1976 - Yokohama love story

di LubaLuft
(/viewuser.php?uid=1264191)

Disclaimer: Questo testo proprietà del suo autore e degli aventi diritto. La stampa o il salvataggio del testo dà diritto ad un usufrutto personale a scopo di lettura ed esclude ogni forma di sfruttamento commerciale o altri usi improri.


Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Capitolo 1 - Chiamami con il mio nome ***
Capitolo 2: *** Capitolo 2 - Fragole sotto la pioggia ***
Capitolo 3: *** Capitolo 3 - Biglietti misteriosi ***
Capitolo 4: *** Capitolo 4 - Effetto domino ***
Capitolo 5: *** Capitolo 5 - Il canto delle sirene ***
Capitolo 6: *** Capitolo 6 - Un fiocco di neve sulle labbra ***



Capitolo 1
*** Capitolo 1 - Chiamami con il mio nome ***


Capitolo 1 - Chiamami con il “mio” nome

 

“Un tramezzino e un succo d’ananas, grazie."

Nanako prese il suo vassoio e si avviò al solito tavolino del Million Dollar Club. Erano le venti, e il locale era semivuoto quella sera, forse a causa dell'ennesimo temporale che sembrava in procinto di annaffiare Yokohama. Sembrava fosse davvero ricominciata la stagione delle piogge, con un clima innaturalmente caldo nonostante fossero ormai arrivati i primi giorni di dicembre.

Il Million consisteva in un bingo con annessa una grande sala slot, un biliardo e un bistrot interno. Aveva un’insegna enorme, che rappresentava una fonte dalla quale scaturiva oro. La fonte erano le fauci del drago Ryūjin, che brillava illuminando con prepotenza tutta la strada.

Accanto al locale, che si trovava in una zona non lontana dal porto, proprio alle spalle del quartiere cinese, c’erano una fila di piccoli negozi, un love hotel piuttosto trafficato e dal nome evocativo Blue Lagoon, un salone di bellezza che era convenzionato con l’hotel, un ufficio postale, la stazione ferroviaria della JR. C’era poi un piccolo konbini, proprio all'interno della stazione, nel quale Nanako lavorava part time tre volte a settimana: il sabato e la domenica sera, e un altro giorno a scelta, in base alla sua disponibilità.

Nanako frequentava lingue all’università e aveva una stanza in un dormitorio femminile poco lontano dalla sua facoltà. I giorni in cui aveva il turno al negozio aveva dovuto ottenere un permesso speciale "lavorativo" per rientrare dopo la mezzanotte, e la direttrice aveva voluto una copia del suo contratto: il colloquio in direzione era stato piuttosto comico, la direttrice aveva spalancato gli occhi e fatto alcuni rilievi quando aveva realizzato il negozio si trovava all’interno di una stazione ferroviaria e per di più in una zona piena di “luoghi di divertimento di bassa lega”.

Ma Nanako aveva tenuto un profilo basso, non aveva commentato e aveva invece ringraziato con profonda deferenza: a gennaio si sarebbe finalmente presa una stanza in affitto, almeno non avrebbe avuto più orari da rispettare.

Si guardò intorno.

Il Million era di solito un locale abbastanza affollato, e piantato al centro di un quartiere altrettanto affollato, eppure a Nanako trasmetteva sempre la stessa ovattata sensazione di tranquillità: la moquette colorata, le pareti rivestite di una pesante carta da parati color crema, le poltrone rosse imbottite della sala bar, così comode che avrebbe potuto anche dormirci sopra: tutto incredibilmente silenzioso e tranquillo, nonostante i colori chiassosi dei lampadari e le luci intermittenti delle slot machines.

Al confronto, la vicina stazione ferroviaria, con l’atrio che rimbombava di passi e di voci e il caos dei pendolari, aveva invece un qualcosa di infernale. 

Quella sera di pioggia in particolare, il bistrot e l’area slot del locale erano quasi deserti. Nanako solitamente consumava il suo spuntino a un tavolino che confinava con la sala bingo. Anche lì dentro, solitamente c'era più gente.

Secondo Watanabe, il buttafuori - che, per inciso, non aveva mai dovuto buttare fuori nessuno: lì dentro era raro che qualcuno esagerasse con il bere o alzasse troppo la voce - c'era silenzio perché chi andava lì a giocare lo faceva per sfidare da solo la sorte, vincere o perdere, non per fraternizzare con gli altri. Le rare eccezioni all’interno di quel panorama di giocatori solitari erano le coppie di coniugi anziani, per le quali il bingo costituiva un passatempo come qualsiasi altro - una telenovela, il bridge, la ginnastica dolce - oppure le comitive di ragazzi che arrivavano a frotte per bere e mangiare a poco prezzo e che giocavano un paio di mani per il solo gusto di farlo e andare poi a divertirsi altrove. Erano soggetti fuori posto, semplicemente, e come tali ospitati come alieni in pacifica esplorazione.

Il vero giocatore se ne stava invece seduto al suo tavolo, tranquillo, come se si trovasse nel soggiorno della propria casa, a un passo dalla camera da letto. Intorno, pareti invisibili lo separavano dagli altri giocatori, pareti di vetro in uno strano condominio.

Dal suo punto di osservazione, il solito tavolino defilato, Nanako poteva vedere i giocatori del bingo seduti quasi immobili a controllare le loro cartelle: certe volte le sembrava di guardare gli studenti ai tavoli della biblioteca della sua facoltà, ciascuno assorbito dal proprio libro.

In effetti, Watanabe non aveva tutti i torti

In quel micromondo aperto H24 -  nel quale il giorno e la notte non avevano una reale consistenza ontologica se non per via di un orologio appeso al muro - una giovane voce maschile annunciava i numeri estratti al bingo, traducendo in fonemi i capricci della fortuna. 

ichi … gojūroku … hachi … sanjūyon … 

Nanako ascoltava quella voce durante la sua pausa-cena, che durava circa mezz'ora. A quell'ora, c'era sempre lui, una voce senza volto. La ascoltava solo il sabato e la domenica.

La voce era giovane e calda, bassa e carezzevole, non era impaziente, ansiogena, affrettata. Rassicurava i presenti del fatto che dopo ogni numero ne sarebbe arrivato un altro e che tutti i numeri per lei erano importanti allo stesso modo.

Manteneva un ritmo costante, rilassante e aveva la capacità di rilassare anche Nanako durante quella breve pausa.

Terminato il suo spuntino, Nanako usciva poi dal locale, attraversava nuovamente la strada e tornava al lavoro, nel konbini. Il negozio vendeva anche sigarette, giornali e dopo le ventuno, alla chiusura della biglietteria della stazione, anche i titoli di viaggio.

Lavorava fino alle undici, in tempo per prendere il treno di mezzanotte. 

Se era fortunata, nel dopocena riusciva anche a studiare: dopo una certa ora, da quelle parti capitava solo qualcuno che cercava un giornale da leggere in treno, tabacco, gomme da masticare o assurdi gadget di plastica da portare ai propri bambini al rientro da una lunga giornata di lavoro.

Quando lei andava via a mezzanotte, restavano operative solo le casse automatiche, preferite da chi andava di fretta o non voleva interagire con nessuno. Tutto funzionava a basso regime, fino al mattino dopo, quando chi era di turno si riaffacciava alle sei.

Diverse volte Nanako si era chiesta che tipo fosse l’uomo che "dava i numeri" e perché la sua voce la attirasse così tanto. 

Il tutto era iniziato una sera come tante. Lei stava cenando al suo tavolino quando una voce morbida e allo stesso tempo virile l'aveva chiamata con il suo nome, dall'altoparlante: 

Nana

Lei aveva sollevato il viso di scatto, poi aveva sentito un numero e subito dopo un altro ancora. Si era messa a ridere da sola quando aveva realizzato che "Nana" stava a indicare il numero 7 e non il diminutivo del suo nome. Ormai però aveva fatto caso a quelle vibrazioni sonore e aveva teso l'orecchio per ascoltarne altre. Le piacevano.

Era cominciata così ed era più forte di lei: quando sentiva quella voce, veniva colta da una sensazione di straniamento: i numeri in sé erano un fatto neutro, una successione anarchica di cifre, significavano solo il proprio valore. Non comunicavano nulla. E allora perché quel desiderio di ascoltarlo tutte le volte?

Una sera aveva preso una cartella, per divertimento, e si era concentrata al punto tale che quella mano di bingo le era sembrata ospitare solo lei e lui. Le luci della sala, da squillanti che erano, avevano subìto un calo repentino nella sua percezione, e le cameriere che portavano da bere sembravano più lente, tutto era finito in secondo piano.

Per qualche arcana combinazione dettata dal caso, quella sera lui aveva recitato in sequenza la sua data di nascita.

Nanako non aveva vinto nulla ma aveva conservato la cartella come segnalibro, evidenziando il suo giorno, il mese e l’anno.

Giustificava quella piccola follia come un passatempo, un momento rituale per staccare con il cervello, una stranezza come ce n'erano tante in giro. E sotto sotto ne era anche divertita.

Fortunatamente, aveva amiche abbastanza strane con le quali condividere le sue piccole follie:
 

Sachiko: “Scusa, Nanako, sei cliente abituale, perché non chiedi - che ne so, al buttafuori -  come si chiama quel tipo?”

Nanako: “E dopo che gliel’ho chiesto?”

Sachiko: “Ti fai dare il suo numero di telefono. Anzi, te lo fai dire da lui in persona.”

Nanako: “E se poi non mi piace il suo aspetto fisico?”

Akhira: “Ma potrebbe essere comunque già brutto di suo e restare tale per sempre anche se non lo vedrai mai di persona. Che cosa ti cambia? Una scommessa ogni tanto ci può stare.”

Nanako: “Voi non capite …”

Sachiko: “Idea! Potreste incontrarvi al buio! … conosco un  un locale dove si sta con le luci spente, certo devi tenere presente che potresti trovarti davanti un dio come un mostro, ma se il punto fondamentale è la voce…”

Akhira: “È un’idea fantastica! E dopo che ci avrai scambiato due chiacchiere, continuate al buio a casa tua, ti fai recitare tutto il tabellone del bingo mentre ti spoglia e poi vedrai le stelle.”

Sachiko: “Il tabellone è composto da 90 numeri. Al ritmo di un numero al secondo parliamo di una durata di un minuto e mezzo. Akhira, sei proprio certa che in un minuto e mezzo…?”…”

Nanako: “Basta, smettetela!”

Akhira: “Beh, può andare avanti finché vuole.”

 

Sachiko a quel punto aveva assunto un’espressione meditabonda
 

Akhira: “Stai calcolando la durata ottimale di un amplesso espressa in secondi?…”

Sachiko: “Sotto i venticinque minuti, mai. E non parlo di preliminari, dico proprio dal momento in cui lui ti …”

Nanako (ridendo): “BASTA!”

Sachiko: “Ah, e ovviamente deve essere fantasioso in fatto di posizioni, e poi …”

Akhira: “E poi, a proposito del buttafuori … bel tipo, vero?... si chiama Watanabe, giusto… ?”

Sachiko: “Mmm…sì!! Chissà lui fino a quanto sa contare …”

  

Ne avevano riso abbondantemente e lei aveva lasciato cadere l’argomento “voce misteriosa”, non ci pensava neppure a risalire al suo aspetto fisico, doveva rimanere l’uomo del mistero. 

Terminata la sua pausa, Nanako tornò al negozio. Le ore fino a fine turno trascorsero lente e lei poté riguardare i suoi appunti di letteratura inglese. 

A mezzanotte, non pioveva più.

Ricominciò a piovere il giorno successivo, verso l’ora di pranzo.

Con estremo disappunto, e proprio quando era sulla porta di casa, Nanako si accorse di aver lasciato il suo ombrello al negozio.

Evidentemente, la sera prima era uscita sovrappensiero e, complice la fine della pioggia, non si era ricordata di prenderlo. 

Era un ombrello buffo, tascabile, di un rosa acceso quasi fluorescente, decorato a motivi di fragole. Anche il pomello era una fragola. Più adatto a una bambina che a una studentessa universitaria.

Stette a rimuginarci cinque minuti, cercandone un altro nell'armadio ma non trovò nulla. Se ne fece una ragione, indossò l’impermeabile e poi uscì. 

Si fece coraggio e provò a camminare lungo i cornicioni, fortunatamente la strada da percorrere a piedi fino alla stazione non era lunghissima e una volta in treno sarebbe stata all’asciutto.

Quando, arrivò nell'atrio della stazione e al negozio, guardò subito in direzione dei due portaombrelli posizionati accanto all'ingresso: uno, a destra, era quello che utilizzavano lei,  i colleghi e i clienti, l’altro a sinistra era invece quello che conteneva gli ombrelli dimenticati o abbandonati in stazione. Su quest’ultimo era attaccato un cartello che recitava “OMBRELLO DI TUTTI! - si prega di riportarlo qui dopo averlo utilizzato”

I contenitori erano entrambi vuoti: il suo ombrello non c’era in nessuno dei due.

Non le era mai successo di non ritrovarlo lì: aveva un colore e una decorazione talmente improbabili ed eccentrici che nessuno avrebbe potuto prenderlo per sbaglio o scambiarlo per qualche altro ombrello. 

Dubitava addirittura che ce ne fosse uno uguale al suo!

Inoltre, per chi ne avesse avuto bisogno, lì al negozio c’era sempre, appunto, un ombrello di tutti da prendere in prestito per le urgenze e da riportare il giorno dopo: ormai quegli ombrelli senza padrone erano diventati una specie di istituzione ed avevano salvato le acconciature e le giacche di cashmere di chissà quanta gente…

Nanako sentì piombarle addosso un fitto cattivo umore, fitto come la pioggia che continuava a cadere.

Perché proprio il suo ombrello doveva sparire 

Passò il pomeriggio a controllare ossessivamente chiunque entrasse in negozio. Qualcuno, molto diligentemente, riportava l’ombrello che aveva preso in prestito, qualcun altro lo riprendeva per ripararsi.

Del suo ombrellino kitsch, neppure l’ombra.

Alle venti, staccò per la sua consueta pausa e uscì per andarsi a prendere un’insalata al bistrot del Million. Cadeva solo qualche goccia, per fortuna.
 

All’ingresso del locale, vide il suo ombrello, diligentemente piegato e messo a sgocciolare appeso a un ombrello più grande, in modo che non venisse fagocitato dalla scatola che lo conteneva assieme agli altri.

Il rosa shocking misto a fragole spiccava fra le stoffe grigie, a quadri, a righe degli altri parapioggia. Si intonava benissimo ai colori della moquette e delle luci.

Sembrava dire Ehi, sono qua!

Nanako ebbe come prima reazione quella di riprenderselo, poi però si fermò. Fuori continuava a piovere a dirotto, se se lo fosse portato via, chi lo aveva usato per arrivare fino a lì sarebbe rimasto senza e si sarebbe fatto un bagno. Prevalse in lei l’idea che chiunque fosse stato a prenderlo fosse anche in buona fede e avesse commesso un semplice errore. 

Strappò allora un foglietto di carta da un taccuino che portava sempre con sé e lasciò un messaggio.

Ha preso per errore il mio ombrello. Può riportarlo per favore al konbini della stazione JR? Grazie

Si fermò a mangiare l’insalata al solito tavolino.

La voce misteriosa annunciava i numeri così come venivano scelti dalla sorte, eppure detti da lui sembravano quasi selezionati in un ordine necessario. La sua voce li rendeva necessari. 

Il suo nome purtroppo non uscì.

Rientrò al konbini dopo una corsetta, le gocce si infittivano Alle undici non si vedeva ancora nessuno, e non c’era nessun “ombrello di tutti” da poter prendere per ripararsi.

Chiuse il negozio che ancora pioveva e quando uscì dalla stazione nei pressi di casa sua, ormai scrosciava.

Maledisse la pioggia e la sua generosità.

 

(Continua…)

 

Ritorna all'indice


Capitolo 2
*** Capitolo 2 - Fragole sotto la pioggia ***


 

Capitolo 2 - Fragole sotto la pioggia

 

“Ehi, amico, ma dove lo ha trovato quell’ombrello con le fragole? Al love hotel qui vicino? Carino, chissà chi è la proprietaria … forse è una che si fa scartare piano piano e poi si fa succhiare come una caramella…? “

L’umorismo becero di Mitsuo tutte le volte partoriva una perla, e ormai il filo era bello lungo.

“In realtà è un ombrello di tutti" rispose Jun "di quelli che puoi prendere in prestito alla stazione. Devo riportarlo indietro stasera. Niente di avventuroso.”

Lo scosse per far cadere più gocce d’acqua che poteva e lo appese con cura al portaombrelli in modo da non piegarne le stecche.

Si lasciò sfuggire comunque un sorrisetto ironico all’indirizzo del suo collega. All’hotel in questione in realtà c’era già stato e diverse volte, con una collega, Akemi, che poi si era licenziata. Uscivano insieme, ma lei aveva una famiglia abbastanza soffocante e pochissima privacy, il tutto aggravato da certe mire matrimoniali che suo padre meditava per lei, e allora si vedevano lì durante la pausa o dopo il turno. All’inizio, la cosa aveva quasi un sapore proibito e rendeva tutto più eccitante, poi quell’atmosfera artificiale e anonima lo aveva stancato. A lui l’amore piaceva farlo a casa sua, e con gli orari di lei e i parenti ficcanaso sempre a farsi i fatti suoi era praticamente impossibile starsene tranquilli.

Quando Akemi aveva lasciato il lavoro, da un giorno all’altro, subito dopo si era trasferita a Tokyo, per sfuggire al matrimonio combinato: era chiaro che ci stava già pensando da un pezzo. Non l’aveva più vista né sentita ma aveva saputo da un’amica comune che ora era ai ferri corti con la famiglia, che aveva un fidanzato e finalmente si sentiva libera di fare ciò che voleva.

Ora che ci ripensava: forse a lei non era mai interessato più di tanto cercare le occasioni per stare insieme a lui, si era accontentata di qualche ora di sesso clandestino, così per passare il tempo.

Un po’ come lui, del resto.

Non erano fatti l'uno per l'altra, fine della storia.

Iniziò il suo turno.

Quando aveva detto alla sua maestra delle elementari che da grande voleva lavorare con i numeri, intendeva dire che voleva laurearsi in scienze statistiche e non fare lo speaker part time in una sala bingo. Ma la paga era buona e copriva l’affitto del suo monolocale. In più, lavorava con persone simpatiche e alla mano, Watanabe in primis, un uomo sui trentacinque anni sempre in tiro, taciturno, abbastanza palestrato e ambito fra le colleghe ma che non degnava nessuna di uno sguardo - d’altronde era vietato avere relazioni fra colleghi, anche lui aveva dovuto fare molta attenzione quando si vedeva con Akemi.

Watanabe era un tipo solitario, forse troppo.

Misterioso ma interessante, peccato che ne stesse sempre sulle sue.

L’esatto contrario di Mitsuo, che invece straparlava di sesso a tutte le ore come se non facesse altro dalla mattina alla sera. Per Jun era evidente in lui una certa propensione all'auto celebrazione, che però forse nascondeva una profonda solitudine. Mitsuo era un bravo ragazzo, fanfarone e allegro, anche lui lavorava alle estrazioni, anche lui era solo una voce, ma non mancava di ambizione: scriveva - sceneggiature, testi comici, e il suo sogno era lavorare come autore. Gli sarebbe piaciuto anche presentare un suo monologo tragicomico sul giapponese medio stritolato fra modernità e conservatorismo, che aveva messo in un cassetto.

Erano i due “amici del lavoro” con i quali aveva legato di più e usciva spesso con Mitsuo per una birra. Avevano più o meno la stessa età, mentre con Watanabe si passavano almeno una decina d’anni.

Andava bene così, la laurea era vicina e quel lavoro gli bastava per mantenersi in un ambiente abbastanza piacevole.

Coprì il suo turno serale ma dovette attendere l’arrivo di un collega che era rimasto bloccato nel traffico a causa di un incidente. Pioveva a dirotto e per strada c’era il delirio.

Quasi un’ora di straordinario che non si fece pagare ma che preferì accumulare come permesso.

All’uscita, davanti alla guardiania, si avvicinò al portaombrelli per recuperare quello che aveva preso in prestito e con sua grande sorpresa, trovò un messaggio.

Ha preso per errore il mio ombrello. Può riportarlo per favore al konbini della stazione JR? Grazie

Si fermò un attimo a riflettere: lui era certo di averlo preso dal portaombrelli “pubblico”. Ne era sicuro. Doveva essere stata quella sbadata della proprietaria a metterlo nel posto sbagliato, da qui l’errore.

Dunque era di una cliente del negozio alla stazione?

Che fosse una donna non c’erano dubbi, sia per come era fatto l’ombrello sia per la scrittura, rotonda e armoniosa. Sul foglio, un lieve profumo di pioggia e lavanda.

Ma perché allora non se lo era ripreso e basta?

Le donne!…

Quella sera aveva voglia di fare un giro a Chinatown, pioggia o non pioggia, ed ora a causa di quell’ombrello si trovava obbligato invece a tornare alla stazione!

Poi valutò che quella fosse comunque la cosa più corretta da fare, se non altro la proprietaria glielo aveva lasciato per gentilezza. Glielo aveva proprio prestato. Se non si fosse bagnato uscendo, sarebbe stato solo grazie a lei.

Arrivato in stazione trovò però il negozio vuoto, era quasi mezzanotte. Restava aperto con le sole casse automatiche: fuori, un tipo della sicurezza camminava lento e monitorava la situazione.

Entrò. I due portaombrelli erano vuoti. Lasciò l’ombrellino rosa nel contenitore giusto e se ne andò a prendere il treno. Pioveva a vento, inutile pensare di farsi un giro: tanto valeva andarsene a casa a dormire, così l’indomani avrebbe seguito le lezioni da sveglio e non in stato semicomatoso da notte brava.

Frugò nello zaino, tirò fuori un foglio di carta e scrisse Grazie per avermelo lasciato. Uno sbadato bagnato in meno in giro per Yokohama..

Infilò il foglio sotto una delle stecche dell’ombrello e corse a prendere il treno.

L’indomani, dopo una mattinata in facoltà, si recò al lavoro per il suo turno. Quando arrivò nell’atrio della stazione il negozio era aperto ma al bancone c’era un ragazzo.

Pioveva ancora.

L’ombrello rosa era dove lo aveva lasciato la sera prima. Stavolta anche lui aveva con sé il suo ombrello, per quanto nel portaombrelli pubblico ce ne fossero un paio “orfani” di padrone pronti all’uso.

Tirò dritto e andò al Million. Da statistico, iniziò a pensare a quante probabilità aveva di incontrare la proprietaria di un ombrello, un oggetto fatto apposta per essere dimenticato da qualche parte, scambiato, rubato.

Prima di andare al bingo, aiutò Mitsuo che aveva finito il turno ma che stava scaricando le casse con le provviste del bistrot.

“Ehi Jun, stasera usciamo? Sono riuscito a convincere anche Watanabe!”

“Ma come gli va di uscire con uno studente di statistica e con uno affetto da priapismo come te? Tutti e due sempre a caccia di avventure mentre lui sembra aver raggiunto il nirvana?”

Mitsuo abbassò la voce.

“So che ha divorziato da poco.”

Jun rimase sorpreso. Neanche sapeva che fosse sposato.

“Non mi sembrava uno particolarmente allegro, ma ora che mi dai questa notizia…”

Jun pensò allora che poteva diventare una serata interessante. Watanabe lo incuriosiva parecchio, magari gli avrebbe fatto bene uscire con due ragazzini come loro.

“Ok, ci sto. Alle dieci posso staccare, sono a credito di straordinario.”

“Perfetto… ce ne andiamo a Chinatown!”

Continuava a piovere ma era una pioggia leggera.

Il trio lasciò il Million alle dieci e si incamminò verso la città cinese. Jun e Mitsuo avevano l’ombrello, Watanabe aveva il suo impermeabile con cappuccio. Camminava pensoso con le mani in tasca.

Jun lo guardava di sottecchi. Sposato e divorziato. Un bell’uomo, ancora giovane. Non riusciva a immaginarsi al suo posto, ancora all’università e con la testa calda.

Che cosa gli sarebbe capitato, nel futuro ormai prossimo? Un lavoro e una famiglia come tante? E poi un divorzio, perché no?

Il sabato sera, il quartiere cinese era affollatissimo.

Attraversarono il varco a est, la porta di Choyomon. La struttura era di un blu intenso, incorniciato d’oro, come il lapislazzuli. Oltre il varco, un fiume di persone avanzava lento sulla strada stretta, in un vocìo continuo, allegro.

“Vi porto a mangiare il ramen più buono di Yokohama!...” Dichiarò Mitsuo.

Fu a quel punto che, in lontananza, nella massa grigio scura della folla, Jun vide una macchia rosa shocking agitarsi. Aveva sopra macchie più scure, regolari…a forma di fragola! La macchia dondolava come sospesa su un passo svelto.

Era quell’ombrello! Possibile?

Lo vide sparire dietro un angolo.

“Mitsuo! Dov’è il ristorante?” Chiese un po" bruscamente.

“In fondo a sinistra, dietro l’angolo! Ehi, ma vai di fretta?”

Jun allungò il passo e arrivò al ristorante prima di loro.

C’era una piccola folla radunata all’ingresso che attendeva di entrare, ma l’ombrello rosa era scomparso.

Quando finalmente entrarono, istintivamente si guardò intorno e cercò il portaombrelli e poi si diede dello stupido: ma che gli prendeva?

Perché continuava a pensare a quella faccenda? Era da pazzi …
 

Il locale scelto da Mitsuo si chiamava Manpuku, piccolo, rumoroso e pieno di profumi stuzzicanti.

Furono fatti accomodare a un tavolo da una ragazzina sui tredici anni, che aveva tutta l’aria di avere la testa fra le nuvole perché dopo che aveva preso la loro ordinazione aveva fatto cadere due scodelle colme di zuppa allagando il pavimento.

MAYA!! aveva gridato una donna dal viso esile e arcigno, con una cera tutt’altro che in salute.

La ragazzina aveva sfoderato un disarmante sorriso di scuse.

“Dovrebbero vietarlo, il lavoro minorile.” Sentenziò Mitsuo.

“Magari è la figlia della proprietaria…” rispose Jun.

“Magari non sono fatti nostri…” concluse Watanabe. “Mia figlia compie tredici anni il prossimo anno. Mi basta saperla in camera sua che fa i compiti di scuola…”

Poi piombò nel silenzio, preso da chissà quali altri pensieri.

Il ramen era delizioso. Jun pensò di licenziarsi dal Million e di proporsi come ragazzo delle consegne lì, in cambio di una scodella di zuppa al giorno.

Mangiarono a sazietà e rimasero a lungo seduti al tavolo.

Watanabe a un certo punto sospirò e iniziò a raccontare del suo divorzio, liberamente, lentamente e senza fronzoli.

Lei si era innamorata di un altro uomo, conosciuto durante una trasferta di lavoro. Lui le aveva concesso il divorzio senza battere ciglio. Erano anni che se lo chiedeva, se era ancora innamorata di lui. Sua figlia non ne aveva sofferto particolarmente. Era lui che non si aspettava di rimanere sospeso in un limbo: da una parte sapeva che era meglio così, dall’altra ne soffriva. A peggiorare la situazione, la notizia che la sua ex moglie e sua figlia si sarebbero trasferite negli Stati Uniti, per seguire gli spostamenti del nuovo compagno di lei. A quel punto, Watanabe lasciò cadere l'argomento, ma dopo quel racconto breve e conciso, l'uomo sembrava più sollevato.

Con il caffè, ognuno di loro prese un biscotto della fortuna.

A Mitsuo capitò Al mattino lasciati alle spalle il vecchio giorno

“Il significato è evidente: chiodo scaccia chiodo. Niente complicazioni inutili dopo una notte di sesso, un bacetto e addio.”

A Jun, un più sibillino La pioggia nasconde la verità solo agli occhi distratti.

Watanabe invece mormorò un Dopo il sale più pungente viene lo zucchero più dolce.

Mitsuo si lasciò sfuggire un fischio di apprezzamento.

“Però … una profezia interessante la tua, Watanabe … Bene! Andiamo a ballare?”

“Perché no?” Rispose Jun. “Watanabe? …”

“D’accordo.”

L'uomo accarezzava con le dita il bigliettino che aveva trovato nel suo biscotto. Improvvisamente, sembrò più giovane e disteso.

“La discoteca è in fondo alla strada. La dance cinese mi fa impazzire! E anche le cinesi mi fanno impazzire…”

Mitsuo gongolava mentre faceva loro strada.

 

La sala era grande e con enorme delusione di Mitsuo, la musica non era disco cinese ma una banalissima e fantastica selezione punk-rock.

Si presero un drink al bancone del bar. Jun osservava le ragazze curioso e annoiato allo stesso tempo. Lei poteva essere ovunque. Il suo ombrello rosa lo incuriosiva, chissà chi vi si nascondeva sotto… ma lì non c'era, tanto valeva guardarsi intorno.

Il suo sguardo di ricognizione non sfuggì a Mitsuo.

"Ti vedo sul piede di guerra, amico … di solito tu mi porti fortuna, magari stasera posso ricambiare…"

Fu allora che Jun notò una ragazza dall'aspetto esile che ballava in pista con una bibita in mano. Rideva e ballava allegra.

Era minuta ma ben fatta, con le spalle dritte. Indossava pantaloni scuri e una maglietta aderente color argento.

A Jun venne spontaneo alzarsi e avvicinarsi a bordo pista. Mitsuo si voltò verso Watanabe.

"Vieni anche tu?"

Watanabe scosse la testa. Con le dita e lo sguardo basso sul suo bicchiere seguiva il ritmo. Un pezzo dei Rolling Stones.

Jun si avvicinò alla folla che ballava. Andava incontro a quella ragazza come se a spingerlo fosse una calamita. E iniziò a ballare vicino a lei, alle sue spalle. Mitsuo intanto aveva già attaccato bottone con una tipa alta e con un caschetto corto, i capelli biondi. Le mostrava i suoi passi forti e lei batteva le mani divertita. Accanto a loro, una moretta con una traccia raccolta sulla nuca, doveva essere un’amica della bionda perché appena Mitsuo fece la sua comparsa importuna lei voltò le spalle a entrambi con un sorriso divertito e si diresse verso il bancone.

Jun e la ragazza in argento ballarono uno di fronte all'altra per una mezz'ora, ininterrottamente. Il dee jay aveva messo una selezione da urlo: Clash, Police, Bowie. Il volume era alle stelle. Jun continuava a sentire il potere assurdo di quella calamita e la fissava serio. Non aveva mai ballato un pezzo come Police and Thieves dei Clash con quell'espressione concentrata, e forse neanche lei, che ricambiava il suo sguardo.

La ragazza bionda, che intanto si era allontanata con Mitsuo, tornò in pista si avvicinò con aria divertita. Mitsuo le si prostrò davanti in ginocchio, supplicandola sorridendo ma lei scuoteva la testa indicando l'orologio.

Lo indicava anche alla ragazza in argento, che annuì convinta lanciando a Jun uno sguardo fugace.

Dunque erano amiche e se ne stavano andando via!

Jun allora le afferrò il polso. Lei lo guardò presa alla sprovvista.

Le chiese urlando Come ti chiami?, ma il fracasso era infernale ora, con i Jam a tutto volume.

Lei lo guardò interrogativa. Le afferrò allora una mano e le scrisse sul palmo, con un dito Jun , in hiragana, indicando poi se stesso.

Lei sorrise e fece allora la stessa cosa.

Poi la sua amica la trascinò via. La ragazza in argento fece solo in tempo a voltarsi e a fargli un segno con la mano come per dirgli “ci vediamo!”

Lui annuì, con un sorriso.

Chissà come, chissà dove… ma sapeva che l’avrebbe rivista.


Nanako, si chiamava…


(Continua...)

Ritorna all'indice


Capitolo 3
*** Capitolo 3 - Biglietti misteriosi ***


Capitolo 3 - Biglietti misteriosi 


Quel sabato sera, Nanako si era portata appositamente un cambio d'abito. Nel retro del negozio c'erano l'office e il magazzino con le merci.
Pioveva ancora ma per fortuna, il suo ombrellino kitsch era tornato alla base, con tanto di messaggio di ringraziamento da parte dello sbadato.
Era felice di averlo ritrovato, ora le sembrava una specie di souvenir, il testimone di un incontro mancato. Le sarebbe piaciuto vederlo aperto a riparare un uomo, sicuramente quelle fragole e il rosa carico non erano passati inosservati. Chissà, magari quel tipo era un impiegato ed era abituato al grigio, e magari i suoi colleghi d'ufficio lo avevano anche guardato male quando lo avevano visto entrare in azienda coronato di rosa!

Quella sera Nanako aveva un permesso speciale per dormire fuori, a casa di Sachiko: era il compleanno della sua amica e, insieme ad Akhira l’avrebbero portata a ballare nella città cinese.
Nel piccolo bagno dell'office si truccò accuratamente. Si sistemò i capelli sciolti sulle spalle e si guardò allo specchio: indossava un paio di pantaloni aderenti, tacchi alti e una maglietta color argento. Infilò la sua giacca e attese le amiche all'uscita della stazione.

Akhira e Sachiko arrivarono puntuali. Akhira era stata dal parrucchiere e ora sfoggiava un caschetto biondo e una minigonna che esaltava le sue gambe lunghe, Sachiko invece aveva intrecciato i capelli raccogliendoli in uno chignon alla base della nuca e si era messa un abito lungo al ginocchio.

"Io ho fame! Andiamo a mangiarci un bel ramen da Manpuku? Il ramen più buono di Yokohama!" propose Akhira.
"Perché no? Che ne dici Sachiko? È il tuo compleanno…"
"Mi sembra una splendida idea… però non abbiamo prenotato …"
"Andiamo a dare un'occhiata, se è troppo lunga l'attesa ce ne andiamo…"

Arrivate al locale, c'era davvero la fila. Troppa: loro volevano mangiare bene ma senza attardarsi, volevano ballare!
"Piano B: andiamo al Fiore Di Giada" si rassegnò Sachiko.
Mangiarono bene anche lì. Alle dieci erano già in discoteca.

Nanako si lanciò subito in pista, a ballare il rock e mentre era già in piena febbre del sabato sera, a un certo punto si trovò davanti un ragazzo che la guardava intensamente.
Continuò a ballare modulando il suo sguardo su quello serio e attento di lui. Era una situazione strana, qualcosa la colpiva di quel ragazzo, e non era solo il fatto che fosse attraente. Da quando le si era avvicinato si era tutto mescolato, tutto confuso. Musica e folla non sembravano reali quanto i suoi occhi scuri.
Iniziò lentamente a rilassarsi e anche lui sembrò sciogliersi. Iniziarono a ballare insieme, ignorando chi avevano intorno. Una strana tensione che però riuscivano a controllare, complice la musica che permetteva loro di sfogarla.
Gli altoparlanti sparavano intanto a tutto volume. Poi, dopo un tempo indefinito durante il quale, ballando così vicini, potevano quasi percepire l'uno il calore e l'odore dell'altra, Akhira li aggiunse: si era fatto tardi e dovevano andare.
Lui tentava di dirle qualcosa ma era impossibile sentire la sua voce.
Allora le prese la mano e scrisse sul palmo, in hiragana, Jun.
Anche lei gli lasciò il suo nome prima di uscire.

Non le era mai capitato prima!


****


Più tardi, alla stazione, le tre amiche aspettavano l’ultimo treno per rientrare a casa.
Nanako aveva ancora il fiatone. Meno male che Akhira si era accorta che stavano facendo tardi, se avessero perso l’ultima corsa avrebbero dovuto dormire lì al konbini!

Era scappata via come Cenerentola, con gli occhi di quel ragazzo che le erano rimasti addosso.
Jun….

Akhira, che andava nella direzione opposta rispetto a Nanako e Sachiko si trovava sulla banchina di fronte a loro.
Continuava a chiacchierare con le altre due con tono allegro, raccontando loro di quel ragazzo conosciuto in pista che l’aveva seguita fuori per una sigaretta.
Mitsuo, si chiamava.

Nanako le rispondeva, divertita dal racconto dell’amica: questo Mitsuo si credeva Rodolfo Valentino, non era male ma forse aveva bisogno che qualcuno lo rimettesse al suo posto.

“Non mi era mai capitato di incontrare uno come lui. È un personaggio! Mi ha subito chiesto se sto con qualcuno e se mi andava di proseguire la serata con lui. Quando si è inginocchiato sulla pista ho capito che aria tirava… però mi piace. Anche se è più basso di me! … Ma tu piuttosto? Chi era quello con cui ballavi?”

“Un bel tipo, tutto qua …”

Nanako evitò di spostare l’attenzione delle amiche su quel ragazzo che aveva scritto il proprio nome sulla sua mano. Non voleva condividere il suo stato d’animo perché lei stessa non sapeva come descriverlo. Perché si sentiva così sicura che lo avrebbe rivisto? Era da folli, ma aveva la netta sensazione che sarebbe stato così.

Sachiko era invece molto silenziosa. Solo dopo aver salutato Akhira ed essere salite sul loro treno, prese timidamente la parola.
“Stasera ho conosciuto Watanabe…”
“Chi?”
“Watanabe, quello che lavora al Million. Si chiama Shiro.”
“Lo so che si chiama Shiro. Io non l’ho visto, però… dov'era?”
“Era al bar. Mi sono avvicinata per prendere da bere, mi sono seduta e niente … ce l'avevo accanto. È… è davvero un bell’uomo.”
Sachiko arrossì.
“Io non ho resistito e mi sono presentata…” continuò.
“Davvero…??”
“Sì. Le ho detto che siamo amiche e che eravamo venute in discoteca per il mio compleanno … sono stata sfacciata?”
“Dipende. Gli hai chiesto anche fino a che numero sa contare?” Nanako sorrise maliziosa, ripescando fra le battutine delle sue amiche a proposito della durata ottimale di un amplesso.
Sachiko la fissò interdetta, poi realizzò, divenne di fuoco e scoppiò a ridere.
"Touché! In questo momento, chissà perché non riesco a scherzarci sopra… Io stasera ero… non lo so che cos’ero. Stavo lì e lo guardavo. Lui sembrava lontano anni luce eppure mi era vicino. Mi attraversava con lo sguardo e allo stesso tempo era come se non volesse guardarmi. Quando poi ho visto Akhira che ti trascinava fuori, cercando anche me con lo sguardo, mi sono alzata di colpo per venirvi incontro e prima che potessi dirgli ciao o qualsiasi altra cosa lui mi ha fermata appoggiando una mano sul mio braccio, e poi mi ha dato questo.”
Le porse un biglietto.

Dopo il sale più pungente viene lo zucchero più dolce

"Un biscotto della fortuna?..."
“Perché me lo ha dato, secondo te?”
“Non saprei… forse è una specie di regalo di compleanno? Se vuoi, puoi chiederglielo tu stessa. Credo faccia sempre lo stesso turno al Million… potresti passare da me sabato prossimo, magari ci facciamo un giro e con l'occasione…"
“Ha almeno trent’anni, vero?…”
"Anche trentacinque.”
“Dieci più di me…”
Sachiko scosse la testa, improvvisamente triste.
“Tutto bene?”
“Forse è meglio lasciar perdere… Grazie ancora per stasera, non potevo festeggiare meglio il mio compleanno!”
Restò silenziosa per il resto del viaggio.
Nanako rifletteva su quella serata così banale e insolita allo stesso tempo. Jun, Watanabe e quel Mitsuo si erano affacciati all'improvviso, e ognuno aveva dato loro da pensare.
Come se si conoscessero … ma no, era solo una coincidenza…

Poi un pensiero la trapassò come una lama.

… L'ombrello!!
Lo aveva lasciato al guardaroba, in discoteca! Di nuovo!
Si passò una mano sul viso, sconsolata.


****


Verso le tre, Jun e Watanabe si incamminarono verso il guardaroba per recuperare le loro giacche.
La discoteca si era svuotata, resisteva solo qualcuno al bar.

Erano rimasti al bar del locale a chiacchierare a lungo.
Watanabe era un uomo profondo e le sue riflessioni sulla vita, sui rapporti personali, sul dovere e la necessità erano interessanti.
Se fosse rimasto a discutere con Mitsuo, sarebbero sicuramente andati a parare invece su questioni di donne e sesso. Ma Mitsuo se n’era andato praticamente nello stesso momento in cui la ragazza bionda lo aveva salutato, farfugliando qualcosa che nel volume altissimo della musica era completamente evaporato.

Anche per delicatezza verso Watanabe e la sua situazione sentimentale, Jun decise quindi di non tirare fuori l’argomento della fanciulla in argento che lo aveva così colpito.

La ragazza al guardaroba li guardò con una espressione eloquente, sembrava dire Alla buon’ora!
In effetti, appese erano rimaste solo le loro giacche .

Mentre gli restituivano la sua, Jun, si accorse di una macchia rosa con le fragole che brillava in un angolo del guardaroba.

Lei era stata lì quella sera! Era una fra almeno trecento persone. Gli sfuggì una risata incredula.

"Jun, che cosa c'è di tanto divertente?"

"Nulla, Watanabe, nulla… Mi scusi" Disse poi rivolto all'addetta al banco "La mia ragazza ha dimenticato il suo ombrello, è quello rosa con le fragole. Sa, ultimamente è parecchio distratta…"

"Ah si, la ricordo. Molto carina…"
Jun restò con il fiato sospeso. Aspettò di avere qualche altro dettaglio, di certo lui non poteva fare domande e farsi scoprire un bugiardo, correva il rischio di passare per un depravato che rubava ombrelli rosa.

La ragazza però non trovò nulla da ridire e gli porse l'ombrello.
“Bene, ora posso chiudere!”

Watanabe lo guardava con interesse ma era la voce di Mitsuo che Jun sentiva nelle orecchie

Ma è una fissazione, la tua! Capirei se fosse biancheria intima e tu un collezionista … ma che diavolo ci fai con un ombrello rosa?

Come se stesse rispondendo all’amico, disse quasi fra sé “Glielo riporto, chiunque lei sia. Lo lascio alla stazione… Watanabe, è stata una bella serata…"

L’uomo annuì, continuando a osservarlo.

Jun lo salutò e corse via.
Davanti al konbini, fortunatamente, c'era un'altra guardia giurata: era la seconda volta che riportava indietro quell'ombrello, la cosa iniziava ad avere risvolti comici.
Prese dalla tasca della giacca il bigliettino del biscotto della fortuna e lo infilò sotto una stecca.

La pioggia nasconde la verità solo agli occhi distratti. E aggiunse a penna dietro E lei è più distratta del sottoscritto

La “distratta” era ora in vantaggio e lo statistico in lui era pronto ad affrontare sfide più complesse.
Lasciarle il suo numero di casa?
Scriverle che poteva trovarlo al Million?

Però, ripensandoci… che senso avrebbe avuto giocare con una sconosciuta quando quella stessa sera aveva incontrato una ragazza che gli era rimasta così impressa? Fasciata da quella maglietta color argento, quel trucco perfetto… perché pensare di incontrare invece una ragazzina, magari del liceo, che lasciava ovunque ombrelli improponibili?

Jun decise che la favola dell'ombrello perduto poteva terminare lì. Piuttosto, come fare per rivedere l'altra?


****


Sul presto, il telefono di casa di Sachiko prese a squillare.
Nanako si rigirò nel suo futon mentre l’amica invece usciva fuori dal suo e si allungava per afferrare la cornetta.

“Pronto?… Akhira?…Ma che c’è a quest’ora? È domenica!… Eh?? Ti ha seguita?…”

Nanako spalancò gli occhi.

Sachiko ascoltava in silenzio. Ogni tanto annuiva. I lineamenti del suo viso però intanto si distendevano.

“Un tipo davvero strano… sì, glielo racconto io. Ok, a dopo!”

Sachiko rimise giù la cornetta e guardò l’amica ormai sveglia.
“Hai presente il tipo di ieri sera che ballava con Akhira? Beh, stamattina lei è scesa a fare colazione al caffè sotto casa e ha trovato un bigliettino sotto la porta. Un bigliettino prestampato …ora che ci penso … come quello che Watanabe ha dato a me! C’era scritto sopra qualcosa tipo Al mattino lasciati alle spalle il vecchio giornoe dietro un’aggiunta a penna Io però non ci riesco. Vorrei rivederti.
Un numero di telefono e la firma Mitsuo.”

“E lei che cosa farà? Lo chiamerà?”

“Non lo sa… certo che è inquietante, però! Quello ieri era appostato alla stazione da qualche parte! … e se ci avesse ascoltato?”

“Beh, ha parlato soprattutto Akhira, che tra l’altro sembrava anche molto interessata. Lui forse non ha voluto esagerare con le avances e ha scelto di lasciarle il biglietto… come Watanabe con te!….” Nanako le scoccò un’occhiata curiosa “Sachiko, ti è mai venuto in mente, in queste ore, che potresti davvero piacere a Watanabe?”

Sachiko arrossì fino alla radice dei capelli ma scosse il capo, non sembrava convinta.

“Beh, sai dove trovarlo… io il dubbio me lo toglierei. A te lui piace, no?”

“Molto. Ecco, l’ho detto!”

“Sabato sera vieni a trovarmi al negozio, poi andiamo a cena al bistrot del Million.”
“Ok … affare fatto!”

La settimana trascorse lentamente.
Nanako saltò il turno infrasettimanale perché doveva finire di prepararsi per un esame piuttosto complesso.
Chiamò la discoteca nella vana speranza di recuperare il suo ombrello ma le dissero che al guardaroba non c’era. A quel punto, tanto valeva comprarsene uno nuovo. Ne prese uno al mercato, color giallo sole ma senza decorazioni. Era l’unico che le ispirasse un minimo di allegria, e lei quando pioveva aveva bisogno di allegria.

I primi giorni della settimana, le sue amiche rimasero in silenzio stampa. Vide Sachiko in facoltà, era piuttosto presa anche lei: aveva finito tutti gli esami di letteratura giapponese e stava per definire la tesi di laurea.

Akhira non si fece sentire fino al mercoledì, quando propose a entrambe di vedersi a pranzo. Aveva una storia da raccontare loro, aveva detto.

Scelsero un locale vicino all'università.

“Ragazze” esordì Akhira “Faccio questa premessa: io credo fermamente nella rivoluzione sessuale. Credo che le sovrastrutture culturali patriarcali di questo Paese debbano essere sovvertite e il sesso ci aiuterà. Bene, detto questo … sono uscita con Mitsuo e ci ho fatto l’amore.”

Silenzio e stupore.

“Akhira… ma lui non era quello che si credeva Rodolfo Valentino?” Mormorò lentamente Sachiko.
“Andiamo per gradi. Siamo usciti a bere qualcosa e abbiamo parlato tanto.”
“Che cosa fa nella vita?” Domandò invece Nanako.
“Scrive sceneggiature, testi … per la Daito Art Production dì Tokyo! Ed è bravo sapete? Non mi sono mai divertita così tanto a un primo appuntamento in vita mia. È simpatico, interessante, ci ho parlato di tutto. Poi siamo andati da me e a casa mi ha recitato un paio di monologhi tragicomici, ridevo e battevo le mani come una scema!... E poi…"
"E poi?..." Chiese Sachiko.
"Ecco… è cambiato da così a così. Sembrava a disagio. Come se fosse uscito dalla sua zona di sicurezza. Mi ha detto ora vado e si è alzato in piedi, e io allora mi sono avvicinata a lui e l'ho baciato. Una scena buffa, è più basso di me di almeno dieci centimetri. Dopo il bacio mi ha detto sei alta, eh? e ci siamo messi a ridere. Poi ci siamo spogliati e l'abbiamo fatto sul divano. È stato dolcissimo, mormorava il mio nome, diceva che ero bellissima … e io mi ci sentivo davvero bellissima! … Stasera ci rivediamo. Ceniamo da me."
"Akhira, se stai bene con lui … allora doveva andare così!" Esclamò Nanako.
"Devo essere sincera: quel biglietto che mi ha lasciato sotto la porta, in un certo senso già mi aveva conquistata. Semplice e diretto come sono io."

Nanako osservava Sachiko: aveva un'aria trasognata. Forse pensava a Watanabe e al suo, di biglietto?
Improvvisamente le venne in mente il suo ombrello rosa e lo scambio di messaggi che lo aveva accompagnato negli ultimi giorni.

L'ombrello era sparito e il mistero dell'uomo della pioggia sarebbe rimasto irrisolto...

Ritorna all'indice


Capitolo 4
*** Capitolo 4 - Effetto domino ***


Capitolo 4  - Effetto domino




Sabato sera arrivò.
Nanako si accordò con Sachiko per vedersi all’ora di cena. Da giorni non pioveva più e il cielo di dicembre era ora limpido e freddo.
Uscì alla solita ora, prese il solito treno e arrivò al solito orario.

Quando entrò nel negozio, non se ne accorse subito, presa com'era dal salutare la collega che smontava dal suo turno. Indossò il suo grembiule colorato e sistemò alcuni scaffali.

Poi l’occhio le cadde sul portaombrelli all'ingresso. Il suo ombrello rosa fluo era lì, comodamente infilato nel contenitore. Si vedeva chiaramente il pomello a forma di fragola.

Con estrema meraviglia, si avvicinò e lo prese fra le mani. Lo aprì leggermente, quel tanto che bastava per ispezionarlo. Dietro una stecca, un bigliettino.
Quando Nanako spiegò il foglietto restò di stucco: era un biglietto della fortuna!
Somigliava in tutto e per tutto a quelli che avevano ricevuto Akhira da Mitsuo e Sachiko da Watanabe.

Il suo recitava

La pioggia nasconde la verità solo agli occhi distratti.

Con una aggiunta, dietro, a penna

E lei è più distratta del sottoscritto

Tirò fuori dalla borsa il biglietto precedente, che aveva conservato: la calligrafia le sembrava identica.

Era troppa la sorpresa.
Ripiegò accuratamente il biglietto e lo infilò in borsa insieme all’ombrello, come per metterlo al sicuro. Lavorò le sue ore prima della pausa in uno stato d’ansia che non riconosceva come suo. Allora anche quell’uomo era in discoteca, il sabato precedente!

Si affacciò alla sua mente l’idea che quei tre biglietti potessero venire dallo stesso ristorante di Chinatown. I tre si conoscevano ed erano andati a cena insieme? Se era così, forse Watanabe conosceva Mitsuo ed entrambi conoscevano quindi l’uomo che continuava a soccorrerla nei suoi momenti di distrazione recuperando il suo ombrello…?

E poi… aveva un sospetto che diventava un desiderio, un disperato desiderio. Avrebbe fatto carte false perché si avverasse!

Come poteva scoprire la verità? L'unica, era chiedere spiegazioni a Watanabe ma proprio quella sera Sachiko avrebbe provato ad avvicinarlo e Nanako non voleva essere un elemento di disturbo per l’amica, già così insicura.

Sachiko non era una tipa “svelta”, come Akhira, era un po’ più come lei, che si faceva le sue storie ma senza agire troppo di inpulso: eppure, non l’aveva mai vista così in difficoltà, le faceva tenerezza e in fin dei conti la capiva anche…

Alle otto meno dieci, per l’appunto, la sua amica arrivò in uno stato di agitazione e la cosa aumentò la sua, di agitazione!
Con quelle premesse, Nanako non aveva preso nessuna decisione, voleva aspettare l'evolversi della serata.

Quando arrivarono al Million, trovarono Watanabe all’ingresso, in completo scuro e cravatta, la sua divisa di lavoro.
Nanako lo salutò con un cenno della mano che però lui non vide: i suoi occhi, sorpresi, si erano incollati a quelli di Sachiko, che però chinò la testa incapace di sostenere quello sguardo così intenso.

Si piacevano, era chiaro. Era solo questione di tempo… e di coraggio, soprattutto.

Al tavolino del bistrot, mentre la calda voce misteriosa annunciava i numeri, Nanako provò a tranquillizzare l'amica, ancora più nel pallone perché ora Watanabe girava loro intorno lentamente, controllando le sale.
"Ti giuro… non mi sono mai sentita così prima d'ora per nessuno. Se penso a quanto ci ridevo sopra… Ho il cuore a mille, prima quando mi ha guardata mi tremavano le gambe!"
"Sachiko, non devi fare nulla che non ti senta di fare, ma sappi che Shiro non morde. È un ragazzo come tanti e a me ha fatto sempre un'ottima impressione."
Sachiko restò in silenzio. Nei minuti che seguirono non toccò cibo. E poi si alzò.
"Nanako, io allora vado. …"
Nanako la vide tirare fuori dalla borsa qualcosa, un biglietto forse. La vide raggiungere Watanabe al centro del bistrot, che restò fermo ad aspettarla immobile come una statua. Lei allungò una mano, prese quella di lui e appoggiò sul palmo il piccolo foglio di carta. Poi si inchinò e fuggì letteralmente via.

Ce l'aveva fatta! Aveva provato a stabilire un contatto! Watanabe aprì il biglietto, lo lesse attentamente, lo piegò con cura e lo infilò nel taschino. Aveva l'ombra di un sorriso che lo trasformava completamente.

Nanako tirò un sospiro di sollievo e prese fiato, perché ora toccava a lei. Era curiosa e in tensione, doveva capire se le sue sensazioni erano giuste.
Ripiegò il tovagliolo, prese la borsa e si alzò dal tavolino.

"Watanabe… posso farti una domanda?"
"Certo."
"Conosci un certo Mitsuo?"
L'uomo la guardò incuriosito.
"Sì. Lavora qui."
"Lavora … qui?"

Ma non era autore testi alla Daito?

"Sì. Annuncia i numeri del bingo."

Nanako si sentì gelare.

"Cioè… questo al microfono è lui??"

La sua voce misteriosa!

"No, lui ha il turno precedente, è appena andato via, il collega ora al microfono si chiama Jun."

Nanako era incapace di ribattere alcunché. Jun…?!

"Ehi… " Disse poi Watanabe indicando la sua borsetta aperta. "Quell'ombrello tascabile lo conosco…"
"Dove lo hai visto?..."
"Sabato scorso, in discoteca… è tuo?" Watanabe aveva un'espressione confusa.
"Sì. C'ero anche io con Sachiko. Lo avevo dimenticato lì ma qualcuno lo ha riportato al konbini."
"È stato Jun. Era lì con me e Mitsuo."

Le tessere del domino erano cadute tutte, e l'ultima era stata quella che aveva fatto più rumore.

"A che ora finisce il turno il tuo collega Jun?"
"Alle undici."
"Ti ringrazio per le informazioni, Watanabe… "
"Nanako … forse sono io che devo ringraziare te.”
Nanako gli sorrise: quell’uomo così riservato eppure così trasparente… La sua amica aveva fatto breccia, ora ne era assolutamente certa!…
"Watanabe… posso chiederti una cortesia?"
"Se posso, volentieri."
Poi, dopo aver frugato nella borsa, strappò un ultimo foglio del suo blocchetto, si appoggiò al muro e scrisse con attenzione l'ultimo messaggio.
Quando ebbe finito, lo allungò a Watanabe.

"Puoi darlo al tuo collega Jun?"

Con la più professionale delle espressioni, Watanabe rispose: "Certamente.”
Nanako si inchinò e corse via, con il cuore a mille.

****


Ti aspetto alla stazione alle ventitré e trenta, se vorrai incontrarmi. Sarò seduta sulla prima panchina all’uscita del sottopasso, banchina numero 1.

Nanako, la ragazza distratta




Jun uscì dal sottopasso e si fermò all’inizio della banchina. Una ragazza era seduta lì e fissava il binario

Nanako e la sbadata dell’ombrello erano la stessa persona.
Era lei che, quel sabato sera, faceva dondolare nel grigio della pioggia il suo ombrello con le fragole, ed era lei la ragazza in argento, che quello stesso sabato sera si era lasciata andare sulla pista da ballo con lui. Era fuggita poi come Cenerentola, lasciandogli un ombrello invece di una scarpetta di cristallo.

Quell’oggetto li aveva fatti girare l’uno attorno all’altra, giocando a confonderli ma finalmente non pioveva più!

“Nanako…”

Nanako si voltò sorridendo. La voce di lui era ancora più bella e calda senza l’artificio di un microfono.
Jun si avvicinò e si sedette accanto a lei.

“Chi inizia, e da dove?” Chiese lui con un sorriso.
“Io… devi sapere che è iniziato tutto con la tua voce che mi chiamava.”
Jun spalancò gli occhi “La … mia … voce?”
“Una sera hai pronunciato il mio nome, Nana, ma in realtà era il numero 7…”
“Ah!…”
“Non ho mai voluto sapere chi fossi, volevo che rimanessi una piccola follia segreta!”
“E hai continuato ad ascoltarmi mentre io mi ritrovavo il tuo ombrello ovunque?” Jun ora rideva di gusto “Sabato scorso ti ho intravisto a Chinatown, ho provato a seguirti ma poi sei sparita nella confusione e nella pioggia. E poi ti ho rivisto e ormai eri … tu. Ma non sapevo fossi tu.”
“Dove avete cenato?” Chiese Nanako curiosa”
“Al Manpuku. Il ramen più buono…”
“… di Yokohama!! Noi ci siamo passate ma era troppo affollato…. volevamo cenare in fretta e andare a ballare!”
“Quindi: ti avevo già incontrata da tempo ed eri contemporaneamente: una cliente del bistrot, la proprietaria di un ombrello improbabile, una ragazza affascinante con la quale ho ballato e ora …”
“Ora?…”
Lui la guardò con la stessa aria seria che aveva quel sabato in discoteca.
“Ora… sei anche la ragazza che sto per baciare alla stazione.”
Non le diede il tempo di reagire e le sfiorò le labbra. Si prese il tempo di capire che cosa voleva lei e quando ne fu certo, continuò a baciarla.

Sotto l’attacco di quel bacio e di quelli che seguirono, Nanako perse il treno, com’era giusto che fosse.
Anzi, si stupì della propria intraprendenza!…
Akhira avrebbe approvato!



“E ora?”
“C’è sempre il love hotel…!”
“Stai scherzando?”
“Sì, sì… sto scherzando! C’è anche casa mia, ma è ancora presto… esiste un modo per riportarti invece a casa tua?”
“Vivo in un dormitorio femminile. Cioè, vivevo… mi butteranno fuori se non rientro entro un’ora!...”
“Io ho avuto il tuo stesso problema e alla fine ho preso un monolocale. Bene. Ci aiuterà Mitsuo.”
Corse al telefono pubblico ma dopo aver fatto il numero un paio di volte riagganciò.
“Non è in casa…”
Nanako lo raggiunse.
“Aspetta, provo a chiamare io…”
Gli prese la cornetta di mano, mentre lui la fissava interrogativo.
Akhira rispose al primo squillo.
“Sì?”
“Akhira, c’è Mitsuo da te?”
“Beh, sì"
“C’è Jun che ha bisogno di parlargli.”
“E chi è Jun?”
“Te lo spiegherò con calma…”

Mitsuo si mise subito in macchina per raggiungerli.

“Bene… mi ero perso un pezzo importante, vedo! … Mitsuo è un ragazzo d’oro” disse Jun “Gli chiedi la mano e ti dà anche l’altra. Sembra un fanfarone ma è leale e generoso.”
Nanako non potè trattenersi dal fargli una domanda su di lui.
“Lavora anche lui al bingo, vero? Perché allora ha detto ad Akhira che lavora alla Daito Art Production?”
“Perché è il suo sogno. In realtà in questo momento è in prova, ogni mattina va a Tokyo e poi torna a Yokohama. Sta aspettando che alla Daito prendano una decisione. È in gamba, Mitsuo, e credo sia davvero interessato ad Akhira… è letteralmente sparito dalla circolazione! Considera che ogni sabato mi dava il tormento per accompagnarlo in giro a fare danni. Tutto l’opposto di Watanabe…”
Nanako annuì. “Non conosco bene Watanabe ma credo che sia una persona molto assennata, vero?”
Il pensiero andava a Sachiko.
Jun abbassò la voce.
“Watanabe è in un momento difficile, ha appena divorziato e sua figlia stasera è partita per gli Stati Uniti, si trasferisce lì con la madre. È un uomo riservato ma si vede da lontano che soffre molto. È ancora giovane ma sembra rassegnato. Gli ci vorrebbe una persona dolce e capace di ascoltare, che gli faccia tirare fuori ciò che tenta di soffocare.”
Nanako sorrise. “Forse quella persona già esiste. Stiamo a vedere.”

Jun guardò l’orologio.
“Secondo me, possiamo continuare a baciarci per un venti minuti abbondanti. Che ne dici?”
Nanako si trovò d’accordo.

Ritorna all'indice


Capitolo 5
*** Capitolo 5 - Il canto delle sirene ***


Quinta parte - il canto delle sirene


Dopo il sale più pungente viene lo zucchero più dolce.

Shiro si accese una sigaretta, l'ultima della serata. Si sdraiò sul letto.

Dietro quel piccolo biglietto, Sachiko aveva scritto il suo numero di telefono. Glielo aveva dato al Million, solo qualche ora prima.

Era davvero lei, lo zucchero che veniva dopo il sale?
Il biglietto era appoggiato sul suo comodino. Era pericolosamente vicino al telefono. A un centimetro dell'apparecchio.

A un colpo di testa, il suo - in discoteca, quando l’aveva fermata e le aveva regalato quel biglietto sciocco - ne era seguito un altro, quello di lei che glielo restituiva regalandogli il suo numero e un sorriso timido.

Aveva pensato a lei continuamente, tutta la sera, ma all’emozione di quel biglietto che ritornava nelle sue mani era subentrata ora la paura.

Il sale si mescolava allo zucchero.

Fra uomini e donne potevano esserci distanze più o meno grandi, eppure quel centimetro di distanza fra il numero di lei e il telefono sul comodino ora gli sembrava incolmabile.

Era un periodo di distanze, quello.
Sua figlia, quella stessa sera, si era imbarcata per gli Stati Uniti, l'aereo era già sul Pacifico, sempre più distante.
L’aveva accompagnata in aeroporto, l’aveva salutata e poi aveva pianto in auto mentre andava a lavorare.
Sua moglie, la sua ex moglie, era distante ormai da anni.
Tutto si allontanava da lui… lentamente o velocemente, ma si allontanava.
Oppure era già lontano da tempo.

I fotogrammi del primo incontro con Sachiko continuavano a rimescolarsi nella sua mente.
Mentre lui si sentiva più solo che mai, lei era entrata nel suo spazio e il sale era diventato zucchero.
Si era seduta accanto a lui e aveva iniziato a parlargli.
Una voce nitida, dolce, appunto.
Gli aveva detto chi era, con chi era venuta e perché.
Aveva parlato a lungo.
Era il suo ventiquattresimo compleanno.
Lui, invece, di anni ne aveva compiuti trentacinque due settimane prima di lei.
Anche l’età era una distanza.

Perché si entrava nella vita degli altri senza chiedere il permesso?
Perché poi se ne usciva?
Non voleva più far entrare nessuno. Eppure…

Un centimetro. Mezzo centimetro. Zero.
Afferrò la cornetta e compose il suo numero.
Spense la luce perché si vergognava.

Attese.

Anche Sachiko era sdraiata sul letto, anche lei aveva il telefono sul comodino.

Quando squillò, pensò che fosse Nanako, o Akhira.
In fin dei conti, non credeva davvero alla possibilità che lui potesse chiamarla.
Era dieci anni più grande di lei, forse aveva voluto solo scherzare, in discoteca. Un biglietto della fortuna che diceva tutto e non diceva niente, che poteva capitare a chiunque. Un messaggio stampato in serie con cui farcire biscotti. Sale e zucchero… ma che fantasia!
Rispose.

"Pronto…"
"Sono Watanabe… Shiro."
Ah…
"Oh.. Ciao…!"
Sachiko spense la luce. Chissà perché.
"Scusami, forse è tardi…"
"No!..." Sì affrettò a dire. "Ero sveglia…"
Restò in silenzio, aspettando che lui rilanciasse. Ma restava zitto. Poi lo sentì mormorare "Beh…ecco, non so che dire. Scusami…magari…"
Sachiko sentì il tono di lui che accelerava repentino verso l'uscita e gli si parò letteralmente davanti per sbarrargli la strada.
"Come stai? Sei rientrato da poco? Hai cenato? Io ho finito proprio ora…!" Chiese a valanga. Senza prendere fiato.
"Che cosa hai mangiato?" Si interessò lui.
"Un terribile take away! E tu?"
"Io neanche quello!" Scoppiò a ridere.
Era riuscito a fermarlo. Era felice, lì al buio, mentre parlava con lui. Non c'era più la musica assordante e ora poteva sentire la sua bella voce e il suo respiro.
"E tu come stai?" Le chiese.
"Sono… felice che tu mi abbia chiamata."
"Anch'io sono felice."
Restarono in silenzio, parlavano i loro sorrisi, si sentivano al buio.
"Ti va se ci vediamo, domani?... Al cinema Nanboku, a Chinatown, c'è un film interessante, La Festa della Neve, con Utako Himekawa. Ti piace andare al cinema?" Propose lei.
"Non ci vado da anni… quindi accetto volentieri!"
Si accordarono per lo spettacolo pomeridiano e si diedero appuntamento al Parco Yamashita.
Lui le diede anche il suo numero di telefono.

Dopo che si furono salutati, Sachiko rimase con la luce spenta, finché non si addormentò.




****


Il pomeriggio era freddo e limpido.
Il Parco Yamashita era pieno di bambini che giocavano allegri sotto le pergole. Seduta su una panchina, Sachiko provava a stemperare il nervosismo dell'attesa leggendo un piccolo libro che si era portata dietro, una raccolta di favole di Esopo.
Era immersa nella lettura quando sentì delle piccole mani battere con entusiasmo. Sollevò gli occhi e notò che i bambini si erano raccolti in semicerchio, seduti sull'erba come in una specie di cavea. In piedi, davanti a loro, una ragazza che non poteva avere più di tredici o quattordici anni stava recitando qualcosa.
Era molto brava, sapeva differenziare tonalità e timbro della voce per alternare i vari personaggi del suo racconto.
Come se avesse mille maschere.
Quando terminò quel piccolo recitativo, i bambini chiesero altro a gran voce.
"Maya! Recita ancora!"
"Ma non so che cos'altro recitare!"
Allora Sachiko ebbe un'idea e si alzò, dirigendosi verso di loro.
"Scusami… potresti recitare queste… Sono favole!..."
"Siiiii!" Fecero i bambini.
La ragazza recitò loro la favola della cicala e della formica e altri brani. Erano così presi che Sachiko aveva già deciso di lasciarle il piccolo volume quando sentì una mano sulla spalla.
Si voltò di scatto.
Era Watanabe.

Shiro era in giacca e cravatta, aveva appena staccato dal lavoro.
Per tutta la mattina aveva aspettato di vederla e ora lei era lì davanti a lui, in un cappotto blu, guanti e cappello color panna, il naso e le guance rosse per il freddo, gli occhi più profondi del mare alle sue spalle.
Era bellissima.

Poi notò il piccolo gruppo di bambini allegri all’interno del parco e restò quasi senza respiro.

C’era una ragazzina con loro, con i capelli lunghi, esile e scattante, e che gli ricordava ragazzina del ristorante…
E ora che la guardava meglio, somigliava incredibilmente a sua figlia!
Era impressionante!

Il buco che già aveva nel cuore si aprì di più, si spalancò come una finestra al vento. Non erano passate neanche ventiquattro ore da quando lei era sparita oltre i cancelli d’imbarco. Improvvisamente gli mancò l’aria, e il pensiero del chiuso del cinema che lo attendeva divenne insostenibile.
Sachiko non si era accorta di nulla. Meglio. Provò a risolvere.
“Ti va se posticipiamo il cinema allo spettacolo successivo? Così facciamo due passi lungo il molo.”
Lei sembrava felice di quel cambio di programma. “Mi piacerebbe molto!…”
Il pomeriggio era luminoso, il cielo azzurro intenso cosparso di piccole nuvole bianche e piatte, che si perdevano all’orizzonte. Sembrava di camminare all’infinito, non c’era quasi nessuno oltre a loro. Lentamente si riprese, concentrandosi sulla voce di lei e sulla ruota panoramica che girava lenta, lontana sullo sfondo. Qualcosa però si era incrinato: aveva capito che il sale pungente di cui parlava il suo biglietto della fortuna erano le sue lacrime, e le lacrime non erano affatto finite.
Si scusò con lei, dentro di sé, e attese che l’anestetico facesse effetto. Riuscì a reggere per tutto il pomeriggio. Poi l’accompagnò al treno che era passata l’ora di cena.


****



La mattina dopo, Sachiko mescolava a occhi bassi lo zucchero nel caffè, nella mensa della facoltà.

“Allora, com’è andata?” Chiese Nanako.
“Sono stata bene, abbiamo passeggiato sul molo e visto un bel film… e basta. Sembravamo due estranei saliti sullo stesso treno che vanno per forza nella stessa direzione. Sul treno danno film bellissimi e anche il bar non è male.”
“Sachiko…”
“Davvero, non posso dire nulla… era perfetto, peccato che non fosse davvero lì con me.”

Aveva gli occhi lucidi.

Usciti dal cinema, nel quartiere cinese colorato e brulicante, avevano tirato dritto. Ovunque, immagini, cartelli e sorrisi li invitavano a restare lì, ma loro avevano proseguito e ne erano usciti, dritti fino al grigio della stazione. A Sachiko era sembrato di uscire dal Paese delle Meraviglie.
Quando era salita sul treno, lui non aveva neanche aspettato che lei partisse, se n’era andato a passi lenti, le mani in tasca.

“Sachiko, devi sapere una cosa su Watanabe. Sua figlia ieri è partita per gli Stati Uniti con sua madre, l’ultimo atto del loro divorzio. Deve essere dura, per lui. Io credo che qui non abbia nessuno.”
“Ma quando è arrivato al parco Yamashita sembrava disteso, felice… i suoi occhi erano felici di incontrare i miei…”
“Devi avere pazienza.”
“Forse l’ho annoiato.”
“Non dire sciocchezze.”
“Le mie storie banali, forse gli sono sembrata superficiale… ma ero così felice di stare con lui che mi sembrava tutto magico. Parlavo a ruota libera, non mi è mai successo con nessuno.”
“Non darti colpe che non hai. Aspetta qualche giorno e prendi una decisione. Hai il suo numero?”
“Sì.”
“Allora puoi rintracciarlo, sia per vederlo ancora che per mettere un punto.”

Sachiko annuì e bevve il suo caffè ormai freddo.



Passarono giorni silenziosi.
Shiro continuò la sua routine quotidiana: lavoro, palestra, casa.
Sachiko invece studiava.
Fuori nevicava.
I telefoni erano muti, sui rispettivi comodini.

Capodanno si avvicinava, mancava solo una settimana. Akhira lo avrebbe passato a Tokyo con Mitsuo, Nanako era presa invece dal trasloco e sarebbe rimasta a Yokohama.

Non aveva molte cose da spostare nel suo nuovo monolocale e Jun le diede una mano.
Sparì dalla circolazione per una settimana, fra ultimi dettagli e studio arretrato. La sera del 31, Ōmisoka, era talmente sfinita da non sapere che cosa organizzare per la serata. Meno male che non lavorava!...
Fu Jun ad avere l’idea.
“Senti: quel ramen del Manpuku lo devi assolutamente assaggiare. Anzi! Mangeremo lì la Toshikoshi Soba per il nuovo anno. Hai montato la libreria?”
“No! Da sola non ci riesco.”
“Ok, ecco il piano: vengo da te, la montiamo, la riempiamo e poi andiamo dritti a Chinatown, mangiamo e poi facciamo l’amore al Love Hotel. Che ne pensi?”
“La nostra prima volta… lì dentro? Anche no! E poi secondo me saremo sfiniti, la libreria è di legno massiccio…”

In effetti, ci vollero due ore per montarla e riempirla. Alle cinque del pomeriggio, con tutta la neve e il freddo, erano fradici di sudore.

"Sei sempre dell'avviso di trascorrere Ōmisoka in giro per Chinatown?" Chiese lei stramazzando sul tatami.
“Perché no…? Nevica, è vero, ma adesso abbiamo ben due ombrelli, il tuo con le fragole e quello giallo che mi hai regalato. Al Million me lo invidiano tutti!”
“Fai il serio!
“Sono serio… e voglio starmene in giro con te.”
Le si fiondò accanto.
“Ma prima…" e le sfiorò il viso lentamente.
Nanako sorrise. "Una doccia?"
"Anche, ma la facciamo dopo… a proposito, il letto è montato, giusto?”
Nanako annuì sorridendo.
“Allora sei proprio serio…”
“Assolutamente.”
Anche Jun sorrideva, mentre scendeva piano sulla sua bocca.
Iniziò a spogliarla.
"Jun…"
"Mmm…?"
"Ho una cosa da chiederti…"
"Ti ascolto…"
"Ti va di contare mentre mi spogli?"
Jun rise. "È il mio giorno libero!!"
"Ti prego…"
"D'accordo… Uno…"
E le sfilò la maglietta.
"Due"
Via i pantaloni della tuta.
"Tre"
Si fermò. Lei stava facendo altrettanto con i suoi vestiti, ma in silenzio. Le sue mani gli provocavano effetti imprevisti.
"Q-quattro…" Le sganciò il reggiseno.
Nanako continuava a tenere gli occhi chiusi.
“Nanako…” mormorò lui mentre le toglieva anche gli slip
Poi non ci furono più numeri da contare.



****



Sachiko ci pensò a lungo.
Non voleva soffrire ma non voleva neppure lasciare che tutto si perdesse così, come fiocchi di neve spazzati dal vento.
Erano le otto, Ōmisoka entrava nel vivo. Lei era sola, forse - sicuramente - lo era anche lui.
Telefonò ma non rispondeva nessuno. Allora pensò che fosse al Million, a lavorare.

Si vestì e truccò accuratamente ma senza esagerare. Prese coraggio e uscì.

Al Million non c’era quasi nessuno. Entrò quasi intimidita, poi lo vide appoggiato al bancone del bistrot, con una sigaretta in mano. Elegante e impeccabile come sempre, lo sguardo basso sul posacenere.

Non era giusto stare soli a Capodanno.

“Shiro…”

Shiro pensò a un’allucinazione.
Che cosa ci faceva lei lì, così bella e profumata?
Si riprese a fatica dalla sorpresa.
“Sachiko… se … se stai cercando Nanako e Jun, stasera non li ho visti, ma so che andavano a cena al Manpuku.”
“Io…. Cercavo te. Se non hai nulla da fare… dopo…. mi accompagneresti al molo? Vorrei aspettare la mezzanotte lì, con il canto delle sirene delle navi ancorate al porto.”

Shiro restò interdetto. L’anno prima c’era andato con sua figlia, ed era stata una serata drammatica… ma capì che se avesse rifiutato quell’invito a una serata stavolta semplice e tranquilla, la mano che lei ora gli tendeva sarebbe sparita per sempre. Non l’avrebbe mai più rivista.

La guardò meglio: aveva occhi seri e lucidi.

Era venuta a cercarlo nonostante lui si fosse mostrato scostante, freddo… e sentiva tutto fuorché freddo, quando lei gli era vicino: era arrivata come calore e luce nelle distanze della sua vita, lo capiva solo ora.
L’ultima distanza l’aveva messa lui e lei stava solo tentando di colmarla.
Lo invitava ad ascoltare con lei il canto delle sirene.

“D’accordo. Purtroppo però non posso staccare prima delle undici...”
“Nessun problema. Mi andrò a vedere un film!”
Lui restò un istante in silenzio, a guardare la moquette.
“Vorrei tornarci con te, al cinema…” disse poi.
“Anch’io…! Ci vediamo più tardi allora. Facciamo al Parco Yamashita? Mi troverai lì.”

 

Ritorna all'indice


Capitolo 6
*** Capitolo 6 - Un fiocco di neve sulle labbra ***


Capitolo 6  - Un fiocco di neve sulle labbra

 

Sachiko guardò un film al Nanboku senza prestare alcuna attenzione. Nella mente e negli occhi aveva solo lui e la promessa di raggiungerla.
Mangiò un panino veloce e alle undici si fece trovare al Parco Yamashita.

C’era un piccolo concerto all’aperto. Un gruppo sconosciuto attorno al quale si era radunata una folla di persone che aspettava l’altro concerto, quello delle sirene

Li ascoltò attentamente.
Dopo alcuni brani veloci, la solista iniziò un lento, Murasaki No Hikari

Fu a quel punto che una mano sulla spalla la fece voltare.
Shiro.
Uno di fronte all'altra, si guardavano mentre quel lento li tentava.
Lui le afferrò saldamente il fianco e la prese per mano.
Iniziarono a ballare lentamente, senza aprire bocca, se non per sorridersi.

 

Shiro osservò un piccolo fiocco di neve che le scivolava dalla punta del naso sulle labbra.
Qualcosa lo spinse a osare, nonostante il lieve imbarazzo, e finì per sfiorare la bocca di lei con bacio leggero e spontaneo.

Le sirene iniziarono a cantare e il fracasso, insieme alle voci dei bambini, li fece allontanare da quella pista da ballo improvvisata, spingendoli a camminare lungo il molo, mano nella mano, in mezzo alla folla.

Storditi dall’ombra di quel primo bacio, non sapevano cosa dirsi, camminarono e basta, a lungo, accarezzandosi reciprocamente le dita.

Mancava una manciata di secondi alla mezzanotte e ormai erano arrivati alla rotonda del molo.
Le sirene cessarono di colpo.

Akemashite Omedetō!! La frase volava di bocca in bocca ma presto fu soffocata da espressioni di meraviglia mista preoccupazione.

“Una ragazzina!…”

“Che ha intenzione di fare??”

“Fermatela!”

Shiro inquadrò meglio la scena che aveva davanti e gli si congelò il sangue. Vide chiaramente una ragazzina, la ragazzina che recitava nel parco, lanciarsi dal parapetto verso le acque nere del mare.

Prima che Sachiko potesse reagire, Shiro si era già precipitato verso il parapetto.

Non poteva sapere che l’anno prima sua figlia aveva rischiato di cadere in acqua per una sua disattenzione, non poteva sapere che nella sua mente la scena era vivida. Le urla velenose di sua moglie, il pianto spaventato della figlia.

Non poteva capire l’angoscia che si era risvegliata nel suo cuore né la sua profonda tristezza. Quella sera, ciò che era già incrinato nel suo matrimonio si era spaccato del tutto, ed era iniziata la discesa.

Non poteva sapere nulla perché lei era ancora troppo distante.

“Shiro!!”

Ma lui si era tolto l’impermeabile e si era lanciato in acqua dietro la ragazza.

 

“Si è buttata in mare!!”

“Vuole ammazzarsi!”

“È matta!”

“Aiuto!!”

Per un tempo infinito, Sachiko stette a guardare giù, e poi vide la ragazza che nuotava, anche se a fatica, verso le scale del molo. Shiro la aiutò a spingersi sulle scale, finché un uomo, da sopra, la afferrò e le fece scavalcare il parapetto.

La ragazza del parco, inginocchiata sull'asfalto, grondante, sfoggiava un sorriso sognante e stringeva in una mano quello che sembrava un biglietto del cinema. O di un teatro.

Shiro risalì. Grondava anche lui, aveva di nuovo un’espressione lontana.
Diede le spalle alla folla che si era radunata accanto alla ragazza, come se non volesse altri coinvolgimenti.

Sachiko allora gli si avvicinò.

“Shiro … come stai?”

“Devo recuperare la macchina… è parcheggiata vicino allo Yokohama Park.”

“ A piedi? Ci vuole una mezz’ora da qui, come minimo! Ti prenderai un malanno!”

“Devo andare… scusami...”

Sachiko non capiva, era come se si fosse tuffato lontano da lei. Era come se lei non ci fosse più.

Prese coraggio e gli si mise davanti.

“Aspetta! Ragiona…! Ti prenderai una polmonite e ti si allagherà la macchina!... Ho un’idea… arriviamo al love hotel, ti prendi una stanza e ti fai una doccia calda. Io vado alla lavanderia automatica e ti asciugo i vestiti!...”

Era arrossita alle parole “love hotel”, e forse tutta quella intraprendenza la metteva a disagio, ma era chiaro che lo stava facendo per lui.
Shiro allora decise di accettare la sua proposta “Forse hai ragione.” Disse piano. "Grazie per il tuo aiuto."

Si incamminarono verso l’albergo a ore, con Sachiko nervosa che parlava ancora a ruota libera e lui muto e pensoso.
Come dopo il cinema.

In albergo, Shiro spiegò la situazione ed ebbe la camera, con il solerte inserviente che asciugava il pavimento dietro di lui. Il portiere gli disse che c’erano molte camere libere quella notte e che potevano fermarsi quanto volevano. Terminò la frase guardando Sachiko, che a quel punto era diventata viola.

Salirono le scale ed entrarono in camera. Shiro si tolse le scarpe e le mise capovolte sul termosifone. Si chiuse subito in bagno e le passò i vestiti dalla porta. Sachiko li infilò in una busta di plastica e corse in lavanderia.

Sotto la doccia, non potè che ringraziarla per quella sua idea. Il freddo gli era entrato nelle ossa, si sarebbe congelato veramente prima di raggiungere la sua macchina.

Indugiò a lungo sotto il getto dell'acqua. Poi, una volta uscito, stretto nell'accappatoio, rientrato in camera si avvicinò al telefono e fece una chiamata intercontinentale. Erano quasi le due, dall’altra parte dell’oceano erano già svegli.

La sua ex moglie rispose al terzo squillo e gli passò sua figlia. Stava bene, era già stata nella sua nuova scuola e le era piaciuta. Anche lui le mancava e sperava di rivederlo presto. Gli avrebbe mandato delle foto.

Chiuse la telefonata e la tristezza del distacco si stemperò nel ricordo della voce della sua ragazzina, eccitata e curiosa verso la sua nuova vita. Poteva solo imparare da lei.

Guardò l'orologio, preoccupato. Erano passati almeno tre quarti d'ora da quando Sachiko era uscita. Poi sentì un paio di colpi leggeri alla porta. Istintivamente si strinse addosso l'accappatoio e annodò la cintura.

Aprì e se la trovò davanti con i suoi abiti lavati, asciugati e piegati.

"Scusami se ci ho messo tanto, ma il tipo della lavanderia ha fatto confusione e … non so come ma si è perso i tuoi calzini!... E allora sono corsa al konbini… e te li ho ricomprati…"

Shiro la osservava, sulla porta. Aveva i capelli bagnati, il cappello era madido di neve sciolta. Aveva camminato al freddo per lui, gli aveva comprato dei calzini nuovi, ed ora se ne stava in corridoio a occhi bassi come se non volesse essergli di disturbo.

I vapori della doccia si dissolsero completamente e finalmente Shiro riuscì a vederla con chiarezza vicina a lui, e non più distante.

Capì che con quel tuffo in mare aveva mangiato l'ultimo boccone di sale, il sale pungente di cui parlava il suo biglietto, e che la doccia, quel sale, lo aveva finalmente lavato via tutto.

Lei stava ferma sulla porta.

Allungò una mano e le accarezzò il viso.

"Vieni dentro." Le disse. "Sei tutta bagnata… "

E Sachiko entrò. Le tolse il cappotto e il cappello. Sotto, indossava un vestito morbido, di lana leggera, che le scendeva delicatamente sulle curve, una morbidezza piena di sensualità. Era stata al freddo eppure la sentiva calda.

Un desiderio prepotente lo assalì.

Lei, come se lo avesse percepito, si avvicinò. Fu un attimo e le loro labbra tornarono a cercarsi. Non era però come il bacio leggero sul molo. Le lingue scivolavano impazienti perché sapevano di essere soli.

Iniziò a spogliarla, in silenzio, mentre lei scioglieva il nodo dell'accappatoio, infilava le mani sotto la spugna e lo toccava. Shiro trasalì sotto quelle mani, calde nonostante la neve.

Non sarebbe più tornato indietro.

Le tolse tutto ciò che aveva addosso. Le sue mani le sfiorarono i seni, i fianchi, risalirono sulla schiena per stringerla forte.

Abbracciati, finirono sul letto.

Sachiko restò immobile, all’inizio troppo emozionata per reagire. Si affidò letteralmente alle sue mani e mentre iniziavano a lasciar parlare i corpi, lei comprese che tutto ciò che aveva finora conosciuto in fatto di amore e sesso era nulla in confronto a cosa le stava facendo lui su quel letto improvvisato.

La amava con impazienza, una specie di rabbia e un’infinita dolcezza allo stesso tempo. Il suo corpo era muscoloso, asciutto, forte, i suoi fianchi la schiacciavano, eppure le mani che la accarezzavano erano lente e morbide.

E anche lei lo accarezzava lenta, lo stringeva.

Per un tempo infinito, difficile da misurare, si trovò a chiedere e a dare, libera e disinibita, si girò sotto di lui, sopra di lui, accanto a lui. Si perse nel suo sguardo e sulle sue labbra.

Si esplorarono a lungo finché capirono che era arrivato il momento di diventare una cosa sola: Shiro allungò un braccio verso il comodino - era pur sempre un love hotel - e si avventò verso il cassetto, con un gesto spasmodico e impaziente, ma lei gli bloccò la mano e la adagiò sul suo seno.

"Prendo la pillola…"

"Ma…"

"Io mi fido di te… tu ti fidi di me?..."

"Sì…"

"Con te… voglio farlo senza…"

A quella richiesta così diretta, Shiro non poté che acconsentire. La voleva anche lui così, senza barriere fra i loro corpi, senza ostacoli, libero di sentire finalmente tutto ciò che voleva sentire. Lo zucchero più dolce era finalmente sue labbra, aveva un nome, lo assaggiava, lo gustava.

Sachiko si lasciò andare a un gemito lungo e intenso.

E poi sentì lui che arrivava, dentro di lei.

Dopo, restarono abbracciati a lungo.

Shiro le raccontò del suo divorzio e di come la ragazzina del porto l'avesse sconvolto per via della sua fisionomia, così simile a quella di sua figlia.
Le spiegò che aveva avuto un corto circuito proprio nel momento in cui voleva essere disperatamente felice con lei. Non era colpa di Sachiko se si era allontanato con la testa.
Le disse anche che aveva chiamato sua figlia poco prima che lei rientrasse dalla lavanderia e che aveva finalmente trovato un po’ di pace sentendola felice.

Sachiko ascoltò con attenzione. Poi, iniziarono a scherzare, a parlare di cose leggere, le endorfine erano schizzate alle stelle.

Lei allora gli fece una domanda serena, spinta solo dalla curiosità:

"Come sapevi che nel cassetto c'erano dei profilattici?"

Shiro rispose altrettanto sereno.

"C'ero già stato, qui, un paio di volte.... Mi sentivo solo. Sachiko, devi sapere, che prima di stasera, l'ultima donna con cui avevo davvero fatto l'amore nella mia vita era stata mia moglie. Ciò che è venuto dopo di lei non ha avuto alcun senso. Poi sei arrivata tu. Ho rifatto l'amore per la prima volta stanotte, con te."

Restò in silenzio, poi si sollevò su un gomito per guardarla meglio.

“E tu come sapevi che io sapevo…?” Indicando il comodino.

Sachiko rise di gusto. Poi gli accarezzò il viso con un dito.

"...Anch'io credo di avere fatto veramente l'amore solo con te."

Lo rifecero ancora, nella camera di un love hotel vuoto, la mattina di Capodanno.


****

 

Il 2 gennaio, il Teatro Daito era gremito per una prima importante: La Signora delle Camelie, con Utako Himekawa.

L’idea di andarci tutti era venuta a Mitsuo, che non aveva faticato a convincerli: quella mattina stessa aveva firmato il suo primo contratto di autore con la Daito e aveva avuto dei biglietti di cortesia. Bisognava pur festeggiare!

“Sono un pezzo grosso, ora!” Aveva detto tronfio.

“Sì, ma resti sempre più basso di me!” Aveva commentato Akhira.

Nanako, Jun, Sachiko e Shiro erano partiti da Yokohama nel primo pomeriggio, con la macchina di Shiro.

Era la prima volta che uscivano tutti insieme: Jun faticava a riconoscere in Watanabe quell’uomo che sorrideva e che chiacchierava con naturalezza.
Era finalmente felice.

Seduti ai loro posti, quando mancava poco più di un quarto d'ora all'inizio della rappresentazione, l'attenzione di Akhira fu attirata da una figura maschile che camminava lentamente lungo il secondo anello della platea. Era un uomo alto, in completo chiaro, capelli biondi e una rosa appuntata sul petto. A giudicare dal suo aspetto, doveva avere più o meno la sua età.

“Fiuuuu…e quello chi è? Il Principe Della Collina?”

Mitsuo rispose con fare sicuro. “Quello è il mio capo.”

“Il tuo cosa??”

“Il mio capo, Masumi Hayami, Presidente della Daito Art Production.”

Akhira, a bocca aperta, richiamò l’attenzione delle sue amiche, che a loro volta attirarono quella dei loro compagni.

“Ora è tutto chiaro!” Dichiarò Akhira con tono melodrammatico “Mitsuo… il destino ha voluto che conoscessi te per arrivare a lui!!”

Scoppiarono tutti a ridere.

“Ehi… ma quella ragazza…?” Jun indicò con un dito una ragazza sui tredici anni, che si guardava intorno sperduta e stava per andare a sbattere proprio contro il biondo Presidente della Daito. “Nanako, la sera del 31, al Manpuku! Non era lei quella che andava e veniva per le consegne della Toshikoshi Soba? Credo ne abbia fatte più di cento!”

“È vero!” Esclamò Nanako. “Era distrutta ma non demordeva! Con quel freddo, poi…”

“Di chi parlate?” Chiese Sachiko.

“Di lei.”

Sachiko impallidì. “La ragazza del Parco Yamashita! Shiro! La ragazza che recitava per i bambini e che si è lanciata in mare…”

Shiro annuì. Non l’avrebbe mai dimenticata: con quel gesto sconsiderato era riuscita a farlo uscire dal suo limbo e gli aveva dato il coraggio di raggiungere finalmente Sachiko.

“È vero, è proprio lei… guarda, nelle mani stringe un biglietto. Scommetto che era proprio il biglietto per questo spettacolo. Si è lanciata in acqua per recuperarlo, sfidando il freddo e la neve…” Shiro parlava quasi tra sé. Una ragazza speciale, dalla volontà di ferro. Doveva amare davvero molto il teatro.

“Ehi, gli è appena finita addosso!” esclamò Mitsuo.

“Non gli arriva neanche a metà torace.” Ridacchiò Akhira.

“Eppure… che espressione dolce ha lui mentre la guarda, deve fargli davvero tenerezza…”

“Shhh… abbassano le luci… inizia lo spettacolo…!”


****

 

Qualche anno dopo, lungo una strada molto trafficata di Tokyo, Jun e Nanako, in macchina, erano diretti a casa di Mitsuo e Akhira.
I loro amici li avevano invitati per il fine settimana.

Nevicava.

Nanako canticchiava una canzone a bassa voce, con Jun che guidava carezzandole ogni tanto il ginocchio.

Ad un tratto, lei esclamò

"Ma quello… è il mio ombrello!”

“Quale?” Chiese lui.

“Quello che ho perso!”

“Quale… fra i tanti? Nanako, tu perdi continuamente i tuoi ombrelli, forse ti supera solo Akhira con gli accendini!”

“Eccolo, il solito studioso di statistica…Quello con le fragole… il tuo preferito!”

“Mmm … quello dei miei sogni erotici con te nuda, sotto? Lo hai perso ormai anni fa… e a Yokohama…”

“Ti dico che è quello! Senti, accostati più avanti, prima di quel semaforo. Scommettiamo? Non ha più il pomello a forma di fragola, mi si era rotto…”

Jun rallentò.

“Cosa scommettiamo?” Chiese lui divertito.

“Se vinco io… andiamo al karaoke e mi canti un paio di canzoni con la tua voce calda e sensuale.”

“Ok. Se invece vinco io, canterai tu per me… ma non al karaoke…” rispose lui con un sorriso allusivo.

“Andata!...”

Jun parcheggiò e restarono in silenzio.

Sulla strada, dallo specchietto laterale, Jun vedeva avanzare la macchia rosa acceso. In effetti aveva qualcosa di familiare…

Sotto l’ombrello, lentamente, si materializzarono due figure: una maschile, alta e slanciata, l’altra minuta, quella di una giovane donna. L’uomo reggeva l’ombrello, con estrema disinvoltura.

Quando furono a pochi metri dalla macchina, Nanako realizzò che l’uomo aveva una fisionomia conosciuta.

“Jun, ma quello non somiglia al capo di Mitsuo?…”

“Intendi Masumi Hayami?.. sotto un ombrello con le fragole? … il manager di ferro, drogato di lavoro, freddo e altero…”

“Sì, proprio lui, il Principe della Collina. E mi sembra anche se la stia ridendo di gusto!”

“In effetti… ma lei chi è?… Anche lei ha un’aria familiare… aspetta!! È lei! La ragazza del ristorante, quella che era al teatro Daito e gli era finita addosso. Osservala bene…”

“Sì. È lei… allora avrò lasciato l’ombrello al Manpuku! Adesso torna tutto.“ convenne Nanako “Che strana espressione che ha, sembra a disagio eppure…”

“Eppure gli sta vicina, come se si sentisse più protetta…”

“Lui avrebbe un passo lungo almeno il doppio, ma si tiene a quello di lei…”

“Che strana coppia!…”

“Non credo che lo siano…” disse Nanako. “Guarda: quei due li stanno importunando e lei è imbarazzatissima. Ehi, ma dove scappa!”

Jun, istintivamente si protese verso il parabrezza. “Il semaforo è rosso!”

Quello che accadde dopo li lasciò entrambi senza parole. Hayami le corse dietro e con uno slancio la riagguantò prima che lei potesse finire sulla strada. Con una mano teneva l’ombrello, con l’altra stringeva lei.

La stringeva come si stringe qualcosa di prezioso, di desiderato. Il suo sguardo era perso nel vuoto e le sue labbra mormoravano qualcosa vicino all’ orecchio di lei, che era rimasta immobile.

“Caspita… lei ora è più alta. Non è più una ragazzina e credo che se ne stiano rendendo conto entrambi… E se lui fosse innamorato??” Chiese Nanako battendo le mani.

“Beh, credo che fra di loro ci sia almeno una decina di anni di differenza …”

“Pensa a Sachiko e Shiro…”

“La loro era una situazione particolare: lui solitario, in un momento di passaggio e con una voglia disperata di tornare a vivere, lei dolce e sensibile… è la sua anima gemella..” rispose Jun. “Chissà, forse anche loro, se è destino, capiranno di essere fatti l’uno per l’altra… un po’ come noi due…!” Esclamò poi baciandola.

“Guarda! Lei scappa via…! Si vede che quell’abbraccio l’ha proprio sconvolta…! E lui è rimasto con il mio ombrello in mano.”

“Hai ragione, Nanako. È proprio il tuo ombrello.”

Nanako ci pensò su e poi rispose

“Sono certa che porterà loro fortuna! Ed ora… pensiamo alla scommessa che hai perso… niente karaoke, facciamo che canti in privato solo per me… ok?”

“Tutte le canzoni che vuoi…!.”


Fine

 

Ritorna all'indice


Questa storia è archiviata su: EFP

/viewstory.php?sid=4080724