Opposites attract di WindGoddess (/viewuser.php?uid=47733)
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** We watch the show(s), we watch the stars ***
Capitolo 2: *** Open mind for a different view and nothing else matters ***
Capitolo 3: *** Keep in touch with mama kin ***
Capitolo 4: *** I wanna be your boyfriend ***
Capitolo 1 *** We watch the show(s), we watch the stars ***
.:1:.
We watch the
show(s), we watch the stars
Baby, seems we never ever agree
You like the movies
And I like TV,
I take things serious
And you take ‘em light,
I go to bed early
And you party all night
<
Scordatelo, Cartman >.
Dall’altro capo del
telefono, dopo aver alzato gli
occhi al cielo ed aver sussurrato un “E ti pareva”,
Eric sbuffò sonoramente,
avvertendo la sensazione di un imminente discussione
nell’aria.
< Che vuol dire
“scordatelo”? > rispose
stizzito, < C’è un film al cinema che
voglio vedere e stasera ci andiamo,
punto >
<
No che
non ci andiamo! Non mi va di uscire e voglio vedere un film in tv!
>
< Non fare l’ebreo
spilorcio, è sabato! Uno dei
pochi che possiamo passare da soli, tra l’altro, quindi col
cazzo che ci
rinchiudiamo in camera tua! >.
Eric alzò la voce, anche
se non era quella la sua
intenzione. Sbuffando nuovamente si appoggiò con la spalla
contro il muro,
lottando per un breve secondo contro il filo del telefono che gli si
era
attorcigliato a un braccio. Aveva creduto di poter passare una bella
serata da
solo con Kyle dopo tanto tempo… e invece quel testardo non
aveva affatto le sue
stesse intenzioni. Erano ormai tre mesi che stavano insieme ma tra la
preparazione degli esami finali a scuola – dopo i quali,
finalmente, avrebbero
preso quel benedetto diploma! – e gli amici che non
sembravano affatto avere
intenzione di lasciarli per una volta soli, non avevano avuto che poche
occasioni per stare insieme come si deve. Nonostante questo desse
piuttosto
fastidio ad entrambi, a Kyle non era passato nemmeno per
l’anticamera del
cervello che, almeno una sera ogni tanto, avrebbero potuto congedarsi
educatamente
dagli inviti degli altri usando la scusa – peraltro veritiera
– di voler fare
tutt’altro in altro luogo e, soprattutto, da soli. Eric era
più che convinto
che il ragazzo ebreo avrebbe cominciato a buttare giù
lamentele su lamentele se
lui avesse avuto anche solo l’ardire di proporre una cosa del
genere. Qualsiasi
motivazione più che giusta lui avrebbe tirato fuori,
l’altro avrebbe di sicuro
ribattuto che non se la sentiva di dare buca a Stan, che di sicuro, una
volta
entrati al college, avrebbero avuto poche occasioni per stare tutti
insieme e
che, quindi, era meglio approfittare di quei pochi giorni rimanenti o
gli altri
si sarebbero potuti offendere, eccetera eccetera, stronzate di questo
tipo. Non
sapeva, Kyle, che ormai loro due erano diventati oggetto delle beffe di
Kenny,
il quale domandava con fin troppa insistenza
quand’è che sarebbe diventato zio,
rispondendosi subito dopo con un sonoro “Mai”
seguito da una fragorosa risata.
Persino Butters aveva confessato timidamente che per lui non faceva
differenza
se qualche sera non sarebbero usciti tutti e cinque ma in tre, e quel
punto
Eric si era davvero sentito uno sfigato. Se si era giunti al punto che
persino
Strachecca potesse fargli certi tipi di osservazioni, allora la sua
situazione
doveva davvero essere penosa. Ma, proprio quando stava cominciando a
pensare
che, in fondo, trascinarsi Kyle in giro per South Park legato e
imbavagliato
non era poi un’idea tanto malvagia, ecco che accade il
miracolo: in una sola
sera Butters si becca la febbre, Wendy chiama Stan dicendo di avere la
casa
completamente vuota e Kenny manda tutti elegantemente a cagare per un
appuntamento con una ventitreenne svedese – dove diavolo
fosse andato a
beccarla, poi, era ancora un mistero-. Questa è ciò che,
in gergo, si chiama
“gigantesca ed irripetibile botta di
culo”
ed Eric, di fronte a tanta sfacciata fortuna, non aveva perso un solo
minuto di
tempo, andando subito a controllare i film in proiezione al cinema con
relativi
orari e pregustandosi una serata tranquilla fuori ma, per lo meno,
soli.
Kyle, invece,
aveva pensato l’esatto
opposto. E
quando mai.
< Cartman,
ma siamo solo noi due! Ci annoieremo! >
< Molto carino da parte tua.
Se sono tanto
noioso come mai stai con me? >
< N-non
volevo dire questo! >
< Sul serio? E cosa volevi
dire, allora? >.
Sentì distintamente Kyle
ringhiare, dall’altro capo
del telefono.
< Voglio
solo vedere quel film in tv! Non ci vengo, al cinema, e tu verrai qui
da me!
>.
Eric sapeva che era inutile tentare
di fargli
cambiare idea con i mezzi tradizionali, per cui decise di seguire una
via un
po’ più subdola.
Negli ultimi tempi
aveva drasticamente ridotto il numero di dispetti, offese e prese in
giro varie
nei suoi confronti – per motivi fin troppo ovvi -, ma per
quella volta decise
che avrebbe benissimo potuto trasgredire il suo fioretto personale.
< E va bene, allora vengo da
te. Magari, se sono
fortunato, avrò anche l’occasione per fare due
chiacchiere con tua madre > mormorò,
con voce più bassa e tono dispettoso.
< Che
vorresti dire? >
< Suppongo che ancora non
sappia niente… giusto?
>
< Non
farti venire in mente nessuna cazzata culone, ho capito dove vuoi
andare a
parare! Qu-questo si chiama ricatto! >
< Ricatto? Mi reputi capace
di una cosa simile?
> chiese Eric con tono offeso e spudoratamente sarcastico.
< Sì,
e
anche di molto peggio, indescrivibilmente peggio! Ma sappi che con me
questi
tuoi trucchetti del cazzo non funzionano! Guai a te se ti lasci
scappare una
sola sillaba! >
< Kyle, queste tue accuse mi
feriscono
mortalmente. Che male ci sarebbe nel fare due innocenti chiacchiere con
la tua
mammina? >
< S-smettila
di fare il cretino! Lo sai che… glielo dico prima o poi, eh!
Ho bisogno di un
altro po’ di tempo, te l’ho detto… e poi
non ne avresti il coraggio, no che non
ce lo avresti e…
mi dai fastidio quando
fai così! Te lo ripeto: guai a te se…
>, ma Eric lo interruppe, approfittando
del chiaro tentennamento dell’altro.
< Ma come, non saresti
felice se lei sapesse di
noi? >
< Smettila,
cretino! Mi sto incazzando! >
< Non saresti più
contento se lo sapesse subito?
Non sarebbe tutto più facile? Non ti toglieresti un enorme,
gigantesco macigno
dallo st- >, e questa volta fu lui a venire interrotto. Prima da
un ringhio,
poi da parole urlate con tono sgradevolmente acuto.
< Va
bene,
va bene, VA BENE! Ci vengo al tuo fottuto cinema, cazzo!
>.
Il fatto che, subito dopo, si fosse
sentito
chiudere il telefono in faccia con fin troppa rabbia non
toccò minimamente
Eric. Posò la cornetta poggiandola delicatamente sul
ricevitore con un sorriso soddisfatto
stampato in viso. Nonostante la carta “Lo dico a Sheila
Broflovski” fosse
rischiosa, insidiosa e per nulla piacevole da usare, ancora una volta
aveva
funzionato.
**********
< Dillo >
< Cosa? >
< Lo sai >
< No culone, non lo so
>
< Che il film ti
è piaciuto >.
Kyle, per risposta, gli diede un
pugno sulla
spalla, allontanandosi poi da lui di pochi passi. Eric sorrise,
massaggiandosi
il punto colpito e facendosi spazio tra le persone che, in quel
momento,
stavano uscendo dalla sala per poterlo raggiungere.
< Veramente avevo pensato
più ad un “Sì Cartman,
hai ragione come al solito” >
< Fottiti!
> urlò Kyle, voltandosi e guardandolo furente.
< Mamma mia, quanto sei
scontroso. Perché non lo
ammetti, piuttosto che fare sempre l’ebreo acido? >
< Mi
è
piaciuto, va bene? E adesso che l’ho detto spero tu
sia contento e non mi
scassi più le palle! >.
< Visto che non ci
è voluto niente? Potresti
anche evitare di fare di ogni cosa una polemica, ogni tanto >
< E tu potresti anche
smetterla di prendermi in
giro, una volta per tutte! >
< Dovresti imparare da me,
sai? Cerca di essere
più rilassato, sembri sempre uno che ha mangiato un chilo di
sale a colazione!
>.
Kyle aprì la bocca per
rispondere, ma poi la
richiuse abbassando lo sguardo, mortificato da quelle parole. Non che
volesse dare
ragione ad Eric, però non poté negare di essersi
sentito punto nel vivo. Era
vero, spesso le sue risposte, anche a provocazioni minime, erano fin
troppo
infervorate e sgarbate. Ma cosa poteva farci, se quello era il suo
carattere?
Senza contare, poi, che questo suo atteggiamento risultava
terribilmente
amplificato se era proprio Eric a prenderlo in giro, anche se, a dire
il vero,
non ci sarebbe stato nulla di cui meravigliarsi. Fin dal primo giorno
in cui si
conobbero, il primo anno d’asilo, il loro rapporto era sempre
stato basato su
un assiduo e costante litigio correlato a prese in giro piuttosto
pesanti e dispetti
vari, chiunque avrebbe potuto confermare. Persino ora che stavano
insieme non
potevano fare a meno di accapigliarsi per delle sciocchezze. Forse era
proprio
quello il punto, la questione che più irritava Kyle.
Dannazione, si erano
innamorati l’uno dell’altro, dichiarati e messi
insieme e… non era cambiato
quasi nulla, possibile?! Certo, il sentir uscire dalla propria bocca le
parole
“Mi piaci, cazzo”
dirette ad Eric
Cartman e dalla sua la risposta “Anche
tu, purtroppo”, aveva rappresentato già
di per sé un fatto di importanza
eccezionale e di sicura imprevedibilità, ma era implicito
nei loro caratteri
che tutto dovesse rimanere così dannatamente statico?
Possibile che non ci
fosse verso di rendere il loro rapporto non idilliaco e costellato di
nomignoli,
regalini e cazzate varie, ma solo meno caustico? Certo era che, a
vederli
insieme, ricordavano due cani randagi che si litigano un osso
completamente
spolpato: nessuno dei due saprebbe cosa farsene, eppure entrambi ne
reclamano
la proprietà. Per principio.
Ad Eric,
infatti, avrebbe fatto decisamente piacere passare il sabato sera sul
letto in
camera di Kyle, possibilmente con casa Broflovski deserta e, per
precauzione,
la porta della stanza sbarrata. Quella serata, tuttavia, la vedeva
decisamente
troppo preziosa, in quanto rara,
per
passarla chiusi dentro. Lui non era caratterialmente un tipo a cui
piaceva
passare il sabato sera in casa in tuta e ciabatte a guardare la tv, per
questo voleva
uscire e avere l’occasione di passeggiare con Kyle in maniera
disinvolta e
disinteressata per le strade di South Park senza dover prendere Kenny a
calci
ogni trenta secondi per farlo smettere con gli sfottò e,
soprattutto, senza
Stan che monopolizzava le orecchie del suo ragazzo riempiendole con
continui
lamenti sull’ultimo litigio con Wendy. Come al solito,
puntualmente, le sue
buone intenzioni, già di per loro rare, erano state non
travisate, ma non
carpite affatto. Senza contare, inoltre, che a Kyle il film era
piaciuto per
davvero, quindi che diavolo aveva da lamentarsi?! Avendo
però notato il leggero
rossore di cui si erano colorate le sue guance all’ennesima
battuta sul suo
carattere acido, Eric decise che, per quella sera, i battibecchi
potevano anche
concludersi lì. Stettero quindi entrambi in silenzio per una
manciata di
secondi, il tempo di arrivare alla macchina di Eric. Fu solo quando
entrambi si
furono seduti ed ebbero chiuso le portiere che Kyle si decise a parlare
per
primo.
< Non capisco
perché hai insistito a venirmi a
prendere con la macchina. Bastavano dieci minuti a piedi da casa tua,
per
arrivare al cinema > disse tranquillamente, come se non avessero
mai
discusso. Un’altra delle caratteristiche del loro rapporto,
infatti, era
proprio quella: potevano essere sull’orlo di uccidersi a
vicenda ed essere
perfettamente capaci di parlare, appena pochi minuti dopo, come se
nulla fosse
successo. Quella constatazione, neanche a farlo apposta, un pochino lo
rincuorò.
Il rombo del motore coprì le sue ultime parole, ma Eric lo
sentì ugualmente.
< Voglio andare in un posto
tranquillo >
rispose, immettendosi subito sulla strada e accelerando
improvvisamente, la
meta ben fissata nella testa.
< Dove vorresti andare,
così di corsa? Guarda
che è quasi mezzanotte e… stiamo uscendo dal
paese? > chiese ad un tratto
Kyle stupito, accorgendosi di essere sulla strada che portava allo
stagno di
Spark. Rimase un attimo interdetto, non avendo la più
pallida idea di cosa
andassero a fare lì a quell’ora. Tuttavia, quando
notò che la macchina puntava dritta
verso il bosco, un’idea ben precisa cominciò a
farsela. Questo, nemmeno a
dirlo, lo allarmò un bel po’.
< Oh no, non ci pensare
proprio! > esclamò,
nervoso.
< Che palle, ma sei sempre a
protestare? Ti ho
già detto che voglio andare in un posto tranquillo, non
approfittiamo stasera
che non ci sono gli altri non riusciremo mai a stare- >
< Cartman! Dove vuoi andare
tu ci vanno le
coppiette a scopare! > lo
interruppe, brusco, marcando con decisione le ultime due parole e
venendo
puntualmente ignorato. Sussultò addirittura quando, arrivati
ad una piccola
radura nascosta da alberi e cespugli, vide ben tre macchine a circa un
paio di
metri di distanza l’una dall’altra, con i lunotti e
i parabrezza completamente
appannati e gli altri finestrini coperti alla bell’e meglio
da cappotti, felpe
e magliette varie.
< Ecco, lo sapevo! Altro che
“posto tranquillo”!
>
< Ma veramente non- >
< Non ci voglio stare qui!
Dove diavolo mi hai
portato? Portami a casa che è tardi, non ci penso proprio a
sottostare a
qualche tuo desiderio perverso! > prese a urlare, credendo di
aver intuito
quali fossero le intenzioni di Eric. Certo, doveva ammettere che a lui
avrebbe
fatto più che piacere “sottostare”,
negarlo sarebbe stato stupido. Il problema,
tuttavia, non era cosa avrebbero
fatto, ma proprio dove lo avrebbero
fatto! L’idea di fare certe cose lì,
così vicino ad altre persone, in una
macchina nascosta tra cespugli e sterpaglie, lo imbarazzava e lo
ripugnava. Va
bene che non erano una coppia di schizzinosi che pretendevano il letto
ad ogni
costo per fare qualsiasi cosa, ma se proprio dovevano finire per vivere
la loro
intimità in quel posto a quel punto sarebbe stato meglio se
fossero rimasti a
casa sua, no? Ebbe ovviamente premura di informare Eric sulla natura
dei suoi
pensieri, ma le sue urla erano talmente alte e acute che il poveretto
dovette
faticare non poco per evitare di lasciare il volante per tapparsi le
orecchie.
< Che diavolo urli, porca
puttana! > esclamò
arrabbiato e con le orecchie che gli fischiavano.
Kyle stava per replicare ancora, ma
si zittì quando
notò che, a dispetto delle sue previsioni, non si stavano
affatto fermando in
mezzo a quelle macchine, ma anzi, le superarono velocemente per
imboccare una
stradina stretta e tortuosa.
< Dove… dove
diavolo mi stai portando? >
chiese, sempre allarmato ma ora anche decisamente incuriosito.
Perché, c’era da
dire, il fatto di non riuscire a capire sempre cosa passasse per la
mente di
Eric gli dava fastidio, eppure risvegliava in lui una
curiosità spropositata.
Quant’era fastidioso essere sempre dominato da due sentimenti
contrastanti in
sua presenza! Da canto suo, Eric non rispose, concentrato
com’era nella guida,
e fortunatamente l’altro smise anche di fare domande. Dopo
pochi minuti si
ritrovarono in un’altra piccola radura, ma dalla parte
opposta dello stagno.
Kyle si guardò intorno, con gli occhi sgranati. Circondata
dalle nuvole e da un
alone pallido e sfocato, la luna aveva un aspetto decisamente
inquietante. La
forte luce giallastra colpiva lo stagno, che sembrava bruciare a causa
delle
increspature dell’acqua. Gli alberi che circondavano lo
specchio d’acqua,
ricoperti da foglie solo per metà, issavano i loro rami
rinsecchiti al cielo
come fossero grotteschi spaventapasseri. Tutto attorno a loro, solo
silenzio e
buio. La parola che venne in mente a Kyle per descrivere quel posto fu
solo
una: lugubre.
< Era… era qui
che volevi arrivare? > chiese,
non senza un tono fortemente stupito.
L’altro annuì
per risposta, guadagnandosi
un’occhiata di rimprovero.
< Se volevi fare il
romantico non ci sei riuscito
per niente. Questo posto è terribile, sembra il set di un
film horror! >
esclamò, ma non diede tempo per le repliche. Si
liberò in fretta della cintura
di sicurezza, lanciandosi letteralmente verso Eric per poterlo baciare.
< Mi piace, è una
ficata > sussurrò, a fior
di labbra, con un ghigno furbetto e l’animo più
rilassato.
< Non ne dubitavo >
< Mi hai fatto pensare
chissà cosa, stronzo >
< Me n’ero
accorto, ma avevo pensato di farti
una piccola sorpresa >
< Hai uno strano modo di
sorprendere le persone,
sai?>.
Un altro bacio, più
profondo e più lungo. Solo
silenzio, attorno a loro. Kyle gongolò dentro di
sé. Decisamente Cartman non
avrebbe potuto concludere la serata in modo migliore. Non ci era mai
stato, in
quel posto, per lo meno non a quell’ora. Ringraziò
quindi mentalmente quel
ciccione che però, con la sua mania di non dire mai le cose,
per qualche minuto
lo aveva fatto seriamente preoccupare.
< Però >
mormorò poi, < È passata la
mezzanotte. Non dovresti accompagnarmi a casa? >
< Ancora? Guarda che non
c’è scuola, domani >
puntualizzò Eric.
< Lo so perfettamente
> sbottò acido, <
Solo, io vado a dormire presto, la sera. Non come te, che se non si
fanno le
due del mattino non prendi sonno >.
Il tono si era addolcito, facendo
diventare
quell’esclamazione un affettuoso rimprovero, ma poi Kyle
notò che l’espressione
dell’altro si era fatta… maliziosa?
< Beh, mi sa che stavolta
farai tardi anche tu
>.
Non fece in tempo a replicare che
la sua bocca
venne chiusa da quella di Eric, che repentinamente abbassò
il sedile del
passeggero e lo spostò più indietro. Con una
certa fretta cominciò anche a
sbottonargli il colletto della camicia, per poter poi lasciargli
piccoli baci
sul collo. Kyle dovette ammettere a sé stesso che, lontano
da una squallida
piazzola in mezzo ad altre macchine, quella situazione non gli
dispiaceva
affatto, anzi. Era decisamente raro che potessero permettersi
certe… coccole, che poi
gli avevano fornito
un’ottima e soddisfacente risposta alla domanda:
“Perché diavolo dovrei stare
con Eric Cartman?”.
‘Perché mi
eccita per quanto è stronzo. Ecco
perché’ pensò, soffocando
una risata con uno
sbuffo. Tuttavia, nonostante l’eccitazione stesse cominciando
a sentirla per
davvero, non poté fare a meno di terrorizzarsi al pensiero
che, il giorno dopo,
se non avesse trovato un metodo efficace per nascondere il collo e le
spalle,
sua madre avrebbe di certo preteso di sapere non solo dove si era
procurato
l’innumerevole quantità di morsi e succhiotti che,
lo sentiva, gli sarebbero
presto comparsi addosso, ma soprattutto come.
E mentre si deliziava nel sentire la sua pelle così
piacevolmente torturata, si
chiese se non fosse il caso di domandare a Eric se avesse ancora
l’abitudine di
tenere nascosto il fondotinta nel cassetto della scrivania, come quando
era
alle elementari e si travestiva da donna più spesso di
quanto un bambino di
quell’età dovesse fare. Ma questo, ovviamente,
avrebbe potuto benissimo
chiederlo dopo.
*********************
Note dell'autrice
Primo capitolo di un progettino
che mi stuzzicava da un po' di tempo.
Una raccolta di one-shots, ognuna ispirata da una strofa della canzone "Opposites Attract"
di Paula Abdul,
una canzone che si discosta un po' dai miei gusti ma che mi piace e mi
mette allegria, inoltre il video è molto simpatico.
Il mio obiettivo è quello di scrivere delle storie che
mettano in luce il conflittuale rapporto tra due entità
completamente distinte e separate, ovvero quelle di Eric e Kyle, e al
contempo mostrare che il vecchio detto "Gli opposti si attraggono" -che
è anche il titolo della canzone, appunto- non è
campato in aria, eh! Proprio come dice la canzone, insomma.
Può sembrare un po' cliché come cosa, ma chi
può dire che non sia effettivamente così?
E dunque, se non si fosse ancora capito o qualcuno non avesse letto
l'introduzione, è una raccolta completamente Kyman.
Slash, slash e
ancora slash, ebbene sì, signori!
Il titolo che ho scelto per questa one-shot, tratto da "Radio Ga Ga" dei
mitici Queen,
è da tradurre "Guardiamo gli spettacoli, guardiamo le star",
ovvero i cantanti che fanno i video musicali.
Ma, poiché non è certamente il significato
migliore per questa storia, lo si può tranquillamente vedere
come "Guardiamo gli spettacoli, guardiamo le stelle", che trovo fosse
molto azzeccato. Cacchio, se sono pignola...
Vi invito, come al solito, ad andare su Youtube ad ascoltare le due
canzoni che son molto carine e ne vale la pena :)
Ecco la traduzione della prima strofa di Opposites Attract (che ho
leggermente modificato per dare l'impressione che parlasse Kyle) :
Baby,
sembra proprio che non andiamo mai d'accordo
A
te piacciono i film
E a
me piace la Tv
Io
prendo le cose seriamente
E
tu alla leggera
Io
vado a letto presto
E tu festeggi tutta la notte
Ripeto
quello che ho già scritto nell'introduzione: dedico tutta,
ma proprio tutta, questa raccolta a Setsuka,
dalla prima all'ultima parola, punteggiatura e spaziatura
comprese.
Perché le voglio bene e... perché sì.
Un bacio a chi legge, chi commenterà e chi
leggerà senza commentare.
Un bacio enoooooorme a chi ha commentato, letto e messo tra i preferiti
"The way you smoke"
nel fandom di Bleach e "The
Spirit Carries On", anche alla dolce Dimea, ebbene
sì XD
Che nobile animo, che ho XD
Comunque, scusate la prolissità e... di nuovo, grazie
davvero.
WindGoddess
|
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Capitolo 2 *** Open mind for a different view and nothing else matters ***
Nvu
.:2:.
Open mind for a different view
and nothing else matters
Our
friends are sayin'
We ain't gonna last
’Cause I move slowly
And baby you’re fast
I like it quiet
And you love to shout
But when we get together
It just all works out
Per
il suo primo appuntamento con Kyle, Eric si era messo seriamente
d’impegno a
programmare ogni cosa nei minimi particolari. Non che ci fosse molto da
programmare, a dire il vero.
Si
sarebbero incontrati direttamente di fronte al cinema alle 7:30 p.m. in
punto,
avrebbero visto “Shutter Island”, sarebbero andati
a mangiare al KFC e poi,
prima di tornare a casa, sarebbero passati per la caffetteria dei Tweak
per un caffé
e un dolce.
Semplice,
lineare, senza una sbavatura o una qualche proposta che sarebbe potuta
essere
messa in discussione. Era sicuro, quindi, che sarebbe filato tutto
liscio come
l’olio. Come no.
In
quel preciso momento, ripensando a tutto questo e soprattutto a quanto
si era
sentito stupido nel constatare che sì, era decisamente
emozionato al solo
pensiero di uscire finalmente con Kyle, Eric si guardò un
attimo attorno per
fare il punto della situazione.
Era
di fronte al cinema: bene.
Erano
le sette e mezzo in punto, non un minuto di più: bene.
Erano
lui e Kyle: più che bene.
C’era
Kenny: male.
C’era
anche Stan: malissimo.
<
Non credo d’aver capito bene: cos’è che
ci fate voi qui? >
<
Il cinema non è di tua proprietà, culone. Ognuno
può venirci quando più gli
pare >
Eric
sollevò un sopracciglio nel sentire le parole di Stan,
pronunciate tra l’altro
con un tono talmente scontroso che se in quel momento ci fosse stata la
finale
del premio “Il più acido del
mondo”… diavolo, probabilmente non sarebbe stato
Kyle a vincere!
<
E a te proprio stasera è venuta voglia di vedere un film,
non è così? >
<
Hai qualche problema? >
“Che
perspicacia”, pensò Eric, palesando
però soltanto una smorfia divertita. Certo che ce
l’aveva, un problema. Era
alto un metro e settanta circa, aveva i capelli neri e lisci, una
fidanzata in
corsa per diventare santa, portava il nome di Stanley Marsh. Il
suddetto
problema, d’altro canto, doveva aver intuito la decisa nota
di scherno della
sua reazione, considerando che si era avvicinato a lui di qualche passo
con un
cipiglio piuttosto arrabbiato.
<
Ti ho chiesto se- >
<
Stan, non c’è bisogno di litigare. Ormai ci siamo,
vediamo insieme questo
benedetto film e siamo tutti contenti, no? >
Eric
mise una mano sulla spalla di Kyle, messosi in mezzo ai due litiganti
per
sedare ogni possibile battibecco sul nascere. Al
litigante, per essere precisi, visto che uno dei due aveva avuto
il buon senso di non far presente all’altro che aveva appena
rovinato un
appuntamento, cosa che di certo avrebbe potuto scatenare una rissa.
<
Sì Stan, godiamoci questo bel film tutti assieme >
esclamò soltanto, dirigendosi
immediatamente alla biglietteria per evitare di venire ulteriormente
risposto.
Fece due biglietti, uno per sé e uno per Kyle, e si
congedò dagli altri con la
scusa di voler andare a fare la fila per i pop-corn. Aspettando il suo
turno
davanti al bancone ebbe tutto il tempo di ricamare nella sua testa una
sfilza
di offese dirette a Stan e, al contempo, di pensare ad una piccola
vendetta che
certamente prima o poi si sarebbe preso.
Un
mese.
Tanto aveva aspettato prima che Kyle
riuscisse a farsi entrare in testa che stare con una persona non
equivaleva a
darsi qualche fugace bacetto nascosti nell’ombra e fare finta
di nulla davanti
agli altri. Aveva insistito più volte, avevano discusso,
Kyle aveva protestato
urlando con quella vocetta stridula che si ritrovava perforandogli i
timpani…
ma alla fine si era convinto ad uscire con lui. Eric non ci sperava
quasi più, ma
a quanto pareva aveva cantato vittoria fin troppo presto. Il suo
ragazzo, nella
sua immensa ingenuità -giusto per non dire stupidità-,
aveva infatti avuto la brillante idea di dire tutto al suo Super
Migliore Amico
del cazzo, finendo col farglielo ritrovare tra i piedi in un momento
che
sarebbe dovuto essere di certo non “intimo”,
ma ci si sarebbe potuto avvicinare molto, volendo. La presenza di
Kenny,
invece, proprio non riusciva a spiegarsela, ma di certo non era lui a
rappresentare il problema maggiore. Il ragazzo dietro al bancone lo
richiamò
alla realtà, porgendogli la sua porzione gigante di pop-corn
affogati nel burro
fuso. Eric pagò, fissando l’enorme confezione come
se si aspettasse che essa
gli potesse suggerire il modo più facile e doloroso per
liberarsi di Stan, se
non per sempre, almeno per quella sera. Avendo capito, dopo qualche
secondo,
che dai pop-corn non sarebbe mai arrivata la risposta
sospirò sconfitto, deciso
ormai a raggiungere gli altri -e non l’altro,
cosa piuttosto fastidiosa da sottolineare- e a godersi per lo
meno il film.
Prima di entrare nella sala, però, volle comunque fare
un’ ultima, piccola
preghierina.
“Fa’
che siano giusto quattro posti liberi e
solo un paio vicini“.
Varcò
la soglia con gli occhi chiusi, fiducioso che tutte le persone presenti
quella
sera nel cinema fossero lì per guardare il loro stesso film.
Li aprì di colpo,
pronto ad individuare quei due fantomatici e unici posti vuoti e
occuparli
seduta stante.
Gli
bastò appena un decimo di secondo per rendersi conto che
esisteva al mondo un
unico appellativo adatto alla situazione in cui si trovava invischiato
in quel
momento: sfiga.
La
sala era completamente deserta, praticamente tutta la gente si era
riversata in
quella adiacente a vedere chissà quale romanticheria. Altro
che “due soli posti vicini”,
avevano
l’imbarazzo della scelta su dove sedersi! Per giunta, una
volta deciso dove
sistemarsi, Stan aveva fatto in modo che Kyle finisse esattamente tra
loro due,
evidentemente per tenerlo meglio sott’occhio. Certo, avrebbe
potuto protestare
e chiedere di cambiar posto, ma aveva decisamente troppa stima di
sé stesso per
poterselo permettere. Per quanto potesse essere egoista, narcisista,
insensibile e anche un po’ viziato non era di certo
più un poppante col moccio
al naso, per cui giudicò fin troppo l’essere
finito per lo meno vicino a Kyle,
il quale, dal canto suo, gli concesse un “Mi
dispiace” sussurrato un secondo prima che la sala
si oscurasse e partissero
i trailer. A quel punto Eric decise di deporre le armi e mettersi il
cuore in
pace, rosicandosi il fegato in silenzio e contando di far scontare il
tutto a
Kyle il prima possibile in modi decisamente piacevoli. Per lui, almeno.
Gli era
persino passata la fame, tanto che diede l’enorme confezione
di pop-corn a
Kenny senza averne toccato uno, con sentiti ringraziamenti di
quest’ultimo.
Così, senza null’altro che potesse fare,
cercò per lo meno di concentrarsi sul
film e goderselo, riuscendo a stare tranquillo per una ventina di
minuti circa
e avendo modo di apprezzare notevolmente l’inizio e il suo
dolce profumo di
frutta.
“Profumo
di frutta?”.
Lentamente,
col collo irrigidito e con estrema circospezione, si voltò
pian piano alla sua
destra, venendo quasi investito da quel profumo agrodolce proveniente
dalla
testa rossa di Kyle, mollemente appoggiata sullo schienale a meno di un
centimetro dalla sua spalla.
Troppo
vicino.
Dette un’occhiata veloce a Stan, rincuorandosi
nel vederlo totalmente assorbito dal film e… no, un attimo.
Si era sentito… rincuorato?
No, cazzo! Come gli era
saltato in mente di preoccuparsi di Stan anche per un solo, misero
istante? Chi
credeva di essere per imporre a quel modo la sua volontà su
di lui e su Kyle?
Qualcuno si era forse mai permesso di dirgli che non doveva stare con
Wendy o
di mettergli i bastoni tra le ruote quando usciva con lei? Non gli
sembrava
fosse mai andata così, per cui al fastidio si
sostituì inevitabilmente -e ovviamente-
la rabbia. Stan aveva fatto di tutto per far sì che Kyle lo
lasciasse fin dal
primo giorno in cui era venuto a conoscenza di loro due, che per una strana coincidenza, chiamiamola
così, corrispondeva
proprio al giorno stesso
in cui si erano messi insieme, dopo una settimana circa di sms,
chiamate e
discorsi del tipo “Decidiamoci o
facciamo
vecchi”, “Pensiamoci
ancora qualche
anno, così magari ci passa” o ancora
“Se
lo viene a scoprire mia madre mi scuoia vivo”, e
questa di certo non
l’aveva detta lui. D’accordo, forse non erano
esattamente la coppia perfetta,
per non dire la più insospettabile di tutte, ma questo dava
per caso il diritto
a Stan, come a chiunque altro, di metter dito tra di loro? No, certo
che no. Ovviamente no! Per questo
doveva fargliela
pagare, altro che comportarsi da persone mature! No, qui ci voleva
qualcosa che
facesse per lo meno rosicare Marsh in modo atroce e vistoso. La sua
attenzione,
a quel punto, era ormai completamente distolta dal film e dedita a ben
altro
tipo di pensieri. Doveva cercare di farsi venire una buona idea,
possibilmente
qualcosa di sottile, subdolo e cattivo.
Sembrava
proprio, tuttavia, che il suo lato oscuro e dispettoso quella sera non
volesse
funzionare. Non gli veniva in mente assolutamente nulla di appropriato
o di
anche lontanamente soddisfacente e questo, neppure a dirlo, lo
indispettì non
poco. Cominciò a pensare che ormai stava diventando
decisamente troppo buono,
che si stesse rammollendo, che stesse insomma perdendo il suo smalto cartmanesco. Mentre era ancora
tutto impegnato a escogitare, pensare, architettare,
d’improvviso sentì Kyle
spostarsi ancora di più verso di lui, fino a poggiare
completamente la testa
sulla sua spalla con estrema naturalezza, come se fosse stato lui in
persona a
chiedergli di farlo. E lì ebbe un’idea
incredibilmente stronza.
Non
particolarmente cattiva né subdola, ma di sicuro fortemente
irritante. Forse la
sua astuzia era tornata improvvisamente indietro, forse era appena
diventato la
prova vivente che un aiuto, per qualsiasi cosa ti serva, te lo
dà sempre la
persona più impensabile, forse era quel dannato profumo
fruttato che gli stava
dando alla testa, fatto sta che fece semplicemente la cosa
più spontanea del
mondo: alzò un braccio e lo poggiò sulla spalla
di Kyle. Non c’era nulla di
male, nemmeno se non fosse stato il suo ragazzo, ma come previsto il
suo
movimento non sfuggì a Stan che, Eric notò con la
coda dell’occhio, assunse
un’espressione prima leggermente sorpresa, ma che poi si fece
via via più
scioccata e, soprattutto, arrabbiata.
Macchè,
troppo riduttivo! Furiosa, era
questo
il termine esatto.
In
quel preciso istante la sua attenzione tornò stranamente al
film, che fece
ovviamente solo finta di guardare. Un po’ perché
non stava capendo un accidenti
di quanto stesse accadendo, un po’ perché era
troppo occupato a godere di una
vecchia quanto amata sensazione.
Ah,
il dolce e delizioso Sapore della Vendetta,
quel nettare paradisiaco che si riesce a gustare solo nel momento in
cui una
tua semplicissima e innocente azione riesce a far girare notevolmente
le palle
al tuo nemico e a danneggiarlo visibilmente!
Un
sapore gustoso ma, ahimè, di breve durata. Non erano di
certo circondati da una
folla di persone, sarebbe stato di sicuro inevitabile almeno un urlo da
parte di
Stan, se non un vero e proprio susseguirsi di offese a lui dirette. Le
cose,
invece, andarono meglio di quanto previsto. Come se gli avesse
involontariamente letto nel pensiero, Kyle alzò la testa
dalla sua spalla, gli
lanciò uno strano sorriso d’intesa e
cominciò a baciarlo. Eric non poté dirsi
di certo preparato ad una simile azione da parte sua, anzi, lo credeva
totalmente incapace di prendere iniziative del genere. Non
poté però fare a
meno di scoppiare a ridere dentro di sé quando
sentì Stan emettere un mugolio
di frustrazione. Non poté dargli torto, in effetti. Di certo
avrebbe voluto far
scoppiare un putiferio, peccato solo che non fosse stato lui a
cominciare ma aveva
fatto tutto Kyle. Non che gli dispiacesse, semmai tutto il contrario,
ma
l’aveva visto che lui non aveva fatto niente, no? Era stato
il suo amico a
cominciare, evidentemente era quello ciò che voleva e lui si
stava
semplicemente impegnando a non fare altro che darglielo.
Perciò che Stan si
fottesse, lui di certo avrebbe continuato. Dopo una manciata di
appaganti
minuti decise che, per il momento, poteva anche ritenersi soddisfatto e
fece
per allontanarsi, anche perché aveva una voglia matta di
lanciare un’occhiata
furtiva a Stan e controllare il suo stato di incazzatura, molto elevato
secondo
le più rosee previsioni. Prima che potesse fare un altro
movimento,
sorprendentemente, Kyle lo afferrò per la nuca di scatto,
imponendogli così di
continuare ciò che avevano fatto fino a pochi attimi prima:
limonare
selvaggiamente.
E,
ovviamente, come dire di no?
“Ma
sì, fanculo a Stan e a Di Caprio!” pensò.
Non
era tipo a cui piaceva andare al cinema solo per sbaciucchiarsi con la
propria
ragazza –o, come nel suo caso, col proprio ragazzo-,
anzi. Da amante di film quale lui era non si sarebbe mai permesso di
cadere in
simili sciocche tentazioni in quello che lui considerava quasi un luogo
sacro,
tuttavia pensò che, per una volta, poteva anche permettersi
un simile lusso.
Non solo perché Kyle baciava dannatamente bene e quella era
la prima volta che
mostrava le sue doti per un periodo di tempo superiore al minuto, ma
anche
perché… cazzo, Stan stava stringendo i braccioli
della sua poltrona in modo
tanto convulso che se ne sentiva lo scricchiolio anche a due posti di
distanza!
Va
bene, la serata di certo non era andata come previsto e, anzi, pensava
che
fosse completamente rovinata. Invece non solo si era vendicato per bene
di
colui che avrebbe voluto mandarla completamente a monte, ma
c’era anche il
piccolo, importante particolare che si stava eccitando da morire.
Quelle
labbra, quella lingua, quel sapore, quel… Kyle, porca
puttana!
E
pensare che si era insultato mille e più volte davanti lo
specchio quando aveva
realizzato che si era preso una cotta per lui! Ma chi, al posto suo,
avrebbe
mai potuto dargli torto? Dove diavolo aveva imparato a baciare a quel
modo? E
perché solo in quella situazione aveva tirato fuori questa
sua arte? Proprio
quando cominciò a pensare alla maniera più
discreta possibile di farselo lì,
sulle poltrone, senza che gli altri due se ne accorgessero minimamente,
le luci
si accesero all’improvviso e sul maxi-schermo presero a
scorrere i titoli di
coda. Il film era ormai giunto alla sua conclusione e con lui anche
quella
situazione così dannatamente piacevole. Si staccarono con un
sonoro schiocco di
labbra. Eric guardò Kyle in viso, deciso a sussurrargli un
ringraziamento per
avergli fornito quella splendida occasione, ma tutto ciò che
riuscì a fare fu
soffocare una risata quando notò che il volto del ragazzo
era diventato del colore
dei suoi capelli: rosso come il fuoco.
<
Finalmente ci avete dato un taglio! Credevo vi voleste mangiare a
vicenda!
>.
La
voce di Kenny risuonò alta e cristallina per la prima volta
in quella serata,
spezzando anche il palese imbarazzo in cui era piombato Kyle, seppur
per poco.
<
Che vuoi, avevo un bel po’ da recuperare > rispose
Eric con un sorriso
soddisfatto.
<
Certo, come no > bofonchiò irritato Stan, mettendosi
il giubbotto con una
certa fretta e annunciando il suo imminente ritorno a casa.
<
Ma Stan, dove vai? Possiamo andare a mangiare da qualche parte,
è ancora presto
p- >
<
Non mi va, e poi mi sembra proprio che a te piaccia la cattiva
compagnia >
sbottò, sorpassando Kenny con poca grazia e dirigendosi
verso l’uscita. Kyle
rimase interdetto da quella risposta, ma era pur sempre del suo
migliore amico
che si trattava e non avrebbe mai potuto lasciarlo andare a quel modo.
<
Scusami. Torno subito > disse rivolto a Eric,
dopodichè si affrettò a
raggiungere l’amico anche se non aveva la più
pallida idea di cosa dirgli.
Uscito fuori dalla sala si stupì nel non vederlo e, al
contempo, ci rimase
decisamente male. Possibile che fosse tanto arrabbiato con lui da
scappare a
quel modo? Uscì fuori dal cinema e, fortunatamente, lo
scorse camminare a testa
bassa poco lontano.
<
Stan! > lo chiamò < Ma che diavolo ti prende?
> domandò una volta che
l’ebbe raggiunto, afferrandolo per un braccio.
Stan
si fermò, divincolandosi con forza e guardandolo decisamente
arrabbiato.
<
Non puoi avere la faccia tosta di chiedermi una cosa del genere!
>
<
Non credi di stare esagerando, adesso? >
<
Esagerando? T-tu… l’hai
fatto apposta!
Ti sei fatto abbracciare e sbaciucchiare da Cartman apposta! >
<
Grazie tante, stiamo insieme > esclamò in un
sussurro, temendo che qualche
passante casuale potesse origliare cose che, per il momento, era meglio
tenere
segrete il più possibile alla popolazione di South Park.
Peccato solo che la
sua uscita avesse contribuito a far innervosire Stan maggiormente.
<
V-voi… > balbettò,
cercando di
trovare le parole adatte, < Voi non state insieme come tutti gli
altri!
Siete… cazzo, siete fuori dal mondo!
>
<
Posso capire che sia incredibile ma… so che ti chiedo uno
sforzo enorme, ma
potresti per favore provare a non
comportarti a quel modo scontroso quando siamo tutti insieme? >
<
Perché non capisci? > esclamò
l’altro, addolcendo leggermente il tono e
guardando Kyle con espressione a metà tra il triste e lo
scoraggiato, < Io…
ti giuro, non avrei detto una singola parola se fosse stato…
non lo so,
qualunque altra persona! Persino Garrison mi sarebbe andato bene, ma
Cartman…
> fece una smorfia disgustata al pronunciare il suo nome,
< Che sia lui…
proprio non riesco a sopportarlo, figurarsi accettarlo! >
<
Ma non potresti- >
<
Cazzo, amico, è Cartman! Avreste dovuto insultarvi e
fregarvi i pop-corn a
vicenda, magari… lanciarveli addosso, ma di certo non stare
lì a scambiarvi la
saliva! >
<
Scusa, ma non sarebbe stato peggio? Abbiamo trovato un modo per andare
d’accordo, non è meglio così? >
domandò Kyle, cercando di buttarla un po’
sul banale e sperare che quella discussione finisse al più
presto.
<
Andare d’accordo? Voi non potete andare d’accordo!
Siete… siete un nazista ed un ebreo,
sembrate una grottesca coppia di
comici! Se non fate ridere fate ribrezzo, te ne rendi conto?
L’unico motivo per
cui ancora non ho detto nulla a tua madre è che ho troppa
pietà di te per
poterlo fare, anche se sono convinto che il tuo sia… non lo
so, un fottuto capriccio
che durerà al massimo qualche altro giorno! >
<
Stan, adesso basta! Stai esagerando e mi stai offendendo! >
<
Non sto esagerando, voglio farti ragionare! >
<
Credi non ci abbia già pensato? Ci ho ragionato eccome, e
questa è stata la
decisione che ho preso! Non accettare un bel cazzo se proprio non ci
riesci, io
di certo non vengo a importi niente! >
<
Ma come, non è questo che hai cercato di fare fino a poco
fa? >
<
NO! >
Quel
suo grido, contrapposto al tono piuttosto pacato con cui aveva condotto
la
discussione fino a quel momento, stupì Stan a tal punto da
ammutolirlo e Kyle,
da parte sua, non si curò di certo di moderarlo. Era ora che
dicesse all’amico
ciò che riteneva giusto.
<
Mi parli come se avessi deciso di uccidere qualcuno e non mi sta bene!
Non sto
commettendo un crimine, lo capisci che te la stai prendendo troppo per
una
stronzata? Sì, sto con Cartman. E non uno qualsiasi, ma Eric
Theodore, lo
stronzo che mi prendeva per il culo un minuto sì e
l’altro pure da bambini. Da
bambini, Stan! Abbiamo diciassette anni adesso, te ne rendi conto? No, non mi interrompere! >
esclamò,
notando un’azione di protesta, < Se proprio non hai
alcuna voglia di
accettare la cosa mi sta bene, ma per lo meno prova a rispettare la mia
decisione se davvero ti reputi il mio migliore amico! >
Parlò
quasi senza riprendere fiato e, quand’ebbe finito, non si
diede nemmeno pena di
aspettare la risposta. Semplicemente, girò i tacchi e
ritornò verso il cinema
senza voltarsi. All’ingresso lo aspettavano Eric e Kenny,
alquanto perplessi
nel vederlo così nervoso e anche perché non
avevano potuto far finta di non
sentire l’ultima parte della discussione. Con la voce alta
che si ritrovava
Kyle c’era piuttosto da chiedersi chi fosse il sordo che non
aveva sentito
nulla, in tutta South Park. Eric tentò di dire qualcosa ma
venne zittito,
afferrato per un braccio e trascinato letteralmente via.
<
Scusaci Kenny > sbottò Kyle verso il ragazzo biondo,
che mormorò qualcosa
facendo spallucce. Eric lo salutò con un cenno della mano,
poco prima che
girassero un angolo e Kenny scomparisse dalla loro vista.
<
Kahl, dove st- >
<
Zitto! > lo interruppe,
continuando a trascinarlo incurante degli sguardi curiosi delle persone
che
incrociavano. Con tutti i crucci che aveva per la testa figurarsi se
aveva
spazio per occuparsi delle occhiate di qualche semi-sconosciuto che non
sapeva
farsi i cazzi propri! Piuttosto, la sua mente era tutta incentrata
sulla figura
di Stan trafitto da mille freccette immaginarie, anche se il sentimento
predominante non era la rabbia. Più che altro, si sentiva
decisamente avvilito.
Aveva commesso un’azione che tra amici non bisognerebbe mai
fare: aveva
litigato con lui e l’aveva piantato in asso per il suo
ragazzo, ma la cosa non
gli dispiaceva affatto.
Quando
aveva deciso di mettersi con Eric il suo primo pensiero era stato
proprio il
timore di come avrebbe reagito Stan alla cosa e i fatti avevano
dimostrato che
era una paura più che fondata. Ma lui lo stava trattando
come se fosse pazzo o
chissà quale terribile azione avesse commesso, senza fare il
minimo sforzo per…
no, non “accettare la cosa”. Kyle sapeva benissimo
che una richiesta del genere
avrebbe voluto dire davvero troppo, ma dannazione! Erano amici,
sì o no? E
allora perché non poteva semplicemente dire “Rispetto la tua decisione ma sappi che non la
condivido per niente e
forse non ci riuscirò mai”? Di certo non
lo avrebbe fatto saltare dalla
gioia, ma era già qualcosa, una sorta di patto a cui avrebbe
potuto benissimo
sottostare. E invece…
<
Cosa diavolo c’è di sbagliato in tutto questo?
> sbottò a voce alta.
<
Che mi stai rovinando il giubbotto a furia di tirarlo! Vuoi lasciarmi
sì o no?
>
Ma
Eric non aspettò che Kyle si fermasse. Con uno strattone si
liberò dalla sua
presa, fermandosi poi per constatare il danno che, per fortuna, era
pressoché
nullo.
<
S-scusami > arrivò una flebile risposta.
<
Un cazzo! Che t’è preso? >
<
Stan… >
A
quel nome Eric alzò gli occhi al cielo. Si stava davvero
spazientendo.
<
E basta, Kyle! Non ne vuole sapere di me e te, punto! Fattene una
ragione! >
<
Ma è il mio migliore amico! Non… >
deglutì, abbassando lo sguardo, < Non
posso… far finta di niente. Non mi va che lui non mi parli
più perché… > e
non riuscì a finire la frase. Continuare sarebbe stato come
ammettere che anche
per lui stare con Cartman era un problema, un intralcio al tranquillo
scorrere
della sua vita. E da una parte era effettivamente così, ma
lui vedeva quella
perturbazione della sua tranquillità come una cosa positiva,
quel piccolo
cambiamento che ogni tanto è bene che avvenga
perché, in caso contrario, si rischia
di affogare nella routine e, di conseguenza, nella
noia.
<
Perché stai con me? > fu Eric a concludere la frase.
Ricevette come risposta
un cenno d’assenso con la testa.
<
E questo è davvero un problema così grosso?
>
<
N-no >
<
Riformulo la domanda: tu lo vedi davvero come un problema
così grosso? >
<
No! Certo che no! >
<
E allora cosa, maledizione? Gli passerà, di che ti
preoccupi? >
Già,
di cosa si preoccupava?
<
Che… che non gli passi >
<
Che stronzata >
Kyle
sollevò di scatto la testa, irritato da quella risposta.
Faceva presto a
parlare, Eric, visto che l’unica persona il cui giudizio
potesse vagamente
interessargli, saputo che stavano insieme, aveva emesso un lungo e
sonoro
fischio di approvazione e gli aveva anche regalato qualche preservativo
colorato! Inutile dire che questa persona era Kenny.
<
Tu… sei fortunato, ecco! Non ti fai problemi a preoccuparti
solo di te stesso,
per te i giudizi degli altri contano meno di zero! >
<
Beh, chiamami scemo >
<
Io non sono fatto così! Per me è importante che
Stan rimanga mio amico, gli
voglio bene e non voglio perdere la sua amicizia
perché… >
<
Perché stai con me? >
Di
nuovo. Kyle si morse la lingua quando incontrò lo sguardo
carico di sufficienza
di Cartman.
<
Io… non voglio dire che lo vedo come un problema >
cercò di giustificarsi.
<
Mi sembra proprio il contrario. Pensavo fossi
convinto, visto anche quanto ne abbiamo parlato >
<
Sono convinto, infatti! Non voglio tornare indietro, voglio solo andare
avanti,
mettere un piede davanti all’altro e vedere questo dove mi
porterà! >
<
E se questo comportasse camminare senza Stan? >
Kyle
aprì la bocca per rispondere, ma quando il suo cervello ebbe
metabolizzato alla
perfezione la gravità di quella domanda riuscì
solo a produrre un gemito
strozzato. Come rispondere ad una domanda del genere?
<
Io… io non lo so > disse sinceramente.
<
Proprio la risposta che mi aspettavo >
Eric,
contrariamente a qualunque aspettativa, sorrise. Gli mise una mano
sulla spalla
e cominciò a camminare lentamente, seguito da Kyle come un
cagnolino.
<
Lo sai che mi piaci parecchio, ma non ti negherò che sarei
pronto a lasciarti
se a te venisse in mente anche solo per un attimo di scegliere quel
cretino a
me. Non perché vorrei monopolizzarti…
cioè, in realtà lo vorrei, ma…
lasciami dire
che tu hai proprio un concetto distorto di come si sta con una persona
>
<
C-che intendi dire? > chiese Kyle, timoroso che con quel
discorso Eric
volesse lasciarlo per davvero. E diavolo,
se gli dispiaceva.
<
Che non puoi pensare ad ogni possibile e immaginabile fattore esterno e
fartene
un problema. Se sei deciso a fare una cosa devi farla per davvero, non
puoi
essere buono solo a parole! Vuoi stare con me? Bene, allora devi
smetterla di
farti i problemi per Stan. Lo so che non capisco, che non me ne frega
mai niente
e che sono un insensibile, ma potresti anche fidarti di quello che
dico, una
volta tanto! >
<
Cioè? >
<
Gli passerà, Kahl. Gli do qualche giorno al massimo, poi
finirà di fare
l’idiota e ti chiederà scusa >
Kyle
annuì, ma senza troppa convinzione. Non era in una maniera
così semplice che
Stan Marsh sarebbe tornato sui suoi passi per una cosa che lui
considerava
tanto grave, crescendo era diventato decisamente cocciuto su alcune
cose.
Eppure… fidarsi di Eric? Poteva anche provarci, in fondo non
aveva poi tutti i
torti.
<
Forse… forse hai ragione tu > convenne alla fine,
sentendosi decisamente più
sollevato.
A
quel punto, però, l’unica cosa che rimaneva da
fare era pregare che anche Stan
la pensasse come Eric e che si preoccupasse della loro amicizia come la
cosa
più importante di tutte.
+ + + + + + + + + +
Quando
aprì la porta e vide un Kyle dall’espressione
indecifrabile piantato sulla
soglia, Eric dovette ammettere che, probabilmente, non si sarebbe mai
abituato
alle sue frequenti visite, soprattutto se si presentava con uno
smagliante
sorriso a trentadue denti.
<
Avevi ragione > esclamò, entrando in casa Cartman
senza neppure chiedere il
permesso.
<
Su cosa? >
<
Su Stan. Mi ha chiamato poco fa e… beh, si è
scusato. Insomma, abbiamo fatto
pace >
Eric
fece finta di stupirsi della cosa mentre si richiudeva la porta dietro
le
spalle.
<
Ottimo, ci ha messo solo una settimana. È più
sveglio di quanto credessi >
<
Smettila di sfotterlo > lo rimproverò Kyle, ma la sua
voce non aveva per nulla
un tono aspro, più che altro l’aveva detto per
abitudine. Non era mai capitato
che litigasse a quel modo con Stan, che entrambi si arrabbiassero al
punto da
dirsi delle cattiverie. Il fatto che si fossero riappacificati, quindi,
lo
faceva sentire estremamente contento. Tuttavia, in quei giorni, aveva
riflettuto anche molto sulle parole di Eric, sentendosi estremamente
stupido al
pensiero che, alla domanda “Sceglieresti me o
Stan?” non aveva saputo dare una
risposta concreta. Certo, la domanda non era delle più
semplici e forse la sua
era stata la risposta che, al momento, poteva risultare la
più giusta. Il
motivo per cui si era sentito stupido, in realtà, ce
l’aveva proprio di fronte
agli occhi in quel momento: era Cartman che gli faceva mettere in
discussione
il suo stesso modo di essere, con la sua dannata e innata sicurezza nel
sapere
alla perfezione ciò che voleva e come avrebbe agito in
questa o quella
situazione. Lui era praticamente tutto l’opposto,
prima di dare una qualsiasi risposta aveva bisogno di riflettere,
pensare bene,
rimuginare su qualsiasi altra opzione possibile e disponibile. Non
poteva non
ammettere, quindi, che un po’ lo ammirava per questo.
<
Sei da invidiare, sai? > disse all’improvviso e con la
più assoluta
sincerità.
<
Lo so, sono un ottimo esempio >
<
Ora non esageriamo > lo ammonì <
Piuttosto… non mi chiedi cosa mi ha
detto? Come abbiamo fatto pace? >
<
Ti ho per caso fatto capire che me ne frega qualcosa? Tu, piuttosto!
Sei venuto
solo per dirmi questo? >
<
Più o meno >
<
No, perché avr… Che vuol dire “più o meno”?
>
Kyle
incrociò le braccia dietro la schiena, assumendo
un’espressione fintamente
ingenua.
<
Beh, passavo di qui e… > si avvicinò ad
Eric < … ho notato che la
macchina di tua madre non era in garage… > era a
pochi centimetri dal suo
viso < … e pensavo che fossi solo. Magari potrei
tenerti un po’ di
compagnia, così mi faccio perdonare per venerdì
scorso >
Il
sorriso che Eric sfoggiò nel sentire quelle parole era
talmente largo che
avrebbe potuto far invidia allo Stregatto. Idem dicasi per
l’espressione
furbetta che ne seguì subito dopo.
<
Cavolo, così sì che mi piaci! >
esclamò, attirandolo a sé prendendolo per la
vita.
Con
un gesto fulmineo gli tolse anche il cappello, facendolo cadere a terra
e,
incredibilmente, Kyle non se ne curò.
<
Potresti cominciare con un bacio > gli sussurrò Eric
soffiandogli sulle
labbra < Ma bada che non ne accetto uno di durata e
intensità minore di
quello che mi hai dato venerdì al cinema. Vedi di darti da
fare > concluse.
<
Saprò farmi perdonare > rispose Kyle, un attimo prima
di spingerlo contro il
muro del corridoio e cominciare a baciarlo esattamente come gli era
stato
richiesto. Doveva ammettere a sé stesso che un bel
po’ imbarazzato si sentiva
ma, incredibilmente, anche la voglia di farsi perdonare da Eric era
tanta.
Di
farsi perdonare.
Da
Cartman.
“Mi
sto rincretinendo, perdo colpi” pensò, ma non
poteva negare che
quella situazione aveva già del paradossale di suo, tanto
che tutto il resto
poteva solo essere oro colato. Ebbene, anche cercare il perdono di Eric
Cartman
passava in secondo piano rispetto allo starci insieme. Eric, dal canto
suo, se
solo avesse saputo quello che gli frullava nella testa in quel momento
lo
avrebbe spiaccicato al muro. Non tanto per il tipo di pensieri, ma
più che
altro perché se Kyle pensava quelle cose voleva di certo
dire che non si stava
concentrando abbastanza per il bacio. Questo, senza ombra di dubbio, lo
avrebbe
fatto incazzare da morire. Già quell’ultima
settimana era passata in modo
pessimo a scuola, con loro due praticamente divisi per evitare casini e
altri
litigi, e quel poco che parlavano a telefono era tutto un lamentarsi
per Stan,
pensare a Stan, parlare di Stan. E diavolo, a pensarci bene anche lui
in quel
momento stava pensando a Stan! Decise definitivamente di scacciare via
la sua
immagine, concentrandosi solo nel godersi meglio Kyle e quelle labbra
tanto
dotate che si ritrovava. Un’ultima promessa, però,
non poté non farla a sé
stesso: la prossima volta che Stan si fosse messo in mezzo a loro due
sarebbe
stata la volta buona che l’avrebbe ucciso, togliendolo
definitivamente via
dalle palle sue, di Kyle e di quella sfortunata donna che rispondeva al
nome di
Wendy Testaburger.
_____________________________________________
Note dell’autrice
Questa
storia mi ha fatto penare. L’ho
riscritta tre volte, riletta un milione e ancora non mi soddisfa. Ma
credo
proprio che più di così non possa fare,
è già tanto essere riuscita a
completarla in un limite di tempo inferiore a dieci anni. Il finale
è un po’
alla buona, portato avanti in maniera piuttosto veloce ma, lo ripeto
ancora una
volta, meglio di così non sono riuscita fare.
Il titolo, trovato all’ultimo momento,
è preso da quella stupenda canzone che è
“Nothing
else matters” dei Metallica,
invito
come al solito chi non la conoscesse ad ascoltarla, che ne vale la
pena. La traduzione del titolo è "Apri la mente per un nuovo
punto di vista e nient'altro ha importanza" , mentre
quella della seconda strofa di Opposites Attract usata all'inizio di
questa storia, è:
"I nostri amici dicono
che tra noi non
durerà
Perché io
mi muovo piano
e, baby, tu sei
veloce.
A me piace la
tranquillità
e a te piace gridare
Ma quando stiamo
insieme
tutto funziona alla
grande"
Ringrazio
di cuore chi ha commentato
il capitolo precedente, chi ha letto senza commentare, chi ha messo la
raccolta
tra i preferiti e chi tra i seguiti :)
Spero che questo capitolo non vi
faccia troppo schifo *w*
Alla prossima
WindGoddess
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Capitolo 3 *** Keep in touch with mama kin ***
cap 3
.3.
Keep in touch with mama kin
Who'd have thought we could be
lovers?
I make the bed
And you steal the
covers
I like it neat
And you make a mess
You take it easy
Baby, I get obsessed
“O
Signore, nella tua infinita bontà e misericordia, nello
smisurato amore che provi per ogni creatura della Terra, ascolta la mia
preghiera. Se davvero mi ami, ti prego, ti scongiuro…
uccidimi adesso!”
<
Kyle? Kyle mi senti? KYLE! >.
La sentiva. Oh,
sì, che la sentiva. E quanto avrebbe preferito essere sordo!
<
S-sì… mamma >.
Che a Kyle qualche
volta squillasse il cellulare alle sette del mattino non era cosa
inusuale. C’era sempre Stan che aveva litigato con Wendy e
aveva bisogno del suo Super Migliore Amico, Ike che si lamentava del
fatto che lui fosse via da casa e che gli mancava e Kenny che chiamava
perché… perché era Kenny, doveva pur
rompere le palle ogni tanto e ad orari assurdi. In effetti non
c’era molta gente che lo chiamasse, ma la cosa certa
è che, fino a quel giorno, sua madre non l'aveva mai
telefonato.
Era a Denver da ormai
sei mesi, finalmente al college e non c'era stata volta che Sheila
Broflovsky avesse chiamato suo figlio maggiore. Il motivo di tutto
quell'astio lo conosceva perfettamente. Erano due, per la precisione.
Il primo: la sua
scelta di frequentare medicina a Denver e non legge ad Harvard.
La seconda: il suo
coinquilino, che, per un incredibile sovrapporsi di coincidenze, era
anche il suo ragazzo.
La sua cara mammina
già aveva digerito con estrema difficoltà il
fatto che uno dei suoi figli fosse omosessuale, ma che si fosse messo con una certa persona...
Kyle preferì non pensarci. Già sopportare quasi
un anno di litigi alternati a lunghi silenzi, soprattutto da parte di
suo padre, era stato faticoso, ma il problema maggiore venne fuori
quando, finita la scuola superiore, aveva espresso senza il minimo
timore -o quasi- il suo desiderio di andare a Denver, studiare per
diventare medico e prendere un piccolo appartamento in città
e non nel dormitorio del college... col suo ragazzo. Quel giorno, dopo
aver sgranato gli occhi per la sorpresa alla richiesta del figlio,
Sheila Broflovsky era diventata una perfetta attrice.
Fingeva di essere
preoccupata che suo figlio cominciasse ad affrontare la dura vita
collegiale, apprensiva affinché si trovasse un piccolo ma
decente appartamento per due, indaffarata mentre lo aiutava a preparare
un veloce trasloco.
Fingeva di essere
felice per lui, sorridendogli e rispondendo con un “Ma certo
che sono d'accordo, Kyle” a qualsiasi cosa lui dicesse o a
qualsivoglia idea esponesse. Una falsità talmente evidente
da risultare fastidiosa ed irritante, tanto che Kyle aveva cominciato a
rimpiangere i silenzi e le occhiate astiose della donna. Ma, poi ci
pensò, in fondo andava bene così. Non si
pentì neppure per un secondo della via intrapresa,
considerando che, in tale maniera, aveva potuto facilmente
provvedere a immatricolazione, ricerca dell'appartamento e trasloco
senza nessun pensiero per la testa o fastidiose urla di rimprovero
nelle orecchie.
Tuttavia, una volta
trasferitosi e cominciato ad affrontare il suo primo anno accademico,
si aspettava per lo meno un minimo di venti chiamate al giorno, almeno
di circostanza, e invece... niente.
Solo quando lo
telefonava Ike sentiva di sottofondo qualcosa del tipo
“Salutami Kyle”, nemmeno fosse un amico o un
semplice conoscente.
Ma, dopo aver visto
che i suoi nervi ne risultavano vincitori grazie a quella commedia da
due soldi, Kyle mandò mentalmente a cagare sua madre e suo
padre e si godette i suoi primi mesi da collegiale alla grande. Fino a
quella mattina.
<
Bene, allora hai capito? Saremo lì da voi per mezzogiorno
>.
< Ah, aspetta!
Mamma, perché tu e papà volete venire a pranzo
qui? Insomma, io credevo che voi… che tu... ce l'avessi con
me >.
Un sospiro, dall'altro
capo del telefono.
<
Sì e sono ancora arrabbiata, ma ho avuto modo di parlare
molto con Liane in questi giorni. Sembrava tanto sicura della buona
fede di suo figlio, quindi ho pensato di venire a trovarvi. Se
vedrò che le cose vanno bene, che stai studiando senza
distrarti e che quel ragazzo si comporta... >.
< Mamma, almeno
chiamalo per nome! > si lasciò sfuggire Kyle,
sperando di non aver svegliato il diretto interessato.
Guardò il letto di fronte al suo, ma sembrava proprio che
non avesse combinato alcun danno.
<
Che... Eric Cartman si comporta bene, allora... potrei provare a darvi
una possibilità >.
Chissà
perché, ma le parole della madre non gli furono di alcun
conforto. A lui andava più che bene che non gli parlasse,
cos'era ora quel tentativo di riavvicinamento non richiesto?
< M-ma mamma,
così all'improvviso... non è meglio se venite...
>.
<
Niente “ma”, giovanotto! Oggi io e tuo padre saremo
da voi, quindi vedi di farci trovare tutto in regola o giuro che ti
porterò via a forza da quella città! >.
Eccolo, il vero
spirito della signora Broflovsky.
<
S-sì, mamma >.
<
Bene. A oggi, allora! >.
E
riattaccò.
L’ondata di
panico che investì Kyle in quel momento fu un qualcosa di
indescrivibile. Si sentì percorrere da un brivido di paura
che andò ad aumentare esponenzialmente quando
riuscì, in un momento di lucidità, a fare il
punto concreto della situazione.
Sarebbero venuti i
suoi genitori a pranzo.
Quel giorno.
A casa sua.
Sua e di…
< CARTMAN!
>.
Accese la luce,
balzando in piedi.
Vide il diretto
interessato scostare il cumulo di coperte sotto il quale era seppellito
e scattare seduto, guardandosi intorno spaesato e spaventato.
< Cosa? Che
c’è? Spegni questa cazzo di luce! >.
Ma Kyle non
l’ascoltò. Anzi, si premunì di andare
ad alzare la serranda del balcone e spalancarlo, lasciando che un
tiepido raggio di sole primaverile entrasse ad illuminare la stanza.
< Kyle, ma che
cazzo succede!? >
< Alzati
subito! Dobbiamo preparaci, mettere in ordine, fare la spesa! >.
< Ma che ti
prende? Che è successo? Mi vuoi... > e si era perso,
fissando l’orario sulla sveglia digitale poggiata sul suo
comodino < SONO LE SETTE DEL MATTINO! >.
< Non
è vero, sono le sette e un quarto >
puntualizzò l’altro, mettendosi subito a rifare il
proprio letto.
Eric, innervositosi,
balzò in piedi e gli si avvicinò minaccioso.
< È
DOMENICA, PORCA PUTTANA! Spero tu abbia un ottimo motivo per avermi
svegliato a- >.
< Verranno qui!
> esclamò Kyle, nervoso.
< MA CHI?
>.
< I miei
genitori! Verranno oggi a pranzo qui! > e finalmente si
fermò, fissando Eric… terrorizzato? Speranzoso?
Un po’ tutte e due, a dire il vero. Era pronto a ricevere
come risposta urla di spavento con contorno di strappate di capelli e
panico totale, che lui stesso avrebbe immediatamente contribuito ad
alimentare affinché si fosse creato un magnifico effetto
d’isteria collettiva. Lo vide alzare un sopracciglio,
sgranare leggermente gli occhi e… niente.
Eric se ne
ritornò a letto così come si era alzato, avendo
anche cura di sprimacciare il cuscino e accucciarsi ben bene sotto le
coperte a mo’ di fagotto.
< C-che diavolo
fai? Non hai sentito quello che ho detto? > urlò
l’altro, non appena ebbe recuperato un po’ di
lucidità, ricevendo come risposta un dito medio issato in
bella vista. Irritato non poco da quella reazione totalmente
inaspettata, si avvicinò al letto di Eric con un ringhio e
tirò via le coperte con mala grazia.
< Alzati
subito! Abbiamo un sacco di cose da fare! >.
Sussultò
quando lo vide tirarsi su come un vampiro che esce dalla propria tomba,
come se non avesse compiuto alcuno sforzo.
< Se non la
smetti immediatamente di fare l’isterico, ti infilo con la
testa nel cesso e ti ci lascio finché non vedrò
più una sola bollicina >.
Forse fu il tono di
voce roco e incazzato, forse la consapevolezza di aver esagerato oppure
l’espressione da demone che Eric aveva stampata in viso,
fatto sta che Kyle si decise a prendere un respiro profondo e ad
imporsi calma, giusto il tempo affinché gli facesse
comprendere in quale gigantesco mare di merda stavano nuotando...
Metaforicamente parlando.
< Cartman,
forse non capito bene la situazione. Oggi v- >.
< Quella
stronza di tua madre e quel senza palle di tuo padre verranno a
scroccare il pranzo da noi. Ho sentito, non sono sordo >.
< Bene >
e sorrise soddisfatto, nemmeno stesse parlando con un bambino di cinque
anni < Che ne diresti allora di alzarti, scegliere dei vestiti
decenti, aiutarmi a sistemare casa, fare la spesa e cucinare? >.
< Che ne
diresti se invece dormissi fino alle dieci, indossassi la prima cosa
che prendo nell’armadio, scendessimo a fare venti dollari di
spesa e cucinassimo mezz’ora prima che i tuoi vengano a
rovinarci il pomeriggio? >.
< Dannazione,
allora non hai proprio capito! Dobbiamo essere perfetti e fare bella
figura o mia madre mi riporterà a casa a suon di calci nel
culo! >.
< E
perché? Non siamo mica sotto esame >.
< Siamo ufficialmente sotto
esame, dannato culone! Sai quello che ho passato per essere qui con te!
>.
< No, so quello
che hai passato per studiare medicina qui a Denver >
puntualizzò.
Inutile descrivere con
che espressione offesa Kyle lo guardò, neppure avesse
pronunciato qualche terribile blasfemia contro il suo dio.
< C-come puoi
dire questo? Io credevo… credevo che ti facesse piacere
l’idea di stare in casa con me! >.
< Ma se abbiamo
deciso di venire qui prima che ci mettessimo assieme! >.
< M-ma oggi i
miei vengono e… >.
< E cosa?
Senti… > si tirò i capelli indietro in un
gesto nervoso < Non siamo una coppia di sposini novelli, io non
sono in attesa dei suoceri, con l’ansia di essere perfetto! I
tuoi vogliono venire a pranzo qui? Che vengano pure, troveranno il loro
prezioso primogenito con uno dei suoi amici d’infanzia
più che col suo ragazzo, né più
né meno! >.
Detto ciò
si riappropriò nuovamente delle coperte e si mise in
posizione fetale, aspettando che Kyle dicesse “Hai
ragione” e se ne andasse a dormire anche lui. Non
avvertì, tuttavia, nessun movimento del materasso che gli
facesse capire che l’altro si era alzato, anzi. Sembrava
proprio che si fosse puntellato sulle mani per potersi avvicinare
meglio a lui.
< Eric >
sussurrò, infatti < Quello che dici è
vero, ma… io non voglio rischiare che mi riportino a casa.
Se il pensiero che vada via ti fa dispiacere anche solo un
pochino… non è che potresti comportarti bene solo
per oggi? Per favore
> miagolò alla fine, sorridendo soddisfatto quando
notò che il suo ragazzo aveva scostato le coperte e lo stava
guardando in maniera… furbetta?
< Il sexy shop
che sta a due isolati da qui ha messo in offerta le manette col
peluche. Se faccio tutto quello che dici dovrai permettermi di
comprarle… e
usarle, s’intende >.
Concluse, aspettando
una risposta. Kyle si ritrovò completamente spiazzato da
quella richiesta. Non si aspettava di certo che Eric Cartman gli
facesse un favore senza poter avere nulla in cambio, il solo pensare
che potesse accadere un simile miracolo era assurdo, per non dire un
gran spreco di energie, ma era piuttosto titubante nel dargli una
risposta affermativa. Nonostante ormai stessero insieme da un bel
po’, tendeva ancora a vedere certe richieste come un qualcosa
di troppo… perverso per poter avere il coraggio di
assecondarlo. Il solo pensiero, anzi, lo metteva profondamente a
disagio e in imbarazzo. Tuttavia, quella era una vera e propria
questione d’emergenza, Dio solo sapeva cosa avrebbe potuto
combinare Eric se gli avesse detto di no. Decise di dare un calcio al
proprio orgoglio -e alla propria timidezza- pur di non trovarsi la casa
arredata in stile Auschwitz con Cartman vestito da SS nazista che
sproloquiava in tedesco con tanto di Wagner in sottofondo.
Perché, lo sapeva, ne sarebbe stato capace.
< O-ok >
biascicò.
Ricevuta la risposta
desiderata, Eric si scostò definitivamente le coperte di
dosso e si alzò in piedi, stiracchiandosi per bene alla
tenue luce del mattino. Sollevato da quel comportamento, Kyle
ritornò ad ordinare il suo letto, cominciando ad appuntarsi
mentalmente tutte le cose da fare. Cose che, purtroppo,
andarono ad irrobustire poco dopo il già gonfio bagaglio
culturale di Eric. Infatti, dopo che quest’ultimo ebbe finito
di sistemare la propria scrivania, togliendo una montagna di libri
scritti in almeno tre lingue diverse, vocabolari e fotocopie varie,
alla vista di Kyle che gli porgeva spugna e detergente per le superfici
di ceramica pensò che, forse, fare quel patto non era stata
poi un’idea tanto furba.
< No, non ci
pensare proprio > sbottò.
< Non
protestare! Ѐ l’unica stanza che ti faccio pulire, sii
più collaborativo! >.
< Cominciamo
già a trasgredire i patti? Io cucino, faccio le lavatrici e
stiro, tu pulisci!
>.
< Ѐ per
velocizzare i tempi! È solo una cazzo di stanza, non-
>.
< Non
è una stanza,
è un cesso! >.
< Esatto, e tu
lo pulirai >.
< No! >.
<
Sì! >.
< No! >.
<
Sì! >.
< Basta!
> Eric urlò, decisamente spazientito. Non aveva la
minima intenzione di mettersi a fare una delle poche cose al mondo che
davvero lo faceva sentire un idiota: pulire il bagno.
< La mia
risposta è no! Sinonimi: mai, scordatelo, toglitelo dalla
testa, no, no, no e ancora NO, cazzo! >.
**********
< Dannazione a
quella troia scassa palle! >.
Con un gesto stizzito,
Eric si accasciò a terra e lanciò via la spugna.
Un lungo e sottile arco di schiuma bianca si andò a
delineare per aria, finendo poi col cadere a terra mentre la spugna,
non trovando l’ostacolo di una porta chiusa, andava
elegantemente a spiaccicarsi sul muro del corridoio, restando per un
secondo appesa prima di finire in terra con un secco
“splat”. In quel momento passò Kyle con
in mano uno spolverino, fermandosi appena in tempo per evitare di
venire colpito. Con uno sbuffo di rassegnazione, prese la spugna con
due dita, fissandola per un attimo prima di poter rivolgere ad Eric uno
sguardo seccato. Sguardo che, a dirla tutta, si trasformò
ben presto in una smorfia, una di quelle che potrebbero uscir fuori
quando si cerca di evitare di scoppiare a ridere, perché fu
la prima cosa che avrebbe voluto fare quando vide la sua tenuta da
pulizie: una logora canotta bianca, che portava impressi i segni della
lotta della sera prima tra il suo ragazzo e un tubetto di ketchup che
proprio non voleva saperne di aprirsi -inutile specificare chi avesse
avuto la meglio-, un paio di mutande nere sgualcite e vecchie ciabatte
infradito di almeno due numeri più grandi.
< Oddio, non ti
si può guardare > lo prese in giro, entrando in bagno
con l’intenzione di controllare, per l’ennesima
volta, che non ci fossero panni sporchi in giro. Si vide costretto a
bloccarsi, minacciato da Eric che brandiva a mo’ di spada lo
scopettino del water.
< Chiudi quella
dannata bocca ebrea! Mi hai costretto tu a fare tutto questo! >.
< Mamma mia, e
che sarà mai? >.
Kyle non lo
guardò neppure, andando invece a prendere un calzino che
aveva adocchiato sulla scarpiera.
< Esatto, mamma tua!
È proprio colpa sua se adesso fai il rompicoglioni e mi
costringi a pulire come un servo! >.
< Eh, esagerato
>.
Kyle pose fine alla
discussione con un gesto stizzito della mano. Stava per uscire dal
bagno, per permettere ad Eric di continuare nelle sue faccende, ma poi
si voltò.
< Appena hai
finito mettiti qualcosa di decente addosso, che andiamo a fare la spesa
>.
Eric dovette
trattenersi dallo strozzarlo. Concluse la sua odiata mansione di fretta
e di furia, per poi lavarsi e vestirsi velocemente per evitare
ulteriori rimproveri o, peggio, qualche altro incarico.
Non appena misero il
naso fuori casa, un vento pungente li fece rabbrividire leggermente,
ricordando loro il motivo principale per cui non erano andati
all’università lontano da casa, come avevano fatto
invece Stan e Butters: a Denver c’era, pressappoco, lo stesso
clima freddo di South Park, che entrambi amavano tanto. Si
incamminarono a passo svelto, anche se il supermercato più
vicino era ad appena un centinaio di metri da casa loro.
<
Cos’è che dobbiamo comprare? >
domandò Eric quasi distrattamente, camminando a testa alta e
osservando i gonfi nuvoloni grigi che troneggiavano in cielo, carichi
di pioggia.
< Non so.
Potremmo cucinare del pesce > suggerì Kyle.
<
Già, in effetti potrei
cucinare del pesce >.
Ricevette
un’occhiataccia come sola risposta. Giunsero al piccolo
negozio senza più scambiare una parola, Kyle era troppo
concentrato sulla spesa, mentre Eric… Beh, non pensava a
niente, se non al fatto di avere il sabato pomeriggio completamente
rovinato. Aveva la faccia talmente cupa che persino il proprietario del
negozio non poté non notarlo.
< Hola, Eric! Cómo
estás?(¹) > domandò,
mostrando il suo largo sorriso mezzo sdentato.
< Buenos días,
señor Aguilar. Podría ser mejor,
gracias(²) >.
Il signor Aguilar, un
messicano di sessant’anni immigrato negli U.S.A. una ventina
d’anni prima, aveva una predilezione particolare per i suoi
due giovani clienti. Soprattutto, aveva molto in simpatia Eric, col
quale poteva conversare ogni tanto in spagnolo per poterlo aiutare a
migliorare la sua pronuncia, già tuttavia molto buona.
< Oh! Come mai
dici questo, niño(³)?
>.
Ma la
curiosità dell’uomo non poté essere
soddisfatta. Con uno strattone, Kyle ebbe premura di ricordare ad Eric
che loro avevano una certa fretta -o meglio, solo lui-, così
i due si congedarono per potersi addentrare tra gli scaffali del
supermercato.
< Non
c’era bisogno di essere maleducati > lo
rimproverò Eric.
< Senti chi
parla. Piuttosto, andiamo al banco del pesce e prendiamo…
qualcosa >.
< Che ne dici
di un bel carico di frutti di mare? > .
< Sei pazzo? Lo
sai che non posso mangiare quella roba! >.
< Ma se la
mangi sempre, quando la cucino! >.
< Ci sono i
miei a pranzo oggi e loro non mangiano cibo non kasher(*)! >
< Dovrebbero
essere loro ad adeguarsi a noi! È a casa nostra, che
vengono! >.
< Sono loro che
pagano l’affitto, culone! >.
< Ah sì, pero por eso
me gusta(⁴) >.
Entrambi si girarono
nella direzione da cui era provenuta la voce. Quando ne vide il
proprietario, Kyle pensò che, davvero, quel giorno Dio
voleva punirlo per qualcosa che aveva fatto. Dietro al bancone del
pesce, con le mani poggiate sui fianchi, una canotta bianca che gli
aderiva perfettamente al torace tonico e muscoloso e una bandana blu a
fasciargli la testa, c’era, impettito, il nipote del padrone
del negozio, il giovane Felipe Aguilar. Era un bravo ragazzo,
lavoratore e di gran bell’aspetto, ma Kyle non poteva
assolutamente soffrirlo e il motivo era semplice: era
stra-maledettamente gay e, soprattutto, aveva una cotta per Cartman che
non si premurava certo di nascondere.
< Felipe? Ma
non eri tornato in Messico per stare un po’ con tua madre?
> gli domandò Eric, sorridendogli e stringendogli la
mano.
< Ah, ma come
puoi pensare che possa stare lontano da te per un mese, mi dulce Enrique(⁵)?
>.
A Kyle venne quasi da
vomitare. Non solo per l’eccessivo contenuto di zucchero
contenuto in quella frase -e, a lui che era diabetico, faceva davvero
male- ma anche per quell’odioso nominativo col quale il
giovane messicano aveva cominciato a chiamare il suo ragazzo da un
po’ di tempo.
”Ma che Enrique e Enrique! Per
lui “culone” va più che bene”
pensò, irritato.
< Abbiamo
bisogno di roba buona, Felipe. Cos’è arrivato
stamattina? > rispose Eric, fingendo di non aver sentito ma, al
contempo, gongolando per l’espressione visibilmente
arrabbiata di Kyle.
< Trote, carpe,
gamberi, salmone… Tutto quello che vedi qui sul bancone
è fresco di giornata, Enrique. Ma se vuoi…
> e sorrise, malizioso < …puoi venire dietro
in magazzino con migo(⁶).
Potresti trovare qualcosa di mucho
más interessante que-(⁷) >.
< SALMONE!
>.
Eric e Felipe
sobbalzarono allo strillo di Kyle.
< Salmone, per
favore. Vorremmo mangiare quello, sì! >.
< Veramente io
volevo andare a vedere cos- >.
< Ho
detto… > e gli diede un pizzicotto sul braccio
< …che voglio del salmone >.
Eric sorrise, contento
che Kyle mostrasse la gelosia in maniera tanto evidente.
< Salmone,
d'accordo. Felipe, daccene quattro belli grossi >.
L'interpellato
aprì la bocca per fare una battuta sconcia su quanto aveva
appena sentito, ma lo sguardo incazzato del suo rivale lo fece
desistere da ogni proposito. Accartocciò velocemente i
quattro pesci in carta di giornale, ponendoli poi ad Eric e salutandolo
con enfasi, stringendo le sue mani nelle proprie e cominciando a
blaterare in spagnolo cose che Kyle, nonostante non capisse, poteva
benissimo immaginare, con un piccolo sforzo di fantasia. Quando
pensò che la sceneggiata fosse durata abbastanza,
afferrò Eric per un braccio e lo trascinò verso
la cassa. Pagò senza rivolgergli la parola, sotto lo sguardo
divertito del signor Aguilar che aveva sentivo tutto, per poi uscire
dal negozio senza neppure salutare. Eric lo raggiunse, subito dopo aver
porto le dovute scuse.
< Quanto siamo
acidi > esclamò, dopo qualche secondo di silenzio.
< Vaffanculo!
Va' a scoparti quel porco messicano, visto che ti piace così
tanto! >.
L'urlo del ragazzo
ebreo fu tanto alto da aver permesso a molti passanti di capire ogni
singola parola, scatenando reazioni tra le più disparate.
Quella che fece sorridere Eric, tuttavia, fu quella di una donna, che
assunse una smorfia stupita talmente esagerata che mancava poco che il
-palese- botox le schizzasse fuori dalle pieghe delle rughe. Il
sorriso, però, non durò che un breve istante. Il
pensiero che Kyle fosse così nervoso perché
sarebbero arrivati i suoi genitori lo faceva incazzare non poco.
Seriamente, ma che diavolo voleva Sheila Broflovsky? Aveva rotto le
palle a suo figlio per anni, spesso, com'era successo prima che
partissero per il college, gli aveva reso la vita un vero e proprio
inferno. Come cazzo si era permessa di auto-invitarsi a pranzo, quindi?
Senza preavviso, poi! Li aveva buttati giù dal letto, li
aveva costretti a lustrare la casa, fare la spesa, cucinare e,
sopratutto, aveva mandato Kyle in paranoia, cosa che gli dava fastidio
più di ogni altra. Quando il pensiero di infilare un
po’ di veleno per topi nei loro piatti cominciò a
delinearsi nella sua testa, erano ormai giunti sulla soglia di casa.
Kyle stava trafficando con le chiavi, ma le mani gli tremavano tanto
che le fece cadere a terra. Eric lo vide irrigidirsi, stringere i pugni
e incassare la testa nelle spalle senza però muoversi di un
millimetro. Sospirò.
< Faccio io
> mormorò, chinandosi perprenderle. Quando si fu
rialzato, mentre era intento a scegliere la chiave giusta,
sentì Kyle tirarlo per la manica della felpa.
< Che
c'è? >.
< S-scusa, Eric
> biascicò l’altro, quasi con le lacrime
agli occhi. < Sono… un po’ nervoso, cerca
di capire >.
Eric alzò
gli occhi al cielo, sospirando ancora. Come avrebbe potuto tenere il
muso a Kyle quando si comportava a quel modo?
< Non fa
niente, tanto questa giornata finirà, prima o poi. Cerchiamo
di fare bella impressione >.
L’altro
annuì senza alzare la testa, ma in cuor suo era contento che
Cartman gli avesse risposto a quel modo. Quei gesti così
inaspettati, quella maturità che sembrava non aver mai
raggiunto e che, invece, usciva fuori quando era lui ad averne
più bisogno lo portavano sempre di più a
convincersi che, alla fine, la scelta di mettersi insieme era stata la
migliore che potesse prendere.
**********
La casa era linda come
uno specchio e profumata come un campo di fiori, non c'era un granello
di polvere che fosse fuori posto e il bagno era stato rifornito di
asciugamani puliti e saponette, nemmeno fossero in albergo. I due
inquilini erano puliti, profumati e ben vestiti, jeans e camicia
stirata di fresco per entrambi. Sarebbe parso tutto deliziosamente
perfetto se non forse stato per un piccolo, irrilevante particolare.
< I tuoi ce
l'hanno un orologio? No, te lo chiedo perché vorrei sapere
se si saranno accorti di che ore sono >.
Dopo aver pronunciato
queste parole, Eric picchiò con un pugno sul tavolo e si
alzò in piedi, spazientito. Fissò con rabbia i
piatti col cibo che aveva preparato con tanta cura e che si stavano
impietosamente raffreddando. A saperlo, avrebbe ordinato qualcosa al
ristorante cinese.
< Forse...
hanno trovato traffico >.
<
Già, o magari sono finiti in qualche scarpata >.
Kyle lo
guardò seriamente spaventato.
< E se
è davvero successo loro qualcosa? >.
< Ehi, guarda
che scherzavo >.
< Lo so! Ma se
fosse davvero- > ma non finì la frase.
Si alzò in
piedi anche lui, prendendo a camminare su e giù per la
piccola sala da pranzo nervoso e preoccupato. Aveva fatto pensieri del
genere già a partire da mezzogiorno e un minuto, ma non
aveva voluto dare ascolto alla parte pessimista del suo cervello.
Tuttavia, tra un pensiero e l’altro, si erano fatte quasi le
due del pomeriggio. Era evidente che ci fosse qualche problema.
<
Perché non provi a chiamarli? >.
< Lo avrebbero
fatto loro, se fossero stati in ritardo! >.
Ulteriormente
spazientito, Eric si avvicinò al divano e afferrò
il cellulare di Kyle, rimanendo alquanto allibito quando il suo sguardo
si posò sullo schermo.
< Stupido ebreo
spilorcio! Risparmi anche sulla batteria del cellulare! >
esclamò, arrabbiato, accendendolo < Questo coso era
spento e non te ne sei nemmeno accorto! >.
< COSA?!
>.
Kyle fece un balzo
all’indietro da record. Sentì distintamente un
sudore freddo scendergli giù per la schiena insieme ad una
serie di brividi. Era spento? Non se n’era neppure accorto!
Doveva interpretare il tutto come un brutto segno, allora? Avrebbe
ricevuto qualche messaggio d’aiuto o la chiamata della
polizia? O, peggio, di qualche medico dell’obitorio?
“Signore,
mi pento di tutti i pensieri cattivi fatti sui miei genitori! Ti prego,
fa’ che stiano bene!”.
Non fece neppure in
tempo a terminare di formulare un pensiero del genere che
partì la suoneria. Nel silenzio generale, le note
polifoniche di quella sciocca canzoncina rimbombavano come una marcia
funebre.
< È
tua madre >.
Si
irrigidì, il cuore gli batteva all’impazzata. Se
era lei a chiamare vuol dire che stavano bene, ma non voleva
rispondere. Ormai si era impaurito, aveva fatto tanti brutti pensieri,
per cui poteva anche darsi che, dall’altro capo del telefono,
ci fosse qualche medico o qualche volontario del pronto soccorso.
Magari avevano estratto quel cellulare da un mucchio di lamiere
contorte e chiamato il suo numero, che doveva essere tra le ultime
chiamate effettuate. Di certo avrebbero detto “Ah, lei
è il figlio. Ci dispiace, dobbiamo darle una brutta
notizia” o qualcosa del genere, come se simili notizie
potessero essere date con…
< Pronto,
signora Broflovsky? Salve signora, sono Eric >.
Kyle si
sentì prossimo all’infarto. Guardò Eric
con gli occhi sgranati per la rabbia, ma anche con un po’ di
sollievo. Aveva risposto sua madre, vuol dire che stavano davvero bene.
Allungò la mano per farsi porgere il cellulare, ma
l’altro lo liquidò con un gesto stizzito della
mano, stupendolo non poco.
< No signora,
Kyle è in bagno. Può dire a me se vuole, noi
comunque vi stiamo… >.
Si bloccò,
mettendo su un cipiglio che non faceva presagire nulla di buono.
<
Ah… capisco. No, ma si figuri, nessun disturbo. Certo, mi
rendo cont… sì. Sono sinceramente dispiaciuto,
signora >.
“È successo
qualcosa! Lo sapevo, cazzo!”
Kyle si
afferrò i capelli in un gesto di frustrazione. Quel dannato
cellulare, negli ultimi tempi, doveva avere qualcosa che non andava,
visto che si spegneva spesso da solo! Se solo lo avesse controllato un
po’ prima!
< Lo
dirò io a Kyle, non si preoccupi. Sì…
d’accordo, gli dirò che richiamerà tra
un paio d’ore, le va bene? Ottimo. Sì…
sì. Arrivederci, signora >.
Lentamente,
allontanò il telefono dal suo orecchio, chiudendo la
chiamata. Kyle si gli avvicinò pian piano, timoroso. Le
parole che aveva udito gli facevano davvero pensare al peggio.
< C-che ti ha
detto? Che è successo? >.
All’inizio,
lo sguardo di Eric era inespressivo, guardava solo il cellulare con
sguardo vuoto e non proferiva una sola parola. Poi, però,
alzò un sopracciglio fino all’inverosimile e la
sua espressione divenne… seccata.
< Succede che
è ora di comprarti un cellulare nuovo >.
Senza aggiungere
altro, gettò con disprezzo l’apparecchio sul
tavolo, strappandosi il grembiule bianco che ancora aveva indosso.
< N-non
capisco. Mamma e papà stanno bene? Perchè non
sono qui? > pigolò Kyle, che aveva le idee
decisamente confuse. Si vide rivolgere uno sguardo irritato,
accompagnato da un sorriso nervoso.
< È
da quando il tuo cellulare si è spento, a quanto pare almeno
dalle dieci di stamattina, che tua madre cerca di chiamarti. Tuo padre-
>.
< Ah!
È successo qualcosa a papà? >.
< Ha un attacco
di diarrea fulminante, a quanto pare. Non riesce a stare per
più di dieci minuti senza dover correre in bagno, quindi per
oggi i tuoi cari genitori non verranno. Abbiamo buttato la nostra
domenica mattina nel cesso nella maniera più stupida e
inutile possibile > concluse, gettando il povero grembiule a
terra e accasciandosi poi su una sedia, lo sguardo puntato sul cibo,
ormai quasi congelato. Kyle, dal canto suo, era rimasto in piedi,
sconcertato. Anzi, completamente spaesato.
<
Non… posso crederci > biascicò, dopo
qualche secondo di silenzio tombale.
< Sapessi io
> sbottò Eric in risposta, cominciando a mangiare.
<
Io… > ma si bloccò. Sentì
un’enorme, colossale sensazione di imbarazzo esplodergli
nella testa, che poi andò a colorare tutto il volto di un
rosso acceso e, al contempo, avvertì le lacrime pizzicargli
gli occhi.
< Mi
sento… davvero stupido >.
< Fai bene.
Anzi, direi che dovresti sentirti il più titanico idiota
sulla faccia della Terra, nell’intero Sistema Solare, in
tutto il vasto e inesplorato univ- >.
< Ok, ho
afferrato il concetto! Non c’è bisogno di essere
così esagerati! >
< Non ce n’è
bisogno? Guarda qua! > e Eric fece un gesto con la
mano, indicando il tavolo < Ho cucinato questo ben di Dio
apposta perché quei due rompicoglioni dei tuoi genitori non
avessero nulla da ridire su di me, abbiamo reso questa casa uno
specchio, ho pulito il
bagno, messo la camicia buona, mi sono svegliato alle
sette e ho sprecato una delle mie poche domeniche libere solo per far
contento te! Adesso chiudi il becco, poggi le chiappe sulla sedia e
mangi tutto quello che c’è su questo cazzo di
tavolo senza lasciarne neppure una briciola! >.
A quel fiume di
parole, Kyle non seppe proprio cosa replicare. Si ritrovò
soltanto a boccheggiare e pensare che qualsiasi cosa avesse potuto dire
in sua difesa sarebbe suonata inutile. Cartman aveva dannatamente
ragione, sotto ogni punto di vista. Abbassò il capo,
dispiaciuto e amareggiato. Aveva combinato un casino, si era
innervosito per nulla, aveva fatto la figura della donnetta isterica
per… un pugno di mosche. Si sedette, sentendosi in colpa
mentre si ficcava in bocca un pezzo di salmone e constatando quanto
fosse squisito. Si sentiva che Eric, nonostante avesse sbuffato per la
maggior parte del tempo, ci aveva messo il cuore nel cucinarlo. Gli
occhi gli si inumidirono di nuovo. Quanto tempo sarebbe occorso prima
che potesse perdonarlo?
< Dopo dammi
otto dollari > lo sentì dire all’improvviso.
<
P-perché? > chiese, tirando su col naso.
<
Perché domani vado a comprare le manette. Non mi importa se
i tuoi non sono venuti, io il mio dovere l’ho fatto >.
Appena qualche minuto,
ecco il tempo necessario che ad Eric era bastato per perdonarlo. Una
lacrima gli sfuggì davvero, ma non per la tristezza. In quel
momento, Kyle sentì distintamente tutta l’ansia
accumulata quella mattina fuggire via dal suo animo in un istante. Come
aveva potuto pensare di prendersi tanta pena per la visita dei suoi
genitori? Se anche a sua madre non fosse andata bene qualcosa, lui che
cosa avrebbe fatto? Sarebbe tornato a casa a capo chino e avrebbe
obbedito a tutti i suoi ordini? No,
ovviamente. Studiare medicina lo appassionava, il pensiero
che, una volta terminati gli studi, avrebbe potuto aiutare
concretamente le persone lo spronava ad impegnarsi e a dare il meglio
di sé, Denver era una città fantastica e, in
tutto questo, c’era Eric con lui. Certo, litigavano ancora
parecchio per delle sciocchezze, battibeccavano su quisquilie, spesso
davano spettacolo e più volte gli altri inquilini del
palazzo li avevano rimproverati affinché abbassassero
quantomeno la voce, ma per la prima volta nella sua vita, e per
davvero, Kyle poteva dire di essere felice, di essere soddisfatto di
sé stesso e della sua vita. Non avrebbe permesso mai
più a sua madre di scombussolarlo a quel modo, anzi,
pensò che ci avrebbe fatto una bella chiacchierata quanto
prima. In quel momento, tuttavia, non era a lei che doveva pensare ma
al ragazzo seduto di fronte a sé. Nonostante era ormai
palese che le cose si fossero aggiustate, decise comunque di farsi
perdonare.
< Direi
che… potrei anche dartene venti >.
Eric alzò
lo sguardo, curioso.
< E come mai?
>.
< Beh,
perché… potresti anche trovare
qualcos’altro che… ti piacerebbe provare, ecco
>.
All’ennesimo,
violento rossore che seguì quelle parole, Eric rispose con
un ghigno divertito. Cosa che, a dire il vero, un po’ fece
pentire Kyle di quanto aveva detto.
< Ci puoi
giurare, Kahl. Ci puoi giurare >.
**************************
(¹): Salve,
Eric! Come stai?
(²):
Buongiorno, signor Aguilar. Potrebbe andare meglio, grazie.
(³): Ragazzo.
(4): Eh sì,
ma è per questo che mi piace.
(5): Mio dolce Eric.
(6): Con me.
(7): Molto
più interessante che-.
(*): Il termine
ebraico Kasher
(o casher) si riferisce al cibo che risponde ai requisiti di Kasherut
(o Casherut), termine che indica l'idoneità di un cibo ad
essere consumato da un ebreo, in accordo con le regole alimentari della
religione ebraica stabilite nella Torah. Tra questi cibi sono esclusi,
per l’appunto, tutti gli invertebrati marini, considerati
“impuri”.
Note
dell’autrice
Finalmente
sono riuscita a scrivere una one-shot che mi soddisfi. Non so quante
volte l’ho cancellata prima di riuscire a dire “Ok,
può andare bene”!
Comunque,
la traduzione della strofa di Opposites Attract è (sempre
tradotta alla buona) :
Chi
avrei mai pensato che noi potessimo stare insieme?
Io
rifaccio il letto
E
tu rubi le coperte
A
me piace il pulito
E
tu fai disordine
Tu
la prendi alla leggera
Baby,
io mi ossessiono.
Il
titolo, invece, è un verso di Mama Kin degli Aerosmith (una cover
è stata fatta anche dai Guns
'n Roses, consiglio l’ascolto di entrambe). Il
bello, però, è che vuol dire “Tieniti
in contatto coi parenti di mamma”, cosa che con la storia
c’entra poco. Mi sembrava molto ironico, se lo si vuol
rivedere riferito a Kyle, ma… anche no, voglio dire.
Comunque l’ho trovato azzeccato perché il mio
cervello ha deciso così, quindi godetevelo, che dire?? XD
Voglio
fare qualche altra precisazione: il signor Aguilar e suo nipote Felipe
li ho inventati io al momento, poiché mi servivano per la
storia. Poiché io non parlo spagnolo, inoltre, mi sono
dovuta affidare al traduttore di Google. Ergo, se ci fosse qualcuno che
ne capisce più di me mi farebbe piacere che mi segnalasse
eventuali strafalcioni. Ringrazio tutti coloro che hanno letto il
precedente capitolo, chi l’ha recensito e chi ha messo la
storia tra i preferiti o le seguite. Grazie davvero.
WindGoddess
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Capitolo 4 *** I wanna be your boyfriend ***
op 4
.4.
I wanna be your
boyfriend
I’ve
got the money
And you’re always broke
I don't like cigarettes
And you like to smoke
Things in common
Just ain't a one
But when we get together
We have nothin' but fun
Eric sbuffò
annoiato, ruotando gli occhi con
stizza, per poi posare lo sguardo su Kyle. Il ragazzo ebreo stava
camminando su
e giù per la stanza da almeno una ventina di minuti,
fermandosi ogni tanto e
tendendo le orecchie, in allerta come un animale impaurito. Quando
aveva
appurato che il pericolo, che di nome faceva Sheila Broflovsky, non
fosse in
procinto di entrare nella sua camera allora si calmava, per poi
ricominciare
comunque a girare in tondo. Peccato solo che Eric si fosse stufato di
quel
silenzio e di quei gesti nervosi. Lui era lì per un motivo
ben preciso:
affrontare la delicata questione che era andato a proporre a Kyle e che
interessava entrambi alla stessa maniera.
< Allora? >
domandò, seccato. Ruppe il
silenzio in maniera tanto brusca da far scattare l'altro come una molla
troppo
tesa.
< A-allora cosa?
>.
< Secondo
te? >.
Kyle tentennò un
attimo, rimanendo spiazzato da
quella domanda, nonostante fosse proprio su di essa che stava
rimuginando.
< Vorrei... pensarci
ancora un po' > rispose
alla fine, con tono poco convinto.
< Ci siamo presi una
settimana, mi sembra che di
tempo ne hai avuto fin troppo >.
Non ricevendo ulteriore
risposta, Eric decise che
la sua pazienza necessitava di essere ricaricata. Tirò fuori
dalla tasca un
pacchetto di sigarette e, senza neppure chiedere il permesso, ne accese
una e
prese a fumare, guardando fuori dalla finestra. Kyle non se ne accorse
subito,
ma dopo qualche secondo il suo naso non poté di certo non
recepire un odore
estraneo a quello della sua stanza. Sì voltò
verso Eric, guardandolo a dir poco
inorridito.
< Butta via quella
dannata sigaretta! >.
L'interpellato, stupito che
gli venisse finalmente
dedicata attenzione, non si scompose più di tanto.
< No, perché
dovrei? >.
< Perché lo
sanno anche i bambini che il fumo fa
male! >.
< Anche fare a botte,
ma preferisco fumare
piuttosto che andare in giro a pestare la gente >.
< Che razza di discorso
è? Potresti, anzi, dovresti
evitare entrambe le cose invece
che scegliere con quale delle due farti male! >.
< Ho uno spirito
masochista, che ci vuoi fare
> sorrise Eric, facendo cadere la cenere in un bicchiere vuoto
sopra la
scrivania.
< Tu? Ma quando mai! E
poi quello che dici non
ha il minimo senso! >.
< E non deve avercelo,
Kahl >.
< Ma che... Cosa diavolo vuoi cercare di dire?
>.
< Che devi chiudere il becco e lasciarmi fumare
in pace! >.
Quella
risposta necessitava di un contro-attacco altrettanto feroce, ma
qualsiasi cosa
Kyle stesse per dire venne bloccata dalla voce di sua madre che, oltre
a fargli
quasi venire un infarto, lo avvertiva che stava per uscire con Gerald e
Ike.
Avrebbero portato il piccolo a fare una visita di controllo e non
sarebbero
tornati prima di un'ora, forse di più, e si raccomandava
affinché lui e Eric
Cartman studiassero senza distrarsi o la sua media sarebbe calata,
eccetera,
eccetera.
Quando
Kyle si fu ripreso completamente dallo spavento, ovvero solo dopo aver
sentito
i suoi allontanarsi con la macchina, respirò profondamente,
sollevato.
L'assenza della sua famiglia rendeva le cose un tantino più
semplici.
< O Mosè, ti
ringrazio >.
< Bene! >.
Eric, che aveva aspettato
diligentemente che i
Broflovsky sgombrassero, diede l'ultimo tiro alla sigaretta e
scattò in piedi.
Aveva aspettato quel momento per una settimana, dopo aver rimuginato
sopra quella spinosa questione fino
a farsi
venire il mal di testa ed ora era lì, con la sua risposta
pronta e con la
curiosità di sapere quella di Kyle che gli attanagliava le
viscere.
< Ora non hai scuse!
Siamo soli, quindi voglio
la risposta. Ci mettiamo insieme o no?
> e lo fissò, dritto negli occhi.
Kyle si sentì
confuso, spaesato. Anche lui,
quell'ultima settimana, aveva avuto ben poco da stare allegro. Non
aveva
dormito che poche ore a notte, ma quella
era una questione troppo delicata per poter sprecare inutilmente il
tempo a
dormire!
< Ascolta, Cartman. Io
ci ho davvero pensato
bene, però- >.
< Non c'è
nessun "però", Kahl. Sì o
no? >.
< Ecco, se mi
lasciassi- >.
< Ancora? Non voglio
sentire sermoni! Voglio
solo che pronunci un cazzo di monosillabo! >.
Kyle, irritato per essere
stato interrotto per ben
due volte, pestò un piede a terra con stizza e
ignorò bellamente quanto l’altro
aveva appena detto.
< Non voglio rispondere
così! Voglio fare un
discorso ben preciso, prima! >.
< A me non interessa
nulla del genere >.
< E va bene, ho capito!
> sospirò, seccato e
vinto dall’ansia. < Facciamo così: daremo
la risposta al mio tre all'unisono,
poi ognuno procederà con le spiegazioni, se ne
vorrà dare qualcuna >.
Eric stette un attimo a
pensarci sù, ma dovette
convenire sul fatto che l'idea non era male. Forse era la maniera
migliore di procedere,
tuttavia...
< Al mio tre, allora.
Uno... Due... Tre! >.
< NO!
> esclamarono all'unisono.
Rossi entrambi come pomodori,
si fissarono negli
occhi, increduli, strabuzzandoli più volte. Incredibile a
dirsi, ma a Eric
venne voglia di piangere. Ovvia sensazione, visto che, in
realtà, non aveva
risposto con sincerità. Il "sì"
che avrebbe voluto pronunciare lo aveva ancora incastrato in gola.
Aveva temuto
che la risposta di Kyle sarebbe stata negativa -con ragione-, quindi
aveva
cambiato la sua all'ultimo secondo per proteggersi dal rifiuto, creare
uno
scudo contro la delusione, perché lui voleva davvero essere
il ragazzo di Kyle.
Se non per amore, che fosse almeno per orgoglio. Ci aveva messo davvero
del
tempo ad accettare i suoi sentimenti, a smetterla di torturarsi, a
farsene una
ragione, ed era stata un'enorme fatica. Che i suoi sforzi venissero
premiati,
allora, se lo sarebbe meritato!
< Perché?
> domandarono, nuovamente
all'unisono, per poi abbassare la testa per l'imbarazzo.
< Ehm... Prima tu
> Eric riuscì a precedere
Kyle, anche se non aveva molta voglia di ascoltare la sua risposta, la
conosceva già.
Sarebbe stato tutto un
disquisire sul fatto che sua
madre lo avrebbe scuoiato vivo, che non avrebbe saputo come affrontare
la sua
comunità e la gente di South Park -da leggersi: "Stan"-, che tutto quello era assurdo e
cazzate varie. Si
preparò, dunque, ad ascoltare tutta una serie di baggianate
che lo avrebbero di
certo fatto star male per un po', ma poi si sarebbe certo ripreso,
magari
sarebbe tornato tutto come prima... a parte la cocente delusione che
avrebbe
presto ricevuto, che gli avrebbe lasciato addosso una cicatrice
talmente grande
da farlo diventare ancora più stronzo, irrispettoso, egoista
e bastardo di
quanto già non fosse. Bella prospettiva.
<
Ho... ho mentito > furono, invece, le uniche due parole a
giungergli
all'orecchio. Chiese di ripetere, sicuro di non aver capito bene, e Kyle
pronunciò nuovamente quelle due parole
esatte. Ora sì che era confuso.
<
Io… non so dire bugie, non ne sono capace. Però
avevo paura che la tua risposta
sarebbe stata “no”, quindi… ho pensato
di rispondere così anche io, per non
darti l’illusione di avermi dato una delusione o... >
lo guardò, mettendo su
un leggero broncio < …mi avresti preso per il culo a
vita >.
Detto
ciò, Kyle divenne ancor più rosso e si diede
mentalmente del codardo per non
aver saputo continuare con la sua recita. Era sicuro di aver dato a
Eric un
motivo più che valido per dargli dello stupido da allora
fino alla fine dei
secoli. Sperava, tuttavia, che avrebbe considerato la situazione da un
punto di
vista più… magnanimo,
facendo magari
finta che non fosse successo nulla e che quella conversazione non fosse
mai
avvenuta. Proprio per questo rimase non poco stupito quando si vide
rivolgere
un sorriso che, stranamente, non aveva nulla di cattivo. Il che suonava
alquanto strano, considerando che era di Cartman che si stava parlando.
<
Temo che dovrò ricambiare questo slancio di
sincerità confessando che… Beh, in
pratica anche la mia risposta non era quella giusta. I motivi sono gli
stessi,
quindi non mi metterò di certo a spiegare >.
I
sessanta secondi che seguirono queste parole furono lunghi e pesanti.
Soprattutto, diedero modo ad entrambi di assorbire bene quanto accaduto
e di
sentirsi due totali deficienti.
<
Siamo… due stupidi > ruppe il silenzio Kyle, non
credendo a quanto
stava succedendo. Aveva un che di
surreale, quella situazione.
<
No, tu sei stupido. Uno stupido ebreo >.
Ed
Eric, con il tatto che da anni lo contraddistingueva,
aggiustò tutto in un
lampo con una delle sue uscite più fini. Anzi, fece di
più. Mise in ordine e
poi rivoltò nuovamente il tutto quando, in un momento in cui
Kyle aveva
abbassato le difese, decise che, per come stavano andando le cose,
poteva anche
concedersi il lusso di fare qualcosa di veramente
stupido. Il bacio che gli diede fu leggero e delicato, uno sfiorarsi di
labbra
che durò due, forse tre secondi, ma che riuscì a
far diventare Kyle bianco come
un lenzuolo. Il che era ben strano, data la situazione.
<
Oddio, ti senti bene? > domandò, stupito, una volta
resosi conto delle
conseguenze del suo operato.
Il
ragazzo ebreo, contro ogni più oscura previsione, era
diventato un cadavere.
Fissava un punto alle sue spalle con la bocca semiaperta, come se fosse
in
stato vegetativo. Roba che, in altri tempi, lo avrebbe fatto ridere per
una
settimana ma che, al momento, rappresentava un pericolo, un motivo di
seria
preoccupazione.
<
Khal? > lo richiamò, almeno per essere sicuro che
fosse vivo.
<
S…sì > sentì sussurrare.
<
Sì cosa? >.
<
La… ris-posta a-alla tua domanda >.
Solo
dopo aver parlato, Kyle si rese conto di quanto stesse esagerando. Non
era in
fondo quello, che si aspettava? Non era quello che desiderava, che
sperava
tanto che Eric facesse, prima o dopo? Eppure, nonostante tutto, era
rimasto
sorpreso da quel gesto, da quel bacio leggero che aveva riassunto
l’inverosimiglianza di quel pomeriggio in pochi secondi e
che, quando Eric si
era allontanato, era come se gli avesse tirato via tutta la sorpresa,
l’ansia,
la preoccupazione, il nervoso che aveva incamerato in corpo in quei
giorni, per
lasciare solo il posto ad una sensazione di sfarfallio nello stomaco
affatto
piacevole, ma che era contento di avere. Era strano che non avesse
assunto
anche lui un vivace color porpora come quello di Eric, ritto davanti a
lui e
docile e sottomesso come mai. Erano opposti
anche nella maniera di provare imbarazzo, eppure erano
entrambi… contenti,
soddisfatti, persino, della decisione presa. Certo, le cose erano
andate in
maniera alquanto bizzarra, ma poi si resero entrambi conto che,
poiché era di
loro due che si parlava, era inconcepibile che andassero in maniera
normale.
<
Almeno non mi hai vomitato in faccia come faceva Stan con Wendy
> sussurrò
di nuovo Kyle, anche se quelle tenui parole rimbombarono nel silenzio
della
stanza come se le avesse urlate.
<
B-beh… ho voluto risparmiartelo >.
<
Oh, quanta premura >.
<
Non fare il gradasso, che non ti si addice >.
Di
nuovo silenzio, ma questa volta entrambi sapevano come evitare di
renderlo
pesante, mettendosi magari a guardare ognuno un punto imprecisato sul
muro o
sul soffitto. Si guardarono di nuovo negli occhi, per poi deglutire e,
allungando leggermente il collo, darsi un altro bacio. Sospirarono
entrambi
quando sentirono nuovamente il tocco l’uno delle labbra
dell’altro sulle
proprie, anche se ci sarebbe stato di che imbarazzarsi se solo si
fossero
potuti vedere: a parte le bocche, i loro corpi erano lontani
l’uno dall’altro
di almeno una ventina di centimetri. Eric teneva persino le mani dietro
la
schiena, mentre Kyle aveva serrato le braccia lungo i fianchi,
stringendo i
pugni. Più che un bacio di due diciassettenni, sembrava
quello che si sarebbero
potuti dare due bambini di non più di nove anni.
Però erano contenti. Quando si
allontanarono, non poterono fare a meno di ridacchiare, Eric sempre
più rosso,
Kyle sempre più cadaverico.
<
Allora… è sì, a quanto pare >
sussurrò Eric, grattandosi poi la nuca in
maniera nervosa.
<
Sì, cioè… ci possiamo provare, eh!
>.
<
Oh, certo! Provare, e se va male… nessun rancore >.
<
No, nessun rancore >.
<
Però… > e Eric si diede un po’
di coraggio, dando all’altro un buffetto
sulla testa < …a me piacerebbe che andasse, sai?
>.
Era
fatta, dunque. Erano insieme. Per il momento, per lo meno, ma entrambi
avevano
il sentore che, con un po’ di fortuna e –tanta-
pazienza, quel loro strano
rapporto, che aveva assunto una piega importante, avrebbe funzionato.
Anzi, ne
erano convinti. Rimaneva solo una piccola, importante questione.
<
Bisogna festeggiare. Che si fa? >.
<
Scommetto che ti andrebbe bene qualsiasi cosa, basta che si mangi,
culone!
>.
<
No! Ma come hai fatto ad indovinare? >.
Senza
aspettare risposta, Eric si prese un altro bacio e poi
afferrò la sua giacca,
che aveva buttato sulla scrivania di Kyle, per far capire
all’altro che aveva
davvero voglia di uscire e andare da qualche parte.
<
Sono le sei passate, quindi potremmo anche andare a prenderci un
hamburger >
esclamò, fin troppo contento.
<
O-ok > fu la semplice risposta di Kyle, che era rimasto a dir
poco sorpreso
da tanto entusiasmo. Se non altro, era per qualcosa di positivo. Dopo
un attimo
di disorientamento si avvicinò all’armadio,
aprendolo e trafficando un po’
all’interno per trovare qualcosa di più pesante
per uscire, visto che sentiva
stranamente freddo. Al contrario di Cartman, che invece sembrava avesse
incredibilmente caldo.
<
Però ti avviso che sono al verde, quindi dovrai attingere
alla borsa che porti
al collo e offrire la cena anche a me! >.
Kyle,
che si stava quasi cullando in quel silenzio armonioso che si era
venuto a creare,
rimase letteralmente fulminato da quelle parole.
<
Dannato culone avaro! Non pensarci nemmeno! > urlò,
facendo capolino da
dietro l’anta dell’armadio, avendo giusto il tempo
di vedere l’altro guardarlo
con un sorriso furbetto e poi uscire in fretta dalla stanza, come se
ormai
fosse già stato tutto deciso. Afferrò il primo
giaccone pesante a portata di
mano e, senza neppure chiudere l’armadio, cercò di
rincorrerlo, urlando che non
doveva proprio sperare di vedersi offrire nulla più di un
bicchiere d’acqua e
cose del genere, ma con qualche parolaccia in più. Tuttavia,
giusto per essere
sicuri, ebbe premura di mettersi comunque una mano sul petto,
tranquillizzandosi una volta sicuro che la borsa coi soldi che,
effettivamente,
aveva l’abitudine di portarsi sempre al collo, fosse
abbastanza piena.
________________________________________
Note dell'autrice
Ad aggiornare prima proprio non
ci sono riuscita XD
Che dire su questa one-shot? Niente, se non che non ha nulla di
particolare. Avevo altre idee per la testa ma al contempo avevo pensato
che a qualcuna delle gentili donzelle che ha il coraggio di leggere le
mie storie fosse venuta l'idea di voler leggere come è
cominciato il tutto, come avevo programmato che Kyle e Eric si
mettessero insieme. In realtà anche io ero curiosa di
saperlo, e il risultato è stato questo. Non poteva uscirmi
nulla di più stupido e di estremamente meno introspettivo XD
C'è da dire che questa volta ho riletto la storia meno volte
del solito prima di postarla, quindi se ci fossero degli errori
sarò grata a chi me li vorrà segnalare. Ah, anche
a chi mi dicesse perché ha trovato questa storia, magari,
una vera cagata.
Prego il gentile pubblico di inQuinarsi di fronte alla canzone il cui
titolo ha avuto il dicutibile piacere di divenire anche quello di
questa one-shot, ovvero "I
wanna be your boyfriend" dei grandi, immensi Ramones. Sono andata
a scomodare persino loro, pensate un po'.
Per quanto riguarda la quarta strofa di Opposites Attract, ecco
l'arronzata traduzione:
Io
ho i soldi
e tu sei sempre al verde
A me non piacciono le sigarette
e a te piace fumare
Di cose in comune
non ce n'è neppure una
Ma quando stiamo insieme
non facciamo altro che divertirci
Boh,
direi con questo è tutto. Ringrazio, senza tuttavia poter
rispondere per mancanza di tempo, chi legge e chi
commenterà, chi ha trovato due minuti di tempo per
commentare la precedente one-shot, chi ha messo la raccolta tra i
preferiti o tra i seguiti.
Buone
feste a tutti :)
WindGoddess
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