Una trasformazione

di Diana924
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** 1 capitolo ***
Capitolo 2: *** 2 capitolo ***
Capitolo 3: *** 3 capitolo ***
Capitolo 4: *** 4 capitolo ***
Capitolo 5: *** 5 capitolo ***
Capitolo 6: *** 6 capitolo ***
Capitolo 7: *** 7 capitolo ***
Capitolo 8: *** 8 capitolo ***
Capitolo 9: *** 9 capitolo: ***
Capitolo 10: *** 10 capitolo ***
Capitolo 11: *** 11 capitolo ***
Capitolo 12: *** 12 capitolo ***



Capitolo 1
*** 1 capitolo ***


Tutto era iniziato come le altre volte, stesso luogo, stesse tende, stessi racconti. Almeno così pensavano Robin Cheese, Laureen Riker, Gin Blake e Isabel Casas. Si conoscevano dalla scuola d’infanzia ed erano amiche da vent’anni.
Robin, 24 anni, capelli castani, occhiali da miope poco spessi e leggeri, era la figlia di John Cheese, giudice locale. Fin da bambina si era mostrata attenta e studiosa, era stata membro del club degli scacchi. Diede un solo dispiacere al giudice: decise di studiare medicina, invece di giurisprudenza. Il giudice Cheese riteneva che i medici fossero tutti degli incapaci e si era meravigliato e irritato della decisione di sua figlia.
Tutt’altro tipo era Gin Blake. A dieci anni aveva scoperto in televisione, per caso, il calcio femminile. Più alta di Robin, castana, occhi nocciola, era la sportiva del gruppo. Incoraggiata dai genitori, il signor Blake aveva un negozio di articoli sportivi, si era lanciata nello sport. Aveva ottenuto ottimi risultati, ma i suoi voti ne avevano risentito; aveva finito l’università in anticipo, con un contratto per una squadra nazionale professionista.
Laureen invece adorava viaggiare, così fin da adolescente passava i pomeriggi nell’agenzia di viaggi della zia Sandy. Così finita la scuola aveva subito trovato lavoro. Bionda, occhi azzurri, era la più divertente del gruppo; sempre pronta alla risata.
Totalmente diversa Isabel. Isabel Casas era l’unica figlia del colonnello Joaquin Casas, militare di carriera. I suoi tentativi di ribellione al potere paterno andavano dal portare i capelli lunghi; ” non ti accetteranno mai nell’esercito, querida” diceva il colonnello Casas, alla sua ultima trovata: una laurea in Scienze delle comunicazioni. Alta, slanciata, con tipici tratti latini, era la più calma ma al contempo la più festaiola. Parsimoniosa fino alla taccagneria aveva avuto diverse litigate con le amiche a proposito di soldi prestati.
In ogni caso le quattro amiche si trovavano per i monti dell’Ohio in campeggio per festeggiare: Robin aveva preso la laurea con il massimo dei voti, e dì lì ad una settimana avrebbe iniziato il suo periodo di specializzazione. Quella di campeggiare il fine settimana era una tradizione del gruppo, avveniva ogni volta che una di loro riusciva in un obiettivo che si era prefissa: come il 100 gol di Gin, il ventesimo scaccomatto di Robin, il primo cliente soddisfatto di Laureen, o la A+ presa da Isabel in storia americana, il colonnello considerava la storia del suo Paese d’adozione una grande stupidata.  O il diploma, o il tatuaggio di Isabel, la sua nonna aveva gridato “tu es loca, Isabel, tu es loca!!!”. <> chiese Gin a Robin. -Quando ha ricevuto il mio sms aveva un’udienza, un caso di truffa, truffa telematica, così ha letto ad alta voce la sentenza e poi a casa ne abbiamo riparlato. Era felice per la laurea, non per che cosa l’avevo presa- le rispose Robin. -E tuo padre, Isabel, come l’ha presa?- chiese Laureen. -La laurea? Bene, non ha apprezzato che ho declamato la tesi in minigonna, top e scarpe col tacco, con il tatuaggio sul polso bene in vista. La nonna quando mi ha vista ha detto a mia madre “Mira Clarita mira, tu hija parat una puta”, e la mamma le ha detto che ormai i giovani si vestivano tutti così, questo non ha calmato la nonna- le rispose Isabel ridendo di gusto. -E tu Gin, come ha preso tuo padre il tuo ingaggio per la squadra di Cleeveland?- le chiese Robin.- E’ stato felicissimo, voleva organizzare una festa per questa sera; ragazze, ricordatemi di chiamarlo verso le nove- le rispose Gin. -Hey, si sta facendo freddo e sta tramontando il sole, e meglio se accendiamo un fuoco per cucinare, senno moriremo assiderate!!!- la interruppe Laureen.
-Va bene, va bene, chi va a prendere la legna questa volta?- chiese Isabel, sempre meticolosa. -Tiriamo a sorte- propose Robin. Detto questo prese una moneta da un dollaro e lanciò in aria. Uscì testa, quindi si avviò. -Il dollaro, Robin, mi devi un dollaro- quasi le grido Isabel, -Te lo do dopo, quando torno- le rispose Robin.
Le piaceva camminare nel bosco di sera, c’era quella pace che si trovava sempre più raramente in città, troppi rumori. Da bambina ogni tanto ci veniva da sola o accompagnata da suo fratello Robert, si sedevano e ascoltavano. Ascoltavano il bosco.

La vide da subito e la segui. Non c’erano dubbi, era “adatta”. Poteva percepire il suo sangue, era quello giusto, s’immaginò il momento in cui le avrebbe strappato il cuore. Per l’eccitazione saltellò e quando torno con le zampe per terra udi distintamente il rumore di un rametto spezzato. Maledizione! Si era girata verso di lei, ma non poteva vederla, non ancora, sarebbe stata l’ultima cosa che avrebbe visto in vita sua.

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Capitolo 2
*** 2 capitolo ***


Percependo un rumore Robin girò la testa verso sinistra, ma non vide niente, sicuramente stava diventando troppo paranoica, anche le sue amiche glielo dicevano. Aveva trovato abbastanza legna, poteva tornare da loro.
Tornata la serata proseguì come al solito: le quattro amiche arrostirono della carne, Gin prese una chitarra e suonò qualche canzone accompagnata dalle altre, raccontarono delle storie horror e verso mezzanotte ognuna si ritirò nella propria tenda.
A cosa pensavano mentre si apprestavano a dormire?
Robin pensava a quello che poteva aver visto prima, nel bosco. Le era sembrato di udire un rumore di passi, ma non poteva esserne certa. “Forse ha ragione Robert, mi sto facendo condizionare dai racconti di Charleene Greywolf, una vecchia amica di sua madre. A dire la verità col tempo lei era diventata veramente amica di Charleene. Lei era stupenda, la nonna che avrebbe voluto, le raccontava sempre delle storie del suo popolo: gli indiani Shawnee. Quelle storie la facevano sognare. Ciò non si addiceva al presidente del club degli scacchi, così per un po’ Robin aveva cercato di non pensare a quelle storie. Inutile, le cacciavi dalla porta e loro rientravano dalla finestra.
Tra le vicende che le raccontava Charleene quella che l’aveva spaventata di più era quella del Wendigo, un essere mostruoso, che secondo la tradizione della tribù di Charleene divorava carne umana, era alto più di due metri ed interamente peloso. Ripensandoci, a distanza di dieci anni dalla prima volta che l’aveva sentita, Robin sorrise, quella storia non le faceva più paura. Fra due settimane avrebbe iniziato il suo praticandato in ospedale, contava di specializzarsi in cardiologia. Quindi, si disse, basta cattivi pensieri, ora dormi, che domani ti devi alzare presto, le altre avranno in mente di farti uno scherzo, sei tu la festeggiata; detto questo scivolò nel Regno di Morfeo.
La musica s’interruppe dopo appena cinque minuti, “Maledizione- pensò Laureen- si sono scaricate, e qui non ho le altre, ora passerà un’ora buona prima che mi addormenti”. Laureen infatti non riusciva a addormentarsi se prima non ascoltava per almeno un’ora la sua cantante preferita: Utada Hikaru. L’aveva sentita per la prima volta durante il suo primo viaggio a Tokio come addetta dell’agenzia “Travel 4 You”, l’agenzia di sua zia., e aveva deciso di comprare tutti i CD.  Ripensando a quello che doveva fare l’indomani le venne un’idea: doveva fare uno scherzo a Robin, a partire dai dieci anni avevano stabilito che la festeggiata di turno dovesse subire uno scherzo, ad opera di tutte le altre. Ripensò anche al lavoro e a casa sua, e qui le tornò in mente che doveva pagare la bolletta del gas, altrimenti avrebbe fatto prima a piantare la tenda nel giardino di Isabel, adorava come cucinava sua nonna. Mentre pensava a queste cose le parve di scorgere qualcosa, ma ci ripensò, poteva essere uno scoiattolo, e con questo pensiero si addormentò.
Spense la luce e si girò dall’altra parte pensando all’ultima partita e a come avesse vinto per la terza volta il campionato di calcio femminile. Il pensiero confortò  Gin. Erano passati sei anni, ma il ricordo della coppa le sembrava così vivido, sembrava ieri. Le tornò in mente anche Lester Binger, il ragazzo con cui usciva in quel periodo. Erano ricordi agrodolci, almeno fino al momento, dopo il ballo di fine anno, in cui Lester le aveva confidato che era innamorato di sua cugina Dawn, la cosa l’aveva ferita, ma solo per un mese. Al momento decisivo, il rigore, parità, tutti aspettavano che facesse qualcosa aveva pensato “tira questo pallone, fai gol e poi ti lasci tutto alle spalle”. La palla aveva colpito uno dei pali e poi era rientrata, gol!!!
All’università, aveva preso lingue, aveva continuato a giocare a calcio e naturalmente aveva collezionato montagne di premi e di riconoscimenti.
Mentre stava per chiudere gli occhi le parve di scorgere un’ombra che si muoveva furtivamente verso di loro, ma scartò quest’ipotesi nel momento esatto in cui la formulò, era impensabile che qualcuno si trovasse da quelle parti, e a quell’ora.
Chiuse il libro che stava leggendo con la torcia, s’intitolava “La casa degli spiriti” di Isabel Allende. Le piaceva quell’autrice per diversi motivi: primo aveva il suo stesso nome, secondo i suoi romanzi la facevano sognare. Nonostante avesse ottimi voti in tutte le materie, Isabel aveva un comportamento che i suoi insegnanti avevano considerato per anni “discutibile”. Non le importava, solo in questo modo si poteva ribellare a suo padre. L’interminabile guerra tra i due era iniziata quando Isabel a sette anni aveva rifiutato di lasciare la sua scuola per una scuola militare. Non avendo figli maschi il colonnello avrebbe desiderato che almeno la figlia facesse carriera nell’esercito. Invece quella ragazza fin da bambina gli dava problemi: con ottimi voti non c’era un motivo valido per mandarla alla scuola militare, si vestiva come si vestivano le americane, in altre parole con i vestiti corti, e ultima cosa, si ostinava a non volere il marito che aveva scelto per lei. Il sottotenente Rodrigo Alvarez aveva solo un anno in più rispetto ad Isabel, era militare ed una brava persona. Ma ad Isabel non piaceva niente di lui. Per la sua cinquianera, suo padre aveva organizzato una festa dove per tutta la sera lei aveva dovuto ballare con il sottotenente Alvarez, che non contento di questo si era permesso anche di toccarla, naturalmente il colonnello non aveva visto niente. Ad Isabel piaceva invece il maggiore Sean O’Donnel, ma c’era un problema: il ragazzo era irlandese e di un anno minore rispetto a lei. Fu con questi pensieri che Isabel si assopì, pensando a suo padre, a Rodrigo, a Sean e a quella cosa che aveva visto con la torcia, quando l’aveva spenta.

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Capitolo 3
*** 3 capitolo ***


Non sapeva che fare, la ragazza non era sola, ce n’erano altre con lei, e nessuna di loro era “giusta”. Pazienza, si disse, alla fine si sarebbero isolate e allora avrebbe colpito, per un secondo ripenso a Phil, a come l’aveva fatta soffrire e a come si era vendicata di lui. Le era piaciuto, allora fu una necessità, quella di vendicarsi a spingerla. Col tempo era diventata una droga inebriante, a cui non poteva rinunciare. Tutto la eccitava: l’individuare la preda, la caccia e infine il momento in cui la uccideva strappandole il cuore e mangiandoselo.

Gli anni in cui si era dovuta alzare alla 6: 00 per fare jogging avevano lasciato una sorta di deformazione professionale in Gin Blake, così quella domenica mattina fu la prima ad alzarsi. Subito andò vicino la tenda di Robin e si assicurò che dormisse. Poi si diresse vero quella di Laureen, l’apri e le sussurrò <> Successivamente andò da Isabel e ripete la frase. Detto questo guidò le amiche dietro la tenda di Robin, dove si trovava un sasso particolarmente acuminato e tagliò una parte della tenda. <> le chiese Isabel, che stava cominciando a divertirsi; <> Laureen ubbidì divertita, sarebbe stato uno scherzò coi fiocchi. Gin prese la radio e l’accese, infine infilò gli auricolari nelle orecchie di Robin. Poi disse alle ragazze che dovevano tornare nella tenda e fare finta di niente. Alle 6: 30 precise una musica da discoteca a volume altissimo partì. Robin si svegliò subito, si tolse gli auricolari e si precipito fuori dalla tenda. Non fece nemmeno tre passi, perchè cadde nella buca che Gin aveva scavato prima di andare nella sua tenda, era stata l’ultima. Quando guardò su vide le altre che se la ridevano di gusto e davano delle pacche sulla schiena a Gin, che aveva una crisi isterica. -Smettetela di ridere e tiratemi fuori!- quasi urlò, non aveva mai avuto una sveglia così movimentata.
Il resto della giornata proseguì normalmente, le quattro amiche tornarono ognuna a casa propria, con l’impegno di ritrovarsi il giorno dopo, quando Robin avrebbe iniziato il suo praticandato all’ospedale.

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Capitolo 4
*** 4 capitolo ***


Quando aprì la porta di casa, Robin trovò sul tavolo un messaggio di suo padre. Avendo un caso in cui la sentenza si trascinava per le lunghe, la giuria non si decideva, il giudice Cheese pregava la figlia di fargli avere la cena, sarebbe stato meglio se gliela portava lei. Robin sospirò, dal divorzio di suo padre, il giudice si stava deprimendo e passava sempre più tempo in tribunale. Robin sapeva che suo padre aveva avuto numerose avventure, e si augurava ogni volta che restassero tali, ma con Sophie DeRossi non era stato così. Dopo un divorzio lampo, il giudice conosceva tutti in tribunale, si era risposato. L’unico problema che la nuova moglie aveva, a detta di Robin, era l’età: Sophie DeRossi sarebbe potuta essere sua sorella maggiore. “Che lo porti pure Sophie” pensò Robin, aveva cose più importanti del recarsi in tribunale, come cercare una casa, non poteva continuare a convivere con il padre e Sophie ancora per molto. Aveva comprato un giornale e stava cercando la pagina con gli annunci immobiliari, quando sentì il rumore della macchina di Sophie. Andò in camera sua, quel pomeriggio non aveva voglia né di parlarle né di vederla.
Tutto sommato la casa le sembrava bella, e pensò che già dal week end prossimo poteva cominciare il trasloco. Poteva ritenersi soddisfatta, siccome in frigo non era rimasto quasi niente Robin aveva deciso di andare a fare la spesa. Di ritorno a casa un imprevisto: una ruota bucata. Che disdetta, non ci voleva proprio. Scese dalla macchina, e fu allora che lo vide.
Alto almeno due metri, coperto interamente di peli, senza labbra ma con le zanne bene in vista, quell’essere la spaventò a morte, si terrorizzò ulteriormente, quando quella cosa cominciò ad inseguirla.
Iniziò a correre, non sapeva dove, sapeva soltanto che doveva correre, per salvarsi la vita. Quando si rese conto che molto probabilmente non ce l’avrebbe fatta intravide la salvezza nei panni di una cabina telefonica. Poteva rifugiarsi lì dentro e chiamare aiuto. Accelerò e in cinque secondi fu dentro. Non appena iniziò a comporre il 9 del 911, sentì il rumore dei vetri infranti. Quella cosa l’aveva raggiunta. Lei s’inclinò su un lato per proteggersi e la cabina si ribaltò. Fu la sua salvezza. Era terrorizzata dal terrore, quando quell’essere si allontanò spaventato. Ma l’aveva graffiata. Quando riuscì ad uscire vide un uomo che stava agitando un tizzone ardente in direzione della cosa che stava fuggendo verso est.
L’uomo si diresse verso Robin, che lo stava osservando. -Ora che quel mostro se ne è andato, posso svenire?- chiese lei prima di cadere a terra priva di sensi.
Non riusciva a darsi pace, era la prima vittima che non riusciva a uccidere. Ripensò a quell’uomo, dove l’aveva già visto? In ogni caso nulla era perduto. Di lì a poco avrebbe avuto qualcuno come lei, qualcuno che poteva capire il suo dolore. Sorrise e mostrò le sue zanne alla luna. Aveva ancora due giorni, poi sarebbe dovuta andare via da quella città. Peccato, ma non sarebbe stata sola, ci sarebbe stata anche quell’altra ragazza. Come lei.

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Capitolo 5
*** 5 capitolo ***


Gin era appena tornata dal campetto dove si allenava nei fine settimana quando sentì il telefono squillare. Si precipitò a rispondere. Fu sorpresa di udire la voce di un infermiera, l’infermiera Swansom, che le comunicava che Robin si trovava in ospedale e che chiedeva di lei. Corse in camera, si cambiò e montò in macchina. Partì a tavoletta preoccupata di quello che poteva essere successo alla sua amica.

Laureen stava cercando di decifrare la bolletta senza aprire la finestra ed avvisare sua madre, che viveva nel palazzo di fronte al suo. Un rumore la scosse dalle sue meditazioni, il suo cellulare stava diffondendo una musica tribale. Rispose. Dall’altro capo sentì la voce di un’infermiera che le comunicò che Robin era all’ospedale. “Ha cominciato presto, il praticandato comincia domani” pensò Laureen, irrazionalmente, per non pensare al peggio, anche se non sapeva a che peggio pensare. Non aspettò che l’infermiera si spiegasse meglio, interruppe la comunicazione e sfrecciò per le scale fino al garage dove prese la sua macchina.

Lo squillò del telefono fu una salvezza per Isabel. Infatti da almeno tre mesi sua nonna si era messa in testa di voler imparare l’inglese, Maria Azul Cifuntes y Fortunì non aveva mai imparato l’inglese, nonostante fossero trent’anni che viveva negli Stati Uniti. Così aveva chiesto alla nipote d’insegnarglielo. La nonna stava ripetendo i nomi degli oggetti di casa, che Isabel le indicava, quando l’inno nazionale messicano partì. Dopo molte litigate con la compagnia telefonica il colonnello aveva ottenuto di poter scegliere la suoneria del suo Paese natale. Isabel corse a rispondere, grata che un imprevisto avesse interrottò la lezione con sua nonna. Sentì che Robin era all’ospedale, che le altre stavano arrivando. Salutò sua nonna , inforcò la sua moto e si diresse verso l’ospedale.
Gin stava chiedendo a un’impiegata alla reception, che sembrava più curarsi della sua manicure che della ragazza che da cinque minuti buoni stava urlando; quando fu raggiunta dalle altre. Erano tutte preoccupate per Robin. Per fortuna furono individuate dal dottor Simmons, cugino di secondo grado di Laureen, prima che Gin assordasse i pazienti a forza di urla. -Ho visto la vostra amica Robin- riferì alle tre ragazze- sta bene, sembra che sia stata attaccata da un lupo, o simile. Per fortuna il signor Villette si è trovato nel posto giusto al momento giusto-. -E chi sarebbe questo signor Villette?- chiese Isabel, quel nome le era nuovo. -Non ve lo so dire, si è presentato con Robin in braccio chiedendo aiuto, non c’è stato verso di fargli dire qualcosa di più del suo nome-. -Ma dov’è Robin?- urlò Gin, facendo sobbalzare un’infermiera, tre pazienti e l’impiegata alla reception che, finalmente, alzò gli occhi dalle sue unghie. -La signorina Cheese? E’ al quarto piano, in cura presso il dottor Simmons, ah! E’ qui dottore!- Disse indicando il dott. Simmons. -Al terzo piano, stanza numero 483, stavo per dirvelo, ma non mi avete dato il tempo- si giustificò il dottore, ma ormai stava parlando al vuoto, visto che le tre amiche si erano lanciate verso l’ascensore.

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Capitolo 6
*** 6 capitolo ***


Era il momento, si era resa di nuovo presentabile, doveva capire come conquistarsi la sua fiducia e poi renderla partecipe di quale grande fortuna  e le era capitata. Ma ora doveva trovare un nome, non se la sentiva di usare il suo. Non lo usava da quella volta. Pensò. Poi le venne un’idea, folle ma divertente. Avrebbe usato il suo nome, il nome di lei.
Quando le altre la raggiunsero Robin era distesa sul letto e stava facendo le parole crociate. -Ragazze, come vedete la fortuna mi aiuta una volta sì e due no- rispose in risposta agli sguardi angosciati di Laureen. - Per fortuna per la signorina Cheese mi trovavo nei paraggi- disse una voce dietro le spalle di Gin, facendole girare. Biondo, occhi verdi, alto, con un completo impeccabile,  Armand Villette era certamente una figura celestiale, almeno così pensarono le quattro amiche. -So cos’era quella cosa che l’attaccata- dichiarò ad un auditorio che lo guardava a bocca spalancata- era un Wendigo-. -E che cosa sarebbe esattamente un Wendigo?- chiese Isabel, un po’ confusa. -E’ un mostro delle leggende indiane, un essere mostruoso che divorava carne umana, era alto più di due metri ed interamente peloso, lo so perchè me l’ha raccontato un’amica di mia madre, Charleene Greywolf- Robin  intervenne -Ma lei come faceva a sapere del Wendigo, signor Villette?-. -E’ stato tre mesi fa,  io e mia moglie Evelyn- sconforto generale delle quattro e dell’infermiera che stava cambiando la medicazione a Robin- mi ero allontanato verso la macchina per prenderle un regalo, quando il Wendigo è spuntato dal nulla. D’istinto presi un tizzone ardente per difendermi e vidi che si allontanava da me. Finito corsi verso Evelyn, ma giaceva per terra, in una pozza di sangue,  senza più il cuore. Da allora ho un solo scopo, trovare il Wendigo e ucciderlo, l’ho giurato a mia moglie-. -Ciò è molto interessante signor Villette, ma io adesso vorrei fare un paio di domande alla signorina Cheese, se non le dispiace-, quella voce li fece girare. A parlare era stata una donna alta, con i capelli rossi raccolti in uno chignon, occhi verdi ma che sembravano di ghiaccio. - Mi presento, sono l’agente Willelmina Rice, del FBI, e sto indagando sugli omicidi. E’ sicuro, signor Villette, che si tratta di questo Wendigo e non di qualcosaltro, forse qualcosa che è umano?- domandò, aveva una voce odiosa, sembrava che gracchiasse.
-Sicurissimo, signorina Rice, le ho già fornito le prove, ma lei si ostina a non credermi- ribatte Villette. -Signorina Cheese, che cosa le è accaduto? E perchè non ha chiamato subito il 911?- l’agente Rice aveva volutamente ignorato l’affermazione di Villette. -Per la prima ho già detto tutto a l’agente Ring, per la seconda non sono riuscita a chiamare il 911 perchè il Wendigo ha rotto il vetro nel momento esatto in cui componevo il 9.  Dottor Simmons, di preciso cos’ho?-. -Allora Robin, oltre al graffio non hai niente, sei sanissima, aspetta; avevo dimenticato una sbucciatura al braccio!-. -Quindi posso andare?- chiese Robin- vado a casa, mi cambio e per le nove sono di nuovo qui, pronta per il praticandato-.   -Non sarei un buon dottore se te lo permettessi, è meglio se resti a casa per alcuni giorni, non si sa mai- le rispose il dottor Simmons. -Gin, puoi accompagnarmi a casa? Non mi fido della guida di Isabel, in moto è inaffidabile- domandò Robin a Gin, conosceva bene la guida spericolata di Isabel, e la prima ed unica volta che ci era salita l’aveva pregata di andare piano, ma Isabel aveva corso il più veloce che poteva. Da allora Robin aveva deciso: niente più moto.
-Si, Robin, a proposito hai trovato la casa nuova?- le rispose Gin. -Si, contavo di trasferire tutte le mie cose entro una settimana-.
Un’ora dopo Robin e Gin lasciavano l’ospedale.

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Capitolo 7
*** 7 capitolo ***


Tre quartieri più avanti Armand Villette si avvicinava alla sua macchina, che si trovava nel parcheggio dell’hotel dove alloggiava. Mentre percorreva quel tragitto ripensava a sua moglie, alle circostanze in cui l’aveva conosciuta e a come l’aveva persa. A quel ricordo si sommava anche quello di quella ragazza che aveva salvato la sera prima, Robin Cheese. Era carina e spiritosa. Ma no, non poteva pensare a certe cose, si sentiva come Humbert Humbert, era il colmo. Era assorto in questi pensieri quando si sentì chiamare. Si girò, l’agente Rice, questa volta aveva i capelli rossi sciolti, un completo blu scuro e occhiali celesti, lo stava raggiungendo. <> le domando Villette. <>. Quella donna era incredibile, la sera prima , davanti a quelle ragazze lo aveva ignorato e smentito, ora invece non solo era d’accordo con lui, ma gli chiedeva anche dei consigli! <>. Così andava bene, doveva essere diretto e conciso, niente impressioni. <>. Quella donna aveva un dono raro riusciva ad irritarlo. Soprappensiero Villette si accese una sigaretta. La reazione dell’agente Rice lo sorprese, la donna infatti fece un salto all’indietro e si mise le mani sul volto spaventata. Bastò quello a convincere Armand. <> Quasi gridò. Per la sorpresa fece cadere la sigaretta e cercò il cellulare per chiamare una di quelle ragazze, Isabel Casas ch’egli aveva dato il suo numero, e cercò di comporlo. Riavutasi dallo spavento l’agente Rice decise che le restavano solo due opzioni: o fuggiva o uccideva Armand Villette. Se fosse stata umana, o se fosse accaduto due anni fa, sarebbe fuggita a gambe levate. Ma l’agente Rice non era umana, o meglio non lo era più. Così fece l’unica cosa che le sembrò adatta in una circostanza come quella. In sei secondi fu di fronte ad Armand, che aveva appena finito di comporre il numero. Gli prese il volto tra le mani, come se stesse per baciarlo. Ma quello che aveva in mente lei era cento volte più spaventoso. Dopo aver preso il suo volto tra le mani, girò tutta la faccia, a più di sessanta gradi, spezzandogli l’osso del collo e quindi uccidendolo. Poi rigirò il volto, lo scagliò a tre metri lontano da lei, si ricompose, prese il cellulare di Villette e rispose a una Isabel che si stava preoccupando seriamente. <> le diede un indirizzo, poi chiamò col suo il 911. Mentre lo faceva sogghignava, un ostacolo era stato rimosso, ed era stato oltremodo facile. Tropo facile, non si era divertita. Bah, avrebbe avuto altre occasioni per divertirsi, quando avrebbe condotto la sua amica in quella che per lei era la cosa più eccitante: la caccia. Chi le avrebbe fatto uccidere? Le sue amiche o i suoi familiari? La scelta era ardua.

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Capitolo 8
*** 8 capitolo ***


In capo a un’ora le tre amiche erano nella hall dell’Hampton Inn. Tre, infatti Robin si era rifiutata di lasciare la sua nuova casa, col pretesto che aveva ancora parecchi scatoloni da vuotare. Quando Laureen aveva replicato che poteva farlo un altro giorno lei le aveva risposto che non si sentiva molto bene, e aveva aggiunto che aveva già vuotato gli scatoloni. Laureen aveva capito che si trattava di una bugia, ma non aveva compreso il perchè Robin dovesse dirne una. Ripensò agli anni passati, Robin aveva un sangue freddo ammirevole, e non aveva paura del sangue.
In ogni caso erano lì, spaventate e tristi. Isabel indossava un soprabito nero, Laureen una camicia bianca con gonna a righe nera, Gin una felpa nera con pantaloni bianchi. Dopo una mezzora dal loro arrivo il capo del personale le avviso che si dovevano recare nel parcheggio dell’hotel: era lì che l’agente Rice aveva trovato il corpo dell’ormai defunto Armand Villette. Si diressero là. Una riga sul pavimento segnava dove si era trovato il corpo di Villette, adesso all’obitorio. L’agente Rice stava parlando con un poliziotto e con un medico. -Agente Rice, che cosa è accaduto qui?- chiese Gin. -Semplice signorina Blake, il signor Villette è stato ucciso verso le dieci di questa mattina-, -Come è stato ucciso?- chiese Laureen.-Alla vittima è stato spezzato l’osso del collo, non penso che abbia sofferto. L’omicida doveva avere una forza abbastanza notevole.- le rispose il medico legale. -Lei ha visto qualcosa?- domandò ansiosa Gin. -No, disgraziatamente sono arrivata troppo tardi, volevo parlargli e il consierge mi aveva detto che stava per prendere la macchina, così sono uscita e ho cercato di fermarlo, ma non ce l’ho fatta-. C’era qualcosa in quel resoconto che non convinse le tre amiche: loro per arrivare al garage avevano impiegato sette minuti, camminando. Una persona che aveva fretta poteva percorrere quel tragitto in meno di tre minuti, cos’ rifletteva Gin, abituata a correre. -Non ci sarà bisogno del riconoscimento ufficiale, ci ho già pensato io, volevo farvi solo alcune domande. Signorina Casas, sapete perchè il signor Villette vi ha chiamato al cellulare?- -Non lo so, ammetto di avergli dato il mio numero ieri sera. Ma poi è finita qui, non l’ho più sentito fino a questa mattina, quando mi ha telefonato. Ero appena tornata dalla tintoria con i vestiti di mia madre e di mia nonna quando il mio cellulare ha iniziato a squillare. Ho posato i vestiti sul tavolo e l’ho preso. Non sapevo chi ci fosse dall’altra parte, non controllo mai. Dopo tre minuti buoni di panico ho sentito la sua voce agente Rice, questo è tutto- disse Isabel. -Dopo ho ricevuto una telefonata di Isabel, era già per strada, ho chiesto il resto della mattina libera a mia zia e quando Isabel si è presentata sono salita sulla sua macchina- aggiunse Laureen. -Stavo per uscire di casa quando Isabel e Laureen hanno suonato il campanello, il tempo di cambiarmi e siamo andata da Robin- concluse Gin. -A proposito, la signorina Cheese dov’è? Non l’ho più vista da ieri sera. E perchè non è con voi?- chiese l’agente Rice. -Non lo so, siamo passate da lei, ma non ha voluto aprirci la porta, si è inventata due scuse, che poi si sono rivelate delle bugie, ma la porta è rimasta chiusa- ribatté Laureen, il tono dell’agente Rice non le piaceva. -Mi dia l’indirizzo della signorina Cheese, andrò io da lei-. -Evergren Terrace 1483- le rispose asciutta Gin. L’agente Rice dopo aver avuto l’indirizzo fece dietro-front e se ne andò.

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Capitolo 9
*** 9 capitolo: ***


Aveva ottenuto quello che voleva, ossia l’indirizzo. Quelle ragazzine sciocche glielo avevano dato. Ora doveva andare da lei per spiegarle tutto. Si rammaricò che una simile opportunità non fosse stata data anche a lei. Tutte, a partire da quella coni tratti latini, si erano insospettite, ma ci voleva poco, entro il giorno dopo i loro corpi sarebbero stati accanto a quello di quell’impiccione di Villette. Sorrise, e pensò a che nome utilizzare, se il suo o quello di lei. Avrebbe usato il suo, Hanna Jung.

Robin passò tutta la giornata a casa, ogni tanto cercava di cambiare la fasciatura, ma più il tempo passava più quelle non si volevano staccare, verso mezzogiorno smise. Poi subentrò il Caldo. Anche se di solito lì  faceva fresco lei sentiva caldo, tanto caldo. In un primo momento cercò di bere acqua fredda, ma non cambiava niente. Verso le due ricevette una visita, era l’agente Rice. L’agente entrò dalla porta sul retro, che Robin aveva dimenticato di chiudere a chiave.  Sentendo dei passi Robin cercò di correre al piano di sopra, ma l’agente Rice, o meglio Jung, fu più veloce di lei. << Senta, agente, questa è violazione di proprietà privata, se non se ne va chiamo la polizia; e poi io non mi sento bene, ho sempre più caldo >>. << Stia tranquilla signorina Cheese, il dolore passerà fra breve, è il sangue che si deve abituare alla trasformazione che sta avvenendo nel suo corpo, fra meno di due ora sentirà freddo, alla fine non sentirà nient’altro che la fame e la voglia di andare a caccia >>. << Ma lei come fa a sapere tutto questo?>> chiese Robin, mentre nella sua mente cominciava a farsi strada un’idea completamente folle. << So questo e molto di più perchè il Wendigo che ti ha attaccata la sera scorsa ero io. Ti tengo d’occhio da quando ti ho vista nel bosco due sere fa >> fu la risposta di Jung. << Ah, non mi chiamo Willelmina Rice, quello era il suo nome, il nome della donna che mi ha portato via l’unica persona che abbia amato: mio marito Phil. Ma mi sono vendicata. Due anni fa, tornavo da un’udienza dal divorzio, quando fui attaccata da un Wendigo, come te. Come te ebbi fortuna e mi salvai. Il giorno dopo pensai a una sciagura, almeno fino al tramonto. Allora compresi la mia missione: vendicarmi di lei e del mio ex-marito. Lei fu la prima a morire, fu la mia prima vittima in assoluto. Pensa, presenziai anche al suo funerale! Dopo tre settimane andai da Phil e gli dissi tutto. Fu così stupido da cercare di uccidermi. Naturalmente andai da lui prima del tramonto, in modo da potermi trasformare a casa sua. Fu bellissimo, gli spezzai l’osso del collo e poi gli aprì il petto e divorai il suo cuore, quel cuore che mi aveva tradita e che non mi amava più. Finito scappai in altre città, ma la voglia di vendicarsi era sparita, sostituita dal sapore inebriante del sangue. Ecco ormai sai tutto >>. << Perchè mi hai detto questo? Potrei denunciarti >> chiese Robin, che iniziava a provare Freddo. << Perchè stai per diventare come me e fra cinque ore la penserai come me. Se t’interessa il mio vero nome è Hanna Jung >>.

Nello stesso istante le tre amiche si trovavano nella biblioteca cittadina, cercavano un atlante dettagliato del Canada, dove volevano passare le vacanze estive. Laureen stava cercando delle mappe quando il suo cellulare suonò. Era la sua collega a cui aveva chiesto di poter trovare l’aero dell’agente Rice. Nessuna Willelmina Rice si era registrata, da nessun volo. In un’altra sala Gin stava cercando un libro sulle città canadesi, quando le sue mani ne incontrarono un altro. Si trattava di un libro sulle leggende indiane, scritto almeno trent’anni fa da Charles Greywolf, il fratello di Charleene. Tra le leggende menzionate vi era quella del Wendigo, e un paragrafo in particolare attirò l’attenzione di Gin. Diceva “Noi non sappiamo che forma assuma il Wendigo quando la luna cade,ma sappiamo che nel suo aspetto umano resta sempre qualcosa di mostruoso, e gli unici indizi per individuarne uno sono: la paura del fuoco, sia esso grande o piccolo, e cosa più importante il modo con cui il Wendigo uccide le sue vittime sventurate, ovvero spezzandogli l’osso del collo.
Fu alla fine del paragrafo che Gin ebbe quella che in seguito avrebbe chiamato un’illuminazione. Infatti iniziò a collegare le coincidenze che erano capitate a lei e alle sue amiche in quei giorni e fece due più due. Prese il cellulare e chiamò Laureen, che al momento si trovava con Isabel. Riuscì solo a dire <> poi si sentì un rumore di libri che cadevano. Siccome il cellulare aveva poco campo, Gin si era avvicinata ai libri, ma la scala le era sfuggita da sotto i piedi. Rimase in quella posizione bizzarra per cinque secondi, aggrappata con una mano ai libri, mentre l’altra reggeva il cellulare. Poi, siccome la legge di gravità esiste, cadde, trascinando con lei tutti i libri! Le due amiche accorse la trovarono quasi sepolta da una montagna di libri mentre imprecava contro le scale, la legge di gravità e i telefoni cellulari.
Dopo averla tirata fuori andarono in un bar che si trovava lì vicino per decidere il da farsi.
Gin propose di cercare Robin e di chiuderla da qualche parte, ma sarebbe stato difficile riuscire a ottenere la fiducia di Robin in quelle ore. Se Robin aveva rifiutato persino di andare ad aprire la porta, come poteva essere convinta ad uscire di casa?
L’idea di Laureen era più sensata: cercare l’agente Rice, o come diavolo si chiamava, e poi spararle. Ma c’era un problema, come le fece notare Gin : con che cosa le avrebbero sparato?
<< Con la mia pistola, faccio un salto a casa e la prendo >>, disse Isabel con noschalnse. << Tu hai una pistola? >> esclamò Gin sorpresa. << Si, papà me l’ha regalata quando ho finito il liceo, vado ad esercitarmi al tiro a segno due volte la settimana. >> “E ne approfitto per vedere Sean” pensò, ma se lo tenne per sé. -Allora noi andiamo a casa tua, tu prendi la pistola, noi facciamo da palo, dici a tuo padre che ti vuoi esercitare,  e poi ci raggiungi in macchina- aggiunse Gin, aggiornando e migliorando il piano di Laureen.
Il piano era ben fatto, ma una cosa rischiò di mandarlo a monte: la nonna.
Infatti, se i genitori di Isabel erano a un cocktail di lavoro, sua nonna era rimasta a casa! Fu solo grazie a Laureen che distrasse la nonna chiedendole se poteva scriverle una ricetta messicana che aveva in programma di preparare. Mentre la nonna scriveva, Isabel prendeva la sua pistola, una Smith & Wesson, un’arma maschile che però sapeva maneggiare. Dopo aver chiamato Sean, come faceva ogni sera, e aver salutato sua nonna si diresse verso la macchina di Gin, parcheggiata sul marciapiede di fronte casa sua.

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Capitolo 10
*** 10 capitolo ***


Il sole stava per tramontare e lei temeva di non farcela: il dolore aumentava e sentiva la Fame. Voleva soltanto essere libera di correre dove voleva, e avvertiva anche la sensazione disgustosa di voler uccidere qualcuno. Ma no, non poteva e non doveva uccidere nessuno. Girò la testa per fissarla. Lei era calma, si era soltanto allentata un poco il colletto della sua camicia. Cercò di parlarle, di chiedere quando il Dolore sarebbe finito, ma non riuscì a profferire nessun suono. D’istinto si toccò le labbra, ma riaccorse di una cosa che la sconvolse: non aveva più le labbra!!! Il sole era tramontato.

Mentre si recavano nell’hotel dove l’agente Rice aveva detto di risiedere le tre amiche erano in silenzio, ognuna ripensava al piano. Per poterlo portare a compimento mancava solo una cosa: più informazioni sull’agente Rice, o come diavolo si chiamava quella donna. Arrivate, mentre Gin distraeva la signorina alla reception, Laureen e Isabel cercarono sull’elenco la firma dell’agente. Dopo aver sfogliato tre pagine, Laureen, che si intendeva di firme, riconobbe quella dell’agente. Solo che la firma che era di fronte ai loro occhi non diceva Willelmina Rice, ma Hanna Jung!!!
<< Chi sarà mai questa qui? >> pensò Laureen mentre richiudeva in fretta il libro.

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Capitolo 11
*** 11 capitolo ***


Erano insieme, ora doveva portarla in un luogo sicuro e possibilmente popolato. Ebbe un’idea ed intimò all’altra di seguirla. Sarebbero andate al parco cittadino.

 

 

Mentre si recavano al parco, sicure che Robin fosse a casa, Gin ricevette una telefonata: era il giudice Cheese. Robin infatti non l’aveva chiamato per tutto il giorno, e lui si stava seriamente preoccupando. << Stia tranquillo, giudice, Robin sta bene, sono passata da lei questa mattina, era in ottima forma>> menti Gin, il giudice non poteva aiutarle.

<< Che facciamo adesso? >> chiese Laureen. << Ho un’idea: una di noi spara all’agente Rice- o Jung-, e un’altra le si avvicina con un accendino e quando lei si distrae per il colpo ricevuto, le da fuoco >>le rispose Isabel. << Sarai tu a sparare, Isabel, da quello che ci hai detto prima sei l’unica che sappia maneggiare una pistola, io darò fuoco a quel mostro e tu Gin sarai vicino a Robin, pronta ad aiutarla >> concluse Laureen.

Mezz’ora dopo le tre erano al parco e cercavano di individuare Robin, o Jung, c’era solo un problema, nessuna di loro sapeva com’era fatto un Wendigo! Dopo dieci  minuti, durante i quali avevano cercato con lo sguardo qualcosa, Gin urlò che le era sembrato di rivedere quella cosa che aveva scorto la domenica precedente. Così illuminarono il punto indicato da Gin con la torcia di Laureen.

E li videro.

Erano proprio come Robin li aveva descritti all’ospedale e a come l’avevano immaginato leggendo il libro del fratello di Charleene Greywolf.

Fu il primo, che aveva una sfumatura rossastra, a notarle per prime. Con un guaito chiamò l’altro, che si girò verso le due ragazze. Dopo aver preso il coraggio a due mani, Isabel Casas impugnò la sua pistola, mirò e fece fuoco. Il primo, quello rossiccio per un secondo si fermò, mise le mani, o quello che aveva invece di avere le mani sull’addome. Poi si riprese e si diresse minacciosamente verso di lei. Isabel fece partire un altro colpo. Questo colpì il Wendigo sulla spalla sinistra. L’essere ululò il suo dolore. Poi per un secondo parve illuminarsi: Laureen le aveva dato fuoco con l’accendino. il mostro si dimenò, cercando una via di scampo da quella tortura. Le sembrò di scorgere un laghetto, si diresse in quella direzione. Mentre avanzava sentì di nuovo quel dolore, Isabel l’aveva colpita di nuovo, questa volta al braccio sinistro. Questa volta il Wendigo si fermò, non riusciva a muoversi, sentiva sempre di più l’odore del fuoco e di carne bruciata. Chiuse gli occhi.

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Capitolo 12
*** 12 capitolo ***


Si risentì di nuovo padrona del suo corpo. Non sapeva come l’avrebbe spiegato, era una sensazione stupenda. Fino a quel momento si era sentita immersa come nel vuoto, era stato tranquillo e sereno. Aveva visto tutto quello che era accaduto accanto a lei, ma non riusciva a muoversi o a parlare. Quando ci aveva provato non le era uscito nient’altro che un ululato, come quelli che fanno i lupi. Aveva avuto l’impressione che stesse accadendo tutto oltre un vetro o un telo, che potesse vedere e non vedere. ora però quella sensazione rilassante e al contempo fastidiosa era scomparsa. Grazie alle sue amiche. Doveva ringraziarle. Doveva ringraziarle perchè era finalmente tornata normale.

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