capitolo 2
2.
Back to the light
Era
un giorno no.
Ginevra
era nel suo letto, avvolta tra le lenzuola che la ricoprivano come un
bozzolo protettivo, nonostante il caldo. Le finestre erano chiuse, le
tende tirate e Ginevra era immersa nella più completa oscurità. Le
lenzuola erano umidicce dal sudore e spiacevoli al tatto, eppure le
teneva strette a sé, come se fossero uno scudo contro quello che le
stava accadendo.
Si
sentiva spenta, scarica, come se tutte le ore della notte precedente
non le avesse passate dormendo, ma completamente sveglia a fare il
più faticoso dei lavori che le aveva prosciugato le energie.
Si
rendeva perfettamente conto che doveva alzarsi e iniziare a
prepararsi per andare a lavoro, ma il solo pensiero le faceva venire
la nausea. Il pensiero di dover fare colazione le faceva venire la
nausea, ma sapeva che avrebbe dovuto mangiare qualcosa per poter
prendere le sue medicine.
Sapeva
molte cose in quel momento, la cosa più importante era che avrebbe
dovuto prevedere questo momento visto i continui pensieri negativi
del giorno precedente.
Ciò
che non sapeva era il perché.
Sapeva
che doveva esserci un motivo, che qualcosa era successo per farla
sentire in quel modo, ma per quanto ci provasse non riusciva a
capire. Il fatto che il suo cervello sembrasse avvolto nella melassa
e fosse totalmente incapace di pensare razionalmente non aiutava.
Avrebbe
voluto chiamare la dottoressa Tullio e spiegarle cose le stava
succedendo, ma era troppo presto e comunque avrebbe dovuto passare
l'intera giornata a lavorare, quindi non aveva materialmente il tempo
per farlo.
Alcune
lacrime le scesero lungo le guance, lentamente, quasi in segno di
sconfitta e fu proprio quello a farle salire un moto di rabbia.
Rabbia
verso sé stessa, verso la situazione in cui si trovava e verso
l'ingiustizia del mondo che l'aveva afflitta con quella specie di
cervello marcio che si ritrovava.
Se
nessuno le dava forza, si sarebbe fatta forza da sola.
Proprio
in quel momento sentì un leggero bussare, poi la porta si aprì. Il
viso di suo fratello fece capolino dalla porta con un'espressione
corrucciata e preoccupata.
«Gwynna?
Non lavori oggi?» chiese piano, la voce bassa per non disturbare il
silenzio che permeava la stanza.
La
domanda aleggiò nella stanza per qualche minuto, senza risposta.
Ginevra
sapeva che aveva ormai due possibilità: lasciare in sospeso quello
che ormai entrambi sapevano stesse accadendo e fare finta che andasse
tutto bene o lasciargli sapere la verità.
Quello
era Marco, però. Una delle poche persone che il suo cervello
accettava come "sicura". Sapeva qual'era la sua scelta.
Un
piccolo singhiozzo, a stento trattenuto, ruppe quello che ormai
sembrava divenuto un muro insormontabile.
«Cristo,
Ginevra» disse Marco richiudendo la porta dietro di sé e con grandi
falcate la raggiunse, sedendosi sul bordo del letto, al suo fianco.
Le
districò dal lenzuolo liberandole il viso e prese ad accarezzarle
piano i capelli, arrotolandosi qualche ciocca intorno al dito.
Ginevra singhiozzò più forte e si aggrappò alla sua coscia con
forza, come una bambina che si rannicchia sul grembo materno.
«Non
lo so» bisbigliò anticipando la domanda del fratello «Non so
perché sto così oggi»
Marco
sospirò passandosi una mano tra i corti capelli castani e rimase in
silenzio per qualche momento, strofinandosi il mento dove cresceva
una rada barba. Poi con un gesto brusco le strappò le lenzuola di
dosso.
«Forza,
vai a prepararti o farai tardi» disse ignorando i deboli lamenti
della sorella e afferrandola per un braccio nel tentativo di farla
alzare.
«Non
ci riesco» gemette Ginevra tentando di lottare debolmente contro di
lui, fallendo miseramente. Non poteva vincere contro di lui, era
troppo più forte di lei, ma questo non le avrebbe impedito di
provarci.
Sembrando
seccato da quella stupida scaramuccia Marco si piazzò davanti a lei
a gambe larghe e braccia incrociate, sbuffando in un modo esagerato
che avrebbe voluto farla sorridere.
Ginevra
strinse le labbra e lo imitò alzandosi a sedere e stringendo le
braccia al petto in modo protettivo.
Si
guardarono in silenzio per un lungo momento prima che Marco sbottò
dicendo: «Cosa vuoi fare, marcire in questo letto? Almeno a lavoro
potrai distrarti, vedrai che ti sentirai meglio»
Ginevra
rimase cocciutamente al proprio posto per qualche altro istante prima
di sospirare e scendere dal letto, lentamente, spostando una gamba
alla volta, nel tentativo inutile di non far vincere Marco.
Cosa
completamente inutile perché negli occhi marroni, così simili a
quelli di lei, di Marco si accese subito una scintilla di vittoria,
consapevole di esser riuscito a disinnescare la "bomba".
Per il momento.
Ginevra
non stava ancora bene, non lo sarebbe stata per un po', ma almeno
poteva provare a far finta di starci, ora.
Marco
si diresse verso la porta, esitò un momento e si girò all'ultimo
con un sorrisetto idiota sul viso.
«Bello
il pigiama di Naruto, comunque»
«Esci
subito dalla mia stanza»
Sciacquare.
Strofinare. Risciacquare.
Ginevra
si sentiva ancora la mente annebbiata ma i gesti che erano ormai
diventati automatici la tenevano ancorata alla realtà.
Erano
passate ormai delle ore da quando aveva cominciato a lavorare e
oramai aveva perso il conto di quanti ordini aveva preso e quanti
bicchieri aveva lavato. Allungò una mano per prendere il prossimo ma
incontrò solo aria. Quello che aveva messo a posto era l'ultimo,
allora.
Sospirando
si passò il dorso della mano sulla fronte e si girò ad affrontare
il negozio. Il locale, vuoto in quel momento eccetto per Ginevra ed
Elisa, era piccolo ma molto accogliente. C'era un solo tavolino con
due poltroncine all'angolo della vetrata vicino l'ingresso e
all'interno poteva ospitare solo cinque o sei persone al banco. Le
mura erano dipinte di color lavanda e su uno dei muri c'era una
collezione di foto dei clienti sorridenti con i loro Bubble Tea in
mano.
Per
un attimo fu accecata dal sole del mezzogiorno che proveniva dalla
grande vetrata frontale e un rapida sbirciata all'orologio del
cellulare mostrò che erano arrivate l'una meno venti.
Lo
sgabello su cui era seduta Elisa emanò un rumore stridulo raschiando
contro il pavimento quando la donna si spostò indietro per alzarsi.
«Ti
dispiace se mi vado a prendere qualcosa da mangiare? Appena torno
puoi andare a casa» disse a Ginevra con solo una leggera inflessione
nel suo perfetto italiano.
Elisa
era una donna bassa, magra, dai lunghi capelli corvini raccolti in
una treccia e gli occhi scuri incorniciati da un paio di occhiali.
Era originaria di Taiwan, ma aveva raccontato a Ginevra di come da
piccola era arrivata in Italia e da allora aveva vissuto lì. Aveva
adottato Elisa come suo nome italiano, anche se con chi parlava
cinese aveva ovviamente mantenuto il suo vero nome.
Era
sposata con un uomo Taiwanese, trasferitosi in Italia solo da qualche
anno, Diego, che parlava poco l'italiano e per questo si occupava di
gestire le merci e di preparare i tè.
Ginevra
annuì alla richiesta di Elisa e la donna si sgranchì le braccia
verso l'alto prima di aprire la porticina che divideva il bancone dal
resto del negozio, ma prima di uscire si girò verso Ginevra.
«Controlla
se ci sono tutti gli sciroppi e se...»
«Se
nelle vaschette ci sono abbastanza boba?»
Elisa
annuì con un sorriso compiaciuto e aggiunse «Cercherò di
sbrigarmi» poi uscì dal negozio facendo suonare la campanella posta
sopra alla porta che indicava l'arrivo dei clienti.
Ginevra
si rimboccò le maniche e iniziò a scuotere i contenitori di
sciroppo, cercando di capire se fossero troppo vuoti. Quassi tutti
sembravano abbastanza pieni, tranne quelli al gusto mango, litchi e
pesca che erano i favoriti. Si annotò mentalmente di andarli a
prendere di sotto, nel magazzino, e si diresse verso il bancone dove
in esposizione c'erano i vari gusti di bolle e rifornì le vaschette
più vuote. Per scrupolo controllò anche le polveri che servivano
per creare i tè al latte. Tutto sembrava pronto e al suo posto e
Ginevra annuì con un sorriso soddisfatto, lanciò un'occhiata alla
strada e quando si assicurò che nessuno sarebbe entrato
nell'immediato si diresse nella stanza dietro il negozio. Era un
piccolo disimpegno, a destra si trovava il bagno e verso sinistra
c'era la scalinata che scendeva verso il magazzino.
Stava
per mettere piede sul primo scalino quando sentì il famigliare
tintinnio del campanello. Deglutì un'imprecazione, magari era solo
Elisa che era tornata prima del previsto, e tornò indietro
riaffacciandosi nel negozio; stampandosi sul viso un sorrisetto di
cortesia per dare il benvenuto al nuovo arrivato.
La
prima cosa che vide furono lunghi capelli di un biondo molto chiaro
che coprivano il viso della donna con la testa china sul cellulare
che aveva tra le mani.
Ginevra
sentì il viso distendersi immediatamente in un vero sorriso e, per
la prima volta dal giorno prima, sentì una punta di felicità farsi
strada nel petto.
«Buongiorno»
sussurrò timida e subito si maledisse per il tono della sua voce.
Avrebbe voluto che fosse squillante, per dimostrare che era felice di
vederla, elettrizzata anche, non un mormorio appena percettibile.
Lidia
alzò subito la testa appena sentì il saluto e sorrise quel suo
grande sorriso che le dedicava ogni volta. Che dedicava a tutti,
probabilmente. Ma Ginevra si sentì comunque abbagliata da calore che
emanava, come se stesse nuovamente guardando il sole.
Per
Ginevra, Lidia era bellissima. Non solo per Ginevra, probabilmente,
considerate le forme delicate del viso, i grandi occhi castani
segnati dall'eyeliner e le labbra sottili velate sempre da del
rossetto rosa.
Aveva
un viso bellissimo e supponeva che anche il corpo lo fosse, almeno
lei invidiava come fosse magra, con gambe lunghe e, da donna poteva
ammetterlo almeno a se stessa, un gran bel sedere.
Soprattutto
quando indossava i jeans aderenti.
Ginevra
si rese conto di fissarla in modo vagamente inquietante e si
costrinse a ritornare alla realtà; fermandosi dal scuotere la testa
per liberare la mente dai pensieri per non sembrare matta, visto che
nessuna delle due aveva detto qualcosa per intimare quella reazione.
Lidia
socchiuse le labbra per parlare ma il suo cellulare prese a squillare
e alzò una mano in segno di scusa mentre rispondeva.
Ginevra
la osservò e si sentì meglio quando Lidia iniziò a fare smorfie
esagerate e a lanciarle occhiate imploranti mentre parlava, in un
tentativo di renderla partecipe di una telefonata che sembrava essere
ridicola.
Non
doveva essersi accorta di come l'aveva squadrata prima,
fortunatamente, ma si chiese per quanto ancora sarebbe riuscita a
evitare di essere scoperta.
Non
era la prima volta che le succedeva di perdersi nel guardarla.
E
si sentiva dannatamente in colpa ogni volta, era ovviamente gelosa di
Lidia, di come fosse bella, magra, di come si teneva in forma e fosse
attraente.
Ma
Lidia non era stata altro che gentile con lei, sin dalla prima volta
che era venuta al negozio. Era divertente, spiritosa e probabilmente
la miglior cliente che Ginevra aveva servito.
E
lei la trattava come se fosse un pezzo di carne al macello, invece di
qualcuno che le faceva sempre tornare il buon umore.
Per
un momento tutti i brutti pensieri che era riuscita ad allontanare
grazie al lavoro, Marco aveva avuto ragione, ritornarono in piena
forza facendola sentire la persona peggiore del mondo.
«Bella
maglietta, padawan» ridacchiò Lidia rimettendo in tasca il
cellulare.
Ginevra
sbatté le palpebre un paio di volte e abbassò lo sguardo sulla sua
maglietta, sorridendo nervosamente e arrossendo. Quel giorno
indossava una maglietta che aveva comprato da poco, era semplicemente
una t-shirt grigia con su scritto Star Wars in blu, niente di troppo
appariscente come altre magliette che aveva.
Di
solito non metteva niente che apparteneva a un fandom a lavoro, si
vergognava e aveva paura che qualcuno la giudicasse per i suoi gusti,
ma quella mattina aveva preso i primi indumenti puliti che le erano
capitati.
«Non
sapevo che ti piacesse Star Wars, sorella» continuò divertita Lidia
con un ghigno infilando i quaderni che aveva in mano nella grossa
borsa che le pendeva da un braccio.
Non
la stava giudicando, si disse Ginevra impallidendo, non è da Lidia.
Non
lo era? Era solo una cliente del negozio, non la conosceva, infondo.
Doveva cambiare argomento.
«Cosa
ti preparo oggi?» chiese con voce tremante e gli occhi che le
bruciavano.
Si
sentiva umiliata ma non si sarebbe messa a piangere, non davanti a
lei.
«Il
solito. Ma va tutto bene?» sembrava preoccupata ora, i grandi occhi
marroni sembravano improvvisamente tristi.
«Taro
e tapioca, giusto? Caldo o freddo?» professionale, ecco come doveva
essere Ginevra.
«Freddo.
Senti se ho detto qualcosa che ti ha offeso...»
Ginevra
batté lo scontrino e si girò di spalle per iniziare a preparare il
tè. Si rendeva conto che molto probabilmente stava esagerando e che
Lidia non aveva detto niente se non notare la sua maglia, ma a lei
Lidia era sempre piaciuta e il pensiero di essere presa in giro
proprio da lei la faceva stare male.
Si
prese il suo tempo nel preparare la bevando, mescolando con cura
prima di aggiungere il ghiaccio e mettere il bicchiere nello shaker.
Versò le perle di tapioca nel bicchierone di plastica e ci versò in
fine il tè prima di sigillarlo. Trasse un respiro profondo prima di
girarsi verso Lidia, che nel frattempo non aveva più aperto bocca, e
porgerle il suo bubble tea.
Lidia
aveva un'espressione corrucciata sul viso e si mordeva il labbro
inferiore con forza, quasi a sangue.
Ginevra
rimase atterrita a quella vista e appoggiò il tè sul bancone prima
di farlo cadere, la mani che le tremavano. Era stata colpa sua, aveva
reagito male e ora Lidia probabilmente si dava la colpa per qualcosa
che non aveva fatto.
«Mi
dispiace» sussurrò Ginevra riprendendo il tè e passandolo a Lidia.
La
donna sobbalzò come se non avesse fatto caso che Ginevra le si era
parata davanti e alzò la testa di scatto sembrando sbalordita per un
momento.
Si
ricompose subito, però, e accennò un sorriso mentre prendeva il suo
tè e faceva qualche passo indietro.
«Anche
a me piace Star Wars» disse con voce più normale di quello che
Ginevra si sarebbe aspettata considerato ciò a cui aveva assistito
«Volevo solo... È una bella maglietta»
Ginevra
arrossì profondamente, vergognandosi come non aveva mai fatto prima.
Aveva frainteso tutto, nel modo peggiore, e aveva fatto sentire male
qualcun'altro nel mentre.
Si
era sempre ripromessa di non ferire mai nessuno, non importa quanto
orribilmente si sentiva.
«Hai
visto Ahsoka?» disse di getto, come se stesse vomitando parole più
che parlando.
Per
un attimo pensò che Lidia se ne sarebbe andata senza degnarla dii un
altro sguardo, e cazzo se non se lo sarebbe meritato. Lidia però
indugiò per qualche momento, stringendo tra le mani il suo bicchiere
e guardandola titubante per qualche secondo.
«Quando
ho saputo che c'era Hayden Christensen, sono stata costretta. Non
potevo non vedere Skycoso e Furbetta di nuovo insieme» Lidia
sembrava più rilassata e fece qualche passo verso Ginevra sorridendo
in modo più naturale.
Ginevra
annuì con trasporto, senza fingere, perché anche lei era stata
eccitata per lo stesso motivo. Rifletté su cosa dire dopo, sia
perché puntava ancora a farsi perdonare sia perché era la prima
conversazione seria che avevano e voleva sapere di più su Lidia.
«Hai
visto Kenobi?» chiese Lidia piano, come se stesse pensando a
qualcosa oltre la domanda.
«Non
ancora, non ho avuto tempo e ci sono così tante cose da vedere»
Lidia
annuì un paio di volte, come per farsi forza, e prese un respiro
profondo prima di dire: «Neanche io... Cioè anche io, voglio
dire.... Ti va di...» sembrava tremasse e Ginevra fece per uscire
dal bancone e andare da lei, chiederle se voleva un po' d'acqua,
quando all'improvviso tutto si fermò.
Lidia
fece un ultimo respiro profondo, poi il suo corpo sembrò rilassarsi
di colpo e fece un sorriso malizioso, gli occhi divertiti.
«Ti
va di guardarlo insieme? Magari quando esci dal lavoro?»
Ginevra
rimase a bocca aperta, senza parole, senza capire. Poi qualcosa si
accese in lei e per la prima volta dopo tanto tempo si sentì
coraggiosa.
«Mi
piacerebbe» rispose in un tono di voce più sicuro di quanto si
sarebbe aspettata da sé stessa.
«Fantastico!
Dimmi il tuo numero, così possiamo scriverci quando siamo libere!»
«Ok»
«Ok!»
ridacchiò Lidia riprendendo in mano il suo cellulare.
Anche
Ginevra ridacchiò, quasi su di giri per tutto ciò che era accaduto
in così breve tempo. Si sentiva elettrizzata, aveva avuto una
ricaduta ma era riuscita a riprendere il controllo, forse, ad avere
una nuova amica.
Sperava
che le sue dottoresse sarebbero stata fiere di lei, quando glielo
avrebbe detto.
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