Crossover

di Novelist Nemesi
(/viewuser.php?uid=60274)

Disclaimer: Questo testo proprietà del suo autore e degli aventi diritto. La stampa o il salvataggio del testo dà diritto ad un usufrutto personale a scopo di lettura ed esclude ogni forma di sfruttamento commerciale o altri usi improri.


Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Chapter One ***
Capitolo 2: *** Chapter Two ***
Capitolo 3: *** Chapter Three ***
Capitolo 4: *** Chapter Four ***
Capitolo 5: *** Chapter Five ***
Capitolo 6: *** Chapter Six ***
Capitolo 7: *** Chapter Seven ***
Capitolo 8: *** Chapter Eight ***
Capitolo 9: *** Chapter Nine ***
Capitolo 10: *** Chapter Ten ***
Capitolo 11: *** Chapter Eleven ***
Capitolo 12: *** Chapter Twelve ***
Capitolo 13: *** Chapter Thirteen ***
Capitolo 14: *** Chapter Fourteen ***
Capitolo 15: *** Chapter Fifteen ***
Capitolo 16: *** Chapter Sixteen ***
Capitolo 17: *** Chapter Seventeen ***
Capitolo 18: *** Chapter Eighteen ***
Capitolo 19: *** Chapter Nineteen ***
Capitolo 20: *** Chapter Twenty ***



Capitolo 1
*** Chapter One ***


Mi chiamo Daphne. Ho 20 anni, ormai sulla soglia dei 21, non mi sento affatto vecchia ma capisco che ormai è finita l’era degli adolescenti. Studio a Roma, faccio l’università, fotografia. La fotografia è la mia passione, datemi una macchina fotografica e mi farete felice per il resto della mia vita.
Un’altra cosa che mi fa felice è il mio giro di amici. Non lo do molto a vedere, ma con loro mi diverto tantissimo.
Sono una persona piuttosto riservata e anche indifferente. Mi piace la cultura, informarmi, ma nei confronti di certe cose sono molto… Amorfa.
La musica che ascolto è principalmente indie rock e grunge. Ma non ho voglia di stilare i nomi dei gruppi che ascolto, altrimenti sembra che faccio la lista della spesa.
Nelle mie foto adoro ritrarre paesaggi e dettagli.
Comunque.
Volevo approfittare di questa introduzione per snocciolare qualcosa di me.
Ma non è questa la ragione per cui scrivo.
È che sto per scrivere una storia vera. Lo assicuro, tutta vera.
E visto che sono piena di ispirazione, ci darò anche un titolo.
Crossover.
Sì, Crossover va più che bene.
Capirete poi il perché.

Daphne se ne stava seduta all’angolo, al solito posto, mentre leggeva un libro di Coelho. Gliel’avevano commissionato all’università per un esame, ma non le dispiaceva, considerava Coelho un grande scrittore. Sorseggiava una spremuta d’arancia mentre attendeva l’arrivo del suo fidanzato.
C’era molto silenzio, che la accompagnava nella lettura. Era un posto accogliente: piccolino, dalle pareti scure con delle foto di artisti degli anni 60 e 70, i tavolini piccolini molto vicini tra loro insieme ai piccoli sgabelli. Una piccola parte della sala era libera per far spazio ai complessi musicali che si esibivano spesso la sera. E per finire, un piccolo bar che offriva cocktail di ogni tipo, il barista e proprietario era molto gentile e alla mano, conosceva mezzo mondo e si faceva aiutare solo dalla figli.
Insomma, per la ragazza quello era un posto fantastico, una seconda casa che frequentava con altri “coinquilini”, ovvero i suoi amici.
Talmente persa nella lettura, non si accorse che la persona che aspettava era arrivata, la quale non apprezzava essere ignorata per un libro. Le diede una botta in testa con una rivista, al che la ragazza alzò lo sguardo scattando e irrigidendosi.
-Quando sei arrivato?-
-Bentornata sulla Terra, tesoro-
-Bastava chiamarmi, Chad-
Chad, il fidanzato di Daphne, era un tipo amichevole e che cercava di vivere senza troppi crucci. Frequentava anche lui l’università, faceva lavori di grafica. Aveva conosciuto Daphne sulla metro, facevano sempre lo stesso tragitto e da cosa nasce cosa. Lui era un tipo che non aveva difficoltà a rapportarsi con gli altri, ed era stato subito affascinato da Daphne.
Daphne metteva ora il libro nella tracolla, sistemandosi la sciarpa e il cappotto invernale targato Vans.
-Bene, andiamo?- disse lei facendosi strada tra gli sgabelli. Salutò poi con un sorriso il proprietario del locale, che chiamavano tutti affettuosamente Al.
-Ci vediamo, Al!-
Camminavano, tenendosi per mano, lui scherzando sul più e sul meno, e lei ascoltando attentamente e rispondendo con sarcasmo alle sue battute. Teneva molto a lui, non la faceva mai sentire sola e soprattutto c’era sempre nel momento del bisogno. Era sempre pieno di premure per lei, addirittura sapeva quando le sarebbe venuto il ciclo. Insomma, fino a sfiorare la patologia, ma lo amava anche per questo.
Arrivarono a destinazione: davanti a un albero di Natale addobbato con fiocchi, stelle filanti, palline e stelline. Era alto circa 15-20 metri, e più in basso, ad altezza uomo, erano state attaccate con delle mollette delle lettere, da bambini e non solo. I bambini credevano di scrivere sul serio a Babbo Natale, i grandi scrivevano solo le loro speranze e i loro auguri verso qualcuno in particolare.
-Ecco qua. Ci siamo fatti una bella camminata, ma per cosa?-
-Te l’ho detto, Chad. Devo attaccare una lettera-
-Oh ooooh…- lui l’abbraccio e le lanciò uno sguardo d’intesa –Devo intuire qualcosa di speciale per me?-
-Sì, sì, convinto- rispose lei con sarcasmo. Si districò da lui e attaccò la lettera.
-Guai a te se torni qui di nascosto e la leggi-
-Non mi azzarderei mai, tesoro- Chad le riprese la mano e insieme presero la strada per la metropolitana.
Lei non gli disse mai cosa aveva scritto sulla lettera. E comunque, non ne ebbe più occasione.
Passarono due giorni.
Daphne viveva da sola in un piccolo monolocale, in un quartiere appartato e tranquillo. Il vicinato era il classico pettegolo, anche quando si trasferì lì le voci girarono piuttosto in fretta.
La sveglia la riportò nel mondo reale, si alzò tranquillamente, fece una colazione veloce e andò a fare la doccia. Accese lo stereo che a volume discreto mandò nell’aria le note delle canzoni dei Foo Fighters.
Coperta per bene dal freddo che si preannunciava quella mattina, uscì di casa, e subito vide le vicine spettegolare. Già di prima mattina.
-Buongiorno, Daphne. Anche oggi università?-
-No, ci vado solo per incontrare un’amica che deve vendermi un libro-
-Stai attenta, girare da sola ormai è diventato pericoloso-
Lei fece una faccia curiosa.
-Hai visto il tg stamattina?-
-Ehm… No… E’ successo qualcosa?-
-Oh, dio ce ne scampi!- disse una delle signore –E’ morto un ragazzo, sgozzato nella sua camera da letto, ma non sembra una rapina-
Daphne sbuffò –Signore, non vorrei traumatizzarvi, ma cose come queste ormai sono all’ordine del giorno-
-Il colpevole ancora non si trova-
-Se anche l’avessero preso state certe che sarebbe libero nel giro di 48 ore- disse Daphne con un sorriso amaro –Ora vi saluto, signore-
Le sue vicine si spaventavano per qualunque cosa. Bè, sì, c’erano molti pericoli, ma ora avrebbe dovuto rinunciare alla sua vita per cose come queste? E poi sarebbe stato inutile, ormai la gente ti viene a sgozzare anche se non gli dai una sigaretta. Lei c’aveva fatto presto l’abitudine, aveva 20 anni e non era stupida.
Certo, però… Poverino. Sgozzato. Orribile. E se non era per rapina, per cos’era? Voleva vedere qualche informazione in più, avrebbe comprato il giornale.
Difatti già si era buttata nella lettura nella metro. Stava in piedi, tenendosi in equilibrio aggrappandosi a un palo. Dall’articolo sembravano stranieri (o almeno presunti tali) che volevano occupare la casa. Molto approssimativo. Daphne sospirò, piegò il giornale e se lo mise nella borsa.
Alla fermata successiva perse leggermente l’equilibrio, andando a sbandare con un uomo coperto da un cappotto. Lui si girò leggermente.
-Le chiedo scusa…- disse lei sbrigativa e senza neanche guardarlo in faccia. doveva scendere, la gente era tanta e non aveva tempo.
-Si figuri. Mi scusi lei- ma prima che lei scendesse del tutto, mentre si faceva strada, l’uomo si ricordò di una cosa –Le dispiacerebbe darmi il giornale?-
Lei si girò sorpresa –Come?-
-Il giornale. Se non le dispiace e non le serve più, può darlo a me?-
Aveva fretta, non aveva tempo di pensare alle domande inopportune o sfacciate.
-Sì, ecco, prenda- gli passò con un gesto veloce il giornale spiegazzato –Arrivederla!- fece uno scattò e scese velocemente dalla metro, che si chiuse alla sue spalle. Non fece in tempo a sentire cosa le aveva detto il signore, ma non importava. Quelle conoscenze di passaggio erano futili, non l’avrebbe più visto.
Arrivata all’università, dovette aspettare circa un quarto d’ora perché la sua amica arrivasse. Faceva sempre un po’ tardi, okay, ma un quarto d’ora era troppo e soprattutto non era da lei. Anche perché aveva il fiatone segno che aveva fatto tardi per cause di forza maggiore.
La sua amica non aveva ancora finito le superiori, era di bassa statura, cercava di coprirla con tacchi vertiginosi, la sua passione. Era una fan del Giappone e del Visual Kei, non c’era da stupirsi se la scambiavano per un orientale, salvo il taglio degli occhi chiari e tondi. Quel giorno poi volle osare con un boa fucsia abbinato a una felpa leopardata, in tinta con le scarpe.
-Come mai ci hai messo tanto?- chiese Daphne.
-Non c’ho capito bene, ma pare che un uomo si è buttato dal ponte… I depressi, sai com’è… E col traffico che avevano creato il tram ha fatto tardi. Hai aspettato molto?-
Approfittarono per prendersi un caffè, e conclusero la compravendita del libro.
-Immagino ti serva per l’università-
-No, stavolta mi voglio svagare. A proposito, tra poco è Natale. Che programmi hai?-
-Sai come si dice: Natale con i tuoi, Pasqua con chi vuoi. Quindi il 25 non ci sono per nessuno!-
-Allora potremmo organizzare qualcosa per il 26 o dopo-
-Credevo che avresti fatto qualcosa con Chad-
-Per lui c’è tempo- risero insieme.
Dopo il caffè la sua amica doveva proprio correre –Non vorrei che qualcun altro si buttasse da un ponte…-
-Sai, stamattina ho sentito che uno è stato sgozzato. Mi sa che non è proprio periodo-
-L’Italia è una gabbia di matti da sempre, ricordatelo! Ci vediamo!- le spedì due baci e corse via, un po’ impacciata a causa dei tacchi.
Effettivamente la sua amica non aveva tutti i torti. Per Daphne sarebbe stata una giornata dura.
Tornò a casa verso l’ora di cena, aveva pranzato in biblioteca e nel pomeriggio aveva lavorato in libreria.
Quella sera non era molto tranquilla. Forse era stata suggestionata dalle vicine e dalla sua amica. Scosse la testa. Lei non si faceva, non si doveva far soggiogare da queste cose.
Eppure non riusciva a togliersi dalla testa la notizia del ragazzo sgozzato. E se ci fosse finita lei, con la gola tagliata?
Aprì la porta di casa, e non aveva parole per definire i suoi pensieri di… Paura? Forse sì.
Casa sua era stata derubata. Era tutto in disordine, qualche sedia rotta, i suoi cd buttati per terra e i cassetti rivoltati. Non aveva chissà quale ricchezza, e non aveva idea di cosa avessero portato via. Le venne in mente solo di chiamare la polizia.
Una volta arrivati i poliziotti, subito il vociare si fece strada. Lo sapevo io, ecco qua, tipico, eccetera. M a Daphne non importava in quel momento. Comprensibile, d’altronde, non aveva ancora avvisato Chad.
Dopo la perlustrazione a casa gli oggetti che mancavano all’appello erano: dei soldi, un cuscino, dei coltelli e dei vestiti.
-Siamo alle solite…- disse un poliziotto –Stia tranquilla, signorina. Ritroveremo presto ciò che le hanno rubato-
Daphne annuiva nervosa –Ora voglio solo prendermi del caffè e dormire…-
I poliziotti se ne andarono presto, e per grazia di dio nessun vicino si azzardava a bussare alla sua porta. Non era giornata, ci sarebbe stato tempo, anche per Chad. Se gli mandava un messaggio quello era capace di tutto.
Cercò di dare una ripulita, anche sommaria, non sopportava il disordine e quindi anche volendo non ce l’avrebbe fatta a dormire in quel caos. Mentre puliva, però, in particolare mentre passava lo straccio su un mobile in salotto, vide che all’angolo c’era qualcosa di strano: un colore diverso dalle pareti e dai mobili, scarlatto.
Sangue.
Era successo qualcosa di più del furto in quella casa.
Qualcuno era stato ferito, o addirittura ucciso.
Ma chi?
E perché da lei?
No, non voleva più stare in quella casa. Avrebbe passato l’ultima notte lì.
Infatti il mattino dopo piombò a casa di Chad, gli raccontò tutto e lui cercò di consolarla. La sgridò un po’ per non essere stato avvertito prima, ma passò presto in secondo piano.
-Oggi ti accompagno all’agenzia immobiliare-
-No, Chad, non è necessario. Oggi devi lavorare, no? Vai tranquillo, tanto l’agenzia non è molto lontana-
Passò la mattinata a sfogliare cataloghi e riviste su case e appartamenti, ma non aveva trovato nulla di che, nulla adatto al suo portafogli.
Fece una passeggiata al parco, sedendosi su una panchina qualunque. Sospirò. Ci mancava solo il furto. Si sfiorò la gola impaurita. Ebbe la sensazione di essere sfuggita a qualcosa di grosso. Voleva capire, voleva capire cos’era successo a casa sua, cosa significava il sangue. E i poliziotti? Sembravano non essersi accorti di niente…
Stava per rialzarsi per tornare da Chad, quando fu fermata da un signore, molto distinto, con l’impermeabile e gli occhiali.
-Mi scusi, lei è la ragazza che ha subito il furto di ieri sera?-
Le notizie volavano davvero in fretta –Mi scusi, non ho molto tempo e…-
-Oh, credo che dovrà rinunciare a gran parte del suo tempo, signorina. E credo che dovrà fidarsi di me e ascoltarmi-
Un pazzo –Le ripeto che non ho tempo. Se vuole scusarmi, ora, devo andare a cercarmi una nuova casa-
-Sarebbe lo stesso-
-Le chiedo scusa, e arriveder…-
-C’è del sangue nella sua vecchia casa, vero?-
Daphne si irrigidì, impallidendo, ma cercò le parole adatte a quella circostanza –Vada via o chiamo gente-
-Non si preoccupi, non sono un ladro. Anzi, lavoro per la giustizia-
-Ma chi è lei? Cosa vuole da me?-
-Mi chiami Watari, signorina- rispose il signore –Mi permette di offrirle del caffè? Devo averla spaventata molto, e questo è imperdonabile da parte mia-
-Lavora nella polizia? mi fa vedere il distintivo?-
-Non ho nessun distintivo, perché non faccio parte della polizia. lavoro per un investigatore che sta lavorando proprio per capire cosa è successo a casa sua-
Daphne non ci voleva, anzi, poteva credere. Un po’ la rincuorava sapere che non solo i poliziotti che, sinceramente, definiva incompetenti, si stessero interessando al suo caso.
-Posso sapere per chi lavora?-
-C’è tempo per queste cose. Ogni cosa a suo tempo. Adesso, per esempio, è tempo di caffè. Mi segua, c’è un bar delizioso qui vicino-
Daphne accettò, colpita da tanta gentilezza. E comunque, il bar che le era stato indicato era abbastanza popolare e sempre frequentato. Se le avesse fatto qualcosa, avrebbe potuto lo stesso chiamare aiuto.

Ritorna all'indice


Capitolo 2
*** Chapter Two ***


Si accomodarono in un tavolino vicino alla finestra, il signor Watari rivolto verso una porta che Daphne intuì essere la cucina del locale. C’era un gran va vai di gente, cosa che le metteva una certa tranquillità. Si tolse il cappotto e si sistemò, cercando di non dare a vedere il suo nervosismo.
-Mi perdoni se ho scelto un posto così affollato, ma in questo modo non daremo nell’occhio- disse il signore mentre si sistemava gli occhiali.
Ah, no? Quindi Daphne correva pericoli anche in luoghi affollati? Certo, l’indifferenza c’era, ma fino a questi livelli…
-Gradisce del caffè? Acqua e limone? Succo di frutta? Non faccia complimenti-
-No, grazie…-
Watari fermò un cameriere, chiedendo del caffè e un bicchiere d’acqua.
Daphne notò una cosa nel suo modo di parlare, e non poté fare a meno di chiederlo.
-E’ inglese…?-
-Immagino che il mio accento l’abbia colpita-
-E’ molto aspirato-
-Anni di studio non sono serviti a coprire questa “pecca”, a quanto pare- Watari fece un piccolo sorriso, nascosto dai baffi e dal lieve fumo del caffè appena arrivato. Ringraziò il cameriere, congedandolo gentilmente.
-Ora veniamo a lei, signorina. Credo sia giusto che lei sappia cosa è accaduto, o almeno i maggiori sospetti legati al furto. L’investigatore per il quale faccio da intermediario ha già formulato delle ipotesi interessanti-
-Ecco, tanto per cominciare- disse Daphne scostandosi un po’ i capelli –Chi è questo investigatore? Insomma, non farebbe prima a venire di persona?-
Watari tossicchiò –Credo che sia impossibile. Vede, la polizia italiana non sa ancora che abbiamo messo piede qui. Stia tranquilla, è un uomo efficiente e non c’è paese che non lo abbia anche solo sentito nominare. Molti corpi di polizia del mondo hanno più volte richiesto il suo aiuto, ma ha dei metodi, come dire… Non molto ortodossi. Per questo viene chiamato solo in situazioni d’emergenza, e per l’incolumità di tutti è bene che lui si faccia vedere il meno possibile in giro-
Tutta ‘sta parlantina per dire cosa? Niente, che uno simile a un fantasma si era interessato a casa sua. Ma chi gliel’aveva chiesto? Comunque, se davvero sapevano delle cose importanti su quello che era successo, tanto valeva sapere.
-Ebbene? Cosa ha scoperto questo signore?-
-Immagino lei abbia sentito dell’uomo che è disgraziatamente precipitato dal ponte-
-Sì…-
-E del ragazzo che è stato sgozzato nella sua dimora. Ah, la ringrazio per il giornale-
Daphne spalancò leggermente la bocca e indicò il gentile signore –Ma allora era lei sulla metro!-
Watari annuì
-Comunque, da come parla sembra che quelle persone siano intrecciate a me-
-In un certo senso è così-
Daphne ridacchiò, cercando di buttarla sul leggero –Credo che il suo investigatore abbia preso un abbaglio. Vivo qui da quando ho iniziato l’università, non ho mai conosciuto quelle persone e non ho mai fatto nulla di male a nessuno-
-Eh, cara signorina, se le cose fossero davvero così facili al mondo non esisterebbero gli investigatori privati. E io sarei disoccupato- prese dalla tasca della giacca delle foto che ritraevano la casa di Daphne immersa nel caos. Ce n’era una che ritraeva il particolare della macchia di sangue. Nella testa di Daphne volarono tanti pensieri sulla scarsa qualità delle foto, e sul quando e come erano state scattate.
-Vi siete introdotti in casa mia…-
-Era necessario. Comunque, ci terrei a tranquillizzarla. Non è stato ucciso nessuno in casa sua. Quel sangue è stato messo lì per intimorirla-
-Qualcuno ce l’ha con me? Perché…? E che cos’ho in comune con i due uomini? Uno si è suicidato…-
-O è quello che vogliono farle credere. Immagino che in tv abbiano parlato di un depresso-
Daphne era ormai invasa dall’angoscia. Quindi, ovunque si fosse trasferita, sarebbe stata sempre vittima di “attentati” come questi?
-Ora devo andare- disse Watari guardando l’orologio da taschino –Mi rifarò vivo per aggiornarla. Buona giornata-
Mischiandosi nella folla, sparì subito. Daphne rimase a lungo a fissare dei punti indefiniti, si dava qualche schiaffetti. Ma no, era impossibile aver sognato una cosa simile! Calma. Doveva stare calma. Sì, era una parola… Ora aveva paura, anche solo di alzarsi dalla sedia. Forse… Forse era meglio stare da Chad per un po’.
Daphne non si era ricordata però di un particolare: Chad viveva con altre due persone, in uno spazio ristretto. Impensabile stare lì, al massimo due o tre giorni. E poi l’idea di dividere il tetto con due estranei non le andava particolarmente a genio.
Andò dall’unica persone che era certa non le avrebbe sbattuto la porta in faccia. mentre si incamminava, prendendo il coraggio a quattro mani, compose il numero di cellulare di Chad e lo avvertì che non sarebbe tornata a pranzo poiché aveva trovato una sistemazione temporanea da un’altra parte.
Subito dopo aver suonato il campanello la porta del grande appartamento si aprì, mostrando una ragazza alta e molto snella, in mogliettina e jeans stretti. Non temeva i raffreddori o i malanni, a quanto pare, ma ciò era dovuto anche ai riscaldamenti costantemente accesi. La proprietaria di casa le fece un enorme sorriso e l’abbracciò, dandole due bacetti sulle guance, come di consuetudine tra amici.
-Non mi aspettavo una visita a quest’ora!-
-Virginia, ho bisogno di un enorme favore…-
-Entra e spiegami tutto, intanto ti preparo una cioccolata calda. Hai l’aria di essere parecchio stressata, dev’essere per il furto, vero? Il tuo ragazzo mi ha accennato qualcosa, ma non ho avuto proprio tempo di chiamarti…-
Daphne si sedette sull’ampio divano rivestito di tessuto verde, respirando a fondo il profumo di una casa, di un caldo accogliente. Spiegò tutto alla sua amica, la quale acconsentì a tutto.
-Tanto questa casa è grande, sarà bello avere compagnia!-
Solo, non se la sentì di raccontarle dell’incontro con quel tale, Watari. Le avrebbe creduto? Bè, era una tipa abbastanza bizzarra, forse sì, ma l’avrebbe comunque allarmata di più.
Restarono insieme fino al primo pomeriggio, Virginia cercando di tirarla su di morale. La lasciò sola per qualche minuto per farsi una doccia, tornando da lei con un astuccio pieno di trucchi e mollette.
-Tra poco devo andare alla radio, puoi venire con me se vuoi-
-Credo che sarei d’impiccio…-
-No, ma che impiccio! Anche gli altri saranno contenti di vedere facce nuove. E poi oggi ci sarà da divertirsi: approfitteremo delle feste natalizie per fare scherzi telefonici a qualche vip. Se hai delle idee, suggerisci pure!-
-Grazie, Virginia, ma credo che ne approfitterò per farmi una doccia e riposare come si deve…-
Virginia piegò la testa un po’ all’indietro, aprendo leggermente la bocca e mettersi la matita intorno agli occhi, di uno strano blu brillante –Come vuoi. Allora fai come se fossi a casa tua. Poi, l’allarme è inserito, e se succede qualcosa chiedi pure al portiere. È bravissimo e anche carino! Mi passi quella extetion*, per favore?-
Mentre gli passava la ciocca di capelli veri tinti di rosa, Daphne riprese parola –Non so ancora come ringraziarti, Virginia…-
-Figurati, a che servono se no gli amici?- si mise gli stivali rosa simili alle zampe di un mammut, e anche piuttosto ingombranti, e si passò della lacca sui capelli dandogli un effetto scompigliato –Allora vado, torno verso le 8! Cucino io!-
Sola, di nuovo. Per levarsi quella brutta sensazione corse a farsi un bagno nell’enorme vasca.
Immersa nella schiuma e nell’acqua calda, si rimise a pensare a Watari, e a quello che le aveva detto. Che collegamento c’era tra lei e quegli uomini sfortunati? Rischiava di morire allo stesso modo? E chi la voleva morta? A chi doveva stare attenta?
Restò diverso tempo a osservare la cupola di San Pietro, visibile dai piani alti dell’appartamento della sua amica. Si stava facendo sera, e cominciavano ad accendersi i primi lampioni per strada.
Aveva fatto di tutto per passare il tempo da sola senza farsi prendere dall’ansia: tv, bagno, sistemazione dei pochi bagagli che aveva, ammirazione del panorama e qualche foto dalla finestra. Era talmente nervosa che non riusciva neanche a criticarsi i lavori ed apprezzarli. Non vedeva l’ora che Virginia tornasse.
Bussarono alla porta. Finalmente!
-Arrivo!- disse Daphne e corse ad aprire. Ma qualcosa la bloccò: c’era un innaturale silenzio dall’altra parte. e poi, Virginia aveva le chiavi, che bisogno c’era di bussare? Non era da lei. Non era lei, non poteva essere lei.
Guardò attraverso lo spioncino. Nessuno. Forse era qualcuno in vena di scherzi.
Fece per allontanarsi, quando bussarono di nuovo.
-Chi è?- chiese lei. Nessuna risposta. Guardò di nuovo allo spioncino, e di nuovo non c’era nessuno.
Aprì leggermente la porta, notando che davvero non c’era nessuno. Solo una scatola e un biglietto chiuso appiccicato sopra.
Prese la scatola in fretta e furia e si barricò dentro casa. Era per Virginia? Poteva capirlo dal biglietto. nessun mittente, nessun indirizzo né timbro postale. Un ammiratore, forse.
Aprire prima la scatola e leggere prima il biglietto? Decise per la prima.
Sollevò piano piano il coperchio, ma non servì: venne presa dalla paura e cadde dalla sedia lanciando un urlo, mentre dalla scatola saltava fuori la molla di un giullare graffiato e rovinato, colorato qua e là con un rossetto. Rialzandosi Daphne si avvicinò alla scatola e vide che dentro era stata colorata con del rossetto, a simulare del sangue.
Non poteva essere per Virginia.
Prese il biglietto e lo aprì velocemente. Lì non potevano saltare fuori altri pagliacci.

So dove sei.
Così c’era scritto.
Presa dal terrore, buttò tutto nella spazzatura, prese una coperta e si buttò sul divano.
Watari, Watari… Mi aiuti!
Questo aveva pensato, finchè non arrivò Virginia, dicendole semplicemente che qualcuno faceva scherzi alla porta.

@ Lucia Elric: Ti ringrazio tantissimo per aver recensito! Mi auguro che continuerai a seguirmi! L'unica cosa vera della storia è l'ambientazione, e sono davvero contenta di ambientarla nella mia amatissima Roma! A presto e grazie ancora!

@ Pralinedetective: Ho già esposto le mie ragioni contattandoti direttamente, e sto cercando di mettercela tutta per evitare che la tastiera abbia la meglio! Per quanto riguarda i nomi stranieri anche se l'ambientazione è tutta italiana, sono ancora del parere che non è affatto strano (oggi si usano sempre più nomi stranieri) e che hanno più fascino. O almeno, sto mischiando nomi stranieri ad alcuni più italiani, sperando di equilibrare le cose. Grazie comunque per la recensione!

Ritorna all'indice


Capitolo 3
*** Chapter Three ***


Virginia lavorava alla radio. Conduceva un programma di circa tre ore in cui, oltre a trasmettere canzoni su richiesta degli ascoltatori, rispondeva a delle domande che le rivolgevano i fan o leggeva i loro messaggi, lanciando qualche gioco a premio. In poco tempo aveva raggiunto un certo successo, tant’è che ogni tanto collaborava anche con qualche rete televisiva. Insomma, era una donna molto impegnata, e Daphne non poté che esserle riconoscente per averle offerto un tetto nonostante tutti gli impegni. Virginia, comunque, non sembrava minimamente stressata, segno che amava il suo lavoro.
-Oggi ti va di mangiare una pizza davanti a un bel film?- chiese la sua amica, già col cordless in mano. Daphne annuì con un sorriso e Virginia digitò velocemente il numero.
Quando arrivò il ragazzo delle consegne, un tipo brufoloso e con gli occhiali, quasi non credeva ai suoi occhi quando Virginia gli aprì la porta e con un sorriso gli dava i soldi dicendo –Tenga pure il resto!-
-Lei… Lei è Virginia di 109*! “Virgin Time” è eccezionale, cioè, lei è eccezionale! Posso avere un autografo?-
Una volta che il ragazzo se ne fu andato pienamente soddisfatto, le ragazze si accomodarono sul divano, scegliendo per la serata il quarto capitolo di Saw. Per restare in tema, pensò Daphne.
-Virginia… Stavo pensando…- esordì Daphne con un trancio di pizza capricciosa in mano –Non trovi stressante a volte il trovarti gente come quella intorno?-
-Bè, non sono mica così famosa… E poi quando ho deciso di lavorare alla radio avevo calcolato anche questo, e se lasciassi tutto penso che mi mancherebbe- rispose l’amica con calma.
-Ti arriveranno un sacco di lettere e messaggi vocali dai fan-
-Sì, ma spediscono tutto all’indirizzo della sede della radio, qui a casa non mi è mai arrivato niente. e poi nel tempo libero è divertente leggere!-
-E non ti è mai arrivata nessuna lettera offensiva?-
-Nessuna, mai e poi mai mi è capitata una cosa tanto stupida per le mani- Virginia fece una risatina.
Strano, pensò Daphne. Era vero, non era famosissima, ma se davvero non riceveva lettere offensive o cose simili era davvero fortunata, oppure la gente che non la sopportava la ignorava semplicemente.
Virginia si accorse della faccia pensierosa della ragazza –Tramite lettere alla radio non mi arriva niente di cattivo, è vero, ma dovresti vedere sul web cosa dicono… Qualcuno ha creato dei siti contro di me, e anche su Facebook la gente non si risparmia. Però li ignoro. Quindi non considerarmi così fortunata. O c’è dell’altro?-
-No, nient’altro. Tranquilla- fece un sorriso di circostanza e tornò ad occuparsi del film, anche se l’aveva già visto.
Una volta finito l’horror, Virginia preparò un letto nella sua stanza, scusandosi del disordine e delle cianfrusaglie sparse in giro. Tutto sommato, Daphne dormì tranquilla.
La mattina dopo si alzò, fece una colazione veloce e lasciò un biglietto a Virginia, che ancora dormiva, dove scriveva che andava all’università e poi a lavorare.
Non riuscì a concentrarsi del tutto durante le lezioni. Non ci voleva proprio, doveva dare un esame… Non riusciva a mettere da parte per anche solo cinque minuti il furto, Watari, quell’orribile pacco… Forse era meglio non andarci, all’università.
Difatti passò solo la prima mattinata a studiare, andandosene poi a zonzo nelle vicinanze. Quando si avvicinò l’ora di pranzo, andò a prendere la metro. Quel giorno era abbastanza vuota, si sedette vicino agli sportelli. Verso Termini, com’era prevedibile, le persone aumentarono, e di fianco a lei cominciarono a riempirsi i posti.
Era assorta nei suoi pensieri, quando venne interrotta da una voce.
-Sono stato uno sciocco, non le ho dato il mio biglietto da visita-
Daphne si impaurì un po’, ma allo stesso tempo era contenta di rivederlo.
-Signor Watari… Io…-
-Ecco, tenga- Watari le diede un biglietto dove c’era scritto solo un numero di telefono –Le sarei grato se se lo memorizzasse subito, una volta a casa da sola, e di buttare il foglietto-
Daphne moriva dalla voglia di raccontargli tutto –Signor Watari, aveva ragione. C’è qualcosa di strano. Ascolti…-
Una volta finito il racconto di Daphne, Watari posò le mani sui baffi, meditabondo –E’ un caso abbastanza curioso. Non era successo con le altre vittime. Grazie, Daphne. Il mio investigatore potrà indagare. Dov’è la scatola?-
-Ehm… L’ho buttata-
-E’ pregata di recuperarla immediatamente. Potrebbero esserci delle impronte e altri indizi importanti. Ha detto che c’era del rossetto sopra, no? Certo, un uomo potrebbe benissimo procurarselo… Comunque, esaminandolo potremmo scoprire da dove viene-
-Signor Watari, lei però non mi aiuta molto… Come posso fidarmi di una persona che non vedo?-
-Lei vede me, signorina. Almeno di me si deve fidare-
-Ma il suo…-
-Ascolti. Lei ripone fiducia in me, e io ripongo fiducia in questa persona che sta indagando. Di conseguenza deve fidarsi anche di questa persona-
-Ma almeno mi dia uno straccio di nome-
-Sarebbe inutile. Non è possibile avere informazioni su di lui in alcun modo-
Ma con che gente aveva a che fare? Fin dove poteva spingere la fiducia verso persone simili?
-Signor Watari, non sono sicura…-
-Per qualunque cosa ha quel numero. Mi chiami quando ne ha bisogno- Watari tirò fuori dal taschino un piccolo oggetto metallico, mormorando tra sé e sé –Lui- si alzò –Devo andare, signorina. E si ricordi del numero-
Sparito. Di nuovo. Daphne non aveva scelta, doveva affidarsi a quel numero. Scese dalla metro abbastanza amareggiata.
Watari camminava su di una stradina poco frequentata, appostandosi poi all’angolo, curandosi bene dagli occhi indiscreti. Prese il cellulare e con voce abbastanza bassa disse –Dimmi pure-
-Voglio sapere tutto sulla ragazza in questione- una voce metallica, che scandiva lentamente le parole, risuonava nelle orecchie dell’anziano signore –Voglio sapere dove vive, chi frequenta, dove lavora, chi sono i suoi amici. Voglio sentire le informazioni di chi la conosce anche solo di vista, dei suoi colleghi di lavoro. Tutto. Mi raccomando, Watari. È possibile che lo squilibrato sia più vicino a lei di quanto crediamo-
-Va bene- rispose subito Watari –Sarà fatto-

Ritorna all'indice


Capitolo 4
*** Chapter Four ***


Chad poteva giurare di non aver mai visto la sua fidanzata così… Strana. Agitata. Nervosa.
Addentava famelica l’intero menù del McDonald dove l’aveva portata per svagarsi. Era un tentativo di assimilare lo stress?
-Daphne, non esagerare…-
Lei smise per un attimo di masticare, con le briciole vicino agli angoli della bocca e degli occhi stupiti. Ingoiò velocemente l’intero boccone e dopo aver preso un sorso di coca cola disse –Chad, per favore-
Bastò questo per far capire l’antifona.
Una volta rifocillati rimasero per qualche minuto per strada a decidere dove andare, ma Daphne trovò presto la soluzione.
-Non sono in vena di uscire o andare in giro… Vado a casa-
-Ma dai… Ci sono io con te…-
-Chad, non sono tranquilla. Voglio andare a casa-
Lui sbuffò un po’ –Okay, ti accompagno-
E certo. Mica l’aveva ricevuta la “bella sorpresa”. Ora che le tornava in mente, doveva pure recuperarla per Watari. Sperò almeno di fare in tempo.
La sera, frugare nel puzzolente sacco della spazzatura, piena di avanzi di diverse cene e pranzi, cenere di sigarette e altre schifezze varie, fu un’esperienza abbastanza sgradevole. Ma la scatole, per fortuna, la ritrovò, abbastanza intatta, salvo i mozziconi infiltrati qua e là.
Bene, la scatola c’era. E adesso? Che ci faceva? Chiamava subito o aspettava la mattina?
Daphne concluse che era meglio avvertire quanto prima invece di rischiare un’altra improvvisata.
Digitò il numero con una certa ansia, e trattenne il respiro finchè non sentì una voce dopo il primo squillo.
-S… Signor Watari?-
-Signorina Daphne?-
-Proprio io-
-Che piacere sentirla. Vedo che ha subito messo in pratica il mio consiglio-
-Ho la scatola-
-Eccellente. Lo spedisca domattina all’indirizzo che sto per dettarle. Poi mi rifarò vivo-
Daphne fece tutto quanto le aveva chiesto, con estrema attenzione. Almeno si era liberata di quell’oggetto infernale definitivamente, non voleva pensare a cosa ne avrebbero fatto, sentiva solo di essersi liberata di un grande peso. Sperando che scherzi del genere non le ricapitassero più, cercò di tornare alla tranquillità che aveva raggiunto trasferendosi a Roma.
Ci vollero quattro giorni perché le cose si smuovessero, come a dire alla ragazza “Ehi, sono tornato!”
Era un pomeriggio tranquillo, Daphne che era ancora ospite da Virginia, e venne invitata a prendere qualcosa di caldo al “solito posto”.
-Ci sarò. Arrivò tra un secondo!-
Aveva chiesto anche a Virginia di unirsi alla combriccola, ma quest’ultima rifiutò cortesemente la richiesta, dicendo che doveva lavorare. Così, Daphne dovette percorrere la strada da sola, ma visto che c’era abbastanza gente in giro non si sentì così a disagio.
-Chiedo scusa…- una voce quasi affaticata la colse di spalle, ma lei non sentiva. Aveva le cuffie e le musiche dei Nirvana coprivano anche i rumori dei motori delle macchine.
-Mi scusi…- niente, il tono era troppo fiacco e debole perché potesse sentirlo. Fu allora che il ragazzo fu costretto a posare una mano sulla spalla di Daphne, costringendola a voltarsi di scatto e con faccia impaurita. Pensò a un maniaco, e la scena che si trovò davanti non fece che spaventarla ancora di più.
Il ragazzo che l’aveva fermata era coperto da un lungo cappotto color caffè. Nessun cappello a coprire i capelli nerissimi e sparpagliati dappertutto, nessuna sciarpa a proteggere un collo quasi bianco. Si poteva notare la sua posa un po’ ricurva, e delle scarpe da tennis rovinate e nemmeno indossate con la dovuta cura, coi lacci sparsi a terra e i talloni che sporgevano, senza alcun tipo di calza.
Daphne stava per urlare, quando il ragazzo si mise le mani in tasca e si schiarì la voce per parlare –Mi perdoni se la disturbo così, non era mia intenzione. Mi chiedevo solo se sapeva che ore erano-
Lei alternò lo sguardo tra il telefonino e quell’equivoco individuo –Sono le 16 e 22-
-Magnifico- disse quasi sottovoce lui –E’ stata molto gentile. Arrivederci- tornò sui suoi passi, sorpassando Daphne, la quale tirò un sospiro di sollievo. Per quanto cercava di convincersene, non era affatto facile levarsi quelle brutte esperienze di dosso. Ora temeva di essere sempre nel mirino di qualcuno.
A parte quell’insolito incontro, comunque, arrivò a destinazione senza intoppi: una piccola porta bianca aperta, accanto a una saracinesca sempre abbassata su cui era stato disegnato il volto di Jim Morrison con una bomboletta spray nera. All’interno trovò il suo gruppetto di amici, seduti al solito tavolino all’angolo. Il suo ragazzo Chad, la sua amica amante del Giappone che rispondeva al nome di Marta, e un amico che si chiamava Simone.
-Hai fatto un po’ tardi- appuntò Chad
-Mi dispiace, ho perso tempo per strada…-
Marta, sorridente, le fece spazio, spostando i cappotti e le borse, e con un gesto veloce della mano invitò l’amica a sedersi. Nel frattempo arrivò anche Alberto, o Al come preferivano chiamarlo.
-Io prendo solo un succo di arancia rossa-
-Come mai? Oggi Daphne è stressata?-
-E’ sarcasmo o davvero non sai che è successo negli ultimi giorni, Simone?-
La risata del ragazzo fece capire subito. Sarcasmo era il suo secondo nome, una cosa a cui tutti fecero presto l’abitudine. Forse anche per questo lato aveva parecchio successo con le donne, o forse c’entrava anche il fatto che lui l’essere umano femminile lo considerava sacro. Amava il gentil sesso, sapeva come rivolgersi a ogni tipo diverso di ragazza e come gestire la situazione. Probabilmente era considerato il ragazzo perfetto, ma non era legato a nessuna, almeno per quanto ne sapeva Daphne.
-Oh, su, finiscila di scherzare!- lo canzonò Marta, che quel giorno sfoggiava una felpa di un verde molto acceso e gli occhiali da vista che metteva di solito. O portava lenti a contatto colorate o gli occhiali. Senza queste cose ci avrebbe visto pochino.
-Hai trovato casa?-
-Ancora no… Costa tutto così tanto…-
Al arrivò con il succo e una sorpresa in più.
-Al, io non ho ordinato un caffè-
-Lo offre il ragazzo che sta al bancone. Dice “per scusarmi dello spavento”-
Daphne si affacciò verso il bancone del bar, ma non vide nessuno. Andando per esclusione, comunque, o era Watari o il ragazzo che le aveva chiesto l’ora, ma visto che Al aveva detto “ragazzo”, poteva stare tranquilla ed escludere anche Watari. Era stato un pensiero carino, anche se non necessario…
Dopo qualche tempo Marta dovette andare via. Una visita dall’oculista o una cosa del genere. Simone fu così gentile da accompagnarla, lasciando soli la coppia di turno. Ma durò poco, in quanto anche Chad doveva andare a lavorare.
-Un mio collega si è dato malato, devo sostituirlo. Ti chiamo appena ho finito, okay? Faresti meglio ad andare anche tu…-
-Sì, tra poco vado anch’io… Ci vediamo-
Non aveva granchè voglia di andare via. Lì dentro si sentiva sicura. Sembrava che le cose restassero immutate. Prese dallo scaffale un libro qualsiasi e ne osservò attentamente la copertina. Il testo in questione era Invisible Monsters di Chuck Palahniuk. Lo conosceva di fama, e visto che doveva perdere tempo tanto valeva leggere.
Non fece in tempo a finire la prima pagina che sentì dei passi avvicinarsi verso di lei, e una voce familiare che le chiedeva –Oh, vedo che le piace Palahniuk-
Daphne sollevò lo sguardo e restò alquanto perplessa. Di nuovo quello strano ragazzo. Ora che era sotto la luce del lampadario poteva distinguere meglio il viso magro e stanco, pallido. Labbra sottilissime accennavano un sorrisetto di circostanza, mentre gli occhi non mostravano alcuna espressione di rilievo, erano tondi e delle occhiaie non indifferenti coronavano le iridi grigie, con le pupille molto dilatate.
Ma che vita faceva per ridursi così?
-Ha di nuovo bisogno di qualcosa?-
-Mi chiedevo se potevo accomodarmi-
Lei si guardò intorno. C’erano tanti posti liberi, perché doveva appiccicarsi proprio a lei?
-Ha di nuovo bisogno di qualcosa?- ripeté.
Il ragazzo strambo e trasandato si accovacciò di fronte a lei, piegando le ginocchia verso il mento e togliendosi le scarpe, mostrando dei piedi dello colore del viso, senza nessun segno di sporco come invece si aspettava Daphne. Nonostante l’apparenza, forse non era un barbone.
-Lei sarebbe…?-
-Oh, mi scusi- rispose lui –Mi manda il signor Watari-
Daphne richiuse il libro, posandolo sul tavolino, e si sporse leggermente verso il ragazzo –Davvero?-
-Vuole una prova? Posso dirle il numero che le ha dato per chiamarlo e anche l’indirizzo di cui si è servito per farsi spedire il pacco- disse con estrema precisione tutte le informazioni e Daphne non poté che fidarsi.
-Perché stavolta Watari non viene?-
-Ha altre cose da fare al momento-
-E lei cosa fa…? È un assistente o cosa?-
Il ragazzo si portò il pollice alla bocca, e restò a riflettere qualche secondo sulla risposta da dare.
-Siamo ottimi collaboratori- concluse infine. Si guardò intorno, per poi alzarsi –Le dispiace se mi tolgo il cappotto?-
-Prego…-
Daphne sentiva freddo solo a vederlo. In pieno inverno un ragazzo dall’aspetto così cagionevole se ne stava in semplici blue jeans e maglietta bianca a maniche lunghe? Di un normalissimo cotone? Niente felpa, niente sciarpa, niente guanti. I vestiti erano larghi, forse una taglia in più, ed erano molto puliti, sembravano nuovi.
Il ragazzo misterioso si riaccomodò nella strana maniera di prima e, dopo aver ordinato un caffè (aggiungendo “con sei o sette cucchiaini di zucchero”), riprese il discorso –Vorrei comunicarle le conclusioni relative al pacco che ha spedito-
Daphne era tutta orecchie.
-Non è stato difficile analizzare il rossetto, abbiamo scoperto dove è stato venduto, e anche dove è stato prodotto. Ma credo che quest’ultimo punto non sia importante al momento- arrivò il caffè fumante. Il ragazzo mescolò con velocità il cucchiaio nel liquido (benché con ogni probabilità lo zucchero era già stato sciolto per bene), e con l’indice e il pollice sollevò piano la tazza e se la portò alle labbra. Bevve tutto d’un sorso e con la stessa calma posò la tazza sul piattino.
-Dicevo. Siamo andati nel negozio in questione, a Via Del Corso, ma capisce anche lei che la gente che gira i negozi da quelle parti è tanta, quindi le testimonianze non sono state granchè. Però possiamo dire che è un uomo-
-Perché?-
-Oltre ai residui di rossetto, abbiamo rinvenuto delle piccolissime tracce di sperma, che il colpevole ha cercato in tutti i modi di levare. Ci sono anche tracce di tessuto e sapone-
-Ma… Ma che schifo! Mi sta forse dicendo che uno scemo si è masturbato sulla scatola che voleva spedirmi?-
-Purtroppo tutte queste tracce mischiate rallentano le ricerche, ma lo sperma lo stiamo esaminando. Lo prenderemo-
-Questo è un sollievo-
La osservò per un bel po’, senza dire nulla, impassibile. Lei si sentiva tremendamente a disagio. Cosa voleva? A cosa pensava?
-Le consiglio di stare comunque attenta-
-Come…?-
-Noi non ci muoviamo certo per un maniaco da quattro soldi-
-Noi chi?-
-Io e Watari. Chi altri se no?-
-Ma si può sapere chi è lei?- Daphne cominciava ad assumere un atteggiamento aggressivo.
Lui invece, in tutta calma, prese il libro e sorrise –Ha mai letto questo libro?-
-Lo stavo iniziando…-
-Lo faccia, allora. Scoprirà che la protagonista è un po’ come lei. Almeno in questa situazione- le restituì il libro, si riprese il cappotto e fece per uscire, quando Daphne lo bloccò allora
-Mi da uno straccio di nome?!-
Per un’ultima volta si voltò, a guardarla –Deneuve-

@ Lirinuccia: Ti ringrazio molto per la recensione ^^ Dunque, per i nomi: non sei la prima persona che mi fa notare la più che naturale incongruenza del mettere nomi stranieri in territorio italiano, ma come ho già spiegato i nomi stranieri al giorno d'oggi entrano sempre più a contatto con la nostra cultura, e sono più affascinanti dei nostri. Inoltre, ti chiedo scusa, ma siamo ai primi capitoli ^^'' e inoltre a nessuno è venuto il dubio che i protagonisti usino anche pseudonimi o soprannomi, cosa ancora più consueta ^^'' Ma il tuo dubbio è stato più che legittimo. Per quanto riguarda la forma, la punteggiatura eccetera, rileggo sempre tutto più volte, e se ci sono ancora errori non posso che dispiacermi e dare ancora il massimo, se non di più. Solo, non o ben compreso questo passaggio: "sono trascorsi 3 "episodi" ma in sostanza dal secondo al terzo capitolo non è cambiato nulla". Spero che continuerai a leggere e di riscontrare sempre più pareri positivi ^^

Ritorna all'indice


Capitolo 5
*** Chapter Five ***


Daphne quel giorno decise di fare la strada da sola. Aveva trovato un nuovo appartamento non molto lontano dall’università, aveva cambiato numero di cellulare, tolto il telefono fisso, cambiato indirizzo e-mail e raddoppiato il turno di lavoro. Pensava che, con tutte queste precauzioni, ci sarebbe stato meno contatto possibile con chi la stava cercando. Da quando Deneuve, quello strano collaboratore di Watari, le aveva detto che era stato trovato dello sperma nella scatola, la paura era triplicata, e pensò che non era molto sicuro nemmeno stare a casa. Per questo aveva chiesto di lavorare di più, anche per soldi. Certo, per il numero di telefono sarebbe stato faticoso riprendere i contatti con tutti, ma era necessario.
Piuttosto, chi le aveva spedito quell’orrore? E perché? Deneuve non aveva risposto a questi quesiti fondamentali.
Due giorni a Natale.
A Daphne bastò un albero alto un metro e mezzo e un presepe minuscolo, di quello che si trova nei Kinder Sorpresa. Lo spazio era piccolo, e poi a lei andava bene così. Aveva preso delle vecchie decorazioni della sua infanzia, e anche delle fotografie che aveva fatto qua e là per Roma, in occasione delle feste e di un esame.
Stava per lavare i piatti, quando suonarono alla sua porta. Con estreme cautela osservò dallo spioncino e vide Chad in attesa. Tolse la chiave dalla serratura e aprì.
-Ti chiudi dentro?- chiese il suo fidanzato
-Sorvoliamo…- supplicò
Chad entrò, le stampò un bacio sulle labbra e da dietro la schiena tirò fuori un piccolo sacchetto blu chiuso da un fiocco argentato.
-Merry Christmas, Daphne!-
Lei arrossì leggermente –Oh, Chad… Non dovevi…! Non so che dire…- in realtà non sapeva come dire che lei non aveva proprio fatto in tempo a comprare un regalo.
-E allora non dire. Aprilo!-
-Ma dovrei aspettare Natale…-
-Che sciocchezze. Dai, aprilo!- la incoraggiò lui.
Daphne sorrise, e aprì con delicatezza il sacchetto. Dentro c’era un cofanetto blu, che aprì impaziente. Conteneva un anello.
-Chad, ma…-
-E non è finita- prese il gioiello –Leggi dentro-

Daphne & Chad
-E se non mi sta…?-
-Proviamo subito- Chad prese la mano un po’ fredda della ragazza, e lentamente infilò l’anello al dito. Daphne a quel punto non sapeva che dire davvero.
-Grazie, Chad… Io…-
-Tu te lo meriti. Okay? E poi credo di non esserti stato vicino come si deve, proprio ora che non te la passi bene… E’ per scusarmi-
La serata finì come si poteva prevedere. Chad ebbe la pazienza di arrivare fino al letto, per poi spogliarla e farle capire con il corpo quanto la amasse. Daphne, dal canto suo, non aveva alcuna ragione di rifiutare.
Durante il rapporto Chad non perdeva occasione di baciare la mano che sfoggiava il nuovo anello.
-Resti a dormire qui…?- chiese lei una volta finito, tra le sue braccia
-Mh mh… Però domattina presto devo andare…-
-Grazie ancora, Chad…-
-Ma smettila… Ora dormiamo…-
Aveva il suo ragazzo vicino, come poteva aver paura?
Eppure Daphne si svegliò in preda al terrore.
Lui dormiva sereno. Non si era accorto dello strano rumore.
Di nuovo un ladro? Forse era un rumore del vicinato, o una sua impressione. Doveva controllare. Insieme a Chad? E se davvero non era niente?
Cercò di non svegliarlo, si mise la vestaglia e facendosi luce col cellulare si diresse verso la cucina. Il rumore veniva da lì, e si faceva più insistente.
Daphne si mise dietro la porta e coprì con la mano lo schermo illuminato del telefonino. Chi c’era?
Purtroppo era buio e una torcia illuminava lievemente il tavolo. Dall’ombra che poteva scorgere sembrava un uomo robusto, che indossava un giaccone imbottito e dei guanti senza dita. Non riusciva a distinguere bene il colore dei capelli, ma sembravano corti e un po’ mossi. Stava poggiando qualcosa sul tavolo. Doveva essere entrato per forza dalla porta, visto che l’appartamento era al quinto piano.
Daphne era presa dal panico. Non poteva certo lasciarlo andare, ma l’idea che poteva essere aggredita da un colosso del genere l’angosciava. Doveva fare meno rumore possibile.
Doveva tentare. Afferrò tremolante il posacenere di vetro e alzò la mano verso la testa. C’era quasi. Bastava un movimento veloce e lui cadeva tramortito. A quel punto bastava chiamare Chad e la polizia, e si sarebbe risolto tutto.
Purtroppo non andò esattamente così. L’intruso si accorse di qualcosa, e inaspettatamente spaccò la torcia sul tavolo, causando un tremendo rumore e facendo gridare Daphne che cadeva a terra col posacenere, facendo rumore di conseguenza. Il posacenere andò in frantumi, era buio pesto. Iniziò a tremare e a farsi cogliere dal panico, strisciando verso il muro o qualcosa per appoggiare la schiena. Sentiva dei passi pesanti e cercava di evitarli. Col buio, nemmeno lui avrebbe potuto capire facilmente.
-Daphne!- Chad si era svegliato, aveva accesso le luci e correva verso la cucina.
Lo sconosciuto non aveva forse calcolato un ospite in più. prese un accendino dalla tasca e corse verso la porta, uscendo e lasciandola spalancata. Daphne poté distinguere solo una specie di cicatrice sull’indice della mano sinistra.
-Daphne! Cos’è successo?-
Daphne balbettò qualcosa, scoppiando a piangere. Era inutile. Non poteva cambiare residenza ogni volta. Non ne sarebbe uscita finchè il colpevole non sarebbe stato catturato.
Aspettò che Chad se ne andasse. Lui, a dire il vero, voleva restare con lei, darsi malato al lavoro e saltare l’università, ma lei insistette, dicendo che siccome aveva raddoppiato il turno avrebbe lavorato tutto il giorno, e poi doveva studiare. Quello che Chad non sapeva era che Daphne compose un numero che aveva ormai imparato a memoria.
-Sì?- rispose la voce anziana
-Signor Watari, dobbiamo vederci immediatamente-
-E’ successo qualcosa di grave?-
-Le racconterò. Ma non a casa mia e non al telefono-
-D’accordo. Dove?-
-Al Crossover*. Penso che sappia dov’è, no?
-Non sarà un problema arrivarci. Tra un quarto d’ora lì. Le va bene?-
-Sì… Senta, può portare anche il suo collaboratore?-
-Come?-
-Mi pare si chiamasse… Den… Deneuve. Può venire?-
Watari sembrava perplesso. Fece passare qualche secondo di silenzio perché riprendesse in mano la situazione –Non può, signorina. Mi spiace. Comunque ci vediamo al Crossover-
Non c’era tempo da perdere. Corse a farsi la doccia.
Watari anche si stava preparando, ma solo le parole da usare al giovanotto che aveva di fronte, che guardava delle foto al computer.
-Non mi avevi detto che avresti avvicinato direttamente la ragazza- disse
-Non ne ho avuto l’occasione. Conto di parlarle direttamente in futuro. Voglio tastare personalmente ciò che la circonda-
-Sospetti di qualcuno vicino a lei?-
-Hanno messo il pacco davanti casa dell’amica. Certo, è un personaggio abbastanza in vista, ma come potevano conoscere i loro rapporti? O la sorvegliano da molto o qualcuno ne era a conoscenza già da prima. Si è trovato qualcosa sullo sperma?-
-Sì. Un pregiudicato oberato dai debiti. L’ho interrogato, ma sembra estraneo alla faccenda-
-E’ stato avvicinato da qualcuno?-
-In effetti ha raccontato qualcosa di molto interessante. Ha detto che due uomini, abbastanza giovani e che, a suo dire, indossavano delle parrucche, gli aveva chiesto di donare lo sperma per l’inseminazione. Dicevano di essere una coppia gay che voleva dei figli-
-Usa tutte le informazioni che ti ha dato riguardo questa coppia. Io mi occupo dei conoscenti della ragazza-
-Sto andando a incontrarla. Pare sia successo qualcosa di grave-
-In casa sua?-
-Sì-
-Va bene, vai. Già che ci sei, registra la conversazione. Voglio sentirla con le mie orecchie-
Watari si congedò, mentre il ragazzo si leccò le dita piene di panna.

* Il Crossover esiste davvero! E' un locale a mio parere splendido!

@ Mihael Keehl: Grazie infinite per la recensione, spero che seguirai la storia fino alla fine e che ti piaccia!

Ritorna all'indice


Capitolo 6
*** Chapter Six ***


Stavolta fu Watari ad aspettare Daphne al “solito posto”, come lei voleva chiamarlo: il Crossover, il suo locale preferito. Sapeva che lì non ci sarebbero state orecchie indiscrete.
Watari l’aspettava davanti all’ingresso, con l’impermeabile piegato e tenuto con cura per le braccia. Daphne lo accompagnò dentro, al tavolino più appartato.
-Daphne, come va?- chiese Al, il proprietario del locale –Porto qualcosa a te e al signore?-
-Lei vuole qualcosa, signor Watari?-
-Solo acqua e limone, grazie-
-Allora acqua e limone e dei salatini con un tè alla pesca-
Rimasero un’ora circa a parlare, Daphne a fare un resoconto dettagliato  della vicenda dell’irruzione a casa, e Watari che ascoltava con attenzione. Corrugò leggermente la fronte e fece delle congetture un po’ vaghe.
-In ogni caso, informerò Deneuve di quanto successo. La ringrazio per le informazioni. Ma lei ora come farà? Per la casa, intendo-
-Credo che tornerò a stare da un’amica… Finché non trovo qualcos’altro-
-Non crede che sarebbe inutile cambiare sistemazione?-
-E che dovrei fare? Non ho soldi per pagarmi tutti i danni alla casa e l’affitto. So bene che, anche cambiando indirizzo nuovamente, mi troveranno lo stesso, ma non so cosa fare… Non posso nemmeno stare dalla mia amica per sempre-
-Mi rincresce per ciò che le sta accadendo. Ora mi scusi, vado a sbrigare delle faccende-
-Certo. Io devo andare a lavorare. Arrivederci, signore-
-Faremo il possibile. Arrivederci-
Watari non fece in tempo a oltrepassare la porta di casa che subito Deneuve gli fece delle domande.
-Com’è andata? Cos’ha detto?-
-Ti faccio sentire subito. Ho nascosto un registratore sotto la manica della giacca-
Ascoltarono insieme la conversazione, Deneuve mentre giocava col labbro inferiore e lasciava le dita dei piedi intrecciarsi tra loro. Chiese di riascoltare più volte, insieme a una coppa di gelato alla fragola con tanta panna.
Daphne quel giorno si dedicava più che mai al lavoro. Non che prima d’ora si era dimostrata scansafatiche, ma era evidente che ci metteva più enfasi del solito. I suoi colleghi, e il suo superiore, pensavano fosse dovuto al bisogno di denaro per pagarsi un affitto più alto e gli studi. Non potevano certo immaginare che Daphne cercava anche una sorta di “distrazione”.
Una collega alla cassa la fermò mentre stava servendo una ragazzina che cercava una copia di Twilight.
-Ti vogliono al telefono. Mi occupo io della ragazza-
Daphne rispose al telefono con voce molto tranquilla. Era Chad che la chiamava, per avvertirla che sarebbe andato fuori città per una settimana per una specie di stage.
-Allora ci sentiamo per telefono-
-Mi spiace, amore, credo che non sarà possibile… Lì i cellulari non prendono bene, però vedo se fanno usare una specie di centralino…-
-Ma dove vai? È sempre in Italia?-
-Sì, sì, tranquilla. Milano o giù di lì. Appena posso mi faccio sentire-
-Okay… Divertiti. Ci vediamo tra una settimana-
Non appena mise giù venne chiamata in soccorso dalla collega di prima.
-Ancora la ragazzina?-
-No, stavolta c’è un pazzoide. Non vuole farsi servire da nessuno. Tranne che da te-
-E cosa vuole?-
-Cerca un libro di Chuck Palahniuk-
Palahniuk? Il collegamento era più che ovvio.
Daphne sbuffò sonoramente, e con passo svelto si diresse verso lo strambo ragazzo, cercando di sfornare il sorriso più bello e naturale che potesse avere.
-Desidera, signore?-
-Buongiorno. Finalmente si sono decisi a mandarmi lei-
-Se non ha a che fare con i libri è pregato di aspettarmi fuori. Stacco alle sette-
-No, voglio davvero comprare un libro- prese dalla tasca un foglio stropicciato, da cui lesse –Il Miglio Verde-
-Non è di Palahniuk- constatò Daphne
-Ovvio che no- rispose lui –Ma se non avessi messo in ballo Palahniuk, non avrebbe capito che ero io a cercarla, e si sarebbe trovata di meglio da fare- si guardò intorno –E’ una bella libreria, sa?-
Daphne sbuffò ancora –Le prendo il libro… Poi si faccia trovare al bar di fronte-
-Grazie- concluse Deneuve, con le banconote in mano.
-Daphne, quel tipo strano sta qua fuori tutto solo da due ore- disse irritata una sua collega –Chiamo il capo e lo faccio mandare via. Mi dà troppo fastidio-
-No, lascia stare. Aspetta me-
-Il tuo ragazzo lo sa?-
-Non è un amante, dai! Dobbiamo solo parlare di una cosa importante. Quindi non fare casini-
Certo che poteva pure farselo un giro, invece di stare ad aspettare sul serio tutto quel tempo davanti al negozio. A vederlo non si poteva considerare certo un persona equilibrata, e Daphne si immaginava già i commenti della gente, ben peggiori della collega, quando l’avrebbero vista passeggiare con lui.
Alle sette staccò dal lavoro, e lo trovò ancora là davanti, senza nessun segno di stanchezza o impazienza.
-Vedo che ha finito- disse lui –Bene. Direi di andare, allora-
-Dove?-
-A casa sua. Meglio che non vada da sola, dopo quello che è successo-
-Ah, allora ha saputo- Daphne iniziò a camminare verso casa di Virginia, già avvertita dell’ultimo guaio. Deneuve la seguì a ruota.
-Non ci sono molte persone con una cicatrice sulla mano. Questo restringe il campo di ricerche- solo allora fece caso al cerotto sul dito di Daphne, e anche qualcosa in più –Vedo che anche lei si ritroverà una cicatrice-
-E’ solo un taglio. Il posacenere era caduto per terra-
-Comunque, congratulazioni-
-Per cosa?-
-Ho notato l’anello. Di solito lo si regala in vista del matrimonio, no?-
Daphne arrossì –Non credo che ci sia ancora quell’intento. Comunque la ringrazio- stavano fuorviando e non andava bene –Potremmo tornare all’argomento principale?-
-Certo, certo. Purtroppo lo sperma trovato non porta al colpevole. Stiamo cercando ogni collegamento possibile. Lei, piuttosto, non sospetta di nessuno? Qualcuna che la odia…-
-ChI potrebbe volermi male fino a questo punto? Non conosco moltissime persone, e frequento sempre gli stessi posti…-
-Magari qualche ragazza gelosa del rapporto col suo futuro marito-
-Fidanzato, prego- appuntò lei –Comunque, che io sappia, non c’è nessun altra. Ci siamo conosciuti perché facevamo la stessa strada per l’università, e posso assicurare che non ho le corna-
-… D’accordo. Se lo dice lei… E al lavoro? All’università?-
-A proposito, come fa a sapere dove lavoro?-
-Non è difficile saperlo. Comunque non mi ha risposto-
-No… Non credo di avere nemici lì-
-Va bene. Farò comunque il possibile. Manca molo per casa sua?-
-No, è quel palazzo dall’altra parte della strada- Daphne indicò un palazzo arancione –La ringrazio per avermi accompagnata. Mi tenga informata-
-Le consiglio di stare attenta a chi ha vicino. Sta leggendo il libro di Palahniuk?-
-Sì…- le si gelò un po’ il sangue –Lei pensa davvero che vicino a me ci sia gente capace di questo?-
-Se si sbaglia basta chiedere scusa e rimediare- la salutò, si voltò e se ne andò per la sua strada. Daphne, ogni volta che lo incontrava, si angosciava. Gli metteva tutti quei brutti pensieri… Non che avesse torto. Aveva capito che era una specie di detective, era quindi naturale che sospettasse di tutti, ma allora faceva meglio a tenersi certi pensieri per sé.
E per il libro… Insomma, era un bel libro. Dai contenuti un po’ forti, certo non più pesante di Welsh* o chi altro. Ed effettivamente la protagonista aveva qualcosa in comune con lei: entrambe vittime di un aggressione, di cui sono sospettate persone molto vicine a lei. Ma Daphne non era la protagonista di un libro, e per fortuna non aveva ancora la faccia deturpata.
Entrò in casa di Virginia, lei che le aveva preparato la cena e l’accoglieva con un sorriso.
Poteva davvero sospettare di una persona così?

* Irvine Welsh è un autore scozzese famose per romanzi come Trainspotting e Ecstasy

Vi ringrazio tantissimo per le recensioni!

Ritorna all'indice


Capitolo 7
*** Chapter Seven ***


-Come sarebbe a dire che sta via per una settimana?!- esclamò Virginia sbattendo la forchetta sul tavolo ben apparecchiato.
-Una borsa di studio o una cosa del genere- rispose Daphne
-Con tutto quello che ti sta succedendo non dovrebbe andarsene a spassarsela per l’Italia. Che razza di fidanzato è?-
-Ha già fatto moltissimo…-
-Un anello non basta per farsi perdonare certi sbagli. Non lo doveva fare, punto-
A Daphne rodeva tanto per quella partenza. Così improvvisa. E poi Virginia non aveva tutti i torti: che bisogno c’era di partire in quel preciso frangente? Che fosse un modo per staccarsi dallo stress che gli aveva procurato?
-Forse sono io ad averlo assillato…- disse Daphne incerta, rigirando la forchetta tra le mani.
-Non cominciare con i sensi di colpa. Ti hanno derubata due volte, Daphne. Il minimo che poteva fare era restarti vicino-
-Per favore, parliamone domani. Ora sono stanca… Molto stanca-
Più si è stanchi e meno si riesce a dormire. A chi non capita, di tanto in tanto?
A molti.
A quanti però capita in seguito a due “visite inaspettate e sgradite” e un bel regalino pieno di sperma?
A pochi.
Infatti la cosa che preoccupava maggiormente Daphne non era la rapina. Cioè, anche. Ma quella scatola… Chi era stato? Un maniaco? Ma come… Quando? Non riusciva a farsi venire in mente nessuno che aveva anche solo incrociato che potesse sembrarlo.
Aveva paura. Non poteva stare da Virginia per sempre. Non poteva stare da Chad, lui già divideva la casa con altre persone.
Altri amici non la potevano ospitare.

Deneuve? Watari?
Il pensiero sparì subito. La stanchezza la faceva proprio sragionare.
-Sono riuscito a fermarli-
-Grazie, Watari- rispose Deneuve tramite il cellulare –Ora fai come stabilito: metti loro una benda, legali e prendi il percorso più lungo. Fai in modo che non capiscano dove li stai portando. Prendi i cellulari e gettali da qualche parte. Per cose come carte d’identità e patente, me ne occuperò io-
Illuminato solo dallo schermo di un computer, Deneuve mescolava accuratamente lo zucchero al tè, circondato da biscotti dalle più svariate forme, caramelle colorate e budini. Aveva sempre nutrito una passione sviscerata per i dolci di ogni sorta, da quando da piccolo aveva sentito dire che non facevano ingrassare, se si usava la testa. E doveva ammettere che era vero. E poi avevano un sapore così buono, non poteva proprio farne a meno.
La porta scorrevole si aprì, e il ragazzo intuì che Watari era arrivato coi due ospiti: due ragazzi, statura e corporatura media, uno coi capelli castani che cadevano i piccoli riccioli sulle spalle, l’altro biondo e con la testa sovrastata dalla gelatina.
-Grazie, Watari. Lasciami solo con loro, adesso. Nel frattempo puoi dare un’occhiata a questi fogli?-
Watari obbedì subito, slegando i ragazzi, i quali si guardavano intorno disorientati e arrabbiati.
-Riportateci a casa!- gridavano –O chiamiamo la polizia!-
-La polizia non può fare niente- rispose Deneuve con tono calmo –Non oserebbero mai mettersi contro di me. Inoltre non avete nulla da temere, se risponderete con chiarezza e sincerità alle mie domande. Sedetevi, prego- indicò due sedie di plastica. I due si scambiarono uno sguardo d’intesa, sogghignando di nascosto. Se avevano a che fare con un ragazzo così esile, sarebbe stato uno scherzo dargli qualche calcio e andarsene.
Quello che non sapevano era che Deneuve era preparato anche a delle possibili violenze fisiche. Tentarono di dargli qualche pugno, di farlo cadere a terra. Ma si può capire benissimo che tra due ragazzetti e uno specializzato nella capoeira non c’era molto da dire. Ma era anche vero che loro erano in due. Deneuve si beccò qualche pugno, ma era riuscito a farli stare buoni. Anche perché aveva tirato fuori dalla tasca un coltellino.
-Signori, non costringetemi a usare le maniere rozze. Vi prego di accomodarvi e fare come vi dico-
Vedendo la lama puntare verso di loro, ebbero paura. Furono più amichevoli e si decisero a sedersi.
-Ditemi perché avete chiesto a quell’uomo di darvi lo sperma-
La radio augurava il buongiorno e, soprattutto, il buon Natale. Daphne si stropicciò gli occhi, sbadigliò stiracchiandosi e si diresse in cucina, dove Virginia aveva lasciato un biglietto.

Siccome oggi è Natale devo lavorare di mattina. Torno per pranzo, porto pure il panettone. Tanti auguri di buon Natale!
Oh, era vero, era Natale. Un Natale che avrebbe passato senza casa, senza fidanzato, senza regali da dare e ricevere. Però, niente male!
Ma soprattutto: un Natale a casa da sola. Le avrebbero spedito un’altra cosa? Di uscire non se ne parlava. Si chiuse dentro, mettendo anche la catenella alla porta, sbarrò le finestre e abbassò le tapparelle. Se telefonavano, non avrebbe risposto.
Passò tutta la mattina così, a girare a vuoto per casa, in assoluto silenzio. Era meglio far capire che in casa non ci fosse stato nessuno. E se avessero suonato alla porta, avrebbe solo visto chi era allo spioncino, senza proferir parola e senza aprire.
Però ormai non c’era nulla di cui preoccuparsi. L’ora di pranzo era vicina, Virginia sarebbe tornata a momenti. Sentì un rumore, come delle chiavi che cercavano di entrare nella serratura. E a seguire una voce.
-Daphne, ti sei chiusa dentro? Mi apri?-
-Sì, arrivo!- tolse velocemente catenella e chiave, aprendo con un sorriso. Che sparì subito. Voleva richiudere la porta, ma un piede bloccava il movimento. Daphne a quel punto non poté che urlare, e scappare, lontano dal pericolo.
Non era Virginia. Aveva un registratore in mano, dannazione!
Non era Virginia, era invece un uomo dai capelli rossicci, che aveva il volto celato in una maschera di diavolo. Indossava lo stesso cappotto che Daphne aveva intravisto a casa sua. E aveva la cicatrice sulla mano. Era lui! Chissà quanto aveva aspettato, chissà quante volte l’aveva seguita!
-Vattene via!- Daphne gridò come una pazza e corse in cucina, prendendo il coltello più grande che poteva trovare.
Lui non parlava. Si avvicinava, con una calma snervante.
-Vattene!- gridò lei con quanto più fiato avesse in gola. Più si avvicinava, più lei muoveva alla cieca il coltello. Ma non servì. L’intruso mascherato prese il polso della ragazza, disarmandola. Si avvicinò ancora verso di lei, come per esplorarla. Daphne poteva giurare di sentir tirar su col naso. La stava annusando?
E lei tremava, senza poter fare niente. l’istinto e la paura la spinsero a tirare un calcio nelle parti basse, costringendolo a lasciarla stare e occuparsi del dolore. Lei ne approfittò subito, scappando verso l’ingresso e prendendo di corsa il telefonino.
Scese frettolosamente le scale, in preda al panico, fino a scontrarsi con Virginia, al portone.
-Daphne! Daphne, calmati! Che succede? Perché sei senza cappotto? Fa un freddo cane!-
-E’ qui! È qui!- gridò lei scoppiando a piangere
-Chi? Dove? Stai calma e respira!-
Daphne prese per mano Virginia e la portò a casa, dove era tutto in ordine, solo il coltello era a terra. Lui non c’era già più.
-Daphne… Che cosa è successo qui?-
Non rispose. Si inginocchiò per terra, coprendosi il volto con le mani. E singhiozzando come un isterica.
Chiamarono la polizia. nessun segno di scasso alla porta, nessun vetro rotto, nessun oggetto sparito, nessuna traccia di sangue o di molestia. Per poco non presero Daphne per pazza. Virginia, invece, si mostrava comprensiva.
-Daphne… Stai tranquilla. Ora mangiamo e ci dormiamo su, ok?-
-No… Non posso. Devo andarmene-
-Non dirlo nemmeno per scherzo. Se c’è qualcuno che ti fa prendere questi colpi, non aspetta altro che vederti per strada da sola. Anche se è Natale le strade non sono deserte. Sarà un maniaco… Uno stupratore-
-Virginia, se resto qui ci rimetterai anche tu…-
-Ne parliamo più tardi. Ora mangiamo- ribadì Virginia.
Una volta sicura che Virginia stesse dormendo, Daphne compose il “numero d’emergenza”.
-Signor Watari… La scongiuro, mi aiuti…-
-Signorina, cos’è successo?-
-E’ venuto di nuovo…- cercò di trattenere le lacrime e la voce tremolante –A casa della mia amica, mentre ero sola. La prego, mi aiuti…-
-Facciamo così. Mi dia l’indirizzo, e verrò immediatamente. Non suonerò al campanello. Le manderò un messaggio quando sono davanti alla porta, lei potrà anche accertarsi della mia identità guardando allo spioncino. A quel punto vedremo il da farsi-
-Sì… La ringrazio di cuore…-
Deneuve non aveva ascoltato la conversazione. Francamente, era meglio non disturbarlo. Era arrabbiato. E anche tanto. Quei presuntuosi non avevano detto niente di niente. l’avevano buttata sullo scherzo, dicendo che volevano spaventare Virginia, quella famosa, quel “gran pezzo di figa”. Anche chiedendo chi li avesse mandati, loro non rispondevano, dicendo che era tutta opera loro. Li lasciò andare, nascondendo il più possibile la rabbia. E fece lo stesso anche con Watari.
-Sto andando da Daphne… A quanto pare le hanno procurato un altro spavento-
-L’uomo dell’altra volta?-
-A quanto pare sì. A casa dell’amica mentre questa era assente. Immagino che ora voglia andarsene anche da lì-
Deneuve guardò il vuoto, portandosi una mano sul mento. Bè, era comprensibile che volesse andarsene. E poi, la faccenda si faceva più pericolosa. Non voleva farsi scappare di certo il morto.
-Watari, trovale tu una sistemazione, qua vicino. Più è vicina, meglio è- concluse –Organizza anche la sicurezza. Conto su di te-
-D’accordo-
-E già che ci sei, dimmi qualcosa di più su questa ragazza-
-Bè, il lavoro sai qual è, sai che ha il fidanzato e sai che posti frequenta. Immagino tu sappia anche cosa studia all’università-
-No, questo mi sfugge-
-Fotografia-
Deneuve si voltò verso Watari –Fotografia?- Watari annuì.
Fotografia… Forse poteva tornargli utile.

@Lucia Elric: Ti consiglio vivamente di vedere Trainspotting! Ha i contenuti un pò forti, ma è bellissimo! Io sto cercando il libro!
Ringrazio te e Mihael Keehl per la recensione! Per quanto riguarda la psicologia di Daphne, sto cercando di approfondirla man mano, concentrandomi molto sulla trama. Bè, spero che questo capitolo vi sia piaciuto!
E grazie a tutti quelli che stanno leggendo!

Ritorna all'indice


Capitolo 8
*** Chapter Eight ***


Tim, servizio di segreteria telefonica, la preghiamo di attendere.
Le aveva detto che da quelle parti i cellulari non prendevano. Eppure continuava a intestardirsi e chiamarlo. Era partito solo da un giorno, e voleva già sentire la sua voce. Lui ancora non la cercava. E lei si sentiva terribilmente sola.
Posò il Sony Ericsson f305 sul tavolino e distolse lo sguardo verso l’orologio, che segnava le 16. Le note di Dolcenera*, impostate come suoneria per i messaggi, la fecero sobbalzare lievemente, riprendendo nervosa il telefono. Era lui?
E invece no!

Sono davanti alla porta. Può aprire, per cortesia?
Aveva fatto in fretta, a quanto pare.
Per sicurezza guardò attraverso lo spioncino. Era proprio lui: baffi, occhiali, capelli candidi coperti dal capello, completo nero avvolto da un normale impermeabile. In mano aveva una valigia.
Daphne era già vestita di tutto punto, e aveva già avvertito l’amica. Uscì di corsa, ringraziando più volte Watari, e raccontandogli subito la triste vicenda.
-Non ha più motivo di preoccuparsi, ora- rispose l’occhialuto signore –Le troverò personalmente una sistemazione adeguata, con i dovuti sistemi di sicurezza. Le assicuro che d’ora in poi non si ritroverà sconosciuti in casa pronti ad aggredirla-
-E’ molto gentile da parte sua, ma…- esordì lei –Non so se posso permettermelo…-
-Oh, non c’è problema. La aiuterò anche finanziariamente. Io e il signor Deneuve teniamo particolarmente alla sua salute. Inoltre lei ha da fare anche all’università, quindi tutto va a vantaggio suo-
-Lei è Deneuve siete davvero gentili. Vi sono eternamente riconoscente-
Watari aveva già predisposto tutto. Era un appartamento moderno, e ben arredato con tutto l’indispensabile, fornito delle più avanzate tecnologie. Doveva costare un occhio della testa, e invece pensava a tutto lui. In particolare, i sistemi di sicurezza andavano oltre l’immaginazione di Daphne. La porta, per esempio: vicino al campanello c’era un bottone che attivava dei piccoli spruzzatoi di acido posizionati ai cardini. Se la porta veniva aperta senza disattivare l’allarme, o forzata, il getto avrebbe colpito in pieno la persona. E le finestre: bastava una piccola pressione e ci si beccava la scossa.
Il signore diede le chiavi e il telecomando degli allarmi alla ragazza, e disse che sarebbe tornato a momenti. Lei nel frattempo sistemò quei pochi vestiti che si era portata, insieme a qualche effetto personale. Il restò era già tutto inserito in un paio di scatoloni, a cui avrebbe pensato Watari.
La camera da letto era splendidamente arredata, i mobili bianchi, un letto matrimoniale rivestito di lenzuola rosa e verdi. Un grande specchio era posizionato tra la finestra e l’armadio troppo grande per essere riempito con le poche cose che si era portata. Un quadro sovrastava il letto, raffigurante un prato di papaveri. E la scrivania, anch’essa spaziosa, ma vuota. Niente libri, niente cornici, niente soprammobili.
Daphne aprì le tende e fece travolgere la stanza dalla luce. Watari l’aveva sistemata benissimo, e non ci poteva ancora credere. Buttò l’occhio sullo specchio. Guardandosi si vedeva un po’… Sciupata. Le punte dei capelli biondi sembravano gridare aiuto e avevano l’aria di essere molto rovinate. La faccia era visibilmente stanca e provata, e non si vedeva per niente nei suoi abiti.
Per l’ora di cena fu tutto portato nella nuova casa di Daphne. In più, il signor Watari aveva portato ospiti.
-Buonasera- Deneuve rifaceva la sua comparsa, completamente scalzo e con la solita maglietta candida e i jeans –Benvenuta nella sua nuova casa-
Lei si scostò i capelli e con un certo disagio ringraziò. Nessuno era mai andato da lei a darle il benvenuto. Cose mai viste, insomma.
-Se ha bisogno di qualunque cosa può venire al piano di sotto. Watari sarà sempre a sua completa disposizione-
Perché, tu no?, si chiese lei. Ma fu abbastanza saggia da tacere e rimpiazzare i suoi pensieri con le informazioni davvero utili –Abitate qua sotto?-
-Proprio sotto i suoi piedi- rispose prontamente il ragazzo pallido –E, visto che è appena arrivata qui, abbiamo il dovere di invitarla a cena-
-Grazie, ma…-
-Se le fa più comodo staremo noi qui-
-Ma…-
Sarebbe un imperdonabile scortesia se rifiutasse-
Ma come?! Da quando era obbligata ad accettare inviti a cena? Aveva solo cambiato casa!
Alla fine si vide costretta ad accettare.
Nonostante fu proprio lui a insistere, Deneuve non fu un esempio di “buon vicino”. Fu Watari soprattutto a tenere le redini di gran parte delle conversazioni. Finchè la cena non finì e poterono guardarsi tutti negli occhi, senza interruzioni tra un pasto e l’altro.
-Deneuve, mi sono spesso chiesta le sue origini. Deneuve ha un che di francese. Ho indovinato?-
-No- rispose semplicemente
-Eppure ha un accento strano-
-Vorrei dirle delle cose molto interessanti, signorina-
Ma che razza di modo aveva per rapportarsi con le persone? Daphne era talmente colpita che restò ammutolita di fronte a tanta insolenza, mentre Watari non spiccicava parola. Che strana coppia!
Il misterioso ragazzo dai capelli mori, invece, in tutta tranquillità tirò fuori dalla tasca delle foto, molto familiari alla bionda.
-La mia vecchia casa… E questa è la traccia di sangue…-
-Ecco, a proposito di quel sangue. Abbiamo scoperto che è sangue di bue. Forse è un meschino tentativo di spaventarla-
-Non ho proprio idea di chi possa fare porcherie di questo tipo. Mi da ribrezzo…-
-E’ possibile che sia solo un malato di mente… Non riesco ancora a trovare un collegamento con le altre vittime… Ah, a proposito…- prese altre fotografie, raffiguranti i due uomini scomparsi in “tragici incidenti”.
Daphne restò a lungo ad osservare, ma ebbe da obiettare –Le foto non sono granchè, non si capiscono bene. E comunque non li ho mai visti in vita mia-
Fu tutto, per quella notte. Per la sfortunata aspirante fotografa non del tutto. Tentò per un’ultima volta di prendere contatti col suo fidanzato, e finalmente ci riuscì. Trepidante, rispose alla voce di Chad con un sorriso abbastanza idiota.
Dopo i primi “ciao”, “come stai” e simili, però, la felicità si fece presto sostituire dalla stranezza, e subito dopo dall’incomprensione.
-Tesoro, ti avevo detto che ti avrei chiamato io…-
-Cioè? Che solo tu hai l’esclusiva di chiamarmi? Ero preoccupata per te, volevo sapere come stavi…-
-Ho capito, ma…-
-Ti scoccia?-
-No, affatto… Capiscimi, sono molto occupato ora… Non posso starti dietro…-
I nervi cominciavano a pulsare –Starmi dietro? Ma che stai dicendo? Non ti ho certo proibito di andartene!-
Nel giro di poco tempo i toni si fecero più aspri, per essere seguiti dalle lacrime. Chad sembrava così nervoso e per nulla contento di sentirla… Mentre lei non era riuscita ad ottenere un briciolo di comprensione. In compenso, però, qualcuno la sentì piangere. Anzi, sentì tutto.
Deneuve spuntò da dietro la porta, con le mani in tasca –Problemi?-
Lei si coprì la faccia, vergognandosi di farsi vedere così –Non è niente… Abbiamo solo discusso… Succede…-
-Ah, sì?- chiese lui –Ma in una coppia non dovrebbe andare tutto liscio? Insomma, due persone che stanno insieme vanno sempre d’amore e d’accordo… Credo- concluse, incerto.
Tra piccoli singhiozzi la ragazza rispose –A volte capita che ci siano delle divergenze di vedute…-
-Divorzierete?-
-Quante volte le devo dire che non sono sposata? E comunque non ci lasceremo per così poco… Credo-
Lui rimase un po’ interdetto –Uh… D’accordo. Allora io e Watari andiamo. Se ha bisogno, sa dove trovarci. Ah, le volevo offrire un lavoro-
-Ho già un lavoro-
-D’accordo, allora un favore personale. Ho saputo che studia fotografia. Visto che io e Watari non siamo molto esperti e ci serve qualcuno di capace per riprendere le prove e i luoghi, pensavo di chiedere a lei-
Guardò di sottecchi Deneuve, così magro e gracile. Scherzava? Bè, in fondo, poteva dirsi al sicuro con loro. Poteva, no?
-Va bene… Quando avrete bisogno-
-Le sono grato- si voltò, facendo cenno a Watari che era ora di andare –Buonanotte-

@ Lirinuccia: Grazie per i consigli! Aggiorno in fretta? A me sembra che passa pure troppo tempo xD

Al prossimo capitolo, gente!

Ritorna all'indice


Capitolo 9
*** Chapter Nine ***


Che tristezza chiudersi in casa dopo Natale per studiare! Daphne sbuffò sonoramente. Stava cercando di concentrarsi, ma non le riusciva granchè, né con la musica, né col silenzio, né mangiando qualcosa nell’intanto. Niente di niente. non aveva per niente voglia, ma doveva.
In un’ora aveva fatto poco e niente, fin quando non arrivò Marta a casa sua. Voleva vedere a tutti i costi dove viveva adesso. Era raggiante, quel giorno, e aveva in bocca un lecca lecca.
-Accipicchia!- esclamò –Ti sei sistemata proprio bene! E la camera com’è? Oh, guarda il bagno! È bellissimo!-
-Ti trovo in forma, Marta-
-Dici?- la ragazza ridacchiò –Bè, in effetti, sono di buonumore… Per Natale mi hanno regalato un sacco di soldi e li ho usati per fare shopping. Guarda questi tacchi nuovi. Non sono un amore?- alzò il piede, mostrando un tacco di almeno otto centimetri, di un azzurro lucente e con un fiore come decorazione.
Passare la giornata in compagnia non era stata affatto una cattiva idea. Almeno i suoi amici stavano bene. E Chad? Non si era fatto ancora sentire. Non rispondeva nemmeno ai messaggi.
-Dovresti mollarlo e cercarti subito qualcos’altro- disse Marta davanti una cioccolata calda –Sai bene che non lo vedevo molto a genio già da prima… Ecco, non va bene così. Vedi che aveva visto giusto?-
-Ma dovevi vederlo prima di Natale… Insomma, l’anello, ogni cosa… Dev’essergli successo qualcosa di grave… E’ strano…-
-Quanto invidio la tua ingenuità, tesoro mio- disse sospirando la diciottenne.
Non appena Marta se ne andò, squillò il telefono. Numero sconosciuto. Vabbè.
-Pronto?-
-Ha ragione. Dovresti mollarlo-
Deneuve…? Come aveva quel numero? 
Anzi, come si permetteva?
E poi, come faceva a sapere che la sua amica aveva detto…
Daphne buttò giù il telefono, arrabbiata, ma non servì a molto. Il telefono squillò nuovamente. Stavolta alzò la cornetta senza parlare.
-Ho detto qualcosa di male?- chiese lui con ingenuità
-Questa è violazione della privacy-
-Invece no. Guardi che quella casa è stata costruita coi miei soldi-
-Questo non le da il diritto di mettere telecamere a casa mia e spiare le conversazioni che ho coi miei amici-
-Le ha forse dato fastidio il fatto che do ragione alla sua amica?-
-Con permesso, devo studiare-
Rimise giù il telefono, e anche stavolta fu tutto inutile. Quando ci si metteva sapeva essere parecchio insistente…
Daphne non fece nemmeno in tempo ad avvicinare la cornetta all’orecchio che Deneuve prese parola –Non deve reagire così, non ho fatto niente di male-
-Ha richiamato solo per questo?-
-Ah, già… Scusi. Volevo chiederle se è davvero così urgente per lei studiare in questo momento-
-Ho saltato fin troppe lezioni e l’esame si avvicina. Non posso permettermi altre distrazioni-
-Va bene, ho capito. Allora si prenda un caffè e scarichi i nervi- fu lui stavolta a far terminare la conversazione.
La ragazza si promise che avrebbe preso 30, alla faccia sua.
Riuscì a dare l’esame prima di Capodanno, anche se il 30 non l’aveva preso. 28. Bè, non fa certo schifo.
E poi finalmente aveva un po’ più di tempo libero. Ora che ci pensava, era da tanto che non andava in giro a fare qualche foto… Sì, era un’ottima occasione. E poi l’aria dava l’impressione di una nevicata.
Con passo svelto andò a casa, ma si trovò una sorpresa. Un’altra scatola. Daphne rabbrividì, e invece di toccare il pacco, chiamò subito Watari, che diede subito la sua disponibilità.
A quanto pare avevano scoperto il suo nuovo indirizzo, ma Watari e Deneuve si mostrarono tranquilli.
-Deneuve, dev’essere lui. Pare che abbia forzato la porta, gli spruzzi di acido sono stati attivati-
-Allora sarà morto, no?- disse Daphne.
-Non possiamo dirlo con sicurezza. Ci sono delle piccole tracce verso le scale, quindi con ogni probabilità è riuscito a sopravvivere. Watari, accertati che non ci sia niente di pericoloso nella scatola e poi mostraci il contenuto-
Per fortuna lei non era in casa quando era arrivato… E anche se fosse stata in casa, il sistema d’allarme impostato dal vecchio Watari era eccezionale, davvero a prova di rapine e aggressioni. Sperò solo che non gli fosse stata spedita una bomba. E poi, perché ce l’avevano così tanto con lei? Che fosse una vittima casuale? Perché intestardirsi così tanto?
-Deneuve, ecco qui. Non c’è niente di pericoloso, solo queste foto. Nessuna impronta digitale, né tracce di saliva o sperma come l’altra volta-
Il ragazzo prese con la punta delle dita le fotografie, rimanendo perplesso –Sono foto di un’università. È forse quella che frequenta lei, signorina?-
Daphne annuì, prendendo le foto –Però è strano…-
-Possiamo intuire che sia qualcuno che frequenta quell’ambiente-
-Sì, ma… Chi? Inoltre queste foto… Non sono fatte da un principiante- mise sul tavolo le foto e, facendosi strada col dito, indicava le stranezze –Campo lungo, con i particolari in primo piano sfocati. Non tutti riescono a farlo. O almeno, un principiante riuscirebbe a farlo con un colpo di fortuna. E poi, ha ripreso solo una parte dell’università, da lontano, stando molto attento alla luce. Dev’essere andato apposta a un’ora di punta, come mezzogiorno, in modo che la luce del sole riflettesse perfettamente alle finestre. No, questa foto è opera di un esperto. È fatta davvero bene. Mi secca dovermi congratulare con chi ce l’ha tanto con me-
-Ma almeno restringiamo ulteriormente il cerchio- disse Deneuve –D’ora in poi ci concentreremo su quel luogo, e non perderemo di vista nessuno, nemmeno i professori-
La ragazza cercò di mostrarsi tranquilla. Chissà quanto sarebbe durata questa caccia.
-Posso andare, signor Deneuve?-
-Certo. Ah, già… Possiamo darci tranquillamente del tu. Così come può dare del tu a Watari-
-Lo terrò a mente… Grazie e arrivederci-
Watari si mise a sistemare le foto e rimetterle nella scatola, come se non fosse stata mai toccata. Deneuve se ne stava in silenzio, a mordersi il pollice.
-Che intenzione hai, adesso?- chiese l’anziano
-Non mi piace espormi così di persona…- replicò il ragazzo, continuando a mordicchiarsi il pollice –Ma a questo punto non mi restò che andare direttamente all’università. Se ci sono delle prove, sono senza dubbio là*-

* Vi ricorda qualcosa? :) @ Lirinuccia: Grazie, grazie e ancora grazie! *-* Spero che anche questo capitolo ti sia piaciuto! Ah, mi sono dimenticata l'asterisco del capitolo precedente! Dolcenera è una canzone di Fabrizio De Andrè

Ritorna all'indice


Capitolo 10
*** Chapter Ten ***


Ora che aveva del tempo libero, si sentiva addirittura perditempo. La solita irrecuperabile incontentabile.
Un po’ si pentiva di essersi fatta allungare l’orario di lavoro. Doveva smetterla di dar retta all’istinto, accidenti a lei. Così come doveva smettere di fissare un telefono senza nessun segno di vita. Chad non avrebbe chiamato.
Ma davvero bastava una scossa così piccola per far finire un rapporto? Daphne scosse il capo, cercando di dimenticare quanto aveva pensato fino a quel momento. Chad era una persona intelligente. O almeno, ne era convinta.
Piuttosto, Capodanno si avvicinava! E lei se ne stava a casa a far niente!
Bè, Virginia avrebbe fatto qualcosa, no? Così come Marta e gli altri. Forse era ancora in tempo per organizzare qualcosa.
E Deneuve? Che avrebbe fatto? Sicuramente se ne sarebbe stato a casa a scervellarsi su quel “persecutore”. Non sembrava affatto il tipo da fare feste o andarci.
Era una giornata piovosa, Daphne che seguiva passivamente la lezione, scarabocchiando sul foglio dei ghirigori. Chad ancora non si faceva sentire, ed era passata più di una settimana. Era il caso di preoccuparsi? Di parlarne con Watari, magari. Forse lui non voleva più saperne di lei, oppure era successo qualcosa di ben peggiore… Dio, non voleva pensarci. Neanche si accorse che la lezione era finita, e l’aula si svuotava pian piano. Sospirò, riparandosi il collo con la sciarpa, e concentrandosi di più su quei ghirigori senza senso.
-Divertente?- chiese una voce, sempre più vicina. Lei non ci credeva. Che ci faceva all’università?
-Cosa…-
-Mi sono appena iscritto all’università. Niente male, questo posto- disse Deneuve togliendosi le scarpe e mettendo i piedi sul tavolo. Una posizione certamente poco consona a uno studente universitario, ma tanto la lezione era finita e a lui non sembrava importare.
-Mi sta sorvegliando?-
-Se davvero il colpevole frequenta questo posto è giusto che lo tenga d’occhio personalmente. Ah, ci tenevo a dirle che possiamo benissimo darci del tu. In fondo non abbiamo una così grande differenza d’età-
-Ah, ok… Hai trovato qualche sospettato, allora?-
-No. Tu, piuttosto? Conosci questo posto meglio di me-
-Ho la testa da tutt’altra parte- rispose lei sbuffando –Non me ne accorgo neanche se mi osservano o cosa-
-Ah… E cosa c’è che ti preoccupa tanto?-
-Il mio… Ragazzo-
-Ti ha scaricata?-
-No! Cioè, sì… Non lo so. Non è ancora tornato. Non risponde al telefono. Confesso che sono preoccupata-
Deneuve la fissò per un po’, trovando improvvisamente interessante la conversazione –Posso avere il suo numero di telefono?-
Daphne pensò che era inutile. Se non l’aveva trovato lei, come poteva sperare di rintracciarlo lui? Comunque, glielo diede.
-Ora ti sarei grato se ti guardassi di più intorno, facendo attenzione a occhi indiscreti. Mi fai questo favore?-
-Non sono una mocciosa, non è il caso che ti rivolgi così… Comunque okay, ci proverò. Ora vorrei restare un po’ sola per i fatti miei-
Lui sparì, senza neanche salutarla. Era strano forte, ma Daphne apprezzava la comprensione.
Capodanno si faceva vicino, e si era ormai organizzata con Virginia, la quale chiese se alla festa voleva venire anche questo Deneuve. L’aveva sentito nominare qualche volta, e voleva conoscere questo tizio così gentile da offrire una casa alla sua cara amica.
-Ma è carino, almeno?- chiese lei legandosi i capelli in una coda laterale. Iniziò a togliersi le extentions color arcobaleno
-Onestamente non è il mio tipo…- rispose Daphne, mentre la guardava allo specchio –Troppo strano, e sembra che stia per morire da un momento all’altro. e comunque non credo che verrà-
-Mh, mi piacciono i tipi strani…- rispose la sua amica facendo un sorriso sghembo –Ah, dimenticavo. Io sto andando a farmi un altro tatuaggio. Mi fai compagnia?-
-Sì, perché no?-
-E con Chad?-
-Nada-
-Strano… Io mi preoccuperei…-
-Infatti penso che ne parlerò a chi di dovere-
Chissà poi che ne aveva fatto Deneuve di quel numero. Era riuscito a trovarlo? Ne dubitava… Se avesse scoperto qualcosa, gliel’avrebbe detto. No?
Ironia della sorte, incrociò Watari per le scale.
-Signor Watari, vorrei parlare… A proposito del mio ragazzo. Deneuve le ha accennato qualcosa?-
-Signorina, che coincidenza. Deneuve le vorrebbe parlare a proposito del suo ragazzo-
-L’ha trovato?!- disse lei con un sorriso.
-Venga signorina- mostrava impassibilità. Sembrava immune da tutto. Daphne non ci badò molto. Dopotutto, ai suoi occhi Chad era uno sconosciuto.
Deneuve se ne stava davanti a un computer acceso, mentre mangiava dei cioccolatini. Attese un po’, il tempo che Daphne si prendeva una sedia, sempre sorridente.
-Allora? Dov’è?- chiese trepidante.
Non sembrava affranto, né desideroso di trovare le parole adatte –A trovarlo l’ho trovato… Anche se non immaginavo in questo modo- digitò qualcosa sul pc, ma si bloccò all’improvviso –Onestamente non credo che tu possa guardare…-
-Deneuve… Che sta succedendo? Cos’è successo a Chad?-
-Garantiscimi che non darai di stomaco-
Il sorriso sparì all’improvviso, dando spazio all’incredulità, fino a sfiorare l’isteria –Non sei spiritoso. Dai, dov’è Chad?-
-Ti faccio le mie condoglianze, Daphne. Se sai una preghiera, questo è il momento di dirla-

Era lì.
Smembrato.
La faccia deturpata dalla benzina e dai tagli.
I polpastrelli andati a causa delle ustioni.
Il petto squarciato dalle coltellate.
Nessuna arma trovatagli vicino, solo la sua carta d’identità. In mezzo a un lago di sangue, ai margini di una strada di campagna.
A stento la ragazza cercò di non vomitare, tenendosi la bocca. Chi l’aveva ridotto così? E da quanto?
-E’ morto circa cinque giorni fa- disse Watari –E’ stato preso a coltellate e poi bruciato, mentre agonizzava a terra. A terra sono stati trovati rimasugli di unghie, probabilmente ha cercato di divincolarsi…-
Si fece prendere da una crisi improvvisa, aggrappandosi alla sciarpa. No, non era vero. Non poteva essere vero.
Deneuve si alzò dalla sedia, facendola sedere nuovamente.
-Lo amavi molto…?- chiese
Lei sussurrava –Stai zitto… Stai zitto…-
Difatti rimase zitto, e si incamminò per uscire dalla stanza –Watari- disse –La ragazza stanotte resta qua. Dagli una mezza specie di pigiama… E un tranquillante-

Chiedo scusa per averci messo tanto a postare! Spero che la storia vi stia piacendo! Al prossimo capitolo!

Ritorna all'indice


Capitolo 11
*** Chapter Eleven ***


-Si è calmata?-
-E’ in bagno da mezz’ora. Voleva farsi un bagno caldo. Non vorrei che svenisse-
-No, lasciala fare-

Era andato via.
Senza salutarla.
Senza potersi chiarire.
Era morto odiandola?
Aveva sofferto molto?
Dove era finito?
Era il caso di credere in qualcosa come il Paradiso e fare una preghiera?
Perché Dio a volte era così ingiusto?

-Torta Pan Di Stelle?-
-No, grazie-
-Smarties?-
-No, grazie-
-Mai Dire Grande Fratello?-
-No, grazie-
-MTV?-
-No, grazie-
-…-
-Libri?-
-No, grazie-
-La smetti?-
-No, grazie-

Non aveva più voglia di andare all’università.
Non aveva più voglia di far niente.
Non sarebbe andata nemmeno alla festa di Capodanno. Se ne stava tutto il giorno sul lungo divano blu a far niente, facendo zapping in continuazione.
Deneuve era un tipo piuttosto indifferente a tutto. Viveva e lasciava vivere. Ma il vederla lì, amorfa, più morta della mummia di Tutankamon, gli dava fastidio. Più che altro perché non sapeva come confortare una ragazza quando gli muore il fidanzato. Non gli era mai successo.
Cercò comunque di azzardare una conversazione, tanto per farle ricordare che aveva anche altre presenze e che non era in casa propria.
-Daphne… Non pensi di esagerare-
Lei lo guardò di malavoglia, tornando poi sulla tv
-Insomma, il mondo è grande… Morto un papa se ne fa un altro-
Deneuve non sapeva di aver risvegliato in lei impulsi omicidi. O acidi.
-Non ti sei mai innamorato, vero?- chiese lei stizzita
-Volevo solo farti notare che ormai è morto e che non torna indietro-
-Per una volta, stà zitto e vattene a strafogarsi di dolci-
-Se davvero vuoi fare qualcosa di costruttivo, aiutami a mettere in galera chi te l’ha ammazzato-
-Perché non ci pensi da solo? Hai o no un’intelligenza sovrumana?-
-Daphne, ti prego di non rivolgerti più così-
-Vaffanculo, stronzo-
In testa Deneuve aveva due pensieri precisi: il primo era di strozzare la ragazza. Ma siccome era del gentil sesso, maltrattarla sarebbe andato contro i suoi principi. Il secondo era un interrogativo: era davvero comprensibile soffrire così?
-Watari, pensaci tu- disse calmo il ragazzo –Tu sei molto più bravo di me in queste cose-
Watari aveva l’aria di un perfetto maggiordomo. Sempre in smoking, con gli occhiali piccoli e tondi, gli occhi socchiusi e le mani poste sempre dietro la schiena quando non era occupato. Se davvero non avesse detto alla sventurata ragazza che era un collaboratore di Deneuve, avrebbe pensato davvero a un maggiordomo. Inoltre, sembrava parecchio intimo con lui, come se fosse un tutore o il nonno.
L’anziano signore si sedette sul divano, ad almeno mezzo metro dalla ragazza. Il fatto che non era stato guardato male (anzi, neanche guardato), era un buon segno.
-Signorina, le va di fare due chiacchiere?-
Daphne si girò lentamente verso di lui, annuendo impeccertibilmente.
-Le chiedo scusa per le parole di Deneuve. A volte presenta difficoltà nel comunicare con gli altri. Ma capisce anche lei che non era sua intenzione farle del male-
Abbassò un po’ lo sguardo. In effetti, mandarlo a quel paese e dargli dello stronzo non era stato il massimo della galanteria.
-Siamo davvero molto dispiaciuti per la tragica fine del suo fidanzato, credo l’abbia capito. Non si dia pena, né sensi di colpa. Vedrà che avrà molte soddisfazioni a vedere il colpevole in prigione-
-Lei crede davvero che andrà in prigione?-
-Scusi?-
Daphne sbuffò –Non sa come funzionano le cose in Italia?-
-Signorina, comprendo il suo risentimento, ma la giustizia italiana in questa storia ha ben poca importanza. Non sarà un giudice a renderla soddisfatta, né un ergastolo-
-Lei non capisce, signor Watari. Mettiamo che il colpevole venga preso. Aspettiamo sei mesi per un processo, la sentenza all’inizio è di vent’anni, poi scende precipitosamente a sei perché incensurato o malato di mente. Poi si patteggia per la libertà vigilata, e quello se ne torna libero per i campi a gridare che è stato vittima dello Stato. Crede che io possa sopportare tutto questo?-
-Ma non sempre le cose vanno come dice lei-
-E’ evidente che in Italia ci sta da poco-
-E allora cosa reputa meglio?-
-Vorrei ammazzarlo con le mie mani il pezzo di merda che l’ha ucciso-
-Signorina, non dica così. Tenga i nervi saldi nonostante la situazione. Ci aiuti, a me e Deneuve, e vedrà che le cose andranno in maniera ben diversa-
Dopo diversi attimi di pensieri e congetture, Daphne si decise ad annuire.
-Molto bene. Ora, che ne direbbe di alzarsi e chiedere scusa a Deneuve?-
Obbedì, passivamente, dirigendosi nell’altra stanza con un viso affranto e dispiaciuto.
-Deneuve…-
-Okay-
-Cosa?-
-Sei perdonata-
-Oh- disse solamente.
-Che ne diresti adesso di fare una passeggiata?-
-Dove?-
-Davanti all’università. Ho notato un bar delizioso lì vicino-
Mentiva spudoratamente.
Difatti del bar non ne parlò più, e una volta davanti l’edificio universitario, il ragazzo andò dritto al punto.
-Mostrami il tuo talento fotografico-
-Non mi ispira fare foto adesso e a questo posto-
-Allora vediamo se sei così brava da fare una foto molto simile a quella che ti ha mandato il “maniaco”-
-E’ una sfida o cosa?-
-Voglio solo vedere una fotografa all’opera e capire dove il colpevole si è effettivamente messo per fare la foto-
Daphne restò per un po’ a guardarsi intorno, concentrata su ogni minimo dettaglio. Strofinava le Converse per il freddo e intanto tirava fuori dalla tracolla la sua Canon.
-Vediamo… Io la farei qui- fece qualche passo, si inginocchiò e iniziò a regolare la macchinetta. Evidentemente Deneuve aveva scelto apposta l’orario, visto che la luce cascava a fagiolo proprio come la foto che aveva ricevuto.
Fece qualche scatto, con diversi effetti e campi. Oltre a ricevere i complimenti sia da Watari che dallo strambo ragazzo, venne informata delle congetture di quest’ultimo.
-Ora capisco perché diceva che solo un esperto può fare foto simili… O comunque con molta esperienza dietro le spalle. Non credevo ci volessero tante attenzioni per una semplice foto. E secondo lei perché ha scelto proprio questo punto?-
-Bè, la luce qui è davvero fantastica…-
-Conosce delle persone in gradi di fare queste foto?-
-Qualcuna nel mio corso c’è che ha talento… Anche qualche professore. Ora che ci penso… Ce n’è uno davvero bravo, che ha da poco tenuto una mostra fotografica-
Deneuve chiese di scrivere i nomi su un foglio, con relativi indirizzi, se li conosceva, e corsi frequentati.
-Ora possiamo tornare a casa- concluse.
-No. Ora mi è venuta l’ispirazione. Vorrei fare qualche altra foto, se non vi dispiace-
Acconsentirono senza nessuna obiezione, gironzolando qua e là e lasciandosi trasportare dalla brezza invernale.
Era vero, Daphne era proprio ispirata.
Non poté fare a meno di fotografare Deneuve con lo sguardo rivolto un po’ verso l’alto, a fissare la linea dei tetti delle case. Preso di mezzo busto e sfocando lo sfondo.
Lui non se ne accorse.
Chad, adesso saresti geloso?, si chiese lei.
Sì, l’avrebbe vendicato ad ogni costo.
E nella sua testa balenava l’idea che il colpevole frequentasse davvero la sua università.

Ringrazio di cuore NemesisMihael Keehl Lucia Elric per le recensioni. Lucia, grazie degli auguri!
E Buon Natale a tutti voi, anche se in ritardo xD
A quanto pare la morte di Chad è stata una vera sorpresa! Wow!
Spero che continuerete a seguirmi e che non vi stiate annoiando. Del colpevole ancora niente, ma dei piccoli passi i nostri protagonisti li stanno facendo...
E povero L che viene così trattato male! xD
Alla prossima!

Ritorna all'indice


Capitolo 12
*** Chapter Twelve ***


Sicuramente era l’unica ragazza ad aver passato la notte di Capodanno a poltrire. Niente stappi di champagne alla mezzanotte, niente festa, niente gite fuori porta, niente auguri.
Era il caso di festeggiare qualcosa? Dopotutto stava solo finendo un anno, non cambiava niente nella sua vita.
Ma sapeva benissimo che erano solo scuse.
Era talmente stanca quel giorno che non aveva chiuso le tende, non si era messa il pigiama e nemmeno spogliata, con tutto il trucco e la macchina fotografica al suo fianco.
Si svegliò col torcicollo e la luce del sole del primo gennaio.
Anno nuovo, vita nuova.
Col cavolo.
Guardò l’ora: le 15. Però, niente male.
Si accorse solo allora che qualcuno suonava insistentemente alla porta, e che questa insistenza era da parte di Virginia.
-Come stai?- chiese lei con fare apprensivo
-Ho bisogno di un’aspirina…- rispose Daphne tenendosi la testa.
Virginia notò tre lattine di birra sparse sul tavolino del salotto. Fece finta di non vederle, e accompagnò l’amica in cucina.
-Sai, alla festa c’era diversa gente che volevo farti conoscere… Mi è dispiaciuto tanto che non sei venuta. E per tutto il resto… Se hai bisogno di qualcosa…-
-No, non disturbarti… Mi fa piacere anche se vieni solo a trovarmi… Oggi niente radio?-
Parlarono del più e del meno per diverse ore, cercando accuratamente di evitare il discorso Chad.
Nel frattempo Deneuve era nella sua stanza piena di computer, fissando intensamente lo schermo.
-Ancora a fissare quella foto? Mi sembrava di aver capito che il caso del ragazzo fosse chiuso-
-E’ chiuso, infatti- rispose il ragazzo –L’autopsia ha confermato il suo Dna, e le tracce di unghie a terra sono le sue. Quindi è assodato che quello è lui. Il mistero è perché è stato ucciso e perché in quel modo-
-Non fa bene pensare a stomaco chiuso- disse il vecchietto posando accanto al giovane un vassoio pieno di ciambelle.
-Hai ragione… Grazie, Watari- e in men che non si dica mise in bocca mezza ciambella.
Era da un bel po’ che l’investigatore e Daphne non si sentivano. Non si erano visti nemmeno per gli auguri di Capodanno, mentre Watari la chiamava quasi ogni giorno e chiedeva se andava tutto bene. In effetti, di visite sgradevoli e pacchi misteriosi non ce n’era più notizia.
Soprattutto, di Chad non si sapeva nulla. Al funerale non faceva che chiedersi i perché di tante cose. Che stava succedendo? In che guaio si era cacciata per attirare su di sé tutte queste sventure?
Quando proprio Deneuve la chiamò per parlare di Chad si sentì il cuore mancare per un momento. Corse immediatamente da lui, e col fiatone chiese le novità.
-Siediti. E prenditi una tazza di tè-
-Devo aspettarmi altre brutte sorprese?-
-Io sono sorpreso. Non porti più l’anello-
-Non ha senso continuare a metterlo-
Deneuve rimase in silenzio qualche per qualche secondo, approfittandone per mescolare lo zucchero nel caffè –Però ce l’hai ancora?-
-Sì- anche lei mosse il cucchiaino per mescolare e soffiò piano nella tazza
-Dove l’ha comprato?-
-Non lo so-
-Non sai nemmeno quanto costa?-
-Non si dicono queste cose quando si fanno regali-
-Allora sono costretto a chiederti di prestarmelo per qualche giorno-
-Che ha a che fare quell’anello con la morte di Chad?-
-Può essere che il tuo defunto ragazzo si sia riempito di debiti per prenderti quell’anello e che non sia riuscito ad onorarlo. Capita, sai?-
-Mi fai venire i brividi-
-Pensala come ti pare. In ogni caso, l’anello me lo devi dare comunque-
Dopo una mezz’oretta se ne tornò a casa. Alla fine, Deneuve non le aveva detto niente su Chad. Ebbe l’impressione di essere presa in giro. Faceva tanto il brillante, eppure non le diceva quasi niente.
O almeno, lo aveva pensato per… Quanto? Una settimana e qualche giorno?
Daphne non immaginava di certo cosa successe in quell’arco di tempo.
Fu Watari a farle un resoconto dettagliato.

-Signorina, si accomodi. Ora le spiegherò tutto quello che deve sapere. Come sa, il suo ragazzo è stato ucciso, ma per capire il perché è necessario andare indietro nel tempo, alla sua prima rapina. Ricorda le tracce di sangue? Ebbene, deve sapere che siamo andati in qualunque fattoria, mattatoio e allevamento per ricavare qualche informazione, e avevamo saputo che erano stati comprati dei buoi qualche giorno prima della rapina. In seguito, c’è stata la scatola, un meschino trucco di ragazzini che hanno agito per conto di una persona più importante, di cui però ancora ne ignoriamo l’identità. Il perché dello sperma e del rossetto? Molto semplice: oltre al desiderio sessuale, il colpevole è un sadico che non fa distinzioni. E, come aveva intuito lei, un esperto fotografo. Le foto delle due vittime con cui lei non ha effettivamente legami, sono infatti state scattate più volte da questo tizio. Abbiamo delle foto davvero degne di nota. È un uomo che cerca dei modelli, di qualunque sesso ed età, per le due opere macabre. Lei a quanto pare ha colpito l’attenzione di questo pazzo-
-Non capisco, signor Watari… Perché venire a casa mia?-
-Per spaventarla? Deneuve suppone che il colpevole cerchi in prima persona la sensazione da fermare-
-Come ha fatto Deneuve a capire tutte queste cose?-
-Da un paio di foto e delle impronte si possono capire molte cose. E comunque verranno spiegato a tempo debito. Ora, torniamo al suo fidanzato. Lei è stata pedinata, non è difficile capire che lei aveva un fidanzato, e per Natale il ragazzo è stato avvicinato per comprare l’anello, con un notevole sconto. Qualcosa dev’essere andato storto e il suo ragazzo è stato “punito”. Cercheremo di risolvere al più presto questo punto. Il punto, ora, è che siamo quasi vicini al colpevole. È pregata di non andare all’università per nessuna ragione. Per il lavoro, l’accompagnerò io. Ed esca il meno possibile-

@ Mary-Chan94: Sinceramente, non so proprio che piega prenderanno le cose con L e Daphne xD Ti ringrazio tantissimo per aver recensito e sono contenta che la storia ti piaccia! *-*

Ritorna all'indice


Capitolo 13
*** Chapter Thirteen ***


Il destino esiste davvero o è solo opera della suggestione umana?
E se esiste, è possibile comandarlo o si fa trasportare dai venti?
Fino a che punto l’uomo può controllare le cose?

Fino all’infinito.

Ma questo va contro il fato.

Il fato l’abbiamo creato noi.

E allora perché ci crediamo così tanto?

Perché siamo egoisti.

Un sogno?
No.
Era l’ultima conversazione tenuta con Deneuve. Erano nella stanza dei computer (lei ormai la chiamava così) e si era chiesta se tutto quello che le era capitato era stato voluto da qualcosa di più grande.
Ma da quel discorso, aveva capito che Deneuve non credeva in niente, se non in se stesso.
In parte lo ammirava. Sarebbe bello se l’uomo non fosse libero da certe fantasie.
Sotto un altro punto di vista, però, non ci vedeva che solitudine in quelle parole.
Povero ragazzo. Chissà che aveva passato per pensare quelle cose.
O forse voleva solo darsi un tono. Difficile dirlo.
Invece era ormai assodato che Daphne passava più tempo con la strana coppia di Watari e Deneuve che a casa sua o in giro. In fondo, era meglio così. C’era un pazzo fuori che voleva ucciderla per una stupida foto.
Aveva ragione Marta: l’Italia è una gabbia di matti.
Per la prima volta sentì nostalgia di casa. Viveva in provincia, in Toscana, ma suo padre era siciliano. Conduceva una vita tutto sommato tranquilla, il divorzio dei genitori non le creò nessun trauma. Sempre meglio che sentirli litigare ogni giorno o vedere la madre spiare il telefono del marito, controllare le sue mail, telefonare ai conoscenti per sapere dove andava. Il sospetto di essere tradita l’aveva portata all’ossessione, e non aveva tutti i torti. Qualche scappatella, effettivamente, c’era stata.
Il padre tuttavia era un uomo generoso. Forse pensava che con le carte di credito avrebbe coperto il dolore del tradimento.
Gli uomini sono degli sciocchi. Pensano di coprire coi beni materiali i vuoti del cuore.
Pensano questo perché le donne danno l’impressione di essere volubili, quando non è così.
Ma l’uomo non capisce, e nemmeno la donna capisce.
Quest’abisso ci sarà sempre.
Daphne questo concetto lo formulò a undici anni, una volta deciso il divorzio.
Stava bene, comunque. Non dovette rinunciare alle amicizie, né ai posti che frequentava di solito. Fino all’ingresso al liceo, stava benone.
Sua madre però si fece prendere da una brutta malattia: depressione.
Amava suo marito. Dio, quanto lo amava. E amava sua figlia, frutto del suo amore con lui.
Per una donna, pensare di essere sostituita come se nulla fosse con una qualunque, è inaccettabile. Questo l’uomo non lo capisce, Daphne se ne rese conto quando andava a trovare il padre che si era trasferito a Messina, sua città natale.
Era affezionato alla moglie senza ombra di dubbio. Non trovava quei piccoli tradimenti d’ostacolo per il matrimonio. Lui le definiva delle semplici amicizie, sapeva distinguere bene i suoi doveri di padre di famiglia e di marito che ama comunque la donna che ha sposato.
Se suo padre fosse stato il protagonista di un libro sarebbe stato Tomàs*. Come lui, era sposato, di buona famiglia, amava sua moglie ma aveva un sacco di amicizie erotiche. E la moglie, Tereza, lo sapeva benissimo, sentiva sempre l’odore del sesso, sapeva che lo amava, sapeva di essere ricambiata eppure non digeriva il fatto di essere tradita. E solo alla fine, capì quanto davvero l’amava nonostante i tradimenti.
Gli uomini sanno distinguere il sesso dall’amore molto meglio delle donne.
Daphne non riusciva ancora a comprendere l’amore e le sue sfumature. Quando si fidanzò con Chad, non ebbe nessuna preoccupazione per eventuali tradimenti, non pensò a niente. Voleva bene a quel ragazzo ed era ricambiata. Quindi, che problema c’era?
Forse era questo che aveva colpito Chad. Il fatto che lei vivesse l’amore e il rapporto di coppia con estrema naturalezza e semplicità.
Una cosa che Deneuve invece non capiva. Daphne ebbe l’impressione che deneuve non avesse mai avuto donne. Per essere un po’ maligna, sospettava che lui credesse ancora alle cicogne che portano i bambini, o al fatto che essi nascessero sotto i cavoli.
Più volte voleva chiedergli qualcosa, ma sapeva che non avrebbe avuto risposta. O forse sì. D’altra parte, leggeva Palahniuk, che non è proprio come leggere Pollyanna o Piccole Donne.
Comunque, la vita sessuale di quel ragazzo strano non rientrava negli affari suoi. Meglio stare zitti.
E soprattutto, meglio prepararsi.
Deneuve aveva detto che quella notte sarebbero andati da qualche parte a cercare delle prove.
Ovviamente, non le fu detto altro, né che cosa avesse scoperto di recente.
Le venne detto soltanto che il colpevole era un professore universitario.
-Come hai detto tu, Daphne, le foto sono fatte da un professionista, e interrogando qualcuno nella tua università sono saltati fuori dei nomi interessanti. Inoltre, so che c’è qualche professore che ha un particolare tic nervoso alle mani o simile. Le tracce di rossetto nella scatola sono fatte alla rinfusa, le linee si spezzano spesso e vanno un po’ a zig zag. Comunque, stasera vedremo di trovare qualcosa di interessante-

 

*L’Insostenibile Leggerezza Dell’Essere di Milan Kundera, ambientata a Praga nel 68. Le vicende ruotano attorno a Tomàs, un chirurgo di fama, Tereza, sua moglie e fotografa, Sabina, pittrice e amante di Tòmas, e Franz, professore universitario amante di Sabina.
Il romanzo è caratterizzato da una forte presenza della filosofia di Nietzsche.
E vi consiglio vivamente di leggerlo, è uno dei libri più belli che abbia mai letto!

Grazie mille a tutti voi che leggete le mie storie! *-*

Ritorna all'indice


Capitolo 14
*** Chapter Fourteen ***


Quando Daphne si svegliò vide tutto bianco.
No, non era andata in coma, tantomeno in Paradiso.
Era semplicemente la neve.
Un po’ in ritardo, visto che Natale era bello che passato, ma pur sempre neve, e pure tanta.
L’unica cosa a cui pensò fu di correre a scattare delle foto. Sapeva che la neve sarebbe durata ben poco, con ogni probabilità avrebbe piovuto oppure sarebbe uscito un sole che avrebbe comunque fatto sparire tutto.
Di corsa ad attaccare la piastra e accendere lo stereo, facendo rimbombare per la casa Smells Like Teen Spirit. Non si vergognò minimamente di cantare a squarciagola.
Si vergognò profondamente quando andò ad aprire la porta con i capelli raccolti dal mollettone, trovandosi davanti Watari.
-S-sì?- chiese lei impacciata e arrossendo all’inverosimile.
-Mi scusi per l’ora, ma volevo accertarmi se fosse tutto a posto-
-Sì sì, va tutto meravigliosamente!-
-Deneuve vorrebbe inoltre sapere se fosse disponibile per delle foto concernenti le indagini-
Lei rispose subito di no. Aveva di meglio da fare. Quella giornata voleva dedicarla solo a lei. Watari non fece obiezioni. Era una persona davvero discreta, come un perfetto maggiordomo. Inoltre, sembrava parecchio in confidenza con Deneuve. Probabilmente non erano dei semplici collaboratori, ma Daphne non volle impicciarsi più di tanto.
Si mise gli stivali e con un sorriso prese la tracolla e uscì, chiudendo tutto a chiave e lasciando i sistemi d’allarme inseriti. Che comodità, quella casa!
Si era particolarmente concentrata sui pini bianchi che facevano cadere dei piccoli rimasugli di neve dalle foglie e sulle fontane con l’acqua ghiacciata.
Ideona.
Prese subito la metro. Destinazione: fontana di Trevi.
Non aveva mai passato così tanto tempo a fare foto. E poi, lì c’era sempre tanta gente. Se qualcuno avesse tentato di fare qualcosa, sarebbe bastato chiedere aiuto.
Già che c’era, prese una monetina da dieci centesimi, voltandosi alle spalle della fontana.
-Voglio solo che la mia vita torni ad essere tranquilla…- disse a bassa voce, lanciando la moneta dietro di sé.
Il pensiero corse anche verso Chad. Nella vita di tutti i giorni la sua mancanza si sentiva, eccome. Si sentiva sola. L’anello non lo portava più. troppo prezioso, troppi ricordi.
Fare foto le portò un certo languorino. Non credeva di aver passato l’intera mattinata a fare fotografie. E, trovandosi di fronte a un McDonald, come poter resistere ala tentazione?
Malgrado tutto, era riuscita a sedersi in un posto ben appartato, vicino la finestra. Poteva continuare a fare qualche scatto ai passanti. Non era mai stata così ispirata, si sentiva elettrizzata.
Neanche si rese conto che qualcuno la osservava. Con insistenza. Proprio dal tavolo dietro di lei. Che si alzò nello stesso istante in cui si alzò lei, ed uscì subito dopo che Daphne varcò la porta. Nonostante il via vai di gente, riusciva a seguirla alla perfezione. E lei camminava tranquilla.
Prese anche la stessa metro, scese alla stessa fermata, fece la stessa strada verso Piazza Del Popolo e si fermava pochi metri dove si fermava lei. Coperto da un lungo cappotto e da un cappello, era difficile distinguere chi fosse. Si poteva intuire che fosse alto sul metro e ottanta, se non di più.
Stava per entrare nello stesso palazzo di Daphne, ma dovette bruscamente cambiare traiettoria. Un intruso aveva devastato i suoi piani, di qualunque genere fossero. Un ragazzo alto un metro e ottanta e costantemente ricurvo, con la faccia svampita, era davanti casa della ragazza e le si rivolgeva con un indice sulle labbra.
-Deneuve! Come mai qui?-
-Ti cercavo. Dove sei stata?-
Il resto della conversazione fu un mistero. I due entrarono in casa, senza che il pedinatore poté combinare qualcosa. Ma non era finita. La prossima volta era quella decisiva.
-Non dovresti andare in giro da sola- disse il ragazzo
-Sono andata in posti affollatissimi e tranquilli-
-Sono proprio i posti affollati i più pericolosi-
-Come vedi sono ancora viva- disse Daphne di tutta risposta.
Lui rimase zitto. Ma non voleva dire che avesse ammesso la sconfitta. Stava solo architettando qualcosa. Una bella sorpresa che Daphne poté ammirare la sera. Bè, in realtà a lei non piacque affatto la cosa.
Prese il telefono e con rabbia chiamò Watari, chiedendo poi di Deneuve.
-Cos’è questa storia?-
-Lo faccio per la tua incolumità-
-Non puoi chiudermi a casa!-
-Non ti ho chiusa a casa. Ho solo bloccato per un po’ la porta-
-E questo come lo chiami se non “chiusa a casa”?! Sbloccala subito!-
-No. Non posso farti uscire-
Fu irremovibile. Fu inutile chiamarlo ogni cinque secondi. Inutile riempirlo di insulti.
Credeva di aver fatto la cosa giusta. Ma a volte, anche i migliori sbagliano.
E questo il suo nemico lo sapeva bene.
Non fu certo un caso se gli allarmi suonarono circa sei volte, a casa di Daphne.
Finestre rotte, l’acido sulla porta tutto per terra, video citofono distrutto e altre vigliaccherie del genere.
Daphne non riuscì a chiudere occhio, e non volle rivolgere la parola a Deneuve per nessuna ragione. Andò a dormire nella stanza di Watari in preda alla collera.
-Daphne, ti ho chiesto scusa- disse lui senza nessuna emozione.
-Cosa me ne faccio delle tue scuse adesso?! Sei contento adesso?! Stavo per morire per colpa tua e delle tue idee geniali! Sparisci, adesso, la tua faccia da coglione è l’ultima cosa che voglio vedere!-
Lui chiuse la porta, senza mostrare segni di rancore. L’unica cosa che si chiedeva era: come la doveva prendere quella ragazza?

Ritorna all'indice


Capitolo 15
*** Chapter Fifteen ***


-Un concerto?-
-Sì sì. Al Circolo Degli Artisti. Che ne pensi?- chiese Virginia.
Il venerdì era dedicato esclusivamente a loro due. Si trovavano sempre da lei, a ingozzarsi di Nutella e Pan Di Stelle davanti alla tv o riducendo casa nel caos totale.
Questa volta però dovettero optare per casa di Daphne, e il motivo lo si poteva immaginare. Almeno riuscì a farsi promettere di non essere spiata.
-Chi suona?-
-Non ricordo bene… Però sono piuttosto famosi. Allora, ci andiamo?-
-Perché no…?- cercò di fare un sorriso –Un po’ di musica dal vivo mi farà bene… Li prendi tu i biglietti? Quanto ti devo?-
Quello che Daphne non sapeva era che Deneuve era un grandissimo bugiardo.
Oh, quanto cose non sapeva di lui!
Tanto per cominciare, lui non si chiamava affatto Deneuve. Era un nome fittizio, uno dei tanti. Tra gli altri, si era spacciato per Ryuzaki, Erald Coil, e L.
L era un nome ancora poco conosciuto dalle parti di Daphne.
Il che era strano, in quanto L rappresentava la più grande mente investigativa dell’intero pianeta. La sua brillante carriera contava casi difficilissimi, tutti risolti nel giro di tempi record. Una sorta di Sherlock Holmes, e il Watson della situazione era nientemeno che Watari. Anche Watari era un nome falso, che nascondeva l’identità di Quillsh Wammy, inventore di fama mondiale, fondatore di orfanotrofi che ospitava ragazzini superdotati.
L però era simile a Holmes solo nella professione e nelle stranezze. Non usava pipe, anzi, non fumava proprio, non suonava nessun strumento e non aveva una vita sociale degna di tale nome.
Nessuno sapeva che faccia avesse L, nessuno sapeva nulla circa le sue origini, né quanti anni avesse, né quanto fosse alto.
Daphne era una delle poche che avrebbe potuto descriverlo fisicamente, e mai avrebbe detto che quel giovanotto di circa vent’anni fosse una delle menti più brillanti viste negli ultimi tempi.
Le stranezze di L, inoltre, erano davvero singolari e molte. A cominciare dal cibo: dolci. In ogni momento e su qualunque cosa. Ogni tanto la frutta, ornata comunque da qualcosa di dolce. senza ingrassare nemmeno un po’. Il cervello, si sa, ha bisogno di zuccheri per lavorare correttamente, ma era impossibile pensare che quel ragazzo bruciasse tutte quelle calorie senza fare un minimo di attività fisica. E infatti praticava uno sport esotico, giusto per soddisfazione personale e autodifesa. Uno stile di lotta: la capoeira, un arte marziale di origini brasiliane. Uno come lui, che aveva visto praticamente tutto il mondo, era in grado di assimilare velocemente le diverse culture, e poi era dotato di una spiccata curiosità.
Altra stranezza: il modo di sedersi. Come se fosse un bambino. Ginocchia poggiate sotto il mento, piedi costantemente nudi e quando indossava le scarpe non le allacciava e non portava le calze.
Il vestiario: sempre uguale. Senso della moda pari a zero, si accontentava di una maglietta bianca senza scritte a maniche lunghe o tre quarti, jeans larghi e che gli andavano sotto i piedi. Neanche una cintura, così che i boxer sporgevano sempre un po’, ma la maglietta, anch’essa lunga, copriva tale particolare.
L’igiene: L era ossessionato dalla pulizia. Faceva il bagno di frequente, anche più di una volta al dì, usando ogni tipo di sapone. Toccava le cose sempre come se fossero sporche, con la punta delle dita, e a costo di farsela sotto non andava mai nei bagni pubblici. Se aveva un contatto con qualcuno, a seconda del suo umore decideva se pulirsi subito dopo. Faceva passare l’aspirapolvere molto spesso, così che potesse passeggiare tranquillamente a piedi nudi.
L’ultima stranezza, ma non meno importante, era il carattere, condizionato per la maggior parte dalle cose sopra citate. Era un tipo estremamente diffidente, taciturno, privo di ogni interesse verso il mondo esterno se non per i casi che gli venivano affidati. Era molto capriccioso, difatti accettava solo casi che gli suscitassero interesse, e non sotto il milione di dollari. Nonostante questo, però, non era affatto taccagno, anzi: era pronto a spendersi tutto per le cose più stupide. Ed era anche parecchio bugiardo, in parte dovuto alla sua professione. Infine, era molto infantile, detestava dal profondo perdere e arrivava a fare di tutto per ottenere ciò che voleva.
Come mettere delle telecamere in casa di Daphne per sapere cosa faceva e quali programmi avesse. Aveva promesso che non avrebbe ascoltato, ma mentì spudoratamente. Venne a sapere del concerto. Ed ebbe una delle tante idee di cui Daphne era tenuta all’oscuro se non all’ultimo.
Non sapeva bene come reagire quando lo trovò davanti ai cancelli con tanto di biglietto in mano. Lui invece fu tranquillissimo.
-Buonasera, Daphne, che coincidenza incontrarti anche qui-
-Ma… Ma…-
Virginia, incuriosita dalla situazione, fece un sorriso di circostanza e tentò di rompere il ghiaccio –E’ un tuo amico? È davvero piccolo il mondo!- porse la mano –Io sono Virginia, molto piacere… Ehm…-
-Deneuve. Il piacere è tutto mio, Virginia. Ti conosco di fama- strinse la mano, un leggero tocco, per poi lasciarla subito.
-Davvero?- fece una risatina –Non ti ho mai visto da queste parti. Sei nuovo? O sei venuto apposta per il concerto?-
-Sono qui sia per lavoro che per piacere. Appena avrò risolto, purtroppo, dovrò ripartire. Andare ai concerti è una delle tante cose che faccio per svagarmi. Poi la band che suona stasera mi piace parecchio-
Bugiardo infame!
E purtroppo Daphne non poté ribattere più di tanto, visto che il ragazzo sapeva tutte le canzoni a memoria e sembrava saperla lunga sul gruppo in questione. Merda, si era preparato proprio tutto.
Ma appena ne ebbe l’occasione, grazie anche alla grande quantità di gente, gli lanciò una frecciatina. Ma come al solito Deneuve (o L che dir si voglia) fu calmo e con la battuta pronta.
-E’ mio dovere tenerti d’occhio, che ti piaccia o no. Fai finta che ci siamo dei buoni conoscenti, ti chiedo solo questo. Vedrai che tra poco non mi vedi più. dipende da te: più collabori, prima me ne vado da questo paese-

Ritorna all'indice


Capitolo 16
*** Chapter Sixteen ***


Daphne cominciava a chiedersi costantemente quando sarebbe finita. Non sopportava più l’idea di essere spiata, uscire con la costante paura di venire uccisa da un momento all’altro. l’unico che sopportava era Watari.
Deneuve aveva detto che il colpevole forse era un professore della sua università. Non si era mai soffermata molto, ma ora era il caso di dare un’occhiata seriamente, si disse.
Per sei giorni rimase vigile e attenta, dedicava anima e corpo allo studio e passava molto tempo con la macchina fotografica, con la scusa di fare qualche progetto. Niente di sospetto, eccetto una persona: un signore di circa cinquant’anni, alto e di corporatura normale, dai capelli scombinati che iniziavano a ingrigirsi. Caratterialmente sembrava un tipo a posto, molto alla mano. Coi suoi studenti teneva un rapporto normalissimo, era molto professionale e carismatico e questo spingeva diverse persone a cercarlo per avere consigli su tutti i fronti.
Ed era anche un esperto fotografo.
Certo, poteva essere. Perché non ci aveva pensato prima?
Insospettabile, si diceva sempre.
Bah, doveva pensarci Deneuve. Lei avrebbe solo riferito.
-Avresti dovuto stare più attenta già da prima, Daphne. Mi avresti risparmiato un sacco di fatica- disse semplicemente lui davanti alla tazza di tè piena e fumante. Lei se ne stava dietro, ancora con la borsa, appena tornata dall’università.
Che ingrato. E che gran cazzata andare a riferirgli cosa. E che nervi non sapere che rispondergli!
-Comunque, sarà meglio darci da fare ora. Watari, fai una ricerca dettagliata su questa persona, in particolare voglio sapere tutti i suoi movimenti dal 22 dicembre fino a doggi-
Watari rispose con un secco sì e si dileguò velocemente dalla vista dei due ragazzi.
-E nel frattempo io?- chiese Daphne
-Ci facciamo quattro passi- rispose il ragazzo, scendendo dalla sedia. E adesso che voleva?
Camminavano da un’ora senza una meta e senza spiccicare parola. Ma che gliel’aveva fatto fare?
Erano arrivati davanti al Colosseo, tramonto. E fu allora che Deneuve si decise a parlare.
-Posso sapere perché ce l’hai tanto con me?-
-Non ce l’ho con te- rispose istintivamente Daphne, seppur con una certa rigidità
-Allora cambio domanda: posso sapere perché mi racconti balle come questa?-
-Non è una balla!-
-Eccone un’altra-
Non si smentiva mai come detective. Bè, tanto valeva giocare a carte scoperte.
-A volte sei irritante. Manchi completamente di tatto- lui non disse niente, limitandosi a guardare il cielo. Daphne non seppe dire bene perché, ma voleva togliersi una curiosità –Senti, ce l’hai una ragazza?-
Lui iniziò a guardarla insistentemente, senza dir nulla. Domanda fuori luogo? Strana? Non che lui fosse da meno. La bionda si sentì un’aria pesante addosso, improvvisamente.
-Sì- rispose infine
-Davvero?-
-Qualcosa di strano?-
-A essere sincera sì… Non sembri il tipo da avere rapporti con qualcuna…-
-Si è adeguata ai miei ritmi-
-Riuscite a vedervi nonostante tutto?-
-Ogni tanto-
-Oh…- ma non è che le stava dicendo un’altra cavolata? E che motivo ne avrebbe avuto? Comunque, non riusciva a fermare la propria curiosità –Ed è carina?-
-Come mai il discorso è andato a parare su questo argomento?- fu la battuta del ragazzo. Evidentemente non voleva sbottonarsi di più. oppure non sapeva che altro inventarsi. Daphne si concesse il beneficio del dubbio, anche se era orientata a dire che Deneuve una ragazza non ce l’aveva e non l’avrebbe mai avuta. Non era cattiveria, ma semplice realismo, secondo lei.
Anche lei iniziò a fissare il cielo: davvero dei bei colori. Momenti così li si vorrebbe fermare per sempre.
E lei ne aveva l’occasione. Le venne un’idea.
-Deneuve, ti dispiacerebbe posare per me? Mi è venuto un attacco d’arte!-
Ci volle un bel po’ per convincerlo, e alla fine fu pienamente soddisfatta dei suoi lavori. Lui, poi, una volta convinto aveva fatto tutto alla perfezione. Quando voleva sapeva essere piacevole.
Si mise a dormire tranquilla, Daphne, senza preoccupazioni. E nessuno poteva immaginare cosa sarebbe successo il mattino dopo.
Fu Watari ad accorgersene, andando subito ad avvertire.
-L! Daphne è sparita!-
Lo trovò seduto in maniera leggermente diversa sulla poltrona. Messo di fianco, un po’ più rannicchiato e con le braccia piegate sul mento. Stava dormendo, seppure da poco. E sembrava non importargli, tant’è che reagì subito alla notizia.
-Cosa?!-
-Ci sono tracce di sangue davanti alla porta, che è stata lasciata aperta, e ci sono dei piccoli graffi vicino alla serratura-
-Potrebbero essere tracce del colpevole…- iniziò a dire L
-C’è dell’altro… Un biglietto per te-
Come avevano saputo di lui? Si era fatto vivo solamente all’università. Certo, doveva essere stato preso di mira lì.
Prese velocemente il biglietto, scritto al computer.

48 ore. Non c’è tempo, c’è da lavorare!
Ogni uomo mente, ma dategli una maschera e sarà sincero.

Perché mettergli una citazione di Wilde?

Ritorna all'indice


Capitolo 17
*** Chapter Seventeen ***


Deneuve se stava da solo, seduto su una panchina, a fissare il via vai di gente all’università.
Erano passati tre giorni e di Daphne nessuna traccia. Poteva essere troppo tardi!
Non volle pensarci. Preferì soffermarsi ancora sul biglietto lasciatogli dal colpevole. Una frase di Oscar Wilde.

Ogni uomo mente, ma dategli una maschera e sarà sincero.
Perché? Che senso aveva? Cosa voleva fargli capire?
Che “maschera” fosse la parola chiave?
Si rimise le scarpe, avendo deciso di andare a zonzo per la scuola. Non perdeva di vista nessun passante, era ben attento ad ogni minimo particolare. Anche a Watari aveva dato la sua parte. stava cercando ogni singola cosa fatta da Daphne poco tempo prima della scomparsa. Purtroppo ancora niente di rilevante, come si aspettavano.
Era senza dubbio a scuola la soluzione.
Maschera. Maschera. Maschera.
Si fermò improvvisamente, Deneuve. Era un viso che lo bloccava. Molto familiare.
Si affacciò leggermente verso l’aula. Il professore che gli aveva segnalato la ragazza diverso tempo fa.
Era un uomo elegante e carismatico, intuì lui. Teneva una lezione con assoluta professionalità, e tutti lo ascoltavano interessati. In particolare, parlava di “cogliere la vera essenza dello scatto, il vero motivo, il vero lato, che sia oscuro o buono”
Deneuve decise che l’avrebbe tenuto d’occhio più di quanto non avesse fatto in vita sua.
E Daphne?
Lei neanche sapeva dove si trovava.
Bendata e ammanettata, riusciva a sentire solo un lurido palo attraversarle la spina dorsale nuda. Quando riprese i sensi si rese conto di essere vestita solo di una camicetta da notte cortissima, e dei reggicalze. Stava morendo di freddo. Il cibo non le mancava, ma se osava parlare le veniva fatto un taglio alle gambe. E quello rideva, dicendo che sarebbe stato più eccitante così. Non riusciva a capire chi diavolo fosse, la voce era contraffatta da una busta o qualcosa del genere.
Sotto i suoi piedi riusciva a sentire le formiche che le camminavano vicino, e le gocce di acqua che perdeva il soffitto caderle come frecce dappertutto. I rumori delle fogne erano l’unica compagnia che aveva.
Tre giorni che viveva quell’incubo. Avrebbe seguito Chad? O qualcuno l’avrebbe salvata?
Deneuve! Watari! Erano le uniche persone che aveva per la testa?
Attese che tutti se ne fossero andati. Si avvicinò pian piano, lasciando le scarpe davanti alla porta per evitare rumori. Lui stava sistemando la tracolla. Era il momento giusto.
Gli diede un colpo secco alla nuca, così che lui svenne, senza urlare.
Quando si riprese era legato alla sedia e bendato. Sudava freddo e sapeva che c’era qualcuno con lui.
-Chi c’è? Cosa volete?-
-Stia calmo, signore. Non ho intenzione di ucciderla-
-Il portafoglio è nella borsa… Prendete tutto-
-Non voglio i suoi soldi. Voglio solo un’informazione-
Deneuve sentiva distintamente i denti del professore battere, vedeva le gocce di sudore cadere veloci sulla faccia. Una persona così poteva sequestrare una ragazza? Non ne era tanto convinto…
-Dov’è la ragazza?-
-Q… Quale ragazza?-
-Daphne. È una sua studentessa-
-N-n-n-n-n-non lo so… Lo giuro, non lo so…!-
Si era fatta ormai sera. Watari ricevette una telefonata.
-Ancora niente?-
-No, L. Nessuna traccia di Daphne. Ho dato un’occhiata ai sistemi d’allarme. Alcuni sono andati in tilt in circostanze misteriose, credo che li abbiano manomessi con dei telecomandi a distanza. Altri sistemi sono stati tolti con la forza. Devono aver cancellato con molta cura le tracce, almeno erano abbastanza in forze da fuggire-
-Capisco-
-Mi dispiace-
-No, va bene così- rispose lui senza rancore
-E col professore?-
-Non è lui il nostro uomo. È estraneo alla faccenda. Non mi resta che tenere d’occhio tutti i suoi studenti. Preparami una lista, Watari, voglio dargli un’occhiata immediatamente-
Per fortuna non erano poi così tante persone. Watari gli aveva fornito addirittura le foto. Ottimo lavoro, come sempre. Lo ringraziò, e fece per uscire di nuovo.
-Hai già un sospettato?-
-No… Voglio solo schiarirmi le idee… Al Crossover-
Quella sera c’era un nuovo gruppo a suonare. Grunge, il genere preferito di Daphne. Lo aveva saputo spiandola più volte.
Si mise all’angolo, nel punto dove si era fermato a parlare con lei la prima volta. Da lì si poteva vedere gran parte della sala, a parte il palco. Ottimo modo per tenere sotto controllo la situazione.
Mentre il concerto proseguiva, la gente entrava e usciva. In particolare, c’erano alcuni studenti che Deneuve aveva memorizzato piuttosto bene.
Soprattutto di uno.
Aveva i capelli rossi e un fisico robusto. L’espressione indifferente e l’abbigliamento, formato da un dolcevita blu e dei jeans neri, abbinati con delle normali scarpe da ginnastica nere, lo rendevano il classico figlio di papà. Sulla scheda c’era scritto che frequentava tutti i corsi più disparati sulla fotografia.
L’unico modo per scoprire qualcosa era di farselo amico ed entrare nelle sue grazie.
Attaccare bottone non era un problema. In caso di necessità, il detective era l’uomo più socievole del mondo.
Bastava raccontare quelle classiche cavolate, sparare a caso l’età (anche se in quel caso non ebbe motivo di mentire. Disse senza imbarazzo che aveva 21 anni), e far finta di essere un apprendista fotografo. Et voilà, la trappola è servita, insieme a qualche caffè o boccale di birra.
-Io sono un grande appassionato delle foto confusionarie. Cioè, quelle che sembrano confusionarie. Mettere insieme, che ne so, una normalissima sedia con qualcosa di atipico, tipo un pallone. Sembra che il senso non ce l’hanno, e invece non è così, ce l’hanno eccome!- diceva entusiasta quel ragazzo –E anche le cose introspettive mi piacciono parecchio. Rivelano la vera essenza delle cose-
Deneuve ascoltava interessato, mordendosi il pollice, annuendo a ogni cosa.
-E dove trovi l’ispirazione per le foto introspettive?- chiese innocentemente
-Eh, a volte le cose te le devi cercare!- rispose ridendo il rosso –Per me non è un problema, sono un curioso di natura! Sono abbastanza famoso sul web, sai?-
-Davvero? Darò un’occhiata allora…- poi decise di svagare –Bella serata, questa-
-Sì, gran bel gruppo oggi. Ho una compagna d’università che adora questo genere-
Che stesse parlando di Daphne?
-Ultimamente non la si vede più in giro. Dev’essere ancora depressa per la morte del ragazzo. Gliel’hanno ammazzato, come un rumeno-
Si poteva capire che era abbastanza razzista, o non vedeva a genio Chad. In entrambi i casi, la cosa non doveva riguardare Deneuve.
-Speriamo che non si sciupi troppo- continuò il ragazzo –E’ una gran bella ragazza, sarebbe l’ideale per posare come modella. Cioè, a me piace tanto- fece una risatina –Poi so che adora questo posto. Credo che se dipendesse da lei ci vivrebbe, qui dentro!-
Ecco le conclusioni che tirò Deneuve: il ragazzo era sospetto, piuttosto andato con la mente, troppo chiacchierone e sospetto. Le probabilità che fosse lui il colpevole erano del 45%, e con ogni probabilità aveva nascosto Daphne nei pressi del locale.
E se aveva sbagliato, avrebbe smesso di fare il detective.

@ Angel Virtues: Le tue recensioni mi fanno sempre piacere! Grazie! ^^

Ritorna all'indice


Capitolo 18
*** Chapter Eighteen ***


I magazzini del Crossover. Daphne poteva essere lì. Stando al resoconto di Watari in seguito alla sua sorveglianza, più di una persona girava da quelle parti con fare sospetto.
-Bene, allora agiremo col massimo della cautela. Sarà meglio preparare anche le valigie. Ce ne andremo non appena avremo chiuso questa faccenda- disse L sbrigativo, mentre prendeva il cellulare e componeva un numero.
Daphne stava morendo di fame e di freddo. Per quanto tempo sarebbe durato ancora quell’incubo? Costantemente bendata, senza potersi vedere davanti a uno specchio. In parte, era meglio così: sarebbe stato un trauma per lei vedere come era stata ridotta per un maniaco. E poi, anche volendo, non sarebbe riuscita ad alzarsi, le gambe erano state sempre piegate e difficilmente avrebbero risposto alla sua volontà ormai.
Perché, piuttosto, non era ancora stata uccisa? Una volta scattata la foto, bastava toglierla di mezzo. Perché il colpevole ancora non muoveva un dito? Se ne stava sempre lì a gironzolare e ridacchiare, confabulando nel mentre qualcosa a lei non del tutto comprensibile.
-Ehi, donna! Hai fame, vero?-chiedeva quasi sempre lui, e la ragazza rispondeva sempre con un lieve cenno del capo
-Quando te ne andrai avrai tutto il cibo che vuoi!- era sempre la risposta. Andare dove? Fuori di qui o a miglior vita? In ogni caso, sarebbe sempre stato meglio di quell’Inferno.
-Non ti preoccupare- aggiunse –Quando arriverà L tutto finirà!- 
L? E da dove spuntava fuori? Era un suo complice?
Le venne tolto per un momento il nastro adesivo dalla bocca
-Ora dimmi… Tra quanto credi che arriverà L?-
-I-i-io non conosco nessun L…-
-Non fare la furba con me, stronzetta…-
-Glielo giuro… Non so chi sia…-
Lui rimase interdetto qualche secondo, dopodiché mollò la presa dal mento di Daphne e le rimise il nastro sulla bocca –Evidentemente ha tenuto nascosto tutto… Ma non ti preoccupare. Tra poco lo vedrai. Se lo conosco, manderà qualcuno qui tra due ore-
L, o Deneuve, era appostato qualche metro più avanti del Crossover, con indosso delle cuffie e avvolto da un impermeabile nero, prestato da Watari.
-E’ tutto pronto, Watari?- disse, a bassa voce.
-Sì. Ogni ingresso è a nostra disposizione. Non c’è molta gente, anche se uno di noi avesse difficoltà ce la caveremmo-
-Bene. Procedete con estrema cautela-
Le persone che Deneuve aveva chiamato in soccorso non erano poliziotti, tantomeno gente al servizio della giustizia. Tutt’altro: erano due criminali. Aiber, truffatore professionista, esperto di lingue e travestimento, in grado di farsi passare per chiunque. A dispetto di molti suoi colleghi, lui gironzolava tranquillo su ogni strada, senza mai farsi prendere. Detestava le armi da fuoco.
Poi c’era Wedy, un avvenente donna dai capelli biondi cotonati e un evidente rossetto rosso brillante. Ladra, in gradi di scassinare tutte le serrature e di eludere qualsiasi sistema di sicurezza senza lasciare tracce. Preziosa fu la sua collaborazione quando L le chiese dei suoi sistemi distrutti quando Daphne fu rapita, e preziosa fu adesso. Anche se non del tutto. Perlomeno, era stata l’ultima ad essere catturata. Il ragazzo, tramite le cuffie, non aveva capito bene, ma Wedy aveva vociferato qualcosa su un gas narcotico, mentre Watari e Aiber avevano ricevuto un violento colpo alla testa, a giudicare dalle grida e dai forti tonfi. Comunque, ci fu un innaturale silenzio, ed L non potè che andare avanti in prima persona a vedere cos’era successo.
Entrò dall’ingresso di Wedy, tappandosi il naso. In effetti, era deserto, e un odore strano albergava ancora nell’aria. Avanzava lentamente e in assoluto silenzio. Per stare sicuro, si levò le scarpe e le abbandonò per strada.
L’unica porta che poteva aprire era proprio davanti a lui, e c’era una luce. No, sciocco, non andare direttamente lì, si diceva. Evidentemente erano stati portati là, e c’era anche Daphne. No, scemo, non andare, fai un piano.
Svoltò velocemente e girò l’angolo, già pronto a macchinare qualcosa. Ma non fece in tempo. Riuscì solo a urlare, mentre vedeva un pezzo di legno cadere, dopo la botta ricevuta in testa.
Quando si risvegliò era legato a una poltrona, e sentiva il sangue colare giù per la tempia, la guancia, fino a sporcargli la maglietta candida di un nitido rosso sangue. Si guardò intorno, stralunato, notando una stanza bianca, e un uomo seduto davanti a lui. Nessun mobile, se non la poltrona, la sedia dove era seduto il suo interlocutore e un mobiletto accanto con delle siringhe vicino.
-Ciao, L… Ti ricordi di me?-
Nessuna voce camuffata. E gli sembrava di riconoscerla
-Ah…-
-Andiamo, L, non dirmi che ti sei dimenticato di me… Perché non ti crederei-
Aveva una cicatrice… Quella cicatrice sulla mano! E la voce… Ora lo vedeva in faccia. non poteva essere, non riusciva a crederci. Dietro quegli omicidi, dietro Daphne, dietro le foto… C’era lui!
-Adam… Tu…- piano piano riprendeva i sensi –Ti credevo morto…-
-Invece no. Ammetto però che anch’io pensavo di essere spacciato. Me lo ricordo come se fosse ieri… Braccato dalla polizia e dal tuo maledetto elicottero. Come avete visto che mettevo le mani in tasca, avete dato il via alla sparatoria- parlava con aria sprezzante –Ma andiamo, Ellino caro, pensavi davvero che ti avrei dimenticato così facilmente? Eri così giovane… Ti ricordi? Fu uno dei primi casi davvero importanti, commissionato dalla Francia, che hai risolto… Avevi appena diciassette anni… Ti trovo sempre più magro. Non è che hai l’anoressia?-
-Come hai…-
-Oh, è stato facile. Ho fatto perdere le mie tracce e mi sono appartato, organizzando tutto questo nei minimi dettagli. Insomma, L, ripensandoci, che avevo fatto di male? Un paio di attacchi terroristici… Sarebbe stato più divertente vedere quei balordi dei politici scervellarsi sui miei rompicapo, ma poi sei arrivato tu. Eri giovane, ma molto bravo. Ma pur sempre giovane. E non hai pensato che, sull’elicottero, potessi vedere il tuo volto, e sentire i poliziotti chiamarti Deneuve. Ellino, davvero mi hai preso per un tale fesso?- nel frattempo maneggiava con le siringhe –Così ho organizzato la mia vendetta. quelle morti, col pretesto fotografico… Devo dirlo, mi sono divertito. E con che occhio di riguardo hai trattato quella ragazza… Ma immagino che non hai proprio pensato a me. A breve penso che l’Italia ti avrebbe affidato il caso del “fotografo killer”! non trovi che sia un nome elegante?- rise, occhi brillanti di piacere.
L si sentiva confuso. Era ancora al Crossover? E Watari? E gli altri?
-Oh, già che c’ero, ti ho drogato- disse Adam, carezzandosi il mento coperto da un pizzetto –Ricordo bene anche le tue abilità con le arti marziali e non vorrei brutti scherzi. Del resto, sei ancora così giovane e pieno di vitalità. Ah, i quarant’anni iniziano a farsi sentire…- si alzò, girando a vuoto e ridendo –Immagino ti stia chiedendo dove ti trovi. Bè, sei al Crossover. Ma i tuoi amici non sono qui. Li ho portati dove era nascosta la tua amichetta in principio-
-Cosa?!-
-Eh, hai sbagliato questa volta. Non l’ho nascosta in un posto così ovvio, se no che divertimento c’è? Non sei cambiato per niente, Ellino mio…- aprì la porta e terminò il suo discorso –Ascolta… Ti va di fare un gioco? Se riuscirai a slegarti e abbattere l’ultima maschera, hai vinto tu. Facciamo entro tre ore. Ma se non ce la farai, moriranno tutti. Anche te. Ti piace?-
Lui rimase zitto, fissando il pavimento. Ultima maschera… Si riferiva al luogo effettivo del suo nascondiglio?
-Hai tre ore, Ellino… So che non mi deluderai- chiuse la porta, lasciandolo nei suoi ragionamenti.
L non fece altro che fissare il tavolino con le siringhe per dieci minuti buoni. Tra quelle droghe, qualcosa per farlo uscire c’era. Innanzitutto doveva avvicinarsi. Iniziò a tirare con forza la poltrona verso di sé, andando avanti a fatica. Quando raggiunse una buona distanza, allungò il capo, afferrando con i denti una siringa a caso, ma questa era usata. Evidentemente era stata usata da Adam per addormentarlo o drogarlo. Fissò ancora il tavolino. Morfina, cocaina, eroina, ecstasy… Mascalina.
A mali estremi, estremi rimedi.
Sempre usando i denti, smontò la siringa, cercando di far uscire meno liquido possibile. Usò la lingue per orientare bene il contenuto della siringa verso la sua bocca, ingoiando tutto d’un fiato. Fece cadere tutto a terra, e a quel punto fu questione di pochi minuti. Era già fatto. Caldo, sentiva caldo. Aveva voglia di fare tantissime cose. Spaccare il muro davanti a se, ad esempio. O di fare sesso. Gli era venuta un incredibile voglia di sesso, ininterrotto. Sapeva che quella droga gli avrebbe fatto quest’effetto, ma non l’aveva mai provata così, tutta intera, senza preavviso…
Aveva voglia di spaccare il mondo intero. Le corde gli erano d’impiccio.
Il film Arancia Meccanica dice: la mascalina ti fa forte, ti fa uomo.
Per essere precisi, ti fa appunto venire voglia di fare tutto, senza sentirsi un minimo stanchi o addolorati. Per questo L non sentì dolore mentre a forza si slegava, mentre i polsi sanguinavano. Aveva cercato di resistere, per quanto poteva, ma drogarsi era l’unica cosa che gli era venuta in mente di fare.
Cadde a terra, una volta libero, leccando con voracità le proprie ferite alle mani, e per terra, dove era caduto un po’ di sangue. Watari sarebbe rimasto molto deluso a vederlo così.
Iniziò a respirare a fatica, L, cercando di calmarsi. Appena l’effetto finiva, andava di corsa a cercare tutti.

@ AngelVirtues: Sei sempre molto esauriente nelle tue recensioni e chiarissima, ti ringrazio davvero tanto per i consigli che mi dai! E sono davvero contenta di riuscire a suscitare interesse con le mie storie! Grazie davvero, mi auguro che la seguirai fino alla fine!

Ritorna all'indice


Capitolo 19
*** Chapter Nineteen ***


Daphne sentì dei rumori, dei passi avvicinarsi. Adam era tornato, con dei nuovi ospiti. Riconobbe subito la voce dell’anziano signore.
-Signor Watari!-
-Signorina Daphne, allora è ancora viva…-
-Dov’è?- erano stati tutti bendati –E Deneuve?-
-Purtroppo siamo stati separati…-
Adam sorrideva. Aveva u che di stuzzicante da parte sua sentire quelle parole di apprensione, quella piccola speranza che albergava i loro cuori nel sapere che L era ancora libero. Ma non sapevano in che condizioni era.
Adam aveva lasciato apposta le droghe sul tavolo. Tra le tante possibilità, aveva calcolato il fatto che L potesse arrivare a drogarsi per liberarsi. Già se lo vedeva, sotto effetti di stupefacenti, con la mente confusa. E gli veniva da ridere.
L, per quanto avesse un gran mal di testa, cercò di recuperare un minimo di lucidità per pensare. Dove poteva essere andato?
Punto primo: era ai magazzini del Crossover.
Punto secondo: Adam gli aveva dato tre ore di tempo.
Punto terzo: conoscendo Adam, doveva essere andato in un posto distante almeno due ore e cinquanta secondi. Amava le lotte contro il tempo, la suspence.
L cercò di alzarsi, barcollando pericolosamente, e si diresse verso la porta aperta. Una volta uscito dai magazzini del locale, andò alla ricerca di una tabaccheria, o qualcosa che gli fornisse una cartina. Non aveva neanche il cappotto, e le scarpe le aveva abbandonate lì. Non sentiva freddo, non se ne rendeva conto. Aveva tanto caldo, fiatone, mal di testa. Voglia di sbrigarsi.
Il mezzo più veloce che poteva trovare in quel momento era la metropolitana.
I posti raggiungibili in tre ore con la metro erano tanti.
Aggiungendo i trasporti con l’autobus, però, i posti si riducevano ai confini di Roma.
E l’unico posto in cui servivano ben tre mezzi di trasporto (metropolitana, autobus e treno) era il Cineland a Ostia.
L era sicuro che Adam fosse andato lì. Scegliere il percorso più lungo e snervante era nel suo stile.
Maledizione, nonostante lo conoscesse così bene si era fatto fregare.
Daphne respirava a fatica. L’ansia e la paura di essere uccisa da un momento all’altro avevano fatto aumentare in lei le crisi di panico.
Sparatemi, uccidetemi, fate di me quello che volete, ma vi prego, fate finire tutto questo…
Non faceva altro che ripetersi questo in testa. E più vedeva che non veniva accontentata, più aveva paura. Disperata, le scese qualche lacrima dalla benda.
Cristo, quelle ore sembravano non finire mai.
Solo quando potè accomodarsi sul treno L iniziò a delineare un piano, o almeno una mezza specie. La gente seduta a fianco a lui, di fronte a lui, lo guardavano preoccupati. Non riusciva a tenere nascosto più di tanto il fatto che si fosse preso qualcosa di illegale. Ma a lui non importava.
Ecco, ora aveva anche fame.
-Mmh… Che noia… Manca ancora un’ora e mezza…- disse Adam guardando il soffitto.
Bene, e una volta arrivato dove andava?
I bagni? I magazzini?
Doveva essere un luogo appartato che contenesse cinque persone.
Barcollando meno rispetto a prima, L vagò verso il bar, poi verso il McDonald. Tra i quattordici film a disposizione, c’era un horror. Aveva letto la trama da qualche parte, e ricordava vagamente la situazione attuale con Adam. Tipico di lui.
Andò avanti verso i negozi, per finire alla sala giochi, rimasta aperta anche di sera. Però non c’era molta gente, erano tutti al cinema. Il bowling era rimasto chiuso per ristrutturazione.
Il bowling è abbastanza grande per contenere cinque persone. E sapendo che non c’era molta gente… Bè, qualcuno i lamenti li poteva sentire, a meno che non era stati legati e imbavagliati.
Comunque, come al solito Adam sembrava così sicuro di sé.
La prima cosa che L fece fu di incutergli un po’ di paura. C’era il gioco dei canestri, abbastanza rumoroso. Poteva andare bene.
Inizio a lanciare qualche canestro, tra catene, suoni, palle che rimbalzavano e così via, Adam se ne accorse, all’angolo del bowling in cui si era nascosto.
-Oh, è arrivato- disse soddisfatto. Poi guardò l’orologio –E pure in anticipo- si alzò in piedi, mettendo il coltello in tasca.
Quando uscì, vide i palloni rotolare per terra. Poi niente.
-Elliiiiiiino, non far aspettare ulteriormente il tuo amichetto…- disse ridendo.
A quel punto sentì i rumori di finti spari, proveniente da un videogioco, di quelli di sopravvivenza alla Resident Evil. Con passo deciso Adam si diresse verso quell’angolo, ma non trovò nessuno lo stesso.
Sorrise comunque. Peccato, L, un po’ più di attenzione e l’avresti fregato.
Con assoluta disinvoltura Adam tirò fuori il coltello dalla tasca e lo lanciò verso il tavolo da biliardo, mirando al muro.
L si era riparato appena in tempo, ma la guancia sanguinava. Maledetto bastardo…
-Cuccù!- Adam piombò davanti a lui, lasciando L un po’ disorientato –Che bello, finalmente sei arrivato-
Il ragazzo prese la stecca da biliardo, la prima cosa che trovò per la mani, puntandola ai testicoli e al torace dell’uomo. Ne approfittò e corse via, spezzando a metà la stecca, così da avere due armi ben appuntite.
Ma merda, dove cavolo stava andando? La sala da bowling era dalla parte opposta.
-Avrai un piano in mente… Quanto mi piaci, Ellino- disse Adam, sempre col sorriso.
Per fortuna la sala aveva diverse porta comunicanti, bastava fare il giro per arrivare comunque alla sala da bowling.
I piedi nudi furono un ulteriore vantaggio, senza rumori di passi o scarpe tirate a lucido.
Purtroppo non aveva calcolato il rischio che Adam potesse far spegnere le luci. Cazzo!
Iniziò a girarsi intorno, disorientato, in parte… Eccitato. Non appena sentì una mano sfiorare il suo fianco destro, tirò un potente calciò e agitò violentemente le stecche.
Adam rise. Doveva essere pazzo. Eppure L lo capiva, in quel momento. Si sentiva eccitato anche lui.
La risata gli permise di capire dov’era. Gli saltò addosso senza pensarci due volte, abbandonò una delle due stecche lanciandola lontano e con la mano libera riempì di pugni il suo avversario. Adam risponde comunque, ma L aveva un arma. Sfregiò a casaccio il suo viso.
Comunque, non ne uscì del tutto indenne. Aveva un coltello. La mano sanguinava parecchio, ma per fortuna erano solo taglietti.
Senza perdere altro tempo, si diresse verso la sala da bowling, divisa dal resto con una parete di cartone. Spaccò tutto con forza, e si trovò davanti Watari bendato e legato, Aiber e Wedy svenuti. E Daphne… Insanguinata, legata e bendata, il sangue che le usciva dalla bocca, sdraiata per terra.
-Watari… Watari, sono io…-
-L!-
-Ti tiro fuori da qui…- dannato mal di testa. Non riusciva a slegarlo come tutti i cristiani. Snervato dalla situazione, fece come prima, al Crossover. Le levò con forza, e le mani erano diventate quasi del tutto rosse.
-Daphne come sta?-
-Ha sofferto parecchio… Credo che l’abbia ferita più volte con un coltello. Poi ha perso conoscenza. Aiber e Wedy sono solo svenuti e sotto effetto di narcotico-
-Sei sicuro che Daphne abbia solo perso conoscenza?-
Watari non rispose. L capì l’antifona, e si chinò verso di lei.
-Daphne… Daphne, m senti?-
Non era nelle condizioni ideali per sentire il polso.
-Mi dispiace, Ellino. Non ce l’ha fatta ad aspettare tre ore-
L si girò, trovandosi un pugno in piena faccia e cadendo su Daphne. Ebbe l’impressione di essersi rotto il naso, e il sangue che ne uscì fuori fu la conferma.
Guardò il soffitto, pronto a ricevere altre botte.
Finchè con lo sguardo non vide il lampadario, scendo fino all’estintore.
Doveva tentare.
Riprese la stecca e la puntò violentemente sulla pancia, disarmandolo poi dal coltello grazie al suo stile di lotta, la capoeira. Si alzò subito, per andare verso l’interruttore, romperlo e staccare qualche filo. Accanto c’erano i contatori della luce e dell’allarme anti-incendio. Premette a caso i pulsanti e le levette, finchè non scese l’acqua dal soffitto.
-Ellino, comincio a stancarmi!- Adam correva verso di lui, col coltello in mano.
L non si sentiva più le mani. Forse la mascalina, forse il dolore, non sentiva i polpastrelli irrigidirsi e bruciacchiare a contatto coi fili. Fradicio, si girò di scatto, quando Adam era pronto ad accoltellarlo.
Fu colpito in pieno dalla scossa, bagnato anche lui punto giusto. Cadde a terra urlando e tramortito, e L gli lanciò addosso i fili, lasciando che si fulminasse da solo. Lui corse verso Watari e gli altri, dove l’acqua non li aveva raggiunti.
Nel frattempo, il personale si era accorto del casino con gli allarmi, e quando arrivò trovò un uomo morto fulminato e cinque persone agonizzanti a terra, due piene di sangue, due privi di conoscenza e una gravemente ferita, forse morta.
-L, dobbiamo correre all’ospedale… Qui se ne occuperà la polizia-
-E Daphne…?-
-Portano anche lei all’ospedale-
-Watari… Portami una… Anzi, cinque tazze di tè… Con tanto zucchero…-
-Stai delirando?-
-Ho caldo… Quindi il tè portamelo congelato… Va bene?-
Un infermiere si avvicinò a L, e gli aprì la palpebra, puntandogli una luce addosso –Quest’uomo è sotto effetto di qualcosa- concluse –Portatelo via di corsa-

Ringrazio tutti per le recensioni! La storia giunge quasi al termine, e spero che vi stia piacendo! Certo, povero L... xP

Ritorna all'indice


Capitolo 20
*** Chapter Twenty ***


Passare un mese all’ospedale non fu certo un esperienza gradevole, ma almeno era ancora viva.
Durante tutto quel tempo non ebbe occasione di vedere Deneuve. Tramite Watari aveva saputo solo che era stato ricoverato per un paio di giorni perché era sotto effetto di stupefacenti e con qualche graffio.
L’unica testimonianza che aveva avuto della sopravvivenza di Deneuve era un regalo dato tramite l’anziano signore durante le seconda settimana di permanenza.
Una macchina fotografica nuova. E un biglietto.

Che tu possa fermare sempre più momenti belli.
Nemmeno una firma, solo una L in Old English. Chissà perché. Anche Adam l’aveva chiamato L. Una volta dimessa gli avrebbe parlato.
Oltre all’ospedale, Daphne dovette rimanere un altro mese a casa di convalescenza. Ogni giorno andava a trovarla qualcuno: Virginia praticamente tutti i giorni, Marta anche, amici universitari, colleghi, persino il postino andò a farle una piccola visita. La notizia aveva fatto presto il giro del mondo, andò persino in TV perché il colpevole era un super ricercato catturato da una preziosa collaborazione esterna.
Di Deneuve e Watari nemmeno una parola.
Oltre a mangiare, bere e riprendersi dalla brutta esperienza, la ragazza passava le giornate facendo foto con la nuova macchina fotografica. Un giorno era ispirata dal posacenere, un altro dalla camera da letto, un altro ancora dalle piante.
Fotografava e fotografava, ma a casa sempre i soliti mobili e cose giravano, e pur cambiando l’arredamento o qualcos’altro, c’era poco da fare. Di norma, in casi come questi, avrebbe chiamato Chad e l’avrebbe costretto in tutti i modi a fargli da modello, facendogli indossare le cose più assurde o fare pose buffissime. Per poi farne due copie a ciascuna foto, così da tenerle entrambi per loro.
Ma Chad non c’era più.
E nemmeno Deneuve, a quanto sembrava. Non si era ancora fatto vivo, fisicamente. Daphne iniziò a pensare che Watari le avesse mentito, che in realtà il regalo gliel’aveva fatto lui e che l’aveva fatto spacciare per un pensiero del ragazzo. E magari lui era finito sotto un treno o era morto di overdose. Tutto era possibile, e con quello che le era successo non erano nemmeno pensieri così assurdi.
Le sue macabre fantasie vennero interrotte dal suono del campanello.
Che piacevole sorpresa vedere che le sue congetture erano, appunto, solo congetture.
Deneuve era davanti a lei, nei soliti jeans larghi e la maglietta con manichi a tre quarti e un ampia scollatura.
Con sé aveva una semplicissima busta, la ragazza non riusciva a immaginarsi il contenuto.
Lui non disse nulla, per un po’, limitandosi a scrutarla. Solo quando gli occhi di Daphne incrociarono i suoi si decise a parlare.
-Buongiorno. Posso disturbarti?- disse col solito tono. Il colorito era sempre lo stesso, e non sembrava né dimagrito né sciupato. Tantomeno ingrassato.
Lei sorrise –Certo… Accomodati-
Gli offrì del tè e dei dolcetti, che lui accettò di buon grado, dopo le prime premure e i saluti, parlarono approfonditamente del caso. Deneuve non si sbilanciò più di tanto: disse che effettivamente collaborava con la polizia, ma in grandissimo segreto (ecco perché non si parlò di lui in TV). Non disse nulla a proposito di Adam, se non che era un pazzo.
Daphne non seppe mai del vero mestiere di Deneuve, così come del legame che aveva con Adam. E Watari lo avrebbe ricordato sempre come un arzillo vecchietto aiutante di Deneuve. Sherlock Holmes e Watson. Li avrebbe ricordati così, sempre con un sorriso.
-A proposito- disse Deneuve una volta finiti i “chiarimenti” –Ti è piaciuto il regalo?-
-Molto! Ho già fatto un sacco di foto!-
-Posso vederle?-
-Non sono niente di speciale… Qualche mobile, o paesaggio. Scarseggio di modelli, di Virginia ormai ho troppe foto e Marta a quelle poche che si fa fare osa dire che viene male!-
-Sai, venendo qui mi è venuta un’idea- il ragazzo prese la busta, dalla quale estrasse un sacchettino di dolci e un paio di jeans di un blu più scuro, accompagnati da due felpe e un paio di magliette. In più, qualche accessorio: cappellini, collane e catenine. Cose così.
-Che significa?- chiese lei
-Posso chiederti di fare da modello?-
Lei lo guardò sbalordita –Dici sul serio?-
-Sì. Però devo chiederti di non mostrarle a nessuno. Per il mio lavoro, sai-
-E a chi vuoi che le mostri?- disse lei ridendo –Affare fatto! Puoi usare il bagno per cambiarti-
Si vedeva che era impacciato, che si sentiva un po’ a disagio a posare davanti a una macchina fotografica, messo in posa e con vestiti che di solito non si metteva. Ma proprio per questo Daphne lo trovava divertente! E poi non si lamentava. Probabilmente, se gli avesse chiesto di fare la posa dello scimpanzé, l’avrebbe fatta senza troppe storie.
La tentazione di metterlo in imbarazzo però era davvero irresistibile.
Cosa diceva Oscar Wilde?

L’unico modo per liberarsi di una tentazione è cedere ad essa.
-Deneuve, togliti pure la felpa. La collana lasciatela pure. Ah, la maglietta. Togliti anche quella-
Lui obbedì, anche se si levò la maglietta con un certo stupore.
-Ora sdraiati sul divano… Perfetto. Aspetta un secondo!- corse in cucina e tornò con una prelibatezza che diede subito a Deneuve –La mano destra mettila dietro la testa… Sì, così. Con l’altra mano tieniti la fragola in bocca-
Forse Deneuve non si era reso granchè conto che una foto del genere era adatto a un calendario. Dopo il primo attimo di esitazione, però, obbedì. E la foto era pure venuta bene.
-Questa te la lascio in regalo. Mostrala alla tua ragazza, mi raccomando! Vedrai che ti salterà addosso appena la vedrà!-
Deneuve rimase in silenzio per qualche secondo, rimanendo a rimuginare su quelle parole.
Anche Daphne rimase a pensarci. Forse era meglio non dirlo. Non era neanche del tutto sicura che ce l’avesse, la ragazza. Lui aveva detto di sì, ma vai a sapere quante cavolate gli aveva sparato! Comunque, non erano fatti suoi. Quella foto gliel’avrebbe regalata comunque.
Poi arrivò anche Watari. Era venuto a prendere Deneuve. Dovevano ripartire, per Londra. Quella sarebbe stata l’ultima volta che li avrebbe visti.
-Signor Watari, posso farle una foto, per ricordo?-
Lui si mostrò divertito dalla proposta, e fece un bel sorriso al momento dello scatto.
-Daphne, ho un favore da chiederti esordì Deneuve, uscito dal bagno e nuovamente nei suoi normali abiti –Potresti fare una foto a me e Watari?-
Daphne non se la sarebbe dimenticata di certo: era una foto bellissima: watari con le mani dietro la schiena, e Deneuve dietro che poggiava una mano sulla sua spalla e l’altra nascosta dalla schiena del vecchietto. Sorridevano entrambi, guardando fissi l’obiettivo. Un sorriso sincero da parte di Deneuve.
-Non potrò mai dimenticare quello che avete fatto per me. Vi ringrazio di cuore- disse Daphne alla fine, abbracciando Watari. Con Deneuve si dimostrò impacciata. Fu un abbraccio all’inizio abbastanza freddo e che si concluse in fretta.
-Grazie- ripeté, con la voce un po’ rotta.
-Ehi, tranquilla- disse il ragazzo –Non sto mica partendo per il fronte!-
Lei scoppiò a ridere. Ma dai, aveva anche il senso dell’umorismo, a volte.
Le foto le tenne tutte per sé, tranne una: quella di Deneuve (o meglio, L) e Watari.
E quella con la fragola?
Ne aveva fatto una copia. A parte tutto, era davvero orgogliosa del lavoro svolto.

Voglio ringraziarvi di cuore per aver letto questa mia nuova storia!
La foto del nostro caro L senza maglietta e con la fragola e un omaggio, tutto per voi!
Per ringraziarvi delle recensioni, delle letture, delle vostre attese a ogni capitolo!
Grazie di cuore, e mi auguro che continuerete a leggere le mie storie!
Grazie!!
Neme ♥

Ritorna all'indice


Questa storia è archiviata su: EFP

/viewstory.php?sid=437440