The last breath of ice

di Gavriel
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Guerra e profezie (ovvero mai credere di conoscersi) ***
Capitolo 2: *** Fuga (ovvero mai sciegliere la strada semplice) ***
Capitolo 3: *** Fuga ***
Capitolo 4: *** Gatto, demone, lupo ***



Capitolo 1
*** Guerra e profezie (ovvero mai credere di conoscersi) ***


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1

Guerra e Profezie

(ovvero mai credere di conoscersi)

Il corridoio del Collegio era deserto, solo i granelli di polvere illuminati dalla luce rossastra del tramonto.
Neli sentì la malinconia insinuarsi lentamente nel suo petto. Si mise a correre, non voleva che la tristezza avesse la meglio, non ora.
I passi risuonarono nel corridoio e la polvere girò impazzita al passaggio della ragazza.
Imboccò di corsa le scale e le salì, senza badare a quelli che la salutavano o la chiamavano dai pianerottoli di marmo, la gonna grigia della divisa che fluttuava sopra le ginocchia.
- Neli!-
Riconobbe la voce e stavolta si girò. Un ragazzo poco più alto di lei con i capelli castani e gli occhi scuri era in piedi fuori del dormitorio dei maschi. Era La.
- Ciao, La! Cercavo Celia…- disse sorridendo al suo migliore amico.
- Sul terrazzo. Vieni- rispose La tirandola per il braccio.
Salirono le scale fino alla porta del terrazzo, a cui si accedeva attraverso una scaletta a chiocciola nella biblioteca al quinto piano, e La spinse la porta.
La luce delicata del tramonto invernale inondò i loro visi, mentre uscivano sullo spiazzo da cui si poteva osservare tutta la cittadina di Portaroen, le casette bianche di neve tinte di rosa dal tramonto.
Sulla loro destra iniziava il tetto, dietro un’inutile ringhiera superabile con un salto. E appollaiata sulle tegole, beatamente sdraiata al sole c’era Celia, la gemella di Neli. Le due ragazze erano identiche, gli stessi capelli biondo chiarissimo, la stessa forma delle sopracciglia, del naso, della bocca. L’unica differenza visibile era che Neli aveva gli occhi grigi e Celia verde chiaro.
- Hei, inseparabili, sono qui- chiamò Celia scendendo con un salto dal tetto- stavo pensando.-
- Oh, no La pensava! Secondo te è grave?- esclamò Neli fingendosi preoccupata, dando una gomitata a La che sogghignò.
- Ascolta Neli, so che per te è una cosa strana, ma la gente normale a volte pensa, capisci?- replicò Celia mettendole comprensivamente un braccio intorno alle spalle.
BLAM
La porta si aprì di scatto e comparve l’anello mancante del quartetto. Capelli castano scuro e occhi marrone dorato, Malia entrò trafelata.
- Siamo in guerra!- annunciò ansimando.
- Cosa?!- esclamò La spaventato.
- Il Neran ha mobilitato centomila uomini e ora sono a dieci giorni dal confine! E’ arrivato un messaggero mezzo morto a Magori l’altro giorno, dicendo che era riuscito a sfuggirgli, ma l’Oen non ce la farà mai a resistere a un’armata di centomila uomini, anche se siamo maghi!- li informò con il panico nella voce.
Il Neran era uno stato confinante con la loro nazione, l’Oen, l’unica terra oltre la brulla Terra degli Elfi la cui popolazione fosse magica. Orisum, a capo del Neran aveva degnamente continuato le orme del padre Lizar, nutrendo un odio e una paura profondi verso i maghi e fino ad allora non aveva perso occasione di attaccare l’Oen, durante il suo lunghissimo regno (in effetti, era inspiegabile come un uomo potesse vivere e regnare così a lungo, senza neppure invecchiare). Fino ad allora i maghi dell’Oen erano sempre riusciti a sconfiggere gli Uomini senza Ombra, come erano chiamati i soldati del Neran, ma era impossibile anche per dei maghi sconfiggere un’armata di centomila uomini.
- Come…dove diavolo gli ha presi quel pazzo di Orisum centomila uomini?- chiese La spaventato.
Malia scosse la testa senza saper che rispondere.
Neli guardò Celia. Nell’ultimo attacco sferrato da Orisum avevano perso la vita i loro genitori, quando loro avevano solo cinque anni. Loro due si erano salvate per miracolo ed erano state portate al Collegio, la scuola di Arti e Magie della città, che fungeva anche da orfanotrofio e da allora erano vissute lì.
Anche La era orfano ma quando non era al Collegio, cioè tutto l’anno scolastico, stava dai suoi odiati zii, i più ricchi proprietari terrieri di Portaroen, che avrebbero fatto di tutto per levarselo dai piedi.
Malia invece era figlia di un mercante che con la moglie e la sorella maggiore di Malia viveva in una città poco distante da Portaroen.
Poi per tutto l’edificio di diffuse la voce amplificata con la magia della orribile direttrice.
- Tutti gli studenti sono pregati di riunirsi nel cortile, causa annuncio urgente- gracchiò.
I ragazzi si guardarono un attimo e poi corsero giù per le scale. Attraversarono l’atrio al piano terra, illuminato dalle grandi finestre rettangolari e dal grande rosone dell’ingresso e dopo aver superato il portone di quercia si ritrovarono nel colonnato che circondava metà del cortile.
La saltò direttamente il muretto basso che separava il cortile di terra battuta dalle colonne di marmo e si allineò vicino a dei suoi amici nella colonna dei maschi, mentre Neli, Celia e Malia si sistemavano tra le ragazze.
- Oh, guarda le sorelle fotocopia…- commentò qualcuno da dietro.
Celia si girò, sapendo già che vedere. Lerani era anche lei dell’ultimo anno, il decimo, e non si poteva proprio dire che adorasse il quartetto e l’antipatia era ricambiata. Era alta e secca, con i capelli rosso scuro e gli occhi neri e come al solito era seguita da un branco di ragazzine ridacchianti.
- Come va con il tuo amore, La?- chiese rivolta a Neli, con il suo solito sorriso orribile.
Neli la guardò con sufficienza. Era abituata a sentirsi dire che La era il suo: fidanzato, ragazzo, marito, amore, tesorino, ciccino, pucci-pucci e via dicendo e ormai non ci faceva caso, come d’altro canto faceva l’amico.
- Tutto qui quello che sai fare Lerani?_ chiese scettica girandosi dall’altra parte_ uhm, stai perdendo colpi, cara-
- E il trucco ti si è sbavato…oh, no scusa quelle sono le occhiaie…-commentò perfida Malia.
Celia rise e Lerani la fulminò con lo sguardo.
- Ridete pure, ma tra poco vedrete…è finito il soggiorno al Collegio orfanelle…- fece oltrepassandole agitando la mano.
- Cosa? Cosa hai detto?- esclamò Celia.
Lerani ridacchiò senza voltarsi. Neli la seguì furente con lo sguardo, ma Celia la agguantò e la fece girare.
- Ripeti- ciò- che- hai- detto.- ringhiò afferrandola per la cravatta grigia e azzurra della divisa.
-Mollami stracciona!- strillò Lerani.
In quel momento la direttrice Rowen fece il suo ingresso in cortile salvando Lerani da un pugno in un occhio da parte di Celia. La direttrice era alta e tarchiata, truccata con uno strato di due dita di fard per nascondere le abbondanti rughe, con i capelli grigi raccolti una rigida crocchia.
- Studenti_ esordì passeggiando tra loro e zittendoli di colpo_ come immagino avrete sentito l’Oen è stato aggredito da parte dello stato del Neran. Non sarà per nulla una guerra facile, ma voglio informarvi che non subirà conseguenze all’interno del Collegio, che è ben protetto. Le lezioni seguiranno il loro corso e non ci saranno sconvolgimenti negli orari o altro. Ripeto, qui al collegio sarete al sicuro e non vi mancherà nulla.- concluse con uno stupido sorriso, mentre un mormorio si diffondeva tra gli studenti.
Neli vide La mormorare qualcosa all’orecchio del suo amico e scoppiare a ridere.
- Sempre che non si facciano battute idiote- sibilò la Rowen avvicinandosi minacciosa al ragazzo che deglutì, ma non si mosse.
- Potete andare. Tutto seguirà il solito corso. L’orario entro il quale si deve tornare nei dormitori rimane invariato. Nessuna eccezione.- aggiunse e il suo sguardo saettò su Celia e Neli.
Mentre le tre ragazze stavano raggiungendo La, le gemelle sentirono la mano grassoccia della direttrice agguantarle.
- Dopo cena vi voglio nel mio ufficio- disse con un sorriso tirato, quando le ragazze si girarono.
- Non siamo state noi.- esclamarono meccanicamente in coro le sorelle.
- Coda di paglia, eh? Puntuali.- gracchiò superandole.
Neli e Celia si guardarono preoccupate, mentre Lerani le superava guardandole come dire “Visto?”.
Cosa voleva la direttrice?

L’ufficio della Rowen a prima vista poteva sembrare un emporio di oggetti raccolti in negozi d’antiquariato in fallimento; poi se facevi attenzione e aguzzavi la vista potevi scorgere tra un tappeto e un comodino un lembo di pavimento di moquette. Le pareti, ingombre di ventagli ricamati e pizzi incorniciati, una volta dovevano essere coperti di arazzi antichi, ma ora questi erano ammassati nei ripostigli ed avevano lasciato il posto ad orrendi vassoi da the appesi.
Celia entrò in quell’ufficio ormai familiare: in effetti, anche se andava bene a scuola non era proprio un angioletto, a quanto diceva la condotta…
Dribblando raggiunse la scrivania al momento vuota e si sedette su una vezzosa sedia fucsia coperta di pizzi viola.
- Sera-
Una voce uscì da dietro di lei. Era la Rowen, incombeva controluce e proiettava la sua ombra minacciosa.
Celia trasalì, l’unica cosa che veniva bene alla direttrice erano le entrate teatrali, per il resto…
- Piacere di rivederla, sa cominciavo a chiedermi che fine avesse fatto; è più di una settimana che non ci incontriamo.- disse la Rowen sedendosi dietro la scrivania sommersa di vasi di fiori secchi.
- Sinceramente anche io cominciavo a preoccuparmi pensando a lei senza di me che lo qualcosa da fare…- disse Celia terrorizzata; cercava di dissimulare la sua inquietudine, sperava che non l’avessero beccata ad uscire di nascosto per seguire gli allenamenti di scherma riservati ai maschi… o del fatto delle corse di criceti…
Toc-toc  
- Avanti-
Neli entrò impacciata; chiuse la porta dietro di lei, facendo attenzione a non toccare i soprammobili di cristallo.
I suoi occhi vagavano sulle pareti, sui vassoi, sui pizzi…un vetro infranto la riportò alla realtà. Aveva urtato contro un tavolino da the intarsiato e aveva fatto cadere un enorme rospo di vetro soffiato.
Assumendo una gradevole tonalità di fucsia che si intonava perfettamente con la poltroncina verde lasciata libera vicino alla sorella si sedette.
Neli era un po’ nervosa per la scultura infranta, ma nulla in confronto al terrore che fosse arrivato alle orecchie della direttrice il gruzzolo di rupe vinte nelle scommesse sulle corse di criceti o l’impressionante quantità di compiti passati a La durante l’anno scolastico…
- Siete state selezionate tra un campione di 200 studenti per ottenere un posto alla prestigiosa Scuola di Secondo Grado della vicina città di Nalier.  Ormai avete compiuto i quindici anni obbligatori per l’iscrizione e questo _ “grazie al cielo” pensò_ sarebbe comunque il vostro ultimo anno al Collegio. Visti i vostri eccellenti profitti scolastici… che dire? Congratulazioni.- concluse tronfia.
Neli ebbe la netta impressione che nel dire questo si fosse tolta un enorme peso…poi le tornò a mente che fine aveva fatto l’allevamento di furetti albini del custode e dovette a malincuore dar ragione alla Rowen.    
- Mi scusi… ma solo noi due so tutti gli 80 studenti dell’ultimo anno del Collegio? Non siamo le sole ad andare bene…- chiese Celia senza sapere perché lo stava chiedendo.
La sua domanda spiazzò la Rowen. Aveva ragione non era credibile…
- Oh, no…anche…_ l’occhio le cadde sull’elenco delle punizioni sulla scrivania davanti a sè _ il signor La Roen e… _inventò_ la signorina Malia Gareth, sì…-
Celia corrugò la fronte. La Rowen aveva sempre cercato di separare per quanto possibile il quartetto, e ora li mandava insieme alla Secondaria? Ma forse era solo una tattica astuta per levarli tutti insieme dalla circolazione.
-La?- chiese invece Neli stupita.
- Oh sì… i suoi voti hanno avuto un’impennata negli ultimi tempi, anche se molti dei suoi insegnanti mi hanno fatto notare come i compiti del signor Roen assomiglino straordinariamente ai suoi, signorina… ma abbiamo perso fin troppo tempo. Partirete dopodomani alle 5.30. Della mattina- concluse assumendo una tonalità color pulce.
-Cos… domani?! 5.30?!- ribattè Celia.
- Sì, niente commenti prego… a domani- tagliò la Rowen agitando una mano.
- Ma…- tentò Neli.
- A domani- concluse brusca la direttrice girandosi per raddrizzare un vassoio.
Le gemelle si guardarono stupite, poi si alzarono e andarono verso la porta.
Qualcosa attirò l’attenzione di Neli. Il rospo che aveva rotto poco prima era ancora a terra a pezzi, ma al suo interno si vedeva chiaramente un libro, con la copertina viola chiaro e gli angoli neri.
Lo raccolse e lo infilò in fretta nella borsa con i libri.
- Signorina Zotopi!-
Neli raggelò e si girò. La direttrice non poteva averla vista, in quel momento era girata.
- Questo è suo se non erro- disse porgendole una piccola trottola dai colori sgargianti.
- Oh sì il mio Annebbiatore…- fece Neli cauta prendendolo dalle mani della Rowen.
- Il periodo di sequestro è finito, ma provi a ridurre di nuovo la biblioteca in quello stato e lo terrò io. Per sempre- concluse gelida.
Neli fece il suo miglior sorriso tirato e poi uscirono tirando un sospiro di sollievo. Per un po’ camminarono senza parlare, dirette al Dormitorio femminile.
- Era un po’ debole come scusa, no?- commentò infine Neli.
- Anche per te quella di mandarci alla Secondaria di Nalier è una scusa?- chiese Celia.
Neli la guardò con un’occhiata eloquente.
- Perchè secondo te non ci vuole più qua? Voglio dire, lo so che abbiamo creato un bel po’ di problemi, ma credevo che punirci le piacesse…- chiese alla sorella.
Celia scosse la testa senza sapere che rispondere. Camminarono ancora in silenzio.
Quando imboccarono le scale dirette al terzo piano dove c’erano i Dormitori femminili Celia chiese- Cosa hai raccolto nell’ufficio della rospa?-.
Neli sogghignò.
-Non ti sfugge nulla, eh? Boh, era un libro nel rospo che ho fatto cadere- rispose frugando nella borsa.
- No aspetta non tirarlo fuori qui. Quando siamo in Dormitorio, qua c’è in giro Moman- disse Celia alludendo al custode.
Avevano salito le sei rampe di scale che separavano il piano terra, dove si trovava l’ufficio della Rowen, dal terzo piano del loro dormitorio. Al primo e al secondo piano c’erano solo aule, mentre al quarto e al quinto rispettivamente il Dormitorio dei maschi e la biblioteca. Sopra c’era solo il terrazzo, a cui teoricamente non avevano accesso, ma che tutti frequentavano lo stesso.
Celia spinse la porta del Dormitorio ed entrarono.
- Allora?_ chiese Malia, schizzando su dal letto azzurro, che aveva le sue buone ragioni per credere che la Rowen le avesse chiamate per assegnarle altre serate di punizione_ quanti giorni?-
- Per sempre- sentenziò Celia lasciandosi cadere sul letto.
- Siete state espulse?!-
- Non in questo senso- sogghignò Neli lasciando il libro sul comodino.
- E allora?- chiese Malia impaziente.
- Siamo iscritti alla Secondaria di Nalier. Noi tre e La- riassunse Neli chiudendo gli occhi.
- Cos… La?!- chiese Malia stralunata.
- Già. Con tutti i compiti che ha copiato da Neli…- commentò Celia.
Malia aggrottò le sopracciglia.
- E perché non lo ha detto a tutti di persona?- chiese.
- Sì neanche a noi quadrano parecchie cose di questa faccenda_ fece Celia_ comunque non possiamo farci nulla…-
Neli riaprì gli occhi e prese in mano il libretto dal comodino. Era un piccolo libro violetto con gli angoli rinforzati in metallo nero e una piccola serratura mai chiusa da nessuna chiave. Sulla copertina in un cupo inchiostro nero c’era scritto:
“Profezie”

Neli lo aprì a caso: ogni pagina conteneva una specie di poesia senza rime precise, scritta sul bordo destro del foglio, invece sulla sinistra c’erano appunti, piccoli fogli, disegni davvero raccapriccianti o piccole tasche di carta contenenti minuscole buste sigillate in ceralacca viola e altre cose strane. Alcune poesie erano molto lunghe, altre si limitavano a poche parole, altre ancora erano scritte in alfabeti che aveva visto solo sul libro di rune, ma che non sapeva tradurre.
Neli voltava quelle pagine fruscianti di pergamena e sentiva di dover trovare qualcosa… più avanti…ancora un po’…
- Allora cos’è?- chiese Celia curiosa.
Ecco. Il suo nome. Il suo e quello di Celia, scritti in alto a destra, con una scrittura elegante e fluida ma allo stesso tempo inquietante.
- C’è il nostro nome qui. C’è il nostro…-
- Da qua!-
Celia prese il libro e subito sentì che odorava di antico, qualcosa di involabile e arcano era nascosto in quelle pagine, qualcosa che nessuno doveva sapere…
Con mano tremante sfiorò il libricino e vide scritta a caratteri stretti la pagina di Profezia dove c’era davvero il loro nome.
D’istinto toccò di nuovo il libro, ma fu una mossa sbagliata: una valanga di immagini la colpì in pieno cervello. Vedeva immagini, immagini del passato, due schegge di luce, due uomini incappucciati di nero sigillavano qualcosa dentro una parete di ghiaccio azzurro, ma nel compiere il gesto un dei due si voltava verso di lei e la guardava con occhi verde scuro, sbarrati, pieni di rimprovero.
- Non devi stare qui! Va via!- diceva con aria arrabbiata e preoccupata. Ma proprio quando muoveva le labbra i suoi occhi si spegnevano e il suo sguardo perdeva vita…
- Celia puoi leggere per piacere?- chiese Malia eccitata.
Celia guardò smarrita Neli e le passò il libro, incapace di leggere al momento.
Neli prese il libro con mani tremanti e lesse:
“Due Draghi rinchiusi
due cuori perduti
dall’alba al tramonto
sarà il tormento
il cerchio infinito
verrà spezzato
amor mai vissuto
sarà immolato
la prima morte
da mano innocente
sarà della guerra
impronta sicura
l’ultimo a avere il settimo dono
lo negherà a chi ne ha bisogno
un soffio di vita
un soffio di morte
perché del mondo si salvi la sorte.”
Neli finì di leggere.
- Cosa significa?- chiese Malia stavolta spaventata.
Celia guardò con sguardo vacuo la sorella, senza capire.
Quella Profezia era inquietante, come un presagio di morte. Parlava di guerra, di destino, di morte, dei fili che legavano le vite delle gemelle a dei Draghi.
- Penso… _ cominciò Neli. Poi la sua voce cambiò, diventando un sussurro roco_ significa che dobbiamo andare fino ai monti del nord, dove dovremo risvegliare i Dragoni di Ghiaccio, evocando il nostro spirito. E poi la guerra potrà avere conclusione-
Celia la guardò spaventata.
- Neli… come…-
Neli respirava affannosamente, come se avesse fatto una corsa, con le mani premute sull’addome.
- Non… non era la mia voce. Parlavo, ma non ero io a formulare le parole, uscivano da sole!- disse riprendendo fiato.
Malia le guardò. Profezia. Profezia significava destino. Non si poteva infrangere una Profezia, o meglio nessuno lo aveva mai fatto, perché avrebbe avuto conseguenze orribili, catastrofiche, anche se nessuno sapeva dire quali. Inoltre le Profezie erano così rare, solo una volta ogni 200 anni ne era formulata una. E ora le sue migliori amiche ne erano il soggetto…
- Ecco perché._ disse Celia dando un pugno al cuscino_ Ecco perché la Rowen non ci voleva qua e ci ha mandato alla Secondaria a Nalier. Lei sapeva della Profezia e probabilmente lo sa anche Orisum. Così quella… ci ha scaricato alla Secondaria, per non mettersi in pericolo. Ma certo ora Orisum farà di tutto per assoggettarci o… ucciderci-.
Neli trattenne il fiato.
- Orisum vuole...noi¬_ disse senza fiato_ noi -.
Sembrava impossibile che l’imperatore del più sanguinario dei regni volesse proprio loro, due orfane, due ragazze… loro! Loro avrebbero dovuto portare a compimento una Profezia, salvare il loro popolo, risvegliare qualcosa che fino a dieci minuti fa ritenevano una leggenda. Loro.
- Cosa facciamo?- chiese Neli riassumendo la domanda di tutte e tre.
- Aspettiamo domani mattina. Parliamone con La e poi vediamo - rispose Celia.
- Parliamone con La?- chiese Malia con una risatina nervosa.
Neli alzò le spalle.
- C’è dentro anche lui a questo punto-

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Capitolo 2
*** Fuga (ovvero mai sciegliere la strada semplice) ***


Questo, e il seguente capitolo non sono tanto importanti ai fini della storia, perciò sarà vostra discrezione leggere o meno il capitolo.

2

Fuga

(ovvero ma scegliere la strada semplice)

- Davvero?! Scherzate o sul serio?- esclamò La sgranando gli occhi. L’ occhiata di Neli gli rispose.
- E allora che si fa?- gli chiese Celia dopo avergli spiegato tutto l’accaduto la sera precedente.
La socchiuse gli occhi soppesando le sue parole. Una delle lame di luce che penetravano dalle grandi finestre che si aprivano sul muro color panna della mensa, gli danzava tra i capelli lisci e arruffati, ipnotizzando Neli che era già piuttosto addormentata, non avendo chiuso occhio per tutta la notte. L’unica volta che si era addormentata aveva fatto un sogno stranissimo: c’era Malia vestita come una regina, sopra un cavallo pezzato; indossava abiti da guerra, un’armatura rifinita d’oro sopra una tunica rosso sangue. Di fianco a lei c’era un ragazzo alto, con i capelli scuri che però non si vedeva bene, tutto intorno turbinava la neve e sembrava che i cavalli poggiassero su del ghiaccio. Quando si era svegliata ricordava perfettamente il sogno e non se l’era mai più scordato, anzi i particolari di districavano più ci pensava. Non aveva mai fatto un sogno del genere.
La mensa alle 6 di mattina era il luogo ideale per parlare senza essere disturbati perché era praticamente vuota a parte i carrelli che gironzolavano senza guidatore tra i lunghi tavoli ancora carichi di cibo.
La afferrò una mela da uno di essi e ne staccò un morso.
- Si potrebbe…_ inghiottì il boccone_ si potrebbe… fuggire…- azzardò con un mezzo sorriso.
- Dal Collegio… fuggire… pensi… sarebbe possibile?- farfugliò Malia con una luce strana che danzava negli occhi dorati.
- Oh, ragazzi, andiamo, fuggire? Succedono nei libri queste cose! Non nella realtà…- sbuffò Celia.
Neli la ignorò lasciando perdere il libro dal quale stava cercando di ripassare all’ultimo momento, non avendo fatto praticamente nulla il giorno prima.
- Fuggire, eh? Non è una cattiva idea… ma potrebbe rivelarsi pessima… che dici?- chiese a La.
La sogghignò, felice che la sua proposta fosse stata presa in considerazione.
- Beh, il portone non è mai chiuso e fino al cortile non ci sono problemi. Il cancello principale è fuori discussione, ma c’è la porticina arrugginita a metà cortile… conduce direttamente fuori…- elencò pensieroso con aria da ladro incallito.
Celia rimuginò sulle sue parole. Fuggire era l’unica soluzione. Se fossero arrivati a Nalier non ci sarebbe stata più via di fuga e La le stava mostrando un piano quasi a prova di bomba… e di nuovo quel pensiero: le sorti dell’Oen dipendono da noi.
Poi si sentì un rumore di un branco di rinoceronti in fuga e le porte della mensa si spalancarono facendo entrare gran parte degli studenti, per la colazione. Neli sospirò e chiuse il libro, perché parlare o ripassare ora era ufficialmente fuori discussione.
- Sentite_ sibilò Celia_ ne riparliamo alla fine delle lezioni, ok? Ora non mi sembra il caso…-
La annuì pensoso e si accinse a copiare diligentemente gli esercizi di Magia Avanzata dal libro di Neli sul proprio.

- Zotopi!-
Neli trasalì.
- Sì signora?- chiese stancamente.
- E’ interessante il panorama fuori dalla finestra?- chiese ringhiando la professoressa di Rune.
- No signora- rispose Neli tornando sul libro.
- E allora mi faccia il piacere di tenere gli occhi a pagina 169, grazie- concluse seccata.
Neli tornò indietro con le pagine lei era a pagina 193.
Come per miracolo la campana diede i suoi due tocchi, segnando la fine delle lezioni. Mentre la professoressa sbraitava di studiare, i ragazzi uscirono con sollievo dall’aula. Quella di Rune era l’ultima ora del martedì, dopodiché erano liberi.
Invece di salire a fare i compiti, si diressero verso il cortile, dove scelsero un angolo meno frequentato per programmare la fuga.
- Mi sento una carcerata che tenta di fuggire dalla prigione- commentò Neli con le viscere in subbuglio.
- In un certo senso lo sei. Qui è un carcere- sogghignò La.
- Già ma se stasera ci beccano ci sbattono sul serio in galera- fece Malia cupa.
- Comunque. Dopo le 3 Moman non è più di ronda, quindi c’è via libera… ma non abbiamo niente con cui illuminare, le torce nei dormitori sono fisse e non voglio usare niente che bruci…- disse La ricordando la memorabile volta in cui il suo pigiama aveva preso fuoco.
- La gli incantesimi di Luce gli abbiamo fatti quando avevamo 10 anni e ora ne abbiamo 15, direi che sappiamo illuminare con la magia…- ribattè Neli formando una palla di luce grande quanto un melone sul palmo, a dimostrazione delle sue parole.
- A parte che la Luce si può creare solo se sei in un luogo illuminato, potremmo anche crearla in dormitorio e condurla per i corridoi se non ci fossero i gargoyle – la contraddisse Celia spegnendo la Luce di Neli.
- Che fanno i gargoyle?- chiese La.
- Captano la magia. Se ti beccano a fare incantesimi nei corridoi ti Trasportano direttamente nell’ufficio della preside.- rispose Malia.
- Ma abbiamo sempre i lucini!- esclamò La armeggiando con la borsa. Dopo che ebbe fatto scattare l’apertura fece un respiro profondo e infilò velocemente la mano nella sacca.
Questa prese ad agitarsi furiosamente, mentre La frugava.
- AHA!- esultò infine. La borsa si bloccò.
Estrasse la mano.
Tra il pollice e l’indice reggeva una sottile coda, molto più sottile di quella di un topo, lunga sì e no 5 centimetri, rosa pelle.
La minuscola coda apparteneva a una specie di fagiolo, grosso due volte uno normale, ricoperto da una soffice peluria color cenere. Il fagiolo doveva essere vivo perché si agitava come un matto.
- Quella cos’è?- chiese Celia squadrandolo.
- Un lucino! Ora lo vedete grigio, ma la notte quando si sentono minacciati si illuminano per intimorire i predatori… fanno un sacco di luce- spiegò La, mentre il lucino continuava ad agitarsi.
- E dove lo avresti preso, La?- chiese Neli inarcando un sopracciglio.
- Oh, diciamo che sono venuti loro da me_ rispose La evasivo_ comunque ne ho un po’ possiamo usare questi-
- D’accordo… sentite proprio di fianco al collegio c’è il recinto di Farel, il mercante di cavalli. Possiamo rubarne alcuni… il recinto noi lo possiamo scavalcare ma dovremmo aprirlo o i cavalli non riusciranno a saltarlo al buio…_ spiegò Celia. Poi sospirò_ e poi siamo liberi…-
- Beh, una cosa positiva è anche che saltiamo gli esami del decimo anno…-
I ragazzi sorrisero vacui. Checché ne dicessero, a tutti faceva paura lasciare il binario programmato della vita.

- La! Ti vuoi muovere?!- sibilò Neli da un punto imprecisato nel buio.
La emise uno strano suono.
- Questa cosa non si accende! Stupida, stupida, stupida!- mugugnò di rimando il ragazzo tirando la coda al lucino.
- Vi prego sbrigatevi!- intervenne Celia da dietro stringendo convulsamente la sua tracolla contenente i suoi pochi bagagli. Erano le quattro di mattina e la fuga era già partita male. I lucini non si accendevano.
- Oh, dà qua!- sbuffò Malia strappando l’animaletto dalle mani di La. Se lo mise sul palmo della mano e lo avvicinò al viso.
- Ciao piccolino…- cominciò con la voce più dolce che riuscì a fare.
- Piccolina- puntualizzò La.
- Zitto La! Devi- stare- zitto! Allora… piccolina, ci fai il favore di ACCENDERTI?- ringhiò Malia spazientita. La lucina squittì spaventata e improvvisamente si illuminò di una luce argentata e calda.
- Andiamo- fece Malia facendo strada.
La discesa dal quinto piano al grande salone dell’atrio fu facile anche se i ragazzi trasalivano per il minimo rumore. In cuor suo ciascuno di loro stava salutando tutto quello che lo circondava, la casa che li aveva ospitati per dieci anni.
Neli e Celia, che avevano odiato il Collegio per la Rowen, ma soprattutto per essere la testimonianza della morte dei loro genitori, si trovavano a chiedersi perché quella morsa allo stomaco, quel magone, quella…malinconia.
- Hei,… non saremo mica tristi?- mormorò La quando furono fermi di fronte al portone di quercia che dava sul cortile, esitanti. Varcarlo significava essere ufficialmente fuori.
- Forse…- rispose Neli facendo un passo avanti e spingendo una delle due ante.
I ragazzi si insinuarono nella fessura aperta e scivolarono fuori nella notte fredda. Ora erano fuori.
- Bene ora tocca ai cavalli-
La corsa per il cortile fu veloce. Arrivarono fino alla porticina arrugginita nascosta tra i raspi di edera secca. La sfilò una forcina dalla testa di Celia e armeggiò un secondo con la serratura. Quando il meccanismo scattò aprì la porta con gesto teatrale.
- Andiamo?- chiese Neli titubante.
I ragazzi varcarono la soglia e si richiusero la porta alle spalle. L’aria odorava di neve e il cielo era coperto di nubi, ma con un po’ di fortuna non avrebbe nevicato.
Ora si trovavano in una stradicciola secondaria, trasversale alla strada principale di Portaroen.  L’erba attutiva i loro passi e potevano sentire i cavalli sbuffare nel recinto di Farel, il mercante scorbutico e irascibile. Le nuvolette di condensa per il respiro dei cavalli si levavano dai box, faceva troppo freddo per tenerli fuori di notte.
La scavalcò la staccionata e raggiunse i box. Aprì la serratura dei primi due e fece uscire i cavalli. Celia gli si avvicinò e prese alcune delle briglie attaccate al muro; infilò il morso al primo cavallo pezzato e lo affidò a Malia. Poi mentre infilava le briglie al secondo questo nitrì infastidito.
Una luce in casa di Farel si accese. Agghiacciata Neli balzò avanti e afferrò entrambi i cavalli e con Malia si nascose nell’ombra.
 Celia era bloccata dal terrore e neanche il suono dei passi di Farel che stava uscendo per controllare la fonte del rumore la smosse. La imprecò a bassa voce e la afferrò, tirandola in un angolo. I passi si fecero sempre più vicini e La non potè fare altro che premere Celia contro il muro, mentre un po’ di intonaco si scrostava e gli finiva addosso, imbiancandoli.
Celia non riusciva a respirare, il terrore di esser scoperta le congelava i piedi, le gambe,la testa. I passi si avvicinarono…una torcia rischiarò l’ambiente, rivelano l’ombra tremolante di un uomo.
- Maledetti ragasci…_ Farel alzò un pugno, la voce impastata dal sonno e dalla troppa birra_ riuscirò ad asciaparvi…- e detto questo si voltò e tornò indietro grattandosi il fondoschiena e barcollando.
Solo quando la porta sbattè dietro i passi del guardiano, Celia osò respirare e si sorprese ad avere il fiatone. Poi si accorse che La era ancora lì.
- La_ bisbigliò_ grazie ma ora andiamo-
- Oh scusa- disse La spazzando via lo sporco dei calcinacci dal cappotto: Celia si sistemò una ciocca di capelli dietro le orecchie.
- Andiamo- disse e uscirono allo scoperto evitando di guardarsi.
- Che è successo?- chiese Neli preoccupata.
- Oh, niente_ rispose Celia rimanendo sul vago_ stava per vederci…-
- E vi ha scoperto?- chiese Malia tesa.
- No, sennò non saremmo qui, ti pare?-
- Ah, sì certo comunque muoviamoci…- fece Celia desiderosa di cambiare argomento.
Neli notò che sul cappotto di Celia c’era dell’intonaco… lo stesso che c’era su quello di La. Diede una gomitata a Malia indicando prima il cappotto di Celia e poi La, sorridendo; Malia scoppiò in una risata silenziosa che le fece quasi perdere l’equilibrio.
Celia le guardò sogghignare maliziose ma le bastò un’occhiataccia per far scomparire quelle espressioni.
Quando La tornò con altri due cavalli, uno nero con una stella bianca in fronte e uno marrone scuro, montarono subito in sella desiderosi di lasciare al più presto Portaroen.
Diedero un nome ai cavalli tanto per passare il tempo mentre aggiravano il centro della città, dove sarebbe stato più facile incontrare gente. Alla fine Celia e Neli chiamarono i loro cavalli Kibo e Mikko,  Malia chiamò la sua puledra Poker e La il suo cavallo nero Briom, come il leggendario spiritello del vento.
In meno di un quarto d’ora furono alla porta sud di Portaroen. Quando ebbero finalmente valicato la spessa muraglia a protezione della città e furono di nuovo inghiottiti dal buio Neli chiese:- Pensate che torneremo mai a Portaroen?-
Qualcuno sospirò.
- Dille addio, Neli- rispose piano La.  

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Capitolo 3
*** Fuga ***


2

Fuga

(ovvero ma scegliere la strada semplice)

- Davvero?! Scherzate o sul serio?- esclamò La sgranando gli occhi. L’ occhiata di Neli gli rispose.

- E allora che si fa?- gli chiese Celia dopo avergli spiegato tutto l’accaduto la sera precedente.

La socchiuse gli occhi soppesando le sue parole. Una delle lame di luce che penetravano dalle grandi finestre che si aprivano sul muro color panna della mensa, gli danzava tra i capelli lisci e arruffati, ipnotizzando Neli che era già piuttosto addormentata, non avendo chiuso occhio per tutta la notte. L’unica volta che si era addormentata aveva fatto un sogno stranissimo: c’era Malia vestita come una regina, sopra un cavallo pezzato; indossava abiti da guerra, un’armatura rifinita d’oro sopra una tunica rosso sangue. Di fianco a lei c’era un ragazzo alto, con i capelli scuri che però non si vedeva bene, tutto intorno turbinava la neve e sembrava che i cavalli poggiassero su del ghiaccio. Quando si era svegliata ricordava perfettamente il sogno e non se l’era mai più scordato, anzi i particolari di districavano più ci pensava. Non aveva mai fatto un sogno del genere.

La mensa alle 6 di mattina era il luogo ideale per parlare senza essere disturbati perché era praticamente vuota a parte i carrelli che gironzolavano senza guidatore tra i lunghi tavoli ancora carichi di cibo.

La afferrò una mela da uno di essi e ne staccò un morso.

- Si potrebbe…_ inghiottì il boccone_ si potrebbe… fuggire…- azzardò con un mezzo sorriso.

- Dal Collegio… fuggire… pensi… sarebbe possibile?- farfugliò Malia con una luce strana che danzava negli occhi dorati.

- Oh, ragazzi, andiamo, fuggire? Succedono nei libri queste cose! Non nella realtà…- sbuffò Celia.

Neli la ignorò lasciando perdere il libro dal quale stava cercando di ripassare all’ultimo momento, non avendo fatto praticamente nulla il giorno prima.

- Fuggire, eh? Non è una cattiva idea… ma potrebbe rivelarsi pessima… che dici?- chiese a La.

La sogghignò, felice che la sua proposta fosse stata presa in considerazione.

- Beh, il portone non è mai chiuso e fino al cortile non ci sono problemi. Il cancello principale è fuori discussione, ma c’è la porticina arrugginita a metà cortile… conduce direttamente fuori…- elencò pensieroso con aria da ladro incallito.

Celia rimuginò sulle sue parole. Fuggire era l’unica soluzione. Se fossero arrivati a Nalier non ci sarebbe stata più via di fuga e La le stava mostrando un piano quasi a prova di bomba… e di nuovo quel pensiero: le sorti dell’Oen dipendono da noi.

Poi si sentì un rumore di un branco di rinoceronti in fuga e le porte della mensa si spalancarono facendo entrare gran parte degli studenti, per la colazione. Neli sospirò e chiuse il libro, perché parlare o ripassare ora era ufficialmente fuori discussione.

- Sentite_ sibilò Celia_ ne riparliamo alla fine delle lezioni, ok? Ora non mi sembra il caso…-

La annuì pensoso e si accinse a copiare diligentemente gli esercizi di Magia Avanzata dal libro di Neli sul proprio.

 

- Zotopi!-

Neli trasalì.

- Sì signora?- chiese stancamente.

- E’ interessante il panorama fuori dalla finestra?- chiese ringhiando la professoressa di Rune.

- No signora- rispose Neli tornando sul libro.

- E allora mi faccia il piacere di tenere gli occhi a pagina 169, grazie- concluse seccata.

Neli tornò indietro con le pagine lei era a pagina 193.

Come per miracolo la campana diede i suoi due tocchi, segnando la fine delle lezioni. Mentre la professoressa sbraitava di studiare, i ragazzi uscirono con sollievo dall’aula. Quella di Rune era l’ultima ora del martedì, dopodiché erano liberi.

Invece di salire a fare i compiti, si diressero verso il cortile, dove scelsero un angolo meno frequentato per programmare la fuga.

- Mi sento una carcerata che tenta di fuggire dalla prigione- commentò Neli con le viscere in subbuglio.

- In un certo senso lo sei. Qui è un carcere- sogghignò La.

- Già ma se stasera ci beccano ci sbattono sul serio in galera- fece Malia cupa.

- Comunque. Dopo le 3 Moman non è più di ronda, quindi c’è via libera… ma non abbiamo niente con cui illuminare, le torce nei dormitori sono fisse e non voglio usare niente che bruci…- disse La ricordando la memorabile volta in cui il suo pigiama aveva preso fuoco.

- La gli incantesimi di Luce gli abbiamo fatti quando avevamo 10 anni e ora ne abbiamo 15, direi che sappiamo illuminare con la magia…- ribattè Neli formando una palla di luce grande quanto un melone sul palmo, a dimostrazione delle sue parole.

- A parte che la Luce si può creare solo se sei in un luogo illuminato, potremmo anche crearla in dormitorio e condurla per i corridoi se non ci fossero i gargoyle – la contraddisse Celia spegnendo la Luce di Neli.

- Che fanno i gargoyle?- chiese La.

- Captano la magia. Se ti beccano a fare incantesimi nei corridoi ti Trasportano direttamente nell’ufficio della preside.- rispose Malia.

- Ma abbiamo sempre i lucini!- esclamò La armeggiando con la borsa. Dopo che ebbe fatto scattare l’apertura fece un respiro profondo e infilò velocemente la mano nella sacca.

Questa prese ad agitarsi furiosamente, mentre La frugava.

- AHA!- esultò infine. La borsa si bloccò.

Estrasse la mano.

Tra il pollice e l’indice reggeva una sottile coda, molto più sottile di quella di un topo, lunga sì e no 5 centimetri, rosa pelle.

La minuscola coda apparteneva a una specie di fagiolo, grosso due volte uno normale, ricoperto da una soffice peluria color cenere. Il fagiolo doveva essere vivo perché si agitava come un matto.

- Quella cos’è?- chiese Celia squadrandolo.

- Un lucino! Ora lo vedete grigio, ma la notte quando si sentono minacciati si illuminano per intimorire i predatori… fanno un sacco di luce- spiegò La, mentre il lucino continuava ad agitarsi.

- E dove lo avresti preso, La?- chiese Neli inarcando un sopracciglio.

- Oh, diciamo che sono venuti loro da me_ rispose La evasivo_ comunque ne ho un po’ possiamo usare questi-

- D’accordo… sentite proprio di fianco al collegio c’è il recinto di Farel, il mercante di cavalli. Possiamo rubarne alcuni… il recinto noi lo possiamo scavalcare ma dovremmo aprirlo o i cavalli non riusciranno a saltarlo al buio…_ spiegò Celia. Poi sospirò_ e poi siamo liberi…-

- Beh, una cosa positiva è anche che saltiamo gli esami del decimo anno…-

I ragazzi sorrisero vacui. Checché ne dicessero, a tutti faceva paura lasciare il binario programmato della vita.

 

- La! Ti vuoi muovere?!- sibilò Neli da un punto imprecisato nel buio.

La emise uno strano suono.

- Questa cosa non si accende! Stupida, stupida, stupida!- mugugnò di rimando il ragazzo tirando la coda al lucino.

- Vi prego sbrigatevi!- intervenne Celia da dietro stringendo convulsamente la sua tracolla contenente i suoi pochi bagagli. Erano le quattro di mattina e la fuga era già partita male. I lucini non si accendevano.

- Oh, dà qua!- sbuffò Malia strappando l’animaletto dalle mani di La. Se lo mise sul palmo della mano e lo avvicinò al viso.

- Ciao piccolino…- cominciò con la voce più dolce che riuscì a fare.

- Piccolina- puntualizzò La.

- Zitto La! Devi- stare- zitto! Allora… piccolina, ci fai il favore di ACCENDERTI?- ringhiò Malia spazientita. La lucina squittì spaventata e improvvisamente si illuminò di una luce argentata e calda.

- Andiamo- fece Malia facendo strada.

La discesa dal quinto piano al grande salone dell’atrio fu facile anche se i ragazzi trasalivano per il minimo rumore. In cuor suo ciascuno di loro stava salutando tutto quello che lo circondava, la casa che li aveva ospitati per dieci anni.

Neli e Celia, che avevano odiato il Collegio per la Rowen, ma soprattutto per essere la testimonianza della morte dei loro genitori, si trovavano a chiedersi perché quella morsa allo stomaco, quel magone, quella…malinconia.

- Hei,… non saremo mica tristi?- mormorò La quando furono fermi di fronte al portone di quercia che dava sul cortile, esitanti. Varcarlo significava essere ufficialmente fuori.

- Forse…- rispose Neli facendo un passo avanti e spingendo una delle due ante.

I ragazzi si insinuarono nella fessura aperta e scivolarono fuori nella notte fredda. Ora erano fuori.

- Bene ora tocca ai cavalli-

La corsa per il cortile fu veloce. Arrivarono fino alla porticina arrugginita nascosta tra i raspi di edera secca. La sfilò una forcina dalla testa di Celia e armeggiò un secondo con la serratura. Quando il meccanismo scattò aprì la porta con gesto teatrale.

- Andiamo?- chiese Neli titubante.

I ragazzi varcarono la soglia e si richiusero la porta alle spalle. L’aria odorava di neve e il cielo era coperto di nubi, ma con un po’ di fortuna non avrebbe nevicato.

Ora si trovavano in una stradicciola secondaria, trasversale alla strada principale di Portaroen.  L’erba attutiva i loro passi e potevano sentire i cavalli sbuffare nel recinto di Farel, il mercante scorbutico e irascibile. Le nuvolette di condensa per il respiro dei cavalli si levavano dai box, faceva troppo freddo per tenerli fuori di notte.

La scavalcò la staccionata e raggiunse i box. Aprì la serratura dei primi due e fece uscire i cavalli. Celia gli si avvicinò e prese alcune delle briglie attaccate al muro; infilò il morso al primo cavallo pezzato e lo affidò a Malia. Poi mentre infilava le briglie al secondo questo nitrì infastidito.

Una luce in casa di Farel si accese. Agghiacciata Neli balzò avanti e afferrò entrambi i cavalli e con Malia si nascose nell’ombra.

 Celia era bloccata dal terrore e neanche il suono dei passi di Farel che stava uscendo per controllare la fonte del rumore la smosse. La imprecò a bassa voce e la afferrò, tirandola in un angolo. I passi si fecero sempre più vicini e La non potè fare altro che premere Celia contro il muro, mentre un po’ di intonaco si scrostava e gli finiva addosso, imbiancandoli.

Celia non riusciva a respirare, il terrore di esser scoperta le congelava i piedi, le gambe,la testa. I passi si avvicinarono…una torcia rischiarò l’ambiente, rivelano l’ombra tremolante di un uomo.

- Maledetti ragasci…_ Farel alzò un pugno, la voce impastata dal sonno e dalla troppa birra_ riuscirò ad asciaparvi…- e detto questo si voltò e tornò indietro grattandosi il fondoschiena e barcollando.

Solo quando la porta sbattè dietro i passi del guardiano, Celia osò respirare e si sorprese ad avere il fiatone. Poi si accorse che La era ancora lì.

- La_ bisbigliò_ grazie ma ora andiamo-

- Oh scusa- disse La spazzando via lo sporco dei calcinacci dal cappotto: Celia si sistemò una ciocca di capelli dietro le orecchie.

- Andiamo- disse e uscirono allo scoperto evitando di guardarsi.

- Che è successo?- chiese Neli preoccupata.

- Oh, niente_ rispose Celia rimanendo sul vago_ stava per vederci…-

- E vi ha scoperto?- chiese Malia tesa.

- No, sennò non saremmo qui, ti pare?-

- Ah, sì certo comunque muoviamoci…- fece Celia desiderosa di cambiare argomento.

Neli notò che sul cappotto di Celia c’era dell’intonaco… lo stesso che c’era su quello di La. Diede una gomitata a Malia indicando prima il cappotto di Celia e poi La, sorridendo; Malia scoppiò in una risata silenziosa che le fece quasi perdere l’equilibrio.

Celia le guardò sogghignare maliziose ma le bastò un’occhiataccia per far scomparire quelle espressioni.

Quando La tornò con altri due cavalli, uno nero con una stella bianca in fronte e uno marrone scuro, montarono subito in sella desiderosi di lasciare al più presto Portaroen.

Diedero un nome ai cavalli tanto per passare il tempo mentre aggiravano il centro della città, dove sarebbe stato più facile incontrare gente. Alla fine Celia e Neli chiamarono i loro cavalli Kibo e Mikko,  Malia chiamò la sua puledra Poker e La il suo cavallo nero Briom, come il leggendario spiritello del vento.

In meno di un quarto d’ora furono alla porta sud di Portaroen. Quando ebbero finalmente valicato la spessa muraglia a protezione della città e furono di nuovo inghiottiti dal buio Neli chiese:- Pensate che torneremo mai a Portaroen?-

Qualcuno sospirò.

- Dille addio, Neli- rispose piano La. 

anche questo capitplo non rientra nella trama più di tanto.
 Tenchiù alla persona che ha aggiunto questa storia tra i preferiti
Hola!

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Capitolo 4
*** Gatto, demone, lupo ***


3

Gatto, demone, lupo

(ovvero controllate sempre i vostri animali domestici)

Raspi di edera incorniciavano il cielo del mattino fatto quando il gruppetto, molto più animato di prima, giunse alle porte, invase dal rampicante, di Nalier, il primo centro abitato dopo Portaroen.
Nalier era famosa in tutto l’Oen per i pinnacoli dedicati a ogni divinità conosciuta e non, sparsi in tutta la città, come funghi troppo cresciuti. Erano 112, di varie altezze, ma mai inferiori ai tre metri, in pietra e completamente decorati con iscrizioni e bassorilievi riferiti alle gesta del dio che rappresentavano. In cima a ogni colonna di non più due metri di diametro, stagliati sul cielo azzurro e senza una nuvola, molti bambini e ragazzi li guardavano affacciati dalla colonnina con sguardi curiosi o sorridenti. Infatti periodicamente i conventi di tutta la nazione mandavano i propri novizi per un paio di settimane o più a starsene da eremiti sopra la colonnina per imparare a stare in pace col mondo e con loro stessi.
Era strano vedere dei poco più che bambini già in grado di affrontare una prova così dura e osservarli sorridere, quasi sapessero qualcosa che tutto il mondo ignorava.
- Guardate! E’ lì che saremmo finiti...- disse La facendoli riemergere dai propri pensieri.
Stava indicando un enorme edificio in pietra bianca, di forma circolare che si stagliava tra le case di pietra grigia di Nalier. Era completamente circondato da un alto muro di pietra e molti i stendardi verdi e oro pendevano da tutti i finestroni che si intravedevano oltre le mura. Sopra l’ingresso di ferro battuto c’era una imponente scritta in oro:
“Scuola secondaria di Arti e Magie di Nalier”
- Così era qui che ci avrebbe spedito la vecchia rospa- commentò Neli fermando.
- Abbiamo fatto bene… da qui non si usciva più…- ribadì Celia.
- Ci puoi scommettere- concluse Malia.
A mezzogiorno si fermarono ad una taverna dove mangiarono a malavoglia qualcosa. Avevano in programma di ripartire qualche ora dopo pranzo, in modo da far riposare i cavalli, così Celia decise di fare un giro per le viuzze circostanti.  
La città si era improvvisamente svuotata, la vetrine e le bancarelle avevano chiuso per metà la saracinesca e i venditori ambulanti avevano cessato le loro urla: Nalier si era fermata per il pranzo.
Ad un tratto l’occhio le cadde su di una porta. Non era propriamente una porta era un’entrata coperta da un velo verde-azzurro. Sopra il lato più alto con una grafia disordinata era tracciata una scritta violacea, come se fosse stata scritta con le dita intinte nell’inchiostro:  
Elis
Con una punta di apprensione scostò la tenda logora ed entrò. Era una sola stanza, dal soffitto basso, arredata da un tavolino e da un grande scaffale pieno zeppo di barattoli di vetro contenenti varie erbe e spezie varie. Era un erboristeria.
“Benvenuta”
Era una voce strana, come un miagolio. Chi aveva pronunciato quelle parole era un grosso e grasso gatto nero acciambellato su un cuscino rosso, posato sull’unico tavolo, tra pergamene, penne e piume.
-Sei un gatto?- chiese Celia quasi spaventata.
Il gatto per tutta risposta drizzò le orecchie senza aprire gli occhi. Allora Celia pensò un cosa strana: proprio mentre sonnecchiava beata era stata svegliata da una scocciatrice… ma questo era ciò che pensava il gatto! E anche quando aveva sentito ‘benvenuta’!
- Sai parlare?- chiese sempre più sbigottita.
E di nuovo si diede la risposta da sola. Sono passati tanti anni… ora sono un gatto…non ricordo più il sapiens…
Il gatto si era alzato e ora la guardava con curiosità.
E poi le arrivò finalmente un pensiero netto, non confuso con gli altri suoi pensieri come prima.
“D’accordo basta scherzare con te. Chi sei? Sei la seconda sapiens con cui riesco a comunicare.”
- Mi chiamo Celia- rispose lei incerta se il gatto riuscisse a capire le sue parole.
“ No, no non capisco il sapiens…devi parlarmi come prima. Non so come tu ci riesca ma devi riprovarci”
Celia si concentrò.
“Mi chiamo Celia” pensò con tutte le sue forze.
“ Piacere Elis; come fai a capirmi?”
“Non lo so”
Il gatto si fermò a riflettere, così Celia lo potè osservare meglio. Era davvero molto grosso, tutto nero, con un occhio azzurro e uno verde chiaro. Per l’occhio azzurro passava una profonda cicatrice, tanto profonda che il pelo non era più ricresciuto lasciando una scia rosa che attraversava gran parte del muso.
“ Perché quando ti ho chiesto se sapevi parlare hai detto che non ricordi più la mia lingua?” chiese Celia.
“ Hai mai visto uno spirito?” chiese invece di rispondere.
“ Sì. Era un mio professore.” rispose Celia ricordando la scuola.
“ Bene. Quando un essere umano muore può scegliere se rimanere sotto forma di spirito o reincarnarsi in un animale a propria scelta; ma comunque resterà spirito o animale per l’eternità. Io ho fatto questa scelta e a volte mi chiedo se ho fatto bene” spiegò il gatto impassibile.
“ E per chi non vuole diventare né uno né l’altro?”
“ Beh, chi ha coraggio può decidere di_ Elis deglutì _... può decidere di morire”
E detto questo si zittì di colpo. Celia capì che aveva detto qualcosa di sbagliato e si accovacciò per terra vicino al gatto.
“ Elis scusa, non volevo, mi dispiace tanto…”
“ Non importa, fa niente”
“ Davvero?” chiese incerta se l’avesse perdonata.
Il gatto non rispose ma spalancò gli occhi, fissandola come chi ha capito improvvisamente qualcosa.
“ Uno dei tuoi orecchini! Dammi uno dei tuoi orecchini!” boccheggiò.
Celia si tolse velocemente uno dei due orecchini di metallo battuto e lo mise davanti al gatto.
Questi ci appoggiò sopra la zampa e chiuse gli occhi.
“ La tua gemella! Tu hai una gemella! Voi siete LORO!” fece agitatissimo.
“ Zitto!_ lo zittì Celia preoccupata_ non lo dire!”   
“ Celia nessuno ci può sentire. Non stiamo palando ad alta voce_ disse paziente il gatto_ comunque, mi farebbe molto piacere conoscere tua sorella.”
Celia uscì a razzo dalla bottega di Elis e tornò alla locanda. C’era Malia che leggeva un libro seduta su una poltrona, mentre La e Neli erano intenti a giocare a Saltapicco, un gioco di carte.
- Neli vieni!- sparò senza fiato.
Neli guardò interrogativa Celia, poi mollò le carte che aveva in mano e la seguì.
 Arrivate alla bottega scostarono la tenda e entrarono. Elis zampettava sul pavimento, ma quando le ragazze entrarono saltò di nuovo sul cuscino.
- Un gatto?- chiese Neli divertita accarezzando la testa a Elis.
- Non è un gatto normale. Si è reincarnato in un gatto.- spiegò Celia.
Neli smise di colpo di accarezzare Elis.
“ Perché volevi vederla?” chiese Celia al gatto.
Il gatto non rispose ma saltò giù dal cuscino e tirò con delicatezza il bordo dei pantaloni di Neli, che si abbassò- Ehm…buongiorno?-
- Non ti capisce. Non può parlare con gli umani.- disse Celia.
- E tu come sa queste cose?- chiese Neli.
- Io riesco a capirlo; non so come faccio e non lo sa neanche lui. _ aggiunse subito Celia_  Sento i suoi pensieri.-
Intanto il gatto aveva sfilato il braccialetto d’argento che Neli portava al polso da quando Celia ricordava, e vi aveva appoggiato sopra la zampa.
“ Come pensavo. Tua sorella… come si chiama?”
“Neli”
“ Gran bel nome. Neli ha il dono della Vista. Può in determinate circostanze prevedere il futuro che la riguarda. Solo quello che la riguarda.” Spiegò Elis lasciando Celia a bocca aperta.
“ Posso dirglielo?” chiese.
“ Certo” rispose il gatto acciambellandosi.
- Neli… Elis dice che… tu hai il dono della Vista. Puoi prevedere il futuro che ti riguarda.” disse non senza difficoltà.
Neli si sedette a terra scioccata. Un ricordo le tornò in mente. Il sogno che aveva fatto la notte prima dell’ultimo giorno al Collegio: quello in cui aveva visto Malia… non era un sogno, era una visione. Ora tutto si spiegava.
- Perché non mi hai detto del sogno?- chiese Celia.
- Non m… già non te lo ho mai detto, Celia! Come sai del mio sogno?- esclamò Neli.
- Mi… è come se avessi sentito i tuoi pensieri! Le tue sensazioni, quello che hai pensato ora… Elis!- balbettò Celia spaventata. Le erano entrate nel petto le sensazioni della sorella, aveva sentito nella mente i suoi pensieri, la sua confusione, i suoi ricordi, per un attimo aveva sentito quello che sentiva Neli.
“ Calma. Celia, tu hai l’Occhio, il dono gemello_ sorrise per il gioco di parole (ma i gatti sorridono?) _sai leggere nella mente delle persone…o di chi è stato un persona. Per questo mi capisci.-
Celia non ce la fece e si lasciò cadere di fianco a Neli. L’Occhio, la Vista…
Poi la porta si oscurò distraendole dai loro pensieri. Una donna piuttosto grassottella entrò.
“ Salve” disse rivolta alle ragazze. Poi agitò la mano per salutare Elis e gli indicalo scaffale con i barattoli di erbe. Evidentemente era una cliente abituale perché sapeva come comportarsi.
Elis si sedette e agitò la coda assentendo. La donna si avvicinò alla scaffalatura e osservò alcuni barattoli lucidi, contenenti varie erbe. Poi ne indicò alcune e quando il gatto miagolò ne estrasse alcune che mise dei sacchetti di carta presi da una pila pronta sul tavolo di fianco a Elis.
Poi contò alcune monete e le fece cadere davanti al gatto. Elis le squadrò e miagolò di nuovo. La donna sbuffò e ne fece cadere un’altra. Dopo che Elis ebbe emesso un basso miagolio soddisfatto la donna salutò e uscì.
Neli avrebbe voluto rimanere ancora dal gatto ma Celia temeva che si facesse troppo tardi per cui passò ai saluti.
“ Dobbiamo andare Elis. Grazie di tutto.” disse al gatto.
“ Solo un secondo. Mi scriveresti un listino prezzi? E’ sempre difficile dire ai clienti il prezzo.”
Celia sorrise e sotto dettatura mentale del gatto scrisse un listino che affisse alla parete dietro al tavolo.
Poi mentre stavano uscendo  Neli le mormorò qualcosa all’orecchio.
“ Neli chiede se… ti può prendere in braccio.” comunicò al gatto alzandogli occhi al cielo.
Elis sorrise a sua volta e si lasciò accarezzare in braccio a Neli facendo le fusa soddisfatto.

Allontanandosi dal centro di Nalier si scopriva il volto buio della città. La vie ampie del centro erano a poco a poco sostituite da quelle strette e sporche della periferia, mentre i palazzi diventavano sempre più alti e decadenti.
Ora la gente camminava a capo basso, badando solo ai fatti suoi senza dare confidenza a nessuno e tipi loschi, mendicanti, bambini laceri che litigavano per un tozzo di pane si affacciavano qua è là tra le vie sudice.
Neli e Celia camminavano sempre più velocemente desiderose di lasciarsi al più presto alle spalle la periferia e tornare dai loro amici.
Sulla loro destra correva l’alto muro difensivo che circondava la città e qualche metro più avanti un capannello di gente bisbigliante ne fissava la sommità con aria tetra.
Nonostante tutto si feramarono lì anche loro curiose.
Dieci metri più in alto, in cima al muro sedeva un bambino. Doveva avere sei o sette anni e aveva dei folti capelli, neri come il corvo e ricci e due inquietanti occhi rossi. Era magrissimo ma a differenza dei bambini che si aggiravano tra quelle vie era pulito e indossava una maglietta e dei pantaloncini a mezza gamba di lino candido, con preziosi ricami neri sui bordi. Teneva in mano una chitarra troppo grande per lui e suonava una melodia triste, le piccole dita che si muovevano veloci sulle corde e piedini nudi che dondolavano al tempo.
Ridacchiava, scoprendo gli innaturali denti aguzzi, mentre il suo sguardo vagava per la folla intimorita dalla sua figurina esile. Quando poi vide Celia e Neli scoppiò in una vera e propria risata aspra e rasposa, dondolandosi pericolosamente avanti e indietro. Rideva come poteva ridere un serpente prima di mordere un topolino.
- Signore e signori_ esordì con la voce roca e acuta al tempo stesso_ la mia canzone di oggi-
La folla si zittì mentre intonava:

“ Mentre il tramonto ucciderà il sole
Lo ucciderà lei parlandogli d’amore
Lo aveva avvelenato
Mostrandogli una vita non sua
Sognata ma non sua
Passata, non più sua

E il vento soffia forte
La neve cade lieve
E nulla resterà

Non maledirtelo perché tanto non servirà
Un posto all’inferno lui lo ha già
Ma forse una lacrima, forse una sola
Sulla sua tomba si spenderà
Forse un ricordo forse uno solo
Sul suo ricordo si spenderà

E il vento soffia forte
La neve cade lieve
E nulla resterà

Non maleditelo
Perché non servirà
Un posto all’inferno
Lo ha già
Ma forse una lacrima
Forse una sola
Sulla sua morte si spenderà
Forse un sorriso
Un bacio rubato
Sul suo ricordo tornerà

E il vento soffia forte
La neve cade lieve
E nulla resterà

Lo aveva imparato che la felicità
È corona di ortica e di lillà
Ma sappiate che sempre ci sarà
 Chi tra le sue braccia il suo pianto salverà

 Udite la mia voce?
Ormai canta nel vento
Ma dentro il vostro cuore
Resterà lo sgomento!

Ma il vento soffia forte
la neve cade lieve
e nulla resterà”

Finì l’ultimo accordo e poi disse:- Ricordatelo signori perché tutto questo si avvererà!-
E detto questo scoppiò a ridere e si lasciò cadere all’indietro, oltre il muro di cinta, scomparendo alla loro vista.
Celia trattenne a stento un urlo.
- Ah, non ti spaventare…il figlio del Demone non può ferirsi. È comparso il pomeriggio dell’ultimo dell’anno di quindici anni fa e da allora arriva tutti i pomeriggi a cantare- spiegò un vecchietto traballante a cui mancava la metà dei denti_ quando ha finito si butta all’indietro. Nessuno ha mai visto come arriva o come se ne va, quelli che si sono appostati si sono addormentati o proprio in quel momento hanno starnutito o cose del genere. E se nessuno lo va ad ascoltare tutti quelli che passano davanti al muro per le due ore seguenti rimangono incollati a con i piedi a terra finché non ritorna il pomeriggio dopo._ sputò a terra_  E quel piccoletto è sempre così magro e piccolo, da quel pomeriggio di quindici anni fa, sempre uguale, sapete? Ma d’altro canto cosa ci si può aspettare dal figlio di un Demone? …Ehi voi due siete vive?- chiese improvvisamente sventolando davanti alle gemelle la mano rugosa.
Neli e Celia erano paralizzate da un po’, paralizzate da una frase del vecchietto.
L’ultimo dell’anno di quindici anni fa erano nate loro.

In seguito all’incontro con Elis e il figlio del Demone il quartetto era ripartito, dopo aver spiegato per filo e per segno la visita all’erborista a La e Malia.
- Quindi sei un’indovina?- chiese La a Neli con un ghigno.
- Non sono un’indovina. Ho il dono della vista, è diverso.- ribattè lei filosoficamente.
- Sei un’indovina- disse Malia.
Era quasi metà pomeriggio e le lame di luce si aprivano qua e là nel boschetto di betulle nel quale erano entrati. Il passo era rallentato perché a Nalier avevano fatto provviste per i giorni successivi, e i cavalli erano notevolmente appesantiti.
Era piacevole lasciarsi accarezzare dal sole tiepido, seduti pigramente sul dorso di un cavallo che camminava placido, mentre i suoi zoccoli affondavano nel soffice manto nevoso.
Ma dopo due ore di cavalcata allo stesso ritmo ai ragazzi passò di mante la bellezza del paesaggio, sostituita dal dolore alle gambe e dalla noia del boschetto interminabile.
Così quando apparve il lupo erano tutto fuorché pronti.
Era balzato fuori da un cespuglio ringhiando minacciosamente, per nulla intimorito dai cavalli scalpitanti. Il cavallo di Celia si era imbizzarrito di fronte alla bestia e la ragazza aveva fatto fatica a cadere senza non rompersi qualcosa.
- Celia!- urlò Neli.
La balzò giù da Briom e senza pensarci troppo Evocò una spada. Quando sentì il metallo tra le dita si stupì da solo, non credeva di avere così tanta energia e prontezza di riflessi da Evocare qualcosa,  ma non c’era il tempo di complimentarsi con se stessi.
Il lupo balzò in avanti, puntando La che non si lasciò sorprendere e respinse l’attacco. Il lupo non si ferì ma fu sbalzato in là dall’urto ma anche la spada di La volò lontano.
Il lupo si rialzò scrollandosi e avanzò verso il ragazzo disarmato, i bei occhi arancioni dell’animale spalancati. Nello stesso istante in cui La si rialzava e il lupo balzava contro di lui, Neli urlò ‘No!’ ma non fece mai in tempo a fare qualcosa.  
Poi un lampo saltò fuori da un cespuglio lanciandosi contro il lupo che aveva attaccato La, togliendoglielo di dosso.
Il lampo si rivelò essere un ragazzo che atterrato sul lupo gli puntò contro la gola la punta del bastone che teneva in mano. Sembrava che il bastone terminasse direttamente con la lama di ferro, che era in realtà abilmente incastonata.
Il lupo uggiolò e una volta liberato dal corpo del ragazzo che lo premeva contro terra se la diede a gambe tra gli alberi.
Il ragazzo si voltò e aiutò Neli a rialzare La che sanguinava abbondantemente sangue dal braccio destro, dove l’animale era riuscito a morderlo.
Celia, che si era rialzata con l’aiuto di Malia, e Neli incrociarono il suo sguardo per un istante. Forse fu solo un gioco di luce, ma negli occhi verde scuro del nuovo ragazzo balenò un’ombra che dipinse la sua espressione di terrore e sorpresa, un lampo fugace subito scomparso, che aveva oscurato per un secondo il suo sorriso, come di chi vive per un istante un incubo.
Non era un gioco di luce, si disse Celia, quella era paura vera.  
 
- Il mio nome è Niel - disse il ragazzo sorridendo a Malia.
Era alto poco più di La, con i capelli ricci e rossi e degli occhi verde scuro che Celia non riusciva a smettere di fissare.
- Dove state andando? Se non sbaglio la Valle dei Lupi è piuttosto pericolosa d’inverno, non trovate?-
- Siamo già nella Valle dei Lupi? Non…AH!- esclamò La mentre Neli stringeva di più la fasciatura del suo braccio sogghignando quando lui si lamentava.
- Noi stiamo andando…umpf…-
- Stiamo andando a trovare nostra zia Baily - concluse Celia tappando la bocca a Malia, ormai in stato adornate di fronte a Niel, che continuò.
- Suppongo quindi che abbiate bisogno di una guida. Non mi sembrate molto esperti della zona.- disse con aria esperta.
- Ma tu chi sei?-
- Ve lo ho detto. Mi chiamo Niel Miznir, ho 16 anni e sono figlio di Heraen il taglialegna. Non vivo con mio padre durante il giorno, giro per la Valle; e la maggior parte della volte incontro degli svitati come voi- concluse sorridendo. Malia si sciolse definitivamente.
Nelle ore seguenti proseguirono il viaggio in compagnia di Niel e chiacchierando trovarono che lui e La si facevano sempre più chiusi tra di loro e sempre più ciarlieri con le ragazze.
Quando Niel li invitò a passare la notte nelle tende che aveva portato, per poi ripartire la mattina dopo e quando tutti si furono ritirati nelle enormi tende bordeaux Neli ebbe la netta impressione che se qualcuno non fosse intervenuto, prima della fine del viaggio Malia e Niel si sarebbero anche potuti sposare se fosse dipeso dal parere di lei.

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