Monologo di un pazzo molto lucido

di Lanya
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Angeli e felicità... Ma il paradiso è lontano ***
Capitolo 2: *** Anche i fiori piangono ***
Capitolo 3: *** Confessioni di una bambola di pezza ***



Capitolo 1
*** Angeli e felicità... Ma il paradiso è lontano ***


Monologo di un pazzo molto lucido

Monologo di un pazzo molto lucido

 

Felicità. Una parola che mi angoscia. Non che io ne abbia paura. Come si può avere il terrore di essere felici? Come si può provare quell’orrore strisciante e cieco, quello che ti paralizza e ti uccide, per una cosa così innocua?

 

D’accordo, io ho paura della felicità. Sei sbalordito? Se vuoi te lo ripeto. IO HO PAURA DELLA FELICITA’. Contento ora?

 

Beh, se sì, ti spiegherò in breve il motivo: la felicità presuppone anche il suo contrario, il dolore, il decadimento, la morte. Essere felici è la condizione più dolorosa che esista, come diceva un poeta che ora non ricordo più:

 

Felicità raggiunta, si cammina
per te sul fil di lama.
Agli occhi sei barlume che vacilla,
al piede, teso ghiaccio che s'incrina;
e dunque non ti tocchi chi più t'ama.

Se giungi sulle anime invase
di tristezza e le schiari, il tuo mattino
e' dolce e turbatore come i nidi delle cimase.
Ma nulla paga il pianto del bambino
a cui fugge il pallone tra le case.

 

Ha ragione: la felicità è qualcosa di effimero, cosa che gli uomini comuni non hanno ancora compreso. Basta leggere in un dizionario:

 

felicità
s.f.inv.
1 stato d’animo di chi è felice; gioia, contentezza: provare una grande f., essere al colmo della f.; fare la f. di qcn., renderlo felice; f. eterna, la beatitudine del paradiso | come augurio: f.!, f. a tutti! | iron.: che f.!, sai che f.!, di qcs. di sgradevole
2 cosa che rende felici: è una grande f. rivederti
3 qualità di ciò che è ben riuscito, positivo: la f. di un’idea, di una soluzione | adeguatezza, proprietà: la f. di una frase | abilità, maestria: f. di stile

 

Parole, parole. Ma perché esprimersi con le parole? Non hanno significato, non sono vive… Vuoti suoni nella riecheggiante notte oscura. Le parole sono un sentiero deserto. E anche molto sporco, a dir la verità.

Una volta ho sognato che tutte le parole del mondo si ribellavano alla loro condizione di immobilità e inespressività. Formavano nuove immagini, sentimenti, pensieri… Le lettere si visitano l’un l’altra e davano vita ad un canto d’amore. Come gli angeli.

 

No, non come gli angeli.

Perché io una volta li ho visti, gli angeli.

E non sono quello che si pensa.

Gli angeli sono invidiosi di noi umani che abbiamo tutto, perché loro non hanno niente.

Hanno solo ali piumate con ragnatele ad avvolgerle.

E tra i capelli una corona fatta di bottoni, lacrime e sangue.

Si dondolano su altalene cigolanti, attenti a non sporcarsi di polvere le putride e sbrindellate vesti.

Io un giorno li ho visti e loro mi hanno offerto una testa recisa dal corpo di qualcuno.

Portava una corona di bottoni, lacrime e sangue ed ancora non era fredda.

Alzai gli occhi verso chi me la offriva.

 

 

Era senza testa.

 

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Capitolo 2
*** Anche i fiori piangono ***


Monologo di un pazzo molto lucido

Monologo di un pazzo molto lucido

 

In realtà (ma che significato ha questa parola viola?), io penso che il mondo sia un’immensa landa deserta dove il miasma della morte supera il profumo di incenso, di fiori e di mare che cerca di coprire questo lezzo.

Una distesa sporca che gli alberi verdeggianti e i prati colorati non riescono ad abbellire.

Dove uomini e donne si suicidano con un coccio di plastica spuntato: non credetemi pazzo per queste parole, è la verità. Ma la verità che cos’è? E’ una parola che tengo ripiegata in una tasca della giacca, per non disturbare. Ogni tanto la tiro fuori e la osservo, stando attento che nessuno mi stia guardando. Poi velocemente la rimetto in tasca, e ripiego me stesso in quella tasca della giacca. Attento a non disturbare il Fuoco Inchiostrato, che brucia animali piangenti.

 

Perché in questo inferno terreno anche i fiori piangono…

 

E se ancora pensate che Dio vi salverà vi sbagliate: Dio non può e non deve tirarci fuori dal nostro personale inferno.

Se abbiamo creato un luogo dove ad ogni passo rischiamo di cadere, non è colpa sua.

Se viviamo in un luogo dove la felicità è stata bandita da chi dice di amarci, non è colpa sua.

 

Ascoltate questa natura artificiale…

 

Ascoltate questo cuore stanco che è morto due giorni dopo oggi e quattro prima di ieri…

 

E forse…

Clic, clic.

Goccia di rugiada

nell’alba pura.

 

… forse vivere

non sarà così difficile.

Bum, bum.

Vuoto riecheggiare

del mio cuore

nella vana notte.

 

Infondo, qual’è la difficoltà

insita nel peccaminoso atto

della vita?

 

Riecheggia l’urlo della madre

senza figlio

e del marito senza moglie.

A loro, questa seconda possibilità

non è stata concessa.

 

Universo di carta,

realtà irreale,

pensi che io mi faccia ingannare?

 

So che il vero padrone

del destino sei tu.

Io eseguo, mio signore.

 

Ma un giorno

con una spada amaranto

squarcerò

quel che rimane

di questo pettine

d’argento

e sarò libero.

Libero.

Libero.

 

Ma io saprò usare

questa libertà

che tanto bramo

e tanto temo?

 

La libertà è la peggiore delle schiavitù. La morte, a confronto, è un volo mattutino di campane tintinnanti.

Io l’ho incontrata diverse volte. La morte, intendo. L’ho trovata una gradevole signora di mezz’età vestita di un abito di seta cinese ormai quasi scomparsa per il travaglio degli anni trascorsi a lottare contro Sorella Vita. E’ una donna truccata finemente senza occhi. E’ garbata, dolce, distinta, insensibile, vendicativa, malvagia. E’ figlia di un urlo di dolore e di un uomo mai nato. Appena nata, esisteva già da secoli. Sapeva tutto del nulla. Ne conosceva i minimi dettagli: li insegnava ai centauri, alle orchidee e alle rane di stagno.

Ogni tanto, ma solo quando aveva voglia, scriveva. Solo in un caso scriveva e, ripeto, uno soltanto: lei scriveva quando scopriva che qualche vivente viveva.

Allora Fratello Invisibile se ne andava a ballare sulle punte dei piedi che non aveva, tenendo nei capelli che non possedeva una rosa nera sbocciata molto tempo prima.

 

E, ogni tanto, un petalo che non c’era cadeva.

 

 

 

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Capitolo 3
*** Confessioni di una bambola di pezza ***


Monologo di un pazzo molto lucido

Monologo di un pazzo molto lucido

 

Oggi, invece, ho intenzione di parlarvi dell’amore. Che cos’è l’amore?

Molti mi risponderanno: “E’ un sentimento che ci lega a qualcuno: lo rispettiamo, lo vogliamo, lo adoriamo”.

E io vi chiederò: “E’ felice o amaro l’amore?”

E la gente ne avrà timore rispondendo: “E’ cosa buona.”

 

Io penso invece che l’amore sia solo una manifestazione della morte: amare significa dimenticare se stessi, essere un po’ l’amato e un po’ essere il mondo. E cos’è la morte se non la totale dimenticanza della propria vita?

La morte non è quella che scientificamente e cinicamente viene definita l’assenza di vita: il cuore si ferma e saluti a tutti. Viaggio di sola andata per un appartamento di 50 cm di larghezza, una lunghezza di un metro o due con vista tombe. Ci sono anche i fiori.

Amaramente, stancamente, svogliatamente, consciamente mi trascino fino all’affabile e crudele Signora Morte. Scordatevi il clown shakespeariano, il tristo mietitore medioevale: la morte non è l’assenza di vita, è la condizione in cui trascorre la sua esistenza ogni essere vivente. E l’Amore è il suo compagno: un ragazzo dai capelli chiari inanellanti in precisi boccoli e con il volto lordo di sangue.

Al ritmo di una musica di organi nascosti nell’arcano, il giovine Amore balla una danza tribale, trascinando con sé elfi e fatine. Usando come nacchere teschi di dinosauri, Amore si diverte pazzamente, smisuratamente.

Spiritualmente, la Morte e l’Amore si accompagnano all’Aria Sanguinante. Alle nere urla di chi non può nascere. Alla mia esistenza da prigioniero delle sbarre di pensiero.

Venere chiede a Marte una vita senza felicità in cambio di angeli decaduti. Con Amore, giocano a dadi la vita di un neonato in fasce. Una luce pulsante dal nauseabondo colore reclama una discontinua ideologia di Vita e Morte e Amore.

Sento per questo un pulsare mortale nell’amore che non provo per me stesso. La mia nera aura fatta di tramonti oscuri e di rossetto argenteo è viva ormai solo nell’aldilà. Oscuri fiori di campo emettono sentori francesi. Le analogie patriottiche urlano alla luce dei cimiteri. Si accasciano inerti al soffice manto di velluto di Vita le ninfe piangenti. Alla fine Vita sarà stata più crudele di Morte: le nuvole di bianca luce cavalcate da muse precipiteranno dal cielo al suo richiamo. Gli alberi avranno finalmente la loro silenziosa rivoluzione di sofferenza e vita. E Amore spargerà frecce avvelenate di Cupido per poi svanire in castelli disabitati. Come un bambino, Amore giocherà con le nostre vite e chiederà al mondo il nulla. L’assenza. La non-vita. Allora, giungerà il Tuo momento. Nelle torri di fulmini della mia vita fluttuerò alla Tua ricerca. Nel mio disprezzo per Te, chiederò al Dio dell’acqua che Amore non ti risparmi la sofferenza. Ti torturi. Ti uccida. Ti dileggi. Ti consacri all’odio per l’odio. Quando Amore Ti troverà, Ti verrà vicino al viso con il suo fatal pensiero.

 

Respirando piano piano, per non farti male.

 

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Si ringraziano:

- Il protagonista;
- I recensori (Vale3, AliceVolevaMorire, Shaida Black, Mia, suzako, etcetera);

- Per le citazioni: Eugenio Montale (con la poesia “Felicità raggiunta”) e il Dizionario on-line De Mauro (per la definizione del dizionario).

 

Grazie anche a tutti quelli che hanno letto questa storia!

Baci,

Lanya

 

 

 

 

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