In nebula di Mannu (/viewuser.php?uid=32809)
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Capitolo 1 ***
Capitolo 2: *** Capitolo 2 ***
Capitolo 3: *** Capitolo 3 ***
Capitolo 4: *** Capitolo 4 ***
Capitolo 5: *** Capitolo 5 ***
Capitolo 6: *** Capitolo 6 ***
Capitolo 7: *** Capitolo 7 ***
Capitolo 8: *** Capitolo 8 ***
Capitolo 1 *** Capitolo 1 ***
In nebula - 1
A Cassiana
1.
Era appoggiata con i gomiti al bancone e dava le
spalle agli altri avventori. Miki osservò il suo
cocktail colorato: non riusciva a spiegarsi cosa
ci stesse a fare in quel locale per fighetti. Forse
perché era stata attratta dal nome non standard:
Guardian Angel. Miki girò svogliatamente la cannuccia
nel liquido colorato. Non aveva voglia di stare
sola quella sera. Ma non aveva neanche intenzione
di rimorchiare qualcuno solo per sport, per
dimostrare qualcosa non sapeva neanche lei a
chi. Forse a se stessa. La verità era che si
sentiva enormemente sola: aveva voglia di un
abbraccio, di una carezza. Quasi era pentita di
non aver accettato a suo tempo le avances di
Jerrylex, ma cosa sarebbe stato alla fine se
non sesso? Allora tanto valeva farlo anche con
quel pervertito di Morgan! E sì, una cavalcata
fra le lenzuola non è l’attività più brutta
della galassia, confessò a se stessa. Ma fine
a se stessa non le avrebbe dato nulla, a parte
un po’ di sperma appiccicaticcio fra le
cosce. Miki rabbrividì a quell’immagine. Era
ancora persa nelle sue elucubrazioni quando
dallo specchio nero dietro il bancone un
movimento attirò il suo sguardo. Quando si
accorse di chi si trattava il cuore le mancò
un colpo e sprofondò da qualche parte sotto
Apollo. Aguzzò la vista, ma non c’era modo
di sbagliarsi. Era proprio lui, il secondo
ufficiale del Raja.
Incredibile come a volte il destino può essere
così subdolo e carogna, pensò. Stava proprio
pensando che le mancava un certo astronauta e che
con lui forse si sarebbe lasciata andare volentieri
a una sessione di ginnastica da letto. Bugiarda, non
è in questi termini che l’hai realmente pensata, si
corresse subito. Ed eccolo lì, proprio lui. Che
rideva. Con una donna. Si voltò per osservarli meglio
e con la segreta speranza di essersi sbagliata. Il
locale era diventato infatti sempre più affollato e
rumoroso ed era possibilissimo che fosse caduta in
errore. Ma dovette ammettere che la sua vista era buona. Il
Secondo si era sporto un po’ in avanti e la donna aveva
accavallato le gambe in una mossa seducente. Miki dovette
ammettere che, da quel che poteva vedere, era una tipa
davvero affascinante con quella tuta a un pezzo dai
pantaloni blu elettrico lievemente scampanati. Un
bellissimo blu che le fece sentire il morso dell'invidia. La
tutina le aderiva come una seconda pelle e calzava
stiletti dorati, sexy e arroganti. Si chiese chi
potesse essere quella e divorò con gli occhi la coppia
fino a quando li vide alzarsi. Miki si voltò nuovamente
verso il bancone, attenta a non farsi scoprire. I due
stavano uscendo dal locale, il Secondo aveva appoggiato
una mano dietro la schiena nuda della donna: un gesto
di protezione e possessione insieme. Miki sbuffò
e tornò a sprofondare nel suo drink. Voleva
dimenticare tutto e invece la sua pelle sentiva
ancora la sottile carezza di Jerrylex respinto. Si
sentiva proprio una derelitta: non solo era sola
come un cane, ma i guai sembravano avere un gusto
particolare a scovarla. Nell'ultimo caso avevano
assunto la forma di una sballata ragazzina che
l’aveva trascinata avanti e indietro per lo spazio
prima, e di un ancora più sballato pirata del
cyberspazio che dopo averla salvata dai suoi
inseguitori, l'aveva coinvolta in una rapina ai
danni degli yakuza. Tremava ancora al pensiero che
qualcuno della Triade riuscisse a trovarla. Erano
passati mesi ormai, ma quella era gente incapace
di dimenticare.
Alla fine il succo era lo stesso: mai che una volta
la vita le riservasse una sorpresa piacevole. Era
intenta a piangere sulle sue presunte disgrazie quando
una mano enorme si chiuse intorno al suo bicchiere.
- Questa roba è troppo forte per te, ragazzina.
Miki si girò con uno sguardo assassino, intenzionata
a litigare: non sono una ragazzina! Ma con sua grande
sorpresa quello si infranse sul Secondo, massiccio e
imponente, proprio dietro di lei. Incredula lo vide
portare alle labbra il suo drink e berne un lungo sorso.
- E anche troppo dolce! – continuò facendo una
smorfia – Vieni, ti porto in un posto dove sanno
bere.
Miki si alzò quasi stesse obbedendo a un ordine, troppo
sbalordita per arrabbiarsi.
- Ma…
Adesso era lei che il Secondo stava spingendo fuori
dal locale. Sentiva il contatto caldo ed elettrico della
sua mano premuta sulle proprie reni e si rammaricò di non
avere un abito scollato sulla schiena. La sua espressione
poi doveva essere proprio comica perché l’uomo ghignò
divertito. Miki non l’aveva mai visto così. I suoi
lineamenti di solito sembravano scolpiti nella roccia
viva e il suo contegno era molto più abbottonato di
quanto non sembrasse in quel momento. Fuori il quinto
settore era particolarmente animato, come sempre a
quell’ora. Coppie e gruppetti di vario genere
sciamavano dentro e fuori dai locali, la gialla
passava di mano in mano con molta più liberalità
di quanto i poliziotti, che pur pattugliavano le
vie, fossero disposti a concedere. Miki e il Secondo
camminavano vicini, senza parlare. Lei non aveva
idea di dove la stesse portando l’uomo, né del
perché. Si pentì di non essere vestita alla moda,
o quanto meno con un abbigliamento più curato. Aveva
ancora in testa la splendida donna con cui aveva visto
prima l’ufficiale del Raja.
- Chi era quella nel locale?
Il tono era stato più aggressivo di quanto avesse
voluto. Il Secondo alzò le spalle ma non rispose. Miki
non osò ripetere la domanda. Ma era incuriosita. Si
trovò a seguire l’uomo fin nel quarto settore:
pigiati dentro al Tubo poteva aspirarne l’odore
mascolino. Doveva stare attenta a non appoggiarsi
a lui ma con tutta quella gente intorno non era
facile. Era una situazione ad alto rischio e Miki
non doveva lasciarsi sfuggire le cose di mano. Non
voleva che lui sentisse il suo cuore battere
forte. In realtà il Secondo sembrava indifferente
a tutto ciò, alla sua agitazione, alla sua
emozione. Aveva lo sguardo perso nel vuoto e
non sembrava infastidito dal contatto con le
altre persone.
Il locale in cui entrarono era vetusto quasi
come i pochi avventori che sedevano lungo il
logoro bancone. Il Secondo, che Miki sapeva
chiamarsi Pavel Zebrinsky per aver a suo tempo
frugato di nascosto nel database del Raja, la
pilotò a un tavolino d’angolo e ordinò due Jolly
Rodgers. Quando l'ossuto cameriere portò loro
solo due bottiglie brune dall'etichetta
raffigurante un teschio bianco in campo nero
con due sciabole incrociate sotto, non poté fare
a meno di pensare a quanto bambini potevano
diventare gli uomini. Appena possibile si mettevano
subito a giocare con quelle sciocchezze. Poi
a lei non piaceva molto la forte birra nera e
avrebbe preferito di gran lunga uno di quei
drink colorati che era solita concedersi. Zebrinsky
con un paio di lunghi sorsi ridusse in maniera
considerevole il livello della sua birra.
- Perché mi hai portato qui? - chiese Miki,
di nuovo con più aggressività di quanto volesse.
- Per insegnarti a bere. Questa birra viene da
Mu1 ed è una delle più prelibate.
Miki inarcò un sopracciglio.
- Anche illegale, mi risulta.
L'uomo si strinse nelle larghe spalle concedendosi
un'espressione disinteressata.
- Non sono in vena d’indovinelli. Se mi hai portata
qui deve esserci un motivo, Secondo.
- Puoi chiamarmi Spyro.
- Non… Pavel?
Miki avrebbe voluto mordersi la lingua. Per un
soffio riuscì a trattenere un gesto di stizza. Cazzo,
adesso sa che mi sono informata su di lui. Questo
pensiero la innervosì ancora di più. Odiava sentirsi
così vulnerabile. Un no deciso fu la risposta alla sua
domanda. Miki si rifugiò nella sua birra, decisa a non
fare più passi falsi. Guardò ancora di soppiatto Spyro e
notò che quelli che sembravano ricami sul colletto del
suo cheongsam scuro erano in realtà raffinati ologrammi. Li
osservò per un momento, affascinata. Poi bevve una
lunga sorsata di Jolly Rodgers. Cazzo, questa birra
è buona per davvero, dovette riconoscere Miki aspettando
che l’uomo si decidesse a parlare.
- Sul Raja hai fatto un buon lavoro. Che ne diresti
di un altro viaggio?
- No.
Miki si irrigidì. Aveva risposto troppo in fretta,
con la lingua e non col cuore. Fece per tirarsi indietro
sulla sedia come per ristabilire le distanze, ma Spyro
le bloccò la mano sul tavolo. Lei sentì una vampata di
calore risalire lungo il polso: la mano di lui era asciutta
e ruvida, pesante. S’impose d’ignorare quella sensazione.
- Le sirene telasiane non dureranno per sempre e la tua
percentuale è bassa.
Era vero, ma Miki non avrebbe mai confessato le sue
difficoltà economiche. Non a lui.
- Sei a corto di soldi - affermò Spyro con sicurezza. Miki
sospirò: quella era una situazione cronica, non era difficile
da indovinare. I ventimila di Jerrylex erano evaporati in
fretta, assorbiti dal Coyote.
- E lasciare nuovamente il Coyote attraccato per chissà
quanto tempo? Costa. E poi cazzo, sono stellapilota!
- Un viaggio. È tutto ciò che ti chiedo.
- Perché io?
- Non lo immagini?
La risposta la lasciò spiazzata, Miki scosse i riccioli
con insofferenza. Era il suo tipo, decisamente il suo tipo,
ma ora la stava seccando.
- Ti ho già detto che non mi va di giocare ai fottuti
indovinelli!
Questa volta fu Spyro ad alzare un sopracciglio: le lasciò
la mano e Miki provò una sensazione improvvisa di freddo,
sentendosi abbandonata. Il che era assurdo a pensarci bene. O.K.,
non avrei dovuto mischiare gli alcolici, o forse dovrei
darmi una calmata, si disse inspirando profondamente
ma senza darlo a vedere. Ma Spyro non la guardava già
più. Finirono la birra e la serata sembrò doversi
concludere. Miki non sapeva se temerlo o sperarlo.
- Vuoi sapere chi fosse la donna che era con me?
Spyro aveva interrotto bruscamente il silenzio come se la loro
conversazione non si fosse mai interrotta e Miki si trovò
ad annuire, suo malgrado.
- La mia ex moglie, una stronza con i coglioni che
le fumano. Vuoi essere una vincente? E allora tira
fuori le palle, Michaela Patris.
Questo era veramente troppo. Miki s’infuriò: che cazzo
ne sapeva lui? Arrivava lì, con quel suo odore buono e
le mani calde che avrebbe desiderato sentirsi addosso,
le proponeva un ingaggio nel momento meno opportuno e
pretendeva che accettasse. Non farlo sarebbe stato
dimostrare di non avere le palle? Che maschilista del
cazzo! Si alzò bruscamente, avvampando.
- Me ne vado – annunciò seccamente, rinunciando però
a sbattergli in faccia tutti i suoi pensieri.
Anche Spyro si alzò, strisciò la propria card sul
lettore integrato nel tavolo per pagare e la seguì
fuori. Miki camminava veloce, rossa in viso. Era da
idioti comportarsi così, si rese conto che stava dando
il peggio di sé. Che stava mandando a puttane tutto.
Si fermò di botto e si voltò.
- Voglio sapere quanto. E per quanto tempo – domandò
al Secondo dietro di lei. Il volto di Spyro si aprì
in un largo, trionfante sorriso. Un’espressione del
genere di solito avrebbe indispettito Miki. Ma in quel
caso il suo cuore fece una serie di salti carpiati
all’interno del torace: cazzo, quest'uomo ha il sorriso
più sexy che io abbia mai visto, disse sentendosi
sciogliere dentro. Neanche il volto da vecchia canaglia
di Jerrylex le aveva scaldato il sangue in quel modo.
- La tariffa standard. Prenderai meno dell’altra volta:
non ci sono percentuali extra.
Miki cercò di ricomporsi, gracchiò qualcosa e richiuse
la bocca. Si schiarì la voce e ricominciò:
- Non ti prometto nulla. Fra quanto partirete?
Mai dare l’impressione di essere con l’acqua alla
gola. Spyro rispose che aveva settantadue ore di
tempo per pensarci. Senza quasi rendersene conto
i due continuarono a camminare insieme, verso
l’attracco del Coyote. Spyro cominciò a raccontare
di Rhina, l’ex moglie, responsabile del marketing
di una delle zaibatsu più potenti di Apollo. Miki
pensò a come potessero stare insieme due tipi
tanto diversi.
- Prima che io diventassi pilota, lei scriveva. Aveva
grandi ambizioni ma poca fiducia in se
stessa. Alla fine ha cominciato a vendere il
suo talento e ci ha preso gusto, a quanto pare. Dopo
ogni viaggio la trovavo sempre un po’ cambiata,
fino a che siamo diventati due estranei.
Miki a sua volta gli parlò delle sue disavventure
su La Tana, di Morgan il marinaio maniaco, di Ilah
la ragazzina stramba, antipatica e geniale. E della
discesa sul pianeta. Voleva impressionarlo: stupidamente
si sentiva bambina vicino a lui e raccontando le
sembrò di giocare a fare l'adulta. Stava anche per
raccontargli di Jerrylex ma si bloccò in tempo. Il
silenzio si fece teso. Spyro dovette intuire
qualcosa, ma non fece domande.
Giunsero all’attracco del Coyote.
- Bene vice-comandante... ti faccio sapere - fu
il freddo commiato di Miki. Si guardarono ancora per
qualche istante, indecisi. Spyro accennò un sorriso,
poi le voltò le spalle e si perse tra la folla. Miki
percorse a grandi passi il condotto ombelicale. Arrivata
all’interno della nave scalciò con foga gli anfibi e
si buttò sulla cuccetta personalizzata. Le squadre
di sostegno maggiorate che lei stessa aveva installato
per sostenere il telaio più grande fecero scricchiolare
il rivestimento della parete cui erano fissate.
Sono una maledetta cogliona, si rimproverò. Il perché
non avrebbe saputo dirlo, forse nella sua immensa
stupidità si era illusa che lui fosse interessato a
lei, invece si trattava solo di lavoro. Miki sentiva
le proprie guance bollenti e gli occhi pericolosamente
umidi.
Un cicalino la fece sobbalzare. Asciugandosi gli
occhi andò nel vestibolo antistante la camera di
equilibrio per vedere chi fosse. Sullo schermo comparve
il volto del Secondo.
- Ho dimenticato di darti una cosa – disse. Miki senza
starci a pensare su troppo, incuriosita e sorpresa, gli
diede il permesso di salire a bordo. Aveva il cuore in
tumulto: in fretta si sfregò il viso e si sistemò
inutilmente i capelli con le dita.
Dopo pochi istanti Miki se lo ritrovò davanti. Il
Coyote sembrava ancora più angusto con lui a
bordo. Com'era massiccio! Solo in quel momento
Miki si rese conto di essere scalza.
- Cosa volevi darmi?
- Questo.
Spyro la prese per le spalle e l’attirò violentemente
a sé, le sue labbra trovarono quelle di Miki. Lei gli
circondò il collo con le braccia, rispondendo con
entusiasmo al bacio, ancora incredula. Sentì le mani
di lui affondare nei suoi riccioli, le labbra di Spyro
erano roventi, il bacio si prolungò per un tempo
indefinibile. Miki non riusciva a pensare, presa dal
vortice di sensazioni che la travolgevano, teneva gli
occhi chiusi illogicamente timorosa che fosse solo un
sogno. Ma quelle mani che le accarezzavano la schiena,
quelle labbra che prepotentemente giocavano con le sue,
non potevano essere frutto della sua immaginazione. Si
staccarono brevemente per riprendere fiato, Miki si
rese conto che stava sorridendo come una scema. Ansimava,
il cuore le martellava in gola. Fece per dire qualcosa,
ma lui le mordicchiò il labbro inferiore strappandole
un gemito. Lo trascinò con sé verso il tavolo, il
contatto gelido del piano la fece trasalire anche
attraverso il tessuto ma fu contrastato dal calore
che le scaturiva dal ventre. Aspettò con ansia che
lui slacciasse i pantaloni, ma Spyro non sembrava
avere fretta. La spogliò lentamente facendola sentire
al tempo stesso provocante e vulnerabile. Quando
si dedicò al suo corpo, con le dita esperte, la
lingua vorace, Miki smise di pensare del tutto e
si lasciò andare completamente, desiderosa solo di
godersi le sensazioni che Spyro sapeva regalarle.
Aveva sempre pensato che il Secondo fosse tipo da
sesso ruvido e invece era rimasta sorpresa dalla
delicatezza e dall’abilità con cui l’aveva amata. Miki
sospirò soddisfatta: sentiva ancora quel sorriso da
deficiente stampato sul viso, ma non poteva farci
niente. Si erano trasferiti sulla cuccetta e si erano
addormentati per un tempo che non avrebbe saputo
quantificare. Si voltò verso l’uomo che dormiva,
il torace possente si muoveva al ritmo del respiro,
lentamente. Miki fece per alzarsi ma una mano
repentina la prese per un braccio.
- Dove vai?
La voce di Spyro, arrochita dal sesso e dal sonno,
la fece rabbrividire. Di buon grado si accucciò
contro di lui.
- A mettere qualcosa sotto i denti, non volevo
svegliarti.
- Verrai con me?
Miki si sollevò di scatto, i capelli gonfi e
l’espressione truce le davano l’aspetto di un
leone.
- Mi ha scopata per questo?
Come un folle vortice i frammenti delle sue
paranoie e delle sue insicurezze vorticarono
intorno a lei ricomponendosi in un orrendo
puzzle. Il volto di Spyro sembrò deriderla:
in un momento tornò a sentirsi la Miki insicura
e disgraziata di sempre. Avrebbe voluto
ammazzarlo. E poi ammazzare se stessa per
la propria stupidità.
- Mi sei mancata.
- Non prendermi in giro.
- Ti sembra tanto assurdo che qualcuno ti
desideri?
Miki si rinchiuse in se stessa. Quelle
rivelazioni l’avevano lasciata esterrefatta,
non sapeva più cosa doveva pensare. Chiuse gli
occhi, ma li riaprì subito allarmata quando
percepì la cuccetta cambiare assetto. Spyro
si era alzato e si stava vestendo. Sul suo
viso c’era un'espressione indefinibile;
forse delusione o rammarico.
- Torno sul Raja. Ti lascio il tempo di
pensare.
- Al viaggio?
Spyro alzò le spalle e non rispose. Rimase qualche
istante ancora sulla soglia della cabina, come
indeciso se dire qualcosa. Poi si voltò. Miki
guardò la sua ampia schiena scomparire e si morse
le labbra per non fermarlo. Si adagiò pesantemente
indietro e si coprì il volto con un braccio.
Stupida, pensò.
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Capitolo 2 *** Capitolo 2 ***
In nebula - 2
2.
Stupida! Non potevi startene tranquilla sulla
tua nave, si rimproverò mentre riempiva una
bottiglia di preziosa acqua. Fortunatamente le
modifiche fatte da Spyro avevano funzionato:
avevano tolto il controllo dell'acqua potabile
alla CPU di bordo. Percorse lo spinale principale
fino agli alloggi degli ufficiali ed entrò da
Korti, il capomacchina, non senza un certo timore
reverenziale. Era lei che stava peggio di tutti:
aveva tutti e quattro gli arti artificiali fuori
uso. Era completamente immobilizzata e cieca,
poiché anche gli occhi erano innesti cibernetici
resi inservibili dall'attività della nebulosa che,
presumibilmente, aveva bloccato il Raja.
Trovò Korti esattamente nella medesima posizione in
cui l'aveva lasciata.
- Chi è? - si allarmò subito.
- Sono Miki... - tutte le volte la stessa storia, si
disse scuotendo la testa. Forse ha anche un chip
auricolare, fuori uso pure quello, o forse è solo
angosciata dal fatto di dover essere accudita in
tutto.
- Vuole bere?
La donna, che non aveva perso una sola briciola
del proprio orgoglio e severità, scosse la testa. Troppo
ostinata anche per dire che ha sete, pensò
appoggiando la bottiglia sul tavolo. Fece scorrere
la poltroncina nel binario affondato nel pavimento
e si accostò al fianco della branda dove giaceva
l'ufficiale superiore. Il viso era duro, i lineamenti
tesi: anche se teneva le palpebre abbassate sopra gli
innesti spenti, l'anziana donna sembrava essersi
sdraiata solo per riposare un poco.
- Ha bisogno di andare in bagno?
Korti scosse la testa impercettibilmente. Miki cercava
di capirla: era umiliante per un ex soldato come il
capomacchina del Raja dover chiedere aiuto per pisciare,
ma anche lei aveva bisogno di essere compresa. Non era
gradevole essere imbarcata per accudire i motori dell'astronave
e trovarsi poi ad accudire l'equipaggio disabile come
un'infermiera.
- Per favore, vorrei stare sulla poltrona.
Korti aveva anticipato di un solo momento
la terza domanda di rito. Non potendo stare
sdraiata tutto il tempo, l'unico altro posto
dove poteva stare senza cadere era la poltroncina. Miki
la sollevò di peso con la sola forza delle braccia
e della schiena e la accomodò seduta al tavolo,
mettendole a posto le membra inerti come se fosse
una bambola di pezza.
- Ci vediamo più tardi – disse la donna. Miki la
guardò: era di profilo ora e i capelli corti e
bianchi non celavano la forma del cranio che appariva
roseo e pallido. Manteneva le palpebre serrate come
se fosse lei a non voler vedere. Vecchia testarda,
pensò mentre chiudeva la porta. È da tre giorni che
è in queste condizioni e non ha ancora imparato a
dirmi grazie.
Sospirò. Lo spinale era illuminato male, il Raja
era ancora alimentato dall'energia ausiliaria. Le tornò
alla mente il suo primo viaggio su quella nave, fatto
con le luci dimezzate: il container delle sirene
telasiane assorbiva notevoli quantità di energia. Fortunatamente
non era una nave moderna e non tutti i distributori
energetici erano sotto il controllo della CPU. I flussi
potevano essere messi in master per generare energia a
dispetto dei sistemi di controllo automatici. Con i
motori spenti e isolati, non sarebbe stato nemmeno
pericoloso da fare.
Toccava al Comandante, ora. Il suo alloggio era poco
più avanti, lì nello spinale superiore. Come tradizione,
comunicava direttamente col ponte di comando ed era
più grande e più arredato degli altri alloggi. Trovò
l'uomo sdraiato sul letto mentre con l'unico occhio
funzionante cercava di leggere un datapad spento.
- Posso fare qualcosa?
- Tutto a posto, Kiki. Grazie.
Tutto a posto non direi, pensò Miki salutando e
andandosene. La situazione poteva sembrare comica,
se non fosse stata tragica. Spyro gli aveva detto
che metà del cervello del Comandante era stato cablato
per rimediare ai danni di un non precisato
incidente. Il Secondo era l'unico ad avere nozioni
sufficienti per essere considerato il medico di bordo
eppure era stato piuttosto evasivo riguardo la
tipologia di impianti cibernetici che il Comandante
aveva nel cervello. Non vedeva dall'occhio artificiale,
spentosi come quelli di Korti, e doveva avere qualche
brutto falso contatto qua e là dentro la testa. Sbagliava
i nomi, com'era appena accaduto, parlava a vanvera e
a volte faticava a stare in piedi. Quando non aveva
dolori alla testa.
Ma a stare peggio erano forse i gemelli albini:
Spyro era stato costretto a metterli in coma
farmacologico. Era da tre giorni che li nutriva
con delle flebo e periodicamente gli svuotava il
catetere. Se non fossero riusciti a uscire da
quella situazione in una decina di giorni, la loro
prolungata permanenza nelle cuccette avrebbe avuto
indesiderabili e più serie conseguenze. Il Raja
non era attrezzato per ospitare a bordo disabili e
degenti a lungo termine.
Dette uno sguardo al suo bracciale olografico. Grazie
a quello poteva attivare a distanza l'apertura
dei portelli esterni della sua nave, il Coyote,
e avere accesso remoto ad alcune delle funzioni
principali di bordo. Ma il Coyote era lontano anni
luce, purtroppo. Aveva dovuto rimettersi quel
bracciale poiché il sistema informatico principale
di bordo era disattivato e non c'era più modo né
di misurare il tempo né di pianificare automaticamente
attività, impostare scadenze e attivare la sveglia
o un allarme sonoro di qualche genere. Tutte attività
demandate alla CPU primaria che era stata la prima
a cadere vittima di qualsiasi cosa avesse investito
la nave. Si chiese se gli effetti sul loro fisico
fossero limitati agli impianti cibernetici e alle
dolorose convulsioni dei due spaziali, la cui
fisiologia era evidentemente mutata e divenuta
sensibile a chissà cosa. Entrambi erano spaziali
da più di cinque generazioni e la loro smisurata
altezza unita al fisico esile non doveva essere
l'unica conseguenza di ciò.
Sfiorò il bracciale e quello proiettò l'orologio. Erano
circa venti ore che non dormiva e cominciava a
risentirne. Jo e Mak probabilmente erano gli
unici che avevano battuto quel record: da quando
i sistemi primari del Raja si erano disattivati,
non li aveva visti riposare un minuto. Con Spyro
che dava loro una mano di tanto in tanto, stavano
impostando da capo tutte le derivazioni della
CPU che si occupavano della sicurezza e dell'integrità
strutturale della nave. Senza quel sistema soltanto
tentare di avvicinarsi alla velocità della luce
avrebbe sbriciolato lo scafo. Come se non bastasse,
erano in balia del più piccolo meteorite: il
sistema di difesa automatico infatti era totalmente
spento.
Miki si diresse verso lo spinale inferiore. Doveva
raggiungere la rampa in fondo poiché per ordine del
Secondo tutti i servizi non essenziali dovevano
essere spenti. Ciò includeva il comodo montacarichi
che metteva in comunicazione i due corridoi spinali
sovrapposti.
Lo spinale inferiore era ancora più tetro di quello
superiore. Alloggi vuoti, magazzini, locali di
servizio, diramazioni buie che portavano a varie parti
della nave come corridoi di manutenzione, stive di
vario tipo, altri depositi e locali diversi. Le pareti
del corridoio erano spoglie e disadorne, prive anche
dei pannelli di colore grigio chiaro che rivestivano
interamente ogni metro dello spinale superiore. La
presenza degli alloggi degli ufficiali, del ponte di
comando, del quadrato doveva essere la motivazione
per tutto quello sfarzo. Se così si poteva chiamare
un rivestimento di plastica. Miki contò gli incroci
e cercò le indicazioni verniciate sui tubi che
correvano lungo le pareti e il soffitto e sulle scatole
di derivazione che ne affioravano: si orientava con
quelle. Lì al buio ogni metro di corridoio sembrava
uguale a un altro agli occhi di un profano e dapprincipio
anche ai suoi. La sua cabina era vicina a una derivazione
della CPU, quelle che Jo e Mak, i due muscolosi tecnici
tuttofare di bordo, stavano modificando. Lì vicino
c'era un incrocio ad angolo retto con un corridoio
secondario.
Anche se sapeva che se n'era appena occupato
Spyro, dette uno sguardo a Adso e Zarina, i due
albini. La stanza era al buio e intravide le lunghe
sagome chiare nelle brande speciali. Non aveva voglia
di stare in quella stanza che le pareva così diversa
dalle altre. Come se le straordinarie capacità
telepatiche dei due avessero intriso e permeato i
rivestimenti delle pareti, l'arredamento essenziale,
gli oggetti. Quando entrava nell'alloggio dei due
spaziali, fratello e sorella, le pareva che ci fosse
sempre qualcuno che bisbigliasse alle sue
spalle. Soprattutto se era dentro da sola.
Messa a posto la sua coscienza con quella brevissima
visita, puntò diretta alla sua cabina. Si affacciava
subito all'inizio di una delle vicine diramazioni. Qualcosa
le balzò addosso travolgendola, comparendo da dietro
l'angolo. Qualcosa di grosso e dall'odore acre,
pungente. Miki esclamò spaventata e quando si sentì
afferrare per le braccia cercò di arretrare. Riuscì
a sfuggire alla presa.
- Hey!
La voce. Era la sua: profonda, calma. Il
Secondo. Pavel Zebrinsky, per lei Spyro.
- Tutto bene?
Sbuffò, come se così potesse liberarsi dello
spavento. Lo guardò severa. Cominciava a non
poterne più di sentire quelle parole, anche se
era lei a pronunciarle. Anche se era lui. Korti
era tetraplegica, il Comandante demente, i
gemelli in coma e lei non dormiva da venti ore. No
che non andava tutto bene.
- Mi hai fatto morire di paura – gli disse
cercando di rimanere calma.
- Scusa. Ho bisogno di te. Vieni, dai.
Miki arricciò il naso. L'uomo puzzava in maniera
insopportabile. Aveva bisogno urgentemente di
lavarsi. Anche lei non toccava la schiuma a secco
da un bel po' e si chiese se puzzasse allo stesso
modo. Non se ne accorgeva.
Taciturno come al solito il comandante in seconda
si fece seguire fino al ponte di comando. Miki
c'era già stata diverse volte dopo l'emergenza,
ma la brutta sensazione rimaneva. Tutte le console
olografiche erano spente e l'ambiente sembrava
vuoto. Peggio: sembrava che fosse in corso un
trasloco e che i mobili più grandi fossero già
stati portati via. Quella sensazione le ricordava
quando era ancora bambina e abitava sulla Terra. Sua
madre aveva traslocato nella lussuosissima,
gigantesca villa svariati chilometri fuori da
al-Qahira, edificata in un'oasi di verde in
mezzo al nulla strappato al deserto radioattivo
dal duro lavoro dei Bonificatori. Erano stati
lunghi giorni d'isteria pura, terminati solo
dopo che anche l'ultimo più piccolo oggetto
ebbe trovato posto nella nuova residenza. Non
voleva tornare bambina, ma soprattutto voleva
dimenticare sua madre.
Il Secondo si sedette a una delle console
spente e l'attivò. Miki riconobbe subito la
configurazione del capomacchina. Ma era tutto
spento: il ciclo di Stanton, responsabile della
produzione di plasma ionizzato, era fermo e
tutti i grafici erano appiattiti sullo zero. Il
distributore a geometria variabile, un enorme
congegno per la distribuzione del plasma ai vari
sistemi che l'assorbivano, era disattivato
rendendo impossibile alimentare correttamente i
motori. Perfino i grafici dei tre flussi termoionici
erano completamente vuoti. Il Secondo mosse le
dita tozze e robuste sui pannelli olografici sensibili
al tocco e attivò alcuni sistemi. La nota trackball
rosso fuoco emerse ronzando dalla superficie della
console. Il convertitore massa-energia numero tre
si stava inizializzando per innescare il ciclo di
Stanton.
- Ce l'avete fatta! - esclamò Miki. Il ciclo di
Stanton significava energia. In condizioni normali
i motori del Raja consumavano una quantità di energia
spaventosa e un solo generatore attivo non avrebbe
consentito il viaggio a velocità FTL. Ma tra l'energia
di riserva, quella delle bobine accumulatrici,
destinata a esaurirsi in meno di quattordici giorni e
un solo generatore attivo, la scelta era obbligata.
- Non sappiamo se funziona – borbottò l'uomo. Le faceva
impressione vederlo seduto alla console del
capomacchina. Col suo fisico da sollevatore di pesi,
quel viso buono, ampio e rassicurante, con i fili bianchi
tra i corti capelli neri, nessuno l'avrebbe creduto un
astronauta: al massimo il buon medico di famiglia con
un fisico un po' fuori dalla norma. Miki scacciò subito
quel pensiero: si sentiva addosso i suoi occhi e non
stava sbagliando.
- Mi stai ascoltando? - non lo aveva mai visto sbottare
o alzare la voce. Nemmeno ci teneva a vederlo arrabbiato.
- Sì... cioè, no – si sentiva stupida e nemmeno sapeva
perché. Spyro era l'unico uomo che riuscisse a farla
sentire come una scolaretta alle prese con la prima
cotta.
- Mettiti in master su questa console e produci un po'
di plasma spurio. I motori sono staccati, non dovresti
avere problemi. Quando le bobine sono cariche, non
cercare di mettere in slave: spegni tutto. È chiaro?
Miki disse di sì anche se sapeva che i convertitori
massa-energia del Raja avevano un caratteraccio: sarebbe
stato impegnativo mettere a nanna il numero tre dopo
averlo tenuto in master. Ma coi motori isolati c'erano
buone possibilità.
Osservò Spyro alzarsi dalla poltrona e ne prese il
posto. Si vergognò di trattenere il fiato mentre lo
incrociava e sentì evidente il calore del suo corpo
che aveva scaldato le imbottiture. Ma faceva piuttosto
fresco a bordo poiché il supporto vitale era stato
ridotto e la cosa non le dispiacque. Posò subito una
mano sulla trackball e cominciò a collimare manualmente
il flusso termoionico. Richiamò sullo schermo un grafico
riassuntivo delle condizioni delle bobine accumulatrici
e si spaventò. Erano giunte al diciassette per cento. Meno
di due giorni di autonomia. Una mano forte e pesante
le si posò su una spalla e la strinse saldamente.
- Grazie.
Nella voce di Spyro sentì gratitudine e stanchezza.
- Vai a riposarti? - e a lavarti, aggiunse speranzosa.
- Sì, mi sdraio un po'.
- Tranquillo, ci penso io qui.
Il peso e il calore della mano vennero meno e il
Secondo abbandonò il ponte di comando. Miki si
dedicò con scrupolo e attenzione alla produzione
di plasma per ricaricare le bobine che tenevano in
vita il Raja e il suo equipaggio.
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Capitolo 3 *** Capitolo 3 ***
In nebula - 3
3.
Fu strappata al sonno da una sensazione di urgenza. La
consapevolezza di aver dormito poco la oppresse, ma quando
si rese conto che c'era qualcuno lì con lei smise di dare
peso alla cosa.
- Sei sveglia?
Spyro.
- Ora sì... - aveva la voce rauca e si sentiva più stanca
di quando si era messa a letto. L'energia era ancora razionata
e il suo alloggio era avvolto nella penombra. Non era riuscita
a ricaricare le bobine accumulatrici oltre il cinquantuno per
cento. I bypass fatti da Jo e Mak non avevano retto a lungo e
ne erano saltati più della metà, costringendoli a ricominciare
da capo. La vecchia rete di gestione dell'energia del Raja era
appunto... vecchia e non a caso quel cargo di classe Tortuga era
stato profondamente revisionato per ottenere la certificazione
alla velocità FTL.
- Come te la cavi con i sensori?
- Come tutti... - la domanda la indispettì. Ruotò la testa nella
sua direzione: era in piedi e grande e grosso com'era sembrava
riempire tutto il suo alloggio. Si era messo una uniforme pulita
e ora indossava anche la giacca, aperta. La camicia con le insegne
della nave sul taschino si tendeva sui muscoli del petto.
- Puoi venire sul ponte di comando?
Miki lo guardò. Era sveglia, ora. Gli sembrava ansioso,
preoccupato. Lo tranquillizzò dicendogli che sarebbe arrivata
in un attimo. Il tempo di vestirsi e sarebbe stata da lui. Sperò
che capisse che doveva uscire dal suo alloggio se voleva che lei
uscisse da sotto le coperte. Riluttante, il Secondo comprese e
uscì.
Giunse sul ponte di comando mentre armeggiava con i capelli. Voleva
legarli perché le davano fastidio: non li aveva ancora tagliati
ed erano diventati incontrollabili. Certa di aver ottenuto un
risultato orribile, si avvicinò al Secondo che stava controllando
una delle console. Gli ologrammi arancioni sospesi a mezz'aria
erano quelli del sistema dei sensori della nave. Fece saettare
lo sguardo sulla console del capomacchina, ancora accesa. Tutti
i grafici e gli strumenti indicavano zero, proprio come quando
aveva abbandonato la postazione.
- Guarda qui – l'uomo mosse le dita sugli strumenti impalpabili
proiettati davanti al suo viso. Avviò la procedura di inizializzazione
del sistema dei sensori ma questa si fermò dopo poco con un messaggio
d'errore.
- Manca un file di appoggio – commentò Miki ricacciando indietro
un ciuffo riccio e ribelle. Aveva lottato contro un problema simile
cercando di configurare gli strumenti MFD del suo Coyote.
- Fammi vedere.
Spalla a spalla col Secondo, configurò il sistema dei sensori che
dopo alcuni tentativi si mise a funzionare correttamente. Non essendo
più sotto il diretto controllo della CPU di bordo molte informazioni
erano difficilmente interpretabili, ma riuscirono a ottenere preziose
indicazioni.
Erano apparentemente in mezzo al nulla. I sensori indicavano una
inconsueta forma di radiazione che impediva, tra le altre cose, il
funzionamento del sistema di comunicazione FTL. I segnali radio
sembravano immuni ai disturbi, ma ci avrebbero impiegato anni a
giungere a destinazione, ammesso di riuscire a trasmettere nella
direzione giusta. Una volta messo in funzione il sistema principale,
attivare il telescopio di bordo fu questione di pochi minuti. In
breve ebbero una visuale dello spazio intorno alla nave. Quando
lo schermo rimandò le prime immagini di quello che si estendeva
a prua, rimasero sbalorditi.
- Che cazzo... - iniziò Miki, ma non riuscì a terminare la frase.
- Che ti avevo detto? Sembra una nebulosa.
- Cosa ci facciamo così vicini? - una delle prime cose che insegnano
ai futuri stellapiloti è di non avvicinarsi a ciò che non si
conosce. Soprattutto se si tratta di nebulose. Spesso infatti
sono fonte di fortissime radiazioni.
- Non ci siamo avvicinati noi. È la nebulosa che non dovrebbe
essere qui.
Miki stava passando in rassegna le immagini filtrandole ora agli
ultravioletti, ora ai raggi x, ora evidenziando le fonti energetiche
quantiche.
- Scherzi? Questa cosa è una bomba... zampilla radiazioni di tutti
i tipi. In particolare è un'emittente molto forte di raggi B.
- Non era sulla nostra rotta. Per meglio dire, non siamo così pazzi
da percorrere una rotta prossima a un mostro del genere – la voce del
secondo ufficiale si stava indurendo, come ogni volta che la sua
autorità veniva messa in discussione.
- Vuoi dire che il Navigatore ha sbagliato il salto? - Miki non osava
pensarlo, ma non c'erano alternative.
- Conosci qualcosa che riesce a spostare una nebulosa in poco tempo?
Miki tacque. La nebulosa era enorme. Ma la cosa peggiore, se ne rese
conto solo in quel momento, era che il telescopio di bordo non
inquadrava altro. Niente di niente oltre la nebulosa. Lo disse al
Secondo.
- Senza CPU fare il punto sarà difficilissimo – osservò lui.
- Il Navigatore potrebbe farcela?
- Ridotto com'è? - l'uomo le puntò contro i suoi profondi occhi scuri
resi cupi dalle folte sopracciglia aggrottate. Strinse le labbra
in una smorfia e non aggiunse altro.
Miki continuò a pasticciare con i comandi del telescopio del Raja
fino a quando l'ufficiale le tolse il pannello dei comandi.
- Non stiamo concludendo nulla – lo rimproverò.
- Prima di tutto rivoglio i motori, poi l'integrità strutturale. Dobbiamo
allontanarci: tra tutte le radiazioni che ci investono c'è qualcosa
che frigge i sistemi superiori. E dà fastidio ai gemelli.
Miki lo guardò posare i gomiti sul bordo della console. La schiena
curva, le spalle piegate in avanti, la testa incassata e stretta
fra le mani. Che stesse soffrendo? Miki si rese conto che non
sapeva se era anche lui innestato. Fu punta dall'urgenza di
abbracciarlo, di accarezzare quella schiena imponente, di stringergli
le spalle per confortarlo. Ma non si mosse. Un momento dopo lui
si appoggiò allo schienale, il viso duro e inespressivo. Miki
rimpianse l'occasione perduta.
- Abbiamo bisogno di schermare il nucleo della CPU e di rimetterla
in sesto. Poi potremmo schermare e collegare gli altri sistemi
uno alla volta. Con il computer funzionante potremmo forse ricavare
qualcosa di più dai sensori e uscire da questa situazione di merda.
Miki non ascoltò quelle parole: i suoi pensieri erano altrove. Con
i sensori attivi, l'improvviso raggiungimento della consapevolezza
che avevano fatto naufragio nel nulla l'aveva sconvolta. Almeno
non c'è qualcuno che mi insegue, si disse. Ma non riuscì a
sdrammatizzare.
- Ho paura – aveva un groppo in gola. Si sistemò un ciuffo
cacciandolo dietro un orecchio anche se non ce n'era bisogno. Si
vergognava di aver confessato quella debolezza. Le venne da
piangere, ma si sforzò di controllarsi e le passò subito. Ma la
paura no: quella rimase.
- Tranquilla, finché c'è energia possiamo andare avanti. Acqua,
cibo... se stiamo attenti all'aria, non dovremmo avere
problemi. Abbiamo tutto quello che ci serve.
Non la guardò nemmeno mentre pronunciava quelle parole. Lo osservò
incrociare le braccia guardando gli strumenti dei sensori. In
quel momento alcuni istogrammi ebbero un sussulto. Fu qualcosa
di impercettibile, ma ne rimase traccia in un grafico. Un picco
significativo. Lo notarono entrambi nello stesso momento.
- Che cazzo è stato? - chiese Miki.
- Picco nel visibile – commentò il Secondo, allungando svogliato
le mani verso gli ologrammi sensibili al tocco.
- C'è qualcosa?
- Sarà la fottuta nebulosa... - commentò l'uomo.
Osservando la sconfinata nebulosa col telescopio, Miki aveva già
notato che in certe regioni apparivano lampi di luce. Senza
la CPU a riassumere e analizzare i dati grezzi dei sensori,
era impossibile dire se poteva essere stato uno di quei fenomeni
luminosi a causare il picco sugli strumenti. Si impossessò dei
comandi scacciando le robuste mani del Secondo e guardò le
registrazioni dei sensori che recepivano le lunghezze d'onda
nel campo del visibile. Non trovò nessun picco somigliante a
quello.
- Che fai?
- Ti spiace se uso il telescopio?
- No, affatto – rispose lui accogliendola. Miki si sedette
sulle sue gambe per poter manovrare meglio alla console.
- Togli quelle mani da lì – protestò seccata mentre
concentratissima nel programmare una ricerca a trecentosessanta
gradi sentì sui fianchi le calde mani di lui. Le dispiacque
d'essere stata brusca, ma la sola vicinanza di quell'uomo
le rallentava le facoltà intellettive e quel contatto la mandava
in confusione. Doveva verificare se aveva ragione oppure no e
per farlo doveva finire quel programma.
- Fatto – disse alzandosi in piedi malvolentieri.
- Fatto cosa?
Miki gli spiegò d'aver programmato il telescopio di bordo per
una banale ricerca. Sospettava che ci fosse qualcosa a portata
dei sensori, qualcosa che emetteva luce e cercando tutto intorno
al Raja col telescopio forse l'avrebbero trovato. Poi con quel
metodo sarebbe stato possibile trovare qualcosa, qualsiasi cosa
che non fosse la dannata nebulosa.
- Male che vada – concluse – rimaniamo dentro il nulla, proprio
come ora.
- A incrementi di dodici gradi non finirà mai – osservò lui.
- Sai dirmi quale banco di sensori ha registrato il picco?
- Senza la CPU? No.
Miki sorrise.
- Allora dobbiamo aspettare.
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Capitolo 4 *** Capitolo 4 ***
In nebula - 4
4.
Le era toccato svuotare il catetere dei gemelli albini e la
cosa l'aveva disgustata. Maledicendo il Secondo che era andato
da Jo e Mak, trattenendo il fiato svuotò il sacchetto di plastica
nell'imbocco dello scarico nel bagno a gravità zero. Il bagno
normale non funzionava per mancanza di acqua non potabile nel
circuito. Miki pensò con schifo che i pionieri dello spazio si
divertivano a sparare l'urina nello spazio per vederla congelare
e formare spettacolari piogge di aghi iridescenti. Che gusti,
pensò attivando il sistema di pompaggio. Ora ogni singola goccia
viene filtrata, depurata, riciclata, selezionata in base alla
qualità e alla purezza e immagazzinata di conseguenza, pronta
per essere riutilizzata. Che divertimento è guardare la pipì che
congela nello spazio, si chiese.
L'idea la fulminò lì, all'istante, mentre aveva ancora le dita
sul pulsante a fungo per azionare la pompa. Uscì dal bagno attrezzato
per la gravità zero a passo spedito, chiedendosi dove fosse finito
il Secondo. Provò a tendere l'orecchio per sentire la sua voce, o
quella del burbero Mak, o quella squillante di Jo. Nulla: sentiva
solo il remoto ansimare del sistema d'areazione, i deboli ronzii dei
trasformatori delle piastre gravitazionali e una lampada difettosa
che ticchettava lontana. Provò una diramazione dello spinale inferiore
che sapeva condurre alle stive più piccole. I condotti di manutenzione
erano i posti più probabili dove trovare Jo e Mak e forse loro sapevano
dov'era il Secondo.
Non trovò nessuno alle stive piccole. Non a quelle più vicine. Seccata,
tornò sui suoi passi. Il sistema di comunicazione interno funzionava,
ma senza la CPU a smistare le chiamate e con i sensori interni spenti
trovare qualcuno diventava un'impresa. Si batté una mano sulla fronte:
i sensori erano appena stati ripristinati! Lei stessa aveva contribuito
a rimettere in piedi il sistema. Poteva tentare di chiamare un paio di
posti ovvi dal terminale della sua cabina: non era molto, ma sempre
meglio che girare a piedi per tutti i corridoi e le stive della nave. La
sua cabina era lontana, ma se avesse attraversato il corridoio di
manutenzione dell'impianto trasportatore della stiva piccola più vicina
avrebbe fatto più in fretta. Si ricordò della sua bella impresa in
occasione del suo primo viaggio sul Raja: aveva attraversato il corridoio
spinale di manutenzione delle stive principali, lungo quasi mezzo chilometro,
a meno diciotto gradi Celsius vestita solo con maglietta e pantaloncini. Questa
volta sotto la divisa azzurra aveva comodi indumenti termici: per ordine
del Secondo il riscaldamento era stato ridotto su tutta la nave e faceva
un bel fresco dappertutto, specialmente lì nei corridoi di servizio. Attraversò
tutto il tunnel di manutenzione senza trovare paratie bloccate e condensa
ghiacciata sul metallo delle pareti, ma le mani e i piedi erano freddi e
quando uscì dalla parte opposta percepì nettamente la differenza di
temperatura.
Si chiuse nella sua cabina nell'illusione di scaldarsi. Si mise subito al
lavoro sul terminale, ma si rese conto che nonostante i sensori interni
fossero attivi, era impossibile collegarsi a qualsiasi cosa. La rete interna
era mantenuta attiva dalla CPU di bordo o da un sistema direttamente
dipendente da essa. Sbuffò, seccata. Per scoprire dove si trovavano tutti
doveva tornare al ponte di comando. Sperando di perdere qualche chilo con
tutta quell'attività fisica combinata con la dieta forzata poiché era da
un bel po' che non faceva un pasto decente, si mise in cammino.
Il ponte di comando era deserto. Le uniche console accese erano quelle del
capomacchina, ancora deserta, e quella dei sensori. Miki si mise al lavoro
e rintracciò il Secondo: condotto di manutenzione NS-EF3. Niente audio laggiù,
solo i dispositivi portatili erano supportati e lei non sapeva in che condizioni
fosse la rete senza fili interna né se il Secondo avesse con sé un
comunicatore. Decise di aspettare lì e di dare un'occhiata al suo programma
che stava girando, catturando metà del cielo intorno al Raja col telescopio. Notò
con piacere che aveva quasi finito e che... aveva trovato qualcosa! Elevata
albedo alle coordinate... non finì nemmeno di leggere. Si lasciò andare all'entusiasmo
ed emise un acuto grido di soddisfazione. Interruppe il programma e puntò il
telescopio alle coordinate indicate. Concentrò i sensori in quell'arco di spazio
per cercare di capire di cosa si trattasse. Procedendo a ingrandimenti successivi,
scoprì che era qualcosa di piccolissimo. Un corpo celeste lontanissimo forse, ma
l'elevata albedo sembrava contrastare apertamente con questa ipotesi. Non era
un'esperta, ma poteva anche trattarsi di qualcosa di molto piccolo e vicino,
ovviamente di qualcosa di artificiale. L'idea, la prima che le era balzata in
mente e la più affascinante di tutte, era che si trattasse di un'altra nave. Ma
riflettendoci, non era una cosa così entusiasmante. Non c'era nessuno così folle
da volare volontariamente vicino a una nebulosa. E se poteva vedere quell'oggetto,
era certo che non procedeva a velocità FTL. Il che poteva significare che era alla
deriva, naufragato proprio come loro.
I sensori non le erano d'aiuto più di tanto: l'oggetto sembrava freddo e aveva
un'albedo elevata, compatibile con un'astronave con scafo metallico. Quindi terrestre:
tra le varie cose dette dei telasiani era che lo scafo delle loro navi non era
metallico, ma di un misterioso materiale composito che sembrava “cresciuto, non
costruito”. Le parole erano di un marinaio che aveva vissuto la seconda fase del
primo contatto, quando i telasiani con la loro immensa nave-habitat erano ammarati
in mezzo all'oceano, sul pianeta.
Irruppe sul ponte di comando facendola sobbalzare e gridare per lo spavento.
- Iniziare la manovra di accostamento! Invertire la spinta! Motori di manovra a
piena potenza!
Sembrava che metà del suo corpo volesse fare di testa sua, indipendentemente
dall'altra metà. Barcollava paurosamente, dando l'idea di cadere a ogni passo. Come
se una gamba volesse correre e l'altra solo passeggiare. Si aggrappò con un braccio
a un sedile mentre l'altro mulinava incontrollato. Per un paio di volte Miki ebbe
la sensazione che se lo sarebbe slogato.
- Comandante!
- Ammiraglio! - rispose quello contorcendosi. Riconobbe un patetico tentativo di
mettersi sugli attenti. Si muoveva come un robot in preda a un corto circuito. Poi
il ginocchio sinistro si piegò bruscamente e lo mandò a cadere in avanti. Solo il
braccio sinistro obbedì all'istinto di attutire il colpo e l'uomo batté miseramente
il viso sul pavimento antiscivolo.
- Al posto di manovra, marinaio!
Spaventata, Miki si alzò dalla poltrona della console ma tentennò. Aveva paura di
avvicinarsi: l'uomo, ora supino ora su un fianco, scalciava insensatamente con la gamba
destra mentre cercava disperatamente un appiglio con la metà sinistra del corpo. Almeno
così le sembrava. Se non fosse stata una cosa agghiacciante da vedere, sarebbe potuta
sembrarle ridicola. L'uomo era letteralmente preda di convulsioni
incontrollabili. E urlava frasi senza senso.
- La paga di un mese! - le sbraitò contro tendendole la sinistra. Sapeva che
doveva fare qualcosa, ma cosa? I sedativi li aveva il Secondo e non sapeva dove
li tenesse. Tra lei e l'unica uscita c'era il Comandante che mulinava pericolosamente
gli arti in tutte le direzioni.
- Pavel, devo dirti una cosa importante – disse cambiando tono improvvisamente. Poi
batté volutamente la fronte sul pavimento, con discreta forza.
Di fronte all'autolesionismo Miki si sforzò di intervenire. Dapprima il braccio sinistro
la respinse e quello destro le menò due colpi sulla spalla in modo totalmente
scoordinato. Se l'intenzione era di nuocere, il risultato era stato nullo. Poi
la afferrò per un polso e per la divisa, tirando. Sollevato il viso le rivolse
uno sguardo strabico.
- Mamma aiutami – le sussurrò, gettandola nello sconforto. Poi le mani del Comandante
la lasciarono. Dopo una scarica di convulsioni era supino e contorcendosi blaterava
qualcosa riguardo un messaggio ricevuto da una certa Fiona.
- Comandante, si calmi – si rese conto lei stessa dell'effetto poco apprezzabile
che ebbero le sue parole quando l'uomo alzò di scatto una gamba nell'impossibile
tentativo di colpirla. Almeno così poteva sembrare. Era riuscita ad afferrargli entrambi
i polsi e aveva appena scoperto di poter contrastare la sua forza quando un ipospray
saettò verso il collo scoperto del capitano. Sibilò a colpo sicuro iniettando il medicinale
azzurro visibile attraverso la fiala innestata nel corpo fatto a pistola. Tranquillanti:
non era la prima volta che ne vedeva in giro in quegli ultimi tre giorni. Risalì con
gli occhi dalla mano lungo il polso, lungo la manica della giacca color khaki. Sulla
manica la toppa del Raja, sulla spalla le mostrine del secondo in comando.
- Era ora! Non sapevo che fare... - si alzò in piedi, spazzolandosi per istinto
la divisa con le mani.
- Dammi una mano a rimetterlo in branda – disse il Secondo. L'ufficiale più alto in
grado sul Raja si agitava ancora, anche se molto meno vigorosamente. Miki lo fece notare,
ma in meno di un minuto il tranquillante fece il suo effetto e l'uomo trovò finalmente
la quiete chimica.
Chiedendosi come mai, grande e grosso com'era, avesse bisogno di lei per trasportare
il Comandante lì accanto, afferrò l'ufficiale per le ascelle e insieme al Secondo lo
trasportò fino all'alloggio adiacente, depositandolo sulla lussuosa cuccetta.
- Sono successe un sacco di cose – disse poi con un tono come di rimprovero.
- Vedo – il secondo ufficiale stava finendo di sistemare il suo capitano, del tutto
fuori combattimento ormai, e non la guardava.
- Ho trovato il picco sul grafico. E mi è venuta un'idea.
- Sentiamo – rispose l'uomo rizzandosi indifferente.
Miki gli disse tutto per filo e per segno: l'albedo elevata, le coordinate, il
telescopio.
- Un'astronave – fu l'unica cosa che lui disse, pensieroso.
- Non sembri molto interessato – lo rimproverò lei, non potendo evitare di essere
acida.
- Senza i motori non posso fare nulla. Anche se la fonte dell'albedo fosse una pepita
d'oro massiccio grande come una corvetta, sarei costretto a lasciarla lì.
Aveva ragione, ovviamente. E qui entrava in gioco la sua idea.
- E l'idea la vuoi sentire? - mise le mani sui fianchi e ancheggiò un po',
sorridendo. Voleva sembrare spiritosa, ma lui parve non cogliere. Aveva gli occhi
colmi di stanchezza e le parve addirittura poco lucido.
- Mi ridarà i motori?
- Non lo so. Ma è un'idea.
- Spara – disse lui mettendosi le mani in tasca. Le tolse subito dopo, di scatto
come se qualcuno l'avesse rimproverato.
- Se creassimo uno scudo di ghiaccio?
Il Secondo parve stupito, ma la sua espressione affondò subito nella maschera di
pietra del suo viso. L'unica volta che aveva visto quei lineamenti ammorbidirsi
recentemente era stato settantadue ore circa prima della partenza, quando lo aveva
fatto salire a bordo del Coyote.
- L'ho già visto fare – si affrettò ad aggiungere – si spara acqua nello spazio,
questa congela e fa da scudo.
- Non sappiamo quali radiazioni ci stanno bloccando qui – le obiettò subito.
- Provare non costa molto – ribatté subito lei.
- Scherzi? Per schermare solo il ponte di comando ci vorrà almeno una cinquantina di
metri quadrati di copertura, non sappiamo di che spessore. Dubito che la nostra intera
riserva di acqua possa arrivare a coprire un terzo della nave. E poi come la spruzziamo
l'acqua? Ma soprattutto, come la recuperiamo?
Miki non aveva una risposta per nessuna di quelle domande. Effettivamente non sapeva che
genere di protezione offrisse l'enorme scudo di ghiaccio di La Tana. Forse fungeva soltanto
da barriera cinetica. All'improvviso il Secondo si illuminò.
- A meno che...
Si diresse fuori dell'alloggio del comandante a passo spedito. Miki gli corse dietro
cercando di farsi dire cosa gli era venuto in mente.
- Ci serve molto meno ghiaccio se ci limitiamo a schermare i componenti critici...
scatole nere, CPU, derivazioni... capito?
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Capitolo 5 *** Capitolo 5 ***
In nebula - 5
5.
L'idea non aveva funzionato. Il ghiaccio non otteneva alcun
effetto. Il Secondo aveva provato in tutti i modi, senza
risultati. Si era ripromessa di aiutarlo controllando i dati
dei sensori, ma senza CPU confrontare e studiare i dati era
un'impresa titanica. E i margini di errore erano intollerabili. L'impresa
diventava impossibile se bisognava poi accudire Korti che,
tetraplegica e cieca, aveva bisogno di cure pressoché continue. Il
capomacchina del Raja era poi il più difficile dei pazienti:
Miki la trovò infuriata poiché era da troppo tempo, a sentire
lei, che non passava a informarsi sui suoi bisogni e sulle sue
condizioni. Nel tentativo di difendersi Miki la informò di quanto
stava accadendo e dei tentativi che stavano facendo per uscire
da quella situazione. Ma, coerentemente col carattere difficile
dell'ufficiale, da Korti non ebbe soddisfazione alcuna ma solo
rimproveri.
Miki lasciò l'alloggio di Korti stanca e frustrata. Aveva
riposato, ma poco e male. Aveva mangiato in fretta e senza
badare a ciò che ingurgitava e ora non si sentiva tanto
bene. Aveva voglia di sdraiarsi ma Spyro le aveva chiesto
di andare da lui sul ponte di comando non appena avesse finito
con Korti. Così malvolentieri si dette una sistemata ai capelli
strada facendo e raggiunse il Secondo. Lo trovò intento a
manovrare il telescopio.
- Guarda – indicò l'immagine proiettata a mezz'aria, circondata
dagli strumenti olografici.
Riconobbe immediatamente l'oggetto. Questa volta appariva
chiaramente la sua sagoma leggermente allungata. Non era
un lontano pianeta, troppo luminoso. Era un oggetto piccolissimo,
molto più vicino di quello che sembrava.
- Cos'hai fatto per ottenere questo ingrandimento? - Miki
era sorpresa. Lei non era riuscita a ottenere altro che un
puntino debolmente luminoso.
- Nulla.
- Nulla?
L'uomo tentennò la testa in un cenno di conferma.
- Vuol dire che... - iniziò Miki e il Secondo concluse per
lei. L'oggetto era in avvicinamento. Lo bombardò di domande:
era un rotta di collisione? A quale velocità si stava
avvicinando? Quale sarebbe stata la distanza minima? Il
secondo ufficiale non poté rispondere e interruppe bruscamente
la raffica di domande.
- Senza un esperto di sensori e senza CPU queste domande
sono tutte senza risposta.
Miki non si trattenne più e sbottò.
- Ma ci sarà pur qualcosa che possiamo fare a bordo di questa nave!
- Ce la stiamo cavando bene finora e...
- Bene un cazzo! - Miki alzò la voce ancora di più – Qualsiasi
cosa facciamo, non cambia nulla. Possibile che non possiamo
muoverci? Io sposto il Coyote coi motori di manovra in manuale,
altro che CPU!
Non era esattamente così, ma voleva scuotere Spyro dall'apatia
in cui sembrava caduto. Quello invece non accennò minimamente
a perdere la pazienza e le rispose con tono così calmo e pacato
che fece sentire Miki come una isterica incurabile.
- Senza nulla togliere al tuo Coyote, non è nemmeno un decimo
della massa del Raja. Non è la stessa cosa da manovrare. Ma se
te la senti di provare... se spezzi in due la nave non ti aspettare
soccorsi, però.
- Balle! - sbottò Miki. Ma quando il Secondo le mise davanti la
console di pilotaggio, capì di essersi messa in un mare di guai. Il
sistema dei motori di manovra del Raja era complesso. Buona parte
dei propulsori erano inutilizzabili per via della CPU disattivata. I
vecchi propulsori chimici, quelli rimasti, avevano scorte limitate
di carburante. Il sistema di controllo d'integrità strutturale,
spento, non dava il consenso all'attivazione dei motori. Strinse
i denti e, non potendo certo retrocedere di fronte all'impresa
dopo quanto aveva detto, inizializzò i propulsori chimici e
attivò la produzione di plasma per alimentare i pochi motori
di manovra a disposizione. Ci avrebbero pensato le bobine ad
accumulare l'energia prodotta in eccesso.
- Spero che tu sappia cosa stai facendo – disse il Secondo mentre
inseriva il suo codice di sicurezza per scavalcare le protezioni
e attivare i motori. Miki avrebbe voluto dirgli che lo sapeva,
ma non era così. Dopo una trentina di minuti di calcoli, usando
il telescopio per orientarsi accese i motori e fece muovere
cautamente il Raja.
Ci furono un po' di vibrazioni e i sensori interni individuarono
anomalie termiche qua e là ma nulla di preoccupante. Le anomalie
si erano verificate in zone dove non c'era atmosfera, quindi
si sentì tranquilla. Nel giro di pochi minuti dallo spegnimento
dei motori di manovra le segnalazioni scomparvero e il Raja si
stava muovendo lungo quella che secondo lei era una rotta di
intercettazione. Le tremavano i polsi per la tensione nervosa. Si
appoggiò con la schiena alla poltrona per cercare di
rilassarsi. Sentiva su di sé gli occhi del Secondo come se
fossero delle dita che la tastavano.
- Sei appena diventata la protagonista del diario di bordo di oggi.
- Mai un complimento, eh? - avrebbe volentieri messo la testa sotto
un getto di acqua fresca. Ma non era più al Luxor di al-Qahira,
dove c'era acqua da sprecare. Peccato, si disse resistendo alla
tentazione di grattarsi la cute.
- Sapevo che sei una tipa con le palle – le disse. Si chiese se
quella smorfia sul suo viso largo e ben sbarbato fosse un sorriso
represso.
- Se riesci anche a intercettare quella nave, se è davvero una nave,
sei proprio brava. Lo sai che ti spetta una percentuale maggiore su
quello che recuperiamo?
- Ah, sì? - interessata, si alzò per fronteggiarlo. Lui la imitò e
le si parò davanti. Era di poco più alto di lei, ma di gran lunga
più largo.
- Certo – le disse tranquillo, come se accostarsi a quell'oggetto e
recuperarlo fosse stata la cosa più banale da fare. E lo sarebbe
stata, se il Raja non fosse stato menomato come invece era.
Miki sorrise. Non riusciva a stare calma con lui vicino. Il suo
cervello si riempiva rapidamente di stimolanti fantasie.
- Vado dal capitano – disse lui dopo un lungo silenzio. Si voltò e
la lasciò da sola sul ponte di comando, col cuore che le martellava
nel petto per l'eccitazione e la testa calda di rabbia.
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Capitolo 6 *** Capitolo 6 ***
In nebula - 6
6.
Era davvero un'astronave. Un cargo terrestre di una classe
piuttosto vecchia. Era modulare: l'ambiente abitabile era
molto più piccolo del Raja e ospitava anche il reattore e
il propulsore principale. Ma la somma di tutti i moduli di
carico superava di molto la capacità delle stive della loro
nave. E la rotta di intercettazione calcolata da Miki era
piuttosto lontana dall'essere corretta: il cargo, che non
dava segni di vita, nel suo moto relativo proveniva da sinistra
e stava scivolando trasversalmente sotto il Raja, che nel
frattempo aveva anche cambiato assetto.
Il Secondo, forse in segno di sfida, le aveva lasciato di
nuovo il posto di pilotaggio. Così mentre lui sfruttava i
sensori e il telescopio per cercare di capire di più sull'altra
nave, Miki sudava le proverbiali sette camice per cercare
di correggere la rotta di avvicinamento. Le si erano spenti
già due motori di manovra perché surriscaldati quando si rese
conto che il Secondo le stava parlando, a voce alta per
superare i segnali acustici di allarme.
- Niente luci di navigazione né di posizione. Nessuna emissione
di particelle né di altre radiazioni. Niente segnali radio. È
una nave morta.
- Rassicurante – esclamò lei cercando di tenere a bada le
forze esercitate dai motori di manovra sullo scafo e sulla
struttura interna del Raja. Non ci teneva a spezzarlo.
- Davvero... soprattutto se sono qui per il nostro stesso
motivo. Non riesci a rallentare?
Odiò la sua calma e l'apparente indifferenza a quello che
stava succedendo. Con una mano aprì una coppia di valvole
per scaricare del plasma in eccesso e con l'altra manovrò
i comandi per modificare di nuovo l'assetto della nave. Le
prudeva la nuca e la schiena, perfino la biancheria intima
le dava fastidio e non aveva tempo di grattarsi.
- Ci sto provando, ci sto provando! - sbottò. Con la CPU
era tutto più facile: bastava ordinare “intercetta” e al
resto ci avrebbe pensato il computer. Per tacere degli
strumenti, che l'elaborazione della CPU rendeva facilmente
leggibili.
Controllava l'effetto delle sue manovre col telescopio e
malgrado ogni suo sforzo vide la sagoma dell'astronave da
carico scivolare lentamente via, sotto il Raja. Solo dopo
qualche minuto riuscì a pareggiare il movimento del
bersaglio. Si sentì impotente: avrebbe voluto fermarsi in
una posizione ben diversa. Ruotò ancora il Raja per mettere
il telescopio in una posizione più favorevole e poi spense
tutto.
- Hey!
Percepì subito un tono diverso, insolito nella voce
dell'uomo. Agitava le mani su un complesso pannello
olografico che non aveva ancora visto.
- Cosa c'è?
- La CPU. Sta tornando in linea!
Non lo aveva sentito così entusiasta nemmeno quando tre
giorni prima lo aveva stretto tra le cosce, sul tavolo della
sua cabina sul Coyote.
- Che hai fatto? - chiese, eccitato.
- Io? - meravigliata e sorridente, guardò ripartire tutti i
sistemi uno a uno. Generatori, contenimento e distribuzione
del plasma, integrità strutturale, comunicazioni. Una chiamata
giunse subito: erano Jo e Mak che chiedevano spiegazioni. Il
Secondo non seppe cosa dire loro: era troppo impegnato a far
ripartire la sua nave.
- Miki, vai da...
Non terminò la frase. Korti irruppe sul ponte di comando. Pallida,
ma apparentemente come nuova.
- I miei complimenti, Secondo.
- Non sono stato io – rispose quello seccamente senza
distogliere occhi e mani dagli strumenti. Da quello che
poteva vedere, stava avviando i moduli di navigazione.
Già: il Navigatore. Se l'era scordato. L'avevano rinchiuso
in una stiva. La IA di navigazione del Raja, che lei stessa
aveva contribuito a trasformare in una specie di carro armato
in miniatura, aveva dato segni di squilibrio. Dato l'armamento
che aveva addosso, era stato rinchiuso per sicurezza. Non era
possibile infatti né spegnerlo né disattivarlo temporaneamente.
- Posso sapere cosa sta succedendo? - chiese Korti col suo solito
tono autoritario. Miki sentiva che la sua razione di rimproveri
era solo rimandata: pareva evidente dall'espressione dell'anziano
ufficiale che disapprovava la sua presenza sul ponte di comando,
seduta alla console di pilotaggio.
Il Secondo riassunse per lei gli eventi in modo molto
sintetico. Nessuno riusciva a immaginare come la nebulosa
avesse potuto perdere la presa su di loro così all'improvviso.
Miki sentì il mugolio del montacarichi ma non lo ricondusse a
nulla di particolare fino a quando il Navigatore entrò sul
ponte di comando.
- Grazie per avermi rinchiuso, signori. Molto gentile da parte
vostra. Davvero molto poco gentile!
Avrebbe potuto volare da un capo all'altro della galassia ma non
si sarebbe mai potuta abituare alla vista del Navigatore. Da quando
si era trasferito dentro l'hardware di un droide di sorveglianza
nemmeno i suoi più vecchi compagni di viaggio, come Korti e il
Secondo, stavano tranquilli. Il droide di sorveglianza era
concepito per mettere paura: armi bene in vista ed estremamente
efficaci, capacità di movimento pressoché illimitata grazie alle
zampe cingolate, corazza resistente alla maggior parte delle armi
disponibili. Non c'era nulla a bordo del Raja in grado di infliggere
danni al Navigatore finché se ne stava rinchiuso lì dentro.
Il Navigatore, senza chiedere il consenso, fece frusciare i
cingoli fino alla console più vicina e si impossessò dei controlli
di navigazione sottraendoli al Secondo. Gli strumenti olografici
si spensero davanti al viso dell'uomo per accendersi sulla console
attivata dal Navigatore.
- Non te la prendere – iniziò il Secondo – non...
- Non me la prendo, certo. Me la sono già presa! Trattarmi come un
aspirapolv... cos'è questa?
Aveva trovato la nebulosa.
- Come cazzo ci siamo finiti qui?
- Non ne sai nulla? - Miki invidiò la calma apparente del Secondo. Si
poteva vedere chiaramente come il convogliatore flessibile del
cannoncino rotante del Navigatore fosse pieno di proiettili.
- Cosa vuoi che ne sappia... ho un vuoto nella memoria recente.
- Allora ammetti di aver avuto problemi.
- Macché problemi! Ero solo un po'...
Il Navigatore tentennò. Miki non aveva mai visto una IA tentennare
spontaneamente. Si chiese se fosse davvero di nuovo a posto. Quando
l'avevano chiuso nella stiva 2 con un inganno, dava chiari segni di
squilibrio. Li aveva minacciati con le armi e si era divertito a
spaventarli. Aveva tentato di prendere il comando della nave e ignorato
un ordine diretto.
- Da dove arrivano le coordinate dell'ultimo salto?
- Dalla memoria della CPU – rispose prontamente la IA armata.
- Ti spiace controllare?
- Agli ordini, comandante! - esuberante come al solito, pensò
Miki. Ma non si sentiva ancora sollevata. Il Navigatore rimaneva
una IA le cui Tre Leggi erano state strapazzate durante l'upload
nell'hardware del droide di sorveglianza, noto per non essere
dotato di alcun tipo di sicura per la tutela della vita umana. Anzi.
- Cazzo, queste coordinate non sono quelle dell'ultimo salto! - anche
il linguaggio colorito era stata una conseguenza di quell'upload
avvenuto davanti ai suoi occhi e che le era costato un gran bello
spavento. Se lo ricordava perfettamente. Come l'IA stessa le
aveva detto, per sfrattare dal firmware il precedente inquilino
era dovuta scendere a compromessi.
- Appunto. Sono le coordinate della nebulosa dentro la quale
siamo finiti prigionieri. Ha fritto i sistemi di bordo, ma questo
lo sai già.
- A momenti frigge anche me – se fosse stato un essere umano,
Miki pensò che a quel punto avrebbe mestamente chinato la testa
in avanti.
- Ciò non toglie che queste non sono le fottute coordinate
che ho usato per l'ultimo salto!
Il Navigatore sottolineò l'ultima esclamazione con una serie di
rumorosi scatti meccanici: aveva angolato le piastre della
corazza toracica sbattendole tra di loro. Il droide in cui si
era infilato non aveva aspetto umano: aveva armi al posto degli
arti e non poteva esprimersi in alcun modo. Il selettore fonico
che usava per parlare gliel'aveva montato Jo recuperando i pezzi
da una discarica. Miki sapeva che tra le pieghe della corazza
c'era nascosto di tutto: sensori e arti più piccoli, snodati e
terminanti con i congegni più disparati, incluse affilate
tenaglie. Difficile essere espressivi sventolando una tenaglia
in grado di recidere otto millimetri di acciaio, forse di più.
- Eppure il salto ci ha portato qui – insisté il Secondo.
- Stai insinuando che ho volontariamente portato la nave dentro
una nebulosa, babbeo?
Se non fosse stato per le armi, ancora in posizione di riposo,
quel vecchio epiteto sarebbe potuto sembrare spiritoso.
- Mi pare chiaro che se tu hai usato le coordinate giuste e
il salto è sbagliato, qualcosa dev'essere successo. E se non
lo sai tu...
Il Secondo allargò le braccia. Miki interpretò quel gesto
come un tentativo di allentare la tensione che si stava
creando tra i due. Sembravano due vecchi amici intenti a
bisticciare. Ma uno dei due era una IA armata fino ai denti
che fino a dieci minuti prima aveva dato vistosi segni di
malfunzionamento.
- Stai ipotizzando un accesso non autorizzato alle memorie
di navigazione di questa nave?
Il Secondo strinse le spalle.
- Il caro, vecchio attacco informatico - suggerì.
Il Navigatore stette in silenzio per alcuni secondi. Anche
le IA devono riflettere, si chiese Miki.
- Plausibile, ma tutto da dimostrare. E a che scopo, poi?
- Semplice. Qualcuno ci vuole morti.
Prima che il Navigatore potesse rispondere Korti esclamò. Un
istante dopo cadeva in ginocchio sul ponte, incapace di
sostenersi. Tentò di afferrare lo schienale della poltrona
del Secondo, ma coordinò clamorosamente male i movimenti
delle braccia. Mancò l'appiglio e franò a terra.
Allo stesso tempo Miki vide gli strumenti del Raja, appena
resuscitati, impazzire e spegnersi in un secondo, la CPU
disattivarsi e non dare più segni di vita. Si rese conto
di aver appena vissuto quello che il Comandante e il Secondo
avevano visto accadere una volta usciti dal balzo FTL, tre
giorni prima. Dalla sala macchine non era sembrato così
grave. Non subito, almeno.
- Cazzo, di nuovo! - esclamò il Secondo.
Per quanto si affannasse con i comandi, l'uomo non riuscì
a ripristinare la CPU né a capire come mai si fosse rimessa
a funzionare per qualche minuto. Era tornato tutto come
prima: Korti lanciava maledizioni, immobilizzata e cieca
sul pavimento; il Secondo bestemmiava tra i denti mentre
cercava di rimettere insieme la console; il Navigatore
aveva abbassato le armi in posizione di tiro e, muovendosi
con piccoli scatti meccanici, si stava guardando
intorno. Almeno così sembrò a Miki quando terrorizzata lo
vide abbassarsi sui cingoli. Possibile che la nebulosa non
lo metta fuori gioco come le parti cibernetiche di Korti,
si chiese mordendosi le labbra per la paura.
- Cosa cazzo è cambiato? Perché aveva ripreso a
funzionare? - il Secondo sbottò, i pugni stretti calcati
sulla console spenta e da riconfigurare da capo. La schiena
curva in avanti, la testa incassata fra le spalle: anche lui
era temibile, sebbene disarmato.
- Siamo sotto attacco – disse piatto il Navigatore.
- No, stai calmo – disse subito il Secondo – non hai bisogno
di ricaricarti?
- Non mi fotterai due volte con lo stesso trucco, sacco
di merda – il Navigatore accennò a girarsi sui cingoli, ma
interruppe il movimento. Chissà che effetto sta avendo su
di lui la nebulosa, si chiese Miki. Con suo grande sollievo,
la IA riportò le armi in posizione verticale.
- Il primo che mi si avvicina lo impiombo.
Era una battuta di un olofilm poliziesco: la riconobbe. Ma
ciò non la fece stare meglio.
- Miki, il telescopio per favore.
Ci mise qualche secondo a reagire, riluttante a staccare gli
occhi dalle armi del droide. Riconfigurò con le mani tremanti
la console, nelle orecchie le echeggiavano le proteste di Korti
che voleva essere messa seduta. Attivato il telescopio, vide
Spyro alzarsi repentino dalla poltrona della sua postazione per
avvicinarsi a lei. Ebbe le armi del Navigatore puntate addosso,
di scatto. Miki si sentì svenire.
- Vivo o morto tu verrai con me – altra battuta da olofilm. Pareva
che il Navigatore si stesse divertendo a guardare vecchi gialli,
polizieschi e film violenti in generale. Da quando era entrato
in quel nuovo corpo meccanico si atteggiava a cowboy e l'anomalia
della nebulosa influenzava i suoi modelli comportamentali. Dominò
l'attacco di nausea che lo spavento le aveva provocato deglutendo
più volte e cercando di recuperare il controllo di se stessa.
- Devo lavorare – fu la sola cosa che il Secondo riuscì a dire,
immobile davanti alle armi spianate.
- Identificazione positiva – rispose il Navigatore. Non alzò le
armi, ma non seguì lo spostamento dell'uomo che cambiava postazione.
- Stai bene? - stentò a capire che quelle parole erano rivolte
a lei. Le fischiavano ancora le orecchie per lo spavento di poco
prima.
- Sì, perché? - mentì lei.
- Sei pallida.
È perché ti ho visto morto, stronzo. Cercò di cancellare dalla
mente il repentino scatto delle armi e la vista, frutto della
sua immaginazione, di Spyro steso a terra in un lago di sangue. Il
Navigatore era arretrato verso la soglia che dava sullo spinale,
aveva alzato le armi e mostrava la sua capacità di ruotare il
torso corazzato di un giro completo in entrambe le direzioni.
- Dov'è la griglia?
Ringraziò di aver speso molto tempo giocherellando col telescopio
del Coyote. Con pochi rapidi tocchi all'immagine proveniente dal
telescopio fu sovraimpressa una griglia.
- Aumentala...
Di nuovo pochi tocchi delle sue dita sull'impalpabile interfaccia
olografica e la griglia raddoppio e poi triplicò la densità. Fitta
com'era evidenziò immediatamente un movimento. Era il cargo: si stava
spostando lentamente. O era il Raja a muoversi rispetto a lui. Nel
vuoto dello spazio non aveva troppa importanza.
- Lo sapevo – la voce dell'uomo, seppur calma e pacata, tradì
soddisfazione.
- Sapevi cosa?
- Credo di aver capito. Il cargo è passato fra noi e quella zona
particolare della nebulosa. Ha proiettato un cono d'ombra dove
le radiazioni dannose sono attenuate. Tant'è che la CPU ha
ricominciato a funzionare. Finché non siamo usciti dal cono d'ombra.
- Ottima pensata, Secondo. Ma ora come ci torniamo in quel cono
d'ombra? E mentre ci pensa, le spiacerebbe tirarmi su da qui,
porca puttana? - la voce di Korti sorprese entrambi. Era ancora
prona sul pavimento. Il Secondo scusandosi si affrettò a sollevarla
come meglio poté e ad accomodarla su una delle poltrone, davanti a
una console spenta.
- Miki ci ha portato abbastanza vicini già una volta, sono sicuro
che ci riuscirà di nuovo. Abborderemo il relitto e...
Udite quelle parole Korti trasalì. Protestò a lungo, non digerendo
il fatto che un semplice motorista mettesse le mani sul timone
della nave e la conducesse a spasso nello spazio, anche solo a
trenta metri al secondo. Il Secondo la difese, ma dovette acconsentire
a registrare sul diario di bordo il reclamo ufficiale del capomacchina.
- E poi non mi ha ancora detto perché cazzo dovremmo abbordare quel
relitto, Secondo – Korti, con gli occhi chiusi e rossa in viso per
l'accesa discussione, non potendo incrociare le braccia serrò le
labbra strettamente.
- Mi pare ovvio. Quel cargo ha a bordo qualcosa che ferma le radiazioni.
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Capitolo 7 *** Capitolo 7 ***
In nebula - 7
7.
Come tutte le tute da vuoto, anche quella era scomoda, fredda
e umida. I moduli EVA, che le permettevano di muoversi liberamente
nel vuoto, erano però migliori di quelli della sua tuta personale
che riposava tranquilla a bordo del Coyote. Dove avrebbe voluto
essere anche lei in quel momento.
La nebulosa vista col telescopio era fantastica: rossa, blu,
gialla... era percorsa da affascinanti lampi bianchi, tendeva
filacciose estremità in tutte le direzioni, sembrava la fotografia
di un'esplosione di vapore colorato. Era ancora molto lontana ma
riempiva totalmente lo spazio intorno alla nave.
Vista dall'interno della tuta EVA, annichiliva. Una volta uscita
dalla camera d'equilibrio aveva perso il controllo del respiro ed
era caduta vittima delle vertigini, come una stupida, paurosa
principiante. Ma “paura” non era la definizione migliore per descrivere
ciò che aveva provato. Aveva chiuso gli occhi strizzandoli per vincere
le vertigini, per sconfiggere la morsa che le aveva improvvisamente
serrato il petto. Aveva aperto la bocca e cominciato a boccheggiare
contro la sua volontà, come se stesse affogando. Ma ce l'aveva fatta
e si era ripresa. Fronteggiare quel mostro la stava provando, ma
richiamando alla mente l'addestramento per le passeggiate spaziali
era riuscita a vincere lo sconforto totale, la paura e le difficoltà
di respirazione. Le girava ancora la testa ogni volta che staccava gli
occhi dallo scafo del cargo alla deriva, ma sapeva di potercela fare. Strinse
i denti e si concentrò su un solo punto dello scafo, un punto che le
pareva fisso davanti al suo naso. Come le avevano insegnato, controllava
il suo respiro.
- Controlla la velocità.
La voce di Spyro. Gli strumenti della tuta erano disturbati dalle
emissioni della nebulosa. Anche la radio era disturbata, ma riusciva
a capire quello che le veniva trasmesso dal Raja. Non essendoci modo
di sapere quale fosse la sua velocità senza strumenti, accese i motori
della tuta per frenare un poco. Solo un piccolo impulso. Un brevissimo
sbuffo d'azoto dagli ugelli. Lo scafo del cargo alla deriva appariva
scuro, privo di dettagli. La maggior parte della luce giungeva dal nucleo
della nebulosa, una chiazza chiara e insondabile. Emetteva di tutto,
facendo impazzire gli strumenti e accecando i sensori. E facendo naufragare
le astronavi, aggiunse. Si chiese se la tuta fosse un riparo sufficiente
da quelle radiazioni e che effetto avrebbe avuto sul suo corpo
quell'esposizione. Ma ormai è troppo tardi: sono fuori.
- Vedi qualcosa? - ancora Spyro. A causa della scarsa qualità del segnale
non poteva percepire il tono della sua voce, ma le sembrò ugualmente ansioso.
- Nulla. Ma sono ancora troppo lontana.
Fece scorrere gli occhi su tutta la porzione di scafo visibile. Le
serviva la camera di equilibrio, un portello di carico, qualsiasi
cosa. Doveva provare a entrare, a tutti i costi. Non sapeva che ci
fossero attrezzi simili a bordo del Raja ed era rimasta stupita
quando, seguendo le indicazioni del Secondo, aveva aperto un armadio
nella stiva 2 e trovato un laser per prospezioni minerarie. Ingombrante,
ma efficace. Lo aveva agganciato all'imbracatura del braccio destro:
bastava puntare la mano e stringere il pugno. Il grilletto infatti
era fatto per fissarsi sul palmo del guanto corazzato. Era il
suo biglietto per salire a bordo.
- Ah, i gemelli si sono svegliati. Stanno abbastanza bene e ti salutano –
la voce distorta dalle interferenze interruppe il silenzio. Le sembrò che
Spyro non riuscisse a stare zitto troppo a lungo. Doveva essere giunto al
limite della sopportazione anche lui. Dopotutto non era fatto di acciaio
come voleva far credere, pensò sorridendo dentro il casco riflettente. Ricambiò
i saluti e pensò ad Adso e Zarina: due spaziali da oltre cinque
generazioni. Spaventosamente alti e magri, i loro arti lunghi e sottili
come quelli di certi insetti le facevano spavento. Come se non bastasse
erano albini e, nonostante fossero fratello e sorella, quasi
indistinguibili. Soprattutto quando Zarina si tagliava i capelli a spazzola
come il fratello.
Lo scafo del relitto cominciò a farsi più grande all'improvviso. Miki
frenò ancora, più a lungo. Non ci teneva a sfracellarsi.
- Controllo cima di sicurezza – disse aprendo il canale della radio.
- Estensione regolare – un lungo nastro arancione si distendeva dritto
dietro la sua schiena e la collegava al Raja. In caso di necessità Spyro
avrebbe potuto riavvolgere la cima e trascinarla così dentro la camera di
equilibrio, lasciata aperta. Eventualità del tutto indesiderabile perché
presupponeva il verificarsi di una spiacevole situazione di emergenza con
lei protagonista.
Lo scafo era sempre più vicino. Aveva puntato al secondo modulo di carico
dopo quello abitabile che costituiva la prua del cargo. Era una classe di
astronavi da trasporto molto vecchia, ma vide che certe strutture erano
sempre più o meno le stesse. Col diminuire della distanza cominciò a notare
i particolari: i moduli non erano tutti uguali. Quello aveva un solo portello
di carico, enorme. A giudicare dall'aspetto, non doveva essere
pressurizzato. Ciò la fece stare più tranquilla. Era stata categorica:
per nessun motivo sarebbe entrata nel modulo abitabile. Non aveva nessuna
voglia di sapere se era vero tutto quello che si diceva dei cadaveri nelle
navi rimaste abbandonate a lungo. Finalmente poté manovrare per posare gli
stivali adesivi al metallo dello scafo del relitto e provare a
camminare. L'atterraggio fu un po' brusco ma se la cavò con un semplice
spavento. Mi verranno i capelli bianchi prima della fine di questa storia,
si disse.
- Ho toccato.
- Ottimo. Ti guido io. Girati leggermente a destra e comincia a camminare.
Spyro la stava tenendo d'occhio col telescopio di bordo e poteva avere una
visione d'insieme molto dettagliata anche senza il video proveniente dalla
sua tuta. Le interferenze erano troppe per trasmettere il video e la
telemetria. Miki pensò che ora poteva immaginare come si sentisse un insetto
posato su una parete o sul soffitto. Semplicemente non faceva differenza.
- Ferma. Guarda a destra.
Miki obbedì e accese la luce orientabile della tuta. La segnaletica era ancora
visibile: c'era qualcosa lì. Sembrava un portello di qualche genere: c'era un
profilo evidenziato da uno spesso bordo rosso verniciato sul bianco sporco del
relitto. Pensò che era da secoli ormai che non si usava esclusivamente la vernice
bianca per lo scafo esterno, ma che probabilmente era stato proprio per merito di
quella che aveva notato la nave alla deriva.
- Direi di tagliare – disse soddisfatta. Non vedeva l'ora di usare quel laser che
portava attaccato al braccio destro.
- Attenta: quell'affare è pericoloso – che carino Spyro: si preoccupa per me,
pensò ridacchiando. Quando torno lo bacio.
Tagliò quello che sembrava il meccanismo di chiusura di un portello secondario. Tra
gli attrezzi della tuta EVA c'era un divaricatore elettrico auto-alimentato,
piuttosto potente. Non riuscì a combinarci nulla fino a quando non ebbe tagliato
il portello in altri cinque punti. Per essere il portello di un cargo è chiuso
bene, pensò.
Si calò nell'apertura buia. Il metallo era spesso, il portello doveva pesare
parecchio. Sembrava blindato: il laser aveva fatto fatica a tagliare e ci aveva
messo parecchio tempo. I fari ora illuminavano un ambiente vasto: ci mise un poco
a capire che quella era una stiva piena. Oltre il vicinissimo orizzonte di una
passerella metallica c'erano container impilati ovunque, in bell'ordine, assicurati
con un vecchio sistema a cavi metallici per impedire che se ne andassero a spasso
durante le manovre. Miki quasi si commosse al pensiero che quella stiva era ferma
nel tempo esattamente come l'avevano lasciata gli ultimi che vi avevano avuto
accesso. Chissà dove, chissà quando.
- Cosa vedi? - la radio era ancora disturbata e per di più ora il segnale si
era attenuato per via dello scafo del relitto che si frapponeva fra lei e le
antenne del Raja.
- Vecchi container... somigliano a quelli di tipo D: grandi, rettangolari,
ormeggiati. Tutto in ordine.
- Tagliane uno.
Facile a dirsi per te, pensò Miki. Controllò puntando in giro le luci di profondità
della tuta creando ombre spettrali in movimento. Le si insinuò il fastidioso pensiero
che in mezzo a tutte quelle ombre che sembravano fuggire da lei si potesse nascondere
qualcuno. O Qualcosa. Troppi olofilm sui mostri spaziali, si disse. Si assicurò che
la cima di sicurezza non fosse impigliata e cominciò a scendere con molta cautela.
Quando fu accanto al container più vicino azionò il laser stringendo il pugno
destro. Fu come tagliare il burro con un coltello caldo: aperta una finestra
rettangolare nel metallo puntò la luce dentro il buco.
Roccia?
- Come sarebbe? - la voce di Spyro era un sussurro lontano, debolissima.
- Roccia, sabbia, pietre... pezzettini di quarzo... non sono una geologa, non so
cosa sia questa roba. Luccica, va bene?
- D'accordo, non discutiamo. Preleva un campione e vieni via.
Quelle parole le fecero balenare nella mente che forse aveva reagito un po'
troppo bruscamente. Aprì il contenitore tubolare che aveva portato con sé e
cominciò a scavare fuori dal foro nel container tutto quello che poteva prendere.
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Capitolo 8 *** Capitolo 8 ***
In nebula - 8
8.
La sala macchine del Raja era tornata quella di
sempre. Korti l'aveva sommersa di lavoro: un controllo
a tappeto di tutti i sistemi di bordo connessi alla
sala macchine. Dai convertitori massa-energia fino
ai vecchi motori di manovra alimentati a carbocomburente,
dimostratisi di grandissima utilità in quel
frangente. Configurazione, test, analisi, correzione,
riconfigurazione, nuovo test: aveva speso così tanto
tempo sui sistemi energetici della nave che le sembrava
di averli progettati lei. Eppure Korti ne sapeva sempre
una in più. Miki pensò che forse era stata Korti a
progettarli.
Finalmente tutto pareva a posto: filava tutto a meraviglia
ed erano appena usciti da un balzo a velocità FTL che
aveva portato il Raja lontano dalla nebulosa e dalla
sua influenza. Lì in sala macchine erano in attesa di
nuovi ordini.
Oro. Quella nei container del cargo abbandonato nella
nebulosa non era semplice roccia. Tonnellate di minerale
aurifero misto a formazioni di quarzo, o almeno così
sembrava. Non erano stati capaci di identificare meglio
quei cristalli. Ma l'oro sì: avevano uno spettrometro
elementare a bordo e la CPU non aveva avuto dubbi. Oro.
Il Secondo, grazie anche a Jo e Mak, aveva usato
dell'acqua congelata per mantenere insieme la sabbia
aurifera, le pietre e le rocce quarzifere realizzando
così in poco tempo dei piccoli scudi contro le
radiazioni. Il Navigatore era riuscito, tenendo il Raja
nel cono d'ombra prodotto dal relitto, a calcolare una
via di fuga dalla nebulosa. Schermata per sicurezza la
CPU e tutti i sistemi vitali da essa controllati, erano
riusciti ad attivare i motori FTL e a uscire dai guai
prima che uno solo dei blocchi di ghiaccio posizionati
strategicamente cominciasse a sciogliersi. Un pannello
di strumenti si attivò richiamando la sua attenzione. La
simulazione richiesta dal Capo era terminata con esito
positivo. Il Raja era pronto a un salto a velocità FTL
lungo quanto bastava per tornare al mondo civile. Avvisò
Korti a voce alta.
- Ottimo. Carica il programma standard e mettilo in
attesa di conto alla rovescia.
Miki eseguì e non si accorse che nel frattempo il
Capo si era alzata dalla sua console e le si era
avvicinata da dietro. Inaspettatamente le mise una
mano sulla spalla. Sobbalzò: Korti non era solita
concedersi queste tenerezze.
- Riguardo i momenti di crisi dovuti all'irraggiamento
della nebulosa, vorrei dirti...
Aveva cominciato bene, ma si era già inceppata. Miki
aveva capito cosa stava cercando di dire ed era stupita
dal fatto che ci stesse anche solo provando.
- …ecco, vorrei dirti che ti sei comportata bene. Con
me, intendo. So di non essere la persona migliore qui e...
- Non c'è problema, signore – rispose Miki. Il Capo
stava rischiando una brutta figura con lei: non le
riesce proprio di cacciare fuori dalla gola un semplice
“grazie”, si disse.
- Ottimo. Confido che nulla di quanto hai visto uscirà
mai dalla tua bocca.
- Certamente – gli occhi artificiali di Korti brillavano
di una luce dura e le rughe del viso sembravano tese,
scavate da un laser. Miki intuì che non era ancora
finita. Un attimo dopo la mano artificiale del Capo
posata sulla sua spalla cominciò a stringere fino a
farle male.
- Bene – il tono duro e quasi rabbioso dell'anziano
ufficiale non lasciò dubbi – perché in caso contrario
ti vengo a prendere ovunque tu sia e ti prendo a calci
nel culo fino a farti venire i calli. Chiaro?
Miki si affrettò a dire “signorsì”.
- E credimi, esserti scopata il Secondo... non ti servirà
a nulla, carina. Non è così che avrai i galloni finché
ci sono io a bordo. Certo, ti capisco: anche a me
piacerebbe sbattermi un bestione come lui una volta
tanto, e unire l'utile al dilettevole... ma tutti gli
uomini sono uguali. Ti fotterà fino a stancarsi e poi
ti abbandonerà lì dove ti trovi. Nella merda.
Quelle parole strette tra i denti non la raggiunsero. Se
l'intento era di ferirla, non ci riuscirono. L'unica cosa
che Miki riuscì a pensare era che il Capo fosse solo gelosa. E
che avesse avuto brutte esperienze con gli uomini, in
passato. Non dovrebbe essere una sorpresa per te essere
trattata male dagli uomini visto il caratterino che hai,
pensò. Ma badò bene a tenersi quella osservazione per
sé.
- Puoi andare a riposare un po' ora. Ti chiamo se ho
bisogno.
La mano dell'ufficiale capomacchina del Raja abbandonò
la presa e Miki, ostentando indifferenza, eseguì
diligentemente le operazioni di chiusura della sua
console tecnica e si congedò.
Contenta di aver arginato almeno per una volta la
rabbia e la cattiveria innata di Korti, anche se
solo dentro di sé, Miki si incamminò lungo lo spinale
secondario per raggiungere il suo alloggio. Era un po'
stanca perché il Capo le aveva allungato arbitrariamente
il turno in sala macchine e vedere l'orologio di bordo
che segnava notte fonda non la aiutò a stare
meglio. Dopo tutto quello che era successo il suo
angusto alloggio le sembrava il posto più comodo
e bello di tutta la nave.
Spyro.
Era lì, in piedi, in mezzo alla sua cabina. Perfetto
nella divisa, sollevò lo sguardo su di lei. Placido,
tranquillo come sempre, le mani in tasca. Gli sorrise:
doveva trovare un modo carino per mandarlo via. Era
stanca.
- Tutto O.K.? - gli chiese – Sembri stanco – forse
così capisce, pensò.
- Non tanto.
Vedere quelle spalle massicce sollevarsi per indicare
indifferenza le fece venire una gran voglia di tuffarsi
su di lui per abbracciarsi a quel petto ampio e
poderoso. Il suo sguardo si perse su quello che la
divisa lasciava intuire del fisico del secondo
ufficiale e si fece sfuggire l'occasione.
- Devi dirmi qualcosa?
L'uomo si mosse verso di lei. Estrasse le mani di tasca
e l'attirò a sé circondandole i fianchi. Era caldo e
morbido. Miki non smetteva di sorridere dolcemente, ma
pensava che aveva solo voglia di dormire. Gli mise le
mani sui pettorali, godendo per quello che sentì sotto
il tessuto della divisa khaki. Non aveva mai avuto un
fidanzato così muscoloso prima e dovette confessare a
se stessa che non le dispiaceva affatto.
- A rapporto, marinaio – le disse lui dolcemente, a bassa
voce. Le sue intenzioni parevano chiare: la stava attirando
sempre più stringendola tra le braccia. Le mani di lui
stavano già esplorando le sue natiche.
- Rimandiamo, dài... sono a pezzi, devo riposare – applicò
una leggera pressione sul suo petto con le mani, sperando
che capisse. Sperando che non insistesse. Si rese conto
infatti che non avrebbe potuto opporsi in altro modo. Ma
Spyro non era un violento, ne era certa. Infatti
arretrò.
- Peccato. Volevo darti questa.
Stretto tra le dita tozze di una mano salita dalle sue
natiche, Miki vide brillare un oggetto lucente, di forma
irregolare e di un bel giallo vivo. Rimase senza
fiato. Oro! Spyro le aprì una mano e vi posò una pepita
grande quasi come un bullone. Com'è pesante, fu la prima
cosa che pensò sentendo l'oggetto scabro rotolarle sul
palmo disteso. La pepita era calda per essere stata a
lungo nel pugno di Spyro.
- E anche questa... - un'altra pepita, più grande della
precedente e di forma oblunga andò a sbattere contro la
prima.
- …e questa.
Ora le pepite erano tre. Tre sassi luccicanti,
bellissimi. Forse erano tutti e tre massicci.
- Li ho trovati... - disse l'uomo rispondendo con un
sorriso complice alle sue domande inespresse.
Non sapendo che dire e pensando che restare lì sorridendo
a bocca aperta come una stupida non fosse abbastanza, saltò
al collo di Spyro e lo baciò.
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