(Mary) Sue me!

di Pudentilla Mc Moany
(/viewuser.php?uid=79480)

Disclaimer: Questo testo proprietà del suo autore e degli aventi diritto. La stampa o il salvataggio del testo dà diritto ad un usufrutto personale a scopo di lettura ed esclude ogni forma di sfruttamento commerciale o altri usi improri.


Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Di come la nostra eroina è certa che sarà un anno orribile ***
Capitolo 2: *** In cui la nostra eroina odia Al Potter. ***
Capitolo 3: *** In cui le pozioni stimolano la fraternità fra case. ***



Capitolo 1
*** Di come la nostra eroina è certa che sarà un anno orribile ***


FORMALITA’ INTRODUTTIVE DI RITO: No, i personaggi non sono miei. Fossero miei, Sirius adesso sarebbe alle Cayman ad evadere il fisco, ma sano e salvo e abbronzato e bellissimo.
Appartengono tutti a mamma Row, che dio la benedica, e il copyright è suo e dalla regia mi dicono che è anche della Warner Bros.
E’ il mio primo esperimento di long fiction, e il mio ingresso nel territorio vergine del fandom di Harry Potter. E’ naturalmente ambientata dopo i fatidici diciannove anni dopo; cinque anni dopo, in effetti, durante il sesto anno dei frugoletti imberbi dei nostri eroi.
Che dire? Siate pure inclementi; in fondo, la nostra protagonista è una Mary Sue.




( Mary )   Sue me!
Capitolo primo: di come la nostra eroina è certa che sarà un anno orribile.




Respirò l’aria densa del mattino a King’s Cross in una boccata acre di fumo e fritto, e mentre si sollevava la sciarpa di Corvonero sul naso non potè fare a meno di pensare che quell’anno sarebbe stato orribile.
Era una congettura all’apparenza del tutto ingiustificata, ma a ben vedere i segni dell’Apocalisse c’erano tutti.
Faceva un freddo gelido malgrado fosse solo il primo di Settembre, e l’aria era come impregnata di pulviscolo impazzito, grigiastra di smog e puzzolente di fumo dei camini –o di  braci infernali, che poi agli occhi della protagonista di questa storia sarebbe stata la stessa cosa.
Gli allievi del primo anno sciamavano attorno ai genitori, quelli dell’ultimo scrollavano le spalle di fronte ai consigli di madri sempre ansiose, qualcuno esibiva la sua tintarella scoprendo un avambraccio con lodevole incuranza del clima impietoso.
C’era l’aria elettrica di quando sta per scoppiare il primo temporale dopo un’estate torrida, quel sentore di pioggia che intorpidisce le membra, rende la bocca pastosa e fa venir voglia di mangiare dolcetti di zucca e leggere un libro di avventure. Che era esattamente quello che la nostra eroina avrebbe voluto fare, se solo il dovere non l’avesse chiamata a presentarsi al binario nove e tre quarti, quella mattina alle otto, per offrire un altro anno della sua verde gioventù in pasto al sistema scolastico del mondo magico.
Storse il naso contrariata quando sua madre le stampò un bacio cremisi sulla guancia, e sbuffò di puro dispetto quando il padre la strinse in un abbraccio spaccaossa mentre ancora tentava di ripulirsi dal rossetto della genitrice.
Gettò a entrambi un’occhiataccia fulminante prima di afferrare la maniglia del suo baule e incedere fra la folla con poca grazia e una gran copia di esclamazioni stizzite, in direzione vagone.
Il fatto era, che Mary Sue Dashwood riteneva che Augusta e Aginulfo Dashwood, gli autori dei suoi giorni, fossero di gran lunga i peggiori genitori del mondo.
Era un’affermazione imperativa, ma certo giustificata dal dato inconfutabile del suo nome kitsch. E dal momento che suo fratello maggiore si chiamava Gary Stu, bisognerà credere che i coniugi Dashwood bazzicassero il Colmo dell’Ignominia con una costanza da brivido.
Qualora l’onomastica infelice dei genitori della Sventurata non fosse ritenuta dai lettori di questa storia una circostanza bastevole a giudicarli crudeli a sufficienza, bisognerà confortare la nostra tesi precisando che la genetica aveva giocato un brutto tiro alla nostra Mary Sue, che era secca, pallida e aveva l’aria arcigna di una vecchia zitella.
Circondata da inglesotte floride e indiane mozzafiato, costretta a subire il fascino sottile delle orientali, spiccava per insipidità e malagrazia.
Indossava un paio di occhiali da vista dalla montatura nera, enormi, senza i quali era quasi del tutto cieca. Malgrado il primo giorno del primo anno le avessero detto, per confortarla, che gli occhiali demodé fossero di gran moda a Hogwarts, non le risultava che nessuno si fosse mai sognato di inforcare quegli abominii di plastica pesante da babbana.
Aveva i capelli lisci, sottili e di uno sgradevole color topo, e la frangetta le adombrava gli occhi enormi e castani facendole assumere un’espressione inquietante, intimidatoria.
Era acida e freddolosa e bassa ed era piatta come una tavola. Era una per cui “curve giuste al posto giusto” significa che su una strada di montagna nessun gard rail ha ancora ceduto.
Camminava con la testa incassata fra le spalle, gli occhi fissi a terra davanti a sé per non inciampare e per non incontrare sguardi indesiderati: era una solitaria; amava pochissime persone, e quasi la metà le conosceva sin dal suo primo anno a Hogwarts. Solo con un po’ di sforzo avrebbe confessato che, malgrado tutto, amava anche quei genitori squinternati che la salutavano con la mano dalla banchina, occhialuti e infagottati in verde e marrone.

Consegnò il baule assicurandosi che lo posizionassero adeguatamente –conteneva oggetti molto fragili, spiegò al facchino, e salì sui gradini di lamiera che portavano al secondo vagone.
Era quasi confortata, e il puzzo abituale di nafta la rassicurava col calore di un’abitudine consolidata negli anni.
Una tacita convenzione voleva che quello fosse il luogo designato alla prima riunione annuale del gruppo sparuto di Corvonero di cui faceva parte, tre adolescenti variopinti che erano un’estensione naturale della sua famiglia quand’era a scuola.
Patrick, Lola e Thelma erano stati selezionati durante lo smistamento, e Mary Sue ringraziava ancora la fortunata coincidenza che l’aveva portata a sedersi accanto a loro durante la sua prima, terrificante cena a Hogwarts.
Aveva scelto le ragazze per i loro nomi aberranti, e aveva capito di essere loro amica quando l’aveva ammesso in una confessione forzata e loro avevano riso di gusto; mal comune mezzo gaudio, si dice, ma quel giorno le era sembrato che il gaudio fosse completo.
Quanto a Patrick, sarebbe stato impossibile non sceglierlo: era una checca irlandese dai boccoli d’oro, e sull’Hogwarts Express l’aveva difesa da un Malfoy in rotta di collisione. Quando se l’era ritrovato accanto alla mensa di Corvonero, l’amicizia aleggiava in vapori rosa nell’aria, e no, non è una citazione di Elton John.
La nostra eroina stava appunto pregustando le tre ore di chiacchere e i dolcetti comprati a credito e la risata di Thelma e i golf di angora di Lola e il profumo dello shampoo di Patrick -che ti si attaccava addosso come un marchio di infamia, e ti faceva sorridere, quando un’esclamazione divertita pronunciata da una voce sconosciuta la fece sobbalzare.
La voce misteriosa proveniva dal secondo vagone, scompartimento numero uno.
Si trascinò gemebonda verso la porta, sul volto l’espressione incredula e affranta di chi non vuole credere a un dato irrefutabile. Quando scorse le sagome dei suoi amici più quella di un estraneo attraverso il vetro, dichiarò a se stessa -ed era già la seconda volta, quella mattina- che quell’anno sarebbe stato orribile.
Deglutendo pesantemente, fece scorrere la porta a vetri.
<< Mary Sue! >>
Un falsetto giubilante precedette l’apparizione fra le sue braccia di un delizioso ometto fasciato in un cardigan blu nel momento stesso in cui varcò la soglia di quell’inferno familiare, di quella Caina in cui i traditori affondavano in plaid patchwork fino al collo, ruminando biscottini e salutandola allegri.
Abbracciò Patrick che la abbracciava solo perché era proprio impossibile non corrispondere il suo affetto tenero e irruento dopo un’estate di soli contatti cartacei, ma si guardò bene dal dispensargli la solita profusione di effusioni, che sostituì con un’occhiata penetrante. Quanto alle ragazze, evidenziò la sua perplessità con un inarcarsi dubbioso delle sopracciglia, che accompagnò a un ringhio gutturale.  In quella scena toccante di ricongiungimento, l’ospite fu ignorato bellamente per almeno una manciata di secondi.
Per correttezza nei confronti della nostra eroina, bisogna dire che non era suo costume esibirsi in quelle scenate da mastino idrofobo.
Al contrario, andava fiera del suo contegno educato e della sua educazione irreprensibile. Non rispondeva male ai professori e obbediva ai suoi genitori, e non litigava mai a meno che non ci fossero dei seri motivi per farlo. Insomma, era una personcina piuttosto equilibrata, e per nulla al mondo si sarebbe sognata di trattare male qualcuno per il semplice fatto di esistere.
Il punto era che il qualcuno che quel giorno veniva a turbare la pace idilliaca del suo quadretto ideale non era un qualunque signor nessuno.
Albus Severus Potter, prefetto di Grifondoro che se ne stava seduto accanto al finestrino a succhiare una caramella, era popolare.
Popolare, nel mondo di Mary Sue, significava guai.
Popolare era una persona circondata da un nugolo di amicizie superficiali, così distante dal suo mondo di affetti pacati da essere quasi un alieno, un abominio che avrebbe fagocitato il suo piccolo gruppo rassicurante e l’avrebbe ridotto a un satellite della sua galassia.
Mary Sue non aveva niente di personale contro Albus Severus Potter, che non conosceva se non per le sue prodezze a quidditch e per il suo padre ingombrante, ma quel giorno sentì di odiarlo con tutta la violenza del mondo, perché era venuto lì per corrompere il suo spazio sacro. Così, quando quello sollevò una mano per salutarla, con un bel sorriso aperto e la coda di un verme gommoso che gli penzolava dal lato della bocca, si guadagnò per tutta risposta uno “ciao” strozzato, e come se non bastasse l’espressione della giovane Corvonero, che era quella di una che gli avrebbe volentieri staccato la testa a morsi, bastava da sola a smentire le minime tracce di calore che solo un’anima candida come lui avrebbe potuto scovare in quel saluto laconico.
<< Che ci fa lui qua? >> Sussurò Mary Sue all’orecchio di Lola senza premurarsi troppo di dissimulare il fastidio, dopo essersi accasciata al posto di fianco al suo, sulla diagonale opposta dell’Arcinemico.
<< Oh, era da solo, e poi è-insomma, è Potter. >> Biascicò confusa la ragazza, scuotendo la testa veementemente in uno sbatacchiare di ciocche scure.
<< Questo lo so benissimo da sola, grazie. Oltre alla volgare evidenza del suo nome di famiglia avete anche raccolto informazioni sulla sua rendita, in mia assenza? >>
<< Direi che stai esagerando. In fondo, è uno studente come un altro. >>
Malgrado la lodevole diplomazia di Thelma, la nostra protagonista non doveva essere particolarmente bendisposta verso le giustificazioni, quel giorno. La interruppe con un altro bisbiglio, stavolta accuratamente calibrato per raggiungere le orecchie di Potter.
<< Non vedo cosa possa farci qui, dal momento che non è un Corvonero. >>
<< Mai sentito parlare di fraternità fra le case, Dashwood? >> Fra le caratteristiche dei Grifondoro doveva esserci anche l’orecchio fino, perché la risposta fu tempestiva e irridente.
<< Non mi pare che durante l’ultimo incontro di Quidditch dell’anno scorso tu ti sia dimostrato molto fraterno, Potter. >>
<< In guerra e in amore tutto è lecito, Dashwood.>>
<< Ma in pace bisogna rispettare le regole. Ci puoi stare, qui? >>
<< Essendo un prefetto, direi che posso fare tutto quello che mi pare. >>
Bisognava riconoscere che il Grifondoro aveva opposto all’imbeccata di Mary Sue un’argomentazione schiacciante. Nel mondo del quidditch si sarebbe detto, e non a sproposito, che il punteggio era uno a zero per Potter.
Quanto a lei, si mosse un po’ sul sedile, come se improvvisamente fosse diventato motlo stretto, incrociò le braccia al petto e si rifiutò di parlare con quei traditori. Se non urlò al sabotaggio fu solo perché Thelma ebbe il buon cuore di rimboccarle la coperta e imboccarla di salatini al formaggio, e allora si limitò ad estrarre un tomo enorme dalla sua tracolla sdrucita, al di sopra del quale si premurò di gettare occhiate assassine a Potter in risposta al più pallido tentativo di conversazione.

<< Per farla breve, oserei dire che la manovra centodiciassette bis ha sortito i suoi effetti. >>
Aveva la voce impastat dalla sigaretta pesante fumata sulla banchina, e i capelli biondi, liscissimi, gli ricadevano sulle tempie diafane mentre incedeva sicuro, facendo dondolare fra le dita sottili un bastone da passeggio di lacca nera.
<< Hai penetrato il vallo? >>
L’amico gli si affiancò con un ghigno, e aveva labbra piene e gli occhi di un verde brillante.
Entrambi portavano lo stemma di Serpeverde sui risvolti delle giacche di buon taglio, e entrambi avevano l’aria di saperla lunga, e quella classe un po’ torbida del dandy snob.
<< Quasi. Abbiamo stipulato un trattato di non aggressione. >> Ammise il biondo, esaurendo l’argomento in un arricciarsi sdegnato delle labbra pallide. << Ma è pur sempre un progresso. Come è andata la tua annessione? >>
<< La mia annessione è stata molto piacevole, grazie. Ma amice, tu mi preoccupi. La Polonia non ha ancora ceduto, e mi chiedevo se ciò non avesse per caso affetto la tua salute mentale. Mi chiedevo se il tuo sex appeal non stesse per caso…>>
Un colpo di bastone ben assestato su un polpaccio abortì le congetture dell’altro, che si esaurirono in un rantolo sordo.
<< Caro mio, non hai forse fiducia nel sottoscritto? Il mio sex appeal è immutato. Quella che vedi è una macchina dell’amore. E’ che la Polonia è troppo-scontata, perché mi impegni seriamente. >>
<< E’ singolare che una conquista così scontata ti crei tanti problemi. >>
<< Non fare basse insinuazioni, Flegias. Posso ancora avere qualsiasi donna a Hogwarts. >>
<< Oh, lo credo bene. Ma saresti pronto, giusto per scherzare fra di noi, a- non so, supportare la tua dichiarazione? Voglio dire, potresti dimostrarmelo accettando una piccola scommessa. Divertendoti anche, mettendoti alla prova con una seduzione difficile. >>
<< Ti seguo, Houdini. >>
Flegias Houdini, Serpeverde del sesto anno, prefetto di Hogwarts, eletto all’unanimità secondo uomo più sexy di Serpeverde, si fermò a pochi passi dalla porta del primo scompartimento del secondo vagone dell’espresso di Hogwarts. Fece un cenno d’intesa al compagno, poi si appoggiò con una spalla contro la parete. << Là dentro. >>
Il ragazzo pallido si appostò dietro di lui, spiando dai vetri doppi un po’ appannati.
<< Dovrei sedurre Potter? >> Berciò scandalizzato, il gomito sollevato, pronto a colpire.
<< Guarda meglio. >> Lo corresse l’altro, la voce carezzevole; era molto credibile, nel ruolo di tentatore. Fece un cenno col mento verso una ragazza castana seduta sulla poltrona di fronte al prefetto di Grifondoro, che in quel momento stava intraprendendo un’animata conversazione con quel finocchio di Patrick O’Malley. << Dashwood la frigida,Corvonero, sesto anno. Purosangue, vergine, bisbetica. Tu la domi, io sgancio i quattrini. >>
<< Cento galeoni? >>
<< E cinque falci se te la fai entro il semestre. >>
<< Quello che mi piace di te, Houdini, è proprio questo: la disponibilità suicida a pagare cifre folli unita a un linguaggio molto elegante. Accetto, per l’onore di Serpeverde e per la gloria della mia famiglia. Io trasformerò questa-questa cosa rozza e occhialuta, questo materiale grezzo, in una vera donna. Non è una scommessa, tienilo bene a mente: è una missione, e io sono il sacerdote della Bellezza. Ce la farò. >>
<< Sacerdote della Bellezza un piffero. Non saresti credibile come ecclesiastico; le gonne ti donano pochissimo. >> Si voltò verso il biondo e sorrise, e gli tese la mano. << Ad ogni modo, è un piacere fare affari con lei, Signor Malfoy. >>





Ritorna all'indice


Capitolo 2
*** In cui la nostra eroina odia Al Potter. ***


mary



DOVEROSE PRECISAZIONI DI INIZIO CAPITOLO: Il copyright non è mio. Ed è un vero peccato.
La nota introduttiva include una richiesta di perdono. Lo so, non ho aggiornato. E' stata una mancanza di rispetto imperdonabile nei vostri confronti. Il punto è, che ho avuto una serie di problemi che non sto qui a raccontarvi; essendo io incapace di fare due cose contemporaneamente, non potevo fare chiarezza dentro me stessa in contemporanea alla stesura di questa storia.
Dal momento che adesso ho ritrovato il mio equilibrio psicofisico (sempre ammesso che ne abbia mai avuto uno), e dal momento che la clausura pre-esami mi obbliga a una vita da reclusa, immagino che aggiornerò molto più in fretta. Ci si vede in fondo alla pagina!

( Mary ) sue me

Capitolo due: in cui la nostra eroina odia Al Potter


<< E’ assolutamente ridicolo, Thelma… >>
Mary Sue attraversò l’arco rampante dell’ingresso alla sala grande con un gesto stizzito e l’aria scontenta, il mantello nuovo ruvido contro le gambe scoperte e violacee di lividi distratti.
<< Gli piaci. >> L’amica le diede di gomito cantilenando, e aveva il sorriso enfatizzato da fossette adorabili e gli occhi lucenti di entusiasmo e i riccioli scuri e scarmigliati e soffici. E Mary Sue era certa che a lei il mantello nuovo non pungesse affatto, per il semplice fatto che Thelma Babbington era una specie di meraviglioso angelo benvestito e beneducato, e cose del genere a quelle come lei non succedevano.
In effetti, non passava giorno che Mary Sue non si chiedesse per quale assurdo motivo quella ragazza alta, magra, bella e proporzionata avesse deciso di scendere dal suo empireo pivato e posare gli occhi su di lei, comune, goffa mortale, il primo Settembre di qualche anno prima.
Thelma Babbington era l’immagine della perfezione. Fonte di massima frustrazione e ricettacolo del suo affetto più imprevisto, era una così cara ragazza, ed era la cercatrice della squadra di Quidditch di Corvonero, un ruolo delicato che richiedeva leggerezza aerea e che sembrava fatto apposta per lei, così distante dalle orrifiche mazze da battitrice fra cui lei  si barcamenava.
Thelma era brava a scuola e aveva una bella grafia, ed era tanto meravigliosa da mettere in ombra l’orrore del suo nome.
Mary Sue aveva sentito Patrick parlare di quella coppia di comici babbani, Stanlio e Ollio, e si era detta che l’impressione che lei e Thelma dovevano dare quando camminavano fianco a fianco fosse più o meno la stessa: erano due opposti convergenti per magnetismi ignoti, e l’effetto era quello di una strana parodia di amicizia.
Però funzionavano.
<< Thelma. Ascoltami. Se Al Potter si è degnato di scendere nei nostri bassifondi impopolari, se l’ha fatto perché era interessato a qualcuno e non per il semplice gusto di infastidirci e guardarci dall’alto in basso, sta’ pur certa che è te, che braccava.>>
<< Ogni tanto potresti anche piantarla di parlare come un libro stampato.>>
Un risolino acuto la fece sobbalzare, provocandole un sogghigno involontario. Poi si riebbe, e affibbiò uno scappellotto a Patrick, che si era come materializzato alle loro spalle con l’aria fiera e il maglione decorato da quelle strane spillette babbane con le immagini fisse.
<< Secondo me è tipo una barriera. Cioè, tu non ti vuoi proprio fare capire.>>
Il commento new age e quasi corretto che giunse a sottolineare quanto detto da Patrick fu quasi esalato dalla vocetta flautata di Lola Lovegood-Longbottom, i cui genitori dovevano avere una vera passione per l’allitterazione, e che aveva il musetto da animale stralunato nascosto sotto strati di lana eco di alpaca sputasentenze tibetano.
<< Sì, Lola. Perché sono una sociopatica paranoica, d’accordo? E voi non esistete; vi ha fabbricati il mio cervello perché potessi non sentirmi troppo sola nelle lunghe notti invernali…>>
<< Teoria affascinante ma poco coerente. Non si spiegherebbe perché nelle lunghe notti invernali Patrick tenda a dileguarsi per sgusciare nel letto di Castor Belmont.>> L’affermazione semi-categorica di Thelma pose fine a una conversazione che minacciava di volgere al brutto, e ebbe il pregio di una sincronia quasi perfetta con l’arrivo dell’antipasto.

La gelatina alle more del dessert ondeggiava già sui piatti di porcellana quando il preside percosse il parquet con uno zoccolo, sollevandosi piano dal giaciglio che gli era stato preparato al posto centrale del lungo tavolo dei professori.
L’attenzione si spostò su di lui con l’acquietarsi del brusìo generale, e Mary Sue non potè fare a meno di pensare che Fiorenzo –senza cognome, perché era un centauro-, il cui accesso alla cattedra di preside aveva fatto tuonare i benpensanti e salutare gli altri all’alba di una nuova era, quel ruolo ce l’avesse nel sangue.
<< So quanto poco vi piacciano i discorsi di benvenuto, e spero teniate ben presente che nemmeno io vi sono particolarmente devoto. Cercherò di essere il più breve possibile.>>
Alcuni Serpeverde ridacchiarono, altri accennarono a un applauso. Flegias Houdini si tamponava gli angoli degli occhi con un tovagliolo bordato di verde, provocando l’ilarità un po’ civetta di una bionda poco distante.
<< Vorrei prima di tutto augurare un buon anno scolastico agli studenti del primo anno, e ricordare loro che chi non osserverà diligentemente le regole e le consegne dei compiti sarà vittima di una violenza inaudita..>>
Pausa di terrore che vibrò nella sala ammutolita, prima che il magnanimo professor Ruf si decidesse a prorompere in un risolino isterico, contagiando l’intera sala grande.
L’umorismo quadrupede non era sempre ben comprensibile.
<< …Agli studenti più anziani dico Bentornati. Mi sembra inoltre opportuno rendervi partecipi di un cambio nell’organico dei docenti, che ad ogni modo avrete di certo notato.>>
In realtà non l’aveva notato nessuno; erano tutti troppo impegnati a chiaccherare animatamente, passarsi il burro e parlare con la bocca piena delle ragazze conosciute durante l’estate, ma l’assenza del professor Vitious si fece palese quando la mano di Fiorenzo si allargò in un gesto ampio, sottolineando la presenza dell’uomo esile seduto al fianco di Anita Draculia, colei che con i suoi cinque anni in cattedra era l’insegnante Difesa contro le arti oscure più longeva della storia di Hogwarts.
Semioscurato dalle forme procaci della vampira rumena, stava un piccolo uomo cinese.
Vestito all’occidentale, era giovane ma di una gioventù senza tempo; aveva gli occhi lucidi e vivissimi, e sembrava scrutare la sala come se non vedesse i singoli volti: coglieva la totalità, in un modo strano e però quieto.
Portava occhiali sottili, ovali e dalla montatura dorata, e i capelli lunghi e lisci, lucentissimi, erano raccolti in una coda bassa e ordinata che gli scendeva dolcemente lungo la schiena. Aveva il pizzetto come i saggi di quelle xilografie cinesi, e quasi ci si aspettava che da un momento all’altro tirasse fuori un gong e cominciasse uno spettacolo acrobatico.
<< Come certo alcuni di voi sapranno, il Professor Vitious ci ha lasciato improvvisamente durante l’estate…>>
Altra pausa imbarazzata sottolineata da qualche scoppio di singhiozzi, prima che il buon centauro si decidesse a concludere la frase.
<< …Per dedicarsi interamente al sogno della sua vita, la redazione degli annali di Hogsmeade dal 1238 a oggi.>>
Sospiro sollevato dell’intera sala grande e occhiataccia della professoressa Draculia.
<< Al suo posto, vi prego di dare un caloroso benvenuto al professor Fang Liu, il vostro nuovo insegnante di incantesimi!>>
Il piccolo uomo cinese si alzò lentamente e fece un sorriso cortese, rivolto metà a Fiorenzo e metà alla sala. Si inchinò rispettosamente con le mani giunte davanti a sé, e malgrado tutti si aspettassero un discorso si limitò ad arricciare il naso in silenzio.
Rimase fermo a guardarli fisso per un paio di estenuanti minuti, e solo quando un paio di Grifondoro presero a schiarirsi la gola e dal tavolo dei Tassorosso prese a levarsi un applauso di incoraggiamento, solo allora qualcosa successe.
Una puzza come di zolfo si siffuse nell’aria profumata di stufato e patate al forno, e le gelatine nei piatti di studenti e professori lievitarono e levitarono. Presero a girare vorticosamente su se stesse diffondendo il panico in sala, e dopo essersi gonfiate come enormi meduse scoppiarono a mezz’aria col rumore tipico e allegro dei fuochi d’artificio. Ricaddero sui tavoli in fiocchi leggeri e impalpabili di zucchero a velo viola, catalizzando l’attenzione mentre nei piatti apparivano dolcetti tondi e fragranti.
L’applauso questa volta fu generale e colmo di approvazione; scrosci di mani e di risa si diffusero virulenti fra i tavoli, e presto il nome del professor Fang fu sulla bocca di tutti, insieme ai suoi pasticcini al loto.
L’oggetto di tanta ammirazione, per tutta risposta, si inchinò nuovamente e sorrise e riprese posto fra la professoressa Draculia e il professor Longbottom, la prima che scuoteva la testa di fiera disapprovazione e il secondo che prendeva a stringergli calorosamente la mano, mentre l’altra esibiva ancora un pollice sollevato in direzione della figlia.
Pochissimi ci fecero caso, ma Mary Sue notò che il professor Fang aveva un’aria molto dolce, qualcosa che faceva pensare all’innocenza. Non c’era traccia di cinismo nel suo sorriso, e la ragazza sorrise a sua volta e non si accorse che il suo sguardo era stato intercettato da Al Potter, che le fece l’occhiolino e sicuramente pensava che fosse una scema.
Avvampò e tuffò il naso nel suo dolcino, e per tutta la conclusione della cena –che per fortuna volgeva al termine- non la si sentì più dire una parola.

<< Io odio Al Potter.>>
Quando Lola riuscì finalmente a cavarle una parola di bocca, fu tutto quello che ebbe a dichiarare circa il suo mutismo momentaneo.
Si erano arrampicati sulla torre di Corvonero subito dopo cena, e dopo giubilanti momenti di chiacchere assortite nello splendore della sala comune avevano preso la saggia decisione di chiudersi nel dormitorio femminile, Patrick incluso, perchè Mary Sue era sparita poco dopo l’incidente del dessert e non poteva che essere lì.
Come da programma l’avevano trovata sul letto, rigida come uno stoccafisso e con le braccia incrociate sul petto a fissare il tetto, e dopo numerosi, inutili tentativi di rianimazione Lola aveva deciso per la tortura e aveva preso a solleticarla insistentemente, cosa che aveva appunto indotto Mary Sue alla chiarificante affermazione di cui sopra.
<< Mi sembra una novità essenziale.>>
Fu il commento della ragazzetta esile ancora accovacciata su di lei.
<<…Credo che gli piaccia.>> Questa era Thelma, che si limava le unghie sul pavimento con  la schiena appoggiata al letto. E proprio quando Mary Sue stava per prorompere in una piccata difesa della sua inaccessibilità al genere maschile, fu Patrick a rompere il silenzio, un flacone di smalto rosa in una mano e uno blu nell’altra.
<< Ma questo è assolutamente impossibile. Ha detto a Ron Cowen, che ha detto a Cumberlaine Harris, che ha detto a Castor che ha detto a  me... >> E qui ci fu una pausa perché il congestionato Patrick riprendesse fiato. <<…Che non avrebbe mai, mai chiesto a Mary Sue di uscire nemmeno per tutto l’oro del mondo.>>
<< Io odio Al Potter!>>
Stavolta il coro fu collettivo, e in contemporanea.





Come avrete notato, in questo capitolo non succede assolutamente nulla.
Ad ogni modo, c'erano personaggi che mi faceva piacere farvi conoscere. Nel caso vi steste chiedendo che fine abbia fatto la timeline ufficiale... Beh, vi confesserò che sono un'inetta.
Non sono bravissima a fare ricerche su internet; fondamentalmente sono quasi convinta di non aver scritto nulla che fosse in contrasto con la linea del tempo semiufficiale del lexicon; nel caso ci fossero errori, potete scegliere di fare uno sforzo di gentilezza e ometterli o di fare uno sforzo di onestà e farmeli sapere, così che possa porvi rimedio. Grazie mille!
Procedo qui sotto a rispondere ai commenti, come vuole il rituale (e poi perchè mi fa spudoramente piacere che abbiate letto questa cosa °w°).

DiraReal: Troppi complimenti potrebbero causarmi un bug ai circuiti-davvero. Più ch montarmi la testa, mi eplode, proprio. Sono lusingata, e credo di averti già detto che essendo la scrittrice meravigliosa che sei, non posso che essere ancora più onorata. Posso approfittare di questa sede per scusarmi del ritardo nel leggere e commentare la tua fanfiction? Mi è rimasta in sospeso, ma colmerò presto il vuoto! °w°

Angel666: Sono contenta che la trovi originale! E sono contenta che tu abbia apprezzato il tentativo di ironia. Spero che resterai con noi, anche se no, non ho aggiornato in fretta ç__ç

altovoltaggio: Credo che il tuo sia il complimento migliore che si possa fare a un'aspirante scrittrice. Non hai idea, avrò riletto il tuo commento tre volte prima di convincermi che no, non avevo capito male. °3° Inoltre mi fa piacere che tu abbia considerato la storia banalotta: era il mio intento primario, in realtà! No, non mi sto arrampicando sugli specchi. E' che speravo che avesse quel sapore un po' speniserato delle commedie tipo My Fair Lady. Inoltre, la trama è un omaggio spero non così vago a un certo romanzo di una certa Jane Austen, che è inevitabilmente l'archetipo delle commedie romantiche, e-e beh, questo. Spero che sarai di nuovo qui a commentare; ci tengo davvero al tuo parere.

Un grazie, grazie di cuore a tutti gli ammiratori (?) nell'ombra, a chi segue e a chi preferisce: mi fate felice! °3°



(DiraReal merita una menzione speciale in quanto mia salvatrice. Uso Nvu, ma avevo dimenticato di controllare tutti gli errori di battitura. Come tutte sappiamo, le parentesi uncinate senza spazi eliminano il loro stesso contenuto, e-beh, ecco spiegato il motivo. Grazie mille per avermi avvertita! Spero che non ci siano più imbarazzanti imprevisti. Ehm, ecco a voi il secondo capitolo, reloaded.)



Ritorna all'indice


Capitolo 3
*** In cui le pozioni stimolano la fraternità fra case. ***


mary DISCLAIMER: Non sono miei, non sono miei! O meglio. I personaggi belli e i luoghi ben descritti sono di mamma Row. Quanto al resto, beh, suppongo che sia opera mia.
Becatevi questo! Direi che sto migliorando coi tempi dei post, e direi anche che la storia forse, forse comincia a delinearsi. Ci vediamo sotto!



(Mary) sue me!
Capitolo tre: in cui le Pozioni stimolano la fraternità fra case.


Le prime due settimane di scuola erano passate in quell’incredulità canonica di quando si viene catapultati nella routine dopo tre mesi di letture al sole e frullati gelati.
Avevano portato via con sé l’estate e tutti i racconti; quando si torna a scuola, già una settimana dopo è chiaro per tutti che l’estate non è mai esistita.
Il freddo gelido e insolito era digradato in un tepore più propriamente settembrino, un caldo un po’ impastato che rotolava verso l’Autunno con le ultime gocce di pioggia del pomeriggio, e tutti si erano adeguati a quel clima clemente presentandosi in lezione in maniche di camicia, e approfittando dei rari momenti di sole per stravaccarsi sull’erba del prato davanti al lago.
Mary Sue non faceva eccezione a questa regola. Le maniche arrotolate sugli avambracci e i capelli raccolti in una crocchia un po’ rigida da vecchia istitutrice, caracollava per i corridoi sotto il peso di una tracolla colorata che tintinnava di boccette e flaconi. Era in anticipio per la lezione di pozioni, e si stava prendendo il suo tempo, camminando un po’ svagata nella perfetta solitudine dei corridoi freschi che portavano ai sotterranei; stringeva al petto tre o quattro grossi volumi che il professore le aveva prestato per l’estate, e che aveva puntualmente divorato in una settimana.
Pozioni era la sua materia preferita; persino doverla frequentare da sola non le dispiaceva, dopo che i suoi amici si erano categoricamente rifiutati di proseguire uno studio così complicato e inutile e-e maleodorante, sì, dopo i G.U.F.O.
Quanto a lei, si era meritata una O e l’approvazione generale, e un articolo sulla sua brillante esecuzione della Pozione Inibisciacne sull’Urlo di Hogwarts, che poi era il giornaletto della scuola e la redattrice era Lola e non c’era così da stupirsi.
Tutti, o meglio, tutti quelli che avevano avuto l’onore di essere informati dei suoi piani, sapevano che dopo la scuola avrebbe seguito un master in Cina per studiare con i migliori alchimisti del mondo, e poi sarebbe diventata un’autorità in quel campo e chissà-magari avrebbe potuto insegnare a Hogwarts, come il famoso Severus Piton e come il professor Mjollnir.
Stava appunto vivendo nella sua testa il momento di gloria in cui Fiorenzo la presentava agli alunni con un gesto ampio del braccio e un sorriso stentato, quando un forte colpo alla spalla interruppe il suo discorso di benvenuto, un accorato elogio dell’arte sottile delle pozioni.
Perse l’equilibrio e lo riprese, ma un tonfo secco la avvertì che i libri del professore erano rovinati a terra, scompaginati e miserrimi ma miracolosamente intatti. Si lasciò sfuggire dalle labbra un’imprecazione, a prescindere; poi lanciò un’occhiataccia supplementare alla saetta bionda che l’aveva travolta.
La saetta in questione l’aveva superata, incapace di frenarsi nella sua folle corsa. Poi doveva avere sentito il tonfo anche lui, perché si era bloccato come congelato, e poi si era voltato verso di lei con un’aria solerte e un’implorazione di perdono scritta negli occhi grigi. Si era inginocchiato e le aveva sorriso, e a Mary Sue si erano appannati gli occhiali.
La saet-Scorpius Malfoy, visto da vicino, aveva il sorriso più bello del mondo. E Mary Sue era appunto intenta in queste amene considerazioni quando la mano di lui sfiorò la sua casualmente, nel porgerle Pozioni mediche: gotta, emorroidi e altri orrori. Il tremito lieve fu d’obbligo, così come un borbottìo di scuse che altrimenti non le sarebbero mai sfuggite.
Contro ogni aspettativa, Scorpius le sorrise ancora: probabilmente voleva punirla con un infarto per quel suo atroce peccato di essersi trovata sulla sua strada.
<< Scusa. Temo di non aver calcolato bene le distanze fra te e il muro. Probabilmente sono solo ingrassato…>>
Mary gli perdonò l’assoluta mancanza di alcunchè senso dell’umorismo: aveva capelli bellissimi mentre se li scuoteva dagli occhi e si alzava in piedi, e la voce grave e un po’ vibrante di un fumatore convinto; in più le tendeva la mano, aspettandosi-perbacco!, aspettandosi che lei la prendesse.
Cosa che la nostra eroina fece, beninteso. Dopo dieci secondi di interminabile imbarazzo, e solo quando la minaccia dell’iperventilazione fu debitamente sventata.
<< F-figurati. Non stavo guardando, è colpa.. Cioè, è colpa tua, ma io dovevo essere più-oh, non, non volevo dire che era colpa tua, io->>
<< Mary Sue.>>
E poi, pronunciò ilsuo nome. La prima idea che frullò nella testa di Mary Sue fu che non sembrava così orribile, pronunciato così, con quell’inflessione nobile e quel ghigno serafico, e quell’aria come a dire “calma, tesoro”. Poi l’irrealtà della scena la colpì di sorpresa: insomma, Scorpius Malfoy sapeva il suo nome. Scorpius Malfoy che a Hogwarts tutti conoscevano e che era bello come il sole.
Si convinse di essersi beccata un trauma cranico, e decise di dare poco peso a quell’allucinazione visiva.
Stava appunto per fare un gesto vago con la mano e schiaffeggiarsi, quando un altro sorriso di Scorpius “raggio-di-sole” Malfoy la investì in pieno volto, con tutta la luminescenza di quei denti perfetti e un po’ aguzzi. Oh, aveva una mascella bellissima.
<< Mary Sue, stai bene?>>
Domanda superficiale: era ovvio che stesse male, molto, molto male. C’era chi dopo una botta in testa vedeva gli uccellini. Evidentemente lei doveva appartenere all’altra categoria di persone, quelli che sentono il loro nome pronunciato dal bello della scuola.
Dovette ripeterlo, poi sfiorarle la testa con un buffetto. Forse- non era più sicura delle sue impressioni.
<< Devo andare, adesso; dovevo parlare con Mjollnir prima della lezione e se arrivo in ritardo mi ammazza.. >>
Scorpius Malfoy scosse di nuovo la testa, e di nuovo fili d’oro catturarono i raggi fiochi del sole; poi le voltò le spalle e si allontanò, e lei rimase paralizzata in mezzo al corridoio per un paio di minuti buoni, prima di prendere a correre come una forsennata verso i sotterranei; poco ci mancava che arrivasse in ritardo alla lezione.

<< …E per questo, non consiglierei di ingerire una radice di Macrobonio.>>
I Serpeverde e i Corvonero prendevano appunti forsennati nei sotterranei umidi e profumati di pozioni appena fatte. Quanto ai Tassorosso, non ce n’erano.
L’unico esemplare di Grifondoro presente in aula se ne stava gomito a gomito con Mary Sue, e rimestava lentamente il contenuto di un calderone pesante di ghisa, qualcosa di verde che ribolliva a fuoco lento. Guardava un po’ il professor Mjollnir un po’ il libro aperto davanti a sé, e aveva i capelli mossi e neri che gli si appiccicavano alla fronte, la punta della lingua appena penzolante dalle labbra: sembrava un cane anoressico con delle orecchie molto flosce.
<< Potter, potresti metterti un cerchietto, la prossima volta.>>
<< ..Dici che il transessuale sarà la moda dell’inverno?>>
<< Dico che voglio che la mia pozione induca euforia, Potter, non il disgusto che sarebbe d’obbligo, se ci finisse un tuo capello lurido.>>
<< Credevo fosse la nostra pozione, Dashwood.>>
<< Ancora quella storia della fraternità fra case?>>
Si chinò sul pentolone inspirandone a fondo l’odore un po’ acre; quando sentì che non profumava di terriccio o di Grifondoro sudato si convinse definitivamente che no, non avrebbe corso alcun rischio.
In via del tutto cautelativa, però, aggiunse del gelsomino triturato alla mistura, cosa che le guadagnò un’alzata di occhi al cielo da parte di Potter.
<< Signorina Dashwood, gradirei che si fermasse a parlare con me alla fine della lezione.>>
Si ricordò di ringraziare mentalmente Lola per averle insegnato quell’incantesimo isolante perché i vapori non le facessero appannare gli occhiali; era certa che lo sguardo azzurro e penetrante di Mjollnir l’avrebbe trapassata da parte a parte, se non si fosse praticamente tuffata nel calderone per evitarlo.
<< S-signorsì, Professore.>>
Doveva essere per il borbottìo di imprecazioni confuse che esalava da lei e Potter. Doveva essere perché i libri che gli aveva posato sulla scrivania con la solita malagrazia si erano rovinati nella caduta… Doveva essere perché aveva deciso che c’era un errore, e improvvisamente non era più la sua alunna preferita, la più talentuosa esecutrice di pozioni di Hogwarts.
Quanto a questa affermazione – un’affermazione mentale, ovvio-, a rigor di logica bisogna dire che non era neppure troppo veritiera. Perché sebbene Mary Sue fosse la ragazza  più talentuosa del suo corso di pozioni, c’erano altri due concorrenti al ruolo di miglior studente di pozioni di tutti i temp- dell’anno.
Uno si trovava di fianco a lei, e Mary Sue proprio non capiva com’era che Albus Severus Potter fosse così dannatamente bravo in una materia che richiedeva cervello prima di tutto. Al quinto anno aveva deciso che tutta la sua abilità doveva venirgli dagli influssi positivi del suo secondo nome, ma non si poteva dire che se ne fosse fatta una ragione.
Il secondo aspirante mago era una vista decisamente più piacevole.
Elegantemente reclino sul suo calderone, Scorpius Narcissus Malfoy aveva le guance appena rosate dal calore della pozione. Impercettibili gocce di vapore acqueo gli si erano condensate sulla fronte alta, e doveva essersi infilato una mano fra i capelli per riavviarli, perché gli si erano sistemati in quel modo strano e terribilmente affascinante.
Aveva le maniche della camicia arrotolate sui gomiti, vene guizzanti sugli avambracci in cui scorreva sangue più blu del cielo, e Mary si morse la lingua per quella similitudine orrenda che doveva aver letto in qualche romanzetto rosa. Ad ogni modo, aveva muscoli leggeri e un bracciale di conchiglie attorno al polso sottile, e il colore vagamente ambrato di un’abbronzatura tropicale che andava sparendo. La cravatta allentata, aveva le labba strette per la concentrazione: gli era stata assegnata la preparazione della Pozione Cuorcontento, che era complessa quanto inutile.
In effetti, e qui la nostra eroina si riebbe dalla sua ammirazione grazie a un pugno che Potter le affibbiò sulla spalla, in effetti, a ben pensarci, non è che Draco Malfoy fosse più un avversario temibilissimo.
Dalla prima lezione dell’anno non ne aveva combinata una giusta, ed era finito in fondo alle classifiche del talento a Pozioni con la velocità impressionante che una sfiga assoluta poteva conferire.
Aveva fatto esplodere calderoni, tinto i capelli di Mjollnir di fucsia e si era trasformato in un cardellino. Al test di ingresso aveva avuto un Orribilmente Insufficiente: solo Molly Floppy aveva fatto di peggio, e Molly Floppy era scema e frequentava quelle lezioni solo per vedere lui, insomma.
Mary Sue emise uno sbuffo contrito mandando indietro una ciocca di capelli umidicci, poi lasciò cadere una goccia di asfodelio nella sua pozione.

Un alzarsi graduale della soglia del rumore inversamente proporzionale al livello della soglia dell’attenzione segnalò la fine della lezione.
Mjollnir era passato fra i banchi e aveva approvato e denigrato pozioni le cui tonalità andavano dal vivace all’inquietante; aveva sorriso ad Al Potter e scosso gravemente la testa quando era toccato a Scorpius Malfoy. La pozione di Molly Floppy non l’aveva neppure controllata: lo stato pressocchè solido che aveva raggiunto lasciava sperare ben poco, del resto.
Mary raccattò i suoi libri e le sue boccette personali –mai, mai andare in giro senza un po’ di girillacco, e si agganciò la tracolla della borsa alla spalla. Emise un mezzo sospiro e lasciò andare lo sguardo sulla schiena di Scorpius Malfoy che si allontanava, e stava per ingaggiare una lotta di sguardi con Potter e varcare l’arco dei sotterranei quando la grossa mano vichinga di Mjollnir la bloccò sul posto, posandosi sulla sua spalla con una cautela che non la rendeva un minimo meno pesante.
<< Dove crede di andare, signorina Dashwood?>>
Il tono nella voce dell’omone biondo non prometteva niente di buono, e la ragazza gli dedicò un sorriso particolarmente contrito e vago, a metà fra il copevole e l’inconsapevole. Anche perché era certa di aver combinato qualcosa, ma cosa fosse quel qualcosa non ne aveva idea.
Detestò particolarmente il fatto che Albus Potter fosse ancora lì e non manifestasse la minima intenzione di schiodarsi senza un valido motivo, e non ebbe alcun dubbio sul fatto che volesse godersi la scena per raccontare un po’ in giro di come la pupilla del professore fosse stata umiliata davanti ai suoi occhi.
<< Potter, fuori di qui.>>
..Aveva già detto che amava Mjollnir e il suo senso tutto scandinavo della privacy?
La schiena di Potter che usciva dall’aula fu una vista quasi più piacevole di quella del ben noto Serpeverde, e Mary Sue si sentì più leggera e bendisposta, quando si appoggiò sul banco più vicino alla cattedra per ascoltare Mjollnir. Che, del tutto inaspettatamente, le sorrise il suo bel sorriso. Gli si formavano delle rughette deliziose agli angoli degli occhi azzurri quando sorrideva, notò distrattamente la nostra eroina.
<< Non stia tutta impaurita, Dashwood. Non ho nessuna intenzione di riprenderla per aver macchiato di the il saggio sui mille usi del girillacco che le avevo prestato.>>
L’aveva macchiato di the? Mary si concesse un momento di puro orrore prima di ridacchiare, stringersi nelle spalle, e accennare a un “ops” fugace fissando intensamente le punte delle sue scarpe.
<< Volevo parlarle di Scorpius Malfoy, piuttosto.>>
Che uomo perspicace! Aveva capito tutto di quella sua cottarella senza nessuna importanza e si preoccupava per lei! Voleva rassicurarla, probabilmente voleva darle qualche consiglio, suggerirle di orientarsi verso qualcosa di più facile, comunicarle che tutti se n’erano accorti, provvederla di un biglietto di sola andata per la Kamchatka…
<< Professore, non deve assolutamente preoccuparsi per me. Ho la situazione sotto contr..>>
<< Allora è già stata messa a parte della mia decisione.>>
<< La Kamchatka è un luogo molto freddo, la prego di volere orientarsi verso climi più miti!>>
<< ..Di cosa stai parlando, Dashwood?>>
Il professore era così perplesso e- divertito, anche, che dimenticò di usare il lei, troppo impegnato a emettere un borbottìo come una risata dal naso.
Mary Sue battè il suo record di maledizioni mentali al secondo, e si ripromise che quell’anno avrebbe dovuto fare qualcosa per la sua tendenza poco opportuna alla diarrea verbale nei momenti di tensione.
<< Non- pensavo ad alta voce, professore. La prego di avere pietà di me e-e continuare.>>
Mjollnir le scoccò un altro sorriso e uno scuotere lieve della testa, che gli spostò i capelli lunghi e biondi sul petto. Non era difficile credere alla voce che avesse una storia con la professoressa Draculia: aveva abbastanza fascino da rendere plausibile l’ipotesi che la vampira si fosse innamorata di lui. Per dirla con Patrick, Mjollnir sembrava una rockstar.
<< Trovo che sia un vero peccato, perdere così un talento come il suo. Quel ragazzo è fenomenale, e credo che sia semplicemente un po’- err- distratto.>>
<< Non.. Sta andando troppo bene, vero?>>
Mary fece un tentativo, cercando di capire dove volesse andare a parare. Per tutta risposta, Mjollnir osservò malinconicamente le punte ancora fucsia dei suoi capelli.
<< E’ molto diplomatica, signorina Dashwood, ma direi che ha varcato la soglia del “non sta andando troppo bene” tre lezioni fa.>>
<< Non vorrà escluderlo dal corso avanzato.>>
L’aria agghiacciata e trepida nella voce di Mary Sue dovette convincerlo a parlare chiaro, una volta per tutte.
<< No, Dashwood. Vorrei che lei gli desse ripetizioni.>>
Il mondo era un posto meraviglioso e pieno di giustizia: i fuochi d’artificio che avevano cominciato a esploderle in testa sembravano approvare.
E poi i fuochi d’artificio irruppero nella classe in un tornado rosso e oro e inferocito.
<< Professore, non può, non può fare una cosa del genere!>>
<< Potter, stava origliando, per caso?>>
Un moto di sincera devozione nei confronti del professore fu necessario: riusciva a mantenere la calma in un momento del genere, insomma. Quanto a lei, avrebbe volentieri tirato il collo al Grifondoro che stringeva i pugni davanti a lei.
<< Io- non.. Forse!>> Ammise. << Ma resta il punto che è una cosa- insomma..!>>
<< Mi sembra che il professore sia più che qualificato a prendere decisioni del genere, Potter.>> E qui Mary cercò di isinuare in quel cognome quanto più disprezzo potesse. Arrivò quasi a ringhiarlo, le braccia conserte.
<< Non mi dirà che è geloso.>> Proseguì Mjollnir, imperturbabile.
<< E di chi?>>
Beata innocenza. Albus esalò quella domanda con gli occhi spalancati, le labbra socchiuse e-era un tic nervoso, quello?
<< Ma di Malfoy, ovviamente. Che bella cosa, siete come Romeo e Giulietta.. O come Romeo e Mercuzio. Oh, beh. Ad ogni modo, bastava che me lo dicesse, che voleva essere lei a dargli ripetizioni.>>
Adesso Albus Severus Potter era congestionato. Borbottò qualcosa e arrossì fino alle orecchie e subì il risolino perfido di Mary Sue, poi si piazzò accanto a lei lasciandosi cadere sul banco.
<< Mi sembra un no. Allora è deciso. Dashwood, sono sicura che sarà all’altezza del suo compito. Quanto a lei, Potter, temo che dovrò togliere cinque punti a Grifondoro. Questo suo atteggiamento non incoraggia affatto la fraternità fra case.>>
Decisamente, nel patrimonio genetico dei Potter doveva essere marchiata a fuoco la capacità di fare togliere punti alla propria casa.




SALUTI, BACI E ABBRACCI: Eh, beh. Anche il terzo è finito. Vedremo di non farvi aspettare troppo per il quarto, sono certa che quegli sbadigli esprimano eccitazione. Vero? Vero?
Al solito, vorrei ringraziare chi legge e chi segue e chi preferisce.
Al solito, vorrei ringraziare meglio chi recensisce, perché si sa, sono raccomandati.

DiraReal: Non credo che ti ringrazierò mai abbastanza per avrmi fatto notare i problemi nell’html. Ti promuovo mia beta ad honorem: non dovrai fare nulla che non sia cazziarmi per la mia palese inutilità.
altovoltaggio: Grazie per essere rimasta con noi! Non hai idea di quanto mi faccia piacere rivederti, e… E beh, suppongo che presto sarà la fanfiction stessa a spiegarti lo strano caso della Austen citata, quindi mi diverto a non svelarlo. Anche perché poi si capirebbe dove voglio andare a parare, eh!

Termino comunciandovi che le “rughette delizose” che si formano intorno agli occhi di Mjollnir non sono altro che una citazione dal Favoloso mondo di Amélie, e che-devo proprio dirvelo, non riesco a trattenermi… Io Mjollnir me lo immagino così.

Ritorna all'indice


Questa storia è archiviata su: EFP

/viewstory.php?sid=435158