Tremendo il rimbombare di un cuore martellante

di beat
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Capitolo I ***
Capitolo 2: *** Capitolo II ***
Capitolo 3: *** Capitolo III ***
Capitolo 4: *** Capitolo IV ***
Capitolo 5: *** Capitolo V ***
Capitolo 6: *** Capitolo VI ***
Capitolo 7: *** Capitolo VII ***
Capitolo 8: *** Capitolo VIII ***
Capitolo 9: *** Capitolo IX ***
Capitolo 10: *** Capitolo X - Epilogo ***



Capitolo 1
*** Capitolo I ***



Disclaimer: i personaggi non mi appartengono e questa fiction non è stata scritta a scopo di lucro.

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Autore: beat
Titolo
Tremendo il rimbombare di un cuore martellante
Personaggi: Gintoki, Un po' Tutti
Genere: Generale, Drammatico, Azione, (Comico e Introspettivo a tratti)
Rating: Giallo/Arancione
Avvertimenti: Nessuno


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Gintoki corse più veloce che poteva lungo le affollate strade di Edo.
Si scontrò più volte contro la gente, scansando di malagrazia tutti quelli che avevano la sfortuna di incrociare il suo percorso.
Continuò a correre, senza mai fermarsi, lasciandosi dietro tutte le imprecazioni e le maledizioni che gli venivano lanciate. Non aveva tempo né voglia di stare ad ascoltare nessuno.
Doveva fare in fretta, non aveva quasi più tempo.
Mancavano pochi minuti.
Solo qualche altro misero minuto e il suo mondo sarebbe crollato.
Ignorando le fitte di dolore alle gambe e il respiro affannato che gli bruciava i polmoni, Gin continuò a correre.
Mancavano pochi minuti e l'obiettivo era ancora lontano.
Doveva continuare a correre.
Doveva riuscire ad arrivare in tempo.
Doveva in tutti i modi salvarli.



Tremendo il rimbombare di un cuore martellante



Capitolo I

“Kagura, si può sapere perché diavolo devi esagerare così ogni volta?”

“Io non esagero mai!”

“Certo, come no! Infatti è assolutamente normale far saltare in aria metà di un palazzo solo perché ne avevi voglia!”

“Loro mi hanno offeso!”

“E ti sembra un motivazione valida per scatenare tutto quel putiferio?!”

Shinpachi aveva urlato l'ultima frase, ma come era prevedibile, Kagura non lo stava minimamente ascoltando. Ogni volta che Shin faceva il moralista, era come se la ragazzina scollegasse le orecchie dal cervello, e diventava immediatamente insensibile a tutte le recriminazioni che il compagno le faceva.

Shinpachi strillò dal nervosismo.
Provò in qualche modo a convincere Gintoki a dargli man forte, ma anche il ragazzo più grande non sembrava particolarmente preso da quei discorsi.

“Shinpachi, meglio se ti dai una calmata! Ti farai venire un ulcera di questo passo. E ti cadranno anche tutti i capelli!”

“Ma che capelli e capelli! Voi mi farete venire un esaurimento nervoso, altro che ulcera!”

“Forse una vacanza....”

Shinpachi strillò di nuovo come una gallina e per di più tirò un pugno a Gin, centrandogli perfettamente il naso.

“Ma sei compledamente uscido di desda?!” si lamentò Gin, tenendosi il naso.

“Non vi sopporto quando fate così! Ma non vi rendete conto di tutti i casini che combinate ogni maledettissima volta?”

Gintoki smise di lamentarsi e fissò gli occhi in quelli di Shinpachi.
Sapeva bene che cosa preoccupava il ragazzino, ma lo stesso non riusciva mai a prendere troppo seriamente tutti i suoi – superflui – avvertimenti. Sapeva bene che Shin era un ragazzo con la testa sulle spalle, e doveva ammettere che in più di un'occasione aveva lasciato a lui il ruolo della persona saggia del gruppo: quella che si preoccupa degli altri, che ricorda a tutti quello che è giusto e quello che è decisamente sbagliato.
Ultimamente però gli aveva lasciato questo gravoso compito un po' troppo spesso.
E nelle ultime settimane non aveva fatto poi molto per alleggerire il carico di tensione che aleggiava sopra Shinpachi.
Controllando che il naso avesse smesso di sanguinare, Gin si rialzò da terra – dove era finito per il pungo di Shin – e si avvicinò all'amico. Gli mise un mano su di una spalla.

“Oggi vi porto fuori a cena. Offro io!”

Immediatamente Kagura aveva preso a saltellare dalla felicità, già pregustando tutte le leccornie che avrebbe potuto mangiare.
Shinpachi invece non aveva in alcun modo commentato, e anzi non aveva distolto lo sguardo da Gintoki.
Sapeva bene che il loro datore di lavoro cercava spesso di distrarli o rabbonirli – offrendo loro del cibo, come se questa fosse la soluzione universale a tutti i loro problemi – ma in questa occasione Shin era quasi sicuro che con quel gesto Gin stesse cercando di dimostrare anche qualcos'altro. Poteva infatti vedere in fondo ai suoi occhi da pesce lesso un luce particolare, quella che di solito animava il suo sguardo quando parlava di onore e di amici.
Shin gli lanciò un'occhiata vagamente offesa, ma in fondo sapeva che Gintoki stava cercando di scusarsi per tutti i problemi che gli aveva causato.

“D'accordo, ma pretendo di mangiare anche della carne stasera!”



*****


I tre della Yorozuya erano seduti ad un tavolo in una vecchia e piuttosto malandata trattoria nel cuore di Kabukicho. Perché comunque, non potevano permettersi molto di meglio!
Kagura era alla milionesima portata, alle prese con una ciotola gigante di ramen, mentre gli altri due si erano quasi accasciati sulle proprie sedie, visto che avevano davvero mangiato fino a scoppiare. Certo, poi Gintoki si sarebbe dovuto accontentare di alghe sottaceto e natto – rabbrividì al solo pensiero – per le prossime due settimane e mezzo, ma in fondo ne valeva la pena.

Avevano rischiato tutti i tre di morire quella stessa mattina: una cena con i fiocchi era quanto meno d'obbligo.
Sì, perché con la loro solita botta di fortuna si erano trovato coinvolti in un problema di dimensioni abissali.
Come al solito tutto era iniziato con un apparentemente normale incarico affidatogli da un personaggio che con il senno di poi era davvero sospetto. Ma si sa, il lavoro è lavoro, e loro avevano l'obbligo morale di accettare qualsiasi incarico.
Quello che di certo non si erano aspettati erano state tutte le complicazioni che ne erano seguite: una battaglia mortale con dei ninja capeggiati da Sacchan; una battaglia con gentaglia del Bakufu; uno scontro all'ultimo sangue con uno spadaccino Amanto decisamente temibile; l'improvvisa comparsa di Zura che lo aveva – Gin non riusciva ancora a raccapezzarsi del come – coinvolto in qualche sua strana e pericolosa attività terroristica; e per concludere in bellezza avevano anche dovuto esibirsi in una rocambolesca fuga dalla Shinsengumi, ben decisa ad arrestarli in quanto complici di non si sapeva bene quale delle varie fazioni in cui si erano imbattuti quel giorno.
Decisamente niente male per una normale giornata feriale!

Si, forse Gin capiva come mai Shinpachi era così stressato in quei giorni. In effetti la giornata appena trascorsa sarebbe bastata a stendere chiunque, e non si meravigliava di come il povero ragazzo avesse dato fuori di matto quando Kagura – infuriata perché uno dei tanti avversari l'aveva presa in giro – gli si era lanciata come un carro armato, pronta a far fuori tutti i nemici e decisa a distruggere tutto quello che le si parava davanti. Proprio un bel macello ne era uscito!

“Buono questo ramen!”

L'esclamazione di Kagura distrasse Gin dai suoi pensieri.

“Hai finalmente finito?” domandò, tra il seccato e il divertito Gintoki.

“Si, penso di si. Anche se ci starebbe bene un dolcetto!”

“Eh no!” esclamò Gin, trattenendo Kagura che si era già allungata per attirare l'attenzione del cameriere “Lo sai che io non posso mangiare dolci fino a martedì!”

“E che c'entra? Io posso mangiare dolci, oggi!”

“E non ti sembra crudele mangiare dolci davanti a uno che non può?”

Kagura lo guardò assorta per qualche secondo.
Gin sapeva che cosa stava passando per quella piccola testolina rossa.

“N-”

“Dai Kagura!” la interruppe Shinpachi, sorridendo bonariamente “Visto che ci offre la cena potresti essere gentile con lui, almeno questa volta..!”

Kagura guardò prima Gintoki poi Shin, per poi di nuovo fissare Gin.
Sospirò, come se stesse concedendo un grande onore.

“E va bene! Ma solo per questa volta!”

Shinpachi sorrise alla sua buffa espressione di superiorità, e si alzò da tavola.
Venne imitato anche dagli altri due e, dopo che Gin ebbe pianto un sacco nel saldare il conto, i tre si diressero all'uscita.

“Che bella mangiata! Grazie testa riccia!”

“Se...se...”

Shinpachi scoppiò a ridere alla vista dell'espressione sconsolata di Gintoki, e gli batté una mano sulla spalla.

“Dai, poteva andarti peggio! Non ha nemmeno chiesto il dolce!”

Gintoki lo guardò storto, ma si limitò a sbuffare. In fondo era stata una sua idea, per cui non poteva nemmeno lamentarsi più di tanto.
I tre camminarono in silenzio per qualche minuto, finché Gin non si fermò, all'incrocio di un vicolo scuro.

“Gin?”

“Voi tornate pure a casa, ragazzi. Io ho ancora una faccenda da sbrigare.”

“Faccenda? È così che ora tu chiama le tue scappatelle?”

Shin arrossì al posto di Kagura, e anche Gintoki la fissò, un po' preoccupato.

“Ma non ti vergogni proprio?!”

“Beh? Che ho detto io di male?”

“Lasciamo perdere...”

“Quindi tu va a scappatellare, giusto?”

“Kagura! Smettila! Non sta bene che una ragazzina parli di certe cose!” la rimproverò Shinpachi, sempre più rosso.

Gin ridacchiò, vedendolo così agitato.

“Tranquilli. Devo solo scambiare due paroline che il nostro caro Zura. Mi deve delle scuse per il casino in cui ci ha messo oggi!”

Shin e Kagura annuirono, assorti.
In effetti la comparsa in scena anche di Katsura aveva complicato ancor di più le cose quella mattina. E per di più una volta calmato tutto il pandemonio, il ragazzo si era dileguato nel nulla, senza dir nulla a nessuno.

“Va bene. Allora salutalo anche da parte nostra!” dichiarò alla fine Shinpachi, prendendo per un braccio Kagura, che sembrava più che intenzionata a seguire Gin.

Il ragazzo occhialuto immaginava invece che Gin volesse parlargli a quattrocchi.
Salutò con un cenno del capo Gintoki e lui e Kagura si diressero verso casa.

“Dai, visto che è tardi resto a dormire anche io alla Yorozuya” lo sentì dire mentre di allontanavano.

“Non è che tu ci provi con me, vero?!”

“Ma ti sembra?!”

Gin rimase a guardarli ancora qualche momento, sorridendo.
Poi imboccò il vicolo laterale e sparì nel buio.





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Angolo dell'Autrice:

Eccomi qui di ritorno con una nuova storia su Gintama.
E di nuovo una long-fiction, che spero vi possa tenere compagnia per un pò di capitoli. ^^
Purtroppo, però, questa volta ho deciso di seguire la mia vena sadica, per cui non aspettatevi troppe risate nei prossimi capitoli.
Si, lo so che sono l'autrice de "il primo capitolo non c'entra mai un ca...volo con il resto della storia"...ma abbiate pazienza! ^^"
Dal secondo capitolo capirete che piega prenderà la storia...vi ho anche messo un assaggio in testa alla fiction.
Spero di cuore che questo mio esperimento vi possa piacere!


Ah, dedicata a Gintokina, ballerinaclassica e Sayoko_ Hattori, che hanno così simpaticamente commentato le mie due shot:  Ombrello e È pericoloso per una spia cercare di attirare l'attenzione degli altri
Grazie mille, davvero!
Mi ha fatto un sacco piacere leggere i vostri commenti! ^o^



Fatemi sapere i vostri commenti, pareri o critiche!

Grazie a chi vorrà lasciare una recensione e a quanti leggeranno e basta.

Beat




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Capitolo 2
*** Capitolo II ***



Disclaimer: i personaggi non mi appartengono e questa fiction non è stata scritta a scopo di lucro.

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Capitolo II


“Qual buon vento, Gintoki. Come mai da queste parti?”

Katsura non aveva nemmeno avuto il tempo di finire la frase che si era trovato in aria, sollevato di peso da Gintoki, che non ci pensò due secondi a lanciarlo contro la prima parete disponibile.
Con tutta la classe e la calma che lo contraddistinguevano, Katsura si rialzò da terra, ricomponendosi e spolverandosi gli abiti, come se nulla fosse successo.

“Devo dedurne” disse, schiarendosi la voce “Che tu ce l'abbia ancora con me per oggi?”

Gintoki si mise a sedere per terra, gambe incrociate, fissando lo sguardo adirato sul viso dell'amico.

“Certo che ce l'ho con te, dannatissimo Zura! Si può sapere perché devi sempre coinvolgermi nelle tue assurde missioni?!”

Zura prese tempo, sorseggiando una tazza di the.

“E non mi ignorare! Insomma! Lo sai benissimo che non voglio avere niente a che fare con le tue attività!”

Katsura finì di bere il suo the, aspettando prima di parlare che Gintoki sbollisse.
Alla fine posò la tazza per terra e si rivolse all'amico.

“Ti assicuro che non avevo intenzione di coinvolgerti. Solo che ci siamo trovati in un'imboscata della Shinsengumi, e in qualche modo dovevamo pur liberarci!”

“Certo! Ovvio! Facendo inseguire noi!”

“Suvvia, Gintoki. Lo sappiamo bene entrambi che la Shinsengumi non ce l'ha con voi! O almeno, non ufficialmente..non vi avrebbero mai fatto veramente del male!”

Gintoki gli lanciò uno sguardo truce, indicandosi il braccio sinistro, che presentava una vistosa fasciatura. Un piccolo ricordino dell'ennesimo scontro che aveva avuto con Hijikata.
Katsura tossicchiò, leggermente imbarazzato.

“Lì non è colpa mia se ti rendi antipatico alle persone sbagliate!”

“Ma è colpa tua se continui a mettermi sulla strada queste certe persone!”

“Se tu non fossi così sventato, il Vicecomandante della Shinsengumi non ce l'avrebbe con te!”

“Guarda che è per colpa tua che quella gentaglia ce l'ha con me!”

“Non è vero! I tuoi guai con la Shinsengumi mi vedono coinvolto meno della metà delle volte!”

“Sono troppe lo stesso! E di questo passo mi considereranno davvero un tuo alleato!”

“Il che non sarebbe certo un male per me!”

“Ma di sicuro lo è per me! Ho già abbastanza guai anche senza il tuo aiuto!”

I due si guardarono in cagnesco per qualche momento, poi entrambi distolsero lo sguardo.
Katsura si alzò, dirigendosi verso un piccolo mobile in fondo alla stanza.
Ritornò quasi subito, con una bottiglia di saké e due bicchieri.

“Stai cercando di farti perdonare?” chiese, mostrando un bel ghigno, Gin.

Katsura non rispose, si limitò a servigli il saké.
I due continuarono a bere in silenzio per un po'.
Solo dopo il quarto o quinto bicchierino, Gin cominciò a ridacchiare, e prima del settimo, entrambi se la stavano ridendo di gusto, raccontandosi vecchi aneddoti e insultandosi a vicenda scherzosamente.



*****


La mattina dopo Gintoki si svegliò su di un futon sconosciuto, e gli ci volle qualche minuto per ricordarsi dove esattamente era e come ci era finito.
Alla fine si rammentò della bevuta della sera prima con Zura e che, visto che alla fine era troppo ubriaco per tornare a casa, l'amico gli aveva gentilmente offerto un posto dove dormire lì nel suo rifugio.
Il ragazzo si stiracchiò per bene, sentendo tutte le ossa della schiena scricchiolare.
Alzandosi senza troppa agilità, uscì dalla stanza degli ospiti – in realtà uno sgabuzzino dove ci stava a malapena un futon – e si diresse verso quella che gli era stata indicata essere la cucina.
Dopo aver raccattato qualche cosa dal frigorifero, si diresse verso la stanza di Zura per salutarlo: doveva tornare a casa, altrimenti avrebbe fatto preoccupare Shinpachi e Kagura.

Gintoki si appostò davanti alla camera di Zura. Silenzioso come un ladro, si mise in ascolto. Dall'interno non provenivano rumore di sorta.
Gintoki sorrise malvagiamente: erano anni che provava a beccare Zura in situazioni poco consone al suo abituale contegno, ma per sua sfortuna non ci era mai riuscito.
Forse quella era la volta buona che lo beccava ancora mezzo addormentato o addirittura con i postumi della sbronza.
Ridacchiando malignamente tra sé e sé, il ragazzo praticamente irruppe nella stanza di Katsura.
Ma con sua somma delusione, lo trovò perfettamente vestito, seduto di fronte ad un tavolino basso ricoperto di carte, con lo sguardo perfettamente sveglio e vigile.

“Buongiorno Gintoki. Spero che tu abbia dormito bene.”

Gin grugnì un assenso e quello che sembrava vagamente un saluto. Dannazione!
Aveva fallito anche quella volta!
Si sedette pesantemente e terra, di fronte all'altro ragazzo.

“Qualcosa che non va, Gintoki?”

“Niente, niente!” sbuffò lui.

Se fosse stato un'altra persona, di sicuro ora Katsura si sarebbe messo a ridere alla vista dell'espressione marcatamente delusa dell'amico.
Ma lui aveva il suo contegno da mantenere, per cui si limitò a annuire con la testa.

“Almeno” cominciò Gintoki “Spero che tu abbia il buon gusto di non pensare nemmeno di coinvolgermi nelle tue assurde missioni per almeno un altro mese!”

“Farò del mio meglio..!”

“Sarà meglio per te!” borbottò Gintoki, alzandosi.

Accennò un saluto all'altro ragazzo e poi, dopo essersi rimesso gli stivali, si diresse verso la porta.
Aveva giusto poggiato la mano sulla maniglia quando la porta venne aperta – piuttosto violentemente – dall'altra parte.
Gin si ritrovò la porta stampata sulla faccia che prese a pulsare dolorosamente.

La persona, decisamente di fretta, che era appena entrata, quasi non si accorse del danno che aveva fatto, e senza prestare la minima attenzione a Gintoki, si era fiondato direttamente da Zura.

“Katsura! C'è un problema!”

“Calmati Yamada!”

“Un...problema..!”

“Yamada! Ho detto di calmarti! Che cos'è successo?” chiese, vagamente allarmato Katsura.

Fece sedere Yamada che, visto il fiato corto, doveva essere arrivato correndo come un dannato.

“Il Bakufu...un blitz...Yorozuya...!”

Gintoki, che se ne stava andando per non avere niente a che fare con i problemi dei Joi, sentendo l'ultima parola si immobilizzò.
Deglutì un paio di volte e anche se era voltato sentì gli occhi di Zura piantati sulla sua schiena.

“Yamada...spiegati meglio!” lo esortò Katsura, una leggera nota di preoccupazione a fargli tremare la voce.

Prendendo un paio di profondi respiri, Yamada raccontò.

“Le nostre spie hanno riferito che...i tizi del Bakufu di ieri...a quanto pare sono davvero dei pezzi grossi...questa volta non hanno voluto sentire scuse. Nessuna scusa, nessuna attenuante. Hanno obbligato Matsudaira(*) a tirare fuori tutte le informazioni che aveva su di noi, sui ninja...e anche sulla Yorozuya. Hanno scoperto che tu e Sakata avete spesso collaborato e hanno ordinato di...di...” e la voce gli morì in gola.

Katsura era allibito.
Proprio non pensava che-

“Che hanno ordinato?”

La voce di Gintoki pareva lontana, distaccata, eppure era ferma e decisa. Fin troppo dura.
Yamada deglutì di nuovo, cercando di farsi forza riprese a raccontare.

“Non sapendo dove trovare noi, hanno deciso di arrestare le uniche persone rintracciabili...”

“La Yorozuya...” completò Katsura.

Yamada annuì, ma non era ancora tutto.

“Soichiro è passato davanti alla loro sede questa mattina...era completamente devastata. Li hanno portati via a forza. È andato ad informarsi, e ha scoperto che li tengono alla sede della Shinsengumi... Vogliono...hanno deciso...” e di nuovo la voce gli morì in gola.

Scese un silenzio pesante nella stanza.
Era come se i tre presenti avessero smesso anche di respirare.
Ma Gin sentiva tremendo il rimbombare del suo cuore martellante, un frastuono che gli riempiva senza scampo le orecchie.

“...hanno deciso di giustiziarli. Oggi. A mezzogiorno.”

Lo sguardo di Katsura corse immediatamente all'orologio appese al muro dietro a lui.
Le 11,07.
E la caserma della Shinsengumi era dall'altra parte della città.

Katsura voltò di nuovo la testa, ma Gintoki era già sparito.
Impartendo rapidamente degli ordini a Yamada, il ragazzo si lanciò fuori di casa, cercando di raggiungere Gintoki.
Dovette correre al massimo delle sue possibilità per raggiungerlo: Gin sembrava avere il diavolo in corpo ed era già molto avanti.

“Gintoki!”

Katsura provò a chiamarlo, ma Gin non sembrava sentirlo.
Sforzandosi al massimo, riuscì a raggiungerlo e solo con fatica riuscì a farlo fermare, strattonandolo per un braccio.

“Gintoki! Che intenzioni hai?!”

“Che intenzioni credi che abbia?” gli urlò contro Gin, visibilmente furioso “Vado a salvarli!” e cercò di riprendere la sua corsa.

Katsura però non lasciò la presa e costrinse di nuovo il ragazzo a dargli retta.

“Non fare cose avventate. Non puoi sapere che ti aspetta una volta arrivato là e poi-” ma non finì la frase che si ritrovò in ginocchio. Il pugno di Gintoki era stato così fulmineo che non se ne era nemmeno accorto.

“Stai scherzando vero?!” gli occhi di Gin brillavano di rabbia “I miei amici stanno per morire e io dovrei preoccuparmi di quello che potrei incontrare laggiù?”

“Gintoki...cerca di calmarti...”

“No che non mi calmo! Devo andare a salvarli, non c'è nulla da discutere su questo!”

“Se fai cose avventate-” ma di nuovo Gintoki non gli lasciò finire la frase.

Lo colpì di nuovo e questa volta il colpo lo mandò davvero a terra.

“Mi stai facendo perdere tempo!”

A fatica, Zura si rialzò.

“Lascia...lasciami chiamare i miei uomini... Ti possiamo dare una mano!”

Il terzo pugno lo vide, ma lo stesso non riuscì ad evitarlo.
Gli occhi di Gintoki facevano davvero paura.
Erano anni che non gli vedeva quell'espressione.

“Lo sai che è colpa tua tutto questo casino, vero Katsura? Non voglio il tuo aiuto!”

“Ti serve una mano, Gintoki...”

“Non voglio il tuo aiuto!”

E questo ammutolì Katsura.
Non poteva più dire nulla.
Si limitò a rialzarsi da terra, sfilando dalla cintura il fodero della sua katana.
La soppesò solo un attimo, prima di lanciarla a Gintoki.
Il ragazzo la prese al volo, e senza una sola altra parole se ne andò.
Prese a correre più velocemente che poteva, lasciandosi alle spalle tutto quanto.




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(*)Matsudaira Katakuriko: Il capo di tutta la polizia di Edo, Shinsengumi compresa.

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Angolo dell'Autrice:

Chiedo umilmente perdono per le bastardate che sto facendo piovere addosso a Gitoki, nemmeno fosse un temporale..!
E, come prevederà chi mi conosce, la questione non finisce mica così.
Al prossimo capitolo! ^^"

Intanto ringrazio tutti quelli che hanno commentato il primo capitolo:

- Yumi Kasay: Grazie mille delle recensione. Spero di aver aggiornato abbastanza in fretta! Alla prossima! ^^

- Gintokina: Abbastanza sadica per ora? XD

- fede_the_artist: Grazie mille dei complimenti. Per le scene sanguinolente ti rimando al prossimo capitolo, ma non aggiungo altro per ora! XD

- ballerinaclassica: Visto che ancha Kagura ha un cuore?! XD D'altra parte lo sanno tutti che per Gintoki farebbe di tutto!... Beh, non proprio, ma di sicuro gli è un sacco affezionata! *_* Ah, tanto per avvertirti, la long GinKagura per ora ha solo il primo capitolo, e per ora l'ho messa un pò da parte. Comunque appena finisce questa ho intenzione di rimettermi a scriverla!^^

- Sarhita: Grazie mille dei complimenti e della recensione! Alla prossima, continua a seguirmi! ^^



Fatemi sapere i vostri commenti, pareri o critiche!

Grazie a chi vorrà lasciare una recensione e a quanti leggeranno e basta.

Beat




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Capitolo 3
*** Capitolo III ***



Disclaimer: i personaggi non mi appartengono e questa fiction non è stata scritta a scopo di lucro.

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Capitolo III

Gin corse più veloce che poteva lungo le affollate strade di Edo.
Si scontrò più volte contro la gente, scansando di malagrazia tutti quelli che avevano la sfortuna di incrociare il suo percorso.
Continuò a correre, senza mai fermarsi, lasciandosi dietro tutte le imprecazioni e le maledizioni che gli venivano lanciate. Non aveva tempo né voglia di stare ad ascoltare nessuno.
Doveva fare in fretta, non aveva quasi più tempo.
Mancavano pochi minuti.
Solo qualche altro misero minuto e il suo mondo sarebbe crollato.
Di nuovo avrebbe perso tutto quanto.
Ignorando le fitte di dolore alle gambe e il respiro affannato che gli bruciava i polmoni, Gin continuò a correre.
Mancavano pochi minuti e l'obiettivo era ancora lontano.
Doveva continuare a correre.
Doveva riuscire ad arrivare in tempo.
Doveva in tutti i modi salvarli.

Finalmente intravide in lontananza il benzinaio. La sede della Shinsengumi era proprio girato l'angolo.
Sforzandosi maggiormente, conscio che davvero mancava poco, accelerò ulteriormente.
E finalmente riuscì a guadagnare la via che aveva tanto anelato.
Ma appena ebbe girato l'angolo si bloccò. Sentì i muscoli delle gambe contrarsi paurosamente, mentre il cuore gli martellava sempre più frenetico contro il petto.
Davanti alla sede della Shinsengumi erano schierate almeno due dozzine di uomini. Più della metà erano sottoposti di Kondo, ma Gintoki non poté non notare che in mezzo alle divise blu ce n'erano anche alcune rosse: doveva senza dubbio trattarsi dei soldati della guardia personale dello Shogun. E lui sapeva bene che gente del genere non era mai usata per questioni di pubblico interesse. La questione era davvero più seria delle peggiori aspettative di Gin.

Non appena i soldati si resero conto che un samurai era arrivato – visibilmente trafelato – e con uno sguardo che non prometteva niente di buono, si misero in assetto da combattimento.
La mano di Gin corse automaticamente all'impugnatura della spada, e se non fosse stato per un improvviso grido di Kondo probabilmente non avrebbe aspettato un altro secondo prima di partire all'attacco.

“Fermi tutti! Nessuno si muova!”

“Comandante Kondo, gli ordini sono...”

“Sono io a capo di questa operazione, soldato. Se dico di aspettare, voi aspettate.”

E con incredibile calma si avvicinò a Gintoki. Dietro di lui, come delle fedeli ombre, lo seguivano a breve distanza anche Hijikata e Okita.
Gin rimase immobile, il respiro di nuovo sotto controllo. Ma la mano era ancora ferma, chiusa sull'elsa della katana.
Kondo non gli si avvicinò troppo, per tema che potesse agire avventatamente, ma lo stesso cercò di mettersi al di fuori della portata delle orecchie dei soldati che non erano suoi sottoposto.

“Sakata...” cominciò il Comandante.

“Non ho tempo!” tagliò corto Gintoki, la stretta della mano sempre più convulsa.

Fissava occhi negli occhi Kondo, ma lo stesso non gli sfuggì il lento movimento di Hijikata, che era andato anche lui ad afferrare il fodero della spada che teneva al fianco.

“Sakata, purtroppo non abbiamo potuto fare nulla per impedire...”

“Non voglio le vostre scuse!” sibilò il samurai. La stretta stava diventando spasmodica. Sentiva un bisogno quasi impellente di sguainare l'arma.

“Aspetta!” provò a convincerlo di nuovo Kondo “Lo so che non c'entrate nulla. Ma gli ordini sono questi. Se solo...” e qui si interruppe, come se fosse vagamente imbarazzato.

“Se solo...cosa?!”

Hijikata capì che il suo capo era in difficoltà, per cui si permise di parlare al posto suo.

“Se dai al Bakufu le informazioni che vogliono su Katsura, loro lasceranno andare i tuoi amici!”

Gintoki sgranò gli occhi, furioso.
Capiva l'imbarazzo di Kondo.
Stavano chiedendogli di salvare i suoi amici sacrificandone degli altri.
Volevano scherzare?!

“Avete intenzione di fermarmi? Fermarmi seriamente?!”

Kondo non capì immediatamente. Lui era troppo buono, cercava sempre di trovare il lato migliore delle cose e delle persone. Per cui non fu svelto come Okita o Hijikata nell'accorgersi del gesto fulmineo di Gintoki nell'estrarre la lama dal fodero.
Prendendo il Comandante per il colletto della divisa, Okita fece in modo che il primo fendente di Gintoki non lo colpisse in pieno petto. Il movimento li fece sbilanciare entrambi ma ormai Gintoki aveva ingaggiato battaglia con Hijikata. I due samurai fecero cozzare le lame, un clangore di metallo si spanse per tutto il piazzale. In una frazione di secondo quasi tutti i poliziotti e i soldati si erano precipitati a dare man forte al Vicecomandante.

E fu solo grazie a questo che Hijikata riuscì a resistere tanto a lungo.

La rabbia, la terribile furia che stava animando il corpo di Gintoki era qualcosa di assolutamente spaventoso. Chiunque avesse avuto un minimo di attitudine per la battaglia avrebbe capito ad una prima occhiata che il samurai che stavano affrontando non era nulla di comune. Già normalmente Gintoki non era uno spadaccino di poco conto, ma in questo frangente, con l'ira ad infiammargli ogni singolo muscolo, con la determinazione che gli teneva sveglia ogni singola terminazione nervosa, Gintoki Sakata era diventato un avversario al di sopra del livello di chiunque fosse in quel momento presente.

Aveva messo k.o. già numerosi spadaccini, e senza perdere di vista per un solo momento Hijikata ed Okita – i due avversari più pericolosi – cercava lentamente di farsi strada verso la Sede. Doveva aprirsi un varco a tutti i costi.
Con una mossa improvvisa saltò indietro, colpendo di sorpresa uno che gli stava arrivando alle spalle. Un piccolo pertugio si aprì tra la massa di assalitori, e Gin ne approfittò per defilarsi.
La mossa improvvisa prese di sorpresa quasi tutti i suoi avversarsi. Tranne Hijikata.

Il Vicecomandante non toglieva gli occhi di dosso da Sakata nemmeno per un momento. Quasi non sbatteva le palpebre, da tanto cercava di rimanere concentrato. Avevano combattuto tante di quelle volte che ormai sapeva che non ci si poteva distrarre nemmeno il tempo di un battito di ciglia. Per cui fu l'unico che intuì quello che Gintoki stava facendo, e con una mossa altrettanto rapida si disimpegnò dal resto della massa, andando all'inseguimento del samurai, che era quasi riuscito a guadagnare il portone della Sede.

Gintoki – i sensi tesi al massimo – percepì che c'era qualcuno che lo stava inseguendo.
Senza rallentare la sua corsa di voltò di scattò. Bastò un'occhiata per decidere.
Hijikata si accorse troppo tardi della mossa repentina dell'avversario.
Meno di un battito di ciglia.
Vide solo un lampo d'acciaio, un colpo di spada orizzontale.
Non avvertì il dolore bruciante della ferita.
Quello che attirò la sua attenzione furono gli occhi di Gintoki.
Gli aveva sempre visto quell'espressione da pesce lesso imbambolato. Ora invece quegli occhi brillavano di una luce terribile, fosca e tagliente quasi quanto la sua stessa spada. Lo colpì un particolare: i capelli argentati erano macchiati da rossi schizzi di sangue.
L'attimo in cui i loro sguardi si incrociarono fu infinitamente breve, ma lo stesso Hijikata riuscì a vedere chiaramente l'anima del samurai che aveva di fronte.
Non era più Sakata Gintoki.
Era tornato ad essere Shiroyasha, il Demone Bianco.


Gintoki aveva attaccato Hijikata, un colpo talmente veloce che sapeva il Vicecomandante non sarebbe mai stato in grado di fermare o evitare.
E infatti eccolo lì, mezzo secondo dopo, accasciato a terra con le mani premute sul collo, per cercare di fermare l'emorragia. Non gli dedicò più di un secondo della sua attenzione. Il caleidoscopico concerto di voci assunse improvvisamente un tono molto preoccupato. Non gli interessava sapere che cosa stavano urlando tutti quanti.
Aveva capito che molti si erano fermati a prestare soccorso ad Hijikata, per cui questo voleva dire che il numero dei suoi inseguitore doveva essere molto diminuito.

Riprendendo a correre come in precedenza, Gintoki si fece strada all'interno della sede della Shinsengumi. Per sua fortuna, con tutte le volte che lo avevano portato in caserma, ormai conosceva a menadito quel posto.
Sapeva dove erano le prigioni, ed era quasi certo che i soldati avessero portato Kagura e Shinpachi nel cortile interno, quello subito dietro le celle. Un posto brutto e nascosto, dove di solito venivano giustiziati i peggiori criminali.
I suoi passi di corsa risuonavano nel silenzio della caserma. I poliziotti erano quasi tutti fuori, e ormai Gintoki li aveva distanziati parecchio. Ma non rallentò. Non sapeva più che ora potesse essere, ma lo rassicurava il fatto che non aveva sentito urla o altri rumori preoccupanti.
Alla fine arrivò dove si era diretto.
Rallentando un poco per riprendere fiato, il ragazzo sfondò l'ultima porta che si contrapponeva tra lui e il cortile.
Ci si avventò addosso di peso, buttandola giù con un calcio.
Una volta atterrato, riprese l'equilibrio il più in fretta possibile e, spada in mano, si preparò ad affrontare i carcerieri.
La spada gli cadde di mano.
Non poté evitarlo: era come se i muscoli di tutto il corpo avessero improvvisamente subito una forte scossa elettrica.
Anche le gambe gli cedettero e Gin si trovò a terra, le ginocchia immerse nel fango rosso.

La terra era completamente impregnata di sangue.

Il respiro gli si mozzò in gola, ma anche se fosse stato in grado di respirare sapeva che avrebbe sentito solo il fetore della morte. Aveva imparato a conoscerlo bene in guerra ma mai, mai come in quel momento quell'odore gli aveva dato la nausea.
Sentì lo stomaco contrarsi violentemente e il sapore di bile in gola.
E non riusciva a distogliere lo sguardo da quello scempio.
I corpi dei suoi amici erano stati gettati per terra, scompostamente, come se fossero stati dei comuni sacchi della spazzatura. Non riusciva a togliere gli occhi dalla candida mano di Kagura, così grottescamente contratta in una forma rapace.
E non aveva il coraggio di alzare lo sguardo.
Non aveva il coraggio di guardare che cosa era stato infilzato su cui due pali infilati per terra.
Dovette fare violenza contro se stesso, Gintoki, per riuscire ad alzare il viso.

Sentì gli occhi spalancarsi all'inverosimile, e bruciare come non avevano mai fatto in tutta la sua vita.
Su quelle due maledette picche erano state infilzate le teste di Kagura e di Shinpachi.
Li avevano decapitati e avevano messo le loro teste su dei pali.
Li avevano uccisi e avevano gettato loro addosso la vergogna di una fine così disonorevole.

C'era silenzio attorno a lui. Era come se tutti i suoni di questo mondo si fossero improvvisamente attutiti. Il vociare dei suoi inseguitori era solo un brusio in lontananza; il rumore di Edo a mezzogiorno solo un monotono sottofondo.
Ma quella voce melliflua e crudele la sentì più che perfettamente.

“Sei arrivato tardi, samurai!”




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Angolo dell'Autrice:

Chiedo scusa a tutto il mondo.
Purtroppo è più forte di me.


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Risposta alle recensioni:

- Red Lotus: Benvenuta, o nuova lettrice! E grazie mille per la recensione e i complimenti! Spero solo che non mi abbandonerai dopo questo capitolo... ç_ç

- ballerinaclassica: ...accidenti agli errori di battitura! Grazie, non l'avevo visto! ^^" Che ne dici di come si sono sviluppati gli eventi?! ^^"

- fede_the_artist: Non so se questo capitolo è più bello del precedente...di sicuro è parecchio più drammatico! ç__ç Alla prossima!

- mizukage: Grazie della recensione. Sono contenta che i personaggi siano IC, è una cosa a cui tengo...anche se non so se da ora in avanti riuscirò a restare completamente fedele... ç__ç

- Gintokina: Ma dai! Povero Gin! Io sarò anche sadica con lui, ma tu non mi dovresti incitare! Povero, povero Gin!

- Sarhita: Grazie mille della recensione! Alla prossima! ^^"



Fatemi sapere i vostri commenti, pareri o critiche!

Grazie a chi vorrà lasciare una recensione e a quanti leggeranno e basta.

Beat




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Capitolo 4
*** Capitolo IV ***



Disclaimer: i personaggi non mi appartengono e questa fiction non è stata scritta a scopo di lucro.

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Capitolo IV


“Sei arrivato tardi, samurai!”

Con movimenti spezzati, Gin si voltò per vedere chi aveva parlato.
A qualche metro di distanza da lui si trovava un Amanto.
Non aveva idea di che razza fosse, visto che somigliava terribilmente ad un essere umano. A parte per il colorito verdastro della pelle.
L'unica cosa che sapeva era che quell'essere doveva essere un guerriero terribile. Lo capì alla prima occhiata: oltre alla spada dalla bizzarra foggia che portava al fianco, sotto quei vestiti di ricca fattura poteva scorgere muscoli tonici, allenati a combattere anche in quel presunto periodo di pace. Ma il segno più inequivocabile erano gli occhi. Non gli era capitato spesso di vedere quello sguardo, ma lo avrebbe potuto riconoscere tra milioni: quelli erano gli occhi di un uomo che non teme niente e nessuno al mondo, un guerriero che non paventa la morte, un essere che va contro tutte le leggi, divine e umane, sicuro di non temere alcuna conseguenza. Un uomo rapace, capace di piegare ai suoi voleri l'intero mondo.
E il fatto che indossasse la divisa dei Tendoshu(*) non lasciava molto spazio all'immaginazione sul fatto che quell'uomo poteva davvero fare tutto quello che gli pareva.

Con gesti misurati – infatti sentiva ancora le membra tremare – Gintoki raccolse da terra la spada che si era lasciato sfuggire di mano.
Sempre con movimenti lenti, si rimise in piedi, dando le spalle allo spettacolo pietoso che avrebbe avuto davanti agli occhi fino alla fine dei suoi giorni. Cosa che poteva avvenire quel giorno stesso, a ben pensarci. Si rivolse sprezzante all'uomo che gli era di fronte.

“Quindi era tutta una messa in scena, dunque? Non volevate informazioni su Katsura?” chiese Gintoki in un sibilo.

Il Tendoshu rise, una risata sguaiata che fece tremare di rabbia Gintoki.

“Ahahah! Siete degli sciocchi, tutti voi samurai. Con tutti i pianeti che ho visitato non ho mai incontrato della gentaglia più stupida!”

Gin si costrinse a rimanere immobile. L'avrebbe ammazzato, oh se l'avrebbe ammazzato. Ma al momento la sua rabbia voleva una spiegazione, per cui si costrinse a non agire d'istinto e rimase ad ascoltare l'uomo.

“Ovvio che vogliamo Katsura” continuò lui, senza abbandonare il suo tono ilare “E lo avrò!”

Gintoki abbozzò un sorriso.

“Piuttosto stupido uccidere gli ostaggi. Ora non hai più motivazioni per farmi parlare!”

L'Amanto continuò a sorridere, crudelmente.

“E tu mi avresti detto quello che volevo sapere? Avresti venduto uno dei tuoi compari per salvarne altri?”

Gin serrò la mandibola.
L'Amanto rise di nuovo nel vedere quell'espressione adirata sul volto del ragazzo.

“Proprio come pensavo. Il senso dell'onore di voi samurai non lo permetterebbe, vero? Quindi, visto che non mi avresti mai dato volontariamente le informazioni che voglio, non aveva più senso tenere in vita gli ostaggi. Non credi?”

Gin fremette di rabbia. Il corpo era scosso come se avesse i brividi.
L'Amanto rise di nuovo. L'ira di Gintoki lo divertiva immensamente.

“Come ho detto, voi samurai siete stupidi. E anche parecchio prevedibili. Non avresti mai abbandonato i tuoi compagni, e infatti ero certo che saresti venuto qui a salvarli. O almeno a provarci!” e rise di nuovo, quella risata disgustosa che faceva accapponare la pelle “Loro erano solo un'esca per te. Sei tu la mia vera esca. Con te qui Katsura verrà di persona a salvarti, o no? E allora, finalmente, potrò schiacciare tutto il movimento Joi!”

A quel punto Gintoki non ci vide più.
Con un balzo si gettò addosso all'Amanto che, nonostante la sorpresa, non si fece trovare completamente impreparato e sguainò a sua volta la spada. Era molto più alto di Gintoki e meglio piazzato, per cui riuscì a respingere l'attacco del samurai senza difficoltà.
Gin, cieco di rabbia, non si fece prendere dallo sconforto.
Quell'essere abominevole usava la gente per arrivare al suo scopo. Era il tipo di persona che non avrebbe mai potuto perdonare a prescindere. E il fatto che avesse schiacciato i suoi amici pur di ottenere quello che voleva lo faceva letteralmente ribollire della più funesta delle ire.
Gintoki attaccò, attaccò e attaccò ancora, senza badare alle ferite che gli erano state inferte, senza preoccuparsi di nulla se non di sconfiggere il suo avversario.
Dopo l'ennesimo attacco andato a vuoto, Gintoki fece un balzo indietro, per ripristinare una distanza di sicurezza. Doveva riprendere fiato, e pensare velocemente ad una strategia per riuscire a colpirlo efficacemente. I suoi colpi fino a quel momento non sembravano averlo preoccupato più di tanto.
Fu in quel momento, in cui stava cercando di riprendersi, che Gintoki si rese conto del rumore che prima aveva ignorato. Un fragore di passi di corsa: la Shinsengumi stava per raggiungerli. Imprecando tra sé e sé, cercò un modo per tagliare la corda. Purtroppo era andato a cacciarsi in un vicolo cieco: l'unica uscita era la porta che aveva sfondato per entrare, su cui in quel momento si stavano affacciando i poliziotti.
L'Amanto rise, vedendo l'espressione di sconforto sul volto di Gintoki.

“Arrenditi, samurai!”

Gintoki impugnò più saldamente la spada.
Sorrise appena, mettendosi in posizione di attacco.

“Mai.”

Non si era mai arreso, non lo avrebbe fatto nemmeno in quel momento.
Poteva essere disperato quanto voleva, ma non si sarebbe mai arreso.
Non gli importava di morire se questo voleva dire che non si sarebbe piegato.

“Che cosa succede qui?!” il grido di Kondo lo riscosse di colpo dai suoi pensieri.

Con la coda dell'occhio vide che il Comandante era arrivato insieme ai suoi uomini.
E che anche lui, pallido come un cencio, era rimasto sconvolto dallo spettacolo di morte che gli si era palesato davanti agli occhi in maniera così cruda.

“Signor Shinu! Che cosa significa tutto questo?!”

L'Amanto, il “signor Shinu”, lanciò un'occhiata infastidita all'indirizzo di Kondo.

“Non sono affari suoi Comandante. Faccia il suo lavoro e arresti quest'uomo, piuttosto!”

Ma invece di obbedire prontamente come avrebbe dovuto fare, Kondo rimase immobile, come se fosse incapace di muoversi.
Una piccola parte dei pensieri di Gintoki prese nota dello stupore di Kondo, e capì che il brutale assassinio di Shinpachi e di Kagura doveva essere stata un'idea del solo Shinu. Una parte del suo cervello aveva già registrato che il massacro era stato compiuto già da qualche ora, ma non avrebbe mai pensato che una persona – sia pure un Amanto – potesse essere così subdola e crudele.
Shinu doveva aver ucciso i due umani appena erano arrivati in caserma, mettendo Kondo e i suoi uomini di guardia fuori, in modo che non ci fosse nessun testimone, nessun parere contrario, nessuno a poterlo fermare.
La rabbia di Gintoki prese di nuovo a scorrergli nelle vene.

Partì di nuovo all'attacco, ben deciso a decapitare Shinu.
Ma proprio mentre si stava per muovere, l'onda d'urto di un'esplosione lo colpì in pieno, mandandolo a terra.
Una nuvola di polvere coprì la vista di tutti.
In tutto quel trambusto, Gintoki si sentì afferrare per un braccio. Reagì d'istinto e se non fosse stato per i suoi riflessi pronti, avrebbe di sicuro colpito Zura prima di riconoscerlo.

“Gintoki!”

“Che diavolo ci fai qui, Zura?!” chiese, furibondo nonostante la sorpresa.

I due si guardarono negli occhi per un attimo, coperti dalla nube che li nascondeva alla vista di tutti gli altri.
Katsura non poté evitare di vedere l'astio e il dolore che lo sguardo di Gintoki stava provando a nascondere.
Ormai non c'era più nulla da fare.
Shiroyasha era tornato.

“Perdonami.”

Fu tutto quello che riuscì a dire.
Non c'era tempo per le spiegazioni, e in ogni caso non sarebbero servite e niente. Era colpa sua quello che era successo agli amici di Gintoki, e sapeva più che bene che non sarebbe stato perdonato facilmente. Anzi, probabilmente non sarebbe mai stato perdonato. Ma lo stesso voleva far sapere a Gintoki che gli dispiaceva da morire tutto quello che era successo.
Gintoki distolse lo sguardo, e in fretta si rimise in piedi. Katsura, che si era inginocchiato per soccorrerlo, lo imitò.
La polvere stava cominciando a posarsi, e loro avevano pochi istanti per agire.

“Abbiamo buttato giù il muro: scappa da lì! Noi ti copriamo la fuga!”

Gintoki gli diede di nuovo un pugno in faccia. Piano questa volta.
Voleva solo che Zura capisse che non stava scherzando.

“Razza di idiota, è una trappola per te! Altro che coprire, sei tu quello che deve scappare!”

Perché Gintoki non avrebbe potuto sopportare di perdere un altro dei suoi amici.
Katsura capì, rinfoderò la spada e si voltò verso l'uscita.
Gin lo imitò, ma all'ultimo si bloccò.
Ebbe un attimo di esitazione, ma alla fine tornò indietro.

“Gintoki!” Zura si accorse del gesto dell'amico, e provò a trattenerlo.

“Tu va! Io arrivo subito!”

Zura tentennò. Non sapeva quanto fosse la verità quello che Gin aveva appena detto. Con Shiroyasha di nuovo sveglio, temeva che la rabbia e la voglia di vendetta avessero preso il sopravvento anche sullo spirito di autoconservazione.
Fortunatamente, vide che Gintoki non si stava dirigendo spada sguainata contro il Tendoshu. Si era diretto al centro del cortile.
Cercando di fare il più velocemente possibile, si tolse il kimono, e lo usò per avvolgere le teste di Kagura e Shinpachi.
Non poteva lasciarli lì.
Non in quello stato.
Scappando con quanta forza gli era rimasta, raggiunse Zura, e insieme si dileguarono nei vicoli di Edo, sparendo dalla vista di tutti.




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(*)Tendoshu: Sono coloro che tirano i fili nella politica terrestre,
coloro che realmente controllano il Bakufu e tutto il governo di Edo.

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Angolo dell'Autrice:

Non credo di avere altro da aggiungere riguardo questo capitolo.
E scusatemi di nuovo per tutta questa tragicità! ç_ç


Risposta alle recensioni:

- _u_z_u_: Anche io ho un pò odiato lo scorso capitolo. Per quanto mi "diverta" a scrivere storie drammatiche, soffro sempre tantissimo anche io insieme ai miei personaggi. Sono molto empatica con loro! ç_ç Per cui, ti capisco perfettamente quando dici che anche tu hai sentito il cuore di Gin spezzarsi. E' successo anche a me. Grazie mille per la recensione.

- Sarhita: Per quanto riguarda il finale, mi sa proprio che dovrai aspettare! Comunque sia, per ora ho scritto sette capitoli, ma non credo che supererò la decina. Quindi pazienta, la cosa non andrà troppo per le lunghe. In ogni caso, volevo ringraziarti per la bellissima recensione che hai lasciato: sul serio, mi ha fatta commuovere. Hai colto perfettamente tutte le sfumature dello scorso capitolo e sono felice che questa storia, per quanto drammatica, stia piacendo così tanto. Grazie mille!

- mizukage: Grazie mille per la recensione! Alla prossima! ^^

- Gintokina: Sì, anche io mi  sono molto sconvolta quando l'ho scritto! ^^" Grazie mille per la bella recensione! 

- fede_the_artist: Ho sconvolto tutti i miei lettori! °_° Inquietante... Grazie della recensione! Alla prossima!

- ballerinaclassica: Scusa! ç_ç Lo so che non dovrei scrivere storie del genere, ma mi sono detta: se proprio devo fare una storia drammatica, almeno che sia davvero drammatica. Fino in fondo. Non mi piacciono le mezze misure! Per cui, scusa ancora se la storia non è allegra. ç_ç Cercherò di rifarmi con la prossima! E grazie della recensione!


Fatemi sapere i vostri commenti, pareri o critiche!

Grazie a chi vorrà lasciare una recensione e a quanti leggeranno e basta.

Beat




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Capitolo 5
*** Capitolo V ***



Disclaimer: i personaggi non mi appartengono e questa fiction non è stata scritta a scopo di lucro.

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Capitolo V


Gintoki e Katsura corsero per parecchi minuti, senza mai fermarsi, senza voltarsi indietro.
Corsero senza scambiarsi una sola parola, perché nessuno dei due voleva spezzare quel silenzio che era inesorabilmente calato fra di loro.
Un silenzio freddo e pesante.

Freddo e pesante come il fardello che Gintoki portava tra le braccia.

Solo quando i due ragazzi furono praticamente certi di aver seminato i loro inseguitori si concessero una sosta. Nascondendosi in un vecchio magazzino che aveva tutta l'aria di essere stato abbandonato ormai da tempo, i due samurai si accasciarono a terra, cercando di riprendere fiato.
Lo sguardo di Katsura andò subito a cercare quello di Gintoki, ma l'amico non lo degnò di una sola occhiata. Teneva la testa bassa. Non per la vergogna, ma per cercare di contenere l'ira che ancora gli infuriava dentro. L'intero corpo tremava, a causa della fatica e della furia devastatrice che chiedeva a gran voce di poter essere ancora scatenata.
Il breve scontro che aveva avuto con Shinu non gli era bastato.
Non gli era assolutamente bastato.
Non avrebbe avuto pace finché non l'avesse decapitato con le sue mani, come lui aveva fatto con i suoi amici.

“Gintoki...” Katsura osò provare ad attirare l'attenzione di Gin.

Il ragazzo alzò lentamente il capo, e per un attimo Zura vide chiaro come il giorno il fosco bagliore che attraversò gli occhi dell'amico. Erano stati compagni in troppe battaglie perché lui non riconoscesse senza ombra di dubbio che quel lampo omicida non si sarebbe spento tanto facilmente.
Istintivamente la mano corse alla spada, ma Katsura si impose di non sfoderarla. Anche se aveva a che fare con Shiroyasha, anche se il Demone smaniava di combattere, non doveva dimenticare che sotto tutto quell'odio c'era ancora Gintoki, il suo più caro amico. Colui a cui non avrebbe mai e poi mai fatto volontariamente del male.

“Gintoki...calmati..!” Zura non sapeva se fossero bastate la parole per far rinsavire Gin. Ma non voleva in alcun modo ricorrere alla spada.

Un lampo d'odio brillò ancora negli occhi scuri di Gintoki. Ma fortunatamente si spense un momento dopo. Il ragazzo abbassò le palpebre, concentrandosi solo sul suo respiro. Stava cercando di calmarsi e riprendere il controllo.
Katsura sospirò piano.
Gintoki era ancora in sé.
Dopo quelle che parvero delle ore, Gin riaprì gli occhi.
Niente ombre fosche o lampi omicidi.
Era il solito Gintoki.

“Stai bene?” si azzardò a chiedere Zura, pentendosene subito dopo. Che razza di domanda cretina era?

Solo in quel momento Gintoki si rese conto di quanto gravi fossero le sue ferite. Con l'adrenalina in circolo e il corpo saturato d'odio non se ne era accorto, ma durante i vari duelli aveva riportato diverse ferite. Una in particolare, al fianco, gli bruciava in maniera terribile. Dandoci una veloce occhiata vide che si era anche allargata una macchia rossa sui suoi abiti. Con un sospiro e strappando un altro pezzo del suo abito, si apprestò a tamponare alla meno peggio la ferita.

“Aspetta, faccio io!” Katsura si era alzato per andare ad aiutare Gintoki, ma questo lo raggelò con un'occhiataccia, che lo fece immobilizzare.

“Sono a posto.” fu la brusca risposta di Gin.

Zura si limitò ad annuire piano, anche se non era assolutamente convinto.
Ma il quel momento non riusciva proprio a rispondere per le rime a Gintoki.
Il senso di colpa per tutto quello che era successo si stava rivelando un fardello ben più pesante del previsto da sopportare.

Dopo essersi medicato velocemente, Gintoki raccolse il suo kimono avvolto al prezioso carico e si apprestò ad andarsene.
Voltò le spalle a Zura, e se questo non si fosse alzato per raggiungerlo, Gintoki se ne sarebbe andato senza nemmeno dirgli una parola.

“Gintoki! Aspetta!”

Di nuovo fu raggelato, anche se questa volta non fu per un'occhiataccia. Gintoki gli dava le spalle. Ma la sola sua presenza, l'irrigidirsi di tutto il corpo all'ennesimo tentativo di Zura di parlargli, avevano un che di minaccioso che avrebbe intimidito anche il più impavido tra i guerrieri.

“Ti prego...” non era da Katsura supplicare. Ma quello non era il momento per l'orgoglio o altre cose del genere. In quel momento si sentiva afflitto come non mai in vita sua e per la prima volta si sentì completamente perso.

“Non ho più niente da dirti, Katsura.” e di nuovo una stretta al cuore di Zura, sentendolo così distante. Non usava più il soprannome che lo aveva tanto infastidito in tutti quegli anni. Si stava inesorabilmente allontanando.

“Che cosa hai intenzione di fare adesso?”

“...”

“Gintoki. Lo so che non vorrai più avere a che fare con me. Ma ti prego, lascia che ti dia una mano.”

“No.”

“Sii ragionevole!”

“Non lo sono mai stato, non comincerò certo adesso.”

Katsura non sapeva più che pesci pigliare.

“Dove andrai adesso?” chiese lo stesso, anche se sapeva che probabilmente non avrebbe ricevuto risposta.

E infatti Gintoki non gli rispose.
Si limitò a riprendere a camminare, allontanandosi sempre di più, sparendo dalla sua vista.



*****


Un'ora più tardi, dopo un lungo appostamento e usando una cautela che raramente si costringeva ad utilizzare, Gintoki entrò non visto nella proprietà Shimura.
Come aveva pensato, l'abitazione non era stata perquisita. Non c'erano segni di lotta e nemmeno un poliziotto in vista per tutto il tempo che era stato appostato fuori da lì.

Per una volta dovette ringraziare l'ossessione di Kondo per Otae.
Pur di non mettere a repentaglio la sicurezza della fanciulla, era sicuro che il Comandante non l'avrebbe mai e poi mai coinvolta in quella faccenda.
Ma doveva sbrigarsi lo stesso.

Aveva sperimentato sulla propria pelle che Kondo non riusciva ad avere sempre il controllo della situazione.

Spostandosi con la massima cautela, entrò nella palestra, chiudendo immediatamente dietro di sé la porta scorrevole.
Avvertì dei rumori nella stanza a fianco, e si rincuorò un poco percependo che Otae stava bene.
Per il momento.
Non aveva cuore di dirle quello che era successo al fratello...ancora non se ne capacitava nemmeno lui.
Ma doveva farlo.
In un modo o nell'altro doveva dirle quello che era successo.
E portarla via da lì il prima possibile.
Non avrebbe mai sopportato che anche lei diventasse una vittima di quell'assurda faccenda.

Sempre tenendo stretto al petto il triste fagotto, Gintoki si diresse verso la stanza adiacente. Sapeva essere la camera della ragazza, quindi prima di entrare si premurò di chiamarla.

“Otae...”

Aveva cercato di mantenere salda la voce, ma quando pronunciò il nome della ragazza sentì che la voce era roca, e tutt'altro che ferma.
Deglutì a vuoto, cercando di reprimere il groppo che gli stava bloccando la gola, impedendogli quasi di respirare.

“Gin?” la voce sorpresa di Otae lo terrorizzò come non mai.

La ragazza emerse dalla proprio camera pochi attimi dopo.
L'espressione arrabbiata perché il ragazzo si era presentato senza avvisare sembrò evaporare non appena si rese conto della condizioni del ragazzo.
Aveva il viso e le maniche imbrattate di sangue, e anche sul fianco destro vedeva più che chiaramente una macchia vermiglia piuttosto ampia.

“Gin! Che ti è successo? Vado subito a prendere le bende e il disinfettante!”

“No, Otae...”

“Mettiti seduto, io arrivo subito!”

“Otae...”

“Dove ho messo le bende..?”

Gin prese per un polso la ragazza, bloccandola prima che sparisse.

“Lascia stare le bende...”

“Ma sei ferito Gin!”

Di nuovo il groppo in gola.
Cercò di non lasciare la presa sul polso di Otae, ma gli tremava il braccio.
Anzi, tutto il corpo era scosso da tremiti.
Improvvisamente senza forze si lasciò andare a terra.
Otae lo seguì nel suo accasciarsi, e notando che Gintoki aveva distolto lo sguardo dal suo, avvertì improvvisamente una scossa lungo tutta la colonna vertebrale.
Fu come se un masso le si fosse piazzato sul petto, all'altezza del cuore.

“Gin...” esitava, la voce appena un sussurro “Gin...dov'è Shin?”

Ancora un tremito lungo tutto il corpo, e questa volta anche Otae se ne accorse, visto che il ragazzo ancora non l'aveva lasciata andare.

“Dov'è mio fratello?!” chiese allarmata Otae, non sapendo spiegarsi il tremito convulso che ora aveva preso anche lei.

Gintoki respira pesantemente: annaspava, come se stesse annegando.

“Tae...io...”

Non trovava le parole.
Il groppo ostruiva la gola in modo che nemmeno una sillaba potesse uscirne.
Con le mani che tremavano all'inverosimile, sciolse il fagotto fatto con il suo kimono.
Lentamente, quasi ci avesse messo un'eternità, scostò anche l'ultimo lembo.
Otae si sentì mancare la terra da sotto i piedi. Lo stomaco le si rivoltò violentemente e dovette tapparsi la bocca con le mani per non vomitare anche l'anima.
Gintoki teneva tra le mani la testa di suo fratello.
La testa.
Il corpo non c'era.
Gli occhi le scivolarono involontariamente lungo il collo del fratellino.
Una ferita netta e incrostata di sangue.
E finiva tutto lì.

Le ci volle qualche secondo per capire.
Per capire veramente.

E quando finalmente la consapevolezza che non avrebbe mai più rivisto il suo dolce fratellino sorriderle le arrivò addosso come una secchiata di acqua gelida, Otae non poté fare altro che gridare.
La lacrime presero a scorrere senza tregua, inondandole il viso sconvolto.

E le sue grida disperate furono come pugnali che dolorosamente si conficcavano uno dopo l'altro nel cuore di Gintoki.




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Angolo dell'Autrice:

Altro capitolo di una tristezza devastante! ç_ç
Anch'io, sinceramente, come voi sono senza parole.
A volte mi domando perché mai ho scelto di risiedere sul Pianeta Sadico...
Al prossimo capitolo, dove comparirà uno dei miei personaggi preferiti del manga. E no, non sono pazza. XD


- Gintokina: Grazie! Mi fa piacere che la storia risulti lineare. Detesto quando le trame hanno buchi o altre cose poco gradevoli. Per cui, ricordate, fatemi sapere sempre se c'è qualche cosa che non va! XD Alla prossima!

- Sarhita: Le tue recensioni continuano a farmi arrossire. Sul serio! ^^ Non sai quanto mi faccia piacere sapere quello che pensi di questa storia. Sono davvero contenta che lasci così tanti ai miei lettori. E' la soddisfazione di ogni scrittore sapere che quello che ha prodotto in qualche modo farà parte di chi leggerà. Quindi, grazie per apprezzare così tanto la mia storia. Ci tengo davvero.
E comunque, sì, Zura ci è rimasto malissimo. Per quanto sia normalmente emotivamente distaccato, credo che anche lui non avrebbe retto facilmente ad un colpo del genere. Specie se c'è di mezzo Gintoki.
E anche per quanto riguarda la Shinsengumi, se Kondo avesse saputo non avrebbe mai permesso una cosa del genere. Anche se ha i suoi obblighi e deve rispettare gli ordini, non credo che farebbe mai qualche cosa che va contro quello in cui crede. Adorabile Gorilla! *-*

- mizukage: Grazie mille della recensione! Sono felice che troviate i miei personaggi IC, è una cosa a cui tengo un sacco. Spero che anche nei prossimi capitoli la cosa continui ad essere così...temo che con Gintoki avrò un pò più di problemi del solito..!



Fatemi sapere i vostri commenti, pareri o critiche!

Grazie a chi vorrà lasciare una recensione e a quanti leggeranno e basta.

Beat




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Capitolo 6
*** Capitolo VI ***



Disclaimer: i personaggi non mi appartengono e questa fiction non è stata scritta a scopo di lucro.

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Capitolo VI


Ci volle un bel po' prima che Otae riuscisse quantomeno a calmarsi.
Gintoki non disse nulla, non provò in alcun modo a confortarla.
Lui stesso non sapeva come fare per placare il dolore che aveva inondato i loro cuori.
Si limitò a stringere a sé la ragazza. Otae, sconvolta, non si era resa conto che si era lasciata andare, che aveva perso il controllo del suo corpo. Si era gettata tra le braccia di Gintoki, e lo stava abbracciando disperata, come se quel gesto avesse in qualche modo potuto ancorarla. Ma non serviva a nulla: il dolore continuava ad andarle addosso, come una marea che, onda dopo onda, si abbatte sulla spiaggia.
Le lacrime continuarono a scendere copiose, e ormai avevano bagnato le vesti di entrambi.
Otae si stringe a Gintoki maggiormente, le mani che artigliavano convulsamente il suo vestito ormai completamente zuppo di sangue e lacrime.
Gin provò a cullarla, provò in qualche modo ad essere gentile.
Ma i gesti erano meccanici, artefatti, e in fin dei conti non sapeva proprio che cosa fare.

Solo dopo quella che poteva essere un'ora, o anche tutto il giorno, Otae si ritrovò così stanca e senza lacrime da non poter più dire o fare nulla.
Praticamente si accasciò, senza forze, appoggiandosi con tutto il peso addosso a Gintoki.
Non fosse stato per gli occhi comunque aperti, sebbene sbarrati, Gin avrebbe detto che la ragazza era svenuta.
Invece si era svuotata. Aveva esaurito tutte le sue energie.
Lui stesso si sentiva esausto. Esausto come non lo era mai stato in vita sua, nemmeno quella volta quando aveva dovuto combattere dall'alba al tramonto, senza fermarsi mai.
Tutte le ferite presero a pulsare dolorosamente e fu solo questo che lo spronò a non lasciarsi andare come Otae.
Sebbene il dolore continuasse ad attanagliare il suo cuore, non doveva scordarsi che la questione non era finita lì.
Lui doveva assolutamente farsi curare, ed entrambi dovevano al più presto lasciare la palestra degli Shimura. La loro vita era in pericolo, ora più che mai.

Con la sola forza di volontà – praticamente l'unica che gli era rimasta – Gin si rimise in piedi, aiutando Otae a fare lo stesso. La ragazza obbedì docilmente, senza prestare reale attenzione a quello che le succedeva attorno.
Con delicatezza, Gin riavvolse le testa di Shinpachi e di Kagura nel suo kimono. A quel gesto Otae ebbe un fremito, ma passò in un attimo.
Sempre guidandola in tutti i movimenti, Gintoki la condusse fuori casa.

Cercando di rimanere concentrato, il samurai cercò di focalizzare la sua attenzione sulla strada. Non vide fortunatamente nessuno in giro – le due erano passate da un pezzo, e a quell'ora nel quartiere non c'era quasi mai nessuno. Ma la prudenza non era mai troppa, per cui il ragazzo si mosse con più circospezione del normale. Solo quando finalmente riuscirono a raggiungere una via secondaria si concesse di abbassare un po' la guardia.
Fermandosi ogni tanto per controllare le condizioni di Otae, il ragazzo si diresse speditamente verso una zona periferica di Kabukicho: non la meno raccomandabile, ma di certo una delle meno frequentate.
Non sapeva bene nemmeno lui perché aveva deciso di dirigersi proprio lì, ma dentro di sé sentiva che lì forse non sarebbero mai andato a cercarlo.


*****


L'insegna esageratamente colorata del Drag Queen Club riuscì per un attimo ad alleviare la preoccupazione di Gintoki.
Superando praticamente di corsa un ultimo pezzo di strada da percorrere allo scoperto, il ragazzo non poté non tirare un sospiro di sollievo quando finalmente si richiuse la porta del locale alle spalle.
Il Club era vuoto, nessun cliente a quell'ora. Ma Gintoki sapeva che qualche ballerina c'era sempre nel locale, e sperò proprio che anche Mademoiselle Saigo fosse presente. L'avrebbe aiutato subito, senza fare troppe domande.

“Benvenuto signore, come posso servir...Paruko!”

Gintoki si voltò a vedere chi gli stava parlando.
Era Azumi(*), che lo stava fissando con aria piuttosto preoccupata.

“Paruko, che cosa ti è successo? Sei coperto di sangue!”

“Si, l'hai notato anche tu? Mi serve un po' d'aiuto...”

“Ma certo, certo! Ragazze! Ragazze, presto, venite qui!”

Azumi chiamò a gran voce le altre hostess del locale, che arrivarono in fretta.
Il travestito intanto si era subito avvicinato a Gintoki, per vedere in che condizioni era. Ma il ragazzo lo bloccò prima che potesse fare altro e – sempre tenendola per mano – fece fare un passo in avanti a Otae.

“Per favore, potete nasconderla in un luogo sicuro, intanto?”

Azumi lo fissò confusa, sbattendo un paio di volte le palpebre.
Non capiva nulla di quanto stava succedendo, ma non ci voleva un genio a capire che quei due ragazzi erano nei guai, e che aveva disperatamente bisogno di aiuto.
Fece cenno di sì con la testa a Gintoki, prendendo poi sotto braccio quella povera ragazza pallida come un lenzuolo e per condurla verso i dormitori.
Non fece nessuna domanda. Mademoiselle non ci avrebbe mai pensato su a prestare aiuto a quel ragazzo, e lei non avrebbe fatto diversamente.
Gintoki ringraziò stancamente, per poi cadere a terra svenuto.
Alla fine la stanchezza e il dolore avevano preso il sopravvento anche su di lui.



*****


Quando riuscì a riprendere conoscenza intravide da una finestra nella stanza che il cielo si era fatto scuro.
Non sapeva dire che ore fossero, ma di certo doveva aver dormito parecchie ore.
E non appena si fu completamente svegliato, tutti i ricordi di quell'infernale giornata gli si rovesciarono nella testa con una furia impressionante.
Cercò inutilmente di sorvolare su quel ricordo, ma l'immagine dello scempio che aveva trovato alla sede della Shinsengumi gli si parò indelebile davanti agli occhi.

Per la prima volta dall'inizio di quell'incubo fu assalito anche lui dalla nausea, e fu solo grazie al fatto che non aveva messo niente nello stomaco dalla sera prima che riuscì a non vomitare, anche se sentì bruciare la gola e avvertì il sapore della bile in fondo alla bocca. E di nuovo gli si strinse in cuore a ricordare l'ultimo pasto che aveva consumato. Quella cena stranamente abbondante che aveva offerto a Kagura e Shinpachi la sera prima alla trattoria.

L'ultima cena di inconsapevoli condannati a morte.

Strinse le lenzuola tra le dita, così forte che gli si sbiancarono le nocche.
Avrebbe quasi preferito avvertire l'impellente bisogno di piangere, ma gli occhi erano asciutti, come se non avesse più lacrime da versare.
Sentiva solo un cupo e profondo ribollire di odio in fondo al suo cuore.

“Ti sei svegliato, finalmente!”

Gintoki si riscosse, guardandosi attorno per vedere chi c'era con lui nella stanza.
In un angolo intravide la possente figura di Mademoiselle Saigo, inginocchiata di fronte ad un basso scrittoio.
Vedendo che l'ospite si era risvegliato, Saigo si alzò per raggiungerlo al suo capezzale.
Gintoki non provò nemmeno ad alzarsi. Era ancora troppo provato a causa della battaglia.
Fece però velocemente un inventario delle ferite, e scoprì che era anche peggio di quello che aveva pensato.
Anche se era sdraiato sul futon, riusciva benissimo a sentire tutti i cerotti, le bende e le fasciature che gli erano stati fatte. Il fianco destro era il punto che gli dava il maggior fastidio, ma la stretta bendatura portava un po' di sollievo.

“Come sta Otae?!” chiese a Saigo, quando questo si fu accomodato di fianco al futon.

Saigo ridacchiò un attimo.

“Tu sei bendato come una mummia, ma la prima cosa che chiedi è come sta la ragazza?!”

“Allora?!” replicò, un po' impaziente.

Saigo sospirò, incrociando poi le braccia al petto.

“Fisicamente? Sta benissimo. Non è ferita. Però non si è ancora ripresa. Non ha detto una sola parola, né mosso un passo. Azumi l'ha portata in camera sua per farla riposare, ma la ragazza non ha voluto mettersi a letto. È rimasta tutto il tempo seduta, a fissare un punto sulla parete. E non ne vuole sapere di mangiare. Ma si può sapere che diavolo vi è successo?!”

Gintoki ascoltò accigliato il resoconto di Saigo.
Povera Otae.
Facendo molta attenzione a come si muoveva, si rimise seduto. Saigo lo aiutò, capendo al volo che il ragazzo era ancora senza forze.
Gintoki rimase qualche minuto a fissare le lenzuola.

Come poteva raccontare quello che era successo? E poi, doveva davvero farlo?
Non avrebbe dovuto, rischiava solo di mettere in pericolo anche loro.
Per lunghi minuti non spiccicò parola, immerso nei suoi ragionamenti.
Alla fine Saigo, comprensivo, gli poggiò una mano sulla spalla.

“Devi farti coraggio. So che è successo qualche cosa di terribile... ma in momenti come questi devi rimanere saldo. Se cominci a lasciarti andare alle preoccupazioni non ne uscirai più.”

Gintoki alzò la testa per fissarlo in faccia.
Il viso solitamente sorridente di Saigo ora era una maschera di serietà.

“Non voglio mettere nei guai anche voi...” mormorò alla fine.

Saigo scoppiò nella sua risata tonante.

“Ah! Ti sembra il caso di preoccuparti per noi? Nessuno può crearci problemi!”

Gin si rabbuiò.

Loro potrebbero...”

Saigo ritornò immediatamente alla serietà, sentendo il tono di voce di Gin.

“Che intendi dire?!”

Gintoki deglutì a vuoto un paio di volte ancora.
Sì, in fondo doveva parlare.
La sua sola presenza in quel luogo era un pericolo per Mademoiselle e tutte le ragazze. Doveva loro delle spiegazioni.
Con voce stanca e spezzata, Gintoki riuscì con difficoltà a raccontare gli eventi di quell'assurda giornata.
Saigo lo ascoltò in silenzio, senza fare domande, tremendamente serio.

“Ragazzo...non so che dire...” commentò alla fine.

Gli occhi di Saigo corsero immediatamente verso il fagotto che Gintoki aveva in mano quando era arrivato da loro. Non aveva voluto aprirlo per rispetto nei suoi confronti, e al solo immaginare quello che c'era dentro sentì un brivido corrergli lungo la schiena.
Quello che era successo era davvero una cosa mostruosa.
Gintoki accennò un sorriso tirato.

“Mi spiace di essere piombato qui portandomi dietro tutti questi casini...”

“Non dirlo neanche per scherzo!”

“Se scoprono che sono qui...”

“Non lo scopriranno. Hai detto che nessuno ti ha visto entrare, e stai pur certo che nessuna delle mie ragazze dirà mai che sei qui. Puoi fidarti di noi!”

Gintoki sorrise stancamente.

“Non sapevo proprio dove altro andare... Grazie. ”

Saigo rise di nuovo.

“Figurati ragazzo! È un piacere sapere che hai pensato a questo posto nel momento del bisogno!”

Gintoki annuì.
Solo dopo qualche minuto si azzardò a chiedere una cosa.

“State facendo già tanto per me...ma devo chiedervi un altro favore...”

“Dimmi tutto!”

“Otose...ho paura che vadano da lei...sanno che vivo lì...”

Saigo annuì gravemente.

“Non preoccuparti. Andrò subito a controllare, ma non penso che le sia successo nulla. Lo si sarebbe saputo in un lampo se a uno dei quattro Imperatori di Kabukicho fosse accaduto qualche cosa!”

Gintoki annuì a sua volta, ringraziando poi Mademoiselle prima che uscisse dalla stanza.
Era dannatamente preoccupato per la vecchia, ma non aveva osato andare da lei.
Probabilmente quello era il primo posto in cui l'avevano cercato quelli della Shinsengumi, e non voleva coinvolgere anche lei in quella caccia all'uomo. Sapeva di stare rischiando un azzardo tremendo nel contare solo sulla fortuna, nel non andare lui stesso a metterla al sicuro. Ma aveva voluto fermamente credere nel fatto che quel titolo di Imperatrice l'avrebbe in qualche modo protetta. Anche se non era un titolo ufficiale, qualcosa valeva. Specialmente per tutti quelli che la conoscevano, e sapevano quale straordinaria persona era: nessuno di loro avrebbe mai permesso che a Otose fosse fatto del male.
Anche se si era sempre preoccupato lui in prima persona della sua sicurezza, c'erano comunque tante altre persone che avrebbero potuto svolgere quell'incarico.

Per questo non era andato da lei, ma da Mademoiselle.
Se era vero che la sua presenza da Otose avrebbe condannato la vecchia, con Saigo la cosa era ben diversa.
Il travestito sapeva badare a se stesso più che bene: sotto il trucco e i kimono colorati c'era sempre un prode guerriero. Inoltre, a parte pochissimi dei suoi amici, nessuno aveva mai saputo che Gintoki aveva avuto una breve carriera in quel locale.
Risalire al suo legame con Saigo era praticamente impossibile.
Inoltre, c'era una cosa che voleva assolutamente discutere con lui.




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(*) Azumi: il travestito con i capelli, a caschetto, arancioni.
Gin e Zura lo prendevano i giro per il mento pronunciato.
E se per caso non si chiama Azumi è perché il volumetto che ho io è rilegato male e potrebbe aver tagliato il nome!

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Angolo dell'Autrice:

Un capitolo relativamente tranquillo.
Faccio riprendere un pò il fiato a Gintoki. Povero caro, ne ha proprio bisogno.
Anche nel prossimo ci saranno più chiacchiere che azione, ma spero che non me ne vogliate! ^^"
E, sì, Saigo è uno dei miei personaggi preferiti. v__v


Risposte alle recensioni:

- Sarhita: Ok, a quanto pare, per colpa tua, mi toccherà andare in giro con la faccia rossa finché questa fiction non finirà. Ma forse anche dopo, perché credo che arrossirò ogni volta che andrò a rileggermi i tuoi commenti. Grazie per le belle parole, davvero. Ti adoro! *-*
Davvero hai sentito quel crack? Povero Zura, l'ha sentito anche lui. E ci è rimasto anche lui molto male...già...

- mizukage: In effetti sono brava con le scene di dolore strappalacrime! v__v Non vengo dal Pianeta degli Scrittori Sadici mica per niente! XD
No, facciamo le persone serie. Mi fa piacere che anche lo scorso capitolo ti sia piaciuto, nonostante il livello di tristezza alle stelle!

- Gintokina: Zura ha una marea di sensi di colpa. Ma la cosa non ci interessa. O non più di tanto...
Gin al momento è un pò perso. Il prossimo capitolo poi...basta, lo leggerai presto! ** Eheh!

- ballerinaclassica: *guarda ballerina che corre via come una matta* Non ti preoccupare, tanto questa fic mica scappa! ^^ Alla prossima!


Fatemi sapere i vostri commenti, pareri o critiche!

Grazie a chi vorrà lasciare una recensione e a quanti leggeranno e basta.

Beat




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Capitolo 7
*** Capitolo VII ***



Disclaimer: i personaggi non mi appartengono e questa fiction non è stata scritta a scopo di lucro.

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Capitolo VII


Saigo ritornò un paio di ore più tardi, e per prima cosa passò da Gintoki per rassicurarlo che Otose stava bene. In effetti c'erano stati dei tafferugli in zona, ma la vecchia era stata, in definitiva, lasciata in pace.
Gli fu riferito anche che in giro non c'erano voci riguardo quello che era accaduto nella sede centrale della Shinsengumi. Questo irritò non poco Gintoki, perché ciò voleva dire che se il Bakufu non aveva la minima intenzione di dire nulla sull'accaduto, nessuno avrebbe mai venuto a conoscenza delle atrocità che erano state commesse.
Un motivo in più per farla pagare a quei bastardi!

Rincuorato dalla notizia che Otose stava bene, Gintoki poté lasciarsi andare al sonno. Era rimasto sveglio in attesa di quelle notizie, ma le ferite e la stanchezza accumulata gli avevano reso parecchio ardua l'attesa. Più volte aveva rischiato di addormentarsi di colpo.
Fu un sonno agitato, pieno di incubi, come anche avvenne nei giorni successivi della sua permanenza da Mademoiselle.
Per tutto quel tempo rimase chiuso in camera, cercando di riposarsi per riprendersi quanto più in fretta potesse. Inoltre non aveva nessuna voglia di incontrare nessuno, a parte Saigo che lo andava regolarmente a trovare portandogli i pasti. Non si sentiva ancora pronto ad affrontare il resto del mondo.

Solo dopo quattro o cinque giorni osò lasciare la camera in cui era stato ospitato. Quella mattina si era svegliato abbastanza presto, e non appena si era reso conto che la ferita al fianco non gli procurava più i lancianti dolori dei giorni precedenti, si decise a lasciare la stanza.
Non poteva certo uscire dall'edificio, ma aveva comunque bisogno di fare quattro passi.
In un corridoio incontrò Mademoiselle, con in braccio una pila di cuscini che stava portando all'interno del locale.

“Oh, buongiorno! Ti sei deciso ad alzarti?”

“'giorno...”

Saigo sorrise comprensivo, e gli fece cenno di seguirlo.
Gintoki obbedì senza dire nulla.
La padrona sistemò i cuscini attorno ai vari tavoli del locale e invitò Gintoki a sedersi mentre lei andava a preparare la colazione.
Dieci minuti dopo era di ritorno con un vassoio carico di riso, dolcetti e the caldo.
Servì a Gintoki la sua parte e tenne per sé il resto.
Gin si avventò silenziosamente sulla sua colazione – si era accorto di avere parecchio appetito – e Saigo lo imitò, senza dire più nulla per tutto il tempo che i due mangiarono.
Solo quando ebbero entrambi finito, Mademoiselle si azzardò a chiedere una cosa a Gintoki.

“Che cosa hai intenzione di fare adesso, ragazzo?”

Gintoki non rispose. Si limitò a bere lentamente il suo the.
Saigo sorrise comprensivo.

“Puoi stare tutto il tempo che vuoi qui. Per quello non c'è problema. Ma sono preoccupato per te.”

“Non ce n'è bisogno.”

“Sì, invece. E sono preoccupato anche per l'altra ragazza.”

Gintoki sollevò gli occhi, interessato e preoccupato al tempo stesso.

“Ancora non mangia, ha solo bevuto un po' di the in questi giorni. E non ha detto una sola parola. Dovresti andare da lei.”

Gintoki ci pensò su un po'. Poi si limitò a sospirare.
Non aveva il coraggio di affrontare Otae.
Non sapeva che cosa fare, e non aveva alcuna idea di cosa fare per farla stare meglio.

“Vorrei chiederti una cosa.” disse ad un certo punto Gintoki, abbassando di nuovo lo sguardo sulla tazza.

“Ma certo. Chiedi quello che vuoi! Mademoiselle Saigo è a tua disposizione!” rispose Saigo, in tono leggero, cercando per quanto possibile di tirarlo un po' su di morale.

“A dire il vero vorrei parlare con Tokumori il guerriero...” rispose il ragazzo, sorridendo appena.

Saigo non poté nascondere l'espressione stupita che gli si dipinse in volto.
Erano anni che nessuno lo chiamava con il suo vero nome.
Da quando aveva assunto l'identità di “Mademoiselle”, nessuno si era più rivolto a lui come Tokumori Saigo, il combattente.
Non si era certo immaginato che quel ragazzino potesse conoscere quel lato di lui.

“Di che cosa vuoi parlare?” domandò alla fine, mortalmente serio.

“'Tokumori Saigo, il Guerriero dal bianco Fundoshi'. Ammetto che, prima di scoprirlo, non avevo mai pensato che potessi essere tu. Ma mi ricordo bene che ai tempi della guerra le tue gesta erano state acclamate da tutti i combattenti. Sebbene tu non fossi un samurai, hai lottato al nostro fianco contro gli invasori. L'assalto a quella nave di Amanto fu un gesto eroico e spettacolare, che ancora si narra tra i vecchi guerrieri.”

Saigo involontariamente sorrise compiaciuto, rimembrando quelle battaglie.

“Però...” Gintoki cercò lo sguardo di Saigo “Dopo quell'assalto sei scomparso. Non si è più sentito parlare di te, e molti pensavano che fossi morto.”

Saigo annuì gravemente.

“Sì, anche io avevo sentito quelle voci.”

“Perché hai smesso di combattere?”

Saigo fissò gli occhi in quelli di Gintoki.
Brillavano, una luce strana, curiosa e dolorosamente triste.
Non sapeva bene che cosa gli aveva dato quell'idea, ma a vedere quello sguardo Saigo comprese che cosa quel ragazzo gli stava chiedendo.
Che cosa stava implorando.
Stava cercando un modo per rinunciare a tutto quello.
Stava disperatamente cercando una maniera per smettere di combattere, per non dover più affrontare tutte quelle battaglie, quel sangue, quelle morti.
Era giovane, ma aveva già vissuto sulla sua pelle il tremendo mondo della guerra.
E ora che pensava di esserselo definitivamente lasciato alle spalle, ecco che infido quello si era ripresentato, di nuovo portandogli via tutto quello che aveva.
Saigo provò un'infinita compassione per quel povero sventurato samurai.
Ma non sapeva proprio come fare ad aiutarlo.

Lui si era costretto a rinunciare ad andare avanti a combattere per amore della sua famiglia. Perché, nonostante la guerra e il pericolo, era riuscito ad incontrare la donna della sua vita. La madre di suo figlio.
Per lei e per Teruhiko che ancora doveva nascere, per la sua famiglia, Tokumori Saigo aveva abbandonato la guerra.
Era stata una scelta sofferta, ma l'aveva fatto con il sorriso sulle labbra.
Voleva proteggere la sua famiglia più di ogni altra cosa, per questo non aveva avuto rimpianti nell'abbandonare il “Bianco Fundoshi”.

Ma quel ragazzo che ora lo stava fissando non aveva nulla di tutto questo.
La sola cosa che avrebbe potuto difendere gli era stata brutalmente strappata via.
Per questo non poteva dirgli che cosa fare.
Consigliarlo di abbandonare tutto per rifarsi una vita era in fin dei conti un consiglio stupido.
Non avrebbe mai potuto lasciar perdere. E anche se ci avesse provato, a lungo andare la cosa lo avrebbe distrutto dentro. Macerato dei sensi di colpa e dalla vergogna per non aver fatto quello che andava fatto.
No, anche se era doloroso, anche se era estremamente pericoloso, Gintoki non doveva lasciare perdere.
Come samurai aveva il diritto e il dovere di vendicare i suoi amici.

“Ragazzo...so quello che stai cercando di fare. Ma non ti posso aiutare. Non ti posso dire che devi lasciar perdere. Non puoi. So che è terribile, ma devi continuare a combattere.”

Gintoki si rabbuiò, tristemente.

“Ascoltami!” lo esortò Saigo, prima che il ragazzo venisse assalito dallo sconforto “Probabilmente sono crudele a dirti queste cose invece di confortarti, ma non ti puoi permettere di lasciar perdere la questione. I tuoi amici sono stati uccisi e meritano che qualcuno li vendichi. Tu li devi vendicare! Se lasci perdere ora non te lo perdonerai mai!”

Gintoki non disse ancora nulla.

“Io ho smesso di combattere perché ero riuscito a trovare un motivo per vivere. Vivere davvero. Ma se per caso qualcuno avesse provato a fare del male alla mia famiglia, non avrei esitato un solo istante a farla pagare a quei bastardi!”

Gintoki annuì lentamente.
Sì, era così che si sentiva.
Anche lui aveva una gran voglia di farla pagare a quel maledetto Shinu. Shiroyasha bramava il sangue di quell'assassino.
Ma era stanco di combattere.
Si sentiva come se per tutta la vita non avesse fatto altro.
E più volte si era chiesto se per caso quello era il suo unico destino: vedersi continuamente strappare le persone che amava, e tornare a combattere, ancora e ancora, finché non fosse morto lui stesso. Combattere fino alla fine.

Saigo e Gintoki rimasero seduti uno di fronte all'altro ancora per parecchio.
Non si dissero più nulla.
Gintoki doveva ragionare su quello che Saigo aveva detto. Doveva decidere.
Il vecchio guerriero non osò aggiungere altro, per non disturbare Gintoki. Non lo lasciò solo, tuttavia, e rimase lì, seduto in silenzio, nel caso il ragazzo avesse ancora avuto bisogno di lui.

Alla fine Gintoki si alzò lentamente.
Si sgranchì le gambe che si erano intorpidite a causa della medesima prolungata posizione, e si diresse verso i dormitori.
Saigo non gli disse nulla, si limitò a sorridere mestamente al suo indirizzo.
Qualunque cosa quel ragazzo avesse deciso, doveva essere stata una scelta dolorosa. Ma era sicuro che, alla fine, ne sarebbe valsa la pena.

Gintoki si diresse sovrappensiero verso la sua stanza. Si richiuse la porta alle spalle e si sedette per terra, di fronte al suo kimono.
Era ancora incrostato di sangue – non aveva voluto che fosse lavato – ma il suo triste contenuto non c'era più.
Con infinita bontà d'animo se ne era occupato Saigo. Uno di quei giorni era andato in uno di quei cimiteri nascosti che ospitavano gli ultimi resti dei samurai che avevano combattuto gli Amanto. Aveva seppellito Kagura e Shinpachi di fianco a tutti quei guerrieri che erano morti per loro libertà. Di questo Gintoki gli era infinitamente riconoscente.

Gin raccolse il kimono e lasciò la stanza.
In corridoio incontrò una ragazza a cui chiese quale era la stanza di Otae.
Quando vi entrò, di nuovo gli si strinse il cuore a vedere la solitamente esuberante Otae seduta per terra, il capo chino e gli occhi sbarrati.
Le si sedette accanto, passandole un braccio attorno alle spalle.
Lei non disse nulla, si limitò solo ad appoggiarsi delicatamente a lui.
Dopo un tempo incalcolabile, Gintoki le parlò, la voce un sussurro.

“Devo andare.”

Otae non aveva bisogno di chiedere nulla a riguardo.
Annuì solamente.

“Tornerai?”

Gintoki ridacchiò senza allegria.

“Non lo so.”

Otae abbassò ancora di più il capo.
Non voleva chiedergli di tornare.
Non ne era in grado.
Non sapeva nemmeno se voleva che lui tornasse.
Lui avrebbe potuto, mentre suo fratello no.
Gli occhi le si riempirono nuovamente di lacrime.
Ma lei stoicamente le cacciò indietro.

“Uccidili. Uccidili tutti.”

Gintoki annuì, stringendola un attimo per l'ultima volta, prima di alzarsi e andare via.




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Angolo dell'Autrice:

Sono perplessa sull'effettivo IC di Gintoki, in questo capitolo.
Ma, d'altra parte, la situazione è parecchio inusuale rispetto quelle solitamente rappresentate nel manga, quindi fatto quel che ho potuto. ^^"


- mizukage: Saigo riferisco che se gli dai ancora del "nonno" viene a prenderti a casa e ti rigira come un guanto. °_°
Io invece ti ringrazio per lo spendido commento. Felice che questa storia ti piaccia! ^^

- Sarhita: *arrisisce come al solito* Grazie. Grazie mille davvero per i complimenti! ^^
In effetti sarebbe interessante vedere Saigo vs Shinsengumi! *-* Se ho tempo provo ad elaborare! XD
[EDIT: in effetti mi è venuta in mente una qualche cretinata da scrivere! XD]

- Gintokina: L'avrò anche distrutto psicologicamente (anche la mia parte sadica approva), ma come vedi Gin non si lascia sconfiggere, nemmeno da se stesso. Poi vedrete meglio! Ahahah! Alla prossima!



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Grazie a chi vorrà lasciare una recensione e a quanti leggeranno e basta.

Beat




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Capitolo 8
*** Capitolo VIII ***



Disclaimer: i personaggi non mi appartengono e questa fiction non è stata scritta a scopo di lucro.

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Capitolo VIII


Attese la sera, perché il buio lo nascondesse agli occhi indiscreti della gente.
Passò per i vicoli più tortuosi, i più nascosti, i meno frequentati.
Dovette fare un giro piuttosto lungo e complicato, ma alla fine riuscì ad arrivare dove voleva, senza essere stato notato da nessuno.
Di nuovo, gli toccò aspettare parecchio prima di poter essere certo che non c'era nessun poliziotto nascosto nelle vicinanze.
Solo quando ne fu praticamente certo – e comunque si premurò lo stesso di passare dal retro – Gintoki si introdusse furtivamente in casa di Otose.
Si nascose in uno sgabuzzino, e lì attese finché non sentì più nessuna voce provenire dall'interno del locale.
Solo quando, finalmente, sentì la vecchia salutare Catherine e poi il rumore della serratura della porta, si decise ad uscire dal ripostiglio.
Si affacciò sulla stanza del locale e si schiarì la gola per attirare l'attenzione di Otose. Non voleva certo che si spaventasse vedendoselo apparire dal nulla come un fantasma.
La vecchia sussultò appena quando lo vide.
Lo squadrò con aria severa per alcuni istanti, poi si portò dietro il bancone e tirò fuori una bottiglia di saké e due bicchieri.

“Mi hai fatto stare in pensiero, idiota.”

Gintoki sorrise, sedendosi sul suo solito sgabello e prendendo il bicchierino che Otose gli aveva offerto.

“Scusami.”

I due bevvero dai bicchieri, che furono di nuovo riempiti e vuotati.

“Mi dispiace per quello che è successo a Shinpachi e a Kagura” disse poi Otose.

Gintoki annuì, lo sguardo apparentemente normale.
Di nuovo il groppo in gola a sentire i loro nomi.

“Tu come stai?” chiese preoccupata la donna.

Gintoki gli rispose con un'alzata di spalle, sillabando qualche cosa di poco definito, e lei non insistette oltre.

“Che cosa ha intenzione di fare, adesso?”

Ed ecco la domanda che più temeva.
Gintoki si era quasi convinto che la cosa migliore da fare era trovare quel bastardo di Shinu e vendicare i suoi amici. Se ne era convinto davvero.
Ma non appena aveva rivisto Otose la sua determinazione aveva vacillato.
Sì, perché se non aveva paura di morire nel cercare di vendicare la morte di Kagura e Shinpachi, si era improvvisamente conto che non aveva alcun diritto di morire.
Non prima di aver assolto completamente alla sua promessa.
Aveva giurato di proteggere Otose, e quindi non poteva permettersi di lasciare quel mondo infame prima del tempo.
Svuotando per l'ennesima volta il bicchiere che aveva in mano, il ragazzo guardò fisso Otose.

“Che cosa voglio fare? Non lo so...” rispose alla fine, distogliendo lentamente lo sguardo.

Otose lo squadrò dalla testa ai piedi, con il suo solito cipiglio severo.
Quanto sapeva essere cocciuto quel ragazzo!

“Gintoki!”

“Che c'è, vecchiaccia?!”

“Non dire cretinate! Sappiamo benissimo entrambi che vuoi, anzi devi andare a vendicare quei due!” e lo disse con quel tono di voce che gli adulti usano con quei bambini particolarmente difficili.

Gintoki ridacchiò.
Certo che quella vecchia sapeva essere davvero terribile quando voleva.

“Potrei non riuscire a tornare.” ammise tranquillamente.

“È di questo che hai paura? Di non sopravvivere?” chiese più che stupita Otose. Da che lo conosceva, il pensiero che quel ragazzo avesse così paura della morte non l'aveva mai neppure sfiorata.
Gintoki le mostrò un sorriso amaro.

“Non ho paura di morire.” decretò semplicemente.

E visto che non sembrava voler aggiungere altro, Otose fu costretta a chiedergli che cosa intendeva dire allora.

“Se muoio chi ti proteggerà? Eh, vecchia?”

Otose represse a stento un'espressione stupita, mista ad un profondo compiacimento.
Quello stupido e inutile sfaccendato che ancora dopo tutti quegli anni si preoccupava per lei!

“Ancora con quella storia?!” domandò, fingendosi esasperata.

“È inutile che usi quel tono. Lo sai che ho fatto un giuramento. E ho intenzione di rispettarlo fino in fondo.”

Otose sospirò profondamente.
Che ragazzo sciocco e testardo.

“E allora io ti libero da quest'incombenza!”

“Non è con te che ho prestato giuramento!”

“Ma ne sono io l'oggetto, quindi fai come ti dico!”

“Se la prenderanno con te!”

“Impossibile! Li ho già cacciati via l'altro giorno!”

“Torneranno..!”

“Tutti i vicini hanno confermato che non ho mai potuto soffrirti, visto che sei uno sfaticato che non paga mai l'affitto!”

“Non basterà a convincerli...”

“Gintoki Sakata!”

Quasi lo urlò, e Gin non poté fare a meno di zittirsi.
Otose lo stava fissando con uno sguardo acceso davvero terribile.

“Ma non lo vedi che stai solo cercando delle scuse? Tu vuoi andare laggiù a combattere...a vendicarti! Perché stai cercando di non farlo?”

Anche Otose dunque si era accorta del suo conflitto interiore.
Gin abbassò il capo, forse per la vergogna, forse per ammettere il suo turbamento.

“Perché è successo ancora? Perché devo di nuovo combattere?”

Otose addolcì il tono.
Non aveva mai visto quel ragazzo in uno stato così prostrato.

“Non so perché ti sia capitato un destino così difficile, Gintoki. L'unica cosa che ti posso dire è che se non segui il tuo cuore, non devi aspettarti che pentimenti e rimorsi infiniti. Per tutto il resto della tua vita!”

In fondo aveva ragione.
Anche Saigo gli aveva detto più o meno le stesse cose.
Anche Shiroyasha non stava facendo altro da quando si era ridestato. In tutti quei giorni non aveva mai smesso di sussurrargli all'orecchio dolci parole di vendetta e di sangue.
Lui stesso ormai se ne era quasi convinto.
Era stato davvero stupido a cercare le più labili scuse per non fare quello che aveva fatto.

Vedendo che il volto del ragazzo aveva ripreso la consueta tranquillità, Otose pronunciò infine l'ultima cosa che mancava a Gintoki per diventare completamente convinto.

“Gintoki Sakata: ti libero dalla promessa che hai fatto a mio marito. Non sei più in obbligo di proteggermi.”

Gin alzò appena lo sguardo per incrociare gli occhi di Otose.
Una nuova determinazione gli si poteva vedere dipinta in volto.
Un leggero sorriso, che voleva racchiudere un silenzioso ringraziamento, e poi si alzò.
Erano stati recisi tutti i legami che lo tenevano ancorato a quel luogo.
Ora non aveva altro da fare che muoversi verso il suo destino.

“Aspetta!” Otose lo richiamò, prima che lui uscisse dal locale. “Dove stai andando, idiota?”

“Che domande! Devo combattere, no?!”

“Conciato in quella maniera?!”

Solo in quel momento Gintoki si accorse che effettivamente non poteva certo dirsi equipaggiato per un assalto in grande stile.
Non aveva più la sua fidata spada di legno, e nemmeno quella che Katsura gli aveva dato, visto che si era irreparabilmente danneggiata dopo lo scontro con Shinu.
E ora che ci pensava bene, non aveva nemmeno la più pallida idea di dove potesse essersi rintanato quel maledetto assassino.

“Ehi, vecchia! Non è che sai dove stanno i Tendoshu?!”

Otose sorrise divertita, sentendo di nuovo quel tono di voce così da...Gin.

“Sei proprio un caso perso, lo sai? Seguimi!”

Gin la seguì nel retro del negozio, dove la vecchia aveva la sua stanza.
Parzialmente nascosto in un angolo buio, c'era un baule scuro, piuttosto semplice, decorato con i simboli che usavano i combattenti Joi per camuffare i pacchi clandestini.
Gintoki rivolse uno sguardo confuso ad Otose.

“L'ha portata il tuo amico con i capelli lunghi.”

“Zura?!”

“Katsura, sì. Ha detto che ti sarebbe stata utile quella roba.”

Che diavolo poteva mai esserci in quel baule?

“Ah!” continuò Otose, sfilandosi una busta dalla manica del vestito “Mi ha anche detto di darti questa lettera. E di assicurarmi che tu la legga, prima di stracciarla, bruciarla o affettarla. Parole sue.”

Gin afferrò la busta con un gesto secco, nervoso.
Aveva ancora sullo stomaco la faccenda di Katsura.
Dovette però ricredersi sul suo amico non appena diede un'occhiata veloce al contenuto della lettera.
Zura aveva messo insieme tutto quello che i Joi sapevano sui Tendoshu: chi erano, dove stavano. I loro movimenti, le loro abitudini. E poi, mappe e cartine del palazzo dello Shogunato. E buona parte della documentazione riguardava proprio Shinu, il solo Tendoshu che realmente interessava Gintoki.
Gin lesse avido tutte le informazioni che erano state scritte. Di una precisione spaventosa, quel plico conteneva tutto quello di cui aveva bisogno.
Solo in fondo alla lettera, Zura si era azzardato a scrivere qualcosa di personale.

“So che probabilmente non avrai più nulla a che fare con me, e non posso certo dire che non ti capisco per questo...anche se ne sono molto dispiaciuto. Perdere la tua amicizia, anzi no, perdere la tua fiducia, è qualcosa che non avrei mai voluto affrontare. Ti prego, accetta le mie più sincere scuse. E se per caso non vorrai farlo, ti prego almeno di accettare ciò che è contenuto nella cassa che ho lasciato dalla signora Otose.
Te ne restituisco il contenuto, anche se ho sempre sperato che tu non ne avessi mai più avuto bisogno.
Buona fortuna Gintoki.
So che avrai successo.
Zura.”

Rileggendo velocemente quelle poche righe, Gintoki fu preso dalla curiosità.
Che ci poteva essere di suo in quella cassa?
Non ricordava di avere mai lasciato nulla di suo a Zura.
Spostando la cassa al centro della stanza, ne aprì il coperchio con circospezione.
Sbalordito, rimase qualche minuto fermo immobile a fissarne il contenuto.

Non ci poteva credere!
Quel maledetto cretino di Katsura aveva conservato quelle cose per tutto quel tempo!

Gli occhi di Gintoki scivolarono lungo la sua vecchia armatura, adagiata sulla casacca dell'immacolato kimono bianco che usava in guerra. C'era addirittura anche la fascia bianca che si legava in fronte prima di ogni battaglia.
E non si accorse nemmeno che la mano destra era andata ad afferrare con decisione la spada, la sua vecchia e fidata spada, la più fedele compagna in tutti i suoi combattimenti.

Si, ora in effetti ricordava di averla affidata a Zura.
Il giorno che si era definitivamente ritirato dalla guerra, il giorno in cui aveva abbandonato il Movimento Joi. Il giorno che aveva deciso che quella vita non faceva più per lui.
Aveva affidato la sua spada a Katsura, per fargli capire quanto fosse seria la sua decisione.
Non voleva più combattere. Non voleva più uccidere.
Aveva preso in cambio una spada di legno, suggellando così la sua decisione.

Ma ora che la sua amata era di nuovo tra le sue mani, sentiva come un impulso irresistibile. La spada aveva compreso lo stato d'animo del suo padrone, ed ora smaniava per essere estratta.

Ora che era di nuovo al suo fianco, poteva davvero fare tutto.




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Angolo dell'Autrice:

Ultimo capitolo in cui si blatera un sacco e non si agisce! Promesso!
Nel prossimo blatereranno un sacco lo stesso, ma almeno ci sarà azione! Tanta, tanta azione! *_* eheheh!
Siamo quasi alla conclusione, ma vi assicuro che le cose rimarranno piene di suspance fino all'ultimo!


- Sarhita: "Vivere senza vivere veramente, o combattere e smettere comunque di vivere." No, direi che hai azzeccato perfettamente il pensiero di Gin! *_*
[cit.] "Aspetta...
...se Gin è pronto a combattere vuol fire che i prossimi capitoli saranno piuttosto avvincenti! Evvai!"
Questa frase mi ha fatta ridere un sacco! XD Grazie mille per il commento!

- mizukage: Saigo ti sta ancora guardando male... °_°
Ma ha anche sbuffato, e ha detto "Massì, in fondo è una brava ragazza..!"
Chi lo capisce è bravo! XD

- Gintokina: Grazie mille! *_* Mi fa piacere sapere che approvate il mio Gin! Alla prossima!

- ballerinaclassica: Guarda, Otae è il personaggio per cui ho più sofferto, in questa storia. Appunto perché sa reprime bene le cose spiacevoli, quando si lascia andare è proprio perché non ce la fa più. Tremendo! ç_ç Povera cara..!


Fatemi sapere i vostri commenti, pareri o critiche!

Grazie a chi vorrà lasciare una recensione e a quanti leggeranno e basta.

Beat




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Capitolo 9
*** Capitolo IX ***



Disclaimer: i personaggi non mi appartengono e questa fiction non è stata scritta a scopo di lucro.

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Capitolo IX


Si dice che nella nebbia si nascondano i fantasmi.
Spiriti di persone morte anzitempo, vittime innocenti, sventurati che non riescono a trovare la pace nella morte. Infelici e persi per il resto dell'eternità.
Si dice che la nebbia serva a ricordare ai vivi il dolore dei morti.
Le anime vagano nella nebbia, sfiorando la vita, ma senza mai più poterla toccare.

Quella mattina la nebbia era densa e fitta, come se fossero stati in pieno inverno.
I deboli raggi dell'aurora donavano a quella distesa immacolata un bagliore inconsueto. Quasi spettrale.
E come uno di quegli spiriti irrequieti, Shiroyasha avanzava lento tra la foschia.
La sua figura candida sembrava scivolare lungo il percorso, i contorni che si confondevano nella nebbia.
Un'atmosfera davvero spettrale.

E lui li sentiva, lì, accanto a lui.
I due spiriti per cui stava cercando vendetta.
Shinpachi e Kagura erano lì con lui, lo accompagnavano silenziosi lungo la strada.

Quella mattina non si sentì nemmeno un uccellino cinguettare.
Il tempo pareva sospeso. Anche lui quasi tratteneva il respiro, in attesa di conoscere l'esito di quell'ultima battaglia.
Gintoki emerse dalla nebbia quando ormai era proprio davanti al palazzo dello Shogunato.
Un edificio imponente, maestoso.
Che presto sarebbe stato tinto di sangue.

“Altolà! Non ti muovere! Identificati!”

Gintoki si limitò a mostrare alla guardia un sorriso storto, fulminandolo con un'occhiata carica. L'uomo tremò visibilmente, e fece in tempo appena a soffiare dentro il fischietto che portava appeso al collo prima che questo gli fosse staccato dal resto del corpo con un unico colpo di spada.
Purtroppo però l'allarme era stato dato e, solerti come tanti piccoli insetti, una mezza dozzina di uomini della Shinsengumi erano sbucati dall'interno dell'edificio presidiato.
Gintoki afferrò saldamente la spada e si preparò a colpire di nuovo.

“Fermi! Ehi, bello, aspetta!”

La nebbia rendeva ancora difficile distinguere i visi, ma la voce era indubbiamente quella di Okita.
Il ragazzino si avvicinò con cautela a Gintoki, finché entrambi non si poterono vedere distintamente uno con l'altro.
Piantò i piedi per terra, con decisione, ma non sembrò avere la minima intenzione di sfoderare la spada. Le braccia lungo i fianchi erano rilassate.
Non voleva combattere.
Non per il momento.
Rimasero per qualche attimo tutti immobili, in attesa.
Ma visto che la tensione era quasi più palpabile della nebbia, uno dei sottoposti di Okita non si trattenne dal richiamarlo.

“Vicecomandante, stia attento!”

“Ci penso io, voi non intervenite. Per nessun motivo!”

Okita aveva cercato di non mostrare nessun segno di disagio, ma Gintoki aveva visto il bagliore di dolore che per un attimo aveva attraversato gli occhi del ragazzo.

“Ah, davvero? Vicecomandante?! Allora il tuo sogno si è finalmente realizzato?!” chiese con un'allegria che non provava realmente. Per Hijikata, quel fendente diretto alla gola doveva essere stato fatale.

“Eh, già. Forse dovrei ringraziarti..!” rispose Okita con lo stesso, falso, tono leggero.

“Forse...” Gintoki vide la mano destra di Okita contrarsi in uno spasmo.

“Ma forse no!”

Ed eccolo che attaccava.
Gintoki parò il primo colpo con difficoltà.
Stringendo i denti, riuscì a fatica a respingere Okita, che però non perse un secondo a balzargli addosso di nuovo.
Cominciarono a scambiarsi colpi su colpi, in una successione incredibilmente veloce.
Era la prima volta che combattevano sul serio, e solo in quel momento Gin capì come mai tutti considerassero quel ragazzino l'uomo più pericoloso della Shinsengumi.
Non era per il fatto che non aveva scrupoli, o perché era il Principe del pianeta Sadico.
No.
Okita era forte. Molto più forte di qualunque umano Gintoki avesse mai affrontato.
E non si trattava di mera forza fisica, in quella erano bene o male alla pari.
Okita era svelto come un gatto, e come un felino capace di artigliarti nella maniera più dolorosa e inaspettata possibile.
Balzava da un lato all'altro con estrema facilità, adattandosi a tutti gli schemi d'attacco che Gintoki improvvisava.
E in più sapeva dannatamente bene come maneggiare la spada.
Più volte utilizzava colpi ad una mano sola, e lo stesso riusciva a mettere in difficoltà le parate di Gintoki.
Il quale si trovò costretto a far ricorso a Shiroyasha.
Non avrebbe voluto coinvolgere anche Okita, ma il ragazzino lo stava ostacolando. E il solo modo per aprirsi un varco fino ai Tendoshu era togliere di mezzo il neo-Vicecomandante.
Abbandonò tutte le insicurezze. Abbandonò il suo cuore: lo chiuse in fondo al buco nero dell'odio e del dolore.
Si lasciò andare al puro istinto: quello del guerriero, quello del Demone che aveva tinto di sangue tutti gli innumerevoli campi di battaglia su cui aveva messo piede.
Scartò di lato, all'improvviso, colpendo con un calcio il fianco scoperto di Okita.
Il ragazzo accusò il colpo: gli sentì un singulto mozzarglisi in gola.
E prima che potesse rimettersi in equilibrio, Gintoki era già partito con la stoccata definitiva. Un affondo e anche per Okita sarebbe sceso il sipario.
Ma Sogo si dimostrò un avversario ben più ostico del previsto.
All'ultimo istante riuscì a deviare il colpo quel tanto che bastava perché la spada non gli spaccasse il cuore.
Trattenne a stento un urlo di dolore quando la lama gli trapassò la spalla. Sentì chiaramente il sonoro schiocco della clavicola che si frantumava.
Gintoki attese un attimo di troppo per estrarre la lama. Prima che potesse colpire di nuovo, Okita gli aveva afferrato un braccio, impedendogli di allontanarsi.

“Ehi, amico...ma che cosa stai facendo?!” balbettò.

Gintoki lo fissò, cercando di rimanere impassibile.
Quel ragazzino aveva una lama conficcata nella spalla, ma ancora si stava rivolgendo al suo assalitore con lo stesso tono scanzonato con cui di solito gli parlava.

“Dov'è finito il tuo bushido?”

La maschera d'impassibilità di Gintoki si incrinò.

“Cosa..?”

“Tu...non hai...sempre combattuto...per proteggere...gli altri?!”

Gin serrò le labbra.
Come osava..?

“Mi hanno portato via tutto quello che avevo da proteggere!” soffiò, irato come non mai.

Rigirò la lama della ferita.
Sogo sussultò, gemendo.
Tremava per il dolore, ma lo stesso non aveva ancora lasciato andare il braccio di Gintoki.

“Perché...perché sei qui..?”

Gintoki lo fissò, perplesso.
Era ferito, perdeva sangue, e ancora stava lì a parlare.
Perché?

“Perché sono qui? Ovvio, mi pare. Vendetta.”

Okita rise, anche se questo gli provocò altri dolorosi spasmi.

“Vendetta per loro...o per te?”

“Cosa?”

“Per che cosa ti stai vendicando? Per calmare gli spiriti dei tuoi amici...o solo per la tua sete di sangue?”

Gintoki si irrigidì, furioso. Non disse nulla.
Ma Okita continuava a parlare, incurante della debolezza che lo stava vincendo.

“I samurai comunicano meglio con la spada che con le parole, giusto?! Beh, quello che io ho capito combattendo contro di te oggi è che tu stai voltando le spalle a tutto quello in cui dicevi di credere. Vuoi combattere solo per placare l'odio che ti rode dentro!”

“E anche se fosse?” chiese Gintoki, lentamente.

“Verrai sconfitto.”

La mano di Gin che reggeva la spada tremò d'improvviso, e questo provocò un'altra fitta di dolore ad Okita.
Il ragazzo annaspò sotto di lui, ma trovò di nuovo la forza per parlare ancora.

“Verrai....verrai sconfitto da te stesso...potrai anche uscirne vivo dallo scontro con i Tendoshu...ma di Sakata non rimarrà più molto...”

La presa sul suo braccio si stava facendo sempre più debole.
Gli occhi gli si stavano chiudendo.

“Spero...spero davvero...di non diventare uno...spirito errante...non sopporterei...l'eternità con...con la cinesina...”

Gintoki estrasse con un gesto secco la spada dalla spalla di Okita. Il ragazzo gemette di dolore, ma prima che il sangue potesse prendere a zampillare con ferocia, Gin premette con forza la ferita, bloccando come poteva l'emorragia.

“Hijikata gongolerebbe come un matto a rivederti così presto...” mormorò.

Gintoki si volse per chiamare a gran voce i sottoposti di Okita.

“Ehi voi! Se non volete cambiare di nuovo Vicecomandante è meglio che lo portiate subito all'ospedale!”

Gli uomini che per ordine di Okita erano rimasti immobili fino a quel momento, si mossero istantaneamente per soccorrere il loro capo. Uno di loro sostituì Gintoki nel tenere premuta la ferita, e il samurai indietreggiò per allontanarsi.

“Ehi, tu! Dove credi di andare?!”

Uno di loro, decisamente più solerte degli altri, si era voltato per fronteggiare Gin.
Ma prima che uno dei due potesse fare una sola mossa, Okita, con voce quanto mai debole, ordinò al suo uomo di non intervenire.
Questi lo guardò come se il ragazzo fosse ammattito, ma Okita era ancora abbastanza lucido per impartire ordini severi.

“Ma...Vicecomandante!”

“Mi assumo io tutte le responsabilità..!”

Gintoki lo fissò negli occhi ancora un attimo.
Gli fece un breve cenno con il capo, prima di voltarsi e correre verso il suo obiettivo.

Come era stato stupido!
Stava davvero per fare una stupidaggine colossale.
Aveva sempre disprezzato quelli come Takasugi, quelli che combattevano solo per il piacere di combattere. E lui aveva rischiato di fare la stessa cosa.
Okita aveva ragione. Aveva sempre combattuto per difendere qualcuno, per degli ideali, per dei nobili motivi.
Quella era la sua strada, la sua ragione di vita. Il suo bushido.
E se ne era quasi dimenticato.
A causa della sua cieca stupidità aveva rischiato di far rimanere per sempre Shinpachi e Kagura degli spiriti erranti. Essere inquieti, impossibilitati perfino ad avere il meritato riposo della morte.

Doveva combattere per loro.
Per l'ultima volta, doveva proteggerli.

Il cuore di Gintoki prese a pompare con maggiore velocità.
Non sapeva per quale motivo, ma ora era di nuovo galvanizzato.
Come lo era sempre nelle battaglie per lui più importanti.
Come doveva esserlo anche in quell'occasione.
Avrebbe combattuto con la veste e la forza di Shiroyasha, ma il cuore e la mente era di nuovo suoi.
Per proteggere per l'ultima volta quello che aveva di più caro al mondo, era pronto.

Si fece largo tra la folla, impiegati e gente comune.
La gente strepitava impazzita, quando vedeva quella figura spettrale che correva come un diavolo per i corridoi del più importante palazzo di Edo.
Atterrò molto guardie, nel farsi strada. Ma per quanto poteva, evitò di colpirli più duramente del necessario.
Cercando di ricordare le indicazioni che gli aveva lasciato Zura, arrivò infine nell'ala ovest del tredicesimo piano.
Corse per l'ultimo tratto, e sfondò l'unica porta di legno scuro che gli si parò di fronte.
Shinu non diede segni di sorpresa, nel vederlo piombare come un tornado nel suo ufficio.
Compostamente si alzò dalla scrivania, la mano sull'elsa della spada, e fece due passi in direzione di Gintoki.

“Sai, non credevo che saresti riuscito ad arrivare fin qui. Anche se trovo il tuo gesto piuttosto stupido, visto che adesso non puoi più fuggire!”

“Non è mia intenzione scappare.” ghignò Gintoki, mani sui fianchi e sorriso strafottente sul volto “Sono qui per ucciderti!”

Shinu rise come se avesse sentito la battuta più divertente del mondo.

“E come pensi di fare? Se non ricordo male, l'altra volta non sei riuscito a colpirmi nemmeno una volta!”

“Le cose cambiano!”

“La tua forza no. Morirai!”

“Sono pronto ad accettare la mia morte. Ma in ogni caso...io vincerò!” Gintoki estrasse la spada, che brillò di sinistri bagliori d'acciaio “Chi osa toccare senza rispetto ciò che mi appartiene, che siano dei pirati spaziali o lo Shogun...o anche un meteorite: io lo farò a pezzi!

Un respiro lento, calmo. L'ultimo.
E poi un grido, pieno, dal fondo dei polmoni.
Un furioso grido di guerra che squarciò l'aria.

L'ultima battaglia era cominciata.






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Angolo dell'Autrice:

Fiuuuu...stroncato sul più bello...ahahah!
Sono sinceramente molto soddisfatta di come è uscito questo capitolo. Mi piace.
Solitamente sono critica - e parecchio - sul mio lavoro, ma questo capitolo mi è piaciuto scriverlo e mi è piaciuto come alla fine è uscito. Okita l'ho semplicemente adorato.
Anche se lo so che sono bastarda e ho comunque fatto morire Hijikata! ;_; Chiedo scusa al mondo.
Bah, vuol dire che sfoggerò di nuovo questo:
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Ringrazio tantissimo chi continua a recensire questa storia.
Ragazze, mi fate davvero felice. E mi fate arrossire un sacco. Vi adoro! Non so proprio come ringraziarvi!

- Sarhita: Ok, tu mi vuoi far morire d'imbarazzo, l'ho capito. ^///^
Che altro posso aggiungere alla tua bellissima recensione? Credo nulla, perché hai già detto tutto quello che era possibile dire sul capitolo scorso. Davvero. Hai sintetizzato perfettamente i personaggi di Zura e di Otose. Fantastica!
[Un OAV così potrebbe far morire di crepacuore tutti i fan di Gintama! Me compresa! XD]

- mizukage: Bellissima la tua descrizione di Katsura. Bellissima.
E io adoro anche Otose. Anche se non lo sopporta, è molto, molto affezionata a Gintoki. *_* Sono così teneri uno con l'altra.

- Gintokina: *gongola* Ecco un'altra che mi vuole far morire d'imbarazzo. Grazie infinite per il magnifico commento. Sul serio, non sai quanto io apprezzi. Grazie!
E Gintoki noi lo amiamo anche quando è in crisi. *_* Waaah!

- Naki_ssj: Grazie mille anche a te! Purtroppo giungi un pò tardi, la fiction è praticamente alla sua conclusione. Ma spero che continuerai a leggere, anche le mie altre e prossime storie! ^^ Al prossimo capitolo!


Fatemi sapere i vostri commenti, pareri o critiche!

Grazie a chi vorrà lasciare una recensione e a quanti leggeranno e basta.

Beat




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Capitolo 10
*** Capitolo X - Epilogo ***



Disclaimer: i personaggi non mi appartengono e questa fiction non è stata scritta a scopo di lucro.
La storia e il disegno invece sono miei.

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Capitolo X


La reporter in televisione parlava a voce alta, per sovrastare il concitato rumore che proveniva tutto attorno a lei. La gente strillava, le sirene delle ambulanze e dei pompieri facevano un fracasso terribile.

“Ancora nessuna dichiarazione ufficiale da parte dello Shogunato sull'attacco che il palazzo del governo ha subito questa mattina presto. Indiscrezioni dicono che si sia trattato probabilmente di un attacco di terroristi.
Testimoni dell'accaduto hanno confermato la presenza di samurai. Non si hanno ancora stime precise sul numero delle vittime e dei feriti di quest'attentato.
Per ora possiamo solo informare i telespettatori che Okita Sogo, il nuovo Vicecomandante della Shinsengumi, è stato ricoverato in seguito ad uno scontro con i terroristi. Le fonti lo danno come grave, anche se fortunatamente non in più pericolo di vita.
E purtroppo dobbiamo confermare che anche uno dei nobili Tendoshu, l'Onorevole Shinu, è stato brutalmente assassinato. I particolari non sono stati ancora resi noti, ma a quanto pare sembra che probabilmente era lui la vittima designata di quest'attacco.
Nessuna novità invece riguardo l'identità degli assalitori. Voci dicono che si tratti del movimento Joi, ma molti testimoni affermano di aver visto un solo samurai compiere questo attentato. Naturalmente vi terremo informati riguardo ogni...oh!
Gentili telespettatori, dalla regia mi informano che è disponibile un video con delle immagini dell'assalitore. Con un po' di pazienza... Dalla regia mi danno qualche problema tecnico. Comunque sia questo misterioso samurai si sarebbe già guadagnato un soprannome dalla folla. Pare che chiunque sia rimasto in qualche modo coinvolto nella faccenda non abbia dubbi che il nome “Akayasha” sia più che indicato per questa persona, che nonostante tutto è riuscita a sfuggire alla autorità. Ah, ci siamo, ecco a voi le immagini esclusive dell'att...”







Otose spense il televisore.
La sigaretta che aveva cominciato a fumare si era consumata da sola, da tanto lei era rimasta presa dal servizio del telegiornale.
Non era nemmeno mezzogiorno e già in tutta Edo si sapeva quello che era successo al palazzo dello Shogunato. E in televisione non si parlava d'altro.
Aveva seguito tutti i risvolti della storia, ma non aveva retto alla vista di quelle immagini.
Era terribilmente sollevata nel sentire che Gintoki se l'era cavata anche quella volta. Ma il suo vecchio cuore non poteva sopportare di vedere quelle immagini.
Già quel nomignolo, Akayasha, non le aveva lasciato intendere nulla di buono.

Demone Rosso.

Il vedere Gintoki coperto – totalmente coperto – di sangue era troppo.
Era stata lei l'ultima persona che l'aveva salutato, quella mattina. Si era preparato a dovere, aveva lucidato l'armatura e la spada. I vestiti immacolati erano di un bianco perfetto.
Il bianco doveva essere il suo colore.
Non il rosso del sangue. Chissà poi se solo dei nemici o anche suo!

“Signora Otose, tutto bene?”

Catherine le si era avvicinata, porgendole un bicchiere d'acqua.
Otose la ringraziò con un cenno del capo, e bevve lentamente.

“Otose...”

“Sto bene Catherine, non ti preoccupare.”

“Forse dovresti lasciare perdere. Non ti fa bene alla tua età ascoltare certe cose.”

“Ah, figurati. Mi avrebbe fatto stare peggio non sapere niente.”

Otose sospirò, imitata anche da Catherine.
La vecchia si accese una nuova sigaretta, visto che la precedente si era consumata senza che potesse darne se non un paio di tiri.
In lontananza si sentì la sirena di un'ambulanza.

“Otose?” domandò dopo un po' Catherine.

“Che vuoi?”

“Che succederà adesso a Sakata?”

Otose prese una lunga boccata di fumo, e la soffiò fuori lentamente.

“Non lo so, Catherine, non lo so. Spero che riesca a lasciare Edo senza farsi scoprire. Poi il resto dipende solo da lui. Per ora Gintoki non è che uno dei tanti disperati che hanno perso tutto, uno di quelli che vagano senza meta. Ha tagliato tutti i ponti che gli erano rimasti. Spero davvero che presto riesca di nuovo a trovare qualcosa per cui vale la pena di vivere. Sarà incapace di scorgere un futuro finché nel suo cuore non aleggerà altro che il dolore di un passato indelebile.”




*°*°*°*°*



Un passo dopo l'altro.
Sempre avanti, finché le gambe lo sorreggono.

Il crepuscolo era ormai vicino ma Gintoki continuava a camminare.
Sempre più lentamente, perché le forze stavano cominciando a scemare.
La spada al fianco gli pesava.
Le vesti incrostate di sangue lo infastidivano.
Eppure non aveva intenzione di sbarazzarsene.
In quel momento non possedeva null'altro.

Un passo dopo l'altro.

Passò accanto un piccolo villaggio di contadini. A quell'ora probabilmente tutte le famiglie erano serenamente attorno al tavolo per la cena.
A pensare al cibo il suo stomaco fece un buffo rumore.
Gintoki rise senza motivo e riprese a camminare.
Il buio sempre più intenso alla fine gli impedì di vedere oltre.
Il ragazzo sospirò lentamente, come se l'aria faticasse ad uscire dai polmoni. Ormai era rassegnato a passare la notte sotto il primo albero disponibile.
Non troppo lontano ne scorse uno molto alto.
Con le ultime energie si avvicinò.

Ironia del destino, quell'albero che aveva adocchiato si trovava proprio al centro di un cimitero diroccato. Probabilmente dove i contadini del villaggio vicino seppellivano i loro morti.
Gintoki sbuffò al destino che lo ha condotto di nuovo in un luogo così poco ameno.
E decisamente poco invitante.
Si lasciò infine scivolare lungo il tronco dell'albero.

Per riposare andrà più che bene.

L'odore del sangue rappreso lo infastidiva, ma non ci poteva fare niente.
Anche volendo, ci sarebbero volute delle ore a cercare di farlo sparire. E anche mettendoci tutto il suo impegno, probabilmente la veste non sarebbe nemmeno più tornata pulita come un tempo.
Pazienza.



Lenta, scende la nebbia della sera.
Un velo argentato, leggero, che copre tutto.
Un'ala protettiva che dolcemente sfiora le lapidi del cimitero.
Le sue voluttuose spire nascondono e proteggono.

Il cuore finalmente ha smesso di battere all'impazzata.





Per ora non si può fare altro che dormire.








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Angolo dell'Autrice:

Finita.
Con questo chiudo definitivamente la storia.
Forse questo capitolo vi avrà un pò deluso, ma è già da un pò che ci lavoro e penso che la conclusione non poteva essere altro che questa. Non serviva descrivere il duello. Non servivano parole di troppo.
Perché Gintoki ha perso tutto e al momento nussuna parola di conforto sarebbe adeguata.


Come sempre, ecco qui le risposte alle recensioni:

- mizukage: Grazie mille per lo splendido commento! Sono davvero felice che ti sia piaciuto. La parte della nebbia in effetti ci ho messo un pò a scriverla, perché volevo renderla davvero al meglio. Sono contenta che l'abbia apprezzata così tanto! Grazie!
E grazie per aver continuato a seguire questa storia.

- Sarhita: Grazie mille per il commento! Come sempre fantastico! Si, anche io penso che Okita sia molto di più di un ragazzino sadico. E sì, perfino lui è affezionato ad Hijikata. Non lo sopporta, ma gli vuole davvero bene.
Ti ringrazio infinitamente per i bellissimi commenti che mi hai lasciato per tutta la storia. Grazie!

- Sayoko_Hattori: Guarda, in relatà quell'userbar l'ho piazzata lì apposta per allentare un pò la tensione, visto che sapevo benissimo che il capitolo scorso non era certo dei più leggeri. Ah, grazie per la correzione. In effetti la rilegatura sta proprio sulla "K" e riuscivo a leggere solo "Azumi". Grazie mille per avermi seguita fino alla fine, anche se è stato impegnativo!

- Gintokina: Manca lo scontro, spero che la cosa non ti abbia deluso troppo. In fondo c'è stato quello con Okita, ho messo lì tutto lo splatter e la violenza che serviva. Mai esagerare. In ogni caso, grazie mille per i complimenti e per tutte le recensioni che hai lasciato durante la storia. Grazie di cuore!

- _u_z_u_: Toh, è vero, è il compleanno di Gintoki. Mi sa che non gli ho fatto un bel regalo di compleanno, proprio per niente. Vabbé.
Grazie mille per il commento!



Ringrazio sentitamente tutti quelli che hanno letto, che hanno commentato, che hanno seguito questa storia.
Grazie e tutti!



Beat




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