White Shadows di Slits (/viewuser.php?uid=67046)
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Run away from nothing ***
Capitolo 2: *** The way you act ***
Capitolo 3: *** Step on memories ***
Capitolo 1 *** Run away from nothing ***
Una ZoSan.
Dio, ormai credo di aver dimenticato perfino come se ne scriva una
anche solo decentemente. Ma questo era un tentativo che dovevo fare, lo
dovevo a me stessa.
Detta così sembra ancor peggio della promessa fatta da
quell’idiota a Kuina, quindi vediamo di metter, almeno in
parte, le cose in chiaro.
Questa storia, nata inizialmente come un’unica One Shot,
è stata divisa successivamente in più paragrafi.
Avendo oltrepassato le quindici pagine postarla intera mi sarebbe parsa
come una violenza bella che buona a voi poveri lettori, ragion per cui
ho deciso di suddividerla in più parti.
Un viaggio nel passato del biondo. Non mi son voluta riproporre nulla
di più.
Attraverso dialoghi, attraverso silenzi, attraverso quel rapporto di
odio ed amore che sempre ha caratterizzato i modi di fare fra cuoco e
spadaccino.
---
Run away from nothing.
- Ma non ti fa paura? -
- Cosa? –
- Il non avere più un nome…-
- No. –
- Ma… ma non è un male? –
- No. –
- E perché? –
- Posso essere chi voglio. Quando e come voglio. –
- Oh! –
- Non è un male.
…
Non deve più esserlo. -
Il baule era di legno marcio, graffiato e rovinato in più
punti.
Non era un fatto insolito, negli ultimi tempi, che il cecchino si
scoprisse a lanciargli di tanto in tanto una languida occhiata, per poi
tornare subito dopo sul ponte, con fare disinteressato. La ciurma, o
gran parte di quelli che se n’erano accorti, era arrivata
oramai a farvi un insolito callo.
E le reazioni non erano state epocali, a differenza di quanto Usopp
continuasse a sostenere. Nessuno si era inginocchiato ai suoi piedi
lodandolo e nessun altro aveva urlato sino allo stremo di esser un suo
seguace.
Semplicemente erano rimasti impassibili, divertiti forse
dall’insolita crociata che il ragazzo aveva deciso di
intraprendere.
- Robe da pazzi! Ma non vede come mi è diventata chiara la
lingua? Oh, ma ne sono sicuro! Un altro po’ e
finirà con lo staccarsi esattamente come successe a quel
mostro che sconfissi anni fa! -
- Che mostro, Usopp? –
- Ma come che mostro e mostro, Chopper! Possibile che ancora non ti
abbia raccontato di quel re dei mari che annientai quando avevo sei
anni? – ed ancora una volta, in barba all’imminente
assideramento, la bocca del moro si aprì a dismisura,
abbandonandosi all’ennesimo racconto delle sue gesta.
Da dietro la penisola cucina il cuoco non potè fare a meno
di scuotere la testa, in un vago gesto di disappunto.
Era rimasto a sentire le sue ciarlanate sin dall’alba quando,
con un livido tumefatto sulla nuca ed una coperta di cotone indosso, lo
aveva visto spalancare teatralmente la porta della cambusa e lasciarsi
cadere sulla sedia.
E nonostante avesse preferito di gran lunga non fare domande circa
l’accaduto, si era ritrovato inconsapevolmente a divenire
l’ascoltatore preferito delle avventure del prode capitan
Usopp. Un’altra volta.
- Ancora non si è dato pace? – la lama del
coltello scivolò sul tagliere pigramente, cadendo con un
suono grave. Sanji sollevò il coperchio della pentola,
grande, di proporzioni insolitamente maestose per appartenere ad un
gruppo di semplici sei persone, e lasciò cadere il tritato
nell’acqua in ebollizione. Poi volse lo sguardo al compagno.
- Evidentemente no. – questi di rimando si limitò
ad annuire in silenzio, portandosi languidamente un braccio dietro la
nuca.
- Capisco… - e la conversazione parve troncarsi
lì.
Rimase a fissarlo senza parlare, quasi senza prestare attenzione. Lo
spadaccino volle evitare volutamente di menzionare il verbo
“osservare”. Con il biondo, del resto, aveva smesso
da anni oramai di usarlo.
Stupidamente aveva creduto che poche occhiate potessero dar
complicità, render le cose più chiare ai loro
occhi e per qualche assurda ragione illeggibili a quelli di estranei.
Aveva semplicemente creduto, basta.
In cosa ancora non gli era dato saperlo.
E si era ritrovato così tante di quelle volte a sbattere
contro il muro di indifferenza del biondo, che quasi era arrivato a
stupirsi del fatto che tutte le sue ossa fossero rimaste integre e non
in frantumi, sparse un po’ ovunque.
- Da quando bevi prima di pranzo? –
La sua voce era rimasta calma, ponderata, come se alle spalle di quella
domanda vi fosse stata una semplice constatazione.
Eppure Sanji la sentì scivolare in modo quasi mellifluo
nella stanza e cercarlo forte di quell’ostinazione che sin da
sempre aveva caratterizzato i modi di fare del compagno.
Ed il cuoco seppe, nel profondo, che non furono le sue parole a
scuoterlo, come una presenza invisibile. Vi era dell’altro,
in quella camera, che lentamente stesse incominciando ad infastidirlo.
E fu proprio quell’indefinito qualcosa che lo spinse a
sorridere appena. Un ghigno, uno spacco indifferente delle labbra, che
probabilmente avrebbe voluto nascondere molto più.
- Da quando quel che bevo e quando lo faccio ti crea problemi, marimo?
– non ebbe bisogno di voltarsi per intuire
l’espressione disegnata sul viso del verde. Del resto sapeva
che Zoro poteva diventare una delle persone più irascibili
che avesse mai visto in vita sua. Gli sarebbe semplicemente bastato
sfiorare le giuste corde.
Ed allora provò a sfidarlo; si voltò per
incrociare quelle iridi impenetrabili ed affrontarle ancora una volta.
Eluderle ancora una volta.
Farle divenire grigie come la lega indistruttibile delle sue spade e
fargli capire che era disposto a tutto pur di non permettere
più a nessuno di varcare quella sottile soglia di confine
che era la sua esistenza. Le poche volte in cui lo aveva fatto, del
resto, le cose non erano mai andate per il verso giusto.
Ma ciò che voltandosi vide lo lasciò stupito.
Zoro non stava reagendo, non stava facendo niente per impedirgli di
dilaniare ancora una volta quel nome costruito su una leggenda e
diffamarlo. Zoro era semplicemente immobile, con entrambe le braccia
incrociate al petto e gli occhi fissi sul calice stretto fra le lunga
dita del biondo.
- Che hai combinato? – si limitò a chiedergli.
Il viso del cuoco cambiò improvvisamente espressione.
Sentì quella domanda insinuarsi sin sotto la pelle, diretta,
dilaniante, ed aggrapparvisi quasi come un cancro.
Perché in fondo aveva sperato dentro di sé che
avvenisse una specie di miracolo ed il compagno tornasse alla sua
solita vita; che magari, per qualche assurda legge fisica, si limitasse
ad ignorare la bottiglia alle sue spalle e tornare con lo sguardo fisso
al soffitto, perso nel vuoto.
Ed invece aveva lasciato scioccamente che quella morbosa
incorruttibilità lo invadesse a tal punto da farglielo
rivoltare contro. Dannato spadaccino.
- Niente, idiota. Perché me lo chiedi? – il verde
gli si avvicinò guardandolo dritto negli occhi.
- Sei strano. –
- Sono sempre me stesso. Di strano in questa stanza, ti posso
garantire, che c’è solo il tuo brutto muso.
–
Richiuse lentamente lo sportello del frigo, versò
dell’acqua in un bicchiere e ne prese un lungo sorso. Aveva
bisogno allentare quel poco di l’alcool che ancora gli
circolava in corpo.
La vista aveva incominciato ad esser appannata e le mani, nonostante
fossero assicurate dal sottile cotone delle tasche, davano i primi
segni di tremori.
Si maledisse mentalmente per esser stato talmente idiota da commettere
un errore così banale in sua presenza.
- Sei ubriaco. – constatò semplicemente il
compagno, distogliendo disgustato lo sguardo.
- Sono un cuoco. È mio dovere assicurarmi personalmente di
quello che quotidianamente ti fai entrare nel gargarozzo, bevande
comprese. Qualche problema a riguardo, spadaccino? –
- Figurati! Puoi anche strozzarti con quello che bevi per quel che mi
riguarda! – lo conosceva da esattamente due anni e sapeva con
certezza le conseguenze a cui quell’ultima affermazione
avrebbe portato.
Si passò appena la lingua sulle labbra, ad inumidirle,
pregustando il sapore del sangue scorrergli sulla pelle sino ad
insinuarsi nei pensieri. Lottare era forse la cosa che meglio li
accomunasse del resto, li si addiceva bene quanto le spade o il fumo.
Ma le sue speranze, quella fredda mattina, parvero perdersi inutilmente
nel silenzio della stanza. Scosso ancora, seppur impercettibilmente,
dal rumore della porta che il cuoco, uscendo sul ponte, aveva
spalancato.
- Al diavolo, marimo! - e la conversazione parve concludersi
lì.
Ancora una volta.
L'erba dell’agrumeto si incrinò mestamente sotto
il peso delle sue suole, scricchiolando e spezzandosi in piccoli
scoppi. Fuori nevicava.
Nevicava sempre su quelle terre dimenticate persino da dio, non era di
certo una novità.
Il paesaggio era spento, lugubre e con quella poetica vena di
malinconia che forse, in passato, lo avrebbe spinto a sedersi sulla
neve e continuare a fissare l'orizzonte, stranito.
Alzò gli occhi al cielo e rimase ad osservare un punto
indefinito oltre le nuvole, nei brevi sprazzi di luce fra il turbinio
del nevischio.
Cercava ancora di ricordare che sensazione dovesse dare il calore del
sole sulla pelle. Ma la pallida luce che splendeva su di lui non poteva
riscaldarlo, niente di quel luogo avrebbe probabilmente più
potuto farlo.
Si arrese ed abbassò nuovamente la testa continuando a
camminare.
Sentiva l'alcool scorrergli in corpo, sentiva la pelle sudata, gli
occhi lucidi ed il calore prenderlo completamente. Eppure sentiva anche
freddo, un gelo che partiva dal cuore e si diffondeva rapidamente in
tutto il suo corpo facendo contrasto con il calore procurato
dall'alcool.
Scosse la testa, con fare liberatorio, mentre nella sua mente una
gelida consapevolezza aveva incominciato a farsi strada, annusando
l’aria speranzosa.
E la certezza di esser tornato a casa, dopo così tanti anni,
gli diede un ulteriore brivido, scivolando con voluttuoso piacere in
ogni singola parte di sé. Credeva di aver dimenticato tutto,
invece ricordava anche il più piccolo particolare.
Cercò con la sinistra il peso familiare delle fedeli bionde
in una delle tante tasche del completo.
Sentiva il bisogno, folle ed inaspettato, di rivolgere la propria
attenzione altrove, a qualsiasi cosa che non fosse quella landa bianca
e luminosa. Aveva bisogno di aggrapparsi a qualcosa, qualsiasi cosa che
gli impedisse di sprofondare nelle tenebre più nere.
Quelle stesse che così tanto gli aveva rimproverato, in
passato, e che ora sentiva invece trascinarlo a se. Adesso le
percepiva, le poteva scorgere nitidamente nei contorni sempre
più nitidi e sicuri della costa.
Adesso, per la prima volta dopo un decennio, sentì di
doverle temere.
Prese un lungo respiro e poggiando la fronte contro il legno della
porta in un gesto stanco, dai tratti forse esasperati, si
limitò a sussurrare appena il nome della compagna.
E quando una voce da dentro la camera gli rispose semplicemente di
entrare, si sentì quasi sollevato. Il freddo adesso gli dava
tremendamente fastidio, l'effetto dell'alcool non era più
tanto forte.
Entrò nella cabina e fu avvolto dal silenzio e dal lieve
bagliore di una candela, posta nel punto più alto della
stanza. L'oblò era chiuso, la minuscola tendina tirata.
Sembrava non esserci nessuno.
- Nami-san? Ti ho portato un po’ di buon the, un toccasana
con questo gelo. – poggiò il vassoio sul tavolo
della stanza, con un movimento oramai meccanico delle mani. E si
stupì quasi lui stesso della sicurezza di cui avesse voluto
impregnare quel gesto, della forza con cui lo stesse ripetendo ancora
una volta.
Ma la navigatrice non era di certo una sprovveduta e Sanji era conscio
che ingannarla, anche se per brevi secondi, sarebbe stata una delle
cose più difficili da fare. Era qualcosa che andava
semplicemente contro natura del resto; le sue labbra glielo avrebbero
anche potuto permettere ma il cuore, alimentato da
quell’indomabile spirito cavaliere, si sarebbe limitato a
frenare le sue parole, rimandandole indietro.
- Umph… - alzò lo sguardo verso il fondo della
stanza riuscendo ad intravedere unicamente il baldacchino.
Non era nulla di particolarmente sofisticato, solo un insieme mal
assortito di assi e legname che con qualche coperta la notte fungeva da
letto. Sicuramente non il massimo dell’eleganza per una
ragazza di grandi pretese come la navigatrice ma, con altrettanta
certezza, decisamente più comodo delle brandine logore e
consunte su cui i ragazzi erano costretti ogni sera a far ritorno.
- Tutto bene? – chiese con premura, come qualsiasi altra
volta.
Nami si tirò su fra le coperte, stringendosi con fare
infantile nella lana grossolana delle imbottiture. Poi, lanciando una
semplice occhiata di rimando al cuoco, si limitò a
sussurrare:
- Si gela. – il biondo sorrise appena, rassicurato. Stava
bene.
- Le temperature sono effettivamente scese di parecchio. Ma non ti
preoccupare, mio dolce fiore! Il tuo Sanji penserà a
mantenerti al caldo ed al sicuro ed al… -
- Sanji…? –
- Sì, biscottino? –
- Stai zitto per favore. – ed il suo tono non ammetteva
alcuna replica.
Il cuoco sospirò appena, un movimento sufficiente a far
turbinare impercettibile l’aria attorno a sé, e si
lasciò cadere stancamente su una sedia. Alzò gli
occhi al cielo e rimase a guardare il soffitto, assente.
Nonostante fosse abituato a far fronte a qualsiasi tipo di clima il
freddo di quelli ultimi giorni, non potè negare, era
divenuto particolarmente fastidioso. Gli sembrava quasi di sentirlo
entrare dentro le ossa, nei muscoli e nella carne fino infine riuscire
a sfiorare le viscere.
Si strinse con fastidio nelle spalle quasi come se non fosse
più abituato ad anni ed anni di quel freddo pungente.
- Non ti manca? – quella domanda arrivò
graffiante, sicura.
Sanji chinò appena un po’ di più lo
sguardo, quasi per accertarsi di non aver stupidamente immaginato anche
quel suono. Non rispose, sapeva che non ve ne sarebbe stato bisogno del
resto.
Le parole delle navigatrice, anche le più leggere, non
nascevano mai per puro caso; non si limitavano a sfiorare e basta. Ma
entravano, prepotenti, nella fonte di interesse della ragazza,
sgretolandola pezzo dopo pezzo, frammento dopo frammento. E se alla
fine di quelle costruzioni maestose rimaneva ancora qualcosa di cui
poter far vanto allora se ne appropriavano, con ingordigia.
Potevano esser vuote, monotone, austere. Ma Sanji sapeva che mai, per
alcuna ragione al mondo, sarebbero potute esser prive di motivazione.
- Cosa? – si limitò quindi a chiedere, senza
più alcun infingimento.
- La tua isola. – per un attimo nel suo sguardo comparve il
riflesso dello stupore.
- Dovrebbe? – non era stato un tono cordiale il suo, non si
era limitato ad essere una semplice constatazione.
E fu solo un’amena impressione del biondo il peso di quello
sguardo che parve trafiggerlo, come una lama incerta, quasi non sapendo
dove esattamente colpire.
- Non credo, visto che ancora non mi hai proposto di deviare le rotta
per approdarvi. Sempre a patto che la Merry necessiti di deviare la
rotta per farlo. - ma erano occhi sicuri quelli di Nami. Occhi che
conoscevano i punti esatti da sfiorare per far tremare le gambe del
biondo ed obbligarlo a cedere e parlare.
Occhi che, per la prima volta, il giovane cuoco di bordo parve fare il
possibile per evitare.
- La cambusa è ben fornita. Non è necessario che
scenda anche tu questa volta. –
- Ma crostatina! Non dirmi che sei preoccupata per la mia salute! Sai
che uomo forte sia il tuo Sanji-kun, n… -
- Ho semplicemente detto che se non vuoi scendere questa volta non sei
obbligato. – mai, per alcuna ragione al mondo, sarebbero
potute esser prive di motivazione.
Rimasero in silenzio a guardarsi semplicemente in volto, a scrutarsi
alla ricerca di qualsiasi appiglio a cui aggrapparsi per poter
sopraffare l’altro.
E la consapevolezza, l'assoluta certezza, di aver lasciato ancora una
volta la propria cavalleria sopraffarlo, sino a costringerlo con le
spalle al muro, fu quell'indefinibile qualcosa che questa volta spinse
i passi del biondo fuori, nuovamente verso l'uscita.
- Fra dieci minuti è pronto. Dirò agli altri di
aspettarti, Nami-san. – La prima, grande, crepa aveva appena
visto la luce nella sua maschera perfetta.
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Capitolo 2 *** The way you act ***
Note iniziali: perché altrimenti, con la mente contorta ed
incomprensibile che mi ritrovo, rischiereste di non capire una cippa
ù_ù
Questo ed il prossimo capitolo saranno improntati sul susseguirsi di
flashback. Saranno tutti dialoghi, nessuna descrizione e nessun
approfondimento; unicamente discorsi improntati sui più
svariati argomenti.
A riportare il passato alla mente del biondo potranno essere le cose
più impensabili, da una frase urlata dalla navigatrice ad un
semplice palazzo in decadenza.
Ultima nota per quanto riguarda il Sanji bambino.
Confesso che mi son voluta divertire a renderlo vagamente petulante, ma
buoni spunti li ho anche presi dai volumi sei e sette del manga
ù_ù
---
The way you act.
Era una brezza acerba, impregnata dell’acqua salmastra delle chiglie e della ruggine delle ancore.
E quando i suoi polmoni si ritrovarono ad inspirarla per la prima
volta, con cautela, senza fretta, riuscì ad assaporare
ancora uno per uno i tanti odori che la componevano.
Non erano profumi particolari, non erano nati per rimanere impressi.
Il più delle volte, anzi, li aveva colti ancora
boccheggiando, mani alle ginocchia per lo sforzo e capo chino per
riprendere fiato.
- Ti va di giocare a palla? -
- E dar modo ai tuoi mastini di prendermi al primo passo falso? Ti
ringrazio, principino. Ma per questa volta preferirei uscirne con tutte
le ossa integre. –
- Oh!
…
Allora che ne dici di nascondino? Tanto, bravo come sei, dubito che
qualcuno possa beccarti… -
Le loro giornate passavano così fuori dall’immensa
tenuta.
Giorni che per gli abitanti del villaggio erano invece monotoni,
tortuosi. Lenti.
I loro inizi erano scanditi dai canti che i pescatori
all’alba, ancor più per tradizione che per reale
bisogno, intonavano a squarciagola, quasi come se sussurrati non
fossero sufficienti a raggiungere i loro dei.
Suo padre gli raccontava spesso di quelle divinità, non
mancando quasi mai a storcere i lunghi baffi in segno di disappunto.
Erano esseri benefici i loro, entità che scese dal cielo si
prodigavano a dispensare cibo agli affamati e rifugio ai bisognosi.
- Tutte emerite stronzate. -
- Vuoi dire che allora non ci credi? Eppure mamma ne è
sicura, sa che esistono… -
- Esistono perché ci nutrono e ci danno un tetto sopra la testa? Solo
per questo? Anche io vengo nutrito da te e sto a casa tua, eppure le
cose per me e la mia famiglia son lievemente diverse. –
- Non è vero! –
- Forse per te, principino. Ma io sono solo l’ultimo acquisto
della casa d’aste, sono un oggetto con tanto di numero e
segno d’appartenenza. –
- Non è vero… -
- Tutte stronzate, Sanji. –
- Tutte stronzate, Nami! – l’aria fredda che
proveniva dal mare risvegliò improvvisamente i suoi sensi
facendogli spalancare gli occhi. Si guardò intorno e
l’insolito teatrino che vide circondarlo disegnò
sul suo viso un sorriso di pacata soddisfazione. Anche questo con il
tempo era rientrato a far parte della loro normalità.
E per quanto assurda, incomprensibile e malata potesse apparire, il
rassicurante pensiero che fosse sua e di nessun altro parve esser la
cosa in grado, quella gelida mattina, a spingerlo ad andare avanti con
quel gioco masochistico.
Solo, seduto sotto quell’immenso intreccio di assi e travi
del molo, aveva continuato ad osservarli da lontano, rigirandosi
nervosamente una bionda fra le mani.
- Stronzate? Stronzate, idiota?! L’ultima volta ti abbiamo
ritrovato addormentato al porto ad aspettarci! -
- Ed infatti l’appuntamento era lì. –
constatò semplicemente il verde, laconico.
- L’appuntamento era in quello di Rogue Town, non in quello
dell’isoletta vicina! – sorrise appena quando la
voce della navigatrice berciò il silenzio innaturale del
molo, facendo sobbalzare qualche pescatore intento a ricucire le reti.
Aveva ingenuamente sperato che pochi attimi come quello potessero esser
sufficienti a dargli la forza di scender da quel pilastro, accendere
quella merdosa sigaretta ed affrontare una volta per tutte
ciò che lo avrebbe atteso oltre i cancelli
d’entrata del paese.
E si era rivisto quasi per un attimo bambino, quando credeva davvero
che cose simili potessero accadere.
- Papà oggi mi ha parlato del paese… chi lo sa
com’è… -
- Selvaggio. Ti ritroveresti con la testa mozzata ancor prima di aver
modo di alzarla, idiota. –
- Ma io ci voglio andare… -
- La puzza di principino che ti porti dietro si sente a chilometri di
distanza; non dureresti tre secondi Sanji. –
- Anche tu però sei facilmente riconoscibile, con quei
tatuaggi spicchi tantissimo. –
- Quei tatuaggi sono la mia salvezza. La gente li vede e trema,
perché sa che non ho niente da perdere. –
- Non è vero che non hai niente da perdere! Siamo amici no?
Puoi perdere questo. -
- Non esiste l’amicizia fra schiavo e padrone. Esiste il
comandare e l’esser comandato, ed il odio ricevere ordini.
–
- Ed io darli. Visto? Siamo simili! –
- …
Andiamo, principino. –
Crescendo era stato invece costretto a ricredersi. Su tutto.
Inspirò una lunga boccata di quell’aria
amarostica, semplicemente sporca del lerciume del porto e con passi
ignavi, sebbene sempre più veloci, si avvicinò al
gruppo. Non ebbe bisogno di distogliere lo sguardo dalla sigaretta per
riconoscere il peso di quelli sguardi, alcuni senza ombra di dubbio
forniti di maggiore insistenza, seguirlo con estrema cautela.
Si fermò a pochi metri dal primo pilone e gettò
fuori parte della paglia, poca cenere consumata, guardando fisso
davanti a sé. Stupidi sì, ma non ottusi.
E la sensazione che nel cuoco qualcosa avesse smesso di girare per il
verso giusto sin dal momento dello sbarco, oramai non si sarebbe
più potuta definire tale per nessuno dei suoi compagni.
Usopp sospirò.
Per lui era divenuta una certezza.
In sin dei conti un abile attore come il cecchino, un commediante
ancora parecchio in voga nonostante tutto, un bugiardo sa riconoscerlo
a miglia e miglia di distanza. E Sanji in quanto improvvisazione,
dovette ammetterlo, lasciava piuttosto a desiderare.
- Noi andiamo in città e questo… - lo spadaccino
venne scosso senza troppo decoro - …se ne viene con noi una
volta tanto. Sempre a patto che invece della nave non sia direttamente
a Raftel che vogliamo ritrovarcelo. – ed a nulla valsero le,
pur sempre prive di alcun fondamento, proteste di Zoro; le cose stavano
così ed era giusto, uno di quei postulati certi, che
rimanessero invariate. Il pugno della navigatrice parve esser
sufficiente a ricordarglielo.
- Io allora andrò per far rifornimenti. – il
biondo si portò una mano in tasca mentre con
l’altra continuava, in un movimento oramai meccanico, a
scuotere la sigaretta accesa, lasciandola semplicemente consumare.
- Sanji, aspetta! – e non la lasciò andare neanche
quando a passi grandi, disordinati, vide il capitano corrergli
incontro, agitando malamente ciò che ad una prima occhiata
indagatrice gli parve ricordare un lenzuolo.
- Hai dimenticato la lista! – si limitò ad
aggiungere, voce appena affaticata e sguardo come sempre vivace,
incredibilmente vivo. Il cuoco prese il foglio, dando una rapida
occhiata.
Poi si rivolse, appena dubbioso, al compagno.
- Ti rendi conto di aver scritto la parola “carne”
trecentoventiquattro volte, vero? – l’espressione
del ragazzo si fece vagamente incerta. Sottrasse repentino la carta
dalle mani del compagno e la osservò con morboso interesse.
- Solo?! – un secondo pugno della navigatrice, di
indubbiamente maggior potenza, lasciò quella domanda senza
risposta.
Sanji scosse la testa, con fare sconsolato, e riprese ad incamminarsi
con il suo solito passo.
- Cuoco! – i passi del biondo rallentarono sino ad arrestarsi
del tutto. Almeno questo, si ritrovò a pensare, glielo
avrebbe dovuto concedere.
- Sintetico, spadaccino. –
- Attento a non perderti. – la sua voce risuonava
tremendamente seria, nonostante l’idiozia e
l’incoerenza della frase appena formulata. Raccomandazioni
simili, lui?
Il mondo doveva aver smesso di girare per il verso giusto allora.
- Quando parli di cose che neanche sai dove stiano di casa sembri quasi
normale, sai? – lo vide allontanarsi come ogni altra volta.
Solita andatura, solita lentezza calcolata a far innervosire.
Probabilmente unicamente Usopp riteneva che il biondo lasciasse davvero
così tanto a desiderare come attore.
---
E qui invece mi diverto a tartassarvi con i
ringraziamenti. Perché, diciamocelo pure, sono una schifosa
logorroica è_é9
Per Seiko: …
Dimmi che posso risponderti con un silenzio millenario, per favore.
Pwease ç_ç
Io dannazione non so più in quale modo, lingua e detto
ringraziarti.
Perché mi sostieni dove meriterei unicamente calci in un non
meglio determinato posto, sopporti i miei deliri e mi aiuti. Sempre.
|Parte assolo di violini alla Mountain|
Grazie davvero, Cra ç__ç
Per angel92YH: Il punto
è alcuni hanno invece pensato fin troppo al di fuori del
Baratie XDD
Grazie mille per il commento
Per new_francysmile_live: Lieta di
aver reso reali le tue aspettative è_é9
|Si spara|
Grazie per aver commentato.
Per QueenCamelia13: In
realtà io, lo so non è una buona cosa ammetterlo
con tutti i fan che poi mi verranno dietro, ma dovevo dirlo, sono la
figlia della pronipote della cugina di secondo grado da parte di madre
adottiva del fratello gemello disperso del figlio della portinaia di
quella della lavanderia proprio sotto a dove abita Oda. Quindi siamo
praticamente vicini quasi come fratelli ù_ù
Ti ringrazio per tutti i complimenti e per avermi seguita *_*1
|
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Capitolo 3 *** Step on memories ***
Step on memories.
- E'… grande! No, no! E’ immensa!
E’ immensamente grand… -
- Dacci un taglio, idiota. Il fatto che sia così grande va
tutto a tuo svantaggio, fidati. –
- … -
- Che c’è adesso? –
- Grazie per avermi portato con te alla fine. -
- …
Stammi vicino, principino. Non vorrei tornare alla villa senza la
regale scorta questa sera. –
Le cose da allora erano cambiate.
Il tempo aveva trasformato quelle mura gravide di vita in un fitto
intrico di vie e stradine, insolitamente tortuose. Si incrociavano come
una ragnatela raggiungendo ogni angolo dell’isola,
insinuandosi serpentine nelle pieghe dei monti per poi uscire
nuovamente nelle valli, ricongiungendo interi centri.
Non esisteva più la città, le piazze gremite di
mercanti erano adesso vuote, il vociare spento. Come una bolla
l’intera popolazione si era lasciata lentamente risucchiare
dagli eventi fino ad atrofizzarsi all’ombra dello splendore
di un tempo. La cenere della sigaretta ora sporcava un’aria
che altrimenti avrebbe saputo di qualcosa andata irrimediabilmente a
male, il suo respiro gelava un vento già freddo.
Il biondo alzò appena un po’ di più lo
sguardo, verso i tetti sporchi di fuliggine e bruciato, ed
inconsapevolmente si scoprì subito dopo a chinare il capo.
Era frustrante ammettere l’ascendente che
quell’indecoroso spettacolo avesse ancora su di lui. Era
frustrante il semplice credere di stare provando, ancora una volta,
sensazioni che un pirata non avrebbe nemmeno dovuto conoscere.
Un sentimento insensato perché, in fondo, lui quella
città l'aveva disconosciuta anni ed anni prima. Ed alla
frustrazione allora si univa la rabbia.
E gli sembrava quasi di sentirla gorgogliare dentro di sé,
fargli prudere le mani a tal punto da costringerlo a tenerle premute in
tasca per il timore che potessero prendere vita propria e sporcarsi per
la prima volta di sangue.
Di tanto in tanto capitava poi che gli si serrassero fra la stoffa, con
forza, quando, giunto ad una nuova via, si scopriva a riconoscere un
nuovo pezzo di qualcosa che oramai credeva aver dimenticato. Speranze
sciocche perché ad ogni ricordo rovinato se ne sommava uno
ancora più antico, sgualcito come il cotone che le sue dita
ostinatamente continuavano a grattare dall'interno della giacca.
Semplici contorni ad una genesi che prima avrebbe raggiunto e meglio
sarebbe stato per la sua mente.
Troppo pesante adesso, troppo piena per poter anche solo sperare di
riuscire ad andare avanti con quella ridicola farsa.
- Merda… -
- Una libreria! Guarda! Guarda là! La vedi anche tu? La
vedi, vero?! -
- Il fatto che non stia saltando come un idiota non implica il fatto
che non possa vederla. -
- Allora possiamo entrarci? Possiamo, no?! -
- Che ci devi fare? -
- Possiamo sì o no? -
Quell'imprecazione era uscita senza il consenso dei pensieri dalle sue
labbra. Era stato un istinto spontaneo in sin dei conti.
I suoi passi - passi stanchi, passi quasi non calcolati per quanto
assenti, lo avevano portato inevitabilmente alla prima breccia in grado
di mostrare le sue ferite al di sotto di quella maschera. E la mente,
discorde come qualsiasi altra volta, si era limitata semplicemente ad
esprimere la sua.
Il succo della questione si sarebbe potuto racchiudere in questo.
Mosse i primi passi fra colonne portanti e scaffali del pianterreno,
ammassati in un unico angolo della villetta quasi come in attesa che
qualche anima pia si levasse dai detriti ed incominciasse a separarli
nuovamente, mandandone le une ai piani superiori e gli altri, invece,
nell'androne. Un'entrata sporca, buia ed insolitamente infestata dal
lerciume. Eppure anche gravida di memorie, talmente piena da creder
quasi di potere scoppiare.
Il biondo scosse la testa, cercando inutilmente di ritrovare un senso
fra i pensieri. In quel posto, ne era certo, vi era stato un'unica
volta, anni ed anni prima.
Cedere così facilmente, a qualcosa di così
lontano, non era di certo ciò che si sarebbe aspettato quel
giorno.
Strinse con rabbia la sigaretta fra gli incisivi e spingendo ancor
più le mani nelle tasche ricominciò a camminare.
Passi silenziosi, passi felini.
Soliti passi in quel locale che più guardava e
più sentiva storcergli le viscere, quasi come se mosso da
volontà propria.
- Merda. - questa volta le sue parole erano risuonate un pò
più concise, in qualche assurdo modo vagamente sicure.
L'edera davanti a sé se ne sporcò appena le
foglie, facendole oscillare mestamente sotto il peso scostante del suo
respiro.
In una complessa protezione il rampicante avvolgeva l'intero casolare,
pochi ruderi ancora in piedi, penetrando dai vetri rotti delle finestre
sin dentro le camere più esposte.
L'intonaco ancora visibile al di sotto delle piante era invece rosso
acceso, vivo. Come una fiamma ardente si limitava a berciare ampi spazi
di fogliame, facendo capolino fra le pareti scrostate ed i grandi fori
dei primi mattoni.
Non era un colore comune, non era stato ideato per adornare e basta.
- E' fatto per pulsare, un pò come il sangue che ti scorre
nelle vene e ti tiene in vita. Qualcosa di metaforico, insomma…
Capisci, ragazzo? -
- Credo di sì, signora. Però continua a farmi un
pò impressione… -
- E nonostante questo sei entrato nel mio negozio? Devi essere un
ometto coraggioso allora! -
- Umph… -
- Gli schiavi non sono ammessi qui dentro. Aspetta il tuo padroncino
fuori, tu. -
- … -
- Allora, piccolo, dimmi un pò! Che libro posso venderti
oggi? Sai, mi è appena arrivata un’enciclopedia
sui frutti del diavolo. Oppure, se preferisci le avventure, ho anche un
nuovo libro sulle meraviglie dell’All Blue…-
- …
Mi sono appena ricordato di non aver portato il borsellino con me. La
ringrazio, ma sarà per la prossima volta, signora. -
Scostò con il piede alcuni detriti, in un movimento assente,
e rimase ad osservare immobile l’insignificante fazzoletto di
mondo che quel gesto era riuscito a portare allo scoperto.
Un ammasso informe di legno marcio e fogli ingialliti si
limitò a rispondere atono al suo tocco, scivolando sul
pavimento della stanza fino ad arrivare alla minuscola uscita
secondaria, di emergenza probabilmente, nascosta appena dietro il
pesante bancone.
Lo seguì con lo sguardo, socchiudendo gli occhi quando un
tonfo sordo gli fece intuire che l'esile uscio doveva aver resistito
nonostante tutto, come a voler ridicolizzare gli anni e le intemperie
trascorse.
- Un principe senza regno… chi mente ai propri sudditi. -
- Io non dico le bugie! -
- No, dici semplicemente stronzate. Hai ragione, principino. -
- Si può sapere che cavolo ti prende? -
- Perchè non hai comprato quel libro? -
- Perchè non avevo soldi con me! -
- Perchè non hai comprato quel libro, Sanji? -
- …
Perchè non mi è piaciuto come quella
signora ti ha trattato… -
Fu sufficiente una leggera pressione delle dita per farlo spalancare.
L’immenso parco su cui in passato si sarebbe affacciato
adesso era rovinato, intrappolato in una fitta rete di rovi e piante a
fusto lungo, ghiacciate dalle radici sino alla cima a causa del gelo.
In una grottesca immagine si limitavano a riempire ogni singolo spazio
vuoto nella maestosità di quel giardino, fondendosi con
l’edera in un caleidoscopio di colori spenti. Aridi.
Il biondo chinò appena un po’ di più lo
sguardo, verso la pesante lastra di marmo ai suoi piedi e ne
tastò con un movimento di punta la consistenza. Era
denigrante pensare come, a dispetto di tutta la voglia di vivere di
coloro che l’avevano limata, fosse rimasta la sola cosa in
quell’insulsa città a rimanere ancora integra.
Ma fu unicamente nell’istante in cui si mise a sedere,
arpionandosi con le dita alla pietra pur di non scivolare, che si rese
conto di quanto i suoi sensi l’avessero voluto far sbagliare.
Non un centimetro, non un singolo frammento di roccia viva era rimasto
illeso alla furia di quelli ultimi undici anni.
Le crepe, seppur talmente sottili da dare l’illusione di
appartenere ad un unico strato di polvere, si erano ramificate con
continua insistenza, assorbendo pacatamente ogni colpo sino a
diradarsi. Lì, immobili in quel misero fazzoletto di mondo
da oltre un ventennio, attendevano unicamente il colpo di grazia per
andare in frantumi.
- Siediti. -
- Ma il marmo qui è freddo! Non possiamo tornare a
camminare? –
- Non te lo ripeterò un’ultima volta: siediti,
dannato idiota. -
Un ventennio… e dire che era sicuro che quella merdosa pietra
ne avesse appena la metà, di quelli anni.
- Privare un sadico del suo spettacolo non è mai una buona
cosa. -
- Non capisco… -
- Credi che quella vecchia si sia limitata a seguire le leggi
sbattendomi fuori di lì? Lo ha fatto perché la
cosa, lo spettacolo, la divertiva. E tu, agendo da perfetto idiota
quale sei, andandotene l’hai privata di un compagno con cui
poter ridere. –
- Ma… -
- Hai agito seguendo la tua idiozia, lo so. Ma così facendo
non hai potuto comprare quel fottuto libro, no? Era lo scopo per cui mi
hai trascinato fino a questo buco e te lo sei lasciato sfuggire.
Quindi adesso ascoltami bene, principino, perché fuori di
qui, in quel mondo di bastardi, non incontrerai più nessuno
pronto a ripetertelo; se perdi di vista i tuoi obiettivi, non importa
per chi, non importa per cosa, finirai schiacciato. Chiaro? –
- Ma, t… -
- Chiaro? –
- Sì. –
Si accese nervosamente una sigaretta quando la consapevolezza di
ricordare persino il benché minimo – ed oltremodo
stupido, particolare di quel giorno incominciò a farsi
strada dentro di sé.
Ogni suo buon proposito si era ritrovato ad andare al diavolo dal
momento in cui era entrato in quel posto.
Aveva voluto fingersi forte, sfidare quelle ombre e dimostrarsi una
volta per tutte di averle lasciate chilometri e chilometri dietro di
sé.
Gli era bastato tuttavia sedersi su un gradino rovinato ed attendere
che la realtà lo investisse nuovamente, dura ed ispida come
le gomene, per capire quanto ogni suo tentativo non fosse stato che una
sciocca presunzione. Aveva voluto mostrarsi forte.
Tutto ciò che era riuscito a raccogliere, invece, era stato
un insieme infinitesimale di cocci.
Pezzi minuscoli, poco più grandi della brina che ad ogni
sibilo di vento nella sua direzione sentiva innalzarsi e colpirlo con
rinnovata insistenza.
Rimase immobile per alcuni istanti, con lo sguardo fisso oltre la
vetrata infranta del locale ed un braccio stupidamente penzoloni lungo
i fianchi, di tanto in tanto scosso da un involontario brivido di
freddo.
Costatare come, nonostante il passare degli anni, quel casolare
riuscisse ancora a solleticare la sua curiosità era stata
forse la cosa che maggiormente fosse riuscita a colpirlo quel gelido
pomeriggio. Credeva di essere cambiato, e tanto anche.
Ma invece, in un profondo che per troppo tempo si era riproposto di
ignorare, era rimasto lo stesso bambino di undici anni prima. Il
moccioso che credeva nei sogni che faceva ed in quelli che gli
dicevano; che, in maniera morbosa ed innegabilmente infantile, pensava
che al mondo non vi fosse sofferenza, che le persone fossero buone e
che chi gli era accanto non lo avrebbe mai potuto ferire.
- Tsk, sognatore. -
- Solo perchè non l'hai visto con i tuoi occhi non vuol dire
che non esista! Mamma dice sempre che… -
- Tua madre non è Dio, sempre a patto che ve ne sia uno. Non
può di certo sapere se un mare simil… -
- Quel mare, il miracoloso, esiste! Io lo so! -
- E cosa te lo dice? -
- Il mio istinto! -
- …
Ti basta semplicemente quello per credere ad un' idiozia simile? -
- Sì! E… e non è un'idiozia! E' la
pura verità!-
- … -
- Che hai da sorridere adesso? -
- Non sei cambiato affatto da quando ti ho conosciuto, Sanji. Sempre
lì, a fantasticare sulle cose… -
- E piantala di prendermi in giro! -
- Sperare in qualcosa di meglio non è sempre un difetto,
principino. -
Speranze. Sciocche ed inutili speranze.
Dov’erano quando ingenuamente aveva sperato che piangere
potesse acquietare il fuoco? Quando le mani, le dita ed i palmi erano
affondati in cumuli e cumuli di cenere riuscendone sporchi di carne e
lapilli?
Quando i nervi del sinistro avevano incominciato a bruciare e
bruciavano, bruciavano da far male, mentre erano solo ombre le sole
cose che riuscisse a scorgere intorno a sé? Le speranze
erano lì, a rider di lui probabilmente e ricordargli quanto
fossero inutili.
Ecco dove.
Spense lentamente quell’ultima paglia.
E rimase immobile ancora per alcuni istanti, beandosi del sapore acre
della cenere sulle labbra, bruciante sulla pelle scoperta delle mani
dove lentamente era scivolata senza che neanche se ne accorgesse. Poi
si alzò, gettando lontano da sé il filtro con un
movimento annoiato delle dita.
- Che diavolo…qui sto soltanto perdendo tempo. –
non disse nient’altro.
Non vi era nient’altro di cui dovesse convincersi, del resto.
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Ringraziamenti speedo
perché, disgraziatamente, ho una dannata fretta addosso.
Colgo quindi l’occasione per ringraziare dalla parte
più nascosta e pulsante del mio cuoricino
d’amianto tutte le persone che hanno recensito, seguito e
preferito la storia.
E sì, anche tu visitatore occasionale che mi segui
semplicemente.
Grazie, grazie davvero a tutti.
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