Cuore di Zingara di KikiWhiteFly (/viewuser.php?uid=33036)
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** 1. Soldato e Gitana ***
Capitolo 2: *** 2. Ricatto ***
Capitolo 3: *** 3. Prigione ***
Capitolo 4: *** 4. Sapore di libertà ***
Capitolo 5: *** Epilogo (~ Cuore di Zingara) ***
Capitolo 1 *** 1. Soldato e Gitana ***
Sono
sincera: in questa storia ho messo il cuore.
Un
po' perché ho avuto un periodo abbastanza critico, indi,
volevo
tornare a farmi viva coi contest -dopo un'estate senza computer,
praticamente XD- con qualcosa di serio. Non perché altre mie
storie
non lo siano, semplicemente questa ha qualcosa di diverso, è
come se
avessi scrutato dentro me stessa, a fondo, e poi avessi trasportato
quei sentimenti nella mia storia.
Tutto
partì da un disegno... io frequento il Liceo Artistico,
quindi per
me disegnare è normale. Iniziai ad abbozzare uno schizzo,
che poi si
trasformò in un vero e proprio disegno... e poi i miei
personaggi
presero vita, Sasuke e Sakura *_*. Me lo sentivo, dovevo scriverci
qualcosa... qual occasione migliore se non un'imminente
contest?<3.
Vi
presento così una fan fiction che mi resterà
sempre nel cuore, il
“Cuore di Zingara” -così come cita il
testo- è diventato anche
il mio, con il tempo... Posso dire di essere felice ed un po'
emozionata, perché Quinta
su Ventuno non me l'aspettavo
proprio... in più a parimerito con Darkrose86
e questa è la
cosa che mi ha scombussolato di più. È un onore
esser arrivata a
parimerito con lei, davvero. Non lo dico con falsa modestia o
semplicemente per elogiarla, ma perché è davvero
così.
È
una fan fiction di quattro capitoli, più l'epilogo. Spero vi
piaccia
<3... ahimè dovete già sapere che
sarà angst ^^... metterò il
giudizio della giudiciaH (Red Diablo) nell'epilogo, onde evitare
spoiler <3.
Un
grazie speciale alla mia beta Elwerien.
Una
carissima ragazza che ieri sera è andata a dormire
ad
un orario indecente solo per moi, e mi ha sopportata tutti questi
giorni
nelle mie continue -e ormai abituali- crisi del “Non ce la
faccio a
continuare”
XD.
Inoltre adoro questa ragazza, perché si dimostra una persona
estremamente garbata e
socievole,
con cui mi trovo veramente in armonia <3.
Abbiamo
la stessa vena di sadismo/angstosità *ç*, indi
per cui ogni cosa
che scriviamo sa di sangue <3.
Fan
fiction dedicata ad Elwerien,
un
TesoVo di persona <3.
Cuore
di Zingara
1.
Soldato
e Gitana
Ancheggiava il
bacino, con perfetto controllo. I suoi occhi erano socchiusi, si
lasciava trasportare dal suono del cembalo, tastando con perfetta
audacia il suolo arido ora divenuto un palcoscenico per grandi
talenti. Forse gli sguardi correvano alla prorompente scollatura
oppure allo spacco oltremodo provocante… ma non le importava
granché. Mostrava gambe e braccia senza alcun pudore, la sua
era una
sensualità da strega,
avevano detto in molti. Sì, lei era
una strega.
Così ormai
veniva nominata. Bastava dar voce ad un alito di vento, e tutti si
fidavano della prima insulsa menzogna che passava di strada. La gente
era ingenua e allo stesso tempo cattiva. Ingenua, sì.
Andavano
incontro a falsi ideali e stupidi ragionamenti. Cattiva,
perché
parlavano senza cognizione di causa. Era abituata, ormai, a quelle
occhiate languide che le rivolgevano, a quegli sguardi che non
elogiavano sicuramente la sua indole artistica.
“Prostitute a
quest’ora! Quasi quasi ne approfitto!”
Ecco, il solito
marpione da quattro soldi. Ad accerchiarsi intorno a lei folle di
umili briganti e artigiani, che non si tiravano indietro a qualche
risata di scherno, peraltro assolutamente ridicola. Un coro di risa
sguaiate perforò
le sue orecchie; ma a Sakura Haruno
bastava guadagnare il pane da portare in tavola e racimolare qualcosa
per tirare avanti. Il resto era solo rumore.
Questa era la sua
vita. Questa era la sua casa.
La
strada.
Quella
strada
che a volte rendeva felici, altre volte rendeva disperati.
Almeno fino a
quel giorno. Dietro la folla inferocita spuntò
qualcuno… aguzzò
la vista, aprendo le palpebre dapprima socchiuse: un mantello nero si
fece strada e superò tante persone. Lui, con quello sguardo
gelido e
quel portamento regale, incuteva una certa soggezione.
“Andatevene.”
Il suo tono era pacato, eppure gelido. Sakura si ricordò di
respirare solo dopo pochi istanti. Ora poteva sfiorare il soffice
mantello, poteva notare la spada custodita nel fodero; e allora
capì.
Capì che tutte le sue fantasie potevano andare bellamente a
farsi
benedire.
“Un soldato?”
domandò più a se stessa che a lui. Quello che
prima era un dubbio
ora diveniva una certezza, dal momento che l’uomo in
questione
aveva cacciato fuori una lama che scintillava alla luce del sole.
“Un
assassino”, lo guardò con disprezzo, quando
sentì la punta gelata
sulla sua epidermide.
“Andatevene”
ripeté. “Le streghe come voi hanno vita breve,
ricordatevelo”, e
fece un po' più di pressione sulla sua pelle. Ottenne
l'effetto
desiderato: le labbra della zingara si fecero contratte.
Adesso
si stava mordendo il labbro inferiore coi denti, sofferente.
Essere
disgustoso. L'Haruno trattenne
un conato di vomito,
indietreggiando di parecchi centimetri. Il suo braccio aveva preso a
sanguinare, di poco. Il segno della spada sarebbe comunque rimasto,
senza alcun dubbio. Era capace
di uccidere... senza pietà. Si
trovò con le spalle al muro, le vecchie pietre che si
sgretolavano
dietro la sua schiena. Lo fissò, senza alcun timore; poi
fece leva
sulla pietra più sporgente di tutte e vi appoggiò
un piede. “Gli
assassini invece...”,
non riuscì a trattenersi. Conosceva i
rischi e i pericoli: poteva ritrovarsi piegata alle sue stesse
volontà in un batter d'occhio, ma di sicuro non avrebbe
trattenuto
quel boccone amaro in gola. Lui le prestò una certa
attenzione,
esortandola a continuare. “...
gli assassini pagheranno il
sangue che è stato versato dagli innocenti.
Ricordatevene”.
E, con un agile
scatto, si trovò dall'altra parte. Il cuore in gola, le
ginocchia
tremolanti, il respiro affannato. Sakura strisciò
verticalmente,
affondando
il capo tra le
mani; e pianse, ma non di dispiacere o di sofferenza. Bensì
di
paura, quella
strana forza che agitava il suo animo e si
prendeva gioco delle sue sicurezze. Il senso di terrore che aveva
sentito mentre il soldato la guardava negli occhi, pensando a
qualcosa tutt'altro che innocente... I suoi occhi, appunto,
sembravano volerle squartare l'anima. Singhiozzò
più forte,
tappandosi subito dopo la bocca. Stava convivendo col pensiero che
lui sarebbe potuto venire a prenderla nella notte, strapparle il
cuore e gettarlo nelle fauci del fiume più vicino, senza che
nessuno
sospettasse di nulla.
Batteva
ancora, troppo rapidamente.
Sentiva
che stava per andare in crisi,
doveva calmarsi. Inspirò ed espirò più
volte, inalando l'ossigeno
necessario. Alla fine si pulì il viso
col dorso della mano, non potendo eliminare però quegli
occhi, lo
sentiva perfino lei, arrossati. Erano divenuti gonfi e tanto stanchi,
che temeva di cadere in preda del sonno da un'istante
all'altro.
Si rialzò, cautamente, marciando con passo sicuro lungo le
strade
piene
di zingari... gitani.
La
gente pronunciava con disprezzo quella parola, quasi a volerla
vomitare. Erano convinti che le persone come loro non fossero altro
che ladri. E invece, l'unica cosa che Sakura vedeva mentre camminava,
era l'onestà. Quell'onestà
che le era stata infida
dall'altra parte della barricata, quell'onestà che, quando
vogliono,
gli uomini sanno mostrare anche se sanno già di non poterla
mettere
in pratica: non con loro.
Cosa
c'era poi di diverso fra i loro
mondi?. I bambini avevano lo stesso sorriso di quelli ricchi,
le
donne faticavano come muli durante la giornata ma tornavano a casa
abbracciando i loro figli, e i padri si preoccupavano come perfetti
capo famiglia, accollandosi tutto sulle proprie spalle. Non capiva,
allora: cosa c'era di diverso?. Un piccolo nodo le bloccò la
gola.
Respirò frustrata.
D'altronde
non possiamo aggiustare
tutti i torti di questo mondo. Possiamo solamente sperare in
qualcosa
di migliore, in fondo...
sognare non costa nulla.
“Sakura,
hai visto... Ho finito
tutto!”, esclamò una piccola birbante di pochi
anni leccandosi il
contorno delle labbra. Le stava tirando forte la gonna e rivolgendole
un sorriso a trentadue denti, ansiosa di
ricevere complimenti. “Bravissima!”, le rispose
lei,
accarezzandole la testolina mora. La piccola gioì alcuni
istanti,
poi corse dalla sua mamma, appoggiandosi alle sue ginocchia. La
ragazza invece posò il mestolo: non aveva molta fame. Decise
di
saltare la cena, lasciando quasi come un fantasma la catapecchia che
fungeva da abitazione. Sollevò la tenda -la
porta-, uscendo
fuori e sentendo il fresco venticello pungerle la pelle. Prese una
delle fasce che teneva legata in vita, passandosela sulle spalle.
Dopo tanto tempo guardò la luna in cielo, alta e maestosa,
eterna e
immortale. Ecco, così sarebbe voluta nascere.
Fissò con occhi
meravigliati la forma circolare, immersa in
uno sfondo blu scuro: il cielo, ornato a tratti da nembi di
brillanti.
Ma
in fondo, si disse,
si
sarebbe accontentata di venir trattata come un essere umano.
Quel
pensiero la amareggiò, e priva
di paura o inquietudine, a
piedi nudi, percorse la strada
deserta; era solo curiosa e determinata, perfino di scoprire i
pericoli del mondo. Più in là vedeva delle luci
lampeggiare... no,
non luci: erano fiaccole. Enormi fiamme, rosse e splendenti, stavano
avvicinandosi sempre più, man mano che il suo passo si
faceva più
lesto. Si nascose dietro una roccia, lanciando però
un’occhiata
con la coda dell’occhio a quel gruppo di soldati che
sembravano
sulle tracce di qualcuno. Vedeva due mani gesticolare e spiegar loro
i comandi. Erano proprio soldati, pensò con rammarico.
Rispondevano
a qualunque richiesta con un sì affermativo, seguito quasi
sempre da
signore. Se
assottigliava lo sguardo poteva notare un mantello
scuro, una chioma color petrolio, un'espressione ostile e sgarbata,
di chi non voleva perdere. Certo,
era lui!
Il
pensiero la irrigidì all'istante;
trasalì incerta, come se sapesse già di dover
andare al rogo. Già,
perché da quando c'era il “famoso
Uchiha” in città, una gitana
alla settimana veniva bruciata viva, nel grande falò della
domenica
pomeriggio, con tanto di sentenza di morte per stregoneria.
Che
idiozia. Le streghe erano ben altre, in questo mondo insozzato dalla
guerra e dalla povertà. E, mentre loro perdevano tempo a
dare alle
fiamme l'intera città, i criminali se ne andavano a piede
libero, e
non venivano nemmeno puniti. E
così era quello il famoso Uchiha?
Impose
al suo udito di cogliere anche
il più piccolo e impercettibile suono, sforzandosi,
cercando di tradurre in parole i loro monosillabi. “Avete
capito?
Voglio la gitana bionda, Ino Yamanaka” e si trattenne
dall'urlare,
sentendo però una scossa di paura in fondo al cuore. Ino,
avrebbero
ucciso Ino!. Non poteva permetterlo, non colei che conosceva da
sempre e con cui era cresciuta insieme, non la sua migliore amica.
“... viva o morta”.
“Viva o
morta”, aveva aggiunto, pregustando già la
vittoria.
Ma non avrebbe ucciso l'ennesima innocente: Sakura
non l’avrebbe permesso.
Avrebbe messo fine a quella strage disonesta di corpi, martoriati e
poi gettati tra le fiamme, uno dopo l'altro. Decise che si sarebbe
mossa, aspettando il momento più opportuno per agire... il
cuore
scalpitava, la paura diventava un tutt'uno con il suo corpo,
respirare ormai aveva perso il suo significato. Solo quando non
distinse più le ombre degli uomini proiettate sulle rocce
scarne
intorno, solo allora si mosse, prestando sempre attenzione.
Guardò
avanti e indietro, con
maniacale metodicità.
Avanti e indietro, sempre, attenta a quello che vedeva a terra, ai
sassolini aguzzi e agli animali che si volevano arrampicare sulle sue
gambe. Viva o morta. Il
suono di quelle parole le sembrava
così sprezzante che sentiva che avrebbe sognato quella frase
–qualora, ovviamente, fosse riuscita ad addormentarsi.
Sentiva che
avrebbe potuto morire nel sonno, al rogo, attaccata ad un cappio,
scivolando su quei sassi apparentemente innocui. Tutto il mondo era
diventato un immenso covo di pericoli, una giostra delle torture a
cui non voleva prender parte. Fece alcuni passi, lesta.
Respirò -era
ancora viva. Poi si fece ancora
più avanti, andando ad urtare
una roccia. “Diamine”, si trattenne dall'imprecare.
Aveva
paura che perfino i suoi silenzi fossero udibili.
“Dovrebbe
stare più attenta”,
disse un uomo, rimproverandola. Una punta di crudeltà in
quella
frase. E, fino ad allora, conosceva solo un uomo che conservava tanta
malvagità. “Uchiha”, scandì
bene, attenta a non sbagliare.
Voleva liberarsi ma la sua stretta era ferrea, rigida, e l'aveva
avvelenata come un serpente, perché non riusciva proprio a
muoversi.
“Gitana”
“Sakura”,
lo corresse. Le parole le
morirono in gola in quello stesso attimo, quando avvertì
il suo mantello sfiorarle le esili spalle. Poi
sentì
qualcosa nel cielo... Si voltò a guardare:
ora i nuvoloni coprivano la
maestosità della luna e la pioggia sembrava voler diventare
fitta.
Se il suo tocco prima era lieve, inudibile, appena accennato, adesso
era pesante, rumoroso; così tanto che l'unica soluzione
pareva
essere quella di tapparsi le orecchie. “Piove”,
comunicò
all'uomo che si stava allontanando da lei. Il buio le copriva la
visuale, rendeva i suoi sensi meno acuti; era solo riuscita ad
avvertire l’uomo scostarsi da lei.
Ora quelle mani sporche
del sangue versato dagli innocenti avevano contaminato
la sua pelle. La vergogna e
l'orrore le scatenarono un brivido
per nulla piacevole lungo la sua colonna vertebrale, facendole
solamente disprezzare il genere umano.
“Hai
sentito”
Disse
lui, prendendole bruscamente un
braccio e portandola in una via deserta ma con un piccolo barlume di
luce. Ora riusciva a distinguere il color sangue di quegli occhi
carnefici, avvertiva la paura come una costante.
“S-sì”, disse,
indietreggiando ancora. Si trovava ancora con le spalle al muro: era
infatti incollata ad una porta di legno e la pioggia si stava
prendendo gioco della sua vista, offuscandogliela. E il tempo
sembrava peggiorare, la pioggia imperversava sui loro corpi, bagnava
i vestiti, picchiettava sui massi e sui ciottoli lungo la strada.
“M-mi... Ucciderete?”, aveva detto, mostrandosi fin
troppo
audace. Quello ci aveva pensato un momento, poi, con quel suo tono
gelido, leccandosi le labbra -cosa che faceva alquanto spesso: forse
faceva pensieri perversi o sadici, non avrebbe saputo dirlo; sapeva
solamente che era un tic nervoso che non lo abbandonava-,
scandì
anche lui le parole. “Sarebbe troppo facile”.
E
abbassò impercettibilmente lo
sguardo, temendo di perdere l'orgoglio. “Ma lo
farete”, si
torturò con le dita, domanda retorica.
“A
tempo debito”, posò un braccio
sulla porta di mogano. Sakura ebbe un fremito, il raziocinio veniva
sempre meno.
“Cosa
volete fare?”, chiese,
incerta. Aveva tentato la fuga ma i riflessi dell’altro erano
pronti, fin troppo. Era stato addestrato proprio come un perfetto
soldato.
“Divertirmi”,
e si avvicinò ancora
di più, impattando col proprio corpo su quello
più esile della
zingara, totalmente allibita dalla situazione. Ora le sue mani si
erano staccate ma erano andate a incidersi sopra le spalle di Sakura.
Poi erano scese un po', quel poco che bastava per avvistare la sua
prorompente scollatura e per far correre le fantasie degli uomini con
pensieri poco casti, anzi, profani. E lei era rimasta immobile,
subiva quella tortura senza proferir parola, come una bambola di
pezza. L'Uchiha aveva abbassato il capo e Sakura era sicura di aver
sentito qualcosa di strisciante correre dall'incavo del collo fino
alla curva del seno. Le sue mani andarono a bloccare quelle
dell'uomo, totalmente preso dalla situazione, ma sembrava non trovar
pace e nemmeno starla a sentire. Si erano spostati un po', incollati
al muro di una strada disabitata, senza che lei potesse nemmeno
chiedere aiuto. “Cosa state facendo, adesso?”, la
mano del
soldato correva verso la sua gamba, aveva alzato un po' la gonna,
mentre con l'altra gamba bloccava il suo corpo, inchiodandola. Era
arrivato fino al fianco, riusciva a sentire la stoffa della
biancheria intima contro le sue dita. Giocò un po' con
l'orlo,
sentendo il tremore della ragazza sotto di sé; temeva
proprio di
averla impaurita. Quel tanto che bastava per non sentirla fiatare
più.
“Potrei
andare avanti”, e la
ragazza sbarrò le palpebre, totalmente terrorizzata.
“Ma mi
fermerò. Non c'è gusto senza la tua
partecipazione”
“La
mia partecipazione?”, domandò,
scettica. In quale universo si sarebbe mai sognato la sua
approvazione a una cosa tanto disgustosa?.
“Quella
che mi darai, altrimenti la
tua amica morirà”
Tasto
dolente, assai dolente. La
pioggia in quel momento terminò, lasciando comunque la sua
presenza.
L'Uchiha tese una mano, senza più avvertire lo scroscio
dell’acqua
sul proprio palmo: vedeva solamente delle goccioline che grondavano
dai tetti delle abitazioni. “Buonanotte, gitana”.
Cosa
avrebbe dovuto fare ora?. Era
possibile che lui la stessa ingannando,
con uno dei suoi
sporchi trucchetti?
La
notte avrebbe portato consiglio...
Sempre
se al suo ritorno non fosse
stato già mattino inoltrato.
Continua...
****
Quinta
Classificata
Vincitrice del Premio
Originalità
Vincitrice del
Premio Emozione
La
fan art è ad opera mia e guai a chi la copia
è_é.
La fan art per intero, a chi
interessasse vedere le mie scarse capacità artistiche XD:
http://img225.imageshack.us/img225/1223/sasusaku.jpg
|
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Capitolo 2 *** 2. Ricatto ***
FF Da postare
Cuore
di Zingara
2.
Ricatto
Le vie a
quell'ora erano deserte e ciò incuteva un certo timore,
indubbiamente. Sakura quella notte aveva dormito sopra uno scomodo
giaciglio, sporco e polveroso. Tossì un paio di volte,
scrollandosi
di dosso quei batuffoli di polvere che erano rimasti impregnati sopra
i vestiti. E i suoi occhi si schiusero, completamente. Si strinse
nelle spalle quando una brezza proveniente dal Nord
attraversò
con
crudeltà la sua colonna vertebrale... Sentì un
brivido
felino
camminare lungo la schiena, unito a uno strano formicolio alle
articolazioni. Sospirò amaramente quando si accorse di avere
freddo.
Allora, disgustata, riprese la coperta insozzata e se la
poggiò
sulle spalle, sopprimendo il conato di vomito sul nascere.
La sua mente
balenò ai ricordi della notte prima. Strinse con violenza i
pugni
chiusi, accigliandosi; il soldato le aveva proposto un compromesso
bello e buono a cui, però, non sarebbe scesa, a nessun
costo.
D'altro canto, cosa poteva fare?
Perdere Ino
sarebbe stato come perdere una compagna, una sorella, un'amica
preziosa. Perché loro erano cresciute insieme ed avevano
attraversato quei solchi apparentemente insormontabili che
avevano affrontato nella
vita mano nella mano, avevano riso quando si
erano ritrovate a condividere
un tozzo di pane in due e
avevano pianto pensando alle loro precarie condizioni. Rinunciare
alla propria libertà per la libertà di un altro
essere
umano?
Gettò il
viso
nella fonte, rimanendo in apnea alcuni secondi. Poi strofinò
con
irruenza le due mani sulle gote candide, levandosi i granelli
di polvere e le macchie di terra... Zingara
che non sei
altro. Sporca strega, Diavolo travestito da angelo, essere
abominevole.
Quante parole di
scherno le erano state rivolte; sospirò, pensando a quante
parole
avesse tacitamente ignorato, soffocando in gola quel boccone troppo
amaro. Il capo scattò all'indietro, quando sentì
una
presa sui
capelli di un'improponibile colore. “Ahi!”,
gridò,
mostrando i
denti.
“Non sei
rincasata stanotte, eh?”, la presa non accennava a diminuire.
Sakura bestemmiò un paio di volte, nascondendo un ghigno.
“Ino,
lasciami!”, ma non le dava ascolto. Sakura cercò
di
liberarsi,
compiendo una piroetta degna di un'acrobata; Ino finì a
terra,
miseramente.
“Hai
barato”,
confermò Ino, visibilmente stupita. La terra le era entrata
nelle
unghie, sul viso, nel corpo... Si rialzò di scatto, sputando
a
terra. “Non hai risposto, Sakura”, le
ricordò. La
ragazza eluse
con una certa indifferenza l'amica, voltandole bruscamente le spalle.
Allora la bionda si sentì offesa e le balzò di
nuovo
addosso,
finendo per salire sopra le sue spalle.
“Cosa
diavolo
fai, Ino?!”, esclamò, perdendo l'equilibrio.
“Parla o ti
spezzo l'osso del collo”, una minaccia. La ragazza decise di
sottovalutarla, scostandosela da vicino e riprendendo la propria
strada. “L'hai voluto tu”.
Tempo un attimo,
e si era ritrovata con il capo affondato nell'acqua, di nuovo in
apnea. “Parli?”, domandò, rialzandole
per un momento
il capo.
Sì, l'amica non era quel che si dice una
ragazza signorile. I
suoi modi, brutali a dir poco, assomigliavano di più a
quelli di
un
soldato senza pietà... Inaspettatamente l'Uchiha
rientrò
nei suoi
pensieri. Scosse il capo con fermezza, forse quella proposta che le
aveva fatto era una trappola, così... per vedere fino a che
punto
era disposta a reggere il suo gioco fasullo.
“Ino!
Smettila...”, la supplicò, nascondendo all'interno
di una
ciglia
una lacrima.
“Cos'hai?”
Lasciò
improvvisamente la mano, prendendole invece il mento e scrutando
attentamente nelle sue iridi smeraldine. “Tu stai
piangendo”,
affermò, dopo un attento esame. Sakura rifiutò
scortesemente la sua
mano, facendosi spazio nella piazzetta. Strofinò una mano
sopra
gli
occhi, cercando di non dar a vedere quella fragilità tanto
nascosta.
“Non dire
stupidaggini”, la liquidò, camminando svelta. E la
bionda
la stava
seguendo, determinata a sapere il motivo di tanta sofferenza. Se la
conosceva almeno un po', finché non l'avesse scoperta non si
sarebbe
data pace.
“Cosa
c'è? Mi
nascondi qualcosa?”, la rimbeccò, con tono di
sfida.
Le aveva
afferrato il polso e l'aveva voltata dalla sua parte, facendole
compiere un mezzo giro. Il volto diafano, pallido, bianco latte, era
adesso dimora di alcune stelle morenti che lentamente stavano
solcando lo zigomo. Si fermò ad osservarle, poi, resasi
conto
della
situazione, le pulì le guance, con un pezzo di stoffa.
“Ino,
promettimi che starai attenta”.
Le intimò,
prendendole le mani e scuotendole ripetutamente. Ino la
guardò
come
si guarda un pazzo, un mentitore, un bugiardo; rinnegò
immediatamente le definizioni quando si accorse di aver davanti a
sé
l'amica. E non una qualunque, bensì l'unica e la sola. In
quello
sporco mondo devastato dalla guerra, i pregiudizi, la
povertà...
Beh, c'era un granello di umanità. Quel microscopico
briciolo di
sentimento, grande o piccolo, ora era diventato dimora dei loro cuori
e delle loro menti. Quella che stava legando Ino e Sakura non era
un'amicizia comune. Si sa, le amicizie passano.
Con rammarico e
per esperienza, Sakura dovette aggiungere una nota dolente. Nel lungo
cammino che l'attendeva sarebbero passate centinaia di persone, le
quali per un momento si sarebbero dimostrate amiche, e l'attimo dopo
sarebbero tornate ad essere semplici conoscenti. Ma nulla poteva
essere paragonato con quella tenera amicizia nata per una strada
cittadina. Perché Ino non era un'amica
bensì l'amica.
Le dita si intrecciarono, gli occhi si stavano cercando, ormai
sbarrati, spaventati, sbigottiti. La bionda fece un cenno d'assenso
col capo: sebbene le fosse stato celato tutto quel mistero, sentiva
di doversi fidare di Sakura, perché è proprio
questo che
fanno le
amiche, no?. Si doveva fidare, le sue parole non era lasciate andare
al caso, non lo erano mai state e non avrebbero cominciato di certo
in quel momento.
“Starò
attenta”, mormorò, mettendo a tacere il cuore
dell'amica.
Lo
sentiva, perfino da quella distanza. Batticuore di spavento, pieno di
ansia. Avrebbe voluto farle qualche domanda ma sentiva che non
avrebbe ricevuto risposta. Ritenne più doveroso
assecondarla, in
un
casto silenzio che raccoglieva in sé tante parole.
“Lo so, ti
sembrerò strana. Ma... se ti perdessi Ino, sarebbe come
perdere una
parte della mia vita. Promettimi che vivrai, dimmi che mi vuoi
bene...”, ed in quel momento la vide delirare e proferire le
cose
più astruse e inconcepibili. Qualcosa che ruotava sempre
attorno
al
discorso “morte”; il respiro si mozzò,
sembrava
quasi in preda
al panico.
“Calmati...
ehi, non morirò!”, stava esclamando, cullandola
tra le
proprie
braccia. E nel petto il chiaro segno di una sofferenza, di una forte
amicizia, di un dolore che sembrava ucciderla.
Ino ancora non
sapeva, e, da una parte, era meglio così: voleva evitare di
farle
nascere qualche strana paranoia, doveva proteggerla a suo modo,
guardandosi sempre intorno. “... In cielo non ci sarebbero
persone
come te”.
Ed in quel
momento il suo cuore si fermò, stavolta per l'emozione.
Sakura
si
tenne stretta alle spalle dell'amica, affondando col mento nella sua
pelle, stringendo gli occhi ogni volta e sentendoli arrossare sempre
di più.
“Noi non ce
la
meritiamo questa vita”, intervenne l'Haruno, calmandosi un
poco.
Ino scosse il capo, dandole pienamente ragione.
“Nessuno di
noi
è felice”, che frase amara.
Sembrava che la
vita andasse vissuta unicamente per il denaro, per i beni
materiali, lasciando da parte ogni sentimento che non fosse sinonimo
di avidità. Sakura sfidò l'amica: ormai si poteva
considerare una
superstite del mondo se aveva fronteggiato tante cose, rimanendone
sempre indenne.
“Forse
nemmeno
nella prossima. Forse non ci sarà una prossima vita, tanto
vale
vivere questa.”, formulò quel pensiero,
malinconicamente.
Entrambe
abbassarono per un momento lo sguardo, fissando il terreno umido;
anche quel giorno il tempo era uggioso. La pioggia pareva voler
tornare da un momento all'altro, profanando con scaltrezza e
crudeltà
le abitazioni precarie e poco stabili degli zingari, che avevano
lavorato tanto per costruirsi un tetto sopra la testa. Se anche il
cielo era avido, che possibilità avevano loro con gli esseri
umani?.
“Non so,
Ino.
Forse nessuno ha quel che merita...”, rifletté
Sakura.
“...
forse nessuno di loro là fuori è felice
perché non
ha mai
conosciuto il dolore”.
Proferì,
diretta
e incisiva. Quelle parole le aveva scolpite nel petto, e, sebbene
potessero sembrare una crudeltà, erano veritiere e non erano
frasi
incompiute di un'arrogante rivoluzionaria. Era la realtà che
si
palesava ogni giorno davanti ai suoi occhi, in questo mondo che non
conosce pietà, che dipende da ogni lusso e agio, che vive
solo
per
ricevere senza fare fatica alcuna. Temeva che il suo cuore, ricolmo
di rabbia, potesse bruciare da un momento all'altro.
“...And
my more having would be as a sauce
To
make me hunger more, that I
should forge
Quarrels
unjust against the good and
loyal,
Destroying
them for wealth.
This
avarice
Sticks
deeper grows with more
penicious toot
Than
summer-seeming
lust...”(*)
“Conosce il
dolore solo chi ha sofferto veramente, Sakura.”
E Ino le diede le
spalle, lasciandosi indietro il broncio dell'amica. Lo doveva
ammettere: quella frase, sebbene molto triste, era veritiera.
“Aspetta...”, la fermò. Una
domanda indugiava
sulla punta
della lingua. “... cosa vuol dire zingara?”.
La bionda amica si voltò.
Sospirò
languidamente, concedendole uno sguardo per alcun istanti; poi le si
avvicinò, e, prendendola per le spalle, la guardò
negli
occhi,
scrutando con meticolosità lo smeraldo che vi era racchiuso.
“Significa estraneo per loro.
Gli uomini hanno sempre
paura
di ciò che non conoscono”, precisò un
attimo dopo.
Sakura sentì
una stretta al cuore, uno strano formicolio alle mani, un brontolio
di rancore allo stomaco. “Sei così ingenua, amica
mia”.
E le spostò
alcune ciocche di capelli, portandole ordinatamente sopra le sue
orecchie. Poi si defilò, lasciandola sola.
Conosce
il
dolore solo chi ha sofferto veramente.
Sakura si
chiedeva se la felicità, invece, la conoscessero solamente i
ricchi.
Il soldato si
sfilò il guanto nero, con un semplice gioco di polpastrelli.
“Legga,
Colonnello”, lo informò un soldato di livello
inferiore,
passandogli qualche foglio sgualcito. Sasuke lo guardò di
sfuggita,
osservando con un certo disgusto l'altezza dell'uomo che aveva di
fianco... Sfiorava appena le sue spalle. Il corpo invece era robusto,
sopra la media. Scostò i batuffoli di polvere che si erano
depositati sopra il proprio mantello, poi aprì il giornale,
scrutando con attenzione tutti i titoli.
“Gli
zingari
infestano ancora le strade”
Quello era
l'articolo che lo preoccupava più di tutti. Gettò
con
violenza il
giornale sopra il bancone e trattenne una bestemmia tra i denti, non
potendo fare a meno di corrugare bruscamente il proprio sguardo.
Ciò
che aveva di fronte era uno squallido sceneggiato della vita di ogni
giorno: gitani che rubavano. Perché loro non lo
guadagnavano, il
salario. Inebriavano le menti, confondevano i sensi, la
realtà
diventava finzione, il vero si trasformava in falso. Tante erano le
metafore che gli venivano in mente, e, meticolosamente, le
selezionò.
Una per una. Un ghigno di circostanza gli balenò sulle
labbra
opache
quando vide l'ennesima prostituta di strada darsi da fare; quello che
vedeva di fronte a sé era un corpo sinuoso, dalle forme ben
pronunciate, il seno generoso che ingannava le menti degli spettatori
che si fermavano, almeno per un'istante, a osservare quei passi che
si susseguivano uno dopo l'altro.
“Interveniamo?”,
il soldato scattò all'istante appena vide in che direzione
il
Colonnello lasciava indugiare il proprio sguardo.
“Non ci
sarebbe
gusto, in questo modo”, frenò l'uomo, battendolo
sul
tempo. La sua
mano ostacolava il soldato che ancora non riusciva a comprendere il
significato di quelle parole. “Voglio l'amica”,
sentenziò.
Nessuno
capì
l'astruso significato di quelle parole; l'Uchiha ebbe
un'illuminazione, come se fosse stato improvvisamente folgorato.
Dettò ordini, e i soldati scattarono attenti e circospetti,
muovendosi da un lato all'altro della città. Davanti ai suoi
occhi,
una scena oltremodo interessante: la fine di una gitana. Sorrise
beffardo, mentre osservava la bionda incatenata con dei ferri
arrugginiti, dai quali cercava in qualche modo di divincolarsi. Che
illusa.
E
questo
è
solo l'inizio...
Si disse, vedendo
trasportata la donna da due emergenti soldati, mentre quella stava
già piangendo lacrime amare. Poi si voltò in sua
direzione, quasi
terrorizzata. Il respirò le si mozzò in gola, una
piccola
circonferenza di stupore etichettò le sue labbra,
improvvisamente
boccheggianti.
Perché era
il
terrore quello che dimorava negli occhi delle persone, quando
incontravano il nobile Uchiha. Era terrore quando lui passava tra le
strade, mantello nero alla mano, spada custodita nel fodero. Era solo
la sua espressione sinonimo di paura, solo il suo volto, cupo e
ingrigito, segnato dal tempo da piccole ragnatele ai lati degli occhi
che ingannava i sensi, tramortiva di paura.
Rise, di un
sorriso malvagio.
Sentiva
che i
fuochi d'artificio sarebbero presto scoppiati... e ad accenderli
sarebbero state loro: le gitane.
******************************
(*):
Tratto da Macbeth, William
Shakespeare.
Eccovi
la traduzione <3:
“...
e l'avere sempre
più sarebbe
per me una salsa
che
mi darebbe sempre più
fame,
cosicché inventerei
falsi
litigi con gli uomini buoni e
leali [...]
Questa
avidità è
piantata più a
fondo, e cresce da radice
più
perniciosa della estiva
lussuria[...]”
Se
ci pensate è vero *Annuisce*
Ed
ora, veniamo a noi... *__*.
Grazie
ai ben 199 lettori,
*_*
A
chi ha messo nei preferiti e alle
seguite. Ma soprattutto il mio ringraziamento va' a quelle persone
che hanno commentato questa fan fiction <3:
alechan_96
(Ecco, aggiornato ^^.
Sì, dici?. Bene, allora non sono così scarse le
mie
capacità
artistiche, buono a sapersi XP), valehina
(AW! Cara *-*. E
sì,
è abbastanza bastardo Sas'ke, ho faticato per farlo rimanere
IC
XD.
Felice che ti piaccia anche la fan art e grazie mille!),
ballerinaclassica
(sì, questa fan art l'ha vista mezzo
mondo,
renditi conto °_°. Sono felice che ti piaccia, e
sì, ci
tengo
particolarmente, l'ho curata in ogni particolare, attenta a far
quadrare tutto alla perfezione. Addirittura pensavo di non arrivare
molto in alto viste le mie “avversarie”, come ad
esempio
te, per
l'appunto XD. Ancora non mi capacito, invero °_°.
Grazie mille
CollegaH, che è meglio <3), Mayumi_san
(Sei libera di
fare
pensieri sconci XD. Uhm, sì, ti vedo spesso gironzolare nel
mio
account e nelle mie SasuSaku XD. D'altronde sono il mio pairing del
cuore, dopo lo ShikaIno <3. Comunque sia, grazie mille e, per
l'appunto, io amoH quel libro *-*), kry333
(ecco qua il
continuo ^^. Questo disegno è piaciuto a tutti
°w°...
meno male,
pensavo fosse una schifezza XD), Caomei
(Sì, mi chiedo
anche
io perché non scrivo originali, in fondo sono tutte
Alternative
Universe; però sono troppo affezionata a Sasuke e Sakura
<3).
|
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Capitolo 3 *** 3. Prigione ***
3.
Prigione
“Maledetto
bastardo... Figlio di putt-”
“Ah, io baderei
a tenere a freno la lingua, gitana”. L'ammonì
l'uomo, prendendole
il mento e studiandolo.
Sakura, dal canto
suo, non poteva fare nulla: le sue mani erano incatenate a due vecchi
ferri arrugginiti. Non poteva nemmeno muoversi, poiché lo
stridio
del metallo le era insopportabile. Ora era sotto la custodia del
soldato, che non mancava di ricordarle quanto fosse inferiore a lui.
Il volto di
Sakura s'incrinò, denotando un certo disgusto. La mascella
si fece
più mascolina, lo sguardo spietato, come quello di un
ostaggio che
si trova nella tela dell'assassino e voleva liberarsene, a qualsiasi
costo. Fu quasi tentata di sputargli in faccia, magari avrebbe
corroso -almeno un po' – quella sua crudeltà. Il
soldato disegnò
il contorno del viso della zingara tra le proprie mani, percorrendo
con l'indice le linee del volto diafano.
“C-cosa state
facendo?”, chiese, improvvisamente insicura. L'Uchiha
ghignò,
beffardo.
Si sentiva
potente solo perché aveva il coltello dalla parte del
manico? Faceva
male -molto male- a sottovalutare una ragazza cresciuta per strada,
esperta di tutte le arti del mestiere. Perché se c'era una
cosa che
per strada si imparava era vivere.
E sopravvivere.
Quella era
certamente la circostanza meno piacevole in cui era capitata, in
assoluto la più assurda e ingiusta. Ma se ne sarebbe tirata
fuori,
com'era successo fino ad allora, negli anni passati. Sakura non fu
dunque da meno: gli sorrise anche lei, tanto -presto o tardi- avrebbe
avuto la sua vendetta, e gliela avrebbe fatta pagare cara a quel
fottuto bastardo.
“Osservo.
Faresti bene a non contraddirmi, il falò per la tua
amichetta è
sempre pronto”, disse, liberandosi del mantello scuro.
Sakura imprecò
sottovoce, mordendosi il labbro inferiore; lo faceva per Ino,
continuava a ripetersi, quasi fosse un ritornello. La sua attenzione,
ora, volgeva piuttosto ai gesti poco consueti del soldato,
improvvisamente liberatosi dallo sfarzoso mantello di velluto che lo
faceva sembrare una figura esageratamente grande. Se guardava le sue
spalle, adesso, poteva notare quant'erano gracili, seppur muscolose e
sviluppate da duri allenamenti; non sembravano più
così
terrificanti. Ora poteva vederlo avanzare verso di lei, le maniche
improvvisamente alzate e risvoltate più volte, quasi dovesse
prepararsi a fare qualcosa. Sakura avvertì un fremito, una
scossa di
dolore, il cuore in gola.
“C-cosa?”,
tentò di sillabare.
“Un'altra
domanda e sei morta”, e l'Uchiha le mostrò un
coltellino svizzero.
Aveva la punta affilata e la lama sottile, quel poco che bastava per
ferirle mortalmente l'epidermide e farla volare in un momento
nell'aldilà. Capì in quel momento che il confine
tra la vita e la
morte era davvero sottile, sottile come quella lama che si era
avvicinata alla sua gola tanto che poteva sentire sulla sua pelle i
dentini appena un po' pungenti del coltello. Allora il battito della
ragazza prese ad accelerare, le sue difese vennero meno, il respiro
si fece mozzo e irregolare. È
pazzo... completamente pazzo!
Pensava, mentre
un rivolo salato le segnava il volto. Bastava
guardarlo
negli occhi per accorgersi della sua follia, della sua rabbia, del
suo odio, del suo cinismo verso una cultura che non gli aveva fatto
niente, in fondo. Il suo obbiettivo era quello: sbarazzarsi degli
zingari, eliminarli dal mondo, perché feccia della Terra.
E
dopo? Dopo
sarai soddisfatto?
Chiuse gli occhi,
strizzandoli. Improvvisamente quella lacrima le sfiorò la
pelle,
danzando sulla gota marmorea. L'Uchiha ritrasse il coltellino,
infilandoselo nel taschino. Adesso rideva, di una risata isterica e
insoddisfatta, dannatamente fastidiosa ad udirsi.
“Paura, eh?”,
domandò, asciugandosi le labbra con la lingua.
Sakura non
rispose. Ma quel suo sorriso sghembo la irritava, quel suo carattere
irritante affollava -ormai da innumerevoli notti- il suo sonno;
l’Uchiha si prendeva gioco del suo riposo, la minacciava in
un
incubo, la voleva avere per sé, per giocarci come
più gli
aggradava. C'erano anche notti in cui si affacciava in ben
altra maniera nei suoi sogni; ma preferiva non pensarci. Era assurdo
immaginare una cosa simile, specie quando il soldato la odiava, la
detestava, sognava di vederla bruciare al rogo e non si sarebbe dato
pace fino a quando non avesse visto coi suoi stessi occhi che lei si
trovava negli Inferi.
La gitana sbatté
la testa, con violenza, sulla pietra ormai rovinata di quella
squallida prigione. Un posto macabro, un piccolo metro quadrato
totalmente buio, tranne che in un lato, dove vi era luce grazie ad
una fiaccola di fuoco. Poi, da una parte, delle ferriate arrugginite,
e aldilà di esse solo oscurità, profonda e
abissale. Quando l'aveva
visto per la prima volta aveva deglutito: aveva capito che da quel
posto non c’era via di scampo, e che probabilmente tante
persone vi
erano morte ingiustamente. Sentiva ancora l'odore di cadavere
perforarle le narici: l'odore dei corpi che ancora
permeavano, trascinati
per terra, quando la loro volontà
era venuta meno. E, se guardava attentamente il pavimento in pietra,
poteva notare ancora gli schizzi di sangue, ormai muffa, in lungo e
in largo.
Quante persone
erano morte lì?
Deglutì ancora,
trattenendo un conato di vomito. Lei non sarebbe stata la prossima,
no, diamine! E mentre ancora contemplava i profili ormai metodici
della stanza, vide l'Uchiha sfilare dal mantello con una certa
nonchalance
una stoffa di un anonimo color ciliegio. Uno
straccetto da pezzenti, che adesso si premurava di passarsi sotto il
naso, come a valutarne l'odore.
Bastardo.
“Chissà se ti
donerebbe...”, si avvicinò, legandoglielo al
collo, quasi fosse un
fiocco. “... come cappio al collo”, e sorrise di
nuovo,
malvagiamente. Adesso il corpo dell'uomo era impattato contro il suo,
e l'intenzione non era stata affatto casuale. Si era perfino
premurato di legarle il bavaglio alla bocca, così da non
farle
proferir parola. Vani erano stati i tentativi di liberazione, vane le
imprecazioni e i “basta” mugugnati ad alta voce.
L'Uchiha l'aveva
zittita, cercando con le mani la sottana, sepolta sotto stracci di
stoffa. Finalmente era riuscito a sfiorare le sue gambe, e stava
salendo su, piano.
E,
ad ogni
passo, Sakura sentiva il cuore urlare nel petto.
Stava
per
perdere la sua patetica verginità, conservata con
dignità fino ad
allora, alla veneranda età di vent'anni.
Stupida
Sakura... pensavi forse che l'avresti conservata per l'uomo che
amavi? E l'avresti protetta, con tutte le tue forze, omaggiando solo
il più galante degli uomini con quel piccolo -grande-
regalo,
sentendoti per la prima volta donna?
Come
sei
ingenua.
“NO!”,
pensò,
quando due dita si erano intrufolare nella sua intimità,
spezzando
quella barriera di ingenuità e quel bozzolo protettivo che
era
sempre stata la sua innocenza.
“Cosa c'è
gitana? Sei forse vergine?”
A quella domanda
non aveva risposto: non ne aveva avuto il coraggio. “Oh, che
sorpresa”, si era fermato, per un misero attimo.
“Pensavo che voi
prostitute di strada foste abituate a concedervi”.
E aveva riso di
lei, per l'ennesima volta. Le lacrime di Sakura erano diventate
violente, aggressive; ormai non riusciva più ad immaginare
quale
altra emozione potesse dominare il suo animo, se non la sofferenza. E
fu così che Sasuke Uchiha spinse, con più
violenza stavolta, le due
dita, affondando nella parte più inviolata del suo corpo.
Lei gridò,
urtò le fragili barriere dell'udito umano, ebbe
l'impressione che
quell’urlo si fosse elevato fino in cielo, muovendo la fronda
di un
albero.
“Cosa c'è,
Sakura?”, era la prima volta che la chiamava per nome.
“Piangi?
Forse non hai capito...”, si avvicinò al suo
timpano,
sussurrandole semplicemente: “... per avere quello che
vogliamo,
dobbiamo prima perderlo. Ed è così per la tua
stupida verginità...
volevi mantenerla? Beh, dovevi prima perderla. Devi prima soffrire
per essere felice...”, c’era una certa amarezza in
quel timbro
quasi affranto, quasi quel soldato ne avesse passate di tutti i
colori.
Ma non doveva
compatirlo: lui era il nemico, e stava compiendo un atto ignobile sul
suo corpo, un atto che era un reato, che andava pagato. Se col sangue
o con la legge lo avrebbero deciso in seguito. L'Uchiha le aveva
rubato quanto di più prezioso aveva conservato, l'aveva
privata del
primo piacere, con una violenza da assassino, come lo erano quegli
occhi truci, ingannevoli. Perché potevano essere
affascinanti, sì,
ma se si cadeva all'interno di quelle iridi onice si rischiava di
rimaner intrappolati.
Ed altre lacrime
scalfirono il volto minuto di Sakura, che ormai si chiedeva se
valesse la pena vivere, oppure se fosse meglio mettere fine alla
propria vita con quel coltellino svizzero, tentatore. Ora il suo
sguardo vagava in basso, dove il soldato non si era accontentato di
un semplice sfizio -lo avrebbe potuto ancora perdonare, qualora si
fosse fermato-, ma si era avventato con le labbra sulla sua carne,
quella più morbida e gradevole. Sapeva dove toccare, nei
punti
giusti, e si era slacciato la cinghia dei pantaloni, ora, pronto a
godere di quel piacere -mentre lei, vittima, era incatenata ad una
parete, ad una catena di ferro,
come una belva.
Vani furono i
tentativi di fermarlo e di scalciare come un cavallo. Il soldato la
fermò, applicando una certa forza alla sua caviglia,
premendo
sull’osso fino a farla gemere di dolore; sentiva di avere una
gamba
lussata, dannazione. Con potenza le aveva fermato un piede, e sentiva
che quando avrebbe camminato -sempre se lo avesse fatto ancora-,
avrebbe zoppicato.
“Se lo fai
ancora, procederò anche con l'altra”, e si era
fermata. A quel
punto l'aveva lasciato fare, sul suo corpo; gli aveva dato il
permesso -tanto se lo sarebbe preso lo stesso- di giocare come
più
gli aggradava. E, ovviamente, l'Uchiha in questione non aveva perso
tempo: sfrontato e deciso, aveva puntato con una certa precisione al
suo obbiettivo, nemmeno fossero le sue stupide armi che tanto amava
armeggiare in platea.
Dolore.
Dolore. Dolore.
Un altro urlo,
gettato nel vuoto. L'abisso di parole che si era impastato nella sua
bocca -molte delle quali insulti verso l'uomo in questione-, le si
erano sciolte sulla lingua, nel momento stesso che quel processo
doloroso aveva avuto inizio. Agonizzante, riuscì ad aprire
un po'
gli occhi, osservando con quanta violenza l'uomo cercasse di venirle
dentro, quasi quella sua intimità non avesse
profondità.
“Ino...
vuoi
dire che tu hai già...”, non era riuscita a finire
la frase,
ostacolata dal troppo imbarazzo. L'amica, invece, sempre sfrontata ed
estroversa, aveva subito dissimulato quel disagio, intimandole di
abbassar il tono di voce e facendole l'occhiolino.
“Non
vorrai
mica far saperlo in giro! E comunque sì, è
capitato...”, si era
giustificata.
Sakura
aveva
spalancato la bocca, il più possibile. “Con
chi?!”, aveva
chiesto, guardando in giro qualche spasimante della bionda.
“Beh...
hai
presente il Nara?”, a quell'ultima parola arrossì,
mostrando quel
sottile strato di fragilità che celava nell'animo. Gli occhi
di
Sakura ora erano spalancati, venivano sbattuti con meno
regolarità
di prima.
“L-Lui?”,
la ragazza si ritrovò spiazzata. Ino confermò,
annuendo col capo.
“E... com'è?”, chiese, cercando di darsi
un contegno.
“Beh...”,
le gambe della ragazza si distesero, così come il suo
sorriso,
sempre più somigliante ad una mezza luna argentata.
“... è come
volare in paradiso. Non sai per quanto tempo, anzi... il tempo pare
non esistere più. È come volare,
Sakura”, e l'emozione la si
leggeva negli occhi, ancora un po' lucidi, e l'espressione assente,
vaga, persa nel vuoto.
Ino le aveva
detto che quella di sentirsi parte l'uno dell'altra era una magica
sensazione, quasi paradisiaca. Allora perché stava
piangendo? E non
erano lacrime di gioia e commozione, bensì di dolore, quel
dolore
folle che sentiva anche adesso che l'Uchiha si stava appropriando con
una certa bramosia del suo corpo, sbattendola più volte
contro le
rocce antiche.
È
come
volare, Sakura.
Volare? Il suo
corpo era incatenato al suolo, rigido. Sentiva la realtà
piombarle
addosso, come un macigno enorme, gravoso. L'unico momento in cui non
sentiva più di toccar terra era quando il soldato spingeva
con
violenza nella sua, oramai, sudicia epidermide, minacciandola con la
forza di non urlare -o avrebbe usato metodi meno galanti per farla
tacere.
Questo
lo
chiami volare, Ino?
Non sapeva quanti
minuti -forse ore?- erano trascorse. Sentiva il respiro affannato di
Sasuke, quello suo più lieve e delicato. Osservava una
chiazza a
terra, una chiazza rossa. Capì, immediatamente.
Doveva
essere sangue versato con piacere.
E
invece era sangue insozzato, sporco, ingiusto.
Sakura
osservava... con una certa meticolosità stava analizzando la
chiazza
a forma
di
circonferenza che copriva per metà la mattonella di pietra.
E
prese a lacrimare, di fronte ad una simile scena. Prese a piangere,
sopra quella macchia traditrice, beffarda, sciocca e inutile.
Il soldato si
stava ricomponendo, quasi non fosse successo nulla. Le
staccò la
fascia che le legava il collo, gettandola malamente a terra. Lo
vedeva, Sakura: in tutta la sua perfezione, splendente come un
diamante, quasi affascinante. Se non fosse stato per quella brama di
potere e quell'assurdo odio che covava da decenni verso un'altra
cultura... razzismo, solo razzismo. Perché si ha sempre
paura del
diverso; perché
gli uomini vorrebbero essere burattini tutti
uguali, manovrati da un unico filo, e vorrebbero creare le loro
regole, padroneggiare il mondo, vivere coi propri simili.
Gli uomini sono
egoisti. Triste, vero?
Sognano una vita
utopica, senza nessun problema. Ma gli zingari, gitani, gente di
strada o come dir si voglia... cosa avevano fatto di male? Erano
diversi?
Era
un peccato
essere diversi, almeno nel 1482.
Diverso?
Cos'è
diverso?
In
fondo, se
una gitana si chiamasse Sakura, senza distinzioni di sorta, non
sarebbe un essere umano, in ogni caso?
Era questo
l'eterno mistero che affliggeva il mondo, provocando una baraonda.
Tante -assurde e sciocche- polemiche per una razza, un popolo che non
aveva nulla da invidiare agli altri. Cosa
è diverso?
Sakura rifletté
tutta la notte, dopo che l'Uchiha, trasportandosi dietro quel
sentimento di rancore che si era annidato negli anni all'interno del
suo cuore, aveva lasciato la stanza. Sakura aveva i vestiti sdruciti,
l'aspetto probabilmente impresentabile, ciocche di capelli ormai
crespe, intoccabili. Occhiaie scavate in profondità, occhi
che ormai
avevano perso il loro splendore, spenti.
Riuscì a darsi
solo una risposta: diverso?
Diverso
non
significava nulla se non simile.
Ebbene
sì,
gli uomini avevano paura di scoprire un'altra faccia della medaglia,
probabilmente la loro -quella più nascosta-,
quell'intoccabile e
impronunciabile volto della moneta.
Cosa vuol dire
diverso?
Semplice: simile.
**************
Miei prodi, come
avrete capito, ormai, questa storia ha ben poco di romantico, anche
perché il mio intento era quello di far riflettere su alcuni
temi:
la diversità, quello che significa diverso, il rispetto
della gente
verso le zingare, a quell'epoca e tante altre cose.
Bon, il prossimo
è l'ultimo capitolo, poi ci sarà l'epilogo
<3.
Grazie a:
RBBA
(Eheh, Sasuke nelle mie fic è sempre un bastardo, e qui non
è stato
da meno ^^. Fammi sapere, bye!), alechan_96
(Grazie *__*. In
effetti la giudice mi ha dato il massimo punteggio per l'IC, il
ché
mi ha reso felicissima *__*, avevo una paura di sgarrare XD. Grazie
ancora!), kry333
(Ecco qua, l'aggiornamento! Il prossimo
capitolo probabilmente ti chiarirà molte cose, intanto spero
che
questo ti sia piaciuto. Grazie della recensione!), Caomei
(Mansy-chan <3. Non posso che diventare paonazza di fronte i
tuoi
elogi, >///<. Grazie ancora!), bravesoul
(Che onore
essere commentata da te *-*. Felice che ti piaccia, in questa fic ci
ho messo tutta l'anima, praticamente <3, meno male, è
apprezzata
^^. Grazie ancora! ), ballerinaclassica
(CollegaH <3. Una
delle più meravigliose non so, ma una delle quali ci ho
messo più
corpo-anima-mente-cuore di sicuro XP. Sono felice che ti sia
piaciuta, ti adoVo *_*)
Grazie
anche alle preferite e alle seguite **:
1 - alechan_96
[Contatta]
2 - camoeight
[Contatta]
3 - dubhe93
[Contatta]
4 - FunnyAnna
[Contatta]
5 - kitty1995
[Contatta]
6 - kry333
[Contatta]
7 - RBAA
[Contatta]
8 - Red
Diablo [Contatta]
9 - Rinoagirl89
[Contatta]
10 - sakurina_the_best
[Contatta]
11 - Swan90
[Contatta]
12 - valehina
[Contatta]
13 - Veronica91
[Contatta]
1 - Dionisia
[Contatta]
2 - eilinn
[Contatta]
3 - HimeChan
XD [Contatta]
4 - meg89
[Contatta]
5 - saku_93
[Contatta]
6 - Saku_Nami
[Contatta]
7 - SaphiraLearqueen
[Contatta]
8 - sasukina90
[Contatta]
9 - valehina
[Contatta]
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Capitolo 4 *** 4. Sapore di libertà ***
4.
Sapore
di libertà
Alle
prime luci dell'alba -o almeno così credeva che fosse, visti
i raggi
quasi timidi che entravano con lentezza nello scarso metro quadrato-
Sakura si svegliò, a causa di una manata ben poco galante
sul volto.
Si trovava in una sorta di catalessi, sul punto di destarsi ma sempre
con quella spiacevole sensazione di poca lucidità, dovuta
più che
altro allo stress accumulatosi.
“Non
mi sembra l'ora di dormire... non vorrai mica perderti il
falò in
piazza?”, disse il soldato, sghignazzando assieme ai suoi
inferiori. Quest'ultimi erano semplicemente schiavi del padrone,
umili servi che pendevano dalle sue labbra e se l'Uchiha intimava
loro di fare qualcosa, quelli non se lo facevano ripetere due volte.
“Patetici”
pensò Sakura, distinguendo nuovamente i profili della
prigione. In
seguito sentì lo stridio delle catene che le attanagliavano
i polsi,
crudelmente.
“Q-quale
falò?”, aveva un brutto -bruttissimo-
presentimento. Sentì
il soldato schioccare le dita e i suoi polsi liberarsi dalla presa;
le braccia, finalmente, potevano riprendere a toccarle i fianchi.
Quella piacevole sensazione però non durò a lungo
poiché i due
soldati la presero di forza, immediatamente, legandole le mani con
una cordicella. Dietro di loro Uchiha controllava tutto, quasi per
paura che la zingara potesse sfuggirgli.
Com'era
prevedibile, Sakura era malferma sulle proprie gambe. Se una gamba
era perfettamente funzionale, l'altra era da meno, purtroppo.
“Una
zingara zoppa!”, sghignazzò l'uomo, coinvolgendo
in quella sadica
risata anche l'altro.
Sakura
non gli prestò troppa attenzione. Il suo corpo traballava,
si
muoveva lentamente, il dolore era tale da coinvolgere tutti gli
apparati... d'altronde, era questo il peso da sopportare.
Si
morse le labbra con veemenza, toccando finalmente terra. Un suolo
arido, un terriccio polveroso che di tanto in tanto alzava nuvoloni
che Sakura respirava a pieni polmoni; tossì per la terza
volta,
accorgendosi solo in quel momento di aver toccato terra con le
ginocchia sbucciate. L'Uchiha la prese per il capo, di forza. Le fece
assai male quando afferrò la chioma rosa e la
tirò a sé,
sussurrandole una delle sue minacce: “Guarda gitana... guarda
che
bel falò. Non ti è... familiare?”,
il brutto presentimento
si faceva più vivo che mai.
La
ragazza alzò il capo, spalancando le iridi e mordendosi le
labbra
per non gridare.
E
che le mie parole urtino il cielo...
Questo
cielo rosso sangue,
ove
si sentono piovere gocce di pioggia vermiglia a catinelle.
“Sakura!”,
gridava Ino, in preda all'isteria. I lunghi capelli biondi volavano
come seta nell'aria, e bianco era il vestito che le fasciava il
corpo. Bianco come quella purezza, quell’ingenuità
di bambina che
aveva sempre conservato negli anni.
I
suoi occhi scrutavano nella folla, alla ricerca della migliore
amica, l'unica e la sola che poteva salvarla da quell'inferno.
Ma
tu non andrai all'inferno Ino...
non
c'è posto per te, lì.
“Sakura!
Aiutam- Aiut--” il grido si faceva sempre
più debole; di lì
a poco avrebbe cessato di esistere. L'ultima parola di Ino sarebbe
stata “aiuto”... incredibile. Lei, che non aveva
mai chiesto
aiuto a nessuno, che se l'era sempre cavata, raccattando qualche
spicciolo per strada e facendoselo bastare per una settimana.
Ino,
che era cresciuta con lei, che l'aveva raccolta dalla strada, le
aveva insegnato come ballare, come destreggiarsi, come muoversi
davanti ad un pubblico. E le aveva insegnato anche come
comportarsi... era stata lei -solo lei- che aveva temprato il suo
carattere. Ino amava la vita... in ogni sua sfumatura. Amava
sorridere, saltare, ballare. E... sì. Era particolarmente
esibizionista, sicura di sé, sfrontata. Ecco
perché in tanti si
arrendevano a quella sua autorevolezza e al contempo a quella
sgarbatezza tipica di chi è cresciuto per strada. Ma era
anche
particolarmente volubile in fatto di uomini, estremamente fragile...
ma questo,
a chi importava?
Perché
la gente vede solo quello che vuol vedere. Perché dietro
quella Ino
così frizzante e spumeggiante si nascondeva quella
più sensibile,
quel fragile essere umano che si commuoveva per una stella cadente,
forse l'unica della sua vita. Quel misterioso intrigo della natura,
quel pasticcio di tanti ingredienti che faticava persino a
ricordarne.
Oh,
Ino era tutto questo. E molto di più.
Sakura
annaspò, divincolandosi dalla presa dei due uomini e
assestando loro
un calcio ben piantato alle caviglie, che adesso si stavano
massaggiando, doloranti; e corse, facendo leva su una sola gamba
-dato che anche le mani erano fuori uso-, verso quel piccolo
teatrino, allestito con un semplice tronco, una corda che circondava
la figura angelica che vi era sdraiata, e le fiamme ancora cocenti,
cremisi, danzavano nell'aria creando strane illusioni.
Ad
esse si univa una grande nube, una coltre di fumo che faticò
a
respirare. Pianse, battendo con la testa sul legno del piccolo
rettangolo in legno, ove era posata quasi come una Madonna immacolata
la figura di Ino... i suoi lunghi capelli stavano bruciando, carboni
ardenti stavano risucchiando la bellezza che c'era in lei, il fascino
che esercitava sugli uomini di ogni rango.
Il
suo brio naturale stava morendo nel fuoco, il sorriso era ora dimora
delle fiamme, che si impadronivano con avidità della sua
bocca; in
seguito, solo ossa sarebbero rimaste.
E
poi cenere, polvere, inutilità.
Cenere
siamo e cenere diventeremo.
Siamo
inutili... inutili a questo mondo. Sakura l'aveva capito, adesso che
vedeva Ino bruciare viva, davanti ai suoi occhi. Uno spettacolo che
le faceva accapponare la pelle, che sarebbe rimasto senza alcun
dubbio vivo nella sua mente.
La
nostra esistenza prende vita nel momento stesso in cui ci accorgiamo
di perderla.
Vale
a dire che ci accorgiamo veramente di quanto vale la nostra vita solo
quanto siamo sul punto di abbandonarla, e forse non riflettiamo mai
abbastanza sul fatto che è preziosa, e che vale la pena di
viverla.
La
cosa peggiore era che non aveva potuto far niente e, cosa ben
più
grave, era stata un'ingenua. Un'ingenua che si era illusa: aveva dato
fiducia alle parole di uno spietato assassino, di un maniaco
sessuale, di un uomo senza valore, anche se gli erano rivolti molti
onori.
“L'avete
uccisa...”, articolò, impastando nella bocca
parole acide. Un
magone allo stomaco, un peso che le sopprimeva il petto, impedendole
di provare anche solo quel briciolo di pietà.
Perché
adesso Ino era cenere e lo era per colpa sua. Ora, avrebbe dovuto
espiare quel peccato.
E
l’inferno non bastava a redimerlo da quella colpa, le fiamme
non
sarebbero state sufficienti a giustificare un simile scempio
dell'esistenza fatta persona... avrebbe dovuto morire e rinascere,
morire e rinascere, finché quell'animo assatanato non
avrebbe
trovato riposo.
“Ahimè...”,
proferì lui, mettendole una mano sulla spalla.
“Non
toccatemi!”, urlò, squarciando il cielo.
“Assassino! Vigliacco!
Bastardo!”, gliene gridò di tutti i colori,
bestemmiò un paio di
volte, ad alta voce, mentre un coro di “Oh”, e di
“Povera
ragazza, adesso chissà cosa le
accadrà”, le arrivavano come
frecciatine ai timpani, volenti o nolenti.
“Faresti
meglio a non agitarti troppo, gitana”, grugnì
sprezzante.
Giocò
col viso della ragazza, passando con un dito lungo i suoi lineamenti.
Alla fine, con un semplice trucco di prestigio, le fu dietro; ora
poteva accarezzare la linea più nobile del collo, quella che
adesso
era tesa come una corda di violino, nervosa. “Questa
corda...”,
ed estrasse una semplice cordicella, passandogliela attorno alla
gola. “... segna il confine tra la vita e la morte”
sussurrò in
modo quasi sadico, con l'intento di farlo sentire solamente a lei.
Strinse maggiormente, tirandola verso di sé...
inevitabilmente il
capo scattò all'indietro, il volto si contorse in una
smorfia di
dolore, una sofferenza terrificante che fino a quel momento non aveva
mai provato.
La
folla stava osservando la scena provando enorme pena per la ragazza,
ma nessuno aveva il coraggio di opporsi ad una simile ingiustizia.
Solo quando il volto di Sakura divenne di un colore simile al
porpora, allora decisero d'intervenire, intimando all'Uchiha di
smetterla... ma quello non mollava, sembrava si divertisse, quasi la
zingara fosse un burattino, capitato però in mani sbagliate.
“Lasc-Lasciatemi”,
tentò di spiegare, anche gestualmente. Un attimo dopo
avrebbe
sentito il collo libero da quel cappio assassino, il conato di vomito
bloccato in gola, le nausee improvvisamente soppresse.
Uno
sguardo ostile.
L'Uchiha
schioccò le dita, chiamando a rapporto i primi malcapitati
che si
trovavano nelle vicinanze. Questi si portarono una mano al capo,
gridando un “Sì, Signore”, forse con
troppa enfasi.
“Portate
questa sporca prostituta nella sua cella. Non legatela, ci
penserò
io”, telegrafò.
In
seguito due tenenti la portarono di forza via dalla piazzetta,
sbattendola dritta dietro le sbarre.
Te
lo prometto Ino
-fosse
anche l'ultima cosa che faccio-
il
tuo sacrificio non resterà invano.
Il
soldato le lanciò uno sguardo canzonatorio, ghignando di
piacere.
Ordinò ad altri due soldati minori di cancellare le tracce
di quel
corpo bruciato, di spargere le ceneri a terra, come immondizia,
così
tutti lo avrebbero calpestato.
Se
ci riflettiamo, è strano.
Non
c'è limite alla malvagità, alla
crudeltà dell'uomo.
Alla
sua bontà invece sì.
Peccato,
vorrei che fosse il contrario.
L'Uchiha
rientrò nella stanza, lasciandosi dietro il rumore dei
carri, le
ruote delle carrozze, il semplice cianciare senza cognizione di causa
dei contadini ignoranti, l'aberrante scenario che gli si proponeva
tutti i giorni di fronte: quello di persone che lo odiavano,
sognavano di vederlo morto, e avrebbero pestato i piedi sulle sue
ceneri tante di quelle volte che avrebbe sentito le pedate anche
all'Inferno. Ma non gli dispiaceva.
No.
Finché era al potere, poteva decidere di far morire tutti,
in un
unico grande falò... poteva torturare ed in seguito
martoriare i
loro corpi, senza alcun pudore.
Forse
era cresciuto in tal modo a causa dei suoi genitori... se di genitori
si poteva parlare. Quel bastardo di suo padre se ne era andato presto
di casa, e sua madre era diventata isterica da allora, sempre pronta
a bestemmiare, in nome di quel marito e in nome di quei figli che
aveva avuto, e che adesso rinnegava, e a cui augurava la morte.
Il
destino le si rivoltò contro, truce. Perché, solo
pochi anni dopo,
la donna, in seguito a quella pazzia, aveva deciso di compiere un
gesto estremo: il suicidio.
Se
lo ricordava ancora, quel fottutissimo giorno... lo aveva svegliato
sua madre, e ancor prima suo fratello. Portava un fazzoletto nero
intorno al capo, si rigirava la fede nuziale senza tregua, piangeva e
rideva con la stessa intensità... Sasuke lo aveva sentito:
sarebbe
stata l'ultima volta che l'avrebbe vista. Sua madre teneva tra le
mani stretto un rosario e pregava, ansiosamente, continuamente,
ripeteva ossessionata le Ave Maria e i Padre Nostro laddove li aveva
lasciati, e poi, a metà della preghiera, ricominciava
daccapo,
guardando in alto nel cielo.
“Bella
giornata”, aveva detto sottovoce, osservando i nuvoloni scuri
che
stavano sfumando il cielo. Poi aveva dato ai figli un bacio, era
corsa via come un'ossessa, e Sasuke e Itachi avevano capito -ma
avevano fatto finta di non capire.
Itachi,
il più grande e il più responsabile, gli aveva
preso la mano, in un
gesto da uomini -cresciuti troppo in fretta, forse.
“Ora
siamo soli”, sillabò, osservando la sagoma della
madre ormai
invisibile.
La
coperta di nubi ostacolava loro la visuale, così Sasuke
ritenne più
opportuno spingersi finché la sua vista glielo permetteva.
“Già...
siamo soli”, il tono monocorde del bambino aveva un che di
malinconico, triste... era stato allora che aveva iniziato a farsi le
ossa, a lavorare come un mulo, a trovare il pane per strada,
perché
nessuno ti da' niente per niente.
La
dura legge della vita.
Così
come hai guadagnato quel tozzo di pane, gli altri sono già
pronti a
riprenderselo, e a sputarti in faccia, se ne hanno voglia.
Perché
erano questo gli uomini: avidi
di potere, veterani della
lussuria, maestri dell'agiatezza.
E
Sasuke aveva capito, da allora.
Era
troppo ingenuo...
Qui
chi semina raccoglie.
E
chi non raccoglie... può considerarsi un fallito.
“Hai
capito allora cos'è un uomo, Sas'ke?”, gli
domandavano i suoi
amici. Sasuke si torturava da mesi con quella domanda, senza trovarne
risposta. Ora che si era spaccato la schiena, lussato una gamba, ora
che aveva sputato sangue nei campi... ora poteva dare una
risposta.
“Sì.
Sì che lo so”, avevano annuito gli altri,
interessati alle sue
teorie. “È quello che comanda. E un giorno lo
sarò anch'io”
“Vuoi
comandare?!”, che sogno strano, pensavano i bambini. Ma lui
un
bambino non lo era più, anche a nove anni, si poteva
considerare un
uomo.
“Io
sono nato per fare il padrone, non certo lo schiavo”
Detto
fatto.
Ora
Sasuke Uchiha era uno spietato e temuto soldato di livello
medio-alto... aveva tutto quello che voleva, bastava che schioccasse
le dita e poteva dar vita alla cenere, e allo stesso tempo farla
bruciare. Col tempo quel ruolo era diventato una costante, e tutti da
allora lo conoscevano come il “Terribile Uchiha”,
l'incubo dei
criminali e soprattutto degli zingari. Le sue avversità
erano
cominciate osservando quei rivoltanti balletti mal coreografati, un
astruso modo di vestirsi che destava non poco scalpore, in netta
contrapposizione agli eleganti abiti d'epoca del ceto alto.
Poi
era apparsa lei, in un lampo.
Quella
naturalezza nei movimenti, le piroette che compiva, i movimenti che
incastrava perfettamente tra corpo e mente... ben diversa dalle
zingare che era solito vedere.
La
studiava da molto tempo, ricalcava le sue forme nella mente, gli si
sovrapponevano milioni di immagini di quella danzatrice senza
tecnica. Si era insinuata come un tarlo nella sua mente, scavandone
la profondità, e sentiva il bisogno di conoscerla, di
parlare con
lei... e l'unico modo per farlo era incatenarla, con la forza. Dote
che aveva sempre usato e gli era sempre stata di grande aiuto, dal
momento che aveva imparato a sue spese che con
la forza si ottiene
tutto.
L'Uchiha
entrò a passo lesto nel piccolo covo quasi deserto, un
rifugio
spartano, senza troppi ghingheri. L'ideale per una prigionia a tempo
indeterminato che si sarebbe risolta come le altre prima di essa, con
un grande falò a cui erano tutti invitati. Il soldato
ghignò,
davanti alla sagoma della gitana, tramortita di paura. Glielo leggeva
negli occhi: terrore nel suo
sguardo.
“Andatevene,
idioti”, gridò ai due uomini che si stavano
premurando di tener
ferma la zingara.
Quelli
subito annuirono, defilandosi dalla stanza, lestamente. Sakura
osservò il loro goffo modo di muoversi, la loro dedizione al
padrone, quasi quello fosse Dio.
Un
Dio di morte.
“Lasciate
questa prigione e andate ad arrestare gli altri gitani”,
ringhiò
loro contro, sbattendoli letteralmente fuori. Solo dopo un istante di
silenzio, l'uomo torno a leccarsi le labbra; osservò il
sorriso
della ragazza, ostile.
“Siamo
solo noi due...”, lasciò in sospeso la frase,
dando a intendere
ben altro scopo che una semplice conversazione.
“Andate
a farvi fottere”
“...”
Silenzio.
L'uomo schifò per un momento la donna, facendo una smorfia
di
disappunto. “Dì un'altra parola e hai firmato la
tua condanna a
morte”. Quello sguardo ghiacciato la paralizzò.
L’uomo
le aveva preso il mento, poi aveva spinto il suo collo in alto,
minacciandola. Il suo corpo era andato ad impattare nuovamente contro
quello di Sakura. E quest'ultima stavolta non si fece scrupoli...
fece un gesto estremo e, forse, avventato. Gli sputò in
faccia.
Esatto,
un grume di saliva adesso scendeva sulla guancia del soldato che,
prontamente, ripulì quella sostanza liquida, impastata da
una bocca
troppa audace e sfrontata.
“Puttana”,
grugnì, afferrandole bruscamente i polsi e cacciando fuori
un
coltellino dalla tasca.
Il
suddetto coltellino attraversò con una certa lestezza le
vene del
braccio di Sakura, che divennero più sporgenti: quand'era
nervosa o
tesa era sempre così. Tremò, come una foglia
scossa dal vento.
L'uomo
avrebbe potuto affondare la lama nel suo braccio da un momento
all'altro, senza provare la minima pietà. Avrebbe intrapreso
una
lunga crociata dalla sua spalla fino al palmo della mano, tracciando
una linea retta color carminio.
“Ora
non parli più?”, domandò.
Se
lo trovò dietro, in un attimo. Quella lama infilzata nel suo
collo
premeva forte. Gli occhi carnefici la stavano guardando come una
carne destinata al macello, con la sola differenza che lei sarebbe
bruciata viva, al rogo. Una lacrima sul suo volto, tuttavia
altalenante tra la ciglia e l'iride.
Aveva
pochi minuti per riflettere: pochissimi. Il coltellino le sfiorava la
pelle, cercava di affondare ma poi si fermava sempre; l'intento
dell'Uchiha non era quello di ucciderla, solamente di torturarla. Era
quasi tentata... avrebbe dovuto solo trovare il momento opportuno per
poi prendersi la sua rivincita, portando il coltello dalla parte del
manico.
Valutò
le opzioni, concentrandosi. Avrebbe potuto ribaltare la situazione a
suo favore, volendo. Fece mente locale: doveva valutare velocemente,
con astuzia e furbizia. Strizzò gli occhi, si
guardò circospetta
attorno, e in un attimo attuò il suo piano. “Io
non sottovaluterei
le gitane...”,
mormorò con particolare enfasi quell'ultima
parola. L'Uchiha arcuò un sopracciglio, abbassando un po' la
cresta,
probabilmente; Sakura ghignò, prendendo un gran respiro e
compiendo
quel gesto folle ma estremo. Come
si suol dire: a mali estremi...
estremi rimedi.
Con
tutta la forza che aveva in corpo, sfilò quel coltellino
all'uomo,
astuta come solo una volpe sa essere. Quello se ne accorse
immediatamente, e cercò di riprendere ciò che gli
apparteneva, ma
lei si era preparata psicologicamente a quel momento: fece una delle
sue piroette acrobatiche -quelle che il Colonnello Uchiha
disprezzava, e che invece, adesso, si stavano dimostrando d'aiuto-,
affondando con la gamba all'interno del petto dell'uomo.
Probabilmente gli fece male, dal momento che, quello soffocò
un
gemito di dolore, tenendosi lo stomaco... la smorfia disgustata, la
bocca contorta, il grume di saliva che aveva fatto uscire fuori dalla
sua bocca, per non rischiare di soffocare. Sakura sorrise, per un
decimillesimo di secondo; aveva avuto la sua piccola -grande-
rivincita. Adesso però ne doveva subire le conseguenze...
l'uomo
s'avventò su di lei, con tutta la sua forza, tentava di
strappargli
quell'oggetto di mano, e non avrebbe esitato a romperle le ossa, se
ne avesse avuto l'occasione. Dal canto suo la zingara si difendeva
come poteva, grazie a quelle acrobazie che le erano tornate tanto
utili, in un momento di panico come quello; proprio per questo motivo
decise di non far affidamento sul terrore e sulla costante
agitazione, bensì sulla sfrontatezza, sull'audacia e sul
coraggio.
Quello che tanti altri prima di lei non avevano avuto. Fu un duro
gioco di sguardi, ingannevoli sorrisi, falsi convenevoli; e alla fine
la rosa prevaricò, con una mossa assai pericolosa.
“Cos...
Cos'ho fatto?”, davanti a lei un macabro spettacolo. Non se
ne era
reso nemmeno conto... in quei pochi attimi sospesi tra vita e morte,
tra razionalità e follia, aveva affondato il coltello nel
petto
dell'uomo... cosa diavolo le era saltato in testa?. Mise una mano
davanti la bocca, macchiandosi del suo sangue.
Era
un'assassina, era una dannatissima assassina, adesso. Colavano ancora
stille di sangue dalle sue mani, piccole gocce che andavano ad urtare
il terreno, leggere. Di fronte a lei, Sasuke Uchiha era morto... non
se ne capacitava. Gli occhi erano chiusi - e a guardarli
così non
incutevano neppure tanto timore -, il corpo era caduto all'indietro,
battendo sonoramente con la testa sul pavimento roccioso. Si
guardò
ancora una volta le mani, schifata. Si sarebbe dovuta levar via quel
sangue, avrebbe dovuto cancellare quelle tracce dalle sue mani,
avrebbe dovuto lavarsele, pulirsele, senza lasciare più
alcun segno.
Ma
sapeva già, in fondo, che quel sangue sarebbe rimasto
indelebile,
non
avrebbe potuto lavarlo via in alcun modo.
Incancellabile.
Cosa
doveva fare, adesso? Uscire?
Non
sarebbe passata di certo inosservata, non se era una zingara che
girava a piede libero, senza nessun soldato che le prestava
attenzione. Peraltro, ricordò le ultime parole dell'Uchiha
ai
soldati minori: a quanto pareva in quel posto non c'era nessuno.
Avevano ubbidito agli ordini del maggiore; Sakura sospirò,
avrebbe
dovuto compiere il secondo gesto più macabro della sua vita.
Soppresse il conato di vomito. Lo doveva fare per salvarsi la pelle;
Ino l'avrebbe capita. Pensò alla bionda amica, il suo
sorriso
raggiante ridotto in cenere; serrò un pugno, nervosa. Non
era il
momento di rivangare i brutti ricordi di qualche ora prima, non era
nemmeno il momento per soccombere alle emozioni.
Si
avvicinò al corpo dell'uomo, senza più alcun
timore. Estrasse il
coltello che gli aveva premuto sullo stomaco, e non si era fermata
lì. Aveva infilzato quella lama sì, e, per un
solo e miserabile
momento, ci aveva giocato, dando vita a quella bramosia di vendetta,
che credeva di tener nascosta in cuore. Con un grande sforzo,
estrasse la lama metallica, respirando a pieni polmoni l'odore fresco
del sangue, unito a quella muffa che vigeva nella prigione. Un odore
acre, malevolo, assolutamente irrespirabile... ciononostante fece uno
sforzo, cacciando fuori il coltellino svizzero con cui l'Uchiha tanto
la minacciava.
E
così, alla fine, è stato lui ad ingannare te.
Pensò,
mentre compiva un altro sforzo per sfilare il mantello dell'uomo.
Quel mantello di velluto, morbido e soffice... un po' intimidatorio,
un po' affascinante; quel panno che le aveva sfiorato più
volte
l'epidermide, talvolta con un cenno quasi insensibile, talvolta con
un tocco profano, rude. L'aveva avvolta in quell'indumento, forse con
poca galanteria, forse violentemente, ma era stato l'unico tocco che
le aveva fatto rimbalzare per un attimo il cuore; perfino sotto
quella dura scorza di crudeltà, aveva intravisto un barlume
di
malinconia, una velata nostalgia e un’amara tristezza. Alla
fine
era giunta ad una conclusione: l'Uchiha aveva sofferto, duramente.
Sakura s'infilò il cappuccio, coprendo i capelli che, seppur
di un
colore opaco, erano sempre visibili alla luce del sole.
Da
quanto tempo non la vedeva? Le mancava la luce... le mancava poter
vedere un raggio vagabondare sulla sua pelle, senza meta.
Afferrò
il coltellino, lo arrotolò tra le vesti, coprendolo con
quante più
stoffe fosse necessario. Con le mani che le formicolavano ancora si
allacciò il mantello, nascondendosi all'interno di quel
travestimento. L'ultima cosa che vide fu quel suo corpo, immobile,
statuario. Perfino con quell'espressione cadaverica in volto,
conservava il suo ghigno di circostanza, beffardo.
E
una piccola, minuscola, sensibile lacrima le rigò la
guancia.
“Abbiamo pareggiato i conti, Uchiha”.
E
si defilò, nascondendo un ghigno sardonico tra le labbra,
scomparendo da quella sudicia stanza, impregnata di un odore ancora
lugubre.
Il
giorno dopo avrebbero trovato uno straccio, di un'anonima stoffa
color salmone, accanto al corpo del Colonnello Uchiha, assassinato,
per motivi che erano ignoti; né,, tanto meno, si conosceva
l'assassino.
Quella
stoffa...
Nessuno
ne capì mai il significato.
***********
Dico
subito che questo è stato in assoluto il capitolo
più difficile da trattare... infatti rileggendolo devo
tirare ancora un sospiro di sollievo,
giuro °_°
Sarà che in questa storia mi sono immedesimata troppo,
chissà °°.
Vi ringrazio infinitamente, come sempre *_*. Ahimè stavolta
non posso ringraziarvi, vi basti sapere
che sto facendo Storia dell'Arte, e sono sommersa dai compiti.
Grazie a tutti,
Ki-chan =).
|
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Capitolo 5 *** Epilogo (~ Cuore di Zingara) ***
Epilogo
~
Cuore
di Zingara
Sakura
canticchiava una canzone, osservando un'alba appena sorta... uno
spettacolo a dir poco stupendo. Trovava affascinante studiare le
sfumature del sole, dalla più scura alla più
chiara, in una scala
di colori, uno dopo l'altro; quel momento magico che preannunciava la
nascita di una nuova giornata, la sicurezza che era ancora nel mondo.
Ora
Sakura era lontana, distante dal luogo dove originariamente era nata
e vissuta. Aveva bisogno d'aria, di cambiamento, di sano ossigeno da
respirare. Proprio per questo inspirò ed espirò a
pieni polmoni,
sentendo quell'aria un po' frizzante tipica dei paesi nordici.
Ogni
tanto il vento le parlava...
Sussurrava
qualcosa: un flebile suono, armonico.
Cosa
diceva?
Beh,
non l'aveva mai capito.
Sembrava
una litania che si ripeteva senza fine, una strofa dopo l'altra...
forse solo la sua sciocca immaginazione, chissà.
Non
avrebbe più riavuto indietro ciò che le era stato
rubato. Poteva
cancellare i baci dolenti, le lacrime amare, i momenti di terrore.
Il
vento sibilava qualcosa, ancora.
Cercava
di afferrare il senso di quelle parole, ma le sfuggiva dalle mani.
Poi le parve di sentire una voce familiare, in lontananza; un brivido
corse lungo la sua colonna vertebrale. Ora, anche ora che era morto,
la tormentava? Giurò di aver appena udito la voce quasi
ultraterrena
dell'Uchiha. Poteva essere ancora illusione? Il sorriso
sfumò sulle
sue labbra, mentre un'espressione piuttosto scettica le copriva il
volto, sostituendosi a quella sensazione di beatitudine che aveva
provato prima.
Si
alzò in piedi, cercando di tenersi in equilibrio sul
rettangolo in
cemento, lungo e stretto. Certo, era un po' scomodo, ma era la
visuale più bella di tutte, quella... ecco
perché, ormai da anni,
ogni mattina si alzava poco prima dell'alba per osservare quel
pittoresco quadro di luci e colori che tingevano il cielo.
“Uchiha”,
le parve di vederlo, doveva essere illusione. Sì, non poteva
vedere
un defunto, che oltretutto aveva ucciso con le sue stesse mani; aveva
sentito il suo battito ormai assente, il suo respiro inesistente, il
suo corpo fermo, immobile. Gli rivolse un'occhiata algida,
lasciandolo parlare.
“Non
abbiamo ancora pareggiato i conti”.
Cosa
intendeva dire? Sakura arcuò un sopracciglio; poi
avvertì qualcosa
sgretolarsi sotto i suoi piedi ed ebbe un brutto presentimento.
Si
voltò dall'altra parte del muretto, ove c'era un grande
fiume.
Trasalì, decidendo di scendere... ma qualcosa la
frenò. Era il
braccio di Sasuke, la sua espressione dura, lo sguardo ostile.
“Cosa...”,
non finì la frase.
“Te
l'ho detto, gitana... non abbiamo ancora pareggiato i conti”,
e
sorrise sghembo, spingendola qualche centimetro più in
là. Quella
situazione era decisamente surreale, motivo per cui, in un primo
momento Sakura, non parve credere a quello spettro.
“Cosa
stai facendo?”, era al limite del muretto, sarebbe bastata
un'altra
spinta e sarebbe caduta giù, in un baratro.
E
chi lo avrebbe saputo? Nessuno.
Quella
era una delle zone più deserte, in assoluto.
Respirò a malapena,
cercando di spostarsi, di sfuggire dalla presa dell'Uchiha, ma lui
sembrava esercitare un potere troppo potente su di lei. Talmente
forte che poteva solo soccombere.
“Va'
all'Inferno!”, gli gridò, con le lacrime agli
occhi.
“Volentieri”,
disse lui, per niente toccato. “... ma non sarò il
solo”, e con
una leggera spinta Sakura fece un capitombolo, urtando le rocce
aguzze che incontrava lungo la discesa... e alla fine cadde nel
fiume, ma ormai aveva perso conoscenza.
Ormai
aveva perso la vita.
Sasuke
la osservava dall'alto. Quella figura galleggiante, sudicia, si
muoveva nell'acqua, che la stava trasportando sempre più in
là... e
una grande chiazza rossa si stava espandendo sempre di più.
Probabilmente la punta di una roccia era andata a urtare la sua
schiena, poi, con maggior potenza, si era spinta nella debole carne
della zingara, aprendole uno squarcio enorme.
“Ecco,
ora abbiamo pareggiato i conti”.
Si
voltò, camminò a passi lenti e cadenzati, poi la
sua figura si
smaterializzò.
When
our actions do not,
Our
fears do make us traitors
-Quando
non sono le nostre azioni, sono le nostre paure
a
farci apparire traditori- (**)
Fine.
(*)-(**):
Macbeth
Finita.
Posso
dire, senza alcun dubbio, che questa è la storia in cui ho
messo più
impegno <3. Non mi sto chiedendo perché nessuno abbia
commentato
lo scorso capitolo, non ho nemmeno intenzione di supplicare un
commento XD.
Mi
piace questa fan fiction, l'ho postata e ne sono felice... il resto
ha poca importanza <3. Grazie mille delle letture. Grazie a chi
mi
ha spronato ad andare avanti nei momenti d'abbattimento, a chi mi ha
detto che ne valeva la pena, chi ha apprezzato persino il mio modo di
disegnare °°. Per questo e per altri motivi...
Grazie
Efp <3.
Vostra
Kiki.
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