mia pelle l'umiliazione e la mortificazione, non potrei mai neppure pensare di mettere una persona… Una a cui tengo, in una posizione simile" una goccia di sudore gli corse giù per una tempia "ti ho immobilizzata per non farti attaccare. Ma posso rimanere così a lungo, perciò deciditi, o ti calmi e ascolti oppure restiamo così fino al sorgere del sole"

"Lasciami" a mali estremi poteva provare a liberarsi con una ginocchiata, pensò.

"Non cercherai di colpirmi?" il cuore batteva forte e aveva paura che lei potesse sentirlo.

"Non più di quanto farai tu" 

André le lasciò le mani e veloce si scansò di lato, si tirò su e si fece lontano.

Oscar si mise seduta e poi si alzò piano, scuotendosi la terra di dosso. Lo guardava di sbieco e in attesa.

"Vieni al fienile così potremo parlare, al riparo" le indicò con il pollice di seguirlo. La vide esitare "Non preoccuparti. Non oserei neppure sfiorare le tue labbra con le mie, se tu non lo volessi"

La vide arrossire e poi fare una smorfia "E perché mai dovrei volere una cosa del genere?"

"Era solo per dire" grattò la punta del naso e sorrise senza neppure farci caso "non è mai stata tua intenzione uccidermi, è così? Ti ho visto lanciare le spade la prima volta che ci siamo incontrati. Avresti potuto… anche a distanza, prima che fiatassi"

Oscar andò a recuperare la sua spada "Non costruirti castelli in aria, io non uccido a sangue freddo, non sono una codarda" la oscillò in aria e poi la rinfoderò "ma se qualcuno me ne dà una buona ragione, non ho paura a farlo" raccolse anche il mantello e André ebbe come un ricordo che gli balenò nella memoria. C'era qualcuno di cui si narrava davanti a un boccale o seduti negli angoli delle vie, nelle notti parigine. Un'ombra, una figura incappucciata e mascherata con una chioma bionda che sfidava i peggio smargiassi della città che le capitavano a tiro. Un'entità agile e abile con la spada, rapida a concludere i duelli quanto a svanire poi nel nulla. Si stupì di non averci pensato subito, la ragazza poteva impersonare quella figura che tutti credevano essere qualcun'altro.

"Per caso tu, non ufficialmente…" iniziò a dire mentre camminava verso il fienile "Vai in giro anche con una maschera scura oltre a un mantello nero come quello che indossi ora?"

"Non ti riguarda" gli fece cenno di proseguire con la mano. Caduto ogni riguardo dovuto al rango, non voleva raccontargli tuttavia un bel niente della sua vita oltre quello che già sapeva.

"D'accordo, mi faccio i fatti miei" camminarono in silenzio per i successivi minuti. Quando il fienile arrivò in vista era quasi buio, la curiosità tornò a battere. "Come fai con tuo padre? Come riesci a restare fuori così tardi, da sola?"

"Non ti riguarda"

Ancora quella risposta secca che lo fece desistere dal porre altre domande. André andò a sedersi sulla paglia muffita, vicino la cassetta con le pistole. Poggiò le mani sulle gambe e aspettò.

"Sei coinvolto nell'incendio?" domandò lei restandogli davanti, in piedi. Lo vide abbassare gli occhi e annuire "Quanto coinvolto?" serrò i denti, la mano era sulla spada ma non si mosse.

"Tutta opera mia" alzò gli occhi lucidi per guardarla "qualcuno è rimasto ferito?" domandò con una voce tanto flebile che sembrava temere di scontrarsi con la risposta.

"Perché? Maledizione!!" rapida l'afferrò per la camicia "Perché l'hai fatto?!" una lacrima scese da un occhio del giovane moro, seguita da un'altra, quindi abbassò il capo.

"Perdonami, non sapevo come altro fare…"

Oscar lo lasciò e si allontanò stringendo le mani nei pugni finché le fecero male i palmi. Le sembrava di essere entrata in una cava oscura e l'uscita non si vedeva per quanto camminasse. Non voleva ascoltarlo più ma voleva anche conoscere la ragione. "Hai quasi ucciso intere famiglie!" 

Lo vide raccogliere la testa tra le mani "Mi dispiace, non volevo far male a nessuno, eccetto quell'uomo e…" 

"Chi!?"

"Il capo delle guardie, Pascal"

La bionda batté la mano sul legno della porta tanto forte da sentire le dita intorpidirsi, la collera non diminuiva "Folle! Che diavolo c'entra lui con la tenuta?! Dai fuoco a tutto per colpire un uomo?! Che pazzia è? Come funziona la tua testa per ragionare così?!" 

"Tu non lo conosci!" le mani agitate stropicciavano le ciocche brune "Quell'uomo è un mostro!"

"Se vuoi vendicarti di qualcosa, aspettalo fuori e battiti con lui! Ciò che hai fatto è imperdonabile!"

"Non è una cosa che si risolve con così poco, non potevo fargliela pagare senza di questi!" estrasse i fogli che teneva nascosti nella camicia e glieli mostrò. "Ti prego, dimmi che non ho causato alcun male a innocenti… Ti supplico, non posso vivere senza saperlo!" sollevò la testa bruna mentre lei guardava quei pezzi di carta cercando di individuare un briciolo di logica dietro l'insania che stava ascoltando dalla sua bocca.

"Per grazia divina, non si è fatto male nessuno gravemente" smise di parlare, concentrandosi solo sulle carte. Vedeva male al buio, si spostò fuori, sotto le prime luci della sera. "Ce l'hai una candela?"

André sospirò, le mani sudate poterono quietare i fremiti. Era come se si fosse tolto un peso dal cuore. Andò a prendere un piccolo portacandele con un cero e stoppino già bruciato per metà, l'accese con un acciarino. Si avvicinò a lei e fece luce, erano così vicini che i capelli bruni e biondi si mischiarono. E poté sentire di nuovo quel profumo, quella fragranza floreale che gli pareva ormai il ricordo di un sogno.

Il viso di Oscar perse il colore. Fottuto corrotto, avrebbe voluto dire, ma si limitò a pensarlo, anche se nelle sue escursioni notturne aveva sentito di peggio, non l'avrebbe mai ripetuto davanti a qualcuno. "Che Pascal fosse un furfante l'ho sempre immaginato ma che…" portò una mano alla fronte e iniziò a supporre che tipo di inganno ci fosse dietro a quelle somme quando lesse il nome del conte come unico beneficiario, sia delle ricevute che della cambiale. Diciannovemila lire erano una cifra alta, troppo alta per il salario di una guardia che non avrebbe raggiunto neppure in vent'anni di servizio, anche se avesse risparmiato ogni singola moneta. Come aveva potuto accumulare un simile debito era la vera questione. "Tu che c'entri con tutto questo?" chiese staccandosi da lui.

 André lasciò la candela accesa vicino ai piedi della ragazza e tornò a sedersi sulla paglia "È una vecchia storia" percepì gli occhi azzurri che lo fissavano severi nella misera luce della candela "e inizia con dieci sacchi di farina…"





 

(*) lire, o livre, un luigi d'oro del diciottesimo secolo corrispondeva a circa 24 lire. La valuta decade e viene sostituita dal franco dopo il 1795.

Fontehttps://www.persee.fr/doc/dhs_0070-6760_1982_num_14_1_1412

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Capitolo 10
*** Accordi ***


"…mio padre morì quella notte, sul pavimento della chiesa, in agonia, per una colpa che non aveva commesso" André terminò il suo racconto e l'altra suppose che si riferisse alla chiesa con il campanile dissestato che aveva intravisto da lontano.

Oscar sedeva contro il legname dell'architrave del fienile, le dita tra i capelli e un ginocchio piegato a sostenere un braccio. Gli occhi scrutavano il vuoto nel quasi buio. Non aveva mai dimenticato la disperazione di quel bambino e le sue grida che aveva udito fin dal palazzo. Ora stava iniziando a capire il perché volesse imparare a tirar di spada con quella determinazione. L'aveva usata. Eppure non poteva dargli tutti i torti, chissà, magari anche lei avrebbe fatto uguale, si fosse trovata in una situazione simile. "Hai voluto imparare a usare la spada per questa ragione, ora mi è tutto chiaro"

"All'inizio, sì" il bruno non continuò, ma c'era altro che avrebbe voluto aggiungere. Piegò di nuovo le pagine e le ripose sopra la paglia.

"Perché Pascal ha architettato un piano come quello per colpire tuo padre? Cosa c'era tra di loro?"

"Mio padre era il solo a saperlo. Io non ho fatto in tempo" per le accuse che gli aveva rivolto, per il modo in cui gioiva nel colpirlo e per come inveiva contro di lui che era solo un bambino, doveva averlo odiato. Ma il perché, avrebbe dovuto chiederglielo.

"D'accordo, ma che vuoi fare adesso?" si alzò in piedi e indossò il mantello.

"Giustizia"

"Vuoi punire Pascal"

André annuì, in verità c'era anche il padre di lei di cui doveva vendicarsi, ma per il momento era meglio non farglielo sapere. "Concedimi questo, e poi potrai fare di me ciò che vuoi, per l'incendio. Io non opporrò resistenza, anche se vorrai uccidermi"

"Dammi quei fogli, li farò avere a mio padre, lui si vendicherà assai peggio di quanto faresti tu" propose Oscar. C'erano buone probabilità che il padre di Yves fosse morto sempre per colpa di Pascal, anche se sarebbe stato complicato dimostrarlo senza far prima saltar fuori la mano che l'aveva avvelenato; tuttavia, solo con quelle prove poteva pagare un unico conto salato per tutte le sue colpe, passate e presenti "Non ne uscirebbe vivo"

"Pascal è capace di mentire guardando le persone negli occhi. Dirà che la firma non è sua, che è tutto falsificato, incolperà qualche povero diavolo al suo posto. E tuo padre gli crederà" André non si fidava certo del generale, anche se nella tenuta era la sola autorità che poteva colpire impunemente quella dannata guardia, che lui stesso voleva vedere in rovina, prima di finire sotto terra.

"Ti prometto che se così fosse, gli darò personalmente il colpo di grazia" aggiunse lei "io sono la persona più sottovalutata in tutta la Francia, nessuno ha la minima idea di cosa sono capace" concluse.

"Ma tu non hai mai ucciso, giusto?" glielo leggeva in viso, aveva la faccia limpida e serena di chi non aveva mai tolto una vita, mai fatto del male gratuitamente, fosse anche stato qualcuno che lo meritasse.

"E tu chi hai ucciso, grand'uomo?" domandò infastidita. 

"Nessuno, ancora. Però, tu sei una donna"

"Le donne combattono dall'alba dei tempi, quando è necessario e senza clamore. Mai sentito parlare di Caterina Sforza? Grace O'Malley? Jeanne de Clisson?"

André fece cenno di no con la testa e gli occhi spalancati.

"L'Ordine dell'Ascia ti dice niente? … No? … Niente?" davanti al viso confuso di lui, strofinò le mani e proseguì "Comunque, sappi che il coraggio non si misura in base a quante vite si tolgono. Sta piuttosto nell'affrontare un avversario, un pericolo, anche quando si è in svantaggio, per difendere e proteggere. Come ti ho già detto, dammi una buona ragione, e lo farò" terminò così.

"Non posso permettere che tu ci finisca dentro, è affar mio, e lo manderò io all'inferno" 

Oscar tirò su il cappuccio e si avvicinò all'uscita "Se è riuscito a sottrarre tutte quelle scorte, significa che chi si occupa del granaio e dei depositi è suo complice. Cadranno diverse teste per questa storia. Lascia che faccia un tentativo prima io" protese una mano aperta. 

André sospirò, non riuscì a rifiutare ancora. Le mise le pagine piegate nel palmo e indugiò la mano lì. Moriva dal desiderio di sentirla di nuovo stretta nella sua, ma non osò muoversi. 

"Non ti fidi?" domandò lei, visto che lui faticava a lasciare la presa.

Lo vide chinare la testa "Non è per questo" sfiorò appena le dita con le sue e poi a malincuore le tirò via, tornando a sedersi sulla paglia.

"Che c'è allora?" rimase ferma lì, ripose i fogli dentro gli abiti "Se devi dire qualcosa, dilla e basta, non stare a pensarci sopra"

Scosse il capo e rimase muto. 

"Allora, vado" gli disse infine che sarebbe tornata in quel fienile, sempre al tramonto, ma non poteva dargli un giorno esatto, perché non poteva sapere quando ne avrebbe avuto di nuovo l'occasione. In quel giorno il padre aveva altro a cui pensare e di certo non avrebbe badato alla scomparsa della figlia per tutto quel tempo, ma era certa che non era un'occasione che si sarebbe ripetuta tanto presto. Nel caso fosse tornata lì e non l'avesse trovato, gli avrebbe lasciato un messaggio.

"Oscar!" si sentì chiamare, tornò indietro e si fermò davanti la porta "Fai attenzione, non fidarti di nessuno in quella tenuta" avrebbe voluto dire altro, ma ormai.

"E tu non prendere più iniziative, da solo" così riprese la via di ritorno, il fienile non era tanto lontano dalla tenuta. Il cavallo si doveva essere stufato di aspettarla. L'aveva legato a un albero lì vicino. Non vedeva l'ora di sdraiarsi, era stanca morta e devastata nello spirito. 

 

Quando tornò a casa, Pascal era davanti il passaggio principale. Si tolse il mantello e si fece riconoscere "Che ci fate fuori a quest'ora, signorina?"

"Ero uscita a cercare…" doveva pensare a qualcosa in fretta, assodato che l'uomo avrebbe certamente spillato parola per parola al generale "Un unguento alla farmacia, per lenire i danni dei fumi di stanotte"

"Un unguento?"

"Già, per respirare meglio" proseguì a cavallo, la perfidia dell'uomo la disgustava, nascose gli occhi dietro i capelli biondi. Quando arrivò davanti l'ingresso alla residenza, vide un cavallo, c'era un ospite. Ebbe l'impulso di tornare in camera sfruttando il raffio che teneva celato dietro una pietra, proprio sotto la finestra. Tuttavia ormai Pascal l'aveva vista e non era escluso che la stesse seguendo fino a perdita d'occhio. La desolazione dei campi le aveva ricordato che non aveva risolto il problema numero uno, il sostentamento delle famiglie che si trovavano senza profitti per tutto l'anno a venire. Entrò silenziosamente in casa e una delle giovani cameriere, non appena la vide, le fece segno con un dito che c'era un ospite in salotto. Oscar sorrise e rispose che andava a cambiarsi indicando le scale, la supplicò di coprirla con uno sguardo. La cameriera sospirò e andò a pararsi davanti l'ingresso del salotto, mentre fingeva di raddrizzare uno de soprammobili sopra una colonna di marmo. Poté così passare indisturbata.

Era stanca ma non importava, una volta in camera prese un vestito e si cambiò. Non aveva mai voluto aiuto per vestirsi, al contrario di tutto il resto della famiglia. Niente di più vantaggioso, per mantenere quel poco di libertà che si era ritagliata con le sue sole mani. Eccetto le pettinature, quelle erano complicate da gestire da sé, a ogni modo, quella sera si sarebbe accontentata di una coda un po' meglio pettinata di quella che aveva al momento. Ed era veloce a vestirsi, quando chiuse la porta si accorse di aver dimenticato i guanti, tornò indietro a prenderli. Mentre usciva una seconda volta, udì qualcosa che le impedì di aprire la porta; passi. Poi qualcuno bussò. "Avanti" camminò all'indietro prendendo distanza.

La faccia scura del padre le chiese di scendere "Poi mi racconterai dove sei stata fino a quest'ora e deciderò il da farsi, per correggere questi tuoi comportamenti inadeguati a una giovane del tuo rango"

"Dal farmacista" disse lei, aprì il cassetto dello scrittoio che aveva in camera, prese un flaconcino "mi occorreva un rimedio per i fumi respirati stanotte" gli mostrò una piccola bottiglietta, e pregò di cuore che l'uomo non volesse visionarla da vicino, era un profumo.

"Ci sono i servi per commissioni del genere" anche se sapeva bene che la servitù era tutta impegnata da quella notte appena trascorsa. Il generale rimase a fissarla con quella sua faccia truce e indecifrabile allo stesso tempo. "Scendi, il sottotenente Renaud era preoccupato per la tua salute, ha saputo dell'incendio ed è venuto fin qui per vederti"

"Padre, perdonate se lo chiedo" spostò la boccetta all'altra mano e la chiuse nel pugno "a voi non piaceva, quel, come lo avevate chiamato, cascamorto insipido. Come mai avete completamente ribaltato la vostra opinione da combinare addirittura un matrimonio?"

"Non avevo ancora chiaro di che pasta era fatto. Scendi e non farti chiamare di nuovo!" uscì e sbatté la porta come se non dovesse più aprirsi. Oscar attese di calmare i battiti alterati. Ripose il profumo, però non nel cassetto dov'era prima, lo nascose in un altro vano dell'armadio, se al padre fosse saltato il grillo di andare a controllare quando lei non c'era. Quando aveva un tarlo per la testa andava fino in fondo, lo conosceva.

Raddrizzò l'abito verde chiaro e si avviò a lasciare la sua camera, anche se avrebbe solo voluto distendersi.

Quando Yves la vide, si alzò in piedi e le fece un inchino. Le mostrò un sorriso sincero "Sono davvero molto felice di vedere che state bene. Appena ho saputo stamane ero così preoccupato, sono felice… Cioè, non lo sono per l'incendio, ma perché state tutti bene, ho saputo che qualcuno si è intossicato però quel che conta è che niente di irreparabile è accaduto, a parte i danni dell'incendio intendo dire" si fermò lì, stava blaterando. Quando mai, quando mai, ne dici una giusta! Ripeté a mente e avrebbe voluto prendersi a schiaffi. Arrossito chinò la testa e attese che lei si sedesse. Oscar trattenne faticosamente una risata; ma non perché volesse ridere di lui, bensì perché quel tipo era una rarità, e averlo di fronte era come guardare una creatura di un altro mondo. 

"Grazie, Yves. Le vostre parole sono oneste come lo sono sempre state" Oscar fu contenta quando il padre li lasciò da soli. Comunicò a entrambi il perché, doveva riferire alle guardie come organizzarsi per contenere il malcontento dei braccianti.

"I danni al raccolto sono molto gravi?"

Lei confermò.

"Vostro padre ha affermato che provvederà al pagamento di quello che serve per la residenza, ma se posso, le terre della mia famiglia hanno delle eccedenze"

"Non preoccupatevi per noi a palazzo, non subiremo grandi cambiamenti. Il mio timore sono i contraccolpi di cui dovranno soffrire tutte le famiglie che hanno perduto il profitto per quest'anno"

"Capisco" Yves aveva indosso la sua divisa, con tanto di spada che aveva slacciato e riposava appoggiata al muro dell'ingresso, posta lì dal maggiordomo "Come posso aiutarvi?"

"Non pensatelo neanche, è compito della mia famiglia rimediare" doveva solo sperare che il padre lo comprendesse da solo, prima di troppo tardi.

Yves prese un sorso del calice che se ne stava da un pezzo sul tavolino dinanzi, il vino si era intiepidito. Cominciava a far caldo. "Mio padre aveva dei progetti, degli affari in corso" raccontò che quasi tutti erano naufragati dopo la sua morte ma uno solamente stava cercando di mandarlo avanti con le sue mani, poiché gli sembrava una cosa giusta "tra questi c'è la bonifica di una palude, dove dovranno sorgere degli appezzamenti di terra per allevamenti e coltivazioni in affitto" spostò gli occhi su di lei per un lasso di tempo millesimale poi tornò a guardare il calice "nel caso in cui ci fossero difficoltà, non voglio dire che non sarete in grado di far fronte al problema, però" si stava incartando di nuovo "sì, insomma, se i vostri lavoranti avessero bisogno di un ripiego, in quella palude cercano gente, si tratta di spalare e trasportare detriti per adesso, la paga però è appropriata, me ne sono occupato di persona" prese fiato e notò che la ragazza lo stava ascoltando in silenzio "non voglio portarvi via i vostri braccianti, era per farvi sapere che avete ancora un'altra alternativa, per il tempo necessario a far riprendere i vostri terreni"

La bionda sorrise "Vi ringrazio, ho compreso le vostre intenzioni da subito" Oscar Renaud aveva un buon fiuto per gli affari, questo aveva sempre sentito dire dal padre negli ultimi giorni, in cui sembrava tessere solo le lodi del suo vecchio amico. "Yves, per caso avete mai sentito parlare vostro padre di qualcuno che gli doveva del denaro? Qualcuno indebitato con lui?"

Ci stette a pensare e poi le disse di no. "Con me non parlava che di matrimonio e di politica, si divertiva a controbattere ogni mio pensiero. Lo faceva di proposito, chiedeva della mia opinione solo per poterla contraddire, era fatto così" ma gli aveva voluto bene e ne sentiva la mancanza. "Non credo che chi l'ha ucciso fosse uno sprovveduto. Per farlo alla reggia avrà avuto buoni appoggi, chiunque sia, mio padre aveva molti nemici per il suo tenore di vita squallido. Ma non mi sono arreso e non smetterò di cercare, anche se più passa il tempo e meno probabilità ci sono di arrivare a un colpevole. Immaginate per i sovrani cosa è significato, sotto al loro naso… Ho sentito che da allora gli assaggiatori sono triplicati" era già insperato che fino a quel momento nessuna testa fosse finita in una cesta.

"Non siete più tornato a corte da allora?"

"Non più"

"Il tempo non aiuta in questo caso" Oscar si alzò e lui fece subito uguale "vi posso consigliare una cosa. Se non l'avete già fatto, setacciate ogni angolo e ogni stanza dove vostro padre ha soggiornato anche di rado, cercate indizi"

"I cavalieri della forza pubblica hanno già provveduto, non è rimasto un solo cassetto chiuso, uno scrigno, un armadio, hanno rivoltato anche il suo letto, bucato una parete che suonava vuota, niente di niente è uscito fuori, solo cose inutili" concluse amareggiato. Invece di setacciare Versailles erano andati a rovistare tra le sue cose. E la ragione che avevano esibito era quella della sicurezza della corona. Credevano che il padre potesse essere coinvolto in chissà cosa, stavano deviando le indagini. E temeva che volessero accertarsi che non avesse niente di losco in atto, più che scoprire chi l'avesse ucciso. Il suo comandante gli aveva acceso solo false speranze.

"Voi conoscevate vostro padre assai meglio di loro. Sono stati trovati dei documenti conservati da un legale?"

"No, mio padre non si fidava di alcuno per la ragioneria dei suoi affari, svolgeva tutto da sé, e aveva tutto sempre a portata di mano. Il resto dei suoi investimenti fuori dai confini li gestiva un amministratore ma non portava via mai nulla, tutte le carte sono rimaste nel suo studio. E non ha mai stilato un testamento. Forse si credeva immortale"

Oscar gli disse di servirsi, c'era ancora la bottiglia di rosso sul tavolo, lui non ne volle più "Sapete chi è che non redige mai un testamento, di solito?" da interi minuti il giovane l'ascoltava meravigliato ancora di più di quanto già l'ammirasse. Nessuna donna aveva mai parlato così e tante ne aveva conosciute tra le amiche della madre "Chi non ha mai avuto niente, oppure chi ha perduto tutto"

"Ma nessuno dei due era il suo caso"

"Ne siete sicuro?"

"Certo, ci sono la casa e i possedimenti" che erano rimasti al figlio maggiore e in cui viveva ancora sua madre, e dove secondo patti sarebbe rimasta fino all'ultimo. Era passata di proprietà direttamente a lui, perché gli altri due fratelli non avevano posto paletti. "Il suo denaro, conservato negli scrigni, è stato diviso equamente per tre. Perché non ci siamo messi a litigare, la sua miniera è nelle mani del secondogenito, che porta anche il nome del nonno che l'ha registrata senza mai ricavarci niente; prima che mio padre ci mettesse le sue mani e la facesse fruttare" scosse il capo, di cose ne aveva molte e aveva tre figli che fortunatamente andavano d'accordo abbastanza da non scannarsi per l'eredità.

"E a voi, Yves, a voi cosa è rimasto?"

"Nulla, eccetto il denaro, in famiglia tutti sono al corrente che la carriera militare è l'unica cosa che mi interessa" sarebbe stato più giusto dire che era ciò che più rassicurava la madre sul suo futuro.

"Quindi il testamento non è mai stato scritto ma esisteva un patto silente tra di voi, già da tempo"

"Si potrebbe dire così, ma è stato comunque irresponsabile da parte sua" si avvicinò a lei "mi devo correggere, c'è una cosa che è passata a me, la bonifica di quei terreni. Ma non è un'eredità vera e propria, sto continuando uno dei suoi progetti che altrimenti sarebbe terminato bruscamente e abbandonato. L'investimento è tutto sulle mie spalle adesso" 

"Avete scelto l'onere maggiore e il ricavo minore, ma vi fa onore" 

Il sottotenente cambiò idea, versò il rosso nei due calici sul tavolino e uno lo porse a lei, poi innalzò il suo "All'onore, e a coloro che lo conservano fino alla fine" disse Yves.

"E a chi lo difende anche a scapito dei vincoli di sangue" replicò lei guardandolo negli occhi. Vide uno sguardo perplesso sul viso del giovane. "Voi sareste disposto a fare tutto ciò che la vostra famiglia esige, giusto o sbagliato che sia?"

"No" per qualche secondo sostenne lo sguardo, poi mandò giù il vino. "Forse mi credete coinvolto nell'omicidio di mio padre…" posò il calice sul tavolino.

Oscar sorseggiò il vino e non rispose.

"Non ci conosciamo da molto, però, vi posso giurare che il mio onore non lo calpesterei neppure se mi costasse la vita. Neppure se mia madre mi avesse supplicato, per una sua vendetta personale, avrei mai potuto agire in tal modo" 

"Perdonatemi, non volevo sembrasse un'accusa" gli occhi verdi del giovane soldato erano sinceri.

"Non preoccupatevi, preferisco la sincerità diretta alle doppie facce, e me lo aspetto soprattutto da coloro che stimo"

"Vale anche per me, Yves" Oscar indicò un mazzo di carte sullo stesso tavolino "Ve la sentite?"

Il soldato agitò una mano "Non sono bravo a giocare come mio padre"

"Fa niente, la fortuna arriva quando uno meno se lo aspetta" la bionda sorrise e iniziò a mischiare le carte.

 

Pascal era stanco quella sera, rientrò a casa e tirò la porta dietro di sé. Tolse la giacca consunta e la gettò su una sedia. Andò a sciacquarsi il viso con il secchio d'acqua del pozzo che si era portato appresso. Lo versò in un catino e si lavò. Accese le candele e illuminò la cucina. Aveva con sé del pane e della carne affumicata, sarebbe stata la sua cena. Si era fatto tardi, e non aveva voglia di andare in nessuna locanda. C'era ancora puzzo di fumo, nonostante le finestre spalancate da quella mattina. Fortuna che faceva abbastanza caldo, le avrebbe lasciate così tutta la notte. Prese la candela e si avviò verso la stanza da letto, ma si bloccò accanto al quadro. Il fumo l'aveva appannato, però aveva messo in evidenza delle impronte di dita agli angoli. Il viso si deformò in una smorfia di confusione e irritazione. Gli occhi vitrei gli fecero immaginare in anticipo cosa avrebbe scoperto. Lo staccò e controllò al suo interno, vuoto. Per un attimo la testa gli parve fluttuare, non riuscì a pensare a niente. Spaccò il quadro sull'angolo del tavolo con tutta la forza. Il vetro esplose. E continuò a percuotere finché la cornice si divise in tre pezzi schizzando per la camera e quasi uno lo sfregiò. Lasciò andare il resto dello scheletro di legno quando tutto era ormai ridotto in frantumi.

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Capitolo 11
*** Carte scoperte ***


Auguri per una serena Pasqua. Ci rivediamo dopo le feste con gli ultimi tre capitoli. Grazie!



Dalla casa di Pascal giungevano parecchi rumori strani quella notte. Un paio di grida che assomigliavano ai latrati dei cani selvatici, poi passi concitati per tutta la metratura. Stava facendo fagotto e lì sul momento si domandava come fosse meglio agire, se fuggire e poi tornare per cercare di capire cosa passava per la testa del padrone oppure allontanarsi e non mettere mai più piede su quelle terre. Non sapeva chi aveva portato via i documenti ma aveva dei sospetti, in realtà sospettava di ogni singola anima in quel luogo. L'unica certezza che aveva in quel momento, oltre fuggire, era che il furto doveva essere avvenuto durante l'incendio. Le impronte che avevano tolto il nero del fumo lo testimoniavano. A chi potevano servire quei fogli? Nessuno ne avrebbe ricavato un guadagno, a meno che non fosse un esecutore inviato da terzi per uno scopo preciso. In quell'istante gli venne in mente Théo, l'aveva già trovato a ficcanasare in quella casa due volte, la prima gli aveva dato una scusa valida, la seconda, l'aveva osservato di nascosto frugare ovunque. Si era poi accertato che non ce ne fosse una terza. L'aveva fatto cadere giù dalle scalinate di una strada secondaria di Parigi. Non era un giovane prestante, quando disse che era scivolato da solo, a coloro che accorsero, gli credettero.

Ma Théo non c'era più, però poteva aver parlato con qualcuno. Oppure era stato tradito da chi già sapeva. Doveva scoprirlo. Ma prima di tutto doveva alzare i tacchi, prese il fagotto e uscì dalla casa. Non era così sciocco da parlare con il generale alla residenza, suppose fosse meglio attendere che andasse alla reggia e incontrarlo a metà strada. Dove poteva difendersi in caso le cose si fossero messe male. 

 

La serata a palazzo Jarjayes non era ancora finita. Yves era andato via dopo cena, erano rimasti solamente i genitori con lei, seduti alla lunga tavola. La figlia si scusò, dicendo che andava a riposare, era stata una lunga giornata; interminabile. 

"Oscarléne, resta seduta" ordinò il padre. Lei contrasse il viso ma obbedì. "Entro la fine del mese renderò ufficiale il tuo fidanzamento con il giovane Renaud" gli occhi della figlia mutarono, l'uomo conosceva quello sguardo infuocato ma lo ignorò "tempo scaduto, hai avuto molte scelte da poter cogliere, adesso sarò io a mettere fine alla tua ignavia infinita!"

La madre rimase muta, come sempre. Una delle cose che Oscar non aveva mai tollerato della donna, nonostante le volesse un bene inquantificabile. Questo suo asservimento quasi timoroso a contraddire o regolare i toni del consorte, anche con un semplice gesto, quando eccedeva o trattava ella stessa e le figlie come fossero suoi soldati da comandare e da cui pretendere ubbidienza cieca. Era insopportabile.

"È giovane, sufficientemente educato, non è il più ricco tra i nobili ma è un tuo pari rango e ha dimostrato di tenere a te, perché dovresti rifiutarlo? Quale scusa vuoi accampare stavolta?"

"Ditemi, padre, il giovane Renaud è consenziente di libera scelta o deve obbedire anche lui perché voi siete un generale e lui un sottotenente?"

"Il tuo fare sempre dello spirito lo trovo disdicevole, da chi l'avrai ereditato? Sicuramente deve arrivare dalla famiglia di tua madre" non cercò neppure di guardare la donna che gli stava seduta di fronte, tanto non avrebbe comunque visto nulla di nuovo. Oscar scrutò lo sguardo mite e composto di Madame Jarjayes che pareva sperare solo di potersi ritirare quanto prima e sfuggire a quella conversazione.

"Non credo, padre, la famiglia di mia madre deve contraddistinguersi per l'appropriata osservazione della gerarchia familiare nel prendere parola. Non oserebbe gridare neppure se stesse soffocando, se credesse di nuocere alla vostra digestione!" sbatté il tovagliolo bianco sulla tavola e si alzò "Con permesso!"

La madre la seguì andare verso le scale con lo sguardo, si sentì inquieta e colpevole, ma non osò muoversi. L'uomo non urlò dietro la figlia, come le altre volte. Un marito era quello che le serviva per imparare ad ammansire il suo carattere ribelle e selvaggio, che niente aveva da spartire con una nobildonna. Anche con la forza, avrebbe dovuto assecondare il suo volere. Così aveva deciso e così si sarebbe assicurato che accadesse.

Appena entrò nella sua stanza, disfece la pettinatura e sfilò i guanti, gettandoli sulla console. Era giunto il momento che aveva temuto fin da quando era diventata abbastanza grande da capire. Non avrebbe più potuto decidere da sé della sua vita. Non riusciva ad accettarlo, la sua volontà si ribellava e il suo orgoglio combatteva contro l'osservanza che doveva a quell'uomo che era il padre. Spalancò la finestra e si affacciò, lasciò che il vento ancora lievemente fresco della sera si portasse via un po' del carico che le comprimeva le tempie. I campi incolti e anneriti che spuntavano in lontananza sotto le tenui luci di guardia erano uno spettacolo orribile. Fino all'anno prima, di quel periodo, al posto di quello squallore vi era del grano pronto per la mietitura. "Dannazione a te, André!" mormorò. André, ci mancava solo pensare a lui adesso. Rifletté su quei fogli, al momento non tollerava la presenza del padre eppure doveva mostrarglieli assolutamente se voleva farla pagare a Pascal. Se voleva impedire che il giovane bruno commettesse qualche altra imperdonabile e pericolosa stupidaggine, agendo da solo. 

Quando ritenne di essersi calmata a sufficienza tornò a scendere le scale, tanto non sarebbe riuscita a riposare con quel chiodo fisso nel cervello. Andava fatto ed era meglio farlo subito. La sala era spenta e vuota, però trovò l'uomo nel suo studio. L'avvisò la luce di una candela. "Dovresti essere a letto" le disse il padre non appena la vide, la porta era socchiusa e lei si era limitata a bussare un paio di volte prima di entrare senza attendere conferma.

"Potete immaginare lo scarso desiderio che abbia di venire a parlarvi in questo momento ma c'è qualcosa di grave di cui debbo mettervi a conoscenza con urgenza"

"Di che si tratta?"

Oscar chiuse la porta alle sue spalle e si avvicinò alla vecchia scrivania rettangolare, era talmente vecchia che portava i segni di oltre un secolo di oggetti appoggiati sopra, più o meno pesanti. Posò i fogli sulla scrivania e attese che l'uomo li leggesse. Lo vide sbiancare e, man mano che passavano i secondi e poi i minuti, gocce di sudore gli imperlavano la fronte e le tempie. Le mani che tenevano i fogli iniziarono a stringerli, poi tornarono a rilassarsi. "Come li hai avuti?"

"Un caso di fortuna, non scenderò nei particolari" era stanca, scostò la seggiola e si sedette di fronte al padre "che intenzioni avete?"

"Parlare con lui e capire"

"Mi sembra piuttosto ovvio, padre, che c'è da capire?"

"Non si accusa la gente senza permettergli di difendersi"

"Ah sì? Da quando, padre? Da quando la pensate così?" gli occhi si fissarono su di lui "Da molto recente, suppongo"

"Che vuoi dire? Di cosa parli!?" sbatté i fogli sulla scrivania e si alzò.

"Nulla di preciso" una storia vecchia che adesso conosceva con i frammenti mancanti ma che non avrebbe sollevato da sotto la polvere della memoria dell'uomo per non mettere in pericolo André in qualsiasi modo.

"Allora taci!"

La figlia irrigidì il viso "Padre, nel mentre parlate con Pascal, ricordatevi che le famiglie dei nostri lavoratori, persone che conosciamo da tutta la vita e che vi sono sempre state leali, sono senza sostentamento per l'inverno. Non potranno andare avanti fino al prossimo raccolto. Dobbiamo concedergli a fondo perduto ciò che hanno perso"

"Non parlare di cose che non ti competono!" picchiò la mano sulla scrivania "Tu devi solo obbedire a ciò che ti dico di fare, non devi ficcanasare, non devi intrometterti in faccende da uomini, e soprattutto non ho bisogno dei tuoi suggerimenti sul da farsi!" le indicò la porta con la mano, poi raccolse i fogli e li strinse nel pugno.

"Padre! Se non agite subito li perderemo! Andranno via! Non potete obbligarli a restare neppure aizzandogli contro le vostre guardie!" si alzò dalla sedia e appoggiò le mani sulla scrivania arrivandogli a un braccio dal viso, sosteneva il suo sguardo senza paura ed era l'unica tra tutte le sue figlie.

"Esci da questo studio! Vai a dormire!"

Oscar gli indirizzò un brutto sguardo, poi raccolse il bordo del vestito e si girò con foga, puntando la porta che sbatté poi alle sue spalle. Continuò nella direzione delle scale. Era andata assai peggio di quanto avesse immaginato. Strinse i pugni, doveva sbrigarsela da sola. 

 

L'indomani, di primo mattino, c'era del movimento nel piazzale delle armi di Versailles.

"Sottotenente, il generale mi ha riferito che presto vi sposerete" gli disse il comandante, frattanto che esercitavano l'ultimo gruppo di allievi.

Yves arrossì. Il generale Jarjayes era un uomo davvero terribile; architettava, faceva e disfaceva, e prendeva decisioni senza interpellare la figlia o lo stesso sottotenente, che non era certo un suo parente. "Non c'è nulla di ufficiale, signore"

"Davvero? Eppure da come me ne ha parlato sembrano cose già concluse"

"Signore, l'ultima parola non spetta al generale"

"Quindi voi non siete d'accordo"

"Non è esatto, io non…" non voleva parlar male del padre di Oscar e trovò difficoltoso uscire da quella chiacchierata seppur amichevole "Quello su cui non sono d'accordo è forzare le cose, mettere fretta. Dopotutto neppure ci conosciamo, io e la figlia"

"Come se questo fosse un ostacolo, ragazzo. Ne ho visti molti di matrimoni in cui gli sposi si sono incontrati all'altare per la prima volta" il comandante era un uomo con una lunga barba grigia e i capelli completamente bianchi, circa della stessa età del generale Jarjayes. Non sapeva da quanti anni era comandante delle guardie reali, l'aveva sempre visto in quella posizione da quando si era arruolato.

"La sua insistenza non farà altro che rendere ancora più insopportabile l'idea del matrimonio alla giovane figlia. Sta agendo nel modo più sbagliato, signore"

Il comandante sospirò "Jarjayes è sempre stato così, non soltanto per questioni familiari, anche al comando del suo esercito. Mai ascoltato pareri, mai cambiato idea o strategia pure dopo un'ora di tentativi e prove dimostrate. Non è un tipo ragionevole, purtroppo, perché se lo fosse stato, sarebbe diventato uno dei generali più menzionati nella storia della Francia" 

E il comandante non faceva più alcun accenno alle indagini sull'omicidio di suo padre, chissà cosa aveva fatto calare un velo omertoso sulla faccenda. Forse il fatto che sul conte non si fosse trovato nulla da considerarlo una minaccia per il regno oppure chi l'aveva tolto di mezzo era in grado di depistare egregiamente. Pensava a questo intanto che l'addestramento continuò fino a poco prima di mezzogiorno, poi la pioggia interruppe le esercitazioni. Yves si recò a prendere il cavallo per far ritorno a casa, sapeva che quando si interrompeva per pioggia l'addestramento non riprendeva più almeno fino al giorno dopo, il terreno si riempiva di melma e i cavalli non gradivano muoversi come usavano fare di solito. Le stalle erano caotiche dal mucchio di soldati accorsi per la sua stessa ragione, molti altri stavano già lasciando la piazza d'armi. Yves attese, non gli piaceva stare in mezzo a folti gruppi di persone. La sua cavalla nera l'aspettava nell'ultimo posteggio. Da quando il padre non c'era più l'aveva presa con sé, e non volle sentir ragioni con i fratelli. Quella era l'unica fra tutto ciò che era appartenuto al padre che aveva preteso gli venisse ceduta senza discutere. Era sempre stata trattata con cura, e Yves era quello che si era da sempre occupato dell'animale quando il padre si fermava a casa per lunghi periodi, e c'era affezionato. Gli piaceva pensare che era quella la ragione per cui l'aveva voluta, non perché sentisse l'assenza del padre. In compenso il suo precedente cavallo era finito nelle scuderie del fratello primogenito. Quando la cavalla lo vide emise un nitrito, il rombo dei tuoni era fastidioso dentro quel luogo, il fragore animava gli animali più del solito. "Sono qui, andremo via presto" avrebbe voluto attendere che lo scroscio diminuisse. Perlomeno lì dentro erano all'asciutto, eccetto qualche gocciolare sporadico da sopra le loro teste. Accarezzò il manto color ebano e sembrò farla calmare per un po', la bisaccia del padre era ancora appesa alla sella, non aveva avuto il coraggio di toglierla. Né aveva ancora cambiato la sella, dove l'arcione posteriore gli dava fastidio quando andava al galoppo, era adatta alle forme del vecchio padrone non alle sue. Ma non aveva il cuore di spostar nulla, si era limitato solo a regolare le staffe per la sua altezza, leggermente superiore a quella del padre, niente più. L'acqua che veniva giù non accennava a smettere, quasi tutti i soldati se n'erano andati via con i loro abiti fradici, ma il sottotenente odiava bagnarsi. Attese, e mentre aspettava, slacciò la cinghia della bisaccia per guardarci dentro, un'altra delle cose che ancora doveva fare. Trovò diversi fogli legati da una cordicella, erano un mucchio di cambiali. Yves si sedette sulla paglia accanto alla cavalla e iniziò a leggere. Rimase sbalordito dal numero di persone che dovevano dei soldi al padre, alcuni di loro li conosceva bene, erano ufficiali. Ne contò una ventina di pagine. Venti uomini di vario ceto, c'erano anche due titolati del clero, e se avesse fatto quei due nomi in giro avrebbe messo in forte imbarazzo la chiesa. Il padre non faceva estorsione né prestiti, che lui sapesse. Possibile che quelli fossero tutti importi dovuti al gioco? Si domandò a questo punto se il suo vecchio fosse un baro, perché non era possibile vincere così tanto a così tanti uomini diversi. Trentamila, novemila novecento, cinquantamila… Stava cominciando a immaginare da dove saltavano fuori tutti quei fondi per i suoi investimenti, per chi come il padre aveva dovuto ricominciare da zero per ripagare tutti i debiti del nonno. Una mano strofinò il viso dove lo sconcerto gli aveva fatto assumere una forma pietrificata.

"Di quanti nemici ti sei circondato, padre…" mormorò. E ora che non c'era più, quei fogli sarebbero rimasti lettera morta. Non si sarebbe mai sognato di andare a chiedere quei soldi a suo nome, soprattutto ora che non sapeva quanto ci fosse di lecito dietro. Fece per strapparli ma uno colse la sua attenzione, era l'unico di tutti quanti ad avere una scritta sul retro. Era una cambiale di diciannovemila lire, intestata a un certo Pascal Demers. Girando il foglio c'era una piccola scritta in un angolo, il vecchio Jarjayes.

 

Il sentiero era disseminato di fosse ricolme d'acqua e fango tanto da diventare un pantano impraticabile per qualsiasi carrozza. Pascal attendeva al riparo sotto le fronde di un grosso albero, la pioggia era calata d'intensità; era stata brusca e non molto duratura, come la maggior parte degli acquazzoni durante i cambi di stagione. Il clima era mite e l'aria fresca portata dal temporale era piacevole. Avesse piovuto così quella notte non ci sarebbero stati così tanti danni ai campi, pensò. Aveva legato il cavallo con il suo fagotto dietro agli alberi a un lato del sentiero, l'avrebbe raggiunto in fretta, in caso di fuga improvvisa. 

Dopo qualche altro minuto d'attesa, un destriero dal manto bruno, che conosceva bene, gli si avvicinò dalla tenuta. Il generale lo cavalcava e la sua faccia solitamente inespressiva questa volta era torva e accigliata. Pascal contemplò brevemente l'idea di non mostrarsi, ma non poteva stare con il dubbio per tutta la vita, quindi si fece vedere prima che gli giungesse troppo vicino. Lo vide fissarlo, poi scendere da cavallo e tirarlo per le redini verso il margine della strada. Quindi gli si avvicinò con falcate decise. La sua vecchia guardia non gli vide metter mano alla spada. Era un buon segno, no? Suppose. Quando il generale gli arrivò davanti al muso lo colpì con un pugno, e nonostante l'età dell'uomo, decisamente più vecchio, lo fece cadere a terra sanguinante. 

"Perché li hai conservati?! Stupido!" urlò l'uomo con la divisa.

Pascal si rimise in piedi, toccò il naso, sanguinava "Signore, mi avevate detto di tenerli fino a capire cosa sapeva il figlio e se voleva agire per farci un uso personale"

"Non dopo tutto questo tempo! Dovevi prendere l'iniziativa da te!" aveva voglia di colpirlo di nuovo, si trattenne per necessità, dovevano parlare "Per fortuna queste sono finite in mano mia!" gli mostrò ricevute e cambiali "Quanto pensi ci metta a capire che chi ha ucciso il bastardo del padre era un suo debitore?!"

Eppure Pascal ricordava bene che il suo padrone detestava che qualcuno prendesse iniziative senza consultarlo "Signore, ma noi non l'abbiamo mica ucciso per i debiti-" un calcio nello stomaco gli fece mancare l'aria.

"Non fiatare, come parli fai danno!" strappò i fogli e li lasciò cadere in una larga pozzanghera "Nemmeno dei pezzi di carta ti posso affidare? Come li hai persi?"

"Li hanno rubati… signore… durante l'incendio" Pascal si era sollevato di nuovo, con lo stomaco dolorante, cercò di stargli più lontano possibile.

Il generale non faceva che chiedersi di come la figlia ne fosse venuta in possesso, e non poteva interrogarla come una sospettata qualunque, avrebbe fatto altre domande e capito, non era una persona superficiale e incauta come quella sua guardia che gli stava davanti. "Chi li ha rubati?"

"Non lo so, di certo è stato qualcuno che sapeva dove cercare… prima di schiattare Théo deve aver parlato con qualcuno, ne sono sicuro"

Il generale gli mostrò i denti in un ghigno rabbioso. Adesso c'era qualcun altro da cui doveva guardarsi le spalle e la figlia era l'unica che lo conoscesse. Ma a lei non poteva chiedere, così come non aveva potuto tenerli in casa, quei dannati fogli. "Vattene dalla tenuta e non farti più vedere, in modo che tutti credano che tu sia fuggito per aver rubato per ripagare i tuoi debiti" e pronunciò tuoi in un modo così cagnesco che Pascal ebbe quasi paura a muoversi. Quando riuscì a mettere un piede davanti l'altro, corse a prendere il cavallo, afferrò le redini per montarlo ma poi una lama gli trapassò la schiena. Il generale gli aveva lanciato la sua spada alle spalle. La sua vecchia guardia personale crollò accanto al cavallo, che si spostò, trascinandolo lentamente per qualche metro, poi le mani lasciarono le briglie. Il corpo rimase disteso nella gramigna. Con un calcio lo fece rotolare giù per un piccolo avvallamento, dritto dentro una pozza fangosa. "Da morto sei ancora più persuasivo, come fuggiasco" disse il generale, andò a recuperare il cavallo di Pascal che continuava ad avanzare in solitaria, lasciò cadere il fagotto e colpì con violenza il dorso dell'animale che subito si lanciò in corsa. L'avrebbero trovato, in altro luogo. 

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Capitolo 12
*** L'irreale ***


Quella stessa mattina, non appena il padre ebbe lasciato lo studio, la figlia ci si era intrufolata senza farsi vedere da nessuno. C'era qualcosa di strano in quella faccenda, e non capiva perché l'uomo accettasse di buon grado di perdere i suoi lavoranti dopo anni che avevano servito bene la tenuta e onestamente, a differenza di Pascal. Non aveva senso ai suoi occhi. Facendo due calcoli a mente, per salvare una quindicina di famiglie fino al raccolto successivo non serviva chissà che cifra enorme eppure il generale aveva ritirato il braccio così tanto che neppure voleva sentirne parlare, come se desse il fatto già chiuso. Cercava i registri della contabilità per fare una previsione esatta del conto da saldare ai contadini; non li aveva mai visti, in realtà non sapeva neppure se si trovavano lì dentro o altrove. Cercò nei cassetti della scrivania, nella vecchia libreria sul lato destro. Guardò nella pila di carte dei rapporti datati dell'esercito e si domandava perché mai il padre li conservasse, alcuni di quei fogli riportavano missioni all'attivo quando lei non era neppure nata. Frustrata, strofinò una mano tra i capelli guastando la pettinatura. Il vestito le dava intralcio, per non parlare del fatto che si stava portando via tutta la polvere dagli angoli nascosti dei mobili e del pavimento, dove neppure alla servitù era concesso di entrare per spazzare. 

Il registro non lo trovò. Però trovò un foglio interessante, lo scoprì nascosto dal sottomano di cuoio poggiato sulla scrivania. Un foglio molto lungo, con rendicontazioni dell'ultimo anno. Non c'erano le spese che stava cercando ma comparivano delle cifre esorbitanti; ventisettemila, quarantamila, venticinquemila… E accanto a ciascuna c'era scritto: gestione tenuta extra. Cifre fuori dalla sua comprensione. E ancora non aveva trovato ciò che stava cercando. Avesse provato a fare domande al padre si immaginava già come le avrebbe risposto. Che non erano affari suoi e non doveva impicciarsi. Se in quegli esborsi erano comprese anche le quote per i lavoranti non poteva saperlo. Il generale non parlava mai di rendite con la figlia e la moglie, avevano solo una vaga idea di come si tenesse l'amministrazione dei possedimenti e di chi vi lavorava. Stette a pensarci su per un po'; che senso aveva incorporare spese differenti in uniche cifre, a che serviva? Tra qualche tempo non avrebbe potuto ricordare a cosa si riferissero, a meno che quelle spese non interessavano delle singole uscite. E in tal caso i lavoranti ne erano certamente esclusi. Udì il rumore degli zoccoli provenire dall'esterno del palazzo. Si sporse dalla finestra dello studio, che affacciava all'esterno, riconobbe il padre e il suo sguardo furioso. Risistemò tutto più o meno come stava e lasciò la stanza. Il vestito rimase incastrato nella porta, per tirarlo lo strappò. Corse poi alla sua camera. 

"Signorina, che fretta avete!" il maggiordomo la vide sfrecciare e la seguì con lo sguardo, lei gli fece cenno di far silenzio con un dito. Quando arrivò, chiuse la porta alle sue spalle. Controllò il bordo dell'abito, non c'erano lembi mancanti, inspirò a lungo, poi iniziò a cambiarsi.

Nel mentre si mutava i vestiti pensò quanto fosse strano veder tornare il padre dopo così poco tempo, era accaduto qualcosa che lei non sapeva e che non poteva chiedere. L'orgoglio dell'uomo era simile al suo, forse peggiore, e lei era abbastanza sveglia da capire quando era il momento di stargli alla larga. Si calò adagio dalla finestra e andò a prendere il suo cavallo.

 

Era tarda mattina quando raggiunse il fienile. Lasciò il cavallo legato a un ramo e si avvicinò, bussando alla porta, non sapeva perché lo stava facendo, doveva essere vuoto. Però udì dei rumori confusi, entrò. André sedeva sul pagliericcio e aveva in bocca una coscia di pollo fritto, la poggiò nella scodella quando vide il volto perplesso della ragazza. "Avevamo detto al tramonto…" puntualizzò lui, aveva ancora la bocca piena ed era in imbarazzo.

"Già, infatti credevo di non trovare nessuno" Oscar avanzò guardandosi intorno, vide delle coperte, qualche libro, del pane sopra a un sacco disteso in terra e un fiasco. "Ma, per caso vivi qui dentro?"

Lui annuì. Era stato alla taverna per prendersi da mangiare ma non se la sentiva più di stare in pubblico, dopo l'incendio, quindi era andato a consumare il pasto dentro il suo nascondiglio. "Non giudicarmi, ho le mie ragioni per stare qui"

"Non ti giudico" e si sedette accanto a lui, le offrì una parte del pollo ma lei disse che non aveva fame. 

"Porta dentro il tuo cavallo, fuori potrebbero vederlo"

"Non posso" sollevò tra le mani qualche filo di quel fieno muffito "si metterebbe a masticare questo e gli farebbe male… tu come fai a stare qui? Non ti disturba l'odore?"

"Ci sono abituato" aveva quel pollo a tiro e non sapeva se continuare a mangiare oppure no "com'è la situazione con i braccianti?"

"Critica" 

"Che posso fare per rimediare?"

"Niente, servono solo denari e devo trovarli io, in qualche maniera"

"Posso darti quello che mi resta da parte" stropicciò le mani unte sopra il fieno, tanto peggio non poteva puzzare. Si mise a rovistare in un altro sacco.

"Lascia stare. Non basterebbero"

André rovesciò trentuno monete d'oro in terra e un'altra dozzina d'argento "Ti prego, prendili se ti possono aiutare"

Lei li contò con una scorsa veloce degli occhi "Ne servirebbero venti volte tante" sorrise, in quel momento le sembrò un bambino che aveva rotto un oggetto prezioso e voleva aggiustarlo in tutti i modi, e le fece tenerezza. "Mio padre non farà nulla. Temo che, se non troverò il denaro, dovrò accettare di vederli andar via"

"Perché? È così caro mantenerli un anno?"

"Affatto" strinse un pugno "e non ne capisco la ragione" tranne che aveva affrontato spese gigantesche, stando a quel foglio che aveva letto. "Gli ho parlato di Pascal, non mi ha convinto neppure su questo. Mio padre è un uomo che non sono mai riuscita a comprendere a fondo. C'è un lato di lui nascosto che non mostra se non in rare occasioni, quando perde il controllo"

André l'aveva visto dare sfoggio della sua meschinità che era un bambino, ma lo tenne per sé. La spalla toccava vicino a quella della ragazza. Non si mosse per paura di vederla allontanarsi. "Tu sei molto diversa da lui. E ne sono felice" disse.

Oscar sorrise ancora "André, dimmi una cosa, che farai dopo? Quando avrai pareggiato i conti"

"Non lo so" si stiracchiò la schiena, ormai il pollo era diventato proprietà di una blatta che ci stava girando sopra da un po', a malincuore non l'avrebbe più toccato "penso che acquisterò della terra e poi, se sarò fortunato, prenderò moglie" cercò una reazione sul viso di lei ma la vide fissare lo spazio avanti a sé, immobile.

"Potrai scegliere, sei già fortunato" disse l'altra.

Il giovane aveva dimenticato che la maggior parte dei nobili si sposavano per lignaggio, non per amore. Spalancò gli occhi "Sei stata promessa a qualcuno?"

Lei annuì.

André scattò in piedi tanto da spaventarla. "Non puoi piegarti così facilmente!"

"Non ho scelta, ho rimandato più che ho potuto. Devo obbedire" il padre non era certo un uomo che badava ai sentimenti di alcuno, anzi, le era anche andata meglio che alle sue sorelle, tutte costrette a sposarsi più giovani di lei. Se qualcuno dimostrava un temperamento docile e arrendevole, il padre tesseva le fila con estrema facilità. Lei aveva resistito quasi fino a ventun anni. 

"Chi se ne importa! Ci sono io!" in preda all'impeto aveva detto qualcosa di troppo oppure quelle parole si erano liberate da sole approfittando di un istante di trepidazione dell'animo. I due occhi azzurri che osservavano il nulla si sollevarono su di lui. "Intendo dire, che puoi contare su di me" cercò di correggere il tiro.

"André, non mi piace quando le persone girano intorno a quello che devono dire" si alzò anche lei e gli si avvicinò "mi piace chi dice ciò che pensa, senza paura"

Il bruno deglutì, provò a toccarle le spalle poi si ritirò, ricordò che le mani non erano proprio linde ma piuttosto appiccicose "Se ti dicessi…" l'incertezza provò a prendere il sopravvento ma la respinse "Se ti dicessi che qualcuno… no, non qualcuno" chiuse gli occhi e li riaprì con decisione, guardandola in viso "che io, io dannazione! Che io vorrei che tu pensassi, prendessi in considerazione, la pazzia di… di diventare mia moglie-" e non concluse la frase, la bionda l'afferrò per il collo della camicia e lo tirò, finché le labbra si unirono. Sfuggevoli dapprima poi più temerarie ma sempre lievi, sul filo di una carezza che segnava l'inizio di qualcosa che poteva divenire oppure fermarsi lì.

"Posso leggerlo nei tuoi occhi, quando guardano me, ma il dubbio logora" mormorò lei quando si scostò, interrompendo un bacio diventato infine gentile, quasi fanciullesco "quanto ti ci è voluto per confessarlo…" era arrossita e scorse un lieve colore simile al suo anche sulle guance dell'altro. 

"È difficile dichiararsi a qualcuno come te, con uno spirito così forte che può distruggere un'anima con un solo sguardo" André aveva la voce tremante, si sentiva leggero come una nuvola tanto che ebbe quasi l'impressione di essere tornato indietro di oltre un decennio. 

"Nientemeno" Oscar rise appena e posò la fronte sulla sua spalla "guarda che non ti ho perdonato per l'incendio"

"Lo so" la strinse con le braccia ma avendo cura di non sfiorarla con le mani "mi farò perdonare, anche se dovrò impiegarci tutta la vita"

Oscar si aggrappò forte a quelle spalle. Non sapeva cosa sarebbe accaduto d'ora in avanti ma se quelle spalle erano lì, se avrebbe potuto appoggiarsi a esse qualora le forze le fossero mancate, allora anche l'irreale poteva diventare reale. Le dita salirono dietro al collo e si intrufolarono nei capelli bruni, dove rimasero solo per pochi attimi, André provò un brivido lungo la schiena. "Devo andare" era circa l'ora di pranzo, se il padre non l'avesse trovata a tavola… Non voleva dargli una scusa per infierire su di lei a causa della situazione disastrosa alla residenza. 

La vide spostarsi e uscire, senza dire più una parola. Poi prese il cavallo e imboccò la via per la tenuta. Non gli aveva risposto, o magari il bacio era una risposta più che esauriente. La sua nemica, che non lo era mai stata, la persona che amava più della sua vita, anche se non sapeva cosa fosse l'amore fino al giorno in cui le aveva stretto la mano, lo ricambiava. La sua vendetta e l'odio, che si mescevano in quel vuoto che aveva nel petto da anni, cercavano di fare ostruzione ai nuovi sentimenti che più forti spingevano via l'oscurità persistente come un vecchio chiodo arrugginito che non si cavava via. André tornò a sedersi e picchiò piano la testa contro uno dei piloni della stalla, doveva liberarsi dalla rabbia, non ne poteva più.

 

Trascorse un giorno. La voce che Pascal era fuggito iniziò a viaggiare per la tenuta. Il generale Jarjayes diede ordine al resto delle guardie di dargli la caccia. Si fece portare gli uomini più vicini a Pascal, che si risentirono nel non aver saputo nulla dei piani dell'uomo. Il generale urlò loro in faccia che dovevano essere ben informati su dove si era nascosto, perché potevano essere suoi complici, ma questi si inginocchiarono supplicandolo di credergli. Non ne sapevano niente e il generale ne era perfettamente al corrente. L'affare era iniziato come una cosa a due e così si era concluso. Tutte le guardie si diedero da fare per trovarlo, iniziò la ricerca palmo a palmo per la tenuta e poi proseguirono fuori. Temevano di non trovarlo e non tanto per l'uomo scomparso, piuttosto per le conseguenze che si sarebbero abbattute anche su di loro. Si diceva anche che Pascal avesse derubato e truffato il padrone prima di darsela a gambe. Ed era qualcosa di inaspettato, fuori dalla logica stessa di Pascal, non avrebbe mai agito così, godeva della fiducia del generale e aveva ottenuto da questo una posizione di rilievo tra tutte le guardie. Inoltre non era uno stupido ingenuo, non avrebbe commesso un errore così plateale fuggendo senza prima tentare di giustificarsi. Non c'era da star tranquilli neppure un po'.

Oscar, ancora scombussolata per quel bacio con André, non ebbe neppure modo di rifletterci su che in quella residenza era già scoppiato un nuovo caso. Non sapeva che pensare, tranne molte supposizioni non c'era nessuna certezza. Si era tenuta alla larga dal padre, e l'uomo non le aveva più rivolto la parola dopo ciò che si erano detti nello studio. Da sola, seduta sul letto nella sua camera, ripensava a quelle ricevute e alla cambiale; erano una prova schiacciante, Pascal non avrebbe potuto negare l'evidenza. Erano pagamenti in sacchi di derrate alimentari. Non c'erano molte scuse che potesse addurre, neppure una grossa eredità ricevuta e poi riconvertita in granaglie senza una valida ragione. E se per caso li avesse ottenuti in seguito a una vincita al gioco, a danno dello stesso conte, sarebbe stato ancora più sciocco a rigiocarseli contro il medesimo anziché elevare il suo status sociale. Avrebbe potuto ambire anche a qualcosa di meglio che continuare a far la guardia per il padre. Rilevare un'attività, dei possedimenti... Almeno quello era ciò che avrebbe fatto lei nei suoi panni. Se il padre ci aveva parlato, l'aveva anche in guardia, doveva quindi aspettarsi una sua reazione, fuga compresa. Eppure il generale sembrava, appariva come essere stato colto alla sprovvista dalla sua scomparsa. 

Si alzò dal letto, avrebbe voluto fare un'altra visita nello studio del padre. Per come lo conosceva lei, avrebbe dovuto imprigionare Pascal immediatamente in attesa di chiarire i fatti e non parlargli come se fosse un socio che aveva commesso un errore blando. I conti non tornavano. Avesse fatto domande era certa che l'uomo l'avrebbe liquidata dicendole di farsi gli affari propri "Queste cose non devono riguardarti" ripeté a voce alta imitando quella del padre. Eppure la gestione della tenuta interessava anche lei, come la madre. Ne andava anche del loro tenore di vita.

Le guardie erano tutte in agitazione intorno alle terre, non poteva muoversi dalla residenza. E il generale pareva aver rimandato tutti i suoi doveri alla reggia. Si ritrovava quindi bloccata nella sua stanza. E aspettare non era quello in cui riusciva meglio. Uscì.

Quando scese metà della rampa di scale incontrò il maggiordomo. "Signorina, il generale chiede che nessuno lasci la propria camera, c'è un fuggitivo pericoloso su queste terre"

"State tranquillo, questa casa è l'ultimo dei posti in cui tornerebbe" replicò lei e proseguì a scendere. Il padre semplicemente non voleva nessuno tra i piedi. E lei doveva capire cosa stava accadendo. In quel momento un cavallo nero si fermò davanti l'entrata del palazzo. Il giovane Yves Renaud scese e lo lasciò alle cure del servo che accorse. Il maggiordomo gli aprì la porta e dietro di lui c'era la bionda che era rimasta più distante.

"Il generale è occupato, signore, ma se volete attendere in salotto, gli comunicherò subito che siete qui" disse Victor, prima che l'ospite si facesse annunciare.

"Non preoccupatevi, chi cerco non è il generale" spostò gli occhi su Oscar e il suo sguardo, solitamente impacciato e schivo, ora era diverso, profondo, quasi crucciato, avrebbe detto la ragazza che si avvicinò lentamente. "Posso parlarvi in privato, madamigella?"

Non l'aveva mai chiamata così, Oscar iniziò a presagire niente di buono. Tuttavia gli disse di andare fuori "Chiedo perdono per la scortesia, al momento siamo nel mezzo di una caccia al fuggitivo e c'è del caos dentro e fuori il palazzo" disse, poi fece strada. Yves la seguì. Il maggiordomo non sapeva se doveva andargli dietro, per non lasciare la signorina da sola con il sottotenente, oppure recarsi prima ad avvisare il padrone. Dopo qualche altro secondo di indecisione optò per la seconda. Dopotutto era un ospite già ricevuto altre volte, pensò che non potesse riservare sorprese spiacevoli.

"C'è qualcosa che vi turba, Yves?" lei si fermò solo quando raggiunse un piccolo riparo tra gli alberi. Il palazzo si vedeva bene da lì, ma loro erano coperti da frasche e fogliame rigoglioso in pieno risveglio. 

"Devo mostrarvi qualcosa. Sì, mi turba, ma non pensate di me come a un vostro nemico" alzò gli occhi e la guardò "sono qui solo per informarvi e capire. Voi possedete una mente veloce e una capacità di giudizio integra, potrete aiutarmi a comprendere meglio di quanto possa fare da solo"

Oscar restò ferma e in attesa, silenziosa. Lo vide tirar fuori un piccolo foglio da dentro la divisa e porgerglielo, una cambiale molto familiare. Stesso nome, stessa cifra. Come era potuta finire nelle sue mani, si stava chiedendo. E cosa doveva dirgli adesso? Doveva far finta di vederla per la prima volta oppure il generale aveva menzionato il suo nome e che era stata lei a consegnarla a lui, e forse quest'ultimo l'aveva data a Yves per le indagini legate alla morte del conte. Rimase in silenzio.

"Sapete, avevate ragione, certe cose può trovarle solo qualcuno che sa dove mettere le mani, fosse anche una comune bisaccia" vide che la ragazza lo guardava confusa, quindi proseguì "quella era insieme ad altre, mio padre aveva molti crediti da riscuotere ma, voltate quel foglio"

Fece come gli aveva detto e si trovò con una scritta davanti agli occhi. "Non può essere…" mormorò, quella frase non c'era su nessuno dei fogli che aveva consegnato al padre e che aveva ricevuto da André. E poi perché diavolo c'era il nome di suo padre. L'aveva scritto lui? A che pro? Ma quella non era la calligrafia del generale. Non aveva senso. "Avete detto bisaccia?"

"Esatto, la bisaccia del cavallo di mio padre che ho tenuto per me"

"Vostro padre andava a cavallo portandosi dietro questa?" e se quella era una copia della cambiale consegnata al generale, o meglio l'originale, significava che il padre non l'aveva mai avuta tra le mani.

"Sì, quella e altre. Aveva di queste stravaganze, conoscendolo le teneva a portata di mano e forse le sfogliava anche per compiacersene" si accarezzò i baffi che stava lasciando crescere "se state pensando ciò che penso io, non temete di dargli voce, resterà un segreto fra di noi"

"Mio padre aveva un debito con il vostro"

"E ha usato il nome di qualcun altro per copertura, forse vergognandosene" aggiunse Yves "non era il solo, ne ho trovate diverse. Nomi che farebbero tremare i polsi a molte persone se saltassero fuori e scatenerebbero il peggiore degli scandali per ciascuno di essi. Ma la cosa che mi incuriosisce di più è, perché soltanto il generale si è tutelato con questo espediente del nome di comodo. La frase deve averla appuntata mio padre per non dimenticarsene…"

Fintanto che ascoltava, un altro pensiero iniziò a farsi largo nella mente della bionda, alzò gli occhi e fissò Yves, che poteva dirgli adesso? Di Pascal, dei suoi dubbi, oppure era meglio affrontare prima il padre e rivolgere a lui quelle domande. "Potreste lasciarmi questa cambiale? Vi giuro che vi verrà restituita"

"Tenetela, fateci ciò che volete, non è comunque mia intenzione riscuotere i debiti per conto di mio padre. Sono quelli che hanno causato la sua morte, probabilmente, anche se non credo si sia messo a ricattare uno dei suoi debitori, non era un uomo così imprudente da sfidare i ceti più alti"

"Non è per il debito ma per chiarire la verità sulla provenienza di questo denaro" ribadì lei.

"Non vorrei aver causato problemi alla vostra famiglia, forse avrei dovuto rifletterci di più e non parlarvene mai" ebbe un ripensamento.

"Invece avete fatto la cosa giusta, esattamente quello che mi aspetterei da voi" pensò alle voci sul registro che aveva trovato, ingenti uscite di denaro senza una chiave di lettura affine, come fossero solo normale amministrazione. Il padre doveva averne avute diverse di cambiali da gestire. "Tornate domani, vi prego, vi restituirò la cambiale assieme a una risposta più esaustiva" 

"Non mi dovete alcuna risposta" 

"Sì invece, e non solo a voi" piegò il foglio e lo nascose nel palmo della mano che chiuse. Era davvero furibonda. Yves si inchinò brevemente e poi tornarono insieme verso il palazzo. Il generale non lo incontrò affatto.

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Capitolo 13
*** Resa dei conti ***


Alla chiesa con il campanile dissestato giunse un corpo quella mattina. Uno sconosciuto, fin quando André non ci posò gli occhi. "L'abbiamo trovato nell'acquitrino" disse un uomo grosso con solo dei pantaloni addosso. Stava lavorando come taglialegna e raccontò che uno dei suoi compari aveva visto galleggiare quel tale a faccia in giù. L'avevano portato alla chiesa dentro un grosso telo "Padre, dategli una benedizione, così non ce lo ritroviamo a infestare i boschi" era un tipo superstizioso e di cadaveri lasciati in balia della natura, senza una qualsiasi funzione, non voleva averne in giro dove lavorava "Accompagnatelo all'altro mondo, in pace" aggiunse infine.

"All'inferno, dove lo aspettano" disse André, non aveva avuto la soddisfazione di eliminarlo di persona ma forse il padreterno glielo aveva voluto risparmiare. 

"Lo conoscevate?" l'uomo grosso lo fissò male, parlar male dei morti era un'altra delle cose che non faceva mai.

"Pascal, uno degli scagnozzi del generale Jarjayes, e se sulla Terra camminano i demoni sotto mentite spoglie, lui ne incarnava uno alla perfezione" rispose, la cicatrice era la conferma definitiva.

Il prete lo fece portare in chiesa dentro con tutto il telo. "Padre, non seppellitelo qui, portiamolo altrove" André non voleva trovarselo accanto al suo genitore.

"Anche volendo non c'è più posto, lo scorso inverno sono morti tre miei confratelli" c'era un cimitero più lontano, ce l'avrebbero portato dopo essersi organizzati.

"Com'è morto?" domandò André all'uomo grosso.

"L'hanno infilzato da dietro"

"Una spada?"

"Una spada o qualcosa che ci assomiglia!" seccato se ne tornò ai suoi alberi e alla sua ascia, assieme al compare che l'aveva aiutato a trasportare il corpo fin lì.

Alla fine, da dentro la chiesa venne spostato su un carretto e trasportato al grosso cimitero esterno di Parigi, quello dei cappuccini. Dovettero pagare per la sepoltura, e il prete recitò una breve preghiera. André guardò con disprezzo la croce di legno su cui aveva detto di scrivere solo le iniziali, una P e una D puntate. Affinché nessuno sapesse che stava lì e chi fosse, di lui non doveva ricordarsi più nessuno. Ma il prete lo disapprovò, dicendogli che il giudizio sulle anime dei morti non competeva certo a lui, perciò fece scrivere il nome per intero sulla croce.

"Metti a tacere il tuo odio, ragazzo" lo prese per un braccio, tirandolo via dal cimitero "dove dimora l'odio non entra nient'altro, è come un fumo nero che riempie una camera e non lascia più spazio per nulla che non sia già morto"

"L'odio mi ha dato la forza di campare, padre, anche quando avevo perso tutto, e se ne andrà quando avrò terminato il mio compito"

"La tua vendetta, chiamala con il suo nome. E poi che ti rimarrà?"

"Spazio"

"Il vuoto"

"Fosse anche uno spazio vuoto, ma libero" André tornò a salire sul carretto tirato da un mulo stanco, e lo attese lì. Aveva implicitamente chiesto a Oscar di diventare sua moglie, che illuso, era assai più certo che presto avrebbe occupato anche lui una di quelle grosse buche. Se non fosse morto prima di terminare l'opera con il generale, sicuramente lo sarebbe stato dopo, per opera di qualcun altro che avrebbe chiuso il cerchio dell'odio. Morire per mano della bionda non gli dispiaceva neppure tanto. Lo avrebbe accettato volentieri, l'unico tormento era il sapere che così finendo avrebbe distrutto anche la vita della ragazza. Ma quell'uomo non meritava di campare più di Pascal.

Tornò al fienile, negli ultimi giorni cercava di allontanarsi poco da quel posto. Sperava tornasse, ma per altri versi invece si augurava di non vederla più. Magari sposarsi quel tale a cui era stata promessa era la cosa migliore che le poteva capitare, poteva essere un'alternativa migliore di uno come lui. Si rammaricò di aver detto quella frase a voce alta, ora lei sapeva di essere nel suo cuore. Con la mano toccò la cassetta con le pistole. Di una poteva farne a meno, ma avere due tiri a disposizione anziché uno forse era meglio. Le pistole ad avancarica, come gli aveva spiegato Alain, erano scomode da trasportare una volta cariche; decise infine che se ne sarebbe fatta bastare una soltanto. Doveva nasconderla con cura fin quando non ce l'avesse avuto di fronte.

 

Oscar intercettò il padre mentre scendeva le scale, con la sua divisa, pronto per andare alla reggia. Lo aveva atteso ai piedi della scalinata, di prima mattina. Aveva un abito scuro addosso che quasi si intonava alla sua espressione; toccò il corrimano con un braccio guantato, bloccando il passaggio dell'uomo che si fermò poco prima di avvicinarsi agli ultimi scalini.

"Padre, da quando giocate d'azzardo con cifre così esorbitanti?" gli mostrò la cambiale e poi la girò, facendogli vedere la scritta "Il vostro amico non doveva conservare una buona memoria" l'uomo crucciò la fronte. "Effettivamente, con tutti i creditori che aveva era anche comprensibile poterne dimenticare qualcuno. Però a voi ha riservato un trattamento particolare, ha voluto concedervi questo piccolo trucco di un prestanome"

"Non sai di cosa parli, togliti davanti!"

"Padre, ho letto il foglio del rendiconto dell'anno"

"Sei entrata nel mio studio di nascosto?!" si precipitò giù dalle scale e la schiaffeggiò. Tuttavia la figlia tenne ben saldo quel foglio e non lasciò che l'altro lo toccasse neppure.

"Non è questo che dovrebbe impensierirvi…" si ricompose, toccandosi la guancia arrossata. L'urto le aveva sfasciato la pettinatura da un lato. "Padre, non mentite più, è tutto così palese ormai. Pascal è stato un vostro galoppino da quando lo rammento qui, non dubito possa essersi prestato volentieri ai vostri sotterfugi"

"Tu non sai niente! NIENTE!" strinse l'elsa della spada e strillò il nome della moglie. Purtroppo sapeva che Oscar Renaud aveva questa fastidiosa abitudine, di conservare con estrema attenzione i pagherò che concedeva ai suoi più facoltosi avversari sconfitti al gioco. Si era quasi convinto che non sarebbero più spuntati fuori, dopo il tempo già trascorso dalla sua morte. Quel dannato doveva proprio scriverci il suo nome sul retro? Perché non aveva usato una stupida sigla o un simbolo… Strinse i denti e urlò di nuovo il nome della moglie. Poi spinse la figlia, facendosi largo nell'atrio. 

La donna sopraggiunse dalla camera del piano superiore, quando vide i due in fondo alla scalinata intuì che c'era qualcosa di grave nell'aria.

Il generale guardò la figlia e sorrise, un sorriso sinistro "Tua madre non è sempre stata così accondiscendente, un tempo era una donna molto loquace e caparbia…" poi guardò la moglie "Scendete, e fermatevi tra il sesto e il nono scalino" la moglie impallidì, ma fece come le aveva chiesto.

L'uomo tornò a voltarsi verso la figlia "Circa ventun anni fa e dieci giorni quasi… Ricordo come fosse ieri, quando la vidi esattamente dove sta adesso" la indicò con l'indice "tra il sesto e il nono scalino di quella maledetta rampa!" la donna provò a tornare indietro ma lui le strillò di non muovere un muscolo.

"Vi prego, non continuate!" lo supplicò la donna.

"Madre?" la figlia non capiva.

"Come la peggiore delle cortigiane, si faceva prendere da quel conte farabutto, sotto il mio stesso tetto!" quel dito accusatorio non si spostava dal puntare la moglie che si sentiva svenire, si sorresse al muro, e le lacrime le bagnarono il viso.

Era accaduto, in quel giorno, che il generale rientrasse a casa per recuperare un documento dal suo studio, prima di dover partire per una missione. Oscar non era ancora nata ma la donna era già incinta di pochi mesi dell'ultima figlia e il marito lo sapeva, ne conosceva tutte le avvisaglie. Quando li scoprì, lei lo vide, ma Renaud era di spalle, su di lei, con le brache calate. Inizialmente, il generale si era avvicinato dall'ingresso del palazzo con l'intenzione di ucciderlo, supponendo che la stesse prendendo con la forza, ma dopo pochi passi, dopo aver udito quei gemiti, si era accorto che non era affatto così. Il conte, in preda all'estasi non si era avveduto della sua presenza, ma lei l'aveva visto, e aveva visto anche l'espressione disgustata sul suo volto, quando si voltò e andò via, come era entrato, senza far rumore.

Più tardi, quello stesso giorno, quando la donna e il generale ebbero un confronto, lei gli promise che non l'avrebbe rivisto mai più, se non in circostanze che non poteva evitare, come l'incontro casuale che poteva avvenire solo in compagnia dello stesso marito. Fosse stato alla reggia o per le vie della città. Giurò, inoltre, che quella era stata la sola e unica volta che si era concessa a Renaud. In quella casa non si incontrarono mai più, il conte non fece domande ma doveva pur aver capito qualcosa, dal modo in cui il generale si accertava che non la incrociasse neppure per un secondo. Per salvaguardare la dignità della nobildonna non tentò di avvicinarla di nuovo. Una delle ultime cose che Madame de Jarjayes chiese al marito sulla questione, fu quella di non nuocere in alcun modo al conte, come contrappeso della sua rinuncia e totale e definitiva sottomissione allo stesso marito. Il generale acconsentì, capendo che lei l'amava. Tuttavia, da quel giorno il rovello dell'infamia subita iniziò a scavare nella sua mente alla ricerca di una maniera per fargliela pagare; fosse quella di vederlo sul lastrico, di scoprire come imbrogliava al gioco e rovinargli la reputazione per la vita o come ultima risorsa, ucciderlo. 

Oscar vide la madre cadere sulle scale e piangere, tentò di raggiungerla ma il padre le impedì di avvicinarsi. "La vergogna che ho dovuto fingere di non vedere è tutta qui" si toccò il petto "sono certo che tu sia mia figlia solo per una combinazione fortuita dei tempi, e se non comprendi come mi sono sentito, non me ne importa assolutamente niente!"

La figlia lo guardò negli occhi "Padre, avete ucciso voi il conte Renaud?"

"Non direttamente" rispose lui.

La moglie gridò sulle scale e le mani tremanti raccolsero i capelli ancora rigogliosi che ora le ricadevano sul viso affranto. "Mi avevate garantito… Non ha mai saputo che ne eravate a conoscenza! Renaud si fidava di voi!"

"Che razza di pretese adducete?!" rise in faccia alla donna "Fiducia?? Si era preso mia moglie e la mia dignità! … Ma non importa più adesso, la storia si è chiusa"

"Anche voi mi avete tradito, più volte, io ho sempre fatto finta di non vedere!" ribatté la donna. Faticosamente tentò di rimettersi in piedi.

"Non è la stessa cosa!" il generale picchiò un pugno sul corrimano e lo fece vibrare per diversi secondi.

"Basta! Basta!!" la figlia li interruppe e andò a sedersi sull'ultimo gradino delle scale. La sua famiglia sembrava sgretolarsi davanti a lei. "Padre… volete farmi sposare il figlio dell'uomo che avete…" le mani nei capelli, le sembrava di ascoltare fandonie, deliri. Chissà come era potuto succedere che non se lo fosse mai chiesto prima, cosa c'era dietro quel gelo tra i genitori che mai in vita sua aveva visto sorridere l'un l'altra o passeggiare fianco a fianco, oppure scambiarsi la più sottile delle effusioni. Parevano come il padrone e l'ospite sgradita che doveva tenere nel suo palazzo a patto che fosse muta e quasi invisibile.

"Il figlio non è come il padre, sono come il giorno e la notte" affermò il generale.

"Ma vi rendete conto di ciò che dite?" non poteva ascoltarlo più, l'uomo era fuori di senno "Con che coraggio potrei anche solo pensare, alla luce di questi fatti, di diventare la moglie di Yves Renaud? Sarei incapace anche di guardarlo negli occhi senza provare vergogna e colpa! E se un giorno venisse a scoprirlo? Dio!"

"Ho mosso le mie pedine in anticipo, non sanno neppure su cosa indagare"

La figlia si alzò e se ne andò fuori dal palazzo, spedita come una freccia scagliata. Non ne poteva più. Si bloccò appena scese le poche scale che portavano all'esterno dell'edificio, quando vide André camminare nella sua direzione. 

"Oscar" la pistola l'aveva nascosta sotto la camicia, incastrata tra i calzoni e il fianco, facendo attenzione a non piegare troppo la canna. Aveva atteso di vedere il generale lasciare il palazzo, aveva aspettato fuori per non dover andare a cercarlo dentro la tenuta. Era sempre la stessa strada quella che percorreva, sin da quando era stato lì da bambino. Ma quella mattina nessuno era uscito dalla tenuta. Stanco di aspettare, aveva fatto la prima mossa.

"Che ci fai qui?" 

"È la prima volta che ti vedo con un vestito come quello…" e ne era affascinato, tutte le volte precedenti l'aveva incontrata con abiti consoni all'uso della spada; ma non poteva capitare in un momento peggiore. "No, non è vero, ti ho già vista, molti anni fa…" continuò, senza far caso al viso contratto della bionda.

"Non è una buona giornata per far visita ai tuoi ricordi" gli fece cenno di tornare indietro "parleremo al solito posto, un'altra volta"

"No, Oscar, non ci sarà un'altra volta. Sono qui per vedere tuo padre e saldare un debito d'onore"

"Mio padre? A che riguardo?" 

"Pascal è morto, lo sai?" ormai le era arrivato molto vicino "Hanno trovato il cadavere, si vede che qualcuno gli ha dato il ben servito prima di me. Colpito alla schiena con una lama. Ne sai nulla?"

"Non sono stata io, se è questo che pensi" lei invece stava considerando tutt'altro, Pascal sapeva molte cose che il padre voleva ancora tenere segrete. Anche se Yves gli aveva scombinato i piani definitivamente. La faccia del bruno non le piaceva. Sguardo vacante e privo quasi di emozioni. "André, che ti è successo?"

"Niente, ora vorrei un'ultima cosa da te, che non entrassi nel palazzo fin quando io non ne sarò uscito, in piedi oppure in orizzontale"

"Che vuoi fare?"

"Chiudere ogni cosa, mettere fine al mio patimento. Tuo padre è colpevole quanto Pascal, deve pagare"

"Ma che stai dicendo?" quella mattina sembrava un incubo senza fine. 

"Oscar, ti ho raccontato ogni cosa, sai tutto. Non c'è altro da aggiungere. Ora, spostati" le passò accanto strusciando il vestito. Lei lo trattenne prendendogli la mano.

"Cosa ne sarà di noi? Non ti importa più?" André rimase in silenzio. "Se lo uccidi, che pensi accadrà poi? Non posso amare l'assassino di mio padre. Anche fosse un demonio, è pur sempre mio padre!" lui non la guardava, fissava ovunque ma non lei.

"Non posso farci niente, giustizia deve essere fatta o non troverò mai pace. È lo scopo che mi ha tenuto in vita fino a oggi, senza non mi resterebbe più nulla!" 

"E io sono il nulla? Chi sono io per te? Perché mi hai detto quelle cose se non le pensavi?!" aveva voglia di colpirlo ma allo stesso tempo non lo riconosceva, sembrava di nuovo di avere vicino l'André incendiario, poco prima che lo vedesse scappare via da lei. 

"Le penso eccome! Non ti ho mentito su quello che sento per te!"

"Allora, chi diavolo sei, André?! Chi è il vero te?! Quello che si è allenato con me, che ha riso con me, mostrato gentilezza e anche forza d'animo, quello che amo e a cui non posso più rinunciare nonostante il dannato rango sociale che mi urla contro da quando sono nata!" gli occhi le pizzicavano "Oppure sei l'uomo che agisce d'impulso e poi magari se ne pente quando è troppo tardi?!"

"Tutta la mia vita porta a questo epilogo! Mi dispiace averti messa di mezzo, anche se mi farei uccidere per difendere ciò che provo per te… il male che mi ha fatto tuo padre è troppo perché lo dimentichi. Non Posso! Il male, si combatte… altrimenti se ne diventa complici!" staccò la mano tirandola via e procedette verso l'entrata "Dopo potrai fare di me ciò che vuoi, ne uscissi vivo"

"André!" gli si parò davanti "Se ti dicessi che devi uccidere prima me e poi mio padre, lo faresti?!" allargò le braccia "Perché non me ne resterò ad assistere come niente fosse! E perché giuro che te lo impedirò! Sono l'ultimo ostacolo tra te e la tua vendetta!" lo vide fissarla con quegli occhi vuoti che cominciava a detestare. Lo colpì con il rovescio della mano, un ceffone che forzò più che poté, lui barcollò e poi cadde seduto a terra. Partì un colpo. Il terrore le mascherò il volto, Oscar si precipitò accanto a lui. Strofinò le mani sui suoi abiti, gli occhi si spostavano agitati, cercò spasmodicamente se ci fosse una ferita. La paura si smorzò solo quando vide un foro nella camicia, il proiettile era partito verso l'alto, senza toccarlo. Liberò il respiro che stava trattenendo e l'abbracciò forte, le braccia tremavano. 

André era rimasto immobile, ricordava di non averlo tirato il cane, non ancora. "Pistole dell'esercito, da quattro soldi…" mormorò, ci era caduto sopra; gli sfuggì un sorriso. Strinse le braccia intorno alla bionda che era ancora scossa. "Perdonami, non volevo farti soffrire… tu non c'entri niente" si tirò su e aiutò anche lei, allora videro il generale uscire con spada in pugno.

"Stavi per uccidere mia figlia!" aveva sentito lo sparo e poi li aveva trovati a terra, quel giovane ragazzo che non conosceva era aggrappato alla figlia. "Allontanati da Oscarléne, balordo!" André si scansò e portò l'attenzione dell'uomo su di sé; cercò la spada e non la trovò, l'aveva lasciata al fienile. Deglutì, finire ucciso per mano di quel generale gli faceva rivoltare lo stomaco, sarebbe stata una beffa.

"No, padre! Non è andata così!" la bionda tentò di avvicinarsi al più anziano ma lui attaccò il bruno, che miracolosamente schivò l'affondo di taglio. "PADRE!" il secondo però era basso e puntava al corpo. 

André non la vide e neppure il generale, la bionda si lanciò davanti la spada, bloccò l'elsa con una mano e frenò la spinta ma la punta le trafisse lo stesso un fianco. Gli occhi fissi in quelli del generale.

"OSCAR!" André l'afferrò prima che cadesse, le sfilò la spada dal corpo con un gesto rapido. Lei soffocò un gemito di dolore. Il rumore di zoccoli che si avvicinavano rapidi distrasse tutti. Yves si scagliò su André e lo abbatté al suolo. La bionda era a terra, le mani stringevano forte il fianco destro. Il bruciore era forte ma si sforzò di non svenire. I denti afferrarono uno dei guanti e lo tirarono via, lo premette sulla ferita. Il padre era come paralizzato, in piedi, poco distante.

"Assassino!" Yves aveva estratto la spada e sollevata rapidamente per colpirlo. André era accecato dalle lacrime, non lo vedeva bene.

"NO!" gridò Oscar. Un braccio grattò a terra, cercava un appoggio per alzarsi.

André rimase con lo sguardo bloccato su di lei come se la punta della lama che aveva alla gola fosse invisibile. Il vuoto negli occhi era scomparso, ora c'era solo panico, ansia e rimorso.

"Vi prego, Yves! Non fatelo, lasciatelo andare!" si resse il fianco sanguinante ed era di nuovo in piedi. Il padre si era scosso e si stava muovendo verso di lei ma la bionda gli urlò di non avvicinarsi. Di rientrare in casa, piuttosto. Il generale rimase inchiodato dov'era. Era un ordine, involontariamente si ritrovò a obbedire.

Yves teneva ancora la spada contro la gola del bruno, gli aveva graffiato il collo "Questo miserabile vi ha colpito!"

"No! È stato un incidente!" sentiva quasi perdere conoscenza "Vi prego, lui è…"

Il sottotenente si scansò quando vide quello sguardo disperato della ragazza e poi fissò rabbioso il bruno sotto di lui, gli occhi di André sembravano riflettere la stessa disperazione mentre le lacrime scorrevano. "Il vostro irreale, ho capito… perdonate, se ho frainteso" si fece indietro e rinfoderò la spada, si affrettò quindi a soccorrerla. Un braccio ciascuno, insieme al generale che aveva recuperato la sua spada, la aiutarono a camminare verso la residenza. 

"Oscar!" il bruno la chiamò.

"Sto bene!" giunse in risposta, la voce era roca ma presente.

Una cameriera corse a prendere dei bendaggi senza che nessuno le chiedesse nulla. Aveva anche mandato il maggiordomo a chiamare il medico.

André si alzò con foga per seguirla ma una guardia di grossa stazza gli sbarrò la strada. Il giovane provò a scansarlo di forza ma si trovò per terra così velocemente che non se ne rese conto. Gridò forte. Di nuovo in piedi, l'uomo gigantesco gli bloccava ancora la strada, con le braccia conserte. André caricò un pugno per colpirlo ma si bloccò quando il generale tornò fuori, quest'ultimo gli puntò la sua spada al petto, ancora macchiata del sangue della figlia "Chi sei tu?"

"André Grandiér" lo adocchiò con astio asciugandosi il viso, come undici anni prima. La stessa angoscia, per ragioni diverse, gli era dipinta sulla faccia "Avete causato la morte di mio padre… Un uomo innocente, che io vi abbia supplicato o meno, eravate ferreo e inamovibile come se ne aveste avuto da guadagnarci!" 

Quella frase gli fece piombare addosso i ricordi di un vecchio episodio del passato che aveva cancellato. "Ora capisco, è a me che volevi sparare" rinfoderò la spada. Era stanco. "Sei venuto in casa mia a minacciarmi e hai quasi ucciso mia figlia. Vattene adesso. Io non concedo misericordia due volte. Ti risparmio la vita, come risarcimento per tuo padre-"

"Non nominatelo neppure! Lo aveste fucilato o trapassato con la vostra spada sarebbe stato meglio! L'avete condannato a morire in agonia un po' alla volta!" strinse forte i pugni "Mi sto trattenendo per Oscar, solo per lei!" 

"Non ti chiederò perdono, non ho avuto alcuna parte in quella vicenda. Ho avuto fiducia in Pascal, questo sì, e non mi ha mai tradito. Ma, se ha congeniato un tranello per colpire tuo padre, non era cosa che potessi prevedere. Riguardava soltanto loro due"

"Potevate ascoltarlo!!"

"Tornassi indietro non prenderei la stessa decisione, ma non posso più rimediare" il generale gli voltò le spalle "le nostre famiglie sono inconciliabili, per rango e per trascorsi" proseguì poi prima di tornare verso l'interno del palazzo. André capì che era un modo sottinteso di fargli intendere di stare alla larga dalla sua ultimogenita.

"Siete una carogna!!" si mosse per seguirlo ma un giovane servo gli si avvicinò prima che avesse di nuovo a che fare con il bestione. Con discrezione lo pregò di lasciare la casa, poiché non era gradito. "Non me ne vado se non so come sta!" il servo aveva sentito parlare della vicenda di Julien Grandiér, anche se all'epoca non era che un bambino di pochi anni.

"Venite con me, vi farò avere notizie della signorina, appena ne avrò" disse poi il ragazzo, era un adolescente. "Fidatevi di me"

André si lasciò convincere. Il rimorso era terribile. Il bestione che l'aveva buttato a terra non si muoveva, era come una statua. Ma lui sarebbe stato impalato lì davanti finché non avesse saputo come stava. Causare dolore a chi amava era l'epilogo peggiore che poteva capitargli. Se le fosse accaduto il peggio, non riusciva a immaginarsi più un futuro. Il ragazzino lo accompagnò fino a una vecchia quercia, e gli disse di aspettare. André si sedette sotto l'albero, toccò lo zigomo arrossato che gli faceva male. Il sole estivo avvolgeva ogni cosa e pareva scaldare anche quel suo animo stagnante. Iniziava a sentire quel vuoto di cui gli aveva parlato il prete, e non era un vuoto per ciò che si era ormai compiuto ma per quello che ora rischiava di perdere. Una sensazione opprimente che gli scatenava una paura mai provata prima. Le mani tremavano. Trovò conforto in un pianto disperato e incontrollato, un pianto che si tirava dietro da anni e che aveva finalmente trovato uno sbocco.

 

 

I’m watching the starlight, it's your eyes in my mind

Sto guardando la luce delle stelle, i tuoi occhi nella mia mente

I’m stuck in a moment, when I should be somewhere else

Sono bloccato in un momento, quando dovrei essere altrove

Where I’m not sailing in an ocean of emotions

Lì dove non sto navigando in un oceano di emozioni

I’m caught in a daydream, escaping from myself

Intrappolato in un sogno a occhi aperti, in fuga da me stesso

[...] 

 

Italove – Too Late to Cry (Flashback Ri-Mix) ]

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Capitolo 14
*** Rinascita ***


André rimase tre giorni davanti quell'albero, ci dormiva anche, dato che il tempo era caldo e gradevole pure all'addiaccio. Il giovane servo aveva mantenuto la sua parola, gli portava notizie della giovane bionda due volte, mattino e tramonto. E già che c'era, si occupava anche di non farlo morire di fame, rimediando qualcosa per lui dalle cucine. La mattina del quarto giorno, il ragazzo gli disse di andar via, Oscar stava meglio ed era preferibile che il padrone non sapesse di lui lì apostato da giorni. "Fidatevi delle mie parole, tutti noi che lavoriamo su queste terre siamo molto affezionati alla signorina, più che alla famiglia intera" gli parlò prima di salutarlo, aggiungendo che non sarebbe più andato a riferirgli nulla. Che altro poteva fare, se non fidarsi, non vedeva ragione perché quel ragazzino gli mentisse. Sarebbe tornato al fienile e avrebbe atteso, e se lei non fosse giunta avrebbe fatto ritorno alla tenuta per vederla con i suoi occhi. Voleva solo rivederla in piedi e in buona salute, non gli importava anche se lo avesse poi scacciato. Quel tizio in divisa che gli si era lanciato addosso, si domandava se era qualcuno di speciale per la bionda. E se era sempre quel tale, il suo promesso. Che carte aveva da giocarsi contro uno così, poteva solo sperare nell'amore di lei, augurandosi non si fosse trasformato. Con quei pensieri tenebrosi, tornò lentamente verso la strada che portava lontano dalla tenuta.

 

Oscar sedeva sul letto, una veste bianca indosso e delle lenzuola leggere la coprivano fino alla vita. Le mani poggiavano sulle ginocchia tirate su, e pensava. Da quando si era svegliata, non faceva altro che rivivere gli ultimi accadimenti. Il medico le aveva detto che la lama era entrata e uscita causando una lieve emorragia interna, senza toccare organi importanti. Le aveva proibito di alzarsi per una settimana, tuttavia. Udì bussare, concesse il permesso.

"Oscarléne" il padre entrò e chiuse la porta. 

"Non ho intenzione di rivelare a nessuno ciò che mi avete raccontato, non preoccupatevi" disse subito lei, senza girarsi, gli occhi guardavano le tende irradiate dal sole della tarda mattinata. "Per quanto mi disprezzi nel farlo, porterò ciò che avete fatto con me fino alla morte" rivelarlo a Yves avrebbe conseguito uno scontro fatale, forse un duello tra i due. Altro discorso invece era se il sottotenente l'avesse scoperto con le sue forze o con l'aiuto di chi, forse, ancora stava indagando sull'avvelenamento del conte. Non voleva neppure sapere come il padre aveva agito e chi altri c'era stato, oltre Pascal, a fargli da complice.

"Non sono venuto per questo" girò intorno al letto per poterla guardare negli occhi "ti chiedo perdono per averti causato la ferita… Metterti davanti a una spada per quello lì… Chi è per te? Come fai a conoscerlo?"

La figlia non rispose.

"Il figlio di Grandiér voleva uccidere me e ci sei andata tu per traverso, me ne dispiace" riprese l'uomo.

"So che non era vostra intenzione colpirmi, padre" si voltò, prima che lui continuasse "però, credete che il male che si compie in vita resti impunito per sempre?" strinse le lenzuola nei pugni e lo guardò "Posso capire come vi siete sentito, dopo ciò che è successo in passato, ma niente vi giustifica. Avrei meglio potuto capirvi se aveste affrontato il conte subito, anche in uno scontro alle armi, invece che ordire un subdolo disegno per anni, nell'ombra, al fine di colpire sia lui che mia madre. Non c'è onore in questo"

"Tua madre ha fatto ogni cosa da sé" rise nervoso "lei si aspettava che io continuassi a vivere noncurante di niente? No, lei sapeva che la miccia era ormai accesa, sebbene ci sperasse che io fossi un debole accecato dall'amore, così come lei... Vuoi sapere cosa mi ha ferito davvero?" toccò il legno dei piedi del letto con le mani e lo strinse "Non il tradimento, perpetrato anche solo una volta, ma che lei ne fosse innamorata. Questo è inaccettabile. Se riesci a capirlo oppure no, rimane solo un tuo cruccio" non un cenno, né un vago senso di comprensione sul viso della figlia, ciò che invece l'uomo si attendeva.

"Ho preso una decisione, io e mia madre lasceremo la tenuta e andremo a stare dalla zia Séphora, per il momento" e lo disse guardandolo negli occhi "poi penseremo a una sistemazione definitiva. Oramai è impossibile continuare a vivere tutti e tre come la famiglia che non siamo più e che abbiamo solo finto di essere" ed era felice che almeno le sorelle, tutte sposate e distanti, non avessero subìto quello che stava passando lei. Neppure loro avrebbero mai saputo tutta la verità.

"Non ti affannare a cercare altre sistemazioni" l'uomo si distanziò dal letto e si approssimò alla porta "presto lascerò la Francia, sono comandante di un contingente volontario che partirà per le Americhe a giorni" la figlia si girò "l'ho deciso già da tempo, non pensare che mi faccia dettare da altri le mie scelte" e la prova era che aveva depositato la richiesta presso l'alto comando molti giorni addietro. Qualunque fosse stato l'esito del piano contro Renaud, non aveva desiderio di restare in Francia nei tempi subito seguenti, anche come salvaguardia. Però avrebbe voluto tornare, un giorno. "Potete restare qui, sarò io a lasciare la tenuta" scambiò un ultimo sguardo con la figlia, attese una parola, un qualcosa, anche un'occhiata d'odio; niente di tutto ciò si verificò. Uscì.

 

Il mattino seguente, la bionda dimenticò le direttive del medico e si vestì per uscire. Però non era ancora in grado di calarsi dalla finestra. Trovò fortunatamente solo la madre, quando scese le scale, con i suoi calzoni e la sua camicia che portava al di fuori per non infastidire la fascia intorno l'addome. La donna era stata con lei ininterrottamente fin quando non aveva ripreso i sensi. Ora la vide sdraiata su un divano, aveva paura di lasciarla sola con il padre, temeva qualche altro gesto folle improvviso. Combattuta se uscire o meno andò verso di lei. Non sapeva ancora che il generale aveva già lasciato la residenza, quella stessa mattina, era uscito senza voltarsi indietro, nell'aria afosa di uno degli ultimi giorni di giugno. 

Si inginocchiò davanti la donna, che pareva assopita. Il fianco le faceva male ma rimase così a guardarla in silenzio. Notò qualche ruga in più di quelle che ricordava, l'aveva sempre considerata una persona troppo remissiva, quasi a biasimarla così aspramente certe volte, da non volerle mai assomigliare. Se ne pentì. La donna riaprì piano gli occhi, incrociò quelli della figlia che portava il nome dell'unico uomo che avesse mai amato in tutta la sua vita. Avvicinò una mano sulla guancia della figlia e sorrise. Oscar afferrò quella mano con la sua e la baciò. "Perdonatemi, se non vi ho mai compreso" disse. La madre si commosse "Non vi giudico per ciò che è stato" proseguì, le lasciò la mano e si alzò. Allora la donna la informò del generale, che era andato via, senza dire una parola a nessuno. La figlia sapeva dove, quindi la mise al corrente. Sembrava una notizia che non destava più sorprese ormai.

"Dove vai? Non puoi ancora alzarti dal letto"

"Lo so madre, ma c'è qualcuno che vorrei rivedere. Ci siamo separati in un modo un po' brusco l'ultima volta" sorrise per non farla preoccupare, anche se non l'aveva convinta "sto bene, e sarò di ritorno presto" posò un altro bacio sulla fronte della donna e la lasciò.

Yves, che si era recato lì ogni mattina per avere notizie della bionda, quel giorno la vide uscire in groppa al suo cavallo bianco, con i capelli sciolti che si beavano dei raggi potenti del sole. "Ma dove se ne va in quello stato?!" e correva veloce, come se stesse inseguendo il vento. Girò la sua cavalla nera e iniziò ad andarle dietro. Nella foga, lei non l'aveva neppure visto arrivare.

Raggiunse il fienile in così poco tempo che Yves la perse di vista anche se il tragitto era in fin dei conti molto breve.

André era seduto al suo solito angolino, come passatempo, ogni tanto lanciava una delle sue monete d'oro nella cassetta che un tempo conteneva le pistole, l'aveva sistemata accanto l'ingresso. La seconda arma era invece vicino la sua gamba, sul pagliericcio muffo. Un'ombra si stagliò presso alla cassetta e l'ultima moneta che lanciò ne colpì il bordo, rotolando vicino gli stivali di Oscar. Lei la calciò con un piede e gliela fece tornare tra le gambe. Restò in silenzio, davanti la sua faccia inebetita e le labbra cucite, che le davano ai nervi come ogni volta che si aspettava dicesse qualcosa che invece non pronunciava. "Che c'è, non mi riconosci più?"

André deglutì, con la schiena si sporse per guardarla meglio, il sole gli andava contro ma sembrava in salute, soffocò la commozione. Aveva una gran voglia di abbracciarla ma non si mosse. "Perdonami, come sta la ferita?"

"Nient'altro da dire?"

"È stata colpa mia. Se vuoi puoi spararmi e pareggiare i conti" guardò la pistola che aveva di fianco, la prese e gliela porse tenendola per la canna.

"Non mi hai colpito tu, basta con questo atteggiamento!" Oscar gli si avvicinò e gli tolse la pistola dalle mani, la svuotò con due strattoni veloci, facendo schizzare pezzetta, pallino e tutto il resto della polvere che stava lì da troppo tempo a prender muffa. "Ne hai altre?"

Lui disse di no.

"Questa tua aria indolente e commiserevole… e detestabile, non ti appartiene"

"Perdonami" chinò il capo e si guardò le mani, restò seduto dov'era.

"L'André che ho conosciuto non è così, dove sono la grinta e la determinazione? Mi farò perdonare, anche se dovrò impiegarci tutta la vita… Tue parole, ricordi?"

"Ricordo bene. Sono a disagio per quanto accaduto, ne sento il peso e la responsabilità. Ma sono anche felice che tu sia qui" raccolse la moneta che gli era tornata indietro e la lanciò nella cassetta. "A dir la verità, non sapevo se mi volessi ancora vedere oppure no"

Yves si sporse dietro le spalle della bionda e a quel punto André parve come riacquisire un po' di energia. "Voi non dovreste essere qui" disse a lei, ignorando l'altro.

"Neppure voi, se per questo, mi avete seguita?" Oscar si scansò di lato e lui poté entrare.

"Certo, ero venuto per chiedere della vostra salute e vi ho visto cavalcare come se foste inseguita da un drago, per venire da questo… relitto umano, in questa tana fetida" guardò duramente il bruno che si era alzato. André lo colpì, un veloce pugno sul mento e lo fece sbattere contro il legno malandato del fienile. 

Oscar si avvicinò di fretta per aiutarlo ma il giovane conte si alzò da solo "Il vostro irreale picchia forte…" incurvò le labbra e si rimise in piedi, il mento gli faceva male ma fece finta di niente. "Voi l'amate?" gli chiese. André non rispose, però ricambiò lo sguardo insofferente che gli mostrava l'altro. "Se non avete neppure il coraggio di affermare i vostri sentimenti, non la meritate"

"Fatevi gli affari vostri, signore, noi non ci conosciamo" André spostò gli occhi sulla bionda e poi di nuovo sul conte.

"Sono cose che mi riguardano, lei è la mia promessa e non ve la lascio se non mi convincete di avere rispetto per i suoi sentimenti" si girò a guardare Oscar, che turbata cercava di mantenere la calma. "Mostratemi il vostro coraggio, signore"

André prese la spada da sotto la paglia e la sfoderò "Dove andiamo?" 

"Qui fuori, tanto non passa un'anima" replicò Yves. E mise mano all'impugnatura della sua arma.

"Assolutamente no" Oscar si fece spazio e bloccò l'uscita "nessuna lama si leverà in aria per me" 

"La risolviamo tra uomini allora" Yves si tolse la spada dal fianco e la poggiò accanto alla porta, poi sbottonò la divisa e la tolse.

André si risvoltò le maniche della camicia. A menar le mani era certo di poter vincere, cosa che non poteva giurare con la spada in pugno.

"No, signori, forse non ci siamo intesi, nessuno si batterà per me. Solo io mi batto per me stessa" afferrò la divisa del sottotenente e gliela porse "rivestitevi, prego"

"Allora come la risolviamo? Vi devo dimostrare che questo qui non vi merita, devo umiliarlo, più di quanto lo è già la sua figura meschina e prostrata" lo fissò come a sfidarlo. André ebbe l'impressione che lo stava pungolando di proposito per tirargli fuori una risposta, fosse un altro pugno, un calcio o un'offesa verbale.

"La risolvo io, in tre parole" Oscar si avvicinò ad André "mi avevi chiesto di diventare tua moglie, ma tu cambi idea così velocemente" lui voleva ribattere ma lei lo fermò con una mano "sono qui oggi, non verrò domani né mai più se mi lasci andare senza dirmi la verità. Sta a te" lo guardò, era terrorizzata dalla risposta e stentava a nasconderlo. "DILLO!"

André sussultò, quel grido gli era rimbombato nel petto. "La verità…" il bruno si dimenticò che c'era anche il terzo incomodo. Certo che glielo stavano chiedendo quegli occhi imploranti, la prese per mano e la tirò a sé, baciandola.

Yves chiuse i suoi e poi li riaprì bloccandoli a terra, era come aver preso un pugno portentoso allo stomaco. Già lo sapevi, già lo sapevi, idiota di un Renaud, inutile che reagisci così! Avrebbe voluto ignorare le urla del cuore assillante.

Quando le labbra si separarono, il bruno la trattenne per le braccia "Ecco la verità!" la voce un po' rotta lo costrinse ad aspettare prima di continuare "Non sono un nobile, non ho niente eccetto quello che sta in questo fienile puzzolente. Volevo uccidere tuo padre perché in passato ha causato la morte del mio. Ho vissuto solo per avere giustizia e alla fine non ho potuto neppure prendermela! Tra il mio futuro e il tuo c'è un abisso… tuo padre, lo odio, ma ha detto il vero, siamo inconciliabili. Eccola la verità! " 

"E credi m'importi che tu non sia nobile?" lei lo spinse e gli fece lasciare le braccia "E così tra noi c'è un abisso, eh? Perché mi hai chiesto di diventare tua moglie, allora? Così, sull'impulso di un momento? E ora invece, accampi scuse. Forse perché è più facile dire che non si può cambiare piuttosto che affrontare la realtà e combatterci contro!" gli puntò un dito sul viso "Sai come si chiamano quelli come te, André?" aveva il cuore come impazzito, da un misto di emozioni furenti che lo facevano battere tanto veloce che dovette riprendere fiato.

"Oh, lo so per certo, come l'ha capito il tuo soldatino che hai come promesso sposo" André fece schioccare la lingua tra i denti e guardò per un attimo Yves che lo stava fulminando con gli occhi. "Voglio sposarti più di ogni altra cosa ma, ammesso che potessi, come posso chiedertelo ancora? Ti ho causato solo problemi… eppure sei qui. Vorrei tornare indietro a quando eravamo bambini e scappare con te prima che tutto l'odio mi soffocasse, rubandomi la vita" asciugò le lacrime con il palmo e si girò, aveva quegli occhi puntati dietro le spalle e li percepiva "non c'è luogo in cui tu non esisti, per me… e non riesco a immaginarmi felice senza di te, non dovrei ma non riesco a smettere di desiderarti, non riesco… Ti amo, e quando guardi l'amore negli occhi ne rimani abbagliato, per sempre…" ingoiò un singhiozzo e si voltò a guardarla.

Oscar lo abbracciò. Le mani corsero dietro quei capelli bruni e avvicinarono la fronte alla sua. "Rimani con me. Rimani così e non farti più nascondere dall'oscurità, al resto c'è rimedio" gli sussurrò all'orecchio. Le guance una sull'altra, le lacrime della bionda si mescolarono a quelle dell'uomo che la stringeva forte. 

"Saresti disposta a una vita molto modesta, per diventare mia moglie?"

"Sì, perché ti amo" gli accarezzò i capelli "e non preoccuparti di mio padre, ha intrapreso una strada lontana dalla nostra. Lascia andare il tuo odio, André" lo baciò ancora.

Yves si schiarì la voce, sperando gli togliesse quel groppo alla gola e quel peso dallo stomaco "Possiamo risolvere il problema del titolo, lasciate che me ne occupi io" disse, sorprendendo gli altri due. Ne era stato testimone, ormai era tutto fin troppo reale ciò che stava accadendo davanti a lui.

Più tardi, quando furono tutti e tre fuori da quel fienile, nel mentre i cavalli facevano conoscenza più lontano, loro si trovarono un riparo all'ombra, sotto le fronde di un albero. "Conosco un uomo, un vecchio faccendiere di mio padre" iniziò Renaud "è un falsario" ruotò gli occhi quando li vide entrambi meravigliati "mio padre ne conosceva molta di gente, di ogni tipo. Vi farò avere un titolo, lo prometto"

"Perché lo fate?" André aveva dei dubbi.

"Perché desidero aiutarvi" rispose subito, spostò l'attenzione sulla bionda per un momento fugace e poi mirò il cielo limpido. "Oscar, voi meritate che il vostro… Sì, insomma, che…" scosse la testa, quanto odiava quella sua goffaggine. Quando lei gli sorrise, arrossì e se ne vergognò così tanto che si girò di spalle. Che patetico idiota, pensò tra sé. "Bene, mi farò vivo io alla tenuta a cose fatte"

Oscar lo informò delle novità sul padre. Lo vide come incuriosirsi della scelta del generale. Detto ciò che doveva dirgli, la bionda si allontanò per andare a riprendere il suo cavallo. Era in difficoltà per ciò che sapeva e nascondeva, e ora si trovava anche ad aver accettato il suo aiuto, per amore; chiese perdono a Dio.

"Il vostro nome per esteso?"

"André Grandiér"

Yves annuì, gli riferì che doveva comunicarlo al falsario, così come la sua data di nascita. Si toccò il mento, stava diventando livido. "Ma badate a voi, André, che non si penta mai della sua scelta" lo guardò con ammonizione e non lo vide batter ciglio, segno che aveva compreso le sue parole.

"Mi dispiace avervi colpito"

"Io vi ho offeso, me la sono cercata" sorrise "siete forte e siete sincero, perché altri non si sarebbero posti il problema dello sconvolgerle la vita e gli affetti, nobile o meno. Quindi vi ammiro"

André sorrise di rimando. "Voi, ne siete innamorato?" chiese poi, grattandosi il ponte del naso, ora era lui a porgli quella stessa domanda. "Se non volete rispondere, non insisterò. Lo chiedo solo per chiarezza, intendiamoci"

"Non ha più importanza" ed era certo che la giovane Oscar se ne fosse accorta da tempo. Con un saluto riguardoso, si congedò. Non essere corrisposti faceva parte del rischio. Avrebbe voluto stringerla tra le braccia soltanto una volta, una sola volta gli sarebbe bastata. Ma non sarebbe mai accaduto, non in quella vita. Il primo amore raramente funzionava, almeno così gli aveva spesso detto la madre. Il problema era dimenticarla, avesse almeno potuto strapparsi via i ricordi, a cominciare da quella prima volta che l'aveva vista e l'aveva fatto arrossire come un ragazzino imbranato. 

 

André si trasferì alla tenuta. E per il momento Oscar lo fece accomodare in una delle case migliori delle guardie, che aveva licenziato una per una. In attesa di ufficializzare il fidanzamento e parlarne con la madre. Non volle che tornasse alla vecchia casa che divideva con il padre e la nonna. Lo aveva pregato di lasciar andare il passato. 

La ragazza mise mano a tutti i documenti che trovò nello studio del padre, trovò anche il residuo della cassa del podere intero, un'inezia. Rimase sconvolta quando vide le poche risorse rimaste. E i registri, non erano aggiornati da molti anni, il padre teneva dei fogli annualmente dove annotava di persona, senza intermediari, uscite ed entrate solo per sua memoria, con note di voci che soltanto lui poteva comprendere. Il denaro rimasto copriva a malapena le spese della tenuta, comprese le paghe anticipate ai lavoranti che lei aveva intenzione di fornire anche a costo di tagliare sui fabbisogni del palazzo. Prima cosa che aveva fatto, subito dopo aver esonerato le guardie dalla loro occupazione, era stato andare a parlare con i braccianti di persona. Doveva calmare gli animi agitati, aveva espresso loro gratitudine, soprattutto per aver resistito nel limbo tutto quel tempo, in attesa di risposte, senza andar via. Quella sera, André entrò nello studio senza bussare.

"Che ci fai qui a quest'ora?" domandò lui.

Oscar teneva una mano nei capelli e dei fogli nell'altra "La situazione è brutta, devo trovare un'altra fonte di reddito"

"Si possono allargare i campi coltivabili, così l'eccedenza sarà maggiore e anche gli introiti"

"Buona idea, si potrebbe fare, ma ci vorrà tempo e intanto… Ma tu come sei entrato qui?" alzò gli occhi "Non cominciamo già a prenderci queste confidenze" sorrise.

André ricambiò il sorriso "C'è un ragazzino rosso di capelli che mi conosce, mi ha fatto entrare nel palazzo senza fare storie" scrollò le spalle. Gli aveva anche indicato l'ubicazione esatta dello studio.

"Già cominci ad arruffianarti la servitù…" scherzò lei, poi si alzò e gli mostrò il foglio che aveva trovato tempo fa, riguardo i conti della tenuta.

"Il generale ha sperperato una fortuna, tutte queste uscite…" André lesse le voci una per una "Ha dovuto acquistare libbre e libbre di merce che queste terre non bastavano a coprire, e poi le ha usate per pagare il conte, ma perché non dargli direttamente il denaro?" ricordava le ricevute delle cambiali saldate.

"Più difficile dimostrare la provenienza di beni primari, per chi è nobile e usa una guardia come prestanome. Ci ha lavorato a lungo e l'ha pensata al meglio possibile"

André annuì "Il rancore rende ciechi ma aguzza anche l'ingegno"

"Adesso mi interessa come riparare al disavanzo" e non voleva certo adulare il padre.

"Allargando il terreno per i campi, si ricaverebbe anche della legna da vendere, ce la caveremo"

"Interessante, mi sa che devo interpellarti più spesso" gli accarezzò una spalla.

"Camera tua è sicuramente più arieggiata della capanna dove sto, e là ci fa un caldo tremendo, posso restare stanotte?" il bruno posò il foglio sulla scrivania e la guardò, senza perdere il sorriso.

"Non siamo ancora sposati, quindi no" replicò lei.

"Una formalità"

“Sarà, ma non mi sentirei a mio agio"

André trovò un paio di dadi dentro un piccolo portaoggetti "Ce la giochiamo?"

"Che??" 

"Hai paura?"

"Ah, certo, ti piacerebbe" gli sfilò i dadi dalla mano "chi scommette su cose così importati è uno sprovveduto o uno stolto"

"Concetti troppo severi… Si può lasciare che a decidere sia il fato, per una volta"

"Il fato non deciderà mai nulla al posto mio" ripose i dadi dove stavano. E sollevò il vestito che come sempre raccoglieva polvere quando entrava lì dentro, doveva farci dare una bella ripulita quanto prima. 

"D'accordo, ho capito, torno alla capanna"

"Buonanotte" lo salutò con un bacio, lungo e passionale, che sfuggì al controllo di entrambi. La bionda si ritrovò sulla scrivania impolverata e il bruno sopra di lei, si stava togliendo la camicia. Oscar starnutì dalla polvere sollevata, lo spinse lontano con un braccio, starnutì ancora. André perse l'equilibrio, indietreggiò fino a urtare una libreria altrettanto piena di polvere con la schiena, cadde un vecchio volume. 

La bionda scese dalla scrivania e scosse l'abito, il bruno raccolse il libro, era un vecchissimo atlante, lo ripose dov'era. "Che è accaduto alla servitù?" domandò curioso alla ragazza, la vedeva strofinarsi il naso arrossato. C'era polvere a iosa ovunque si voltasse.

Lei oscillò una mano per tacere sull'argomento, poi sistemò quel che era stato smosso sulla scrivania. In quel momento sentì posare le labbra di André sulla sua guancia "Me la togli una curiosità? Perché lanciavi le spade quel giorno nel bosco?" le sussurrò all'orecchio. Vide quella guancia divenire rossa.

Oscar si girò e gli abbracciò la vita "Anni fa… Mio padre disse ai suoi allievi che chi riusciva a lanciare una spada con precisione poteva colpire qualsiasi cosa"

André si toccò il petto e la guardò negli occhi un lungo istante. La bionda posò una mano sulla sua e intrecciò quelle dita più grandi in una stretta vigorosa. Poteva sentire i battiti viaggiare a gran velocità. Il bruno le baciò la fronte e poi si staccò "Meglio che vada o ci riempiamo di polvere" lei sorrise mentre lo guardò uscire e poi chiudere la porta. Il giovane si fermò lì fuori, ci posò le mani e ci si appoggiò brevemente. Erano così vicini ora, niente più li divideva. Quanto era attaccata ai suoi valori, la bionda. Si spostò e iniziò a camminare verso l'ingresso. L'amava soprattutto per quello. 

 

Un paio di settimane dopo, Yves si fece vedere alla tenuta. Con due attestati. Oscar gli disse di accomodarsi in sala, c'era anche André. Iniziò a raccontare nei dettagli cosa era successo dal falsario "…è un uomo molto attaccato al denaro, con una discreta cifra ha fatto un lavoro eccelso" posò un falso estratto di nascita tra le mani di André "ho fatto modificare il vostro giorno e mese di nascita. Da oggi siete un nobile imparentato alla lontana con i Grimaldi monegaschi. Nessuno andrà a controllare, nessuno anche volendo potrebbe risalire al vostro vero lignaggio, e dovrebbe sperticarsi spendendo un'enorme somma e tempo nelle ricerche. Se vi chiedono del nome di famiglia, direte che è di ramo gerarchico francese, dato che siete nato qui. Se vi chiedono poi delle vostre origini ancestrali nello specifico, divagate, divagate molto. Vi ho portato anche un volume sulla dinastia dei Grimaldi, così potete farvi un'idea. Un ultimo accorgimento, perfezionate i vostri modi e la padronanza del linguaggio"

André leggeva e non si riconosceva affatto in quel nome. André René Grandièr, cavaliere dell'ordine di bla bla bla… Ma se quello serviva per sposare Oscar, se lo sarebbe fatto andare bene. "Vi ringrazio" lo guardò "davvero, sarò in debito con voi per tutta la vita" adesso erano due, i nobili verso cui nutriva profonda stima.

"Con quello potrete chiedere udienza per ottenere la licenza per il matrimonio. Promessa mantenuta" disse Yves e rifiutò di rivelarlo, quando Oscar volle sapere quanto avesse speso, affermò che era il suo regalo di nozze. Poi prese il secondo documento e lo posò tra le mani della bionda "Questo è il passaggio di proprietà della terra che sto facendo bonificare, se ricordate ve ne ho parlato tempo fa. Manca solo la vostra firma"

Oscar vide che c'era uno spazio vacante in fondo alla cessione, che riportava il suo nome come beneficiaria. "Non capisco"

"Partirò per le Americhe, prima della fine dell'estate" disse il sottotenente, vide il volto sorpreso della ragazza "sì, raggiungerò vostro padre. È una decisione ragionata" 

"Ma perché?"

"Perché è una possibilità che devo a me stesso, e personale. Non dipende da nessuno, non pensateci neppure a cercare una causa che vi incolpi" chiarì subito vedendo quel viso preoccupato, anche se sapeva di non essere assai convincente, l'importante era che lei lo credesse, almeno un po' "quello che vi sto chiedendo è un favore, più che un dono. Non posso occuparmene e vorrei che amministraste voi la faccenda. Ho finanziato i lavori fino alla fine di quest'anno ma per i prossimi saranno a vostro carico" sospirò e ignorò le successive domande "credo tuttavia che già dopo tre anni potrebbe cominciare a dare i suoi frutti. E sono sicuro di lasciarlo in buone mani" concluse.

"Non ci sarete per il matrimonio" disse André.

"Ci sarò, con lo spirito" salutò veloce con un inchino la giovane bionda, senza guardarla negli occhi, un minimo accenno di sorriso e un cenno con il capo ad André e lasciò la tenuta. Appena mise piede fuori quella residenza, prese un lungo respiro. La cavalla si era riposata abbastanza "Andiamo, Nyx" prese a trottare su per la salita agevolmente.

 

Una cerimonia sontuosa, ma neanche tanto, in una chiesa grande, ma che non era una cattedrale. André avrebbe preferito quella con il campanile pendente ma era troppo piccola per accogliere la famiglia della sposa, a partire dalle sorelle e finendo con i suoceri delle sorelle. 

Mi ci vedi sposata? ricordò Hortense con un ampio sorriso, salutò così la sorella quando la vide con il suo abito. Oscar sorrise a sua volta e scosse la testa quasi a vergognarsi di quella frase. "Ho capito sorellina. Non dire niente. Sono orgogliosa da sempre del tuo carattere. Sei dura come il piperno e ti incendi davanti le ingiustizie" camminò accanto a lei con i suoi soliti piccoli passi "se questo lo hai scelto tu, allora deve essere l'unico possibile. Ed è anche un bel giovane, il che non guasta" la più giovane l'avvicinò a sé e la strinse forte, non badando al vestito, agli orpelli che si spostavano di qualche centimetro o ai fermagli che le sarebbero saltati.

Pierre, Cédric e Anne non mancarono. Alla fine alla bottega avevano assunto un altro apprendista in via definitiva. André, che aveva cambiato vita e mestiere, raccontò loro una lunga storia. A partire dal giorno in cui aveva bussato alla loro porta e che si concludeva con quel titolo che aveva in un certificato. Specificò che era stato acquisito solo per potersi sposare l'ombra bionda, che non si fece più vedere nelle notti parigine, non ne aveva più il tempo, per ora almeno. La sposa, già, Anne volle vederla in privato prima della cerimonia. Solamente loro due. Quando riconobbe il suo profumo, Anne sorrise così tanto che le fece male il viso fino a sera, perché non era più stata in grado di smettere. Non dovette dirle niente. Quella ragazza poi aveva un forte senso dell'umorismo, andava bene per quel taciturno di André, anche se in quell'ultimo periodo l'aveva visto allegro come mai in tutti gli anni che era rimasto con loro. E sapeva il perché, adesso.

Quella sera, ad André fu concesso di entrare nella stanza di Oscar, che non aveva mai visto, lei si spogliò in fretta, infilò la sua veste da notte e si mise a letto, girandosi su un fianco un attimo dopo. C'era solo una candela a far da lume nella stanza.

"Oscar?" le scuoté un braccio.

"Che c'è?" sbadigliò.

"Ma noi…" le baciò il collo.

"Domani, ora sono stanca, abbi pazienza. Devo mettere in ordine tante di quelle cose. Ho la tenuta da amministrare, il terreno a ovest da disboscare, la palude da supervisionare, le semente da acquistare…" il respiro divenne regolare e la voce si dissipò lentamente. 

Il bruno prese un lungo respiro per calmare i battiti accelerati e tornò al suo lato, con le mani dietro la nuca. "E va bene, vorrà dire che ti darò una mano, così farai prima…" fissò il soffitto. Poi udì un'allegra risata. 

Oscar si girò e salì a cavalcioni su di lui "Stavo scherzando!" rise ancora di più davanti la sua faccia "Sono stata convincente, no?" 

"Tu e il tuo adorabile scherzare sempre!" André provò a farle il solletico ma lei gli fermò le mani e le fissò sul cuscino, dove le lasciò, poi senza pensarci sfilò via la sua camicia da notte, cosicché niente più rimase a coprirla. 

"Come mai arrossisci, André?" chiese tentando di celare il suo stesso imbarazzo.

"Per…" era senza fiato, peggio di una corsa sfrenata "…e perché lo sei anche tu?" la fissava con i suoi occhi verde foresta e lei poteva scorgerli nella camera adombra, parevano incantati. 

"Oh, beh, io…" le mani si posarono sul petto nudo di lui e poté sentire quel frenetico pulsare "non ho mai, prima d'ora…"

Lui aveva un ricordo recente di un'esperienza. Ma la prima volta con chi era innamorato, era tutta un'altra faccenda. André si alzò dal cuscino e l'abbracciò forte. Il corpo dell'uno contro l'altra e i battiti si confusero, poi un bacio gentile che divenne sempre più coraggioso, finché l'imbarazzo lentamente venne dimenticato.

Nel mentre la notte aveva ormai superato il suo picco, André era rimasto sveglio e seguiva l'ombra della luna spostarsi con il trascorrere del tempo, attraverso la finestra. La candela era stata spenta. Oscar dormiva a pancia sotto, un braccio circondava lo stomaco del bruno che ogni tanto lo sfiorava avendo premura di non svegliarla. I sogni potevano anche avverarsi, talvolta. 

Nell'impossibilità di prender sonno, pensò alla nonna, sarebbe stata felice di vederlo sposato e certamente gli avrebbe raccontato delle sue nozze quello stesso giorno. Pensò alla madre che non ricordava, se l'aveva immaginata commuoversi in chiesa. Pensò poi a Madame de Jarjayes, non aveva mai visto una donna così triste in vita sua. Quando la giovane bionda gliel'aveva presentata, gli aveva sorriso con cortesia, lo aveva anche abbracciato. Non che la considerasse già una madre, però, lui alle mamme in generale ci teneva particolarmente. E quella donna gli aveva stretto il cuore per come, con grande dignità, affrontava il demone che aveva nell'anima. Assai simile, anche se distinto, da quello che era stato il suo. 

Quella mattina, prima della cerimonia era andato a visitare la tomba del padre. Il prete, quando lo aveva visto, l'aveva salutato calorosamente, erano molti giorni che non si era più fatto vivo. Quando poi gli ebbe raccontato che stava per sposarsi, gli aveva scorto un sorriso sulle labbra. Non l'aveva mai fatto prima.

 

Quattro anni passarono senza che se ne accorgessero. Erano i primi di luglio, le spighe alte rivestivano tutto intorno alla tenuta. La nonna di André aveva un bel vaso di fiori freschi davanti la lapide. Ed era una giornata secca, calda e ventosa, l'ideale per gli incendi. Oscar volle che si costruissero delle cisterne in punti cruciali della tenuta. Sperando di non doverle mai usare per spegnere fuochi, però la tranquillizzavano.

In ginocchio, tra le spighe, usava la falce per tagliarle in fasci.

"Ma no, no! Non un'altra volta!" André la rimproverò quando vide come lavorava "Devi legarle in gruppi prima di tagliarli! Lo fai tutti gli anni!"

"Ma cosa cambia se li lego dopo?" lei era sporca di terra, ma non più di lui. Si asciugò il sudore dalla fronte.

"Te l'ho spiegato, mio padre era del mestiere, perché non ti fidi e basta?"

"Quanto sei meticoloso!" 

Udirono piangere, una bambina di tre anni circa se ne stava seduta poco lontano, su un grosso sasso. Oscar si alzò in piedi e andò a prendere in braccio la figlia "Va tutto bene, Julie" la sollevò in alto finché non smise "mamma e papà non stanno litigando, quando lo fanno sul serio prendono le spade" guardò la faccia del marito, rossa dal caldo e dalla fatica "e ti lascio immaginare chi vince sempre" rise. Gli altri braccianti si sbellicavano allo stesso modo ogni qualvolta li sentivano beccarsi, la padrona era sempre spassosa. Durante il raccolto, capitava che anche i padroni davano una mano.

André scosse la testa, i capelli li aveva lunghi e legati in una coda adesso. Non poté evitare di sorridere anche lui, dopo aver stretto a gruppo le spighe tagliate dalla moglie. 

Posò la bambina a terra, che si aggrappò ai suoi calzoni. Poi disse che andava a palazzo. Un'altra occasione per controllare le due gemelline, nate da circa un anno. "Vieni Julie, andiamo a dare un po' di noia alle sorelline" scherzò, le diede la mano.

"Cara? Dove la porti?!" strillò André mentre posava i covoni su una carriola. "Julie è la primogenita, deve imparare tutti i passaggi così da correggere i suoi dipendenti!"

"Sì, caro, poi faremo un ripasso!" disse la bionda mentre guardava la figlia "C'è tutto il tempo" aggiunse, strizzando un occhio sorridente alla bimba che tentò di imitarla. E così alla fine ne avevano tre, di figlie. Si incamminarono verso la vecchia residenza. Avrebbe desiderato anche un figlio, ma non avrebbe forzato la mano come suo padre fece a suo tempo con la madre. Tre le bastavano e avanzavano. Con tutto il da fare non poteva star loro dietro, in un mondo come quello poi, che stava cambiando in fretta. Sollevò Julie, che camminava piano con il suo vestitino, e se la posò sulle spalle. Avrebbe imparato ogni cosa, a suo tempo. "Ti insegneremo a difenderti" accelerando un po' fece ridere la bambina "ti insegneremo a riconoscere il bene e il male" rallentò e la figlia le si aggrappò al colletto della camicia "e tu, spero mi perdonerai se qualche volta sbaglierò, per il troppo amore. Per te, come per le tue sorelle"

"No!" la bimba rise.

"Come no?" Oscar la fece saltellare sulle spalle. "Mi vuoi dire che non mi perdoni?"

"No sbagli!" la bambina le acciuffò la lunga coda di capelli e poi la fece ricadere.

"Tra qualche anno ne riparleremo" sorrise e iniziò a correre "però tu non crescere troppo in fretta!"

Victor le andò incontro con aria esagitata e un modesto affanno, gli anni a lui pesavano molto di più che ai giovani padroni "Mia signora… c'è, c'è… l'amministratore della piana bonificata… i lavori… sono stati completati" ed erano in forte ritardo, giudicò la bionda. 

"Fallo accomodare, a breve sarò da lui"

"C'è anche una lettera per voi, mia signora… l'ho lasciata nello studio"

Ringraziò il vecchio maggiordomo, poi disse a Julie di aspettarla lì, ai piedi delle scale. Salì rapida a due a due gli scalini e raggiunse la sua camera, dove vi erano le due gemelline e una balia sempre con loro. La donna le sorrise non appena la vide, era la padrona più singolare per cui avesse mai lavorato in tutti i suoi trenta e passa anni di vita. "Tutto bene, mia signora" le bambine avevano entrambi i capelli scuri, come il padre. Julie invece era come un cherubino, bionda e con i capelli ondulati, la piccola copia della madre. Le controllò brevemente e poi ringraziò la balia, scese giù di nuovo, la figlia la seguì fin dentro lo studio, Oscar la fece sedere sulla scrivania. Quella stanza era stata riordinata e rinfrescata negli anni addietro. La bambina sporgeva le mani.

"Che c'è, Julie?" 

Un piccolo dito le toccò una guancia "Terra!" strillò la piccola.

"Sì, poi la mamma si fa un bagno, se ne trova il tempo" prese la lettera e la rigirò tra le dita. In una chiara calligrafia, c'era scritto Yves Renaud. La aprì in fretta e iniziò a leggere.

 

Cara Oscar,

Vi scrivo purtroppo non per buone notizie. La guerra prosegue e cinque giorni addietro da che sto scrivendo siamo stati colti in un'imboscata, la staffetta che doveva avvisarci della mobilitazione inglese è stata uccisa. Vostro padre mi ha salvato la vita, malauguratamente però la sua ferita alla testa ha preso infezione e non ce l'ha fatta. Sono mortificato nel dover raccontare di ciò in questo modo, avrei voluto parlarvene a voce.

 

Si interruppe a quel punto. Il padre era morto. Accarezzò la testolina della bambina che stava finendo di sbrindellare il dorso di un vecchio libro. Stranamente non provava né dolore né rabbia, e neppure liberazione. L'uomo era divenuto un ricordo sbiadito negli ultimi anni. Leggere che aveva salvato la vita del sottotenente era qualcosa che non avrebbe mai creduto possibile scaturire da un'anima rancorosa come quella del padre. Poteva pensarla come a un tentativo di lavarsi la coscienza oppure, magari, il tempo e la distanza erano riusciti a far piovere nel deserto, portando il generale ad agire d'istinto senza badare alle conseguenze, anche se fatali. Mai l'avrebbe saputo. Poggiò la schiena sulla sedia e riprese a leggere.

 

Prima di spegnersi, Vostro padre mi ha pregato di riferirvi queste parole, dicendo che Voi le avreste comprese "L'ho perdonata, affinché lei mi perdoni" ciononostante, non ha sofferto a lungo. Presto provvederò che la salma e i suoi effetti ritornino in patria. Non gli ho mai raccontato di Voi e del vostro sposo, non ho mai avuto modo di chiedere se volevate o meno che lo facessi al posto Vostro.

Nell'agguato sono stato colpito a una gamba, il medico dice che non è grave, mi servirà solo il bastone per qualche tempo. C'è questa giovane fanciulla nativa della tribù degli Huroni che si sta occupando della mia ferita, ha visto morire quattro dei suoi sei fratelli tra le nostre fila. Si chiama Talise, mi ha detto che significa "acque molto belle" o qualcosa di somigliante, io non comprendo quasi niente di irochese, è lei che parla un po' di francese. 

Oramai sarete sposati da tempo, spero che Voi e il vostro André siate rimasti come vi ho lasciati e auguro sinceramente a entrambi di esserlo per la vita, malgrado la triste notizia. 

Magari un giorno ci rivedremo.

Il Vostro affezionato, 

Yves Renaud.

 

Gli avrebbe risposto, nei prossimi giorni, doveva prima trovare le parole giuste da scrivere. Oscar si alzò con la lettera e fece scendere la figlia, insieme si diressero al salotto. C'era l'amministratore e sua madre che lo stava intrattenendo con delle chiacchiere di circostanza. Lasciò la lettera tra le mani della donna, con la quale scambiò uno sguardo che fece riaffiorare ombre passate. Salutò l'amministratore, gli disse poi di seguirla per parlare nello studio. Julie rimase con la nonna; prese a mangiare un biscotto dal vassoio sul tavolino nel mezzo della sala.

"Nonna, piangi?" la vide che non distoglieva gli occhi da quel foglio.

La donna si asciugò il viso e rivolse uno sguardo stanco alla nipote, prendendola sulle ginocchia "Non è niente, la nonna sente freddo nel cuore"

"Faccio caldo io!" la bambina lasciò cadere il biscotto e l'abbracciò forte.

 

Più tardi, quella sera, André e Oscar si trovarono nella loro stanza a osservare la culla con le due gemelline e poco più lontano il lettino di Julie, ch'era anch'esso occupato dalla bambina. Quando si stancava parecchio dormiva sempre come un sasso. Nei primi mesi, dopo l'arrivo delle gemelle, la piccola Julie di notte dormiva in una stanza terza, con la sua culla. A causa dei continui risvegli notturni delle sorelle. Poi, con lo stabilizzarsi degli orari del sonno di quest'ultime, era tornata nella camera dei genitori. Stare tutti insieme era piacevole per loro come per le piccole, almeno finché non fossero diventate più grandi. André posò un bacio sulla fronte di Julie. Oscar scostò un piccolo ricciolo nero dalla fronte di una delle gemelle, poi raddrizzò la copertina su entrambe, tanto l'avrebbero scostata di nuovo a piacimento nel sonno. Chiese poi al marito di abbracciarla e di tenerla forte, come se dovesse resistere a portentosi venti di bora scesi dal nord. Non sapeva se la madre si fosse o meno liberata dai suoi tormenti, tuttavia vederla piangere le diede sollievo, almeno era una reazione, cosa che lei non era stata capace di avere. C'era qualcosa di interrotto nel legame con il padre, un filo spezzato, e non c'era più modo di collegarlo.

"Non fartene una colpa, il dolore si manifesta in modi diversi, ma stai certa che si manifesta sempre e comunque" le disse André posando la guancia sulla sua.

"Quel che mi fa male è che mi sento come se avessi perduto la mia umanità, e non voglio provare niente del genere"

"Tu? Non riesco a immaginarlo" sorrise e ondeggiò le braccia mentre la stringeva. "Non posso dirti che tuo padre era un brav'uomo ma posso dirti che, se tu esisti, lo devo comunque a lui. Sei la miglior persona che abbia mai incontrato tra i nobili…" gli occhi divennero lucidi "E l'unica che può condividere lo scettro di onestà e lealtà assieme a mio padre"

"Anche tu non sei troppo male" sorrise brevemente, una mano accarezzò i capelli bruni che scendevano sul collo e poi tornò seria "vorrei poterle proteggere da ogni pericolo e sofferenza" le figlie che dormivano le davano pace solo guardandole.

"Faremo del nostro meglio" la condusse al letto e poi soffiò sulla candela posata sul cassettone.

 

Pochi anni più tardi, sarebbe giunta un'altra lettera in cui Yves avvisava della sua decisione di non ritornare più in Francia. Dopo i negoziati, una volta cessata la guerra, rimase in una piccola cittadina di confine tra Canada e Nord America. 

 

 

 

FINE

 

 

 

 

 

 

Ringraziamenti: Grazie per aver letto fin qui questa storia decisamente lontana dall'impronta classica dell'opera originale. Un grazie speciale a chi ha recensito e perdonate gli svarioni che saltano sempre fuori nonostante la lettura e lettura bis. Un caro saluto!

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