In nebula

di Mannu
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Capitolo 1 ***
Capitolo 2: *** Capitolo 2 ***
Capitolo 3: *** Capitolo 3 ***
Capitolo 4: *** Capitolo 4 ***
Capitolo 5: *** Capitolo 5 ***
Capitolo 6: *** Capitolo 6 ***
Capitolo 7: *** Capitolo 7 ***
Capitolo 8: *** Capitolo 8 ***



Capitolo 1
*** Capitolo 1 ***


In nebula - 1
A Cassiana

1.

Era appoggiata con i gomiti al bancone e dava le spalle agli altri avventori. Miki osservò il suo cocktail colorato: non riusciva a spiegarsi cosa ci stesse a fare in quel locale per fighetti. Forse perché era stata attratta dal nome non standard: Guardian Angel. Miki girò svogliatamente la cannuccia nel liquido colorato. Non aveva voglia di stare sola quella sera. Ma non aveva neanche intenzione di rimorchiare qualcuno solo per sport, per dimostrare qualcosa non sapeva neanche lei a chi. Forse a se stessa. La verità era che si sentiva enormemente sola: aveva voglia di un abbraccio, di una carezza. Quasi era pentita di non aver accettato a suo tempo le avances di Jerrylex, ma cosa sarebbe stato alla fine se non sesso? Allora tanto valeva farlo anche con quel pervertito di Morgan! E sì, una cavalcata fra le lenzuola non è l’attività più brutta della galassia, confessò a se stessa. Ma fine a se stessa non le avrebbe dato nulla, a parte un po’ di sperma appiccicaticcio fra le cosce. Miki rabbrividì a quell’immagine. Era ancora persa nelle sue elucubrazioni quando dallo specchio nero dietro il bancone un movimento attirò il suo sguardo. Quando si accorse di chi si trattava il cuore le mancò un colpo e sprofondò da qualche parte sotto Apollo. Aguzzò la vista, ma non c’era modo di sbagliarsi. Era proprio lui, il secondo ufficiale del Raja.
Incredibile come a volte il destino può essere così subdolo e carogna, pensò. Stava proprio pensando che le mancava un certo astronauta e che con lui forse si sarebbe lasciata andare volentieri a una sessione di ginnastica da letto. Bugiarda, non è in questi termini che l’hai realmente pensata, si corresse subito. Ed eccolo lì, proprio lui. Che rideva. Con una donna. Si voltò per osservarli meglio e con la segreta speranza di essersi sbagliata. Il locale era diventato infatti sempre più affollato e rumoroso ed era possibilissimo che fosse caduta in errore. Ma dovette ammettere che la sua vista era buona. Il Secondo si era sporto un po’ in avanti e la donna aveva accavallato le gambe in una mossa seducente. Miki dovette ammettere che, da quel che poteva vedere, era una tipa davvero affascinante con quella tuta a un pezzo dai pantaloni blu elettrico lievemente scampanati. Un bellissimo blu che le fece sentire il morso dell'invidia. La tutina le aderiva come una seconda pelle e calzava stiletti dorati, sexy e arroganti. Si chiese chi potesse essere quella e divorò con gli occhi la coppia fino a quando li vide alzarsi. Miki si voltò nuovamente verso il bancone, attenta a non farsi scoprire. I due stavano uscendo dal locale, il Secondo aveva appoggiato una mano dietro la schiena nuda della donna: un gesto di protezione e possessione insieme. Miki sbuffò e tornò a sprofondare nel suo drink. Voleva dimenticare tutto e invece la sua pelle sentiva ancora la sottile carezza di Jerrylex respinto. Si sentiva proprio una derelitta: non solo era sola come un cane, ma i guai sembravano avere un gusto particolare a scovarla. Nell'ultimo caso avevano assunto la forma di una sballata ragazzina che l’aveva trascinata avanti e indietro per lo spazio prima, e di un ancora più sballato pirata del cyberspazio che dopo averla salvata dai suoi inseguitori, l'aveva coinvolta in una rapina ai danni degli yakuza. Tremava ancora al pensiero che qualcuno della Triade riuscisse a trovarla. Erano passati mesi ormai, ma quella era gente incapace di dimenticare.
Alla fine il succo era lo stesso: mai che una volta la vita le riservasse una sorpresa piacevole. Era intenta a piangere sulle sue presunte disgrazie quando una mano enorme si chiuse intorno al suo bicchiere.
- Questa roba è troppo forte per te, ragazzina.
Miki si girò con uno sguardo assassino, intenzionata a litigare: non sono una ragazzina! Ma con sua grande sorpresa quello si infranse sul Secondo, massiccio e imponente, proprio dietro di lei. Incredula lo vide portare alle labbra il suo drink e berne un lungo sorso.
- E anche troppo dolce! – continuò facendo una smorfia – Vieni, ti porto in un posto dove sanno bere.
Miki si alzò quasi stesse obbedendo a un ordine, troppo sbalordita per arrabbiarsi.
- Ma…
Adesso era lei che il Secondo stava spingendo fuori dal locale. Sentiva il contatto caldo ed elettrico della sua mano premuta sulle proprie reni e si rammaricò di non avere un abito scollato sulla schiena. La sua espressione poi doveva essere proprio comica perché l’uomo ghignò divertito. Miki non l’aveva mai visto così. I suoi lineamenti di solito sembravano scolpiti nella roccia viva e il suo contegno era molto più abbottonato di quanto non sembrasse in quel momento. Fuori il quinto settore era particolarmente animato, come sempre a quell’ora. Coppie e gruppetti di vario genere sciamavano dentro e fuori dai locali, la gialla passava di mano in mano con molta più liberalità di quanto i poliziotti, che pur pattugliavano le vie, fossero disposti a concedere. Miki e il Secondo camminavano vicini, senza parlare. Lei non aveva idea di dove la stesse portando l’uomo, né del perché. Si pentì di non essere vestita alla moda, o quanto meno con un abbigliamento più curato. Aveva ancora in testa la splendida donna con cui aveva visto prima l’ufficiale del Raja.
- Chi era quella nel locale?
Il tono era stato più aggressivo di quanto avesse voluto. Il Secondo alzò le spalle ma non rispose. Miki non osò ripetere la domanda. Ma era incuriosita. Si trovò a seguire l’uomo fin nel quarto settore: pigiati dentro al Tubo poteva aspirarne l’odore mascolino. Doveva stare attenta a non appoggiarsi a lui ma con tutta quella gente intorno non era facile. Era una situazione ad alto rischio e Miki non doveva lasciarsi sfuggire le cose di mano. Non voleva che lui sentisse il suo cuore battere forte. In realtà il Secondo sembrava indifferente a tutto ciò, alla sua agitazione, alla sua emozione. Aveva lo sguardo perso nel vuoto e non sembrava infastidito dal contatto con le altre persone.
Il locale in cui entrarono era vetusto quasi come i pochi avventori che sedevano lungo il logoro bancone. Il Secondo, che Miki sapeva chiamarsi Pavel Zebrinsky per aver a suo tempo frugato di nascosto nel database del Raja, la pilotò a un tavolino d’angolo e ordinò due Jolly Rodgers. Quando l'ossuto cameriere portò loro solo due bottiglie brune dall'etichetta raffigurante un teschio bianco in campo nero con due sciabole incrociate sotto, non poté fare a meno di pensare a quanto bambini potevano diventare gli uomini. Appena possibile si mettevano subito a giocare con quelle sciocchezze. Poi a lei non piaceva molto la forte birra nera e avrebbe preferito di gran lunga uno di quei drink colorati che era solita concedersi. Zebrinsky con un paio di lunghi sorsi ridusse in maniera considerevole il livello della sua birra.
- Perché mi hai portato qui? - chiese Miki, di nuovo con più aggressività di quanto volesse.
- Per insegnarti a bere. Questa birra viene da Mu1 ed è una delle più prelibate.
Miki inarcò un sopracciglio.
- Anche illegale, mi risulta.
L'uomo si strinse nelle larghe spalle concedendosi un'espressione disinteressata.
- Non sono in vena d’indovinelli. Se mi hai portata qui deve esserci un motivo, Secondo.
- Puoi chiamarmi Spyro.
- Non… Pavel?
Miki avrebbe voluto mordersi la lingua. Per un soffio riuscì a trattenere un gesto di stizza. Cazzo, adesso sa che mi sono informata su di lui. Questo pensiero la innervosì ancora di più. Odiava sentirsi così vulnerabile. Un no deciso fu la risposta alla sua domanda. Miki si rifugiò nella sua birra, decisa a non fare più passi falsi. Guardò ancora di soppiatto Spyro e notò che quelli che sembravano ricami sul colletto del suo cheongsam scuro erano in realtà raffinati ologrammi. Li osservò per un momento, affascinata. Poi bevve una lunga sorsata di Jolly Rodgers. Cazzo, questa birra è buona per davvero, dovette riconoscere Miki aspettando che l’uomo si decidesse a parlare.
- Sul Raja hai fatto un buon lavoro. Che ne diresti di un altro viaggio?
- No.
Miki si irrigidì. Aveva risposto troppo in fretta, con la lingua e non col cuore. Fece per tirarsi indietro sulla sedia come per ristabilire le distanze, ma Spyro le bloccò la mano sul tavolo. Lei sentì una vampata di calore risalire lungo il polso: la mano di lui era asciutta e ruvida, pesante. S’impose d’ignorare quella sensazione.
- Le sirene telasiane non dureranno per sempre e la tua percentuale è bassa.
Era vero, ma Miki non avrebbe mai confessato le sue difficoltà economiche. Non a lui.
- Sei a corto di soldi - affermò Spyro con sicurezza. Miki sospirò: quella era una situazione cronica, non era difficile da indovinare. I ventimila di Jerrylex erano evaporati in fretta, assorbiti dal Coyote.
- E lasciare nuovamente il Coyote attraccato per chissà quanto tempo? Costa. E poi cazzo, sono stellapilota!
- Un viaggio. È tutto ciò che ti chiedo.
- Perché io?
- Non lo immagini?
La risposta la lasciò spiazzata, Miki scosse i riccioli con insofferenza. Era il suo tipo, decisamente il suo tipo, ma ora la stava seccando.
- Ti ho già detto che non mi va di giocare ai fottuti indovinelli!
Questa volta fu Spyro ad alzare un sopracciglio: le lasciò la mano e Miki provò una sensazione improvvisa di freddo, sentendosi abbandonata. Il che era assurdo a pensarci bene. O.K., non avrei dovuto mischiare gli alcolici, o forse dovrei darmi una calmata, si disse inspirando profondamente ma senza darlo a vedere. Ma Spyro non la guardava già più. Finirono la birra e la serata sembrò doversi concludere. Miki non sapeva se temerlo o sperarlo.
- Vuoi sapere chi fosse la donna che era con me?
Spyro aveva interrotto bruscamente il silenzio come se la loro conversazione non si fosse mai interrotta e Miki si trovò ad annuire, suo malgrado.
- La mia ex moglie, una stronza con i coglioni che le fumano. Vuoi essere una vincente? E allora tira fuori le palle, Michaela Patris.
Questo era veramente troppo. Miki s’infuriò: che cazzo ne sapeva lui? Arrivava lì, con quel suo odore buono e le mani calde che avrebbe desiderato sentirsi addosso, le proponeva un ingaggio nel momento meno opportuno e pretendeva che accettasse. Non farlo sarebbe stato dimostrare di non avere le palle? Che maschilista del cazzo! Si alzò bruscamente, avvampando.
- Me ne vado – annunciò seccamente, rinunciando però a sbattergli in faccia tutti i suoi pensieri.
Anche Spyro si alzò, strisciò la propria card sul lettore integrato nel tavolo per pagare e la seguì fuori. Miki camminava veloce, rossa in viso. Era da idioti comportarsi così, si rese conto che stava dando il peggio di sé. Che stava mandando a puttane tutto. Si fermò di botto e si voltò.
- Voglio sapere quanto. E per quanto tempo – domandò al Secondo dietro di lei. Il volto di Spyro si aprì in un largo, trionfante sorriso. Un’espressione del genere di solito avrebbe indispettito Miki. Ma in quel caso il suo cuore fece una serie di salti carpiati all’interno del torace: cazzo, quest'uomo ha il sorriso più sexy che io abbia mai visto, disse sentendosi sciogliere dentro. Neanche il volto da vecchia canaglia di Jerrylex le aveva scaldato il sangue in quel modo.
- La tariffa standard. Prenderai meno dell’altra volta: non ci sono percentuali extra.
Miki cercò di ricomporsi, gracchiò qualcosa e richiuse la bocca. Si schiarì la voce e ricominciò:
- Non ti prometto nulla. Fra quanto partirete?
Mai dare l’impressione di essere con l’acqua alla gola. Spyro rispose che aveva settantadue ore di tempo per pensarci. Senza quasi rendersene conto i due continuarono a camminare insieme, verso l’attracco del Coyote. Spyro cominciò a raccontare di Rhina, l’ex moglie, responsabile del marketing di una delle zaibatsu più potenti di Apollo. Miki pensò a come potessero stare insieme due tipi tanto diversi.
- Prima che io diventassi pilota, lei scriveva. Aveva grandi ambizioni ma poca fiducia in se stessa. Alla fine ha cominciato a vendere il suo talento e ci ha preso gusto, a quanto pare. Dopo ogni viaggio la trovavo sempre un po’ cambiata, fino a che siamo diventati due estranei.
Miki a sua volta gli parlò delle sue disavventure su La Tana, di Morgan il marinaio maniaco, di Ilah la ragazzina stramba, antipatica e geniale. E della discesa sul pianeta. Voleva impressionarlo: stupidamente si sentiva bambina vicino a lui e raccontando le sembrò di giocare a fare l'adulta. Stava anche per raccontargli di Jerrylex ma si bloccò in tempo. Il silenzio si fece teso. Spyro dovette intuire qualcosa, ma non fece domande.
Giunsero all’attracco del Coyote.
- Bene vice-comandante... ti faccio sapere - fu il freddo commiato di Miki. Si guardarono ancora per qualche istante, indecisi. Spyro accennò un sorriso, poi le voltò le spalle e si perse tra la folla. Miki percorse a grandi passi il condotto ombelicale. Arrivata all’interno della nave scalciò con foga gli anfibi e si buttò sulla cuccetta personalizzata. Le squadre di sostegno maggiorate che lei stessa aveva installato per sostenere il telaio più grande fecero scricchiolare il rivestimento della parete cui erano fissate.
Sono una maledetta cogliona, si rimproverò. Il perché non avrebbe saputo dirlo, forse nella sua immensa stupidità si era illusa che lui fosse interessato a lei, invece si trattava solo di lavoro. Miki sentiva le proprie guance bollenti e gli occhi pericolosamente umidi.
Un cicalino la fece sobbalzare. Asciugandosi gli occhi andò nel vestibolo antistante la camera di equilibrio per vedere chi fosse. Sullo schermo comparve il volto del Secondo.
- Ho dimenticato di darti una cosa – disse. Miki senza starci a pensare su troppo, incuriosita e sorpresa, gli diede il permesso di salire a bordo. Aveva il cuore in tumulto: in fretta si sfregò il viso e si sistemò inutilmente i capelli con le dita.
Dopo pochi istanti Miki se lo ritrovò davanti. Il Coyote sembrava ancora più angusto con lui a bordo. Com'era massiccio! Solo in quel momento Miki si rese conto di essere scalza.
- Cosa volevi darmi?
- Questo.
Spyro la prese per le spalle e l’attirò violentemente a sé, le sue labbra trovarono quelle di Miki. Lei gli circondò il collo con le braccia, rispondendo con entusiasmo al bacio, ancora incredula. Sentì le mani di lui affondare nei suoi riccioli, le labbra di Spyro erano roventi, il bacio si prolungò per un tempo indefinibile. Miki non riusciva a pensare, presa dal vortice di sensazioni che la travolgevano, teneva gli occhi chiusi illogicamente timorosa che fosse solo un sogno. Ma quelle mani che le accarezzavano la schiena, quelle labbra che prepotentemente giocavano con le sue, non potevano essere frutto della sua immaginazione. Si staccarono brevemente per riprendere fiato, Miki si rese conto che stava sorridendo come una scema. Ansimava, il cuore le martellava in gola. Fece per dire qualcosa, ma lui le mordicchiò il labbro inferiore strappandole un gemito. Lo trascinò con sé verso il tavolo, il contatto gelido del piano la fece trasalire anche attraverso il tessuto ma fu contrastato dal calore che le scaturiva dal ventre. Aspettò con ansia che lui slacciasse i pantaloni, ma Spyro non sembrava avere fretta. La spogliò lentamente facendola sentire al tempo stesso provocante e vulnerabile. Quando si dedicò al suo corpo, con le dita esperte, la lingua vorace, Miki smise di pensare del tutto e si lasciò andare completamente, desiderosa solo di godersi le sensazioni che Spyro sapeva regalarle.
Aveva sempre pensato che il Secondo fosse tipo da sesso ruvido e invece era rimasta sorpresa dalla delicatezza e dall’abilità con cui l’aveva amata. Miki sospirò soddisfatta: sentiva ancora quel sorriso da deficiente stampato sul viso, ma non poteva farci niente. Si erano trasferiti sulla cuccetta e si erano addormentati per un tempo che non avrebbe saputo quantificare. Si voltò verso l’uomo che dormiva, il torace possente si muoveva al ritmo del respiro, lentamente. Miki fece per alzarsi ma una mano repentina la prese per un braccio.
- Dove vai?
La voce di Spyro, arrochita dal sesso e dal sonno, la fece rabbrividire. Di buon grado si accucciò contro di lui.
- A mettere qualcosa sotto i denti, non volevo svegliarti.
- Verrai con me?
Miki si sollevò di scatto, i capelli gonfi e l’espressione truce le davano l’aspetto di un leone.
- Mi ha scopata per questo?
Come un folle vortice i frammenti delle sue paranoie e delle sue insicurezze vorticarono intorno a lei ricomponendosi in un orrendo puzzle. Il volto di Spyro sembrò deriderla: in un momento tornò a sentirsi la Miki insicura e disgraziata di sempre. Avrebbe voluto ammazzarlo. E poi ammazzare se stessa per la propria stupidità.
- Mi sei mancata.
- Non prendermi in giro.
- Ti sembra tanto assurdo che qualcuno ti desideri?
Miki si rinchiuse in se stessa. Quelle rivelazioni l’avevano lasciata esterrefatta, non sapeva più cosa doveva pensare. Chiuse gli occhi, ma li riaprì subito allarmata quando percepì la cuccetta cambiare assetto. Spyro si era alzato e si stava vestendo. Sul suo viso c’era un'espressione indefinibile; forse delusione o rammarico.
- Torno sul Raja. Ti lascio il tempo di pensare.
- Al viaggio?
Spyro alzò le spalle e non rispose. Rimase qualche istante ancora sulla soglia della cabina, come indeciso se dire qualcosa. Poi si voltò. Miki guardò la sua ampia schiena scomparire e si morse le labbra per non fermarlo. Si adagiò pesantemente indietro e si coprì il volto con un braccio.
Stupida, pensò.

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Capitolo 2
*** Capitolo 2 ***


In nebula - 2
2.

Stupida! Non potevi startene tranquilla sulla tua nave, si rimproverò mentre riempiva una bottiglia di preziosa acqua. Fortunatamente le modifiche fatte da Spyro avevano funzionato: avevano tolto il controllo dell'acqua potabile alla CPU di bordo. Percorse lo spinale principale fino agli alloggi degli ufficiali ed entrò da Korti, il capomacchina, non senza un certo timore reverenziale. Era lei che stava peggio di tutti: aveva tutti e quattro gli arti artificiali fuori uso. Era completamente immobilizzata e cieca, poiché anche gli occhi erano innesti cibernetici resi inservibili dall'attività della nebulosa che, presumibilmente, aveva bloccato il Raja.
Trovò Korti esattamente nella medesima posizione in cui l'aveva lasciata.
- Chi è? - si allarmò subito.
- Sono Miki... - tutte le volte la stessa storia, si disse scuotendo la testa. Forse ha anche un chip auricolare, fuori uso pure quello, o forse è solo angosciata dal fatto di dover essere accudita in tutto.
- Vuole bere?
La donna, che non aveva perso una sola briciola del proprio orgoglio e severità, scosse la testa. Troppo ostinata anche per dire che ha sete, pensò appoggiando la bottiglia sul tavolo. Fece scorrere la poltroncina nel binario affondato nel pavimento e si accostò al fianco della branda dove giaceva l'ufficiale superiore. Il viso era duro, i lineamenti tesi: anche se teneva le palpebre abbassate sopra gli innesti spenti, l'anziana donna sembrava essersi sdraiata solo per riposare un poco.
- Ha bisogno di andare in bagno?
Korti scosse la testa impercettibilmente. Miki cercava di capirla: era umiliante per un ex soldato come il capomacchina del Raja dover chiedere aiuto per pisciare, ma anche lei aveva bisogno di essere compresa. Non era gradevole essere imbarcata per accudire i motori dell'astronave e trovarsi poi ad accudire l'equipaggio disabile come un'infermiera.
- Per favore, vorrei stare sulla poltrona.
Korti aveva anticipato di un solo momento la terza domanda di rito. Non potendo stare sdraiata tutto il tempo, l'unico altro posto dove poteva stare senza cadere era la poltroncina. Miki la sollevò di peso con la sola forza delle braccia e della schiena e la accomodò seduta al tavolo, mettendole a posto le membra inerti come se fosse una bambola di pezza.
- Ci vediamo più tardi – disse la donna. Miki la guardò: era di profilo ora e i capelli corti e bianchi non celavano la forma del cranio che appariva roseo e pallido. Manteneva le palpebre serrate come se fosse lei a non voler vedere. Vecchia testarda, pensò mentre chiudeva la porta. È da tre giorni che è in queste condizioni e non ha ancora imparato a dirmi grazie.
Sospirò. Lo spinale era illuminato male, il Raja era ancora alimentato dall'energia ausiliaria. Le tornò alla mente il suo primo viaggio su quella nave, fatto con le luci dimezzate: il container delle sirene telasiane assorbiva notevoli quantità di energia. Fortunatamente non era una nave moderna e non tutti i distributori energetici erano sotto il controllo della CPU. I flussi potevano essere messi in master per generare energia a dispetto dei sistemi di controllo automatici. Con i motori spenti e isolati, non sarebbe stato nemmeno pericoloso da fare.
Toccava al Comandante, ora. Il suo alloggio era poco più avanti, lì nello spinale superiore. Come tradizione, comunicava direttamente col ponte di comando ed era più grande e più arredato degli altri alloggi. Trovò l'uomo sdraiato sul letto mentre con l'unico occhio funzionante cercava di leggere un datapad spento.
- Posso fare qualcosa?
- Tutto a posto, Kiki. Grazie.
Tutto a posto non direi, pensò Miki salutando e andandosene. La situazione poteva sembrare comica, se non fosse stata tragica. Spyro gli aveva detto che metà del cervello del Comandante era stato cablato per rimediare ai danni di un non precisato incidente. Il Secondo era l'unico ad avere nozioni sufficienti per essere considerato il medico di bordo eppure era stato piuttosto evasivo riguardo la tipologia di impianti cibernetici che il Comandante aveva nel cervello. Non vedeva dall'occhio artificiale, spentosi come quelli di Korti, e doveva avere qualche brutto falso contatto qua e là dentro la testa. Sbagliava i nomi, com'era appena accaduto, parlava a vanvera e a volte faticava a stare in piedi. Quando non aveva dolori alla testa.
Ma a stare peggio erano forse i gemelli albini: Spyro era stato costretto a metterli in coma farmacologico. Era da tre giorni che li nutriva con delle flebo e periodicamente gli svuotava il catetere. Se non fossero riusciti a uscire da quella situazione in una decina di giorni, la loro prolungata permanenza nelle cuccette avrebbe avuto indesiderabili e più serie conseguenze. Il Raja non era attrezzato per ospitare a bordo disabili e degenti a lungo termine.
Dette uno sguardo al suo bracciale olografico. Grazie a quello poteva attivare a distanza l'apertura dei portelli esterni della sua nave, il Coyote, e avere accesso remoto ad alcune delle funzioni principali di bordo. Ma il Coyote era lontano anni luce, purtroppo. Aveva dovuto rimettersi quel bracciale poiché il sistema informatico principale di bordo era disattivato e non c'era più modo né di misurare il tempo né di pianificare automaticamente attività, impostare scadenze e attivare la sveglia o un allarme sonoro di qualche genere. Tutte attività demandate alla CPU primaria che era stata la prima a cadere vittima di qualsiasi cosa avesse investito la nave. Si chiese se gli effetti sul loro fisico fossero limitati agli impianti cibernetici e alle dolorose convulsioni dei due spaziali, la cui fisiologia era evidentemente mutata e divenuta sensibile a chissà cosa. Entrambi erano spaziali da più di cinque generazioni e la loro smisurata altezza unita al fisico esile non doveva essere l'unica conseguenza di ciò.
Sfiorò il bracciale e quello proiettò l'orologio. Erano circa venti ore che non dormiva e cominciava a risentirne. Jo e Mak probabilmente erano gli unici che avevano battuto quel record: da quando i sistemi primari del Raja si erano disattivati, non li aveva visti riposare un minuto. Con Spyro che dava loro una mano di tanto in tanto, stavano impostando da capo tutte le derivazioni della CPU che si occupavano della sicurezza e dell'integrità strutturale della nave. Senza quel sistema soltanto tentare di avvicinarsi alla velocità della luce avrebbe sbriciolato lo scafo. Come se non bastasse, erano in balia del più piccolo meteorite: il sistema di difesa automatico infatti era totalmente spento.
Miki si diresse verso lo spinale inferiore. Doveva raggiungere la rampa in fondo poiché per ordine del Secondo tutti i servizi non essenziali dovevano essere spenti. Ciò includeva il comodo montacarichi che metteva in comunicazione i due corridoi spinali sovrapposti.
Lo spinale inferiore era ancora più tetro di quello superiore. Alloggi vuoti, magazzini, locali di servizio, diramazioni buie che portavano a varie parti della nave come corridoi di manutenzione, stive di vario tipo, altri depositi e locali diversi. Le pareti del corridoio erano spoglie e disadorne, prive anche dei pannelli di colore grigio chiaro che rivestivano interamente ogni metro dello spinale superiore. La presenza degli alloggi degli ufficiali, del ponte di comando, del quadrato doveva essere la motivazione per tutto quello sfarzo. Se così si poteva chiamare un rivestimento di plastica. Miki contò gli incroci e cercò le indicazioni verniciate sui tubi che correvano lungo le pareti e il soffitto e sulle scatole di derivazione che ne affioravano: si orientava con quelle. Lì al buio ogni metro di corridoio sembrava uguale a un altro agli occhi di un profano e dapprincipio anche ai suoi. La sua cabina era vicina a una derivazione della CPU, quelle che Jo e Mak, i due muscolosi tecnici tuttofare di bordo, stavano modificando. Lì vicino c'era un incrocio ad angolo retto con un corridoio secondario.
Anche se sapeva che se n'era appena occupato Spyro, dette uno sguardo a Adso e Zarina, i due albini. La stanza era al buio e intravide le lunghe sagome chiare nelle brande speciali. Non aveva voglia di stare in quella stanza che le pareva così diversa dalle altre. Come se le straordinarie capacità telepatiche dei due avessero intriso e permeato i rivestimenti delle pareti, l'arredamento essenziale, gli oggetti. Quando entrava nell'alloggio dei due spaziali, fratello e sorella, le pareva che ci fosse sempre qualcuno che bisbigliasse alle sue spalle. Soprattutto se era dentro da sola. Messa a posto la sua coscienza con quella brevissima visita, puntò diretta alla sua cabina. Si affacciava subito all'inizio di una delle vicine diramazioni. Qualcosa le balzò addosso travolgendola, comparendo da dietro l'angolo. Qualcosa di grosso e dall'odore acre, pungente. Miki esclamò spaventata e quando si sentì afferrare per le braccia cercò di arretrare. Riuscì a sfuggire alla presa.
- Hey!
La voce. Era la sua: profonda, calma. Il Secondo. Pavel Zebrinsky, per lei Spyro.
- Tutto bene?
Sbuffò, come se così potesse liberarsi dello spavento. Lo guardò severa. Cominciava a non poterne più di sentire quelle parole, anche se era lei a pronunciarle. Anche se era lui. Korti era tetraplegica, il Comandante demente, i gemelli in coma e lei non dormiva da venti ore. No che non andava tutto bene.
- Mi hai fatto morire di paura – gli disse cercando di rimanere calma.
- Scusa. Ho bisogno di te. Vieni, dai.
Miki arricciò il naso. L'uomo puzzava in maniera insopportabile. Aveva bisogno urgentemente di lavarsi. Anche lei non toccava la schiuma a secco da un bel po' e si chiese se puzzasse allo stesso modo. Non se ne accorgeva.
Taciturno come al solito il comandante in seconda si fece seguire fino al ponte di comando. Miki c'era già stata diverse volte dopo l'emergenza, ma la brutta sensazione rimaneva. Tutte le console olografiche erano spente e l'ambiente sembrava vuoto. Peggio: sembrava che fosse in corso un trasloco e che i mobili più grandi fossero già stati portati via. Quella sensazione le ricordava quando era ancora bambina e abitava sulla Terra. Sua madre aveva traslocato nella lussuosissima, gigantesca villa svariati chilometri fuori da al-Qahira, edificata in un'oasi di verde in mezzo al nulla strappato al deserto radioattivo dal duro lavoro dei Bonificatori. Erano stati lunghi giorni d'isteria pura, terminati solo dopo che anche l'ultimo più piccolo oggetto ebbe trovato posto nella nuova residenza. Non voleva tornare bambina, ma soprattutto voleva dimenticare sua madre.
Il Secondo si sedette a una delle console spente e l'attivò. Miki riconobbe subito la configurazione del capomacchina. Ma era tutto spento: il ciclo di Stanton, responsabile della produzione di plasma ionizzato, era fermo e tutti i grafici erano appiattiti sullo zero. Il distributore a geometria variabile, un enorme congegno per la distribuzione del plasma ai vari sistemi che l'assorbivano, era disattivato rendendo impossibile alimentare correttamente i motori. Perfino i grafici dei tre flussi termoionici erano completamente vuoti. Il Secondo mosse le dita tozze e robuste sui pannelli olografici sensibili al tocco e attivò alcuni sistemi. La nota trackball rosso fuoco emerse ronzando dalla superficie della console. Il convertitore massa-energia numero tre si stava inizializzando per innescare il ciclo di Stanton.
- Ce l'avete fatta! - esclamò Miki. Il ciclo di Stanton significava energia. In condizioni normali i motori del Raja consumavano una quantità di energia spaventosa e un solo generatore attivo non avrebbe consentito il viaggio a velocità FTL. Ma tra l'energia di riserva, quella delle bobine accumulatrici, destinata a esaurirsi in meno di quattordici giorni e un solo generatore attivo, la scelta era obbligata.
- Non sappiamo se funziona – borbottò l'uomo. Le faceva impressione vederlo seduto alla console del capomacchina. Col suo fisico da sollevatore di pesi, quel viso buono, ampio e rassicurante, con i fili bianchi tra i corti capelli neri, nessuno l'avrebbe creduto un astronauta: al massimo il buon medico di famiglia con un fisico un po' fuori dalla norma. Miki scacciò subito quel pensiero: si sentiva addosso i suoi occhi e non stava sbagliando.
- Mi stai ascoltando? - non lo aveva mai visto sbottare o alzare la voce. Nemmeno ci teneva a vederlo arrabbiato.
- Sì... cioè, no – si sentiva stupida e nemmeno sapeva perché. Spyro era l'unico uomo che riuscisse a farla sentire come una scolaretta alle prese con la prima cotta.
- Mettiti in master su questa console e produci un po' di plasma spurio. I motori sono staccati, non dovresti avere problemi. Quando le bobine sono cariche, non cercare di mettere in slave: spegni tutto. È chiaro?
Miki disse di sì anche se sapeva che i convertitori massa-energia del Raja avevano un caratteraccio: sarebbe stato impegnativo mettere a nanna il numero tre dopo averlo tenuto in master. Ma coi motori isolati c'erano buone possibilità.
Osservò Spyro alzarsi dalla poltrona e ne prese il posto. Si vergognò di trattenere il fiato mentre lo incrociava e sentì evidente il calore del suo corpo che aveva scaldato le imbottiture. Ma faceva piuttosto fresco a bordo poiché il supporto vitale era stato ridotto e la cosa non le dispiacque. Posò subito una mano sulla trackball e cominciò a collimare manualmente il flusso termoionico. Richiamò sullo schermo un grafico riassuntivo delle condizioni delle bobine accumulatrici e si spaventò. Erano giunte al diciassette per cento. Meno di due giorni di autonomia. Una mano forte e pesante le si posò su una spalla e la strinse saldamente.
- Grazie.
Nella voce di Spyro sentì gratitudine e stanchezza.
- Vai a riposarti? - e a lavarti, aggiunse speranzosa.
- Sì, mi sdraio un po'.
- Tranquillo, ci penso io qui.
Il peso e il calore della mano vennero meno e il Secondo abbandonò il ponte di comando. Miki si dedicò con scrupolo e attenzione alla produzione di plasma per ricaricare le bobine che tenevano in vita il Raja e il suo equipaggio.

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Capitolo 3
*** Capitolo 3 ***


In nebula - 3
3.

Fu strappata al sonno da una sensazione di urgenza. La consapevolezza di aver dormito poco la oppresse, ma quando si rese conto che c'era qualcuno lì con lei smise di dare peso alla cosa.
- Sei sveglia?
Spyro.
- Ora sì... - aveva la voce rauca e si sentiva più stanca di quando si era messa a letto. L'energia era ancora razionata e il suo alloggio era avvolto nella penombra. Non era riuscita a ricaricare le bobine accumulatrici oltre il cinquantuno per cento. I bypass fatti da Jo e Mak non avevano retto a lungo e ne erano saltati più della metà, costringendoli a ricominciare da capo. La vecchia rete di gestione dell'energia del Raja era appunto... vecchia e non a caso quel cargo di classe Tortuga era stato profondamente revisionato per ottenere la certificazione alla velocità FTL.
- Come te la cavi con i sensori?
- Come tutti... - la domanda la indispettì. Ruotò la testa nella sua direzione: era in piedi e grande e grosso com'era sembrava riempire tutto il suo alloggio. Si era messo una uniforme pulita e ora indossava anche la giacca, aperta. La camicia con le insegne della nave sul taschino si tendeva sui muscoli del petto.
- Puoi venire sul ponte di comando?
Miki lo guardò. Era sveglia, ora. Gli sembrava ansioso, preoccupato. Lo tranquillizzò dicendogli che sarebbe arrivata in un attimo. Il tempo di vestirsi e sarebbe stata da lui. Sperò che capisse che doveva uscire dal suo alloggio se voleva che lei uscisse da sotto le coperte. Riluttante, il Secondo comprese e uscì.
Giunse sul ponte di comando mentre armeggiava con i capelli. Voleva legarli perché le davano fastidio: non li aveva ancora tagliati ed erano diventati incontrollabili. Certa di aver ottenuto un risultato orribile, si avvicinò al Secondo che stava controllando una delle console. Gli ologrammi arancioni sospesi a mezz'aria erano quelli del sistema dei sensori della nave. Fece saettare lo sguardo sulla console del capomacchina, ancora accesa. Tutti i grafici e gli strumenti indicavano zero, proprio come quando aveva abbandonato la postazione.
- Guarda qui – l'uomo mosse le dita sugli strumenti impalpabili proiettati davanti al suo viso. Avviò la procedura di inizializzazione del sistema dei sensori ma questa si fermò dopo poco con un messaggio d'errore.
- Manca un file di appoggio – commentò Miki ricacciando indietro un ciuffo riccio e ribelle. Aveva lottato contro un problema simile cercando di configurare gli strumenti MFD del suo Coyote.
- Fammi vedere.
Spalla a spalla col Secondo, configurò il sistema dei sensori che dopo alcuni tentativi si mise a funzionare correttamente. Non essendo più sotto il diretto controllo della CPU di bordo molte informazioni erano difficilmente interpretabili, ma riuscirono a ottenere preziose indicazioni.
Erano apparentemente in mezzo al nulla. I sensori indicavano una inconsueta forma di radiazione che impediva, tra le altre cose, il funzionamento del sistema di comunicazione FTL. I segnali radio sembravano immuni ai disturbi, ma ci avrebbero impiegato anni a giungere a destinazione, ammesso di riuscire a trasmettere nella direzione giusta. Una volta messo in funzione il sistema principale, attivare il telescopio di bordo fu questione di pochi minuti. In breve ebbero una visuale dello spazio intorno alla nave. Quando lo schermo rimandò le prime immagini di quello che si estendeva a prua, rimasero sbalorditi.
- Che cazzo... - iniziò Miki, ma non riuscì a terminare la frase.
- Che ti avevo detto? Sembra una nebulosa.
- Cosa ci facciamo così vicini? - una delle prime cose che insegnano ai futuri stellapiloti è di non avvicinarsi a ciò che non si conosce. Soprattutto se si tratta di nebulose. Spesso infatti sono fonte di fortissime radiazioni.
- Non ci siamo avvicinati noi. È la nebulosa che non dovrebbe essere qui.
Miki stava passando in rassegna le immagini filtrandole ora agli ultravioletti, ora ai raggi x, ora evidenziando le fonti energetiche quantiche.
- Scherzi? Questa cosa è una bomba... zampilla radiazioni di tutti i tipi. In particolare è un'emittente molto forte di raggi B.
- Non era sulla nostra rotta. Per meglio dire, non siamo così pazzi da percorrere una rotta prossima a un mostro del genere – la voce del secondo ufficiale si stava indurendo, come ogni volta che la sua autorità veniva messa in discussione.
- Vuoi dire che il Navigatore ha sbagliato il salto? - Miki non osava pensarlo, ma non c'erano alternative.
- Conosci qualcosa che riesce a spostare una nebulosa in poco tempo?
Miki tacque. La nebulosa era enorme. Ma la cosa peggiore, se ne rese conto solo in quel momento, era che il telescopio di bordo non inquadrava altro. Niente di niente oltre la nebulosa. Lo disse al Secondo.
- Senza CPU fare il punto sarà difficilissimo – osservò lui.
- Il Navigatore potrebbe farcela?
- Ridotto com'è? - l'uomo le puntò contro i suoi profondi occhi scuri resi cupi dalle folte sopracciglia aggrottate. Strinse le labbra in una smorfia e non aggiunse altro.
Miki continuò a pasticciare con i comandi del telescopio del Raja fino a quando l'ufficiale le tolse il pannello dei comandi.
- Non stiamo concludendo nulla – lo rimproverò.
- Prima di tutto rivoglio i motori, poi l'integrità strutturale. Dobbiamo allontanarci: tra tutte le radiazioni che ci investono c'è qualcosa che frigge i sistemi superiori. E dà fastidio ai gemelli.
Miki lo guardò posare i gomiti sul bordo della console. La schiena curva, le spalle piegate in avanti, la testa incassata e stretta fra le mani. Che stesse soffrendo? Miki si rese conto che non sapeva se era anche lui innestato. Fu punta dall'urgenza di abbracciarlo, di accarezzare quella schiena imponente, di stringergli le spalle per confortarlo. Ma non si mosse. Un momento dopo lui si appoggiò allo schienale, il viso duro e inespressivo. Miki rimpianse l'occasione perduta.
- Abbiamo bisogno di schermare il nucleo della CPU e di rimetterla in sesto. Poi potremmo schermare e collegare gli altri sistemi uno alla volta. Con il computer funzionante potremmo forse ricavare qualcosa di più dai sensori e uscire da questa situazione di merda.
Miki non ascoltò quelle parole: i suoi pensieri erano altrove. Con i sensori attivi, l'improvviso raggiungimento della consapevolezza che avevano fatto naufragio nel nulla l'aveva sconvolta. Almeno non c'è qualcuno che mi insegue, si disse. Ma non riuscì a sdrammatizzare.
- Ho paura – aveva un groppo in gola. Si sistemò un ciuffo cacciandolo dietro un orecchio anche se non ce n'era bisogno. Si vergognava di aver confessato quella debolezza. Le venne da piangere, ma si sforzò di controllarsi e le passò subito. Ma la paura no: quella rimase.
- Tranquilla, finché c'è energia possiamo andare avanti. Acqua, cibo... se stiamo attenti all'aria, non dovremmo avere problemi. Abbiamo tutto quello che ci serve.
Non la guardò nemmeno mentre pronunciava quelle parole. Lo osservò incrociare le braccia guardando gli strumenti dei sensori. In quel momento alcuni istogrammi ebbero un sussulto. Fu qualcosa di impercettibile, ma ne rimase traccia in un grafico. Un picco significativo. Lo notarono entrambi nello stesso momento.
- Che cazzo è stato? - chiese Miki.
- Picco nel visibile – commentò il Secondo, allungando svogliato le mani verso gli ologrammi sensibili al tocco.
- C'è qualcosa?
- Sarà la fottuta nebulosa... - commentò l'uomo.
Osservando la sconfinata nebulosa col telescopio, Miki aveva già notato che in certe regioni apparivano lampi di luce. Senza la CPU a riassumere e analizzare i dati grezzi dei sensori, era impossibile dire se poteva essere stato uno di quei fenomeni luminosi a causare il picco sugli strumenti. Si impossessò dei comandi scacciando le robuste mani del Secondo e guardò le registrazioni dei sensori che recepivano le lunghezze d'onda nel campo del visibile. Non trovò nessun picco somigliante a quello.
- Che fai?
- Ti spiace se uso il telescopio?
- No, affatto – rispose lui accogliendola. Miki si sedette sulle sue gambe per poter manovrare meglio alla console.
- Togli quelle mani da lì – protestò seccata mentre concentratissima nel programmare una ricerca a trecentosessanta gradi sentì sui fianchi le calde mani di lui. Le dispiacque d'essere stata brusca, ma la sola vicinanza di quell'uomo le rallentava le facoltà intellettive e quel contatto la mandava in confusione. Doveva verificare se aveva ragione oppure no e per farlo doveva finire quel programma.
- Fatto – disse alzandosi in piedi malvolentieri.
- Fatto cosa?
Miki gli spiegò d'aver programmato il telescopio di bordo per una banale ricerca. Sospettava che ci fosse qualcosa a portata dei sensori, qualcosa che emetteva luce e cercando tutto intorno al Raja col telescopio forse l'avrebbero trovato. Poi con quel metodo sarebbe stato possibile trovare qualcosa, qualsiasi cosa che non fosse la dannata nebulosa.
- Male che vada – concluse – rimaniamo dentro il nulla, proprio come ora.
- A incrementi di dodici gradi non finirà mai – osservò lui.
- Sai dirmi quale banco di sensori ha registrato il picco?
- Senza la CPU? No.
Miki sorrise.
- Allora dobbiamo aspettare.

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Capitolo 4
*** Capitolo 4 ***


In nebula - 4
4.

Le era toccato svuotare il catetere dei gemelli albini e la cosa l'aveva disgustata. Maledicendo il Secondo che era andato da Jo e Mak, trattenendo il fiato svuotò il sacchetto di plastica nell'imbocco dello scarico nel bagno a gravità zero. Il bagno normale non funzionava per mancanza di acqua non potabile nel circuito. Miki pensò con schifo che i pionieri dello spazio si divertivano a sparare l'urina nello spazio per vederla congelare e formare spettacolari piogge di aghi iridescenti. Che gusti, pensò attivando il sistema di pompaggio. Ora ogni singola goccia viene filtrata, depurata, riciclata, selezionata in base alla qualità e alla purezza e immagazzinata di conseguenza, pronta per essere riutilizzata. Che divertimento è guardare la pipì che congela nello spazio, si chiese.
L'idea la fulminò lì, all'istante, mentre aveva ancora le dita sul pulsante a fungo per azionare la pompa. Uscì dal bagno attrezzato per la gravità zero a passo spedito, chiedendosi dove fosse finito il Secondo. Provò a tendere l'orecchio per sentire la sua voce, o quella del burbero Mak, o quella squillante di Jo. Nulla: sentiva solo il remoto ansimare del sistema d'areazione, i deboli ronzii dei trasformatori delle piastre gravitazionali e una lampada difettosa che ticchettava lontana. Provò una diramazione dello spinale inferiore che sapeva condurre alle stive più piccole. I condotti di manutenzione erano i posti più probabili dove trovare Jo e Mak e forse loro sapevano dov'era il Secondo.
Non trovò nessuno alle stive piccole. Non a quelle più vicine. Seccata, tornò sui suoi passi. Il sistema di comunicazione interno funzionava, ma senza la CPU a smistare le chiamate e con i sensori interni spenti trovare qualcuno diventava un'impresa. Si batté una mano sulla fronte: i sensori erano appena stati ripristinati! Lei stessa aveva contribuito a rimettere in piedi il sistema. Poteva tentare di chiamare un paio di posti ovvi dal terminale della sua cabina: non era molto, ma sempre meglio che girare a piedi per tutti i corridoi e le stive della nave. La sua cabina era lontana, ma se avesse attraversato il corridoio di manutenzione dell'impianto trasportatore della stiva piccola più vicina avrebbe fatto più in fretta. Si ricordò della sua bella impresa in occasione del suo primo viaggio sul Raja: aveva attraversato il corridoio spinale di manutenzione delle stive principali, lungo quasi mezzo chilometro, a meno diciotto gradi Celsius vestita solo con maglietta e pantaloncini. Questa volta sotto la divisa azzurra aveva comodi indumenti termici: per ordine del Secondo il riscaldamento era stato ridotto su tutta la nave e faceva un bel fresco dappertutto, specialmente lì nei corridoi di servizio. Attraversò tutto il tunnel di manutenzione senza trovare paratie bloccate e condensa ghiacciata sul metallo delle pareti, ma le mani e i piedi erano freddi e quando uscì dalla parte opposta percepì nettamente la differenza di temperatura.
Si chiuse nella sua cabina nell'illusione di scaldarsi. Si mise subito al lavoro sul terminale, ma si rese conto che nonostante i sensori interni fossero attivi, era impossibile collegarsi a qualsiasi cosa. La rete interna era mantenuta attiva dalla CPU di bordo o da un sistema direttamente dipendente da essa. Sbuffò, seccata. Per scoprire dove si trovavano tutti doveva tornare al ponte di comando. Sperando di perdere qualche chilo con tutta quell'attività fisica combinata con la dieta forzata poiché era da un bel po' che non faceva un pasto decente, si mise in cammino.
Il ponte di comando era deserto. Le uniche console accese erano quelle del capomacchina, ancora deserta, e quella dei sensori. Miki si mise al lavoro e rintracciò il Secondo: condotto di manutenzione NS-EF3. Niente audio laggiù, solo i dispositivi portatili erano supportati e lei non sapeva in che condizioni fosse la rete senza fili interna né se il Secondo avesse con sé un comunicatore. Decise di aspettare lì e di dare un'occhiata al suo programma che stava girando, catturando metà del cielo intorno al Raja col telescopio. Notò con piacere che aveva quasi finito e che... aveva trovato qualcosa! Elevata albedo alle coordinate... non finì nemmeno di leggere. Si lasciò andare all'entusiasmo ed emise un acuto grido di soddisfazione. Interruppe il programma e puntò il telescopio alle coordinate indicate. Concentrò i sensori in quell'arco di spazio per cercare di capire di cosa si trattasse. Procedendo a ingrandimenti successivi, scoprì che era qualcosa di piccolissimo. Un corpo celeste lontanissimo forse, ma l'elevata albedo sembrava contrastare apertamente con questa ipotesi. Non era un'esperta, ma poteva anche trattarsi di qualcosa di molto piccolo e vicino, ovviamente di qualcosa di artificiale. L'idea, la prima che le era balzata in mente e la più affascinante di tutte, era che si trattasse di un'altra nave. Ma riflettendoci, non era una cosa così entusiasmante. Non c'era nessuno così folle da volare volontariamente vicino a una nebulosa. E se poteva vedere quell'oggetto, era certo che non procedeva a velocità FTL. Il che poteva significare che era alla deriva, naufragato proprio come loro.
I sensori non le erano d'aiuto più di tanto: l'oggetto sembrava freddo e aveva un'albedo elevata, compatibile con un'astronave con scafo metallico. Quindi terrestre: tra le varie cose dette dei telasiani era che lo scafo delle loro navi non era metallico, ma di un misterioso materiale composito che sembrava “cresciuto, non costruito”. Le parole erano di un marinaio che aveva vissuto la seconda fase del primo contatto, quando i telasiani con la loro immensa nave-habitat erano ammarati in mezzo all'oceano, sul pianeta.
Irruppe sul ponte di comando facendola sobbalzare e gridare per lo spavento.
- Iniziare la manovra di accostamento! Invertire la spinta! Motori di manovra a piena potenza!
Sembrava che metà del suo corpo volesse fare di testa sua, indipendentemente dall'altra metà. Barcollava paurosamente, dando l'idea di cadere a ogni passo. Come se una gamba volesse correre e l'altra solo passeggiare. Si aggrappò con un braccio a un sedile mentre l'altro mulinava incontrollato. Per un paio di volte Miki ebbe la sensazione che se lo sarebbe slogato.
- Comandante!
- Ammiraglio! - rispose quello contorcendosi. Riconobbe un patetico tentativo di mettersi sugli attenti. Si muoveva come un robot in preda a un corto circuito. Poi il ginocchio sinistro si piegò bruscamente e lo mandò a cadere in avanti. Solo il braccio sinistro obbedì all'istinto di attutire il colpo e l'uomo batté miseramente il viso sul pavimento antiscivolo.
- Al posto di manovra, marinaio!
Spaventata, Miki si alzò dalla poltrona della console ma tentennò. Aveva paura di avvicinarsi: l'uomo, ora supino ora su un fianco, scalciava insensatamente con la gamba destra mentre cercava disperatamente un appiglio con la metà sinistra del corpo. Almeno così le sembrava. Se non fosse stata una cosa agghiacciante da vedere, sarebbe potuta sembrarle ridicola. L'uomo era letteralmente preda di convulsioni incontrollabili. E urlava frasi senza senso.
- La paga di un mese! - le sbraitò contro tendendole la sinistra. Sapeva che doveva fare qualcosa, ma cosa? I sedativi li aveva il Secondo e non sapeva dove li tenesse. Tra lei e l'unica uscita c'era il Comandante che mulinava pericolosamente gli arti in tutte le direzioni.
- Pavel, devo dirti una cosa importante – disse cambiando tono improvvisamente. Poi batté volutamente la fronte sul pavimento, con discreta forza.
Di fronte all'autolesionismo Miki si sforzò di intervenire. Dapprima il braccio sinistro la respinse e quello destro le menò due colpi sulla spalla in modo totalmente scoordinato. Se l'intenzione era di nuocere, il risultato era stato nullo. Poi la afferrò per un polso e per la divisa, tirando. Sollevato il viso le rivolse uno sguardo strabico.
- Mamma aiutami – le sussurrò, gettandola nello sconforto. Poi le mani del Comandante la lasciarono. Dopo una scarica di convulsioni era supino e contorcendosi blaterava qualcosa riguardo un messaggio ricevuto da una certa Fiona.
- Comandante, si calmi – si rese conto lei stessa dell'effetto poco apprezzabile che ebbero le sue parole quando l'uomo alzò di scatto una gamba nell'impossibile tentativo di colpirla. Almeno così poteva sembrare. Era riuscita ad afferrargli entrambi i polsi e aveva appena scoperto di poter contrastare la sua forza quando un ipospray saettò verso il collo scoperto del capitano. Sibilò a colpo sicuro iniettando il medicinale azzurro visibile attraverso la fiala innestata nel corpo fatto a pistola. Tranquillanti: non era la prima volta che ne vedeva in giro in quegli ultimi tre giorni. Risalì con gli occhi dalla mano lungo il polso, lungo la manica della giacca color khaki. Sulla manica la toppa del Raja, sulla spalla le mostrine del secondo in comando.
- Era ora! Non sapevo che fare... - si alzò in piedi, spazzolandosi per istinto la divisa con le mani.
- Dammi una mano a rimetterlo in branda – disse il Secondo. L'ufficiale più alto in grado sul Raja si agitava ancora, anche se molto meno vigorosamente. Miki lo fece notare, ma in meno di un minuto il tranquillante fece il suo effetto e l'uomo trovò finalmente la quiete chimica.
Chiedendosi come mai, grande e grosso com'era, avesse bisogno di lei per trasportare il Comandante lì accanto, afferrò l'ufficiale per le ascelle e insieme al Secondo lo trasportò fino all'alloggio adiacente, depositandolo sulla lussuosa cuccetta.
- Sono successe un sacco di cose – disse poi con un tono come di rimprovero.
- Vedo – il secondo ufficiale stava finendo di sistemare il suo capitano, del tutto fuori combattimento ormai, e non la guardava.
- Ho trovato il picco sul grafico. E mi è venuta un'idea.
- Sentiamo – rispose l'uomo rizzandosi indifferente.
Miki gli disse tutto per filo e per segno: l'albedo elevata, le coordinate, il telescopio.
- Un'astronave – fu l'unica cosa che lui disse, pensieroso.
- Non sembri molto interessato – lo rimproverò lei, non potendo evitare di essere acida.
- Senza i motori non posso fare nulla. Anche se la fonte dell'albedo fosse una pepita d'oro massiccio grande come una corvetta, sarei costretto a lasciarla lì.
Aveva ragione, ovviamente. E qui entrava in gioco la sua idea.
- E l'idea la vuoi sentire? - mise le mani sui fianchi e ancheggiò un po', sorridendo. Voleva sembrare spiritosa, ma lui parve non cogliere. Aveva gli occhi colmi di stanchezza e le parve addirittura poco lucido.
- Mi ridarà i motori?
- Non lo so. Ma è un'idea.
- Spara – disse lui mettendosi le mani in tasca. Le tolse subito dopo, di scatto come se qualcuno l'avesse rimproverato.
- Se creassimo uno scudo di ghiaccio?
Il Secondo parve stupito, ma la sua espressione affondò subito nella maschera di pietra del suo viso. L'unica volta che aveva visto quei lineamenti ammorbidirsi recentemente era stato settantadue ore circa prima della partenza, quando lo aveva fatto salire a bordo del Coyote.
- L'ho già visto fare – si affrettò ad aggiungere – si spara acqua nello spazio, questa congela e fa da scudo.
- Non sappiamo quali radiazioni ci stanno bloccando qui – le obiettò subito.
- Provare non costa molto – ribatté subito lei.
- Scherzi? Per schermare solo il ponte di comando ci vorrà almeno una cinquantina di metri quadrati di copertura, non sappiamo di che spessore. Dubito che la nostra intera riserva di acqua possa arrivare a coprire un terzo della nave. E poi come la spruzziamo l'acqua? Ma soprattutto, come la recuperiamo?
Miki non aveva una risposta per nessuna di quelle domande. Effettivamente non sapeva che genere di protezione offrisse l'enorme scudo di ghiaccio di La Tana. Forse fungeva soltanto da barriera cinetica. All'improvviso il Secondo si illuminò.
- A meno che...
Si diresse fuori dell'alloggio del comandante a passo spedito. Miki gli corse dietro cercando di farsi dire cosa gli era venuto in mente.
- Ci serve molto meno ghiaccio se ci limitiamo a schermare i componenti critici... scatole nere, CPU, derivazioni... capito?

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Capitolo 5
*** Capitolo 5 ***


In nebula - 5
5.

L'idea non aveva funzionato. Il ghiaccio non otteneva alcun effetto. Il Secondo aveva provato in tutti i modi, senza risultati. Si era ripromessa di aiutarlo controllando i dati dei sensori, ma senza CPU confrontare e studiare i dati era un'impresa titanica. E i margini di errore erano intollerabili. L'impresa diventava impossibile se bisognava poi accudire Korti che, tetraplegica e cieca, aveva bisogno di cure pressoché continue. Il capomacchina del Raja era poi il più difficile dei pazienti: Miki la trovò infuriata poiché era da troppo tempo, a sentire lei, che non passava a informarsi sui suoi bisogni e sulle sue condizioni. Nel tentativo di difendersi Miki la informò di quanto stava accadendo e dei tentativi che stavano facendo per uscire da quella situazione. Ma, coerentemente col carattere difficile dell'ufficiale, da Korti non ebbe soddisfazione alcuna ma solo rimproveri.
Miki lasciò l'alloggio di Korti stanca e frustrata. Aveva riposato, ma poco e male. Aveva mangiato in fretta e senza badare a ciò che ingurgitava e ora non si sentiva tanto bene. Aveva voglia di sdraiarsi ma Spyro le aveva chiesto di andare da lui sul ponte di comando non appena avesse finito con Korti. Così malvolentieri si dette una sistemata ai capelli strada facendo e raggiunse il Secondo. Lo trovò intento a manovrare il telescopio.
- Guarda – indicò l'immagine proiettata a mezz'aria, circondata dagli strumenti olografici.
Riconobbe immediatamente l'oggetto. Questa volta appariva chiaramente la sua sagoma leggermente allungata. Non era un lontano pianeta, troppo luminoso. Era un oggetto piccolissimo, molto più vicino di quello che sembrava.
- Cos'hai fatto per ottenere questo ingrandimento? - Miki era sorpresa. Lei non era riuscita a ottenere altro che un puntino debolmente luminoso.
- Nulla.
- Nulla?
L'uomo tentennò la testa in un cenno di conferma.
- Vuol dire che... - iniziò Miki e il Secondo concluse per lei. L'oggetto era in avvicinamento. Lo bombardò di domande: era un rotta di collisione? A quale velocità si stava avvicinando? Quale sarebbe stata la distanza minima? Il secondo ufficiale non poté rispondere e interruppe bruscamente la raffica di domande.
- Senza un esperto di sensori e senza CPU queste domande sono tutte senza risposta.
Miki non si trattenne più e sbottò.
- Ma ci sarà pur qualcosa che possiamo fare a bordo di questa nave!
- Ce la stiamo cavando bene finora e...
- Bene un cazzo! - Miki alzò la voce ancora di più – Qualsiasi cosa facciamo, non cambia nulla. Possibile che non possiamo muoverci? Io sposto il Coyote coi motori di manovra in manuale, altro che CPU!
Non era esattamente così, ma voleva scuotere Spyro dall'apatia in cui sembrava caduto. Quello invece non accennò minimamente a perdere la pazienza e le rispose con tono così calmo e pacato che fece sentire Miki come una isterica incurabile.
- Senza nulla togliere al tuo Coyote, non è nemmeno un decimo della massa del Raja. Non è la stessa cosa da manovrare. Ma se te la senti di provare... se spezzi in due la nave non ti aspettare soccorsi, però.
- Balle! - sbottò Miki. Ma quando il Secondo le mise davanti la console di pilotaggio, capì di essersi messa in un mare di guai. Il sistema dei motori di manovra del Raja era complesso. Buona parte dei propulsori erano inutilizzabili per via della CPU disattivata. I vecchi propulsori chimici, quelli rimasti, avevano scorte limitate di carburante. Il sistema di controllo d'integrità strutturale, spento, non dava il consenso all'attivazione dei motori. Strinse i denti e, non potendo certo retrocedere di fronte all'impresa dopo quanto aveva detto, inizializzò i propulsori chimici e attivò la produzione di plasma per alimentare i pochi motori di manovra a disposizione. Ci avrebbero pensato le bobine ad accumulare l'energia prodotta in eccesso.
- Spero che tu sappia cosa stai facendo – disse il Secondo mentre inseriva il suo codice di sicurezza per scavalcare le protezioni e attivare i motori. Miki avrebbe voluto dirgli che lo sapeva, ma non era così. Dopo una trentina di minuti di calcoli, usando il telescopio per orientarsi accese i motori e fece muovere cautamente il Raja.
Ci furono un po' di vibrazioni e i sensori interni individuarono anomalie termiche qua e là ma nulla di preoccupante. Le anomalie si erano verificate in zone dove non c'era atmosfera, quindi si sentì tranquilla. Nel giro di pochi minuti dallo spegnimento dei motori di manovra le segnalazioni scomparvero e il Raja si stava muovendo lungo quella che secondo lei era una rotta di intercettazione. Le tremavano i polsi per la tensione nervosa. Si appoggiò con la schiena alla poltrona per cercare di rilassarsi. Sentiva su di sé gli occhi del Secondo come se fossero delle dita che la tastavano.
- Sei appena diventata la protagonista del diario di bordo di oggi.
- Mai un complimento, eh? - avrebbe volentieri messo la testa sotto un getto di acqua fresca. Ma non era più al Luxor di al-Qahira, dove c'era acqua da sprecare. Peccato, si disse resistendo alla tentazione di grattarsi la cute.
- Sapevo che sei una tipa con le palle – le disse. Si chiese se quella smorfia sul suo viso largo e ben sbarbato fosse un sorriso represso.
- Se riesci anche a intercettare quella nave, se è davvero una nave, sei proprio brava. Lo sai che ti spetta una percentuale maggiore su quello che recuperiamo?
- Ah, sì? - interessata, si alzò per fronteggiarlo. Lui la imitò e le si parò davanti. Era di poco più alto di lei, ma di gran lunga più largo.
- Certo – le disse tranquillo, come se accostarsi a quell'oggetto e recuperarlo fosse stata la cosa più banale da fare. E lo sarebbe stata, se il Raja non fosse stato menomato come invece era.
Miki sorrise. Non riusciva a stare calma con lui vicino. Il suo cervello si riempiva rapidamente di stimolanti fantasie.
- Vado dal capitano – disse lui dopo un lungo silenzio. Si voltò e la lasciò da sola sul ponte di comando, col cuore che le martellava nel petto per l'eccitazione e la testa calda di rabbia.

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Capitolo 6
*** Capitolo 6 ***


In nebula - 6
6.

Era davvero un'astronave. Un cargo terrestre di una classe piuttosto vecchia. Era modulare: l'ambiente abitabile era molto più piccolo del Raja e ospitava anche il reattore e il propulsore principale. Ma la somma di tutti i moduli di carico superava di molto la capacità delle stive della loro nave. E la rotta di intercettazione calcolata da Miki era piuttosto lontana dall'essere corretta: il cargo, che non dava segni di vita, nel suo moto relativo proveniva da sinistra e stava scivolando trasversalmente sotto il Raja, che nel frattempo aveva anche cambiato assetto.
Il Secondo, forse in segno di sfida, le aveva lasciato di nuovo il posto di pilotaggio. Così mentre lui sfruttava i sensori e il telescopio per cercare di capire di più sull'altra nave, Miki sudava le proverbiali sette camice per cercare di correggere la rotta di avvicinamento. Le si erano spenti già due motori di manovra perché surriscaldati quando si rese conto che il Secondo le stava parlando, a voce alta per superare i segnali acustici di allarme.
- Niente luci di navigazione né di posizione. Nessuna emissione di particelle né di altre radiazioni. Niente segnali radio. È una nave morta.
- Rassicurante – esclamò lei cercando di tenere a bada le forze esercitate dai motori di manovra sullo scafo e sulla struttura interna del Raja. Non ci teneva a spezzarlo.
- Davvero... soprattutto se sono qui per il nostro stesso motivo. Non riesci a rallentare?
Odiò la sua calma e l'apparente indifferenza a quello che stava succedendo. Con una mano aprì una coppia di valvole per scaricare del plasma in eccesso e con l'altra manovrò i comandi per modificare di nuovo l'assetto della nave. Le prudeva la nuca e la schiena, perfino la biancheria intima le dava fastidio e non aveva tempo di grattarsi.
- Ci sto provando, ci sto provando! - sbottò. Con la CPU era tutto più facile: bastava ordinare “intercetta” e al resto ci avrebbe pensato il computer. Per tacere degli strumenti, che l'elaborazione della CPU rendeva facilmente leggibili.
Controllava l'effetto delle sue manovre col telescopio e malgrado ogni suo sforzo vide la sagoma dell'astronave da carico scivolare lentamente via, sotto il Raja. Solo dopo qualche minuto riuscì a pareggiare il movimento del bersaglio. Si sentì impotente: avrebbe voluto fermarsi in una posizione ben diversa. Ruotò ancora il Raja per mettere il telescopio in una posizione più favorevole e poi spense tutto.
- Hey!
Percepì subito un tono diverso, insolito nella voce dell'uomo. Agitava le mani su un complesso pannello olografico che non aveva ancora visto.
- Cosa c'è?
- La CPU. Sta tornando in linea!
Non lo aveva sentito così entusiasta nemmeno quando tre giorni prima lo aveva stretto tra le cosce, sul tavolo della sua cabina sul Coyote.
- Che hai fatto? - chiese, eccitato.
- Io? - meravigliata e sorridente, guardò ripartire tutti i sistemi uno a uno. Generatori, contenimento e distribuzione del plasma, integrità strutturale, comunicazioni. Una chiamata giunse subito: erano Jo e Mak che chiedevano spiegazioni. Il Secondo non seppe cosa dire loro: era troppo impegnato a far ripartire la sua nave.
- Miki, vai da...
Non terminò la frase. Korti irruppe sul ponte di comando. Pallida, ma apparentemente come nuova.
- I miei complimenti, Secondo.
- Non sono stato io – rispose quello seccamente senza distogliere occhi e mani dagli strumenti. Da quello che poteva vedere, stava avviando i moduli di navigazione.
Già: il Navigatore. Se l'era scordato. L'avevano rinchiuso in una stiva. La IA di navigazione del Raja, che lei stessa aveva contribuito a trasformare in una specie di carro armato in miniatura, aveva dato segni di squilibrio. Dato l'armamento che aveva addosso, era stato rinchiuso per sicurezza. Non era possibile infatti né spegnerlo né disattivarlo temporaneamente.
- Posso sapere cosa sta succedendo? - chiese Korti col suo solito tono autoritario. Miki sentiva che la sua razione di rimproveri era solo rimandata: pareva evidente dall'espressione dell'anziano ufficiale che disapprovava la sua presenza sul ponte di comando, seduta alla console di pilotaggio.
Il Secondo riassunse per lei gli eventi in modo molto sintetico. Nessuno riusciva a immaginare come la nebulosa avesse potuto perdere la presa su di loro così all'improvviso.
Miki sentì il mugolio del montacarichi ma non lo ricondusse a nulla di particolare fino a quando il Navigatore entrò sul ponte di comando.
- Grazie per avermi rinchiuso, signori. Molto gentile da parte vostra. Davvero molto poco gentile!
Avrebbe potuto volare da un capo all'altro della galassia ma non si sarebbe mai potuta abituare alla vista del Navigatore. Da quando si era trasferito dentro l'hardware di un droide di sorveglianza nemmeno i suoi più vecchi compagni di viaggio, come Korti e il Secondo, stavano tranquilli. Il droide di sorveglianza era concepito per mettere paura: armi bene in vista ed estremamente efficaci, capacità di movimento pressoché illimitata grazie alle zampe cingolate, corazza resistente alla maggior parte delle armi disponibili. Non c'era nulla a bordo del Raja in grado di infliggere danni al Navigatore finché se ne stava rinchiuso lì dentro.
Il Navigatore, senza chiedere il consenso, fece frusciare i cingoli fino alla console più vicina e si impossessò dei controlli di navigazione sottraendoli al Secondo. Gli strumenti olografici si spensero davanti al viso dell'uomo per accendersi sulla console attivata dal Navigatore.
- Non te la prendere – iniziò il Secondo – non...
- Non me la prendo, certo. Me la sono già presa! Trattarmi come un aspirapolv... cos'è questa?
Aveva trovato la nebulosa.
- Come cazzo ci siamo finiti qui?
- Non ne sai nulla? - Miki invidiò la calma apparente del Secondo. Si poteva vedere chiaramente come il convogliatore flessibile del cannoncino rotante del Navigatore fosse pieno di proiettili.
- Cosa vuoi che ne sappia... ho un vuoto nella memoria recente.
- Allora ammetti di aver avuto problemi.
- Macché problemi! Ero solo un po'...
Il Navigatore tentennò. Miki non aveva mai visto una IA tentennare spontaneamente. Si chiese se fosse davvero di nuovo a posto. Quando l'avevano chiuso nella stiva 2 con un inganno, dava chiari segni di squilibrio. Li aveva minacciati con le armi e si era divertito a spaventarli. Aveva tentato di prendere il comando della nave e ignorato un ordine diretto.
- Da dove arrivano le coordinate dell'ultimo salto?
- Dalla memoria della CPU – rispose prontamente la IA armata.
- Ti spiace controllare?
- Agli ordini, comandante! - esuberante come al solito, pensò Miki. Ma non si sentiva ancora sollevata. Il Navigatore rimaneva una IA le cui Tre Leggi erano state strapazzate durante l'upload nell'hardware del droide di sorveglianza, noto per non essere dotato di alcun tipo di sicura per la tutela della vita umana. Anzi.
- Cazzo, queste coordinate non sono quelle dell'ultimo salto! - anche il linguaggio colorito era stata una conseguenza di quell'upload avvenuto davanti ai suoi occhi e che le era costato un gran bello spavento. Se lo ricordava perfettamente. Come l'IA stessa le aveva detto, per sfrattare dal firmware il precedente inquilino era dovuta scendere a compromessi.
- Appunto. Sono le coordinate della nebulosa dentro la quale siamo finiti prigionieri. Ha fritto i sistemi di bordo, ma questo lo sai già.
- A momenti frigge anche me – se fosse stato un essere umano, Miki pensò che a quel punto avrebbe mestamente chinato la testa in avanti.
- Ciò non toglie che queste non sono le fottute coordinate che ho usato per l'ultimo salto!
Il Navigatore sottolineò l'ultima esclamazione con una serie di rumorosi scatti meccanici: aveva angolato le piastre della corazza toracica sbattendole tra di loro. Il droide in cui si era infilato non aveva aspetto umano: aveva armi al posto degli arti e non poteva esprimersi in alcun modo. Il selettore fonico che usava per parlare gliel'aveva montato Jo recuperando i pezzi da una discarica. Miki sapeva che tra le pieghe della corazza c'era nascosto di tutto: sensori e arti più piccoli, snodati e terminanti con i congegni più disparati, incluse affilate tenaglie. Difficile essere espressivi sventolando una tenaglia in grado di recidere otto millimetri di acciaio, forse di più.
- Eppure il salto ci ha portato qui – insisté il Secondo.
- Stai insinuando che ho volontariamente portato la nave dentro una nebulosa, babbeo?
Se non fosse stato per le armi, ancora in posizione di riposo, quel vecchio epiteto sarebbe potuto sembrare spiritoso.
- Mi pare chiaro che se tu hai usato le coordinate giuste e il salto è sbagliato, qualcosa dev'essere successo. E se non lo sai tu...
Il Secondo allargò le braccia. Miki interpretò quel gesto come un tentativo di allentare la tensione che si stava creando tra i due. Sembravano due vecchi amici intenti a bisticciare. Ma uno dei due era una IA armata fino ai denti che fino a dieci minuti prima aveva dato vistosi segni di malfunzionamento.
- Stai ipotizzando un accesso non autorizzato alle memorie di navigazione di questa nave?
Il Secondo strinse le spalle.
- Il caro, vecchio attacco informatico - suggerì.
Il Navigatore stette in silenzio per alcuni secondi. Anche le IA devono riflettere, si chiese Miki.
- Plausibile, ma tutto da dimostrare. E a che scopo, poi?
- Semplice. Qualcuno ci vuole morti.
Prima che il Navigatore potesse rispondere Korti esclamò. Un istante dopo cadeva in ginocchio sul ponte, incapace di sostenersi. Tentò di afferrare lo schienale della poltrona del Secondo, ma coordinò clamorosamente male i movimenti delle braccia. Mancò l'appiglio e franò a terra.
Allo stesso tempo Miki vide gli strumenti del Raja, appena resuscitati, impazzire e spegnersi in un secondo, la CPU disattivarsi e non dare più segni di vita. Si rese conto di aver appena vissuto quello che il Comandante e il Secondo avevano visto accadere una volta usciti dal balzo FTL, tre giorni prima. Dalla sala macchine non era sembrato così grave. Non subito, almeno.
- Cazzo, di nuovo! - esclamò il Secondo.
Per quanto si affannasse con i comandi, l'uomo non riuscì a ripristinare la CPU né a capire come mai si fosse rimessa a funzionare per qualche minuto. Era tornato tutto come prima: Korti lanciava maledizioni, immobilizzata e cieca sul pavimento; il Secondo bestemmiava tra i denti mentre cercava di rimettere insieme la console; il Navigatore aveva abbassato le armi in posizione di tiro e, muovendosi con piccoli scatti meccanici, si stava guardando intorno. Almeno così sembrò a Miki quando terrorizzata lo vide abbassarsi sui cingoli. Possibile che la nebulosa non lo metta fuori gioco come le parti cibernetiche di Korti, si chiese mordendosi le labbra per la paura.
- Cosa cazzo è cambiato? Perché aveva ripreso a funzionare? - il Secondo sbottò, i pugni stretti calcati sulla console spenta e da riconfigurare da capo. La schiena curva in avanti, la testa incassata fra le spalle: anche lui era temibile, sebbene disarmato.
- Siamo sotto attacco – disse piatto il Navigatore.
- No, stai calmo – disse subito il Secondo – non hai bisogno di ricaricarti?
- Non mi fotterai due volte con lo stesso trucco, sacco di merda – il Navigatore accennò a girarsi sui cingoli, ma interruppe il movimento. Chissà che effetto sta avendo su di lui la nebulosa, si chiese Miki. Con suo grande sollievo, la IA riportò le armi in posizione verticale.
- Il primo che mi si avvicina lo impiombo.
Era una battuta di un olofilm poliziesco: la riconobbe. Ma ciò non la fece stare meglio.
- Miki, il telescopio per favore.
Ci mise qualche secondo a reagire, riluttante a staccare gli occhi dalle armi del droide. Riconfigurò con le mani tremanti la console, nelle orecchie le echeggiavano le proteste di Korti che voleva essere messa seduta. Attivato il telescopio, vide Spyro alzarsi repentino dalla poltrona della sua postazione per avvicinarsi a lei. Ebbe le armi del Navigatore puntate addosso, di scatto. Miki si sentì svenire.
- Vivo o morto tu verrai con me – altra battuta da olofilm. Pareva che il Navigatore si stesse divertendo a guardare vecchi gialli, polizieschi e film violenti in generale. Da quando era entrato in quel nuovo corpo meccanico si atteggiava a cowboy e l'anomalia della nebulosa influenzava i suoi modelli comportamentali. Dominò l'attacco di nausea che lo spavento le aveva provocato deglutendo più volte e cercando di recuperare il controllo di se stessa.
- Devo lavorare – fu la sola cosa che il Secondo riuscì a dire, immobile davanti alle armi spianate.
- Identificazione positiva – rispose il Navigatore. Non alzò le armi, ma non seguì lo spostamento dell'uomo che cambiava postazione.
- Stai bene? - stentò a capire che quelle parole erano rivolte a lei. Le fischiavano ancora le orecchie per lo spavento di poco prima.
- Sì, perché? - mentì lei.
- Sei pallida.
È perché ti ho visto morto, stronzo. Cercò di cancellare dalla mente il repentino scatto delle armi e la vista, frutto della sua immaginazione, di Spyro steso a terra in un lago di sangue. Il Navigatore era arretrato verso la soglia che dava sullo spinale, aveva alzato le armi e mostrava la sua capacità di ruotare il torso corazzato di un giro completo in entrambe le direzioni.
- Dov'è la griglia?
Ringraziò di aver speso molto tempo giocherellando col telescopio del Coyote. Con pochi rapidi tocchi all'immagine proveniente dal telescopio fu sovraimpressa una griglia.
- Aumentala...
Di nuovo pochi tocchi delle sue dita sull'impalpabile interfaccia olografica e la griglia raddoppio e poi triplicò la densità. Fitta com'era evidenziò immediatamente un movimento. Era il cargo: si stava spostando lentamente. O era il Raja a muoversi rispetto a lui. Nel vuoto dello spazio non aveva troppa importanza.
- Lo sapevo – la voce dell'uomo, seppur calma e pacata, tradì soddisfazione.
- Sapevi cosa?
- Credo di aver capito. Il cargo è passato fra noi e quella zona particolare della nebulosa. Ha proiettato un cono d'ombra dove le radiazioni dannose sono attenuate. Tant'è che la CPU ha ricominciato a funzionare. Finché non siamo usciti dal cono d'ombra.
- Ottima pensata, Secondo. Ma ora come ci torniamo in quel cono d'ombra? E mentre ci pensa, le spiacerebbe tirarmi su da qui, porca puttana? - la voce di Korti sorprese entrambi. Era ancora prona sul pavimento. Il Secondo scusandosi si affrettò a sollevarla come meglio poté e ad accomodarla su una delle poltrone, davanti a una console spenta.
- Miki ci ha portato abbastanza vicini già una volta, sono sicuro che ci riuscirà di nuovo. Abborderemo il relitto e...
Udite quelle parole Korti trasalì. Protestò a lungo, non digerendo il fatto che un semplice motorista mettesse le mani sul timone della nave e la conducesse a spasso nello spazio, anche solo a trenta metri al secondo. Il Secondo la difese, ma dovette acconsentire a registrare sul diario di bordo il reclamo ufficiale del capomacchina.
- E poi non mi ha ancora detto perché cazzo dovremmo abbordare quel relitto, Secondo – Korti, con gli occhi chiusi e rossa in viso per l'accesa discussione, non potendo incrociare le braccia serrò le labbra strettamente.
- Mi pare ovvio. Quel cargo ha a bordo qualcosa che ferma le radiazioni.

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Capitolo 7
*** Capitolo 7 ***


In nebula - 7
7.

Come tutte le tute da vuoto, anche quella era scomoda, fredda e umida. I moduli EVA, che le permettevano di muoversi liberamente nel vuoto, erano però migliori di quelli della sua tuta personale che riposava tranquilla a bordo del Coyote. Dove avrebbe voluto essere anche lei in quel momento.
La nebulosa vista col telescopio era fantastica: rossa, blu, gialla... era percorsa da affascinanti lampi bianchi, tendeva filacciose estremità in tutte le direzioni, sembrava la fotografia di un'esplosione di vapore colorato. Era ancora molto lontana ma riempiva totalmente lo spazio intorno alla nave.
Vista dall'interno della tuta EVA, annichiliva. Una volta uscita dalla camera d'equilibrio aveva perso il controllo del respiro ed era caduta vittima delle vertigini, come una stupida, paurosa principiante. Ma “paura” non era la definizione migliore per descrivere ciò che aveva provato. Aveva chiuso gli occhi strizzandoli per vincere le vertigini, per sconfiggere la morsa che le aveva improvvisamente serrato il petto. Aveva aperto la bocca e cominciato a boccheggiare contro la sua volontà, come se stesse affogando. Ma ce l'aveva fatta e si era ripresa. Fronteggiare quel mostro la stava provando, ma richiamando alla mente l'addestramento per le passeggiate spaziali era riuscita a vincere lo sconforto totale, la paura e le difficoltà di respirazione. Le girava ancora la testa ogni volta che staccava gli occhi dallo scafo del cargo alla deriva, ma sapeva di potercela fare. Strinse i denti e si concentrò su un solo punto dello scafo, un punto che le pareva fisso davanti al suo naso. Come le avevano insegnato, controllava il suo respiro.
- Controlla la velocità.
La voce di Spyro. Gli strumenti della tuta erano disturbati dalle emissioni della nebulosa. Anche la radio era disturbata, ma riusciva a capire quello che le veniva trasmesso dal Raja. Non essendoci modo di sapere quale fosse la sua velocità senza strumenti, accese i motori della tuta per frenare un poco. Solo un piccolo impulso. Un brevissimo sbuffo d'azoto dagli ugelli. Lo scafo del cargo alla deriva appariva scuro, privo di dettagli. La maggior parte della luce giungeva dal nucleo della nebulosa, una chiazza chiara e insondabile. Emetteva di tutto, facendo impazzire gli strumenti e accecando i sensori. E facendo naufragare le astronavi, aggiunse. Si chiese se la tuta fosse un riparo sufficiente da quelle radiazioni e che effetto avrebbe avuto sul suo corpo quell'esposizione. Ma ormai è troppo tardi: sono fuori.
- Vedi qualcosa? - ancora Spyro. A causa della scarsa qualità del segnale non poteva percepire il tono della sua voce, ma le sembrò ugualmente ansioso.
- Nulla. Ma sono ancora troppo lontana.
Fece scorrere gli occhi su tutta la porzione di scafo visibile. Le serviva la camera di equilibrio, un portello di carico, qualsiasi cosa. Doveva provare a entrare, a tutti i costi. Non sapeva che ci fossero attrezzi simili a bordo del Raja ed era rimasta stupita quando, seguendo le indicazioni del Secondo, aveva aperto un armadio nella stiva 2 e trovato un laser per prospezioni minerarie. Ingombrante, ma efficace. Lo aveva agganciato all'imbracatura del braccio destro: bastava puntare la mano e stringere il pugno. Il grilletto infatti era fatto per fissarsi sul palmo del guanto corazzato. Era il suo biglietto per salire a bordo.
- Ah, i gemelli si sono svegliati. Stanno abbastanza bene e ti salutano – la voce distorta dalle interferenze interruppe il silenzio. Le sembrò che Spyro non riuscisse a stare zitto troppo a lungo. Doveva essere giunto al limite della sopportazione anche lui. Dopotutto non era fatto di acciaio come voleva far credere, pensò sorridendo dentro il casco riflettente. Ricambiò i saluti e pensò ad Adso e Zarina: due spaziali da oltre cinque generazioni. Spaventosamente alti e magri, i loro arti lunghi e sottili come quelli di certi insetti le facevano spavento. Come se non bastasse erano albini e, nonostante fossero fratello e sorella, quasi indistinguibili. Soprattutto quando Zarina si tagliava i capelli a spazzola come il fratello.
Lo scafo del relitto cominciò a farsi più grande all'improvviso. Miki frenò ancora, più a lungo. Non ci teneva a sfracellarsi.
- Controllo cima di sicurezza – disse aprendo il canale della radio.
- Estensione regolare – un lungo nastro arancione si distendeva dritto dietro la sua schiena e la collegava al Raja. In caso di necessità Spyro avrebbe potuto riavvolgere la cima e trascinarla così dentro la camera di equilibrio, lasciata aperta. Eventualità del tutto indesiderabile perché presupponeva il verificarsi di una spiacevole situazione di emergenza con lei protagonista.
Lo scafo era sempre più vicino. Aveva puntato al secondo modulo di carico dopo quello abitabile che costituiva la prua del cargo. Era una classe di astronavi da trasporto molto vecchia, ma vide che certe strutture erano sempre più o meno le stesse. Col diminuire della distanza cominciò a notare i particolari: i moduli non erano tutti uguali. Quello aveva un solo portello di carico, enorme. A giudicare dall'aspetto, non doveva essere pressurizzato. Ciò la fece stare più tranquilla. Era stata categorica: per nessun motivo sarebbe entrata nel modulo abitabile. Non aveva nessuna voglia di sapere se era vero tutto quello che si diceva dei cadaveri nelle navi rimaste abbandonate a lungo. Finalmente poté manovrare per posare gli stivali adesivi al metallo dello scafo del relitto e provare a camminare. L'atterraggio fu un po' brusco ma se la cavò con un semplice spavento. Mi verranno i capelli bianchi prima della fine di questa storia, si disse.
- Ho toccato.
- Ottimo. Ti guido io. Girati leggermente a destra e comincia a camminare.
Spyro la stava tenendo d'occhio col telescopio di bordo e poteva avere una visione d'insieme molto dettagliata anche senza il video proveniente dalla sua tuta. Le interferenze erano troppe per trasmettere il video e la telemetria. Miki pensò che ora poteva immaginare come si sentisse un insetto posato su una parete o sul soffitto. Semplicemente non faceva differenza.
- Ferma. Guarda a destra.
Miki obbedì e accese la luce orientabile della tuta. La segnaletica era ancora visibile: c'era qualcosa lì. Sembrava un portello di qualche genere: c'era un profilo evidenziato da uno spesso bordo rosso verniciato sul bianco sporco del relitto. Pensò che era da secoli ormai che non si usava esclusivamente la vernice bianca per lo scafo esterno, ma che probabilmente era stato proprio per merito di quella che aveva notato la nave alla deriva.
- Direi di tagliare – disse soddisfatta. Non vedeva l'ora di usare quel laser che portava attaccato al braccio destro.
- Attenta: quell'affare è pericoloso – che carino Spyro: si preoccupa per me, pensò ridacchiando. Quando torno lo bacio.
Tagliò quello che sembrava il meccanismo di chiusura di un portello secondario. Tra gli attrezzi della tuta EVA c'era un divaricatore elettrico auto-alimentato, piuttosto potente. Non riuscì a combinarci nulla fino a quando non ebbe tagliato il portello in altri cinque punti. Per essere il portello di un cargo è chiuso bene, pensò.
Si calò nell'apertura buia. Il metallo era spesso, il portello doveva pesare parecchio. Sembrava blindato: il laser aveva fatto fatica a tagliare e ci aveva messo parecchio tempo. I fari ora illuminavano un ambiente vasto: ci mise un poco a capire che quella era una stiva piena. Oltre il vicinissimo orizzonte di una passerella metallica c'erano container impilati ovunque, in bell'ordine, assicurati con un vecchio sistema a cavi metallici per impedire che se ne andassero a spasso durante le manovre. Miki quasi si commosse al pensiero che quella stiva era ferma nel tempo esattamente come l'avevano lasciata gli ultimi che vi avevano avuto accesso. Chissà dove, chissà quando.
- Cosa vedi? - la radio era ancora disturbata e per di più ora il segnale si era attenuato per via dello scafo del relitto che si frapponeva fra lei e le antenne del Raja.
- Vecchi container... somigliano a quelli di tipo D: grandi, rettangolari, ormeggiati. Tutto in ordine.
- Tagliane uno.
Facile a dirsi per te, pensò Miki. Controllò puntando in giro le luci di profondità della tuta creando ombre spettrali in movimento. Le si insinuò il fastidioso pensiero che in mezzo a tutte quelle ombre che sembravano fuggire da lei si potesse nascondere qualcuno. O Qualcosa. Troppi olofilm sui mostri spaziali, si disse. Si assicurò che la cima di sicurezza non fosse impigliata e cominciò a scendere con molta cautela.
Quando fu accanto al container più vicino azionò il laser stringendo il pugno destro. Fu come tagliare il burro con un coltello caldo: aperta una finestra rettangolare nel metallo puntò la luce dentro il buco.
Roccia?
- Come sarebbe? - la voce di Spyro era un sussurro lontano, debolissima.
- Roccia, sabbia, pietre... pezzettini di quarzo... non sono una geologa, non so cosa sia questa roba. Luccica, va bene?
- D'accordo, non discutiamo. Preleva un campione e vieni via.
Quelle parole le fecero balenare nella mente che forse aveva reagito un po' troppo bruscamente. Aprì il contenitore tubolare che aveva portato con sé e cominciò a scavare fuori dal foro nel container tutto quello che poteva prendere.

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Capitolo 8
*** Capitolo 8 ***


In nebula - 8
8.

La sala macchine del Raja era tornata quella di sempre. Korti l'aveva sommersa di lavoro: un controllo a tappeto di tutti i sistemi di bordo connessi alla sala macchine. Dai convertitori massa-energia fino ai vecchi motori di manovra alimentati a carbocomburente, dimostratisi di grandissima utilità in quel frangente. Configurazione, test, analisi, correzione, riconfigurazione, nuovo test: aveva speso così tanto tempo sui sistemi energetici della nave che le sembrava di averli progettati lei. Eppure Korti ne sapeva sempre una in più. Miki pensò che forse era stata Korti a progettarli.
Finalmente tutto pareva a posto: filava tutto a meraviglia ed erano appena usciti da un balzo a velocità FTL che aveva portato il Raja lontano dalla nebulosa e dalla sua influenza. Lì in sala macchine erano in attesa di nuovi ordini.
Oro. Quella nei container del cargo abbandonato nella nebulosa non era semplice roccia. Tonnellate di minerale aurifero misto a formazioni di quarzo, o almeno così sembrava. Non erano stati capaci di identificare meglio quei cristalli. Ma l'oro sì: avevano uno spettrometro elementare a bordo e la CPU non aveva avuto dubbi. Oro.
Il Secondo, grazie anche a Jo e Mak, aveva usato dell'acqua congelata per mantenere insieme la sabbia aurifera, le pietre e le rocce quarzifere realizzando così in poco tempo dei piccoli scudi contro le radiazioni. Il Navigatore era riuscito, tenendo il Raja nel cono d'ombra prodotto dal relitto, a calcolare una via di fuga dalla nebulosa. Schermata per sicurezza la CPU e tutti i sistemi vitali da essa controllati, erano riusciti ad attivare i motori FTL e a uscire dai guai prima che uno solo dei blocchi di ghiaccio posizionati strategicamente cominciasse a sciogliersi. Un pannello di strumenti si attivò richiamando la sua attenzione. La simulazione richiesta dal Capo era terminata con esito positivo. Il Raja era pronto a un salto a velocità FTL lungo quanto bastava per tornare al mondo civile. Avvisò Korti a voce alta.
- Ottimo. Carica il programma standard e mettilo in attesa di conto alla rovescia.
Miki eseguì e non si accorse che nel frattempo il Capo si era alzata dalla sua console e le si era avvicinata da dietro. Inaspettatamente le mise una mano sulla spalla. Sobbalzò: Korti non era solita concedersi queste tenerezze.
- Riguardo i momenti di crisi dovuti all'irraggiamento della nebulosa, vorrei dirti...
Aveva cominciato bene, ma si era già inceppata. Miki aveva capito cosa stava cercando di dire ed era stupita dal fatto che ci stesse anche solo provando.
- …ecco, vorrei dirti che ti sei comportata bene. Con me, intendo. So di non essere la persona migliore qui e...
- Non c'è problema, signore – rispose Miki. Il Capo stava rischiando una brutta figura con lei: non le riesce proprio di cacciare fuori dalla gola un semplice “grazie”, si disse.
- Ottimo. Confido che nulla di quanto hai visto uscirà mai dalla tua bocca.
- Certamente – gli occhi artificiali di Korti brillavano di una luce dura e le rughe del viso sembravano tese, scavate da un laser. Miki intuì che non era ancora finita. Un attimo dopo la mano artificiale del Capo posata sulla sua spalla cominciò a stringere fino a farle male.
- Bene – il tono duro e quasi rabbioso dell'anziano ufficiale non lasciò dubbi – perché in caso contrario ti vengo a prendere ovunque tu sia e ti prendo a calci nel culo fino a farti venire i calli. Chiaro?
Miki si affrettò a dire “signorsì”.
- E credimi, esserti scopata il Secondo... non ti servirà a nulla, carina. Non è così che avrai i galloni finché ci sono io a bordo. Certo, ti capisco: anche a me piacerebbe sbattermi un bestione come lui una volta tanto, e unire l'utile al dilettevole... ma tutti gli uomini sono uguali. Ti fotterà fino a stancarsi e poi ti abbandonerà lì dove ti trovi. Nella merda.
Quelle parole strette tra i denti non la raggiunsero. Se l'intento era di ferirla, non ci riuscirono. L'unica cosa che Miki riuscì a pensare era che il Capo fosse solo gelosa. E che avesse avuto brutte esperienze con gli uomini, in passato. Non dovrebbe essere una sorpresa per te essere trattata male dagli uomini visto il caratterino che hai, pensò. Ma badò bene a tenersi quella osservazione per sé.
- Puoi andare a riposare un po' ora. Ti chiamo se ho bisogno.
La mano dell'ufficiale capomacchina del Raja abbandonò la presa e Miki, ostentando indifferenza, eseguì diligentemente le operazioni di chiusura della sua console tecnica e si congedò.
Contenta di aver arginato almeno per una volta la rabbia e la cattiveria innata di Korti, anche se solo dentro di sé, Miki si incamminò lungo lo spinale secondario per raggiungere il suo alloggio. Era un po' stanca perché il Capo le aveva allungato arbitrariamente il turno in sala macchine e vedere l'orologio di bordo che segnava notte fonda non la aiutò a stare meglio. Dopo tutto quello che era successo il suo angusto alloggio le sembrava il posto più comodo e bello di tutta la nave.
Spyro.
Era lì, in piedi, in mezzo alla sua cabina. Perfetto nella divisa, sollevò lo sguardo su di lei. Placido, tranquillo come sempre, le mani in tasca. Gli sorrise: doveva trovare un modo carino per mandarlo via. Era stanca.
- Tutto O.K.? - gli chiese – Sembri stanco – forse così capisce, pensò.
- Non tanto.
Vedere quelle spalle massicce sollevarsi per indicare indifferenza le fece venire una gran voglia di tuffarsi su di lui per abbracciarsi a quel petto ampio e poderoso. Il suo sguardo si perse su quello che la divisa lasciava intuire del fisico del secondo ufficiale e si fece sfuggire l'occasione.
- Devi dirmi qualcosa?
L'uomo si mosse verso di lei. Estrasse le mani di tasca e l'attirò a sé circondandole i fianchi. Era caldo e morbido. Miki non smetteva di sorridere dolcemente, ma pensava che aveva solo voglia di dormire. Gli mise le mani sui pettorali, godendo per quello che sentì sotto il tessuto della divisa khaki. Non aveva mai avuto un fidanzato così muscoloso prima e dovette confessare a se stessa che non le dispiaceva affatto.
- A rapporto, marinaio – le disse lui dolcemente, a bassa voce. Le sue intenzioni parevano chiare: la stava attirando sempre più stringendola tra le braccia. Le mani di lui stavano già esplorando le sue natiche.
- Rimandiamo, dài... sono a pezzi, devo riposare – applicò una leggera pressione sul suo petto con le mani, sperando che capisse. Sperando che non insistesse. Si rese conto infatti che non avrebbe potuto opporsi in altro modo. Ma Spyro non era un violento, ne era certa. Infatti arretrò.
- Peccato. Volevo darti questa.
Stretto tra le dita tozze di una mano salita dalle sue natiche, Miki vide brillare un oggetto lucente, di forma irregolare e di un bel giallo vivo. Rimase senza fiato. Oro! Spyro le aprì una mano e vi posò una pepita grande quasi come un bullone. Com'è pesante, fu la prima cosa che pensò sentendo l'oggetto scabro rotolarle sul palmo disteso. La pepita era calda per essere stata a lungo nel pugno di Spyro.
- E anche questa... - un'altra pepita, più grande della precedente e di forma oblunga andò a sbattere contro la prima.
- …e questa.
Ora le pepite erano tre. Tre sassi luccicanti, bellissimi. Forse erano tutti e tre massicci.
- Li ho trovati... - disse l'uomo rispondendo con un sorriso complice alle sue domande inespresse.
Non sapendo che dire e pensando che restare lì sorridendo a bocca aperta come una stupida non fosse abbastanza, saltò al collo di Spyro e lo baciò.

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