Noi due felici, dentro una cornice

di Milly_Sunshine
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** [Chris] ***
Capitolo 2: *** [Alex] ***



Capitolo 1
*** [Chris] ***


[Chris]

Il telefono si ammutolì. Era stata una seccatura, e peraltro a un'ora in cui mi aspettavo di non avere a che fare con questo tipo di seccature. Avrei voluto lamentarmi che il mondo andava allo sfascio, ma un tempo ridevo quando sentivo i vecchi fare affermazioni di quel tipo. La verità era che avevo superato da poco i trent'anni e non mi sembrava ancora il momento di fare quel grande passo; inoltre, più il tempo trascorreva e più mi rendevo conto che la gente di una certa età non era meno degna di rispetto dei miei coetanei.
Misi giù la cornetta, guardando fuori dalla finestra attraverso il cancelletto. Le luci dei lampioni svettavano in quella serata buia d'autunno. Forse avrei dovuto chiudere le tende, ma del resto abitavo in una casa indipendente e non c'era nessuno che sbirciasse dentro dalle finestre del pianoterra, a meno che qualche intruso non si fosse addentrato nel giardino.
Tornai a puntare gli occhi sul telefono, soffermandomi a fissare la rotella, ripensando a quelle serate di tanto tempo prima, a quando avrei potuto comporre il numero di Alex e parlare di quanto sarebbe stato bello rivederci, di quanto ambedue speravamo potesse accadere presto.
Abbassai lo sguardo sulla foto di noi due, felici, che sorridevamo dentro una cornice. Avevo l'aria davvero allegra, sembravo sprizzare vita dai miei occhi, che in quello scatto apparivano straordinariamente azzurri. Anche gli occhi di Alex, di un castano ben più banale del colore dei miei, svettavano come brillanti, e così com'erano, anziché rossi. Avevo scelto quello scatto, da incorniciare, proprio perché né il mio sguardo né il suo erano stati intaccati dal flash.
Ci stringevamo in un abbraccio e una ciocca di capelli dorati era sfuggita alla mia chioma altrimenti impeccabile. Alex aveva commentato tante volte quella fotografia, suggerendomi di non fermare sul nascere i tentativi di ribellione delle ciocche disordinate che tentavo di addomesticare con la lacca.
Mi parve di sentire la sua voce: «Sei uno schianto, così. Non hai idea di quanta gente sbavi, nel vederti.»
Sorrisi, anche se poi provai una tristezza infinita. Alex non c'era; non c'era ormai da tanto tempo e non vi era nulla che potessi fare per tornare indietro a quei tempi, a quando eravamo felici.
Mi voltai lentamente, nella luce fioca del soggiorno. Avrei dovuto mettere una lampadina più potente, me lo ripetevo spesso, ma non lo facevo mai, tanto prima o poi quella si sarebbe bruciata, quindi potevo aspettare.
Stavo pensando alla luce elettrica quando vidi una figura che conoscevo bene. Alex era di fronte a me, nel mio soggiorno, con gli occhi castani che svettavano come diamanti, con i capelli scuri un po' scombinati... Alex era ancora Alex, a distanza di anni, a distanza di una vita.
«Chris» mormorò.
Era da tanto che non udivo la sua voce pronunciare il mio nome. L'ultima volta in cui avevamo parlato, molto tempo prima, aveva evitato accuratamente di farlo e, anzi, aveva usato termini irripetibili per definirmi e chissà, forse non aveva tutti i torti. Avevo la ferrea convinzione che avesse travisato molto le mie intenzioni, ma non mi era stato permesso esporre un simile concetto. Tutto ciò che avevo sentito, come conclusione, era stato: "Mi auguro che tu possa morire presto".
Non era andata così, a distanza di anni respiravo e andavo avanti, anche se non sapevo fino a che punto ciò potesse definirsi vivere. Non aveva comunque molto senso chiederselo, o perdersi in altri pensieri senza né capo né coda alla presenza di Alex.
«Da quanto tempo sei qui?» chiesi.
«Da sempre.»
«Non dire assurdità. È da qualche istante che...»
Non mi permise di finire la frase, replicando: «Non importa da quanto tempo sono qui, quello che conta è che ci sono, non credi?»
Annuii.
«Sì. È un piacere rivederti.»
Alex rise, sprezzante.
«Vorrei potere dire la stessa cosa.»
Quelle parole mi ferivano ancora, dopo anni e anni.
Azzardai: «Un tempo ci volevamo bene, ricordi?»
Alex rispose: «Eccome se me lo ricordo. Però c'era gente che ci odiava, che voleva farci del male. E tu, per pararti il culo, li hai sguinzagliati contro di me.»
Abbassai gli occhi.
«Non volevo finisse così.»
«Guardami, Chris» mi ordinò Alex.
Ignorai quella richiesta. Rimasi in silenzio, sapendo di non avere niente da dire. Se anche ci avessi provato, Alex non mi avrebbe voluto ascoltare, e non avrebbe avuto tutti i torti.
«Guardami.»
Scandì ancora quella parola con una convinzione tale da farmi raggelare. Solo allora rialzai gli occhi.
«Non volevo» ribadii. «Se solo avessi saputo quali erano le loro intenzioni...»
«Me li ritrovai sotto casa» puntualizzò Alex. «Mi ritrovai con un coltello alla gola e uno di loro mi disse, chiaramente: "è stato Chris a dirci che potevamo trovarti qui". Non mi fecero quasi niente, ma mi spaventai a morte, sapendo che non avrei avuto sempre la stessa fortuna.»
«Non sapevo che quella gente fosse così pericolosa» puntualizzai. «Non pensavo fossero così assetati di sangue, né che sarebbero tornati.»
«Né che io li prendessi sul serio» aggiunse Alex, «Che capissi che era vero, che proprio tu li avevi messi sulle mie tracce. Del resto, perché avrei dovuto credere loro e non a un'anima candida come te? Tu, in fondo, eri una persona splendida, che avevo sempre avuto accanto, fin dal primo giorno in cui avevo avuto la sventura di incontrarti. Ti avevo seguito in tutte le tue pazzie, compresa quella di immischiarci in fatti che non ci riguardavano, scoperchiando vasi di Pandora che, per il nostro bene, avrebbero dovuto restare chiusi.»
Precisai: «Abbiamo sempre agito a fine di bene.»
Alex annuì.
«Io di sicuro. Mi dispiace solo non potere dire la stessa cosa di te.»
Sbuffai.
«Non farmi incazzare, Alex. Sai benissimo che quello che dici non è vero.»
«Sono io che non devo fare incazzare te, certo» sbottò Alex. «Le senti le cazzate che dici? Non provi nemmeno un po' di imbarazzo? È stato un errore venire qui.»
Mi voltò le spalle. Presto avrebbe raggiunto la porta e le nostre strade si sarebbero divise ancora.
«No, Alex, non andare via.» Il mio tono si fece ben più supplichevole di quanto volessi. «Credimi, non avrei mai voluto che ti facessero del male. Devi credermi.»
Alex tornò a girarsi.
«Sono tutte stronzate, Chris!»
La sua voce era tagliente come una lama, anche se non era una bella metafora, dato che proprio una lama aveva messo fine alla sua esistenza terrena anni prima.
«Pensi davvero che desiderassi che ti uccidessero?» Ero ormai fuori di me, non riuscivo a pensare che Alex potesse arrivare a concepire una simile teoria. «Mi dispiace per tutti i casini che ho fatto, non c'è stato un solo giorno in cui non abbia sentito la tua mancanza.» Indicai il portaritratti. «Guarda, siamo io e te. Credi che mi terrei una nostra foto sotto gli occhi ogni giorno, se non ci avessi mai tenuto a te?»
Vidi Alex avvicinarsi. Mi oltrepassò, prese in mano la cornice. La fissò a lungo, poi spostò lo sguardo su di me.
«I tuoi sensi di colpa non cambiano quello che successe allora.» Scagliò la fotografia a terra, il vetro si spezzò. «Avresti dovuto morire tu, al posto mio, Chris. Avresti dovuto sparire dalla mia vita, lasciarmi in pace, invece di tormentarmi per tutta l'eternità. Ci ho provato, ad andarmene, ma qualcosa mi trattiene qui.»
«Qualcosa...»
«Tu.»
Quel monosillabo fu un'altra coltellata, ma anche un colpo di scena inatteso. Alex pensava ancora a me, c'era ancora un filo sottile che ci univa, ma mentre i suoi occhi si specchiavano nei miei iniziai a perdere la mia sicurezza.
Indietreggiai.
«Hai paura di me, Chris?» domandò Alex.
Non risposi.
«Fai bene» sentenziò, «Perché sono qui per distruggerti.»

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Capitolo 2
*** [Alex] ***


[Alex]

Non riuscivo a credere di avere pronunciato davvero quelle parole. Non ero così brutale, di solito, neanche quando si trattava di Chris. Quello che era successo tra di noi, o tra noi e chi ci stava intorno, apparteneva ormai a un passato che non aveva senso rivangare. Eppure, eccomi lì a gettare a terra fotografie e a minacciare Chris di essere la sua fine, allo stesso modo in cui Chris aveva determinato la mia.
Era stato un accumularsi di cause, non potevo dare tutte le colpe a chi avevo davanti. Eppure chi avevo davanti indietreggiava, come se si sentisse davvero colpevole. Che fosse questa la ragione della mia reazione? Che fosse Chris a tenere in mano i fili, mentre io ero soltanto una marionetta? Non ero lì per essere un burattino, eppure non sentivo di avere un vero e proprio controllo.
Gli occhi azzurri di Chris, che mi fissavano quasi stravolti, erano un’arma letale, alla quale potevo o soccombere o ribellarmi. Era sempre stato così, anche quando la vita mi scorreva ancora dentro, quando io e Chris facevamo parte dello stesso mondo e non dovevo intrufolarmi in casa sua di notte, nella speranza che mi stesse a sentire.
«Distruggermi?» mormorò. «Non c’è più niente che tu possa fare.»
Se avessi ancora avuto la capacità di distinguere il caldo dal freddo, quelle parole mi avrebbero provocato un brivido gelido. Non provavo più sensazioni umane, ma le ricordavo ancora.
«Posso tutto» sibilai.
«Oh, no» rispose Chris. «Devi essere solo un sogno. Non puoi essere reale.»
Risi, sprezzante.
«Certo che sono reale. Sono accanto a te da anni, che aspetto che giunga il momento.» Indicai la cornice a terra. «L’ho buttata io. Significa che sono reale, non credi?»
Chris si chinò. Raccolse quello che restava.
Mi avvicinai. Vidi come il vetro rotto avesse lasciato un graffio, proprio sulla parte dello scatto che ritraeva Chris.
Teneva il portaritratti in mano, fissando con aria persa noi due, quando glielo strappai di mano e osservai: «Presto sarà finita, per te, Chris.»
La sua reazione fu immediata: «Che cazzo dici, Alexis?»
Alexis, il mio nome completo, era una bella sensazione sentirlo pronunciare da Chris; aumentava le distanze, quelle distanze che sentivo di dovere mantenere.
«Dico che per te è finita» replicai. «Sei solo l’ombra di chi eri un tempo. Non c’è più niente di te che si possa salvare.»
«Sei solo un sogno, una proiezione della mia mente» replicò. «Non ho paura di te. Non puoi farmi nulla.»
Forse aveva ragione. Non mi restava che provarci, quindi scagliai di nuovo la cornice a terra e mi avventai su Chris.
Non aveva ragione, doveva ammetterlo. Bastò una spinta per scagliare a terra la mia nemesi, che dal pavimento mi fissava senza capire. Si rialzò a fatica e scattò verso di me. Mi abbassai, riafferrai la cornice e gliela lanciai addosso, con tutte le mie forze. Chris cercò di schivarla, ma non ci fu niente da fare.
Il bordo del portaritratti gli sfiorò la guancia destra, lasciandogli un lungo graffio sanguinante. La cornice andò poi a schiantarsi sul pavimento. Crepò, mentre la nostra fotografia, all’interno, forse mi supplicava di smetterla.
Chris si portò una mano sulla ferita, poi si fissò il palmo imbrattato di sangue.
«Sono reale, mi credi?»
Abbassò lo sguardo. Forse non era ancora giunto il momento di convincersene.
«Sono reale» ribadii. «Mi hai evocato e adesso sono da te.»
Alzò gli occhi di colpo. Le sue iridi azzurre mi colpirono, come facevano ogni volta.
«Sei qui per uccidermi?»
Risi.
«Mi credi davvero capace di questo?»
«Mi ritieni responsabile della tua morte» replicò Chris. «Adesso sei qui per vendicarti?»
«Sono qui perché ho sentito che mi chiamavi» puntualizzai. «Lo fai da anni, da quando non ci sono più. Lo fai perché sei tu a sentirti colpevole di quello che è successo. Sei tu che mi hai messo al corrente di certi segreti scomodi, sei tu che hai pensato di nasconderti dietro di me quando hai capito che rischiavamo la vita. Tu mi evochi, io rispondo, è così che funziona.»
«Hai fatto irruzione in casa mia, hai distrutto il portaritratti e poi me l’hai lanciato in faccia» mi ricordò Chris. «Stai dicendo che l’hai fatto perché ero io a volerlo?»
«Ero qui per dirti che anche le persone squallide e infami come te possono essere amate» borbottai, «Ma evidentemente non era questo che volevi sentirti dire.»
«Essere amate?»
«Ti volevo bene, Chris. Te ne ho sempre voluto, anche se tante volte avrei semplicemente voluto mandarti a fanculo. E sai qual è la verità? Che ti voglio ancora bene. Meriteresti di passare il resto della tua vita a struggerti per quello che è successo, a sentirti colpevole per quello che mi hai fatto. Eppure non me la sento di condannarti a questo. Quindi, quando riaprirai gli occhi, spero che tu possa ricordarti di queste parole.»
Chris scosse la testa.
«Non capisco. Mi dispiace, ma non riesco a capirti.»
«Perché, pensi che io sia capace di capire te?» obiettai. «In tal caso dispiace anche a me, ma ti assicuro che non mi è possibile, per quanto mi possa sforzare.»
«Su questo, almeno, la pensiamo allo stesso modo.»
Sorrisi.
«Dovrebbe essere un sollievo?»
«Non lo so» ammise Chris. «Non so se sia un sollievo o una condanna.»
«L’idea di essere la tua condanna mi piace» realizzai, «Allo stesso modo in cui mi piace pensare che tu sia la mia.»
«Una prospettiva molto dolce» ribatté Chris, con una mezza risata.
«Taci, idiota, e lasciami andare.»
«Andare? Andare dove?»
«Non posso rimanere qui in eterno, dentro ai tuoi sogni» puntualizzai. «A un certo punto tutti devono cavarsela da soli e anche tu non fai eccezione. Rimarrai in completa solitudine, o più probabilmente in compagnia dei tuoi rimorsi. Io, da parte mia, ho fatto tutto quello che dovevo fare. Non ho altro da aggiungere.» Voltai le spalle a Chris, poi fermai di scatto. «No, aspetta, in realtà ho un’ultima cosa da fare.»
«Lanciarmi una maledizione?»
«Mi conosci, Chris. Ti sembro il tipo di persona che lancia maledizioni? Peraltro non penso che funzionino.»
«Allora cosa vuoi.»
«Abbracciarti. Posso?»
Non aspettai risposte. Strinsi Chris a me e sentii che ricambiava la stretta. Con una mano scompigliai quei capelli che si ostinava a tenere perfetti e immacolati, incurante di quanto fosse più attraente quando la sua banale monotonia era interrotta da ciocche in disordine.
«Svegliati, adesso» sussurrai. «Svegliati e lasciami andare via.»
Per un attimo fu tutto buio, poi mi ritrovai nella sua stanza da letto. Chris lanciò un urlo soffocato, prima di tirarsi su e accendere la luce. Aveva l’aria sconvolta e un graffio sanguinante sulla guancia destra. Fui io a indietreggiare.
«Alex?» chiamò.
Si guardò intorno, ma in apparenza non vide nulla. Non era più un sogno, non eravamo più insieme, come ai vecchi tempi. A Chris restava solo la confusione addosso, ma del resto non mi sentivo tanto diversamente. Solo, provavo una strana sensazione di stordimento, come se fosse giunto finalmente il momento di andare via.
«Addio, Chris» dissi, anche se non poteva più udirmi. «Ti voglio bene. Un giorno saremo di nuovo insieme, ma non adesso, hai ancora una vita da vivere.»
Non sapevo quanto tempo sarebbe passato prima di rivedere Chris, ma sapevo che ne avrei sentito la mancanza. Faceva parte della vita, così come della morte.
Mi girai, stavolta definitivamente. Prima di lasciare la sua casa mi recai in soggiorno. A terra c’era il portaritratti con la cornice crepata, il vetro era in frantumi e un segno rovinava l’immagine di Chris nella fotografia.
Sospirai, poi avvertii una forza che mi trascinava via. L’eternità mi aspettava e non potevo più farla attendere.

*** FINE ***



Era da un po' che avevo in mente questo racconto, ma solo in questi giorni sono riuscita a lavorarci su. In corso d'opera mi è venuta un'idea: non indicare mai quale fosse il rapporto esistente tra Chris e Alex, anche quando erano in vita, se fossero una coppia, amici o cosa. Ho scelto deliberatamente due nomi unisex e di esprimermi in modo che non si capisse se fossero un uomo e una donna, due uomini o due donne. Personalmente ho immaginato Chris uomo e Alex donna, ma sono curiosa di scoprire le vostre eventuali diverse interpretazioni.


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