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Lista capitoli: Capitolo 1: *** Miseria e Compagnia [Tsunade] *** Capitolo 2: *** La Legge della Variazione [Hyuuga Hanabi, Neji e Hinata] *** Capitolo 3: *** Crossroads Blues -It's not for nothing he has chosen to shed tears!- [Naruto] *** Capitolo 4: *** Solipsism in Winter [NaruHina] *** Capitolo 5: *** The Strong and The Ephemeral [NejiHina] *** Capitolo 6: *** Touched by a thousand invasions and still forever an island. [Karin] *** Capitolo 7: *** Oh! Oh! Malediction [SasoKure] *** Capitolo 8: *** Scenes from the Narcissist Café [ShikaIno] *** Capitolo 9: *** Darling, we'll be an army of two [PeinKonan] *** Capitolo 10: *** Let x be the value of He who lies beside me [SasuSaku] *** Capitolo 11: *** To cut a bouquet of matter and antimatter roses [ShikaIno] *** Capitolo 12: *** New Splendour to the Dead [Deidara] *** Capitolo 13: *** Within and without with White [NejiHina] *** Capitolo 14: *** Stillicidio [ShikaIno] *** Capitolo 15: *** Potentiality knocks on the door of my heart [NaruHina] *** Capitolo 16: *** Shogatsu (can't take my eyes off of you!) [KibaHanabi] *** Capitolo 17: *** Speechless with the memory of a drowned moon [Hayate/Yuugao] *** Capitolo 18: *** An ancient game of virgin sacrifice [NaruHina] *** Capitolo 19: *** Crazy Love - bitterness doesn't stand a chance with those two. [MinatoKushina] *** Capitolo 20: *** Dancing in the moonlight [MinatoKushina] *** Capitolo 21: *** Less remain in one place [Temari] ***
Disclaimer: I personaggi citati appartengono a Masashi Kishimoto; i versi sono parte dei "Sepolcri" di Ugo Foscolo, l'anima immortale che li scrisse molto tempo fa.
"E tu, onor di pianti, Ettore, avrai
ove fia santo e lagrimato il sangue
per la patria versato, e finchè il sole
risplenderà su le sciagure umane."
["Dei Sepolcri", Ugo Foscolo]
Miseria e Compagnia (...Alla fine, cos'è rimasto?)
Un nome, una lastra di calcare rossastro, di quello che si estrae dalla montagna su cui vegliano i volti degli Hokage, un bastoncino d'incenso che regala al vento il suo filo di fumo alla lavanda, una lampada sempre accesa, come i suoi ricordi.
La tomba è nella sua testa, nascosta sotto scatole di libri, bottiglie di sakè che non berrà, vestiti vecchi, fotografie impolverate, centinaia di fascicoli ammuffiti che parlano degli affarucci burocratici del villaggio.
E' lì, in un angolo di vuoto celato dalla massa polverosa di cianfrusaglie dimenticate un po' dovunque nella sua anima.
Quella tomba però non è la sua.
Tsunade corruga la fronte chiara, strizza gli occhi sulla cartella vergata fitto fitto che sta squadernata poco più in là del suo viso. La penna disegna nell'aria un arzigogolo appuntito che non diverrà mai una parola, perchè, quel giorno, i ricordi hanno deciso che è arrivata l'ora di mettere un po' d'ordine in quella stiva buia e ingombra di casse che è la sua memoria.
Proprio quel giorno. Proprio quel momento.
Forse se fosse una ragazzina come Sakura piangerebbe, ma Tsunade è una solida quercia che ha passanto i cinquant'anni e si è promessa di non piangere mai più dopo la morte di Dan -perchè sia per sempre lui l'unico custode delle mie lacrime.
Lo stesso sole dorato che brilla nel suo studio illumina anche il nome inciso sulla lapide disegnando un'ombra liquida fra le lettere, come se un bambino si fosse divertito a pasticciare con le dita su un rotolo d'inchiostro fresco.
(Chi ha detto che il tempo guarisce ogni ferita?
...Un coglione di sicuro. O un ubriaco.)
Un solo battito di ciglia e sono di nuovo lì, tutti e tre nel suo studio, uno reclinato mollemente sulla poltroncina verde, un altro semisepolto nella penombra dei manuali d'anatomia, un altro ancora in piedi, ago della bilancia fra i due allievi.
Tutti e tre lì di fronte a lei. Come nei giorni migliori.
...
Che dire?
Sono morti tutti e tre, il primo tre anni fa e l'ultimo tre giorni fa.
Il secondo era morto già da tempo.
(...Cos'è rimasto?
Alla fine, cos'è rimasto?)
Uno ucciso da un ragazzino -se con "ragazzino" si può ancora definire Uchiha Sasuke.
L'altro ucciso dall'Akatsuki.
L'ultimo ucciso dal suo allievo.
(...Cos'è rimasto di noi?)
Solo una sobria tomba, del colore della polvere rossiccia, lambita da un sole primaverile. Una tomba che presto non sarà più solo un angolo remoto nell'anima di Tsunade, ma un letto di erba e di stelle vicino alla sorgente dove l'ultimo dei tre è morto tre giorni fa.
(Soltanto io...
Sono rimasta soltanto io.)
Sì, se fosse una ragazzina piangerebbe. E soffrirebbe in santa pace, arrabbiata, furiosa, devastata e stordita da una vita che persisteva a toglierle tutto ciò che amava senza mai sfiorare lei, ma non è più una ragazzina da tanto tempo, fin troppo ormai.
"Tsunade-hime?"
Il capino bruno di Shizune si sporge appena dalla porta socchiusa, le labbra strette dall'apprensione.
"Uzumaki Naruto è arrivato."
Il Quinto Hokage di Konoha alza gli occhi dai fogli senza vederli veramente:"Fallo passare. Non sarà facile dirgli quello che devo dire."
"Lei è forte, Tsunade-hime."
Shizune sorride, l'inquietudine travestita da certezza. Scompare; una manciata di istanti e Naruto varcherà quella porta -e allora Tsunade si aggrapperà con tutta se stessa a quella ridicola certezza, "tu sei forte", e vorrà credere davvero di essere così forte da non piangere mai.
Il suo studio è sempre lo stesso: assolato, disordinato, ingombro di pratiche ancora da terminare e, eccetto per lei, vuoto.
(Di noi quattro, sono rimasta soltanto io.)
La lacrima viene assorbita dalla trama porosa del foglio di pergamena che sta fingendo di esaminare.
La maniglia d'ottone gira per quelli che alla donna paiono secoli; gli occhi di Tsunade sono diventati di vetro.
Tsunade-hime guarda i volti dei suoi compagni di squadra che porta da qualche parte dentro di sé, in mezzo al mucchio di ricordi buttati alla rinfusa dove capita, e sa che, adesso che è rimasta soltanto lei, non dovrà aspettare ancora altri cinquant'anni per rivederli.
Presto, molto presto.
Fin
Nota dell'Autrice
Ovviamente non ne sono soddisfatta. Ovviamente penso d'aver scritto una ciofeca. Ovviamente mi suona di già visto, già letto, già sentito, troppo patetico.
Comunque, m'interessava scrivere qualcosa su Tsunade-Baa-Chan, questo perchè l'adoro, la stimo e penso sia una delle donne migliori di tutta la saga. Tremendamente forte, Tsunade, fà quasi spavento.
Volevo scrivere un momento in cui appare appena visibile la stanchezza e il "cedimento" di Tsunade, che si chiede in silenzio cos'è rimasto del suo Team, cos'è rimasto di quelle persone che, credo, l'hanno resa ciò che è. Non ho scritto da nessuna parte le sue vere riflessioni sull'amarezza e sull'assurdità delle loro vite (e delle loro morti), vorrei che s'intravedessero appena sotto il velo di incrollabile volontà che la anima. Non so se ci sono riuscita, honestly^^'.
La tomba cui si accenna è quella di Jiraya (You'll be forever in our heart ç_ç), come mi sembra inutile specificare. La strofa dei "Sepolcri" di Foscolo scritta lassù è tutta per lui, dalla prima all'ultima sillaba.
Il titolo, "Miseria e Compagnia", riprende e modifica il tema originale, che era misery with tenderness: "Miseria e Compagnia" è anche un capitolo di L'Ombra del vento di Ruiz Zafòn, dunque la tentazione era troppo forte^^''.
Capitolo 2 *** La Legge della Variazione [Hyuuga Hanabi, Neji e Hinata] ***
Disclaimer: I personaggi citati appartengono a Masashi Kishimoto; l'uso che ne ho fatto, ahimè, appartiene assolutamente a me.
La Legge della Variazione
Gli occhi incollati al vetro della finestra, la bambina segue febbrilmente i movimenti delle due figure che combattono fuori, nel cortile spazzato dalla pioggia.
A volte scarta col capo, imita in perfetto silenzio le mosse rapidissime dei duellanti, le cui braccia scattano così veloci da far rimbalzare le gocce di pioggia verso le nuvole scure che hanno appena abbandonato.
Difesa.
Ecco, sì, evitala. Abbassati.
Prepara il corpo, forma i jutsu, arretra di un passo.
Para l'ultimo colpo, non è difficile.
Pronto.
E ora... (E' in trappola).
...Ora colpiscila.
Colpiscila ancora. Un'altra volta, più forte. Non se lo aspetta, adesso è lei che arretra.
Colpiscila. Non si è accorta di niente, né della trappola nè del Byakugan.
E' solo debole.
Colpiscila.
Sarebbe una Chunin, quella?
Ecco, adesso è disperata. Non ragiona più, pensa solo a colpire alla cieca. Poi è fiacca, la rabbia non impedisce certo ai suoi patetici pugni di non andare a segno nemmeno una volta.
La pioggia la schiaffeggia. Sembra cedere per questo, non per i colpi dell'avversario. Per delle stupide, incolori gocce di pioggia.
...Hakkeshō Kaiten!
Fine del combattimento.
E' una tecnica di difesa, eppure l'avversaria è a terra. Stanchezza, forse. Molto più probabilmente è troppo debole per allenarsi con Neji-niisan.
Come volevasi dimostrare.
Hyuuga Hanabi è la prima a gettarsi fuori dal portico, i sandali che risuonano sull'acciottolato bagnato e un sobrio ombrello grigio che la ripara dall'acqua.
Che poi Hyuuga Hanabi non corre, non si scapicolla nell'acquitrino del cortile, non schizza rivoli fangosi ovunque. Il suo cuore corre, lei però cammina composta, un passo dopo l'altro. Sopra la testa c'è un ombrello grigio, non un libro, ma non fa differenza per il suo portamento inappuntabile.
Hanabi incede senza essere sgraziata o goffa e tutti dimenticano che lei ha dieci anni. (...Come sempre).
"Neji-niisan, complimenti" china il capo con deferenza, la mano dritta lungo il fianco, i capelli che non sfuggono all'acconciatura. Il suo viso fiorisce nel sorriso che delizia tanto i suoi genitori, un sorriso che il Jonin di fronte a lei non guarda neppure.
"Non è niente di speciale, Hanabi-dono."
La sua voce è distante come le nuvole color carbone, ma il sorriso della bambina non smette di brillare.
"Lei è modesto" mormora piano. Perde il vezzo che avrebbe dovuto infondere alle sue parole non appena il Jonin di sedici anni le lancia un'occhiata liquida e distratta quanto la pioggia.
"Obiettivo, non modesto" replica lui.
Neji-niisan ha i capelli stillanti d'acqua appiccicati al viso, sulla sua fronte si fanno strada gocce troppo timorose per avvicinarsi ai suoi occhi -occhi troppo freddi per non spaventare.
"Hinata non ha previsto le sue mosse."
Hanabi inclina il capo, mentre il temporale si rovescia fragoroso sull'ombrello di stoffa che divide con Neji-niisan.
"Hinata sta migliorando."
Hyuuga Hanabi avverte un filo d'irritazione infantile inasprirle lo sguardo, vorrebbe potersi crogiolare nel battito impazzito del suo cuore schizzato in gola e scostare la ciocca nera che disegna un curioso ricciolo sulla tempia di suo cugino, ma sa bene di non poterlo fare. Questo perchè, ancora una volta, quegli occhi traslucidi come specchi d'acqua non l'hanno guardata neppure per un istante, fissi nel mondo dietro di lei -mondo in cui la pioggia sferza la tuta da ninja e tortura i piedi stretti nei sandali. Un mondo senza occhi così belli.
"Neji-niisan, ti ho portato gli asciugamani."
Hinata, il viso ancora sporco di fango, li ha appena raggiunti. Forza un sorriso debole quanto la luna quando scorge Hanabi, un sorriso che non muore neppure quando è evidente che sua sorella non ha intenzione di farle posto sotto l'ombrello.
E Hinata continua a sorridere nonostante le righe d'acqua così simili a lacrime sulle gote, continua a sorridere nonostante i muscoli doloranti, continua a sorridere nonostante la pioggia che le si infila nei vestiti già fradici.
Semplicemente Hinata sorride. E Hanabi non può far altro che gettarle addosso tutto il suo rancore.
Il viso di Neji-niisan si tuffa in un panno di lino -e non è stata lei a pensarci.
Qualcuno dà del tu a Neji-niisan -e non è lei.
Qualcuno si allena tutti i giorni con Neji-niisan -e non è lei.
Qualcuno è orribilmente debole -e non è lei.
"Ciao, Hanabi."
"Ciao, Hinata."
La pioggia disegna schizzi grotteschi sul volto infreddolito di sua sorella, sua sorella serena anche dopo una sconfitta, sua sorella con una pila di asciugamani caldi e il vestito imbrattato di fango, sua sorella che sorride anche se è debole. Io sono forte, io dovrei sorridere e allenarmi con Neji-niisan. Io, non lei.
"Davvero banale come hai contrattaccato a quel Byakugan."
La voce sottile di Hanabi non si sforza di suonare meno astiosa, meno dura e più infantile.
Qualcosa s'incrina nel viso di Hinata.
"Tu... tu t-trovi?"
"Sì." Non ha neppure finito di rispondere che Hanabi le getta in faccia un assenso affilato come una pietra. Dei, quanto è patetica quando balbetta! Quanto è infantile, irrisolta, tormentata, debole, lamentosa! (Tutto quello che Hanabi non è).
"Io e molti miei compagni dell'Accademia avremmo reagito diversamente, con una Rotazione Suprema e un colpo diretto al nodo principale dei canali di chakra presente nella cassa toracica" rincara la dose, il nasino appena arricciato, il tono neutro e severo della Giustizia.
Hinata stringe le labbra (lei sembra la bambina, qui), la sua fronte diventa un campo di piccole rughe mortificate, le sue dita cominciano nervosamente a torturarsi l'un l'altra.
Patetica sempre di più.
"Ammirevole, Hanabi-dono." (Non riesce a credere che lui lo abbia detto davvero...)
Il volto di Neji-niisan riemerge dall'asciugamano, che ora giace accuratamente piegato di traverso sul suo braccio. C'è ancora l'ombra della pioggia su quei lineamenti di neve, affilati come il vento (Hanabi ha sempre pensato che assomigliasse in modo incredibile al nobile e gelido Der Erlkönig delle sue fiabe, abbacinante in quell'aura indistinta che lei chiamava l'ombra d'oro).
"Ma hai dimenticato che, col Byakugan attivo, avrei individuato in un secondo il punto di dispersione del tuo chakra amplificato dalla Rotazione e, al tuo successivo movimento, la mossa sarebbe stata mia."
Hanabi rimane impassibile, piccola statua di sale. Solo, le unghie della mano sinistra affondano senza pietà nel palmo, le dita si stringono in un ridicolo pugno livido di pioggia. Ma è un riflesso condizionato, non è colpa sua.
Solo i deboli piangono. Lei è forte, più forte di sua sorella maggiore di cinque anni, più forte di ogni altro compagno d'Accademia, forte quasi come il suo Papà, dunque lei non piange.
Rimane impassibile quando Neji-niisan si allontana verso i portici sotto una coltre di spilli d'acqua che sembra non voler avere fine.
Rimane impassibile quando quell'Erlkönig forte come una lama di ghiaccio sta lasciando il cortile, inghiottito dai corridoi della villa, portandosi via la sua ombra d'oro -stupida lei, che voleva solo avvicinarsi e osservarla brillare.
I suoi passi nelle pozze d'acqua piovana suonano scroscianti, fastidiosi. C'è la sua condanna in quello sciaquio prepotente.
Rimane impassibile anche quando incrocia lo sguardo quasi doloroso negli occhi di Hinata.
Le sue guance s'infiammano e le nocche che stringono l'ombrello grigio diventano di ferro.
"Hanabi, i-io... v-vedrai che N-Neji-niisan... lui-"
Hanabi non l'ascolta. Vede solo il soffio addolorato -sinceramente addolorato, con tutta la più pura scintillante nauseante sincerità di questo mondo!- che increspa gli occhi di Hinata.
...Ti disprezzo. Ti reputo una fallita, una debole, una nullità. Ti odio come tutti gli altri. Ti detesto. Ti insulto. E tu non sei capace di dirmi neppure una parola cattiva?
Hanabi getta il suo sobrio ombrello grigio in una pozzanghera, solleva spruzzi nerastri che ricadono pesanti sui vestiti imbrattati di sua sorella -che non riesce nemmeno a dirle che lui è innamorato della sua compagna di squadra, come se lei non lo sapesse già, patetica querula sentimentale puerile buonista sorella.
Gli occhi di Hanabi feriscono, forse una lama di kunai farebbe meno male, ma a lei non interessa:"Quell'emarginato di un Uzumaki ama un'altra, non ti guarderà mai" sibila lapidaria. ...Così semplice, ferire.
Non vedi, Hinata?
Non c'è alcun bisogno di guardarsi negli occhi, entrambe sanno qual è la verità.
Allora Hanabi, un passo dopo l'altro, volta imperturbabile le spalle a sua sorella. Correre non serve, è sufficiente mettere un piede dopo l'altro e non badare alle gocce d'acqua gelida che scivolano serpeggiando lungo la spina dorsale. Hinata, per quanto le riguarda, può anche sciogliersi di lacrime sotto la pioggia. Non le interessa affatto.
La massa nero pece della casa incombe su di lei, ma Hanabi non accenna ad affrettare il passo, nonostante i capelli zuppi stiano cominciando a pesarle sulle spalle e la tuta stia diventando un'inutile zavorra bagnata. Non c'è alcun bisogno di correre.
Solo i ladri e i bambini corrono. E decisamente lei non è né l'uno nè l'altro.
Fin
Glossario Dono: signorina. Hakkeshō Kaiten: Rotazione Suprema. Der Erlkönig: Il misterioso Re degli Elfi delle fiabe nordiche, soggetto anche di un celebre poema di Goethe.
Capitolo 3 *** Crossroads Blues -It's not for nothing he has chosen to shed tears!- [Naruto] ***
E, sì, la cosa che state per leggere è un omaggio, un attestato di stima
per _ayachan_, alias Susanna (w le pagine personali di EFP
E, sì, la cosa che state per leggere è un omaggio, un attestato
di stima per _ayachan_, alias Susanna (w le pagine personali di EFP!),
dato che oggi compie vent'anni.
Ho voluto scriverti qualcosa perchè, ecco, le tue storie mi emozionano davvero,
come poche riescono a fare. Mi hanno fatto ridere, sorridere, un paio di volte
anche piangere, soprattutto divertirmi, che è quello che ogni storia che voglia
definirsi tale dovrebbe fare. Mi hanno dato qualcosa a livello di sensazioni,
emozioni e tutta quella parte suscettibile e "animale" di ogni
individuo.
Non so, sono piuttosto impacciatanello
scrivere una dedica di questo tipo, forse perchè non c'è poi più molto da dire:
spero solo di restituirti qualcosa del grande dono che, da vera scrittrice, tu
hai saputo darmi coi tuoi racconti (non le chiamo fanfictions, è una
definizione troppo riduttiva).
Grazie dell'attenzione,
Eleonora
It's
not for nothing he has chosen to shed tears!
Crossroads
Blues
Come ci si sente?
No, dimmi, come ci si sente
a essere solo
senza nessuna direzione
come un perfetto sconosciuto
come una pietra che rotola?
Stai
piangendo, ragazzino.
Ti hanno detto di non farlo, di non farlo mai se vorrai essere un ninja, eppure
questo non basta per fermarti.
Piangi nascosto dietro la porta che hai appena tempestato di pugni, cieco e
furioso, piangi nel silenzio di quella stanza che sei abituato a chiamare casa.
Pensi che nessuno possa vederti, ragazzino, pensi che a nessuno importi dei
piccoli, patetici singulti con cui tenti di liberarti del grosso boccone amaro
di rabbia che proprio non ne vuole sapere di andarsene dalla tua gola, e forse
hai ragione.
Oh, come detesti la cordata di silenzio che ti opprime, come impazzisci nel
vuoto dell'assenza, quando non c'è nessuno a distrarti da te stesso, quando
tutto, tutto quanto è una prigione e non ti offre via d'uscita e tu scuoti
scuoti scuoti le sbarre e non riesci ad uscire...
Non hai
scelto tu di vivere. Non hai scelto tu di essere odiato, preso in giro,
evitato, lasciato solo. Tu non hai fatto proprio niente, gli hai solo ricordato
che, beh, esistevi, ed era stupido fingere che non fosse così.
Gli hai ricordato che tu eri il salto che non osavano compiere, la parola di
troppo, il vestito sbagliato: tutte cose che loro non avevano avuto il coraggio
di essere, per questo avevano preso ad odiarti. Era più semplice odiare
piuttosto che tremare d'invidia, era più facile dare il buon esempio una volta
che tu personificavi quello negativo, che neanche nei sogni avrebbero osato
emulare. Si è così sedimentato in quelle teste tutte uguali, quest'odio, che si
è trasformato in niente più che una buona, sana abitudine, quasi come
alzarsi presto la mattina o correre al tramonto.
Una buona, salutare abitudine che fa sentire tutti quanti più rilassati, più
leggeri.
Tu stai
lì, ragazzino, nel centro perfetto, e osservi quell'oscurità minacciosa che ti
fronteggia pur senza volerti veramente attaccare.
Tu stai lì, forse sei incredulo, oppure infuriato, oppure triste, e sprechi le
tue grida e i tuoi singhiozzi per una sfera di buio che non ha né orecchie nè
voci, ma soltanto occhi che non ti perdono mai di vista.
Ma non demordi, non ti arrendi.
E glielo gridi ancora, a pieni polmoni, glielo sputi in faccia:"Avete
fatto tutto da soli!!!"
Hanno scelto loro di odiarti, loro di etichettarti come l'irritante scemo del
villaggio, loro di lasciarti solo. Loro e solo loro, ragazzino: non ti hanno
mai voluto concedere il dominio sulla tua vita, non ti hanno mai permesso di
diventare qualcosa di diverso da quello che avevano deciso per te.
Dunque
piangi, piangi forte in questa casa che non ti piace; chiediti se qualcuno
verrà a consolarti, anche se conosci già la risposta.
Verranno
i tuoi amici?
Sono talmente sballottati dalle loro vite da non porsi neanche il problema che
l'idiota allegrone potrebbe avere qualcosa che non va, che poi che nausea
ascoltare la sequela di singhiozzi di un ragazzino che si impappina con le parole
e non riesce a costruire una frase sensata, e poi che problemi vuoi che abbia
un tipo come lui, che è sempre entusiasta di tutto quanto, una persona come
quella non è certo fatta per l'infelicità, andiamo, di certo lui sta molto
meglio di -
Verrà il
tuo maestro?
Sì, verrà lui: ti abbraccerà, ti sorriderà, ti darà amichevoli pacche sulle
spalle, ti rassicurerà con voce flautata e poi se ne andrà contento d'aver
smaltito il suo quarto d'ora filantropico. Ti dirà che andrà tutto bene,
fossero questi i problemi della vita, vedrai che si sistema tutto per il
meglio, la tua età è così splendida da berne fino all'ultima goccia, ti dirà
che non si può essere tristi a sedici anni, si può essere solo felici, e non ci
sono motivi per -
Verranno
i tuoi genitori?
Non sono venuti neppure quando dovevano, quando tu li aspettavi sveglio per
notti intere davanti alla porta, cascando dal sonno e tremando di freddo in una
vecchia coperta di lana. Non sono mai arrivati, nessuno ti ha mai svegliato con
un bacio e tanti abbracci dopo un incubo, così hai smesso a poco a poco di
stare sveglio ad aspettarli, accoccolato come un cane fedele davanti alla porta
di casa. Piano piano ci hai creduto sempre meno, sempre meno, ma sai che la
speranza morirà solo quando anche tu morirai, perchè sei un ragazzino e
vorresti, oh come vorresti che si affacciassero alla porta sorridendo, anche se
fossero estranei, anche con un ritardo incalcolabile di anni, tu -
Verrà
l'Hokage allora?
L'Hokage che ti tollera appena perchè le ricordi qualcun'altro, le ricordi
tutti i suoi morti, tutti i suoi errori e le occasioni sprecate, l'Hokage che
ti urlerebbe di reagire, ti darebbe del vigliacco e del bamboccio, ti
sbraiterebbe contro come si urla a un mulo testardo, convinta che smuovere te
avrebbe significato smuovere se stessa, scambiandoti per la causa persa che ha
seppellito anni fa.
Eppure ti basterebbero i rimproveri, le parole aspre, i denti stretti, a patto
che qualcuno, non chiedevi tanto, solo che qualcuno, una persona qualsiasi,
anche un estraneo, si rendesse conto dannazione che c'era qualcosa che non
andava, non andava in lui e aveva bisogno di dirlo, di gridarlo con
quanto fiato aveva in corpo e di sentirsi compreso da un viso capace di
esprimere compassione, capace di aiutarlo a sostenere un peso come quello.
Voleva solo qualcuno, diavolo, qualcuno, per non stare solo, per poter giocare
di nuovo al ragazzo allegro e spensierato, per convincersi che tutto stava
andando benone, come no, davvero a meraviglia, benissimo, mai stato meglio
nella mia vita.
Ma non c'è nessuno, Naruto.
Sei proprio solo.
Ci sei soltanto tu, i tuoi demoni, i tuoi incubi, la tua cocciutaggine e la tua
solitudine.
Ti pesa, non è vero?
Non lo
senti il grido del vento? Non lo senti il cuore che ti balza dal petto e vorrebbe
correre via? Non senti la voglia dei muscoli di tendersi in distanze infinite
ed eterne?
Non senti che la tua natura non è qui, ragazzino, non appartiene a qui,
non senti che tu sei fatto della stessa sostanza indomabile e feroce del Vento
e ogni cosa per te è una prigione da cui non potrai mai, mai uscire? Loro lo
sanno, lo sentono: ti temono come temono ogni forza primitiva e distruttiva,
come temono gli incendi, i maremoti, i tornado, le valanghe, come temono ciò
che li sovrasta e che non possono sovrastare.
Loro fiutano l'eternità in te, ragazzino, e tremano di paura perchè, per quanto
il tuo corpo possa deteriorarsi e tornare cenere, sanno che tu continuerai a
correre col vento e trascinerai le loro anime inutili in una risata senza fine.
Lo hanno scelto loro, capisci? Loro hanno scelto di renderti il loro incubo
peggiore, ragazzino, e così ti hanno condannato.
Oh, sì,
l'hanno fatto, e senza rimorsi: hanno scelto la loro vita al posto della tua,
non si sono voltati indietro, non hanno pensato a te, no, neanche per un
istante.
Dunque
piangi, ragazzino, perchè sai di essere solo un cumulo di contraddizioni da cui
non ti potrai mai liberare, amenochè...
Eh, cosa
dici?
Hai
deciso di scegliere?
E per quale motivo dovresti farlo adesso?
E poi, che
cosa vuoi scegliere, ragazzino, che cosa?
Vuoi scegliere tra il Vento e il Fuoco?
Avanti allora, scegli. E' solo l'ennesimo errore, tu sai che né il Fuoco nè il
Vento possono esistere senza l'altro, oppure vuoi farmi credere che riprenderai
davvero possesso della tua vita?
Oh... E non hai paura?
Non pensi a tutte le conseguenze del tuo gesto?
No, per te non hanno importanza.
Dici di essere sicuro. Devo crederti?
Sì, tu dici che devo crederti.
Ah no, non prendertela, ragazzino, non rido di te, rido per l'assurdità delle
nostre vite.
Rido per abitudine, già, per abitudine.
Sono
sempre stata allegra, non trovi?
Ma sì, ma sì, non tergiversiamo: dunque sei pronto, hai finalmente deciso. Sai
bene cosa ti aspetta.
Non ti volterai indietro, ragazzino? Non avrai rimpianti o rimorsi? Non
penserai di voler tornare indietro? Non cambierai idea quando sarà troppo
tardi?
No, non lo farai: loro non l'hanno fatto quando hanno scelto, non si sono mai
voltati indietro, non hanno avuto scrupoli né odiosi rigurgiti di coscienza. E
tu vuoi essere come loro, non è vero? Vuoi essere come loro, almeno in questo
caso, vuoi che loro conoscano cosa significa vivere così. Vuoi avere lo stesso
brutale cinismo che in molti, moltissimi modi ti hanno dimostrato.
Ci riuscirai, certo che ci riuscirai. Se adesso farai la scelta migliore, tu ci
riuscirai.
Loro ti ameranno. Sarai Fuoco e loro non potranno vivere senza di te.
E tutto questo, tutto questo svanirà e tu...
...Tu potrai sorridere davvero, non con quella vaga imitazione che sovente ti
incolli sul viso.
Non sei felice al pensiero? Non sorridi già?
Ma sì, sì. Sorridi, io lo vedo.
D'accordo, d'accordo, ci stavo arrivando, ho solo divagato un po'. Non sai che
è l'attesa, l'attimo in cui pregusti la gloria del trionfo, il momento migliore
della vita?
No, ovviamente ancora non puoi saperlo, ci vorrà del tempo anche per questo.
E quindi cosa scegli, ragazzino?
Il Vento
oilFuoco?
«...Ti sembra facile?
No, dico, ti sembra facile? Credi che sia semplice vivere come me? Credi che
sia semplice essere me?»
Fin
Disclaimer: I personaggi citati appartengono a
Masashi Kishimoto, che ovviamente si prende tutti i diritti del loro uso. Sotto
il titolo, la strofa citata è la mia traduzione di Like a Rolling Stone,
la più bella canzone rock di tutti i tempi, che ovviamente appartiene al sommo
Bob Dylan <3.
Nota
finale -poi giuro che non scasso più-: Il titolo
orrendo, Crossroads Blues, vuol dire Il blues del crocicchio, questo
perchè il nostro protagonista sceglie una strada anzichè un'altra.
Per chi non l'avesse capito, stiamo parlando di Naruto e Kyuubi-chan. Naruto è
il Vento, e Kyuubi è logicamente il Fuoco.
Io so cos'ha scelto Naruto tra le due cose. Secondo voi ;)?
Disclaimer: I personaggi citati appartengono a Masashi Kishimoto, che
ovviamente si prende tutti i diritti del loro uso
Disclaimer:
I personaggi citati appartengono a MasashiKishimoto, che ovviamente si prende tutti i diritti del
loro uso.
Solipsism in Winter
Mentre riprendeva fiato, si lasciò cadere piano sul prato umido
di pioggia. Dio, se aveva faticato.
Gli occhi le bruciavano, si sentiva le ossa rotte e la testa le scoppiava dal
dolore, per giunta l'affanno le rompeva di continuo il respiro come chi è
rimasto troppo a lungo sott'acqua.
C'era d'aspettarselo.
Del resto si era dedicata con meticolosa pazienza a distruggersi il corpo.
Gli allenamenti massacranti con Neji-niisan servivano
a questo, fondamentalmente. E per fortuna non aveva
iniziato a piovere.
Non che lei odiasse poi così tanto la pioggia, ecco.
Preferiva senz'altro vederla cadere oltre il vetro, seduta con Hanabi davanti al caminetto nel profumo di una tazza di
cioccolata bollente. Ma stava mentendo.
A casa loro non c'era nessun caminetto, Hanabi era
allergica al cioccolato ed erano settimane che non parlava davvero con sua
sorella.
E poi, a essere sinceri, quando mai aveva parlato con Hanabi -senza l'astio, le frecciatine
velenose, il sarcasmo e il disprezzo? Mai.
A fatica si rimise in piedi, scrollò via le goccioline
di cristallo impigliate nei capelli e nei vestiti in un vago tentativo di
rassettarsi, poi i suoi occhi gelidi incontrarono un cortile deserto e un cielo
grigio altrettanto gelidi. Neji-niisan se n'era andato via già da una buona mezz'ora. A parte
distruggerla, lui non faceva altro.
E comunque andava bene così. Tutto normale.
S'incamminò esitante verso l'imponente villa che costituiva il cuore dei
Quartieri Hyuuga, una villa maestosa, imperiale e
anche un po' patetica -ma come tutti loro, del resto.
Gettò uno sguardo incolore alle finestre dei piani più alti. Una candela brillò
spavalda oltre il velo di un futon in carta di riso. Hanabi, pensò.
Quella
sera a cena ci sarebbe stato meno silenzio. Hinatacomunque non parlava
mai durante i pasti con la sua famiglia, proprio mai.
Nessuno sembrava curarsene.
Lo trovavano normale.
"Parte prima di pranzo, tra un paio d'ore." HyuugaHanabi svuotò lo
zaino da ninja con un gesto secco e sicuro. Vestiti,
guanti, il coprifronte, svariati kunai
orlati di macchie rugginose e una bottiglia d'acqua si sparpagliarono con
ordine sul suo letto.
Come una cascata di oggetti che cadevano dall'alto
potesse tecnicamente disporsi in modo ordinato,Hinata proprio non lo sapeva. Non l'aveva mai capito. Però
era sicura che, se lei ci avesse provato, metà delle sue cose sarebbero finite sul pavimento, rotte o rovinate.
Se c'era dell'ironia in tutto questo, Hinata non avrebbe saputo dirlo. Nè
le importava davvero, in fondo.
"Sarà la duecentesima missione di recupero, o comunque
un numero molto vicino a quello."
I vestiti scivolavano veloci in quelle sue piccole mani da pianista per poi
finire impilati nell'armadio o nel cesto dei panni da lavare (panni sporchi,
panni sporchi, panni sporchi che si lavano in famiglia...) Hinata invidiava sua sorella per quella sbalorditiva
agilità nell'utilizzo degli arti superiori, capacità che, unita a un talento
innato nell'uso del Byakugan e a una mente analitica,
ne avevano fatto la più giovane e brillante Chunin
dell'Accademia, ormai quasi Jonin, nonchè costante termine di paragone con la sorella maggiore
-Hinata, appunto. Che in quello sfolgorio di ambizione restava sempre, cronicamente tagliata fuori. Nonostante gli anni, nonostante il tempo.
"E' un inguaribile ottimista. O un colossale idiota, a
seconda dei punti di vista." Hanabi non le concedeva neppure il lusso di un
sorrisino malevolo. Parlava perfettamente atona, non una ruga d'espressione sul
piccolo viso a punta, non un luccichio nello sguardo. Niente. Hinata non le rispose neppure.
Avrebbe dovuto importarle di rispondere, avrebbe dovuto
scattare punta sul vivo, ma in quel momento sentiva solo il vuoto. Un vuoto
così grande che nessuna parola, per quanto melodiosa, per quanto roboante, per quanto scelta con cura, avrebbe potuto
colmarlo.
"Non torneranno. No, non tornerà questa volta.
Nell'aria c'è proprio questo."
"Invece tornerà" Hinatastrinse
i pugni in un riflesso involontario. L'ha sempre fatto, c'è sempre stato tempo, perchè questa volta non...
"Beh, suppongo che tu sia inguaribilmente ottimista -o colossale idiota-
esattamente come lui, forse è per questo che ti piace tanto." Perchè inseguite entrambi qualcosa che non c'è, si tenne per sé Hanabi, le dita che sfioravano il coprifronte
della Foglia in una carezza disinteressata. Hinata ancora una volta non rispose. Guardò
distrattamente il quadro di fiori essiccati che aveva
appeso tempo prima accanto alla finestra, per coprire quella macchia di umido
che nessuno aveva mai provato a mandar via, quasi non fosse importante. E non lo era, davvero. Hanabi non le badava neanche più, presa com'era a
riordinare il suo equipaggiamento da ninja. I suoi
occhi, una lastra di ghiaccio compatto, sembravano fasciare le else dei kunai e degli shuriken come la
stessa mano salda che l'impugnava in battaglia.
Occhi senza luce, realizzò Hinata. Anche lei non faceva altro che distruggerla, come Neji-niisan. Ma un po' come tutto.
Il silenzio le fece terra bruciata intorno: Hinata lo
sentì gorgogliare fin nel profondo delle vene.
Due ore.
Le venne voglia di vomitare.
Lasciò la stanza senza dire una sola parola.
Ichiraku era chiuso. Ferie invernali, tra l'altro
meritate.
Ogni negozietto di Konoha, di solito così festoso e
rutilante di voci, era stretto nel silenzio di una serranda abbassata, come se
l'inverno avesse colto tutti quanti impreparati.
Quasi fosse arrivato all'improvviso, assediando ogni cosa coi
suoi strali di gelo, come un nemico inaspettato contro cui Hinata
non aveva difese.
La piazzetta principale del villaggio era vuota e gelida, un po' come lei. Hinata gettò le gambe oltre la panchina, si appoggiò
contro la superficie fredda dello schienale di pietra e lanciò un lungo sguardo
allo spicchio di cielo color luna che si allungava fino all'orizzonte.
I raggi di sole, deboli e pallidi, l'attraversavano, ma non facevano male.
Dopotutto era questo che significava il suo nome: Hinata,
attraverso il sole. Così come il sole, sbadatamente, la trapassava senza
neppure vederla.
Ancora un'ora e mezza.
C'era sempre tempo.
Hinata inspirò ed espirò, un gesto così normale e meccanico che
sul momento le risultò solo la fotocopia di mille
altri respiri già dissoltisi nell'aria fredda.
Niente di nuovo, respirare era normale.
Non classificò subito l'odore che violento come un pugno le colpì le narici.
Poi in lei si fece strada subdola, determinata e inequivocabile
la consapevolezza.
Quello era l'odore della sconfitta.
Mancava un'ora.
C'era ancora tempo.
Ma lei voleva che ce ne fosse?
"A-avevidetto che
la prossima volta saresti stata più forte."
"C'è ancora tempo."
"Ma lo avevi d-detto!"
"Lo ricordo."
"L'avevi promesso!"
"Lo ricordo."
"E allora p-perchè n-non arriva mai l-la
prossima volta?!"
...Perchè sì?
"Hinata."
Mancava mezz'ora, e gli occhi gelidi si erano persi in un
altro cielo, questa volta azzurro.
Aveva sorriso debolmente.
"Naruto-kun."
Il Chuunin aveva ricambiato il sorriso, una sciabola
di luce che aveva attraversato Hinata come uno
specchio.
Poi si era avvicinato e si era seduto al capo opposto della panchina.
In un silenzio un po' pensoso un po' corrucciato, Naruto
andava ricontrollando con zelo lo zaino e il tascapane dove per un istante luccicarono sinistre le punte dei kunai.
Un'espressione terribilmente seria gli dominava il viso, di solito fin troppo
allegro e spensierato, viso di ragazzino impudente che rifiutava di crescere (fin quando, alla fine, la vita l'aveva fatto
crescere per forza).
Un'altra Hinata sarebbe arrossita fino alla radice
dei capelli, avrebbe avuto difficoltà a respirare e per concludere
sarebbe caduta preda dell'ennesimo umiliante svenimento.
L'Hinata del presente si trovò a disagio, rughe
candide le solcarono la fronte e le labbra si strinsero all'ingiù in una posa
che si sarebbe potuta definire o stizzita o dolente. Seguì il contorno statico
degli edifici del villaggio, guardò il brullo paesaggio invernale splenderle
accanto nel suo gelido bagliore e poi, quando non seppe proprio più dove posare
gli occhi, li fissò sulla stradicciola di terra
battuta. Le era sfuggito l'inaspettato silenzio di Naruto, solitamente così incline a soffocare in tutti i
modi le oasi di stasi che si aprivano nelle conversazioni, risultando spesso
irritante e impertinente -non per lei, ovvio.
"Partiamo; l'hanno avvistato al confine Nord del Paese."
Una piatta constatazione quella di Naruto, sotto cuiHinata lesse un lume inestinguibile
di speranza.
"...Uchiha-kun?" Naruto annuì con un ghigno che non mancò d'essere
sicuro di sé:"Già, quel bastardo. 'Sta volta lo
riportiamo indietro." ...La duecentesima missione di recupero, o un numero molto vicino. E l'odore nell'aria la stordiva, ma Naruto, Naruto non l'avrebbe mai
capito.
"Non avete chiesto il nostro aiuto." Questa, sì, fu una piatta
constatazione, che Hinata forzò con un tono vago e
fioco.
"Oh, Kakashi-sensei, Sai, Sakura-chan
e io bastiamo e avanziamo, te l'assicuro.
Poi è una faccenda tra noi, ecco" aggiunse l'Uzumaki
più brusco di quanto avesse voluto. Hinata non si scusò, non si sentì mortificata, non
reagì. Si limitò a tacere.
L'aria era irrespirabile. Non ha importanza, c'è sempre tempo, c'è sempre stato, c'è
sempre tempo, prese a cantilenare incrollabile fra sé e sé.
Non vide gli occhi e il sorriso di Naruto farsi
ancora una volta risoluti:"Torneremo presto,
tutti interi. Oddio, Sas'ke
un po' meno, ma se l'è cercata. 'Sta volta una lezione
coi fiocchi non gliela leva nessuno, garantito, dannato bastardo che non è
altro. Mi sono stufato di rincorrerlo come una vecchia balia,
'sta volta le prende sul serio. Lo trascinerò qui a calci in culo, mordendo la polvere e pronto
a ridargli un fracco di legnate se solo osa pronunciare la parola
"vendetta"...
Questa volta andrà così, sicuro!" Hinata non vide che quegli occhi non la guardavano
neanche più, assorti a definire i contorni del sogno che Naruto
custodiva gelosamente nell'azzurro delle iridi. ...Non lo senti quest'odore, Naruto-kun?
Mancava un quarto d'ora.
La nausea cominciò minacciosa a sussultarle nello stomaco.
"Buona fortuna, Naruto-kun."
"Grazie, Hinata."
Andava incontro alla sua fine, Naruto. E sorrideva. Il sole invece la trapassava.
Ma lei, come al solito, non faceva niente. Normale.
"Naruto!" Sakuraalzò un braccio, richiamò
in lontananza il compagno di squadra. Il suo sguardo era scuro, l'addensarsi di
un temporale in cui brillava una lama di determinazione: Hinata
la guardò appena, indifferente. Sai, accanto a lei, non lo calcolò neppure.
Dietro di loro balenò l'ombra autorevole di Kakashi-sensei,
come al solito seppellito in uno di quei libretti che
ormai doveva aver imparato a memoria. Hinata non badò
neanche a lui. Naruto si alzò in piedi, diede un paio di colpetti
alla sgargiante tuta arancione e nera come se questo potesse renderla più
dignitosa, poi alzò il pollice sinistro verso l'alto, un sorriso che gli
correva su tutto il viso: "Tranquilla, torneremo presto, dattebayo!"
Tutto le suonava così incredibilmente vuoto.
E quell'odore, Naruto-kun, quell'odore... E tutti gli avvertimenti inascoltati in questi mesi, la mezza parola
lasciata cadere per sbaglio da Neji-niisan, le
macchinazioni degli ANBU, le indiscrezioni, le voci di guerra, la quiete prima
della tempesta, i morti, Tsunade-hime che vince alle
tre carte, l'inverno... Naruto ancora non si decideva a
incamminarsi verso il resto del Team Seven.
Mancavano cinque minuti. Se c'era stato tempo per dieci anni, come
poteva improvvisamente non essercene più?
Era impossibile.
C'è sempre stato tempo e sempre ci sarà. La prossima voltainvecenon
ci sarà mai.
"Hinata," chiamò Naruto, improvvisamente di nuovo quel blu cupo e serio
-così fuori luogo per lui- nei grandi occhi sgranati,"non c'è qualcosa che
devi dirmi?"
"No." Hinata non sapeva che fosse così dolce, così
mormorante e quasi timido il suono di qualcosa che si frantuma: un po' come
abbandonarsi lentamente all'abbraccio dell'acqua, senza rimpianti. Naruto la osservava col sorriso più doloroso che la Hyuuga avesse mai visto.
Probabilmente era quello il sorriso di chi riconsegnava le armi e si arrendeva
al boia.
"Ah, bene. Non importa. A presto!" Le voltò le spalle e prese a
camminare.
In un attimo raggiunse Sai, Sakura
e Kakashi-sensei.
Naruto andava incontro alla sua fine. E, come sempre, sorrideva.
Hinata chiuse gli occhi.
Si mise in piedi e con lunghi passi misurati imboccò in perfetto silenzio la
strada che l'avrebbe riportata ai Quartieri Hyuuga.
Non c'era più niente da vedere.
Il tempo era scaduto.
Fin
Note
dell'Autrice
Questa storia ha partecipato al Concorso NaruHina
indetto da Ferula_91 e AyumiYoshida
classificandosi sesta.
Beh, che dire, non sono molto dell'umore giusto per rispondere ai vostri
splendidi commenti, dunque lo farò al prossimo aggiornamento (che sarà presto,
non dubitate u.u). Comunque
vi abbraccio e vi amo tutti indistintamente, non sapete quanto le vostre parole
siano importanti per me e mi spronino ad andare avanti e scrivere.
Recensire è fondamentale, non mi stancherò mai di
ripeterlo. Non sapete quanto mi aiutano le vostre righe di commento. Ancora,
mille volte grazie: non basterebbe una pagina per quante volte vorrei ringraziarvi :).
Capitolo 5 *** The Strong and The Ephemeral [NejiHina] ***
E, sì, questo è un piccolo regalo per te, Chiara, Artemisia89, che oggi
compi diciannove anni e, anche se non li festeggerai, meritano comunque un
misero segno di
E, sì, questo è un piccolo regalo per
te, Chiara, Artemisia89, che oggi compi
diciannove anni e, anche se non li festeggerai, meritano comunque un misero
segno di... gratitudine? stima? Boh, deciderai tu :).
Questo per dirti che, comunque sia andata, ho
apprezzato il tuo lavoro come Beta, ti stimo immensamente come scrittrice, come
persona, come semplice fanwriter. E, diamine, sono
davvero contenta d'aver fatto la tua conoscenza, qualche mese fa. Sul serio,
non sai quanto.
Spero che la cosa che ho scritto ti possa piacere anche solo un pochino, anche
se riconosco di non aver fatto granchè -dannata mania perfezionista!- e tu meriteresti un regalo infinitamente più bello. Ma facciamo
ciò che possiamo :) e, tanto per levarci un po' quest'aria
solenne e cerimoniosa, in bocca al lupo per la matura!
Un saluto e un abbraccio,
Eleonora
Disclaimer: I personaggi citati
appartengono a Masashi Kishimoto, che ovviamente si prende tutti i diritti del
loro uso. Il brano riportato all'inizio è, come scritto, frutto del genio di
Haruki Murakami e del suo "Kafka sulla spiaggia" e la strofa di canzone
inserita alla fine è stata scritta da Fabrizio de André, e a Lui va ogni
elogio, ovunque sia. E poi, non so come dirlo. Proviamo.
Gli Hyuuga sono cugini. Ergo questa storia è a sfondo Hyuugacest, che lo
vogliate o no. Se la cosa dovesse disturbarvi, nulla
vi vieta di non leggere :).
The Strong
and the Ephemeral
"Qualche volta il destino
assomiglia a una tempesta di sabbia che muta
incessantemente la direzione del percorso.
Per evitarla cambi l'andatura. E il vento cambia
l'andatura, per seguirti meglio.
Tu allora cambi di nuovo, e subito il vento cambia di nuovo per adattarsi al
tuo passo.
(...) Perchè quel vento non è qualcosa che è arrivato da lontano,
indipentente da te. E' qualcosa che hai dentro. Quel vento sei tu."
[Haruki Murakami, Kafka sulla spiaggia]
I loro passi sono silenziosi,
cauti e circospetti come quelli dei gatti; i loro sguardi, pur essendo luce,
non abbagliano, non feriscono; le loro stanze sono cupe, per non svegliare le
ombre che dormono addossate ai muri; le loro voci sono attutite, basse, per
paura che la carta di riso si squarci - e il mondo intero crolli.
Il loro cognome è Hyuuga.
Il loro Clan ha cominciato da tempo ad avviarsi
lungo la strada del declino, da quando, precisamente, anche Konoha ha smesso di
essere il Paradiso Terrestre o il Giardino dell'Eden ed è stata sommersa dalle
acque torbide di vecchie storie e vecchi rancori mai
dimenticati. Si è cominciato a intravedere la carcassa
putrescente sotto la patina brillante del trucco, e questa visione sconvolge,
terrorizza, annienta.
C'è chi lotta e non si rassegna all'evidenza, c'è chi nega, c'è chi continua a
sperare, c'è chi piange, c'è chi ha perso tutto, c'è chi non crede più a
niente, c'è chi risponde alla violenza con la violenza,
e poi c'è lei. Lei, che osserva.
Hinata ha smesso di camminare in punta di piedi,
ha smesso di balbettare e parlare a mezza voce, i suoi occhi adesso risplendono
in un tripudio di vetro e glicine.
Fuori la pioggia sferza i tetti delle case; i tuoni la spronano con rabbia a
correre più veloce, a parlare più forte, a guardare più fisso senza mai
abbassare lo sguardo. Il vento soffia impazzito, sembra voler sradicare via la
casa ed è come se Hinata sentisse tutta la sua furia dirompente contro il viso,
come se le raffiche gelide tentassero di fermarla. Ma Hinata non è fatta di carta di riso o di cristallo
come le pareti del suo fragile mondo: l'inclemenza del temporale non basta ad
annientarla.
I tuoni si susseguono senza fine, le pareti della casa tremano sotto i loro
strepiti cupi, sembrano volersi sgretolare.
Hinata non ricorda un giorno in cui non ci sia stata
tempesta per lei, non ricorda un cielo diverso da quello nero di pioggia e un
rumore che non sia il crepitare dei lampi. E ancora si chiede come le ombre di
quella villa possano continuare a dormire da anni, da secoli, cullandosi nella
penombra delle stanze vuote, come possano annullarsi
nella loro oscurità nonostante la casa minacci di essere divelta dalla furia
del temporale. Eppure Hinata continua imperterrita a correre lungo i
corridoi bui. I suoi passi affrettati hanno la stessa violenza dei tuoni che
borbottano cupi nel cielo notturno, il frusciare del suo yukata assomiglia alla
frusta del vento fra i rami degli alberi.
La sua parte più infantile ha quasi paura che il rumore dei piedi che battono
sulle assi di legno sia talmente forte da svegliare gli spettri addormentati:
le pare quasi di udire alle spalle il loro sibilo sinistro e le loro zanne acuminate che scattano per ghermirla, ma Hinata
non si fermerà, Hinata non ha tempo per pensare. Il temporale infuria, il suo
cuore batte col fragore del tuono e i suoi occhi per la prima volta vedonolucein quella casa oppressa dalle tenebre.
Quando Hanabi, minuti prima, le ha comunicato con noncuranza che la Volpe a
Nove Code aveva trionfato sulla Forza Portante e che Neji-niisan sarebbe stato
uno dei Jonin che avrebbero tentato di fermare
l'avanzata del mostro sul villaggio, Hinata non si è sentita morire, no.
Hinata si è sentita d'acciaio, di fuoco e di fulmine: per la prima volta nella
sua vita si è sentita forte come il vento, capace di sfidare il destino e
infrangere quella spessa corazza di gelo che li soffoca fin da prima della
nascita.
Si è sentita come le tempeste, come gli uragani: pura distruzione.
Per questo Hinata corre, incurante delle buone maniere, delle convenzioni,
dell'obbligo al silenzio; per questo non le importa più di parlare troppo forte
e strappare via le sottili pareti di carta di riso che la circondano.
Si sente talmente forte che ogni suo passo potrebbe aprire una voragine nel
pavimento, si sente eterna e invincibile come le danze dei venti, lei, Hinata,
la sciocca, la debole, la bimbetta malaticcia e insicura.
Ogni suo pensiero invece sembra rallentare, sfilacciarsi, perdersi a metà del
corpo e svanire lì, senza poterla raggiungere davvero. Ogni suo pensiero si
eclissa nel colpo assordante che le risuona nel petto, nelle orecchie e nella
testa, mentre anche l'impulso di respirare diviene secondario, sovrastato da
una necessità che per lei è ben più che vitale: correre.
L'armeria del Clan Hyuuga, nei sotterranei della
villa, non le è mai sembrata tanto lontana.
Adesso che è lì sulla soglia, mentre i visi degli antenati la scrutano
accigliati e Neji-niisan le volge la schiena, intento ad affilare la spada da
ANBU, Hinata non ce la fa più e crolla, si lascia andare contro lo stipite:
deve respirare.
Gli occhi cupi come il temporale degli antichi Hyuuga disapprovano
quell'affanno, quella goffaggine, quel respiro forte da affogata che cerca la
vita; quegli occhi candidi eppure pieni di ombre accusano lei, i suoi capelli
in disordine, il suo yukata che nella foga le ha lasciato scoperta una spalla,
i suoi piccoli piedi nudi: disapprovano lei e quel suo amore cieco e testardo,
quel suo amore che dicono sbagliato, poichè loro non possono comprendere una
cosa tanto bella e viva, loro, vecchi e morti, loro, austeri e inflessibili,
loro che hanno allevato una generazione di soldati e mercenari.
Neji ha sentito il tocco leggero del corpo della cugina contro lo stipite della
porta, ha sentito il suo respiro infrangersi ritmico come le onde della marea e
ha sentito il suo silenzio prepotente, ostinato.
"Non gli faremo alcun male, se non necessario."
Neji sceglie le parole con cura, esita, parla lentamente come se si rivolgesse a un animale impaurito, parla con la calma estenuante con
cui si fa una carezza. L'effetto della sua voce è proprio questo: una carezza
lenta e leggera, il tocco fuggevole di un soffio di neve.
Hinata può respirare, adesso. In silenzio può riprendere fiato e colore sul
viso.
"Non useremo la forza, se non saremo costretti."
Quasi dimenticandosi della katana da affilare, Neji dispone una parola dopo
l'altra con la cautela di chi costruisce un castello di carte:"Lui
non è un nemico. Lui è uno di noi.
E' più di tutti uno di noi."
Neji guarda dritto davanti a sé, guarda il drago che
affonda le fauci spalancate nella lama istoriata di un naginata appartenuto al Fondatore
del Clan, Izanagi Hyuuga. Si chiede distrattamente quante gole abbia tagliato, quel naginata, quanti corpi abbia mutilato,
quante volte sia stato affilato.
"Ti dò la mia parola."
Hinata fissa la sua schiena, mentre a poco a poco il suo respiro torna a
regolarizzarsi, torna ad essere quello di sempre. Hinata beve con avidità ogni
sua parola, ogni sua sillaba, con la foga dell'assetato che si tuffa nella
sorgente, e i pozzi oscuri di silenzio che si aprono fra una frase e l'altra sono più dolorosi di uno sparo.
Sente il cuore pronto a esplodere come un frutto
maturo, sente tremare ogni singola fibra del suo essere, mentre col pensiero
implora Neji-niisan di capire, solo questo, di capire, di voltarsi verso di lei
e finalmente capire.
Hinata adesso riesce a riflettere con sorprendente lucidità, anche se deve fare
uno sforzo disumano per tenere unito il suo corpo,
poichè sente i muscoli tendersi e minacciare di lacerare la carne
nell'irrefrenabile impulso di fuggire via, lontano, dov'è la libertà.
I vecchi Hyuuga fissano inquisitori quella ragazzina
scarmigliata e quell'ANBU pronto per la missione, li scrutano severi e
inorridiscono per aver dato loro i natali. I vecchi Hyuuga giudicano dall'alto
delle loro cornici e li hanno già condannati, senza alcuna possibilità di
redenzione.
Sotto gli occhi di quei ritratti, Hinata non è più sicura di
riuscire a parlare. Ha la bocca piena di sangue caldo, la testa pesante e la
lingua incollata al palato. Non è sicura di ricordare come si fa a parlare,
inoltre lei non è mai stata capace di farlo bene: non esistono parole capaci di
fare da specchio ai suoi pensieri, non avrebbero alcun significato per il resto
del mondo. Ma forse per Neji lo hanno.
Neji conosce il significato delle piccole rughe che sovente si formano sulla
fronte di Hinata, o delle sue labbra arricciate, o delle miriadi di sfumature dei suoi occhi.
Neji sa che gli occhi di Hinata sono vivi, liquidi, espressivi come il mare.
Neji sa che Hinata inclina il capo solo quando è molto
stanca, quando proprio non ce la fa più a reggersi in piedi.
Neji sa riconoscere quando Hinata pronuncia il suo
nome o quando lo sta solamente chiamando. Ma Neji adesso ha affilato la sua katana e con un
secco scatto lugubre l'ha riposta nella custodia che porta sulla schiena. Neji
ha già calato sulle tempie lo stridio dell'Aquila che solo in battaglia porterà
sul viso, poichè non osa indossare la maschera da ANBU davanti alla cugina, non
osa mostrarle quanto sia appuntito il becco adunco del
rapace, quanto possa ferire.
Neji in un passo è già davanti a lei e un passo dopo sarà fuori, nella pioggia.
Ed è in quel preciso istante che il fulmine è dentro
Hinata: è proprio in quel momento che lei, semplicemente, con gli occhi
impassibili di un animale, gli si getta addosso e lo stringe alla vita.
(E' già condannata, Hinata).
Neji vedeva la piccola testolina di corvo appena sotto il mento e stupito
pensava ai diamanti, ai cristalli, alla lama di un'arma, a tutte le cose
scintillanti e trasparenti che con un sorriso possono uccidere.
Le occhiate risentite dei suoi avi bruciano sulla nuca, si sente stupido e
sciocco, quasi debole di fronte a loro, lui, Neji, che non riesce a sottrarsi a
quella stretta, non riesce a spingere via la piccola Hinata, quella sbagliata,
quella fragile, il fuscello in balìa del vento.
Non riesce o non vuole?
Tutto ciò che ha sempre voluto, tutto ciò di cui ha sempre avuto bisogno, è lì,
tra le sue braccia.
"Hinata-sama, spostati." Neji prova, perchè non sentirà il suo addio prima delle fiamme di Kyuubi, perchè sa di
voler vivere per tutte le volte che ritornerà da lei e vedrà la sua figura di
disegno a inchiostro sotto le raffiche di pioggia.
Prova e riprova con più convinzione, la prende per le spalle:"Spostati."
Ma la corona di capelli neri non si sposta, preme sul suo petto come una
macchia di notte e non si lascia scoraggiare. La sua volontà non è mai stata
così forte, addirittura più forte di quella di Neji - Neji il genio, il talento
innato, l'inarrivabile vetta di bravura.
La sua volontà non lascia scampo.
Hinata mormora qualcosa d'indistinto che lui non coglie subito: ci vuole del tempo prima che il sussurro sommesso di Hinata diventi
man mano più definito e come i tuoni scuota le pareti della casa, terrorizzando
col suo impeto anche i volti arcigni degli Hyuuga già morti, che adesso serrano
le labbra e si trincerano spaventati dietro il loro gelo.
"Voglio solo stare qui,"
ripete nitida Hinata, la voce a poco a poco più ferma e sicura, "Solo per
un poco, solo un altro po'.
Voglio solo stare qui, solo questo, non chiedo altro."
"Voglio stare qui. Per favore."
Oltre il muro dei vetri si
risveglia la vita
che si prende per mano
a battaglia finita
come fa questo amore che dall'ansia di perdersi
ha avuto in un giorno la certezza di aversi
[Dolcenera, Fabrizio De Andrè]
Fin
Nota dell'Autrice Uargh. Ho faticato come non mai. Non riesco ancora a crederci di averla scritta, giuro. E' la prima e l'ultima volta che
mi cimento con un incesto, lo giuro, è troppo difficile per me ç_ç!
Queste Flavours sono troppo bianche, direi: su cinque, tre sono sulla famiglia
Hyuuga XD! Sembra che non sappia scrivere d'altro, ma non è così. Arriveranno
presto molte altre, e le mie storie si tingeranno di nuovi colori.
E adesso andiamo alle recensioni, che altrimenti passo per l'Autrice Snob di
turno ;):
Talpina Pensierosa: Ti ringrazio^^! Spero
che continuerai a leggere questa raccolta. Ayumi Yoshida: Ma figurati, non ero di cattivo umore per il Sesto Posto, ma va^^! Sarei stupida se mi pregiudicassi l'umore
per un concorso di scrittura, e poi non si può farne
una colpa a nessuno se la mia storia non ha avuto successo. E' una cosa
normalissima scrivere cose che possono non piacere, e ritengo fondate e sensate
le critiche che mi sono state rivolte, dunque non devi
assolutamente scusarti né pensare di aver torto in qualcosa. Lo ripeto, non
preoccuparti :) e grazie del tempo speso per giudicare
e recensire la mia storia. Kaho_chan: Oh, my love *_*! Come vedi alla fine
l'ho pubblicata, e immagino che, se ti piace come ho caratterizzato Hinata
nelle altre flavours, questa ti piacerà sommamente XD ma che lo dico a fare?
L'hai già letta! A parte questo, ho esasperato un po' l'aspetto angelico e
'delicato' di Hinata, per poi, come vedi, riportarla bruscamente alla realtà.
La ritengo un personaggio molto particolare, molto sfaccettato, teso tra un
aspetto ultraterreno e uno più umano. Non per niente
ho visto in lei Remedios la bella (leggilo, Cent'anni di Solitudine, merita
*_*!), che è l'espressione dell'estraneità degli angeli al mondo comune.
Insomma, Hinata è sprecata per Naruto come per Neji (non mi uccidere XD!), è
sprecata per un mondo chiuso entro certi limiti, per un mondo che non la
capisce. In quasi tutte le mie storie la pongo vicino
ad Hanabi per far risaltare la diversità delle due, che Hanabi comprende
benissimo e che detesta, come ama e odia quella sorella irraggiungibile a cui è
permesso essere delicata, eterea e semplicemente fuori dal mondo, mentre lei,
Hanabi, dev'essere saldamente piantata coi piedi per terra. Gh. Sto partendo per la tangente, lo so XD! Non vedo l'ora di
risentirti su msn, caVa, le nostre conversazioni sono
sempre così brevi ç_ç! StAkuro: Sono molto felice che la storia ti abbia ispirato un sentimento
di rabbia, perchè è in effetti proprio quello che
volevo XD! La rabbia è quella che Hinata non riesce a
esprimere, per come la vedo io, ed è il sentimento che la tiene inchiodata alla
sua realtà, fatta di gesti, di cose, di pensieri lontani da quello che è il suo
obiettivo (ovvero Naruto). Ho voluto descrivere la sconfitta di Hinata, anzichè
il suo scatto d'orgoglio, e la sua mancata maturazione: fa rabbia, è ovvio,
perchè Naruto si aspetta che lei gli parli dei suoi sentimenti, del suo
incondizionato amore e ammirazione per lui (hai colto giustamente l'accenno, infatti =D), ma lei preferisce crogiolarsi nella certezza
che comunque vada ci sarà tempo per farlo, quindi perchè sprecarsi ora,
perchè parlare? ...Ovviamente io spero che nel manga
le cose non vadano così XXD! Comunque non dire più che la tua storia è vuota, anzi:
lo giudico un onore che sia arrivata a parimerito con la mia.
Capitolo 6 *** Touched by a thousand invasions and still forever an island. [Karin] ***
SPOILER per chi segue il manga in italiano
SPOILER per chi segue il manga in italiano.
Disclaimer: I personaggi citati appartengono a
Masashi Kishimoto; la canzone citata, la splendida Guerra di Piero di
Fabrizio De Andrè appartiene, ovviamente, all'anima immortale del suo
autore.
...Cadesti a terra senza un lamento
e ti accorgesti in un solo momento
che la tua vita finiva quel giorno
e non ci sarebbe stato ritorno. ["La Guerra
di Piero", F. De Andrè]
Touched by a thousand invasions
and still forever anisland.
Ci sono
sei personaggi, sette contando il cielo innaturalmente azzurro.
Quattro sono riversi a terra, ma uno di questi sembra più vivo degli altri. Il
quinto è una grossa spada che sembra fatta di pelle di mostro. Anche il sesto
personaggio è una spada, o, per meglio dire, è lo scalcinato mucchietto color
vetro che ne rimane.
Il personaggio più vivo di tutti si è già alzato in piedi a fatica, malfermo
come un ubriaco, barcollando su un paio di gambe devastate dalle ferite. Si
appoggia a un corpo che sembra aver dichiarato la resa, ormai pronto al
collasso. Cadrà? Non cadrà? Impossibile dirlo adesso.
Al momento è solo intrappolato nell'eterna stasi, il piede cristallizzato
nell'atto di poggiarsi a terra, il passo a mezz'aria.
Gli altri personaggi sono fermi, immobili.
Ci potrebbe essere in effetti un ottavo personaggio: il sangue.
Quel liquido che è fisiologicamente programmato per stare dentro il
corpo umano e che invece in quel frangente ha deciso di farsi largo e schizzare
fuori, di diventare una lunga strada rossa e avvolgere in un abbraccio umido
ogni cosa. Disgustoso, sì.
Non aveva mai pensato che un liquido umano, una cosa immensamente ovvia e
banale, potesse essere disgustosa. Davvero, non ci aveva mai pensato. Non aveva
mai avuto importanza, come molte, troppe cose nella sua vita, cose che le erano
sfrecciate accanto a una velocità talmente folle da accorgersene a stento,
figuriamoci distinguerne i contorni o - utopia - fermarle. Se fosse stata una
persona incline all'autoanalisi o all'introspezione, avrebbe paragonato i suoi
quindici anni mai salvati alla curva liquida dell'onda che si gonfia verso
l'alto e un istante dopo precipita nel baratro, per poi svettare nuovamente in
un turbine di schiuma e gettarsi un'altra volta nel buio di una caduta senza
fine.
Così era stata lei, in alto o nella polvere, mai una via di mezzo, nessun posto
sicuro in cui fermarsi un poco e attendere la fine dell'uragano.
Prevedibile che il suo ultimo scatto verso l'alto l'avesse poi portata a finire
lì, rantolando fra le sterpaglie in un giorno pieno di vento.
E' affogata nell'abisso di un'onda troppo grande per lei, che non sapeva
nuotare poi così bene e si teneva a galla con l'incoscienza temeraria di una
funambola.
Solo quando è troppo tardi ha realizzato che tutto, tutto quanto era un
gigantesco errore in cui lei era stata scaraventata senza aver voce in
capitolo, obbligata a giocare a dadi con Madama Morte in persona.
Per poi perdere, alla fine, e tenersi a denti stretti la morte che le era
capitata.
Il vento
soffiava implacabile tra i fili di riso. Da qualche mese aveva messo in
ginocchio le risaie affogate nel gelo e tormentava la vallata con folate sempre
più violente.
A memoria d'uomo, mormoravano i vecchi del villaggio alla luce d'un bicchier
d'acqua stantia che chiamavano sakè, l'inverno non era mai stato così crudele
con loro. Piagava le mani e i piedi, s'infilava inclemente sotto i vestiti,
faceva annegare nel ghiaccio i ruscelli, ammazzava le bestie, aveva aperto la
strada a una quantità esorbitante di infezioni dal nome più o meno complicato,
sgranocchiava le messi estive con una voracia disumana: era il colpo mortale a
un paese ancora malato dei postumi di guerra.
E quello non era un vasto e potentissimo stato ninja che potesse vantare
territori sterminati e di conseguenza risorse abbondanti, né Clan tanto potenti
e senza scrupoli che devastassero interi villaggi per raggranellare un pugno di
granaglie ammuffite: non aveva nessun daimyo, nessuna facoltosa famiglia
fornita di un'oscura kekkei genkai, non aveva leggende né macchine da guerra.
Era solo un fazzoletto di terra traforato dalle acque dei campi di riso, un
posto così ridicolo, così infimo in mezzo al ribollire minaccioso dei grandi
Paesi degli Elementi da far quasi ridere. Un deserto che a lei, bambina troppo
ambiziosa e decisamente presuntuosa, andava stretto. Karin avanzava strisciando nell'erba gelata, gli steli muffiti che le
solleticavano il viso, gli occhiali storti sul naso e due piccoli occhi
febbrili fissi sulla preda che, qualche passo avanti a lei, si puliva
innocentemente il muso con una zampina.
La bimba strinse ancora più forte il coltello che teneva fra le dita, rozza
imitazione di un kunai, mentre con estrema e calcolata lentezza strisciava
verso la lepre.
Il suo stomaco si contrasse in un ansito doloroso quando, involontariamente,
pensò a uno stufato fumante con contorno di riso e verdure. Un brontolio sordo
le risalì cupo dal ventre.
La lepre, scura come un ciuffetto di caffè in quegli sterpi giallastri, alzò di
scatto il muso, fendette l'aria col nasino umido e a Karin parve che le sue
lunghe orecchie sfiorassero il cielo grigio.
Per un interminabile minuto la bambina divenne come terra immobile. Respirava
con il vento, dormiva un sonno millenario, i suoi occhi bene aperti erano gli
occhi degli abissi profondi. Il suo stomaco invece si stava distruggendo dai crampi, ma la ragazzina si
costrinse a pensare che quella era l'ennesima occasione per ribadire la sua
superiorità sugli altri bambini, sui più grandi, sui ninja del villaggio, per
farla breve su tutti quanti. La linea che alla sua nascita era stata tracciata
tra lei e loro andava man mano ispessendosi.
Bene. Non poteva desiderare altro. La bambina si gettò di scatto sull'animale. Il suo coltello trafisse la
terra.
Davanti a lei rimanevano solo le buffe nuvolette di polvere sollevate dai balzi
della lepre.
La individuò infine, appena sotto il declivio del poggio, che innalzava di
nuovo verso le nuvole le sue soffici appendici di cartilagine.
Lo stomaco di Karin, così indisciplinato rispetto al cervello, gemette un'altra
volta. Cosciotto di lepre col riso, brodo di lepre caldo, lepre allo spiedo,
lepre farcita di funghi, lepre cotta nel vino...
Allora vide ciò che anche la lepre stava osservando, sicuramente con piccoli
occhi neri intensi quanto i suoi.
Anzi, un istante prima di vedere, già lo sapeva, già l'aveva sentito. (Karin sentiva i temporali, le gelate, le guerre, le carestie, i fiumi che
erompevano dagli argini, i cuori degli uomini e il loro soffio di vita, sentiva
tutto come la cartina tornasole del mondo intero.)
L'unica abilità appena pregevole del suo Clan di pezzenti: percepire l'energia
degli eventi, saper codificare i sussurri del chakra.
Le avevano detto di non allontanarsi troppo dal villaggio, di non raggiungere i
confini della valle, ma poi aveva trovato una preda da inseguire e un'ottima
scusa per arrivare fino alle porte che si affacciavano sul veromondo,
aldilà di quella cripta sonnolenta in cui, non per sua scelta, era nata.
Dunque vide emergere dai lembi nebulosi della gola di roccia un ragazzino che,
prepotentemente vestito di bianco, sembrava voler obbligare il mondo intero a
guardarlo, un ragazzo immacolato come i figli della nebbia. Karin si sistemò, come inebetita, gli occhiali sul naso.
La lepre saltellò in avanti, si confuse tra gli arbusti rinsecchiti, nuovamente
incurante del cacciatore poco sopra di lei, e riservò i suoi occhietti liquidi
per la ricerca della sua preda, grillo o cavalletta che fosse.
La bambina, orgoglio consapevole di un Clan che agonizzava sul letto di morte,
rimase immobile.
Nelle sue narici s'infiltrò una lievissima nota acre, pastosa, che le spiegò
sommessamente che l'inverno sarebbe finito di lì a qualche settimana.
Una leggera pressione del polso sul pugnale e, tac,
la lama era penetrata nella carotide sinistra e, tac,Kazuko-chan
non esisteva più. "Ma non eri di qui, tu?" Quando tutto quanto era finito, Tayuya, comodamente seduta sul cadavere del
capovillaggio, le aveva rivolto quell'interrogativo così, a bruciapelo,
accompagnato da uno dei suoi soliti sguardi diffidenti.
Karin aveva sbattuto gli occhi, incredula e oltraggiata.
"Ma quando mai, Faccia di Cagna!
Ti pare possibile che io possa essere nata in un buco di culo del genere?!?"
Aveva sbottato con l'arroganza gonfia di presunzione che le era connaturata.
(Perchè è la tua parte, Karin, non ci si aspetta altro da te.) Il colpo di Kimimaro Kaguya, il "figlio della nebbia" di
molti anni prima, le era arrivato giusto sotto l'occhio, proprio dove lo zigomo
s'inarcava disegnando la curva morbida di una collina. "Porta rispetto a un tuo superiore" disse soltanto, la voce
gelida di una macchina, mentre l'osso della mano sinistra tornava al suo
legittimo posto.
E Karin finì col viso nel fango, accanto agli occhi di cristallo di Kazuko-chan
e alla grande macchia densa e appiccicosa che si allargava sotto il suo
cadavere.
Tayuya inarcò le sopracciglia con sufficienza, unico segno che scalfisse la sua
indifferenza. Sakon (o era Ukon?) si leccò divertito le labbra secche.
"Capisco perchè Orochimaru-sama ha proposto te per questa missione"
riprese Kimimaro con la stessa voce monocorde e distante, un oceano piatto di
gelo. Non guardò neppure la figura che, tremebonda, si rialzava da terra pulendosi
con rabbia la gota arrossata e sporca di terriccio.
"'Fanculo", gli concesse Karin. Tanto ci finirai molto presto,
aggiunse tra sé e sé.
Kaguya allora le dedicò la smorfia distorta più simile a un ghigno che uno come
lui potesse forzare:"Orochimaru-sama sarà contento" e le volse le
spalle.
Karin, le ginocchia affondate nel molle impasto di sangue e fango, gli riservò
uno sguardo carico di rancore.
"Non è affatto vero che sono nata qui" mormorò acida, nettando gli
amati occhiali che per puro miracolo non erano andati in mille pezzi.
Alzò gli occhi e vide il risolino maligno di Ukon (o forse quello era Sakon?)
incombere su di lei:"Io non sono così buono, principessina. La prossima
volta la lingua te la strappo." (La tua parte, Karin, la tua parte.) "Tsk."
Col dorso della mano pulì via il sangue di Kazuko-chan che le era colato alla
base del naso.
"Forza, in piedi" sbottò brusco Sakon (oppure Ukon? Bah, del resto
non aveva importanza). Le stritolò il polso in una morsa ferrea e un istante
dopo Karin tornò a reggersi sulle proprie gambe.
"Rimettiamoci in marcia, abbiamo perso anche troppo tempo."
Kimimaro era già ai confini del villaggio.
Il resto
era storia, e una Squadra di quattro persone che davano vita a una chimica
sbagliata.
Per quanto ricercasse un senso, un motivo, un criterio più rassicurante del
caos ad averli uniti, non lo trovava. Forse perchè, era costretta ad ammettere,
una circostanza simile non esisteva.
Erano solo quattro individui che correvano in quattro direzioni antitetiche
l'una all'altra. La catena che li aveva imprigionati, poi, aveva finito per
spezzarsi.
Una chimica sbagliata. Una reazione instabile. Una specie di freak of nature,
che in un altro mondo non avrebbe avuto ragione d'esistere. Un coagulo infetto
del destino, tutto qui.
E ora?
Ora non rimaneva niente.
La sua attrazione per Sasuke? L'ennesimo obbligo previsto dalla sua parte, una
serie di vuoti gesti senza senso caduti dell'oblio.
L'astio per Suigetsu? Svanito come un soffio di nebbia al sole, quando lui aveva
ricevuto un colpo in mezzo al torace destinato a lei.
Il terrore istintivo che le ispirava Juugo, la fonte del Segno Maledetto? Acqua
passata. S'era volatilizzato assieme al suo chakra mentre Juugo, stramazzato al
suolo, era morto con la Samehada che gli trapassava il corpo.
L'ambizione?
No davvero, non c'era più posto nemmeno per quella.
Una ragazza-razzo che dalle brume delle risaie era schizzata in alto, fino a
giocherellare per un istante coi filamenti traslucidi del potere impigliati
tra le dita, e poi era precipitata giù di botto. Moriva in un campo di sterpi
in un giorno pieno di vento, poco lontano da due individui che per lei erano
poco meno di estranei.
E adesso? Adesso cosa restava?
(La maschera, il copione, i vestiti di scena e la parte silenziosamente
scivolavano a terra.)
Restava Karin, col nulla stretto nel pugno. Non posso morire qui, fu quello che credette il suo ultimo, illusorio
pensiero. Ma dopo ce ne furono altri: guardò Juugo, guardò Suigetsu, e allora
capì che quella non era mai stata la loro battaglia. Capì che erano morti nel
modo sbagliato e, per giunta, nel modo peggiore, sprecando l'unica occasione
che era stata concessa loro.
Guardò un po' più a lungo il viso di Suigetsu: i suoi occhi di vetro, in vita
così vividi, erano diventati un cielo perennemente giallo, immutabile. Ammise
che non poteva dargli la notte, non poteva, anche se era quello che aveva
sempre voluto fare.
(Le
luci si spengono, e tu con loro, Karin.)
I passi
claudicanti di Kisame Hoshigaki, curvo sotto il peso della mastodontica spada
Samehada, si affievolivano piano, uno dopo l'altro, in lontananza.
Fin
Glossario: Kekkei genkai: Abilità Innata, such as Byakugan, Sharingan e via di
seguito. Samehada: l'amatissima spada di pelle di squalo di Kisame.
Nota
dell'Autrice Alla fine non è
come me l'aspettavo. Sadness ._. In effetti non mi soddisfa proprio per niente.
Penso sia piuttosto bruttina, in effetti, e penso di non aver sviluppato bene
il tema.
Tutta colpa di Karin, sì sì. E di Kishimoto che le fa dire sì e no due
scempiaggini ._. E della sua caratterizzazione che non va oltre la
PervertSasukeFangirl.
Avevo in mente di scrivere un'altra flavour sul Team Hebi, ma se il buongiorno
si vede dal mattino temo proprio che dovrò abbassare le armi.
La cosa che comunque mi sembra più azzeccata è il titolo: le è cucito
perfettamente addosso. Toccata da mille invasioni e ancora e per sempre
un'isola: spero che la sensazione trasmessa sia proprio questa.
Talpina Pensierosa: Ancora ti ringrazio molto per il complimento^^! E' un
piacere vedere che segui le mie flavours, davvero. Helen Lance: Se ti dico che aver ricevuto una recensione da te lo
considero un onore, ridi é.è? Spero di no, anche perchè ti posso assicurare che
è la verità. Ti stimo moltissimo come autrice, penso anche d'averti recensito
qualcosa :) e Grey Eyes Of the Storm figura a pieno titolo fra i miei
preferiti. Aw <3!
Per questo sapere che ho reso IC Neji -uno dei personaggi di Naruto che mi
risulta più difficile da rendere- mi ha reso immensamente felice. Non sai
quanto ho faticato scrivendo di lui, e vedendo che la mia fatica alla fin fine
è valsa qualcosa non ho potuto che rallegrarmi di cuore. Felice d'aver
immaginato il tuo stesso Neji ANBU :).
La mia Hinata poi, è vero, è diversa da quella di Kishimoto: ho una visione
tutta mia del personaggio (se può interessarti, ti consiglio la mia 'Remedios
la bella' che è tutta incentrata su di lei) e questa mia concezione tende a
essere onnipresente quando la inserisco nelle mie storie. L'ho voluta rendere
forte come il fuoco, il fulmine e l'acciaio qui per un solo motivo: perchè si
rendesse conto che l'unica volta che ha osato esporsi nella sua vita è stata
quando ha creduto che Neji potesse morire (Kyuubi non è che ci vada leggera,
con gli uomini).
Ho pensato che questo potesse farle aprire gli occhi e renderla, sì, un po'
meno debole. Mi spiace che non sia molto credibile ç_ç. Arwen5786: Oh, mi fai arrossire così >.
Per quanto riguarda il resto... beh... Su Shikamaru ho qualcosa di già pronto,
su Temari idem, ma Shikamaru e Temari insieme, ecco, come dire... Amenochè non
mi decida a scrivere qualcosa sulla loro amicizia, mi spiace dirti che proprio
non c'è speranza ._. Scusami, ma da questo punto di vista sono Immacolata chedipiùnonsipuò,
temo di non riuscire a scrivere una ShikaTema neanche sotto tortura, ecco ç_ç. Kaho_chan: Dulcis in fundo la mia Chaos, che non vedeva l'ora di leggere
questa shot e che per fortuna è fra i miei Quattro Lettori <333!
Come farei senza di te?
Adesso devi prepararti a rendere nota al mondoH intero la tua SasoKure (because
crack is life!) della nostra sfida, che secondo me farà stragi da tanto che è
bella e vivida, ma ne riparleremo quando entrambe ci daremo alla pubblicazione.
Dai, non vedo l'ora di leggere la tua recensione, tu sì che mi sostieni emi regali un sorriso, tesoro *O*!
Un
minuto fa non ci badavi neppure, forse quello era un avvertimento e tu non
l'hai saputo leggere.
"Cosa facciamo, danna? Uhn?" Deidara, di fianco a te, raffrena a
stento la sua eccitazione. Le sue dita tremano impazienti sotto il copricapo di
paglia. Deidara è stanco d'attendere, Deidara vuole attaccare.
"Sono di Konoha, uhn, ha notato? I coprifronte, i coprifronte."
Non lo vedi neppure, Deidara. Ma sai che punta la squadra di ninja sotto di voi
con la cupidigia di un falco -e con una certa delizia, anche.
Sai che il suo estroso quanto eclettico cervello non vede l'ora di escogitare
la prossima esplosione. Difatti lo senti sussurrare un enfatico Katsu!,gli occhi in cui brilla già il pandemonio immaginario della detonazione. Tu invece taci.
Guardi verso il basso, guardi i tre ninja malridotti che arrancano nella
polvere.
"Devono essere quelli sopravvissuti allo scherzetto che Kyuubi-chan
ha fatto qualche giorno fa, uhn, proprio loro."
E d'improvviso quasi ti sembra scontato che debbano morire per mano tua,
Sasori. Quasi banale.
Ma ogni cosa è in fiamme. E tu vedi l'incendio avanzare.
Vedi i quindici anni che non hai avuto, vedi la collera, vedi i muscoli
doloranti, vedi il passato che barcolla su un paio di gambette gracili, vedi
l'andatura nonostante tutto spavalda, vedi un giubbetto da Chunin con le
maniche troppo lunghe, vedi una vita che non è più.
Kurenai, Sasori.
Così si chiama la ragazzina.
Ma tu non lo saprai mai.
"Danna,
cosa aspettiamo a farli fuori, uhn?"
Ti
sfugge vaga la somiglianza con un altro viso, un viso seppellito nel tempo. Capelli neri e indomabili. Gli occhi no, però, gli occhi sono diversi. Il
viso non ha ancora perso i tratti di quella dolcezza un po' ruvida...
Oh! Oh! Maledizione!
Il tuo
passato brucia, Sasori. Tu rabbrividisci impercettibilmente.
Non c'è ancora Hiruko a proteggerti, il tuo cuore puntualmente ti ricorda che
sei vivo.
E l'incendio ulula, mugghiando ti travolge. Tu lo lasci fare.
Perchè sai che sarà lui infine a proteggere te.
Dove non cresce più niente, dove non c'è né prima nè dopo, dove niente può
trattenerti: questo è quello che stai cercando.
Nessuno
ti biasima, Sasori.
Avevi lasciato Suna da troppo poco tempo, tu, carico d'affetti umani, tu,
ancora incapace di strapparti il cuore.
"Attacchiamo, eh, danna, attacchiamo, uhn?"
Se le vite fossero strade, la tua sarebbe una lunga spirale di sabbia rossa
collegata a un esplosivo. Una corsa folle dritta fino alla distruzione.
Perciò guardi più lontano, Sasori, guardi il nero avanzare nel cielo rosso e
borbotti a Deidara che quegli scarafaggi non t'interessano. Battibeccate perchè
lui sostiene che tu non gli permetta di divertirsi, ti contraddice di continuo,
forse lo fa perchè ha visto di sfuggita il baratro nei tuoi occhi e finge che
non esista. Sdrammatizza, insomma, com'è dannatamente abile a fare.
Tu persisti a guardare altrove, guardi ancora quella squadra malandata di ninja
che risalgono il sentiero strisciando nel fango fino alle ginocchia.
Non sei
mai stato ingenuo o infantile, Sasori, neppure quando avevi l'età giusta per
esserlo, quindi non crederai neanche per un attimo di averle regalato un figlio
da crescere e una strada diversa dalla tua da percorrere.
"Lei è troppo serio, danna, dovrebbe divertirsi di più, uhn!"
"E tu dovresti chiudere il becco."
"Non sia così scortese con me, uhn!"
"Idiota, ci passeranno davanti tra un momento, fa' silenzio!"
Nessuno
dei due ammise mai d'aver guardato l'altro negli occhi, d'essersi poi voltato e
d'aver infine continuato per la propria strada, che per l'una era Konoha, per
l'altro la sublime arte dell'hitokugutsu.
Nessuno dei due saprà mai il nome dell'altro.
Un paio d'occhi, si sa, non ha nome.
"Deidara?"
"Sì, danna? Uhn?"
"Parla."
Oh!
Oh! Maledizione!
Kurenai
Yuhi, quindici anni dopo, avrebbe letto distrattamente il nome di Akasuna no
Sasori, Mukenin di classe S membro dell'Akatsuki, nel rapporto che ne
annunciava l'uccisione per mano della ragazzina allieva della Godaime. Si
sarebbe stupita: l'aveva sottovalutata.
Sarebbe rimasta inerte un istante appena, poi neppure quello.
Non lo ricordò mai più.
Non conosceva nessuno con quel nome.
Fin
Glossario
Danna: Maestro. Hiruko: L'orrida marionetta in cui Sasori vive nascosto.
Hitokugutsu: Marionette umane, ovvero la specialità del nostro Sasori della
Sabbia Rossa.
Nota
dell'Autrice
E questo era il mio primo -e credo ultimo- esperimento serio con un
crack!pairing, tutto dedicato alla mia Kaho_chan <3, visto che questa
cosa è nata come una sfida tra noi due. Sfida che, per me, ha vinto lei:
fiondatevi subito a leggere la sua, non ve ne pentirete assolutamente u.u!
Anche perchè lei ha scritto un'allucinogena e fantastica Nonsense, mentre il
mio schifo di flash, quassù, a stento si regge in piedi da solo e a stento ha
una trama, ecco.
Però sono molto contenta d'averla scritta: è stato un bell'esperimento a mio
parere. E, sì, ne sono soddisfatta :) anche se come minimo risulterà una cosa
incomprensibile, incoerente e insensata. Bah.
Ne sono contenta anche perchè grazie a questa sfida sul crack pairing SasoKure
ho conosciuto meglio la Chaòs, che è l'unica Pantera Rosa che sopporti (gyah!),
nonchè allietatrice delle mie serate in msn e con cui confabulo volentieri
riguardo allo ShikaIno *risata satanica*. E che puntualmente mi tira su quando
mi deprimo per i nuovi capitoli di Naruto, ça va sans dire.
Perciò, signore e signori, leggetevi la sua "Carnival Ballroom" e
decretate chi fra noi due ha vinto la Sfida SasoKure ;P!
La
Chaòs: Ne, ti
aspettavi il Pesciolino Suigetsu bello vivo e guizzante? Lo sai che non riesco
a scrivere cose allegre XD Ma sono contenta di averti stupito, insomma, è una
delle ipotesi sull'esito finale dello scontro Kisame/Suigetsu. Purtroppo, non
so cosa voglia fare il Bastardo con quel Team, se tenerlo in vita ancora a
lungo o no, ma ritengo che sia una prospettiva abbastanza plausibile. Insomma,
Kisame è Kisame eh u.u mica il primo che passava di lì. Fermo restando che mi
dispiacerebbe per Suigetsu ç___ç anche se il SuiKarin purtroppo non diventerà
mai Canon, figuriamoci, con l'attenzione che ha il Bastardo per queste cose.
*Scuote i ponpon SUIKA! SUIKA! SUIKA!*
Allur, mi è piaciuta davvero la tua recensione. Non solo perchè è lunga,
analitica e particolareggiata, ma perchè hai colto appieno quello che volevo
dire <3, la malinconia di Karin che all'ultimo momento si ritrova senza
maschera, così, morta in una battaglia che non era la sua, senza aver potuto
dire né fare nulla... Ecco, io l'ho sempre trovata piuttosto forzata come
caratterizzazione quella di Karin, per questo ho dovuto rimboccarmi le maniche
e tirar fuori tutto un passato che giustificasse il suo essere così
sfacciatamente PervertSasukeFangirl. Quel ruolo rigido e vuoto che hai citato
tu è alla fin fine quello che volevo che emergesse: non è stata una ragazza
felice, Karin. Per nulla. Obbligata in panni che non erano i suoi, che ha
indossato per pura testardaggine.
Da brava Recensitrice, hai colto davvero quest'aspetto fondamentale <3 e
sentirti dire che ho dato umanità, spessore e carattere a Karin non può che
farmi arrossire in stile Hinata, aw!
E ti prometto che tenterò di scriverne una seria, di SuiKa. Seria seria.
Serissima u.u E tutta su loro due. E' una promessa, eh! Helen Lance: Vero, le storie in questo fandom affogano, ma per questo io
sono una convinta sostenitrice del 'My fandom MUST DIE u_u', anche se finchè
Naruto è sulla cresta dell'onda dubito che accadrà XD! Allora, sapere che segui
le mie Flavours mi rende davvero felicissima, perchè ti stimo come autrice e ti
ritengo una delle migliori autrici di Naruto, dunque leggere le tue recensioni
mi fa immediatamente schizzare a quota Settimo Cielo.
Guarda, sapere che ti ho fatto leggere qualcosa su un personaggio che non ami
non può che farmi felice. La sfida in effetti è stata proprio questa: dare
spessore e rilievo a un personaggio come Karin, che Kishimoto relega bellamente
allo stereotipo di fangirl-assatanata di Sasuke. Mi ha fatto pietà una ragazza
circoscritta a questo ruolo infimo, ancora peggio di Sakura nella prima serie,
quidni ho voluto giustificare in qualche modo le sue azioni, darle una vita che
non è mai stata allegra, restituirle un briciolo di dignità. Poi se c'è una
cosa che detesto è uno stereotipo, che secondo me mette anche in cattiva luce
una figura femminile.
Femminista incazzosa a parte, se sono riuscita a, come dici tu, creare una
storia verosimile e significativa dal nulla, allora posso davvero ritenermi
soddisfatta di questa one-shot, sebbene la ritenga al di sotto di molte mie
altre schifezzine. Kokky: Oh, ma tu non sai quanto è difficile scrivere di Neji e Hinata
insieme ç___ç! Ho sputato sangue io su quel raccontino, ogni frase, ogni
accenno mi sembrava banale e scontato, per non dire irreale ç_ç! Ok, lo sclero
da autrice affranta è passato, quindi posso rispondere tranquillamente alla tua
adorabile recensione: ti ringrazio innanzitutto per i complimenti e per i
Preferiti (aw *_*!) e spero che continuerai a seguire le mie Flavours. Quando
mi perdo i commentatori per strada mi viene il crepacuore ç_ç, non hai pietà di
me *occhioni sbrilluccicosi*?!?
Per il resto, tu hai centrato perfettamente il punto su cui mi sono
concentrata. Per la prima volta, Hinata è forte, e lo è per Neji, non per
Naruto. Certo, sarà preoccupata per lui, ma egoisticamente lei teme per la vita
di Neji sopra ogni cosa, ed è questo a farle sfidare le regole e le convenzioni
di una vita. Mi fa piacere che questo messaggio sia arrivato anche a te :) è
l'Hinata che spero emerga prima o poi anche nel manga.
Capitolo 8 *** Scenes from the Narcissist Café [ShikaIno] ***
A Letizia,
A Letizia,
che non potrebbe portare un nome più adatto a lei.
Disclaimer: I
personaggi citati appartengono a MasashiKishimoto, che ovviamente si prende tutti i diritti del
loro uso.
Prologo
Un po' discosto dalle altre case, appena dietro il
Grande Emporio delle spezie e di fianco ai campi incolti, dove il sentiero
comincia a declinare nel dolce acquitrino delle
risaie, là si trova un piccolo, raffinato e grazioso caffè
all'occidentale.
Vedrete la facciata immacolata nonostante gli anni di usura,
la porticina tonda a lato, le finestre come grandi vetrate e tende di velluto
scuro a intrappolare i raggi crudeli di luce; annuserete nell'aria il profumo
penetrante ed esotico delle spezie del Grande Emporio miscelarsi con l'aroma
del cioccolato e del liquore, ed esso vi attirerà come il miele con l'ape.
Entrate, coraggio, non abbiate timore: la penombra è
accogliente, familiare, i tavolini tondi color caffè
sono trés chic, le piccole
lampade nere che pendono dal soffitto vi sembreranno gocce di pioggia, vorrete
sedervi e ordinare una bevanda dal nome stravagante e sofisticato,
chiacchierare di facezie con qualche buon amico, portando di tanto in tanto al
naso il bocciolo immacolato di calla stillante d'acqua che riposa nell'elegante
vaso dipinto a motivo mitologico. Ma aspettate un momento.
Non avete letto il nome del locale.
Non potrete ricordarlo se non lo leggete! Cercatelo, cercatelo da ogni parte: sulla facciata,
sul bancone, sui fazzoletti di carta, sulle tazze d'elegante porcellana disposte
accuratamente in cucina, nelle stanze vuote sul retro, nei vicoli del
villaggio, nei volti della gente.
Forse allora qualcuno vi dirà, con la voce incurante di chi pensa a tutt'altro:"...Ah, lassù
c'era il vecchio NarcissistCafé."
Così tornerete verso le ultime case del villaggio contenti e rincuorati,
tranquillizzati dalla vostra fortunosa scoperta; magari azzarderete a
fischiettare un motivetto brioso durante il cammino e i vostri passi avranno
l'andatura danzante dettata dalla soddisfazione.
A cuor leggero supererete l'angolo del Grande Emporio e...
...una spianata d'erba verde sorge al posto del
grazioso caffè all'occidentale.
Scenes from the Narcissist
Café
Parodo
Le bambine sedevano attorno al tavolino, composte
ed eleganti negli orecchini e negli scialli sottratti alle madri, e
nascondevano timorose i visetti paffuti nelle tazze di cioccolata fumante.
Seduta al centro, la ragazzina bionda spostava gli occhi vivaci ora sull'una ora sull'altra, le labbra atteggiate a un sorriso furbo
che lasciava pochi dubbi sui suoi pensieri.
"Yukio-chan?"
La bimba interpellata arrossì e mugolò un flebile:"Sasuke-kun."
"Nana-chan?"
Ancora rossore e occhi sfuggenti, e una vocina ancora più lieve:"...ke-kun."
"Kyoko-chan?"
"Sasuke-kun" annuì sicura la bambina, gli
occhi scintillanti.
"Rei-chan?"
"...Sasuke-kun, Ino-chan"
sorrise civettuola quest'ultima.
"Sakura-chan?"
La ragazzina che portava quel nome arrossì vistosamente;
azzardò qualche parola e il suo balbettio suscitò le risate sfrenate delle
altre piccole signorine, richiamate poi all'ordine da un cenno perentorio di
Ino. Sakura, rincuorata, sussurrò timida:"Io... io veramente non lo so ancora, Ino-chan."
Ino passò oltre:"Mayuko-chan?"
"Sasuke-kun" ammise riluttante quella.
Infine Ino si volse all'ultima bambina, quella che sedeva alla sua destra:"E tu, Nami-chan?"
La piccola si mordicchiò meditabonda un'unghia, e borbottò cauta:"Io ve lo
dico, però... voi non ridete, vero?"
Ino la tranquillizzò con un sorriso di miele:"Non preoccuparti, Nami-chan, nessuna riderà, amenochè qualcuna di voi non voglia farsi tagliare i
capelli come quella Hyuuga."
Un fremito di terrore passò tra le bambine, che tacquero di botto, spaventate.
Allora Nami si guardò alle spalle, circospetta, poi
si chinò in avanti e con sguardo da cospiratrice sibilò:"...Shikamaru Nara."
Le risate delle bambine scoppiarono irrefrenabili come fuochi d'artificio.
"Ecco, lo sapevo, lo sapevo che non dovevo
dirvelo!" piagnucolava affranta Nami.
"Shikamaru Nara! No, dico, Shi-ka-ma-ruNa-ra! Il secchione più antipatico e sfigato del mondo intero!"
"Non è affatto vero, Ino-chan, lui è molto
intelligente, ecco!" aveva replicato Nami punta
sul vivo, ignorata dalle altre bambine.
"Il Re degli Sfigati, Shikamaru
NARA!!! Nami-chan, ma come diavolo fa a piacerti un
tizio del genere?!?"
La bambina, già pronta a ribattere, col viso in fiamme, i pugni stretti e gli
occhi lucidi, aveva preso fiato. Ma in quel momento
dalle cucine era sbucata MadamMei
con un vassoio di pasticcini profumati, invitanti e splendenti nel velo
cristallino di glassa, dunque proprio sul più bello rubò le parole di bocca
alla piccola Nami.
La figura minuta di MadamMei,
donna eterna d'età indefinibile, si era avvicinata al tavolo col magico
contrappunto dei tacchi delle scarpe rosso fuoco e, il viso dipinto dei colori
del belletto e della cipria, aveva puntato gli occhi neri come spilli proprio
su Ino-chan:"Per te
zenzero e cannella, Principessina di Piuma," le aveva dunque sorriso, e la Madre Gea aveva brillato
nell'arco di quei denti rovinati dalla nicotina.
Qualcosa aveva tremato nel sangue di Ino. Era come un
dejà-vu: la sensazione che una parte di lei, chissà
quale e quanto importante, conoscesse già l'arcano nascosto dietro quel
nomignolo e quelle spezie era così forte da farle agrottare
pensosa le sopracciglia bionde, ma tuttavia non da farla intimidire. Non si
tirò indietro, Ino, e compì il suo destino con una lucidità invidiabile, forse
quasi stuzzicata dall'ironia dell'eterno gioco. Profetizzò se stessa e, in
parte inconsapevole, accettò quei doni e il battezzo
di MadamMei.
Sotto lo sguardo sbalordito delle bambine, Ino
sgranocchiò serafica i biscotti allo zenzero e cannella.
Davvero deliziosi.
Non sapeva che, buttato su una collina poco
distante, Shikamaru Nara, testè
insignito del titolo di Re degli Sfigati, a testa in
su si perdeva nelle giravolte delle nuvole bianche e a loro dava lo stesso nome
dei pasticcini di MadamMei:
plumes.
I Stasimo
MadamMei passava meticolosamente lo straccio umido sul bancone,
gli occhi bistrati di kajal nero fissi
sul proprio lavoro. Li alzò appena, indifferente, e tornò a riabbassarli:"Non è qui" pronunciò netta. Shikamaru, sicuro che l'intrico della penombra
l'avrebbe nascosto a sufficienza, spalancò la bocca per lo stupore, poi con un
moto stizzito del capo tornò in sé e, ormai deciso a mantenere quel briciolo di
dignità che ancora possedeva, scivolò fuori dal suo
nascondiglio vicino all'ingresso e si addentrò nella selva di tavolini
vuoti:"Non stavo cercando Ino" ci tenne a specificare. MadamMei, senza alzare gli
occhi dal bancone, si concesse un intimo sorrisino:"Me
l'hai detto tu stesso."
"Eh? E quando?"
"Proprio ora." Shikamaru arrossì; questa volta ci mise un istante di
più per riacquistare il suo indistruttibile autocontrollo. Ma rispose,
supponente:"Lei cosa ne sa di chi sto
cercando?!"
"Ino non viene più molto spesso, come faceva una volta. Non più," MadamMei
lo fissò dritto negli occhi, e Shikamaru si sentì
nudo di fronte a una giuria:"da quando ha voi."
"Non sto cercando Yamanaka Ino. In che lingua
glielo devo dire? In cinese?" sbuffò il ragazzino, stranamente a disagio.
"Oh" MadamMei
parve d'improvviso prenderlo sul serio, "Allora cosa sei venuto a fare
qui?" Shikamaru ebbe l'istinto di arretrare d'un passo,
soverchiato da quell'assalto, ma il suo amor proprio
lo spronò a reagire con orgoglio e con quel pizzico di strafottenza che ormai
lo contraddistingueva, perciò, con sguardo di sufficienza, replicò:"...Non è un bar, questo? Vorrei bere qualcosa."
Un guizzo vivace brillò negli occhi della locandiera, che posò lo straccio e si
volse tutt'orecchi verso l'insperato cliente:"E cosa desideri,
dunque?" Shikamaru Nara aveva dodici anni, un Quoziente
Intellettivo superiore a duecento e un amore sfrenato per le sfide, soprattutto
per quelle perse in partenza.
"Un... un caffè!" proclamò imperioso,
ricordandosi che suo padre lo beveva spesso -ma
non alle due e quindici di un afoso pomeriggio estivo e non una miscela arabica
purissima, che MadamMei
gli servì senza indugi.
Portò la tazzina alle labbra con solennità, bevve tutto d'un
fiato e, oltre a scottarsi la lingua e a sacramentare fra sé e sé, gli venne
un'impellente voglia di vomitare.
Pagò, uscì dal locale con passo leggermente incerto e, appena svoltato l'angolo
con il Grande Emporio, svuotò lo stomaco in una siepe di alloro.
Ma tre giorni dopo l'aroma poroso e forte del caffè torno a solleticargli prepotente la lingua e, dopo
una lunga discussione con la sua coscienza, decise così, proprio perchè casualmente
quel giorno non aveva nulla da fare, non certo perchè avesse un qualche
interesse, di salire su al Narcissist Cafè. MadamMei questa volta gli
servì una brodaglia color biscotto e, alla sua
espressione orripilata, spiegò:"Questa volta ho
aggiunto il latte. Provalo. Oppure hai paura di non essere abbastanza uomo per reggerlo?" Shikamaru e il latte non andavano molto d'accordo: lo
trovava insipido, privo di qualsivoglia sapore e pesante da digerire,
nonostante sua madre lo obbligasse a berne almeno un bicchiere al giorno
"per il calcio", diceva. Ma con il caffè, forse...
Con uno sguardo di sfida inghiottì la bevanda, lasciando che il tepore tiepido
gli sciogliesse i muscoli tesi e i pensieri.
Dalla sala da thé udiva lo scoppiettare vivace delle
risate di Ino, che sedeva a un tavolo con le solite
amiche -ma senza la piccola Sakura-chan-, e a Shikamaru quasi sembrò che quelle risate fresche avessero
colore e consistenza, calore e profumo come quel suo caffè.
"Questa volta ti piace?" fece MadamMei. Shikamaru annuì distratto, gli occhi persi sul
fondo lattiginoso della tazzina.
"Diventerai un cliente abituale?"
"Se lo sogni."
"Dimenticavo che tu vieni qua solo per lei."
"Chi, io? Figurarsi" commentò incurante Shikamaru,
prima di lasciar cadere sul bancone le monete con cui pagare il caffelatte.
"Ah, Nara Shikamaru, tu hai bisogno di qualcosa
di bello per poter vivere, e lei ha bisogno di essere quel
bello per lo stesso motivo. Vi inseguite, e non lo
sapete." Stoccata finale. Shikamaru udì i passi di MadamMei scivolare verso le cucine e il fruscio del suo
grembiule inamidato sparire verso l'interno del locale. Rimase immobile al suo
posto accanto al bancone, l'espressione congelata sul viso: non trovava nulla
con cui ribattere.
Che diavolo voleva dire quella vecchia pazza agghindata da gran dama?! Parlava come se sapesse, e l'arroganza era
qualcosa che Shikamaru non riusciva a tollerare.
Immediatamente le parole della locandiera rientrarono, nella mente di Shikamaru, nella categoria "Incomprensibili", ovvero di tutte le cose che per istinto non voleva sforzarsi
di comprendere e dunque potevano diventare soltanto una selva di inutili e
snervanti seccature. Da cancellare, quindi. Però, chissà perchè poi -di sicuro perchè quel giorno
non aveva proprio nulla da fare ed era molto stanco a causa degli allenamenti
mattutini con Asuma-sensei-, decise di tornare a casa
solo dopo che anche Ino, sempre accerchiata dal crocchio vociante delle amiche,
aveva lasciato il caffé.
Ovviamente, senza averlo salutato.
(Ovviamente.)
I Episodio
Era piuttosto tardi, sicuramente a casa
sua in quel momento l'avrebbero dato per disperso. O forse
no, visto che aveva espresso la chiara volontà di 'levarsi dai coglioni per il resto della sua vita',
ovvero per il lasso di tempo più grande concepibile da
una mente umana. Non aveva voglia degli strepiti isterici di sua madre e dei
sermoni comprensivi di suo padre, non aveva voglia di recriminazioni o di
pacche sulle spalle, non aveva voglia di guardarsi allo specchio e darsi del
deficiente; non aveva voglia di niente, assolutamente niente.
Solo un caffè col latte, magari. Forse quello sì. Nero e bollente, capace di stordire lo stomaco e rendere i nervi
docili come burro. Ma al NarcissistCafé non c'era nessuna MadamMei, quel giorno, bensì Ino, che come un cane da guardia
vigilava sul deserto vagamente folkloristico del
locale. Forse nemmeno lei smaniava dalla voglia di tornare a casa.
"Come sta Cho?" fu la prima cosa che gli
disse, senza neppure lasciargli il tempo di richiudere la porta d'ingresso.
Si sentì stanco, Shikamaru, sfinito.
"...Come vuoi che stia. Sta come stava tre ore
fa, come stava 'sta mattina, come stava ieri e come stava l'altro ieri."
Un silenzio nervoso si tese fra loro, rotto poi dall'amara rettifica di Ino, la voce acuta e mortificata:"Volevo solo essere
gentile." (Il peggio era che Shikamaru
lo sapeva.)
"Sì, hai ragione, ecco, guarda lascia perdere" tentennò quindi,
frustrato.
Altri minuti interminabili di silenzio. Ino che giocherellava coi fregi colorati delle posate, con gli ingredienti
ordinatamente disposti sulle mensole, con i buffi utensili per la lavorazione
del cioccolato artigianale. Shikamaru preferiva tenere gli occhi chiusi, poggiare
la testa sul bancone e dimenticarla lì, come un oggetto senza importanza.
Ino decise di rompere il ghiaccio ad ogni costo:"Chissà
dove sarà la vecchia..."
"La pazza, dici? Bah. Tanto qui non viene mai nessuno. Asuma-senseidice che questo posto sembra una bettola per
scambisti."
"Ehi. Io ci vengo. E anche tu." E anche questo, pensò Shikamaru, era un bel rompicapo.
Ino non conosceva le parole giuste per consolare un tipo così, che sembrava
riconoscere e ridicolizzare una dopo l'altra tutte le sue maschere, come lo
specchio derisorio che le metteva davanti nient'altro che la patetica se stessa
che era, la ragazzina che non piangeva mai, schiena dritta e capelli ben
pettinati, la bambina che abbelliva la realtà per illudersi d'essere qualcosa.
Non avrebbe mai saputo consolare Shikamaru, mai. Però una cosa, quella, sì, poteva farla.
Il ragazzino udì i passi di Ino avviarsi verso il
retro del locale, poi percepì il suono di numerosi cassetti che venivano aperti
e svuotati e infine qualche imprecazione soffocata.
Finalmente Ino riapparve e posò a un centimetro dal
suo viso una... Una scacchiera per lo Shogi.
Come diavolo facesse ad averla, la vecchia, era un
mistero.
"Tu non sai giocare" le ricordò, prima di lanciarle uno sguardo
vuoto. E Ino sentì l'impulso animale di stampargli uno
schiaffo in viso, così forse avrebbe mostrato una qualunque reazione umana. E
Ino gridò, furente per nessun motivo, gli occhi sull'orlo del pianto:"Non ho mai saputo giocare al tuo gioco, Shikamaru, eppure non mi sono tirata indietro! Una
battaglia si combatte a prescindere, altrimenti non è degna di essere chiamata
tale!" Shikamaru non rispose.
La categoria "Incomprensibili" si stava ingrandendo
sempre di più, pensava.
"...Che cavolo stai dicendo?" mormorò infine, disinteressato.
Ino si precipitò come una furia verso l'uscita, con uno strattone spalancò la
porta:" Vaffanculo, Shikamaru,
davvero, vaffanculo!"
E visto che neppure le offese sortivano alcun effetto, Ino disse la cosa
terribile, quella che mai e poi mai si dovrebbe pronunciare, quella detta con
il preciso scopo di ferire:"E' soltanto colpa tua se Choji
è ridotto in quel modo! Sei un inetto, un incapace, un eterno indeciso, ti sei
fatto battere da una donna, hai quasi fatto ammazzare i tuoi compagni e fai
talmente schifo che non riesci neanche a reggerti sulle tue stesse gambe...!"
E Ino singhiozzava -chissà perchè poi.
"Sei talmente amorfo e inconcludente che ti sei già stufato di te stesso,
a tredici anni sei già un vecchio decrepito, non riesci neppure a sopportarti da tanto sei noioso e apatico, e non hai capito niente,
niente, niente!" Ino sbraitava contro le luci lontane del villaggio e
continuava a singhiozzare -chissà perchè, poi. EShikamaru non riusciva ad
arrabbiarsi -chissà perchè, poi.
"Lo pensi sul serio?" sibilò infine.
Fu Ino questa volta a non rispondere: continuava a singhiozzare,
ininterrottamente.
Si volse infine verso di lui, gli occhi scintillanti e il viso paonazzo:"Non ho voglia di andare a casa, Shikamaru,
né di parlare o fare qualunque altra cosa. Voglio solo incazzarmi in santa pace, è possibile secondo
te?" storse il viso tentando di sorridere, senza un briciolo d'allegria. Shikamaru sospirò, sconsolato.
Quella sarebbe stata una notte molto lunga.
"Allora, l'obbiettivo di ogni partita di Shogi è quello di catturare il re dell'avversario: ciò
significa che la tua concentrazione dev'essere
costantemente applicata a questo fine, mossa dopo mossa, e non devi mai perdere
di vista quest'obbiettivo..."
II Stasimo
Ino aveva poche certezze nella sua vita, ma, per
quanto esiguo fosse il loro numero, la fiducia che lei
riponeva in esse poteva considerarsi assoluta.
Ino non concepiva il mutamento nelle cose: dopotutto il sole sorgeva ogni
mattina allo stesso modo, dunque perchè la sua vita doveva essere diversa dal
ciclo eterno degli astri? Lo trovava inconcepibile.
Al primo posto quindi c'era suo padre e il rapporto sereno che si sforzava di
mantenere con lui: proposito molto più facile a dirsi
che a farsi dato il carattere testardo e permaloso degli Yamanaka.
Le litigate erano ordinaria amministrazione, sebbene spesso si protraessero per
giorni e giorni. Ino, poi, non aveva conosciuto sua
madre; era morta in missione, quando Ino era ancora troppo
piccola per ricordare. E la geniale idea che aveva avuto era stato
rinfacciarlo a suo padre in un momento di rabbia. (A cui era seguito il silenzio, silenzio
deluso per settimane intere).
Al secondo posto c'era stato l'essere sempre circondata da amiche.
La prima ad andarsene però era stata Sakura, seguita
poi a poco a poco da tutte le altre, un po' perchè molte non si erano diplomate
Genin e mal sopportavano che
una come la Yamanaka fosse addirittura più brava di
loro, oltre che più bella; un po' per screzi, litigi e gelosie che, pur essendo
infantili, avevano finito per rovinare ogni cosa. I rapporti si erano
incrinati, tesi, sfilacciati, e Ino non aveva più alcuna voglia di riannodarli. Sapeva solo che, dove una volta c'era una
folla vociante di visi allegri, adesso vedeva solo il vuoto.
Al terzo posto veniva la sua Squadra. Squadra verso cui soffriva un irritante complesso
d'inferiorità. Diamine, il suo piccolo mondo di cotte, pettegolezzi e
bei vestiti terminava negli occhi di Shikamaru, nella pazienza di Choji,
nella saggezza di Asuma-sensei. Quello lì era tutto
un altro mondo, da cui Ino si sentiva cronicamente tagliata fuori, nonostante
l'amicizia con Choji e Shikamaru.
Nonostante una settimana prima fosse piombata in casa Nara saltellando e avesse
abbracciato Shikamaru fin quasi a soffocarlo,
gridandogli che gli voleva un mondo di bene (tutto perchè era appena tornato
dalla sua prima missione coiChuunin
del villaggio). Nonostante avesse imparato a cucinare
il maiale in agrodolce, solo ed escluisivamente
quello, perchè sapeva che era il piatto preferito di Choji
e così poteva invitare a cena lui e Shikamaru, quando
InoichiYamanaka si trovava
in missione. Al quarto posto invece c'era MadamMei.
Ino non ricordava neppure perchè da bambina si fosse avvicinata al NarcissistCafé e avesse deciso
di farne la sua seconda casa, né perchè la presenza di MadamMei le fosse così congeniale.
Era, semplicemente, il segno dell'eterno nella vita di Ino,
una cosa che c'era da sempre e sempre ci sarebbe stata. MadamMei le aveva insegnato la dignità, l'amore per se stessa, la scaltrezza. Una donna è tale in qualunque situazione era un suo adagio, che Ino
aveva scrupolosamente adottato.
Però s'era stupita quando i tarocchi di MadamMei le avevano rivelato
qualcosa che non avrebbe mai voluto vedere.
L'Appeso. La Morte. IlBagatto.
Gli occhi di MadamMei erano più scuri del carbone e quasi privi
di luce. La donna stava china sul tavolino, le carte che guizzavano come lingue
di fiamme tra le sue mani e le labbra strette dalla concentrazione, ma la
combinazione era sempre e soltanto quella.
L'Appeso. La Morte. IlBagatto.
L'Appeso. La
Morte. IlBagatto.
Al terzo tentativo, la locandiera si arrese all'evidenza.
"Cosa significa, MadamMei?" chiese Ino, gli occhi asciutti, sebbene sapesse
già tutto.
La donna fece un breve sospiro, riordinò le carte rimaste e tornò al bancone:"Che le cose cambieranno, Ino-chan."
Ino, dura, non battè ciglio:"Le cose non
cambiano mai, Madam. Sono sempre le stesse, per tutta
la vita, sempre"
Non capiva come mai quest'attacco
improvviso arrivasse proprio da lei, dal suo quarto e ultimo punto fermo. Non
lo accettava, Ino, era come una pugnalata alle spalle, che arrivava oltretutto
nel momento più inaspettato, quando si trovava indifesa.
"Mh. Puoi credere a quello che vuoi,
Principessina di Piuma, a quello che ti fa più comodo" ribattè
sarcastica la donna.
"Le cose non cambiano mai. Sono sempre le stesse, giorno
dopo giorno" ripetè incrollabile Ino,
ignorandola.
"Sempre le stesse. Non cambieranno
mai."
"Le cose non possono cambiare."
Ino, sempre più convinta, guardava fisso davanti a sé, la
mascelle serrate e l'alterigia di una regina, poichè
la sua era un'aperta sfida: all'Appeso, alla Morte, al Bagatto.
II Episodio
I pugni al cielo e la gola spiegata, Ino era balzata in piedi:"VITTORIA! Ino Yamanaka
è la numero uno anche allo Shogi! Evvai!!!" Shikamaru aveva guardato il soffitto, poi si era
massaggiato meditabondo le mascelle e in infine si era lasciato sfuggire
un'esasperata esclamazione di fastidio:"Che seccatura!"
"La verità è che ti brucia, genietto dei miei
stivali, non è così?!? Per la seconda volta battuto,
ma che dico, stracciato da una donna! Ti brucia! Ti brucia! Ti
brucia!" canterellava euforica Ino. Shikamaru non l'ascoltava già più, lo sguardo fisso
sulla scacchiera.
"Pe-ni-tenza! Pe-ni-tenza! Pe-ni-tenza! Vediamo, cosa potrei farmi
offrire? La cosa più costosa di tutte, certo! Madam, MadamMei!" chiamò. Shikamaru osservava le pedine, assorto. Pensava. "Madam, due tazze di
cioccolata al GrandMarnier.
Mi raccomando i biscotti allo zenzero e cannella e... Oh, lo so che non siamo
ancora maggiorenni, ma suvvia, Madam, bisogna
festeggiare! E' la prima volta che vinco allo Shogi
contro Shikamaru!!!" Shikamaru, dal canto suo, non obiettò alcunchè, ormai lontano anni luce dal NarcissistCafé. Shikamaru non trovava il mondo un luogo granchè esaltante, anzi, il più delle volte era piuttosto
ordinario, governato dal desolante binomio di azione-reazione.
Però c'erano alcune cose che, doveva ammetterlo, erano
particolarmente belle, perciò degne della sua attenzione.
Le nuvole, ad esempio. Andavano così veloci che spesso Shikamaru
non riusciva ad afferrarle neanche col pensiero e poi erano così... buffe,
belle. Cambiavano continuamente, non annoiavano mai, e la cosa migliore era
sapere che, dovunque fosse andato, sarebbe bastato guardare verso l'alto e le avrebbe trovate lassù, al solito posto. Erano belle ed erano
irraggiungibili, erano i sogni che il pigro Shikamaru
non avrebbe mai avuto né la forza nè il coraggio di
inseguire. Gli bastava, in un certo senso, poterle guardare. Ma da qualche tempo, ecco, il suo cielo era cambiato.
Il vento soffiava più forte nelle orecchie di Shikamaru
e ogni volta era più difficile rimanere fermo, raccontarsi le solite sciocchezze
su una vita tranquilla e monotona al villaggio, invecchiare accanto a una donna né bella nè brutta
-ancora da trovare, tra l'altro-, giocare a Shogi
fino a tarda notte e giorno per giorno fare le stesse identiche cose fino alla
tomba. Non è da me impegnarmi più del dovuto. Non è da me desiderare qualcosa di
diverso.
Io non sono così. Io non sono qui, Shikamaru. Lo distrasse il tramestio di Ino che tornava a
sedersi, la malizia raggiante che ancora non abbandonava il suo viso.
"Non ci credo, ho vinto contro di te! Contro di
TE, capisci?!?" trillò, battendo le mani. Shikamaru lo trovò quasi intollerabile.
"La fortuna del principiante" rispose, sprezzante.
"Certo, come no. Sono solo due anni che
mi hai insegnato a giocare a Shogi" replicò con
una spallucciata Ino.
"I veri maestri hanno imparato a giocare nella culla" le fece notare Shikamaru.
"Oh, ma crepa, sei un dannato
guastafeste!!!" Ino gli fece la linguaccia, "Questo dev'essere senz'altro un segno di buon'augurio
per l'Esame di domani!"
"Esame che dovresti preparare, appunto."
"Vecchio, vecchietto barbogio. Sono o non sono semplicemente la Numero Uno?!" Ino sbattè languida le
lunghe ciglia.
"Ti ricordo che il qui presente vecchio barbogio, unico del suo anno, li
ha passati al primo turno, gli Esami di Selezione dei Chuunin.
E adesso è un Esaminatore."
Ino sorrise angelica, dopodichè si allungò verso di lui e gli stampò un bacio
che, forse per caso o forse no, si fermò sull'angolo delle labbra del ragazzo:"Appunto per questo so che lo passerò, Shika."
Poi si risedette al suo posto, il sorriso capace di entrare
nel cuore tanto era luminoso. Shikamaru brontolò qualcosa d'indistinto, poi roteò
gli occhi e seppe di avere le orecchie color rosso carminio:"Che
seccatura! Mi spieghi dove vuoi andare a parare?"
La risata argentina di Ino si frantumò in una vena di
tenerezza:"Ma sei proprio un'idiota, io l'ho detto. E
non capisci niente, niente! La fiducia, Shikamaru, la
fiducia: di chi diavolo vuoi che mi fidi a questo mondo, maledizione?! Niente, non capisci niente. Non capisci che è a te che
affido il mio corpo nelShitenshin,
non capisci che ogni volta guardo te prima di attaccare, non capisci che so che
l'Esame andrà bene perchè non può succedermi nulla se sono con te?
E adesso non montarti la testa, stronzo"
concluse, regalandogli una teatrale smorfia disgustata. Shikamaru sbuffò ancor più sonoramente. Però era
sicuro che, scarogna di tutte le scarogne, la piega delle labbra stava correndo sempre più in su, verso il sorriso, e non
poteva fare nulla per evitarlo. Che
seccatura!
Il vento poteva fermarsi, forse, se qualche volta Ino era con lui. Bastava
poco, davvero molto poco, ed Ino era pur sempre qualcosa.
Allora si accorse di essersi di nuovo soffermato a fissare i pezzi immobili
sulla scacchiera.
D'improvviso un dettaglio che prima non aveva considerato gli balzò lampante
davanti agli occhi, eloquente come un libro stampato, così macroscopico
da passare paradossalmente inosservato, almeno fino a poco prima.
"Ino."
"...Mh?"
"E' un Fu*, quello."
"Eh? Ma che dici?"
"E' un Fu, una pedina, non il mio Osho*."
"COSA?!?"
"Non vedi? Guarda l'ideogramma. Ti sei confusa coi
caratteri katakana."
"..."
"E' piuttosto frequente, sai, succede anche ai migliori. Una svista e puf: un errore madornale pregiudica tutta la
partita."
"..."
"Non hai ancora vinto contro di me, Ino. E il GrandMarnier questa volta lo
offri tu, del resto hai voluto decidere per forza la penitenza...
Allora? Riprendiamo a giocare?"
"Shikamaru?"
"Sì?"
"Sei uno stronzo."
"Anch'io ti voglio bene, Ino."
III Stasimo
L'insegna era stata staccata quasi del tutto: soltanto un alone appena
più scuro s'intravedeva là dove una volta si strotolavano
i corsivi eleganti e un po' pretenziosi della parola "Narcissist".
Sakura spinse la porta d'ingresso ed entrò; non udì
il familiare tintinnio del sonaglio appeso allo stipite, segno che anche questo
doveva essere stato tolto e gettato chissà dove.
La confortante penombra del locale era stata sostituita dalla luce elettrica
delle lampade al neon, e una delle due sale era già stata svuotata, ripulita e
riverniciata, cosicchè non recasse
traccia del passaggio del NarcissistCafé. Sakura raggiunse il bancone in silenzio, gli occhi
che vagavano alla ricerca delle ombre di vecchi ricordi, ed era quasi sicura di
scorgere a ogni passo il baluginio
della coda bionda di Ino, le risate delle ragazzine, il profumo di cioccolata
appena preparata e quello dei fiori freschi nei vasi, ma non sentiva alcun
odore, se non quello soffocante della polvere accompagnato dalla nota
plastificata della vernice appena stesa. (Se ne sta andando via tutto quanto, Sakura).
Bussò appena con due nocche sul bancone, per richiamare l'attenzione della
proprietaria. MadamMei si
fece attendere e, quando fece capolino dalle cucine, le puntò in viso due neri
occhi diffidenti:"Buonasera", salutò. Sakura chinò appena il capo, le mani strette al
bancone, e ricambiò cortese il saluto.
"Sono venuta a dirle che è tutta colpa sua"
aggiunse poi, qualche istante dopo. MadamMei si avvicinò al bancone, i passi felpati e il viso
imperturbabile di una statua. Non disse una parola e Sakura
interpretò il suo silenzio come un invito a proseguire:"Per
Ino, dico. E' tutta colpa sua." MadamMeireplicò con un buffo suono derisorio della gola, come se si
sforzasse di trattenere le risate. Sakura si
spazientì e la linea della sua mascella si fece dura d'acciaio:"Non rida di me. Sa benissimo che è soltanto colpa sua
se le cose sono andate in questo modo. E' lei, lei sola la causa di tutto. E adesso, adesso che il danno è stato fatto, lei
scappa con le sue cioccolate e i suoi tarocchi. Si vergogni" la voce di Sakura era andata man mano incrinandosi fino a divenire acuta. MadamMei rise, con quella
risata bassa e roca, una risata scura come la sua pelle bruciata dal sole.
"Non rida di me!!!" sibilò Sakura fra i denti, la mano stretta a pugno sul bancone,
"Non capisce? E' stata lei a creare Ino, lei. Di lei si fidava ciecamente,
da lei ha imparato a truccarsi, a indossare vestiti
eleganti, a comportarsi come una divetta da due
soldi. E' stata lei a fare di Ino ciò che è adesso, è
stata lei a... a rovinare ogni cosa!!!"
Allora MadamMei decise di
risponderle, e quando parlò lo fece con un filo di voce morbido come zucchero
fuso. Con una mano carezzò l'unica lacrima che correva lungo la guancia di Sakura, poi le rispose:"Tu
cerchi un responsabile, Campo di Fiori, e non ti chiedi se non stia in voi
stesse." Sakura tacque, il respiro quasi impercettibile e gli
occhi cristallizzati nell'amarezza della sorpresa. MadamMei proseguì:"Non esiste colpa, Campo di Fiori, esistono scelte,
quelle che tu non accetterai mai, perchè vorrebbe dire che loro non
hanno più bisogno di te. Ma tu vuoi che abbiano
bisogno di te, quanto tu hai bisogno di loro: è la maledizione di Solveig, che per anni e anni ha aspettato PeerGynt, che tornò da lei solo
in punto di morte. Ma quegli anni, quegli anni
splendidi che lei ha consumato nell'attesa, non le sono parsi una gran cosa,
sai? Sono sbiaditi in un colpo non appena lei l'ha rivisto... e lì ha saputo,
Campo di Fiori, ha saputo che anche una vita come la
sua, sì, ache una vita del genere valeva qualcosa,
che aveva vissuto solo per rivedere il viso di PeerGynt dopo un'intera esistenza trascorsa senza di lui, e le è
bastato, capisci? Quell'istante di pura gioia
celestiale l'ha salvata, le ha consegnato la
redenzione.
Ma tu cosa farai, Campo di Fiori, continuerai a cercare?"
"Sì" rispose Sakura, la voce fredda e
incolore:"Finchè avrò
vita. Non mi arrenderò mai. Continuerò a cercare ciò che ho perso."
"E se tu non dovessi trovarlo?"
"La bellezza di una ricerca sta appunto in questo."
"Sei libera di vivere come preferisci, Campo di Fiori."
Il viso di Sakura fu d'improvviso animato da un
impeto di sdegno:"La finisca di chiamarmi così, ho un nome, io. La finisca
di appestare le nostre vite. Se ne vada, sparisca e non torni
mai più, lei ha rovinato Ino e ogni cosa" la sua voce tuonava di nuovo,
adesso. MadamMei non le prestò
attenzione e dalla tasca del grembiule frusciarono come foglie nel vento tre
Arcani Maggiori. Sakura se li ritrovò davanti agli
occhi.
"L'Appeso. La Morte. IlBagatto.
Non vedi? Non vedi niente? Guarda l'Appeso e vedrai un maestro ucciso da un
criminale, vedrai la straziante agonia che l'ha sbalzato fra cielo e terra,
vedrai il grido del corpo offeso e straziato, vedrai l'istante eterno del
lamento.
Poi viene la Morte
con una falce orlata di sangue, i capelli bianchi e gli occhi di luna gelida, e
calerà la sua arma infinite e infinite volte, cercherà
la fine negli occhi di chi può averla, mentre lei, immortale, avrà tutta
un'eternità per invidiare il termine della vita e il silenzio quieto
dell'anima. Ma il Bagatto, il Bagatto? L'alchimista svogliato, il genio
che cerca la pietra filosofale o la quadratura del cerchio, il piccolo mago
ragazzino, il segno del mutamento nella vita umana.
Ancora non capisci? Ancora non hai capito cosa significano? Sono lo Stallo, la Fine e il Nuovo Inizio."
"Silenzio" il tono di Sakura
era arido, così come i suoi occhi:"L'ho capito. Crede che sia così stupida
da non arrivarci?!"
"Credo che ti serva trovare un colpevole, Campo di Fiori, anche quando non
c'è." Sakura una volta aveva visto di sfuggita Hidan, il criminale che aveva ucciso AsumaSarutobi, ma in quel momento lo rivide sogghignare
macabro nell'illustrazione della carta, gli occhi freddi e immortali, l'ascia
tra le dita e il sorriso asimmetrico di spregio che prefigura la Fine. Hidan,
ironia della sorte, combatteva davvero con un'ascia. MadamMei, tutto d'un
tratto, divenne seria e incolore:"Ino-chan lo sapeva. Sapeva che sarebbe stata questione di
tempo, niente più, e l'Appeso si sarebbe mutato in
Morte, per poi essere vendicato dal Bagatto.
La frana era sospesa sul suo capo, ma non ha voluto spostarsi di un solo millimetro
per evitarla." Sakura, frustrata, diede un sonoro pugno sul bancone:"Per questo, dannazione, la colpa è solo sua! Lei
gliel'ha rivelato! Lei gli ha detto che Asuma sarebbe stato ucciso e che si sarebbe innamorata di Shikamaru, lei gliel'ha detto e l'ha condannata a vivere
questa storia riga per riga, fino alla fine!"
Lo sguardo di MadamMei
divenne ancora più opaco:"E' stata Ino a voler sfidare la sorte. E' stata
lei a scegliere l'ostinazione, Campo di Fiori. Non voleva che le cose
cambiassero e invece grazie ai suoi sforzi è cambiato
tutto, irrimediabilmente." Sakura ammutolì, il viso congelato dallo stupore e un
grumo di pianto che le premeva la gola; con un sussurro fioco
protestò:"Non è vero, non è così, lei è-"
"Ino-chan ha fatto esattamente ciò che non
voleva fare.
Ricomincerete a vivere, certo, ma non adesso: resta ancora l'Ultimo Atto, Campo
di Fiori..." Il sorriso dolcissimo di MadamMei
si allargava pian piano e aveva qualcosa di enigmatico
e profondamente agghiacciante insieme, come probabilmente doveva essere il
sorriso disumano di Atropo, colei che con un colpo di forbice recide il filo
della vita...
III Episodio
La prima volta che aveva messo piede lì dentro era stato colpito dalla penombra, dal profumo dolce
di cioccolata, dai piccoli tavolini rotondi e dalla grazia leziosa dello stile
occidentale che traspariva a ogni angolo.
Quei tavolini non c'erano più, ne rimanevano giusto un paio così usurati che
non era valsa la pena portarli via, e si poteva disegnare con le dita sulla
loro superficie grigia di polvere. Qualche vecchia sedia, l'antico bancone
scheggiato e rovinato: era tutto ciò che rimaneva.
"...Quando pensavi di dirmelo?" gli abbaiò contro Ino, squadrandolo con astio, prima di lasciarsi cadere su una vecchia seggiola
impolverata, il mento proteso a mo' di sfida e le sopracciglia che disegnavano
un arco.
"Allora?! Sto aspettando una risposta, genio. Quando
pensavi di dirmelo? Domani, forse? Capisco. Anzi no,
avresti aspettato il giorno del matrimonio, certo, così da lasciarmi la bella
sorpresa per ultima. Fottuto
bastardo," digrignò i denti, carica di disprezzo.
"Non me l'avresti neanche detto, non è vero? In
fondo che importa dirlo a me, cosa devi a me, solo anni di amicizia e infinite parate di culo
in missione, non merito certo di sapere che Shikamaru
Nara si sposa con Temari del Deserto, con cui
evidentemente scopa da mesi, dopotutto è una notizia così normale.
E levati di bocca quello schifo quando parli con me,
per favore."
Meccanicamente Shikamaru obbedì e spense la sigaretta
su quel pavimento di pietra levigata che mai più nessuno avrebbe calpestato.
Sostenne lo sguardo incendiario di Ino per un tempo
che gli parve incommensurabilmente lungo, ma non volle sforzarsi di rispondere.
Ino si morse le labbra con foga e parlò di nuovo, la voce troppo pacata per non essere artefatta:"Era... era solo una
seccatura in più, lo credo bene. Io sono solo una seccatura per te, lo sono
sempre stata, per questo è più facile scappar via con Temari,
via da tutto quello che è più complesso di una partita a Shogi.
Temi ogni cosa che esula dalla tua comprensione, dunque perchè dire a Ino che ti sposi? Perchè? Non hai voglia di lei, delle sue
domande, delle sue scenate... Tra qualche giorno e te ne andrai,
penserà il tempo a sistemare il resto. Tu non concedi neanche
il lusso di un'ultima parola."
"No, non è questo" si oppose Shikamaru,
un barlume di fermezza negli occhi scuri come l'ebano.
"E allora cos'è? Avanti, parla, sono qui" lo
esortò Ino sarcastica.
"E' che,"
ammise cautamente Shikamaru, "che se te l'avessi
detto, non sarei più riuscito a sposarla."
Una scarica elettrica attraversò il corpo di Ino, che per un istante credette
di essere morta.
Ma le sue ciglia batterono una, due, tre volte; la sua
cassa toracica si rilassò e contrasse una, due, tre volte al ritmo sempre
uguale del respiro; dunque era viva, tutto andava bene.
Ebbe voglia di scagliargli contro il tavolino impolverato, perciò rimanere
ferma le costò uno sforzo tremendo, quasi inumano.
"...Cosa stai dicendo?" chiese, la
voce pericolosamente fievole. Shikamaru forzò un ghigno che sapeva di caffè amaro:"Quello che da
sempre rifiuti di vedere, da codarda quale sei."
"Sei TU in codardo, io-"
"Tu esci con Sai da quasi un anno. E c'è stato bisogno di Choji perchè io lo sapessi, dato che tu, oh tu non hai mai
pensato di dirmelo."
Ino fu costretta, suo malgrado, al silenzio, le gote
in fiamme e gli occhi in cui brillava una collera lucida.
"Tu dici che io scappo, Ino, e forse hai ragione:
ma tu, tu ti ostini a restare sempre uguale e sempre la stessa, tu non accetti
di cambiare e ti opponi con tutte le tue forze quando accade, tu non vuoi
crescere né mutare e pretendi che tutto ciò che è intorno a te resti
immobile!"
Ino lo guardò con occhi come lampi:"Tu non c'eri, Shikamaru."
Il ragazzo allora rise, quasi latrò selvaggiamente a quell'affermazione:"Certo,
come no. Tu invece dov'eri quando Sakura
si batteva per proteggere Sasuke e Naruto? Dov'eri quandoChoji si è quasi fatto ammazzare per riportare indietro
quel fottutoSasukeUchiha, dov'eri quando i migliori Genin
di Konoha si sono ridotti in fin di vita per
recuperare il bel faccino che voi ragazze amavate tanto, dov'eri quando Asuma ha gridato in un modo da far gelare il sangue nelle
vene, dov'eri quando l'ho vendicato e ho deciso che questa vita faceva davvero
schifo?!?
Dov'eri, eh Ino, dove cazzo eri??!"
Adesso era a un passo da lei, le aveva gridato tutte quelle accuse sul viso. La Yamanaka,
vinta, aveva abbassato il capo seppellendolo nel petto e, le mani pallide
strette sulle ginocchia, fissava in silenzio la piega stazzonata dei pantaloni
di Shikamaru. Sempre il solito svogliato.
Non cambierà mai. Ma appunto per questo io...
Ino alzò il capo, giusto per vedere la porta
sbattere e l'impressione fugace di Shikamaru che
andava via, via. (...Via?)
Esodo
(Shikamaru si era allontanato di
qualche metro quando il NarcissistCafé, semplicemente, era esploso in una colonna
vibrante di fuoco rosso)
Ma Ino, non appena si accorse che lui se n'era
andato, non riuscì più a trattenere le lacrime che tutte
insieme premevano contro i suoi occhi.
Crollò la testa sul tavolino e nascose il capo fra le braccia, scossa dai
singulti affannosi che le rompevano il respiro.
"Non puoi andare, tu... tu non puoi andartene,
non hai ancora capito che io..." Scosse la testa sul legno freddo e sentì
le lacrime impastarsi con la polvere:"Non ero
innamorata di Sai, ma lui poteva andar bene se così non avrei avuto..." cantilenò querula con un filo roco di voce. Come doveva
sembrare brutta in quel momento, una brutta, patetica donna che piange. Si sarebbe detestata se avesse
potuto vedersi, ma le sue lacrime continuavano a cadere una dopo
l'altra, non le concedevano tregua.
Gridò al niente, le unghie conficcate nel palmo e una smorfia animale di dolore
sul viso:"Io non dovevo volere TE, era assurdo,
privo di senso, folle! Non si è mai sentita un'eresia del genere, non c'è cosa
più sbagliata che noi due!
E invece volevo proprio te, solo te, ogni minuto, ogni secondo, ti correvo
incontro credendo di scappare..."lo ripeteva ancora, con la stessa voce acuta di bambina
allucinata, mentre sentiva il cuore implodere nel petto e il sangue impazzire
nelle vene, letteralmente impazzire.
"Non te l'ho mai detto, è vero" sussurrò piano, quasi temesse di
svegliare qualcuno, "Ma adesso l'ho fatto, adesso sono qui, perciò non
puoi andartene, ti prego, te lo ripeterò ogni giorno della mia vita fino alla
nausea, 'Ti amo, Shikamaru',
e ti ci abituerai talmente tanto che non potrai pensare a un risveglio senza
queste parole..."
Silenzio. C'era solo il rumore del suo respiro a risponderle, con una puntuale
precisione monotona. E' troppo tardi, troppo tardi. Non è più qui.
Il tocco leggero sulla spalla la fece sussultare.
E in un attimo, un solo battito di ciglia, Ino fu tra le braccia di Shikamaru mentre
sconnessamente chiedeva perdono.
Ma, suo malgrado, percepì qualcosa di insolito in lui. Sentiva freddo, Ino, e la consistenza
impalpabile dell'aria: soprattutto, le narici cercavano l'odore acre del fumo e
non lo trovavano. Si irrigidì.
Lui se ne accorse, perchè lasciò che la ragazza
arretrasse molto lentamente, prima di parlare piano, la voce tranquilla e
pacata di chi spiega un teorema difficile a un bambino:"Ino, non sono Shikamaru." (...E il mondo crolla)
"Tu vuoi vedermi così, dunque ho assunto questo aspetto. Ma il mio nome è Thanatos, eh" Shikamaru
abbozzò il sorrisino incolore che di solito Sai si
stampava sul viso; Ino rimase inerte come un pezzo di ghiaccio, gli occhi
sbarrati, eppure Thanatos proseguì senza
scomporsi:"Questo locale è appena saltato in aria. Non chiedermi il
perchè, guarda, non me lo dicono mai.
Solo che tu non sei morta, non tecnicamente almeno: pare che tu abbia più
fortuna di quanto credi."
Ino a poco a poco riuscì a percepire una luce sinistra in quel sorriso, un
baratro infinito negli occhi neri, la sensazione sfumata della pelle. Era come
trovarsi di fronte a un ricordo triste di Shikamaru, una fotografia scolorita dalla pioggia.
Perciò, disorientata, schiuse appena le
labbra:"...Eh?"
"Vuoi andartene o preferisci restare? Non hai molto tempo per decidere,
sai, lassù potrebbero anche spazientirsi."
Ino non rispose.
"Non mi sembravi molto felice poco fa, sicchè,
se decidessi di venire con me, smetteresti di piangere per questo tizio come facevi prima. Basta che tu mi segua e ce ne
andremo" con uno sbadiglio, Shikamaru
-che non era quello vero- indicò la porta del locale.
"...Morirò?" fece Ino, la voce infantile e titubante. Shikamaru -che non era Shikamaru-
sospirò:"Beh, il termine tecnico è quello. Ma non sentirai alcun dolore, si tratta soltanto di passare
attraverso una porta."
Ino tacque; riflettè in silenzio per un interminabile
minuto, i grandi occhi spalancati e nessun respiro a danzarle nel petto. Poi
parlò piano, la voce ridotta a un
sussurro:"Se," chiese:"Se torno indietro, allora Shikamaru sarà di nuovo con me?" Non riuscì a
nascondere la lieve nota di supplica che si struggeva in quelle parole.
Il finto Shikamaru scrollò le spalle, ovviamente
incurante, e si schiarì la gola:"Sarà come prima.
Ino, questo posto è esploso, sarai ferita gravemente,
soffrirai. E' vero che lassù si sono sbagliati, ma comunque
di poco.
Se questo tizio starà con te o no dovrà deciderlo, non
ti pare? Non dipende affatto da me o da chiunque altro
non sia voi due."
Ino annuì molto lentamente. "Ho capito,"
disse. E tese la mano verso Shikamaru
-sempre più leggero ed evanescente di quello reale- e seguì docilmente i suoi
passi.
La porta, quella l'attraversò da sola, in silenzio.
Ma, inaspettatamente, aprì gli occhi e vide luce, luce
e il viso di Shikamaru, quello vero
però.
Non ti lascio andare via. Non
ti lascio andare via. Non ti lascio andare via mai più.
Fin
Glossario Shitenshin: la Tecnica del
Capovolgimento Spirituale della nostra Ino-chan.
Fu: pedina. Osho: Re Bianco. Shikamaru
ovviamente gioca coi Bianchi, e Ino coi Neri :). Thanatos:La Morte, signori miei.
Arwen5786: La tua recensione mi ha
fatto davvero molto, molto piacere *O*! Credimi,
vedere che mi segui e recensisci le mie storie mi fa andare in brodo di
giuggiole, io ricordo la tua "Liebe...?" che mi ha tolto il fiato, e non vedo l'ora che tu
ti lanci nell'impresa di un'altra SasuSakuu.u (messaggio subliminale XD!).
A parte questo, hai scritto un'analisi attenta e corretta di Sasori, Kurenai e Deidara, hai colto perfettamente qual era
il senso della faccenda. Temevo che il parallelismo con la madre di Sasori non si capisse ç_ç in
fondo non sappiamo nemmeno come si chiami e l'abbiamo
vista viva solo in una puntata, per il resto è una marionetta.
Ma... Un'intera raccolta NejiHinaO_O?!Argh! Ma
io muoio ç_ç! Mi son fatta
venire un esaurimento per quella sola one-shot,
davvero, avevopaurissima
che venisse male ._. e poi tutta la faccenda dell'incesto... eh... me un po'
moralista in questo caso. Ma soprattutto, ho una
piccola vena NaruHina che in fin dei conti mi
dispiace soffocare. Una raccolta no quindi, però non è escluso che, ispirazione
permettendo, rifaccia qualche incursione nel NejiHina
(è tutto merito -o colpa XD?- della Kahou.u).
Tra l'altro, immagino tu non abbia letto questa storia
XDDD quindi perdonami, ma purtroppo da questo lato siamo inconciliabili ç_ç! SPOILER E vedo che tra l'altro il 402 ha commosso anche te... Io sono stata male
tutta la sera, guarda. Non so davvero più che pensare né di Itachinè di Sasuke,
e soprattutto quest'ultimo ormai non ha più vie
d'uscita. Io speravo che facesse la scelta giusta, che capisse che così facendo
sta buttando al vento tutto ciò per cuiItachi ha vissuto e invece... invece. Che
amarezza, cara Arw -o cara Cami?-,
che amarezza ç_ç! Piangiamo insieme! FINE SPOILER Helen Lance: Anch'io vedo bene le crackItaKure (misà che tutte e due abbiamo letto la stessa storia di
Chiara/Artemisia XD!), però questa volta ho voluto lanciare a Kaho_chan una sfida che fosse crack al 100%, pescando a
caso due personaggi che non si sono mai neanche parlati. E così, Sasori e Kurenai XD!
Sono contenta che ti sia piaciuta; la scelta della seconda persona mi è
abbastanza congeniale, ti dirò, molto più della prima
e della terza, però tante volte non sono sicura di gestirla bene e sapere che
ci sono riuscita mi rende davvero felice *.* e grazie per gli apprezzamenti ai
personaggi (sono IC, menomale! Avevo il dubbio fino alla fine!), il rapporto
fra Sasori e Deidara è
penso uno dei più divertenti e piacevoli da leggere di tutto il manga, sinceramente mi è quasi venuto naturale scriverlo. E mi fa piacere che quel "Parla." finale ti piaccia, in fondo si è come scritto da solo :)
l'unico cedimento di Sasori non poteva che essere
misurato, quasi impercettibile.
Tra l'altro, grazie per aver recensito "Remedios
la bella". E, sì, quel libro è un'allucinazione, hai proprio ragione :). E per quanto riguarda i ritardi, tranquilla^^!
L'importante è sapere che mi leggi, cosa che mi fa alquanto piacere, credimi! Kokky: Io non ti ho ancora ringraziato
a dovere, Koks, per la recensione lunghissima e
analitica che tu hai scritto a "Remedios la
bella". Cioè, non era proprio analitica, era
emozionata, era scritta "di pancia" come direbbe il mio insegnante di
teatro, e per questo io ti ringrazio moltissimo, leggerla e rileggerla fa un
piacere immenso, dà davvero la forza di scrivere qualcosa e di tentare di
migliorarsi sempre di più ogni volta, perchè a ogni riga della mia storia tu
hai trovato un emozione e questo mi fa brillare gli occhi dalla gioia *O*!
Poi poi, vediamo. Allur, la
questione NejiHina. Beh, per esser carini son carini, è vero, però l'incesto in effetti
mi crea qualche problema. Sono cugini legalmente, ma sono figli di padri
gemelli omozigoti, dunque biologicamente sono quasi fratellastri -e non è
perchè sia reato, è proprio che non riesco a concepire una passione all'interno
di una famiglia. Però, nel senso, se un pairing piace
c'è poco da fare :) io non cambierò mai idea sul SasuSaku, neanche se Sasuke -come
sta facendo ora >.<- si dimostrasse un emerito cretino o neanche se il SasuSaku diventasse semplicemente irrealizzabile^^!
Ma sono contenta che alla fine da qualche parte un senso nella SasoKure ci sia XD putroppo era
una coppia davvero difficile, mi sono proprio andata a complicare la vita :)! Muppello: Ti ringrazio del commento^^! Putroppo né Sasorinè il pairing erano semplici da
trattare, quindi mi fa piacere che i miei sforzi siano andati
a buon fine *O*! StAkuro: Eh sì, "myfandommustdie", lo ripeterò fino allo sfinimento é.è! So che verrò seppellita dalla mole di storie anche
questa volta, sighsigh,
non c'è verso di resistere all'Ondata. Peggio degli Spartani di 300! Ma comunque... Qua la mano compagna SasuSaku
*O*! Finalmente qualcuno con cui sproloquiare per ore
sulla bellezza estrema di questo pairing *_*! Anche
se Kishimoto ci distrugge lentamente speranza dopo
speranza, noi non molleremo u.u perchè il SasuSaku conquisterà il mondo, prima o
poi, dovessimo anche aspettare mille anni *O* (ma se si smuove prima,
magari...)!
Comunque, veniamo alla fanfiction. Guarda, condivido
il tuo stesso pensiero su Karin, perchè sinceramente Kishimoto l'ha dipinta come uno stereotipo che non fa per
niente onore alle donne, dunque mi sono imposta di scrivere qualcosa che la
riabiliti, diciamo. E hai ragione: il pensiero:"Ma che diavolo ci fa Karin
in mezzo al Team Hebi?!?" viene spontaneo e
naturale, in fin dei conti è venuto anche a me tentando di dipingerla come un
essere umano e non come una Fangirl Pervertita di Sasuke. Sono felice che ti sia piaciuta :)
Io sostengo le KarinClever,
non le KarinBitchu.u basta ragazze che sembrano mostri affamati di sesso è.é! E' stata una caduta di stile pazzesca creare un
personaggio così, senza un briciolo di spessore. Kishi-san
mi ha deluso u.u e speriamo di leggere presto qualche
bella storia su Karin, che le restituisca un briciolo
di umanità!
Per la faccenda SuiKa... Beh, questo è un mero gusto
personale, visto che li trovo assolutamente esilaranti insieme XXD e so che non
saranno mai Canon,
appunto perchè Suigetsu...ehm, hai detto tu.
Solitamente le relazioni amore/odio non mi piacciono, ma con loro faccio un'eccezione.
Sono così isterici, folli e sadici che li trovo fantastici. Scrivere una SuiKa seria sarà durissima, tra l'altro ç_ç! Karin con Orochi-sama...?! Mah, guarda che anche Orociok
gioca nell'altra squadra, per così dire XD! Poi, vabè,
a me sembra totalmente incapace di provare alcunchè
per un altro individuo, amenochè ovviamente non sia
di sesso maschile (vedasi Sasuke e soprattutto Kimimaro), poi io sono affezionata alle OroAnko,
ecco. ...Ma quando la scrivi una bella storia su Karin ;)?!?
...E, dulcis in fundo...
La Chaòs: ...Pesce d'Aprile! Anzi, Pesce di Giugno XXD!!!
Tesoro, lo so che da oggi in poi mi odierai d'un odio feroce, dato che ti ho
detto apposta che non sarei riuscita a scriverti niente quando avevo tutto già
bello pronto in attesa del 1 Giugno XXDDD Ma spero d'averti fatto una sorpresa
che sia quantomeno piacevole e insperata.
La tentazione di farla finire male era fortissima, ma alla fine ha vinto la
parte buona e cucciolosa di me stessa: mi son detta che ogni tanto ci vuole un cielo azzurro anche
per Ino e Shikamaru, e per una volta poteva essere Temari quella che viene lasciata
all'altare, non ti pare ;p?! Poi in qualche modo dovevo ricordarti che WhiteisBeautiful,
quindi non lasciare che questo mio appello cada nel vuoto ç_ç!
A parte gli scherzi, spero che quella cosa lassù ti sia piaciuta, come
vedi è un po' Nonsense un po' Sovrannaturale, c'è del
filosofico qua e là e dell'onirico un po' dovunque. C'è la divisione della
tragedia greca (che personalmente amo) dato che il titolo "Scenes" ispirava una serie di atti
teatrali.
Ci sono Shikamaru e Ino, perciò spero di averteli
avvicinati un po' :) e spero che questo sia un bel
regalo per i tuoi diciotto anni.
Anche perchè, alla fin fine, è solo un invito ad accogliere tutti i cambiamenti
che verranno, uno dopo l'altro, trattenendo per te la parte migliore di ognuno
di essi. E' così, dicono, che si cresce.
Dunque vivi splendidamente questi diciotto, che in fin dei conti sono solo un
numero, troppo piccolo per descrivere una persona :).
Capitolo 9 *** Darling, we'll be an army of two [PeinKonan] ***
Personaggi SPOILER per chi segue il manga in italiano
Personaggi
SPOILER per chi segue il manga in italiano.
Disclaimer: I personaggi citati appartengono a
Masashi Kishimoto, che ovviamente si prende tutti i diritti del loro uso. La
canzone riportata alla fine dei paragrafi è The World of Midnight,
ending del 15esimo episodio dell'anime Black Lagoon, che amo
incondizionatamente e alla follia. La lettura di questa storia è consigliata
con la sopracitata canzone in sottofondo.
Darling, we'll be an army of two
La piana correva fino
alla fine del mondo, brulla e spoglia come il volto spigoloso della luna.
Pioveva, come in ogni giorno importante della sua vita: pioveva senza sosta,
come se l'acqua cadendo dal cielo sfogasse sulla terra tutta la sua collera, ma
Konan non se ne accorgeva neppure. Avrebbero potuto piovere le stelle e avrebbe
continuato a non accorgersene.
"Yahiko," singhiozzò, "Yahiko, Yahiko." Yahiko, Yahiko, Yahiko.
Yahiko non poteva risponderle.
La pioggia cadeva fitta; le gocce impietose si accanivano sui tre ragazzini
come una cascata di sassi, scivolavano sui loro visi con la rapidità di mille
dita liquide e correvano giù, nelle spaccature aride del terreno, che le beveva
d'un fiato. Correvano, le gocce correvano, disegnavano una simmetria
trasparente sul volto di Yahiko, si mescolavano alla macchia bruna del suo
sangue.
Le lacrime non esistevano quando pioveva: questo, pensava Konan, era il solo
lato positivo.
Oltre al fatto che Nagato, ovviamente, non piangeva mai.
Konan cadde in ginocchio.
Le sue gambe danzavano al ritmo della pioggia, tremavano così forte da non
riuscire più a sostenerla. Ma non era niente in confronto al rombo di tuono che
le vorticava impazzito nelle orecchie, che non le permetteva di pensare e le
sussurrava malevolo il nome di Yahiko.
Lontano, oltre la
bufera, dove il vento gridava tutta la sua ira mulinando la pioggia in un
turbine senza fine, Nagato lanciò un urlo che corse da uno spillo d'acqua
all'altro, percorse per intero la pianura e si smarrì tra terra e cielo. Perdonaci, perdonaci.
Gli occhi di Yahiko, vuoti, piangevano con loro e non dicevano nulla. Smettila, smettila, smettila, Yahiko ti prego!
Smettila anche tu, Konan, smetti di piangere, non cambierà più niente, non te
ne sei accorta in tempo e lui... lui è stato colpito, tu hai sbagliato tutto,
tu... smettila!
La ragazzina nascose il viso tra le mani. Anche se chiudeva gli occhi, il
cadavere di Yahiko, la pioggia e Nagato non sparivano.
Rimanevano lì. Disegni neri su un vetro trasparente.
Le lacrime implacabili ripresero a scorrerle sulle gote, e Konan buttò il viso
verso le nuvole nere cercando forse un verdetto.
"E-erano troppi, ce n'era uno nascosto d-dietro, noi n-non l'avevamo
visto, io non... non..." Konan boccheggiava, gli occhi sbarrati, le gocce
gelide cristallizzate sulle ciglia:"Era velocissimo, era così veloce,
n-non... lui..."
Non sentiva niente.
Yahiko piangeva, Konan piangeva, eppure lui, Nagato, non sentiva niente,
proprio niente. Nemmeno la pioggia. Perdonala, Nagato: perdona Konan, perchè tra voi due ne ha sempre preferito
uno e non l'ha mai confessato neppure a se stessa. Perdona Yahiko, perchè si è permesso di morire.
E infine perdona te stesso, Nagato, perchè non gliel'hai impedito.
Someday I want to
run away
To the world of midnight
Where the darkness fill the air
Where it's icy cold
[Ogni tanto vorrei scappare via
nel mondo della mezzanotte
dove l'oscurità riempie l'aria
dove il freddo è gelido]
(E d'improvviso Nagato
capì che Yahiko aveva sempre avuto ragione, sempre, fin dall'inizio.)
"Cosa facciamo,
Nagato? Cosa facciamo?"
Suonava così vuota, quella domanda, così patetica: scivolava via come la
pioggia.
Konan gli puntò in viso due grandi occhi vitrei, resi ancora più evanescenti
dai rivoli d'acqua che le correvano sulle palpebre.
Cosa facciamo? Cosa facciamo?
Quella domanda si ripeteva a ogni goccia di pioggia, a ogni singola contrazione
e rilassamento del cuore.
E gli occhi di Konan, così grandi, una tempesta d'azzurro, non smettevano di
guardarlo, come se lui fosse tutto quanto il suo mondo -ed era proprio così, in
effetti.
Cosa facciamo quando Yahiko è morto? Cosa facciamo se non c'è via d'uscita?
Cosa facciamo quando non abbiamo potuto proteggere una persona importante? Cosa
facciamo quando, a parte Konan, di fianco a te non c'è più nessuno? Cosa
facciamo se chi era stato per anni tutto ciò che avevi non esiste più?
Cosa facciamo, Nagato? Cosa facciamo, Yahiko, cosa facciamo?
Le dita di Nagato,
appena intorpidite, formavano un sigillo dopo l'altro.
Aveva gettato il viso verso il cielo cupo e la pioggia, di certo non le
lacrime, cadeva fino nell'iride in cui splendeva terribile il Rin'negan.
La pioggia cadeva
sempre nei momenti importanti della loro vita.
Cadeva anche adesso, e lei credeva d'essere già morta.
Ma si sbagliava, perchè quello era il momento più importante, il momento dove
tutti, tutti i sentieri si dipartivano in un gigantesco reticolato d'argento
che inglobava l'intero universo.
Nient'altro che uno splendido, terrificante inizio.
Where nobody has
a name
Where living is not a game
There, I can hide my broken heart
Dying to survive
[Dove nessuno ha un nome
dove vivere non è un gioco
Là, nasconderò il mio cuore in pezzi
e morirò per sopravvivere]
Gli occhi di Yahiko,
spalancati in una smorfia eternamente sorpresa e stupefatta, quasi divertita,
non la guardavano, non guardavano più niente.
E come avrebbero potuto? Il Rin'negan sfrontato squadrava il mondo al loro
posto col distacco di una divinità.
(Una divinità?) Un tuono esplose nel cuore di Konan.
Fuori, nel cielo disfatto, due fulmini s'inseguirono lontani. Una divinità, Konan?
"E... e adesso? Adesso, Nagato?"
Konan lo guardava ancora con quel medesimo sguardo vivido e palpitante di
schegge marine, uno sguardo che, come la pioggia, lavava via ogni sozzura.
"Dove andiamo, Na-" Nagato?
Quale Nagato?
Lui sorrise; fu un sorriso stillante d'acqua, il più genuino che avesse mai
fatto in tutta la sua vita:"Pein, noi siamo Pein."
E allora la pioggia sul viso di Konan smise di scorrere, perchè la ragazza vide
Yahiko, vide Nagato, vide due visi e due voci sovrapporsi, vide il suo paradiso
ricostruito, vide ciò che di più bello esisteva al mondo, vide l'essere che per
lei avrebbe significato la redenzione, vide il sentiero splendere dorato e
invitante attraverso lui. Pein?
"Vieni con me?", le chiese Lui.
Quella domanda aveva tutta la forza di un ordine: il punto interrogativo non
era che un filo d'inchiostro cancellato dalla pioggia. Nagato... Yahiko... Pein... Che importanza aveva?
Che importanza aveva? A patto di non essere più la stramba bimbetta solitaria che gioca con la
carta di riso, a patto di non soffrire più, a patto che tutti quanti smettessero
di morire, a patto che fossero di nuovo e per sempre tutti e tre insieme...
"Quanto dura la parola sempre, Pein?"
Il fiore di carta che portava tra i capelli scivolò giù, rotolo piano sul
terreno e divenne rosso del sangue di Yahiko. La pioggia lo distrusse
rapidamente, goccia dopo goccia.
E sì, sì.
Due persone le tendevano la mano, due persone volevano proprio lei. L'aveva
sempre saputo, in fondo, che quello non era nient'altro che un inizio.
Konan prese la mano che Pein le offriva e sentì che la sua anima si sgretolava
sotto mille piccoli aghi d'acqua, per poi volatilizzarsi nel cielo gelido.
Non era male, a dire il vero, era una bella sensazione, liquida, quasi
gorgogliante.
Uno splendido, terrificante inizio.
"Sempre, Konan."
There, no one can see me cry
The tears of my lonely soul
I'll find peace of mind
In the dark and cold world of midnight
[Là, nessuno potrà vedermi mentre piango
le lacrime della mia anima solitaria
Troverò la pace dello spirito
nell'oscuro e freddo mondo della mezzanotte]
Fin
Note dell'Autrice Scritta tanto,
tantissimo tempo fa, penso a marzo se non a febbraio. In fondo mi piace, direi
che ha un'atmosfera "spezzata", come se i tuoni e i lampi la
intervallassero di continuo. Non so, penso d'aver subito l'ispirazione
involontaria dei sanguinari gemellini Hansel e Gretel di Black Lagoon (solo
Anle, se sta leggendo qui, sa di cosa sto parlando *_*!) e del loro rapporto
morboso, contorto e malato.
Che ci posso fare, Pein e Konan sanno davvero di morboso. E di contorto. E di
malato u_u.
Naturalmente tutta 'sta roba che avete letto è una mia personale ipotesi, tra
l'altro troppo semplicistica per Kishimoto: Yahiko morto per un banale attacco
a sorpresa, Nagato che si prende il suo corpo e diventa Pein. Nah, sicuramente
il Bastardo chiamerà in causa anche i bacilli del tetano, gli spazzolini da
denti, i posacenere e Madara -ovviamente perchè Madara è Dio, non lo sapevate?!
Quindi leggetevi le mie innocenti supposizioni prive di fondamento e spero vi
piacciano almeno un pochino, anche se, lo ammetto, sono un po' un clichè.
Il tema scelto comunque m'ispirava troppo qualcosa su Pein e Konan: darling,
we'll be an army of two. Ditemi anche voi se non è pennellato su di loro
*_*!
Nella parte finale c'è un "attraverso lui" che potrebbe suonare male
o parere uno svarione grammaticale, ma ho controllato sul De Mauro Paravia ed è
giusto così, per quanto sia abbastanza cacofonico. Che volete, non trovavo
un'altra allocuzione per descrivere il concetto, me ignorante.
Comunque, adesso
andiamo alle cose veramente importanti: dedicata ad Helen Lance, ovvero
Elena (io adoro le pagine personali di EFP), perchè so che ama
moltissimo questa coppia e piace da morire anche a me, perchè soprattutto
scrive in un modo sensazionale, da libro stampato, perchè infine non potrò scriverle
nulla per il suo compleanno, dato che sarò in Irlanda.
Dunque le faccio in anticipo moltissimi auguri di tutto cuore <3, di passare
una splendida estate e di godere appieno questo splendido inizio, per
fortuna baciato dal sole e non dalla pioggia di Pein e Konan :).
Detto questo,
arrivederci al 5 luglio, Dublino -e l'Ulisse di Joyce- mi attendono:
ovviamente vado due settimane in un posto in cui il clima sarà pressochè
identico a quello descritto in questa storia XXDD evviva le coincidenze!
Arwen5786: Non sai quanto ho gioito leggendo
che TU, fiera Mosca Nera fin nel midollo, hai letto la mia Scenes, che è un
concentrato esplosivo di puro Bianco made in ShikaIno! Roba da vantarsene
ancora di più leggendo il tuo commento: t'è piaciuta, t'è piaciuta *_*! Lo
canticchio fieramente da un quarto d'ora circa, na na na na na na. E' davvero
una conquista, credimi, anche se so che non ti porterò mai ad abbracciare la
Candida Strada delle Aleurodidi. In fondo sono contenta per ben altro:
significa che, aldilà dei pairings, una storia bella vale comunque. E, non lo
dico per vantarmi, ma Scenes mi piace davvero :) e la giudico la migliore delle
mie Flavours fin'ora. Ma la SasuSaku Nonsense che sto preparando da mesi e mesi
la supererà, vedrai *_*!
Detto questo, ci salutiamo su msn u.u e fai la brava durante queste due
settimane, e sii devota e fedele al SasuSaku, che quando ritorno voglio vedere
taaante belle storielline sulla Crocerossina e l'Emosuke! Kikichan: Ti ringrazio moltissimo dei complimenti, davvero grazie per
aver letto e aver commentato^^! E ovviamente ShikaIno IS LOVE sempre e
comunque! Kokky: La mia Kooooks *_*!
Mi spiace che ti saluto qui, via recensione, e non "dal vivo". Eh,
pazienza ._. un pochiiino ti mancherò, vero?! Dimmi di sì, non farmi soffrire!
A me mancheranno le tue recensioni così adorabili, piene d'emozioni e
tenerezza: si vede proprio che ciò che recensisci ti è piaciuto, infatti non
vedo l'ora di rimettere le mani su un computer (a Dublino esisteranno gli
Internet Point, mi auguro) per leggere la tua nuova lunga e lovvosissima
recensione. Se però non devi sapere spoiler di qualunque tipo, mi auguro che tu
abbia saltato la storia di cui sopra e sia corsa qui ai ringraziamenti XXD se
non l'hai fatto GUAI a te, che poi mi sento in colpa per averti spoilerato
qualcosa.
Comunque, grazie mille davvero per tutti i complimenti, per tutte le splendide
parole che hai sempre riversato sulle mie storie, per le risate sulla tag di
Anobii, per l'ora che hai perso per recensire la mia Scenes From the Narcissist
Café. Shikamaru e Ino ti ringraziano u_u e tranquilla, è esploso il locale, ma
alla fine è finito tutto bene :) sono insieme, vivi, insieme. E' così che li
vedrò, sempre.
Perdonami se non riuscirò a recensire "An operatic tragedy" per un
po' ._. in Irlanda sarò senza pc. Ma quando torno ti recensisco a dovere u.u,
non temere é.è! Mi rimetterò in pari e mi farò perdonare, promesso! Princess of Bang: Gh, anch'io odio da morire le ShikaTema XXDD Ma non
perchè Shikamaru deve stare solo con Ino, proprio perchè li vedo assai
squilibrati insieme XD e assolutamente assurdi, anche se Kishimoto pare avere
chiare intenzioni in quella direzione. Quel Bastardo.
Comunque, Shikamaru non è delicato a prescindere, figurati in una situazione
del genere: gli ha rinfacciato quelle cose perchè Ino gli ha fatto perdere
davvero la pazienza con quel "Tu non c'eri", che proprio è una cosa
sbagliata da dire a uno come lui, che l'ha sopportata anche nei momenti
peggiori.
Nel caso del tradimento di Sasuke poi è in senso metaforico, nel senso che Ino
non s'era accorta che c'era qualcosa che non andava, lei, quella innamorata
persa del bellissimo Sasuke Uchiha. Non ha saputo vedere, quindi non c'era, né
per Sasuke nè per Sakura né per nessun altro, il che se permetti è vero.
Tutto qui :) ci tenevo a spiegare il punto di vista del povero Shika, visto che
di certo non si capiva bene >.
StAkuro: Son contenta che Madam Mei ti sia piaciuta *_* Avevo un'idea
ancora più diversa e astratta per lei, ma in fin dei conti sono contenta di
com'è uscita: un po' Pizia, un po' Oracolo, un po' maitresse e donna di mondo,
un po' Parca un po' Coscienza collettiva dei personaggi.
Chi è veramente Madam Mei?!
Bella domanda.
Ti potrei dire che è l'autrice della storia di Ino e Shikamaru :) ma non io,
ovviamente: la sottigliezza è un'altra, poichè Madam Mei ha come tirato i fili
del rapporto di Ino e Shikamaru durante gli anni, ma io, beh, io ho scritto e
basta XXD e qua la cosa m'è sfuggita di mano, ti posso assicurare, tant'è che
sbalordisce anche me. Fortuna che me l'hai fatto notare, poichè la cosa
stupisce piacevolmente anche me che ho scritto il racconto, il che è tutto dire
:). A parte questo, ti ringrazio per la bellissima recensione, per le parole
splendide sul Canon di Ino -io la adoro per i tuoi stessi motivi-, su Thanatos,
su Shikamaru, sullo schema teatrale che ho voluto utilizzare (anch'io faccio
teatro *_* e lo amo alla follia), per i complimenti sullo stile e l'intreccio.
E' importante ciò che dici, sul serio, non sai quanto mi faccia bene e mi
sproni a migliorare sempre di più.
Sorellah di Pairing, ci sentiamo tra quindici giorni :) e per allora voglio
qualche altra ShikaIno, SasuSaku, NaruHina u.u c'è penuria di speranza
ultimamente, e davvero, finchè Sakura non dichiarerà il suo amore
incommensurabile, ineffabile e incondizionato a Naruto, io non mollerò u.u e
continuerò a portare alta la bandiera del SasuSaku come ho sempre fatto!
Hasta la victoria siempre (XDDDD, che insulto alla memoria del Che questo!), e
a presto, spero. Memi: Aw *O* Ma grazie, quell'unica parola mi basta eccome, è una parola
piuttosto eloquente!
Tra l'altro, grazie mille, mille mille e ancora di più per l'analisi scrupolosa
che hai fatto di Ino, di Shikamaru e della storia in sé. Felice che ti sia
piaciuto lo schema teatrale^^ e anche l'impostazione onirico/filosofica della
vicenda. Purtroppo ho questo vizio, ghghg, riguardo al filosoficheggiante e a
cose che a una lettura superficiale possono sembrare prive di senso -ma in
realtà lo sono davvero XD!
Il rischio a volte è di cadere nell'ermetico, ma invece a quanto mi dici questa
volta m'è andata bene :) e tutti i personaggi hanno la loro coerenza, anche la
cara Madam Mei <3 e Sakura, che è un po' la Razionalità in mezzo a questo
turbine di carte, presagi, premonizioni e destini già scritti, a questo mondo
così fatalista e drammatico, proprio come Ino.
Le tue valutazioni sull'IC poi sono apprezzatissime: è il mio costante perno,
guai se snaturo i personaggi, ci tengo molto a renderli credibili e in linea
coi loro caratteri^^ ma se ci sono riuscita anche 'sta volta, con un lavoro
così lungo, allora posso davvero stare tranquilla! Darkrin: Vero, la fissazione sui soggetti originali è abbastanza
recente.
Che vuoi, c'è già il Bastardo che parla solo di Naruto, Sasuke, Naruto, Sasuke,
Naruto, Sasuke e ancora Naruto, Sasuke, quindi io preferirei cambiare un po' XD
e non è detto che i personaggi secondari siano più interessanti di quelli
primari, basta vederlo con Ino e Shikamaru. Quando la smetterò di dire che li
adoro?!? Mai, penso.
In effetti Scenes è un po' una favola onirica e teatrale, a metà tra tragedia e
vaudeville: non so neanch'io bene cosa sia, fatto sta che mi piace. Mi piace il
caffè, vero, per quanto sia forte e amaro come dici tu, in fondo resta sempre quella
puntina di zucchero che si scioglie sulla lingua. E' per questo alla fine che
ho voluto scrivere un finale non totalmente negativo, col primo cambiamento
serio della vita di Ino e il passo indietro di Shikamaru. Dai, dopo tutta
questa tribolazione si meritavano una fine serena (che poi, serena... Ino ha
avuto un téte-a-tète con la Morte in persona XXDDD!), sarei stata davvero una
stronza bastarda se non gliel'avessi regalata. Poveri piccoli <3 già me li
maltratta il Bastardo di Kishimoto, io non posso infierire!
Hai notato una cosa che mi sta molto a cuore: l'evoluzione del rapporto. Mi fa
felice sapere che sono riuscita a dimostrarlo credibile, una lenta salita verso
l'amore, e non una cosa forzata e grottesca, tirata via. E' proprio questa
lungo e faticoso sforzo verso un'evoluzione che alla fine ho voluto
rappresentare, tra le altre cose^^. La Chaos: Ed eccola, la recensione più lunga e articolata della mia
vita, più densa di contenuti, valutazioni e riflessioni, che quasi potrebbe
essere una storia a sé!
Allora. Tu hai capito TUTTO di Scenes From the Narcissist Café.
Eccerto, dirai, l'avevo scritta per te!
Scherzi a parte, è vero: sarà che l'hai riletta, che l'hai assaporata e te la
sei gustata come tuo regalo di compleanno, ma tu hai letto queste righe con gli
occhi e coi pensieri che volevo che avessi. Di fatti hai colto ogni
significato, davvero, tutto quanto, ogni minimo accenno, e per questo ti
ringrazio.
A parte il dialogo fra Sakura e Madam Mei: più che il SasuSaku, lì c'era la
determinazione di Sakura nel voler portare avanti la sua rivalità con Ino,
malgrado tutto, la sua ostinazione. Rileggendolo mi sono accorta che con la
storia del Peer Gynt m'è scivolato in mezzo un po' di SasuSaku XXDDD e dire che
non volevo affatto scriverti una cosa che lo fosse anche solo minimamente.
Damn. E' proprio più forte di me, sul serio.
Comunque, Chaos, se volessi una vera presentazione per Scenes, come si fa per
le prefazioni dei libri, beh, io vorrei la tua recensione, e nient'altro.
Ah, Thanatos era la Morte, nulla più: il vero deus ex machina che trama
nell'ombra è la diabolica Madam Mei ;).
Helen Lance: ...Lo so che porta male fare gli
auguri prima della data ç_ç Ma io per il 30 giugno non ce la farò in nessun
modo a connettermi a Internet, dunque mi dispiaceva lasciarti senza un piccolo
segno della mia stima!
Stima che nei tuoi confronti è davvero tanta, credimi: scrivi come se suonassi
una chitarra, a volte con splendidi riff elettrici e allucinati, altre volte
come la morbida carezza delle corde della classica. Credimi, tu scrivi bene sul
serio :) mai banale, mai scontata, mai poco curata.
Per questo ricevere una recensione così bella e profonda da te, e sapere che
continui a seguire le mie Flavours, mi rende davvero felicissima. Issima issima
issima. Lo giuro!
Poi, beh, io son fissata coi Tarocchi: non per nulla ho l'idea di scrivere, una
volta finite le Flavours, una raccolta di racconti monografici sui personaggi
di Naruto con tema le Figure dei Tarocchi, un po' come il Castello dei Destini
Incrociati, anche se Calvino si rivolterebbe nella tomba per questo dissacrante
paragone.
Ma comunque, dicevamo.
Le tue riflessioni su Scenes From the Narcissist Cafè erano perfette, calzanti:
e se con quel flebile (...Via?) ti ho fatto percepire l'immensa desolazione
penosa di Ino, la mia contentezza supera ogni confine. Gh. Davvero. Mi sembrava
banale quella parte, e invece :) fortuna che ci sei tu a dirmi che non è così,
no?
Spero che quest'attestato di stima piovoso e parecchio angst ti lasci qualcosa,
come ha fatto Scenes: questa volta è tutto per te, fino all'ultima sillaba
della parola 'Fin'.
Capitolo 10 *** Let x be the value of He who lies beside me [SasuSaku] ***
Disclaimer: I personaggi citati appartengono a Masashi Kishimoto, che
ovviamente si prende tutti i diritti del loro uso
Disclaimer:
I personaggi citati appartengono a MasashiKishimoto, che ovviamente si prende tutti i diritti del
loro uso. La canzone su cui è strutturata l'intera Songfic èKnockin' on Heaven'sDoor, una delle più
belle di tutti i tempi, i cui diritti (cash!) vanno al genio di colui che l'ha
scritta, ovvero Bob Dylan.
Avvertenza: La storia che stai per leggere ha un altissimo contenuto di SPOILER,
se stai seguendo il manga o l'anime in italiano. Non lo dico tanto per dire,
dato che odio quando un dannatissimo spoiler mi rovina
il piacere della lettura: so cosa si prova. Credetemi. Se non volete maledire
voi stessi e la vostra curiosità perchè avete letto
questo abortino creativo, cliccate
la x bianca in sfondo rosso lassù e ripensateci quando il capitolo 394 sarà in
formato tankobon e in edizione italiana. That's all.
Lo dico un'altra volta: SPOILERSPOILERSPOILERSPOILERSPOILER. SPOILER.
Poi non venite a lamentarvi con me.
Let x be
the value of He
who lies beside me.
(...Bussando alla porta del
Paradiso.)
La
ricordava come un capitolo chiuso, forse neanche mai iniziato.
Mama, take this badge off of me
Se
n'era tenuto consapevolmente lontano, certo che, se avesse letto anche una sola
di quelle pagine, la sua vita avrebbe preso una piega diversa, forse migliore o
forse no, ma di sicuro non quella giusta. Non quella che l'avrebbe portato lì. Non quella a cui, in fondo, era destinato.
Era patetico immaginarsi un sogno mediocre come quello di una famiglia, dei
figli, un posto prestigioso tra i ninja
più forti del villaggio e un avvenire assicurato che culminava in una tomba,
anch'essa già assicurata.
Era patetico, stupido, banale e del tutto impensabile per uno
come lui, nato per fare grandi cose, nato per essere speciale e non certo per
trascinarsi lungo la china dell'insipida vita dell' uomo comune.
Lei poi era una persona tremendamente normale, con tutta la disarmante
tenerezza e l'innocenza un po' incosciente che poteva convivere in quel termine.
Tutto in lei, dal suo nome ai suoi sogni, era banalmente e
splendidamente normale. Dunque in una vita come la sua, in una vita
cristallizzata accanto al cadavere di suo fratello maggiore, non c'era posto
per una persona normale.
I can't use it anymore.
Ricordava Sasuke d'avere sorriso, un secondo prima
di svenire. La consapevolezza era riuscita a strappargli un fantasma di ghigno
amaro quanto la sua vittoria, un sorriso beffardo da perdente in trionfo,
puntualmente svanito nella polvere.
Come dire, non hai vinto tu. Questo sorriso sgraziato, questo
lampo di follia, questa è la mia vittoria. E poi giù, Sasuke.
Annullati.
Aspetta le fiamme nere.
Perchè la tua vita, Sasuke, la tua vita piena di
un'infernale eccellenza, la tua vita che fa vomitare, si è appena conclusa.
It's gettin' dark,
too dark for me to see
"Funziona, cazzo di tecnica, funziona!"
Una fine migliore non
poteva desiderarla.
Anche se tecnicamente non è stato lui a ucciderlo, ma
un collasso del suo stesso corpo che si è ribellato al suo padrone. L'ha ucciso
la sua stessa forza, la stessa eccezionalità geniale
che Sasuke si sforzava invano di raggiungere,
bruciandosi il viso con i troppi Katon no Justu che, dannazione, non riuscivano mai nel modo giusto.
Suo fratello sembrava superiore agli eventi, sembrava
in grado di scendere a patti con la vita e riuscire perfino a dominarla,
sembrava poter decidere come, quando, dove vivere o morire, infischiandosene
del caos di particelle coincidenze e scelte sbagliate che opprimevano gli
individui comuni. Sasuke in fondo cercava quella vita,
quell'eccellente vita che lo
divideva fra ammirazione e disgusto, quella vita di turbine, di vulcano in
eruzione, di fuoco che divampava all'improvviso. Una vita eccezionale, di cui si sarebbe parlato fino alla
fine dei secoli. Una vita capace di inglobare nella
sua grandezza tutte le altre vite possibili.
Per lei, per lei e per i suoi adorabili normali sorrisi, non c'era
davvero posto in una vita del genere.
Si era aspettato che le
fiamme nere bruciassero, ma non provava niente, proprio niente. Forse perchè il
fuoco nero bruciava in un modo così disumano da non poter essere neppure
percepito dagli uomini. Bruciava come una molle patina vischiosa che riempiva i
polmoni e li faceva scoppiare, bruciava come una coltre densa di muco verdastro
che irritava la pelle. Bruciava come il liquido incolore che riempiva gli
alveoli di un feto.
Si chiedeva perchè in effetti non bruciasse affatto.
Knock,
knock, knockin'onheaven'sdoor
"Forza, tecnica
del cazzo, forza forzaforza funziona, devi
funzionare, maledizione, FUNZIONA!!!"
Aveva ancora degli occhi,
Sasuke, e stupidamente se ne meravigliò. Aveva ancora
dei polpastrelli che mordevano la roccia, aveva ancora una fronte schiacciata
sul terreno, aveva ancora il cadavere di Itachi sdraiato lì accanto, appena a un passo da lui; il
ventaglio degli Uchiha lo cullava ancora nella sua
ombra scura e protettiva, bagnandosi a poco a poco di pioggia.
Inaspettatamente Sasuke non vedeva niente. Era come
se le sue pupille fossero lampade spente, finestre che guardavano un mattino di
nebbia.
...Cos'era quello? Era vivere o morire?
Dormire, forse sognare?
Di una sola cosa supplicava che lo risparmiassero: che
non gli facessero rivedere istante per istante la sua vita. Che non gli facessero scoprire come sarebbe andata, se.
Knock, knock, knockin'
on heaven's door
"...E sì, sì sìsìsìSI', 'fanculo, sì, funziona!"
E il primo impulso fu quello di
ridere, ridere a squarciagola come mai aveva riso nella sua vita, ridere fino a
spezzarsi le mascelle.
Non si può non ridere quando sei sommerso da
un'iridescente colata di bava traslucida che deforma i contorni e rende il tuo
mondo una palude in cui regna una tronfia regina delle lumache.
Anzi, gli sembra quasi che il mastodontico mollusco terrestre gli lanci uno
sguardo vagamente perplesso, i piccoli occhi vibratili un poco inebetiti dallo
stupore. Come se gli stesse domandando cosa diavolo avesse in mente di fare lì,
sotto la pioggia, sdraiato accanto a un cadavere. Se è un sogno vorrei svegliarmi, per favore.
E, se sono morto, allora Dio non è grasso,
la terra non è azzurra e tutto quello che mi hanno raccontato è una bugia.
Knock, knock, knockin'
on heaven's door
"Voltati."
Non s'era voltato.
Allora un paio di mani sbrigative e brutali l'avevano
costretto a esporre il viso al tormento della pioggia.
Una voce carica di rabbia lo sferzava con la stessa foga che impiegava per
rigenerare le sue ferite.
Knock, knock, knockin'
on heaven's door
"Contento, ora,
razza di stupido?!"
I morti erano crudeli
con lui.
E il chakra che tornava a gonfiarsi nelle vene lo faceva impazzire dal dolore, come un animale ferito
che si dibatteva.
Il Paradiso non era come se l'era immaginato.
Mama, put my guns in the ground
"Stai calmo e
lasciami finire."
In quella voce c'erano
tracce di amarezza, di una preoccupazione un po' rude,
di una collera cieca. Furiosa perchè l'hai lasciato andare, furiosa per tutto questo tempo perso,
furiosa perchè si è quasi ammazzato, furiosa per non esserti arresa... Sasuke si chiedeva come due lune color latte potessero spuntare in pieno giorno, con la pioggia per di
più. Ma le stranezze non erano finite, a giudicare dalla
gelatinosa presenza della Gigantessa Katsuyu, regina
delle lumache. L'Aldilà doveva essere un posto ben strano, una palude melmosa
infestata da lumache fameliche la cui bava poteva spegnere le fiamme nere di Itachi, solo per proporre allo
sventurato trapassato agonie ben peggiori... Un posto orribile. L'unica occasione di un uomo sprecata per un posto orribile,
davvero orribile.
"Stai - fermo.
Capisci quello che dico, Sasuke? Mi senti?
Mi vedi?"
I can't
shootthemanymore.
I suoi inutili occhi
spenti si rifiutavano di guardare il volto distorto dal dolore che incombeva su
di lui. Un volto teso in una smorfia ferina, rabbia primordiale che non
accennava a quietarsi, i lineamenti sconvolti da una pioggia ben peggiore di
quella che impietosa li frustava.
Riacquistare le energie prendendole in prestito da quel viso era più umiliante
che perderle combattendo.
Balsamo della guarigione? Luci in fondo al tunnel? Ritorno alla vita?
Chi era il pazzo che aveva raccontato fandonie del genere?
E quello, quello doveva essere il Limbo della Signora Lumaca, dove altri mille
altri come lui languivano in un eterno pantano verde,
e tutto il mondo era un lago infinito che soffocava in un'infinita palude,
tutto il mondo era orribile, orribile, orribile...
"Mi vedi, Sasuke-kun, mi vedi?!?"
That long black cloud is comin'
down
Gli fecero voltare il
collo a viva forza.
Quelle mani non erano più di ragazzina, erano dure e
d'acciaio, mani di medico maldestro o impaziente.
I feel like I'm knockin'
on heaven's door.
"Mi vedi,
dannazione?!?"
Cambia forse
qualcosa?
"Guardati, guardami... Apri quei dannati occhi, fallo, Sasuke, non ti darò tregua finchè
non guarderai!"
Era furiosa, frustrata e
fuori di sé; lo scuoteva come se lui fosse stato un giocattolo rotto, lo
colpiva inclemente come una lama di vento, lo teneva aggrappato alla vita con
un'ostinazione animalesca.
Knock, knock, knockin'
on heaven's door
"Era questo quello che volevi?!
Era questo, eh? Era questo, avanti, dillo, dillo che
era tutto quello che avevi sempre desiderato, dài,
ammettilo, voglio sentirtelo dire chiaro e tondo: il tuo obiettivo era questo,
vero?, sempre e soltanto questo!?"
Knock, knock, knockin'
on heaven's door
ESasuke
aprì gli occhi, smarrito.
E il cadavere che vide giacere scomposto accanto a sé, talmente vicino da
poterlo sfiorare senza stendere il braccio, non era quello di
Itachi. Sasuke vide i suoi stessi occhi, sbarrati e gelidi.
Vide un sentiero di sangue imprigionargli la bocca e colare giù, fino al collo.
Vide un corpo identico al suo, un corpo che era
il suo, disfatto, piagato, aperto alla curiosità della pioggia e del vento. Il suo stesso viso così, inebetito, stupito dell'oblio della morte,
la pelle gialla tesa sulle ossa, un silenzio compatto che aveva sostituito la
confortante pulsazione ritmica del cuore. Eri tu! Eri tu!
Tutti questi anni ed eri sempre e solo tu, Sasuke,
sempre e solo tu! L'uomo che inseguivi, il sogno che vendicavi, l'eccellenza e
l'eternità...
Ero io?
(Knock, knock, knockin' on heaven'sdoor)
Sakura, come in fiamme per l'ira e
stremata dallo sforzo, respirava con foga; Sakura che
non mostrava né soddisfazione nè pietà, ma solo la
stessa enorme ferita di tre anni prima che continuava a sanguinarle invisibile
lassù, negli occhi spalancati, nella voce carica di rabbia incendiaria, nei
gesti.
"Lo vedi, Sasuke-kun, che eri sempre, solo
tu" mormorò fioca. Lo vedi? Lo vedi?
Lo vedo.
Knock,
knock, knockin'onheaven'sdoor.
ESasuke questa
volta aprì gli occhi per davvero.
Fin
Nota dell'Autrice Un minuto di
silenzio.
Uno degli aborti creativi a cui sono affezionata di
più. Non solo perchè è SasuSaku, non solo perchè sono
riuscita a scrivere una songfic con Knockin' on Heaven'sdoor, non solo perchè è leggermente Nonsense
-e io adoro il Nonsense-, non solo perchè ci ho
penato, terrorizzata com'ero da tirar fuori un clichè e da non giustificare per bene tutta la faccenda, non solo perchè è la mia decima Flavour e ho deciso che sarebbe stata tassativamente SasuSaku, ma anche perchè la ritengo molto mia.
E'... boh, non so neppure descriverla. Mi piace,
ecco, questo sì. ...Il primo che dice "KYAH *ç*,
è la canzone di Avriiiiiiil!" lo sottopongo a
una seduta di Mangekyou in compagnia di Itachi redivivo. E' Bob Dylan, BobDylan, poeta del rock o come
diavolo volete chiamarlo, ma Bob Dylan. NEIN Avril. Se scriverò mai una Songfic
con qualcosa di Avril
Lavagna sparatemi a bruciapelo, grazie.
C'è una citazione illustre in mezzo al marasma. Todie,
tosleep... perchanceto dream.
Sta a voi dirmi chi è ;). Sakura OOC? Non credo. E' solo arrabbiata,
molto, molto arrabbiata, e delusa, furiosa, frustrata e piena di un
ansito di vita di cui non riesce a liberarsi. E
innamorata, dimenticavo.
Null'altro da dire. Spero di avervi restituito qualcosa, che
giustifichi almeno il tempo speso per la lettura.
Cami, questa è tutta tua :) dovevo pubblicarla il
5 luglio, ma purtroppo l'Irlanda ha avuto il sopravvento e non sono riuscita a
farti gli auguri in modo decente.
Dunque, tanti auguri, tesoro :* grazie per le
deliranti conversazioni in msn, per i tuoi tentativi
di traviarmi allo Hyuugacest, per la compagnia e per
la speranza che ci infondiamo vicendevolmente ogni volta che esce un nuovo capitolo.
Come sisuol dire, brindiamo
al decollo di un'amicizia^^ e ovviamente soprattutto alla tua estate e ai tuoi
anni.
Un abbraccio!
Grazie dell'attenzione, Hipatya
PS: Scusate, sono di frettissima e non ho un secondo per rispondere decentemente
alle vostre splendide recensioni. Vi amo, però <3 tutte
quante: Helen, Kaho, Koks, Sa, Cami e Helen un'altra volta, perchè lei ha lasciato doppia
recensione *_*!
Sapere che seguite le Flavour e che i miei umili
scritti vi lasciano così tanto non può che farmi
gioire ogni volta, credetemi. Non sapete quanto vale questo per me :) è incalcolabile e preziosissimo, sul serio.
Capitolo 11 *** To cut a bouquet of matter and antimatter roses [ShikaIno] ***
13 luglio 2008: ShikaIno Day -'cause ShikaIno IS LOVE
13 luglio 2008: ShikaInoDay-'cause ShikaInoIS LOVE (e anche il
mio compleanno, diciamolo)
Disclaimer: I personaggi citati appartengono a MasashiKishimoto; la strofa di Maybe citata in finale appartiene ovviamente alla
splendidaJanisJoplin,
ovunque lei sia.
To cut a bouquet of matter
and antimatter roses
"Shika?"
Gli occhi di Ino riflettevano un cielo azzurro
punteggiato di nuvole.
Anzi no, gli occhi di Ino erano quel cielo
azzurro: avrebbero fatto impallidire i quadri di Hokusai-sama,
non si sa se per la loro schiettezza o se per il loro stupefacente colore.
"Mh?"
"...Secondo te cos'ha pensato? Voglio dire, quand'era
lì? Perchè io non ci credo che non ha pensato
niente... Insomma, lo conosci, lui è... non era il tipo."
La voce di Ino era stranamente titubante, forse troppo. Ed
era tanto piccola, questa voce, che una folata di vento l'avrebbe spenta come
la fiammella di una candela. Fortuna che quel giorno il vento
soffiava troppo in alto per confondersi con loro.
Prima che Shikamaru si schiarisse
la gola per risponderle, le nuvole indisturbate ebbero tutto il tempo di mutare
la loro forma per tre volte.
"Io credo," parlava piano, Shikamaru "credo che fosse arrabbiato. Sai, non vedrà
crescere suo figlio, non ha detto addio a Kurenai-san... Sì, era davvero molto, molto
arrabbiato."
Ino attese in silenzio la placida caduta di un'altra massa di nubi candide.
"Addio non è una parola adatta, Shikamaru."
"E perchè?!"
"Lei non ci avrebbe mica creduto." Quando sei cambiata così tanto, Ino? E perchè io
non ero lì?
Le nuvole, giganteschi pachidermi soffici come il cotone, rotolavano tra le
ombre di un cielo limpido e in loro Shikamaru trovò
qualcosa, forse un po' di coraggio, che lo convinse a deglutire e continuare
con una domanda che lentamente era andata maturando in lui.
"E tu ci avresti creduto?"
"No."
Il silenzio si distese su di loro come una coperta. Nessuno dei due desiderò disfarsene.
Rimasero immobili a testa in su, persi nella vela
erbosa di una collina verde, loro personale finestra spalancata sul cielo. Shikamaru e Ino guardavano
pensosi le nuvole; le nuvole, sicuramente con minor convinzione, guardavano di
rimando Shikamaru e Ino. Shikamaru pensò a quanto si sarebbe arrabbiato se fosse morto prima di poter dire addio alle persone care, poi
si ricordò che la morte non dava tempo neppure per respirare, figuriamoci per
dire addio, e il gusto della sigaretta che in quel momento portò alle labbra
gli parve illogicamente amaro.
Poco distante da loro, un mazzo di rose chiare come l'alba frusciava appena,
sfiorato dalle dita del vento. I petali accarezzavano distrattamente una
lapide.
"Shika?"
"Mh?"
"Ho capito una cosa."
Ma, invece di dirglielo, Ino si alzò in piedi e senza nemmeno salutare
si avviò verso il villaggio. Shikamaruovviamente non provò a fermarla: non
staccò lo sguardo dal cielo e in silenzio finì la sua sigaretta. Il fumo salì
in lente spirali azzurrine verso le nuvole e fuggì via con loro, verso un altro
posto dove probabilmente esistevano un'altra Ino e un
altro Shikamaru a testa in su in una giornata di
sole.
E dove, sempre probabilmente, la scena si era conclusa
allo stesso modo.
*
"...Siamo
davvero in guerra con Oto." Il borbottio di Shikamaru
non era incredulo né disilluso, era piuttosto quello del generale assorto nei
suoi piani di battaglia, che ripeteva sovrapensiero
lo schema d'attacco. L'ennesimo segno che già da tempo non si stupiva neanche
più della piega che le loro vite avevano preso.
Il cielo negli occhi di Ino era tormentato da nuvole
di ferro e da venti irrequieti che preannunciavano il temporale. Lei era la
sola, forse, a stupirsi ancora.
"Già."
Controvoglia Ino pensò a un volto rovinato dal tempo.
"Haruno come sta?"
Ino sospirò, e fu un sospiro decisamente
sommesso:"Haruno lo ama, come vuoi che
stia." Shikamaru preferì non avventurarsi oltre in un
territorio sconosciuto, perciò tacque. Il suo silenzio discreto, per la Chunin sdraiata di fianco a lui, fu come un invito a
proseguire.
"In sua presenza non possiamo pronunciarne il nome,
tantomeno parlarne o accennarne soltanto, e lei non
lo ammette neppure a se stessa. Ormai anche Narutone è persuaso. Spero solo che la Godaime
non abbia la grande idea di mandarla al fronte o una cosa del genere..." La sua voce spossata si spense e il suo discorso
continuò senza l'ausilio delle parole, divenne un bagliore scuro -preoccupazione- negli occhi celesti.
Lui lasciò che l'azzurro cupo stingesse piano in un color polvere, oppure
semplicemente il pensiero di Shikamaru correva lungo
un binario parallelo destinato a non incrociare mai quello di
Ino.
"Siamo davvero in guerra" ribadì lui infine,
un filo di perplessità disperso sulla fronte corrugata.
"Già. ControSasuke-kun." Il tono di Ino mantenne volutamente una vena sarcastica. Shikamaru non commentò, attese che la faccia dell'Uchihasparisse assieme al disegno
grigio del fumo della sigaretta.
"Non era affatto il migliore, Shika.
Aveva soltanto più paura di tutti noi messi insieme. Una paura mortale, tutto
qui."
"Ti fa pena?" L'altro parve stupirsi.
"Solo tristezza."
"..."
"Shika?"
"Mh?"
"Sette anni fa, durante la prima missione di recupero, hai riportato
indietro qualcosa di più importante di Sasuke-kun."
"Ovvero?"
"Io."
Questa volta fu Shikamaru che, dopo un altro giro di
nuvole nere, si alzò in piedi e in silenzio s'incamminò verso Konoha senza neppure salutare.
Un mazzo di rose color pesca oscillò appena, lieve, quando lo sfiorò con un
piede passandogli accanto, ben attento a non calpestare la lapide di pietra.
*
"Shika?"
"Mh?"
"Secondo me hai fatto una grossa cazzata."
"Trovi?"
Mugolio indistinto che significava sì.
"Gaara vorrà la tua testa. E Kankuro
i tuoi... beh, lasciamo perdere."
"Non sono cose che li riguardino."
"Temari era importante per te."
"Forse meno di quanto tu credi."
"Davvero?" Shikamaru deglutì. "No."
"Ecco."
Una pausa, il tempo necessario agli anelli di fumo per svanire nell'arco
arancio dell'aria, poi un'altra domanda, quasi a bruciapelo:"A
te importava di Sai?"
"No."
"Vedi, siamo pari."
"Ma Shika, tu..." Ino decise di non
intestardirsi in una battaglia già persa, quindi scosse appena il capo,
"Oh, non importa, davvero." Shikamaru non replicò.
L'edera aveva cominciato a crescere sulla tomba di Asuma-sensei, ogni anno si faceva più resistente. Che fossero loro o Kurenai-san o la
piccola Yukio a strapparla non faceva differenza, quell'erbaccia non doveva stare lì. Quello era il posto
delle rose che, puntualmente, cantavano il loro profumo alla brezza vivace.
"Perchè l'hai fatto?"
"Cosa?"
"Temari, tonto." Shikamaru sbuffò:"Stai
parlando d'amore con me, Yamanaka Ino?"
"Sto parlando di grosse cazzate" corresse
diplomatica lei, ignorando del tutto l'ironia nella sua voce.
"Andiamo, Ino. Non era quello che... insomma..."
"Quello che volevi?"
"Quello di cui ho bisogno."
"Non te ne accorgi dopo due anni che ci stai
insieme."
"Sempre meglio che dopo ventidue."
D'improvviso non era più tanto facile stare sdraiati con la testa persa nelle
nuvole, non era più tanto semplice e immediato.
Il cielo adesso girava intorno a lui, lo accerchiava, gli si era rovesciato
addosso come un secchio d'acqua e scintillava come mille specchi opalescenti.
"Shikamaru?"
"Ino?"
"Sai qual è quella cosa che avevo capito tempo fa?" Shikamaru finse di ricordare con un vago cenno
affermativo e fissò i due cieli, la ragazza e lo spazio siderale, sovrapporsi
pericolosamente, azzurro contro azzurro in un enorme, esplosivo maremoto
cosmico.
"Ho capito che non ti avrei mai detto addio.
Mai."
"Mai è una parola un po' grossa. Non ti spaventa?"
"Se mi spaventasse non l'avrei detta."
"Già."
"..."
"Adesso tu puoi fare due cose.
Uno. Alzarti in piedi, tornare a Suna, chiarirti con Temari e sposarla entro il prossimo mese."
"..."
"Sto aspettando che tu mi dica la seconda."
Ino rise, amara come la malinconia:"Due. Scoppia
a ridere e chiedimi se sto scherzando, sicurissimo che
non potrebbe essere altrimenti, talmente sicuro da convincere anche me."
"E se io non volessi fare nessuna delle due?"
Ancora Ino rise senza grazia, sguaiata, poi a denti stretti decise di divenire
seria:"Guardati, Shikamaru, guardaci: non ti
sembra davvero troppo tardi?"
Annuire era semplicissimo, non gli chiedeva altro: paziente lei aspettò che lo
facesse.
Il silenzio attorno a loro le parve più assordante dello scoppio di un cannone.
Le rispose uno Shikamaru accigliato e perplesso
quanto lei, che fissava ostinato le nuvole:"E'
tardi, a dire il vero."
"Ecco, vedi. Ho ragione io!" La risata di Ino
tremò di nuovo. Shikamaru la imitò con la sua risata roca, che,
proprio come quella di Ino, non aveva nulla d'allegro.
"Questo mai, Yamanaka."
"Tsk. Ma finiscila."
"Appunto, fammi finire."
"Tsk."
Sospirò annoiato, Shikamaru. Poi parlò come assorto
dal gioco dei fili di fumo.
"Dicevo che per essere tardi in effetti lo è. Ma
non quando è dal primo giorno di Accademia che sai che
andrà a finire così."
"...Cosa?"
"Devo farti lo spelling, Ino?"
"Per tutti questi anni... tu..."
"Potrei dire lo stesso di te."
"Oh. Già."
"La terza cosa, allora?"
"Tre. Puoi dirmi addio adesso e tornare sempre, sempre, sempre, dopo ogni
notte, dopo ogni missione, anche quando non vorrai vedermi più, sempre."
"Sempre?"
"Sempre."
"..."
"..."
"Addio, Ino."
Ino sorrideva vaga come sorridono i cieli, le cose belle e le donne innamorate:"Già, già, addio..."
E questa volta nessuno dei due diede il minimo segno di volersi alzare e
incamminare verso Konoha.
Maybe,
maybe, maybe, maybe, maybe dear
I guess I might have done something wrong,
Honey I'd be glad to admit it.
Oh, come on home to me! [Maybe, Janis Joplin]
Fin
Hokusai-sama: HokusaiKatsushika
(OH! Shika + Katsu
*_*! Destino) è stato un pittore giapponese, forse il più famoso in Occidente.
Molti impressionisti, Monet su tutti, si ispirarono a lui e ai suoi paesaggi. Le più celebri sicuramente sono le vedute del Monte Fuji e la Grande Onda presso la costa Kanagawa,
che poi è quella a cui ho pensato per la storia che avete letto or ora.
Nota
dell'Autrice
Vi prego, qualcuno mi dica che non sto scrivendo solo
una branca di schifezzatepseudoromantiche.
E che soprattutto Ino e Shika sono
IC. E che tutto quello di cui sopra ha un evidente
senso ._. e che si vede la differenza tra i tre diversi salti temporali.
Perchè sì, il primo dialogo avviene quando i nostri
beniamini hanno sedici anni, poi diciannove e infine ventidue. Si salta di tre
anni in tre anni, ecco spiegato l'arcano se non si
fosse capito (cosa assai probabile, conoscendo la mia tendenza a scrivere cose
chiare solo a me).
Spero che non sia la solita ShikaIno, mi sono tenuta
stretta col mieloso e con l'angst. Insomma, ho sempre
professato di odiare l'angst e poi non posso scrivere
solo cose angst e piagnucolose! E
poi ho tutta una mia visione personale del rapporto InoShika,
spero d'averlo trattato bene. E' facilissimo banalizzare con quei due.
Le rose "materiali" a cui accenna il titolo sono quelle poggiate con
discrezione sulla tomba di Asuma.
Il loro colore, pesca, significa "amore segreto". Abbastanza chiara
l'allusione, no? Le rose di antimateria, invece, sono
i fiori delle conversazioni di Ino e Shikamaru. Equell'addio finale, soprattutto.
La canzone citata alla fine è, come scritto, Maybedella grande JanisJoplin.
Questo perchè Ino è tremendamente JanisJoplin secondo me: l'intera storia è stata scritta
ascoltando ripetutamente un suo GreatestHits. Ascoltatevi Me & BobbyMcGee... quelli lì sono Ino e Shikamaru!
Tra l'altro, Shikamaru non ha mai detto "mendokuse" in tutta la storia: perchè? Beh, si suppone
che sia cresciuto un po', ecco. Basta misoginia da quattro soldi. Si pensa
(leggasi: io penso) che sia maturato da quel punto di
vista. Ma che continui, sempre e per sempre, a guardare il cielo assieme a Ino.
Comunque. Tanti auguri a me!
Da oggi, come saggiamente ricordatomi dalla Marta altresì
dettaAnle altresì detta Pèriko,
non posso più spedire pacchi bomba a Kishimoto. Mi
arrestano.
Da oggi mi tocca far la persona seria, ho capito ._. quindi comincio già da ora
con dei ringraziamenti in grande stile.
Grazie
a...
Letizia, Camilla,
Susanna, Marta, Chiara, Elena, Sara, Gaia (la Koks!),
Val, Aurora.
Grazie a tutte voi <3, vi adoro davvero.
Grazie a chi recensisce, a chi legge, a chi mette le mie
schifezze tra i preferiti, a chi mi stima, a chi conoscerò tra qualche tempo, a
chi non conoscerò mai, a chi stimo, a chi mi regala l'ispirazione ogni volta
che leggo i suoi racconti, a chi dirà che scrivo
cretinate, a chi mi criticherà, a chi mi farà stare bene.
Capitolo 12 *** New Splendour to the Dead [Deidara] ***
Disclaimer: I personaggi citati appartengono a Masashi Kishimoto, che
quindi si prende tutti i diritti del loro uso
Disclaimer:
I personaggi citati appartengono a MasashiKishimoto, che quindi si prende tutti i diritti del loro
uso. Qua e là ho sparso diverse citazioni: Arancia Meccanica, Bob Dylan, Modena City Ramblers. E'
tutto merito dei rispettivi autori, ovviamente.
La frase iniziale appartiene, come scritto, a Shakespeare
e al suo Macbeth.
La
strofa riportata in finale è stata scritta da Fabrizio De André,
dunque a Lui va ogni elogio.
NewSplendourto the Dead
Un monologo per esplosivo e nuvole rosse
Spegniti,
spegniti, breve candela! La vita non è altro che un'ombra
che cammina; un mediocre attore che si pavoneggia e si dimena sul palcoscenico
per il tempo della sua parte e poi non si ode più oltre. È una favola narrata
da un idiota, piena di strepito e furia e senza significato alcuno.
-“Macbeth”, Shakespeare
(Il sipario è aperto sulla scena, con le luci tutte accese,
come durante una prova.
Non c'è scenografia, il palcoscenico si perde in un buio fondale nero e la
scena è spalancata sul pubblico.
Le scalette che conducono sul proscenio non sono ancora state tolte: una
dimenticanza, forse.
Non c'è alcun accompagnamento musicale, a parte il leggero ronzio elettrico
delle luci della ribalta.
Il pubblico attende, in silenzio.
D'improvviso,
come obbedendo a un impulso del tutto naturale, una
figura si alza dalla prima poltroncina della prima fila e abbandona la platea.
E' un giovane biondo e magro, coi capelli acconciati
in uno strambo ciuffo alto. Si muove come se fosse stanco eppure teso nello
sforzo di non darlo a vedere, dunque si trascina sul proscenio con un'aria
spossata ma dignitosa, il cipiglio orgoglioso, quasi da snob.
Ha fra le mani una maschera bianca di gesso e, senza neppure volgere uno
sguardo al pubblico, la cala sul viso. Due occhi azzurri, accesi da una
vivacità sinistra, brillano nelle mezzelune vuote della maschera.
Dopodichè il giovane muove qualche passo casuale, come se fosse indeciso o
incerto, poi decide di piantarsi nel centro luminoso della scena.)
DEIDARA:
(stende lentamente la mano destra verso il pubblico, mima con due dita la
forma di una pistola) ...Bang. (Nessuno ride. S'ode il tonfo di qualcuno
che è stato colpito ed è caduto a terra. DEIDARA ridacchia piano, lentamente,
col tono irriverente di un ragazzino. Un battito di ciglia ed è serio). Funziona così. Il rumore se li porta via, già (occhi
azzurri impudenti, spalancati),non dicono più una parola.
"Bang", fumo e silenzio.
Non esistono più.
Bang (ripete più volte il gesto, pensoso). Basta talmente poco, solo la
combinazione di un paio di cosette piuttosto infiammabili, salnitro tritolo
nitroglicerina, e "bang", fine. Uno sbuffo di niente (ride ancora,
quasi incredulo).
Beh, penso che l'idea mi sia venuta proprio da questo. Se con un detonatore e
un esplosivo si può cancellare una parte di mondo, perchè non rendere l'istante
che precede l'apoteosi degno di essere ricordato? L'istante in cui un corpo si sublima. Una sensazione... (cerca
la parola giusta, interdetto) ...estatica, sì.
Ridicoli attimi di vite sublimati in quel momento di pura estasi dei sensi, la
conflagrazione, la rottura di ogni simmetria.
E allora... allora un momento del genere dev'essere splendido. Di più, indimenticabile. Di più ancora, dev'essere una catarsi.
In una parola, dev'essere arte. (Tace, cercando applausi che non arrivano).
E dire che molti non lo comprendono.
Milioni di "artisti" o sedicenti tali che assurgono l'arte a monito
perenne, altri che ripetono vuoti elogi di circostanza senza capire, altri
ancora convinti che la forma delle cose sia quella che
si vede, oppure alcuni che ritengono il Caso miglior artista. (Ride, scuote la testa) ...Il Caso, certo, come no, milioni di istanti
bruciati sull'altare del caso, milioni di paccottiglie ammuffite che
invecchiano nei recessi dell'Eterno.
Le vostre vite sono deboli, sono fugaci, sono ordinarie e prive di bellezza. (Sorride, sfrontato) Ma io, oh io, io
posso farne qualcosa che è degno di essere chiamato arte, in saeculasaeculorum se preferite o
anche solo per un respiro.
Bang (scandisce), un istante e più nulla. Maquell'istante, quel solo
istante... vale diecimila eternità consumate nei crepuscoli interminabili e
nella sonnolenza dei secoli. Quell'istante, dannazione (sorride). Quell'istante.
Io ho vissuto per quell'istante.
...Ehi lei, laggiù, in sesta fila, proprio lei, mi dica: non sarebbe contento
di venir trasformato in uno splendido fiore rosso e
giallo?!
Dinamite, scoppio e... Bang. Un uomo che diventa un fiore
perso nei cieli chiari.
...Ha mai visto niente di più poetico, lei?!
Cosa importa se quella è l'ultima cosa che vedrà!
E' poesia, è filosofia, è arte. A-r-t-e.
Ovviamente dovevo farne il centro della mia esistenza.
(Senza preavviso DEIDARA scarica una sequela di "Bang!"
sul pubblico.
Si odono tonfi in sala, prima che si spenga anche l'eco dell'ultimo
"Bang!".
DEIDARA allora si lascia cadere seduto sul proscenio, le gambe che penzolano
nel vuoto.)
Mi hanno detto "cresci!" e l'ho fatto. Mi hanno
detto "combatti! uccidi! muori! difendi!".
Mi hanno insegnato come diventare un'arma, mi hanno parlato dei Quattro
Cavalieri, morte guerra pestilenza e carestia, mi
hanno reso banale, ottuso, patetico ninja uguale a
mille altri.
Ci ho pensato io, però, a rendermi Arte, proprio ciò che loro non mi avevano
detto di fare.
...Della mia vita non si sa nulla. Ehi, io non ho vita, non è vita quella
dell'attore, non è così?!
La mia vita è "Bang!" (ridacchia) ...Ah, mi perdoni, lei,
laggiù, volevo colpire quello alla sua sinistra, sa, mi duole ammetterlo ma neanch'io sono perfetto.
Vedete, c'è una cosa di cui non vi ho parlato. Ditemi, voi sapete qual è l'odore dell'aria, un attimo
prima dell'esplosione?
No, eh?
Lo supponevo.
Perchè, sapete, è qualcosa di disumano. E' quello il profumo del Paradiso;
cento volte meglio dell'olezzo polveroso della pioggia, dell'aria gravida di elettricità, degli umori sanguigni e acquosi. E' Il Profumo, direi. L'Archetipo. Ti entra nelle
ossa.
Sapete, un giorno ai Ninja della Roccia era balzata
in mente un'idea che definirei quasi geniale: far saltare in aria il vecchio
Deposito di Esplosivi di Iwa.
E ci sono riusciti, sapete?!
Con me dentro, però. (Tace, attende invano applausi). Quest'ultimo dettaglio non l'avevano calcolato.
Contavano di liberarsi anche di me, forse, non so,
così mi hanno regalato un buon 70% di corpo meccanico. Ma(si fa furtivo, sussurra) quello che è divertente
è che stato peggio per loro. Molto peggio per loro.
Pensavano di disfarsi di un peso troppo scomodo,
invece mi hanno insegnato l'arte, signori.
Credevano di polverizzarmi grazie a una carica di
tritolo, e invece... invece... invece la bomba scorre nelle mie vene, è parte
stessa del mio corpo. (Grida, la voce
tonante) Oh, sì, tripudio: io sono distruzione, io sono ciò che mi ha quasi
ucciso!
Oh, delirio. Delirio, delizia e dannazione, piacere impacentitodivenuto carne.
...Tra l'altro, un candelotto in più sarebbe bastato a spedirmi dalle parti di Plutone. Ciò dimostra la loro incompetenza.
Spero si divertano lassù, dicono che faccia piuttosto
freddo. Ma in fondo non m'interessa, e credo non interessi neppure a loro:
dubito possano accorgersi di qualcosa, disintegrati in pezzetti più piccoli di
un'unghia come sono.
...Ma ehi, guardate là, quello dorme! (scatta
in piedi, punta la mano e spara) Bang! Adesso dormirai un po' più a lungo,
cocco, detesto essere ignorato. (Si schiarisce la voce, torna a sedersi sul proscenio) Stavo dicendo,
signori, che l'arte non ha confini. Non conosce ideali, villaggi, traditori,
vinti, complotti.
I fiori nella sporcizia non sbocciano forse improvvisi, da un momento all'altro?!
Così è la mia arte. Bang, esplosione, apoteosi, sublime, tripudio, elevazione, un
secondo che non si ripete, tanto più splendido perchè fugace. (Si sdraia sul palcoscenico, le braccia
incrociate dietro la testa) Le vite delle persone mi hanno sempre annoiato.
Farle esplodere mai, invece.
Conoscenze, dissapori, paranoie, grettezza... Monotono,
sì. Un fuoco d'artificio invece è leggero, svanisce nell'ombra e BOOM, la cosa
più bella del mondo. (Si tira su, inquieto fissa il pubblico)
...Ascoltatemi voi, ascoltatemi bene, voi che vi riempite la bocca di parole
come "eternità", "ricordo", "monito",
"imperituro", puah, parole nauseanti. (Ride istericamente, quasi singhiozza) Chi predicava l'Eterno è morto
ucciso da una sua creatura, lo sapete?! Brutto vizio quello di voler
sopravvivere alle proprie opere d'arte. Non perdona. Ma io, oh io... (sorride, estasiato) ...io sono
diventato l'esplosione.
Io, io ho smesso di essere Deidara,
Mukenin della Roccia, per diventare Arte.
Potete volare così in alto, voi?!
Potete unirvi per un battito di ciglia con l'Indissolubile?!
Oh ma voi, voi m'invidiate, voi grigi e tutti uguali, voi sonnolenti, voi già
morti, voi che non sentite il sibilo della dinamite frusciare nelle vene!
Voi siete per tutta la vita sacchetti vuoti, che io solo posso far scoppiare (sorride
di nuovo, sardonico). B-a-n-g, capito?
(Con un balzo è in piedi, in equilibrio sull'orlo del vuoto, la
maschera bianca contorta in un ghigno, la voce stentorea).
E dunque splendore per il morto, onori e gloria a ME, tripudio e gioia! Che sia
allora fama, e vittoria, e Follia, che io sia un santo o un assassino, che
bruci all'Inferno o languisca nell'apatia dei cumulonembi del Paradiso, che sia
la pietra che rotola, lo specchio storto, il chiodo
che picchia nel muro, l'artiglio che stride sulla lavagna!
Che sia il Saggio, il Folle, il Principio e la Fine!
Splendore, splendore per il morto, per l'ekpyrosis,
per il fuoco che divampa e dà vita a un nuovo ciclo! Onori e trionfi per
l'attimo d'arte assoluta, l'istante in cui non esistono più né tempo nè spazio!!!
Splendore, signori, splendore per il morto, splendore per me!!!
(Dopo l'esclamazione, il volto è rivolto verso il basso, il capo
incassato tra le spalle e gli occhi fissi sulle assi del palcoscenico.
Le braccia di DEIDARA invece sono distese nell'impeto dell'esplosione, eppure
come congelate: tutto il suo corpo è immobile e statico come quello di un
giocattolo rotto, non più una scossa di vita in lui. Sfila delicatamente la maschera bianca di gesso, adesso la
tiene nel pugno.
Infine alza sul pubblico un viso serio, distaccato e impassibile, gli occhi
azzurri freddi come ghiaccio e la voce monocorde.) Ehi, amico. 'Sta volta non ritroveranno di te neanche l'ombra. E' dinamite questa, non vedi?
'Sta volta finisce qui, amico. 'Sta volta è davvero
finita qui. (Punta le due dita, l'immaginaria pistola, alla tempia. Sillaba un
"Bang" senza suono.)
(Tutto il teatro sussulta sull'onda di un
boato devastante.)
(DEIDARA scende dal palcoscenico attraverso la scaletta, consegna
la maschera a chi è seduto sulla seconda poltroncina della prima fila e
prosegue in silenzio verso l'uscita dalla platea.
La sua figura si perde nel buio mormorante di voci del
pubblico, svanisce nelle viscere oscure del teatro.
SASORI,
nel frattempo, sale uno ad uno i gradini della
scaletta che lo porteranno sul palcoscenico, la maschera bianca fra le dita, le
mani che si alzano per calarla lentamente sul viso...)
Per strada tante facce
non hanno un bel colore,
qui chi non terrorizza
si ammala di terrore,
c'è chi aspetta la pioggia
per non piangere da solo,
io son d'un altro avviso, sonbombarolo! [Il Bombarolo, Fabrizio De André]
Fin
Glossario
Catarsi: filosoficamente,
purificazione dalle passioni da parte di chi assiste a
un dramma. Iwagakure: Il Villaggio della Roccia. Ekpyrosis: Termine greco che significa "conflagrazione".
Per gli Stoici era l'enorme incendio che segnava la fine di un'era e l'inizio
di un'altra.
Nota
dell'Autrice *Si schiarisce
la voce* PRIMA CLASSIFICATA al Contest "ShakespearemeetsNaruto" indetto da LalyBlackangel
e Mala Mela!
...E sì, ne vado alquanto fiera, dato che ciò che
avete letto è il mio primo esperimento teatrale, e sapere che ha avuto cotanto
successo mi rende tremendamente, estremamente, totalmente, *qualcos'altro in
-mente* felice!
Detto
questo, però, ringrazio i due giudici, Mala Mela
e LalyBlackAngel, che sono state velocissime
-e i bannerini sono fantastici *_*!-, la Chaos, di cui non vedo l'ora di leggere la sua storia,
Jess_Elric, che ha scritto una cosa stupenda e
ha tutta la mia ammirazione,Ayumie Memi, che commenterò quanto prima. Wow. Brave
ragazze!
E' stato un concorso fantastico, spero che il Bardo, o Cigno dell'Avon o comunque lo vogliate
chiamare, non si sia scandalizzato troppo nel vedere frammenti dei suoi drammi
cuciti addosso ai personaggi di un manga. Tra l'altro ancora complimenti a Mela
e a Laly per aver avuto un'idea così bella, e per
aver scelto citazioni ad alto contenuto di ispirazione.
...Ma, miraccomando, non dite MAI "Macbeth" in un teatro *_*! Almeno di non voler essere
inseguiti da un branco omicida di attori inferociti.
Comunque, non ho il tempo materiale per rispondere alle 14
recensioni dello ShikaIno Day, ergo mi accingo a
ringraziare, in ordine sparso: laChaos-che,
come il prezzemolo, c'entra sempre u.u-, laKoks, la Périko, poi _Saretta, MillyMalfoy,
Piichan, Mimi18 (sono contenta che NarcissistCafé ti sia piaciuta
così tanto <3 grazie di cuore!), Neji's
Fan ovverosiaFrancy, Sakurina
(addirittura una poeta simbolista *_*! Ma
grazie! Tu mi vuoi blu di complimenti!),Memi(ti
devo mille recensioni >.< dannata memoria che mi tradisce sempre!), Elwerien (approfitto ora: io ADORO le tue storie!), Celiane4ever,
Ely 91, Rinoa
81 e, lastbutnot the least, Eleanor89 (guarda
che le aspetto, le tue recensioni, eh ;) e anch'io
devo darmi una mossa, nonostante tu abbia dato alle stampe unaSasuHina!).
Ancora
grazie, grazie, grazie. Ho idea che dovrei riscrivere
un altro Arigatou gigantesco, ma non basterebbe per
esprimere tutta la gratitudine che provo per coloro che hanno sprecato cinque
secondi del loro tempo per leggere le mie storie e scrivere due righe di
commento. Grazie, infinitamente.
Capitolo 13 *** Within and without with White [NejiHina] ***
A Gaia, piccola dolce neosedicenne che si merita tutti gli auguri e i
regali di questo mondo
A Gaia, piccola dolce neosedicenne che si
merita tutti gli auguri e i regali di questo mondo.
Disclaimer:
I personaggi citati appartengono a MasashiKishimoto, che ovviamente si prende tutti i diritti del
loro uso. La strofa della canzone riportata come intermezzo tra i paragrafi è Amsterdam
dei miei splendidi e amatissimi Coldplay.
Inutile dire che i diritti per cotanto capolavoro sono
tutti loro.
Within and
without with White
Come
here my star is fading
And I swerve out of control
And I swear I waited and waited
I’ve got to get out of this hole
Neji-niisan sorrideva.
Vagamente, in quel modo speciale che soltanto lei
conosceva, incurvando appena all'insù gli angoli della bocca, in una smorfia a
metà tra il sorpreso e il seccato.
Sorpreso di se stesso e di lei, e di ciò che erano
diventati.
Seccato, perchè per lui era impossibile essere allegro, c'era sempre qualcosa
che oscurava i suoi occhi, anche nei momenti in cui la felicità sembrava a
portata di mano, dimenticata dietro di loro come la terza silenziosa
controparte dei loro incontri.
Ma comunque sorrideva: una statua di marmo immacolato
che veleggiava lungo il fiume, verso altri luoghi, verso un'impossibile pace
dello spirito.
Neji-niisan era, semplicemente.
Ma, comunque, sorrideva.
Il
funerale era stato rapido e rispettoso, senza lacrime -non sta bene che le
signorine di buona famiglia piangano- né celebrazioni altisonanti: non avevano permesso
ai suoi compagni di Squadra e al suo sensei di
partecipare e non avevano diramato inviti per nessuno.
La Disperazione era rimasta fuori dai Quartieri Hyuuga, a graffiare le porte come un cane affamato per chiedere
di entrare.
Nessuna pietà per Neji-niisan, che si era macchiato
della colpa peggiore; nessuna orazione né compianto
per lui, i suoi passi su questa terra dovevano essere dimenticati in fretta,
come si fa coi cattivi ricordi, seppellendoli nel silenzio pesante come una
montagna delle loro case. Lei, comunque, non li avrebbe dimenticati.
Neji-niisan era circondato da fiori bianchi, splendidi: un letto
sontuoso, un letto di calle d'avorio per lui, l'eterno
sconfitto dal Destino, poichè almeno nella morte gli
fosse tributato l'onore che in vita gli era sempre mancato. Hanabi non aveva pianto; aveva pianto
nel suo modo, che Hinata conosceva bene, aveva pianto
nel dojo di famiglia, spezzandosi le ossa in
allenamenti massacranti e interminabili come le veglie funebri. Hinata invece non aveva pianto.. Hinata aveva preso tra le braccia quei fiori bianchi,
splendenti e altezzosi come Neji-niisan, e uno ad uno
li gettava nelle acque cristalline del fiume.
Affondavano tutti, come se fossero stati fatti di piombo. Pesavano quanto i
suoi rimorsi, probabilmente: erano insostenibili.
Una fascia di seta bianca copriva la fronte di Neji-niisan.
(Bianco, il colore dei traditori, il colore dei morti.)
Perchè
nessuno vedesse che era carbonizzata, quella
fronte, come il tronco secolare e rugoso di una quercia.
Come
on, oh my star is fading
And I see no chance of release
And I know I’m dead on the surface
But I am screaming underneath
Naruto-kunera come le stelle, che
brillavano lontane e prive di calore, senza riscaldare né rischiarare il
giorno. Neji-niisan era come il fiume che scorreva e
impetuoso esondava, riempiva ogni cosa e rifiutava
d'andarsene via.
Era prevedibile che sarebbe stato seppellito in quelle acque limacciose e
irrequiete, dormendo su un letto di fiori e alla luce di piccole candele
bianche.
Ogni cosa aveva la sua brutale, elementare logica sanguinaria.
Quando anche l'ultima calla era scivolata in acqua, Hinata aveva guardato il suo riflesso sfocato e danzante
sulla superficie del fiume.
Una macchia bianca -il viso-, una colata
d'inchiostro -i capelli-, un velo d'azzurro screziato -il kimono-.
Fiori di cenere che si sfogliavano -i suoi occhi-.
Era un mostro, un'accozzaglia di colori senza forma, un pasticcio incoerente a
cui mancava tutto.
Neji.
Sì,
lui. Anche.
Quando Hinata si lasciò cadere nell'acqua
non fece alcun rumore, né sollevò spruzzi od onde concentriche.
Il gelo del fiume le gonfiava l'abito e le intrecciava i capelli, la spingeva
sempre più lontano, lontano, e già scorgeva le candele accese che
accompagnavano la sua bara, e i fiori bianchi, e la familiare onda dei
capelli castani sparsi sull'acqua come su un cuscino.
Sorridere
allora fu un gesto necessario, e naturale.
Fin
Nota
dell'Autrice Lo so Koks, è triste. Tristissima.
Pura angstaggine come di mio solito. Però è così che
ti auguro un buon compleanno -in ritardo d'un giorno, doh!-,
è così che ti auguro di voltarti, come Neji e Hinata non hanno fatto, e afferrarla stretta
stretta 'sta felicità, che sta sempre nascosta
anche quando è vicinissima e non si fa mai vedere da noi poveri mortali.
Quello che conta in fondo è il carpediem. Sempre, sempre, sempre. Per non
doverlo rimpiangere, come poi ha fatto Hinata.
Su... ti ho sollevato il morale almeno un pochino? Un pochinoinoino?
No, eh?
Pazienza. In fondo ho riscritto una Hyuucagest, cosa che credevo impossibile anche nei
miei peggiori incubi.
Tanti auguri, tesoro :*!
Mala Mela: Una Mela senza parola è una Mela contenta u.u
dunque posso essere fiera di aver impressionato una cotanta scrittrice e -da
poco- compagna di cazzeggiamento su msn. Grazie mille del tuo giudizio :)
mi ha reso fiera dei miei pasticci letterari essere riuscita a colpire te, è
una piccola vittoria personale.
Quasi tutto il merito però va a Deidara :) è un personaggio fantastico per il teatro, ce l'ha
scritto addosso. Si meriterebbe un dramma tutto per lui, sì sì! Talpina Pensierosa: Ma grazie mille :D!
Felice che ti sia piaciuta. Kokky: Eeeeeeh, mi son scordata di metterlo nelle note dell'autrice,
ma Novecento c'era, ovvio che c'era *_* brava tu che l'hai colto subito.
La fine, soprattutto, l'ho ripresa da Novecento: non so perchè
ma vedevo combaciare perfettamente la storia di Deidara
e quella di DannyBoodmanT.D.Lemon Novecento in quel
punto, perciò ho deciso di rendergli omaggio in questo modo. Povero,
povero Baricco ._.
Spero che questo tuo piccolo regalo di compleanno che hai testè
letto possa stupirti quanto il monologo di Deidara.
Sì, è un po' macabro, ne convengo, ma l'ho scritto col cuore <3 tutto per
te. E poi so che ti piacciono i Coldplay
e fidati, leggi la storia con Amsterdam in sottofondo. Merita davvero.
E' una canzone bellissima, straziante, lieve, proprio come Hinata.
Kaho_chan: Contenta?!
Ho riscritto una NejiHina! Mamma mia, mi sto
spaventando, diventerò mica capace di scrivere di loro
due?!??? Devo scrivere una NaruHina per
controbilanciare, presto, presto!
Scherzi a parte, dev'essere anche colpa della tua
influenza. E del famoso triangolo HanabiKibaHina.
Che strazio quella storia, li hai maltrattati senza riserve!
Le tue riflessioni sul monologo comunque sono come
sempre precise, incisive e perfette. Mi ha fatto piacere notare che hai
percepito la 'legnosità' del testo, dato che i veri copioni teatrali sono quasi
privi di indicazioni (io ho dovuto inserirle per
esigenze di trama), e che tu sia riuscita a capire dove effettivamente ho
voluto puntare il dito: Deidara non ama l'esplosione
in se e per se, ama l'attimo prima, quello in cui il corpo si prepara alla
conflagrazione. Oh, wow. Non so da quanto avevo in testa quest'idea.
Io ce lo vedo Deidara un po'
filosofo un po' assassino un po' folle. Un po' attore anche,
che come Macbeth strepita una favola senza senso su
un palco e poi muore, sommerso da milioni di facce tutte uguali.
Appena torni giù dall'eremo comunque riparliamo come
al solito <3 e ti farò ascoltare tutta la discografia dei Portishead *_* sono fantastici. Un bacio, tesoro, mi
manchi! Jess_elric: Sublime. Che bella parola *_*!
Quando hai detto che il monologo è una delle cose
migliori che hai mai letto, se non la migliore, giuro che ho vacillato. Non ci
credevo mica, eh, non ci credo neanche ora che rileggo
la tua recensione. Grazie davvero per le belle parole,
sublime, magnifica, deliziosa, originale, parole splendide che non
merito, ma che mi fanno tanto tantotantotanto (e ancora di più!)
felice. E la tua m'è piaciuta sul serio! Abbiamo idee diverse
sul Team 7 (tu sei NaruSaku, io smaccatamente SasuSaku) ma
so riconoscere la bravura tralasciando le schermaglie di pairing.
Continuerò a seguirti, stanne certa, soprattutto se scriverai qualcos'altro su
Ino e Shika o Sai. E poi tu
hai un dono che io invidio moltissimo: la concisione. La
capacità di dire tutto in poche parole, senza lasciare l'impressione che manchi
qualcosa. Miraccomando, non perderla mai :). Mimi18: Oh wow, sono contenta di averti avvicinato Deidara!
Sai, anch'io preferisco Sasori tra i due, ma
decisamente Deidara è molto, molto più teatrale dell'Akasuna. Insomma, Deidara è un
personaggio perfetto per il teatro, dovevo togliermi lo sfizio di immaginarlo
in quelle vesti, parlando in quel modo e con quella
maschera tra le dita.
Grazie per aver letto e recensito. Le tue impressioni sono giuste, giustissime:
è proprio ciò che volevo scrivere^^! Che bello! Memi: Ma grazie per i complimenti e per tutte
le belle parole, e ovviamente per seguirmi passo passo
in questa raccolta. Grazie davvero, Memi!
L'aggettivo sperimentale accostato alle mie storie poi mi fa luccicare
gli occhi di gioia. Io amo sperimentare *_* e sono un'accanita fan degli
scrittori che sperimentano, e in effetti col monologo
mi sono proposta di fare proprio questo. Sapere che ci sono riuscita mi riempie
di gioia, magari ritenterò qualcosa sulla scia di questo Deidara
teatrale. Chissà, si vedrà. _Eleuthera_: Ma saaaalve!
Posso chiamarti 'collega', anche se non sarebbe proprio esatto?! Perchè sì, io sono una teatrante (seguo un corso
organizzato dalla scuola... e stiamo preparando i nuovi spettacoli proprio in questi
giorni!), mentre tu, mi par di capire, studi seriamente per diventare attrice.
Mamma
mia. Allora il prima possibile dobbiamo parlarne! Comunque, hai ragione, teatro E' vita. Me ne accorgo io stessa ogni volta che proviamo, me ne accorgo
sempre di più: è una delle cose più belle che esistano al mondo, è esistere e
non esistere, è difficilissimo, perchè bisogna diventare personaggi pur essendo
persone ma, per quanto difficile sia, è capace di vivificare, di far sognare e
di arrivare dritto alle emozioni.
Il teatro, il teatro *_*!
Che bello sentirsi dire da qualcuno "dell'ambiente" che la cosa è
fattibile anche a livello scenico! Quello che temevo è che fosse
poco credibile come copione, un copione troppo letterario per poter salire su
un palcoscenico, ma se tu mi dici così allora mi rallegro tutta contenta, è la
prima sceneggiatura teatrale che ho scritto e ne vado un pochino fiera, anche
perchè Deidara secondo me è fatto per il
palcoscenico, tagliato su misura. Funzionerebbe in scena, sì sì!
Comunque, grazie mille per avermi inserita fra gli autori preferiti, sei stata
dolcissima. E io devo ancora commentarti per bene la
storia su Notre Dame! Diavolo, sono imperdonabile. Ma la recensione arriverà,
eh, non disperare :) a presto. Alla
tua prossima SasuSaku (gh!)
o splendida storia che sia. Grazie ancora! Darkrin: Eccome se puoi chiamarmi Tya. Ma volentieri!
Tra l'altro tu hai colto uno spunto fondamentale: l'esibizionista. Deidara è un dannato esibizionista, come ogni attore che si
rispetti, e ama mettere in mostra la propria lucida follia. Brava *_* l'hai
capito! E anche come hai descritto il teatro mi è
piaciuto: esplosione o eternità. Diamine, non ci avevo ancora pensato, ma può
essere entrambe le cose, proprio come Deidara. Grazie!
E grazie anche per aver commentato le altre Flavours.
Sei un tesoro, veramente :* mi hai commentato anche la
SasuSaku, che è ufficialmente la più sfigata tra
tutte, ma anche la PeinKonan e la ShikaIno.
Aw. Le tue recensioni sono breve
eppure analitiche, mi piacciono, dicono tutto quello che c'è da dire senza
strafare. Sei stata veramente gentile, ti ringrazio
ancora.
A presto!
Disclaimer: I personaggi citati appartengono a Masashi Kishimoto, che
ovviamente si prende tutti i diritti del loro uso
Disclaimer: I personaggi citati appartengono a
Masashi Kishimoto, che ovviamente si prende tutti i diritti del loro uso.
Come
due nuotatori che amano l'acqua, le loro anime si
uniscono senza essere cucite, nessun
legame.
Stillicidio.
:estens., fig., il ripetersi continuo di un evento.
Ci sono
i fiori, c'è il vento e c'è l'estate.
C'è un cielo limpido come acqua di mare, ci sono i gridi delle cicale soffusi
nella calura, c'è un giardino di petali che si estende a perdita d'occhio.
C'è un annaffiatoio ancora pieno d'acqua, c'è una piccola vanga intonsa, ci
sono un paio di forbici da giardiniere e un paio di guanti sporchi di
terriccio.
C'è, nell'onda del vento, il beffardo profumo delle cose che non cambiano mai,
il consueto odore di petali, di polvere, di cibo scottato sul fuoco.
C'è un sole giallo come una grossa moneta d'oro, un sole che picchia sulla nuca
e brucia la pelle, un sole che si perde nelle falde del suo grande cappello di
paglia.
C'è una cappa di silenzio che tiene il villaggio, laggiù, stretto nel suo
palmo.
Ci sono
tutte queste cose.
Potrebbero
liquefarsi tutte insieme nello stesso istante e non le importerebbe affatto.
Non le
importerebbe misurare la sua inquietudine sui gambi dei fiori recisi con malagrazia,
cosa che puntualmente accade, se non per il suo sopito senso degli affari che
sussulta improvviso, inorridito da cotanto spreco di danaro.
La migliore allieva di Ibiki Morino lo mette a tacere in quattro e quattr'otto.
Non le importa.
La migliore allieva di Ibiki Morino non ha orecchie per i suoi fiori, quel
giorno.
I fiori lo sanno, lo sentono. E ne sono offesi, perchè ricordano quando Ino
diceva di preferire loro a qualsiasi persona, di ricercare la loro gaiezza, la
loro vitalità spumeggiante e il loro silenzio discreto nella pesantezza degli
individui comuni.
Ma Ino era cambiata. Ino s'era messa a preferire unapersona anzichè un
fiore.
E questa era una grave, gravissima offesa per loro.
Solo che la migliore allieva di Ibiki Morino neppure ci pensava, al malcontento
dei suoi fiori. Come non pensava all'idilliaco pomeriggio estivo in cui era
immersa, vestita di un grande cappello di paglia, dall'aria un po' retrò a dire
il vero, che proteggeva quella pelle delicatissima, che il sole avrebbe divorato
in un solo boccone.
La migliore allieva di Ibiki Morino, gli occhi a filo delle corolle di petali e
le labbra appena schiuse, segno di chissà quale profonda concentrazione,
camminava sui carboni ardenti, perciò il suo sguardo era febbrile, la sua mascella
contratta, i suoi movimenti sgraziati e i muscoli dell'addome tesi come un muro
compatto.
La migliore allieva di Ibiki Morino, che di nome faceva Yamanaka Ino, si
struggeva sfrigolando come la fiamma di una candela.
Guardava solo e soltanto la cima dorata della collina, che si perdeva nella
risata allegra del cielo azzurro. Se per un istante appena alzava lo sguardo
dai fiori, come per riposare gli occhi dal brulichio dei petali variopinti,
come per un'innocente distrazione passeggera, guardava solo la collina che si
sollevava davanti al suo viso.
Doveva fare uno sforzo terribile: digrignava i denti, si mordeva l'interno
delle gote, agrottava le sopracciglia e diveniva una brutta ragazzina che fa
una smorfia di dolore, ma ci riusciva: non si voltava indietro. Dunque si
congratulava con se stessa e col suo autocontrollo d'acciaio, perchè ancora una
volta aveva vinto.
Poi s'accorgeva delle spalle e del collo contratti dal nervosismo, e tornava a
lottare con tutte le sue forze per non girare il capo.
Ma non s'era voltata, comunque.
Non aveva guardato verso il villaggio.
Lo sentiva, il villaggio, come una presenza inquietante dietro la schiena, un
nemico armato pronto a colpirla alle spalle. Un incendio che doveva
costringersi a non guardare, per nessun motivo al mondo, ma che pure continuava
a chiamarla coi fantasmi delle sue scintille.
Non si volterà, Ino: si volterà indietro solo al tramonto, quando scenderà
verso casa coi fiori recisi fra le braccia. Non prima, in nessun caso, anche se
al tramonto mancano ancora ore e ore e resistere è più difficile ogni attimo
che passa.
Ma non si volterà, no, non lo farà.
Lo
scatto misurato delle forbici è l'unico contrappunto che desidera per i suoi
pensieri, per i suoi sguardi accigliati di azzurro nell'azzurro: tic-toc,
tic-toc.
Le ricorda il ticchettio metodico di un orologio.
Tic-toc.
E Ino lottava, lottava. Aveva la sensazione che, dietro alle palpebre serrate,
gli occhi si muovessero come impazziti cercando di guardare laggiù, laggiù,
verso un posto che non esisteva, verso una delle ultime case del villaggio, una
casa da cui la mattina presto si vede l'alba che scivola pigra sulle colline
infreddolite, una casa senza orologi e piena zeppa di libri, con posaceneri
vuoti disseminati ovunque, col letto ancora sfatto e una tazzina sporca di
caffè che vegeta nell'acquaio della cucina, ammorbata da un silenzio
insostenibile...
Yamanaka Ino, la migliore allieva di Ibiki Morino, preferisce senz'altro stare
lì, in mezzo ai suoi fiori, dove si rifiuta anche solo di pensare a certe cose
come gli orologi, il silenzio e lo smalto che quella mattina non è riuscita a
darsi - le tremavano le dita - .
Muore di caldo, Ino, scotta, si chiede se ha la febbre. Le sembra che perfino
le ginocchia affondate nel terriccio vadano a fuoco, che la terra, i fiori, il
vento fumino e strillino infuocati, e forse anche il villaggio, laggiù, è in
fiamme. Ma comunque non si volta per controllare.
Sente gli occhi farsi liquidi, Ino, come pioggia.
E' la febbre, è la febbre, sicuro.
Il suo cappello di paglia non basta per proteggersi da un sole crudele come
quello.
I suoi muscoli si sciolgono come burro: perfino sollevare le forbici,
avvicinarle al fiore e farle scattare in avanti così da recidere il gambo - pur
lasciando intatte le radici - è diventato una fatica disumana, insopportabile.
Ogni cosa tende al centro della terra e forse anche lei sta precipitando, sta
finendo laggiù, non resiste, non resiste, crolla.
La
migliore allieva di Ibiki Morino che arranca nell'afa estiva, che si dibatte
come se tutti i suoi arti fossero diventati una pesantissima catena d'acciaio:
chiunque ne riderebbe, se lo sapesse.
Chiunque
direbbe che i fiori sono soltanto fiori, cioè molto belli e assolutamente
innocui, nessuno penserebbe che le stanno rubando aria, la stanno accerchiando,
la vogliono soffocare.
La migliore allieva di Ibiki Morino è sconcertata.
Nel cielo, oltre la collina, non trova le domande che sta cercando.
L'azzurro cristallino le restituisce una sensazione di luce incandescente, come
se fosse uno specchio che qualcuno le punta addosso perchè i raggi solari la
colpiscano, come fanno i bambini per bruciare le farfalle. Lo ha visto fare,
una volta, quand'era piccola: le loro ali battono ancora, spasmodiche, prima di
sublimarsi in una misera nuvola di cenere.
Fortuna che quel pomeriggio le nuvole sono altrove.
La migliore allieva di Ibiki Morino sgranchisce le dita indolenzite. Dispiega
ogni muscolo del corpo, come le ali di un uccello, ruota il capo a destra e a
sinistra - evitando comunque di voltarsi indietro -, scioglie le spalle
contratte.
L'orologio che le rintocca nelle orecchie non ha smesso di battere. Risuona
incontrollabile, spesso in accordo col netto incrociarsi delle forbici da
giardinaggio, furioso, irraggiungibile, un treno che fragoroso irrompe in pieno
contro di lei.
Tic.
E subito dopo, puntualissimo, il tuono, il boato...
Toc.
"Ino!"
Il
suo corpo era piuma d'uccello, era vento.
Il suo grande cappello di paglia dall'aspetto retrò, decorato con raffinati
fiori di raso dai colori pastello, volava dimenticato tra i fiori, quelli veri.
Ino ha smesso di essere Ino, Ino Yamanaka, la migliore allieva di Ibiki Morino,
l'astro nascente della Squadra di Tortura e Interrogazione degli ANBU di Konoha
o qualunque persona fosse un istante prima, adesso è solo la cosa spaurita che
si è tuffata tra le braccia di Shikamaru Nara, gettando via l'inutile e
sospettoso muso di Cervo che lui portava calato sul viso.
Gli sussurra qualcosa di sconnesso, lo stringe, forse ha paura che non sia
reale, teme l'illusione, teme che ci sia un altro dannato pomeriggio di sole
vuoto e soffocante, se potesse diventerebbe acqua e scorrerebbe in lui fin
quando la vita glielo concedesse. Non lo lascia andare, non lo lascia andare,
gli concede appena il respiro e qualche parola che neppure riconosce.
Non ride, non piange, non lo riempie di baci o di schiaffi, non saluta il suo
ritorno con una fiumana di parole, non pensa neppure, trema e basta, il suo
volto non ha espressione: lei è una cosa di Shikamaru, morirebbe se lui si
spostasse di un solo passo.
Si sente affondare, piano, con dolcezza. Vede l'istante preciso in cui
l'universo negli occhi di Shikamaru le si riversa addosso e lei visita un
paradiso stralunato, profondamente terreno, da cui riemergeva a malincuore solo
dopo ore ore ore giorni o forse mai.
Fin
Nota dell'Autrice Non è
particolarmente geniale né originale, lo so, perdonatemi. Solo, avevo voglia di
qualcosa di dolce e struggente. E di Shikamaru e Ino, anche.
La frase in corsivo che vedete lassù, ecco, è la traduzione del tema n.37 delle
Flavours: Like two swimmers who love the water, their souls knit together
without being sewn, no seam. E non è neanche uno dei più lunghi, eh ._.
Comunque sia, TANTI AUGURI A INO E A SHIKAMARU!!! Happy
White Midnight to everyone!
Ringraziando:
tutte le ragazze dello ShikaIno Official Fan Forum
le admins: Ren#93, Coco Lee, Mimi-chan, _Neji's fan_ e tutte le Moderatrici.
You rule, girls!
Wishful perchè mi ha scritto via mail per ricordarmi dello ShikaIno Day
tutte le splendide utenti del sopracitato forum
chi ha inventato lo ShikaIno Day *_*
Elwerien che ha inventato la qualifica di Mosche Bianche
chi ama Shikamaru e Ino
tutte le autrici che scriveranno altre meravigliose storie per festeggiare la
Mezzanotte Bianca
...e anche Kishimoto (tsk) per aver creato Shika ed Ino!
Sweetprincess: Aw <3 addirittura una mia
grandissima fan! Oh Gosh! Così mi fai veramente arrossire e, quel che è peggio,
mi vizi :p e ciò è decisamente male, perchè finisco per montarmi la testa. Ah,
ma che piacere leggere cose così >///
Mimi18: Oh, The Sweet Mimi! Perdonami, ma quando leggo i tuoi commenti
vado in brodo di giuggiole, sei veramente troppo buona con me, non me lo merito
<333 e non voglio responsabilità riguardo un ritorno di fiamma Hyuugacest XD
Per il SasuSaku sono ben disponibile a traviarti, ma ecco *cough* il NejiHina
non piace u_u Hinata la preferisco di gran lunga con Naruto. Però il NaruHina
non riesco a scriverlo ç___ç quindi in qualche modo devo arrangiarmi.
Dev'essere l'angst dell'Hyuugacest che inconsciamente mi attira.
E trovo il bianco un colore splendido nelle fanfiction. Sta a pennello con lo
ShikaIno per ovvi motivi, ma si adatta molto anche agli Hyuuga, a Sakura, alle
atmosfere un po' particolari. Sono felice comunque d'aver reso leggibile una
situazione terribilmente angst come la morte di Neji, odio le depressaggini
fini a loro stesse :)! La Chaòs: Eccola qui *.*!
Che bello scrivere qualcosa e sapere che tu la commenterai. Chebello chebello
chebello! Mi fa davvero venir voglia di scrivere, pubblicare, macinare trame
sempre nuove e non arrendermi. Sì. Uno dei motivi sei senz'altro tu <3
sicuro.
Le tue analisi alle mie storie sono sempre precise, approfondite, quasi
critiche: ti soffermi a pensare, non scrivi le prime boiate che ti passano
nella testa, ma rifletti e riesci a scorgere sempre quello che io dissemino nei
miei deliri creativi, che sia lo sfogo disumano di Hanabi (<3 che tesoro
quella bimba!) o Hinata che non piange, ma affronta la morte con una certa
serenità. E lo sapevo che a te sarebbe piaciuta la lontananza di Naruto XDD ma
in fondo che significa?!? Può essere a qualche metro da lei che urla strepita e
corre e l'afferra all'ultimo secondo prima che cada in acqua... Tutto è
possibile nella mia testolina bacata *_*! E sai che il NaruHina proprio non
riesco ad odiarlo, per quanto scriverlo mi sia ostico. Ma sì, concorso su tutto
ciò che hai detto sul personaggio di Hinata. E' davvero strana :) e, per quanto
io la maltratti sempre, spero che Kishimoto le riservi in futuro un po' di felicità.
Ci sentiamo appena entri su msn, Chaos <3! Koks: Ed ecco anche la diretta interessata :D!
La tua recensione mi ha fatto davvero felice, perchè sapevo che veniva
drittadrittadritta da quel posto a sinistra del petto chiamato cuore u_u
e tra le righe vedevo che questa amarissima flashfic t'è piaciuta sul serio.
Menomale! Avevo paura di crollare miseramente, purtroppo sai che ho dei
problemucci con l'Hyuugacest. Ma non divaghiamo, e comunque sì, sei la donna
che mi fa fare cose impossibili, tipo leggere una NaruSaku (IO! Una NaruSaku!
Io!) e scrivere una NejiHina XD perciò vanne fiera, my darling, è un pregio che
concedo a pochi eletti!
Allur, io ho pensato sinceramente all'incesto, parlando di 'colpa peggiore'.
Perchè il Clan Hyuuga non è che mi sembri granchè aperto di vedute, ecco,
sicchè Hiashi-sama sarebbe lesto ad attivare il Sigillo del nipotino se lui
mettesse gli occhi sull'adorata (?) primogenita. La benda sulla fronte è dovuta
appunto a quello: il Sigillo attivato è quasi un'ustione, e non credo che gli
Hyuuga avrebbero seppellito un membro del Clan con un bello squarcio in testa
u_u sono ipocriti. E' sorprendente, li odio ma riesco a scriverne abbastanza
bene XDDD! Qualcuno mi spieghi ciò!
Il funerale in acqua invece è un'idea che mi ronza in testa da tempo, devo
averla vista nel Signore degli Anelli *mumble*, cioè, anzichè buttare il
pover'uomo nella terra o bruciarlo, perchè non piazzarlo su una barchetta con
tutti i lumicini e mandarlo alla deriva nel fiumiciattolo? Poi non so, Neji mi
suggeriva quest'idea. Sarà stato il bianco, l'immagine di lui composto nella
bara d'acqua che scivola via... insomma tutto un trip pazzesco.
Ma ti voglio bene, eh. E sono contenta che il mio regalo ti sia piaciuto. LaClà: ...Una Mela contenta è una Mela pacifica, che non vuole
momentaneamente scuoiare nessuno, quindi ciò è bene *_*!
Scherzi a parte, almeno leggi 'ste note, brutta Moscaccia Nera che ha un
travaso di bile se solo sente nominare la parola ShikaIno! Eretica che
non sei altro!
Comunque, sai che c'è di bello nei tuoi commenti? Che non sei una parolaia come
me, che dico ottocentoventi cose al secondo, ma che sei concisa, sintetica ed
essenziale, senza però far sentire la mancanza di altre parole. Non mi so
spiegare, questo è assodato, però leggendo quello che hai detto della mia NejiHina
ho pensato cazzarola, ma è vero, guarda com'è stata precisa senza sprecare
fiumi di inchiostro! per questo ti invidio (altro motivo che si aggiunge
alla lista).
E, ovviamente, le tue parole colgono quello che devono cogliere :) quello che
c'è. Precise, nette, essenziali, minimal come piace a me. <3 Aw.
Prima o poi riuscirò a farti accettare lo ShikaIno! _Eleuthera_: Ma saaaalve *_*!
Mi fa piacere che tu abbia letto questo mio esperimento sugli Hyuuga, questo
pairing è inusuale e piuttosto 'difficile' anche per me, per natura mi tengo
lontana dall'incesto, soprattutto in questo caso dove Hinata e Neji possono
considerarsi biologicamente quasi fratellastri, essendo figli di due gemelli
omozigoti.
Però, però, il NejiHina ha un suo perchè. Oh, diamine, anche se preferisco il
NaruHina e lo trovo decisamente più Canon e realizzabile.
Comunque, mi hai fatto notare una cosa che a me era sfuggita: è vero, mi sono
tenuta su una situazione tristissima però delicata, quasi sfumata, così com'è
priva di un vero "corpus" la relazione Neji/Hinata. Mi sono tenuta
sul vago, per non rovistare troppo nel profondo, e per lasciare un margine di
discrezione al lettore. Per me può anche esserci Naruto poco lontano che la
salva in extremis praticandole una respirazione bocca-bocca XDDD!
Ma teatro, teatro, teatro. Che bello lavorare in una compagnia <3, mamma
mia, è un sogno, un vero e proprio sogno, hai tutta la mia stima *_* e la mia
ammirazione, io non penso avrò mai il coraggio di fare IL salto definitivo per
quanto riguarda il teatro. La mia dannata razionalità, sai. Però l'idea del
monologo su Deidara mi ronza ancora in testa, la proporrò al mio regista non
appena si calmano le acque, purtroppo andiamo in scena fra meno di due
settimane e siamo tutti in subbuglio. Non ho potuto tirar fuori Deidara dal
cilindro: gli è stata rubata la scena da Garcìa Lorca ('Donna Rosita Nubile') e
da Aristofane ('Le Donne al Parlamento') e, dietro cotanti nomi, non me la
sentivo di farmi avanti io col povero Deidara e il suo teatro esplosivo -nel
vero senso della parola-.
Comunque, ci stiamo attrezzando per il secondo monologo ;) e sta volta tocca a
Sasori-danna... Darkrin: Oh, la Livia!
Guarda, leggere la tua recensione mi riempie di gioia, perchè mi hai
rassicurata: non ho forzato nulla, era, come hai detto tu, la naturale
conclusione di un rapporto che comunque non poteva durare. E sì, è vero, è
più leggero di dieci righe di disperazione, più leggero di tante angstaggini
tirate per i capelli, è sopportabile: mai parola fu più azzeccata.
E, come da copione, hai colto anche l'accenno a qual era in fin dei conti la
vera tristezza. Non la morte, no. Ma il non averla mai sfiorata, quella stupida
felicità, che era lì a un passo, potevano vederla entrambi ma nessuno ha potuto
(o voluto?) afferrarla. Ah, la felicità. Strana bestia. Lale16: Ah, guarda, c'è sempre tempo per scoprire le cose *_* e per
aggiungersi come lettori alla mia raccolta di Flavours *_*!
E poi io lo so che il tredici porta fortuna u_u sono nata di tredici XD!
Perciò non farti problemi, davvero :) quel che conta è aver lasciato le tue
impressioni, percui ti ringrazio sentitamente e profondamente e ti invito a
seguirmi ancora attraverso queste cinquantadue fatiche (ma ce la farò a
scriverle tutte o_o? Chissà!), spero di non deluderti!
Capitolo 15 *** Potentiality knocks on the door of my heart [NaruHina] ***
Per Laly, ovvero Laura
Per Laly, ovvero
Laura.
Perchè sì!
Disclaimer:
I personaggi citati appartengono a MasashiKishimoto, che ovviamente si prende tutti i diritti del
loro uso. La canzone citata, FromMetoYou, e il sottotitolo
della fanfiction, Love Love
Me Do, appartengono agli strepitosi FabFour.
Potentiality knocks
on the door of my heart ( lovelove me do
!)
If there's anything that you want, If there's anything I can do, Just call on me and I'll send it along With love from me to you. From me, to you. [From me to you - The Beatles]
Svegliarsi, un giorno.
Svegliarsi e guardare a lungo l'aria azzurra del mattino che invade la stanza. Che ore sono?,
ti chiedi poi, cercando a tentoni una sveglia che, come da copione, rotola sul
pavimento scatenando una fanfara di tonfi metallici. Immancabile arriva subito,
richiamato dalla carambola di chip elettronici che si schiantano
sotto il tuo letto, il dolore alla testa tipico di ogni domenica mattina,
immediato come una sassata alla nuca.
Lasciarsi sprofondare nelle coperte e seppellire la testa sotto il cuscino è
questione di un attimo. Il sollievo del letto tiepido è
paradisiaco, ti avvolge il corpo come un guanto caldo.
La testa pulsante e dolorante però riemerge, un pugno di secondi dopo, mentre
il naso si arriccia alla ricerca dell'aroma del cibo. Il sasso piantato nella
nuca, a poco a poco, diventa abitudine. Dio, che dolore, ti penti adesso, oh come ti
penti!, che cavolo di dolore maledetto, mai più la vodka, lo giuro, mai più! Dimenticando che è quello che ti sei promesso già domenica scorsa. E la domenica prima. E la domenica
precedente ancora.
No, no, proprio non ne vuoi sapere di cacciarti fuori dal
letto: ti sei di nuovo raggomitolato sotto il piumone, spalle curve da
ragazzino e il cuscino appallottolato sotto la testa, mentre il sasso si fa
sempre più appuntito e gira e scava dalle parti del tuo cervelletto, affondando
sempre di più.
Potresti quasi riaddormentarti, angelico e beato come un lattante, se non fosse
per la tua nuca che pulsa in modo fastidiosissimo. E la
sensazione che la tua testa sia una tazza sul ripiano di un bar, un ripiano
tempestato di pugni che cadono giù a ritmo regolare. Thum,
uno, thum,
due, thum, tre. Quasi
puoi vedere la tazza che si solleva, che lotta con la forza di gravità, che
perde, che ripiomba sulla superficie di zinco con un cupo rumore di ceramica.
Tazza, caffè, colazione. Il tuo stomaco
brontola eloquente.
Si chiamano associazioni logiche.
Alzarsi in piedi di scatto però è troppo anche per le tue possibilità: la
stanza ti crolla addosso e sei di nuovo affondato nel letto, il materasso ti
sostiene amorevolmente con un cigolio di acciaio
arrugginito. I tuoi occhi comunque restano serrati,
sai bene che la luce del sole è l'aggravante peggiore per il mal di testa da
sbronza. Ti rimetti in piedi, cieco avanzi verso la
cucina, lo stomaco in subbuglio che tuona e romba come i nembi infuriati di un
temporale. Hai una fame terribile, una fame animalesca
e prepotente, che ti costringe a rialzarti anche dopo che sei inciampato nei
vestiti che ti sei strappato di dosso ieri notte, prima di buttarti a dormire,
e che non hai visto a causa degli occhi chiusi. Ecco, adesso puoi fregiarti
anche di uno splendido ematoma violaceo all'altezza della tempia sinistra che,
come volevasi dimostrare, fà
un male tremendo e sta raggiungendo le dimensioni di una mongolfiera di sangue
rappreso.
Ma la fame, la fame viene prima di tutto. Anche prima della dignità. Per fortuna le tue confezioni di ramen istantaneo si trovano sempre a portata di mano, nella
fattispecie sulla mensola in legno del cucinino. Potresti
quasi azzardarti ad aprire uno spiraglio fra le palpebre cispose, giusto per
individuare dove si trova il cartone del latte. Ovviamente la coordinazione dei tuoi movimenti non è quel che si dice
perfetta, perciò sul pavimento della cucina fà bella
mostra di sé una gigantesca chiazza di latte gelido, che pulirai più tardi
(molto più tardi) perchè adesso non hai la minima voglia di farlo. Mastichi il ramen con una certa
indolenza frammista a pura goduria, perfino il mal di testa sembra
gioire insieme alle tue papille gustative.
Ah, la tranquillità delle tue mattinate domenicali. Cielo azzurro, luce piacevole, un sasso che ti tritura i
neuroni e un livido grosso come una seconda testa alla base della fronte.
Bah, comunque inghiottisci il tuo ramen
con la flemma dei pensatori ed è proprio in quest'innocente
momento che arrivano, striscianti e silenziosi, i pensieri, un'orda di
carrozze trainate da cavalli invisibili. ...Ieri sera.
Ieri sera, già.
Kiba si ubriacava molto facilmente, bastavano un
paio di sorsi di questo e di quello e finiva in mutande sul bancone del bar di
turno, gorgheggiando un'ebbra versione della ballata popolare più in voga,
esibizione di air guitarcompresa.
Per questo era divertente uscire con lui, omettendo il fatto
che di solito, su quel bancone con le scarpe in mano, schioccando le
dita a mo' di nacchere, ci finivi anche tu.
Non ti ricordi come ma, mentre scorrevano fiumi di saké, a qualcuno della
brigata era scappato il nome di Hinata.
Shino, forse. Sarebbe stato il suo compleanno lì a
breve, e forse l'avrebbe dovuto passare in missione, per colmo della sfortuna
più sfortunaccia nera.
Tu avevi aggiunto qualcosa di stupido e banale, del tipo che non le sarebbe
dispiaciuto, Hinata era così, felice di compiere il
suo dovere.
Sapevi bene che non erano quelli i discorsi da fare con mezzo litro di vino in
corpo, ma sul momento te n'eri dimenticato. Kiba ti aveva fulminato, proprio fulminato. Kiba non era bravo a tenersi le cose per sé, soprattutto
con mezzo litro di vino in corpo, soprattutto davanti a
un'occasione così succulenta.
"Tu non la conosci per niente, Hinata"
aveva riso latrando, asciugandosi la bocca sporca di sakè,
"Non sai nemmeno che è innamorata di te da dodici anni."
La tua attenzione era amplificata dall'alcool, ti eri concentrato su quelle parole ma ne avevi afferrato soltanto il suono: per
decodificarle ci avevi impiegato cinque minuti pieni, mentre Shino alle tue spalle dava del coglione
al compagno di Squadra, ripromettendosi di gonfiarlo di botte una volta riacquistata
la lucidità.
Non ci credevi mica. Hinata innamorata di
te. La voce ruvida di Kiba risuonava nella tua
testa in un'eco infinito, ma il significato di quella
frase continuava a sfuggirti. Hinata innamorata di te. Hinata
INNAMORATA di te. HINATA - di te. Hinata - TE!
Non ci credevi, Kiba straparlava, era ubriaco. Te
n'eri dimenticato. Ma la faccia di Shino, quella non riuscivi a scordarla.
Ancora non riuscivi a crederci.
Anzi, era peggio. Non ci avevi mai pensato.
L'egoismo è una brutta cosa, no, Naruto?
Il ramen ormai ha perso ogni sapore, lo
mastichi senza gustarlo appieno, lo trangugi senza centellinarlo nel palato,
venendo meno a ogni tuo principio morale. Hai lo
sguardo fisso e, perdio, dannatamente serio.
Il dolore alla testa è tornato alla carica, adesso sembra più una scavatrice
meccanica che ti svuota il cervello tra un gran
stridore di acciaio, ma quasi non lo senti neppure.
Pensi adHinata.
...E non ti viene in
mente che è la prima volta, in ventiquattro anni di vita, che ti svegli senza
pensare ai tuoi genitori, a Sasuke, a Sakura-chan o all'Ero-sennin.
Perchè alcune persone sono così, incontrano
l'amore della loro vita a dodici anni. Chi
l'ha detto in fondo che esiste un'età per amare, chi ha stabilito gli orari, i
limiti, i termini, le coincidenze?
Il mondo crolla e Hinata continua ad amare, in
silenzio certo, perchè urlare ancora non le si addice.
Ora che ci pensi, quel paio di guanti blu di lana, così utili in inverno nelle
missioni, te li aveva regalati lei per un compleanno di un paio d'anni fa.
Forse più di un paio. Forse anche quattro. Ma non ti ricordi d'averla ringraziata per quel
regalo. Come quella volta, quando aveva lasciato a Sakura una bottiglia d'acqua per te, dopo gli allenamenti.
O come quelle volte (troppe) in cui ti è passata
vicino sfiorandoti e tu, che guardavi altrove, non ti sei accorto di niente.
Nella folla Hinata ti camminava di fianco, ma tu
cercavi la testa arruffata di Sasuke o qualunque
altro sogno all'orizzonte e neppure l'avevi notata.
Eppure quello sprazzo di lucidità, che ha
squarciato il velo della tua ubriachezza come una saetta, era stato sufficiente
a mandarti in crisi. A farti finire con la faccia nella scodella sporca di ramen, perchè così, ti dici, si pensameglio.
Ma adesso hai bisogno di acqua, acqua
fresca: te ne getti sul viso un catino intero, allagando il pavimento del bagno
e aumentando il caos in quella stalla che casa tua sta diventando. Comunque non te ne importa niente, sono solo due gocce, dopo
asciugherai.
La tua immagine allo specchio è devastante: occhi gialli appiccicati, occhiaie
tipo baratro nero, brufoletti rossi a ventiquattro (?!) anni, barba di tre giorni fa, alito classificabile come
arma batteriologica. Il ritratto della salute.
Un disastro, esatto. Per non parlare dei residui fossilizzati di ramen impigliati nelle ciocche bionde, ormai inestricabili.
E puzzi ancora di vino, volendo coronare il quadretto.
Acqua, acqua, tu devi pensare, devi capire: ma tutto
quello che pensi ritorna ciclico al viso ovale di Hinata,
Hinata pelle d'avorio da ricchi, un'ala di corvo sui
capelli e occhi vibranti come le corde di un violino.
Potresti in effetti andare da Kiba,
tirarlo giù dal letto e fargli vuotare il sacco una volta per tutte. Potresti
andare da Shino e vincere i suoi silenzi, o da Shikamaru e sorbirti le urla da gatta furiosa della Yamanaka, o da Choji per fare
altre tre abbondanti colazioni, o da Sakura per farti
sfottere da Sasuke fino al prossimo millennio. O potresti ritornare a letto.
Svegliarsi per te non è mai stato così difficile.
Accucciato contro la parete del tuo minuscolo bagno, ti frizioni
con le dita le palpebre chiuse e ti senti male,
malissimo. Ti senti come se Shino ti stesse guardando
come ha guardato Kiba ieri sera, cioè
con lo sguardo di chi contempla uno sterco di cavallo assediato dalle larve di
mosca.
Il letto non ti è mai sembrato così accogliente. Letto lettoletto.
Vuoi tornare a dormire e svegliarti dopodomani.
Ma no, cazzo, dopodomani no, dopodomani dovete andare
a sfondare il culo a quelli
della Roccia!
Niente, 'sta mattina tutto è contro di te, sarà meglio
tirarsi su a fatica, barcollare vistosamente e buttarsi sotto la doccia per
prepararsi a una nuova, smagliante giornata. Acqua, acqua
fredda: hai bisogno di pensare. Okay, ti sembra di intravedere una certa
lucidità sotto quella zazzera bionda da teppistello,
forse adesso sei in grado di formulare un pensiero
coerente.
Il pensiero coerente dice che sei un fallito, caro NarutoUzumaki, che muoiono
sempre i migliori e i peggiori invece (Sasuke)
tornano a casa per sbattersi Sakura-chan. Il pensiero
coerente dice che è inutile faticare se poi il meglio
se lo beccano costantemente, cronicamente gli altri. Il pensiero coerente dice che sei un vigliacco, perchè anzichè
combattere ti sei trincerato dietro la solita sempiterna amicizia, dunque se
tutto il villaggio ti ride dietro un motivo c'è. O forse non ne valeva la pena?
Ti butti in faccia il getto corroborante della doccia. Adesso ricordi bene perchè bevi per dimenticare. Merda.
Meglio regolare un poco la temperatura, hai gli arti completamente intorpiditi
dal freddo, sei pronto per l'ipotermia. Ecco, adesso ti sembra di sentire un
leggero sollievo, l'acqua tiepida ti scioglie i muscoli come fossero
burro e senti la tensione scivolare via, rotolare giù nel gorgo della cabina
doccia assieme al sapone.
Giornata schifosa. Te lo senti nelle ossa, nella testa martoriata
dall'emicrania, nella bocca: giornata orrenda.
Appoggi la fronte al vetro, lasciandovi impressa la sagoma tra le goccioline di
vapore d'acqua, e ti sforzi di pensare a cosa farebbe Sasuke
in un momento del genere. Sasuke oppure Jiraya-sama, le persone che stimi davvero, quelle che
secondo te non hanno mai sbagliato, sebbene nella loro
vita abbiano fatto stronzate grosse come case. Sasuke forse se ne fregherebbe di Hinata,
come si è sempre fregato di tutto, finchè tu e Sakura non l'avete messo con le
spalle al muro. Jiraya invece prenderebbe il toro per
le corna, sveglierebbe Kiba con una testata e si
farebbe spiegare per filo e per segno cosa intendeva con "Hinata è innamorata di te da dodici anni."
Ma tu, che non sei né l'unonè
l'altro, non fai nessuna delle due cose: scivoli sul pavimento bagnato e per
poco non ti spacchi la testa. Riprendi fiato lentamente e ti abbandoni sulle
piastrelle fredde e sull'impalpabile specchio d'acqua, guardi il soffitto,
quasi assorto, col cuore che rimbomba come la cassa cava di un enorme tamburo.
Non sai neppure chi è, Hinata, su questo Kibaaveva ragione.
Tu, tu che hai amato Sakura giorno per giorno, tu che
l'hai amata coi capelli sporchi, il viso sudato o
cotto dal sole, tu che l'hai amata con la voce, con l'allegria e con
l'amicizia, tu non comprendi come una persona possa amare tacendo.
Un amore è vivo, è luce e suono, si nutre di sguardi, di mani, di occhi, di attenzioni, è una presenza tangibile e fatta di
carne. Ma forse no, forse no: forse anche il silenzio
può essere addomesticato, forse si può amare anche da lontano, preferendo i
sogni piuttosto che la realtà.
Ecco, adesso ti senti molto peggio di prima.
Devi asciugarti, infilarti dei vestiti puliti e decidere che cavolo fare di
questa strana, pensosa mattinata. E' così poco da te, così poco Narutesca questa mattinata all'insegna della lucidità
forzata, dopo che l'alcool ti ha rimesso al mondo.
Scavi nei ricordi e cerchi un segno, una prova che possa
giustificare l'affetto di Hinata. L'amore è una cosa grossa, eh, non può vivere soltanto di sogni e
fantasie, l'amore ha bisogno di spazio e respiro. Dov'è Hinata nella tua vita?
Non riesci a trovarla da nessuna parte. La tua vita corre da Sakura a Sasuke, non c'è altro
viso nella cerchia di persone che danzano con te. Un Team
è una cosa seria, significa proteggere la vita di due persone in ogni
circostanza, spesso a scapito della propria. Hinata, però, non ti ha mai chiesto niente: non ti ha
chiesto né ordinato niente. In
effetti era lontana da te, e lei per prima doveva essersene accorta, è
sempre stata al limite della tua galassia, quasi non la vedevi.
Dimentichi sempre che le stelle più lontane sono quelle più luminose.
Ti passi una mano fra i capelli, con un sospiro frustrato e gli
occhi resi scuri dalla preoccupazione.
Tu 'sta cazzo di vita non l'hai
mai capita, te ne rendi conto sempre di più, e ogni volta è sempre peggio. La
sensazione di disagio è come una nota stonata nel tripudio di una sinfonia, si
percepisce appena nell'onda elegante delle note, ma un orecchio ben allenato
riesce a captarla benissimo, l'anomalia, al di sotto dei
fronzoli squillanti dell'accompagnamento musicale.
Scuoti la testa, scacci via i pensieri e, riflettendo, forse una tripla
colazione abbondante, sottolineiabbondante, a
casa di Choji potrebbe risollevarti il morale e farti
apparire il mondo meno crudele. Le tue scaramucce con la vita non possono
essere risolte tutte questa domenica mattina, e adesso
sorridi, perchè sta svanendo il dolore alla testa e forse sta tornando il buon'umore.
Forse. Se tu, uscendo, non ti fossi infilato quel paio di guanti di lana blu. Blu
acceso, con un ghirigoro arancione, la sagoma di un gorgo acquatico sul dorso.
Naruto, in fondo, significa vortice.
"HINATAAAAAAAA!"
"HINA - TAAAAAAA!"
"HINATA, MI SENTIIIIII?!?"
Non te la ricordavi così vuota e silenziosa Konohaal mattino. Il villaggio è sempre ricco di colori,
suoni, schiamazzi da mercato e grida allegre, è una padella di castagne che scoppietta sul fuoco, così ti piace immaginarlo e così l'hai
sempre amato. Questa mattina però Konoha tarda a
svegliarsi, sebbene un sole brillante come il cristallo splenda nel cielo
cobalto, fotografia di un inverno in cui il vento tiene lontane le nuvole.
Non vedi nemmeno le trame nere che i rami secchi degli alberi disegnano
nell'azzurro, per i tuoi occhi, azzurri quasi quanto quel cielo, non esiste
altro se non l'appartamento striminzito in cui la primogenita Hyuuga si è rifugiata, dopo il suo distacco dalla famiglia.
"HINATAAAAAAA!"
Non ti passa neanche per la testa che possa
essere sconveniente, o quantomeno maleducato, presentarsi così di punto in
bianco a un'ora imprecisata di domenica mattina, dato che tu, grandioso ninja della Foglia, hai rotto la tua sveglia e non sei
provvisto di altri orologi in casa tua.
Le tue indiscusse capacità logiche ti suggeriscono che forse potresti aver
sbagliato strada, o casa, o zona della città, dopotutto sarai passato di qui
una mezza volta appena - ma no, no, passavi di qui di
ritorno dagli allenamenti e Kakashi-sensei ti ha
parlato dello scisma degli Hyuuga e, sì, sì, di Hinata che volava con le sue ali. Aveva usato proprio
quelle parole: volava con le sue ali.
"HINATAAA!"
Uh, se ti diverte gridare a pieni polmoni
nell'aria frizzante del mattino, la voce stentorea e le mani al caldo, protette
dai guanti. Se ti diverte scaldarti salterellando qua e là
in mezzo alla strada deserta, incurante delle finestre ancora chiuse, del silenzio
e del rispetto che si dovrebbe portare a chi sta ancora riposando.
"...Na-Naruto?"
Si è perfino scordata il suffisso-kunche di
solito usa, la piccola Hinata, che ha la faccia
stravolta e i capelli scarmigliati di chi si è svegliato da poco. Torna da un
allenamento mattutino, è sudata fradicia, ha il viso rosso per lo sforzo e un
aspetto che, per colmo della sua vergogna, realizza essere tremendo, e Naruto è davanti alla sua porta che chiama lei, proprio lei,
con un sorriso che è come una sciabola di luce. Hinata lo osserva voltarsi lentamente, stupito che la
ragazza arrivasse da dietro le sue spalle e non dalla
casa a cui stava urlando poco prima, e adesso è sicura che le cederanno le
gambe, è questione di un attimo e sprofonderà nell'imbarazzo più infantile. Perchè puoi vivere ventiquattro anni dimenticandoti di esistere, poi arriva
una domenica mattina, quella domenica mattina, e tutto
acquista un senso profondamente nuovo, degno d'essere vissuto e sentito fino in
fondo.
"Beh, ecco..." sdrammatizzi con
una risata, grattandoti la nuca, "Mi chiedevo se potevo offrirti il
pranzo.
Mi sono accorto che ti dovevo qualcosa" sorridi.
Qualcosa come dodici anni di attesa, in effetti, và
ripagato con più di un pranzo.
"M-maNaruto-kun... sono le nove del mattino!"
Fin
Note dell'Autrice BUON
NARUHINA DAY A TUTTI QUANTI *_* !
Un bacio e un abbraccio enorme a Wishful, che mi ha contattata per mettermi al corrente dell’iniziativa, e alla
mia Cla
che ha Betato tutto ciò.
Capitolo 16 *** Shogatsu (can't take my eyes off of you!) [KibaHanabi] ***
Scritta, con tutto il cuore, per Kaho_chan
Scritta, con tutto il cuore, per Kaho_chan.
Tesoro, alla fine non ce l'ho fatta a uscire dai miei pairings canonici XD scusami. Mi perdoni, sì <3? Questo
è il tuo Secondo Regalo di Natale, perciò ci sarà anche un Primo XD
E grazie mille per essermi stata accanto quest'anno.
Ti auguro di divertirti a Capodanno come Hanabi e Kiba -e poi vedi che insieme possono
essere anche carini XXD?!?
Un bacio enorme e un abbraccio altrettanto enorme. Ti voglio tanto bene!
Buon Natale! Ele
Disclaimer:
I personaggi citati appartengono a MasashiKishimoto, che ovviamente si prende tutti i diritti del
loro uso. La canzone riportata, base e ispirazione di questa storia, è Can't takemyeyes off of you, nell'epica versione degli amatissimi e veneratissimiMuse.
Shogatsu
(can'ttake my eyes off of you!)
Pardon the way that I stare There's nothing else to compare
The sight of you makes me weak
There are no words left to speak...
Haru春
La prima volta che
l'aveva visto aveva dodici anni, lo ricordava bene perchè pochi giorni prima
era stato il suo compleanno e, come regalo, suo padre le aveva permesso di
allenarsi alla Pioggia Che Danza.
La Pioggia Che Danza significava usare la Tecnica delJuken all'aperto, sotto una colata di pioggia battente, controllando
e bloccando ogni singola goccia d'acqua con la forza del chakra.
Bisognava resistere per un tempo indefinito colpo dopo colpo
e, se una sola goccia sfiorava i vestiti, l'allenamento poteva considerarsi
terminato. Era semplicemente una questione di tempo: chi cedeva dopo
qualche secondo, era segnato per il resto della sua vita, significava che non
avrebbe mai potuto rivolgere per primo la parola agli Anziani del Clan né
aspettarsi d'essere trattato come uno fra i pari.
Sua sorella probabilmente non sarebbe mai stata ammessa alla Pioggia Che Danza.
Lei invece aveva
resistito diciassette minuti - ben d i c i a s s e t t e minuti - a dodici anni.
Neji-kun a dieci resistette diciotto, ebbe premura di
ricordarle suo padre; dunque per un solo minuto, persessantacontrazioni
del muscolo cardiaco, le veniva offerto ancora una
volta il suo splendido trono di vetro, il ruolo di eterna seconda, la prima
degli ultimi. ( Nella sua camera, davanti allo specchio, aveva
provato e riprovato senza voce come sarebbe stato gridare il suo odio sul viso
del Signor Padre )
Dunque lo ricordava perchè, in quel momento, stava
allenandosi al taijutsu nel cortile interno della
casa e Quello (Quell'odioso pezzente pulcioso
ottuso sudicio bastardo ributtante fetido),aveva osato spingersi
fin sulla soglia, con la scusa di aspettare sua sorella che aveva dimenticato
in camera la tal cosa per Kurenai-sensei, schernendo
i domestici e travolgendoli con quella sua grossa risata volgare, così simile
al latrato di un lupo. Se suo padre fosse stato in casa, non gli avrebbe
permesso neppure di avvicinarsi ai Quartieri: Quello apparteneva a una stirpe ridicola, inferiore alla loro sotto tutti i
punti di vista, e gli Antichi Padri sarebbero morti di vergogna alla vista di
un tanghero del genere affacciato sul cortile interno. Ma suo padre era assente, convocato dall'Hokage. Proprio questo doveva aver
dato al pezzente il coraggio di entrare in casa.
L'altro doveva essere rimasto fuori dai Cancelli, a
contare le sue mosche ripugnanti.
Ovviamente lei l'aveva ignorato, continuando in perfetto silenzio i suoi
esercizi di arti marziali.
Non l'aveva percepita subito, immersa com'era nel rigore schematico dei
movimenti: la sensazione di fastidio era arrivata lentamente, prima con un
leggerissimo tremito del muscolo della coscia destra, che sulle prime imputò
nell'ordine aimmaginazione, scarsa
concentrazione e a stupidità, poi i palmi delle mani avevano
cominciato a inumidirsi sempre più, infine il ginocchio sinistro aveva ceduto,
facendole perdere l'equilibrio. Per non cadere aveva sferrato un colpo in
avanti, mirando alla testa del fantoccio di stoffa con cui si allenava.
Per contrastare la spinta inesorabile della gravità
che l'attirava verso sinistra, aveva catalizzato tutta la sua energia nel
balzare in avanti. Quarta regola fondamentale del corpo a
corpo: mai cadere, se non si è feriti in modo grave. Aveva affondato i piedi nel terriccio polveroso ed
era scattata verso il bersaglio quasi volando, senza emettere il minimo rumore.
Le gambe di nuovo ben piantate, le braccia distese, il
corpo in tensione: poteva respirare in libertà, non era caduta. L'ombra cupa
del castagno torreggiava su di lei, imponente come un monito.
Ci mise qualche secondo a realizzare che il palmo
della sua mano si trovava a mezzo centimetro di distanza dal capo del
bersaglio.
Il suo Juken aveva colpito il tronco del grande castagno del cortile. (Gli alberi non hanno chakra.)
L'aveva mancato.
Le parve di udire una risatina sarcastica alle spalle e dovette serrare le
mascelle fin quasi a spezzarsele, per resistere alla tentazione di voltarsi e
fulminarlo con lo sguardo. Bastardo!
Si accorse anche di un'altra cosa, fissando la corteccia incartapecorita quasi
volesse bruciarla: faceva caldo, aveva le mani punteggiate dai fiori
rossi dei capillari e il viso in fiamme. La tuta da ninjale si appiccicava addosso come una seconda pelle, ebbe
l'impressione di muoversi sotto una gigantesca lente di cristallo che le
scagliava addosso tutta la potenza dei raggi del sole.
Risalendo a poco a poco dallo stato di alienazione in
cui si immergeva ogni volta che si allenava, ricevette in ritardo i segnali che
il suo corpo le stava inviando, perse tempo a decodificarli perchè, sul
momento, non ne afferrava il vero significato, erano come gli impulsi di una
radio disturbata: coglieva frammenti di parole e morsi di frasi che
singolarmente erano privi di logica e di costrutto. Respirava a fatica. Affanno. Caldocaldocaldocaldocaldocaldo.
Capelli sugli occhi. Bruciano, gli occhi. Uno sconosciuto la osservava allenarsi, osservava
il suo viso distrutto e paonazzo per la fatica, i suoi capelli aggrovigliati in
una coda mezza sfatta, la sua tuta dimessa e di certo non elegante, i suoi
piedi nudi impolverati. (Figlio di una...!) Il caldo aumentava ancora, ogni secondo che passava era sempre meno
tollerabile.
Non collegò subito le due cose: gli occhi ancora sbarrati e fissi sul castagno,
ebbe bisogno di qualche istante di riflessione per capire, mentre l'ombra scura
delle fronde le calava addosso con la pacatezza di una carezza protettiva. Come mai il caldo non diminuisce, eh? Tu che sai sempre tutto, come
mai?
Le sue dita si strinsero come lo scatto di una tagliola, mentre le unghie
affondavano nei palmi. Le servirono pochi istanti, pochi
istanti e la coda di quel cagnaccio rognoso che scandiva ogni secondo, colpendo
ripetutamente la parete di carta di riso.
Si rimise nella posizione iniziale, rilassando le piccole mani contratte,
stirando i muscoli e decisa a ignorare il fuoco che le
bruciava sotto la pelle. Lo sta facendo apposta. Lo sta davvero facendo di proposito.
Percepiva il suo nervosismo, non aveva bisogno di voltarsi per vedere il suo
naso appena fremente che afferrava nell'aria l'odore del suo sdegno. Ecco, la concentrazione se n'era andata chissà dove,
volatilizzata come il sollievo dell'ombra all'arrivo di quel tiepido sole di
marzo. Sbagliava, sbagliava di continuo, le sembrava di scivolare su una
lastra di ghiaccio, una parte di lei era insensibile al
suo controllo, quasi non le appartenesse; lui lo sapeva, lo sapeva benissimo,
lo sentiva come sentiva ogni minima vibrazione del suo chakra,
contrappuntata dal puntuale colpo di coda di quella
bestia pulciosa, regolare come le lancette di un orologio.
Lei sapeva che lo sentiva, lui sapeva che lei sapeva.
E ne era divertito, anzi di più, deliziato.
Lui rimaneva immobile, senza parlare né quasi respirare, con gli occhi lucidi e
scintillanti del predatore tanto che lei, sprezzante, pensò l'uomo e il cane come
identici e indistinguibili l'uno dall'altro.
Scelse una rotazione
che le permise di voltarsi e, a quel punto, il suo primo impulso fu quello di scagliarglisi contro e finalmente vedere l'effetto del suo
collo che s'inclinava all'indietro di trenta gradi, dopo il tocco gentiledelJuken.
Lui la guardava, appoggiato allo stipite della porta, il cane ai piedi che
agitava lentamente la coda come pronto ad azzannarla alla gola, un angolo delle
labbra inarcato verso l'alto e uno sguardo che stomacava, uno sguardo di fumo
liquido, con un brillio malizioso e insinuante nel mare scuro che smosse
qualcosa dentro di lei. ( Lo sa lo sa lo sa lo sa lo sa l'ha già
sentito l'ha sentito ancora prima che io )
Sfondò il fantoccio di stoffa con un calcio, il piede conficcato
nell'imbottitura di lana, all'esatta metà del torace del grosso pupazzo.
"...M-ma è mia sorella!"
"Oh ma che vuoi, le ho tirato su il morale!
Vedessi come mi guardava, sembrava una madonnina infilzata,
anzi peggio, sembrava un pu-"
"N-non dirlo, per f-favore!"
"Sempre il solito gentleman."
"Sempre il solito rompicoglioni, Shino.
Dovevi entrare anche tu, anzichè star fuori a
schiacciarti i pidocchi.
Ma dimmi, quanti anni ha quel miracolo della natura, quella signorina
Norimberga,
Hanako-dono*, quattordici, quindici?"
"Si c-chiama Hanabi. E comunque d-dodici."
"...Cosa?!"
"Li ha c-compiuti tre giorni fa."
"...COSA??!"
"Non le scegli soltanto più giovani, Kiba, le
cerchi direttamente in provetta!"
"Brutto pezzo di mer-"
"Kiba-kun! Shino-kun!"
"Hanabi?"
Tra le cose che odiava di sua sorella, ed erano molte, c'era anche quella.
La voce flautata di velluto, di zucchero, di una delicatezza
di piuma. Come se avesse paura di spostare troppa
aria, parlando appena più forte.
"Mh?" Fu quel solo eloquente monosillabo
che le dedicò come risposta, e non aprì neppure gli occhi per guardarla.
Sdraiata sul letto nella penombra della sua stanza, le mani bianche strette
sull'addome e una pezzuola bagnata sulla fronte, Hanabi
respirava pianissimo, ogni suo sforzo era teso a calmare il dolore
insopportabile che le straziava il ventre, intenso come se le stessero
stritolando gli intestini. Parlava al suo corpo, gli sussurrava di stare calmo,
sssh, non è niente, passa subito, non vedi?, non è niente. Ma non passava: al posto delle viscere aveva vetro
tritato, che graffiava, mordeva e corrodeva.
Nessun lamento però, nemmeno uno. Un ninja non fiatava mai, neanche se gli spezzavano una gamba. Hinata fece qualche passo avanti, si addentrò nella
camera e si bloccò appena oltre la soglia, senza provare neppure ad avvicinarsi
al letto. Hanabi, gli occhi ostinatamente chiusi,
vide con la mente i suoi denti che torturavano il
labbro inferiore, l'incertezza nelle sue dita intrecciate l'una con l'altra,
quegli occhi agitarsi impazziti nella tormenta del dubbio, chiedendosi cosa
fare? cosa fare? cosa fare?
"...Hai ...hai una brutta cera. E' successo-"
"No." Replicò, secca. Non le diede neppure il tempo di terminare la
frase. Hinata strinse le labbra, il viso come uno specchio
rotto.
"Ah." Se adesso piange l'ammazzo,pensò distintamente
Hanabi.
La sentì girare le spalle, azzardare quei due passi impediti dal lungo yukata decorato, voltarsi di nuovo verso di lei,
tamburellare i polpastrelli sullo stipite della porta, corrugare la fronte,
esitare, chinare appena il capo, lanciare una rapida occhiata alla stanza
spoglia e asettica, indugiando un istante di più sulla fila dei kunai regolamentari disposti sulla scrivania. Le parve che
quelle lame, dritte e affilate come tante accuse, avessero qualcosa di
sinistro. Hanabi non aggiunse una sola
parola, non azzardò un solo movimento, il respiro quasi impercettibile.
Faceva male, male, male, dannazione! Ma nessun ninja
si lagna come una mocciosa, per nessun motivo, mai, nessun
ninja. Spesso dimentica di esserlo ancora, una mocciosa.
"N-non...non glielo dirai, vero?"
Le parole di Hinata sembravano gocce di pioggia.
Cadevano con la stessa regolarità, con lo stesso
stillicidio, e producevano lo stesso rumore sommesso, talmente lieve da non
darsi neppure la pena di notarlo. Idea che Hanabi seguì alla lettera
senza batter ciglio.
Il respiro frustrato di sua sorella suonò come lo strappo di un foglio di
carta, Hanabi avrebbe riso se ne avesse
avuto la forza: possibile che fosse così patetica, così fragile, così lamentosa
e irrisolta, così sbagliata per la vita, inadeguata per ogni cosa, così poco
portata per vivere! Poco portata per vivere, ecco. Un neonato nel corpo di
una Chuunin.
"...Ho ...ho parlato con Mariko-san
e... e con Kawashima-san, loro non diranno nulla...
loro... Kiba-kun non... loro m-mi hanno detto che...
che va bene così. N-non gli dirai... niente, vero?"
Sua sorella aveva deglutito, piuttosto sonoramente a dire il vero: peccato, il
giochino di ignorarla l'aveva divertita e distratta da quel dannatissimo
dolore, almeno per un poco.
Ma Hinata le aveva risolto il problema di sua
spontanea volontà, in un soffio era uscita dalla stanza facendosi scorrere la
porta alle spalle, trattenendo a fatica qualcosa di molto simile a un singhiozzo strozzato, mentre i suoi piccoli passi
veloci si allontavano lungo il corridoio. Hanabi respirò con lentezza, contando nella mente un
secondo fra l'espirazione e l'inspirazione. Niente, era come essere
il fantoccio con cui si allenava, una grossa bambola di pezza che qualcuno,
ripetutamente, prendeva a calci.
'Non glielo dirai, vero?'
E invece sì, sì, sarebbe stata la prima cosa che gli avrebbe detto,
gliel'avrebbe detto sulla soglia di casa, con il visino sfregiato dalla
vergogna.
Sarebbe stato il suo personale bentornato: Tou-sama,
Quello è entrato in casa. L'ha fatto entrare lei. E' stata
lei, Tou-sama, nessuno voleva farlo entrare, i
servi si erano opposti, lei sola è colpevole, Tou-sama,
un disgustoso Inuzuka è entrato in casa nostra, ed è
stata lei a portarlo dentro!
Gliel'avrebbe detto subito, immediatamente, senza esitazioni né scrupoli di
sorta. Per un ninja non esistono scrupoli, in nessuna occasione.
'Non glielo dirai,
vero?'
Il pugno che soffocò nel materasso mandò in
frantumi una doga di legno.
...But if
you feel like I feel
then let me know that it's real
Aki秋
La seconda volta che l'aveva visto era il
giorno degli Esami di Selezione deiChuunin.
Lei, assieme ai suoi compagni di Squadra, era fra i candidati che avevano
superato lo sbarramento della Prima Prova. Lui era uno degli Esaminatori, in
quanto Jonin Speciale del villaggio, e aveva
mantenuto un eloquente silenzio infrangibile durante tutto il tempo che Nara,
un altro deiJonin Speciali
in odore di promozione alla Squadra ANBU, aveva spiegato ai giovani Genin le regole della Seconda Prova.
La Foresta della Morte li attendeva a pochi passi di distanza, intricata di
presagi, mostro dai mille occhi pronto a divorarli al minimo errore: la cosa che
più aveva colpito Hanabi, gettando un'occhiata
obliqua alla massa oscura degli alberi secolari che svettavano verso il cielo
grigio, era la totale assenza di rumori. Non si sentiva nessun fischio, né
richiamo o canto solitario. La stessa Natura fuggiva quella foresta, ed era la
conferma che nessuna imitazione è perfetta, le
creazioni degli uomini sono sempre ridicoli abbozzi sformati in confronto
all'armonia del mondo.
La tensione generale comunque si era allentata
parecchio, data la flemma con cui Nara ripeteva per filo e per segno ciò che
tutti loro sapevano già alla perfezione; lui stesso sembrava annoiato a morte
da quella trafila infinita di istruzioni che doveva aver recitato infinite
volte in quei cinque anni. Ma per lei era stato
diverso: non c'era stato un solo istante in cui Quello avesse smesso di
osservarla. E il suo cane gigantesco, sepolto
nell'erba alta accanto a lui con la compostezza di un monolite, immediatamente
aveva cominciato a frustare il terreno con la sua coda, istante per istante. Hanabi fieramente non aveva reagito, il suo viso era
rimasto di pietra, ma lo stomaco le era scoppiato come una
bolla d'aria, l'adrenalina le era schizzata fin nel cervello. I fiumi erodono le rocce, Hanabi-chan.
I suoi compagni le avevano lanciato uno sguardo vago,
ben più preoccupati per la Prova che per lei. "Sei strana" l'aveva
apostrofata laconico KobayashiShinji,
senza aspettarsi una risposta che del resto non arrivò.
Quindici, pensava nel frattempo la Genin, non ho
ancora recuperato quel minuto di ritardo. KanagawaAkito, l'altro
membro del Team Nine, col viso scuro e l'aria da
cospiratore si mise a confabulare a mezza voce di piani e strategie,
sicurissimo d'aver già inviduato i punti deboli di
tre o quattro Squadre, in particolare quelle provenienti da Sunagakure,
considerate da Akito alla stregua di un gregge di imbranati. Shinji gli dava
corda, annuendo, il pallore del volto ancora più accentuato del solito.
"Hanabi, tu starai in
testa, puoi individuare subito eventuali avversari."
La ragazzina assentì con un cenno del capo, senza neppure voltarsi. Grande
stratega, Akito, ma poi lasciava fare tutto a lei. A lei, che sapeva combattere.
Un'ora prima dell'inizio della Prova, Konohamaru
venne a cercarla e, quando la trovò, l'attirò a sé in un bacio che sapeva di abitudine, sotto lo sguardo ferito e velenoso di Moegi pietrificata qualche passo più in là. Hanabi ricambiò senza entusiasmo, la testa decisamente altrove.
"Nessuna pietà, intesi?" Le sussurrò il nipote del defunto SandaimeHokage, "Tra un'ora
scarsa saremo nemici." MaKonohamaru sorrideva:
neppure lui credeva alle sue stesse parole, confidava più in ciò che provava
per lei che in lei. Ed è proprio quiche sbagli.
"Buona fortuna!" La abbracciò di nuovo, le stampò un bacio frettoloso
sullo zigomo sinistro e tornò trotterellando dai compagni di Squadra: Udon, che gli lanciò uno sguardo
colpevole e insieme apprensivo, e Moegi, ormai
sull'orlo del pianto. Konohamaru la baciava sempre con una sorta di esitazione, come se avesse paura di romperla, o meglio,
di rompersi: diceva di volerle bene senza guardarla in viso, la abbracciava
come si abbracciano le bambine o i cuccioli, la accarezzava con la tenerezza
che si deve agli oggetti preziosi. Moegi forse, o
qualunque altra bambolina leziosa a immagine e
somiglianza di sua sorella, avrebbe gradito simili attenzioni, ma talvolta Hanabi doveva trattenersi a forza per non scoppiare a
ridergli in faccia. Il mondo non era un posto amabile, non era un posto
piacevole, era un posto che condannava la debolezza a
un'eliminazione sommaria, che estirpava i sogni come fossero erbe malvagie, che
annichiliva le illusioni, che lasciava sulla testa un cielo carico di pioggia e
responsabilità insostenibili che - Hanabisbattè le palpebre e
respirò profondamente, lasciò che l'aria umida ed elettrica scivolasse in ogni
parte di lei, addolcendole i muscoli contratti dalla tensione.
(Il mondo è così, Konohamaru. Per niente amabile.)
All'inizio della Seconda Prova mancava appena mezz'ora, minuto più minuto meno.
Un cenno distratto, un gesto della mano, qualche passo svogliato e il suo
cognome nella sua bocca: InuzukaKiba si fermò davanti a lei, un sorriso asimmetrico sul
viso e l'antico acume negli occhi scuri che tradiva l'austerità della divisa da
Jonin.
"Tua sorella mi ha detto di tenerti d'occhio, perciò non farti troppo
male, ok?"
Aveva una voce calda e ruvida, che non si sforzava di essere
affabile, sebbene alcune sfumature rivelassero un fondo d'ironia neanche troppo
sottile. Hanabi sfoderò il tono più cristallino che possedeva:"Mia sorella può anche andare a farsi fottere." Kiba rise nel suo abituale modo sguaiato, quasi
latrando:"Glielo riferirò; magari a te dà retta."
Allora Hanabi si strinse nelle spalle, incarnazione
vivente della divina Inguenità:"Mia sorella
è innamorata soltanto di UzumakiNaruto,
mi dispiace per te."
A Kiba la risata si congelò sulle labbra. Assottigliò
le palpebre e protese il mento in avanti, segno di prepotenza, mentre il
gigantesco cane di fianco a lui, sensibile all'empatia del suo padrone, accennò
un lievissimo ringhio sommesso.
"Vaffanculo" sillabò ilJonin
in un sibilo, prima di piantarla lì da sola, senza degnarla più della minima
attenzione, diretto da Testa d'Ananas per comunicargli chissà quale minuzia. Hanabiraggiunse la sua Squadra,
le labbra incurvate in un leggerissimo, glaciale sorrisino soddisfatto.
"Hai sempre più la faccia strana, tu."
"E' una tua impressione" ribattè
indifferente.
Avrebbe potuto anche perdere adesso, non le sarebbe davvero interessato. Kiba, richiamando l'attenzione dei ragazzini con
un secco battito di mani, invitò i candidati a raggiungere le rispettive Porte
e vinse le incertezze dei più insicuri con due urli che terrorizzarono
definitivamente gli aspiranti Chuunin della Foglia. Hanabi, disponendosi diligente accanto ad Akito e a Shinji, per una
frazione di secondo incrociò il suo sguardo, ancor più impenetrabile dei
tentacoli lugubri della foresta. E brillava di sfida.
...You're
just too good to be true,
can't take my eyes off of you!
Fuyu冬
HinataHyuuga sedeva sulle ginocchia, come il
cerimoniale imponeva, paludata in un pregiato kimono color pesca
dai ricami dorati, i lunghi capelli neri accuratamente pettinati, le cosce
strette sotto il velo del tessuto. Teneva gli occhi puntati sull'abisso nero
fra le assi di legno del pavimento, sforzandosi di dominare l'insicurezza, il
tremito delle dita, l'inclinazione delle spalle, l'espressione del viso, la
voce debole come il cigolio di una porta, priva di quella spietata sicurezza
che tanto le avrebbe giovato, i piedi sofferenti costretti negli alti okobo* fin troppo pretenziosi e
tutte le mille altre cose in lei che non erano adeguate, e mai lo
sarebbero state in questa vita.
Sapeva che prima di portare alle labbra la tazza di thè
doveva attendere che lo facesse il suo interlocutore, e le era concesso
prendere parola soltanto dopo cinque minuti abbondanti di perfetto silenzio, e
solo nel caso in cui fosse stata interpellata: non era buona educazione parlare
per prima al momento della degustazione del thè,
soprattutto non dopo averlo servito correttamente, posizionando
l'elegante tazza in porcellana decorata a un braccio e mezzo esatto dal corpo,
misurato col solo ausilio dell'intuito.
Ma aveva talmente fretta, per l'amor del cielo, una fretta tale...! No, no, non doveva mordersi le labbra coperte da un lieve
strato di trucco, non doveva, doveva calmarsi,
mantenere la piena padronanza di sé come le gran dame imperiali.
Se solo non avesse sentito il mare nel petto, che
sciabordava e rombava, mentre irrefrenabile s'impadroniva di lei il desiderio
di fuggire, fuggire, che la lasciasse andare una buona volta, che la lasciasse
andare da sola verso la sua Fine, senza trattenerla tirandola per il vestito
come aveva fatto da sempre, dall'età di tre mesi, dal giorno in cui era nata! Lasciami! Lasciami andare! Tuttavia Hinata non aveva mai abbastanza forza per gridare. Da bambina si era convinta che uno spirito
maligno abitasse dentro di lei e le rubasse la voce, in modo che, tutte le
volte che il fiato giungeva a riscaldarle la gola, il suono emesso
rassomigliasse sempre più a un pigolio piuttosto che a
una voce umana, una voce dotata di colore, spirito, presenza, una voce saporita
come un buon vino. Hinata perdeva troppo tempo a cercare le parole e a
comporle in una frase sensata, quasi fossero frammenti
di un mosaico che non combaciavano mai, perciò quando l'aria le arrivava sulla
punta della lingua non c'era più tempo per trovare una voce robusta, melodiosa
e piena di luce, che tanto avrebbe affascinato chi si fosse fermato ad
ascoltarla. E il fatto che suo padre fosse seduto davanti a lei,
il volto serio, la fronte nobile e severa, non accennando neppure a contemplare
la tazza di scuro thè fumante, complicava
ulteriormente le cose. Mi lasci andare, per favore? Attese rispettosamente senza muovere un solo muscolo, il corpo imprigionato
nella crisalide della volontà. Non un respiro troppo forte,
non un movimento involontario, non un capello che scivolava lungo la gota o una
falange delle dita che si sgranchiva, mal sopportando l'immobilità forzata. Hinata attese, attese,
attese. Attese ancora.
E laggiù, oltre i cancelli dei Quartieri, sentiva crepitare e scoppiare i
petardi nelle strade del villaggio, preludio degli enormi fuochi artificiali
che a mezzanotte sarebbero esplosi dalla Collina,
illuminando a giorno Konoha in un turbinio di stelle
tremolanti. MaHinata continuava ad
attendere, stretta in una cappa di silenzio. Fino a quando non crollò.
"Padre."
Fu lo stupore, così genuino, che costrinse HiashiHyuuga ad abbassare lo sguardo sulla superficie vellutata
del thé caldo: aveva sempre evitato per quanto
possibile gli occhi della sua primogenita, occhi così espressivi, due laghi
sempre in tempesta, occhi che accusavano molto più delle parole.
"Ha...hanno organizzato... le ragazze, voglio
dire, Haruno-sama, Yamanaka-sama,
loro, hanno pensato che... per questa sera... è l'ultimo giorno dell'anno,
porta bene che... f-forse... hanno pensato di fare una cena, sì, una cena con
tutti i Team della Foglia... non esistono più, certo, ma... non è una buona
ragione per... per dimenticare, siamo andati avanti t-tutti, ma... ma... è
giusto che sia così, lo so bene, ne sono... sicura anch'io, ma per... iniziare
bene il nuovo anno, ecco, mi chiedevo se... Ci sarà anche Kurenai-sensei
con la bambina, anche Neji-niisan con la sua Squadra,
ci saranno tutti gli altri Maestri, nessuno ha r-rifiutato... nessuno... è
importante, è importante per Yamanaka e Haruno, ma... non solo p-per
loro... è importante per... Hanno organizzato un bonenkai*,
non m-mancherà nessuno, sarà giù al ristorante in fondo al villaggio, ricorda?,
non è... lontano, tornerò p-prima dei centootto rintocchi. Dunqueiomichiedevoseposso."
Pausa, pausa quasi interminabile.
"Mi chiedevo se potessi unirmi a loro, Padre."
Gli occhi di Hinata erano tornati a scavare
docilmente nello spiraglio oscuro fra le assi di legno, come se cercassero di
nascondercisi dentro. HiashiHyuuga si era preso
tutto il tempo necessario per riflettere, ed era un tempo lungo quasi quanto
quello che a sua figlia era servito per mettere insieme quell'accozzaglia
di monologo sbilenco. La verità era che Hiashi era
stanco, molto stanco. Sobbalzava impaurito agli scoppi
furtivi dei petardi, che avvertiva ovattati grazie alle spesse mura dei
Quartieri Hyuuga, detestava quel trentuno dicembre
fatto di convenzioni, formalismi, secolari tradizioni prive di senso e, quando
aveva ordinato ai servi di iniziare le pulizie dell'ultimo giorno, si era
accorto che tutta la polvere spazzata via dalle stanze vuote si ammassava in un
solo posto, insospettabile quando logico: la sua mente.
Un nuovo anno, per il patriarca degli Hyuuga, era
soltanto un passo in più verso l'oblio.
"Va' " ordinò con un cenno secco del capo, il tono monocorde e
irremovibile, che qualcun'altro avrebbe definito
patetico, da re del niente.
Il cuore di Hinata esplose, come un fuoco
d'artificio.
Senza alzare la fronte indietreggiò fino alla porta scorrevole della stanza,
strisciando le ginocchia sul pavimento. Si sarebbe procurata qualche abrasione,
ma non le importava, non le importava sul serio, la sua fronte scottava come se
avesse la febbre e, se non avesse già compiuto venticinque anni, avrebbe
permesso alla commozione di farsi strada sulle sue ciglia,
perchè non l'aveva tirata per il vestito, non l'aveva trattenuta, non l'aveva
sgridata, l'aveva lasciata andare, lasciami andare, lasciami andare,
lasciami andare!
"Hinata."
La ragazza si immobilizzò, riportata di botto al suolo da una mano prepotente
che la strappava al cielo. "Porta Hanabi con te."
Nessuna condizione, nessun ripensamento, nessun dubbio, nessuna via d'uscita.
Un imperativo categorico. La porta scorrevole si richiuse alle sue spalle con un
mormorio soave che le parve una presa in giro. Tutto sommato, avrebbe preferito che suo
padre le proibisse di andare.
Il vento gelido correva svelto lungo le fessure
lasciate scoperte dagli abiti, s'infilava nello spacco appena accennato e nella
scollatura morbida del kimono, mordeva la loro pelle intirizzita
mentre quasi correndo caracollavano lungo le stradine silenziose del
villaggio, i passi resi incerti dagli okobo e dalla
fretta, mentre il cielo notturno si offriva a loro come un'ostrica nel velluto.
Dalle case, adorne di festoni e lampioncini di carta sgargiante, arrivava
l'onda leggera di qualche canzone popolare, i battiti d'ali delle risate e il
brusio vivace delle chiacchiere: a pochi passi da loro c'era ancora vita, e
pulsava, palpitava col fragore di una supernova,
stavano quasicorrendo per raggiungerla e berne un sorso. Hinata si sentì in dovere di iniziare una
conversazione, perciò incespicando si strinse ancor di più la mantella sulle
spalle, poi, insicura, tese una mano verso la sorella:"Fà... freddo, mh? Sei
coperta?"
Mano che Hanabi rifiutò con decisione:"Non sei mia mia
madre." Hinata, sbigottita, dovette forzare la propria
volontà, che le gridava a gran voce di fermarsi di scatto e, per la prima volta
nella sua vita, allungare un sonoro ceffone a quel verme impertinente che le
camminava a pochi passi di distanza. Stava andando a
una festa, stava andando verso Naruto-kun, mancavano
due ore alla fine dell'anno, suo padre l'aveva lasciata andare, era vestita
come una geisha d'alto bordo, come un fossile del passato incastrato a forza
nel presente: poteva fare qualunque cosa, qualunque, perfino mandar via
dal viso di Hanabi quel ghigno sarcastico da
ragazzina moralista. Ma le luci del locale si avvicinavano sempre di più,
azzurrine e invitanti nel buio compatto, mentre l'eco delle canzonette del
karaoke che proveniva dall'interno del ristorante si faceva man mano più
nitido, passo dopo passo. Sopra il pesante portone d'ingresso, l'insegna era
coperta dalla tradizionale decorazione in rametti di pino e bambù, la cui ombra proiettata sul muro dalle lanterne sembrava quella di
una chimera mitologica con mille code.
Furono sulla soglia del Takara-bune* prima di
quanto si aspettassero, e per un attimo Hinata vacillò. Vide se stessa e sua sorella ancor più brutte sotto quella luce così rozza ma, invece di voltarsi
indietro e scappare singhiozzando verso i Quartieri Hyuuga,
afferrò la maniglia e sgranò gli occhi color della pioggia, prima di puntarli
su Hanabi senza timore nè
riverenza, senza abbassare lo sguardo; si sentiva sull'orlo di un baratro, ma
non si lasciò cadere: guardò sua sorella, la guardò veramente, guardò i suoi vent'anni costellati da delusioni e miserie e, anzichè schiaffeggiarla, le parlò.
"...Mi dispiace, sai, mi dispiace davvero."
"A-avrei voluto capirti."
E il sorriso pieno di disprezzo di Hanabisi infranse in mille schegge.
"Almeno così, forse, io ti... ti avrei difeso da te stessa." Hanabi, le labbra che tremavano dalla collera, non
ebbe il tempo di replicare, sua sorella era già scivolata
nel tepore del locale affollato, richiudendo la porta dietro di sè, come se l'avesse varcata uno spiffero di vento. La Chuunin riuscì a calmarsi solo dopo aver
affondato i pugni stretti contro le gambe imprigionate dal kimono, solo
dopo che il dolore le schiarì la mente in un lampo di lucidità dissipando i
fumi della rabbia.
La sua eccezionale espressione vuota, riflessa nel vetro della porta, era un
insulto, quasi come lo sguardo sofferente e comprensivo di Hinata.
Entrò nel Takara-bune a testa alta, un passo davanti
all'altro, il viso di una madonna di gelo: ma la Yamanaka,
con cui aveva avuto a che fare sì e no una mezza volta in tutta la sua vita,
appena la vide la stritolò in un abbraccio fraterno che puzzava di vino, prima di ringraziarla per essere venuta e offrirle
un assaggio di qualcosa del colore dell'acqua ma che, decisamente, non
era acqua. Ma questo Hanabi lo scoprì
solo al terzo bicchiere.
La Yamanaka vestiva un kimono azzurro polvere, e
perfino l'ebbrezza sembrava donare qualcosa in più al suo aspetto: le
ammorbidiva i lineamenti scolpiti nell'acqua, le colorava le gote, le inumidiva
le labbra e lo sguardo, seminava tocchi di studiata negligenza nella sua
acconciatura, un capello fuori posto, una ciocca appiccicata alla fronte, un
fermaglio prossimo alla caduta. La ragazza in una piroetta scostò la sua cascata di luce azzurro polvere e rivelò un mosaico
di facce che, nella cornice del ristorante, le parve un quadro di qualche
secolo fa, stillante joie de vivre,
rutilante di voci che, lungi dall'essere vacue, suonavano squillanti come
l'amicizia, l'affetto, la voglia di stare insieme.
Vide Nara afferrare la Yamanaka per la vita e
rovesciarla con sé danzando goffamente al ritmo di una snervante canzoncina,
vide l'Akimichi e l'Aburame
accerchiati da torri di riso fritto e frutta candita, vide l'Uzumaki gorgheggiare querulo WATASHI NARINI "AI
SERETAI" AFURERU NO NI KIMI GA MIENAI con un microfono in mano, mentre
sua sorella lo fissava inebetita come di fronte a
un'icona, vide la Haruno vestita di rosa chiaro
tenere la mano a un Uchiha dagli occhi bendati, vide
quello strambo ninja dal viso di china requisire
tutto l'alcool che per sbaglio capitava dalle parti del tavolo dove sedeva il
Team Gai, vide la giovane YukioSarutobi
ballare in piedi su un tavolino sotto gli occhi premurosi della madre,
infischiandosene delle potenti stecche che l'Uzumaki
lanciava cantando. Eracosì difficile resistere quando la vita
bussava cosìinsistentemente, così difficile, fin troppo troppo difficile e... e, infine, lo vide.
A pochi metri da lei, attorniato dai tavoli pieni di vino, vestito di rosso
scuro, l'immancabile molosso color panna ai piedi, chiacchierava ridendo con
altri Jonin, i canini appuntiti che biancheggiavano
in quelle sue frequenti risate selvagge. Hanabi svuotò d'un fiato il
quarto bicchiere, e sentì una buona metà del suo corpo liquefarsi e svanire. Moegi la trascinò al tavolo con Udon,
Konohamaru, Akito e Shinji, dove bevvero tre volte per Ebisu-sensei,
poi la Haruno venne a
salutarla con l'Uchiha e di nuovo bevvero senza dire
per chi, perchè dieci anni lasciavano tracce ben più profonde di quanto loro
riuscissero a immaginare, vide la Yamanaka sparire
oltre la porta del locale, e un secondo dopo Nara l'aveva già bloccata contro
la porta in un bacio fuori dal tempo, che strappò un paio d'applausi e fischi
ignorati dai diretti interessati.
Allora Hanabi guardò altrove, la testa appesantita da
tutto quel rumore (e da tutto quel saké) e vide per la terza o quarta volta il
sorriso trionfante di KibaInuzuka,
ovviamente un sorriso al gusto di liquore, ma pur sempre un chiarissimo invito
che il suo corpo registrò immediatamente: la ragazza si accomodò meglio sulla
sedia, si inumidì appena le labbra, si torturò una
ciocca di lunghi capelli d'ebano e, subito dopo, inghiottì un altro sorso di
saké, che le diede le vertigini. Kiba di riflesso la imitò, passandosi la lingua sul
labbro inferiore per centellinare le ultime gocce di liquore.
Le venne da ridere: oh, come lo odiava, come lo odiava,
quell'odioso pezzente pulcioso ottuso sudicio
bastardo ributtante fetido, quanto lo odiava e quanto avrebbe voluto
inchiodarlo alla porta del Takara-bune come aveva
fatto la Yamanaka con Nara!
Vuotò un altro bicchiere, mentre le parole di Moegi
l'attraversavano come un filo d'aria e la sua razionalità, semplicemente, si
annullava per qualche ora.
L'ultimo rintocco della campana del tempio
strappò una bordata di applausi fragorosi al gruppetto
in attesa fuori dal Takara-bune, i visi rossi e gli
occhi scintillanti per l'euforia. Il cane di Inuzuka abbaiò a ogni rintocco, salutando il nuovo anno con
centootto latrati, mentre il suo padrone gridava sghignazzando, gettava petardi
contro i muri delle case vicine e fumava serafico il 'pezzetto di cioccolato' che Nara si era procurato, senza neanche darsi
troppo la pena di essere discreto. La Yamanaka aveva
convinto Tentena
improvvisare una danza al suono dello scoppio dei botti di Capodanno, e dopo
pochi secondi a loro si era unito un entusiasta Rock Lee,
sotto lo sguardo indulgente della Haruno che, assieme
all'Uchiha, sosteneva un alquanto sbronzo e sconvolto
Uzumaki, che biascicava frasi incomprensibili e
destava la preoccupazione di sua sorella.
"S-Sakura-san, n-non sarà... g-grave?" Sakura-san rideva come un cielo senza nubi:"Un barile di caffè senza
zucchero e una dormita e sarà come nuovo."
"M-ma io... Naruto-kun...
ecco..."
L'Akimichi teneva compagnia a Yuhi-sama,
con la bambina che saltellava intorno a loro agitando nell'aria una bacchetta
di scintille luminescenti, più in là Moegi e Konohamaru si tenevano per mano sognanti e nessuno mancava,
c'erano tutti, i vivi e i morti, tutti lì riuniti in quella buia strada gelata
fuori dal Takara-bune, sotto il baluginare delle
lanterne, col boato dei petardi che risuonava in ogni angolo del villaggio, nei
respiri bianchi che si condensavano per il freddo e nel vento che danzava,
scompigliava capelli, arrossava le mani, i nasi e le guance.
"Andiamo al tempio, sì?"
"Certo, perchè credi che mi sia messa 'sto coso addosso?!"
"A me prude da morire la gamba, le cuciture mi danno un fastidio
tremendo...!"
"Per una volta all'anno sembrate quasi donne."
"Grazie Sai-kun, sei sempre molto gentile."
"Purtroppo tu non sembri MAI un uomo!"
"Oddio, ma hai ragione..."
"E 'sta zitta, che tu gli andavi dietro!"
La sgangherata compagnia si mise in marcia verso il tempio di Konoha, sbandando e disperdendosi ogni qual volta un membro
si fermava per fare gli auguri ad amici, parenti o conoscenti incontrati per
caso, e le voci cariche d'aspettativa si levavano altissime sopra gli stretti
vicoli affollati. Hanabi arrancava a fatica, gli okobo
in mano e la testa come un macigno, il viso lavato via da ogni emozione, pagina
bianca che attendeva d'essere scritta. Canticchiava tra sé e sé il ritornello
della canzone che l'Uzumaki aveva devastato al karaoke, scambiando di tanto in tanto qualche parola con un
sempre meno loquace Udon.
Vide il volto di Kiba innalzarsi sopra gli altri
mille della folla che inondava le strade, lo vide farsi man mano più distinto, vide il suo cane venirle incontro e tuffarle l'enorme
testone peloso sulle ginocchia. L'empatia tra l'animale e il padrone è fondamentale
per i membri del Clan Inuzuka. Alzò gli occhi e Kiba la osservava (di nuovo!),
le braccia strette sul kimono disordinato e il ciuffo sfrigolante della
sigaretta accesa all'angolo delle labbra. Fece per parlare, ma Hanabi lo anticipò, il tono velenoso:"La
smetti di fissarmi come se fossi un piatto di... di mochi?!"
Il Jonin rise a gola spiegata, soffiando via il fumo
azzurrino, poi replicò con un sopracciglio inarcato:"Ti dà fastidio?"
"Sì, moltissimo." Inuzuka, roteando gli occhi, finse di considerare
seriamente quella proposta:"Uhm, allora forse potrei smettere, se le cose
stanno così.
Ma, ripensandoci, non credo proprio che lo farò: è divertente guardare qualcuno
che nega l'evidenza con tutte le sue forze."
Gli occhi di Hanabi fiammeggiarono, la ragazza
percepì ancora fortissimo l'impulso di stampargli il palmo alla confluenza fra
i due polmoni, cosicchè sentisse il taglio netto delJuken che recideva i fili di chakra, e a quell'espressione
furente Kiba rise di nuovo.
"Hinata mi ha detto che dovevate essere a casa
prima dei centootto rintocchi. Siete un po' in ritardo, ma lei non sembra
preoccuparsene; ti accompagno?" le propose sornione e allusivo,
l'aria da piccolo sbandato soddisfatto di sé stesso.
Lei spalancò la bocca, basita, prima di urlare un oltraggiato:"NO!"
che fece ridere Kiba ancora più forte.
"Avrei
voluto capirti."
"Almeno così, forse, io ti avrei difeso da te stessa."
"Non farti troppo male, ok?"
"E' divertente guardare qualcuno che nega l'evidenza con tutte le sue
forze."
"NO! NO! NO! NO! NO! NO! NO! NO!"
Una volta al sicuro nel buio della sua stanza, Hanabi fissò a lungo i fuochi artificiali che, oltre i
vetri, disegnavano nel cielo nero figure innocue e banali, fiori, stelle,
animali, fontane di luce.
Respirò piano, contò e ricontò tutti gli oggetti disposti ordinatamente sulla
scrivania, sulle mensole e sugli scaffali, si sedette sul letto rifatto
sforzandosi di dominare il sakè che, in circolo nelle
sue vene, scoppiettava allegro e rovente, sicura che
il cuore le battesse troppo lentamente per i canoni di un essere umano.
Sbarrò gli occhi e si lasciò andare a un grido
animalesco che, sapeva bene, nel silenzio sepolcrale della casa solo Hinata avrebbe udito:"...TI ODIO!"
Quella
fu la quarta volta in cui vide KibaInuzuka.
Ripensandoci, Hanabi non riesce proprio a capire come
due persone come loro, che danno vita a una chimica
sbagliata, possano essere finite insieme: sa perfettamente che è un errore, ma
compie questo errore con estrema lucidità e consapevolezza. E' un errore
piacevole a cui si abbandona molto spesso e, per dovere di cronaca, volentieri.
"Ti avrei difeso da te stessa."
E invece no, è proprio quello che non riuscirai mai a
fare.
Quella era stata la quarta volta in cui aveva
visto KibaInuzuka. Poi
vennero la quinta, la sesta, la settima, l'ottava, la nona, la decima, la
centesima...
Ne vennero così tante che Hanabi, sinceramente, smise di tenerne il conto.
...You're
just too good to be true Can't take my eyes off you!
Fin
Glossario Hanako-dono: Signorina
Hanako. Date le sinapsi
devastate, Kiba ha confuso 'Hanabi'
in 'Hanako'. Tou-sama: Padre. Okobo:
http://upload.wikimedia.org/wikipedia/en/thumb/4/4b/Okobo.JPG/200px-Okobo.JPG--> Questi, esatto. Sandali alti da maiko, ovvero apprendista geisha.
Non chiedetemi come si faccia a camminarci sopra. Ringraziamo la Cla Mela per questo dettaglio *_*! Bonenkai: Feste di fine anno che si organizzano tra amici, parenti o
colleghi. Takara-bune: E' il nome di una nave
mitologica che, nel folklore giapponese, la notte di Capodanno approda sulle
coste dei villaggi con tutti i suoi passeggeri, ovvero
varie divinità di buon'augurio. Mochi: Dolcetto a base di riso fritto.
Note dell'Autrice La colonna sonora che consiglio per questa
storia, oltre a "Can't take myeyes off of you", è Delicate
di DamienRice
(ecco sul Tubo: http://it.youtube.com/watch?v=huDIF--HmPU ). Diciamo che ascoltarla con
queste canzoni di sottofondo è quasi un obbligo XD diciamo. Ma, signori e signore, poichè
so che l'unica domanda che vi state facendo è: quale cacchio di canzone
cantava Naruto al karaoke? Vi accontenterò
volentieri con somma gioia, eccola qui: http://it.youtube.com/watch?v=6-5bjTvM_GQl'ho quasi imparata a memoria, ebbene sì
<3 per intenderci è la canzone del settimo ending
dell'anime, ecco. Immaginatevi Naruto con quella
vocina che la canta. Allucinante *_*, sì! Con questo
ho esauritoil theme n.16 delle Flavours: Do not raise your voice against me, I
am not afraid of your anthem although the lyrics are still bleeding from the
bark of my sapless heart. Esatto, questo era il kilometricothemeXD ma sono certa che non sarà l'unica KibaHanabi
che scriverò. Adoro questo pairing e voglio dargli
tutta la visibilità che merita, ecco. E infine...
BUON NATALE E FELICE ANNO NUOVO ATUTTI!!! Grazie a chi mi recensisce, a chi mi stima, a chi legge e basta, a
chi mi sostiene, a chi mi ispira, a chi piace ciò che scrivo,
alle mie amiche, a chi pensa che scriva alla cazzo di
cane, a chi è stato gentile con me, a chi mi vuole bene a chi voglio bene, a
chi ha scritto 'ste dannate 52 flavours
che prima o poi finirò (anche se questi sono ancora i temi del 2007!).
Capitolo 17 *** Speechless with the memory of a drowned moon [Hayate/Yuugao] ***
Disclaimer: I personaggi citati appartengono a Masashi Kishimoto, che
ovviamente si prende tutti i diritti del loro uso
Disclaimer: I personaggi citati appartengono a
Masashi Kishimoto, che ovviamente si prende tutti i diritti del loro uso.
L'aforisma citato, come scritto, appariene soltanto a Pablo Neruda e i
versi della canzone riportati in finale appartengono a Francesco De Gregori,
che con quelle note sottili e quella voce sognante mi ha stritolato il cuore.
Speechless
with the memory
of a drowned moon.
Amare è così breve, e
dimenticare così lungo! P. Neruda
C'era la luna quando si erano conosciuti. Una luna color latte,
rotonda e luminescente, un grande occhio benevolo che dall'alto si era fissato
proprio su loro due.
Beh, 'conosciuti' non era proprio il termine esatto: si
conoscevano già da tempo, si erano diplomati Chuunin insieme, poi dopo un paio
d'anni lei era entrata nella Squadra ANBU e aveva cominciato a guardare lui, semplice
Jonin, dall'alto in basso.
I muri consumati dell'Accademia ricordavano le loro discussioni interminabili,
esplose ogni volta che lei doveva tenere una lezione teorica sul ruolo degli
ANBU ai mocciosi studentelli, come il programma prevedeva.
"...In una missione di livello A o S sono previsti tre parametri da
rispettare: segretezza, efficienza, rapidità. E' sufficiente lasciare scoperto
uno solo di questi tre fronti e potete considerare la missione compromessa.
Compromessa significa che la vostra vita vale quanto quella di un'infestazione
di funghi."
L'Anbu n.67 aveva una voce affilata come il ghiaccio, un filo roca a causa del
vizio del fumo, e parlava come se le sue parole fossero state altrettanti
blocchi marmorei da cesellare. La stessa pacatezza, la stessa precisione.
I ragazzini intimiditi si domandavano di chi potesse essere il viso che si
celava dietro le zanne agguerrite di un Gatto, a chi potesse appartenere quella
chioma di un nero vellutato e vicino al color viola, quella figurina minuta e
fasciata dai muscoli, le cui spalle dritte, di cui una tatuata col simbolo
degli ANBU della Foglia, proclamavano a gran voce tenacia e spirito combattivo.
"Il vostro ruolo è fare ciò che vi si dice. Niente domande, niente
scrupoli, niente ripensamenti. Fare. Eseguire un ordine. Niente rimorsi, non
saranno quelli ad aiutarvi a raggiungere il vostro obiettivo. Ogni
considerazione che esuli dal contesto è da ritenersi superflua, e perciò del
tutto ininfluente sull'andamento del vostro lavoro."
"Anbu n.67, sta dimenticando di rammentare a questi ragazzi che è
necessaria anche una certa dose di flessibilità, per adattarsi alle circostanze
mutevoli e precarie di una qualunque missione."
Hayate Gekko, da poco sensei dell'Accademia di Konoha, aveva vent'anni, la
sfida dipinta sul volto e uno strano barlume divertito sempre presente negli
occhi neri.
L'Anbu n.67 non aveva niente di divertito negli occhi nascosti dalla maschera,
aveva oltrepassato la maggiore età fin da bambina e detestava essere
contraddetta.
Nel silenzio che era calato nell'aula, il Gatto affilò i suoi
artigli:"Prego, Gekko-sensei?
Ritiene di dover aggiungere qualcosa?"
L'epilogo di quell'innocente scambio di idee era entrato negli annali e nei
ricordi degli studenti di quell'anno.
"Incapace!"
"Alienata!"
"Buffone!"
"Guerrafondaia!"
Per mettere fine all'illuminante dibattito era intervenuto Sarutobi-san, tra i
risolini mal trattenuti degli studenti, e all'Anbu n.67 e a Gekko-sensei erano
toccate una sonora lavata di capo, la promessa di un giro panoramico nell'antro
di Morino se l'episodio si fosse ripetuto e una punizione: doppi turni in
missione per l'Anbu n.67 e due settimane di straordinari per Gekko.
Immusoniti e scuri in viso, cordialmente si erano augurati, se non di finire a
letto per tre mesi con una malattia rognosa, ad esempio la pleurite, quantomeno
di spezzarsi una gamba. Dolorosamente.
In un batter d'occhio divennero lo zimbello degli altri Jonin della Foglia. La
Mitarashi, dall'alto del suo grossolano sarcasmo, quasi si strozzò dalle risate
quando le raccontarono del loro diverbio davanti a ventidue lattanti scioccati,
e Umino, che di solito dispensava a piene mani cordialità e gentilezza, senza
parafrasare diede ad Hayate del gran coglione.
Dunque la sera d'inverno che s'incontrarono alla taverna in fondo al villaggio,
il primo impulso dell'Anbu n.67, al momento privo della familiare smorfia
feroce del Gatto, fu quello di lanciare addosso a Gekko Hayate un tavolino
apparecchiato, seggiole comprese.
Genma Shiranui, che aveva organizzato la serata di delirio alcolico
approfittando della pausa dalle missioni, trattenne il respiro, e con lui
serrarono le mascelle anche tutti gli altri Jonin invitati per l'occasione.
Ma Hayate, inaspettatamente, le sorrise. O sorrisero per lui i dodici
bicchierini di sakè che si era scolato perdendo al Giro della Morte contro
Izumo e Kotetsu, come la ragazza era più propensa a credere.
Il Jonin si aggiustò il coprifronte sbilenco sull'occhio sinistro, che lo
rendeva una brutta imitazione di Kakashi Sharingan, ingoiò un rutto al sapore
di liquore e sorrise.
"Yuugao" con due dita Hayate mimò il gesto di alzare un invisibile
cappello, la pupilla dilatata e fissa, il controllo decisamente allentato sugli
arti inferiori. Difatti barcollò e rovesciò il contenuto del suo tredicesimo
bicchiere sulla testa di Iruka Umino.
"Buonasera" Yuugao lo squadrò freddamente, poco meno che disgustata.
Aveva poca stima per gli uomini che si riducevano in quello stato, stordendosi
fino all'incoscienza e concludendo la loro mirabolante parabola imbrattando di
vomito un qualunque gabinetto, ma, come ebbe l'onore di scoprire proprio quella
sera, l'alcool aveva il prodigio di allentare la catena di disciplina che
opprimeva il suo corpo, sparpagliando sul pavimento della taverna tutti i
ricordi scomodi e i rimorsi che, nascosti sotto pelle, si infettevano
suppuranti come una cancrena che nulla poteva contrastare.
La vita degli Anbu era la morte, lo sapeva bene.
Eppure, dietro al muso dalle rozze fattezze di Gatto, una parte di lei -una
parte scomoda, fastidiosa, che premeva e scalciava per uscire allo scoperto-
ancora se ne meravigliava.
Si ritrovò accanto Gekko quasi due ore dopo, quand'era uscita dal
locale per prendere una boccata d'aria e fumarsi in pace una sigaretta:
vistosamente alticcio, con la bocca impastata le disse qualcosa che le
razionali orecchie di Yuugao si rifiutarono d'ascoltare.
Allora Gekko rimase in silenzio, accerchiato dalle volute di fumo azzurrognolo.
Gekko e quel sorriso da istrione, da ragazzino un po' stupito un po'
malinconico, Gekko e quei vestiti troppo grandi che gli ballavano addosso tanto
era magro. Ma aveva davvero vent'anni quello stecchino addobbato a festa? D'un
tratto non era più così sicura che quella fosse la faccia di un ventenne.
Ciuffi di capelli tagliati quasi a caso, viso ossuto, zigomi appuntiti, naso
importante, mento sfuggente e occhiaie profonde di chi è abituato a dormire
quattro ore per notte.
Gli anni si sfogliavano rapidi fino ai sedici, se non ai quindici.
Yuugao, animata dalla curiosità di una scienziata, si chinò su di lui e arrivò
quasi a sfiorargli la punta del naso col proprio.
"Oh. Ma tu sei proprio sicuro di non essere un Genin?" La risata di Hayate aveva il profumo speziato del vino e di qualcosa che
Yuugao-Muso-di-Gatto non conosceva. "A me puoi dirlo. Sarò... mmmh... muta come un pesce" sussurrò
pianissimo.
"I pesci parlano" rispose il giovane col medesimo tono
impercettibile.
"Tanto lo so che... uh..." Yuugao vacillò, ma riuscì a tenersi in
piedi; realizzò soltanto cinque minuti dopo che le sue gambe non avevano ceduto
solo perchè Hayate, cavallerescamente, le aveva circondato la vita con un braccio
e non sembrava avere l'intenzione di spostarsi da lì.
"Cos'è che sai?" riprese Gekko incuriosito.
"Che pensi che io sia una colossale idiota... tsk. Non mi piacciono quelli
come te."
"Quelli che ti aiutano a non sfracellarti su un marciapiede di pietra?"
"Quelli che blaterano sempre di sentimenti e altre sbrodolate patetiche
simili. Aaah, insopportabili, insopportabili!!!"
Hayate rise di nuovo, e Yuugao percepì una pressione appena più marcata al
fianco destro:"Ti hanno costruita senza lo stomaco, a te, mh?"
La kunoichi si scostò di scatto, mosse uno svogliato passo verso la strada e si
lasciò cadere seduta sul marciapiede, schiacciando sotto lo stivale destro il
mozzicone. Aveva male alla testa, l'addome contratto in modo molto sospetto e
un vago senso di nausea che le ribolliva sussultando giù per la gola. No,
per favore, per favore niente tazza del cesso, invocò ebbramente col
pensiero, tutto, davvero, perfino sopportare Gekko, ma non la tazza del
cesso. Niente vergogna in pubblico, per favore. Per favore. Gekko, appunto, le crollò di fianco e si sdraiò sul selciato di roccia, le
mani strette sulla nuca e il respiro regolare di chi si prepara ad abbandonarsi
al sonno.
"E' in momenti come questi che mi ricordo cosa siamo" sibilò Yuugao
con un filo di voce, quando il silenzio le divenne insostenibile.
"Dovresti ricordarti invece di cosa vorresti essere" Nonostante la
sbronza, Hayate aveva una voce pacata, non priva di una qualche strana
tenerezza.
"Cosa vorrei essere?" Era incredula, Yuugao, anzi di più, era
stupita da tanta rara imbecillità.
Hayate sbuffò, appena irritato:"Siamo quello che proteggiamo. Siamo le
nostre missioni. Siamo Konoha, siamo i bambinetti col moccio al naso che non
sanno tirare dritto un kunai e anche quelli che tagliano le gole alle spie
nemiche. Siamo un po' tutto, non c'è un nome giusto per definirci, c'è sempre
qualcosa di noi che sfugge all'etichetta. Ninja, assassini, mercenari, shinobi,
guerrieri, belve, esercito, mostri, alieni...
Siamo quello che proteggiamo. Per questo non devi dire a quei ragazzini di
levarsi quel po' d'umanità che ancora conservano. Altrimenti saranno molto
peggio di mostri, mercenari, assassini o quel che sia, saranno soltanto armi. E
non più il villaggio."
Ebbe la sgradevole impressione che lui stesse sorridendo di nuovo, perciò
Yuugao preferì trincerarsi dietro un silenzio inerte e accendersi un'altra
sigaretta.
Mezz'ora dopo, nella stessa frase e senza imbrogliarsi con le parole, Hayate le
chiese scusa per averla insultata, di poterla riaccompagnare a casa e se
conosceva un solo buon motivo per rifiutare.
"Ti detesto" mormorò piatta la ragazza.
Per tutta risposta l'altro roteò gli occhi e le gettò sulle spalle la sua
giubba:"...E questo ti sembra un buon motivo?"
C'era la luna a guidare i loro passi.
Il locale era svanito in un velo di nebbia color argento, Anko e gli altri si
erano volatilizzati chissà dove e il Gatto si era rannicchiato contro il torace
spigoloso di Hayate che, per quanto esile fosse, sosteneva il peso di entrambi
senza cedere nè arretrare di un solo millimetro.
Si erano fermati -o meglio, lui si era fermato e di conseguenza anche lei,
venendo a mancare quel contatto, era rimasta nell'incertezza del passo a
mezz'aria- in una fredda piazzetta dalle parti del Palazzo degli Hokage, nel
quartiere antico del villaggio, poco prima della fontana il cui quieto brusio
cullava i pensieri sfilacciati di Yuugao.
C'erano poche lanterne in quelle strade, gettavano sulla pavimentazione di
roccia schegge di luce lattiginosa, che si smarriva nel buio compatto delle
case silenziose e nel respiro monocorde del villaggio addormentato. I tetti
incombevano sul cielo scuro appoggiandosi l'uno all'altro, dovunque guardasse
c'era un vicolo ritorto su se stesso, una terrazza, lo spruzzo di piccoli fiori
sopra un balcone, l'insegna malandata di un vecchio negozio: trovò rifugio
nello squarcio blu scuro della piccola piazza, con la sua fontana di pietra e
il giro complicato dei rivoli d'acqua che si attorcigliavano uno dopo l'altro.
La ragazza giocherellò un poco coi suoi stessi piedi, prese a calci un sasso
che a causa di un colpo più deciso degli altri rotolò lontano, oltre i piedi di
Hayate davanti a lei; per riprenderlo avrebbe dovuto oltrepassarlo e quindi.
Quindi.
Quindi era fregata.
Alzò su di lui uno sguardo confuso, da bambina spaventata, uno sguardo di cui
non doveva aver abusato nella sua vita:"Questa" fece titubante,
"Questa non mi sembra casa mia."
Hayate aveva un modo semplice per rendere noto ciò che voleva. Era un tipo
franco, diplomatico talvolta, ma amava la schiettezza e gli si leggeva sul
volto ciò che pensava, e forse era proprio per questo che era una proverbiale
schiappa al gioco delle tre carte.
"Quanti anni hai?" le domandò inclinando il capo, meditabondo.
Yuugao ebbe tutto il tempo di ripescare una sigaretta dalle tasche dei
pantaloni, trovare un accendino, provare a far scattare lo scintillio della
fiamma per tre o quattro volte e riuscirci al quinto tentativo, prima di dargli
la sua risposta.
"Venti, se è mezzanotte."
"E' mezzanotte fra cinque minuti."
Yuugao accolse la notizia senza scomporsi. "Tu?"
"Ventuno dalla mezzanotte di ieri."
Hayate sapeva abbracciare senza bisogno del corpo, i suoi occhi la avvolgevano
come una mano può posarsi sopra un'altra. Li sentì sopra di sè: privi del
luccichio euforico dell'ebbrezza, già mostravano quell'impressione di calore
che era l'onore di essere in vita.
La sigaretta nel frattempo s'inceneriva pian piano: il Gatto aveva una dannata
voglia di piangere ed era molto strano, perchè i Gatti non possono
piangere.
"Siamo nati a un giorno di distanza l'uno dall'altra," spiegò
Gekko:"Lo sapevi? Tra un minuto sarà come aver compiuto gli anni
insieme."
Yuugao lo fissava in silenzio, senza rivelare la minima emozione.
"E non c'era nessun altro con cui mi andava di festeggiare."
Andava dritto al cuore del problema, Hayate, non gli piaceva perdersi nei
labirinto delle possibilità.
Per Yuugao, abituata al rigore schematico del suo lavoro, era come immergere il
viso in una pozza d'acqua fresca e rimanere lì, almeno per un po', almeno per
qualche ora, almeno per quel minuto che mancava a mezzanotte, finchè la carezza
vibrante del liquido sulla pelle non sarebbe diventata abitudine.
Poteva anche smettere di respirare, per quello che le interessava.
Sedettero sul bordo umido della fontana, attesero che passasse quel minuto e,
semplicemente, che lente le stelle impallidissero fino a cadere.
"L'hai vista anche tu?"
"Sì, è ancora lì?"
"Sì sì, guarda, non s'è spostata di un passo, ieri pomeriggio era nello
stesso posto, e anche il giorno prima!"
"E' spaventosa, sembra una statua..."
"Ma non ha una vita?"
I bisbigli furtivi delle infermiere Nakamura Miho e Obata Yumiko, appostate in
fondo al corridoio della Corsia C dell'Ospedale del villaggio, amplificati
dalla stanza vuota e dall'assenza di rumori di quel tiepido pomeriggio
primaverile, dovevano aver già raggiunto i sensi dell'Anbu n.67, seduto di
fianco al letto occupato dal Jonin Speciale Gekko Hayate, ma se fu così non
diede a vederlo.
Immobile, composto e austero, il ninja accomodato sulla sedia sembrava privo
perfino del respiro.
La voce secondo cui l'Anbu n.67 era quasi onnipresente al capezzale del Jonin
Gekko, tornato da una missione più morto che vivo, era rimbalzata di bocca in
bocca dall'Ospedale fino alla Divisione ANBU passando per le Squadre di
soccorso: monolitico, imperscrutabile nella sua uniforme, muto, il Gatto sedeva
inappuntabile vicino al letto dove Hayate, cosparso di tubicini azzurri,
dormiva un artificiale sonno senza sogni.
L'Anbu n.67 conosceva a menadito la gravità, il decorso e la causa delle sue
molteplici ferite, sapeva alla perfezione quale liquido incolore scivolava
goccia a goccia nelle sue vene, ricordava a memoria quante volte il paziente si
era strappato di dosso gli aghi per la smania, teneva fedelmente il conto delle
sue ore di sonno giornaliere.
Di fronte al Gatto, le cartelle cliniche si squadernavano con l'audacia dei
fiori di campo e il dottore che si occupava di Gekko era diventato stranamente
loquace e ciarliero.
I medici e le infermiere, ammutoliti, osservavano un tale esempio di dedizione
con rispetto e anche con una punta di nervosismo: quell'Anbu e la sua rigida
immobilità avevano qualcosa di inquietante. Perciò, pettegolezzi a parte,
preferivano di gran lunga non sostare troppo nei pressi di quella camera.
Così, quando quel pomeriggio Gekko Hayate riaprì sul mondo un paio d'occhi
instupiditi dagli anestetici, la prima cosa che vide fu il muso arcigno di un
Gatto che, inquisitore, lo fissava, l'espressione perennemente vuota e
disumana.
Un raggio di sole tagliava in due il profilo felino quando il Gatto cominciò a
parlare, con una voce che era come uno spillo che infilzava innumerevoli
farfalle.
"Punto primo: le missioni in solitaria si chiamano così perchè prevedono
lo svolgimento di esse da parte di una sola persona, coadiuvata talvolta da un
Medic-ninja. Tu hai espressamente rifiutato questa opzione.
Punto secondo: la volpe che hai evocato per chiedere soccorso era poco meno che
denutrita, e ciò significa che doveva essere la tua ultima goccia di chakra. E'
riuscita ad arrivare fin qui per puro miracolo, se fossi stato meno fortunato
si sarebbe dissolta a metà strada.
Punto terzo: hai preferito mettere seriamente a rischio la tua vita piuttosto
che affidarti alla ritirata e decretare il fallimento della missione, questo è
lodevole da parte tua, ti proporrò per l'onoreficenza, ma hai agito da
sconsiderato e sarebbe bastato un solo contrattempo, uno solo, e ti avrebbero
squartato come un vitello.
Punto quarto: hai contato più sulla tua astuzia che sulle tue reali capacità,
il che significa che non siamo certi che non siano riusciti a estorcerti con la
tortura i segreti del villaggio. Il corretto metodo per utilizzare una barriera
psichica che argini almeno per qualche ora gli effetti di justu illusori di
livello elevato viene insegnata ai Jonin nel primo anno di apprendistato: se
ancora non l'hai imparato, hai una ragione in più per non richiedere a gran
voce missioni di livello S."
Ogni respiro di Hayate veniva registrato dal monocorde 'bip' dei macchinari a
cui il suo corpo era collegato, ed era il solo rumore che scandisse il tempo
delle frasi del Gatto.
Gli occhi del Jonin erano annebbiati, sembravano non vedere realmente il Gatto
e l'asettica stanza d'ospedale, giacevano abbandonati nel pallore malsano di
quel volto scavato: gli avevano incrinato la mascella, spaccato le sopracciglia
e il naso, sfregiato una gota che, assicurava il medico, sarebbe tornata come
prima, riempito le braccia e le gambe di bruciature, rotto un ginocchio e
spezzato tre costole, per non parlare degli innumerevoli segni di corde o
catene che gli martoriavano il corpo.
Sembrava evanescente in quel letto immacolato, era più bianco delle coperte
stesse; era come se qualcuno si fosse divertito a vedere fino a che punto la
faccia di Hayate avrebbe resistito alle botte, e questo il Gatto non glielo
perdonava, no, non poteva farlo.
Quando l'Anbu n.67 finì di parlare, Hayate tossì un rivolo di saliva striata di
rosa e si lasciò sprofondare ancor di più nel molle cuscino di piume.
Brandelli di coscienza risalivano dalle caverne della sua memoria, si
riallacciavano a fatica filo dopo filo: fu sul punto di addormentarsi un'altra
volta ma si tenne sveglio come potè, improvvisamente si era ricordato di cosa
gli aveva tenuto la bocca chiusa mentre gli spingevano la testa sott'acqua, e i
suoi polmoni scoppiavano. Cosa, chi. Quale pensiero.
"Potresti" azzardò allora, biascicando a causa dei punti che tenevano
insieme metà del suo viso:"...toglierti quella roba dalla faccia? Voglio
parlare con una persona vera."
Yuugao s'infuriò e pensò che, se già non ci avesse pensato qualcun'altro a
ridurlo in quelle condizioni, senza indugio ne sarebbe occupata lei, ma non
replicò e tremando di collera si sfilò con lentezza la maschera del Gatto,
tirandosela sulla testa e infine slacciandola. Ricadde con un rumore secco
accanto ai suoi piedi, stretti sotto la sedia.
Il viso di Yuugao Uzuki bruciava. Letteralmente bruciava. Hayate non aveva mai
visto su un essere umano una simile esplosione.
"...Ti sei quasi fatto ammazzare e ti davano tutti per spacciato"
riprese la giovane Anbu con un'impersonale voce controllata:"Non potrai
andare in missione per i prossimi sei mesi, avrai gli incubi per i prossimi
otto, quella gamba non tornerà mai più come prima e ti hanno ridotto le braccia
in un modo così infame che non so come potrai maneggiare di nuovo una spada. E
hai fatto tutto questo per dimostrare che sei un ottimo Jonin Speciale.
Questo significa che sei - il - più - grande - e - colossale - idiota - che -
il - mondo - conosca."
Le mani di Yuugao, poggiate sulle ginocchia, si erano strette fino a chiudersi
in pugni d'acciaio.
Hayate però, con la follia dei vivi strappati al sonno eterno, si lasciò andare
a un sommesso brontolio, che era quanto di più simile a una risata riuscisse a
emettere:"Yuugao" le disse in un sospiro compassato, e lei, al suono
del suo nome pronunciato da quella voce, dalla voce di Hayate, si sentì
di nuovo sveglia dopo una notte interminabile.
"Sei davvero una stupida. Ora... ti possono riconoscere" e con un
moto stanco delle dita rovinate alluse al suo volto privo di maschera. Gli ANBU
dovevano indossarla sempre quand'erano in servizio, per nascondere la loro
identità, e dovevano farlo anche se si trovavano nel villaggio: era la prima
regola che apprendevano, quella a cui erano concatenati tutti i successivi
obblighi imposti dalla loro condizione. Si imparava quella, assieme al proprio
numero distintivo, prima di ogni altra cosa, perfino prima di ricevere la
qualificazione di Anbu.
Fu in quell'istante che Uzuki Yuugao capì di essere totalmente innamorata di
Gekko Hayate, e di esserlo senza scampo e senza condizioni. Aveva appena
cancellato con un gesto il Gatto e perchè? perchè lui, semplicemente, le
aveva chiesto di farlo.
C'era una certa logica in tutto questo, a voler essere sinceri.
Come lei stessa faticò ad ammettere, era una constatazione che meritava una
riflessione seria e profonda, molto profonda.
Chiunque conoscesse bene Yuugao -ed erano in pochissimi a fregiarsi di questo
titolo- sapeva che solo un ottimo motivo poteva spingerla a compiere azioni
impulsive e del tutto irrazionali.
Ma la smorfia di scherno di Hayate, appena stralunata a causa dei
farmaci, e la sua mano fasciata che si era avvicinata alla guancia di Yuugao,
erano spudoratamente felici di ritenersi un ottimo motivo.
Vivevano insieme da poco più di dieci mesi quando, una notte, le aveva
confidato che l'Hokage voleva affidargli l'organizzazione degli Esami di
Selezione dei Chuunin.
Era quell'ora imprecisata tra le due e le quattro del mattino, la loro camera
era immersa nell'irreale luce lunare e in quel momento lui s'era alzato dal
letto, era andato vicino alla finestra spalancata e aveva posato lo sguardo
sull'oceano di tetti, comignoli, terrazze e balconi che punteggiavano la notte.
"Li vedi?" le aveva chiesto sottovoce.
Yuugao l'aveva raggiunto e, abbracciandolo, si era sporta oltre la sua
spalla:"Chi? Laggiù ci sono solo case."
A bruciapelo Hayate le aveva risposto con un'altra domanda -oh, lo odiava
quando faceva così!- :"Ti capita mai di crollare?"
Yuugao innervosita tacque, ma lui proseguì ostinato, ignorando il suo
silenzio:"Crollare, sì, schiantarti dal dolore anche per un nonnulla,
perchè in missione Genma ti ha salvato il culo o perchè ti senti nessuno in
mezzo a mille nessuno, perchè il meccanismo s'inceppa e non sai più qual è il
passo successivo, insomma, una cosa del genere. Ti è capitato, lo so che ti è
capitato. Hai desiderato anche tu di essere una persona normale...di non avere maschere, segreti... succede a
tutti almeno una volta. E' umano, è quasi obbligato."
La spaventava un po' quando parlava così, non era sicura che lo scintillio nei
suoi occhi fosse lo stesso di sempre, vi leggeva un'intensità che la scuoteva
dal profondo.
Aveva letto da qualche parte che era normale che il corpo umano facesse
resistenza all'acqua, il corpo non voleva morire, rifiutava di lasciarsi
affondare in un universo in cui ogni legge fisica veniva sovvertita. Allo
stesso modo la rigida coscienza di Yuugao resisteva ad Hayate, perciò la
ragazza lo interruppe con un vago:"Dovresti smetterla di tormentarti con
simili sciocchezze."
"Aaah, e lasciami finire, piccola sciocca senza stomaco. Ascolta.
Tutte le volte che mi sono chiesto quale diavolo era il mio posto in questa
vita, mi sedevo sul tetto e guardavo giù." La mano di Hayate era una
carezza che nel vuoto sfiorava l'intero villaggio: "Guardavo giù".
"Cosa vedevi?"
"Qualcosa per cui essere qualcuno. Per essere una persona, prima che un
uomo o un ninja. Per esistere, a dispetto di tutto e tutti."
Le faceva paura perchè l'anima di Hayate era come l'infinito del cielo, e
scorgerne un frammento la stordiva tanta era la sua luminosità. E la stordiva
ancor di più il pensiero di amarla interamente. Yuugao significava 'volto della luna'. E la luna, si sa, insegue per sempre
la luce del sole. "Poi cos'è successo?" riprese allora la ragazza, le labbra
secche.
Abbozzo di sorriso da parte di Hayate:"...Poi siamo usciti tutti
insieme... ho alzato un pochino il gomito... ti ho cercata... e tu hai
risposto."
Erano quelle notti il suo perdono, la sua breve parentesi d'ossigeno prima di
immergersi nelle acque gelide della realtà. Era stare con Hayate quando non
c'erano colleghi, regole, maschere o estranei, e per qualche ora erano solo
loro due, erano affetto, erano calore, erano nel senso più vero del
termine.
Si vedevano poco, lei e Hayate, le missioni di un ANBU duravano anche per mesi
interi e lui aveva i Genin da addestrare, le sue missioni, i suoi doveri di
Jonin Speciale: si vedevano poco, nonostante vivessero nella stessa casa. I
loro orari sembravano regolati su due lancette che si sfioravano quasi per
sbaglio, ma non le importava, sapeva farsi bastare anche quella manciata di ore
rubate al sonno.
Sapeva che loro due erano creature notturne, richiamate alla vita soltanto dal
respiro del buio.
Tuttavia, da quando Anko le aveva raccontato a monosillabi che tra lei e
Kakashi Sharingan era successo un po' più di qualcosa, un curioso pensiero
aveva fatto capolino nella mente di Yuugao: cinque anni di carriera negli ANBU
non erano una bazzeccola, di solito dopo un paio d'anni si passava ad altri
reparti, se si era rimasti in vita, ma lei mirava al ruolo di Capitano,
e forse ancora per qualche tempo, due anni o tre... ecco, tre anni e poi...
Si rifiutava persino di ammetterlo a se stessa e non aveva la minima intenzione
di accennare la questione ad Hayate, ma il modulo di esenzione dalle missioni
che aveva visto scivolare fra le mani del Numero Tredici continuava a ronzarle
in testa. Ne rivedeva di continuo il biancore, ne risentiva il fruscio
invitante, fssssh...
Non c'era fretta, no, certo, non c'era neanche da pensarci sul serio, amava il
suo lavoro e voleva dedicarvisi il più a lungo possibile. Yuugao o l'Ambizione,
ecco qual era il suo secondo nome. A lungo, sì, ma non per sempre... "Ne ho discusso anche con Genma, Anko, Morino, Iruka e gli altri. Lo
faremo, organizzeremo questa cosa. In memoria dei tempi andati, in un certo
senso" la voce quieta di Hayate non poteva cancellare l'amarezza disegnata
sul suo viso.
Vecchia storia quella fra i Jonin della Foglia e il villaggio. Vecchia storia
di cui anche lei faceva parte.
Erano tutti orfani di guerra, le loro famiglie erano state decimate da un
nemico senza volto ed erano cresciuti nel Fuoco, perciò era al Fuoco che
dovevano qualcosa.
"Sandaime Sarutobi è convinto che se insegnamo a questi ragazzini che,
fuori da un'arena, un avversario ha i loro stessi occhi, forse riusciranno a
evitare una Quarta Guerra" Hayate pensoso contava le stelle e i propri
rimorsi.
"Tu gli credi?" Il sopracciglio inarcato della ragazza mostrava che
no, lei proprio non gli credeva.
Hayate sorrise di nuovo, e un barlume d'allegria attraversò il suo
viso:"Non lo so ancora, Yuugao. So che è un uomo saggio, onesto. E buono,
anche. Gli crederei."
"La storia non si scrive con i condizionali, Gekko" ruvida e goffa,
Yuugao tentava di raffazzonare una pallida imitazione di conforto.
Hayate, con uno sbuffo teatrale, parve apprezzare lo sforzo:"Gli crederò.
Va meglio ora, maestrina Uzuki?"
"Va meglio" concesse pacata Yuugao.
"Vorrei che Konoha non avesse pareti nè mura... che si estendesse fino
all'orizzonte senza serrature e senza cancelli... che tutti vedessero lo
splendore, la gente e le strade... invece ogni giorno aggiungo un mattone alle
barricate."
"Hayate, proteggere il villaggio è la nostra vita" gli fece notare
pragmatica.
Ma Hayate non amava i giochi di parole, amava la schiettezza e ogni parte di
lui non faceva che manifestarlo:"Lo so, lo so bene. E' giusto così in
fondo. Contribuisco ogni giorno a distruggere i miei sogni: è buffo, non
trovi?"
Yuugao gli lanciò un'occhiata piena di rimprovero:"Ma... Hayate!"
"Non lo trovi buffo?"
"Lo trovo..." Yuugao riflettè qualche secondo, prima di assaporare la
sua risposta:"... nobile.
Ideali traditi e scemenze del genere, per farti capire" subito si
corresse, a disagio, il piglio nervoso.
Ma, pronunciando quelle parole, Yuugao decise che era quello il momento di
trascinarlo sotto le lenzuola, luna o non luna, e di tenere per sè le piccole
scintille tiepide che le esplodevano nello stomaco. Perchè sì, uno stomaco lei
l'aveva, aveva emozioni ed Hayate era il solo a rivelarle.
"Dormiamo un po', mh?"
Perciò, con l'adrenalina che scoppiettava lungo le braccia, lo strinse al collo
e lo spinse incespicando verso la direzione che sul pavimento indicavano i
pallidi raggi lunari.
C'era la luna anche quando lo uccisero.
Una luna alta nel cielo di velluto, una perla poggiata nel cuore di un'ostrica.
Hayate non aveva mai creduto che sarebbe morto in una notte così bella, dove l'aria
era trasparente e la luna aveva il colore della pelle di Yuugao. Quella fu la
ragione dello stupore che trovarono dipinto sul suo volto il giorno dopo,
quando scoprirono il suo cadavere.
Lei comunque non lo seppe mai: quella notte dormiva nella loro stanza, con la
finestra aperta poichè l'estate ancora non aveva ceduto il passo all'autunno.
Era scivolata nel sonno aspettando Hayate, che le aveva detto che sarebbe
tornato a casa molto tardi, perchè aveva delle faccende da sbrigare.
Dormiva tranquilla, Yuugao, il corpo abbandonato nella sua metà di letto e un
raggio di luna, la stessa luna sotto cui Hayate moriva, che l'accarezzava come
una madre può fare con la figlia.
La maschera del Gatto, abbandonata vicino alla porta, gettava un'ombra informe
sulla parete bianca, e qualcuno dal gusto per le suggestioni romantiche avrebbe
potuto leggervi un cattivo presagio.
Ma non Yuugao: Yuugao dormiva, dormiva senza pensieri, il respiro regolare, la
posa composta anche nel sonno, la coperta tirata sul petto e un'espressione
serena sul volto addormentato. Anzi, c'era un lieve accenno di sorriso
all'angolo delle sue labbra: i suoi sogni non erano inquieti.
Alle prime luci dell'alba si sarebbe svegliata a causa dello schiaffo del sole
mattutino e, vedendo l'altro lato del letto intonso, qualcosa in lei
sarebbe gelato.
Il suo autocontrollo le avrebbe permesso di vestirsi, bere un caffè che le
avrebbe distrutto lo stomaco, correre da Genma ma no, Hayate non era passato di
lì, dove poteva essere? E, sul punto di dirigersi al Comando dei Jonin della
Foglia, l'avrebbero fermata Diciotto, Quarantuno e Settantadue e, di corsa più
veloce del respiro, si sarebbe trovata di fronte, sopra una terrazza assolata
del quartiere antico, Hayate che guardava il cielo, un velo di sangue scuro
intorno al capo.
L'autocontrollo di Yuugao non avrebbe ceduto: il cuore le sarebbe scoppiato, ma
si sarebbe chinata, dietro la maschera del Gatto, dietro lacrime secche che non
volevano saperne di scendere, e avrebbe preso fra le mani la katana abbandonata
di fianco al suo braccio -ed era così traslucido, quel braccio, dava
l'impressione dell'acqua-, infine avrebbe chiuso quegli occhi eternamente
stupiti, da ragazzino che non si capacita di essere morto sul serio.
Gli occhi di Hayate. Hayate. Hayate. Loro due erano creature notturne. Quel sole rovente aveva ucciso entrambi.
Non sarebbe riuscita a rivolgere la parola a nessuno se non tre settimane dopo,
avrebbe perso il sonno, la voglia di mangiare, di fumare e perfino quella di
respirare.
Avrebbe ascoltato a malapena gli encomi pronunciati dall'Hokage durante il
funerale, i vacui tentativi di comprendere il suo dolore da parte di colleghi e
amici; avrebbe accettato senza condividere l'abbraccio un po' meccanico di
Anko, che in queste cose proprio non era brava, le condoglianze di Kurenai
Yuhi, le occhiate colme di cordoglio di tutta la Squadra Jonin e della
Divisione ANBU, il discreto discorso del suo Superiore con cui l'avrebbe
esonerata dal servizio per una settimana; avrebbe notato appena il nome di
Hayate inciso sulla Lapide degli Eroi, perchè per lei lo era da tempo, un eroe,
e non aveva bisogno di stupide pietre gelide per ricordarselo.
Si sarebbe detta che era già successo a mille altre, che lei era solo l'ultima
della lista, ma nel suo animo si sarebbe rifiutata di capire, perchè Hayate
rappresentava tutto ciò che di piacevole c'era al mondo e saperlo morto le
sembrava incredibile, quasi paradossale; si sarebbe detta che il suo era un
dolore privato, che doveva stare nello spazio di un cuore, un dolore che doveva
seppellirsi nel profondo, in luoghi irraggiungibili, e nascondersi alla vista
degli altri perchè la sua vita, la sua fottuta vita era proteggere quel
villaggio e nient'altro, nient'altro, nient'altro. Ma c'era dell'altro. C'era, era innegabile. C'era un futuro, ed era morto
tre giorni prima. L'assassinio di Hayate Gekko fu l'avvisaglia che qualcosa, nel sogno di
Sandaime Sarutobi, era andato storto: di seguito vennero l'attacco del Sannin
Orochimaru al villaggio, la morte dello stesso Sarutobi, la rottura della
tregua con Suna, il tradimento di Sasuke Uchiha e il fallimento di ogni
tentativo di riportarlo a Konoha.
I sogni del Terzo Hokage, come quelli di Hayate, si erano inceneriti prima
ancora di venire alla luce.
In tutto quel tempo, sotto la corazza del silenzio Yuugao avrebbe perfezionato
un elementare quanto ferreo ragionamento: da ottima Anbu qual era, voleva chi
era stato. Il Gatto dentro di lei soffiava e snudava gli artigli perchè
facesse ciò per cui era nata, ciò che meglio sapeva fare, l'unica risposta
plausibile all'omicidio di Hayate: cercare il colpevole. Yuugao voleva chi era
stato a fare quello ad Hayate, voleva il dannato nome di chi aveva osato
distruggere ciò che aveva di più caro.
La vendetta, sì, la vendetta.
Quella parola le sarebbe scivolata nel sangue con uno strisciare serpentino. La
vendetta, certo. Piangere fino a esaurire le lacrime, impazzire o uccidersi
a sua volta non sarebbe stato affatto da lei, lei aveva qualcosa da fare,
qualcosa di tangibile e vivo come un corpo che cade, qualcosa di così istintivo
e compenetrato nel suo spirito che era come battere le palpebre, come
respirare.
La vendetta.
Quasi naturale, in fondo.
Non ci avrebbe messo molto a capire che l'assassino di Hayate si nascondeva tra
gli alleati di Orochimaru, tra coloro che avevano tramato la rovina della
Foglia, e dopo mesi interi di spasmodica ricerca condotta scrupolosamente da
sola, tenendo all'oscuro perfino i suoi Superiori, sarebbe riuscita a
individuare negli shinobi della Sabbia il volto che stava cercando con tanta
cura.
Non ci avrebbe messo molto a rendersi conto che la Godaime Hokage l'avrebbe
ostacolata pur di preservare la nuova alleanza tra Konoha e Suna, avrebbe
compreso in fretta che la memoria scomoda di Hayate sarebbe rapidamente
scivolata nell'oblio di quanti erano disposti a calpestare più d'un cadavere,
perchè la pace regnasse nel villaggio.
Hayate forse avrebbe capito, e avrebbe perdonato.
Ma lei no, no.
Lei non capiva.
Ancora si chiedeva perchè proprio Hayate, e ancora non capiva.
E un giorno Anko avrebbe bussato alla sua porta, si sarebbe seduta di fronte a
lei al tavolo di cucina e in un sussurro le avrebbe rivelato il nome. Baki, si
chiama così, è stato il sensei del Kazekage di Suna e dei suoi fratelli.
Lo stupore avrebbe tolto la parola a Yuugao.
Anko allora avrebbe accampato sbrigativa scuse brutali, Kakashi le aveva fatto
giurare di non dirglielo, ma quando era arrivata la notizia della morte di
Asuma Sarutobi non se l'era più sentita di tenere segreti inutili. Glielo
doveva, per un motivo che a voce la Mitarashi non sarebbe mai riuscita a
spiegarle.
Però avrebbe ripetuto incrollabile quelle due parole: glielo doveva, glielo
doveva.
E a quel punto il Gatto pigramente si sarebbe stiracchiato, avrebbe fatto le
fusa e cominciato a muovere al ritmo del tempo la lunga coda, picchiettando con
gli artigli il suo stomaco.
D'un tratto si sarebbe sentita sollevata: aveva il nome, perciò, beh, questo
significava che aveva una vita intera per cogliere quel momento, il
momento che avrebbe sublimato in sè tutti gli altri, il momento in cui
sarebbero stati liberati una volta per tutte, per sempre, lei e Hayate.
Avrebbe atteso con la pazienza dei ragni il passo falso, l'attimo di
smarrimento, l'impercettibile battito di ciglia che le avrebbe consegnato
quell'uomo su un piatto d'argento.
Solo questione d'aspettare. Era programmata per farlo, decenni di addestramento
ninja insegnavano questo.
Sapeva che, puntuale, il momento sarebbe arrivato.
La katana di Hayate, lei sa, verrà usata per l'ultima volta. Poi ci sarà pace. Poi lei correrà da lui.
...Ma adesso, adesso lasciatela dormire, dorme così bene!
Spogliata dell'aura cruenta del Gatto, sembra soltanto una ragazza felice.
Tre anni, pensava prima che il sonno la sorprendesse, tre anni e poi
chiederò il ritiro. Jonin Speciale Uzuki Yuugao. Hayate ne sarà contento,
potremo vederci più spesso, potremo stare insieme, in fondo poi è quello che
vogliamo entrambi, e potrei quasi pensare che -stupida, te lo chiederà lui se
vuole, tu stai zitta e lascialo fare, lascialo fare come quando mezzo ubriaco
ti ha chiesto di riaccompagnarti a casa, e sì sì gli dirai sì sì lo farò sì.
Qualunque sarà la sua domanda.
Lasciatela dormire, per favore, lasciate che si ritempri fino in fondo
nelle spesse ore di buio che precedono l'alba. Sapete che quell'alba se la
ricorderà per il resto della sua vita, perciò fate che possa godere fino in
fondo del beneficio dell'incoscienza, che scappi via dai suoi fantasmi e che si
rifugi nel tranquillo mare del sonno.
I suoi sogni, poi, non sono affar vostro.
Lasciate che dorma ancora un po', soltanto un altro po', soltanto per
poco. Ci saranno notti intere da consumare insonne, alla luce di qualche
candela o del semplice rancore, cercando febbrile qualche indizio che potesse
collegare Hayate al suo assassino.
Lasciate che assapori cosa vuol dire dormire tranquillamente, con ancora in
testa l'eco della canzone che cantava preparandosi la cena prima di coricarsi,
con i vestiti e i libri di Hayate abbandonati un po' dovunque nella stanza, con
la confortante vicinanza degli oggetti a lei cari a ricordarle che al mondo, in
fondo, c'era qualcosa di buono. Lasciate che per l'ultima volta trascorra una
notte serena, senza il tarlo del rimorso a scavarle il cuore e a tenerla
sveglia.
Lasciate che rimanga lì, lasciatela in pace ancora per qualche ora. Solo
qualche ora e poi tutti i suoi sogni, quelli che Yuugao non rivelò mai a
nessuno, neppure a se stessa, saranno soltanto carta straccia. Non affrettatele
la conoscenza con la realtà, non vedete com'è placida, com'è priva di qualunque
preoccupazione?
Al dolore, alle lacrime, Yuugao penserà domani.
Per un po', solo per un po', la realtà può aspettare.
E ancora mille volte, mille anni, ci scommetto, mi ringrazierai
per quel sorriso ladro e per i giochi, i mille giochi che sapevi già
e ancora mi dirai che non vuoi essere cambiata, che ti piaci come sei
Però non mi confondere con niente e con nessuno, e vedrai...
niente e nessuno ti confonderà
soltanto l'innocenza nei miei occhi, c'è nè già meno di ieri, ma che male
c'è...
[Bene - Francesco de Gregori]
Fin
Note dell'Autrice
Prima Classificata e Premio Originalità al Simply
Canon Contest indetto da Kurenai88.
Non so se rendo *O*!
Sono orgogliosissima di questa storia. Davvero davvero davvero. Perchè
tirare fuori una bella caratterizzazione di Hayate e Yuugao, visto che
compaiono sì e no in due episodi e sono praticamente sconosciuti ai più, è
un'impresa. Si dice così poco di loro, sono già finiti nel dimenticatoio, ed è
un peccato, dato che la vendetta di Yuugao non ha ancora ricevuto
soddisfazione. Mh, plothole, Mr.Kishimoto?
Io spero sempre che da un giorno all'altro salti fuori la notizia
dell'uccisione di Baki di Suna da parte di un ANBU di Konoha. Una parte di me
comprende il dolore di Yuugao, e scrivendo di lei mi ci sono affezionata. Che
lo uccida, allora, e che il suo odio possa svanire.
*Parlo come un'eroina ottocentesca, lo so, scusatemi, ora torno in me*
Riprendo con le risposte ai commenti, che ultimamente avevo
trascurato^^. Mala Mela: Ti ho praticamente obbligato a recensirmi XD ma su, sono
tanto felice di leggere i tuoi commenti *__* e poi lo so che sono partita da
premesse più 'angst', per concludere con un adagio, diciamo. Ma ero posseduta
dallo spirito della Diabolica Canzone, "Long Kiss Goodbye", e poi
volevo per una volta mettere in risalto le rispettive differenze e conciliarle,
anzichè scrivere una frattura tra i due. Ne avevo abbastanza allora di storie
tristi :) ovviamente ora non è così XD ma che ci posso fare, Hanabi mi fa pena,
riesco a comprenderla senza fatica e vorrei che, sebbene abbia lo sculo di
essere un personaggio quasi invisibile, avesse una fine dignitosa *_* e con
Quel Gran Fugo di Kiba perdipiù. Che con Hinata mi stucca come il miele con il
latte XDDD ça va sans dire. La Chaos: Mi dispiace che il tuo primo regalino di Natale non abbia
avuto tutta la fortuna di Ain't no mountain >.<, però Kiba e Hanabi sono
dannatamente particolari e poco famosi insieme, ecco. La gente è più propensa
per il canonico Kiba/Hinata, che come noi sappiamo è semplicemente odioso u_u
forza Hanabi!
Riguardo al fantomatico dolore all'addome, pensa male *_* hai tutta la
licenza. Dolore al pancino + dodici anni + instabilità emotiva... Cosa ti
ricorda *se la ride sotto i baffi*? Ammetto che è un dettaglio molto poco
signorile, ma diamine, secondo me è nell'olfatto ipersviluppato di Kiba
riuscire a percepire certe cose! E a divertirsene soprattutto, vista la
reazione scandalizzata della nostra Hanabi. Sì, sono proprio perfetti: the
beggar and the queen, come dice una canzone che sto ascoltando ora *_*! Per il
resto, hai colto ogni singola cosa che ho fatto intravedere, le tue riflessioni
sono precise e giuste sia quando parli del ruolo di Hanabi nel suo Team (non la
vedo come leader, non ce la vedo sotto le luci della ribalta, per me è più
quella che trama nell'ombra, quella che manovra come un burattino il leader), sia
sulle valutazioni sul ruolo dell' -inutile- Konohamaru. Anzi, immagino proprio
che Hiashi Hyuuga incoraggerebbe un'eventuale loro relazione, proprio in virtù
della parentela del moccioso col Terzo Hokage. Si sà che avere parentele in
alto è utile per un Clan che mira ad avere grandi privilegi all'interno del
Villaggio :D ed è qui che il Pulcioso ci mette una bella zampa pulciosa.
La festa. Eeeeh, la festa *_* non volevo dilungarmici così tanto, ma mi sono
venute in mente tante immagini e non potevano non essere scritte XD poi Naruto
al karaoke che canta Long Kiss Goodbye si meritava tutta l'attenzione di questo
mondo, sicchè mi sono lasciata andare. E' stato un periodo di storie 'corali'
quello di Natale, con atmosfere rumorose e rutilanti, ma sentivo di aver
bisogno di questo^^ di quell'augurio per il futuro di cui tu hai parlato nella
recensione. Ne hanno così bisogno i nostri ninja, un bisogno mortale direi.
E poi volevo dimostrare che è possibile scrivere belle scene piene di
personaggi senza cadere nella sciatteria u.u ecco. Ci sono riuscita, sì?
Ah, a proposito! Mi ero scordata di dirtelo e non l'ho manco scritto nelle note
XD me sbadata: "shogatsu" in giapponese è il nome della Festa del
Primo dell'Anno, aw ^^! Muppello: Tu - adori - le KibaHanabi *_______________* ma questa sì che
è una notiziona! Pensavo che io e Chaos fossimo le uniche promotrici di questo
splendido Pairing nel fandom italiano, ma invece non è così *_* devi aiutarci a
diffondere il KibaHanabi nel mondo. E soprattutto in questa landa desolata,
così povera di Fireworks and Fangs -che ho scoperto è il nome della coppia XD.
Comunque ti ringrazio per le bellissime parole che hai detto sul mio stile e
sulla storia <3, e sull'IC soprattutto. Kishimoto ha parlato davvero poco di
Hanabi, potrebbe essere come io la descrivo oppure tutto l'opposto, perciò mi
ha fatto davvero piacere leggere che questa mia fanfiction ti ha sorpreso, ti
ha emozionato e ti ha fatto restare di stucco. Grazie, grazie, grazie :) mi
riempie di soddisfazione sapere che riesco a trasmettere qualcosa a chi legge
ciò che scrivo.
Capitolo 18 *** An ancient game of virgin sacrifice [NaruHina] ***
Lo dico e lo ripeto
Lo
dico e lo ripeto.
SPOILER.
S-P-O-I-L-E-R gigantesco per chi non segue le scans e segue soltanto il manga italiano.
Probabilmente ne avete già saputo qualcosa, ma non
voglio sentirmi in colpa, perciò se non avete letto il capitolo 437 NON
LEGGETE. Imperativo categorico kantiano, esatto.
Disclaimer:
I personaggi citati appartengono a MasashiKishimoto, che ovviamente si prende tutti i diritti del
loro uso. La canzone a cui è ispirato questo tributo è
Oceano, di Fabrizio De André.
An ancient game
of virgin sacrifice
Ed arrivò un bambino con le mani in
tasca
ed un oceano verde dietro le spalle
disse "Vorrei sapere, quanto è grande il verde come è bello il mare, quanto dura una stanza
è troppo tempo che guardo il sole, mi ha fatto male "
Aveva immaginato che il suo primo appuntamento con Naruto sarebbe stato diverso.
Il primo di una lunga serie, certo, perchè se avesse trovato il coraggio di
compiere quell'unico passo, come la cascata di una melodia si sarebbero
spiegati davanti ai suoi occhi tutti gli altri, con infinita e dolcissima
naturalezza, e sarebbe stato un po' come quando non ricordava una lezione
all'Accademia poi d'improvviso una parola, un concetto e, bam!, incatenato ad esso ritornava anche la memoria.
Naturalissimamente, sì.
Esisteva qualcosa di più naturale del ricordare, in fondo?
No, proprio no.
Aveva immaginato un cielo cobalto, tuttavia meno luminoso
dei suoi occhi, e una passeggiata lungo le strade del villaggio: magari
l'avrebbe portata sulla Montagna degli Hokage -le
piaceva tanto, la Montagna- e avrebbero osservato Konoha
dall'alto.
Lei avrebbe parlato poco, dato che si smarriva facilmente nel labirinto delle
parole, ma in compenso avrebbe ascoltato ogni suo generoso sproloquio,
perchè ascoltare per lei era come respirare, ascoltare andava bene: e lui
avrebbe sorriso a ogni sua sporadica parola,
conteggiata sulle dita abbronzate di una mano, e ogni tanto sarebbe rimasto in
silenzio assieme a lei, perchè, si sa, il silenzio è piacevole se lo si divide
a metà.
Sarebbero stati bene.
Oh, di questo ne era profondamente certa: sarebbero
stati bene, e bene sul serio.
Sarebbero scesi da Ichiraku per
mangiare qualcosa, ramen probabilmente, e lei avrebbe
assaggiato il ramennaruto,
quello col ricciolo d'alga che portava il suo nome, e avrebbe riso
constatando che mentre lei era ancora a metà del suo primo piatto lui stava già
vuotando il terzo, forse l'avrebbe anche preso in giro perchè di leggendario
per adesso aveva solo l'appetito, e tutti li avrebbero guardati sorpresi, così
di sicuro le sarebbero tremate le dita impugnando le bacchette,
ma nessun sorriso avrebbe brillato più del suo quel giorno. E lui l'avrebbe capito, lui si sarebbe bevuto quella
delizia di perle con la stessa golosità con cui si tuffava nelle ciotole di ramen. Del resto aveva un solo modo vigoroso e un po' irruento per affrontare la vita, tutto il contrario del
suo, manifesto della calma: il suo modo
rassomigliava all'esplosione infuocata di una stella ed era così che lei lo
vedeva. Un punto di riferimento e una guida, oltrechè
la persona che aveva scelto d'amare.
Lui avrebbe insistito per pagare anche la sua cena e lei,
torturata dall'imbarazzo ma arrossendo di piacere, gliel'avrebbe permesso non
perchè non sapeva dire di no, come sua sorella le rinfacciava, ma perchè voleva
dire di SI', sì certo sì, mille
volte sì per favore, sono qui non sarò mai più invisibile, mai più.
L'avrebbe riaccompagnata a casa fingendo di essere ubriaco, avrebbe fatto lo stupido gridando
sciocchezze alle finestre chiuse o forse avrebbe provato a toccarla,
distraendola con qualche complimento, e a quel contatto il fuoco sotto la sua
pelle l'avrebbe divorata, poi lui l'avrebbe baciata come solo nei sogni si osa
pensare, e dopo lei gli avrebbe raccontato per filo e per segno la sua storia,
perchè così tanti anni di silenzio meritavano almeno d'essere spiegati a lui, a
lui che ne era la ragione.
Si era già preparata il discorso, e la preparazione aveva richiesto mesi a
causa del suo bizzarro rapporto con le parole, ma sapeva che lui non l'avrebbe
mai interrotta, neppure una volta, neppure per sbaglio, e lei avrebbe visto in quel viso di ragazzino spavaldo sfiorire
l'euforia per lasciare il posto allo stupore.
Il silenzio innamorato di NarutoUzumaki.
Questo, sì, sarebbe stato il suo primo appuntamento.
Hinata!
Hinata! Hinata! Hinata! Hinata! Hinata!la chiamavano Hanabi, suo padre, Neji-niisan, Kurenai-sensei, Kiba, Shino.
Lei opponeva al richiamo di tutte quelle voci ansiose un solo nome: Naruto, che pronunciato da lei era lieve e sognante
come una parola detta in una lingua sconosciuta.
Ma non era andata così.
Non era stata colpa sua, ma quel
passo aveva deciso di compiersi proprio quando non ci sarebbe stato ritorno.
In quel frangente non c'era stato tempo per pensare, c'era Naruto,
c'era Pain e c'erano quegli occhi terribili, gli occhi dell'incubo, gli scheletri del villaggio distrutto e
un sole che mangiava la pelle.
Aveva sentito il suo corpo morire, Hinata,
ma non era morta, non ancora: aveva compiuto quel
passo con lucidità e coscienza e, proprio come aveva immaginato innumerevoli
volte, a quel passo erano seguiti naturalmente tutti gli altri.
Sorrideva scagliandosi contro Pain, perchè anche se non era andata come sperava, anche se non
c'erano stati baci o languore o passeggiate insieme, e non c'era stato niente
se non la sua dichiarazione, tutta sbagliata da come l'aveva pensata!, la sua
prima frase senza balbettare e senza interrompersi a metà come faceva di
solito, beh, non poteva sentirsi triste.
La tristezza è per gli stupidi, è per chi perde, dicevaKiba.
Non c'era nulla da rimpiangere, nulla, pensava mentre
veniva scaraventata dieci metri più avanti e una lama le si conficcava
nell'arteria femorale, rilasciando chakra che
interferiva col suo e le impediva di azzardare qualunque tentativo di
contrattacco.
Il dolore non è quantificabile con espressioni umane: lei
si sentì un pezzo di carta sbriciolato da mille mani nervose, dure di muscoli e
creudeli, stritolata e agonizzante in un cumulo di
macerie.
Ma nulla. Nulla.
Qualunque cosa se lui vivrà.
Qualunque cosa, davvero.
Il rimpianto del suo "Ti amo" detto all'ombra
della luna, come aveva sognato, era poca cosa in fondo.
E' persuasa che soltanto pochi istanti di un'esistenza siano vissuti veramente
nel profondo, nel senso più pieno del termine che il suo spirito di ragazzina
quindicenne possa concepire, perciò è sicura che i brevi, brevissimi secondi in
cui ha protetto Naruto siano
i soli attimi di un'intera vita che valgano la pena di essere ricordati, i soli
attimi da tenere ben stretti nel mare buio dell'eternità.
Avrebbe voluto vederlo un'ultima volta. Lo avrebbe voluto
con tutta se stessa, per scorgere almeno un barlume di quel primitivo stupore
genuino vagheggiato dalle sue fantasie. Ma forse è meglio che sia caduta subito e che la
polvere le sia calata sugli occhi, non permettendole di vedere la Sesta Coda
spuntare dal corpo incandescente di Kyuubi e le
fiamme della Volpe nascondere il viso di Naruto, il
viso che ha portato con sè nel suo brevissimo,
effimero volo.
L'odore di bruciato, sì, quello l'ha percepito, ma non è riuscita a collegarlo
a lui. E' meglio per lei che non debba sopportare
anche questo dolore, adesso che sta morendo, adesso che gli ha detto di amarlo
e che Pain l'ha schiacciata come l'insetto più ingnobile.
Evaporata in uno sbuffo di fumo.
Naruto.
Un sorriso ancora, sporcato dal sangue e dal nero della
polvere.
Ma ormai non le importa più, perchè Hinata sorriderà
per il resto del tempo che le resta.
Fin
Note
dell'Autrice Leggete la
strofa della canzone riportata e ditemi chi vi ricorda. Ditemi chi vi ricorda,
avanti.
Io ho la mia teoria a riguardo, e ve la rivelerò.
Ringrazio
chi ha recensito la HayateYuugao
ovvero Cla, Chaos,
Urdi e Topy,
scusate se non rispondo a ciascuna delle vostre splendide recensioni ma sono di
fretta, chiedo perdono! Devo smetterla di aggiornarla all'ultimo minuto e
rispondere una volta sì e trecento no. Comunque grazie, grazie davvero. Per
le vostre parole, per la vostra lettura, per il vostro tempo.
Infine,
io credo che Hinata sia ancora viva. Lo credo, lo
spero, e anche se può sembrare che quest'infimo
tributo finisca male, vedo sempre un barlume di speranza in quel sorriso
finale. Me la sentivo di scrivere qualcosa per quanto successo nel capitolo
437, è la prima volta che vedo un gesto così grande e disinteressato nei
confronti di Naruto e, sì, odio Kishimoto
per aver usato in quel modo l'amore di Hinata, ma pazienza, tutto ciò che spero è che sia ancora viva. Si
merita di vivere più di chiunque altro, adesso.
Null'altro da dire, vorrei aver reso giustizia, date
le mie capacità, a quel personaggio. Grande, grande
splendida piccola Hinata.
Capitolo 19 *** Crazy Love - bitterness doesn't stand a chance with those two. [MinatoKushina] ***
A Susanna,
A Susanna,
per gli inviti,
per Miho,
per il cappello al Lucca Comics,
per gli sfoghi e l'ascolto,
perchè quando ho finito di scrivere questa storia era il giorno del tuo
compleanno,
perchè una volta mangeremo Hakata ramen tutte insieme, costi quel che costi.
Un mare di auguri!
Eleonora
Disclaimer: I personaggi citati appartengono a
Masashi Kishimoto, che ovviamente si prende tutti i diritti del loro uso. Il
secondo titolo e i versi disseminati qua e là nella storia sono di Crazy
Love di Van Morrison, dunque il copyright va leggittimamente a lui
:).
Bitterness
doesn't stand a chance
with those two.
- CRAZY LOVE
-
I can hear her
heart beat for a thousand miles
And the heavens
open every time she smiles...
C'era un sacco di vento ai Cancelli
del villaggio, soffiava prepotente con una crudeltà inusuale per un giorno
d'estate, faceva stringere gli occhi ai tre ragazzini che, in piedi davanti
alle porte istoriate, sforzavano lo sguardo per vedere più lontano, distinguere
qualcosa che s'avanzasse sul sentiero.
I granelli di polvere grigiastra si accanivano beffardi contro di loro,
impedendo alla loro curiosità di trovare soddisfazione lontano, laggiù dove
terminava la piccola salita che segnava l'inizio del tratto di foresta
appartente a Konoha.
Il loro sensei, immobile di fianco a loro, non sembrava curarsi né del vento nè
della polvere e taceva, le braccia conserte e lo sguardo fisso sulla linea
dell'orizzonte, il volto stranamente severo, composto, che la polvere pareva
non voler tormentare.
Namikaze Minato, dodici anni e mezzo, occhi azzurri da ladruncolo e una zazzera
biondo stellare, Genin della Foglia da qualche mese e orgoglioso fino
all'inverosimile di esserlo, incuriosito da una tale immobilità si chiese se
per caso Jiraya-sama non si fosse addormentato. Con la coda dell'occhio sbirciò
l'uomo, in piedi a pochi passi da lui, marmoreo e austero (?) come un monolite
di roccia levigata, e impercettibilmente diede di gomito al compagno di
squadra, Sato Ashitaka, che si trovava alla sua sinistra.
"Ehi" gli sibilò piano, "...Ma secondo te il vecchio, qui,
dorme?"
"Namizake ti sento" interloquì il vecchio, senza alterare
d'una virgola la sua imperscrutabile espressione controllata. Quasi quasi
Jiraya-sama era preferibile quando sghignazzava, masticava con la bocca aperta,
ruttava o faceva battute sulle ragazze, almeno non era terrorizzante come in
quel momento, commentò fra sè e sè Minato.
Tuttavia i due ragazzini si zittirono immediatamente: Jiraya-sama lo chiamava
per cognome solo quando era molto, molto nervoso e prossimo a una sfuriata
epocale, perciò Minato deglutì facendo il minor rumore possibile e tornò a
concentrarsi sul paesaggio, mordendosi la lingua pur di non lamentarsi per la
polvere negli occhi.
Cinque minuti di piatta attesa trascorsero senza che un solo filo d'erba, di
fronte a loro, si fosse spostato.
Snervato, Ashitaka sussurrò flebile:"Vedo... vedo... una carrozza
tempestata di diamanti trainata da un elefante gigantesco!"
Hanajima Naoko, terzo membro del Team Jiraya, celebre per le sue risposte
pungenti, ribattè:"E io di gigantesco vedo solo un idiota, qui alla
mia destra!"
"Finitela, non cominciate a litigare come lattanti" rincarò la dose
Jiraya alzando la voce di un tono, dato che l'accenno velenoso della sua
allieva non gli era sfuggito.
I tre Genin serrarono le labbra e si fissarono i piedi, vagamente intimoriti,
stretti nelle loro uniformi di gala, che prudevano ed erano eccezionalmente
scomode. Minato si sentiva un bonzo fuori posto, dato che la palandrana
arancione che Jiraya-sama gli aveva fatto indossare con la forza gli ballava
addosso, tanto era magro. Si era chiesto più volte se quell'orribile kimono non
fosse uno scarto antidiluviano del guardaroba stesso del loro sensei, anche
perchè, frugando nelle ampie tasche, aveva ripescato la pagina strappata e
accartocciata di un libretto che parlava delle cose interessanti che si
possono fare con le ragazze, con tanto di vignette esplicative. Inutile dire
che in due giorni il reperto aveva fatto il giro di tutti i Genin del
villaggio.
C'era sempre qualche ragazzino che ghignava quando gli capitava di incrociare
Jiraya, e l'uomo se ne chiedeva spesso il motivo, inutilmente.
Tuttavia, se i fratelli Uchiha l'avessero visto conciato in quel modo, riflettè
Minato, avrebbero riso alle sue spalle per l'eternità e la sua reputazione
sarebbe stata segnata, tutto il villaggio l'avrebbe chiamato "Piccolo Buddha"
fino alla fine dei secoli.
E tutto per colpa dell'arrivo imminente della stupida delegazione di Uzu no
Kuni e dell'ordine dell'Hokage di accogliere gli ambasciatori "in pompa
magna".
Che buffa espressione, "in pompa magna". Lo faceva ridere.
Comunque non capiva dove stesse la connessione fra dare il benvenuto a qualcuno
in grande stile e vestirsi come il bisnonno del daimyo, ma quando l'aveva fatto
notare a Jiraya-sama era stato zittito con un colpo allo stomaco a sorpresa
-sleale!- che l'aveva fatto tossire per mezz'ora.
Quelli di Uzu però erano in ritardo. E ritardo significava perdere altro tempo
in luogo pubblico, esposto agli sguardi dei passanti, e conseguentemente
aumentare di minuto in minuto il rischio di essere visto vestito in quel modo ridicolo
da uno qualunque dei Genin di Konoha. Fugaku Uchiha nel peggiore dei casi.
Minato trattenne uno sbuffo esasperato e spostò il peso del corpo sul piede
sinistro, dato che la gamba destra aveva cominciato a dar segni di voler cedere
con un tremolio molto sospetto.
Avrebbe preferito uno scontro all'ultimo sangue con dodici ANBU nemici armati
di tutto punto, in territorio sconosciuto e senza poter chiamare nessuno in
aiuto, e quando Jiraya-sama aveva prospettato loro una collaborazione con Uzu
no Kuni si era aspettato uno scenario non dissimile, invece si ritrovava
intrappolato nella missione che più di ogni altra detestava: aspettare.
Così, d'istinto, decise che tutti quelli di Uzu gli stavano antipatici, dal
primo all'ultimo, e dovevano anche essere dei gran cafoni maleducati se si
facevano aspettare per delle ore, ehm, per delle mezz'ore intere.
"Maestro, vedo qualcosa!"
L'esclamazione sollevata di Naoko lo strappò ai suoi malumori. Jiraya agrottò
le sopracciglia:"Che cosa? Una carrozza tempestata di diamanti trainata da
un gigantesco elefante bianco?"
Naoko soffocò una risatina:"Sembra più una colonna di circa dieci ninja in
marcia."
Ashitaka le mostrò la lingua di nascosto dal sensei, ma la ragazzina lo ignorò
ostentando superiorità:"Mi sembra... quelle sono le insegne di Uzu,
Maestro?"
"Sì, sono quelle" s'intromise Minato con aria di sufficienza. Si era
ricordato di aver visto il disegno di quel vortice stilizzato sul libro di
Storia dell'Accademia.
"Come il nostro saccente amico ti ha confermato, quella è proprio la
delegazione del Villaggio del Turbine" Jiraya distese il volto in un
sorriso quieto, "In perfetto orario!"
"Sono in ritardo di venti minuti abbondanti" lo corresse il
ragazzino.
"Ho detto che sono inperfetto orario. Non trovi anche tu, Namikaze?"
lo fulminò il maestro. Oh, cavolo, di nuovo il cognome. Dev'essere più di una settimana che
Jiraya-sama non tocca il sakè, altrimenti tutto questo nervosismo non si
spiega. L'uomo ricevette in risposta un grugnito afflitto, che preferì non commentare.
Riconobbe alla testa del gruppetto che si avanzava per il sentiero il volto
rugoso e gioviale di Akinari, suo amico di vecchissima data e ambasciatore
ufficiale di Uzu, il Jonin Speciale con cui aveva preso accordi per gestire la
delicata, complessa missione che li aspettava. Gli si fece incontro e, una
volta raggiuntisi, i due uomini si salutarono con uno scoppio di escalamazioni
allegre e una serie di pesanti pacche sulle spalle, inframmezzate dalle usuali
risate profonde di Jiraya-sama.
In un batter d'occhio si presentò agli altri quattro Jonin che componevano la
delegazione, con particolare riguardo per le due kunoichi, e distribuì larghi
sorrisi cordiali e destra e a manca, domandando le solite banalità sul viaggio
e sulla situazione di Uzu, a cui fu data risposta altrettanto banalmente.
Minato alzò gli occhi al cielo: ecco come in poche mosse uno shinobi di tutto
rispetto si trasformava in piazzista a domicilio.
Ashitaka e Naoko bisbigliavano commenti sull'aspetto dei ninja di Uzu e sulle
loro facce mortalmente serie, ma d'improvviso tacquero, come fulminati.
"...E questa è la mia squadra di Genin, ci affiancheranno in missione
sotto espresso ordine dell'Hokage" Jiraya-sama ancora seguitava a
sorridere come sotto l'effetto di una paralisi facciale," Sono i migliori
del loro anno, la loro collaborazione ci sarà utilissima, vedrete.
Su ragazzi, andiamo, presentatevi ai nostri compagni di Uzu!" concluse
infine, con una vaga sfumatura minacciosa che i suoi allievi colsero
immediatamente. "Ragazzi" anzichè "mocciosi": un netto
miglioramento. Jiraya-sama doveva tenerci molto a far bella figura.
Prima Naoko e poi Ashitaka, un poco vergognosi, si fecero avanti e spronati
dalle occhiate eloquenti del loro sensei misero insieme una presentazione
decente, che parve soddisfare Jiraya.
Arrivato il suo turno, stancamente Minato si mosse verso i suoi compagni e
scrutò le otto paia di occhi incuriositi che di rimando lo fissavano, e che
appartenevano a persone che dieci minuti prima aveva deciso di non sopportare.
Sembravano simpatici, ammise, sperava lo fossero davvero.
"Ehm, mi chiamo Namikaze Minato, ho dodici anni e mezzo, mi sono diplomato
Genin col massimo dei voti, vorrei entrare presto nella Squadra ANBU, mi piace
il ramen e... e..." tentennò il ragazzino, senza sapere cos'altro
aggiungere.
Fu in quel momento che lo sentì, e in un istante la sua espressione si
fece gelida. Un risolino soffocato.
Subito scovò gli occhi verdi e sfacciati a cui quella risata di scherno
apparteneva.
"...E sono nato qui a Konoha, fin'ora ho svolto missioni con i miei
compagni arrivando al livello B e il mio posto preferito al villaggio è la
terrazza sopra casa mia."
Non si era sbagliato: era stata proprio lei.
Occhi Verdi, occhi posati su un viso rotondo, sopra un naso piccolo e dritto e
la smorfia impudente di chi non riesce a trattenere le risa, lo fissava dritto
in viso senza provare neppure a nascondere il divertimento.
Offeso, Minato tacque e si dispose vicino ai compagni di Squadra, riservando
alla ragazzina di Uzu un'occhiata torva.
Che c'era di così divertente in lui? Se Jiraya-sama non fosse stato nelle
immediate vicinanze, avrebbe cercato l'appoggio di Ashitaka e Naoko per rendere
il favore ai Genin stranieri. Cercava guai, Occhi Verdi? Minato Namikaze era il
miglior Genin della Foglia e nessuno si era mai permesso di sfotterlo così
impunemente. Di sicuro quella lì non valeva una cicca, lui sarebbe
diventato Chuunin prima che lei avesse avuto il tempo di sbattere le ciglia su
quei suoi occhioni verde foglia.
Ma l'attenzione di Minato fu di nuovo catturata da una terribile, terribile
frase di Jiraya-sama, pronunciata con così tanta naturalezza da
sbalordire:"Ragazzi, spero che vogliate essere gentili coi nostri ospiti
di Uzu e far loro compagnia, insomma, siate amichevoli, mostrate loro il
villaggio e fateli sentire come a casa, d'accordo?"
Il tono da padre amorevole non li ingannò: lo sguardo di Jiraya era una
condanna, non lasciava scelta.
I tre furono costretti ad annuire, chi con energia chi con enorme sconforto.
"Bene, bravi marmoc- ehm, bravi ragazzi. Adesso accompagneremo i
nostri amici di Uzu al Palazzo dell'Hokage e poi alla foresteria, dove
alloggeranno per queste tre settimane.
Sapete, Konoha in questo periodo dell'anno è davvero graziosa..." e Minato
smise di ascoltarlo, l'elenco delle delizie primaverili del villaggio lo
lasciava indifferente.
Aveva appena realizzato che sarebbe stato mille volte più difficile non farsi
notare vestito così, attraversavando Konoha con una delegazione di otto ninja
armati al seguito e alle dieci del mattino. Sgomento, sospirò.
Fugaku Uchiha l'avrebbe preso in giro fino alla fine dei secoli.
"Pssst, ehi tu... bel completino!"
La risata sghignazzante che seguì gli fece rizzare i peli sulle braccia.
Occhi Verdi, poco dietro di lui, nascondeva il viso paffuto nel dorso della
mano e fingeva disinvoltura in un modo così evidente da far saltare i nervi.
Sì, Minato Namikaze odiava
ferocemente la gente di Uzu.
And when I come
to her that's where I belong
Yet I'm running
to her like a rivers song
"Siate gentili con i nostri
ospiti, fateli sentire a casa!"
Sì, gentili un benemerito piffero.
Dopo una settimana di convivenza
forzata coi ninja di Uzu, Minato era giunto alla conclusione che il Paese del
Turbine era un posto orribile, da cui avrebbe dovuto tenersi alla larga per il
resto della sua lunga vita.
Oddio, a ben vedere il suo problema riguardava una parte piuttosto ristretta di
Uzu no Kuni, una parte infinitesimale che non aveva nulla a che fare col
villaggio in sè o coi suoi shinobi, ed era rappresentata per la precisione da
una sola persona: Kushina Uzumaki.
O per meglio dire Occhi Verdi.
Era insopportabile, semplicemente insopportabile, era molto peggio di qualunque
femmina petulante avesse mai incrociato la sua strada.
Erano stati in missione per tre giorni (purtroppo non c'erano stati nè ANBU
nemici né scontri mortali all'ultimo sangue ma la solita, banale banda
terroristica pluri-ramificata da sgominare) e lei si era sempre impegnata per
correre più veloce di tutti e davanti a tutti, non aveva mai fiatato per una
scheggia di legno in una mano, per la polvere negli occhi o per altri incidenti
del genere, aveva sopportato a denti stretti il fango nei capelli, gli insetti
che le strisciavano a qualche centimetro dal viso, i vestiti zuppi di pioggia e
le marce forzate interminabili, anche quando Naoko, pallida in viso,
incespicava e con le labbra bluastre chiedeva l'acqua.
Inoltre trattava i suoi compagni di Squadra come i suoi personali schiavetti, e
anche Ashitaka era sulla via di diventarlo.
Minato era stato sul punto di provare stima e ammirazione nei suoi confronti,
ma la ragazzina si era rivelata odiosa e impertinente a ogni suo tentativo di
essere amichevole con lei.
Lo chiamava Abate Shintoku, tanto per cominciare, alludendo a quel dannato
kimono arancione che lui aveva indossato il giorno del loro arrivo.
Secondariamente, la sua lingua biforcuta era assai peggiore di quella di Naoko,
riusciva a spiazzarlo e al contempo a umiliarlo ogni volta che lui le rivolgeva
la parola, anche solo per chiederle se aveva ancora kunai di riserva o se
gliene serviva qualcuno.
Terzo punto, Ashitaka e Naoko l'adoravano.
Jiraya-sama l'adorava. Akinari-san l'adorava. Praticamente tutto il villaggio
stravedeva per quella simpatica ragazzina dai capelli rossi e gli occhi scaltri
di volpe, tranne lui.
Il terzo giorno in missione, strano ma vero, correndo a perdifiato Occhi Verdi
era inciampata, era rovinata a terra e si era storta la caviglia, sospettava
Minato. Quella radice nodosa era nascosta da un ciuffo d'erba alta e nessuno
avrebbe potuto scorgerla ed evitarla in tempo, perciò, poichè correva poco
dietro di lei, era stato il primo a fermarsi per aiutarla a rialzarsi.
"Faccio da sola" aveva sbottato invece la Uzumaki con lo sguardo che
lampeggiava di sdegno, e un secondo dopo si era tirata in piedi, rassettandosi
la tuta da ninja macchiata d'erba, agile e scattante come prima. Anche se un
angolo delle labbra le si era piegato all'ingiù, forse come incontrollata
manifestazione del dolore.
"Hai bisogno di una fasciatura? Chiedo una pausa di dieci minuti?"
aveva insistito Minato, memore della ferrea Regola Caviglie-Polsi-Spalle-Dita,
che prescriveva di non ignorare mai contusioni alle articolazioni in missione.
"Ho bisogno che tu ti faccia gli affari tuoi subito, io sto
benissimo!" gli aveva quasi abbaiato contro lei.
Seccato, Minato aveva ripreso a marciare senza più degnarla di una sola parola.
Jiraya-sama doveva aver intuito qualcosa dato che, quando Kushina veniva
nominata per caso chiacchierando con Ashitaka o con Naoko, lo guardava sempre
in modo strano.
L'importante comunque era che il suo rimanesse un innocente sospetto e non si
tramutasse mai in certezza, altrimenti la sua vita avrebbe avuto una dolorosa e
agonizzante fine.
Quel pomeriggio però Minato si era accordato con Naoko e Ashitaka per fermarsi a
pranzare insieme al chiosco di Ichiraku, visto che l'indomani sarebbero stati
impegnati nella seconda parte della missione e si sarebbero rimessi in viaggio
verso i confini delle Terre del Fuoco. L'idea di una scodella di ramen
fragrante e gustosa davanti ai suoi occhi lo faceva camminare più rapidamente
del solito, con lo stomaco che di tanto in tanto gorgogliava impaziente e
l'acquolina in bocca.
La vista dell'Ichiraku Ramen in fondo alla piazzetta gli provocò un genuino
sussulto di gioia; aveva passato la mattinata ad allenarsi ad una nuova tecnica
strabiliante con Jiraya-sama, che l'aveva materialmente fatto a pezzi, e non
vedeva l'ora di rinfrancare lo spirito (e il corpo) con la prelibatezza
sopraffina del ramen.
Non aveva più visto i tizi di Uzu dalla settimana precedente, quando avevano
completato la prima parte della missione, e non poteva esserne più contento, né
desiderava affrettare l'arrivo del giorno successivo, quando sarebbe stato di
nuovo costretto a "godere" della squisita compagnia di Kushina
Uzumaki, altresì detta Occhi Verdi.
Il cielo era terso, il venticello piacevole, il sole rotondo e splendente sopra
la sua testa, il ramen fumante a pochi metri da lui. Niente avrebbe potuto
rovinare quel pranzo coi suoi compagni di Squadra.
Tranne una cosa.
"Ehilà, ciao ragaz..."
Minato aveva esordito con un sorrisone smagliante di quelli che facevano
svenire la metà delle ragazzine dell'Accademia, ma non appena si accorse di chi
sedeva accanto a Naoko la voce gli si fermò in gola.
Lei. Kushina Uzumaki.
"Ciao Minato!"
"Buondì!"
"Ehi, come va?"
"Ti stavamo aspettando, Namikaze!"
"Mancavi solo tu, ritardatario!"
"Ho fame, per fortuna che sei arrivato!"
"Ehilà!"
"...Salve."
La felicità di Occhi Verdi era
palpabile. Permeava l'aria come le esalazioni di un veleno.
L'invito, notò Minato, era stato
esteso a un altra Squadra di Genin che conoscevano: Shikaku Nara, Choza
Akimichi e Inoichi Yamanaka, a cui si erano unite due ragazzine dell'Accademia,
amiche fidatissime di Naoko:Yoshino Amane e Tsume Inuzuka.
Minato era sicuro di piacere almeno un pochino a Yoshino, ogni volta che le
parlava lei lo fissava sempre dritto negli occhi, e poi non lo insultava mai, a
differenza di come faceva con Shikaku, che veniva quotidianamente flagellato a
suon di improperi.
Ashitaka si spostò per fargli posto sulla panca e, approfittando di una
distrazione , gli sussurrò:"E' stata un'idea di Naoko."
"Grandioso" commentò atono Minato.
"Ci siamo allenati con lei sta mattina e quindi..." cincischiò
l'altro guardando altrove.
"VisieteallenaticonLEI?" sibilò Namikaze sgranando gli occhi.
Ebbe l'impressione che il suono della sua voce si facesse in qualche modo
stridulo, né potè fare a meno di reprimere la smorfia nervosa che gli si
dipinse sul viso.
Ashitaka, per stemperare la tensione, si volse verso Naoko con un sorriso
smagliante:"Allora, ordiniamo?"
Shikaku Nara, Choza Akimichi e Inoichi Yamanaka avrebbero ricordato per tutta
la vita il gelo polare che si distese in mezzo a loro nell'istante in cui,
all'unisono, Minato Namikaze e Kushina Uzumaki proclamarono raggianti:
"Per me Hakata ramen!"
Prima di voltarsi di scatto l'uno verso l'altra, gli occhi ridotti a fessure e
lo sguardo improvvisamente combattivo.
Tsume Inuzuka, insensibile o indifferente all'atmosfera tesa, rise con una
scrollata di spalle:"Avete qualcosa in comune!"
"Pare proprio di sì" si lasciò sfuggire Kushina gelida, incrociando
le braccia sul ripiano del tavolino.
"Stà attenta quando ti guardi allo specchio, eh" le suggerì il
ragazzino biondo altrettanto freddamente, "Potresti pietrificarti."
Nonostante i ghignetti sardonici di Shikaku e Inoichi avessero rinvigorito un
poco il suo orgoglio bistrattato, Minato non riuscì a essere tronfio come la
situazione richiedeva: sia che una persona lo meritasse o meno - e nel caso di
Kushina Uzumaki i motivi per agire così erano innumerevoli -, Namikaze Minato
odiava dover trattar male qualcuno, difatti quasi subito subentrò l'immancabile
senso di colpa.
Kushina, dopo aver incassato la frecciata, lo fissava sdegnata, l'esile schiena
dritta e fiera e la posa da ragazzina seccata, ma non per questo meno testarda.
"Ehm, Minato, vai tu a dare le ordinazioni? Dopotutto conosci molto bene
Teuchi-sama" propose in tutta fretta Yoshino, come a voler salvare capra e
cavoli.
Minato annuì, stranito. Metà del suo cervello registrava e memorizzava le
scelte dei suoi amici, mentre l'altra metà analizzava la breve frase di Amane
Yoshino: c'era qualcosa, anche se non riusciva a mettere bene a fuoco cosa,
che stonava nell'insieme, quasi fosse la nota stridente nel sottofondo di una
melodia di per sè gradevole.
Poi, d'un tratto, capì.
E perse il filo delle ordinazioni, perchè il problema che gli si era svelato
davanti agli occhi richiese categorico tutta la sua attenzione.
Per qualunque ragazzina del villaggio, anche per Naoko, lui era sempre stato
Minato-kun.
Ma adesso quel suffisso era misteriosamente sparito. Ossignore, realizzò guardando Kushina, la santa alleanza fra Uzu e
Konoha è appena cominciata. Si avviò al banco da Teuchi-sama col passo incerto di un morto vivente,
tanto che dovette ripetere due volte l'elenco delle ordinazioni: la prima volta
se ne dimenticò una metà e ne confuse un'altra. Teuchi, un ragazzotto di poco
meno di trent'anni, si grattò la nuca perplesso vedendolo in quelle condizioni
e gli chiese dubbioso se andava tutto bene.
"Benissimo" ringhiò Minato, "Meglio di così..."
Dopo un quarto d'ora il loro tavolo fu invaso da una flotta di scodelle,
ciotole, zuppiere e piatti ricolmi di leccornie fumanti. Choza Akimichi, il cui
appetito era già leggendario per tutti i ristoratori del villaggio, quel giorno
aveva deciso di fare onore alla cucina dell'Ichiraku.
Davanti alle facce sconvolte dei ragazzini, Choza dichiarò con
candore:"Non vi preoccupate. Mio papà mi ha dato la paghetta proprio
oggi."
Uno scoppio di risate infantili accompagnò la sua affermazione.
Tutti quanti comunque si gustarono il pasto con particolare appetito; Minato si
sentì rinascere disciogliendo in bocca i morbidi spaghetti conditi con verdure,
funghi, salsa beni shoga e carne freschissima, e riuscì perfino a dimenticarsi
che stava pranzando a pochi passi dal Nemico e che tutti i suoi amici
sembravano aver dimenticato la Sua pericolosità, facendolo sentire ancora più
stupido -e patetico.
"Quanto ti fermerai qui, Kushina-san?" le chiese in quel momento
Inoichi.
"Altre due settimane" gli rispose lei, ripulendosi gli angoli della
bocca dai semi di sesamo, ingrediente fondamentale dell'Hakata ramen.
"E... ti piace il posto?" Insinuante, Inoichi Yamanaka le aveva
appena fatto l'occhiolino. Minato si sentì cadere le braccia.
"Io, ecco..." Kushina si sistemò una ciocca di capelli rossi dietro
l'orecchio, e per la prima volta parve incerta su quale risposta
dare:"...Uhm, credo di sì" ammise infine riluttante, lanciando un
rapido sguardo all'altro lato del tavolo.
Minato alzò gli occhi dal piatto, il viso rischiarato da un'ingenua
sorpresa:"Davvero ti piace Konoha?"
Kushina, inespressiva, ricambiò il suo sguardo:"Konoha sì" precisò, e
meravigliando persino se stesso Minato pensò che, quando non si comportava da
spaccona, Occhi Verdi poteva quasi sembrare carina.
"Le persone un po' meno."
No, toppato in pieno: era sempre la solita, non c'era nulla di cui stupirsi.
"Alcune persone" le sorrise incoraggiante Naoko.
"Alcune" ripetè Kushina roteando gli occhi.
"Nessuno che si trovi a questo tavolo, voglio sperare" tentò
conciliante Ashitaka, ormai calato nel ruolo di paciere.
La ragazzina sbuffò, infastidita, e la sua voce divenne scoppiettante come un
filo elettrico:"No, nessuno di questo tavolo, e non ho nessun problema con
chi è di Konoha, lo dicevo... lo dicevo per dire."
"Non devi dirlo comunque, anche se non dicevi sul serio. Potresti far
restare male qualcuno." Minato sapeva che, quando assumeva l'aspetto del
piccolo saggio dai giganteschi occhi innocenti era molto, molto difficile
resistergli. La sua arma migliore funzionò anche questa volta, perchè Kushina
aveva distolto lo sguardo da lui facendolo vagare altrove, irritata ma
consapevole di avere torto e, se lui non si stava sbagliando, c'era un leggero
velo di imbarazzo sulle sue gote. Ecco, se stava zitta e manteneva quel broncio
stizzito poteva diventare almeno un po' carina, avvicinandosi ai canoni
delle ragazzine normali.
Kushina Uzumaki non sopportava di essere in torto, e sopportava ancora meno di
essersi ficcata nel torto con le sue stesse mani, perciò rimase in silenzio
senza aggiungere una parola, il piede sinistro che ritmicamente batteva il
tempo sul selciato della piazza e una mano chiusa a pugno sotto il mento, come
se stesse riflettendo.
Non voleva dire a quei bimbetti che in fondo, molto molto molto in
fondo, era la prima volta che stava così a lungo lontano da casa e ne sentiva
un pochino la mancanza, perchè desiderava mostrarsi più forte e più matura di
quei due pappamolla di Yukiko e Satoshi che piagnucolavano sempre parlando di
Uzu, e sapeva che, se ci avessero creduto gli altri, ci avrebbe creduto anche
lei stessa. Soprattutto non voleva dirlo al Ragazzino: qualcosa in lui, un presentimento,
una sensazione, la spingeva a tenerlo ben lontano, e non c'era modo migliore di
farlo che prendendolo in giro a ogni occasione. Oltretutto era divertente!
Un rutto clamoroso di Choza fece precipitare il tavolo in un nuovo turbine di
risate irrefrenabili, e per dieci minuti i Genin non furono in grado di
articolare una sola frase di senso compiuto, avvinti com'erano dal demone della
ridarella.
"Era fortissimo! Secondo me il vento è cambiato" Tsume Inuzuka si
inumidì la punta del dito e lo innalzò verso l'alto, scatenando un'altra ondata
di risa. Un attimo dopo tutti la imitarono e sette indici di ragazzini
frugarono curiosi in mezzo al cielo azzurro.
"Secondo me tutti i vetri del villaggio hanno tremato" sostenne
Naoko, asciugandosi con un fazzoletto gli occhi che lacrimavano per il troppo
ridere.
"Tremato?! Mia madre si starà disperando per il servizio buono
polverizzato!" ribattè Inoichi, mollando una sonora pacca sulla schiena
del corpulento compagno di Squadra.
"Su, non la fate così tragica, ho soltanto..." iniziò Choza.
"Soltanto?" chiesero i sette in trepida attesa.
"...Soltanto rinnovato un po' l'aria."
E furono di nuovo sopraffatti dalle risate. Si ripresero solo parecchi minuti
dopo, quando l'addome cominciò a far male dal tanto sghignazzare.
Sbadigliando, Kushina si passò una mano sullo stomaco pieno, che premeva
sull'orlo della tuta da ninja:"Questo ramen mi ha davvero saziata. Aaah,
che buono. Cucinate davvero bene, voi di Konoha."
Minato, sovrapensiero, mormorò:"Io invece ne mangerei altri due
piatti."
La Uzumaki drizzò le orecchie:"Due piatti, eh? Io tre."
Anche Minato si riscosse e gridò al proprietario del chiosco:"Teuchi-sama,
altri sei Hakata ramen al nostro tavolo, grazie, tre per me e tre per
lei!" dopodichè ricambiò con ironia lo sguardo di sfida di Kushina.
"A Uzu mangio quanto un uomo" fece lei con orgoglio.
"Combatti anche come un uomo. Sei sicura di essere davvero una
femmina?" replicò pronto Minato.
Kushina fece cadere un pugno terribile sul tavolo e scattò in piedi, latrando:"Altre
quattro porzioni, Teuchi-sama! E vedremo allora se tu non sei una
femminuccia e riuscirai a battermi!" Sul suo viso balenò un sorriso
sinistro, quasi famelico.
Gli altri, ammutoliti, si guardarono orripilati, mentre in tutti loro prese
forma l'identica, drammatica consapevolezza: era la fine.
Inoichi, dopo un rapido calcolo, si alzò in piedi sulla panca e declamò a gran
voce:"Io scommetto 10 a 1 su Kushina-san! Chi è con me? Fatevi sotto,
signori e signore!"
Due posti più in là, anche Shikaku si alzò sulla panca e pose un piede sul
tavolo ingombro di ciotole vuote:"Io punto cento yen su Minato Namikaze!
Volete scommettere che vince lui? Sosteniamo Konoha!"
Naoko e Ashitaka disorientati si fissarono, consci della rispettiva impotenza:
se Minato si metteva in testa qualcosa, era quasi impossibile farlo desistere
dal suo proposito, e Kushina sembrava altrettanto cocciuta, se non di più. A
loro sarebbe toccato raccogliere il cadavere, e soprattutto pregare
fervidamente che Jiraya-sama non venisse mai a conoscenza della sfida,
altrimenti potevano già considerarsi Genin morti.
Nel frattempo Choza Akimichi, che in competizioni culinarie aveva una certa
esperienza, si pose in mezzo ai due avversari e stese di taglio il braccio
destro:"Le regole sono semplici ed elementari," cominciò:"Prima
regola: vietato lasciare qualcosa nel piatto. Seconda regola: vietato
imbrogliare o buttare qualcosa sotto il tavolo o far mangiare qualcun'altro al
posto vostro approfittando di un'eventuale distrazione dei giudici. Terza
regola: vietato ingoiare, dovrete masticare tutto quello che mangerete. Quarta
regola: il primo che non riesce a finire la sua porzione ha perso."
Minato e Kushina, nel medesimo istante, annuirono, mentre la ragazzina si fece
prestare un cordino da Tsume per legarsi i capelli sulla nuca.
Teuchi, preoccupato, arrivò al tavolo traballando con le prime quattro scodelle
e, incredulo, chiese se ne volevano sul serio altre quattro. All'irruenza dei
due Genin, che per poco non gli saltarono alla gola, dovette battere in
ritirata verso la cucina e cominciare di buona lena a impastare, mentre il
pensiero del conto salato che avrebbe fatto pagare a quei viziatelli si fece
pian piano strada in lui.
A quel punto Choza, la mano ancora stesa di fronte a Kushina e Minato,
contò:"Tre... due... uno... VIA!" dopodichè la sollevò di scatto,
segnando l'inizio ufficiale della gara.
Simultaneamente i due ragazzini si gettarono sulla scodella di ramen che
avevano sotto il naso e presero a divorare con furia boccone su boccone,
incitati dal tifo sfegatato degli amici e dall'incasso del banco scommesse che
cresceva di attimo in attimo.
Inoichi tentò di favorire Kushina levandole un po' di ramen da una ciotola e ne
rovesciò metà contenuto per terra, ma Choza se ne accorse subito, lo allontanò
con uno spintone e ordinò un altro piatto di Hakata ramen il più presto
possibile, dato che a suon di bacchette i due concorrenti ne avevano già
vuotato una scodella.
Erano velocissimi: avevano il diavolo dentro, sembravano accaniti come se da
quell'impasto di spaghetti fosse dipesa la loro sopravvivenza. Si battevano con
la stessa energia che avrebbero adoperato in uno scontro corpo a corpo, se non
di più, ed erano agguerriti quasi si lanciassero shuriken e pugnali invece di
sguardi omicidi.
A vederli così, erano spaventosi. E anche piuttosto rivoltanti,
ricordava lo stomaco di Naoko.
Minato sentiva le mascelle irrigidirsi mentre un forte sapore acido gli
ristagnava sul fondo della gola, ma piuttosto che arrendersi avrebbe svuotato
l'intera dispensa di Teuchi-sama. Si costrinse a trovare altro spazio vuoto nel
suo stomaco e sferrò l'attacco alla successiva ciotola di ramen, con notevole
sprezzo del pericolo e ignorando i numerosi segnali d'allarme che la parte
inferiore del suo corpo gli inviava.
Anche Kushina dal canto suo aveva cominciato ad avvertire un lieve malessere
alla bocca dello stomaco, aveva perso la sensibilità delle dita della mano
destra a forza di impugnare le bacchette e non percepiva neanche più il gusto
di ciò che mangiava, indaffarata com'era a ripulire il suo piatto più
rapidamente possibile. Una cosa però continuava a esserle ribadita con
insistenza dalla sua coscienza: lei non mangiava come un uomo adulto, mangiava
come una normale Genin di dodici anni dall'appetito robusto e dallo stomaco di
dimensioni abbastanza capienti, ma non illimitate. E questo limite si stava
avvicinando boccone dopo boccone.
L'ondata di odio che la investì e che riversò su Namikaze fu però così intensa
che le diede la forza di far sparire anche gli ultimi bocconi dal suo secondo
piatto e avventarsi ferocemente sul terzo.
A metà della terza porzione consecutiva di ramen, esclusa quella che aveva
mangiato per pranzo, Minato aveva perso la quasi totalità delle sue percezioni
sensoriali, mentre la sola azione di arrotolare gli spaghetti intorno alle
bacchette e portarseli alla bocca gli costava una fatica terribile, come se
stesse sollevando una montagna. Nel profondo della densa salsa torbida cosparsa
di semi di sesamo, il bambino scorse un intero brulichio di spaghetti untuosi
che avrebbe dovuto ancora mangiare, nonostante stesse diventando sempre più
difficile aprire e richiudere la bocca.
Aveva il mento imbrattato di sugo, una sete terribile e neppure il tempo di
mandar giù un sorso d'acqua o pulirsi ma, cosa ancora peggiore, si sentiva strano.
All'altezza dello stomaco aveva come una catena di chodi arroventati tutta
ritorta su se stessa, che pungeva graffiava e si allungava a ogni morso di
ramen. A ogni movimento del suo corpo, per quanto fosse leggero e
impercettibile, la catena si spostava con lui emettendo un brontolio sordo,
minaccioso, simile a un tuono soffocato.
Quando Minato con un respiro profondo tentò di obbligare il suo corpo a
ingerire un'altra esorbitante quantità di cibo, la catena di chiodi appuntiti
gli stritolò lo stomaco in una morsa ferrea: la fronte gli si imperlò di gocce
di sudore, mentre soffocava un mugolio strozzato, le bacchette gli caddero di
mano e lo sguardo, vacuo, lottava per risalire dalle profondità oleose del ramen.
Si rese conto di colpo che stava per vomitare anche l'anima e che niente,
niente al mondo sarebbe stato capace di trattenere la schiuma acidula che
impazzita gli sciabordava nello stomaco.
Doveva alzarsi da lì e farlo di corsa, se non voleva rifare la faccia a Occhi
Verdi e a chi le sedeva vicino.
"Scusate, io..." farfugliò,
la voce flebile, mentre senza sapere come riuscì a liberarsi della panca e a
mettersi in piedi:"...Non mi sento molto bene."
Che era un eufemismo, dato che si sentiva come dopo aver sbattuto la nuca
contro un blocco di cemento.
Barcollando zigzagò lungo la piazza,
tenendosi lo stomaco, gli occhi accecati dal riverbero del sole e la mente dai
rari sprazzi di lucidità che l'attraversavano. Aveva le gambe di gelatina e
l'addome straziato da violenti sussulti che riusciva a dominare con estrema
fatica, sentì che avrebbe vomitato là in mezzo entro un secondo se non... Ehi,
quelli, cespugli, aiuole, laggiù!
Si diresse più svelto che potè verso
il piccolo quadrato d'erba e siepi di rododendro che separava la piazza da una
delle stradine d'accesso laterali, allungò il passo e col piede sfiorò il bordo
curato dell'aiuola, ormai certo di essere salvo, ma una disperata spinta
inaspettata lo colse impreparato e lo fece cadere di schiena sul selciato
roccioso.
Un miraggio rosso fuoco: Kushina, il viso quasi del colore dei suoi occhi,
l'aveva superato e si era buttata a capofitto nel cespuglio che lui aveva
scelto per svuotare lo stomaco.
Il pensiero inizialmente lo divertì, poi la catena arroventata nella sua pancia
diede lo strattone definitivo e, in ginocchio, a Minato toccò espellere quattro
porzioni e mezzo di Hakata ramen di fianco a Kushina Uzumaki.
She's got a fine
sense of humor when I'm feeling low down
And when I come
to her when the sun goes down
Minato Namikaze e Kushina Uzumaki
erano rimasti fino a tarda notte all'Ichiraku, asserragliati nella minuscola
cucina del locale e circondati da torri di piatti sporchi che Teuchi-sama aveva
ordinato loro di far risplendere come cristalli purissimi, se volevano saldare
il loro conto astronomico senza che lui si presentasse dai loro Maestri.
Sulle prime i due eterni avversari si erano urlati contro le peggiori
cattiverie, lo stomaco distrutto dalla loro bravata e la bocca devastata da un gusto
amarognolo che non se ne andava neanche dopo un litro d'acqua, ma quando
Teuchi, richiamato dalla confusione, li aveva rimessi al lavoro con due urli e
uno scapaccione -a Minato-, si erano rassegnati a collaborare, per arrivare
almeno a una cooperazione pacifica, visto che si erano messi nei guai da soli.
Decisero di comune accordo che, nelle ultime due settimane in cui Kushina
sarebbe rimasta a Konoha, non avrebbero mai più battibeccato in modo così
stupido e si sarebbero sfidati solo al ninjutsu come allenamento, perchè i loro
Maestri non sospettassero alcunchè.
Kushina, riluttante, si era scusata, e così aveva fatto Minato che, guardandola
di sottecchi con le braccia esili immerse fino al gomito nell'acqua insaponata
mentre canticchiava una vecchissima ballata popolare, aveva pensato che forse,
a piccolissime dosi, Occhi Verdi non era male, anzi, poteva quasi essere
simpatica e divertente.
Avevano passato tutto il pomeriggio avvolti dalle vampate soffocanti che
salivano dalle pentole di ramen bollente, dall'aroma penetrante delle
numerosissime spezie che erano il segreto dei piatti di Teuchi-sama e dallo
sciabordio dell'acqua del lavello, le loro tute erano ridotte a uno schifo e
quasi quasi Minato avrebbe preferito indossare la palandrana arancione di
Jiraya-sama, sarebbe stato ben più presentabile che con lo straccio umido e
puzzolente di ramen che indossava, ma vedere com'era ridotta la Uzumaki lo
consolava.
I capelli appiccicati, i pantaloncini della tuta macchiati di qualcosa che
sospettava fosse da ricondurre all'esito della loro simpatica sfida, la
maglietta fradicia perchè, nel tentativo di schizzarlo, si era rovesciata
addosso una ciotola mezza piena di salsa di soia.
Conciata così non era più Occhi Verdi, era la Piccola Fiammiferaia, e gliel'aveva
ripetuto per circa mezz'ora, prima che lei lo minacciasse brandendo una lungo
arnese ricurvo per modellare la pasta.
Ripensandoci, Minato camuffò una risatina con un colpo di tosse, poi sospirò.
Era il trecentesimo piatto che asciugava, ma ormai non sentiva più la fatica.
Si stiracchiò, approfittando di una pausa tra un piatto e l'altro:"Mmmh,
menomale che oggi a Jiraya-sensei non è venuta voglia di ramen!" affermò
con un leggero sorriso.
Kushina non replicò, gli passò un altro piatto bagnato e il giovane Namikaze si
industriò per asciugarlo in un batter d'occhio:"E tu?" proseguì
vivace, "Non dovevi allenarti con la tua Squadra?"
"No, oggi avevamo la giornata libera" rispose la ragazzina
porgendogli l'ennesimo piatto.
"Sì ma... non avete un orario in cui dovete essere alla foresteria? Una
specie di coprifuoco?"
"Certo, e l'ho superato da un bel pezzo" proclamò soddisfatta
Kushina, ripulendosi col dorso della mano da uno sbaffo di detersivo sulla
guancia.
Minato parve confuso:"E non ti faranno una paternale per questo?"
Gli occhi di Kushina brillarono, lasciò andare la scodella che stava scrostando
e guardò a lungo il compagno di sventura:"No, perchè io gli dirò
che..." fece una pausa a effetto che fece sbuffare il suo pignolo
interlocutore, ma poi esclamò giubilante:"...Avevo un appuntamento con
TE!"
A Minato sfuggì il piatto che aveva fra le mani e fu solamente merito dei suoi
riflessi se non si infranse a terra, mentre le sue gote in pochi secondi
divennero incandescenti:"CHE COSA?! Non pensarci neanche!" ululò.
"...Preferisci forse che gli dica la verità, così che la riferisca subito
a Jiraya-sama?" propose allora un'innocente Kushina sbattendo le lunghe
ciglia.
Namikaze si morse la lingua e tacque. Quella piccola sfacciata l'aveva in
pugno, era caduto nella trappola con tutte le scarpe. Mai più abbassare la guardia, mai più sottovalutarla, mai più fidarsi di
Kushina Uzumaki. M-A-I. "Vedo che ci intendiamo alla perfezione" ridacchiò sotto ai baffi
lei, riprendendo a sciacquare la scodella.
"Strega" ribattè lui in tutta risposta.
"Pollo. Non ti devi fidare delle persone" imperturbabile, Kushina gli
passò la scodella lavata.
"Non mi devo fidare delle persone meschine, approfittatrici, casiniste,
che vengono da Uzu e che rispondono al nome di Uzumaki Kushina" Minato
impilò la scodella insieme alle altre con più energia del dovuto, rischiando di
sbeccarla.
La ragazzina roteò gli occhi:"Dei santissimi, che pesantezza! Sembra di
parlare con un fossile! Intendevo dire che... oh, insomma" borbottò scuotendo
il capo:"Comincio a incartarmi con le parole ed è solo colpa tua,
Namikaze. Volevo dire che non è una cosa negativa fidarsi delle persone; però
lo è fidarsi troppo. Dovresti farti valere ogni tanto.
Con questo non ho alcuna intenzione di cambiare idea, eh, dirò ad
Akinari-sensei che sono uscita con te, è un'idea semplicemente perfetta"
specificò infine con tono ovvio.
Minato asciugava un piatto dopo l'altro, meditabondo e assorto: era la prima
volta che sentiva Occhi Verdi Uzumaki parlargli senza sarcasmo né ironia
gratuita, ed era anche la prima volta che qualcuno indirettamente gli dava
dell'arrendevole. Cavolo, lui non era mai stato arrendevole con nessuno, era
rispettato da tutti i ragazzini del villaggio e godeva della massima stima
presso tutti i Maestri e i Jonin e sapeva per certo che il responsabile della
divisione ANBU si augurava di averlo presto tra i suoi. Diamine, l'Hokage ogni
tanto si fermava a chiacchierare con lui! E a settembre avrebbe partecipato
agli Esami di Selezione per i Chuunin, ne aveva parlato con Jiraya-sama e anche
lui l'aveva giudicato pronto per sostenerli e passarli.
Troppo fiducioso lui? Ma quando mai! Come poteva averle dato quest'impressione? ...Amenochè, gli suggerì infido il suo subconscio, non lo fosse solo
con lei.
"Quando torniamo dalla missione ci alleniamo tutti insieme?"
"Eh?" si riscosse lui.
"Terra chiama Namikaze, pronto, mi senti? Sveglia, non è il momento di
dormire! Ti sfido a un combattimento ad armi pari nei campi dietro la casa di
Naoko, ci stai?" lo scosse violentemente per le spalle un'esaltatissima
Kushina:"Tutti dicono che sei un genio e voglio proprio vedere se è la
verità. Scommetto che ti batto!"
Minato arricciò il naso con una smorfia:"Non mi piace picchiare le
femmine."
"SCEMO!"
Un attimo dopo gli arrivò dritta in faccia la spugnetta imbevuta di detersivo
con cui La Maledetta Occhi Verdi stava lavando i piatti.
"La prossima volta te la faccio mangiare quella spugna, tò, e vedremo chi
è la schiappa, Namikaze!" strillava Kushina invasata; cinque secondi e
mezzo dopo si stavano già schizzando a vicenda con l'acqua insaponata del
lavello, ridendo come matti.
Take away my
trouble, take away my grief
Take away my
heartache, in the night like a thief
Non lo sapeva
ancora, Minato Namikaze, che quella ragazzetta iperattiva e testarda sarebbe
diventata la madre di suo figlio e la donna che avrebbe amato più della sua
stessa vita.
Nè Kushina Uzumaki sapeva che, col passare del tempo, Konoha le sarebbe piaciuta
sempre di più.
Fin
Nota dell'Autrice Prima classificata al Contest "MinatoKushina
Genin" indetto da Mala Mela e Rory_chan.
Questo il bannerino lovvosissimo, aw *_*!
Un abbraccio a Lee, a Izayoi007,
a Winry90 e a oKelio, ovvero le altre partecipanti. Brave a tutte
quante, ragazze <3!
Infine qualche nota sulla fanfiction
in sè. La salsa beni shoga è uno degli ingredienti fondamentali dell'Hakata
ramen (variazione locale del ramen "classico"), ed è costituita da
zenzero rosso sott'aceto tagliato a striscine. Viene usato in moltissimi piatti
giapponesi, ad esempio anche nelle okonomiyaki -evviva Wikipedia-. L'Hakata
ramen per la cronaca è costituito da una zuppa corposa fatta con le ossa di
maiale, condito con funghi, cipolline verdi, il sopracitato zenzero rosso, semi
di sesamo e una particolare mostarda verde altrettanto piccante.
Questo per quanto riguarda la parte culinaria di questa fanfiction :).
Per il resto, non ho idea di come sia
stata Kushina a dodici anni, dato che s'è vista per una vignetta scarsa col
pancione a venti, quindi mi sono basata sulle mie sensazioni. Secondo me lei
tra i due è quella casinista, cocciuta, vivace, con la tendenza a parlare senza
riflettere, schietta, spavalda, che è abituata a trovarsi bene con tutti,
insomma secondo la legge per cui di solito i figli maschi prendono dalle mamme
e le femmine dai papà è evidente a chi assomigli Naruto XDDD.
Minato l'ho visto più maturo, più riflessivo (anche se non sembra) per la sua
età, già proiettato verso il futuro e molto meno 'bambino' dei suoi coetanei.
Anche se si lascia prendere un po' troppo la mano quando non si sente
dovutamente apprezzato XD è ovviamente cavallerescamente gentile, e questo una
ragazzina agguerrita con la tendenza a comandare non può certo perdonarglielo.
Che dire, spero che siano IC!
Risposte alle recensioni:
Niggle: Già, infatti non ti ho mai vista da queste parti^^ quindi il tuo
commento è doppiamente prezioso. Se mai dovessi ripassare di qui, spero che
leggerai queste righe!
Ti ringrazio per la recensione, sono contenta d'averti fatto 'sentire' il sogno
di Hinata e il contrasto stridente con la realtà. E' quello a cui miravo
scrivendo :) e comunque, anche se il finale può lasciare in dubbio (i finali
allegri non mi vengono mai, mai, mai!), Hinata è viva u_u e sorriderà per il
resto del tempo che le avanza, accanto a Naruto. Lalani: Io ti devo ringraziare mille volte, ragazza, perchè ho notato
che commenti sempre quasi tutte le mie storie, e ciò mi rende immensamente
orgogliosa e immensamente felice. Non ho il piacere di conoscerti e spero di
averlo prima o poi, sei una delle mie "lettrici" più affezionate e ti
sono veramente grata per l'attenzione che dedichi ai miei esperimenti
scrittori. Grazie, non sai quanto dal profondo ti sono grata. Grazie ancora!
Prima o poi -più prima spero!- ricambierò con qualche recensione ;).
Detto questo, visto che abbiamo fatto bene a tenere le dita incrociate *_*?!?! Cla: Visto che t'ho praticamente obbligato a scriverla, la tua
recensione è venuta anche troppo bene XD Che ci vuoi fare, mi piace tanto
questa NaruHina ma non ha avuto molto successo. Damn it, tutte le storie che mi
piacciono di più passano sempre in secondo piano, che ingiustizia!
Il trucchetto dei condizionali funziona sempre XD anche se temevo prima o poi
di ingarbugliarmi a forza di metterne uno ogni tre parole, e forse hai
ragione... la fantasticheria dell'appuntamento perfetto era un po' troppo
melensa. E stereotipata. Però volevo rendere ad Hinata un attimo di paradiso,
visto il dolore che ha dovuto sopportare, e poi allora non sapevo ancora che la
piccola sarebbe sopravvissuta *_* Aw!
Mi piace muovere Hinata. E Naruto. Mi piace. Devo scrivere su di loro più
spesso.
Capitolo 20 *** Dancing in the moonlight [MinatoKushina] ***
Buon compleanno Leti *_*
Buon compleanno Leti *_*!
Siamo a ridosso degli esami, quindi è d'obbligo aggiungere agli auguri un
ABBRACCIO strepitoso e un in bocca ad Akamaru che ti valga circa per tutto questo mese, compagna
di Legame Covalente. Kickthem in the ass. Miraccomando :).
E TANTI TANTITANTITANTITANTITANTI AUGURI!
Ele
Disclaimer:
I personaggi citati appartengono a MasashiKishimoto, che ovviamente si prende tutti i diritti del
loro uso. La canzone su cui si basa la songfic è "Dancing
in the moonlight", la cui versione originale
è dei King Harvest, e vi consiglio -anzi obbligo-
ad ascoltarla come sottofondo per questa fanfiction.
Dancing in the moonlight
We get it on 'most every night
When that moon is big and bright
It's a supernatural delight
Everybody's dancing in the moonlight!
Ta-na-ba-ta.
La lingua batte contro l'arcata superiore, poi sfiora quella inferiore, lascia
il posto alle labbra e ritorna a toccare rapida quella
piccola area compresa fra i due incisivi. Tanabata. Una cantilena allegra, che si beve tutta
d'un fiato.
Sguardo critico fisso allo specchio, KushinaUzumaki, diciassette
anni, Jonin del Turbine, ripetè
tra sè e sè quella
tintinnante parola ancora una volta, come se fosse una formula magica capace di
modificare quel che scrutava nella lucida lastra di vetro.
Accigliata, trattenne l'interno delle guance e strinse le labbra fino allo
spasimo, finchè il viso non le divenne scavato e
smunto: poi in uno sbuffo rilassò le mascelle contratte e si lasciò andare a
un'esclamazione di disappunto.
No, proprio non ci siamo.
Tutte le più improbabili diete di Naoko erano inutili
con quelle dannate, dannatissime guanciotte paffute,
inalterate sul suo volto da quando aveva sette anni, odiosamente rotonde come se stesse perennemente masticando un blocchetto
di marzapane.
Erano inutili anche con i fianchi, ovvio. Pienotti, già. Il suo secondo,
dannatissimo punto debole.
Inoltre la geniale HanajimaNaoko
pretendeva anche di truccarla, cosicchè, evidenziate
dallo spesso strato di impiastri terrosi che le avrebbe spalmato sulle gote, le
sue guance sarebbero sembrate ancora più piene, e di conseguenza la sua faccia
avrebbe assunto i connotati di un pallone variopinto gonfio fino allo stremo.
La cosa peggiore comunque erano quegli zoccoli atroci che era stata costretta
ad indossare: ci era già caduta cinque volte, peraltro storgendosi
quasi la caviglia. Di nuovo. Okobo, si chiamavano. Ma come diavolo faceva
la gente a indossare diabolici cosi del genere?
Eppure vedeva Naoko, Yoshino,
Tsume, e perfino quella regina di ghiaccio che era MikotoUchiha incedere celestiali
ed eteree con quelle infernali zeppe ai piedi, e chissà quale segreto
nascondevano per non soffrire terribilmente o per non finire a gambe all'aria
ogni tre passi, come faceva lei.
Fissandosi pensosa nello specchio, Kushina finì per
innervosirsi e quindi per maledire Konoha, gli okobo, il Tanabata, Naoko, Satoshi e Yukiko che appena l'avevano sentita nominare 'Konoha' e 'Tanabata' erano
impazziti di gioia, l'estate e qualunque altra persona/cosa/stagione le passò
per la testa in quel momento, infine finì per rimpiangere amaramente la
missione di livello S che aveva concluso qualche ora prima.
La morbidezza, la comodità, la freschezza della sua uniforme sformata erano un
paradiso rispetto a quel rigido kimono di seta azzurro cielo; i suoi pratici
sandali da ninja, rigorosamente raso terra, erano incomparabili rispetto alla
lenta tortura degli okobo.
Una piccola ruga le si disegnò al centro della fronte: già si era pentita di
aver accettato l'invito di Naoko di passare a Konoha un paio di giorni, in concomitanza con la fine delle
festività del Tanabata. Ripensandoci, il suo sospetto
era nato dal biglietto che Naoko le aveva mandato in
risposta, e che puzzava di fregatura a un miglio di distanza:'La tua missione finisce giusto quel giorno, no? Ancora
meglio, puoi venire subito al villaggio, chiederò in foresteria le stanze per
te e per la Squadra,
e non preoccuparti del resto, Kushina-chan, penso a
tutto io!" Troppo entusiasmo, decisamente troppo. Quel 'Kushina-chan' era un campanello d'allarme, Naoko non era mai così gentile e premurosa senza avere un
secondo fine.
E poi, a quale 'resto' si riferiva? Purtroppo l'aveva scoperto troppo tardi.
"Kushina-chaaaaaan...."
eccolo, il richiamo mellifluo e svenevole della traditrice. "Mpf. Sono qui"
sbottò brusca la Uzumaki
all'indirizzo della porta chiusa. Naoko spalancò l'uscio in tutto lo splendore
smagliante del suo kimono viola chiaro, punteggiato di bianco e argento come da
gocce di cristallo, i capelli intrecciati sulla nuca e un sorriso angelico che
le distendeva i lineamenti infantili. Kushina non si voltò neppure, scura in viso, occupata
com'era a contare le numerossisime cose che non
andavano nella sua mise. Ha addosso i dannati aggeggi, realizzò inviperita, sento il rumore
delle zeppe! Naoko comparve a lato nello specchio e le passò
un braccio intorno alle spalle, farfalla di glicine e gocce di pioggia, mentre
le chiese dolcemente:"Andiamo Kushina-chan,
cosa c'è che non va?"
L'altra, già rabbuiata, parve oscurarsi del tutto:"Non
c'è niente che va. Sono agghiacciante."
"In effetti sei un po' palliduccia per i miei
gusti, ma per il resto non c'è male" Naoko le
diede un buffetto affettuoso ma molto irritante sulla guancia.
Le rughe sulla fronte di Kushina s'infittirono:"Sono ridicola. Spaventerò i bambini, non ce ne sono
alla festa, vero?" "Naaa, non è vero, stupida.
Questo colore ti dona" la blandì Naoko,
sistemandole con un colpetto lieve la piega dell'obi,
che Kushina aveva annodato storto:"Sapevo
che questo kimono sarebbe stato perfetto per te."
La ragazza, dallo specchio, la fulminò con lo sgurdo:"Odio vestirmi così. E tu non mi avevi detto che per
l'idiotissima festa dovevo conciarmi come la prima concubina dell'imperatore, a
Uzu per il Tanabata non ci
vestiamo come la Corte
Imperiale nel giorno di nozze dell'erede al trono.
Io - ti - uccido" sibilò minacciosa. Naoko scoppiò in una risata divertita. "Stai benissimo, Scemamaki, è
come se questo vestito fosse stato cucito apposta per te! Basta solo che
tu ti faccia aggiustare un paio di cosette dalla tua cara Naoko-chan
e poi potrai sollazzare tutti gli imperatori del mondo!"
Il tono innocente dell'amica non convinse Kushina,
anzi ebbe il potere di irritarla ancora di più, dato che non le era sfuggita l'occhiata rapace che Naoko aveva
lanciato ai suoi capelli.
"Stà lontano da me, Cretinajima!"
si ritrasse dunque gettandosi verso il letto - o almeno ci provò, dato che,
doppiamente intralciata dagli okobo e dal kimono,
capitombolò con un tonfo catastrofico a un passo dal comodino. Naoko, quasi soffocando dalle risa, con un balzo
impensabile per una persona che indossava quei maledetti okobo
si parò contro la porta della stanza e la chiuse con un giro di chiave. Lo
scatto della serratura risuonò lugubre e presago di sventura per KushinaUzumaki, che ricapitolava
febbrile quali oggetti a portata di mano avrebbero potuto servirle come armi
improprie contro la minaccia in gonnella.
"Non uscirai da qui prima che io non ti abbia sistemato quei capelli e
truccato decentemente!" proclamò Naoko e, orrore
degli orrori, dalle ampie maniche del kimono svelò ghignando l'intera
artiglieria che brillò sinistra alla luce della lampada da tavolo: pettine,
spazzola e fermagli in una mano, matita per gli occhi, rossetto e cipria
nell'altra.
"Stronza" ringhiò a denti stretti Kushina.
"Non ringraziarmi, lo faccio per il tuo bene" cinguettò briosa Naoko. Kushina desiderò con tutte le sue forze di essere
caduta in missione o dispersa da una settimana, oppure
che una voragine si aprisse in quell'istante nel pavimento e inghiottisse Naoko, i suoi trucchi e il suo pettine. Nel frattempo
calcolò rapida le sue possibilità di fuga: la porta era bloccata e la
finestrella era troppo piccola -dannati fianchi larghi!- perchè
potesse lanciarsi fuori da lì, dunque erano pari a zero. Non poteva
scappare.
Era sicura che quella pazza si fosse portata anche un nastro o una corda per
legarla, in queste cose era maledettamente efficiente. Dannatissima!
"Venderò cara la pelle, pulciosa Chuunin!"
rilanciò agguerrita Kushina, brandendo un okobo a mo' di mannaia.
"Ribadisco, Jonin dei miei zoccoli: non uscirai
di qui prima di essere stata resa presentabile a un pubblico maschile, truccata
come si deve e soprattutto pettinata!"
"La vedremo!"
"Proprio" e un ghigno scintillante e sardonico balenò sul viso di Naoko.
Ta-na-ba-ta.
Un po' come dire 'condanna a morte'.
Everybody here is outta
sight
They don't bark, and they don't bite
They keep things loose, they keep things
light
Everybody's dancin'
in the moonlight!
La colpa, rimuginava seccata Kushina, era soltanto di quei due integrali cretini che
erano in Squadra con lei, ergo di quelle grandiose menti eccelse di Satoshi e Yukiko, che appenaavevano colto il suo
bisbiglio incerto su 'la remota possibilità che forse probabilmente, se non
era un problema per loro, Naoko proponeva di fermarsi
a Konoha per qualche giorno ma senza impegno, così,
se per caso ne avevano voglia, eventualmente, se non erano troppo stanchi per la
missione' si erano quasi lanciati a rotta di collo verso il villaggio, e Kushina aveva dovuto urlare per riportarli alla ragione e
all'urgenza di questioni pratiche come avvisare Uzu,
le loro famiglie e Akinari-sensei.
E il problema non finiva certo lì, perchè quando la Vile Traditrice
Addobbata da Geisha si era resa conto che da sola non sarebbe mai riuscita a
sopraffare KushinaUzumaki
in preda alla furia cieca, con uno scatto felino era corsa alla porta, l'aveva
riaperta con un colpo di chiave e un secondo dopo i Due Solenni Bastardi si
erano precipitati dentro per darle man forte.
Aggressione di gruppo a un'indifesa, innocua e disarmata ninja del Turbine.Così
Kushina definiva quell'azione di forza.
Erano riusciti, pur sorbendosi una consistente dose di calci, pugni e graffi, a
immobilizzarla su una sedia e, mentre Satoshi le
legava le mani, Yukiko le si era seduto sulle
ginocchia -tra una grandine di insulti selvaggi e piuttosto fantasiosi, ovvio.
Ridotta al silenzio e all'immobilità forzata, aveva sentito il pettine di Naoko affondarle nella folta chioma tiziana con un
dissimulato piacere sadico: aveva dovuto serrare le mascelle e mordersi a
sangue l'interno delle gote per non mugolare di dolore.
Adesso, dopo essere stata truccata, pettinata e acconciata contro la sua
volontà, poteva dire d'aver completato la sua metamorfosi da Jonin a concubina imperiale. Le era bastato scorgere il
riflesso azzurro e arancio che era balenato nello specchio al suo passaggio per
decidere di non voler più guardarsi in viso, se non a fine
serata, quando sarebbe stata libera di lavarsi via quei tre centimetri
di polveri appiccicose che Naoko le aveva sparso
sugli zigomi.
Arrancando sugli okobo, mentre si avviavano verso la
piazza centrale del villaggio, lo sguardo le cadde di sfuggita proprio verso Satoshi e Yukiko, che dietro di
loro chiacchieravano spensierati della missione conclusa, paludati in elegantissimi kimono che la Vile Traditrice
doveva aver rubato, a giudicare dalla loro raffinatezza; Kushina
si chiese con un mezzo sorriso a quale dei due Naoko
piacesse di più. Forse a Satoshi, pensò. Con una
punta di rammarico però, perchè non molto tempo prima
era lei a comandare a bacchetta i suoi due compagni di Squadra, che non si
sarebbero mai e poi mai permessi di osare tanto e mettersi contro di lei.
Fu avvolta da un filo di malinconia, mentre come un turbine allegro vide
sprazzi di ricordi di una vita condivisa attraversarle i pensieri.
Si lasciò andare a un sospiro mal trattenuto: non essere più la ragazzina che
spadroneggiava incontrastata su tutti i mocciosetti
di Uzu talvolta le mancava.
Per distrarsi lanciò uno sguardo omicida a Yukiko e
mimò con enfasi cruenta il gesto di tagliargli la gola.
"Me la pagherete, traditori" sillabò acida
senza voce. Naoko se ne accorse e roteò gli occhi, dopodichè la prese sottobraccio e la trascinò con più
slancio per i vicoli silenziosi:"Siamo in
ritardo, Scemamaki. Minato e Ashitaka sono là già da un'ora."
D'istinto il braccio di Kushina si irrigidì. "Quando avete deciso di farmi diventare una novella SayuriNitta*"
si riprese immediatamente, "Non ho detto che vi avrei reso il compito
facile." "Dì un po', c'era un aspide nascosto nel kimono?
Ti ha punta per caso?" l'apostrofò Satoshi, metà strafottente e metà esasperato. Kushina lo squadrò con astio, pronta a una risposta
ancor più velenosa, maNaoko
l'anticipò:"Satoshi-kun, non vedi che la nostra Kushina è nervosa? Lasciala in pace,
io so bene il motivo!" concluse con un risolino civettuolo.
L'interrogativo che andava formandosi in una sempre più indispettita Kushina, ovvero 'Da quando in qua Naoko
chiama quel demente Satoshi-kun?',si
sostituì immediatamente con un altro, ben più pressante:'Di COSA diamine va
cianciando la Scervellata
di Lilla Vestita?' Il forte sospetto che una parte di lei lo sapesse molto bene la ridusse a
un silenzio offeso e seccato.
Barcollò sui suoi okobo senza lasciarsi scappare una
sola imprecazione, monumento vivente allo sdegno. Guardandola,Naoko roteò gli
occhi con un sospiro.
"Kushina-chan?" pigolò allora sfarfallando
le lunghe ciglia.
"Ammazzati" sbottò gelida l'amica.
"Com'è tenera la mia cara, dolce Kushina-chan
quando è innamorata!" esclamò svenevole Naoko.
"Quale parte di 'ammazzati' non ti è chiara, cervello di gallina?"
"Sei adorabile quando sei nervosa!"
Un simile scambio di opinioni andò avanti lungo tutto il tragitto attraverso il
villaggio, mentre gli scoppi improvvisi e acuti delle loro voci salivano nel
silenzio compatto delle case buie, verso il sereno velluto del cielo notturno.
"Avete quelle cose? Siete isteriche" le
interruppe Satoshi con un ghigno malizioso.
"Ma Satoshi-kun! E' scortese
fare questa domanda a due ragazze!" si scandalizzò Naoko
con affettato imbarazzo, gli occhi castani che ridevano.
"No Toshi, Ku-chan
almeno non le ha, ti avrebbe già spezzato una gamba altrimenti, lo sai com'è in
quel periodo, no? Che sia davvero preoccupata?" replicò Yukiko con un subitaneo lampo d'interesse. Naoko gli lanciò un'occhiata incoraggiante:"Soffre le pene d'amore!"
"TACI."
Un secondo dopo stavano già intonando a suon di fischi e sghignazzi la celebre
arietta "La Uzumaki c'è
cascata, vaga triste e rintronata, la Uzumaki è
innamorata!", per cui Naoko improvvisò
perfino una sbilenca coreografia.
Oh, perfetto. Adesso tutto il villaggio ne era al corrente.
Venire a Konoha era stata l'idea peggiore della sua
vita. Kushina si sentiva troppo abbattuta per prenderli
tutti e tre a ceffoni, perciò si concentrò sull'ignorarli meglio che potè: se non ricordava male mancavano un paio di isolati alla
piazza principale del villaggio, sarebbe riuscita a resistere e non li avrebbe
appesi per le braccia al lampione più vicino. Il sottofondo musicale e il
cicaleccio di mille voci festose che s'irradiava dalla piazza già cominciava a
coprire il ritornello stonato dei tre cerebrolesi che la accompagnavano.
Dall'angolo del vicolo sbucarono per primi i bagliori lattiginosi delle
lanterne accese, di cui tutta la piazza era cosparsa, e che, mosse appena dalla
brezza notturna, dondolavano con un sottile cigolio ritmato. Fiori di carta
gialla e bianca erano sbocciati su ogni finestra o terrazza, correvano da una
casa all'altra come mani tese, sfavillavano assieme alle cascate di ghirlande, nastri multicolore e rametti di bambù appesi in ogni angolo.
Il corteo del Terzo Hokage sarebbe passato di lì a
poco, diretto verso il ponte sul fiume, e la folla avrebbe atteso il loro
passaggio per poi seguirlo, i biglietti di carta di riso stretti nel pugno, e
gettare nell'acqua scura del fiume le frasette di
buon augurio che vi aveva scritto sopra.
Una compagnia di saltimbanchi in sgargiante rosso e oro danzava sulle note dei
flauti, inscenando la tenera favola della Principessa Orihime
e del suo amato Hikoboshi; i quattro ninja di Uzu e Konoha videro serpeggiare a
un passo da loro il respiro infuocato di un mangiafuoco e le sue fiamme ebbero
il colore dei capelli di Kushina, si persero tra le
gambe filiformi e infinite dei giganti che camminavano sui trampoli,
osservarono rapiti una funambola dalla vita di libellula che si librava sul
filo nell'aria bruna della notte, le clavette dei
giocolieri vorticarono impazzite sulle loro teste meravigliate e gli acrobati
sotto i loro occhi modellarono e distrussero plastiche sculture di carne, fra
gli applausi e le esclamazioni euforiche degli spettatori. Kushina si sentì travolgere dall'impeto della festa,
disorientata non seppe ritrovare nei suoi ricordi un Tanabata
ad Uzu altrettanto opulento e caotico. Naoko le calcò attorno al ciuffo che aveva sulla nuca
una collana di fiori di carta rossi e blu, le afferrò
la mano e la trascinò con Satoshi e Yukiko nell'agitarsi brulicante della folla. Bestemmiando a
denti stretti per il dolore ai piedi straziati dagli okobo,
Kushina dovette chiedere scusa una dozzina di volte
per tutte le gomitate, ginocchiate, spallate o colpi d'anca che dava e
riceveva, nel marasma variopinto del villaggio in festa, e colse frammenti di
voci, frasi, conversazioni che sempre svelavano quel genuino sapore di pura,
semplice allegria disinteressata.
Riconobbe nell'ondeggiare dell'oceano di teste un gruppo di ninja di Konoha, assiepati in prima fila: la sagoma imponente di Jiraya-sama, sensei della Squadra
di Naoko, svettava ben riconoscibile in mezzo a un
fruscio di abiti colorati -vecchio sporcaccione, sempre dietro alle ragazze!
E scorse anche un lampo biondo, oro luminoso che fiammeggiò poco lontano da Jiraya.
Merda. Merdissima merda delle merde. "Minato! Ashitaka! Siamo qui" gridò Naoko sventolando
il braccio sopra la testa.
Incespicando per gli okobo e per le gomitate che
qualche viso sconosciuto e incolpevole le assestava, Kushina
vide il color oro dei capelli di Minato Namikaze
avvicinarsi sempre di più, finchè ad esso non si
aggiunse l'azzurro dei suoi occhi perennemente stupiti, il suo sorriso da
ragazzino e il suo volto come di cera, tale era la linea nobile dei suoi
lineamenti, e Kushina si maledì una,
due, tre volte, perchè i suoi pensieri avevano
imboccato una direzione pericolosa.
L'abbracciarono prima Ashitaka e un attimo dopo anche
Minato, mentre lei rimase gelida come un fantoccio privo di vita; riconobbe
tuttavia il tessuto ruvido del suo kimono e ne distinse il colore alla luce
chiara delle lanterne: arancione.
Il viso improvvisamente rosso quanto i capelli, le venne da ridere.
L'arancione era il suo colore
preferito.
"Beh" le chiese Minato incredulo, "Faccio così ridere con questo
coso addosso?" Kushina si strinse nelle spalle:"Non
più di quanto lo faccia io, Namikaze!"
Minato perse giusto una frazione di secondo a considerare quanto le guance
piene di Kushina ispirassero un morso, come le mele
rosse, e quanto era carina quando era imbarazzata e non sapeva cosa dire, poi
si affrettò a deglutire e a ribattere pronto:"Io
sono bellissimo, non sembro certo una mezzana di paese come qualcuno di mia
conoscenza!" La Uzumaki lo squadrò con
freddezza:"Infatti, al massimo puoi passare per uno sguattero che si è
cucito addosso una vecchia stuoia!"
"Non cominciate a litigare adesso, noiosi che siete!" li rimbrottò Naoko fingendosi burbera, assestando uno scappellotto
leggero sulla fronte di ciascuno dei due:"Andiamo
più avanti, si vede il corteo laggiù, all'inizio della piazza!" Stretti gomito contro gomito, poichècasualmente la folla pressante non lasciava spazio a sufficienza per
mantenere le consuete distanze fra due persone, Minato e Kushina
osservarono sfilare davanti a loro lo stato maggiore del villaggio senza
prestarvi la minima attenzione.
A bassa voce, senza guardarla, Minato si lasciò
sfuggire un:"Bentornata, Uzumaki." Kushina involontariamente sorrise:"...Grazie,
Namikaze."
Dancing in
the moonlight
Everybody's feeling warm and bright
It's such a fine and natural sight
Everybody's dancing in the moonlight!
I foglietti di carta erano appena
scivolati sulle acque del fiume, con la leggerezza di una flottiglia di
inchiostro, quando Minato, lo sguardo acceso ed euforico di chi stava
macchinando qualcosa, le aveva stretto un polso e aveva preso a trascinarla
fuori dalla rumorosa folla vociante. Kushina aveva cercato aiuto sbracciandosi verso Naoko, ma la sua carissima migliore amica,
momentaneamente mezza stordita dal sakè e in veste di Battoncella
Allegra, era troppo occupata a ballare con Satoshi, e
aveva lasciato che Minato, colto da un attacco di follia, decidesse di portarla
all'altro capo del villaggio per farle vedere chissà quale spettacolosa
stupidaggine.
I saltimbanchi avevano ripreso a danzare e a volteggiare sulla schiena curva e
morbida del ponte, c'era una melodia impalpabile che curiosa ticchettava
nell'aria fresca le note di una vecchia ballata, coperte a tratti dal brusio
vivace della gente; era un vecchio ritornello orecchiabile che metteva addosso la voglia di ballare, ballare in ogni angolo
scomposta e frenetica, se non fosse stato per quegli infernali zoccoli che le
stavano aprendo il piede a metà, e soprattutto se non fosse stato per
quell'emerito deficiente di Namikaze che la stava
portando chissà dove, e magari se non fosse stato per quel bicchierino di
troppo che Naoko, infida come una serpe, le aveva
fatto bere.
Ma forse non era solo uno, il bicchiere di troppo.
Forse erano due. O tre. "Tu! Odioso! Incapace! Ebete! Inutile uomo!
Spreco di spazio! Testa vuota! Bamboccio! Pagliaccio! Abate Shintoku!
...Dove andiamo?"
Minato lasciò nella brezza un volo di risate sguaiate, nel sentire quella
grandinata di insulti piovergli tra capo e collo. Non si voltò, allungò il
passo e le sue dita scivolarono fino a intrecciarsi con quelle inerti di Kushina.
Che arrossì di botto. Furiosamente, come un pomodoro in kimono azzurro e
arancio, arrossì.
"Ho detto DOVE - STIAMO - ANDANDO!?" urlò
più forte che potè la ragazza.
Si erano lasciati alle spalle il ponte ed erano rientrati nel villaggio. Se la
lucidità non le veniva meno, si trovavano da qualche parte nei pressi del
Palazzo degli Hokage, nella parte più vecchia della
città, e soltanto la polvere danzava quieta al ritmo della musica, il cui eco
affievolito arrivava fino alle loro orecchie sull'onda del venticello estivo.
Incrociarono un crocchio di bambinetti col moccio al naso, impegnati a lanciarsi
proiettili di quello che a prima vista le parve carbone: lanciavano strida
divertite da ragazzini, come una volta anche loro avevano gridato più e più
volte giocando alla guerra dei ninja per le strade del villaggio, e Minato
dovette sospingerla un po' più forte per distoglierla dalla battaglia e
guidarla verso un vicoletto laterale. S'inerpicarono su una tortuosa scala
malandata, che sinuosa abbracciava un alto palazzo all'apparenza molto antico,
tetro agli occhi di Kushina, e salirono fino alla
terrazza dell'ultimo piano, fra gli improperi sempre più creativi della Uzumaki e qualche sporadico
rimbrotto del suo compagno, fin troppo euforico per potersene curare davvero. Kushina venne issata contro la sua volontà oltre
l'ultimo gradino della scala, e fu a quel punto che Minato d'improvviso le
lasciò la mano.
Sebbene non stesse sorridendo con il viso, sorrideva con gli occhi scaltri, con
le dita nervose e vibranti che non smettevano di agitarsi, con l'inclinazione
appena accennata del capo, con la figura scattante e agile del corpo teso nel
vento frizzante, con il colorito vivace delle gote, con la smorfia spavalda e
divertita all'angolo delle labbra incurvate che significava questa è
l'ennesima sfida, Occhi Verdi, vediamo cos'hai intenzione di fare adesso.
E Kushina, sbrigativa, fece la cosa più inaspettata
che potesse pensare: con un calcio fece volar via i pesanti okobo
e, pur conscia di aver appena perso quindici centimetri e di essere appena
ridiventata il barilotto nano di sempre, in calzini rilassò i piedi indolenziti
sulla pietra dura della terrazza.
"Aah!" si stiracchiò con lentezza:"Che
liberazione!"
Minato scosse la testa con un mezzo sorriso, poi le lanciò una breve occhiata e
incrociò le braccia dietro la testa:"Che gesto
signorile, soprattutto elegante!" "Chiudi il becco. E' già tanto che abbia
resistito tre ore."
"Un'ora" la corresse lui con una punta indulgente di saccenza. "Due ore con questi cosi! Tu piangeresti dal dolore dopo cinque minuti scarsi!" Kushina gli puntò contro il petto un indice accusatore.
"Pfff, piuttosto che piangere
mi taglierei i piedi. Ma" aggiunse subito vedendo
la minaccia incombente negli occhi dell'amica, "Non ho la minima
intenzione di provarli neanche se ne andasse della mia vita."
"Hai paura" il ghigno di Kushina serpeggiò
maligno sul suo viso. "No, a differenza tua sono sano di mente, che è
diverso" ribattè Minato con una spallucciata,
"Voi donne siete completamente pazze a voler mettere quegli zatteroni lì.
Pazze, masochiste e sadiche. Ma del resto già si sapeva."
"Parla per Naoko, Tsume,
Yoshino e per quella sbatticiglia
della signorina UchihaMikoto."
"Almeno loro non sembrano anatre obese quando se li mettono."
"CHE COSA?!Namikaze
Minato! Hai appena firmato la tua condanna a morte immediata,
da eseguirsi senza sentenza, senza processo e senza appello!" gli occhi di
Kushina fiammeggiarono e, rapida, si chinò, raccolse
un okobo e lo brandì come un martello, le labbra
strette e la postura minacciosa di chi non avrebbe esitato un attimo a usarlo.
Quella sera aveva già dato filo da torcere a Naoko
con quel coso, di sicuro con Namikaze sarebbe stato
più difficile, ma quantomeno gli avrebbe cancellato quel ghignetto
supponente dal viso.
Minato per tutta risposta scoppiò a ridere di gusto.
"Frena, frena,Uzumaki.
Chiedo l'armistizio, in virtù del posto in cui ti trovi."
"E sarebbe?"
"Hai dato un'occhiata in giro?"
Il tono di Minato, così naturale e quasi ovvio, l'avrebbe fatta innervosire
ancora di più in altre circostanze, ma in quel momento fu come un getto d'acqua
fresca sul viso. No, non aveva guardato niente, da quando avevano messo piede
su quella terrazza.
Non aveva guardato nient'altro che lui, per essere precisi. "Eh? Che diav-"
La interruppe:"E' il luogo più alto di Konoha, dopo la
Montagna e il Palazzo degli Hokage.
Ma non potevo portarti lì, perchè è controllato da un
plotone di Jonin molto aggressivi giorno e notte, e
non potevo portarti neanche lassù perchè ci avresti
messo delle ore con quegli okosi addosso,
invece questo posto era abbastanza vicino al ponte e in qualche minuto potremo
tornare dagli altri, così nessuno si accorgerà della nostra assen...
Kushina,
mi stai ascoltando?"
No, evidentemente non lo ascoltava.
Un vulcano di scintille si agitava là dove il nastro di seta dell'acqua segnava
il corso del fiume, se tendeva le orecchie poteva sentire un velo finissimo di
musica provenire da laggiù, poteva riconoscere le luci gialle e rosse e rosa e
verdi delle lanterne, le torce inghirlandate che spuntavano qua e là tra la
folla, gli sbuffi di fuoco degli artisti di strada e il vociare sereno della
gente che, laggiù in basso, molto in basso, salutava festante Orihime e Hikoboshi nel loro
passaggio in cielo.
Chissà se Naoko in quel momento stava ancora
ballando, imbranata com'era, nello sguardo luminoso e interessato di Satoshi.
Chissà se tutte quelle figurine sbalzate in colori sgargianti, laggiù, si
stavano divertendo. Dall'alto le sembrava di sì.
"Si vede tutto il villaggio" mormorò qualche secondo dopo, quando si
ricordò di essere a Konoha su una terrazza,
abbastanza lontana dalle occhiate impiccione di chicchessia, senza scarpe,
scarmigliata, col trucco sfatto, il sakè che le rotolava gioioso nello stomaco
e Minato Namikaze -Minato Namikaze- a qualche passo di distanza.
Improvvisamente desiderò che i bicchierini di troppo fossero quattro, dieci, e
forse avrebbe avuto abbastanza coraggio per non sembrare la solita ragazzetta
petulante e aggressiva, rompiscatole, saputella, impulsiva e sguaiata com'era e
sarebbe sempre stata.
"Perspicace" la stuzzicò Minato, pur con un sorriso indulgente che Kushina non vide, "E' tutto qui quello che sai
dirmi?"
L'altra non rispose. Si strinse le braccia attorno al busto, sospirò, raggiunse
il ciglio della terrazza e si sedette sul bordo, lasciando che le gambe
inguainate nello stretto kimono penzolassero nel vuoto.
Minato, con un'incertezza durata un sessantesimo di secondo, le si sedette
accanto. "Ma guarda un po', ho fatto il miracolo? Ho zittito KushinaUzumaki?"
la provocò di nuovo, assestandole anche un leggero colpetto sulla spalla
sinistra. Kushina dapprima tacque, poi si lasciò andare a un
basso ringhio:"Dillo in giro e sei morto e
sepolto."
Il ragazzo rise di nuovo a squarciagola, e la sua risata scoppiettò come la
scia di un fuoco d'artificio.
La kunoichi lo guardò di sbieco, con tutta la pietà,
la compassione e qualcos'altro che non sapeva di provare nello sguardo, e si
chiese per la trecentesima volta dove di preciso Namikaze
Minato potesse essere considerato il genio, il ninja più sorprendente, abile e
brillante della sua generazione, il bambino prodigio di cui tutti i maestri
andavano favoleggiando da quando aveva messo i denti da latte. In un sogno,
forse.
"Dimmi" proseguì Minato interrompendo il flusso disordinato dei suoi
pensieri, "Che avevi scritto nel tuo tanzaku*?" Kushina ricordò allora che l'aveva ancora nella
manica destra del kimono, appallottolato in una tasca segreta, e che s'era
dimenticata di buttarlo nel fiume insieme con gli altri:"Cose
che non ti riguardano. E poi non credo a queste sciocchezze, io."
"Sarà" borbottò l'altro, lo sguardo al cielo.
"Colgo un lieve segno d'incredulità da parte tua" gli fece notare Kushina con particolare ironia.
"L'ho già detto che sei perspicace?" "Sì. Ti ripeti, sei
noioso."
"Allora dirò che hai un intuito formidabile" annuì convinto Minato.
"Nonchè un'intelligenza fuori dal comune,
un'avvenenza senza pari, spiccate abilità in tutte le
tecniche ninja, invidiabili capacità logistico-strategiche
e un senso dell'umorismo che lascia spiazzati" recitò Kushina
compiaciuta, prima di voltarsi di scatto verso Minato:"E tu cos'hai
scritto nel tanzaku?"
Il ninja della Foglia si permise uno sbuffo tra l'esasperato e l'allegro:"Che volevo stare un po' quassù."
Di sicuro Kushina avrebbe commentato con qualcosa di
acido e sferzante, con una delle sue solite battute sarcastiche che erano
considerate un suo segno distintivo quanto lo erano i capelli rossi, le guance
paffute e il naso a patata, ma Minato, tremendamente
serio, la precedette:"E' il mio posto preferito qua al villaggio. Di
solito quando ho una mezz'ora libera, e cioè praticamente mai ma comunque,
quando non ho niente da fare e voglio starmene da solo a pensare ai fatti miei
salgo quassù. Non c'è mai nessuno, questo quartiere non è granchè
frequentato, Palazzo degli Hokage a parte. In
compenso c'è sempre tanto silenzio. Sto bene qui" il sorriso di Minato sapeva entrare nel
cuore, ed era pieno di un sentimento che tutte le Orihime
e tutti gli Hikeboshi di tutti i secoli e di tutte le
epoche non avrebbero mai saputo cogliere. Kushinariflettè,
silenziosa, le mani in grembo, con estrema lentezza.
Quando pose la domanda che pazientemente era andata elaborando, Minato aveva
perso le speranze di cavarle una sola parola di bocca, perciò quando la sentì
parlare stupito si riscosse dal torpore in cui l'aveva immerso l'immagine della
festa del Tanabata in lontananza.
"Stai bene anche adesso, qui?" gli chiese
cauta Kushina. Il suo viso esprimeva un'incertezza
mai sperimentata, era tutto teso nel dominarsi e al contempo nel mostrare quale
dilemma lacerante stava torturando i pensieri impazienti di quella stramba
ragazza di Uzu. Namikaze annuì:"Certo. Certo che sto bene."
"Ma adesso" calcò il tono Kushina,
"Anche adesso, in questo istante, quassù su questa terrazza, stai
bene?"
E il ragazzo decise che poteva anche smettere di tormentarla per quella sera.
Le dedicò un sorriso bonario e affettuoso:"...Con
te sto sempre bene, Kushina. Sempre. E non è
importante stare quassù, o a Uzu, o al villaggio, o
in missione, o all'Ichiraku. Non è importante niente.
Beh, tranne che ci sia tu, certo."
La sentì irrigidirsi come se fosse stata fatta di legno quando le passò un
braccio intorno alle spalle e quando, mimando una naturalezza che in realtà non
sentiva affatto, la attirò verso di sè.
"Se osi farlo lo rimpiangerai per il resto dell'eternità, Namikaze!" si apprestò a balbettare Kushina timorosa, imbarazzata e terrorizzata tutto insieme.
Ma riuscì a pronunciare soltanto un
bellicoso e pieno di panico "Se osi-", perchè
il Dannatissimo fu più veloce di lei.
Non le diede il tempo di continuare: alla terza parola, Minato la stava già
baciando.
We like our fun and we never fight
You can't dance and stay uptight
It's a supernatural delight
Everybody was dancin'
in the moonlight!
...Gli ultimi sprazzi di lucidità stavano già svanendo dalla
sua coscienza, e Kushina, prima di arrendersi, si
disse che forse, dato che Satoshi e Yukiko le erano parsi molto provati dopo la missione,
e visto che non c'era alcuna fretta di rimettersi in viaggio per Uzu, magari ecco, se non avevano niente da obiettare,
potevano fermarsi a Konoha per qualche giorno in
più...
Fin
Glossario SayuriNitta:SayuriNitta è la
protagonista del celebre romanzo "Memorie di una Geisha" di Arthur
Golden. Da come si può arguire, è una geisha, idealmente considerata una delle
più famose dell'Oriente. Tanzaku: Usanza tipica delle festività del Tanabata:
si scrive un desiderio, una poesia o un auspicio di buon'augurio su questi
foglietti verticali di carta di riso, poi si arrotolano intorno a un ramoscello
di bambù, dopodichè vengono o lasciati galleggiare
sul fiume -come ho immaginato per la storia- oppure bruciati dopo la fine della
festa. C'è anche una poesia bellissima tipica del Tanabata,
vi rimando a Wikipedia per saperne di più :).
Note dell'Autrice E se n'èandataanche
un altra flavour coltema n.51: "Why are men such fools they will not realize The wisdom
that is hidden behind those strange eyes?And
these wonderful people are you and I." MinatoKushinoso, non trovate? Secondo me è perfetto per quei due.
Tra parentesi, c'è qualche leggero accenno alla scorsa MinatoKushina,
Crazy Love, purtroppo non sono riuscita
a impedirmi di metterli XD ma son comunque cose di poco conto. Se non avete
letto l'altra non ci farete neanche caso.
Comunque sìsì, ora mi scollo dal MinaKushi
XD è solo che mi diverte moltissimo scriverli e non mi sarei mai aspettata che
mi sarebbero piaciuti così tanto. Cla sarà contenta,
è stata lei a farmi partecipare al contest di forza e a farmeli scoprire :).
Per il resto... ancora auguri, Chaos *________*! La
storia è tutta per te <3!
Risposte
alle recensioni: Mala Mela: Eh, tu lo dicevi, ma vedi che così tanto successo non ha
avuto XD! Mi aspettavo un po' più di recensioni anch'io francamente, quella
storia mi piace da matti e il giudizio tuo e di Rory
rispecchia appieno quello che ne penso. Sigh. Storia
sfortunata.
Comunque spero che anche questa abbia la tua approvazione <3 sai che doveva
essere fin dall'inizio dedicata a te! Ma te ne scriverò un'altra, sì sì, te lo prometto. Comincia
già a scegliere la canzone <3a proposito, quand'è che tu riscrivi
una bella MinaKushi, Clà?
Comunque sì, veniamo al dunque. La
Legge di Charlie. Te la commenterò il
prima possibile *____________* la adoro! Voglio essere Charlie!
Bambi88: Grazie Robi <3 ultimamente non ci
siamo più sentite ma ora appena rigravito su msn chiacchieriamo un po'. Non so com'è finita la tua fissa
per Wolverine! Se hai scritto qualcosa SAI che dovrai pubblicarlo e
conseguentemente farmelo leggere, carissima :D Tortura
per l'odioso Ciclope inclusa.
Ti ringrazio per le belle parole che hai detto sulla MinaKushi,
compresi i minuti di contemplazione XDD sai è una delle storie di cui sono
davvero ma davvero soddisfatta, sarà per l'umorismo, per l'atmosfera, perchè comunque leggerla diverte anche me, che l'ho
scritta.
E' il lato positivo del MinaKushi, che tra l'altro
crea anche assuefazione: sono divertenti insieme *_*
fanno ridere! Lalani: Ed ecco di nuovo colei che legge tutte le
mie storie *_* sei la mia consolazione. So che quando pubblico qualcosa, amenochè non faccia veramente pena, tu me lo commenti! E'
una soddisfazione grandissima avere anche solo un lettore abituale. Me si sente
onorata di ciò.
Comunque spero che anche questa ti sia piaciuta :) è un po' più leggera
dell'altra MinaKushi, del resto con l'avvicinarsi
dell'esame il tempo da dedicare allo scrivere si riduce drasticamente. Non so infatti a quando andrà il prossimo aggiornamento delle flavour ._. sicuramente al mese prossimo. Spero tuttavia
che anche questa ti abbia divertito^^ l'intento e lo spirito con cui l'ho
scritta è questo: ci sono pochi pairing che mi fanno
tirar fuori cose così dichiaratamente comiche, e il MinaKushi
è uno di questi. Chaos: TANTI AUGURI A TEEEEEEEEEEEEEE! TANTI AUGURI A
TEEEEEEEEEEEEEEEEE! TANTI AUGURIIII ALLA CHAOOOS, TANTI AUGURI A
TEEEEEEEEEEEEEEEEEEE! Perdonami, questa cosa che hai appena letto non potrà mai essere
all'altezza di Scenesfrom
the NarcissistCafè, quello
è un mio capolavoro e purtroppo non ce la farò mai più a raggiungere una vetta
così, dovrai accontentarti di una MinaKushi un po'
leggerina e romanticosa al 100%, scritta però con taaaaaaanta buona volontà. Sì sìsì.
Un regalo bello come Narcissist però te lo rifarò
prima o poi *_* sicuro, adesso sai che il tempo e le energie sono quelle che
sono. Non sai quanto 'sto merdoso esame stia influendo sul mio tempo da dedicare
alla scrittura, e ovviamente io sono il triplo più nervosa.
Comunque anche tu mi hai insegnato un 'paio' di
cosette, cara :) ti ho sempre detto che, scrittorialmente
parlando, siamo cresciute insieme in questo anno. Perchè
sì *_* è il mio primo anno di permanenza qui, tu sei stata la prima che ho
conosciuto e quella che mi ha guidato passo passo in
questo Fandom *_* Oh Lè!
Hai ovviamente azzeccato tutte le riflessioni su Minato nella scorsa oneshot. Beh, c'è un motivo per cui l'ho reso più simile a Naruto, ed è che allora era ancora tredicenne :) era
soltanto un Genin e non ancora temprato da altri 5 o
6 anni di allenamento ninja. Qui è un po' diverso, credo^^ la parte 'narutiana' adesso è in Kushina.
Credo XD dimmi tu, che leggi senza i paraocchi di chi scrive. Sicchè la ventesima flavour
è per te <3 tutta tua! Dividine soltanto un pezzetto con Cla
XD visto che colei che mi ha introdotto al MinaKushi
è stata lei.
Spero che ti piaccia come l'altra e come Narcissist,
anche se indegna di essere paragonata agli Shikamaru
e Ino di quella storia!
Capitolo 21 *** Less remain in one place [Temari] ***
Disclaimer: I personaggi citati appartengono a Masashi Kishimoto, che
quindi si prende tutti i diritti del loro uso
Disclaimer:
I personaggi citati appartengono a MasashiKishimoto, che quindi si prende tutti i diritti del loro
uso. Le strofe della canzone riportate all'inizio e alla fine della storia sono
di Time, meravigliosa ballata di Tori Amos che
anche qui giustamente si prende tutti i diritti del caso.
Less remain
in one place
...And the
things you can't remember
Tell the things you can't forget that
History puts a saint in every dream
Well she said she'd stick around
Until the bandages came off...
Il vestito sarebbe
dovuto essere color pulce, come quello delle grandi occasioni, elegantissimo e
appena scollato, non troppo se si volevano evitare le scenate di Kankuro e di Gaara.
Prevedibile come ogni singola circostanza si fosse verificata con precisione
millimetrica, compresa la discussione con i suoi irascibili fratelli che alla
fine, stremati da una lunga battaglia dialettica, avevano ceduto, seppure di
malavoglia.
Dunque lo splendido vestito da cerimonia guardava Temari
dall'alto dell'anta dell'armadio a cui era stato appeso. Temari, un po' vuotamente per la verità, guardava il
vestito, elaborando una scusa dopo l'altra per non indossarlo. Scuse molto
credibili, ovvio. Si sarebbe indossato da solo era una di queste, ad esempio.
A quel punto, seguita da una mezza dozzina di strambi personaggi vocianti,
senza neppure bussare era entrata Matsuri.
La sua stanza divenne un risuonare di voci confuse e petulanti che chiedevano
lumi sulle portate, sulle lampade a olio che avrebbero illuminato la terrazza,
sul colore dei festoni, sui cinque musicisti di Suna
che avrebbero allietato le orecchie degli ospiti: Matsuri,
con la sua vocina pacata e pragmatica, rispondeva a tutti dipanando dubbi che
avrebbero rischiato di pregiudicare lo svolgimento della festa e, mentre lo
faceva, riusciva anche a spazzolare con cura il vestito elegante e a
drappeggiarlo sul corpo di Temari, che con scarsi
risultati fingeva di dormire il migliore dei sonni.
"E, sì, Ozu-san, faccia preparare un dolce
sobrio, anzi, una serie di dolci, non siamo a un funerale né a un matrimonio e
le cerimonie pacchiane sono troppo volgari. Le farò avere una lista delle
preferenze degli invitati fra un'ora. Già che ci siamo, Miyazaki-san,
si dimentichi le luci colorate e gli addobbi vistosi, la signorina ha gusti
semplici. A proposito, Kurosawa-san, niente posate
d'argento od ostentazioni gratuite. Temari-san, il vestito non s'indosserà mai da solo di
questo passo." Temari era stata molto chiara in merito: non
voglio nessuna stupida festa. Matsuri aveva
replicato cristallina indicendo il ricevimento per i venti anni di Temari-hime per il mese successivo.
L'opposizione di Gaara e di Kankuro
aveva finito per crollare, ma solo dopo un'agguerrita e ostinata resistenza.
Quale fosse il motivo che la spingeva a infilarsi in quel vestito, a indorarsi
le gote di cipria e ad abbandonare per una sera pugnali e shuriken,
Temari non lo capiva fino in fondo. Matsuri l'aveva avuta vinta così facilmente che c'era
da chiedersi quanto alla fine la prospettiva della festa la nauseasse davvero.
Sempre meglio comunque di un viaggetto in missione diplomatica a Konoha o a Mizu. Matsuri in fondo aveva letto in lei come in uno
specchio, si era fatta carico dei desideri che Temari
mai e poi mai avrebbe confessato a chicchessia, neanche sotto tortura, e infine
si era accollata l'onere di mettere in piedi un ricevimento degno di questo
nome.
L'aveva detto a Gaara, Temari:
Matsuri era il vento fresco che spazzava via la
polvere da quelle stanze, che dissipava i veli di buio. Ma Gaara
da quell'orecchio proprio non ci sentiva...
Su una cosa però Temari era stata irremovibile: i
capelli. Niente crocchie, trecce, boccoli o fronzoli vari, i suoi quattro
codini erano sufficienti. Tanto più che aveva un viso troppo pieno per
acconciature simili.
Dunque Temari stava lì, l'espressione appena un po'
ebete e pensosa, gli occhi verdi e distanti che fissavano l'ingresso del
palazzo senza vederlo neppure.
Pensò a Kankuro, a Gaara. A
Matsuri immobile vicino a loro.
Le venne quasi da ridere.
Forse da lontano sembravano una famiglia, non tre individui inciampati
nella stessa trappola.
Erano eleganti, benvestiti, alteri. Eppure, ammise con cautela, sembravano
umani. Almeno da lontano.
Poi Temari non ebbe più fiato né pensieri, perchè un turbine rutilante di voci, visi e sorrisi la
avvolse come uno scialle. Lo stato maggiore di Suna e
quello di Konoha si erano incontrati alla sua porta e
come il delta di due fiumi la travolgevano in un coro di auguri e risate. Temari rise in faccia a NaraCry-baby quando scartò il suo regalo, per poi
scoprire con orrore che l'aveva scelto la Yamanaka a nome di
tutto il Team. Gaara dovette salvare la situazione
invitandoli non troppo gentilmente a raggiungere il tavolo per la cena e
scoraggiando perfino l'allegria insistente dell'Uzumaki.
Il ventaglio nuovo che le avevano regalato i suoi fratelli giaceva al piano
superiore, appoggiato a una parete della sua camera, ed era stato il solo
regalo che Temari giudicasse tale. Il solo di cui le
importasse qualcosa. Nonostante tutto non riusciva davvero, pensava, a essere
diversa da se stessa, fosse anche per una sera.
Per due volte le
bottiglie di sakè ripresero la strada delle cucine, perchè
pareva che sarebbe successa una catastrofe se lo strambo tizio dalla tutina
verde, Rock Lee, ne avesse bevuto un solo goccio. Per la stessa ragione
l'ottimo vino di Suna sparì quasi esclusivamente
dalle parti del gruppo Nara, Uzumaki,
Inuzuka, Sai e Akimichi,
autoproclamatisi all'unanimità tutori dell'ordine e di Rock Lee. I tentativi di
Kankuro e di Baki-sensei
per strappar loro la bottiglia andarono tutti tragicamente a vuoto.
Le risate scoppiettavano sui loro visi, guizzavano da un volto all'altro rapide
e meravigliose come fiori, percorrevano l'intera tavolata in un unico impeto
esplosivo.
E il vino danzava, danzava: cantava la sua roca canzone accompagnandosi ai
sapori forti della cucina di Suna, al saettare pacato
degli occhi di Matsuri che, impagabile, controllava
che ogni cosa fosse al suo posto. Temari guardò Kankuro,
guardò Gaara. Kankuro, di punto vestito dell'uniforme di gala,
combatteva con foga contro un bianco-mangiare allo zenzero e cannella, il suo
dolce preferito. Seguiva il dondolio molle del budino con un'attenzione quasi
maniacale. Gaara, seduto alla sua destra, sorseggiava composto
un calice di vino fortunosamente sottratto alle mire dei ninja di Konoha. La sua espressione severa stava come cedendo, come
chi si sforza di rimanere impassibile pur volendo scoppiare in una risata
fragorosa. Temari sentì qualcosa di molto simile alla tenerezza.
Sorrise, mesta.
"Signori ma
soprattutto signore, 'sta sera il miglior ballerino di Konoha
è qui per voi!"
E con una piroetta sbilenca l'Uzumaki s'era lanciato
in mezzo alla sala, giusto un minuto prima che la Haruno
lo riagguantasse per un orecchio facendolo ululare di dolore. L'Uchiha, di fianco a lei, aveva borbottato un bisillabo
molto simile a "Dobe".
Ovviamente spettava a Temari aprire le danze, per
quanto l'idea di ballare la facesse singhiozzare dal ridere come un'isterica.
Danzò con Gaara. Danzò con Kankuro.
Danzò con Baki-sensei. Danzò con, udite udite, ShikamaruNara -ricevendo per questo un'occhiata di puro veleno da
parte della Yamanaka. Danzò con l'Akimichi.
Danzò con l'Aburame. Danzò con l'Inuzuka.
Danzò con Sai. Danzò con la migliore gioventù di Konoha,
con il fior fiore degli Anziani di Suna e infine con
un paio di Jonin davvero niente male.
Fece persino l'esperienza allucinante di danzare con l'Uzumaki
e anche quella, non meno allucinante, di danzare con Rock Lee.
L'Uchiha e l'Hyuuga invece,
irremovibili, opposero il proprio veto all'idea di danzare con qualcuno e a
nulla valsero le proteste della Haruno e di Tenten. Temari sentì il capo girarle vorticoso, non per il
vino o per il cibo, ma per le risate convulse che le dilaniavano lo stomaco. Era lei, quella? Dio, era proprio lei quella? Guardò Gaara, guardò Kankuro.
Loro, dall'altro lato della sala, risposero in silenzio al suo sguardo. Erano loro, erano davvero loro? Temari non capiva perchè le
venisse così tanta voglia di piangere.
Le scarpe col tacco
erano volate senza tante cerimonie sotto al tavolo, e scalza Temari aveva accompagnato al gabinetto un InuzukaKiba in stato di deliquio
etilico. Era tornata pensosa verso il salone, le mani strette dietro la schiena
e l'eco dei conati di Kiba nelle orecchie.
Disgustoso, davvero disgustoso.
"Cry-baby, ti togli di qua?"
"Sicuro, Temari." E Shikamaru,
leggermente brillo, non accennava a spostarsi. Temari sospirò.
"Sono la festeggiata nonchè neo-ventenne, ho
diritto a un po' di pace. Fammi indovinare, perchè
non sei con la Yamanaka?"
"Appunto." Shikamarusbattè le
palpebre. Temari lo imitò.
"Và da lei." La tentazione di chiamarlo cagasotto
era talmente forte che Temari non seppe davvero come
riuscì a resistere: tacque, si morse l'interno delle gote fino allo spasmo e
con sollievo vide che Shikamaru annuiva serio, per
poi raffazzonarle un sorriso ebbro.
"Sì. Grazie. Anche per la festa." E in un istante sparì verso il
salone. Temari scosse il capo, chiedendosi quale intelligenza
superiore avesse definito gli uomini "sesso forte".
Si avvicinò a una finestra e osservò il villaggio silenzioso splendere come un
diamante, mentre nell'aria si inseguiva l'eco del ballabile che l'orchestrina
stava eseguendo per la sesta volta sotto le proteste dell'Uzumaki,
scatenato come non mai.
I granelli di sabbia onnipresenti in quel palazzo le solleticarono fastidiosi
le piante dei piedi, ma non ci fece neppure caso, vi aveva fatto l'abitudine da
molto tempo. Temari in silenzio spense con un soffio una lampada
ormai sul punto di affogare nel suo stesso olio e raddrizzò una lanterna di
carta quasi del tutto rovinata a terra. Gaara si era eclissato da ore e Kankuro
aveva trovato un nuovo passatempo: ridere delle sbronze altrui e possibilmente
contribuire a peggiorarle, come stava testè facendo
con l'Uzumaki coadiuvato da HyuugaNeji. L'Uzumaki tra
l'altro, dopo aver ballato con tutte le ragazze di Suna
e anche con qualche donna d'età non più verde, aveva concluso la sua carambola
di danzatore sulle ginocchia di HyuugaHinata, chiamandola celestiale YukiOnna. La Hyuuga non era stata in
grado di costruire una frase intelligibile per il successivo quarto d'ora.
"Temari-san, la festa è la tua, ed è di
là." Matsuri, gli occhi scuri e limpidi fissi su di lei,
la osservava dall'angolo d'ingresso alla sala.
"Andiamo, Tsuri-chan, non farmi la predica"
sbottò Temari improvvisamente insofferente. Matsuri, contro ogni aspettativa, sorrise.
"Ho parlato con Takeru-sama. La Roccia ha accettato le
nostre condizioni."
"Firmeranno?"
"Firmeranno."
Le due kunoichi si sorrisero. Temari
allora rilassò impercettibilmente la schiena.
"Questo sì che è un regalo di compleanno," mormorò.
"Mi dispiace molto, Temari-san."
"Eh? Per cosa?"
"Hai appena acceso un bastoncino d'incenso per quell'altare, vero?"
"Ma piuttosto parliamo di te, Tsuri-chan. Và da Gaara prima che diventi nervosa."
"Uh?"
"Non fare finta di niente. Sarà sul tetto, come sempre. Và da Gaara e giuro che se domattina non ti trovo in camera sua
ti spedisco in missione a Kumokagure per sei
mesi." Matsuri avvampò, scandalizzata:"M-ma... ma... Temari-san!" Temari sibilò un lapidario "Vai" e la
ragazzina si dileguò in tutta fretta verso le scale. Una scocciatura in
meno. La Jonin
si congratulò con se stessa: il suo sguardo omicida evidentemente aveva ancora
un certo effetto, poteva consolarsi, non s'era ancora rammollita del tutto. Si
tranquillizzò.
Ma non completaamente: la parte più segreta e intima
di lei, quella che desiderava un simbolico riconoscimento per i suoi primi
venti anni su questa terra, quella che aveva urlato di terrore agli attacchi
d'ira di Gaara, quella che, non vista, piangeva con
la rarità eccezionale dei temporali nel deserto, strizzò un occhio d'intesa a Matsuri, e fu come sussurrare "Va bene, ti restituisco
il favore, perchè, malgrado tutto, tu sai che io so,
e io so che tu sai."
Se in passato c'erano
state delle ostilità fra Suna e Konoha,
dopo quella sera potevano dirsi definitivamente appianate. Baki-sensei, sottobraccio all'Uzumaki
da una parte e dall'altra all'Akimichi, intonava
l'Inno di Suna con fervore patriottico e veniva
imitato con pari ardore dai compagni di bevute. Gli Anziani se n'erano andati
già da troppo tempo per poter inneggiare al decoro oltraggiato, mentre i Chunin e i Jonin di Suna avevano preso allegramente parte al simposio e
insegnavano il testo dell'Inno ai colleghi di Konoha. Temari assistette interdetta alla scena.
"Stanno andando avanti così da ore" le sorrise Tenten,
"Penso che tireranno mattina."
"Ah, per me..." Temari roteò gli occhi e si
lasciò cadere scomposta su una sedia, poco lontano da HinataHyuuga.
"Sono esilaranti" continuò Tenten.
"Io piuttosto direi ubriachi."
"Sono... buffi" mormorò incerta YukiOnna-pardon, Hinata.
"Un po' meno quando svomitazzano dappertutto
come quel tuo compagno di squadra, come si chiama, ah sì, Inuzuka." Tenten venne scossa da una marea di risate convulse. Hinata invece parve ancor più mortificata e nascose la
testa tra le spalle.
"M scusi, Temari-san."
"Ma figurati. Mica sei stata tu a rovinarmi la tappezzeria." Tenten rise di nuovo, mentre la Hyuuga
non sembrò molto tranquillizzata.
Se c'era qualcosa che Temari non sopportava era
l'arrendevolezza, soprattutto durante la *splendida* festa per il suo ventesimo
compleanno, organizzata contro la sua volontà e perdipiù
trasformata nel trionfo dell'alcol e del cameratismo.
Alzò gli occhi al soffitto. Calma, Temari, calma.
Caracollando per non incespicare nel vestito arrivò fino alla tavola, si servì
un generoso bicchiere di liquore e tornò alla sedia. Porse la bevanda alla Hyuuga con un insolito sorriso cordiale.
"Avanti, bevi." La Hyuuga
oppose una resistenza fin troppo friabile, soprattutto dopo che Temari la rassicurò con calore:"E' solo acqua, non
vedi?" Hinata, un po' riluttante, bevve.
S'infiammò non appena il liquore le raggiunse la gola, poi cominciò
immediatamente a tossire. Tossì finchè non le
spuntarono le lacrime e le gote non le divennero di fuoco. Tenten quasi cadde dalla sedia per il gran ridere.
"Ops, devo essermi confusa" fischiettò
innocente Temari. Hinata la fissò a lungo.
Poi, come se fosse la cosa più naturale del mondo, rise. La risata più sincera,
più argentina che Temari avesse mai sentito.
Il suo riso e quello di Tenten si mescolarono un po'
esitanti a quello genuino di Hinata.
Non c'era ragione, in fondo, per rovinare la serata anche a qualcun'altro.
Il suo viso stravolto,
con tanto di occhiaie e pelle livida, le fece capolino dal riflesso di una
finestra. Adesso cominciava a essere decisamente molto, molto stanca e
irritabile. Aveva sfidato Tenten a una partita di Mah-Jong, sicura della vittoria, ma la Chunin
di Konoha l'aveva stracciata come un foglio di carta,
per dirla in parole spicce. Era stato soprattutto il suo umore, poi, a esserne
uscito sconfitto.
Neppure assistere all'ondata di furore popolare che si era scatenato quando Sai
aveva offerto a ogni ragazza di posare nuda per un ritratto l'aveva fatta
sorridere. Neppure vedere la Yamanaka che trascinava Cry-baby dalle parti della foresteria. Neppure vedere l'Uzumaki che si era definitivamente buttato addosso alla Hyuuga e le russava angelico in grembo, mentre lei tentava
in tutti i modi di non svenire. Temari in fin dei conti era sempre e solo Temari, c'era ben poco da fare.
Era una specie di condanna, ecco.
Quando il frastuono delle voci aveva finito per innervosirla, aveva requisito
una bottiglia di sakè e si era avviata verso la terrazza. Aveva spento un paio
di torce ancora accese, così, tanto per sottolineare che la festa poteva anche
dirsi conclusa, ed era stato allora che li aveva notati.
Seduti sul pavimento, sotto l'oblò di una finestra, Sakura Haruno
e SasukeUchiha osservavano
in silenzio una gigantesca luna rossa che sembrava voler cadere loro addosso da
un momento all'altro.
Anzi, a dire il vero la Haruno guardava solo l'Uchiha. Come se lui fosse addirittura meglio della
luna.
Parlavano piano; qualunque cosa si stessero dicendo, Temari
passò oltre con discrezione.
Raggiunse il parapetto e per un istante il suo sguardo volò lontano, incontrò Suna che sonnecchiava nel buio e il deserto che in
lontananza riposava come un'enorme bestia addormentata. Si sedette e tuffò le
gambe nel vuoto, le lasciò penzolare nell'aria bruna senza curarsi dello spacco
del vestito, dell'aria frizzante sulla pelle nuda, dei capelli in disordine e
del trucco che aveva cominciato a dare i primi segni di resa.
Quella era una notte fortunata: il clima desertico prevedeva un caldo
asfissiante durante la giornata e un gelo polare non appena il sole calava
dietro le dune, ma questa volta aveva risparmiato un po' del suo freddo
notturno. Il regalo di compleanno, pensò Temari, che
il deserto le aveva fatto.
Posò la bottiglia di sakè un po' più in basso, sul pavimento.
Non sentì né freddo nè sonno: si sforzò di escludere
ogni rumore attorno a lei, di cancellare meticolosamente ogni traccia umana che
si fosse frapposta tra lei e il silenzio. Via le risate, via lo sfrigolio dei
flauti, via le chiacchiere inconcludenti. Voleva solo il silenzio, Temari, voleva solo quello.
Stare immobile al centro del mondo per un istante lungo tutta un'eternità. Oh, sì.
"Temari-chan?"
"Mh? E chi diavolo è adesso? Nessuno può
chiamarmi Tem-" Temari si voltò e rimase lì, cristallizzata in
quell'atto e in quella frase che non riuscì a terminare, come la lancetta di un
orologio che aveva esaurito la carica.
Sbigottita fece cadere lo sguardo sulla bottiglia di sakè poggiata a terra e la
trovò intonsa, l'orlo verdognolo del liquido che occhieggiava dall'imboccatura
stappata.
Non era ubriaca.
(Sapeva che il giorno seguente avrebbe preso l'altare, la fotografia e i
bastoncini d'incenso e avrebbe buttato via tutto, tutto quanto.)
Diede subitaneamente la colpa a un sogno: doveva essersi addormentata a forza
di pensare. Un sogno, solo un maledetto sogno. Un sogno, sì.
Sua madre la guardava con occhi identici ai suoi, occhi che sorridevano
perlacei nel buio.
Non ci sarebbe stato nulla di sbagliato, se non per il fatto che Karura, sua madre, era morta diciotto anni prima dando alla
luce Gaara.
Niente di tutto questo è vero, realizzò Temari.
Eppure il viso di sua madre sembrava così dannatamente reale, così vivido,
proprio come nelle fotografie, proprio come nei ricordi...
Sorrise, Karura.
"Sono venuta a vedere come stavi, Temari-chan."
"Io sto... sto bene, tutti noi stiamo bene" e voleva dirle quanto era
stato difficile senza di lei, quanto era stato duro imparare tutto quanto da
capo e da soli, quanto era stato doloroso capire, e poi raccontarle di
tutti gli errori, di tutti i denti stretti, di tutte le notti gelide e
interminabili, di tutti gli incensi accesi davanti alla sua fotografia, di
tutto quello che era andato irrimediabilmente in pezzi e-
"Ci sei riuscita, Temari-chan?"
"...A fare che cosa?"
"Ad amarli."
"Io credo, penso che... Sì."
"Mi perdonerai mai, Temari-chan?"
"No."
E Temari si voltò di scatto verso Suna,
che per sua fortuna era reale. Il villaggio, desolato, non seppe come
consolarla.
Nascose il viso tra le braccia e serrò ostinata le palpebre sugli occhi aridi.
Non pensò a Kankuro, non pensò a Gaara,
non pensò proprio a niente: era troppo occupata a ignorare il lago di ricordi
che d'improvviso le si era aperto davanti al volto.
Sillabava atona un'unica piccola parola, senza sprecare neppure un filo di
voce, nel silenzio perfetto del suo buio: mamma, mamma, mamma.
Quando rialzò il capo
c'era solo il sussurro bizzarro del vento a farle compagnia: nessuno attorno a
lei. Stranamente se lo aspettava.
Ebbe voglia di gridare così forte da svegliare il deserto e spaccare il mondo
intero.
Si accorse che la luna era definitivamente caduta: era l'alba. Temari si stropicciò gli occhi appiccicati dal sonno,
si sporse all'indietro, afferrò il collo della bottiglia di sakè e la poggiò
accanto a sé sul parapetto.
La sua prima, fottutissima e stramaledetta notte da ventenne si era appena
conclusa. E lei era sopravvissuta, più che altro. Ma allora 'fanculo a tutto il resto. Temari innalzò in silenzio la bottiglia al cielo
di rubino e un istante dopo il sakè scrosciando allegro le bruciava già le
pareti della gola.
Alla salute.
...And it's
Time TimeTime
And it's Time TimeTime
And it's Time TimeTime
That you love
And it's Time TimeTime...
Fin
Kumokagure: Il Villaggio della Nuvola. YukiOnna: Creatura
mitologica del folklore giapponese (con cui peraltro sono fissata) e
personificazione dell'inverno. Ha i capelli lunghi e nerissimi, la pelle nivea
e i suoi occhi terrorizzano i mortali. Si capisce adesso perchè
un ebbro Naruto l'ha paragonata a Hinata
;)?
Nota dell'Autrice Misà che Temari tanto IC
non è. Damn. Io che con il Canon sono praticamente
fissata!
Il problema è non renderla la maniaca omicida della prima serie né la brava
ragazza dello Shippuden, ma amalgamare entrambe le Temari e aggiungere una bella fetta di maturità. Voglio
dire, sono passati due anni dalla fine dello Shippuden,
la nostra Temari sarà maturata.
Questo è un tributo, comunque, a una delle kunoichi
più sole, forti e determinate di tutta la saga.
Infine, piccola nota esplicativa sul titolo: non è che gli scelgo a randomperchè così prima o poi ne
esaurirò 52 (OPS XD! Misà che ho svelato il
trucco...), no no. "Lessremain in oneplace" significa "Rimane meno in un posto" e
io l'ho inteso come la totale non-appartenenza di Temari
a qualunque ambiente, compagnia, luogo lei frequenti. Guardatela: passa da una
scena della festa all'altra, raddrizza le cose che non vanno, aggiusta questo e
quello (Shikamaru e Ino, Gaara e Matsuri), irrompe nella
sala come un'anima in pena e, uscita lei, non rimane niente. Vede o non vede
sua madre? Non importa, perchè comunque non la
perdonerà mai per essere morta, per averli lasciati da soli e averli oltretutto
maledetti.
La casa di Temari è in se stessa, tutto qui.
Se non si è capito, le storie alla "Tutto in una notte" mi piacciono
moltissimo.
Questo scrivevo in calce a questa storia oltre un anno fa, dato che il
tributo che avete testè letto risale a marzo 2008 :D
quando ero in piena crisi di mezz'età per l'avvento del mio 18esimo compleanno. Mwahahahahaha.
Comunque, questo aggiornamento è per dire che THE BITCH IS BACK, non
sono morta né mi hanno rapito gli alieni, sono tornata in tutta la mia
esecrabile persona :D e domani inizio l'Università. Allegria!
Ringrazio i magnifici sei che hanno commentato la precedente flavour, nell'ordine: Cla Mela
-da cui mi devo assolutamente far perdonare T.T-, Topy, Koks, Lalani, Chaos -a cui sono
sicura che l'Hinata di questa storia starà sulle
balle XDD- e infine Amaranth93.
La prossima volta giuro che ricomincio con le risposte alle recensioni!
Prometto solennemente!
Ultima cosa: mi è stato notificato ieri via mail che le Flavours sono state inserite tra le Storie Scelte del sito
*_____*! Sono tanto felice per le mie piccole!