Tremendo il rimbombare di un cuore martellante di beat (/viewuser.php?uid=40068)
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Capitolo I ***
Capitolo 2: *** Capitolo II ***
Capitolo 3: *** Capitolo III ***
Capitolo 4: *** Capitolo IV ***
Capitolo 5: *** Capitolo V ***
Capitolo 6: *** Capitolo VI ***
Capitolo 7: *** Capitolo VII ***
Capitolo 8: *** Capitolo VIII ***
Capitolo 9: *** Capitolo IX ***
Capitolo 10: *** Capitolo X - Epilogo ***
Capitolo 1 *** Capitolo I ***
Disclaimer: i personaggi non mi appartengono e questa
fiction
non è stata scritta a scopo di lucro.
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Autore: beat
Titolo: Tremendo
il rimbombare di un cuore martellante
Personaggi:
Gintoki, Un po' Tutti
Genere:
Generale, Drammatico, Azione, (Comico e Introspettivo a tratti)
Rating:
Giallo/Arancione
Avvertimenti:
Nessuno
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Gintoki corse
più
veloce che poteva lungo le affollate strade di Edo.
Si scontrò
più volte
contro la gente, scansando di malagrazia tutti quelli che avevano la
sfortuna di incrociare il suo percorso.
Continuò a
correre, senza mai
fermarsi, lasciandosi dietro tutte le imprecazioni e le maledizioni che
gli venivano lanciate. Non aveva tempo né voglia di stare ad
ascoltare nessuno.
Doveva fare in fretta,
non aveva quasi più tempo.
Mancavano pochi minuti.
Solo qualche altro
misero minuto e il suo mondo sarebbe crollato.
Ignorando le fitte di
dolore alle gambe e il respiro affannato che gli bruciava i polmoni,
Gin continuò a correre.
Mancavano pochi minuti e
l'obiettivo era ancora lontano.
Doveva continuare a
correre.
Doveva riuscire ad
arrivare in tempo.
Doveva in tutti i modi
salvarli.
Tremendo il
rimbombare di un cuore martellante
Capitolo I
“Kagura, si può sapere perché diavolo
devi esagerare così ogni volta?”
“Io non esagero mai!”
“Certo, come no! Infatti è assolutamente normale far saltare
in aria metà di un palazzo solo perché ne avevi
voglia!”
“Loro mi hanno offeso!”
“E ti sembra un motivazione valida per scatenare tutto quel
putiferio?!”
Shinpachi aveva urlato l'ultima frase, ma come era prevedibile, Kagura
non lo stava minimamente ascoltando. Ogni volta che Shin faceva il
moralista, era come se la ragazzina scollegasse le orecchie dal
cervello, e diventava immediatamente insensibile a tutte le
recriminazioni che il compagno le faceva.
Shinpachi strillò dal nervosismo.
Provò in qualche modo a convincere Gintoki a dargli man
forte,
ma anche il ragazzo più grande non sembrava particolarmente
preso da quei discorsi.
“Shinpachi, meglio se ti dai una calmata! Ti farai venire un
ulcera di questo passo. E ti cadranno anche tutti i capelli!”
“Ma che capelli e capelli! Voi mi farete venire un
esaurimento nervoso, altro che ulcera!”
“Forse una vacanza....”
Shinpachi strillò di nuovo come una gallina e per di
più
tirò un pugno a Gin, centrandogli perfettamente il naso.
“Ma sei compledamente uscido di desda?!” si
lamentò Gin, tenendosi il naso.
“Non vi sopporto quando fate così! Ma non vi
rendete conto
di tutti i casini che combinate ogni maledettissima volta?”
Gintoki smise di lamentarsi e fissò gli occhi in quelli di
Shinpachi.
Sapeva bene che cosa preoccupava il ragazzino, ma lo stesso non
riusciva mai a prendere troppo seriamente tutti i suoi –
superflui – avvertimenti. Sapeva bene che Shin era un ragazzo
con
la testa sulle spalle, e doveva ammettere che in più di
un'occasione aveva lasciato a lui il ruolo della persona saggia del
gruppo: quella che si preoccupa degli altri, che ricorda a tutti quello
che è giusto e quello che è decisamente
sbagliato.
Ultimamente però gli aveva lasciato questo gravoso compito
un po' troppo spesso.
E nelle ultime settimane non aveva fatto poi molto per alleggerire il
carico di tensione che aleggiava sopra Shinpachi.
Controllando che il naso avesse smesso di sanguinare, Gin si
rialzò da terra – dove era finito per il pungo di
Shin
– e si avvicinò all'amico. Gli mise un mano su di
una
spalla.
“Oggi vi porto fuori a cena. Offro io!”
Immediatamente Kagura aveva preso a saltellare dalla
felicità,
già pregustando tutte le leccornie che avrebbe potuto
mangiare.
Shinpachi invece non aveva in alcun modo commentato, e anzi non aveva
distolto lo sguardo da Gintoki.
Sapeva bene che il loro datore di lavoro cercava spesso di distrarli o
rabbonirli – offrendo loro del cibo, come se questa fosse la
soluzione universale a tutti i loro problemi – ma in questa
occasione Shin era quasi sicuro
che con quel gesto Gin stesse cercando di dimostrare anche
qualcos'altro. Poteva infatti vedere in fondo ai suoi occhi da pesce
lesso un luce particolare, quella che di solito animava il suo sguardo
quando parlava di onore e di amici.
Shin gli lanciò un'occhiata vagamente offesa, ma in fondo
sapeva
che Gintoki stava cercando di scusarsi per tutti i problemi che gli
aveva causato.
“D'accordo, ma pretendo di mangiare anche della carne
stasera!”
*****
I tre della Yorozuya erano seduti ad un tavolo in una vecchia e
piuttosto malandata trattoria nel cuore di Kabukicho. Perché
comunque, non potevano permettersi molto di meglio!
Kagura era alla milionesima
portata, alle prese con una ciotola gigante di ramen, mentre gli altri
due si erano quasi accasciati sulle proprie sedie, visto che avevano
davvero mangiato fino a scoppiare. Certo, poi Gintoki si sarebbe dovuto
accontentare di alghe sottaceto e natto –
rabbrividì al
solo pensiero – per le prossime due settimane e mezzo, ma in
fondo ne valeva la pena.
Avevano rischiato tutti i tre di morire quella stessa mattina: una cena
con i fiocchi era quanto meno d'obbligo.
Sì, perché con la loro solita botta di fortuna si erano
trovato coinvolti in un problema di dimensioni abissali.
Come al solito tutto era iniziato con un apparentemente
normale incarico affidatogli da un personaggio che con il senno di poi
era davvero sospetto. Ma si sa, il lavoro è lavoro, e loro
avevano l'obbligo morale di accettare qualsiasi incarico.
Quello che di certo non si erano aspettati erano state tutte le
complicazioni che ne erano seguite: una battaglia mortale con dei ninja
capeggiati da Sacchan; una battaglia con gentaglia del Bakufu; uno
scontro all'ultimo sangue con uno spadaccino Amanto decisamente
temibile; l'improvvisa comparsa di Zura che lo aveva – Gin
non
riusciva ancora a raccapezzarsi del come –
coinvolto in
qualche
sua strana e pericolosa attività terroristica; e per
concludere
in bellezza avevano anche dovuto esibirsi in una rocambolesca fuga
dalla Shinsengumi, ben decisa ad arrestarli in quanto complici di non
si sapeva bene quale delle varie fazioni in cui si erano imbattuti quel
giorno.
Decisamente niente male per una normale giornata feriale!
Si, forse Gin capiva come mai Shinpachi era così stressato
in
quei giorni. In effetti la giornata appena trascorsa sarebbe bastata a
stendere chiunque, e non si meravigliava di come il povero ragazzo
avesse dato fuori di matto quando Kagura – infuriata
perché uno dei tanti avversari l'aveva presa in giro
– gli
si era lanciata come un carro armato, pronta a far fuori tutti i nemici
e decisa a distruggere tutto quello che le si parava davanti. Proprio
un bel macello ne era uscito!
“Buono questo ramen!”
L'esclamazione di Kagura distrasse Gin dai suoi pensieri.
“Hai finalmente
finito?” domandò, tra il seccato e il divertito
Gintoki.
“Si, penso di si. Anche se ci starebbe bene un
dolcetto!”
“Eh no!” esclamò Gin, trattenendo Kagura
che si era
già allungata per attirare l'attenzione del cameriere
“Lo
sai che io non posso mangiare dolci fino a
martedì!”
“E che c'entra? Io
posso mangiare dolci, oggi!”
“E non ti sembra crudele mangiare dolci davanti a uno che non
può?”
Kagura lo guardò assorta per qualche secondo.
Gin sapeva che cosa stava passando per quella piccola testolina rossa.
“N-”
“Dai Kagura!” la interruppe Shinpachi, sorridendo
bonariamente “Visto che ci offre la cena potresti essere
gentile
con lui, almeno questa volta..!”
Kagura guardò prima Gintoki poi Shin, per poi di nuovo
fissare Gin.
Sospirò, come se stesse concedendo un grande onore.
“E va bene! Ma solo per questa
volta!”
Shinpachi sorrise alla sua buffa espressione di superiorità,
e si alzò da tavola.
Venne imitato anche dagli altri due e, dopo che Gin ebbe pianto un
sacco nel saldare il conto, i tre si diressero all'uscita.
“Che bella mangiata! Grazie testa riccia!”
“Se...se...”
Shinpachi scoppiò a ridere alla vista dell'espressione
sconsolata di Gintoki, e gli batté una mano sulla spalla.
“Dai, poteva andarti peggio! Non ha nemmeno chiesto il
dolce!”
Gintoki lo guardò storto, ma si limitò a
sbuffare. In
fondo era stata una sua idea, per cui non poteva nemmeno lamentarsi
più di tanto.
I tre camminarono in silenzio per qualche minuto, finché Gin
non si fermò, all'incrocio di un vicolo scuro.
“Gin?”
“Voi tornate pure a casa, ragazzi. Io ho ancora una faccenda
da sbrigare.”
“Faccenda? È così che ora tu chiama le
tue scappatelle?”
Shin arrossì al posto di Kagura, e anche Gintoki la
fissò, un po' preoccupato.
“Ma non ti vergogni proprio?!”
“Beh? Che ho detto io di male?”
“Lasciamo perdere...”
“Quindi tu va a scappatellare,
giusto?”
“Kagura! Smettila! Non sta bene che una ragazzina parli di
certe
cose!” la rimproverò Shinpachi, sempre
più rosso.
Gin ridacchiò, vedendolo così agitato.
“Tranquilli. Devo solo scambiare due paroline che il nostro
caro
Zura. Mi deve delle scuse per il casino in cui ci ha messo
oggi!”
Shin e Kagura annuirono, assorti.
In effetti la comparsa in scena anche di Katsura aveva complicato ancor
di più le cose quella mattina. E per di più una
volta
calmato tutto il pandemonio, il ragazzo si era dileguato nel nulla,
senza dir nulla a nessuno.
“Va bene. Allora salutalo anche da parte nostra!”
dichiarò alla fine Shinpachi, prendendo per un braccio
Kagura,
che sembrava più che intenzionata a seguire Gin.
Il ragazzo occhialuto immaginava invece che Gin volesse parlargli a
quattrocchi.
Salutò con un cenno del capo Gintoki e lui e Kagura si
diressero verso casa.
“Dai, visto che è tardi resto a dormire anche io
alla Yorozuya” lo sentì dire mentre di
allontanavano.
“Non è che tu ci provi con me, vero?!”
“Ma ti sembra?!”
Gin rimase a guardarli ancora qualche momento, sorridendo.
Poi imboccò il vicolo laterale e sparì nel buio.
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Angolo dell'Autrice:
Eccomi qui di ritorno con una nuova storia su Gintama.
E di nuovo una long-fiction, che spero vi possa tenere compagnia per un
pò di capitoli. ^^
Purtroppo, però, questa volta ho deciso di seguire la mia
vena
sadica, per cui non aspettatevi troppe risate nei prossimi capitoli.
Si, lo so che sono l'autrice de "il primo capitolo non c'entra mai un
ca...volo
con il resto della storia"...ma abbiate pazienza! ^^"
Dal secondo capitolo capirete che piega
prenderà la storia...vi ho anche messo un assaggio in testa
alla
fiction.
Spero di cuore che questo mio esperimento vi possa piacere!
Ah, dedicata a Gintokina,
ballerinaclassica
e Sayoko_ Hattori,
che
hanno così simpaticamente commentato le mie due
shot: Ombrello
e È
pericoloso per una spia cercare di attirare l'attenzione degli altri
Grazie mille, davvero!
Mi ha fatto un sacco piacere leggere i vostri commenti! ^o^
Fatemi sapere i vostri commenti, pareri o critiche!
Grazie a chi vorrà lasciare una recensione e a quanti
leggeranno e basta.
Beat
|
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Capitolo 2 *** Capitolo II ***
Disclaimer: i personaggi non mi appartengono e questa
fiction
non è stata scritta a scopo di lucro.
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Capitolo II
“Qual buon vento, Gintoki. Come mai da queste
parti?”
Katsura non aveva nemmeno avuto il tempo di finire la frase che si era
trovato in aria, sollevato di peso da Gintoki, che non ci
pensò
due secondi a lanciarlo contro la prima parete disponibile.
Con tutta la classe e la calma che lo contraddistinguevano, Katsura si
rialzò da terra, ricomponendosi e spolverandosi gli abiti,
come
se nulla fosse successo.
“Devo dedurne” disse, schiarendosi la voce
“Che tu ce l'abbia ancora con me per oggi?”
Gintoki si mise a sedere per terra, gambe incrociate, fissando lo
sguardo adirato sul viso dell'amico.
“Certo che ce l'ho con te, dannatissimo Zura! Si
può
sapere perché devi sempre coinvolgermi nelle tue assurde
missioni?!”
Zura prese tempo, sorseggiando una tazza di the.
“E non mi ignorare! Insomma! Lo sai benissimo che non voglio
avere niente a che fare con le tue attività!”
Katsura finì di bere il suo the, aspettando prima di parlare
che Gintoki sbollisse.
Alla fine posò la tazza per terra e si rivolse all'amico.
“Ti assicuro che non avevo intenzione di coinvolgerti. Solo
che
ci siamo trovati in un'imboscata della Shinsengumi, e in qualche modo
dovevamo pur liberarci!”
“Certo! Ovvio! Facendo inseguire noi!”
“Suvvia, Gintoki. Lo sappiamo bene entrambi che la
Shinsengumi
non ce l'ha con voi! O almeno, non ufficialmente..non vi avrebbero mai
fatto veramente
del male!”
Gintoki gli lanciò uno sguardo truce, indicandosi il braccio
sinistro, che presentava una vistosa fasciatura. Un piccolo ricordino
dell'ennesimo scontro che aveva avuto con Hijikata.
Katsura tossicchiò, leggermente imbarazzato.
“Lì non è colpa mia se ti rendi
antipatico alle persone sbagliate!”
“Ma è colpa tua se continui a mettermi sulla
strada queste certe persone!”
“Se tu non fossi così sventato, il Vicecomandante
della Shinsengumi non ce l'avrebbe con te!”
“Guarda che è per colpa tua che quella gentaglia
ce l'ha con me!”
“Non è vero! I tuoi guai con la Shinsengumi mi
vedono coinvolto meno della metà delle volte!”
“Sono troppe lo stesso! E di questo passo mi considereranno
davvero un tuo alleato!”
“Il che non sarebbe certo un male per me!”
“Ma di sicuro lo è per me! Ho già
abbastanza guai anche senza il tuo aiuto!”
I due si guardarono in cagnesco per qualche momento, poi entrambi
distolsero lo sguardo.
Katsura si alzò, dirigendosi verso un piccolo mobile in
fondo alla stanza.
Ritornò quasi subito, con una bottiglia di saké e
due bicchieri.
“Stai cercando di farti perdonare?” chiese,
mostrando un bel ghigno, Gin.
Katsura non rispose, si limitò a servigli il saké.
I due continuarono a bere in silenzio per un po'.
Solo dopo il quarto o quinto bicchierino, Gin cominciò a
ridacchiare, e prima del settimo, entrambi se la stavano ridendo di
gusto, raccontandosi vecchi aneddoti e insultandosi a vicenda
scherzosamente.
*****
La mattina dopo Gintoki si svegliò su di un futon
sconosciuto, e
gli ci volle qualche minuto per ricordarsi dove esattamente era e
come
ci era finito.
Alla fine si rammentò della bevuta della sera prima con Zura
e
che, visto che alla fine era troppo ubriaco per tornare a casa, l'amico
gli aveva gentilmente offerto un posto dove dormire lì nel
suo
rifugio.
Il ragazzo si stiracchiò per bene, sentendo tutte le ossa
della schiena scricchiolare.
Alzandosi senza troppa agilità, uscì dalla stanza degli
ospiti – in realtà uno sgabuzzino
dove ci stava a malapena
un futon – e si diresse verso quella che gli era stata
indicata
essere la cucina.
Dopo aver raccattato qualche cosa dal frigorifero, si diresse verso la
stanza di Zura per salutarlo: doveva tornare a casa, altrimenti avrebbe
fatto preoccupare Shinpachi e Kagura.
Gintoki si appostò davanti alla camera di Zura. Silenzioso
come
un ladro, si mise in ascolto. Dall'interno non provenivano rumore di
sorta.
Gintoki sorrise malvagiamente: erano anni che provava a beccare Zura in
situazioni poco consone al suo abituale contegno, ma per sua sfortuna
non ci era mai riuscito.
Forse quella era la volta buona che lo beccava ancora mezzo
addormentato o addirittura con i postumi della sbronza.
Ridacchiando malignamente tra sé e sé, il ragazzo
praticamente irruppe nella stanza di Katsura.
Ma con sua somma delusione, lo trovò perfettamente vestito,
seduto di fronte ad un tavolino basso ricoperto di carte, con lo
sguardo perfettamente sveglio e vigile.
“Buongiorno Gintoki. Spero che tu abbia dormito
bene.”
Gin grugnì un assenso e quello che sembrava vagamente un
saluto. Dannazione!
Aveva fallito anche quella volta!
Si sedette pesantemente e terra, di fronte all'altro ragazzo.
“Qualcosa che non va, Gintoki?”
“Niente, niente!” sbuffò lui.
Se fosse stato un'altra persona, di sicuro ora Katsura si sarebbe messo
a ridere alla vista dell'espressione marcatamente delusa dell'amico.
Ma lui aveva il suo contegno da mantenere, per cui si limitò
a annuire con la testa.
“Almeno” cominciò Gintoki
“Spero che tu abbia
il buon gusto di non pensare
nemmeno di coinvolgermi nelle tue assurde
missioni per almeno un altro mese!”
“Farò del mio meglio..!”
“Sarà meglio per te!”
borbottò Gintoki, alzandosi.
Accennò un saluto all'altro ragazzo e poi, dopo essersi
rimesso gli stivali, si diresse verso la porta.
Aveva giusto poggiato la mano sulla maniglia quando la porta venne
aperta – piuttosto violentemente – dall'altra parte.
Gin si ritrovò la porta stampata sulla faccia che prese a
pulsare dolorosamente.
La persona, decisamente di fretta, che era appena entrata, quasi non si
accorse del danno che aveva fatto, e senza prestare la minima
attenzione a Gintoki, si era fiondato direttamente da Zura.
“Katsura! C'è un problema!”
“Calmati Yamada!”
“Un...problema..!”
“Yamada! Ho detto di calmarti! Che cos'è
successo?” chiese, vagamente allarmato Katsura.
Fece sedere Yamada che, visto il fiato corto, doveva essere arrivato
correndo come un dannato.
“Il Bakufu...un blitz...Yorozuya...!”
Gintoki, che se ne stava andando per non avere niente a che fare
con i
problemi dei Joi, sentendo l'ultima parola si immobilizzò.
Deglutì un paio di volte e anche se era voltato
sentì gli occhi di Zura piantati sulla sua schiena.
“Yamada...spiegati meglio!” lo esortò
Katsura, una leggera nota di preoccupazione a fargli tremare la voce.
Prendendo un paio di profondi respiri, Yamada raccontò.
“Le nostre spie hanno riferito che...i tizi del Bakufu di
ieri...a quanto pare sono davvero dei pezzi grossi...questa volta non
hanno voluto sentire scuse. Nessuna scusa, nessuna attenuante. Hanno
obbligato Matsudaira(*) a tirare fuori tutte le informazioni
che aveva su di noi, sui ninja...e anche sulla Yorozuya. Hanno scoperto
che tu e Sakata avete spesso collaborato e hanno ordinato
di...di...” e la voce gli morì in gola.
Katsura era allibito.
Proprio non pensava che-
“Che hanno ordinato?”
La voce di Gintoki pareva lontana, distaccata, eppure era ferma e
decisa. Fin troppo dura.
Yamada deglutì di nuovo, cercando di farsi forza riprese a
raccontare.
“Non sapendo dove trovare noi, hanno deciso di arrestare le
uniche persone rintracciabili...”
“La Yorozuya...” completò Katsura.
Yamada annuì, ma non era ancora tutto.
“Soichiro è passato davanti alla loro sede questa
mattina...era completamente devastata. Li hanno portati via a forza.
È andato ad informarsi, e ha scoperto che li tengono alla
sede
della Shinsengumi... Vogliono...hanno deciso...” e di nuovo
la
voce gli morì in gola.
Scese un silenzio pesante nella stanza.
Era come se i tre presenti avessero smesso anche di respirare.
Ma Gin sentiva tremendo il rimbombare del suo cuore martellante, un
frastuono che gli riempiva senza scampo le orecchie.
“...hanno deciso di giustiziarli. Oggi. A
mezzogiorno.”
Lo sguardo di Katsura corse immediatamente all'orologio appese al muro
dietro a lui.
Le 11,07.
E la caserma della Shinsengumi era dall'altra parte della
città.
Katsura voltò di nuovo la testa, ma Gintoki era
già sparito.
Impartendo rapidamente degli ordini a Yamada, il ragazzo si
lanciò fuori di casa, cercando di raggiungere Gintoki.
Dovette correre al massimo delle sue possibilità per
raggiungerlo: Gin sembrava avere il diavolo in corpo ed era
già
molto avanti.
“Gintoki!”
Katsura provò a chiamarlo, ma Gin non sembrava sentirlo.
Sforzandosi al massimo, riuscì a raggiungerlo e solo con
fatica
riuscì a farlo fermare, strattonandolo per un braccio.
“Gintoki! Che intenzioni hai?!”
“Che intenzioni credi che abbia?” gli
urlò contro
Gin, visibilmente furioso “Vado a salvarli!” e
cercò
di riprendere la sua corsa.
Katsura però non lasciò la presa e costrinse di
nuovo il ragazzo a dargli retta.
“Non fare cose avventate. Non puoi sapere che ti aspetta una
volta arrivato là e poi-” ma non finì
la frase che
si ritrovò in ginocchio. Il pugno di Gintoki era stato
così fulmineo che non se ne era nemmeno accorto.
“Stai scherzando vero?!” gli occhi di Gin
brillavano di
rabbia “I miei amici stanno per morire e io dovrei
preoccuparmi
di quello che potrei incontrare laggiù?”
“Gintoki...cerca di calmarti...”
“No che non mi calmo! Devo andare a salvarli, non
c'è nulla da discutere su questo!”
“Se fai cose avventate-” ma di nuovo Gintoki non
gli lasciò finire la frase.
Lo colpì di nuovo e questa volta il colpo lo
mandò davvero a terra.
“Mi stai facendo perdere tempo!”
A fatica, Zura si rialzò.
“Lascia...lasciami chiamare i miei uomini... Ti possiamo dare
una mano!”
Il terzo pugno lo vide, ma lo stesso non riuscì ad evitarlo.
Gli occhi di Gintoki facevano davvero paura.
Erano anni che non gli vedeva quell'espressione.
“Lo sai che è colpa tua tutto questo casino, vero
Katsura? Non voglio il tuo aiuto!”
“Ti serve una mano, Gintoki...”
“Non voglio
il tuo aiuto!”
E questo ammutolì Katsura.
Non poteva più dire nulla.
Si limitò a rialzarsi da terra, sfilando dalla cintura il
fodero della sua katana.
La soppesò solo un attimo, prima di lanciarla a Gintoki.
Il ragazzo la prese al volo, e senza una sola altra parole se ne
andò.
Prese a correre più velocemente che poteva, lasciandosi alle
spalle tutto quanto.
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(*)Matsudaira Katakuriko: Il capo di tutta la
polizia di Edo, Shinsengumi compresa.
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Angolo dell'Autrice:
Chiedo umilmente perdono per le bastardate che sto facendo piovere
addosso a Gitoki, nemmeno fosse un temporale..!
E, come prevederà chi mi conosce, la questione non finisce
mica così.
Al prossimo capitolo! ^^"
Intanto ringrazio tutti quelli che hanno commentato il primo capitolo:
- Yumi Kasay: Grazie
mille delle recensione. Spero di aver aggiornato abbastanza in fretta!
Alla prossima! ^^
- Gintokina:
Abbastanza sadica per ora? XD
- fede_the_artist:
Grazie mille dei complimenti. Per le scene sanguinolente ti rimando al
prossimo capitolo, ma non aggiungo altro per ora! XD
- ballerinaclassica:
Visto che
ancha Kagura ha un cuore?! XD D'altra parte lo sanno tutti che per
Gintoki farebbe di tutto!... Beh, non proprio, ma di sicuro gli
è un sacco affezionata! *_* Ah, tanto per avvertirti, la
long
GinKagura per ora ha solo il primo capitolo, e per ora l'ho messa un
pò da parte. Comunque appena finisce questa ho intenzione di
rimettermi a scriverla!^^
- Sarhita:
Grazie mille dei complimenti e della recensione! Alla prossima,
continua a seguirmi! ^^
Fatemi sapere i vostri commenti, pareri o critiche!
Grazie a chi vorrà lasciare una recensione e a quanti
leggeranno e basta.
Beat
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Capitolo 3 *** Capitolo III ***
Disclaimer: i personaggi non mi appartengono e questa
fiction
non è stata scritta a scopo di lucro.
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Capitolo III
Gin corse più veloce che poteva lungo le affollate strade di
Edo.
Si scontrò più volte contro la gente, scansando
di malagrazia tutti quelli che avevano la sfortuna di incrociare il suo
percorso.
Continuò a correre, senza mai fermarsi, lasciandosi dietro
tutte le imprecazioni e le maledizioni che gli venivano lanciate. Non
aveva tempo né voglia di stare ad ascoltare nessuno.
Doveva fare in fretta, non aveva quasi più tempo.
Mancavano pochi minuti.
Solo qualche altro misero minuto e il suo mondo sarebbe crollato.
Di nuovo avrebbe perso tutto quanto.
Ignorando le fitte di dolore alle gambe e il respiro affannato che gli
bruciava i polmoni, Gin continuò a correre.
Mancavano pochi minuti e l'obiettivo era ancora lontano.
Doveva continuare a correre.
Doveva riuscire ad arrivare in tempo.
Doveva in tutti i modi salvarli.
Finalmente intravide in lontananza il benzinaio. La sede della
Shinsengumi era proprio girato l'angolo.
Sforzandosi maggiormente, conscio che davvero mancava poco,
accelerò ulteriormente.
E finalmente riuscì a guadagnare la via che aveva tanto
anelato.
Ma appena ebbe girato l'angolo si bloccò. Sentì i
muscoli delle gambe contrarsi paurosamente, mentre il cuore gli
martellava sempre più frenetico contro il petto.
Davanti alla sede della Shinsengumi erano schierate almeno due dozzine
di uomini. Più della metà erano sottoposti di
Kondo, ma Gintoki non poté non notare che in mezzo alle
divise blu ce n'erano anche alcune rosse: doveva senza dubbio trattarsi
dei soldati della guardia personale dello Shogun. E lui sapeva bene che
gente del genere non era mai usata per questioni di pubblico interesse.
La questione era davvero più seria delle peggiori
aspettative di Gin.
Non appena i soldati si resero conto che un samurai era arrivato
– visibilmente trafelato – e con uno sguardo che
non prometteva niente di buono, si misero in assetto da combattimento.
La mano di Gin corse automaticamente all'impugnatura della spada, e se
non fosse stato per un improvviso grido di Kondo probabilmente non
avrebbe aspettato un altro secondo prima di partire all'attacco.
“Fermi tutti! Nessuno si muova!”
“Comandante Kondo, gli ordini sono...”
“Sono io a capo di questa operazione, soldato. Se dico di
aspettare, voi aspettate.”
E con incredibile calma si avvicinò a Gintoki. Dietro di
lui, come delle fedeli ombre, lo seguivano a breve distanza anche
Hijikata e Okita.
Gin rimase immobile, il respiro di nuovo sotto controllo. Ma la mano
era ancora ferma, chiusa sull'elsa della katana.
Kondo non gli si avvicinò troppo, per tema che potesse agire
avventatamente, ma lo stesso cercò di mettersi al di fuori
della portata delle orecchie dei soldati che non erano suoi sottoposto.
“Sakata...” cominciò il Comandante.
“Non ho tempo!” tagliò corto Gintoki, la
stretta della mano sempre più convulsa.
Fissava occhi negli occhi Kondo, ma lo stesso non gli sfuggì
il lento movimento di Hijikata, che era andato anche lui ad afferrare
il fodero della spada che teneva al fianco.
“Sakata, purtroppo non abbiamo potuto fare nulla per
impedire...”
“Non voglio le vostre scuse!” sibilò il
samurai. La stretta stava diventando spasmodica. Sentiva un bisogno
quasi impellente di sguainare l'arma.
“Aspetta!” provò a convincerlo di nuovo
Kondo “Lo so che non c'entrate nulla. Ma gli ordini sono
questi. Se solo...” e qui si interruppe, come se fosse
vagamente imbarazzato.
“Se solo...cosa?!”
Hijikata capì che il suo capo era in difficoltà,
per cui si permise di parlare al posto suo.
“Se dai al Bakufu le informazioni che vogliono su Katsura,
loro lasceranno andare i tuoi amici!”
Gintoki sgranò gli occhi, furioso.
Capiva l'imbarazzo di Kondo.
Stavano chiedendogli di salvare i suoi amici sacrificandone degli altri.
Volevano scherzare?!
“Avete intenzione di fermarmi? Fermarmi
seriamente?!”
Kondo non capì immediatamente. Lui era troppo buono, cercava
sempre di trovare il lato migliore delle cose e delle persone. Per cui
non fu svelto come Okita o Hijikata nell'accorgersi del gesto fulmineo
di Gintoki nell'estrarre la lama dal fodero.
Prendendo il Comandante per il colletto della divisa, Okita fece in
modo che il primo fendente di Gintoki non lo colpisse in pieno petto.
Il movimento li fece sbilanciare entrambi ma ormai Gintoki aveva
ingaggiato battaglia con Hijikata. I due samurai fecero cozzare le
lame, un clangore di metallo si spanse per tutto il piazzale. In una
frazione di secondo quasi tutti i poliziotti e i soldati si erano
precipitati a dare man forte al Vicecomandante.
E fu solo grazie a questo che Hijikata riuscì a resistere
tanto a lungo.
La rabbia, la terribile furia che stava animando il corpo di Gintoki
era qualcosa di assolutamente spaventoso. Chiunque avesse avuto un
minimo di attitudine per la battaglia avrebbe capito ad una prima
occhiata che il samurai che stavano affrontando non era nulla di
comune. Già normalmente Gintoki non era uno spadaccino di
poco conto, ma in questo frangente, con l'ira ad infiammargli ogni
singolo muscolo, con la determinazione che gli teneva sveglia ogni
singola terminazione nervosa, Gintoki Sakata era diventato un
avversario al di sopra del livello di chiunque fosse in quel momento
presente.
Aveva messo k.o. già numerosi spadaccini, e senza perdere di
vista per un solo momento Hijikata ed Okita – i due avversari
più pericolosi – cercava lentamente di farsi
strada verso la Sede. Doveva aprirsi un varco a tutti i costi.
Con una mossa improvvisa saltò indietro, colpendo di
sorpresa uno che gli stava arrivando alle spalle. Un piccolo pertugio
si aprì tra la massa di assalitori, e Gin ne
approfittò per defilarsi.
La mossa improvvisa prese di sorpresa quasi tutti i suoi avversarsi.
Tranne Hijikata.
Il Vicecomandante non toglieva gli occhi di dosso da Sakata nemmeno per
un momento. Quasi non sbatteva le palpebre, da tanto cercava di
rimanere concentrato. Avevano combattuto tante di quelle volte che
ormai sapeva che non ci si poteva distrarre nemmeno il tempo di un
battito di ciglia. Per cui fu l'unico che intuì quello che
Gintoki stava facendo, e con una mossa altrettanto rapida si
disimpegnò dal resto della massa, andando all'inseguimento
del samurai, che era quasi riuscito a guadagnare il portone della Sede.
Gintoki – i sensi tesi al massimo –
percepì che c'era qualcuno che lo stava inseguendo.
Senza rallentare la sua corsa di voltò di scattò.
Bastò un'occhiata per decidere.
Hijikata si accorse troppo tardi della mossa repentina dell'avversario.
Meno di un battito di ciglia.
Vide solo un lampo d'acciaio, un colpo di spada orizzontale.
Non avvertì il dolore bruciante della ferita.
Quello che attirò la sua attenzione furono gli occhi di
Gintoki.
Gli aveva sempre visto quell'espressione da pesce lesso imbambolato.
Ora invece quegli occhi brillavano di una luce terribile, fosca e
tagliente quasi quanto la sua stessa spada. Lo colpì un
particolare: i capelli argentati erano macchiati da rossi schizzi di
sangue.
L'attimo in cui i loro sguardi si incrociarono fu infinitamente breve,
ma lo stesso Hijikata riuscì a vedere chiaramente l'anima
del samurai che aveva di fronte.
Non era più Sakata Gintoki.
Era tornato ad essere Shiroyasha, il Demone Bianco.
Gintoki aveva attaccato Hijikata, un colpo talmente veloce che sapeva
il Vicecomandante non sarebbe mai stato in grado di fermare o evitare.
E infatti eccolo lì, mezzo secondo dopo, accasciato a terra
con le mani premute sul collo, per cercare di fermare l'emorragia. Non
gli dedicò più di un secondo della sua
attenzione. Il caleidoscopico concerto di voci assunse improvvisamente
un tono molto preoccupato. Non gli interessava sapere che cosa stavano
urlando tutti quanti.
Aveva capito che molti si erano fermati a prestare soccorso ad
Hijikata, per cui questo voleva dire che il numero dei suoi inseguitore
doveva essere molto diminuito.
Riprendendo a correre come in precedenza, Gintoki si fece strada
all'interno della sede della Shinsengumi. Per sua fortuna, con tutte le
volte che lo avevano portato in caserma, ormai conosceva a menadito
quel posto.
Sapeva dove erano le prigioni, ed era quasi certo che i soldati
avessero portato Kagura e Shinpachi nel cortile interno, quello subito
dietro le celle. Un posto brutto e nascosto, dove di solito venivano
giustiziati i peggiori criminali.
I suoi passi di corsa risuonavano nel silenzio della caserma. I
poliziotti erano quasi tutti fuori, e ormai Gintoki li aveva
distanziati parecchio. Ma non rallentò. Non sapeva
più che ora potesse essere, ma lo rassicurava il fatto che
non aveva sentito urla o altri rumori preoccupanti.
Alla fine arrivò dove si era diretto.
Rallentando un poco per riprendere fiato, il ragazzo sfondò
l'ultima porta che si contrapponeva tra lui e il cortile.
Ci si avventò addosso di peso, buttandola giù con
un calcio.
Una volta atterrato, riprese l'equilibrio il più in fretta
possibile e, spada in mano, si preparò ad affrontare i
carcerieri.
La spada gli cadde di mano.
Non poté evitarlo: era come se i muscoli di tutto il corpo
avessero improvvisamente subito una forte scossa elettrica.
Anche le gambe gli cedettero e Gin si trovò a terra, le
ginocchia immerse nel fango rosso.
La terra era completamente impregnata di sangue.
Il respiro gli si mozzò in gola, ma anche se fosse stato in
grado di respirare sapeva che avrebbe sentito solo il fetore della
morte. Aveva imparato a conoscerlo bene in guerra ma mai, mai come in
quel momento quell'odore gli aveva dato la nausea.
Sentì lo stomaco contrarsi violentemente e il sapore di bile
in gola.
E non riusciva a distogliere lo sguardo da quello scempio.
I corpi dei suoi amici erano stati gettati per terra, scompostamente,
come se fossero stati dei comuni sacchi della spazzatura. Non riusciva
a togliere gli occhi dalla candida mano di Kagura, così
grottescamente contratta in una forma rapace.
E non aveva il coraggio di alzare lo sguardo.
Non aveva il coraggio di guardare che cosa era stato infilzato su cui
due pali infilati per terra.
Dovette fare violenza contro se stesso, Gintoki, per riuscire ad alzare
il viso.
Sentì gli occhi spalancarsi all'inverosimile, e bruciare
come non avevano mai fatto in tutta la sua vita.
Su quelle due maledette picche erano state infilzate le teste di Kagura
e di Shinpachi.
Li avevano decapitati e avevano messo le loro teste su dei pali.
Li avevano uccisi e avevano gettato loro addosso la vergogna di una
fine così disonorevole.
C'era silenzio attorno a lui. Era come se tutti i suoni di questo mondo
si fossero improvvisamente attutiti. Il vociare dei suoi inseguitori
era solo un brusio in lontananza; il rumore di Edo a mezzogiorno solo
un monotono sottofondo.
Ma quella voce melliflua e crudele la sentì più
che perfettamente.
“Sei arrivato tardi, samurai!”
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partecipare, non ha che da clikkare sul link sottostante per saperne di
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Gintama contest:__“Ehi tu! Sì, proprio
tu! Muoviti a partecipare!”
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Angolo dell'Autrice:
Chiedo scusa a tutto il mondo.
Purtroppo è più forte di me.
Risposta alle recensioni:
- Red Lotus:
Benvenuta, o nuova
lettrice! E grazie mille per la recensione e i complimenti! Spero solo
che non mi abbandonerai dopo questo capitolo...
ç_ç
- ballerinaclassica:
...accidenti agli errori di battitura! Grazie, non l'avevo visto! ^^"
Che ne dici di come si sono sviluppati gli eventi?! ^^"
- fede_the_artist:
Non so se
questo capitolo è più bello del precedente...di
sicuro
è parecchio più drammatico!
ç__ç Alla
prossima!
- mizukage:
Grazie della
recensione. Sono contenta che i personaggi siano IC, è una
cosa
a cui tengo...anche se non so se da ora in avanti riuscirò a
restare completamente fedele... ç__ç
- Gintokina:
Ma dai! Povero Gin! Io sarò anche sadica con lui, ma tu non
mi dovresti incitare! Povero, povero Gin!
- Sarhita:
Grazie mille della recensione! Alla prossima! ^^"
Fatemi sapere i vostri commenti, pareri o critiche!
Grazie a chi vorrà lasciare una recensione e a quanti
leggeranno e basta.
Beat
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Capitolo 4 *** Capitolo IV ***
Disclaimer: i personaggi non mi appartengono e questa
fiction
non è stata scritta a scopo di lucro.
********************************************************************************
Capitolo IV
“Sei arrivato tardi, samurai!”
Con movimenti spezzati, Gin si voltò per vedere chi aveva
parlato.
A qualche metro di distanza da lui si trovava un Amanto.
Non
aveva idea di che razza fosse, visto che somigliava terribilmente ad un
essere umano. A parte per il colorito verdastro della pelle.
L'unica
cosa che sapeva era che quell'essere doveva essere un guerriero
terribile. Lo capì alla prima occhiata: oltre alla spada
dalla bizzarra
foggia che portava al fianco, sotto quei vestiti di ricca fattura
poteva scorgere muscoli tonici, allenati a combattere anche in quel
presunto periodo di pace. Ma il segno più inequivocabile
erano gli
occhi. Non gli era capitato spesso di vedere quello sguardo, ma lo
avrebbe potuto riconoscere tra milioni: quelli erano gli occhi di un
uomo che non teme niente e nessuno al mondo, un guerriero che non
paventa la morte, un essere che va contro tutte le leggi, divine e
umane, sicuro di non temere alcuna conseguenza. Un uomo rapace, capace
di piegare ai suoi voleri l'intero mondo.
E il fatto che indossasse
la divisa dei Tendoshu(*) non lasciava molto spazio all'immaginazione
sul fatto che quell'uomo poteva davvero fare tutto quello che gli
pareva.
Con gesti misurati – infatti sentiva ancora le membra
tremare – Gintoki raccolse da terra la spada che si era
lasciato
sfuggire di mano.
Sempre con movimenti lenti, si rimise in piedi,
dando le spalle allo spettacolo pietoso che avrebbe avuto davanti agli
occhi fino alla fine dei suoi giorni. Cosa che poteva avvenire quel
giorno stesso, a ben pensarci. Si rivolse sprezzante all'uomo che gli
era di fronte.
“Quindi era tutta una messa in scena, dunque? Non volevate
informazioni su Katsura?” chiese Gintoki in un sibilo.
Il Tendoshu rise, una risata sguaiata che fece tremare di rabbia
Gintoki.
“Ahahah!
Siete degli sciocchi, tutti voi samurai. Con tutti i pianeti che ho
visitato non ho mai incontrato della gentaglia più
stupida!”
Gin
si costrinse a rimanere immobile. L'avrebbe ammazzato, oh se l'avrebbe
ammazzato. Ma al momento la sua rabbia voleva una spiegazione, per cui
si costrinse a non agire d'istinto e rimase ad ascoltare l'uomo.
“Ovvio che vogliamo Katsura” continuò
lui, senza
abbandonare il suo tono ilare “E lo
avrò!”
Gintoki abbozzò un sorriso.
“Piuttosto stupido uccidere gli ostaggi. Ora non hai
più motivazioni per farmi parlare!”
L'Amanto continuò a sorridere, crudelmente.
“E tu mi avresti detto quello che volevo sapere? Avresti
venduto uno dei tuoi compari per salvarne altri?”
Gin serrò la mandibola.
L'Amanto rise di nuovo nel vedere quell'espressione adirata sul volto
del ragazzo.
“Proprio
come pensavo. Il senso dell'onore di voi samurai non lo permetterebbe,
vero? Quindi, visto che non mi avresti mai dato volontariamente le
informazioni che voglio, non aveva più senso tenere in vita
gli
ostaggi. Non credi?”
Gin fremette di rabbia. Il corpo era scosso come se avesse i brividi.
L'Amanto rise di nuovo. L'ira di Gintoki lo divertiva immensamente.
“Come
ho detto, voi samurai siete stupidi. E anche parecchio prevedibili. Non
avresti mai abbandonato i tuoi compagni, e infatti ero certo che
saresti venuto qui a salvarli. O almeno a provarci!” e rise
di nuovo,
quella risata disgustosa che faceva accapponare la pelle
“Loro erano
solo un'esca per te. Sei tu la mia vera esca. Con te qui Katsura
verrà
di persona a salvarti, o no? E allora, finalmente, potrò
schiacciare
tutto il movimento Joi!”
A quel punto Gintoki non ci vide più.
Con
un balzo si gettò addosso all'Amanto che, nonostante la
sorpresa, non
si fece trovare completamente impreparato e sguainò a sua
volta la
spada. Era molto più alto di Gintoki e meglio piazzato, per
cui riuscì
a respingere l'attacco del samurai senza difficoltà.
Gin, cieco di rabbia, non si fece prendere dallo sconforto.
Quell'essere
abominevole usava la gente per arrivare al suo scopo. Era il tipo di
persona che non avrebbe mai potuto perdonare a prescindere. E il fatto
che avesse schiacciato i suoi amici pur di ottenere quello che voleva
lo faceva letteralmente ribollire della più funesta delle
ire.
Gintoki
attaccò, attaccò e attaccò ancora,
senza badare alle ferite che gli
erano state inferte, senza preoccuparsi di nulla se non di sconfiggere
il suo avversario.
Dopo l'ennesimo attacco andato a vuoto, Gintoki
fece un balzo indietro, per ripristinare una distanza di sicurezza.
Doveva riprendere fiato, e pensare velocemente ad una strategia per
riuscire a colpirlo efficacemente. I suoi colpi fino a quel momento non
sembravano averlo preoccupato più di tanto.
Fu in quel momento, in
cui stava cercando di riprendersi, che Gintoki si rese conto del rumore
che prima aveva ignorato. Un fragore di passi di corsa: la Shinsengumi
stava per raggiungerli. Imprecando tra sé e sé,
cercò un modo per
tagliare la corda. Purtroppo era andato a cacciarsi in un vicolo cieco:
l'unica uscita era la porta che aveva sfondato per entrare, su cui in
quel momento si stavano affacciando i poliziotti.
L'Amanto rise, vedendo l'espressione di sconforto sul volto di Gintoki.
“Arrenditi, samurai!”
Gintoki impugnò più saldamente la spada.
Sorrise appena, mettendosi in posizione di attacco.
“Mai.”
Non si era mai arreso, non lo avrebbe fatto nemmeno in quel momento.
Poteva essere disperato quanto voleva, ma non si sarebbe mai arreso.
Non gli importava di morire se questo voleva dire che non si sarebbe
piegato.
“Che cosa succede qui?!” il grido di Kondo lo
riscosse di colpo dai suoi pensieri.
Con la coda dell'occhio vide che il Comandante era arrivato insieme ai
suoi uomini.
E
che anche lui, pallido come un cencio, era rimasto sconvolto dallo
spettacolo di morte che gli si era palesato davanti agli occhi in
maniera così cruda.
“Signor Shinu! Che cosa significa tutto questo?!”
L'Amanto, il “signor Shinu”, lanciò
un'occhiata infastidita all'indirizzo di Kondo.
“Non sono affari suoi Comandante. Faccia il suo lavoro e
arresti quest'uomo, piuttosto!”
Ma invece di obbedire prontamente come avrebbe dovuto fare, Kondo
rimase immobile, come se fosse incapace di muoversi.
Una
piccola parte dei pensieri di Gintoki prese nota dello stupore di
Kondo, e capì che il brutale assassinio di Shinpachi e di
Kagura doveva
essere stata un'idea del solo Shinu. Una parte del suo cervello aveva
già registrato che il massacro era stato compiuto
già da qualche ora,
ma non avrebbe mai pensato che una persona – sia pure un
Amanto –
potesse essere così subdola e crudele.
Shinu doveva aver ucciso i
due umani appena erano arrivati in caserma, mettendo Kondo e i suoi
uomini di guardia fuori, in modo che non ci fosse nessun testimone,
nessun parere contrario, nessuno a poterlo fermare.
La rabbia di Gintoki prese di nuovo a scorrergli nelle vene.
Partì di nuovo all'attacco, ben deciso a decapitare Shinu.
Ma proprio mentre si stava per muovere, l'onda d'urto di un'esplosione
lo colpì in pieno, mandandolo a terra.
Una nuvola di polvere coprì la vista di tutti.
In
tutto quel trambusto, Gintoki si sentì afferrare per un
braccio. Reagì
d'istinto e se non fosse stato per i suoi riflessi pronti, avrebbe di
sicuro colpito Zura prima di riconoscerlo.
“Gintoki!”
“Che diavolo ci fai qui, Zura?!” chiese, furibondo
nonostante la sorpresa.
I due si guardarono negli occhi per un attimo, coperti dalla nube che
li nascondeva alla vista di tutti gli altri.
Katsura non poté evitare di vedere l'astio e il dolore che
lo sguardo di Gintoki stava provando a nascondere.
Ormai non c'era più nulla da fare.
Shiroyasha era tornato.
“Perdonami.”
Fu tutto quello che riuscì a dire.
Non
c'era tempo per le spiegazioni, e in ogni caso non sarebbero servite e
niente. Era colpa sua quello che era successo agli amici di Gintoki, e
sapeva più che bene che non sarebbe stato perdonato
facilmente. Anzi,
probabilmente non sarebbe mai stato perdonato. Ma lo stesso voleva far
sapere a Gintoki che gli dispiaceva da morire tutto quello che era
successo.
Gintoki distolse lo sguardo, e in fretta si rimise in piedi. Katsura,
che si era inginocchiato per soccorrerlo, lo imitò.
La polvere stava cominciando a posarsi, e loro avevano pochi istanti
per agire.
“Abbiamo buttato giù il muro: scappa da
lì! Noi ti copriamo la fuga!”
Gintoki gli diede di nuovo un pugno in faccia. Piano questa volta.
Voleva solo che Zura capisse che non stava scherzando.
“Razza di idiota, è una trappola per te! Altro che
coprire, sei tu quello che deve scappare!”
Perché Gintoki non avrebbe potuto sopportare di perdere un
altro dei suoi amici.
Katsura capì, rinfoderò la spada e si
voltò verso l'uscita.
Gin lo imitò, ma all'ultimo si bloccò.
Ebbe un attimo di esitazione, ma alla fine tornò indietro.
“Gintoki!” Zura si accorse del gesto dell'amico, e
provò a trattenerlo.
“Tu va! Io arrivo subito!”
Zura
tentennò. Non sapeva quanto fosse la verità
quello che Gin aveva appena
detto. Con Shiroyasha di nuovo sveglio, temeva che la rabbia e la
voglia di vendetta avessero preso il sopravvento anche sullo spirito di
autoconservazione.
Fortunatamente, vide che Gintoki non si stava
dirigendo spada sguainata contro il Tendoshu. Si era diretto al centro
del cortile.
Cercando di fare il più velocemente possibile, si tolse il
kimono, e lo usò per avvolgere le teste di Kagura e
Shinpachi.
Non poteva lasciarli lì.
Non in quello stato.
Scappando
con quanta forza gli era rimasta, raggiunse Zura, e insieme si
dileguarono nei vicoli di Edo, sparendo dalla vista di tutti.
********************************************************************************
(*)Tendoshu: Sono coloro che tirano i fili nella politica terrestre,
coloro che realmente controllano il Bakufu e tutto il governo di Edo.
********************************************************************************
Angolo dell'Autrice:
Non credo di avere altro da aggiungere riguardo questo capitolo.
E scusatemi di nuovo per tutta questa tragicità!
ç_ç
Risposta alle recensioni:
- _u_z_u_:
Anche io ho un
pò odiato lo scorso capitolo. Per quanto mi "diverta" a
scrivere
storie drammatiche, soffro sempre tantissimo anche io insieme ai miei
personaggi. Sono molto empatica con loro! ç_ç Per
cui, ti
capisco perfettamente quando dici che anche tu hai sentito il cuore di
Gin spezzarsi. E' successo anche a me. Grazie mille per la recensione.
- Sarhita:
Per quanto riguarda
il finale, mi sa proprio che dovrai aspettare! Comunque sia, per ora ho
scritto sette capitoli, ma non credo che supererò la decina.
Quindi pazienta, la cosa non andrà troppo per le lunghe. In
ogni
caso, volevo ringraziarti per la bellissima recensione che hai
lasciato: sul serio, mi ha fatta commuovere. Hai colto perfettamente
tutte le sfumature dello scorso capitolo e sono felice che questa
storia, per quanto drammatica, stia piacendo così tanto.
Grazie
mille!
- mizukage:
Grazie mille per la recensione! Alla prossima! ^^
- Gintokina:
Sì, anche io mi sono molto sconvolta quando l'ho
scritto! ^^" Grazie mille per la bella recensione!
- fede_the_artist:
Ho sconvolto tutti i miei lettori! °_° Inquietante...
Grazie della recensione! Alla prossima!
- ballerinaclassica:
Scusa!
ç_ç Lo so che non dovrei scrivere storie del
genere, ma
mi sono detta: se proprio devo fare una storia drammatica, almeno che
sia davvero
drammatica. Fino
in fondo. Non mi piacciono le mezze misure! Per cui, scusa ancora se la
storia non è allegra. ç_ç
Cercherò di
rifarmi con la prossima! E grazie della recensione!
Fatemi sapere i vostri commenti, pareri o critiche!
Grazie a chi vorrà lasciare una recensione e a quanti
leggeranno e basta.
Beat
|
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Capitolo 5 *** Capitolo V ***
Disclaimer: i personaggi non mi appartengono e questa
fiction
non è stata scritta a scopo di lucro.
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Capitolo V
Gintoki e Katsura corsero per parecchi minuti, senza mai fermarsi,
senza voltarsi indietro.
Corsero senza scambiarsi una sola parola, perché nessuno dei
due
voleva spezzare quel silenzio che era inesorabilmente calato fra di
loro.
Un silenzio freddo e pesante.
Freddo e pesante come il fardello che Gintoki portava tra le braccia.
Solo quando i due ragazzi furono praticamente certi di aver seminato i
loro inseguitori si concessero una sosta. Nascondendosi in un vecchio
magazzino che aveva tutta l'aria di essere stato abbandonato ormai da
tempo, i due samurai si accasciarono a terra, cercando di riprendere
fiato.
Lo sguardo di Katsura andò subito a cercare quello di
Gintoki,
ma l'amico non lo degnò di una sola occhiata. Teneva la
testa
bassa. Non per la vergogna, ma per cercare di contenere l'ira che
ancora gli infuriava dentro. L'intero corpo tremava, a causa della
fatica e della furia devastatrice che chiedeva a gran voce di poter
essere ancora scatenata.
Il breve scontro che aveva avuto con Shinu non gli era bastato.
Non gli era assolutamente bastato.
Non avrebbe avuto pace finché non l'avesse decapitato con le
sue mani, come lui aveva fatto con i suoi amici.
“Gintoki...” Katsura osò provare ad
attirare l'attenzione di Gin.
Il ragazzo alzò lentamente il capo, e per un attimo Zura
vide
chiaro come il giorno il fosco bagliore che attraversò gli
occhi
dell'amico. Erano stati compagni in troppe battaglie perché
lui
non riconoscesse senza ombra di dubbio che quel lampo omicida non si
sarebbe spento tanto facilmente.
Istintivamente la mano corse alla spada, ma Katsura si impose di non
sfoderarla. Anche se aveva a che fare con Shiroyasha, anche se il
Demone smaniava di combattere, non doveva dimenticare che sotto tutto
quell'odio c'era ancora Gintoki, il suo più caro amico.
Colui a
cui non avrebbe mai e poi mai fatto volontariamente del male.
“Gintoki...calmati..!” Zura non sapeva se fossero
bastate
la parole per far rinsavire Gin. Ma non voleva in alcun modo ricorrere
alla spada.
Un lampo d'odio brillò ancora negli occhi scuri di Gintoki.
Ma
fortunatamente si spense un momento dopo. Il ragazzo abbassò
le
palpebre, concentrandosi solo sul suo respiro. Stava cercando di
calmarsi e riprendere il controllo.
Katsura sospirò piano.
Gintoki era ancora in sé.
Dopo quelle che parvero delle ore, Gin riaprì gli occhi.
Niente ombre fosche o lampi omicidi.
Era il solito Gintoki.
“Stai bene?” si azzardò a chiedere Zura,
pentendosene subito dopo. Che
razza di domanda cretina era?
Solo in quel momento Gintoki si rese conto di quanto gravi fossero le
sue ferite. Con l'adrenalina in circolo e il corpo saturato d'odio non
se ne era accorto, ma durante i vari duelli aveva riportato diverse
ferite. Una in particolare, al fianco, gli bruciava in maniera
terribile. Dandoci una veloce occhiata vide che si era anche allargata
una macchia rossa sui suoi abiti. Con un sospiro e strappando un altro
pezzo del suo abito, si apprestò a tamponare alla meno
peggio la
ferita.
“Aspetta, faccio io!” Katsura si era alzato per
andare ad
aiutare Gintoki, ma questo lo raggelò con un'occhiataccia,
che
lo fece immobilizzare.
“Sono a posto.” fu la brusca risposta di Gin.
Zura si limitò ad annuire piano, anche se non era
assolutamente convinto.
Ma il quel momento non riusciva proprio a rispondere per le rime a
Gintoki.
Il senso di colpa per tutto quello che era successo si stava rivelando
un fardello ben più pesante del previsto da sopportare.
Dopo essersi medicato velocemente, Gintoki raccolse il suo kimono
avvolto al prezioso carico e si apprestò ad andarsene.
Voltò le spalle a Zura, e se questo non si fosse alzato per
raggiungerlo, Gintoki se ne sarebbe andato senza nemmeno dirgli una
parola.
“Gintoki! Aspetta!”
Di nuovo fu raggelato, anche se questa volta non fu per
un'occhiataccia. Gintoki gli dava le spalle. Ma la sola sua presenza,
l'irrigidirsi di tutto il corpo all'ennesimo tentativo di Zura di
parlargli, avevano un che di minaccioso che avrebbe intimidito anche il
più impavido tra i guerrieri.
“Ti prego...” non era da Katsura supplicare. Ma
quello non
era il momento per l'orgoglio o altre cose del genere. In quel momento
si sentiva afflitto come non mai in vita sua e per la prima volta si
sentì completamente perso.
“Non ho più niente da dirti, Katsura.”
e di nuovo una stretta al cuore di Zura, sentendolo così
distante. Non usava più il soprannome che lo aveva tanto
infastidito in tutti quegli anni. Si stava inesorabilmente allontanando.
“Che cosa hai intenzione di fare adesso?”
“...”
“Gintoki. Lo so che non vorrai più avere a che
fare con me. Ma ti prego, lascia che ti dia una mano.”
“No.”
“Sii ragionevole!”
“Non lo sono mai stato, non comincerò certo
adesso.”
Katsura non sapeva più che pesci pigliare.
“Dove andrai adesso?” chiese lo stesso, anche se
sapeva che probabilmente non avrebbe ricevuto risposta.
E infatti Gintoki non gli rispose.
Si limitò a riprendere a camminare, allontanandosi sempre di
più, sparendo dalla sua vista.
*****
Un'ora più tardi, dopo un lungo appostamento e usando una
cautela che raramente si costringeva ad utilizzare, Gintoki
entrò non visto nella proprietà Shimura.
Come aveva pensato, l'abitazione non era stata perquisita. Non c'erano
segni di lotta e nemmeno un poliziotto in vista per tutto il tempo che
era stato appostato fuori da lì.
Per una volta dovette ringraziare l'ossessione di Kondo per Otae.
Pur di non mettere a repentaglio la sicurezza della fanciulla, era
sicuro che il Comandante non l'avrebbe mai e poi mai coinvolta in
quella faccenda.
Ma doveva sbrigarsi lo stesso.
Aveva sperimentato sulla propria pelle che Kondo non riusciva ad avere
sempre il controllo della situazione.
Spostandosi con la massima cautela, entrò nella palestra,
chiudendo immediatamente dietro di sé la porta scorrevole.
Avvertì dei rumori nella stanza a fianco, e si
rincuorò un poco percependo che Otae stava bene.
Per il momento.
Non aveva cuore di dirle quello che era successo al fratello...ancora
non se ne capacitava nemmeno lui.
Ma doveva farlo.
In un modo o nell'altro doveva dirle quello che era successo.
E portarla via da lì il prima possibile.
Non avrebbe mai sopportato che anche lei diventasse una vittima di
quell'assurda faccenda.
Sempre tenendo stretto al petto il triste fagotto, Gintoki si diresse
verso la stanza adiacente. Sapeva essere la camera della ragazza,
quindi prima di entrare si premurò di chiamarla.
“Otae...”
Aveva cercato di mantenere salda la voce, ma quando
pronunciò il
nome della ragazza sentì che la voce era roca, e tutt'altro
che
ferma.
Deglutì a vuoto, cercando di reprimere il groppo che gli
stava bloccando la gola, impedendogli quasi di respirare.
“Gin?” la voce sorpresa di Otae lo
terrorizzò come non mai.
La ragazza emerse dalla proprio camera pochi attimi dopo.
L'espressione arrabbiata perché il ragazzo si era presentato
senza avvisare sembrò evaporare non appena si rese conto
della
condizioni del ragazzo.
Aveva il viso e le maniche imbrattate di sangue, e anche sul fianco
destro vedeva più che chiaramente una macchia vermiglia
piuttosto ampia.
“Gin! Che ti è successo? Vado subito a prendere le
bende e il disinfettante!”
“No, Otae...”
“Mettiti seduto, io arrivo subito!”
“Otae...”
“Dove ho messo le bende..?”
Gin prese per un polso la ragazza, bloccandola prima che sparisse.
“Lascia stare le bende...”
“Ma sei ferito Gin!”
Di nuovo il groppo in gola.
Cercò di non lasciare la presa sul polso di Otae, ma gli
tremava il braccio.
Anzi, tutto il corpo era scosso da tremiti.
Improvvisamente senza forze si lasciò andare a terra.
Otae lo seguì nel suo accasciarsi, e notando che Gintoki
aveva
distolto lo sguardo dal suo, avvertì improvvisamente una
scossa
lungo tutta la colonna vertebrale.
Fu come se un masso le si fosse piazzato sul petto, all'altezza del
cuore.
“Gin...” esitava, la voce appena un sussurro
“Gin...dov'è Shin?”
Ancora un tremito lungo tutto il corpo, e questa volta anche Otae se ne
accorse, visto che il ragazzo ancora non l'aveva lasciata andare.
“Dov'è mio fratello?!” chiese allarmata
Otae, non
sapendo spiegarsi il tremito convulso che ora aveva preso anche lei.
Gintoki respira pesantemente: annaspava, come se stesse annegando.
“Tae...io...”
Non trovava le parole.
Il groppo ostruiva la gola in modo che nemmeno una sillaba potesse
uscirne.
Con le mani che tremavano all'inverosimile, sciolse il fagotto fatto
con il suo kimono.
Lentamente, quasi ci avesse messo un'eternità,
scostò anche l'ultimo lembo.
Otae si sentì mancare la terra da sotto i piedi. Lo stomaco
le
si rivoltò violentemente e dovette tapparsi la bocca con le
mani
per non vomitare anche l'anima.
Gintoki teneva tra le mani la testa di suo fratello.
La testa.
Il corpo non c'era.
Gli occhi le scivolarono involontariamente lungo il collo del
fratellino.
Una ferita netta e incrostata di sangue.
E finiva tutto lì.
Le ci volle qualche secondo per capire.
Per capire veramente.
E quando finalmente la consapevolezza che non avrebbe mai
più
rivisto il suo dolce fratellino sorriderle le arrivò addosso
come una secchiata di acqua gelida, Otae non poté fare altro
che
gridare.
La lacrime presero a scorrere senza tregua, inondandole il viso
sconvolto.
E le sue grida disperate furono come pugnali che dolorosamente si
conficcavano uno dopo l'altro nel cuore di Gintoki.
********************************************************************************
Angolo dell'Autrice:
Altro capitolo di una tristezza devastante! ç_ç
Anch'io, sinceramente, come voi sono senza parole.
A volte mi domando perché mai ho scelto di risiedere sul
Pianeta Sadico...
Al prossimo capitolo, dove comparirà uno dei miei personaggi
preferiti del manga. E no, non sono pazza. XD
- Gintokina:
Grazie! Mi fa
piacere che la storia risulti lineare. Detesto quando le trame hanno
buchi o altre cose poco gradevoli. Per cui, ricordate, fatemi sapere
sempre se c'è qualche cosa che non va! XD Alla prossima!
- Sarhita:
Le tue recensioni
continuano a farmi arrossire. Sul serio! ^^ Non sai quanto mi faccia
piacere sapere quello che pensi di questa storia. Sono davvero contenta
che lasci così tanti ai miei lettori. E' la soddisfazione di
ogni scrittore sapere che quello che ha prodotto in qualche modo
farà parte di chi leggerà. Quindi, grazie per
apprezzare
così tanto la mia storia. Ci tengo davvero.
E comunque, sì, Zura ci è rimasto malissimo. Per
quanto
sia normalmente emotivamente distaccato, credo che anche lui non
avrebbe retto facilmente ad un colpo del genere. Specie se
c'è
di mezzo Gintoki.
E anche per quanto riguarda la Shinsengumi, se Kondo avesse
saputo
non avrebbe mai permesso una cosa del genere. Anche se ha i suoi
obblighi e deve rispettare gli ordini, non credo che farebbe mai
qualche cosa che va contro quello in cui crede. Adorabile Gorilla! *-*
- mizukage:
Grazie mille della
recensione! Sono felice che troviate i miei personaggi IC, è
una
cosa a cui tengo un sacco. Spero che anche nei prossimi capitoli la
cosa continui ad essere così...temo che con Gintoki
avrò
un pò più di problemi del solito..!
Fatemi sapere i vostri commenti, pareri o critiche!
Grazie a chi vorrà lasciare una recensione e a quanti
leggeranno e basta.
Beat
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Capitolo 6 *** Capitolo VI ***
Disclaimer: i personaggi non mi appartengono e questa
fiction
non è stata scritta a scopo di lucro.
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Capitolo VI
Ci volle un bel po' prima che Otae riuscisse quantomeno a calmarsi.
Gintoki non disse nulla, non provò in alcun modo a
confortarla.
Lui stesso non sapeva come fare per placare il dolore che aveva
inondato i loro cuori.
Si limitò a stringere a sé la ragazza. Otae,
sconvolta,
non si era resa conto che si era lasciata andare, che aveva perso il
controllo del suo corpo. Si era gettata tra le braccia di Gintoki, e lo
stava abbracciando disperata, come se quel gesto avesse in qualche modo
potuto ancorarla. Ma non serviva a nulla: il dolore continuava ad
andarle addosso, come una marea che, onda dopo onda, si abbatte sulla
spiaggia.
Le lacrime continuarono a scendere copiose, e ormai avevano bagnato le
vesti di entrambi.
Otae si stringe a Gintoki maggiormente, le mani che artigliavano
convulsamente il suo vestito ormai completamente zuppo di sangue e
lacrime.
Gin provò a cullarla, provò in qualche modo ad
essere gentile.
Ma i gesti erano meccanici, artefatti, e in fin dei conti non sapeva
proprio che cosa fare.
Solo dopo quella che poteva essere un'ora, o anche tutto il giorno,
Otae si ritrovò così stanca e senza lacrime da
non poter
più dire o fare nulla.
Praticamente si accasciò, senza forze, appoggiandosi con
tutto il peso addosso a Gintoki.
Non fosse stato per gli occhi comunque aperti, sebbene sbarrati, Gin
avrebbe detto che la ragazza era svenuta.
Invece si era svuotata. Aveva esaurito tutte le sue energie.
Lui stesso si sentiva esausto. Esausto come non lo era mai stato in
vita sua, nemmeno quella volta quando aveva dovuto combattere dall'alba
al tramonto, senza fermarsi mai.
Tutte le ferite presero a pulsare dolorosamente e fu solo questo che lo
spronò a non lasciarsi andare come Otae.
Sebbene il dolore continuasse ad attanagliare il suo cuore, non doveva
scordarsi che la questione non era finita lì.
Lui doveva assolutamente farsi curare, ed entrambi dovevano al
più presto lasciare la palestra degli Shimura. La loro vita
era
in pericolo, ora più che mai.
Con la sola forza di volontà – praticamente
l'unica che
gli era rimasta – Gin si rimise in piedi, aiutando Otae a
fare lo
stesso. La ragazza obbedì docilmente, senza prestare reale
attenzione a quello che le succedeva attorno.
Con delicatezza, Gin riavvolse le testa di Shinpachi e di Kagura nel
suo kimono. A quel gesto Otae ebbe un fremito, ma passò in
un
attimo.
Sempre guidandola in tutti i movimenti, Gintoki la condusse fuori casa.
Cercando di rimanere concentrato, il samurai cercò di
focalizzare la sua attenzione sulla strada. Non vide fortunatamente
nessuno in giro – le due erano passate da un pezzo, e a
quell'ora
nel quartiere non c'era quasi mai nessuno. Ma la prudenza non era mai
troppa, per cui il ragazzo si mosse con più circospezione
del
normale. Solo quando finalmente riuscirono a raggiungere una via
secondaria si concesse di abbassare un po' la guardia.
Fermandosi ogni tanto per controllare le condizioni di Otae, il ragazzo
si diresse speditamente verso una zona periferica di Kabukicho: non la
meno raccomandabile, ma di certo una delle meno frequentate.
Non sapeva bene nemmeno lui perché aveva deciso di dirigersi
proprio lì, ma dentro di sé sentiva che
lì forse
non sarebbero mai andato a cercarlo.
*****
L'insegna esageratamente colorata del Drag Queen Club riuscì
per un attimo ad alleviare la preoccupazione di Gintoki.
Superando praticamente di corsa un ultimo pezzo di strada da percorrere
allo scoperto, il ragazzo non poté non tirare un sospiro di
sollievo quando finalmente si richiuse la porta del locale alle spalle.
Il Club era vuoto, nessun cliente a quell'ora. Ma Gintoki sapeva che
qualche ballerina c'era sempre nel locale, e sperò proprio
che
anche Mademoiselle Saigo fosse presente. L'avrebbe aiutato subito,
senza fare troppe domande.
“Benvenuto signore, come posso servir...Paruko!”
Gintoki si voltò a vedere chi gli stava parlando.
Era Azumi(*), che lo stava fissando con aria piuttosto preoccupata.
“Paruko, che cosa ti è successo? Sei coperto di
sangue!”
“Si, l'hai notato anche tu? Mi serve un po'
d'aiuto...”
“Ma certo, certo! Ragazze! Ragazze, presto, venite
qui!”
Azumi chiamò a gran voce le altre hostess del locale, che
arrivarono in fretta.
Il travestito intanto si era subito avvicinato a Gintoki, per vedere in
che condizioni era. Ma il ragazzo lo bloccò prima che
potesse
fare altro e – sempre tenendola per mano – fece
fare un
passo in avanti a Otae.
“Per favore, potete nasconderla in un luogo sicuro,
intanto?”
Azumi lo fissò confusa, sbattendo un paio di volte le
palpebre.
Non capiva nulla di quanto stava succedendo, ma non ci voleva un genio
a capire che quei due ragazzi erano nei guai, e che aveva
disperatamente bisogno di aiuto.
Fece cenno di sì con la testa a Gintoki, prendendo poi sotto
braccio quella povera ragazza pallida come un lenzuolo e per condurla
verso i dormitori.
Non fece nessuna domanda. Mademoiselle non ci avrebbe mai pensato su a
prestare aiuto a quel ragazzo, e lei non avrebbe fatto diversamente.
Gintoki ringraziò stancamente, per poi cadere a terra
svenuto.
Alla fine la stanchezza e il dolore avevano preso il sopravvento anche
su di lui.
*****
Quando riuscì a riprendere conoscenza intravide da una
finestra nella stanza che il cielo si era fatto scuro.
Non sapeva dire che ore fossero, ma di certo doveva aver dormito
parecchie ore.
E non appena si fu completamente svegliato, tutti i ricordi di
quell'infernale giornata gli si rovesciarono nella testa con una furia
impressionante.
Cercò inutilmente di sorvolare su quel
ricordo, ma l'immagine dello scempio che aveva trovato alla sede della
Shinsengumi gli si parò indelebile davanti agli occhi.
Per la prima volta dall'inizio di quell'incubo fu assalito anche lui
dalla nausea, e fu solo grazie al fatto che non aveva messo niente
nello stomaco dalla sera prima che riuscì a non vomitare,
anche
se sentì bruciare la gola e avvertì il sapore
della bile
in fondo alla bocca. E di nuovo gli si strinse in cuore a ricordare
l'ultimo pasto che aveva consumato. Quella cena stranamente abbondante
che aveva offerto a Kagura e Shinpachi la sera prima alla trattoria.
L'ultima cena di inconsapevoli condannati a morte.
Strinse le lenzuola tra le dita, così forte che gli si
sbiancarono le nocche.
Avrebbe quasi preferito avvertire l'impellente bisogno di piangere, ma
gli occhi erano asciutti, come se non avesse più lacrime da
versare.
Sentiva solo un cupo e profondo ribollire di odio in fondo al suo cuore.
“Ti sei svegliato, finalmente!”
Gintoki si riscosse, guardandosi attorno per vedere chi c'era con lui
nella stanza.
In un angolo intravide la possente figura di Mademoiselle Saigo,
inginocchiata di fronte ad un basso scrittoio.
Vedendo che l'ospite si era risvegliato, Saigo si alzò per
raggiungerlo al suo capezzale.
Gintoki non provò nemmeno ad alzarsi. Era ancora troppo
provato a causa della battaglia.
Fece però velocemente un inventario delle ferite, e
scoprì che era anche peggio di quello che aveva pensato.
Anche se era sdraiato sul futon, riusciva benissimo a sentire tutti i
cerotti, le bende e le fasciature che gli erano stati fatte. Il fianco
destro era il punto che gli dava il maggior fastidio, ma la stretta
bendatura portava un po' di sollievo.
“Come sta Otae?!” chiese a Saigo, quando questo si
fu accomodato di fianco al futon.
Saigo ridacchiò un attimo.
“Tu sei bendato come una mummia, ma la prima cosa che chiedi
è come sta la ragazza?!”
“Allora?!” replicò, un po' impaziente.
Saigo sospirò, incrociando poi le braccia al petto.
“Fisicamente? Sta benissimo. Non è ferita.
Però non
si è ancora ripresa. Non ha detto una sola parola,
né
mosso un passo. Azumi l'ha portata in camera sua per farla riposare, ma
la ragazza non ha voluto mettersi a letto. È rimasta tutto
il
tempo seduta, a fissare un punto sulla parete. E non ne vuole sapere di
mangiare. Ma si può sapere che diavolo vi è
successo?!”
Gintoki ascoltò accigliato il resoconto di Saigo.
Povera Otae.
Facendo molta attenzione a come si muoveva, si rimise seduto. Saigo lo
aiutò, capendo al volo che il ragazzo era ancora senza forze.
Gintoki rimase qualche minuto a fissare le lenzuola.
Come poteva raccontare quello che era successo? E poi, doveva davvero
farlo?
Non avrebbe dovuto, rischiava solo di mettere in pericolo anche loro.
Per lunghi minuti non spiccicò parola, immerso nei suoi
ragionamenti.
Alla fine Saigo, comprensivo, gli poggiò una mano sulla
spalla.
“Devi farti coraggio. So che è successo qualche
cosa di
terribile... ma in momenti come questi devi rimanere saldo. Se cominci
a lasciarti andare alle preoccupazioni non ne uscirai
più.”
Gintoki alzò la testa per fissarlo in faccia.
Il viso solitamente sorridente di Saigo ora era una maschera di
serietà.
“Non voglio mettere nei guai anche voi...”
mormorò alla fine.
Saigo scoppiò nella sua risata tonante.
“Ah! Ti sembra il caso di preoccuparti per noi? Nessuno
può crearci problemi!”
Gin si rabbuiò.
“Loro
potrebbero...”
Saigo ritornò immediatamente alla serietà,
sentendo il tono di voce di Gin.
“Che intendi dire?!”
Gintoki deglutì a vuoto un paio di volte ancora.
Sì, in fondo doveva parlare.
La sua sola presenza in quel luogo era un pericolo per Mademoiselle e
tutte le ragazze. Doveva loro delle spiegazioni.
Con voce stanca e spezzata, Gintoki riuscì con
difficoltà a raccontare gli eventi di quell'assurda giornata.
Saigo lo ascoltò in silenzio, senza fare domande,
tremendamente serio.
“Ragazzo...non so che dire...” commentò
alla fine.
Gli occhi di Saigo corsero immediatamente verso il fagotto che Gintoki
aveva in mano quando era arrivato da loro. Non aveva voluto aprirlo per
rispetto nei suoi confronti, e al solo immaginare quello che c'era
dentro sentì un brivido corrergli lungo la schiena.
Quello che era successo era davvero una cosa mostruosa.
Gintoki accennò un sorriso tirato.
“Mi spiace di essere piombato qui portandomi dietro tutti
questi casini...”
“Non dirlo neanche per scherzo!”
“Se scoprono che sono qui...”
“Non lo scopriranno. Hai detto che nessuno ti ha visto
entrare, e
stai pur certo che nessuna delle mie ragazze dirà mai che
sei
qui. Puoi fidarti di noi!”
Gintoki sorrise stancamente.
“Non sapevo proprio dove altro andare... Grazie. ”
Saigo rise di nuovo.
“Figurati ragazzo! È un piacere sapere che hai
pensato a questo posto nel momento del bisogno!”
Gintoki annuì.
Solo dopo qualche minuto si azzardò a chiedere una cosa.
“State facendo già tanto per me...ma devo
chiedervi un altro favore...”
“Dimmi tutto!”
“Otose...ho paura che vadano da lei...sanno che vivo
lì...”
Saigo annuì gravemente.
“Non preoccuparti. Andrò subito a controllare, ma
non
penso che le sia successo nulla. Lo si sarebbe saputo in un lampo se a
uno dei quattro Imperatori di Kabukicho fosse accaduto qualche
cosa!”
Gintoki annuì a sua volta, ringraziando poi Mademoiselle
prima che uscisse dalla stanza.
Era dannatamente preoccupato per la vecchia, ma non aveva osato andare
da lei.
Probabilmente quello era il primo posto in cui l'avevano cercato quelli
della Shinsengumi, e non voleva coinvolgere anche lei in quella caccia
all'uomo. Sapeva di stare rischiando un azzardo tremendo nel contare
solo sulla fortuna, nel non andare lui stesso a metterla al sicuro. Ma
aveva voluto fermamente credere nel fatto che quel titolo di
Imperatrice l'avrebbe in qualche modo protetta. Anche se non era un
titolo ufficiale, qualcosa valeva. Specialmente per tutti quelli che la
conoscevano, e sapevano quale straordinaria persona era: nessuno di
loro avrebbe mai permesso che a Otose fosse fatto del male.
Anche se si era sempre preoccupato lui in prima persona della sua
sicurezza, c'erano comunque tante altre persone che avrebbero potuto
svolgere quell'incarico.
Per questo non era andato da lei, ma da Mademoiselle.
Se era vero che la sua presenza da Otose avrebbe condannato la vecchia,
con Saigo la cosa era ben diversa.
Il travestito sapeva badare a se stesso più che bene: sotto
il
trucco e i kimono colorati c'era sempre un prode guerriero. Inoltre, a
parte pochissimi dei suoi amici, nessuno aveva mai saputo che Gintoki
aveva avuto una breve carriera in quel locale.
Risalire al suo legame con Saigo era praticamente impossibile.
Inoltre, c'era una cosa che voleva assolutamente discutere con lui.
********************************************************************************
(*) Azumi:
il travestito con i capelli, a caschetto, arancioni.
Gin e Zura lo prendevano i giro per il mento pronunciato.
E se per caso non si chiama Azumi è perché il
volumetto
che ho io è rilegato male e potrebbe aver tagliato il nome!
********************************************************************************
Angolo dell'Autrice:
Un capitolo relativamente tranquillo.
Faccio riprendere un pò il fiato a Gintoki. Povero caro, ne
ha proprio bisogno.
Anche nel prossimo ci saranno più chiacchiere che azione, ma
spero che non me ne vogliate! ^^"
E, sì, Saigo è uno dei miei personaggi preferiti.
v__v
Risposte alle recensioni:
- Sarhita:
Ok, a quanto pare,
per colpa tua, mi toccherà andare in giro con la faccia
rossa
finché questa fiction non finirà. Ma forse anche
dopo,
perché credo che arrossirò ogni volta che
andrò a
rileggermi i tuoi commenti. Grazie per le belle parole, davvero. Ti
adoro! *-*
Davvero hai sentito quel crack? Povero Zura, l'ha sentito anche lui. E
ci è rimasto anche lui molto male...già...
- mizukage:
In effetti sono
brava con le scene di dolore strappalacrime! v__v Non vengo dal Pianeta
degli Scrittori Sadici mica per niente! XD
No, facciamo le persone serie. Mi fa piacere che anche lo scorso
capitolo ti sia piaciuto, nonostante il livello di tristezza alle
stelle!
- Gintokina:
Zura ha una marea di sensi di colpa. Ma la cosa non ci interessa. O non
più di tanto...
Gin al momento è un pò perso. Il prossimo
capitolo poi...basta, lo leggerai presto! ** Eheh!
- ballerinaclassica:
*guarda ballerina che
corre via come una matta* Non ti preoccupare, tanto questa
fic mica scappa! ^^ Alla prossima!
Fatemi sapere i vostri commenti, pareri o
critiche!
Grazie a chi vorrà lasciare una recensione e a quanti
leggeranno e basta.
Beat
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Capitolo 7 *** Capitolo VII ***
Disclaimer: i personaggi non mi appartengono e questa
fiction
non è stata scritta a scopo di lucro.
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Capitolo VII
Saigo ritornò un paio di ore più tardi, e per
prima cosa
passò da Gintoki per rassicurarlo che Otose stava bene. In
effetti c'erano stati dei tafferugli in zona, ma la vecchia era stata,
in definitiva, lasciata in pace.
Gli fu riferito anche che in giro non c'erano voci riguardo quello che
era accaduto nella sede centrale della Shinsengumi. Questo
irritò non poco Gintoki, perché ciò
voleva dire
che se il Bakufu non aveva la minima intenzione di dire nulla
sull'accaduto, nessuno avrebbe mai venuto a conoscenza delle
atrocità che erano state commesse.
Un motivo in più per farla pagare a quei bastardi!
Rincuorato dalla notizia che Otose stava bene, Gintoki poté
lasciarsi andare al sonno. Era rimasto sveglio in attesa di quelle
notizie, ma le ferite e la stanchezza accumulata gli avevano reso
parecchio ardua l'attesa. Più volte aveva rischiato di
addormentarsi di colpo.
Fu un sonno agitato, pieno di incubi, come anche avvenne nei giorni
successivi della sua permanenza da Mademoiselle.
Per tutto quel tempo rimase chiuso in camera, cercando di riposarsi per
riprendersi quanto più in fretta potesse. Inoltre non aveva
nessuna voglia di incontrare nessuno, a parte Saigo che lo andava
regolarmente a trovare portandogli i pasti. Non si sentiva ancora
pronto ad affrontare il resto del mondo.
Solo dopo quattro o cinque giorni osò lasciare la camera in
cui
era stato ospitato. Quella mattina si era svegliato abbastanza presto,
e non appena si era reso conto che la ferita al fianco non gli
procurava più i lancianti dolori dei giorni precedenti, si
decise a lasciare la stanza.
Non poteva certo uscire dall'edificio, ma aveva comunque bisogno di
fare quattro passi.
In un corridoio incontrò Mademoiselle, con in braccio una
pila di cuscini che stava portando all'interno del locale.
“Oh, buongiorno! Ti sei deciso ad alzarti?”
“'giorno...”
Saigo sorrise comprensivo, e gli fece cenno di seguirlo.
Gintoki obbedì senza dire nulla.
La padrona sistemò i cuscini attorno ai vari tavoli del
locale e
invitò Gintoki a sedersi mentre lei andava a preparare la
colazione.
Dieci minuti dopo era di ritorno con un vassoio carico di riso,
dolcetti e the caldo.
Servì a Gintoki la sua parte e tenne per sé il
resto.
Gin si avventò silenziosamente sulla sua colazione
– si
era accorto di avere parecchio appetito – e Saigo lo
imitò, senza dire più nulla per tutto il tempo
che i due
mangiarono.
Solo quando ebbero entrambi finito, Mademoiselle si azzardò
a chiedere una cosa a Gintoki.
“Che cosa hai intenzione di fare adesso, ragazzo?”
Gintoki non rispose. Si limitò a bere lentamente il suo the.
Saigo sorrise comprensivo.
“Puoi stare tutto il tempo che vuoi qui. Per quello non
c'è problema. Ma sono preoccupato per te.”
“Non ce n'è bisogno.”
“Sì, invece. E sono preoccupato anche per l'altra
ragazza.”
Gintoki sollevò gli occhi, interessato e preoccupato al
tempo stesso.
“Ancora non mangia, ha solo bevuto un po' di the in questi
giorni. E non ha detto una sola parola. Dovresti andare da
lei.”
Gintoki ci pensò su un po'. Poi si limitò a
sospirare.
Non aveva il coraggio di affrontare Otae.
Non sapeva che cosa fare, e non aveva alcuna idea di cosa fare per
farla stare meglio.
“Vorrei chiederti una cosa.” disse ad un certo
punto Gintoki, abbassando di nuovo lo sguardo sulla tazza.
“Ma certo. Chiedi quello che vuoi! Mademoiselle Saigo
è a
tua disposizione!” rispose Saigo, in tono leggero, cercando
per
quanto possibile di tirarlo un po' su di morale.
“A dire il vero vorrei parlare con Tokumori il
guerriero...” rispose il ragazzo, sorridendo appena.
Saigo non poté nascondere l'espressione stupita che gli si
dipinse in volto.
Erano anni che nessuno lo chiamava con il suo vero nome.
Da quando aveva assunto l'identità di
“Mademoiselle”, nessuno si era più
rivolto a lui
come Tokumori Saigo, il combattente.
Non si era certo immaginato che quel ragazzino potesse conoscere quel
lato di lui.
“Di che cosa vuoi parlare?” domandò alla
fine, mortalmente serio.
“'Tokumori Saigo, il Guerriero dal bianco Fundoshi'. Ammetto
che,
prima di scoprirlo, non avevo mai pensato che potessi essere tu. Ma mi
ricordo bene che ai tempi della guerra le tue gesta erano state
acclamate da tutti i combattenti. Sebbene tu non fossi un samurai, hai
lottato al nostro fianco contro gli invasori. L'assalto a quella nave
di Amanto fu un gesto eroico e spettacolare, che ancora si narra tra i
vecchi guerrieri.”
Saigo involontariamente sorrise compiaciuto, rimembrando quelle
battaglie.
“Però...” Gintoki cercò lo
sguardo di Saigo
“Dopo quell'assalto sei scomparso. Non si è
più
sentito parlare di te, e molti pensavano che fossi morto.”
Saigo annuì gravemente.
“Sì, anche io avevo sentito quelle voci.”
“Perché hai smesso di combattere?”
Saigo fissò gli occhi in quelli di Gintoki.
Brillavano, una luce strana, curiosa e dolorosamente triste.
Non sapeva bene che cosa gli aveva dato quell'idea, ma a vedere quello
sguardo Saigo comprese che cosa quel ragazzo gli stava chiedendo.
Che cosa stava implorando.
Stava cercando un modo per rinunciare a tutto quello.
Stava disperatamente cercando una maniera per smettere di combattere,
per non dover più affrontare tutte quelle battaglie, quel
sangue, quelle morti.
Era giovane, ma aveva già vissuto sulla sua pelle il
tremendo mondo della guerra.
E ora che pensava di esserselo definitivamente lasciato alle spalle,
ecco che infido quello si era ripresentato, di nuovo portandogli via
tutto quello che aveva.
Saigo provò un'infinita compassione per quel povero
sventurato samurai.
Ma non sapeva proprio come fare ad aiutarlo.
Lui si era costretto a rinunciare ad andare avanti a combattere per
amore della sua famiglia. Perché, nonostante la guerra e il
pericolo, era riuscito ad incontrare la donna della sua vita. La madre
di suo figlio.
Per lei e per Teruhiko che ancora doveva nascere, per la sua famiglia,
Tokumori Saigo aveva abbandonato la guerra.
Era stata una scelta sofferta, ma l'aveva fatto con il sorriso sulle
labbra.
Voleva proteggere la sua famiglia più di ogni altra cosa,
per
questo non aveva avuto rimpianti nell'abbandonare il “Bianco
Fundoshi”.
Ma quel ragazzo che ora lo stava fissando non aveva nulla di tutto
questo.
La sola cosa che avrebbe potuto difendere gli era stata brutalmente
strappata via.
Per questo non poteva dirgli che cosa fare.
Consigliarlo di abbandonare tutto per rifarsi una vita era in fin dei
conti un consiglio stupido.
Non avrebbe mai potuto lasciar perdere. E anche se ci avesse provato, a
lungo andare la cosa lo avrebbe distrutto dentro. Macerato dei sensi di
colpa e dalla vergogna per non aver fatto quello che andava fatto.
No, anche se era doloroso, anche se era estremamente pericoloso,
Gintoki non doveva lasciare perdere.
Come samurai aveva il diritto e il dovere di vendicare i suoi amici.
“Ragazzo...so quello che stai cercando di fare. Ma non ti
posso
aiutare. Non ti posso dire che devi lasciar perdere. Non puoi. So che
è terribile, ma devi continuare a combattere.”
Gintoki si rabbuiò, tristemente.
“Ascoltami!” lo esortò Saigo, prima che
il ragazzo
venisse assalito dallo sconforto “Probabilmente sono crudele
a
dirti queste cose invece di confortarti, ma non ti puoi permettere di
lasciar perdere la questione. I tuoi amici sono stati uccisi e meritano
che qualcuno li vendichi. Tu li devi vendicare! Se lasci perdere ora
non te lo perdonerai mai!”
Gintoki non disse ancora nulla.
“Io ho smesso di combattere perché ero riuscito a
trovare
un motivo per vivere. Vivere davvero. Ma se per caso qualcuno avesse
provato a fare del male alla mia famiglia, non avrei esitato un solo
istante a farla pagare a quei bastardi!”
Gintoki annuì lentamente.
Sì, era così che si sentiva.
Anche lui aveva una gran voglia di farla pagare a quel maledetto Shinu.
Shiroyasha bramava il sangue di quell'assassino.
Ma era stanco di combattere.
Si sentiva come se per tutta la vita non avesse fatto altro.
E più volte si era chiesto se per caso quello era il suo
unico
destino: vedersi continuamente strappare le persone che amava, e
tornare a combattere, ancora e ancora, finché non fosse
morto
lui stesso. Combattere fino alla fine.
Saigo e Gintoki rimasero seduti uno di fronte all'altro ancora per
parecchio.
Non si dissero più nulla.
Gintoki doveva ragionare su quello che Saigo aveva detto. Doveva
decidere.
Il vecchio guerriero non osò aggiungere altro, per non
disturbare Gintoki. Non lo lasciò solo, tuttavia, e rimase
lì, seduto in silenzio, nel caso il ragazzo avesse ancora
avuto
bisogno di lui.
Alla fine Gintoki si alzò lentamente.
Si sgranchì le gambe che si erano intorpidite a causa della
medesima prolungata posizione, e si diresse verso i dormitori.
Saigo non gli disse nulla, si limitò a sorridere mestamente
al suo indirizzo.
Qualunque cosa quel ragazzo avesse deciso, doveva essere stata una
scelta dolorosa. Ma era sicuro che, alla fine, ne sarebbe valsa la pena.
Gintoki si diresse sovrappensiero verso la sua stanza. Si richiuse la
porta alle spalle e si sedette per terra, di fronte al suo kimono.
Era ancora incrostato di sangue – non aveva voluto che fosse
lavato – ma il suo triste contenuto non c'era più.
Con infinita bontà d'animo se ne era occupato Saigo. Uno di
quei
giorni era andato in uno di quei cimiteri nascosti che ospitavano gli
ultimi resti dei samurai che avevano combattuto gli Amanto. Aveva
seppellito Kagura e Shinpachi di fianco a tutti quei guerrieri che
erano morti per loro libertà. Di questo Gintoki gli era
infinitamente riconoscente.
Gin raccolse il kimono e lasciò la stanza.
In corridoio incontrò una ragazza a cui chiese quale era la
stanza di Otae.
Quando vi entrò, di nuovo gli si strinse il cuore a vedere
la
solitamente esuberante Otae seduta per terra, il capo chino e gli occhi
sbarrati.
Le si sedette accanto, passandole un braccio attorno alle spalle.
Lei non disse nulla, si limitò solo ad appoggiarsi
delicatamente a lui.
Dopo un tempo incalcolabile, Gintoki le parlò, la voce un
sussurro.
“Devo andare.”
Otae non aveva bisogno di chiedere nulla a riguardo.
Annuì solamente.
“Tornerai?”
Gintoki ridacchiò senza allegria.
“Non lo so.”
Otae abbassò ancora di più il capo.
Non voleva chiedergli di tornare.
Non ne era in grado.
Non sapeva nemmeno se voleva
che lui tornasse.
Lui avrebbe potuto, mentre suo fratello no.
Gli occhi le si riempirono nuovamente di lacrime.
Ma lei stoicamente le cacciò indietro.
“Uccidili. Uccidili tutti.”
Gintoki annuì, stringendola un attimo per l'ultima volta,
prima di alzarsi e andare via.
********************************************************************************
Angolo dell'Autrice:
Sono perplessa sull'effettivo IC di Gintoki, in questo capitolo.
Ma, d'altra parte, la situazione è parecchio inusuale
rispetto
quelle solitamente rappresentate nel manga, quindi fatto quel che ho
potuto. ^^"
- mizukage:
Saigo riferisco che se gli dai ancora del "nonno" viene a prenderti a
casa e ti rigira come un guanto. °_°
Io invece ti ringrazio per lo spendido commento. Felice che questa
storia ti piaccia! ^^
- Sarhita:
*arrisisce come al solito* Grazie. Grazie mille davvero per i
complimenti! ^^
In effetti sarebbe interessante vedere Saigo vs Shinsengumi! *-* Se ho
tempo provo ad elaborare! XD
[EDIT: in effetti mi è venuta in mente una qualche cretinata
da scrivere! XD]
- Gintokina:
L'avrò
anche distrutto psicologicamente (anche la mia parte sadica approva),
ma come vedi Gin non si lascia sconfiggere, nemmeno da se stesso. Poi
vedrete meglio! Ahahah! Alla prossima!
Fatemi sapere i vostri commenti, pareri o
critiche!
Grazie a chi vorrà lasciare una recensione e a quanti
leggeranno e basta.
Beat
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Capitolo 8 *** Capitolo VIII ***
Disclaimer: i personaggi non mi appartengono e questa
fiction
non è stata scritta a scopo di lucro.
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Capitolo VIII
Attese la sera, perché il buio lo nascondesse agli occhi
indiscreti della gente.
Passò per i vicoli più tortuosi, i più
nascosti, i meno frequentati.
Dovette fare un giro piuttosto lungo e complicato, ma alla fine
riuscì ad arrivare dove voleva, senza essere stato notato da
nessuno.
Di nuovo, gli toccò aspettare parecchio prima di poter
essere
certo che non c'era nessun poliziotto nascosto nelle vicinanze.
Solo quando ne fu praticamente certo – e comunque si
premurò lo stesso di passare dal retro – Gintoki
si
introdusse furtivamente in casa di Otose.
Si nascose in uno sgabuzzino, e lì attese finché
non
sentì più nessuna voce provenire dall'interno del
locale.
Solo quando, finalmente, sentì la vecchia salutare Catherine
e
poi il rumore della serratura della porta, si decise ad uscire dal
ripostiglio.
Si affacciò sulla stanza del locale e si schiarì
la gola
per attirare l'attenzione di Otose. Non voleva certo che si spaventasse
vedendoselo apparire dal nulla come un fantasma.
La vecchia sussultò appena quando lo vide.
Lo squadrò con aria severa per alcuni istanti, poi si
portò dietro il bancone e tirò fuori una
bottiglia di
saké e due bicchieri.
“Mi hai fatto stare in pensiero, idiota.”
Gintoki sorrise, sedendosi sul suo solito sgabello e prendendo il
bicchierino che Otose gli aveva offerto.
“Scusami.”
I due bevvero dai bicchieri, che furono di nuovo riempiti e vuotati.
“Mi dispiace per quello che è successo a Shinpachi
e a Kagura” disse poi Otose.
Gintoki annuì, lo sguardo apparentemente normale.
Di nuovo il groppo in gola a sentire i loro nomi.
“Tu come stai?” chiese preoccupata la donna.
Gintoki gli rispose con un'alzata di spalle, sillabando qualche cosa di
poco definito, e lei non insistette oltre.
“Che cosa ha intenzione di fare, adesso?”
Ed ecco la domanda che più temeva.
Gintoki si era quasi convinto che la cosa migliore da fare era trovare
quel bastardo di Shinu e vendicare i suoi amici. Se ne era convinto
davvero.
Ma non appena aveva rivisto Otose la sua determinazione aveva vacillato.
Sì, perché se non aveva paura di morire nel
cercare di
vendicare la morte di Kagura e Shinpachi, si era improvvisamente conto
che non aveva alcun diritto di morire.
Non prima di aver assolto completamente alla sua promessa.
Aveva giurato di proteggere Otose, e quindi non poteva permettersi di
lasciare quel mondo infame prima del tempo.
Svuotando per l'ennesima volta il bicchiere che aveva in mano, il
ragazzo guardò fisso Otose.
“Che cosa voglio fare? Non lo so...” rispose alla
fine, distogliendo lentamente lo sguardo.
Otose lo squadrò dalla testa ai piedi, con il suo solito
cipiglio severo.
Quanto sapeva essere
cocciuto quel ragazzo!
“Gintoki!”
“Che c'è, vecchiaccia?!”
“Non dire cretinate! Sappiamo benissimo entrambi che vuoi,
anzi
devi andare a vendicare quei due!” e lo disse con quel tono
di
voce che gli adulti usano con quei bambini particolarmente difficili.
Gintoki ridacchiò.
Certo che quella vecchia
sapeva essere davvero terribile quando voleva.
“Potrei non riuscire a tornare.” ammise
tranquillamente.
“È di questo che hai paura? Di non
sopravvivere?”
chiese più che stupita Otose. Da che lo conosceva, il
pensiero
che quel ragazzo avesse così paura della morte non l'aveva
mai
neppure sfiorata.
Gintoki le mostrò un sorriso amaro.
“Non ho paura di morire.” decretò
semplicemente.
E visto che non sembrava voler aggiungere altro, Otose fu costretta a
chiedergli che cosa intendeva dire allora.
“Se muoio chi ti proteggerà? Eh,
vecchia?”
Otose represse a stento un'espressione stupita, mista ad un profondo
compiacimento.
Quello stupido e inutile sfaccendato che ancora dopo tutti
quegli anni si preoccupava per lei!
“Ancora con quella storia?!” domandò,
fingendosi esasperata.
“È inutile che usi quel tono. Lo sai che ho fatto
un
giuramento. E ho intenzione di rispettarlo fino in fondo.”
Otose sospirò profondamente.
Che ragazzo sciocco e testardo.
“E allora io ti libero da quest'incombenza!”
“Non è con te che ho prestato
giuramento!”
“Ma ne sono io l'oggetto, quindi fai come ti dico!”
“Se la prenderanno con te!”
“Impossibile! Li ho già cacciati via l'altro
giorno!”
“Torneranno..!”
“Tutti i vicini hanno confermato che non ho mai potuto
soffrirti,
visto che sei uno sfaticato che non paga mai l'affitto!”
“Non basterà a convincerli...”
“Gintoki Sakata!”
Quasi lo urlò, e Gin non poté fare a meno di
zittirsi.
Otose lo stava fissando con uno sguardo acceso davvero terribile.
“Ma non lo vedi che stai solo cercando delle scuse? Tu vuoi andare
laggiù a combattere...a vendicarti! Perché stai
cercando di non farlo?”
Anche Otose dunque si era accorta del suo conflitto interiore.
Gin abbassò il capo, forse per la vergogna, forse per
ammettere il suo turbamento.
“Perché è successo ancora?
Perché devo di nuovo combattere?”
Otose addolcì il tono.
Non aveva mai visto quel ragazzo in uno stato così prostrato.
“Non so perché ti sia capitato un destino
così
difficile, Gintoki. L'unica cosa che ti posso dire è che se
non
segui il tuo cuore, non devi aspettarti che pentimenti e rimorsi
infiniti. Per tutto il resto della tua vita!”
In fondo aveva ragione.
Anche Saigo gli aveva detto più o meno le stesse cose.
Anche Shiroyasha non stava facendo altro da quando si era ridestato. In
tutti quei giorni non aveva mai smesso di sussurrargli all'orecchio
dolci parole di vendetta e di sangue.
Lui stesso ormai se ne era quasi convinto.
Era stato davvero stupido a cercare le più labili scuse per
non fare quello che aveva fatto.
Vedendo che il volto del ragazzo aveva ripreso la consueta
tranquillità, Otose pronunciò infine l'ultima
cosa che
mancava a Gintoki per diventare completamente convinto.
“Gintoki Sakata: ti libero dalla promessa che hai fatto a mio
marito. Non sei più in obbligo di proteggermi.”
Gin alzò appena lo sguardo per incrociare gli occhi di Otose.
Una nuova determinazione gli si poteva vedere dipinta in volto.
Un leggero sorriso, che voleva racchiudere un silenzioso
ringraziamento, e poi si alzò.
Erano stati recisi tutti i legami che lo tenevano ancorato a quel luogo.
Ora non aveva altro da fare che muoversi verso il suo destino.
“Aspetta!” Otose lo richiamò, prima che
lui uscisse dal locale. “Dove stai andando, idiota?”
“Che domande! Devo combattere, no?!”
“Conciato in quella maniera?!”
Solo in quel momento Gintoki si accorse che effettivamente non
poteva certo dirsi equipaggiato per un assalto in grande stile.
Non aveva più la sua fidata spada di legno, e nemmeno quella
che
Katsura gli aveva dato, visto che si era irreparabilmente danneggiata
dopo lo scontro con Shinu.
E ora che ci pensava bene, non aveva nemmeno la più pallida
idea
di dove potesse essersi rintanato quel maledetto assassino.
“Ehi, vecchia! Non è che sai dove stanno i
Tendoshu?!”
Otose sorrise divertita, sentendo di nuovo quel tono di voce
così da...Gin.
“Sei proprio un caso perso, lo sai? Seguimi!”
Gin la seguì nel retro del negozio, dove la vecchia aveva la
sua stanza.
Parzialmente nascosto in un angolo buio, c'era un baule scuro,
piuttosto semplice, decorato con i simboli che usavano i combattenti
Joi per camuffare i pacchi clandestini.
Gintoki rivolse uno sguardo confuso ad Otose.
“L'ha portata il tuo amico con i capelli lunghi.”
“Zura?!”
“Katsura, sì. Ha detto che ti sarebbe stata utile
quella roba.”
Che diavolo poteva mai esserci in quel baule?
“Ah!” continuò Otose, sfilandosi una
busta dalla
manica del vestito “Mi ha anche detto di darti questa
lettera. E
di assicurarmi che tu la legga, prima di stracciarla, bruciarla o
affettarla. Parole sue.”
Gin afferrò la busta con un gesto secco, nervoso.
Aveva ancora sullo stomaco la faccenda di Katsura.
Dovette però ricredersi sul suo amico non appena diede
un'occhiata veloce al contenuto della lettera.
Zura aveva messo insieme tutto quello che i Joi sapevano sui Tendoshu:
chi erano, dove stavano. I loro movimenti, le loro abitudini. E poi,
mappe e cartine del palazzo dello Shogunato. E buona parte della
documentazione riguardava proprio Shinu, il solo Tendoshu che realmente
interessava Gintoki.
Gin lesse avido tutte le informazioni che erano state scritte. Di una
precisione spaventosa, quel plico conteneva tutto quello di cui aveva
bisogno.
Solo in fondo alla lettera, Zura si era azzardato a scrivere qualcosa
di personale.
“So
che probabilmente non avrai più nulla a che fare con me, e
non
posso certo dire che non ti capisco per questo...anche se ne sono molto
dispiaciuto. Perdere la tua amicizia, anzi no, perdere la tua fiducia,
è qualcosa che non avrei mai voluto affrontare. Ti prego,
accetta le mie più sincere scuse. E se per caso non vorrai
farlo, ti prego almeno di accettare ciò che è
contenuto
nella cassa che ho lasciato dalla signora Otose.
Te ne
restituisco il contenuto, anche se ho sempre sperato che tu non ne
avessi mai più avuto bisogno.
Buona fortuna
Gintoki.
So che avrai
successo.
Zura.”
Rileggendo velocemente quelle poche righe, Gintoki fu preso dalla
curiosità.
Che ci poteva essere di suo in quella cassa?
Non ricordava di avere mai lasciato nulla di suo a Zura.
Spostando la cassa al centro della stanza, ne aprì il
coperchio con circospezione.
Sbalordito, rimase qualche minuto fermo immobile a fissarne il
contenuto.
Non ci poteva credere!
Quel maledetto cretino di Katsura aveva conservato quelle cose per
tutto quel tempo!
Gli occhi di Gintoki scivolarono lungo la sua vecchia armatura,
adagiata sulla casacca dell'immacolato kimono bianco che usava in
guerra. C'era addirittura anche la fascia bianca che si legava in
fronte prima di ogni battaglia.
E non si accorse nemmeno che la mano destra era andata ad afferrare con
decisione la spada, la sua vecchia e fidata spada, la più
fedele
compagna in tutti i suoi combattimenti.
Si, ora in effetti ricordava di averla affidata a Zura.
Il giorno che si era definitivamente ritirato dalla guerra, il giorno
in cui aveva abbandonato il Movimento Joi. Il giorno che aveva deciso
che quella vita non faceva più per lui.
Aveva affidato la sua spada a Katsura, per fargli capire quanto fosse
seria la sua decisione.
Non voleva più combattere. Non voleva più uccidere.
Aveva preso in cambio una spada di legno, suggellando così
la sua decisione.
Ma ora che la sua amata era di nuovo tra le sue mani, sentiva come un
impulso irresistibile. La spada aveva compreso lo stato d'animo del suo
padrone, ed ora smaniava per essere estratta.
Ora che era di nuovo al suo fianco, poteva davvero fare tutto.
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Angolo dell'Autrice:
Ultimo capitolo in cui si blatera un sacco e non si agisce! Promesso!
Nel prossimo blatereranno un sacco lo stesso, ma almeno ci
sarà azione! Tanta, tanta azione! *_* eheheh!
Siamo quasi alla conclusione, ma vi assicuro che le cose rimarranno
piene di suspance fino all'ultimo!
- Sarhita:
"Vivere senza vivere
veramente, o combattere e smettere comunque di vivere." No, direi che
hai azzeccato perfettamente il pensiero di Gin! *_*
[cit.] "Aspetta...
...se Gin è pronto a combattere vuol fire che i prossimi
capitoli saranno piuttosto avvincenti! Evvai!"
Questa frase mi ha fatta ridere un sacco! XD Grazie mille per il
commento!
- mizukage:
Saigo ti sta ancora guardando male... °_°
Ma ha anche sbuffato, e ha detto "Massì, in fondo
è una brava ragazza..!"
Chi lo capisce è bravo! XD
- Gintokina:
Grazie mille! *_* Mi fa piacere sapere che approvate il mio Gin! Alla
prossima!
- ballerinaclassica:
Guarda,
Otae è il personaggio per cui ho più sofferto, in
questa
storia. Appunto perché sa reprime bene le cose spiacevoli,
quando si lascia andare è proprio perché non ce
la fa
più. Tremendo! ç_ç Povera cara..!
Fatemi sapere i vostri commenti, pareri o
critiche!
Grazie a chi vorrà lasciare una recensione e a quanti
leggeranno e basta.
Beat
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Capitolo 9 *** Capitolo IX ***
Disclaimer: i personaggi non mi appartengono e questa
fiction
non è stata scritta a scopo di lucro.
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Capitolo IX
Si dice che nella nebbia si nascondano i fantasmi.
Spiriti di persone morte anzitempo, vittime innocenti, sventurati che
non riescono a trovare la pace nella morte. Infelici e persi per il
resto dell'eternità.
Si dice che la nebbia serva a ricordare ai vivi il dolore dei morti.
Le anime vagano nella nebbia, sfiorando la vita, ma senza mai
più poterla toccare.
Quella mattina la nebbia era densa e fitta, come se fossero stati in
pieno inverno.
I deboli raggi dell'aurora donavano a quella distesa immacolata un
bagliore inconsueto. Quasi spettrale.
E come uno di quegli spiriti irrequieti, Shiroyasha avanzava lento tra
la foschia.
La sua figura candida sembrava scivolare lungo il percorso, i contorni
che si confondevano nella nebbia.
Un'atmosfera davvero spettrale.
E lui li sentiva, lì, accanto a lui.
I due spiriti per cui stava cercando vendetta.
Shinpachi e Kagura erano lì con lui, lo accompagnavano
silenziosi lungo la strada.
Quella mattina non si sentì nemmeno un uccellino cinguettare.
Il tempo pareva sospeso. Anche lui quasi tratteneva il respiro, in
attesa di conoscere l'esito di quell'ultima battaglia.
Gintoki emerse dalla nebbia quando ormai era proprio davanti al palazzo
dello Shogunato.
Un edificio imponente, maestoso.
Che presto sarebbe stato tinto di sangue.
“Altolà! Non ti muovere! Identificati!”
Gintoki si limitò a mostrare alla guardia un sorriso storto,
fulminandolo con un'occhiata carica. L'uomo tremò
visibilmente,
e fece in tempo appena a soffiare dentro il fischietto che portava
appeso al collo prima che questo gli fosse staccato dal resto del corpo
con un unico colpo di spada.
Purtroppo però l'allarme era stato dato e, solerti come
tanti
piccoli insetti, una mezza dozzina di uomini della Shinsengumi erano
sbucati dall'interno dell'edificio presidiato.
Gintoki afferrò saldamente la spada e si preparò
a colpire di nuovo.
“Fermi! Ehi, bello, aspetta!”
La nebbia rendeva ancora difficile distinguere i visi, ma la voce era
indubbiamente quella di Okita.
Il ragazzino si avvicinò con cautela a Gintoki,
finché
entrambi non si poterono vedere distintamente uno con l'altro.
Piantò i piedi per terra, con decisione, ma non
sembrò
avere la minima intenzione di sfoderare la spada. Le braccia lungo i
fianchi erano rilassate.
Non voleva combattere.
Non per il momento.
Rimasero per qualche attimo tutti immobili, in attesa.
Ma visto che la tensione era quasi più palpabile della
nebbia,
uno dei sottoposti di Okita non si trattenne dal richiamarlo.
“Vicecomandante, stia attento!”
“Ci penso io, voi non intervenite. Per nessun
motivo!”
Okita aveva cercato di non mostrare nessun segno di disagio, ma Gintoki
aveva visto il bagliore di dolore che per un attimo aveva attraversato
gli occhi del ragazzo.
“Ah, davvero? Vicecomandante?! Allora il tuo sogno si
è
finalmente realizzato?!” chiese con un'allegria che non
provava
realmente. Per Hijikata, quel fendente diretto alla gola doveva essere
stato fatale.
“Eh, già. Forse dovrei ringraziarti..!”
rispose Okita con lo stesso, falso,
tono leggero.
“Forse...” Gintoki vide la mano destra di Okita
contrarsi in uno spasmo.
“Ma forse no!”
Ed eccolo che attaccava.
Gintoki parò il primo colpo con difficoltà.
Stringendo i denti, riuscì a fatica a respingere Okita, che
però non perse un secondo a balzargli addosso di nuovo.
Cominciarono a scambiarsi colpi su colpi, in una successione
incredibilmente veloce.
Era la prima volta che combattevano sul serio, e solo in quel momento
Gin capì come mai tutti considerassero quel ragazzino l'uomo
più pericoloso della Shinsengumi.
Non era per il fatto che non aveva scrupoli, o perché era il
Principe del pianeta Sadico.
No.
Okita era forte.
Molto più forte di qualunque umano Gintoki avesse mai
affrontato.
E non si trattava di mera forza fisica, in quella erano bene o male
alla pari.
Okita era svelto come un gatto, e come un felino capace di artigliarti
nella maniera più dolorosa e inaspettata possibile.
Balzava da un lato all'altro con estrema facilità,
adattandosi a tutti gli schemi d'attacco che Gintoki improvvisava.
E in più sapeva dannatamente bene come maneggiare la spada.
Più volte utilizzava colpi ad una mano sola, e lo stesso
riusciva a mettere in difficoltà le parate di Gintoki.
Il quale si trovò costretto a far ricorso a Shiroyasha.
Non avrebbe voluto coinvolgere anche Okita, ma il ragazzino lo stava
ostacolando. E il solo modo per aprirsi un varco fino ai Tendoshu era
togliere di mezzo il neo-Vicecomandante.
Abbandonò tutte le insicurezze. Abbandonò il suo
cuore: lo chiuse in fondo al buco nero dell'odio e del dolore.
Si lasciò andare al puro istinto: quello del guerriero,
quello
del Demone che aveva tinto di sangue tutti gli innumerevoli campi di
battaglia su cui aveva messo piede.
Scartò di lato, all'improvviso, colpendo con un calcio il
fianco scoperto di Okita.
Il ragazzo accusò il colpo: gli sentì un singulto
mozzarglisi in gola.
E prima che potesse rimettersi in equilibrio, Gintoki era
già
partito con la stoccata definitiva. Un affondo e anche per Okita
sarebbe sceso il sipario.
Ma Sogo si dimostrò un avversario ben più ostico
del previsto.
All'ultimo istante riuscì a deviare il colpo quel tanto che
bastava perché la spada non gli spaccasse il cuore.
Trattenne a stento un urlo di dolore quando la lama gli
trapassò
la spalla. Sentì chiaramente il sonoro schiocco della
clavicola
che si frantumava.
Gintoki attese un attimo di troppo per estrarre la lama. Prima che
potesse colpire di nuovo, Okita gli aveva afferrato un braccio,
impedendogli di allontanarsi.
“Ehi, amico...ma che cosa stai facendo?!”
balbettò.
Gintoki lo fissò, cercando di rimanere impassibile.
Quel ragazzino aveva una lama conficcata nella spalla, ma ancora si
stava rivolgendo al suo assalitore con lo stesso tono scanzonato con
cui di solito gli parlava.
“Dov'è finito il tuo bushido?”
La maschera d'impassibilità di Gintoki si incrinò.
“Cosa..?”
“Tu...non hai...sempre combattuto...per proteggere...gli
altri?!”
Gin serrò le labbra.
Come osava..?
“Mi hanno portato via tutto quello che avevo da
proteggere!” soffiò, irato come non mai.
Rigirò la lama della ferita.
Sogo sussultò, gemendo.
Tremava per il dolore, ma lo stesso non aveva ancora lasciato andare il
braccio di Gintoki.
“Perché...perché sei qui..?”
Gintoki lo fissò, perplesso.
Era ferito, perdeva sangue, e ancora stava lì a parlare.
Perché?
“Perché sono qui? Ovvio, mi pare.
Vendetta.”
Okita rise, anche se questo gli provocò altri dolorosi
spasmi.
“Vendetta per loro...o
per te?”
“Cosa?”
“Per che cosa ti stai vendicando? Per calmare gli spiriti dei
tuoi amici...o solo per la tua sete di sangue?”
Gintoki si irrigidì, furioso. Non disse nulla.
Ma Okita continuava a parlare, incurante della debolezza che lo stava
vincendo.
“I samurai comunicano meglio con la spada che con le parole,
giusto?! Beh, quello che io ho capito combattendo contro di te oggi
è che tu stai voltando le spalle a tutto quello in cui
dicevi di
credere. Vuoi combattere solo per placare l'odio che ti rode
dentro!”
“E anche se fosse?” chiese Gintoki, lentamente.
“Verrai sconfitto.”
La mano di Gin che reggeva la spada tremò d'improvviso, e
questo provocò un'altra fitta di dolore ad Okita.
Il ragazzo annaspò sotto di lui, ma trovò di
nuovo la forza per parlare ancora.
“Verrai....verrai sconfitto da te stesso...potrai anche
uscirne
vivo dallo scontro con i Tendoshu...ma di Sakata non rimarrà
più molto...”
La presa sul suo braccio si stava facendo sempre più debole.
Gli occhi gli si stavano chiudendo.
“Spero...spero davvero...di non diventare uno...spirito
errante...non sopporterei...l'eternità con...con la
cinesina...”
Gintoki estrasse con un gesto secco la spada dalla spalla di Okita. Il
ragazzo gemette di dolore, ma prima che il sangue potesse prendere a
zampillare con ferocia, Gin premette con forza la ferita, bloccando
come poteva l'emorragia.
“Hijikata gongolerebbe come un matto a rivederti
così presto...” mormorò.
Gintoki si volse per chiamare a gran voce i sottoposti di Okita.
“Ehi voi! Se non volete cambiare di nuovo Vicecomandante
è meglio che lo portiate subito all'ospedale!”
Gli uomini che per ordine di Okita erano rimasti immobili fino a quel
momento, si mossero istantaneamente per soccorrere il loro capo. Uno di
loro sostituì Gintoki nel tenere premuta la ferita, e il
samurai
indietreggiò per allontanarsi.
“Ehi, tu! Dove credi di andare?!”
Uno di loro, decisamente più solerte degli altri, si era
voltato per fronteggiare Gin.
Ma prima che uno dei due potesse fare una sola mossa, Okita, con voce
quanto mai debole, ordinò al suo uomo di non intervenire.
Questi lo guardò come se il ragazzo fosse ammattito, ma
Okita era ancora abbastanza lucido per impartire ordini severi.
“Ma...Vicecomandante!”
“Mi assumo io tutte le responsabilità..!”
Gintoki lo fissò negli occhi ancora un attimo.
Gli fece un breve cenno con il capo, prima di voltarsi e correre verso
il suo obiettivo.
Come era stato stupido!
Stava davvero per fare una stupidaggine colossale.
Aveva sempre disprezzato quelli come Takasugi, quelli che combattevano
solo per il piacere di combattere. E lui aveva rischiato di fare la
stessa cosa.
Okita aveva ragione. Aveva sempre combattuto per difendere qualcuno,
per degli ideali, per dei nobili motivi.
Quella era la sua strada, la sua ragione di vita. Il suo bushido.
E se ne era quasi dimenticato.
A causa della sua cieca stupidità aveva rischiato di far
rimanere per sempre Shinpachi e Kagura degli spiriti erranti. Essere
inquieti, impossibilitati perfino ad avere il meritato riposo della
morte.
Doveva combattere per loro.
Per l'ultima volta, doveva proteggerli.
Il cuore di Gintoki prese a pompare con maggiore velocità.
Non sapeva per quale motivo, ma ora era di nuovo galvanizzato.
Come lo era sempre nelle battaglie per lui più importanti.
Come doveva esserlo anche in quell'occasione.
Avrebbe combattuto con la veste e la forza di Shiroyasha, ma il cuore e
la mente era di nuovo suoi.
Per proteggere per l'ultima volta quello che aveva di più
caro al mondo, era pronto.
Si fece largo tra la folla, impiegati e gente comune.
La gente strepitava impazzita, quando vedeva quella figura spettrale
che correva come un diavolo per i corridoi del più
importante
palazzo di Edo.
Atterrò molto guardie, nel farsi strada. Ma per quanto
poteva,
evitò di colpirli più duramente del necessario.
Cercando di ricordare le indicazioni che gli aveva lasciato Zura,
arrivò infine nell'ala ovest del tredicesimo piano.
Corse per l'ultimo tratto, e sfondò l'unica porta di legno
scuro che gli si parò di fronte.
Shinu non diede segni di sorpresa, nel vederlo piombare come un tornado
nel suo ufficio.
Compostamente si alzò dalla scrivania, la mano sull'elsa
della spada, e fece due passi in direzione di Gintoki.
“Sai, non credevo che saresti riuscito ad arrivare fin qui.
Anche
se trovo il tuo gesto piuttosto stupido, visto che adesso non puoi
più fuggire!”
“Non è mia intenzione scappare.”
ghignò
Gintoki, mani sui fianchi e sorriso strafottente sul volto
“Sono
qui per ucciderti!”
Shinu rise come se avesse sentito la battuta più divertente
del mondo.
“E come pensi di fare? Se non ricordo male, l'altra volta non
sei riuscito a colpirmi nemmeno una volta!”
“Le cose cambiano!”
“La tua forza no. Morirai!”
“Sono pronto ad accettare la mia morte. Ma in ogni caso...io
vincerò!” Gintoki estrasse la spada, che
brillò di
sinistri bagliori d'acciaio “Chi osa toccare senza rispetto
ciò che mi appartiene, che siano dei pirati spaziali o lo
Shogun...o anche un meteorite:
io lo farò a pezzi!”
Un respiro lento, calmo. L'ultimo.
E poi un grido, pieno, dal fondo dei polmoni.
Un furioso grido di guerra che squarciò l'aria.
L'ultima battaglia era cominciata.
********************************************************************************
Angolo dell'Autrice:
Fiuuuu...stroncato sul più bello...ahahah!
Sono sinceramente molto soddisfatta di come è uscito questo
capitolo. Mi piace.
Solitamente sono critica - e parecchio - sul mio lavoro, ma questo
capitolo mi è piaciuto scriverlo e mi è piaciuto
come alla fine è uscito. Okita l'ho semplicemente adorato.
Anche se lo so che sono bastarda e ho comunque fatto morire Hijikata!
;_; Chiedo scusa al mondo.
Bah, vuol dire che sfoggerò di nuovo questo:
Ringrazio tantissimo chi continua a recensire questa storia.
Ragazze, mi fate davvero felice. E mi fate arrossire un sacco. Vi
adoro! Non so proprio come ringraziarvi!
- Sarhita:
Ok, tu mi vuoi far morire d'imbarazzo, l'ho capito. ^///^
Che altro posso aggiungere alla tua bellissima recensione? Credo nulla,
perché hai già detto tutto quello che era
possibile dire
sul capitolo scorso. Davvero. Hai sintetizzato perfettamente i
personaggi di Zura e di Otose. Fantastica!
[Un OAV così potrebbe far morire di crepacuore tutti i fan
di Gintama! Me compresa! XD]
- mizukage:
Bellissima la tua descrizione di Katsura. Bellissima.
E io adoro anche Otose. Anche se non lo sopporta, è molto,
molto
affezionata a Gintoki. *_* Sono così teneri uno con l'altra.
- Gintokina:
*gongola* Ecco
un'altra che mi vuole far morire d'imbarazzo. Grazie infinite per il
magnifico commento. Sul serio, non sai quanto io apprezzi. Grazie!
E Gintoki noi lo amiamo anche quando è in crisi. *_* Waaah!
- Naki_ssj:
Grazie mille anche
a te! Purtroppo giungi un pò tardi, la fiction è
praticamente alla sua conclusione. Ma spero che continuerai a leggere,
anche le mie altre e prossime storie! ^^ Al prossimo capitolo!
Fatemi sapere i vostri commenti, pareri o
critiche!
Grazie a chi vorrà lasciare una recensione e a quanti
leggeranno e basta.
Beat
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Capitolo 10 *** Capitolo X - Epilogo ***
Disclaimer: i personaggi non mi appartengono e questa
fiction
non è stata scritta a scopo di lucro.
La storia e il disegno invece sono miei.
********************************************************************************
Capitolo X
La reporter in televisione parlava a voce alta, per sovrastare il
concitato rumore che proveniva tutto attorno a lei. La gente strillava,
le sirene delle ambulanze e dei pompieri facevano un fracasso terribile.
“Ancora nessuna dichiarazione ufficiale da parte dello
Shogunato sull'attacco che il palazzo del governo ha subito questa
mattina presto. Indiscrezioni dicono che si sia trattato probabilmente
di un attacco di terroristi.
Testimoni dell'accaduto hanno confermato la presenza di samurai. Non si
hanno ancora stime precise sul numero delle vittime e dei feriti di
quest'attentato.
Per ora possiamo solo informare i telespettatori che Okita Sogo, il
nuovo Vicecomandante della Shinsengumi, è stato ricoverato
in seguito ad uno scontro con i terroristi. Le fonti lo danno come
grave, anche se fortunatamente non in più pericolo di vita.
E purtroppo dobbiamo confermare che anche uno dei nobili Tendoshu,
l'Onorevole Shinu, è stato brutalmente assassinato. I
particolari non sono stati ancora resi noti, ma a quanto pare sembra
che probabilmente era lui la vittima designata di quest'attacco.
Nessuna novità invece riguardo l'identità degli
assalitori. Voci dicono che si tratti del movimento Joi, ma molti
testimoni affermano di aver visto un solo samurai compiere questo
attentato. Naturalmente vi terremo informati riguardo ogni...oh!
Gentili telespettatori, dalla regia mi informano che è
disponibile un video con delle immagini dell'assalitore. Con un po' di
pazienza... Dalla regia mi danno qualche problema tecnico. Comunque sia
questo misterioso samurai si sarebbe già guadagnato un
soprannome dalla folla. Pare che chiunque sia rimasto in qualche modo
coinvolto nella faccenda non abbia dubbi che il nome
“Akayasha” sia più che indicato per
questa persona, che nonostante tutto è riuscita a sfuggire
alla autorità. Ah, ci siamo, ecco a voi le immagini
esclusive dell'att...”
Otose spense il televisore.
La sigaretta che aveva cominciato a fumare si era consumata da sola, da
tanto lei era rimasta presa dal servizio del telegiornale.
Non era nemmeno mezzogiorno e già in tutta Edo si sapeva
quello che era successo al palazzo dello Shogunato. E in televisione
non si parlava d'altro.
Aveva seguito tutti i risvolti della storia, ma non aveva retto alla
vista di quelle immagini.
Era terribilmente sollevata nel sentire che Gintoki se l'era cavata
anche quella volta. Ma il suo vecchio cuore non poteva sopportare di
vedere quelle immagini.
Già quel nomignolo, Akayasha, non le aveva lasciato
intendere nulla di buono.
Demone Rosso.
Il vedere Gintoki coperto – totalmente coperto
– di
sangue era troppo.
Era stata lei l'ultima persona che l'aveva salutato, quella mattina. Si
era preparato a dovere, aveva lucidato l'armatura e la spada. I vestiti
immacolati erano di un bianco perfetto.
Il bianco doveva essere il suo
colore.
Non il rosso del sangue. Chissà poi se solo dei nemici o
anche suo!
“Signora Otose, tutto bene?”
Catherine le si era avvicinata, porgendole un bicchiere d'acqua.
Otose la ringraziò con un cenno del capo, e bevve lentamente.
“Otose...”
“Sto bene Catherine, non ti preoccupare.”
“Forse dovresti lasciare perdere. Non ti fa bene alla tua
età ascoltare certe cose.”
“Ah, figurati. Mi avrebbe fatto stare peggio non sapere
niente.”
Otose sospirò, imitata anche da Catherine.
La vecchia si accese una nuova sigaretta, visto che la precedente si
era consumata senza che potesse darne se non un paio di tiri.
In lontananza si sentì la sirena di un'ambulanza.
“Otose?” domandò dopo un po' Catherine.
“Che vuoi?”
“Che succederà adesso a Sakata?”
Otose prese una lunga boccata di fumo, e la soffiò fuori
lentamente.
“Non lo so, Catherine, non lo so. Spero che riesca a lasciare
Edo senza farsi scoprire. Poi il resto dipende solo da lui. Per ora
Gintoki non è che uno dei tanti disperati che hanno perso
tutto, uno di quelli che vagano senza meta. Ha tagliato tutti i ponti
che gli erano rimasti. Spero davvero che presto riesca di nuovo a
trovare qualcosa per cui vale la pena di vivere. Sarà
incapace di scorgere un futuro finché nel suo cuore non
aleggerà altro che il dolore di un passato
indelebile.”
*°*°*°*°*
Un passo dopo l'altro.
Sempre avanti, finché le gambe lo sorreggono.
Il crepuscolo era ormai vicino ma Gintoki continuava a camminare.
Sempre più lentamente, perché le forze stavano
cominciando a scemare.
La spada al fianco gli pesava.
Le vesti incrostate di sangue lo infastidivano.
Eppure non aveva intenzione di sbarazzarsene.
In quel momento non possedeva null'altro.
Un passo dopo l'altro.
Passò accanto un piccolo villaggio di contadini. A quell'ora
probabilmente tutte le famiglie erano serenamente attorno al tavolo per
la cena.
A pensare al cibo il suo stomaco fece un buffo rumore.
Gintoki rise senza motivo e riprese a camminare.
Il buio sempre più intenso alla fine gli impedì
di vedere oltre.
Il ragazzo sospirò lentamente, come se l'aria faticasse ad
uscire dai polmoni. Ormai era rassegnato a passare la notte sotto il
primo albero disponibile.
Non troppo lontano ne scorse uno molto alto.
Con le ultime energie si avvicinò.
Ironia del destino, quell'albero che aveva adocchiato si trovava
proprio al centro di un cimitero diroccato. Probabilmente dove i
contadini del villaggio vicino seppellivano i loro morti.
Gintoki sbuffò al destino che lo ha condotto di nuovo in un
luogo così poco ameno.
E decisamente poco invitante.
Si lasciò infine scivolare lungo il tronco dell'albero.
Per riposare
andrà più che bene.
L'odore del sangue rappreso lo infastidiva, ma non ci poteva fare
niente.
Anche volendo, ci sarebbero volute delle ore a cercare di farlo
sparire. E anche mettendoci tutto il suo impegno, probabilmente la
veste non sarebbe nemmeno più tornata pulita come un tempo.
Pazienza.
Lenta, scende
la nebbia della sera.
Un velo argentato, leggero, che copre tutto.
Un'ala protettiva che dolcemente sfiora le lapidi del
cimitero.
Le sue voluttuose spire nascondono e proteggono.
Il cuore finalmente ha smesso di battere all'impazzata.
Per ora non si
può fare altro che dormire.
********************************************************************************
Angolo dell'Autrice:
Finita.
Con questo chiudo definitivamente la storia.
Forse questo capitolo vi avrà un pò deluso, ma
è già da un pò che ci lavoro e penso
che la conclusione non poteva essere altro che questa. Non serviva
descrivere il duello. Non servivano parole di troppo.
Perché Gintoki ha perso tutto e al momento nussuna parola di
conforto sarebbe adeguata.
Come sempre, ecco qui le risposte alle recensioni:
- mizukage:
Grazie mille per lo splendido commento! Sono davvero felice che ti sia
piaciuto. La parte della nebbia in effetti ci ho messo un pò
a scriverla, perché volevo renderla davvero al meglio. Sono
contenta che l'abbia apprezzata così tanto! Grazie!
E grazie per aver continuato a seguire questa storia.
- Sarhita:
Grazie mille per il commento! Come sempre fantastico! Si, anche io
penso che Okita sia molto di più di un ragazzino sadico. E
sì, perfino lui è affezionato ad Hijikata. Non lo
sopporta, ma gli vuole davvero bene.
Ti ringrazio infinitamente per i bellissimi commenti che mi hai
lasciato per tutta la storia. Grazie!
- Sayoko_Hattori:
Guarda, in relatà quell'userbar l'ho piazzata lì
apposta per allentare un pò la tensione, visto che sapevo
benissimo che il capitolo scorso non era certo dei più
leggeri. Ah, grazie per la correzione. In effetti la rilegatura sta
proprio sulla "K" e riuscivo a leggere solo "Azumi". Grazie mille per
avermi seguita fino alla fine, anche se è stato impegnativo!
- Gintokina:
Manca lo scontro, spero che la cosa non ti abbia deluso troppo. In
fondo c'è stato quello con Okita, ho messo lì
tutto lo splatter e la violenza che serviva. Mai esagerare. In ogni
caso, grazie mille per i complimenti e per tutte le recensioni che hai
lasciato durante la storia. Grazie di cuore!
- _u_z_u_:
Toh, è vero, è il compleanno di Gintoki. Mi sa
che non gli ho fatto un bel regalo di compleanno, proprio per niente.
Vabbé.
Grazie mille per il commento!
Ringrazio sentitamente
tutti quelli che hanno letto, che hanno commentato, che hanno seguito
questa storia.
Grazie e tutti!
Beat
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