Da
anni, ormai, portava quella fede al dito.
Il
luccichio di un tempo pareva un ricordo lontano, opaco. Ricordava a
tratti la celebrazione del matrimonio - rigorosamente in stile
occidentale -, il buffet, il ristorante, i caratteristici balli
così
come le ormai proverbiali canzoni melense.
Yukari
si massaggiò le tempie, piuttosto nervosa; quando si
guardava
indietro vedeva solo una grande voragine bianca: nessun altro colore
in alternanza a questo bagliore.
Ma
i bagliori sono destinati a morire, in un attimo. E così era
stato
anche per lei: la scintilla si era accesa subito con Tokumori, lei
lo aveva amato, lui l'aveva avuta, l'aveva fatta sua... E poi,
più
nulla.
Il
tutto si era ridotto ad un banale rapporto di coppia, vincolato
solamente da carte firmate parecchi anni addietro, quando due giovani
sposini appena usciti dal liceo si erano fatti delle promesse troppo
grandi per la loro età.
Forse
quello era il settimo anno che erano sposati –
contò con le dita,
rendendosi conto che pareva esser passato un lustro.
Prese
la foto sbiadita sul comò, soffiandoci sopra... Piccoli
batuffoli di
polvere erano andati ad intaccare l'aspetto regale di quella cornice
dorata. E Yukari aveva prestato una certa attenzione ai dettagli di
quella foto, osservando la vecchia chiesa, scarna all'esterno
così
come all'interno; non avevano voluto fiori né alcun tipo
d'addobbo,
erano tutti soldi sperperati inutilmente, quelli.
Un
semplice tubino le aveva fasciato il corpo, evidenziando le curve che
aveva sempre nascosto sotto un pesante maglione e un bel paio di
jeans a vita bassa. E poi ricordò – stavolta con
più precisione –
il rituale, lo scambio delle fede nuziali, i rigagnoli trasparenti
che le avevano inumidito il viso, i chicchi di riso tirati dagli
invitati.
E
più volte le era stato chiesto, quel giorno, se fosse
incinta, per
sposarsi in così tenera età. A quanto pare per la
gente credere
nell'amore è cosa assai difficile.
Ripensandoci
adesso, quelle loro espressioni scettiche non la stupivano
così
tanto.
“Yukari...
Tesoro”, la cornice le cadde di mano ed andò ad
impattare contro
il cuscino del divano. Tokumori stava controllando qualcosa nella
cartella di pelle – perché adesso era persino
laureato, un medico,
sì. Per la felicità di sua madre che aveva sempre
desiderato
vederla accoppiata ad un buon partito.
Yukari
si controllò da capo a piedi, fabbricando un sorriso
piuttosto
amaro. “Sì?”, disse, portandosi una
ciocca corvina dietro il
lobo destro.
“Sicura
che ci sia tutto?”, suo marito aveva il vizio di controllare
ogni
singola cosa, talvolta appuntava persino su dei post-it gli oggetti
che doveva portare con sé.
“Sì,
possiamo andare”, lo prese sotto braccio, trascinandolo fuori
dalla
porta. Fece girare la serratura un paio di volte, sospirando
laconicamente. Tokumori aveva già acceso la macchina, stava
riscaldando il motore, adesso.
La
donna si avviò nell'autovettura del marito, allacciandosi la
cintura.
Vedeva
la strada correre davanti a sé, alberi e rami che danzavano
sospinti
dal vento; il cielo era plumbeo quel giorno, l'acqua si preannunciava
a catinelle, ottimo tempo per una gita di un paio di giorni. Tokumori
le aveva tanto parlato di questo suo amico – non ricordava
nemmeno
il nome -, costui pareva aver frequentato per un tempo la sua stessa
Università, medesimo corso. Poi, l'amico aveva capito che
Medicina e
qualsiasi cosa annessa ad essa era l'ultima cosa che avrebbe sognato
di fare così pareva essersi dedicato al mondo decisamente
più
contorto della Moda. Non che le fosse mai interessato
granché simile
argomento, anzi, più i suoi abiti erano prêt-à-porter,
più si sentiva comoda. Un corpo come il suo era sprecato
dietro una
scrivania e delle noiose carte di un colore ormai ingiallito... Aveva
perso ormai il conto delle innumerevoli persone che le avevano
consigliato la carriera di modella, decisamente più adatta
alle sue
forme da taglia quarantadue.
Più
volte ci aveva pensato, ma alla fine Tokumori – come al
solito –
era intervenuto, frantumando quel suo sogno; in parte, probabilmente,
era quello che non c'era più tra loro due: la
complicità. Il
feeling che credevano d'avere un tempo, quel sorridersi e capirsi a
vicenda, un incontro di sguardi bastava per sentirsi la sua
Yukari.
Ora
gli sguardi sembravano volgere altrove, a qualcosa di più
materiale.
Ora che c'era la possibilità economica, la consapevolezza di
un
futuro radioso e di una vecchiaia felice, parevano esser svaniti
tutti i problemi. E invece, Yukari, avrebbe desiderato ardentemente
ritornare ai vecchi tempi da liceali, quando si parlava utopicamente
di matrimonio, se ne aveva una vaga idea... E quando Tokumori, a soli
diciassette anni, le aveva proposto una cosa del genere, sopra un
muretto innevato, lei era scoppiata a piangere, di pura euforia.
“Sai
che dovrai mantenere la parola data, Tokumori?”
Lui
le aveva preso il volto, studiandolo bene da un lato all'altro.
“Credi che sia un bugiardo?”
Aveva
detto, piccato. “C-Cosa?”
“Sposami”,
stavolta il suo tono era più cavalleresco, più
serio, meno
giocherellone.
Yukari
era arrossita, in netto contrasto con la neve che era posata sul
muretto sopra il quale sedeva. “Non so come faremo
Hiro”, era la
prima volta che lo chiamava per nome. Voltò il viso da una
parte,
sbuffando delusa. “Oltretutto ci vogliono soldi, molti soldi
per
costruirsi una vita insieme”
Turbamento
nello sguardo del ragazzo. Si era seduto accanto a lei, l'aveva
avvolta nella sua stessa sciarpa bicromatica.
Poi,
stringendola a sé, le aveva soffiato nel timpano:
“E se non ci
volessero?”, e Yukari l'aveva guardato, piuttosto scettica.
Il
sopracciglio arcuato all'ingiù, le labbra pigramente
dischiuse in un
piccolo ovale di puro e semplice stupore. Una nuvoletta ghiacciata si
era condensata nell'aria, il respiro decisamente affannato della
ragazza, piuttosto agitata. “Ci sono persone che si sposano
per soldi, Yukari... Ci sono persone che si sposano per
amore”, e
l'aveva baciata, un contatto dolce e intenso che sarebbe rimasto
indelebile nella memoria della giovane ragazza, come la neve...
Eterna e immutabile, un soffice manto che ogni volta sembrava diverso
ma che, in fin dei conti, era sempre la stessa solfa.
Solo
ogni volta più magica.
Picchiettò
due dita sul finestrino, annoiata. Aveva socchiuso gli occhi, aveva
tentato di cadere tra le braccia di Morfeo, ma quello l'aveva
bellamente rifiutata, facendola rimaner desta e in piena
consapevolezza delle sue facoltà mentali. Suo marito
continuava a
guidare, senza posare nemmeno gli occhi sulla sua leggiadra figura,
senza aver notato minimamente i riflessi chiari che si era fatta il
giorno prima per diletto. Era rimasto inerme, come al solito.
Yukari
davanti gli occhi di Hiro era nuda, ma lui non se ne accorgeva... e
quell'amore che tanto decantava? Dov'era?
Era
stato un fulmine, veloce e precipitoso... Poi si era spento, aveva
distrutto qualcosa, incrinato un ramo, forse quello più
importante,
la madre di tutti i rami che tengono insieme la quercia.
Hiro
conservava ancora quel fascino ribelle - sebbene sui lati degli occhi
si potessero notare le prime rughe d'espressione –
evidenziato dal
semplice ciuffo disordinato, i capelli arruffati come un giovincello.
Se non fosse stato per quegli occhiali da vista e quel portamento da
uomo in carriera, lo avrebbe volentieri confrontato con
un'adolescente qualsiasi, giusto per relazionare analogie e
differenze.
“Perché
mi fissi?”, incredibile, le aveva perfino rivolto parola.
Yukari
sorrise, passandogli una mano tra la folta zazzera scura. Hiro non si
era scomposto di un millimetro, le aveva intimato solamente di non
infastidirlo troppo, specie se guidava su un'autostrada trafficata.
“Pensavo
al tempo che passa...”, sospirò, sentendo i fili
liberarsi dalle
proprie dita. In un attimo afferrò solo il vento,
l'inconsistente,
l'irreale.
Sulle
labbra indugiò un sorriso mesto, il volto che volgeva
inevitabilmente all'ingiù. “... ricordi quando
eravamo
adolescenti?”
Hiro
accennò un sì affermativo col capo. “Ne
è passata di acqua sotto
i ponti, Yukari”, le ricordò lui, fermandosi, a
causa del
traffico. Adesso picchiettava le dita sul volante, nervosamente.
“Già,
ho paura di dimenticare a volte”, sguardo in alto, cielo
sempre più
scuro.
“Siamo
destinati a dimenticare”, precisò lui, piuttosto
algido.
“Un
tempo non lo avresti detto”, lo sfidò lei,
ricordando una delle
sue solite frasi da piccolo rivoluzionario.
“Non
ci dimenticheremo mai chi siamo” – grossomodo
era così e
aveva usato tale espressione assieme ad un gruppo di studenti, per
uno sciopero.
Si
stupì di se stessa: la memoria rivangava reminiscenze che
parevano
sepolte, invece ora le piombavano come mille saette tutte in testa,
ricordo dopo ricordo; il cuore provò uno scossone, nel
ricordare
simile emozione.
“Siamo
destinati anche a mutare, scientificamente”, e come sempre il
lato
professionale era prevalso. Si chiese se quella laurea in medicina
non facesse smettere di battere i cuori dei dottori, piuttosto che
rinvigorirli.
“E...
praticamente?”, allungò le labbra, cercando quelle
dell'uomo. Un
bacio sfuggevole, che le aveva lasciato sulle labbra solo l'ombra di
un vero bacio. Lo aveva sentito appena sulla bocca, non era stato
piacevole, tanto meno vellutato... Piuttosto rapido, come per
accontentare la principessa capricciosa e concederle quello che le
spettava.
Tutta
colpa del traffico, aveva precisato un attimo dopo, lui... Aveva
piegato le labbra in una smorfia agrodolce, tentando di falsificare
la propria felicità. Aveva svelato le perle immacolate,
tentando
d'irradiare il volto del marito, così da non farlo
preoccupare
troppo.
“Mi
ami?”, quello che era un pensiero rivolto più a se
stessa che
all'uomo che aveva di fianco, si trasformò in una frase.
“Come?”,
Tokumori come al solito era distratto, sfuggente.
“Niente.
Assolutamente niente”, e aveva disteso lo schienale, fingendo
di
aver sonno... Aveva socchiuso gli occhi per tutto il viaggio, in
dormiveglia.
Si
chiese se le persone ricche, fossero quelle più felici e se
– come
avevano detto in molti, ormai era celebre quella frase – il
denaro
costruisse in qualche modo la felicità.
La
risposta la sapeva già, ovviamente.
Il
labirinto segreto dell'amore.
Quando
le avevano parlato di quella modesta villa in un isolato di campagna,
priva di rumore di città e smog assassino, l'ultima cosa che
si
sarebbe aspettata sarebbe stata una megalomane struttura in marmo e
pietra antica, delle più disparate varianti cromatiche.
Yukari
roteava le pupille da un lato all'altro e si convinse di aver fatto
una brutta impressione, quella di un'allocca sprovveduta, una
ragazzina. Ma come reagire in modo diverso davanti a tale sperpero di
denaro?
Ettari
ed ettari di terreno, metri e metri di barricate di ferro, un'immensa
struttura, mille finestre, altrettante stanze, fontane che spuntavano
in ogni dove. Da queste ultime scaturivano immense cascate di acqua e
se ne sentiva il rumore, talmente forte che copriva ogni parola.
Tokumori si guardò attorno, anch'egli meravigliato,
tant'è che si
chiese se fossero davvero capitati nel posto giusto, se quello fosse
l'indirizzo esatto. Riguardò il bigliettino spiegazzato, era
certo:
quella era l'abitazione – pareva un eufemismo definirla
così –
che gli era stata indicata, come da accordi telefonici con l'amico.
Peraltro avevano un amico piuttosto utile dalla loro parte: il
navigatore satellitare. Indi, non c'era alcun dubbio che quella fosse
la sontuosa abitazione di uno degli stilisti ormai più
popolari del
Giappone – e presto anche del mondo, se lo sentiva.
E
proprio a venir loro incontro, vi era un'affascinante signora con uno
strano look: un abito pomposo, da gran dama. Come se in quell'immensa
cornice vi fosse pitturato un quadro rinascimentale, così
Yukari e
Hiro si sentivano stonare in mezzo a così tanto gusto per
gli
accessori e per l'abbigliamento generale.
“Piacere,
Isabella”, fece un inchino, educata. La donna si
tirò su il velo
bianco, come quello dei funerali che usavano le donne affrante dal
dolore, solo in quel contesto in maniera decisamente diversa. Loro
due annuirono, piuttosto scettici.
La
suddetta donna – Isabella, si ripeté Yukari
mentalmente – li
guidò in lungo e in largo, mostrando loro quanta bellezza e
fascino
trasudava quella Villa, appartenuta ad un famoso re d'inizio
Settecento, a quanto pareva.
“Joji!”,
mentre Yukari si guardava a destra e a manca, rimirando uno ad uno la
bellezza fulgente di quei fiori dischiusi, il timbro esaltato di Hiro
non poté che aguzzare il suo senso dell'udito.
Così, la giovine
voltò il viso di porcellana, in direzione di un cavaliere
tutto d'un
pezzo.
Sbarrò
gli occhi quando trovò davanti a sé la figura
regale dell'uomo.
Tutto perfettamente abbinato, in linea con quei suoi occhi
più
azzurri dell'oceano e i capelli del medesimo colore.
Nell'abbraccio
fraterno, Yukari saettò con lo sguardo in quello dell'uomo e
Joji
fece lo stesso, pur ricambiando la stretta amica, dimostrandosi
più
distaccato, però. “Oh... Mia moglie”,
precisò, presentandoli.
Allungò
una mano l'uomo e, mentre Yukari si aspettava una stretta di mano,
Joji le aveva baciato galantemente il dorso, soffiando sopra la sua
pelle con morbidezza. Attimo di esitazione nel suo sguardo,
sopracciglia impercettibilmente incrinate davanti lo charme dello
stilista, che adesso aveva iniziato a parlare di argomenti futili con
suo marito o, quantomeno, dei bei tempi andati.
Lei
si nascondeva dietro un velo color pesca, celando i segni di
un'evidente imbarazzo. Eppure doveva darsi un contegno – si
ripeté,
tentando di staccare la presa dalla figura elegante dell'uomo.
“Vuoi
visitare il giardino?”, Isabella le si affiancò,
dimostrandosi –
a discapito delle apparenze – una donna assai gradevole ed
educata.
Yukari si trovò ad annuire col capo, seguendo i passi della
nobildonna – aveva l'impressione che fosse una gran duchessa,
una
marchesa... Comunque sia qualcuno di alto rango.
Davanti
a sé una distesa verde. Alti cespugli, roveri impigliati
l'un con
l'altro in modo assai astruso, siepi che ostacolavano lo sguardo e
impedivano di vedere ben oltre la barricata. Aveva l'impressione che
dietro quel giardino che stava ammirando, si nascondesse ben altra
popolazione – era un enorme rettangolo visto dall'alto, un
labirinto di proporzioni abnormi.
“È...
stupendo”, lo catalogò con una sola parola.
L'ovale
di stupore disegnato sulle labbra della giovine stentava a cedere,
Isabella invece conservò il suo sorriso di porcellana,
mantenendo
una certa indifferenza: probabilmente aveva visto quello spettacolo
tante volte, per lei era abitudinaria quella scena.
“Joji
ha scelto questa Villa per il giardino. Ha esplicitamente ordinato di
non tagliare mai la siepe”
“Oh...
E perché?”, domanda che le parve naturale.
“Secondo
Joji oltre la siepe non c'è futuro. All'interno della siepe,
invece,
c'è un certo profumo... Quello della felicità e
della speranza”
Yukari
si zittì. La leggera melodia che si udiva nell'aria era
qualcosa di
surreale, non ascoltabile dalle menti meno fantasiose, solamente da
quelle speciali.
Espirò
a pieni polmoni.
“Ha
ragione”, convenne, allargando teatralmente le braccia e
facendo
una piroetta su se stessa, come una grande ballerina. “Ha
pienamente ragione”, confermò, la voce appena un
po' emozionata.
~
“Ottima
cena”, Hiro posò il tovagliolo di stoffa sul
tavolo, distendendosi
sul comodo schienale. Si complimentò con la
servitù – donnine di
mezz'età che passavano con un vassoio attorno agli ospiti,
pronti a
servirli e riverirli –, poi stiracchio un po' le braccia in
alto,
piuttosto provato dalla stanchezza. “Stanco,
Tokumori?”, domandò
Isabella, picchiettando le unghie limate sul tavolo.
Tanti
candelabri su quella tavola sfarzosa, agi e lussi parevano all'ordine
del giorno. Yukari si sentì un'estranea, provava un certo
disagio.
Tante posate ai lati del piatto, autentici bicchieri di cristallo
–
finissimo cristallo, si corresse – e una distanza quasi
abissale la
divideva dal resto degli ospiti.
Una
folata di vento giocherellò ballerina sulla propria pelle,
facendole
provare una strana sensazione, un brivido. Vide Hiro alzarsi, le
augurò la buonanotte con un pudico bacio sulla guancia, un
tocco
ghiacciato sulla propria epidermide.
La
donna imitò quel gesto, indecisa sul da farsi.
Preferì concentrarsi
su tutt'altro, come una sana lettura, magari accanto ad un
fuocherello scoppiettante, seduta sulla poltrona di velluto. Questi
suoi propositi non rimasero tali, tant'è che
s'avvicinò alla grande
libreria, studiando i titoli di libri e leggendone gli autori. Nomi
che scorrevano nella sua mente, opere già lette,
già viste, già
consultate. Un dito sul mento, l'aria assente.
“Potrei
esserti utile?”, la gentilezza di Joji era quasi adulazione,
visto
la baldanza con cui si proponeva davanti a lei. Un altro bacio
soffiato sulla mano, il repentino rossore sulle guance di marmo.
“Leggi
molto, a quanto vedo”, disse lei, aprendo una vetrina e
tossicchiando dopo alcuni secondi, a causa dei granelli di polvere.
“O forse no”, ironizzò, mentre vide un
ghigno sardonico spezzare
le labbra del giovane.
“Uno
dei tanti modi per corteggiare una donna”, lanciò
la mano al
vento, come a mostrargli l'impero nel quale viveva; Yukari sorrise,
complimentandosi con se stessa per la veridicità delle sue
ipotesi:
Joji era un donnaiolo, fatto e finito.
“Credo
che mi dedicherò a Shakespeare, allora”
Accordò
un'occhiata con l'uomo, afferrando una delle più grandi
opere del
mito, probabilmente: l'Amleto.
“Essere...
O non essere?”
“Mi
fa pensare che tu non abbia mai letto l'Amleto... Dicono
così tutti
coloro che non hanno consultato l'opera”, scoppiò
lei in una
fragorosa risata.
Si
guardò in giro: a quanto pareva anche Isabella si era
dileguata, la
servitù non la vedeva più in giro. Non sapeva
perché ma restare da
sola con Joji le provocava un senso di soggezione misto ad agitazione
ed uno strano formicolio alle dita, troppo per un carattere freddo
come il suo. Ebbe l'impressione che Joji non avrebbe allietato
sicuramente la sua lettura, ammesso che fosse riuscita a leggere una
riga senza sentir lo sguardo dell'uomo penetrare nel suo.
“Ho
ammirato davvero molto
il giardino”, calcò con particolare
enfasi sull'apprezzamento, risultando probabilmente fastidiosa; Joji
se ne accorse ma non mutò il cipiglio severo ed affascinante
che
contraddistingueva un'indole intrigante come la sua.
“È
stata la sola cosa che ti ha colpito?”, s'allungò
verso di lei,
fino a tastarle – con una pressione non indifferente
– le lunghe
dita, fino a scorrere con l'indice sui polpastrelli affusolati e
sentir le unghie limate che sbattevano contro il dorso della sua
mano.
Respirò
a malapena, Yukari. “No, non solo...”, disse,
sentendo un
groviglio intrecciato di nodi possedere la sua gola. Il proposito che
si era fatta quella sera doveva aspettare, a quanto pareva; non era
serata da Shakespeare, quella.
La
più cauta fanciulla è già troppo
prodiga
se
rivela la sua bellezza alla luna;
la
virtù stessa non sfugge alle frecce della calunnia,
il
verme insidia le gemme della primavera
prima
ch'esse sboccino,
e
nella mattutina rugiada della giovinezza
i
soffi del contagio sono più minacciosi. (*)
E
così, in men che non si dica si ritrovò in quella
selva oscura. Le
parve assai diverso dal luogo quasi regale e paradisiaco che aveva
visto in mattinata; ora avvertiva nelle narici l'odore d'erba fresca,
vedeva volare alcuni corvi neri che si rifugiavano in lande
più
desolate. Un timore che non diede di certo a vedere, non si sarebbe
abbassata così tanto; Joji portava con sé un
candelabro, di quelli
da tavolo, come si vedevano nei vecchi film. Quattro candele disposte
sopra il suddetto soggetto in metallo, le fiammelle lampeggiavano
appena, ostacolavano la piena visuale dell'uno e dell'altro, facendo
cozzare più volte i loro corpi, imbranati come due
adolescenti.
Le
mani di Yukari erano intrecciate su se stesse, le stava torturando
come mai in vita sua. Si guardava indietro, ogni tanto, perdendosi
d'animo alla vista della propria ombra sul suolo piastrellato.
“Voglio
farti vedere una cosa”, proferì Joji, prendendole
istintivamente
una mano. E di nuovo quelle labbra morbide sulle sue, mentre un altro
granello di gelo si scioglieva all'interno del suo cuore, ed era un
altro organo quello che batteva ad una velocità quasi
esasperante;
aveva paura di scoprire cosa
fosse.
“Vedi?”,
il suo braccio ora si stringeva intorno alle sue spalle, con il lume
invece faceva splendere la fitta siepe. “Apparentemente
sembra solo
una siepe”, le levò le parole di bocca.
“Ma hai mai provato a
vedere all'interno?”
Yukari
non seppe cosa ribadire, si limitò a sfiorare i rovi che
componevano
quel rettangolo ben squadrato, mentre l'uomo la guardava con cipiglio
meno austero, più gentile.
“A-All'interno?”, domandò, piuttosto
scettica.
“All'interno
della siepe ci sono i sogni, Yukari”, le mostrò,
facendo una
piroetta intorno a se stesso e aprendo le braccia con fare teatrale,
mostrandole l'eleganza e la raffinatezza del grande giardino.
“E
questi sono i rami certi della vita, Yukari”, le disse,
mentre
osservava l'ovale che disegnava la sua bocca. “... Vuoi
rischiare?”
Non
rispose, si limitò a pizzicarsi il labbro superiore con le
dita
ossute, gracili.
Il
giardino era una sorta di antro, un rifugio sicuro.
E
si perdevano tra le siepi, vagabondavano in quel labirinto senza
fine, ridacchiavano febbricitanti ed eccitati, come due adolescenti
nel turbinio del primo amore; Yukari non ricordava che la passione
potesse avere un volto così intrigante.
Il
respiro di Joji solleticò la sua pelle, il suo profumo la
faceva
rinvigorire, il sapore delle labbra dell'uomo erano un toccasana per
la sua bocca – si accorse solo allora che avevano varcato la
linea
tra sogno e realtà. Ora era tra le braccia di Joji... Non
sapeva né
come, né perché, ma lui si era invaghito del suo
profumo e, come
con tutte le cose, l'aveva posseduta, circuendola con infide
lusinghe, a cui aveva scioccamente preso parte.
Stava
di fatto che adesso due gambe andavano ad impattare contro la sua
femminilità mentre, con maggior potenza, Joji la spingeva
contro una
siepe gremita di rovi. Passò un dito intorno al suo mento,
fermò
per un momento quella scia di baci che lui le stava minuziosamente
deponendo in ogni dove.
“Yukari...”
“No.
Scusa... Fai pure”, il respiro mozzo, il controllo
assolutamente
nullo del proprio corpo. Joji l'aveva trattata come una preziosa
bomboniera: l'aveva scartata piano, attento a non farle troppa
pressione. Veli su veli, finché non aveva risvegliato
l'animo
indomito che dormiva in lei, finché non l'aveva portata in
Paradiso;
adesso, il momento culminante, come il guerriero che si sta per
consegnare nelle mani dell'avversario, Yukari doveva prendere una
decisione che avrebbe avuto le sue conseguenze, senza dubbio.
Ma
perché pensare? Perché razionalizzare quando
l'indomani sarebbe
tornata ad essere una donna frustrata e umiliata davanti un marito
assolutamente indifferente alla sua bellezza?
E
così, ridendo come un'ebete, diede il suo consenso,
permettendo a
Joji di scavare in lei, farla sentire viva, nuovamente... Fu dolce
quando con incredibile leggiadria le carezzò i fianchi,
mosse un
dito – uno solo le faceva quell'effetto, diamine! -
sottraendo
parecchio del suo controllo. Ed erano labbra quelle che si muovevano
tenaci sul proprio ventre, dita quelle che giocavano nei propri
jeans, capelli quelli che pungevano ispidi la sua epidermide.
Scattò
come una molla quando Joji la fece del tutto sua, premendo con
maggior potenza laddove la carne diventava più debole; un
gemito si
perse insieme ad un nuovo battito – lo sentiva, lo sentiva! -
ed un
ghigno sardonico indugiò sulle labbra dell'amante, mentre
questo
cercava di tirarle via l'inutile indumento che fasciava le sue gambe.
Lo
fece suo, prendendo il suo volto tra le proprie mani, disegnando
nella sua mente le morbide labbra che l'avevano resa di nuovo viva,
avevano acceso in lei il sacro fuoco della passione.
Fu
con un capitombolo in avanti che i due, dimostrando un coordinamento
tutt'altro che buono, cozzarono contro le piastrelle bicromatiche
grigio madreperla del pavimento. E ancora capelli che solleticavano
il corpo dell'amato, i fili corvini che ballavano sopra il petto di
Joji, lenti e cadenzati, si tenevano sulle punte come ballerine di
danza classica ed avevano il vezzo di cadere in continuazione sullo
sterno dell'uomo.
Baci,
baci, ogni tanto qualche carezza, raramente un abbraccio che
l'avviluppava all'interno delle grandi braccia di Joji,
trasmettendole un po' di calore in una notte in cui le temperature
scendevano vertiginosamente rispetto al giorno.
“Joji...
Mi dici una cosa?”, chiese lei, posandogli l'indice nel mezzo
del
labbro inferiore e quello superiore.
“Dimmi”
“Con
me... Guarderai oltre la siepe o resterai all'interno?”,
paura di
sapere la risposta.
Paura
di volare... E di cadere.
Il
nodo in gola stringeva forte, il sorriso quasi perenne sul volto di
Yukari stava iniziando a cadere a brandelli nel momento stesso in cui
sentì un silenzio religioso sulle labbra di Joji.
“Non fa
niente... Non è necessario che tu mi risponda”,
s'accoccolò sul
suo petto, cercò un indumento per coprirsi le spalle magre.
Joji
provvedé a sistemargli la sua camicia, le sue braccia
correvano su e
giù sulla propria schiena, nel vano tentativo di scaldarla.
Sembrava
quasi una ninna nanna, tenera e dolce litania, strofe di una canzone
irripetibile, note melanconiche e surreali di un amore che tale non
era
per il sesso opposto. Un'avventura, un'avventura occasionale.
Paura
di cadere... Paura di frantumarsi, come vetri.
Il
riflesso dello specchio si sofferma sui particolari, coglie le
fattezze di una bambola perfetta, Yukari. Forse non sa che ogni
sorriso deve affrontare una lacrima per andare avanti.
Credevi
forse che ti avrebbe amata, per questa squallida notte? Il caldo
brucia i neuroni, il freddo congela i cuori. Ed è stato
così anche
per lui: nell'afa del momento si è donato a te, poi, col
sangue
freddo che contraddistingue gli uomini potenti come lui, si
è
ricreduto.
L'ingenuità
era sempre stata una costante nella sua vita. L'innocenza stessa che
aveva palesato sposandosi a diciotto anni, prendendosi un impegno
troppo gravoso per le sue esili spalle, sobbarcandosi di dolore e
sofferenza solo pochi anni dopo, quando ormai anche l'amore si era
sciupato.
Eppure
lei voleva credervi, ancora. E qual modo migliore se non un'altra
–
cocente – delusione?
Oh,
dolce e tenera cecità!
Il
tuo volto mi vuol così male?
Dentro
di sé sapeva di aver peccato, di essersi concessa come una
donnina
nella furia del momento, di aver profanato la sottile linea della
fedeltà. E ora guardava l'anellino d'oro, aveva voglia di
strapparlo
dalle dita... Un rigagnolo salato le solcò le guance chiare,
l'ennesimo segno di debolezza.
Sentiva
il respiro regolare del ragazzo, osservava il suo petto cadere in
basso e in alto, ritmicamente. Le mani calde che si stringevano nelle
sue, intrecciate in una danza senza fine.
“Il
labirinto dell'amore...”, disse, guardandosi attorno. Nel
fitto
buio distinguevano solo alcuni contorni reali, doveva addentrarsi
maggiormente con lo sguardo per cogliere i particolari. Aveva trovato
un soprannome perfetto, sì.
Si
rialzò, attenta a non svegliare Joji. In piena notte fonda
si
rivestì, poi ispezionò bene l'amante che aveva
davanti a sé,
stampandogli un tenero bacio sulla guancia destra.
Si
defilò, ancora il respiro mozzo, ancora il sapore di Joji
sulla
pelle, ancora la vertiginosa sensazione di sentirsi venir meno, ogni
volta che lui indagava nel suo sguardo.
Paura
di cadere?
No...
– si corresse, abbozzando
un
sorriso birichino – Voglia
di rischiare.
*****
Domani arriva l'Epilogo.
Che dirvi? Non me l'aspettavo proprio
°°... Ci tenevo tanto a questa fic, è vero,
perché penso che metta in luce uno degli aspetti
più veritieri della società odierna: la gente -
non dico tutti beninteso - si sposa pensando "Tanto se va male,
c'è il divorzio". Ecco, sono partita da questa affermazione
- piuttosto triste, direi - ed ho elaborato la mia storia... Poi ho
preso in considerazione la siepe e le ho dato il mio significato.
Oltretutto, per questo contest, dovevamo partire da un'immagine, io ho
scelto questa: Qui.
E' presto detto il significato del titolo, quindi.
E' la prima volta che mi cimento in questo fandom, spero tanto di aver
fatto - come si suol dire - una bella figura XD
Grazie, inoltre, per il Premio per lo Stile *O* - inaspettatissimo! - e
per i banner, fatti da Shurei <3.
Riporto il giudizio di DarkRose86:
I classificata
Il Labirinto segreto dell'Amore
di SuperKiki92
Correttezza grammaticale:
9,25/10
Stile e lessico: 10/10
Caratterizzazione dei
personaggi: 10/10
Originalità:
9,5/10
Attinenza al tema:
10/10
Apprezzamento personale:
4,5/5
Voto complessivo:
53,25
Giudizio: è
la prima storia che leggo su Paradise Kiss, e mi ha decisamente
soddisfatta. Un'ottima alternative universe, realistica e ben scritta,
sicuramente una bella sorpresa.
Tecnicamente è quasi perfetta, lo stile è curato
ed elaborato, grammaticalmente parlando ho trovato qualche errore che
per correttezza ti riporto qui: "un'enorme rettangolo" va senza
apostrofo, "un'amore" idem; "Joji provvedé a sistemargli la
sua camicia" in questo caso dovresti mettere sistemarle, dato che ti
riferisci ad un personaggio femminile. A parte questi, non ho notato
altri errori.
I personaggi sono ottimamente caratterizzati, dai principali alle
comparse, in particolare ho amato il ruolo di Isabella anche se si vede
solo in due scene e non ha grande importanza per la trama della
fanfiction: probabilmente ho apprezzato così tanto la sua
apparizione perché adoro il suo personaggio, che
è il mio preferito in assoluto in Parakiss. Mi è
piaciuta in particolar modo la caratterizzazione di Joji, e ce l'ho
visto benissimo in un ambiente così sfarzoso, adatto
decisamente ad uno come lui. Ed è dolce Yukari che si sente
in soggezione di fronte a tanto lusso, e che debole si lascia andare
alle attenzioni che lo stilista le riserva, per poi decidere
d'inseguire il proprio, reale sogno: la libertà. Credo sia
questo il messaggio che la tua storia vuole trasmettere, correggimi se
sbaglio. La bella Hayasaka è stata intrappolata, da piccola,
all'interno di una sorta di gabbia che l'ha resa quasi succube di Hiro;
lei che non ha vissuto come le sue coetanee ma al contrario ha pensato
solamente allo studio come desiderava sua madre, ha pensato che
Tokumori - bello, intelligente, gentile - fosse il massimo, dal momento
che non aveva avuto la possibilità di conoscere altre
persone, di avere relazioni sociali. Dopo qualche anno di matrimonio
però si è accorta che non era quella la vera
felicità: che quest'ultima dev'essere cercata, inseguita, ed
è proprio questo il bello della vita. Non le si
può quindi attribuire una colpa, se non quella di aver
piantato in asso un marito troppo freddo e incapace di accorgersi della
bellezza del fiore che gli stava accanto. E Joji, come si suol dire, ha
colto la palla al balzo, liberando la giovane sposa, spezzando le
catene che la legavano ad un uomo che forse non ha neppure mai amato.
Una storia di rivincita, si potrebbe dire così. Anche
d'adulterio, è vero, ma comunque insegna. Insegna che nella
vita bisogna ponderarci su prima di prendere decisioni importanti come
il matrimonio, e non buttarsi a capofitto in storie dal futuro incerto.
Ti ho dato un voto molto alto in originalità
perché hai trattato un argomento delicato con maestria,
senza luoghi comuni o stereotipi. Inoltre, il finale è
sorprendente ed inaspettato!
Ottima l'attinenza al tema.
Insomma, complimenti davvero per questo piccolo capolavoro che fa onore
al fondom di Paradise Kiss, purtroppo trascurato. Scrivi ancora su
questi personaggi, ne necessitiamo. <3
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