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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** 1 capitolo ***
Capitolo 2: *** 2 capitolo ***
Capitolo 3: *** 3 capitolo ***
Capitolo 4: *** 4 capitolo ***
Capitolo 5: *** 5 capitolo ***
Capitolo 6: *** 6 capitolo ***
Capitolo 7: *** 7 capitolo ***
Capitolo 8: *** 8 capitolo ***
Capitolo 9: *** 9 capitolo: ***
Capitolo 10: *** 10 capitolo ***
Capitolo 11: *** 11 capitolo ***
Capitolo 12: *** 12 capitolo ***
Capitolo 1 *** 1 capitolo ***
Tutto era iniziato come le altre volte, stesso luogo, stesse tende,
stessi racconti. Almeno così pensavano Robin Cheese, Laureen
Riker, Gin Blake e Isabel Casas. Si conoscevano dalla scuola
d’infanzia ed erano amiche da vent’anni.
Robin, 24 anni, capelli castani, occhiali da miope poco spessi e
leggeri, era la figlia di John Cheese, giudice locale. Fin da bambina
si era mostrata attenta e studiosa, era stata membro del club degli
scacchi. Diede un solo dispiacere al giudice: decise di studiare
medicina, invece di giurisprudenza. Il giudice Cheese riteneva che i
medici fossero tutti degli incapaci e si era meravigliato e irritato
della decisione di sua figlia.
Tutt’altro tipo era Gin Blake. A dieci anni aveva scoperto in
televisione, per caso, il calcio femminile. Più alta di
Robin, castana, occhi nocciola, era la sportiva del gruppo.
Incoraggiata dai genitori, il signor Blake aveva un negozio di articoli
sportivi, si era lanciata nello sport. Aveva ottenuto ottimi risultati,
ma i suoi voti ne avevano risentito; aveva finito
l’università in anticipo, con un contratto per una
squadra nazionale professionista.
Laureen invece adorava viaggiare, così fin da adolescente
passava i pomeriggi nell’agenzia di viaggi della zia Sandy.
Così finita la scuola aveva subito trovato lavoro. Bionda,
occhi azzurri, era la più divertente del gruppo; sempre
pronta alla risata.
Totalmente diversa Isabel. Isabel Casas era l’unica figlia
del colonnello Joaquin Casas, militare di carriera. I suoi tentativi di
ribellione al potere paterno andavano dal portare i capelli lunghi;
” non ti accetteranno mai nell’esercito,
querida” diceva il colonnello Casas, alla sua ultima trovata:
una laurea in Scienze delle comunicazioni. Alta, slanciata, con tipici
tratti latini, era la più calma ma al contempo la
più festaiola. Parsimoniosa fino alla taccagneria aveva
avuto diverse litigate con le amiche a proposito di soldi prestati.
In ogni caso le quattro amiche si trovavano per i monti
dell’Ohio in campeggio per festeggiare: Robin aveva preso la
laurea con il massimo dei voti, e dì lì ad una
settimana avrebbe iniziato il suo periodo di specializzazione. Quella
di campeggiare il fine settimana era una tradizione del gruppo,
avveniva ogni volta che una di loro riusciva in un obiettivo che si era
prefissa: come il 100 gol di Gin, il ventesimo scaccomatto di Robin, il
primo cliente soddisfatto di Laureen, o la A+ presa da Isabel in storia
americana, il colonnello considerava la storia del suo Paese
d’adozione una grande stupidata. O il diploma, o il
tatuaggio di Isabel, la sua nonna aveva gridato “tu es loca,
Isabel, tu es loca!!!”. <> chiese Gin a Robin. -Quando ha ricevuto il mio
sms aveva un’udienza, un caso di truffa, truffa telematica,
così ha letto ad alta voce la sentenza e poi a casa ne
abbiamo riparlato. Era felice per la laurea, non per che cosa
l’avevo presa- le rispose Robin. -E tuo padre, Isabel, come
l’ha presa?- chiese Laureen. -La laurea? Bene, non ha
apprezzato che ho declamato la tesi in minigonna, top e scarpe col
tacco, con il tatuaggio sul polso bene in vista. La nonna quando mi ha
vista ha detto a mia madre “Mira Clarita mira, tu hija parat
una puta”, e la mamma le ha detto che ormai i giovani si
vestivano tutti così, questo non ha calmato la nonna- le
rispose Isabel ridendo di gusto. -E tu Gin, come ha preso tuo padre il
tuo ingaggio per la squadra di Cleeveland?- le chiese Robin.-
E’ stato felicissimo, voleva organizzare una festa per questa
sera; ragazze, ricordatemi di chiamarlo verso le nove- le rispose Gin.
-Hey, si sta facendo freddo e sta tramontando il sole, e meglio se
accendiamo un fuoco per cucinare, senno moriremo assiderate!!!- la
interruppe Laureen.
-Va bene, va bene, chi va a prendere la legna questa volta?- chiese
Isabel, sempre meticolosa. -Tiriamo a sorte- propose Robin. Detto
questo prese una moneta da un dollaro e lanciò in aria.
Uscì testa, quindi si avviò. -Il dollaro, Robin,
mi devi un dollaro- quasi le grido Isabel, -Te lo do dopo, quando
torno- le rispose Robin.
Le piaceva camminare nel bosco di sera, c’era quella pace che
si trovava sempre più raramente in città, troppi
rumori. Da bambina ogni tanto ci veniva da sola o accompagnata da suo
fratello Robert, si sedevano e ascoltavano. Ascoltavano il bosco.
La vide da subito e la segui. Non c’erano dubbi, era
“adatta”. Poteva percepire il suo sangue, era
quello giusto, s’immaginò il momento in cui le
avrebbe strappato il cuore. Per l’eccitazione
saltellò e quando torno con le zampe per terra udi
distintamente il rumore di un rametto spezzato. Maledizione! Si era
girata verso di lei, ma non poteva vederla, non ancora, sarebbe stata
l’ultima cosa che avrebbe visto in vita sua.
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Capitolo 2 *** 2 capitolo ***
Percependo un rumore Robin girò la testa verso sinistra, ma
non vide niente, sicuramente stava diventando troppo paranoica, anche
le sue amiche glielo dicevano. Aveva trovato abbastanza legna, poteva
tornare da loro.
Tornata la serata proseguì come al solito: le quattro amiche
arrostirono della carne, Gin prese una chitarra e suonò
qualche canzone accompagnata dalle altre, raccontarono delle storie
horror e verso mezzanotte ognuna si ritirò nella propria
tenda.
A cosa pensavano mentre si apprestavano a dormire?
Robin pensava a quello che poteva aver visto prima, nel bosco. Le era
sembrato di udire un rumore di passi, ma non poteva esserne certa.
“Forse ha ragione Robert, mi sto facendo condizionare dai
racconti di Charleene Greywolf, una vecchia amica di sua madre. A dire
la verità col tempo lei era diventata veramente amica di
Charleene. Lei era stupenda, la nonna che avrebbe voluto, le raccontava
sempre delle storie del suo popolo: gli indiani Shawnee. Quelle storie
la facevano sognare. Ciò non si addiceva al presidente del
club degli scacchi, così per un po’ Robin aveva
cercato di non pensare a quelle storie. Inutile, le cacciavi dalla
porta e loro rientravano dalla finestra.
Tra le vicende che le raccontava Charleene quella che l’aveva
spaventata di più era quella del Wendigo, un essere
mostruoso, che secondo la tradizione della tribù di
Charleene divorava carne umana, era alto più di due metri ed
interamente peloso. Ripensandoci, a distanza di dieci anni dalla prima
volta che l’aveva sentita, Robin sorrise, quella storia non
le faceva più paura. Fra due settimane avrebbe iniziato il
suo praticandato in ospedale, contava di specializzarsi in cardiologia.
Quindi, si disse, basta cattivi pensieri, ora dormi, che domani ti devi
alzare presto, le altre avranno in mente di farti uno scherzo, sei tu
la festeggiata; detto questo scivolò nel Regno di Morfeo.
La musica s’interruppe dopo appena cinque minuti,
“Maledizione- pensò Laureen- si sono scaricate, e
qui non ho le altre, ora passerà un’ora buona
prima che mi addormenti”. Laureen infatti non riusciva a
addormentarsi se prima non ascoltava per almeno un’ora la sua
cantante preferita: Utada Hikaru. L’aveva sentita per la
prima volta durante il suo primo viaggio a Tokio come addetta
dell’agenzia “Travel 4 You”,
l’agenzia di sua zia., e aveva deciso di comprare tutti i
CD. Ripensando a quello che doveva fare l’indomani
le venne un’idea: doveva fare uno scherzo a Robin, a partire
dai dieci anni avevano stabilito che la festeggiata di turno dovesse
subire uno scherzo, ad opera di tutte le altre. Ripensò
anche al lavoro e a casa sua, e qui le tornò in mente che
doveva pagare la bolletta del gas, altrimenti avrebbe fatto prima a
piantare la tenda nel giardino di Isabel, adorava come cucinava sua
nonna. Mentre pensava a queste cose le parve di scorgere qualcosa, ma
ci ripensò, poteva essere uno scoiattolo, e con questo
pensiero si addormentò.
Spense la luce e si girò dall’altra parte pensando
all’ultima partita e a come avesse vinto per la terza volta
il campionato di calcio femminile. Il pensiero
confortò Gin. Erano passati sei anni, ma il
ricordo della coppa le sembrava così vivido, sembrava ieri.
Le tornò in mente anche Lester Binger, il ragazzo con cui
usciva in quel periodo. Erano ricordi agrodolci, almeno fino al
momento, dopo il ballo di fine anno, in cui Lester le aveva confidato
che era innamorato di sua cugina Dawn, la cosa l’aveva
ferita, ma solo per un mese. Al momento decisivo, il rigore,
parità, tutti aspettavano che facesse qualcosa aveva pensato
“tira questo pallone, fai gol e poi ti lasci tutto alle
spalle”. La palla aveva colpito uno dei pali e poi era
rientrata, gol!!!
All’università, aveva preso lingue, aveva
continuato a giocare a calcio e naturalmente aveva collezionato
montagne di premi e di riconoscimenti.
Mentre stava per chiudere gli occhi le parve di scorgere
un’ombra che si muoveva furtivamente verso di loro, ma
scartò quest’ipotesi nel momento esatto in cui la
formulò, era impensabile che qualcuno si trovasse da quelle
parti, e a quell’ora.
Chiuse il libro che stava leggendo con la torcia,
s’intitolava “La casa degli spiriti” di
Isabel Allende. Le piaceva quell’autrice per diversi motivi:
primo aveva il suo stesso nome, secondo i suoi romanzi la facevano
sognare. Nonostante avesse ottimi voti in tutte le materie, Isabel
aveva un comportamento che i suoi insegnanti avevano considerato per
anni “discutibile”. Non le importava, solo in
questo modo si poteva ribellare a suo padre. L’interminabile
guerra tra i due era iniziata quando Isabel a sette anni aveva
rifiutato di lasciare la sua scuola per una scuola militare. Non avendo
figli maschi il colonnello avrebbe desiderato che almeno la figlia
facesse carriera nell’esercito. Invece quella ragazza fin da
bambina gli dava problemi: con ottimi voti non c’era un
motivo valido per mandarla alla scuola militare, si vestiva come si
vestivano le americane, in altre parole con i vestiti corti, e ultima
cosa, si ostinava a non volere il marito che aveva scelto per lei. Il
sottotenente Rodrigo Alvarez aveva solo un anno in più
rispetto ad Isabel, era militare ed una brava persona. Ma ad Isabel non
piaceva niente di lui. Per la sua cinquianera, suo padre aveva
organizzato una festa dove per tutta la sera lei aveva dovuto ballare
con il sottotenente Alvarez, che non contento di questo si era permesso
anche di toccarla, naturalmente il colonnello non aveva visto niente.
Ad Isabel piaceva invece il maggiore Sean O’Donnel, ma
c’era un problema: il ragazzo era irlandese e di un anno
minore rispetto a lei. Fu con questi pensieri che Isabel si
assopì, pensando a suo padre, a Rodrigo, a Sean e a quella
cosa che aveva visto con la torcia, quando l’aveva spenta.
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Capitolo 3 *** 3 capitolo ***
Non sapeva che fare, la ragazza non era sola, ce n’erano
altre con lei, e nessuna di loro era “giusta”.
Pazienza, si disse, alla fine si sarebbero isolate e allora avrebbe
colpito, per un secondo ripenso a Phil, a come l’aveva fatta
soffrire e a come si era vendicata di lui. Le era piaciuto, allora fu
una necessità, quella di vendicarsi a spingerla. Col tempo
era diventata una droga inebriante, a cui non poteva rinunciare. Tutto
la eccitava: l’individuare la preda, la caccia e infine il
momento in cui la uccideva strappandole il cuore e mangiandoselo.
Gli anni in cui si era dovuta alzare alla 6: 00 per fare jogging
avevano lasciato una sorta di deformazione professionale in Gin Blake,
così quella domenica mattina fu la prima ad alzarsi. Subito
andò vicino la tenda di Robin e si assicurò che
dormisse. Poi si diresse vero quella di Laureen, l’apri e le
sussurrò <>
Successivamente andò da Isabel e ripete la frase. Detto
questo guidò le amiche dietro la tenda di Robin, dove si
trovava un sasso particolarmente acuminato e tagliò una
parte della tenda. <> le
chiese Isabel, che stava cominciando a divertirsi; <>
Laureen ubbidì divertita, sarebbe stato uno
scherzò coi fiocchi. Gin prese la radio e
l’accese, infine infilò gli auricolari nelle
orecchie di Robin. Poi disse alle ragazze che dovevano tornare nella
tenda e fare finta di niente. Alle 6: 30 precise una musica da
discoteca a volume altissimo partì. Robin si
svegliò subito, si tolse gli auricolari e si precipito fuori
dalla tenda. Non fece nemmeno tre passi, perchè cadde nella
buca che Gin aveva scavato prima di andare nella sua tenda, era stata
l’ultima. Quando guardò su vide le altre che se la
ridevano di gusto e davano delle pacche sulla schiena a Gin, che aveva
una crisi isterica. -Smettetela di ridere e tiratemi fuori!- quasi
urlò, non aveva mai avuto una sveglia così
movimentata.
Il resto della giornata proseguì normalmente, le quattro
amiche tornarono ognuna a casa propria, con l’impegno di
ritrovarsi il giorno dopo, quando Robin avrebbe iniziato il suo
praticandato all’ospedale.
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Capitolo 4 *** 4 capitolo ***
Quando aprì la porta di casa, Robin trovò sul
tavolo un messaggio di suo padre. Avendo un caso in cui la sentenza si
trascinava per le lunghe, la giuria non si decideva, il giudice Cheese
pregava la figlia di fargli avere la cena, sarebbe stato meglio se
gliela portava lei. Robin sospirò, dal divorzio di suo
padre, il giudice si stava deprimendo e passava sempre più
tempo in tribunale. Robin sapeva che suo padre aveva avuto numerose
avventure, e si augurava ogni volta che restassero tali, ma con Sophie
DeRossi non era stato così. Dopo un divorzio lampo, il
giudice conosceva tutti in tribunale, si era risposato.
L’unico problema che la nuova moglie aveva, a detta di Robin,
era l’età: Sophie DeRossi sarebbe potuta essere
sua sorella maggiore. “Che lo porti pure Sophie”
pensò Robin, aveva cose più importanti del
recarsi in tribunale, come cercare una casa, non poteva continuare a
convivere con il padre e Sophie ancora per molto. Aveva comprato un
giornale e stava cercando la pagina con gli annunci immobiliari, quando
sentì il rumore della macchina di Sophie. Andò in
camera sua, quel pomeriggio non aveva voglia né di parlarle
né di vederla.
Tutto sommato la casa le sembrava bella, e pensò che
già dal week end prossimo poteva cominciare il trasloco.
Poteva ritenersi soddisfatta, siccome in frigo non era rimasto quasi
niente Robin aveva deciso di andare a fare la spesa. Di ritorno a casa
un imprevisto: una ruota bucata. Che disdetta, non ci voleva proprio.
Scese dalla macchina, e fu allora che lo vide.
Alto almeno due metri, coperto interamente di peli, senza labbra ma con
le zanne bene in vista, quell’essere la spaventò a
morte, si terrorizzò ulteriormente, quando quella cosa
cominciò ad inseguirla.
Iniziò a correre, non sapeva dove, sapeva soltanto che
doveva correre, per salvarsi la vita. Quando si rese conto che molto
probabilmente non ce l’avrebbe fatta intravide la salvezza
nei panni di una cabina telefonica. Poteva rifugiarsi lì
dentro e chiamare aiuto. Accelerò e in cinque secondi fu
dentro. Non appena iniziò a comporre il 9 del 911,
sentì il rumore dei vetri infranti. Quella cosa
l’aveva raggiunta. Lei s’inclinò su un
lato per proteggersi e la cabina si ribaltò. Fu la sua
salvezza. Era terrorizzata dal terrore, quando quell’essere
si allontanò spaventato. Ma l’aveva graffiata.
Quando riuscì ad uscire vide un uomo che stava agitando un
tizzone ardente in direzione della cosa che stava fuggendo verso est.
L’uomo si diresse verso Robin, che lo stava osservando. -Ora
che quel mostro se ne è andato, posso svenire?- chiese lei
prima di cadere a terra priva di sensi.
Non riusciva a darsi pace, era la prima vittima che non riusciva a
uccidere. Ripensò a quell’uomo, dove
l’aveva già visto? In ogni caso nulla era perduto.
Di lì a poco avrebbe avuto qualcuno come lei, qualcuno che
poteva capire il suo dolore. Sorrise e mostrò le sue zanne
alla luna. Aveva ancora due giorni, poi sarebbe dovuta andare via da
quella città. Peccato, ma non sarebbe stata sola, ci sarebbe
stata anche quell’altra ragazza. Come lei.
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Capitolo 5 *** 5 capitolo ***
Gin era appena tornata dal campetto dove si allenava nei fine settimana
quando sentì il telefono squillare. Si precipitò
a rispondere. Fu sorpresa di udire la voce di un infermiera,
l’infermiera Swansom, che le comunicava che Robin si trovava
in ospedale e che chiedeva di lei. Corse in camera, si
cambiò e montò in macchina. Partì a
tavoletta preoccupata di quello che poteva essere successo alla sua
amica.
Laureen stava cercando di decifrare la bolletta senza aprire la
finestra ed avvisare sua madre, che viveva nel palazzo di fronte al
suo. Un rumore la scosse dalle sue meditazioni, il suo cellulare stava
diffondendo una musica tribale. Rispose. Dall’altro capo
sentì la voce di un’infermiera che le
comunicò che Robin era all’ospedale. “Ha
cominciato presto, il praticandato comincia domani”
pensò Laureen, irrazionalmente, per non pensare al peggio,
anche se non sapeva a che peggio pensare. Non aspettò che
l’infermiera si spiegasse meglio, interruppe la comunicazione
e sfrecciò per le scale fino al garage dove prese la sua
macchina.
Lo squillò del telefono fu una salvezza per Isabel. Infatti
da almeno tre mesi sua nonna si era messa in testa di voler imparare
l’inglese, Maria Azul Cifuntes y Fortunì non aveva
mai imparato l’inglese, nonostante fossero
trent’anni che viveva negli Stati Uniti. Così
aveva chiesto alla nipote d’insegnarglielo. La nonna stava
ripetendo i nomi degli oggetti di casa, che Isabel le indicava, quando
l’inno nazionale messicano partì. Dopo molte
litigate con la compagnia telefonica il colonnello aveva ottenuto di
poter scegliere la suoneria del suo Paese natale. Isabel corse a
rispondere, grata che un imprevisto avesse interrottò la
lezione con sua nonna. Sentì che Robin era
all’ospedale, che le altre stavano arrivando.
Salutò sua nonna , inforcò la sua moto e si
diresse verso l’ospedale.
Gin stava chiedendo a un’impiegata alla reception, che
sembrava più curarsi della sua manicure che della ragazza
che da cinque minuti buoni stava urlando; quando fu raggiunta dalle
altre. Erano tutte preoccupate per Robin. Per fortuna furono
individuate dal dottor Simmons, cugino di secondo grado di Laureen,
prima che Gin assordasse i pazienti a forza di urla. -Ho visto la
vostra amica Robin- riferì alle tre ragazze- sta bene,
sembra che sia stata attaccata da un lupo, o simile. Per fortuna il
signor Villette si è trovato nel posto giusto al momento
giusto-. -E chi sarebbe questo signor Villette?- chiese Isabel, quel
nome le era nuovo. -Non ve lo so dire, si è presentato con
Robin in braccio chiedendo aiuto, non c’è stato
verso di fargli dire qualcosa di più del suo nome-. -Ma
dov’è Robin?- urlò Gin, facendo
sobbalzare un’infermiera, tre pazienti e
l’impiegata alla reception che, finalmente, alzò
gli occhi dalle sue unghie. -La signorina Cheese? E’ al
quarto piano, in cura presso il dottor Simmons, ah! E’ qui
dottore!- Disse indicando il dott. Simmons. -Al terzo piano, stanza
numero 483, stavo per dirvelo, ma non mi avete dato il tempo- si
giustificò il dottore, ma ormai stava parlando al vuoto,
visto che le tre amiche si erano lanciate verso l’ascensore.
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Capitolo 6 *** 6 capitolo ***
Era il momento, si era resa di nuovo presentabile, doveva capire come
conquistarsi la sua fiducia e poi renderla partecipe di quale grande
fortuna e le era capitata. Ma ora doveva trovare un nome, non
se la sentiva di usare il suo. Non lo usava da quella volta.
Pensò. Poi le venne un’idea, folle ma divertente.
Avrebbe usato il suo nome, il nome di lei.
Quando le altre la raggiunsero Robin era distesa sul letto e stava
facendo le parole crociate. -Ragazze, come vedete la fortuna mi aiuta
una volta sì e due no- rispose in risposta agli sguardi
angosciati di Laureen. - Per fortuna per la signorina Cheese mi trovavo
nei paraggi- disse una voce dietro le spalle di Gin, facendole girare.
Biondo, occhi verdi, alto, con un completo impeccabile,
Armand Villette era certamente una figura celestiale, almeno
così pensarono le quattro amiche. -So cos’era
quella cosa che l’attaccata- dichiarò ad un
auditorio che lo guardava a bocca spalancata- era un Wendigo-. -E che
cosa sarebbe esattamente un Wendigo?- chiese Isabel, un po’
confusa. -E’ un mostro delle leggende indiane, un essere
mostruoso che divorava carne umana, era alto più di due
metri ed interamente peloso, lo so perchè me l’ha
raccontato un’amica di mia madre, Charleene Greywolf-
Robin intervenne -Ma lei come faceva a sapere del Wendigo,
signor Villette?-. -E’ stato tre mesi fa, io e mia
moglie Evelyn- sconforto generale delle quattro e
dell’infermiera che stava cambiando la medicazione a Robin-
mi ero allontanato verso la macchina per prenderle un regalo, quando il
Wendigo è spuntato dal nulla. D’istinto presi un
tizzone ardente per difendermi e vidi che si allontanava da me. Finito
corsi verso Evelyn, ma giaceva per terra, in una pozza di
sangue, senza più il cuore. Da allora ho un solo
scopo, trovare il Wendigo e ucciderlo, l’ho giurato a mia
moglie-. -Ciò è molto interessante signor
Villette, ma io adesso vorrei fare un paio di domande alla signorina
Cheese, se non le dispiace-, quella voce li fece girare. A parlare era
stata una donna alta, con i capelli rossi raccolti in uno chignon,
occhi verdi ma che sembravano di ghiaccio. - Mi presento, sono
l’agente Willelmina Rice, del FBI, e sto indagando sugli
omicidi. E’ sicuro, signor Villette, che si tratta di questo
Wendigo e non di qualcosaltro, forse qualcosa che è umano?-
domandò, aveva una voce odiosa, sembrava che gracchiasse.
-Sicurissimo, signorina Rice, le ho già fornito le prove, ma
lei si ostina a non credermi- ribatte Villette. -Signorina Cheese, che
cosa le è accaduto? E perchè non ha chiamato
subito il 911?- l’agente Rice aveva volutamente ignorato
l’affermazione di Villette. -Per la prima ho già
detto tutto a l’agente Ring, per la seconda non sono riuscita
a chiamare il 911 perchè il Wendigo ha rotto il vetro nel
momento esatto in cui componevo il 9. Dottor Simmons, di
preciso cos’ho?-. -Allora Robin, oltre al graffio non hai
niente, sei sanissima, aspetta; avevo dimenticato una sbucciatura al
braccio!-. -Quindi posso andare?- chiese Robin- vado a casa, mi cambio
e per le nove sono di nuovo qui, pronta per il
praticandato-. -Non sarei un buon dottore se te lo
permettessi, è meglio se resti a casa per alcuni giorni, non
si sa mai- le rispose il dottor Simmons. -Gin, puoi accompagnarmi a
casa? Non mi fido della guida di Isabel, in moto è
inaffidabile- domandò Robin a Gin, conosceva bene la guida
spericolata di Isabel, e la prima ed unica volta che ci era salita
l’aveva pregata di andare piano, ma Isabel aveva corso il
più veloce che poteva. Da allora Robin aveva deciso: niente
più moto.
-Si, Robin, a proposito hai trovato la casa nuova?- le rispose Gin.
-Si, contavo di trasferire tutte le mie cose entro una settimana-.
Un’ora dopo Robin e Gin lasciavano l’ospedale.
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Capitolo 7 *** 7 capitolo ***
Tre quartieri più avanti Armand Villette si avvicinava alla
sua macchina, che si trovava nel parcheggio dell’hotel dove
alloggiava. Mentre percorreva quel tragitto ripensava a sua moglie,
alle circostanze in cui l’aveva conosciuta e a come
l’aveva persa. A quel ricordo si sommava anche quello di
quella ragazza che aveva salvato la sera prima, Robin Cheese. Era
carina e spiritosa. Ma no, non poteva pensare a certe cose, si sentiva
come Humbert Humbert, era il colmo. Era assorto in questi pensieri
quando si sentì chiamare. Si girò,
l’agente Rice, questa volta aveva i capelli rossi sciolti, un
completo blu scuro e occhiali celesti, lo stava raggiungendo.
<> le domando Villette. <>. Quella
donna era incredibile, la sera prima , davanti a quelle ragazze lo
aveva ignorato e smentito, ora invece non solo era d’accordo
con lui, ma gli chiedeva anche dei consigli! <>. Così andava bene, doveva
essere diretto e conciso, niente impressioni.
<>. Quella donna aveva un
dono raro riusciva ad irritarlo. Soprappensiero Villette si accese una
sigaretta. La reazione dell’agente Rice lo sorprese, la donna
infatti fece un salto all’indietro e si mise le mani sul
volto spaventata. Bastò quello a convincere Armand.
<> Quasi
gridò. Per la sorpresa fece cadere la sigaretta e
cercò il cellulare per chiamare una di quelle ragazze,
Isabel Casas ch’egli aveva dato il suo numero, e
cercò di comporlo. Riavutasi dallo spavento
l’agente Rice decise che le restavano solo due opzioni: o
fuggiva o uccideva Armand Villette. Se fosse stata umana, o se fosse
accaduto due anni fa, sarebbe fuggita a gambe levate. Ma
l’agente Rice non era umana, o meglio non lo era
più. Così fece l’unica cosa che le
sembrò adatta in una circostanza come quella. In sei secondi
fu di fronte ad Armand, che aveva appena finito di comporre il numero.
Gli prese il volto tra le mani, come se stesse per baciarlo. Ma quello
che aveva in mente lei era cento volte più spaventoso. Dopo
aver preso il suo volto tra le mani, girò tutta la faccia, a
più di sessanta gradi, spezzandogli l’osso del
collo e quindi uccidendolo. Poi rigirò il volto, lo
scagliò a tre metri lontano da lei, si ricompose, prese il
cellulare di Villette e rispose a una Isabel che si stava preoccupando
seriamente. <> le diede un
indirizzo, poi chiamò col suo il 911. Mentre lo faceva
sogghignava, un ostacolo era stato rimosso, ed era stato oltremodo
facile. Tropo facile, non si era divertita. Bah, avrebbe avuto altre
occasioni per divertirsi, quando avrebbe condotto la sua amica in
quella che per lei era la cosa più eccitante: la caccia. Chi
le avrebbe fatto uccidere? Le sue amiche o i suoi familiari? La scelta
era ardua.
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Capitolo 8 *** 8 capitolo ***
In capo a un’ora le tre amiche erano nella hall
dell’Hampton Inn. Tre, infatti Robin si era rifiutata di
lasciare la sua nuova casa, col pretesto che aveva ancora parecchi
scatoloni da vuotare. Quando Laureen aveva replicato che poteva farlo
un altro giorno lei le aveva risposto che non si sentiva molto bene, e
aveva aggiunto che aveva già vuotato gli scatoloni. Laureen
aveva capito che si trattava di una bugia, ma non aveva compreso il
perchè Robin dovesse dirne una. Ripensò agli anni
passati, Robin aveva un sangue freddo ammirevole, e non aveva paura del
sangue.
In ogni caso erano lì, spaventate e tristi. Isabel indossava
un soprabito nero, Laureen una camicia bianca con gonna a righe nera,
Gin una felpa nera con pantaloni bianchi. Dopo una mezzora dal loro
arrivo il capo del personale le avviso che si dovevano recare nel
parcheggio dell’hotel: era lì che
l’agente Rice aveva trovato il corpo dell’ormai
defunto Armand Villette. Si diressero là. Una riga sul
pavimento segnava dove si era trovato il corpo di Villette, adesso
all’obitorio. L’agente Rice stava parlando con un
poliziotto e con un medico. -Agente Rice, che cosa è
accaduto qui?- chiese Gin. -Semplice signorina Blake, il signor
Villette è stato ucciso verso le dieci di questa mattina-,
-Come è stato ucciso?- chiese Laureen.-Alla vittima
è stato spezzato l’osso del collo, non penso che
abbia sofferto. L’omicida doveva avere una forza abbastanza
notevole.- le rispose il medico legale. -Lei ha visto qualcosa?-
domandò ansiosa Gin. -No, disgraziatamente sono arrivata
troppo tardi, volevo parlargli e il consierge mi aveva detto che stava
per prendere la macchina, così sono uscita e ho cercato di
fermarlo, ma non ce l’ho fatta-. C’era qualcosa in
quel resoconto che non convinse le tre amiche: loro per arrivare al
garage avevano impiegato sette minuti, camminando. Una persona che
aveva fretta poteva percorrere quel tragitto in meno di tre minuti,
cos’ rifletteva Gin, abituata a correre. -Non ci
sarà bisogno del riconoscimento ufficiale, ci ho
già pensato io, volevo farvi solo alcune domande. Signorina
Casas, sapete perchè il signor Villette vi ha chiamato al
cellulare?- -Non lo so, ammetto di avergli dato il mio numero ieri
sera. Ma poi è finita qui, non l’ho più
sentito fino a questa mattina, quando mi ha telefonato. Ero appena
tornata dalla tintoria con i vestiti di mia madre e di mia nonna quando
il mio cellulare ha iniziato a squillare. Ho posato i vestiti sul
tavolo e l’ho preso. Non sapevo chi ci fosse
dall’altra parte, non controllo mai. Dopo tre minuti buoni di
panico ho sentito la sua voce agente Rice, questo è tutto-
disse Isabel. -Dopo ho ricevuto una telefonata di Isabel, era
già per strada, ho chiesto il resto della mattina libera a
mia zia e quando Isabel si è presentata sono salita sulla
sua macchina- aggiunse Laureen. -Stavo per uscire di casa quando Isabel
e Laureen hanno suonato il campanello, il tempo di cambiarmi e siamo
andata da Robin- concluse Gin. -A proposito, la signorina Cheese
dov’è? Non l’ho più vista da
ieri sera. E perchè non è con voi?- chiese
l’agente Rice. -Non lo so, siamo passate da lei, ma non ha
voluto aprirci la porta, si è inventata due scuse, che poi
si sono rivelate delle bugie, ma la porta è rimasta chiusa-
ribatté Laureen, il tono dell’agente Rice non le
piaceva. -Mi dia l’indirizzo della signorina Cheese,
andrò io da lei-. -Evergren Terrace 1483- le rispose
asciutta Gin. L’agente Rice dopo aver avuto
l’indirizzo fece dietro-front e se ne andò.
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Capitolo 9 *** 9 capitolo: ***
Aveva ottenuto quello che voleva, ossia l’indirizzo. Quelle
ragazzine sciocche glielo avevano dato. Ora doveva andare da lei per
spiegarle tutto. Si rammaricò che una simile
opportunità non fosse stata data anche a lei. Tutte, a
partire da quella coni tratti latini, si erano insospettite, ma ci
voleva poco, entro il giorno dopo i loro corpi sarebbero stati accanto
a quello di quell’impiccione di Villette. Sorrise, e
pensò a che nome utilizzare, se il suo o quello di lei.
Avrebbe usato il suo, Hanna Jung.
Robin passò tutta la giornata a casa, ogni tanto cercava di
cambiare la fasciatura, ma più il tempo passava
più quelle non si volevano staccare, verso mezzogiorno
smise. Poi subentrò il Caldo. Anche se di solito
lì faceva fresco lei sentiva caldo, tanto caldo.
In un primo momento cercò di bere acqua fredda, ma non
cambiava niente. Verso le due ricevette una visita, era
l’agente Rice. L’agente entrò dalla
porta sul retro, che Robin aveva dimenticato di chiudere a
chiave. Sentendo dei passi Robin cercò di correre
al piano di sopra, ma l’agente Rice, o meglio Jung, fu
più veloce di lei. << Senta, agente, questa
è violazione di proprietà privata, se non se ne
va chiamo la polizia; e poi io non mi sento bene, ho sempre
più caldo >>. << Stia tranquilla
signorina Cheese, il dolore passerà fra breve, è
il sangue che si deve abituare alla trasformazione che sta avvenendo
nel suo corpo, fra meno di due ora sentirà freddo, alla fine
non sentirà nient’altro che la fame e la voglia di
andare a caccia >>. << Ma lei come fa a
sapere tutto questo?>> chiese Robin, mentre nella sua
mente cominciava a farsi strada un’idea completamente folle.
<< So questo e molto di più perchè
il Wendigo che ti ha attaccata la sera scorsa ero io. Ti tengo
d’occhio da quando ti ho vista nel bosco due sere fa
>> fu la risposta di Jung. << Ah, non mi
chiamo Willelmina Rice, quello era il suo nome, il nome della donna che
mi ha portato via l’unica persona che abbia amato: mio marito
Phil. Ma mi sono vendicata. Due anni fa, tornavo da
un’udienza dal divorzio, quando fui attaccata da un Wendigo,
come te. Come te ebbi fortuna e mi salvai. Il giorno dopo pensai a una
sciagura, almeno fino al tramonto. Allora compresi la mia missione:
vendicarmi di lei e del mio ex-marito. Lei fu la prima a morire, fu la
mia prima vittima in assoluto. Pensa, presenziai anche al suo funerale!
Dopo tre settimane andai da Phil e gli dissi tutto. Fu così
stupido da cercare di uccidermi. Naturalmente andai da lui prima del
tramonto, in modo da potermi trasformare a casa sua. Fu bellissimo, gli
spezzai l’osso del collo e poi gli aprì il petto e
divorai il suo cuore, quel cuore che mi aveva tradita e che non mi
amava più. Finito scappai in altre città, ma la
voglia di vendicarsi era sparita, sostituita dal sapore inebriante del
sangue. Ecco ormai sai tutto >>. <<
Perchè mi hai detto questo? Potrei denunciarti
>> chiese Robin, che iniziava a provare Freddo.
<< Perchè stai per diventare come me e fra
cinque ore la penserai come me. Se t’interessa il mio vero
nome è Hanna Jung >>.
Nello stesso istante le tre amiche si trovavano nella biblioteca
cittadina, cercavano un atlante dettagliato del Canada, dove volevano
passare le vacanze estive. Laureen stava cercando delle mappe quando il
suo cellulare suonò. Era la sua collega a cui aveva chiesto
di poter trovare l’aero dell’agente Rice. Nessuna
Willelmina Rice si era registrata, da nessun volo. In
un’altra sala Gin stava cercando un libro sulle
città canadesi, quando le sue mani ne incontrarono un altro.
Si trattava di un libro sulle leggende indiane, scritto almeno
trent’anni fa da Charles Greywolf, il fratello di Charleene.
Tra le leggende menzionate vi era quella del Wendigo, e un paragrafo in
particolare attirò l’attenzione di Gin. Diceva
“Noi non sappiamo che forma assuma il Wendigo quando la luna
cade,ma sappiamo che nel suo aspetto umano resta sempre qualcosa di
mostruoso, e gli unici indizi per individuarne uno sono: la paura del
fuoco, sia esso grande o piccolo, e cosa più importante il
modo con cui il Wendigo uccide le sue vittime sventurate, ovvero
spezzandogli l’osso del collo.
Fu alla fine del paragrafo che Gin ebbe quella che in seguito avrebbe
chiamato un’illuminazione. Infatti iniziò a
collegare le coincidenze che erano capitate a lei e alle sue amiche in
quei giorni e fece due più due. Prese il cellulare e
chiamò Laureen, che al momento si trovava con Isabel.
Riuscì solo a dire <> poi si sentì un rumore di
libri che cadevano. Siccome il cellulare aveva poco campo, Gin si era
avvicinata ai libri, ma la scala le era sfuggita da sotto i piedi.
Rimase in quella posizione bizzarra per cinque secondi, aggrappata con
una mano ai libri, mentre l’altra reggeva il cellulare. Poi,
siccome la legge di gravità esiste, cadde, trascinando con
lei tutti i libri! Le due amiche accorse la trovarono quasi sepolta da
una montagna di libri mentre imprecava contro le scale, la legge di
gravità e i telefoni cellulari.
Dopo averla tirata fuori andarono in un bar che si trovava
lì vicino per decidere il da farsi.
Gin propose di cercare Robin e di chiuderla da qualche parte, ma
sarebbe stato difficile riuscire a ottenere la fiducia di Robin in
quelle ore. Se Robin aveva rifiutato persino di andare ad aprire la
porta, come poteva essere convinta ad uscire di casa?
L’idea di Laureen era più sensata: cercare
l’agente Rice, o come diavolo si chiamava, e poi spararle. Ma
c’era un problema, come le fece notare Gin : con che cosa le
avrebbero sparato?
<< Con la mia pistola, faccio un salto a casa e la prendo
>>, disse Isabel con noschalnse. << Tu hai
una pistola? >> esclamò Gin sorpresa.
<< Si, papà me l’ha regalata quando
ho finito il liceo, vado ad esercitarmi al tiro a segno due volte la
settimana. >> “E ne approfitto per vedere
Sean” pensò, ma se lo tenne per sé.
-Allora noi andiamo a casa tua, tu prendi la pistola, noi facciamo da
palo, dici a tuo padre che ti vuoi esercitare, e poi ci
raggiungi in macchina- aggiunse Gin, aggiornando e migliorando il piano
di Laureen.
Il piano era ben fatto, ma una cosa rischiò di mandarlo a
monte: la nonna.
Infatti, se i genitori di Isabel erano a un cocktail di lavoro, sua
nonna era rimasta a casa! Fu solo grazie a Laureen che distrasse la
nonna chiedendole se poteva scriverle una ricetta messicana che aveva
in programma di preparare. Mentre la nonna scriveva, Isabel prendeva la
sua pistola, una Smith & Wesson, un’arma maschile che
però sapeva maneggiare. Dopo aver chiamato Sean, come faceva
ogni sera, e aver salutato sua nonna si diresse verso la macchina di
Gin, parcheggiata sul marciapiede di fronte casa sua.
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Capitolo 10 *** 10 capitolo ***
Il sole stava per tramontare e lei temeva di non farcela: il dolore
aumentava e sentiva la Fame. Voleva soltanto essere libera di correre
dove voleva, e avvertiva anche la sensazione disgustosa di voler
uccidere qualcuno. Ma no, non poteva e non doveva uccidere nessuno.
Girò la testa per fissarla. Lei era calma, si era soltanto
allentata un poco il colletto della sua camicia. Cercò di
parlarle, di chiedere quando il Dolore sarebbe finito, ma non
riuscì a profferire nessun suono. D’istinto si
toccò le labbra, ma riaccorse di una cosa che la sconvolse:
non aveva più le labbra!!! Il sole era tramontato.
Mentre si recavano nell’hotel dove l’agente Rice
aveva detto di risiedere le tre amiche erano in silenzio, ognuna
ripensava al piano. Per poterlo portare a compimento mancava solo una
cosa: più informazioni sull’agente Rice, o come
diavolo si chiamava quella donna. Arrivate, mentre Gin distraeva la
signorina alla reception, Laureen e Isabel cercarono
sull’elenco la firma dell’agente. Dopo aver
sfogliato tre pagine, Laureen, che si intendeva di firme, riconobbe
quella dell’agente. Solo che la firma che era di fronte ai
loro occhi non diceva Willelmina Rice, ma Hanna Jung!!!
<< Chi sarà mai questa qui? >>
pensò Laureen mentre richiudeva in fretta il libro.
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Capitolo 11 *** 11 capitolo ***
Erano insieme, ora doveva portarla in un luogo sicuro e possibilmente popolato. Ebbe un’idea ed intimò all’altra di seguirla. Sarebbero andate al parco cittadino.
Mentre si recavano al parco, sicure che Robin fosse a casa, Gin ricevette una telefonata: era il giudice Cheese. Robin infatti non l’aveva chiamato per tutto il giorno, e lui si stava seriamente preoccupando. << Stia tranquillo, giudice, Robin sta bene, sono passata da lei questa mattina, era in ottima forma>> menti Gin, il giudice non poteva aiutarle.
<< Che facciamo adesso? >> chiese Laureen. << Ho un’idea: una di noi spara all’agente Rice- o Jung-, e un’altra le si avvicina con un accendino e quando lei si distrae per il colpo ricevuto, le da fuoco >>le rispose Isabel. << Sarai tu a sparare, Isabel, da quello che ci hai detto prima sei l’unica che sappia maneggiare una pistola, io darò fuoco a quel mostro e tu Gin sarai vicino a Robin, pronta ad aiutarla >> concluse Laureen.
Mezz’ora dopo le tre erano al parco e cercavano di individuare Robin, o Jung, c’era solo un problema, nessuna di loro sapeva com’era fatto un Wendigo! Dopo dieci minuti, durante i quali avevano cercato con lo sguardo qualcosa, Gin urlò che le era sembrato di rivedere quella cosa che aveva scorto la domenica precedente. Così illuminarono il punto indicato da Gin con la torcia di Laureen.
E li videro.
Erano proprio come Robin li aveva descritti all’ospedale e a come l’avevano immaginato leggendo il libro del fratello di Charleene Greywolf.
Fu il primo, che aveva una sfumatura rossastra, a notarle per prime. Con un guaito chiamò l’altro, che si girò verso le due ragazze. Dopo aver preso il coraggio a due mani, Isabel Casas impugnò la sua pistola, mirò e fece fuoco. Il primo, quello rossiccio per un secondo si fermò, mise le mani, o quello che aveva invece di avere le mani sull’addome. Poi si riprese e si diresse minacciosamente verso di lei. Isabel fece partire un altro colpo. Questo colpì il Wendigo sulla spalla sinistra. L’essere ululò il suo dolore. Poi per un secondo parve illuminarsi: Laureen le aveva dato fuoco con l’accendino. il mostro si dimenò, cercando una via di scampo da quella tortura. Le sembrò di scorgere un laghetto, si diresse in quella direzione. Mentre avanzava sentì di nuovo quel dolore, Isabel l’aveva colpita di nuovo, questa volta al braccio sinistro. Questa volta il Wendigo si fermò, non riusciva a muoversi, sentiva sempre di più l’odore del fuoco e di carne bruciata. Chiuse gli occhi. |
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Capitolo 12 *** 12 capitolo ***
Si risentì di nuovo padrona del suo corpo. Non sapeva come l’avrebbe spiegato, era una sensazione stupenda. Fino a quel momento si era sentita immersa come nel vuoto, era stato tranquillo e sereno. Aveva visto tutto quello che era accaduto accanto a lei, ma non riusciva a muoversi o a parlare. Quando ci aveva provato non le era uscito nient’altro che un ululato, come quelli che fanno i lupi. Aveva avuto l’impressione che stesse accadendo tutto oltre un vetro o un telo, che potesse vedere e non vedere. ora però quella sensazione rilassante e al contempo fastidiosa era scomparsa. Grazie alle sue amiche. Doveva ringraziarle. Doveva ringraziarle perchè era finalmente tornata normale. |
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