The last breath of ice di Gavriel (/viewuser.php?uid=49679)
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Guerra e profezie (ovvero mai credere di conoscersi) ***
Capitolo 2: *** Fuga (ovvero mai sciegliere la strada semplice) ***
Capitolo 3: *** Fuga ***
Capitolo 4: *** Gatto, demone, lupo ***
Capitolo 1 *** Guerra e profezie (ovvero mai credere di conoscersi) ***
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1
Guerra
e Profezie
(ovvero
mai credere di conoscersi)
Il
corridoio del Collegio era deserto, solo i granelli di polvere
illuminati dalla luce rossastra del tramonto.
Neli
sentì la malinconia insinuarsi lentamente nel suo petto. Si
mise a correre, non voleva che la tristezza avesse la meglio, non ora.
I
passi risuonarono nel corridoio e la polvere girò impazzita
al passaggio della ragazza.
Imboccò
di corsa le scale e le salì, senza badare a quelli che la
salutavano o la chiamavano dai pianerottoli di marmo, la gonna grigia
della divisa che fluttuava sopra le ginocchia.
-
Neli!-
Riconobbe
la voce e stavolta si girò. Un ragazzo poco più
alto di lei con i capelli castani e gli occhi scuri era in piedi fuori
del dormitorio dei maschi. Era La.
-
Ciao, La! Cercavo Celia…- disse sorridendo al suo migliore
amico.
-
Sul terrazzo. Vieni- rispose La tirandola per il braccio.
Salirono
le scale fino alla porta del terrazzo, a cui si accedeva attraverso una
scaletta a chiocciola nella biblioteca al quinto piano, e La spinse la
porta.
La
luce delicata del tramonto invernale inondò i loro visi,
mentre uscivano sullo spiazzo da cui si poteva osservare tutta la
cittadina di Portaroen, le casette bianche di neve tinte di rosa dal
tramonto.
Sulla
loro destra iniziava il tetto, dietro un’inutile ringhiera
superabile con un salto. E appollaiata sulle tegole, beatamente
sdraiata al sole c’era Celia, la gemella di Neli. Le due
ragazze erano identiche, gli stessi capelli biondo chiarissimo, la
stessa forma delle sopracciglia, del naso, della bocca.
L’unica differenza visibile era che Neli aveva gli occhi
grigi e Celia verde chiaro.
-
Hei, inseparabili, sono qui- chiamò Celia scendendo con un
salto dal tetto- stavo pensando.-
-
Oh, no La pensava! Secondo te è grave?- esclamò
Neli fingendosi preoccupata, dando una gomitata a La che
sogghignò.
-
Ascolta Neli, so che per te è una cosa strana, ma la gente
normale a volte pensa, capisci?- replicò Celia mettendole
comprensivamente un braccio intorno alle spalle.
BLAM
La
porta si aprì di scatto e comparve l’anello
mancante del quartetto. Capelli castano scuro e occhi marrone dorato,
Malia entrò trafelata.
-
Siamo in guerra!- annunciò ansimando.
-
Cosa?!- esclamò La spaventato.
-
Il Neran ha mobilitato centomila uomini e ora sono a dieci giorni dal
confine! E’ arrivato un messaggero mezzo morto a Magori
l’altro giorno, dicendo che era riuscito a sfuggirgli, ma
l’Oen non ce la farà mai a resistere a
un’armata di centomila uomini, anche se siamo maghi!- li
informò con il panico nella voce.
Il
Neran era uno stato confinante con la loro nazione, l’Oen,
l’unica terra oltre la brulla Terra degli Elfi la cui
popolazione fosse magica. Orisum, a capo del Neran aveva degnamente
continuato le orme del padre Lizar, nutrendo un odio e una paura
profondi verso i maghi e fino ad allora non aveva perso occasione di
attaccare l’Oen, durante il suo lunghissimo regno (in
effetti, era inspiegabile come un uomo potesse vivere e regnare
così a lungo, senza neppure invecchiare). Fino ad allora i
maghi dell’Oen erano sempre riusciti a sconfiggere gli Uomini
senza Ombra, come erano chiamati i soldati del Neran, ma era
impossibile anche per dei maghi sconfiggere un’armata di
centomila uomini.
-
Come…dove diavolo gli ha presi quel pazzo di Orisum
centomila uomini?- chiese La spaventato.
Malia
scosse la testa senza saper che rispondere.
Neli
guardò Celia. Nell’ultimo attacco sferrato da
Orisum avevano perso la vita i loro genitori, quando loro avevano solo
cinque anni. Loro due si erano salvate per miracolo ed erano state
portate al Collegio, la scuola di Arti e Magie della città,
che fungeva anche da orfanotrofio e da allora erano vissute
lì.
Anche
La era orfano ma quando non era al Collegio, cioè tutto
l’anno scolastico, stava dai suoi odiati zii, i
più ricchi proprietari terrieri di Portaroen, che avrebbero
fatto di tutto per levarselo dai piedi.
Malia
invece era figlia di un mercante che con la moglie e la sorella
maggiore di Malia viveva in una città poco distante da
Portaroen.
Poi
per tutto l’edificio di diffuse la voce amplificata con la
magia della orribile direttrice.
-
Tutti gli studenti sono pregati di riunirsi nel cortile, causa annuncio
urgente- gracchiò.
I
ragazzi si guardarono un attimo e poi corsero giù per le
scale. Attraversarono l’atrio al piano terra, illuminato
dalle grandi finestre rettangolari e dal grande rosone
dell’ingresso e dopo aver superato il portone di quercia si
ritrovarono nel colonnato che circondava metà del cortile.
La
saltò direttamente il muretto basso che separava il cortile
di terra battuta dalle colonne di marmo e si allineò vicino
a dei suoi amici nella colonna dei maschi, mentre Neli, Celia e Malia
si sistemavano tra le ragazze.
-
Oh, guarda le sorelle fotocopia…- commentò
qualcuno da dietro.
Celia
si girò, sapendo già che vedere. Lerani era anche
lei dell’ultimo anno, il decimo, e non si poteva proprio dire
che adorasse il quartetto e l’antipatia era ricambiata. Era
alta e secca, con i capelli rosso scuro e gli occhi neri e come al
solito era seguita da un branco di ragazzine ridacchianti.
-
Come va con il tuo amore, La?- chiese rivolta a Neli, con il suo solito
sorriso orribile.
Neli
la guardò con sufficienza. Era abituata a sentirsi dire che
La era il suo: fidanzato, ragazzo, marito, amore, tesorino, ciccino,
pucci-pucci e via dicendo e ormai non ci faceva caso, come
d’altro canto faceva l’amico.
-
Tutto qui quello che sai fare Lerani?_ chiese scettica girandosi
dall’altra parte_ uhm, stai perdendo colpi, cara-
-
E il trucco ti si è sbavato…oh, no scusa quelle
sono le occhiaie…-commentò perfida Malia.
Celia
rise e Lerani la fulminò con lo sguardo.
-
Ridete pure, ma tra poco vedrete…è finito il
soggiorno al Collegio orfanelle…- fece oltrepassandole
agitando la mano.
-
Cosa? Cosa hai detto?- esclamò Celia.
Lerani
ridacchiò senza voltarsi. Neli la seguì furente
con lo sguardo, ma Celia la agguantò e la fece girare.
-
Ripeti- ciò- che- hai- detto.- ringhiò
afferrandola per la cravatta grigia e azzurra della divisa.
-Mollami
stracciona!- strillò Lerani.
In
quel momento la direttrice Rowen fece il suo ingresso in cortile
salvando Lerani da un pugno in un occhio da parte di Celia. La
direttrice era alta e tarchiata, truccata con uno strato di due dita di
fard per nascondere le abbondanti rughe, con i capelli grigi raccolti
una rigida crocchia.
-
Studenti_ esordì passeggiando tra loro e zittendoli di
colpo_ come immagino avrete sentito l’Oen è stato
aggredito da parte dello stato del Neran. Non sarà per nulla
una guerra facile, ma voglio informarvi che non subirà
conseguenze all’interno del Collegio, che è ben
protetto. Le lezioni seguiranno il loro corso e non ci saranno
sconvolgimenti negli orari o altro. Ripeto, qui al collegio sarete al
sicuro e non vi mancherà nulla.- concluse con uno stupido
sorriso, mentre un mormorio si diffondeva tra gli studenti.
Neli
vide La mormorare qualcosa all’orecchio del suo amico e
scoppiare a ridere.
-
Sempre che non si facciano battute idiote- sibilò la Rowen
avvicinandosi minacciosa al ragazzo che deglutì, ma non si
mosse.
-
Potete andare. Tutto seguirà il solito corso.
L’orario entro il quale si deve tornare nei dormitori rimane
invariato. Nessuna eccezione.- aggiunse e il suo sguardo
saettò su Celia e Neli.
Mentre
le tre ragazze stavano raggiungendo La, le gemelle sentirono la mano
grassoccia della direttrice agguantarle.
-
Dopo cena vi voglio nel mio ufficio- disse con un sorriso tirato,
quando le ragazze si girarono.
-
Non siamo state noi.- esclamarono meccanicamente in coro le sorelle.
-
Coda di paglia, eh? Puntuali.- gracchiò superandole.
Neli
e Celia si guardarono preoccupate, mentre Lerani le superava
guardandole come dire “Visto?”.
Cosa
voleva la direttrice?
L’ufficio
della Rowen a prima vista poteva sembrare un emporio di oggetti
raccolti in negozi d’antiquariato in fallimento; poi se
facevi attenzione e aguzzavi la vista potevi scorgere tra un tappeto e
un comodino un lembo di pavimento di moquette. Le pareti, ingombre di
ventagli ricamati e pizzi incorniciati, una volta dovevano essere
coperti di arazzi antichi, ma ora questi erano ammassati nei ripostigli
ed avevano lasciato il posto ad orrendi vassoi da the appesi.
Celia
entrò in quell’ufficio ormai familiare: in
effetti, anche se andava bene a scuola non era proprio un angioletto, a
quanto diceva la condotta…
Dribblando
raggiunse la scrivania al momento vuota e si sedette su una vezzosa
sedia fucsia coperta di pizzi viola.
-
Sera-
Una
voce uscì da dietro di lei. Era la Rowen, incombeva
controluce e proiettava la sua ombra minacciosa.
Celia
trasalì, l’unica cosa che veniva bene alla
direttrice erano le entrate teatrali, per il resto…
-
Piacere di rivederla, sa cominciavo a chiedermi che fine avesse fatto;
è più di una settimana che non ci incontriamo.-
disse la Rowen sedendosi dietro la scrivania sommersa di vasi di fiori
secchi.
-
Sinceramente anche io cominciavo a preoccuparmi pensando a lei senza di
me che lo qualcosa da fare…- disse Celia terrorizzata;
cercava di dissimulare la sua inquietudine, sperava che non
l’avessero beccata ad uscire di nascosto per seguire gli
allenamenti di scherma riservati ai maschi… o del fatto
delle corse di criceti…
Toc-toc
-
Avanti-
Neli
entrò impacciata; chiuse la porta dietro di lei, facendo
attenzione a non toccare i soprammobili di cristallo.
I
suoi occhi vagavano sulle pareti, sui vassoi, sui pizzi…un
vetro infranto la riportò alla realtà. Aveva
urtato contro un tavolino da the intarsiato e aveva fatto cadere un
enorme rospo di vetro soffiato.
Assumendo
una gradevole tonalità di fucsia che si intonava
perfettamente con la poltroncina verde lasciata libera vicino alla
sorella si sedette.
Neli
era un po’ nervosa per la scultura infranta, ma nulla in
confronto al terrore che fosse arrivato alle orecchie della direttrice
il gruzzolo di rupe vinte nelle scommesse sulle corse di criceti o
l’impressionante quantità di compiti passati a La
durante l’anno scolastico…
-
Siete state selezionate tra un campione di 200 studenti per ottenere un
posto alla prestigiosa Scuola di Secondo Grado della vicina
città di Nalier. Ormai avete compiuto i quindici
anni obbligatori per l’iscrizione e questo _
“grazie al cielo” pensò_ sarebbe
comunque il vostro ultimo anno al Collegio. Visti i vostri eccellenti
profitti scolastici… che dire? Congratulazioni.- concluse
tronfia.
Neli
ebbe la netta impressione che nel dire questo si fosse tolta un enorme
peso…poi le tornò a mente che fine aveva fatto
l’allevamento di furetti albini del custode e dovette a
malincuore dar ragione alla Rowen.
-
Mi scusi… ma solo noi due so tutti gli 80 studenti
dell’ultimo anno del Collegio? Non siamo le sole ad andare
bene…- chiese Celia senza sapere perché lo stava
chiedendo.
La
sua domanda spiazzò la Rowen. Aveva ragione non era
credibile…
-
Oh, no…anche…_ l’occhio le cadde
sull’elenco delle punizioni sulla scrivania davanti a
sè _ il signor La Roen e… _inventò_ la
signorina Malia Gareth, sì…-
Celia
corrugò la fronte. La Rowen aveva sempre cercato di separare
per quanto possibile il quartetto, e ora li mandava insieme alla
Secondaria? Ma forse era solo una tattica astuta per levarli tutti
insieme dalla circolazione.
-La?-
chiese invece Neli stupita.
-
Oh sì… i suoi voti hanno avuto
un’impennata negli ultimi tempi, anche se molti dei suoi
insegnanti mi hanno fatto notare come i compiti del signor Roen
assomiglino straordinariamente ai suoi, signorina… ma
abbiamo perso fin troppo tempo. Partirete dopodomani alle 5.30. Della
mattina- concluse assumendo una tonalità color pulce.
-Cos…
domani?! 5.30?!- ribattè Celia.
-
Sì, niente commenti prego… a domani-
tagliò la Rowen agitando una mano.
-
Ma…- tentò Neli.
-
A domani- concluse brusca la direttrice girandosi per raddrizzare un
vassoio.
Le
gemelle si guardarono stupite, poi si alzarono e andarono verso la
porta.
Qualcosa
attirò l’attenzione di Neli. Il rospo che aveva
rotto poco prima era ancora a terra a pezzi, ma al suo interno si
vedeva chiaramente un libro, con la copertina viola chiaro e gli angoli
neri.
Lo
raccolse e lo infilò in fretta nella borsa con i libri.
-
Signorina Zotopi!-
Neli
raggelò e si girò. La direttrice non poteva
averla vista, in quel momento era girata.
-
Questo è suo se non erro- disse porgendole una piccola
trottola dai colori sgargianti.
-
Oh sì il mio Annebbiatore…- fece Neli cauta
prendendolo dalle mani della Rowen.
-
Il periodo di sequestro è finito, ma provi a ridurre di
nuovo la biblioteca in quello stato e lo terrò io. Per
sempre- concluse gelida.
Neli
fece il suo miglior sorriso tirato e poi uscirono tirando un sospiro di
sollievo. Per un po’ camminarono senza parlare, dirette al
Dormitorio femminile.
-
Era un po’ debole come scusa, no?- commentò infine
Neli.
-
Anche per te quella di mandarci alla Secondaria di Nalier è
una scusa?- chiese Celia.
Neli
la guardò con un’occhiata eloquente.
-
Perchè secondo te non ci vuole più qua? Voglio
dire, lo so che abbiamo creato un bel po’ di problemi, ma
credevo che punirci le piacesse…- chiese alla sorella.
Celia
scosse la testa senza sapere che rispondere. Camminarono ancora in
silenzio.
Quando
imboccarono le scale dirette al terzo piano dove c’erano i
Dormitori femminili Celia chiese- Cosa hai raccolto
nell’ufficio della rospa?-.
Neli
sogghignò.
-Non
ti sfugge nulla, eh? Boh, era un libro nel rospo che ho fatto cadere-
rispose frugando nella borsa.
-
No aspetta non tirarlo fuori qui. Quando siamo in Dormitorio, qua
c’è in giro Moman- disse Celia alludendo al
custode.
Avevano
salito le sei rampe di scale che separavano il piano terra, dove si
trovava l’ufficio della Rowen, dal terzo piano del loro
dormitorio. Al primo e al secondo piano c’erano solo aule,
mentre al quarto e al quinto rispettivamente il Dormitorio dei maschi e
la biblioteca. Sopra c’era solo il terrazzo, a cui
teoricamente non avevano accesso, ma che tutti frequentavano lo stesso.
Celia
spinse la porta del Dormitorio ed entrarono.
-
Allora?_ chiese Malia, schizzando su dal letto azzurro, che aveva le
sue buone ragioni per credere che la Rowen le avesse chiamate per
assegnarle altre serate di punizione_ quanti giorni?-
-
Per sempre- sentenziò Celia lasciandosi cadere sul letto.
-
Siete state espulse?!-
-
Non in questo senso- sogghignò Neli lasciando il libro sul
comodino.
-
E allora?- chiese Malia impaziente.
-
Siamo iscritti alla Secondaria di Nalier. Noi tre e La- riassunse Neli
chiudendo gli occhi.
-
Cos… La?!- chiese Malia stralunata.
-
Già. Con tutti i compiti che ha copiato da Neli…-
commentò Celia.
Malia
aggrottò le sopracciglia.
-
E perché non lo ha detto a tutti di persona?- chiese.
-
Sì neanche a noi quadrano parecchie cose di questa faccenda_
fece Celia_ comunque non possiamo farci nulla…-
Neli
riaprì gli occhi e prese in mano il libretto dal comodino.
Era un piccolo libro violetto con gli angoli rinforzati in metallo nero
e una piccola serratura mai chiusa da nessuna chiave. Sulla copertina
in un cupo inchiostro nero c’era scritto:
“Profezie”
Neli
lo aprì a caso: ogni pagina conteneva una specie di poesia
senza rime precise, scritta sul bordo destro del foglio, invece sulla
sinistra c’erano appunti, piccoli fogli, disegni davvero
raccapriccianti o piccole tasche di carta contenenti minuscole buste
sigillate in ceralacca viola e altre cose strane. Alcune poesie erano
molto lunghe, altre si limitavano a poche parole, altre ancora erano
scritte in alfabeti che aveva visto solo sul libro di rune, ma che non
sapeva tradurre.
Neli
voltava quelle pagine fruscianti di pergamena e sentiva di dover
trovare qualcosa… più avanti…ancora un
po’…
-
Allora cos’è?- chiese Celia curiosa.
Ecco.
Il suo nome. Il suo e quello di Celia, scritti in alto a destra, con
una scrittura elegante e fluida ma allo stesso tempo inquietante.
-
C’è il nostro nome qui. C’è
il nostro…-
-
Da qua!-
Celia
prese il libro e subito sentì che odorava di antico,
qualcosa di involabile e arcano era nascosto in quelle pagine, qualcosa
che nessuno doveva sapere…
Con
mano tremante sfiorò il libricino e vide scritta a caratteri
stretti la pagina di Profezia dove c’era davvero il loro nome.
D’istinto
toccò di nuovo il libro, ma fu una mossa sbagliata: una
valanga di immagini la colpì in pieno cervello. Vedeva
immagini, immagini del passato, due schegge di luce, due uomini
incappucciati di nero sigillavano qualcosa dentro una parete di
ghiaccio azzurro, ma nel compiere il gesto un dei due si voltava verso
di lei e la guardava con occhi verde scuro, sbarrati, pieni di
rimprovero.
-
Non devi stare qui! Va via!- diceva con aria arrabbiata e preoccupata.
Ma proprio quando muoveva le labbra i suoi occhi si spegnevano e il suo
sguardo perdeva vita…
-
Celia puoi leggere per piacere?- chiese Malia eccitata.
Celia
guardò smarrita Neli e le passò il libro,
incapace di leggere al momento.
Neli
prese il libro con mani tremanti e lesse:
“Due
Draghi rinchiusi
due
cuori perduti
dall’alba
al tramonto
sarà
il tormento
il
cerchio infinito
verrà
spezzato
amor
mai vissuto
sarà
immolato
la
prima morte
da
mano innocente
sarà
della guerra
impronta
sicura
l’ultimo
a avere il settimo dono
lo
negherà a chi ne ha bisogno
un
soffio di vita
un
soffio di morte
perché
del mondo si salvi la sorte.”
Neli
finì di leggere.
-
Cosa significa?- chiese Malia stavolta spaventata.
Celia
guardò con sguardo vacuo la sorella, senza capire.
Quella
Profezia era inquietante, come un presagio di morte. Parlava di guerra,
di destino, di morte, dei fili che legavano le vite delle gemelle a dei
Draghi.
-
Penso… _ cominciò Neli. Poi la sua voce
cambiò, diventando un sussurro roco_ significa che dobbiamo
andare fino ai monti del nord, dove dovremo risvegliare i Dragoni di
Ghiaccio, evocando il nostro spirito. E poi la guerra potrà
avere conclusione-
Celia
la guardò spaventata.
-
Neli… come…-
Neli
respirava affannosamente, come se avesse fatto una corsa, con le mani
premute sull’addome.
-
Non… non era la mia voce. Parlavo, ma non ero io a formulare
le parole, uscivano da sole!- disse riprendendo fiato.
Malia
le guardò. Profezia. Profezia significava destino. Non si
poteva infrangere una Profezia, o meglio nessuno lo aveva mai fatto,
perché avrebbe avuto conseguenze orribili, catastrofiche,
anche se nessuno sapeva dire quali. Inoltre le Profezie erano
così rare, solo una volta ogni 200 anni ne era formulata
una. E ora le sue migliori amiche ne erano il soggetto…
-
Ecco perché._ disse Celia dando un pugno al cuscino_ Ecco
perché la Rowen non ci voleva qua e ci ha mandato alla
Secondaria a Nalier. Lei sapeva della Profezia e probabilmente lo sa
anche Orisum. Così quella… ci ha scaricato alla
Secondaria, per non mettersi in pericolo. Ma certo ora Orisum
farà di tutto per assoggettarci o… ucciderci-.
Neli
trattenne il fiato.
-
Orisum vuole...noi¬_ disse senza fiato_ noi -.
Sembrava
impossibile che l’imperatore del più sanguinario
dei regni volesse proprio loro, due orfane, due ragazze…
loro! Loro avrebbero dovuto portare a compimento una Profezia, salvare
il loro popolo, risvegliare qualcosa che fino a dieci minuti fa
ritenevano una leggenda. Loro.
-
Cosa facciamo?- chiese Neli riassumendo la domanda di tutte e tre.
-
Aspettiamo domani mattina. Parliamone con La e poi vediamo - rispose
Celia.
-
Parliamone con La?- chiese Malia con una risatina nervosa.
Neli
alzò le spalle.
-
C’è dentro anche lui a questo punto-
|
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Capitolo 2 *** Fuga (ovvero mai sciegliere la strada semplice) ***
Questo,
e il seguente capitolo non sono tanto importanti ai fini della storia,
perciò sarà vostra discrezione leggere o meno il
capitolo.
2
Fuga
(ovvero
ma scegliere la strada semplice)
- Davvero?! Scherzate o sul
serio?- esclamò La sgranando gli occhi. L’
occhiata di Neli gli rispose.
- E allora che si
fa?- gli chiese Celia dopo avergli spiegato tutto l’accaduto
la sera precedente.
La socchiuse gli
occhi soppesando le sue parole. Una delle lame di luce che penetravano
dalle grandi finestre che si aprivano sul muro color panna della mensa,
gli danzava tra i capelli lisci e arruffati, ipnotizzando Neli che era
già piuttosto addormentata, non avendo chiuso occhio per
tutta la notte. L’unica volta che si era addormentata aveva
fatto un sogno stranissimo: c’era Malia vestita come una
regina, sopra un cavallo pezzato; indossava abiti da guerra,
un’armatura rifinita d’oro sopra una tunica rosso
sangue. Di fianco a lei c’era un ragazzo alto, con i capelli
scuri che però non si vedeva bene, tutto intorno turbinava
la neve e sembrava che i cavalli poggiassero su del ghiaccio. Quando si
era svegliata ricordava perfettamente il sogno e non se l’era
mai più scordato, anzi i particolari di districavano
più ci pensava. Non aveva mai fatto un sogno del genere.
La mensa alle 6 di
mattina era il luogo ideale per parlare senza essere disturbati
perché era praticamente vuota a parte i carrelli che
gironzolavano senza guidatore tra i lunghi tavoli ancora carichi di
cibo.
La afferrò
una mela da uno di essi e ne staccò un morso.
- Si
potrebbe…_ inghiottì il boccone_ si
potrebbe… fuggire…- azzardò con un
mezzo sorriso.
- Dal
Collegio… fuggire… pensi… sarebbe
possibile?- farfugliò Malia con una luce strana che danzava
negli occhi dorati.
- Oh, ragazzi,
andiamo, fuggire? Succedono nei libri queste cose! Non nella
realtà…- sbuffò Celia.
Neli la
ignorò lasciando perdere il libro dal quale stava cercando
di ripassare all’ultimo momento, non avendo fatto
praticamente nulla il giorno prima.
- Fuggire, eh? Non
è una cattiva idea… ma potrebbe rivelarsi
pessima… che dici?- chiese a La.
La
sogghignò, felice che la sua proposta fosse stata presa in
considerazione.
- Beh, il portone non
è mai chiuso e fino al cortile non ci sono problemi. Il
cancello principale è fuori discussione, ma
c’è la porticina arrugginita a metà
cortile… conduce direttamente fuori…-
elencò pensieroso con aria da ladro incallito.
Celia
rimuginò sulle sue parole. Fuggire era l’unica
soluzione. Se fossero arrivati a Nalier non ci sarebbe stata
più via di fuga e La le stava mostrando un piano quasi a
prova di bomba… e di nuovo quel pensiero: le sorti
dell’Oen dipendono da noi.
Poi si
sentì un rumore di un branco di rinoceronti in fuga e le
porte della mensa si spalancarono facendo entrare gran parte degli
studenti, per la colazione. Neli sospirò e chiuse il libro,
perché parlare o ripassare ora era ufficialmente fuori
discussione.
- Sentite_
sibilò Celia_ ne riparliamo alla fine delle lezioni, ok? Ora
non mi sembra il caso…-
La annuì
pensoso e si accinse a copiare diligentemente gli esercizi di Magia
Avanzata dal libro di Neli sul proprio.
- Zotopi!-
Neli
trasalì.
- Sì
signora?- chiese stancamente.
- E’
interessante il panorama fuori dalla finestra?- chiese ringhiando la
professoressa di Rune.
- No signora- rispose
Neli tornando sul libro.
- E allora mi faccia
il piacere di tenere gli occhi a pagina 169, grazie- concluse seccata.
Neli tornò
indietro con le pagine lei era a pagina 193.
Come per miracolo la
campana diede i suoi due tocchi, segnando la fine delle lezioni. Mentre
la professoressa sbraitava di studiare, i ragazzi uscirono con sollievo
dall’aula. Quella di Rune era l’ultima ora del
martedì, dopodiché erano liberi.
Invece di salire a
fare i compiti, si diressero verso il cortile, dove scelsero un angolo
meno frequentato per programmare la fuga.
- Mi sento una
carcerata che tenta di fuggire dalla prigione- commentò Neli
con le viscere in subbuglio.
- In un certo senso
lo sei. Qui è un carcere- sogghignò La.
- Già ma
se stasera ci beccano ci sbattono sul serio in galera- fece Malia cupa.
- Comunque. Dopo le 3
Moman non è più di ronda, quindi
c’è via libera… ma non abbiamo niente
con cui illuminare, le torce nei dormitori sono fisse e non voglio
usare niente che bruci…- disse La ricordando la memorabile
volta in cui il suo pigiama aveva preso fuoco.
- La gli incantesimi
di Luce gli abbiamo fatti quando avevamo 10 anni e ora ne abbiamo 15,
direi che sappiamo illuminare con la magia…-
ribattè Neli formando una palla di luce grande quanto un
melone sul palmo, a dimostrazione delle sue parole.
- A parte che la Luce
si può creare solo se sei in un luogo illuminato, potremmo
anche crearla in dormitorio e condurla per i corridoi se non ci fossero
i gargoyle – la contraddisse Celia spegnendo la Luce di Neli.
- Che fanno i
gargoyle?- chiese La.
- Captano la magia.
Se ti beccano a fare incantesimi nei corridoi ti Trasportano
direttamente nell’ufficio della preside.- rispose Malia.
- Ma abbiamo sempre i
lucini!- esclamò La armeggiando con la borsa. Dopo che ebbe
fatto scattare l’apertura fece un respiro profondo e
infilò velocemente la mano nella sacca.
Questa prese ad
agitarsi furiosamente, mentre La frugava.
- AHA!-
esultò infine. La borsa si bloccò.
Estrasse la mano.
Tra il pollice e
l’indice reggeva una sottile coda, molto più
sottile di quella di un topo, lunga sì e no 5 centimetri,
rosa pelle.
La minuscola coda
apparteneva a una specie di fagiolo, grosso due volte uno normale,
ricoperto da una soffice peluria color cenere. Il fagiolo doveva essere
vivo perché si agitava come un matto.
- Quella
cos’è?- chiese Celia squadrandolo.
- Un lucino! Ora lo
vedete grigio, ma la notte quando si sentono minacciati si illuminano
per intimorire i predatori… fanno un sacco di luce-
spiegò La, mentre il lucino continuava ad agitarsi.
- E dove lo avresti
preso, La?- chiese Neli inarcando un sopracciglio.
- Oh, diciamo che
sono venuti loro da me_ rispose La evasivo_ comunque ne ho un
po’ possiamo usare questi-
-
D’accordo… sentite proprio di fianco al collegio
c’è il recinto di Farel, il mercante di cavalli.
Possiamo rubarne alcuni… il recinto noi lo possiamo
scavalcare ma dovremmo aprirlo o i cavalli non riusciranno a saltarlo
al buio…_ spiegò Celia. Poi sospirò_ e
poi siamo liberi…-
- Beh, una cosa
positiva è anche che saltiamo gli esami del decimo
anno…-
I ragazzi sorrisero
vacui. Checché ne dicessero, a tutti faceva paura lasciare
il binario programmato della vita.
- La! Ti vuoi
muovere?!- sibilò Neli da un punto imprecisato nel buio.
La emise uno strano
suono.
- Questa cosa non si
accende! Stupida, stupida, stupida!- mugugnò di rimando il
ragazzo tirando la coda al lucino.
- Vi prego
sbrigatevi!- intervenne Celia da dietro stringendo convulsamente la sua
tracolla contenente i suoi pochi bagagli. Erano le quattro di mattina e
la fuga era già partita male. I lucini non si accendevano.
- Oh, dà
qua!- sbuffò Malia strappando l’animaletto dalle
mani di La. Se lo mise sul palmo della mano e lo avvicinò al
viso.
- Ciao
piccolino…- cominciò con la voce più
dolce che riuscì a fare.
- Piccolina-
puntualizzò La.
- Zitto La! Devi-
stare- zitto! Allora… piccolina, ci fai il favore di
ACCENDERTI?- ringhiò Malia spazientita. La lucina
squittì spaventata e improvvisamente si illuminò
di una luce argentata e calda.
- Andiamo- fece Malia
facendo strada.
La discesa dal quinto
piano al grande salone dell’atrio fu facile anche se i
ragazzi trasalivano per il minimo rumore. In cuor suo ciascuno di loro
stava salutando tutto quello che lo circondava, la casa che li aveva
ospitati per dieci anni.
Neli e Celia, che
avevano odiato il Collegio per la Rowen, ma soprattutto per essere la
testimonianza della morte dei loro genitori, si trovavano a chiedersi
perché quella morsa allo stomaco, quel magone,
quella…malinconia.
- Hei,…
non saremo mica tristi?- mormorò La quando furono fermi di
fronte al portone di quercia che dava sul cortile, esitanti. Varcarlo
significava essere ufficialmente fuori.
- Forse…-
rispose Neli facendo un passo avanti e spingendo una delle due ante.
I ragazzi si
insinuarono nella fessura aperta e scivolarono fuori nella notte
fredda. Ora erano fuori.
- Bene ora tocca ai
cavalli-
La corsa per il
cortile fu veloce. Arrivarono fino alla porticina arrugginita nascosta
tra i raspi di edera secca. La sfilò una forcina dalla testa
di Celia e armeggiò un secondo con la serratura. Quando il
meccanismo scattò aprì la porta con gesto
teatrale.
- Andiamo?- chiese
Neli titubante.
I ragazzi varcarono
la soglia e si richiusero la porta alle spalle. L’aria
odorava di neve e il cielo era coperto di nubi, ma con un po’
di fortuna non avrebbe nevicato.
Ora si trovavano in
una stradicciola secondaria, trasversale alla strada principale di
Portaroen. L’erba attutiva i loro passi e potevano
sentire i cavalli sbuffare nel recinto di Farel, il mercante scorbutico
e irascibile. Le nuvolette di condensa per il respiro dei cavalli si
levavano dai box, faceva troppo freddo per tenerli fuori di notte.
La
scavalcò la staccionata e raggiunse i box. Aprì
la serratura dei primi due e fece uscire i cavalli. Celia gli si
avvicinò e prese alcune delle briglie attaccate al muro;
infilò il morso al primo cavallo pezzato e lo
affidò a Malia. Poi mentre infilava le briglie al secondo
questo nitrì infastidito.
Una luce in casa di
Farel si accese. Agghiacciata Neli balzò avanti e
afferrò entrambi i cavalli e con Malia si nascose
nell’ombra.
Celia era
bloccata dal terrore e neanche il suono dei passi di Farel che stava
uscendo per controllare la fonte del rumore la smosse. La
imprecò a bassa voce e la afferrò, tirandola in
un angolo. I passi si fecero sempre più vicini e La non
potè fare altro che premere Celia contro il muro, mentre un
po’ di intonaco si scrostava e gli finiva addosso,
imbiancandoli.
Celia non riusciva a
respirare, il terrore di esser scoperta le congelava i piedi, le
gambe,la testa. I passi si avvicinarono…una torcia
rischiarò l’ambiente, rivelano l’ombra
tremolante di un uomo.
- Maledetti
ragasci…_ Farel alzò un pugno, la voce impastata
dal sonno e dalla troppa birra_ riuscirò ad
asciaparvi…- e detto questo si voltò e
tornò indietro grattandosi il fondoschiena e barcollando.
Solo quando la porta
sbattè dietro i passi del guardiano, Celia osò
respirare e si sorprese ad avere il fiatone. Poi si accorse che La era
ancora lì.
- La_
bisbigliò_ grazie ma ora andiamo-
- Oh scusa- disse La
spazzando via lo sporco dei calcinacci dal cappotto: Celia si
sistemò una ciocca di capelli dietro le orecchie.
- Andiamo- disse e
uscirono allo scoperto evitando di guardarsi.
- Che è
successo?- chiese Neli preoccupata.
- Oh, niente_ rispose
Celia rimanendo sul vago_ stava per vederci…-
- E vi ha scoperto?-
chiese Malia tesa.
- No,
sennò non saremmo qui, ti pare?-
- Ah, sì
certo comunque muoviamoci…- fece Celia desiderosa di
cambiare argomento.
Neli notò
che sul cappotto di Celia c’era
dell’intonaco… lo stesso che c’era su
quello di La. Diede una gomitata a Malia indicando prima il cappotto di
Celia e poi La, sorridendo; Malia scoppiò in una risata
silenziosa che le fece quasi perdere l’equilibrio.
Celia le
guardò sogghignare maliziose ma le bastò
un’occhiataccia per far scomparire quelle espressioni.
Quando La
tornò con altri due cavalli, uno nero con una stella bianca
in fronte e uno marrone scuro, montarono subito in sella desiderosi di
lasciare al più presto Portaroen.
Diedero un nome ai
cavalli tanto per passare il tempo mentre aggiravano il centro della
città, dove sarebbe stato più facile incontrare
gente. Alla fine Celia e Neli chiamarono i loro cavalli Kibo e
Mikko, Malia chiamò la sua puledra Poker e La il
suo cavallo nero Briom, come il leggendario spiritello del vento.
In meno di un quarto
d’ora furono alla porta sud di Portaroen. Quando ebbero
finalmente valicato la spessa muraglia a protezione della
città e furono di nuovo inghiottiti dal buio Neli chiese:-
Pensate che torneremo mai a Portaroen?-
Qualcuno
sospirò.
- Dille addio, Neli-
rispose piano La.
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Capitolo 3 *** Fuga ***
2
Fuga
(ovvero ma scegliere la strada
semplice)
-
Davvero?!
Scherzate o sul
serio?- esclamò La sgranando gli occhi. L’
occhiata di Neli gli rispose.
-
E allora che si fa?- gli chiese Celia dopo
avergli spiegato tutto l’accaduto la sera precedente.
La
socchiuse gli occhi soppesando le sue parole.
Una delle lame di luce che penetravano dalle grandi finestre che si
aprivano
sul muro color panna della mensa, gli danzava tra i capelli lisci e
arruffati,
ipnotizzando Neli che era già piuttosto addormentata, non
avendo chiuso occhio
per tutta la notte. L’unica volta che si era addormentata
aveva fatto un sogno
stranissimo: c’era Malia vestita come una regina, sopra un
cavallo pezzato;
indossava abiti da guerra, un’armatura rifinita
d’oro sopra una tunica rosso
sangue. Di fianco a lei c’era un ragazzo alto, con i capelli
scuri che però non
si vedeva bene, tutto intorno turbinava la neve e sembrava che i
cavalli
poggiassero su del ghiaccio. Quando si era svegliata ricordava
perfettamente il
sogno e non se l’era mai più scordato, anzi i
particolari di districavano più
ci pensava. Non aveva mai fatto un sogno del genere.
La
mensa alle 6 di mattina era il luogo ideale per
parlare senza essere disturbati perché era praticamente
vuota a parte i
carrelli che gironzolavano senza guidatore tra i lunghi tavoli ancora
carichi
di cibo.
La
afferrò una mela da uno di essi e ne staccò un
morso.
-
Si potrebbe…_ inghiottì il boccone_ si
potrebbe…
fuggire…- azzardò con un mezzo sorriso.
-
Dal Collegio… fuggire… pensi… sarebbe
possibile?-
farfugliò Malia con una luce strana che danzava negli occhi
dorati.
-
Oh, ragazzi, andiamo, fuggire? Succedono nei
libri queste cose! Non nella realtà…-
sbuffò Celia.
Neli
la ignorò lasciando perdere il libro dal quale
stava cercando di ripassare all’ultimo momento, non avendo
fatto praticamente
nulla il giorno prima.
-
Fuggire, eh? Non è una cattiva idea… ma potrebbe
rivelarsi pessima… che dici?- chiese a La.
La
sogghignò, felice che la sua proposta fosse
stata presa in considerazione.
-
Beh, il portone non è mai chiuso e fino al
cortile non ci sono problemi. Il cancello principale è fuori
discussione, ma
c’è la porticina arrugginita a metà
cortile… conduce direttamente fuori…-
elencò pensieroso con aria da ladro incallito.
Celia
rimuginò sulle sue parole. Fuggire era
l’unica soluzione. Se fossero arrivati a Nalier non ci
sarebbe stata più via di
fuga e La le stava mostrando un piano quasi a prova di
bomba… e di nuovo quel
pensiero: le sorti dell’Oen dipendono da noi.
Poi
si sentì un rumore di un branco di rinoceronti
in fuga e le porte della mensa si spalancarono facendo entrare gran
parte degli
studenti, per la colazione. Neli sospirò e chiuse il libro,
perché parlare o
ripassare ora era ufficialmente fuori discussione.
-
Sentite_ sibilò Celia_ ne riparliamo alla fine
delle lezioni, ok? Ora non mi sembra il caso…-
La
annuì pensoso e si accinse a copiare
diligentemente gli esercizi di Magia Avanzata dal libro di Neli sul
proprio.
-
Zotopi!-
Neli
trasalì.
-
Sì signora?- chiese stancamente.
-
E’ interessante il panorama fuori dalla
finestra?- chiese ringhiando la professoressa di Rune.
-
No signora- rispose Neli tornando sul libro.
-
E allora mi faccia il piacere di tenere gli occhi
a pagina 169, grazie- concluse seccata.
Neli
tornò indietro con le pagine lei era a pagina
193.
Come
per miracolo la campana diede i suoi due
tocchi, segnando la fine delle lezioni. Mentre la professoressa
sbraitava di
studiare, i ragazzi uscirono con sollievo dall’aula. Quella
di Rune era
l’ultima ora del martedì, dopodiché
erano liberi.
Invece
di salire a fare i compiti, si diressero
verso il cortile, dove scelsero un angolo meno frequentato per
programmare la
fuga.
-
Mi sento una carcerata che tenta di fuggire dalla
prigione- commentò Neli con le viscere in subbuglio.
-
In un certo senso lo sei. Qui è un
carcere- sogghignò La.
-
Già ma se stasera ci beccano ci sbattono sul
serio in galera- fece Malia cupa.
-
Comunque. Dopo le 3 Moman non è più di ronda,
quindi
c’è via libera… ma non abbiamo niente
con cui illuminare, le torce nei
dormitori sono fisse e non voglio usare niente che bruci…-
disse La ricordando
la memorabile volta in cui il suo pigiama aveva preso fuoco.
-
La gli incantesimi di Luce gli abbiamo fatti
quando avevamo 10 anni e ora ne abbiamo 15, direi che sappiamo
illuminare con
la magia…- ribattè Neli formando una palla di
luce grande quanto un melone sul
palmo, a dimostrazione delle sue parole.
-
A parte che la
Luce si può creare solo se sei in un
luogo
illuminato, potremmo anche crearla in dormitorio e condurla per i
corridoi se
non ci fossero i gargoyle – la contraddisse Celia spegnendo la Luce
di Neli.
-
Che fanno i gargoyle?- chiese La.
-
Captano la magia. Se ti beccano a fare
incantesimi nei corridoi ti Trasportano direttamente
nell’ufficio della
preside.- rispose Malia.
-
Ma abbiamo sempre i lucini!- esclamò La
armeggiando con la borsa. Dopo che ebbe fatto scattare
l’apertura fece un
respiro profondo e infilò velocemente la mano nella sacca.
Questa
prese ad agitarsi furiosamente, mentre La
frugava.
-
AHA!- esultò infine. La borsa si bloccò.
Estrasse
la mano.
Tra
il pollice e l’indice reggeva una sottile coda,
molto più sottile di quella di un topo, lunga sì
e no 5
centimetri, rosa
pelle.
La
minuscola coda apparteneva a una specie di fagiolo,
grosso due volte uno normale, ricoperto da una soffice peluria color
cenere. Il
fagiolo doveva essere vivo perché si agitava come un matto.
-
Quella cos’è?- chiese Celia squadrandolo.
-
Un lucino! Ora lo vedete grigio, ma la notte
quando si sentono minacciati si illuminano per intimorire i
predatori… fanno un
sacco di luce- spiegò La, mentre il lucino continuava ad
agitarsi.
-
E dove lo avresti preso, La?- chiese Neli
inarcando un sopracciglio.
-
Oh, diciamo che sono venuti loro da me_ rispose
La evasivo_ comunque ne ho un po’ possiamo usare questi-
-
D’accordo… sentite proprio di fianco al collegio
c’è il recinto di Farel, il mercante di cavalli.
Possiamo rubarne alcuni… il
recinto noi lo possiamo scavalcare ma dovremmo aprirlo o i cavalli non
riusciranno a saltarlo al buio…_ spiegò Celia.
Poi sospirò_ e poi siamo
liberi…-
-
Beh, una cosa positiva è anche che saltiamo gli
esami del decimo anno…-
I
ragazzi sorrisero vacui. Checché ne dicessero, a
tutti faceva paura lasciare il binario programmato della vita.
-
La! Ti vuoi muovere?!- sibilò Neli da un punto
imprecisato nel buio.
La
emise uno strano suono.
-
Questa cosa non si accende! Stupida, stupida,
stupida!- mugugnò di rimando il ragazzo tirando la coda al
lucino.
-
Vi prego sbrigatevi!- intervenne Celia da dietro
stringendo convulsamente la sua tracolla contenente i suoi pochi
bagagli. Erano
le quattro di mattina e la fuga era già partita male. I
lucini non si
accendevano.
-
Oh, dà qua!- sbuffò Malia strappando
l’animaletto
dalle mani di La. Se lo mise sul palmo della mano e lo
avvicinò al viso.
-
Ciao piccolino…- cominciò con la voce
più dolce
che riuscì a fare.
-
Piccolina- puntualizzò La.
-
Zitto La! Devi- stare- zitto! Allora… piccolina,
ci fai il favore di ACCENDERTI?- ringhiò Malia spazientita.
La lucina squittì
spaventata e improvvisamente si illuminò di una luce
argentata e calda.
-
Andiamo- fece Malia facendo strada.
La
discesa dal quinto piano al grande salone
dell’atrio fu facile anche se i ragazzi trasalivano per il
minimo rumore. In
cuor suo ciascuno di loro stava salutando tutto quello che lo
circondava, la
casa che li aveva ospitati per dieci anni.
Neli
e Celia, che avevano odiato il Collegio per la Rowen,
ma soprattutto per
essere la testimonianza della morte dei loro genitori, si trovavano a
chiedersi
perché quella morsa allo stomaco, quel magone,
quella…malinconia.
-
Hei,… non saremo mica tristi?- mormorò La quando
furono fermi di fronte al portone di quercia che dava sul cortile,
esitanti.
Varcarlo significava essere ufficialmente fuori.
-
Forse…- rispose Neli facendo un passo avanti e
spingendo una delle due ante.
I
ragazzi si insinuarono nella fessura aperta e
scivolarono fuori nella notte fredda. Ora erano
fuori.
-
Bene ora tocca ai cavalli-
La
corsa per il cortile fu veloce. Arrivarono fino
alla porticina arrugginita nascosta tra i raspi di edera secca. La
sfilò una
forcina dalla testa di Celia e armeggiò un secondo con la
serratura. Quando il
meccanismo scattò aprì la porta con gesto
teatrale.
-
Andiamo?- chiese Neli titubante.
I
ragazzi varcarono la soglia e si richiusero la
porta alle spalle. L’aria odorava di neve e il cielo era
coperto di nubi, ma
con un po’ di fortuna non avrebbe nevicato.
Ora
si trovavano in una stradicciola secondaria,
trasversale alla strada principale di Portaroen.
L’erba attutiva i loro passi e potevano
sentire i cavalli sbuffare nel recinto di Farel, il mercante scorbutico
e
irascibile. Le nuvolette di condensa per il respiro dei cavalli si
levavano dai
box, faceva troppo freddo per tenerli fuori di notte.
La
scavalcò la staccionata e raggiunse i box. Aprì
la serratura dei primi due e fece uscire i cavalli. Celia gli si
avvicinò e
prese alcune delle briglie attaccate al muro; infilò il
morso al primo cavallo
pezzato e lo affidò a Malia. Poi mentre infilava le briglie
al secondo questo
nitrì infastidito.
Una
luce in casa di Farel si accese. Agghiacciata
Neli balzò avanti e afferrò entrambi i cavalli e
con Malia si nascose
nell’ombra.
Celia era
bloccata dal terrore e neanche il suono dei passi di Farel che stava
uscendo
per controllare la fonte del rumore la smosse. La imprecò a
bassa voce e la
afferrò, tirandola in un angolo. I passi si fecero sempre
più vicini e La non
potè fare altro che premere Celia contro il muro, mentre un
po’ di intonaco si
scrostava e gli finiva addosso, imbiancandoli.
Celia
non riusciva a respirare, il terrore di esser
scoperta le congelava i piedi, le gambe,la testa. I passi si
avvicinarono…una
torcia rischiarò l’ambiente, rivelano
l’ombra tremolante di un uomo.
-
Maledetti ragasci…_ Farel alzò un pugno, la voce
impastata dal sonno e dalla troppa birra_ riuscirò ad
asciaparvi…- e detto
questo si voltò e tornò indietro grattandosi il
fondoschiena e barcollando.
Solo
quando la porta sbattè dietro i passi del
guardiano, Celia osò respirare e si sorprese ad avere il
fiatone. Poi si
accorse che La era ancora lì.
-
La_ bisbigliò_ grazie ma ora andiamo-
-
Oh scusa- disse La spazzando via lo sporco dei
calcinacci dal cappotto: Celia si sistemò una ciocca di
capelli dietro le
orecchie.
-
Andiamo- disse e uscirono allo scoperto evitando
di guardarsi.
-
Che è successo?- chiese Neli preoccupata.
-
Oh, niente_ rispose Celia rimanendo sul vago_
stava per vederci…-
-
E vi ha scoperto?- chiese Malia tesa.
-
No, sennò non saremmo qui, ti pare?-
-
Ah, sì certo comunque muoviamoci…- fece Celia
desiderosa di cambiare argomento.
Neli
notò che sul cappotto di Celia c’era
dell’intonaco… lo stesso che c’era su
quello di La. Diede una gomitata a Malia
indicando prima il cappotto di Celia e poi La, sorridendo; Malia
scoppiò in una
risata silenziosa che le fece quasi perdere l’equilibrio.
Celia
le guardò sogghignare maliziose ma le bastò
un’occhiataccia per far scomparire quelle espressioni.
Quando
La tornò con altri due cavalli, uno nero con
una stella bianca in fronte e uno marrone scuro, montarono subito in
sella
desiderosi di lasciare al più presto Portaroen.
Diedero
un nome ai cavalli tanto per passare il
tempo mentre aggiravano il centro della città, dove sarebbe
stato più facile
incontrare gente. Alla fine Celia e Neli chiamarono i loro cavalli Kibo
e Mikko,
Malia
chiamò la sua puledra Poker e La
il suo cavallo nero Briom, come il leggendario spiritello del vento.
In
meno di un quarto d’ora furono alla porta sud di
Portaroen. Quando ebbero finalmente valicato la spessa muraglia a
protezione
della città e furono di nuovo inghiottiti dal buio Neli
chiese:- Pensate che
torneremo mai a Portaroen?-
Qualcuno
sospirò.
- Dille addio, Neli- rispose
piano La.
anche
questo capitplo non rientra nella trama più di tanto.
Tenchiù
alla persona che ha aggiunto questa storia tra i preferiti
Hola!
|
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Capitolo 4 *** Gatto, demone, lupo ***
3
Gatto,
demone, lupo
(ovvero controllate sempre
i vostri animali domestici)
Raspi di
edera incorniciavano il cielo del mattino fatto quando il gruppetto,
molto più animato di prima, giunse alle porte, invase dal
rampicante, di Nalier, il primo centro abitato dopo Portaroen.
Nalier era famosa in
tutto l’Oen per i pinnacoli dedicati a ogni
divinità conosciuta e non, sparsi in tutta la
città, come funghi troppo cresciuti. Erano 112, di varie
altezze, ma mai inferiori ai tre metri, in pietra e completamente
decorati con iscrizioni e bassorilievi riferiti alle gesta del dio che
rappresentavano. In cima a ogni colonna di non più due metri
di diametro, stagliati sul cielo azzurro e senza una nuvola, molti
bambini e ragazzi li guardavano affacciati dalla colonnina con sguardi
curiosi o sorridenti. Infatti periodicamente i conventi di tutta la
nazione mandavano i propri novizi per un paio di settimane o
più a starsene da eremiti sopra la colonnina per imparare a
stare in pace col mondo e con loro stessi.
Era strano vedere dei
poco più che bambini già in grado di affrontare
una prova così dura e osservarli sorridere, quasi sapessero
qualcosa che tutto il mondo ignorava.
- Guardate!
E’ lì che saremmo finiti...- disse La facendoli
riemergere dai propri pensieri.
Stava indicando un
enorme edificio in pietra bianca, di forma circolare che si stagliava
tra le case di pietra grigia di Nalier. Era completamente circondato da
un alto muro di pietra e molti i stendardi verdi e oro pendevano da
tutti i finestroni che si intravedevano oltre le mura. Sopra
l’ingresso di ferro battuto c’era una imponente
scritta in oro:
“Scuola
secondaria di Arti e Magie di Nalier”
- Così era
qui che ci avrebbe spedito la vecchia rospa- commentò Neli
fermando.
- Abbiamo fatto
bene… da qui non si usciva più…-
ribadì Celia.
- Ci puoi scommettere-
concluse Malia.
A mezzogiorno si
fermarono ad una taverna dove mangiarono a malavoglia qualcosa. Avevano
in programma di ripartire qualche ora dopo pranzo, in modo da far
riposare i cavalli, così Celia decise di fare un giro per le
viuzze circostanti.
La città si
era improvvisamente svuotata, la vetrine e le bancarelle avevano chiuso
per metà la saracinesca e i venditori ambulanti avevano
cessato le loro urla: Nalier si era fermata per il pranzo.
Ad un tratto
l’occhio le cadde su di una porta. Non era propriamente una
porta era un’entrata coperta da un velo verde-azzurro. Sopra
il lato più alto con una grafia disordinata era tracciata
una scritta violacea, come se fosse stata scritta con le dita intinte
nell’inchiostro:
Elis
Con una punta di
apprensione scostò la tenda logora ed entrò. Era
una sola stanza, dal soffitto basso, arredata da un tavolino e da un
grande scaffale pieno zeppo di barattoli di vetro contenenti varie erbe
e spezie varie. Era un erboristeria.
“Benvenuta”
Era una voce strana,
come un miagolio. Chi aveva pronunciato quelle parole era un grosso e
grasso gatto nero acciambellato su un cuscino rosso, posato
sull’unico tavolo, tra pergamene, penne e piume.
-Sei un gatto?- chiese
Celia quasi spaventata.
Il gatto per tutta
risposta drizzò le orecchie senza aprire gli occhi. Allora
Celia pensò un cosa strana: proprio mentre sonnecchiava
beata era stata svegliata da una scocciatrice… ma questo era
ciò che pensava il gatto! E anche quando aveva sentito
‘benvenuta’!
- Sai parlare?- chiese
sempre più sbigottita.
E di nuovo si diede la
risposta da sola. Sono passati tanti anni… ora sono un
gatto…non ricordo più il sapiens…
Il gatto si era alzato
e ora la guardava con curiosità.
E poi le
arrivò finalmente un pensiero netto, non confuso con gli
altri suoi pensieri come prima.
“D’accordo
basta scherzare con te. Chi sei? Sei la seconda sapiens con cui riesco
a comunicare.”
- Mi chiamo Celia-
rispose lei incerta se il gatto riuscisse a capire le sue parole.
“ No, no non
capisco il sapiens…devi parlarmi come prima. Non so come tu
ci riesca ma devi riprovarci”
Celia si
concentrò.
“Mi chiamo
Celia” pensò con tutte le sue forze.
“ Piacere
Elis; come fai a capirmi?”
“Non lo
so”
Il gatto si
fermò a riflettere, così Celia lo potè
osservare meglio. Era davvero molto grosso, tutto nero, con un occhio
azzurro e uno verde chiaro. Per l’occhio azzurro passava una
profonda cicatrice, tanto profonda che il pelo non era più
ricresciuto lasciando una scia rosa che attraversava gran parte del
muso.
“
Perché quando ti ho chiesto se sapevi parlare hai detto che
non ricordi più la mia lingua?” chiese Celia.
“ Hai mai
visto uno spirito?” chiese invece di rispondere.
“
Sì. Era un mio professore.” rispose Celia
ricordando la scuola.
“ Bene.
Quando un essere umano muore può scegliere se rimanere sotto
forma di spirito o reincarnarsi in un animale a propria scelta; ma
comunque resterà spirito o animale per
l’eternità. Io ho fatto questa scelta e a volte mi
chiedo se ho fatto bene” spiegò il gatto
impassibile.
“ E per chi
non vuole diventare né uno né
l’altro?”
“ Beh, chi
ha coraggio può decidere di_ Elis deglutì _...
può decidere di morire”
E detto questo si
zittì di colpo. Celia capì che aveva detto
qualcosa di sbagliato e si accovacciò per terra vicino al
gatto.
“ Elis
scusa, non volevo, mi dispiace tanto…”
“ Non
importa, fa niente”
“
Davvero?” chiese incerta se l’avesse perdonata.
Il gatto non rispose
ma spalancò gli occhi, fissandola come chi ha capito
improvvisamente qualcosa.
“ Uno dei
tuoi orecchini! Dammi uno dei tuoi orecchini!”
boccheggiò.
Celia si tolse
velocemente uno dei due orecchini di metallo battuto e lo mise davanti
al gatto.
Questi ci
appoggiò sopra la zampa e chiuse gli occhi.
“ La tua
gemella! Tu hai una gemella! Voi siete LORO!” fece
agitatissimo.
“ Zitto!_ lo
zittì Celia preoccupata_ non lo dire!”
“ Celia
nessuno ci può sentire. Non stiamo palando ad alta voce_
disse paziente il gatto_ comunque, mi farebbe molto piacere conoscere
tua sorella.”
Celia uscì
a razzo dalla bottega di Elis e tornò alla locanda.
C’era Malia che leggeva un libro seduta su una poltrona,
mentre La e Neli erano intenti a giocare a Saltapicco, un gioco di
carte.
- Neli vieni!-
sparò senza fiato.
Neli guardò
interrogativa Celia, poi mollò le carte che aveva in mano e
la seguì.
Arrivate
alla bottega scostarono la tenda e entrarono. Elis zampettava sul
pavimento, ma quando le ragazze entrarono saltò di nuovo sul
cuscino.
- Un gatto?- chiese
Neli divertita accarezzando la testa a Elis.
- Non è un
gatto normale. Si è reincarnato in un gatto.-
spiegò Celia.
Neli smise di colpo di
accarezzare Elis.
“
Perché volevi vederla?” chiese Celia al gatto.
Il gatto non rispose
ma saltò giù dal cuscino e tirò con
delicatezza il bordo dei pantaloni di Neli, che si abbassò-
Ehm…buongiorno?-
- Non ti capisce. Non
può parlare con gli umani.- disse Celia.
- E tu come sa queste
cose?- chiese Neli.
- Io riesco a capirlo;
non so come faccio e non lo sa neanche lui. _ aggiunse subito
Celia_ Sento i suoi pensieri.-
Intanto il gatto aveva
sfilato il braccialetto d’argento che Neli portava al polso
da quando Celia ricordava, e vi aveva appoggiato sopra la zampa.
“ Come
pensavo. Tua sorella… come si chiama?”
“Neli”
“ Gran bel
nome. Neli ha il dono della Vista. Può in determinate
circostanze prevedere il futuro che la riguarda. Solo quello che la
riguarda.” Spiegò Elis lasciando Celia a bocca
aperta.
“ Posso
dirglielo?” chiese.
“
Certo” rispose il gatto acciambellandosi.
- Neli…
Elis dice che… tu hai il dono della Vista. Puoi prevedere il
futuro che ti riguarda.” disse non senza
difficoltà.
Neli si sedette a
terra scioccata. Un ricordo le tornò in mente. Il sogno che
aveva fatto la notte prima dell’ultimo giorno al Collegio:
quello in cui aveva visto Malia… non era un sogno, era una
visione. Ora tutto si spiegava.
- Perché
non mi hai detto del sogno?- chiese Celia.
- Non m…
già non te lo ho mai detto, Celia! Come sai del mio sogno?-
esclamò Neli.
- Mi…
è come se avessi sentito i tuoi pensieri! Le tue sensazioni,
quello che hai pensato ora… Elis!- balbettò Celia
spaventata. Le erano entrate nel petto le sensazioni della sorella,
aveva sentito nella mente i suoi pensieri, la sua confusione, i suoi
ricordi, per un attimo aveva sentito quello che sentiva Neli.
“ Calma.
Celia, tu hai l’Occhio, il dono gemello_ sorrise per il gioco
di parole (ma i gatti sorridono?) _sai leggere nella mente delle
persone…o di chi è stato un persona. Per questo
mi capisci.-
Celia non ce la fece e
si lasciò cadere di fianco a Neli. L’Occhio, la
Vista…
Poi la porta si
oscurò distraendole dai loro pensieri. Una donna piuttosto
grassottella entrò.
“
Salve” disse rivolta alle ragazze. Poi agitò la
mano per salutare Elis e gli indicalo scaffale con i barattoli di erbe.
Evidentemente era una cliente abituale perché sapeva come
comportarsi.
Elis si sedette e
agitò la coda assentendo. La donna si avvicinò
alla scaffalatura e osservò alcuni barattoli lucidi,
contenenti varie erbe. Poi ne indicò alcune e quando il
gatto miagolò ne estrasse alcune che mise dei sacchetti di
carta presi da una pila pronta sul tavolo di fianco a Elis.
Poi contò
alcune monete e le fece cadere davanti al gatto. Elis le
squadrò e miagolò di nuovo. La donna
sbuffò e ne fece cadere un’altra. Dopo che Elis
ebbe emesso un basso miagolio soddisfatto la donna salutò e
uscì.
Neli avrebbe voluto
rimanere ancora dal gatto ma Celia temeva che si facesse troppo tardi
per cui passò ai saluti.
“ Dobbiamo
andare Elis. Grazie di tutto.” disse al gatto.
“ Solo un
secondo. Mi scriveresti un listino prezzi? E’ sempre
difficile dire ai clienti il prezzo.”
Celia sorrise e sotto
dettatura mentale del gatto scrisse un listino che affisse alla parete
dietro al tavolo.
Poi mentre stavano
uscendo Neli le mormorò qualcosa
all’orecchio.
“ Neli
chiede se… ti può prendere in braccio.”
comunicò al gatto alzandogli occhi al cielo.
Elis sorrise a sua
volta e si lasciò accarezzare in braccio a Neli facendo le
fusa soddisfatto.
Allontanandosi dal
centro di Nalier si scopriva il volto buio della città. La
vie ampie del centro erano a poco a poco sostituite da quelle strette e
sporche della periferia, mentre i palazzi diventavano sempre
più alti e decadenti.
Ora la gente camminava
a capo basso, badando solo ai fatti suoi senza dare confidenza a
nessuno e tipi loschi, mendicanti, bambini laceri che litigavano per un
tozzo di pane si affacciavano qua è là tra le vie
sudice.
Neli e Celia
camminavano sempre più velocemente desiderose di lasciarsi
al più presto alle spalle la periferia e tornare dai loro
amici.
Sulla loro destra
correva l’alto muro difensivo che circondava la
città e qualche metro più avanti un capannello di
gente bisbigliante ne fissava la sommità con aria tetra.
Nonostante tutto si
feramarono lì anche loro curiose.
Dieci metri
più in alto, in cima al muro sedeva un bambino. Doveva avere
sei o sette anni e aveva dei folti capelli, neri come il corvo e ricci
e due inquietanti occhi rossi. Era magrissimo ma a differenza dei
bambini che si aggiravano tra quelle vie era pulito e indossava una
maglietta e dei pantaloncini a mezza gamba di lino candido, con
preziosi ricami neri sui bordi. Teneva in mano una chitarra troppo
grande per lui e suonava una melodia triste, le piccole dita che si
muovevano veloci sulle corde e piedini nudi che dondolavano al tempo.
Ridacchiava, scoprendo
gli innaturali denti aguzzi, mentre il suo sguardo vagava per la folla
intimorita dalla sua figurina esile. Quando poi vide Celia e Neli
scoppiò in una vera e propria risata aspra e rasposa,
dondolandosi pericolosamente avanti e indietro. Rideva come poteva
ridere un serpente prima di mordere un topolino.
- Signore e signori_
esordì con la voce roca e acuta al tempo stesso_ la mia
canzone di oggi-
La folla si
zittì mentre intonava:
“ Mentre il
tramonto ucciderà il sole
Lo ucciderà
lei parlandogli d’amore
Lo aveva avvelenato
Mostrandogli una vita
non sua
Sognata ma non sua
Passata, non
più sua
E il vento soffia forte
La neve cade lieve
E nulla
resterà
Non maledirtelo
perché tanto non servirà
Un posto
all’inferno lui lo ha già
Ma forse una lacrima,
forse una sola
Sulla sua tomba si
spenderà
Forse un ricordo forse
uno solo
Sul suo ricordo si
spenderà
E il vento soffia forte
La neve cade lieve
E nulla
resterà
Non maleditelo
Perché non
servirà
Un posto
all’inferno
Lo ha già
Ma forse una lacrima
Forse una sola
Sulla sua morte si
spenderà
Forse un sorriso
Un bacio rubato
Sul suo ricordo
tornerà
E il vento soffia
forte
La neve cade lieve
E nulla
resterà
Lo aveva imparato che
la felicità
È corona di
ortica e di lillà
Ma sappiate che sempre
ci sarà
Chi tra le
sue braccia il suo pianto salverà
Udite la mia
voce?
Ormai canta nel vento
Ma dentro il vostro
cuore
Resterà lo
sgomento!
Ma il vento soffia
forte
la neve cade lieve
e nulla
resterà”
Finì
l’ultimo accordo e poi disse:- Ricordatelo signori
perché tutto questo si avvererà!-
E detto questo
scoppiò a ridere e si lasciò cadere
all’indietro, oltre il muro di cinta, scomparendo alla loro
vista.
Celia trattenne a
stento un urlo.
- Ah, non ti
spaventare…il figlio del Demone non può ferirsi.
È comparso il pomeriggio dell’ultimo
dell’anno di quindici anni fa e da allora arriva tutti i
pomeriggi a cantare- spiegò un vecchietto traballante a cui
mancava la metà dei denti_ quando ha finito si butta
all’indietro. Nessuno ha mai visto come arriva o come se ne
va, quelli che si sono appostati si sono addormentati o proprio in quel
momento hanno starnutito o cose del genere. E se nessuno lo va ad
ascoltare tutti quelli che passano davanti al muro per le due ore
seguenti rimangono incollati a con i piedi a terra finché
non ritorna il pomeriggio dopo._ sputò a terra_ E
quel piccoletto è sempre così magro e piccolo, da
quel pomeriggio di quindici anni fa, sempre uguale, sapete? Ma
d’altro canto cosa ci si può aspettare dal figlio
di un Demone? …Ehi voi due siete vive?- chiese
improvvisamente sventolando davanti alle gemelle la mano rugosa.
Neli e Celia erano
paralizzate da un po’, paralizzate da una frase del
vecchietto.
L’ultimo
dell’anno di quindici anni fa erano nate loro.
In seguito
all’incontro con Elis e il figlio del Demone il quartetto era
ripartito, dopo aver spiegato per filo e per segno la visita
all’erborista a La e Malia.
- Quindi sei
un’indovina?- chiese La a Neli con un ghigno.
- Non sono
un’indovina. Ho il dono della vista, è diverso.-
ribattè lei filosoficamente.
- Sei
un’indovina- disse Malia.
Era quasi
metà pomeriggio e le lame di luce si aprivano qua e
là nel boschetto di betulle nel quale erano entrati. Il
passo era rallentato perché a Nalier avevano fatto provviste
per i giorni successivi, e i cavalli erano notevolmente appesantiti.
Era piacevole
lasciarsi accarezzare dal sole tiepido, seduti pigramente sul dorso di
un cavallo che camminava placido, mentre i suoi zoccoli affondavano nel
soffice manto nevoso.
Ma dopo due ore di
cavalcata allo stesso ritmo ai ragazzi passò di mante la
bellezza del paesaggio, sostituita dal dolore alle gambe e dalla noia
del boschetto interminabile.
Così quando
apparve il lupo erano tutto fuorché pronti.
Era balzato fuori da
un cespuglio ringhiando minacciosamente, per nulla intimorito dai
cavalli scalpitanti. Il cavallo di Celia si era imbizzarrito di fronte
alla bestia e la ragazza aveva fatto fatica a cadere senza non rompersi
qualcosa.
- Celia!-
urlò Neli.
La balzò
giù da Briom e senza pensarci troppo Evocò una
spada. Quando sentì il metallo tra le dita si
stupì da solo, non credeva di avere così tanta
energia e prontezza di riflessi da Evocare qualcosa, ma non
c’era il tempo di complimentarsi con se stessi.
Il lupo
balzò in avanti, puntando La che non si lasciò
sorprendere e respinse l’attacco. Il lupo non si
ferì ma fu sbalzato in là dall’urto ma
anche la spada di La volò lontano.
Il lupo si
rialzò scrollandosi e avanzò verso il ragazzo
disarmato, i bei occhi arancioni dell’animale spalancati.
Nello stesso istante in cui La si rialzava e il lupo balzava contro di
lui, Neli urlò ‘No!’ ma non fece mai in
tempo a fare qualcosa.
Poi un lampo
saltò fuori da un cespuglio lanciandosi contro il lupo che
aveva attaccato La, togliendoglielo di dosso.
Il lampo si
rivelò essere un ragazzo che atterrato sul lupo gli
puntò contro la gola la punta del bastone che teneva in
mano. Sembrava che il bastone terminasse direttamente con la lama di
ferro, che era in realtà abilmente incastonata.
Il lupo
uggiolò e una volta liberato dal corpo del ragazzo che lo
premeva contro terra se la diede a gambe tra gli alberi.
Il ragazzo si
voltò e aiutò Neli a rialzare La che sanguinava
abbondantemente sangue dal braccio destro, dove l’animale era
riuscito a morderlo.
Celia, che si era
rialzata con l’aiuto di Malia, e Neli incrociarono il suo
sguardo per un istante. Forse fu solo un gioco di luce, ma negli occhi
verde scuro del nuovo ragazzo balenò un’ombra che
dipinse la sua espressione di terrore e sorpresa, un lampo fugace
subito scomparso, che aveva oscurato per un secondo il suo sorriso,
come di chi vive per un istante un incubo.
Non era un gioco di
luce, si disse Celia, quella era paura vera.
- Il mio nome
è Niel - disse il ragazzo sorridendo a Malia.
Era alto poco
più di La, con i capelli ricci e rossi e degli occhi verde
scuro che Celia non riusciva a smettere di fissare.
- Dove state andando?
Se non sbaglio la Valle dei Lupi è piuttosto pericolosa
d’inverno, non trovate?-
- Siamo già
nella Valle dei Lupi? Non…AH!- esclamò La mentre
Neli stringeva di più la fasciatura del suo braccio
sogghignando quando lui si lamentava.
- Noi stiamo
andando…umpf…-
- Stiamo andando a
trovare nostra zia Baily - concluse Celia tappando la bocca a Malia,
ormai in stato adornate di fronte a Niel, che continuò.
- Suppongo quindi che
abbiate bisogno di una guida. Non mi sembrate molto esperti della
zona.- disse con aria esperta.
- Ma tu chi sei?-
- Ve lo ho detto. Mi
chiamo Niel Miznir, ho 16 anni e sono figlio di Heraen il taglialegna.
Non vivo con mio padre durante il giorno, giro per la Valle; e la
maggior parte della volte incontro degli svitati come voi- concluse
sorridendo. Malia si sciolse definitivamente.
Nelle ore seguenti
proseguirono il viaggio in compagnia di Niel e chiacchierando trovarono
che lui e La si facevano sempre più chiusi tra di loro e
sempre più ciarlieri con le ragazze.
Quando Niel li
invitò a passare la notte nelle tende che aveva portato, per
poi ripartire la mattina dopo e quando tutti si furono ritirati nelle
enormi tende bordeaux Neli ebbe la netta impressione che se qualcuno
non fosse intervenuto, prima della fine del viaggio Malia e Niel si
sarebbero anche potuti sposare se fosse dipeso dal parere di lei.
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