Il ritorno

di CowgirlSara
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** 1 ***
Capitolo 2: *** 2 ***
Capitolo 3: *** 3 ***
Capitolo 4: *** 4 ***
Capitolo 5: *** 5 ***
Capitolo 6: *** 6 ***
Capitolo 7: *** 7 ***



Capitolo 1
*** 1 ***


Nuova pagina 1

Ripubblico i capitoli già postati perché mi è stato giustamente fatto notare che  ero stata incoerente nelle scelte dei nomi. Adesso opto per quelli originali, perché ultimamente li preferisco. Non ci saranno altre modifiche sostanziali. Ringrazio Francine per il consiglio e tutti quelli che hanno commentato finora.

Baci

Sara

Mia terza ff dedicata ai Cavalieri; stavolta si torna indietro. Scrivendo il seguito di "Nuova vita…" (quando l’ho finito lo posto ^__-), infatti, mi è venuta l’ispirazione per questa storia, ambientata immediatamente prima e durante l’episodio dell’anime intitolato "I cavalieri d’oro". È stata più che altro l’occasione per dire alcune cosine sul mio cavaliere preferito ^__^

Per quanto riguarda il legame tra Milo e Camus, io preferisco vederlo come una bella e vera amicizia virile, e così credo di averlo reso; spero di non deludere nessuno, ma non riesco proprio a percepire questa unione omosex che va tanto per la maggiore. Io, i fighi, preferisco immaginarmeli etero, non voglio togliermi delle possibilità, che già la roba scarseggia…

Infine, ho messo delle note in coda al capitolo, se non doveste gradirle, vi prego, fatemelo sapere, che provvederò a non usarle più.

Grazie fin da ora a chi vorrà seguire e commentare questo ennesimo tentativo di pseudoscrittura. Un bacione.

Sara

 

P.S.: i personaggi di Saint Seya e le canzoni che eventualmente userò appartengono ai loro legittimi autori, e vengono usati solo per amore. ^x^

 

~ Il ritorno ~

 

Le strade di Atene erano trafficate come sempre, in quella limpida mattina che, da una parte, profumava di primavera, e dall’altra, puzzava di nafta e pesce marcio. Da quell’incrocio si vedeva ancora il porto, i gabbiani, il mare verde-blu, i traghetti, le petroliere scure a largo.

La radio vomitava vecchi successi degli anni 80, come se si volesse adattare a quella macchina che proveniva dalla stessa epoca; era una vissuta Volkswagen Golf che aveva conosciuto tempi migliori, di un indefinito color grigio-verde. Il sole attraversava il parabrezza investendo il sedile del passeggero ed uno sgualcito pacchetto di sigarette abbandonato sul cruscotto.

Il ragazzo alla guida fece un ultimo tiro alla sigaretta che aveva tra le dita e la gettò dal finestrino appena prima che scattasse il verde. Alla radio, Bonnie Tyler cantava: “Once upon a time I was falling in love / But now I'm only falling apart / There's nothing I can do / A total eclipse of the heart…”

 

~ 1 ~

 

Il paesaggio era sempre uguale: l’aspra collina dominava un territorio brullo e inospitale, che avrebbe scoraggiato personaggi ben più arditi, o incoscienti, di lui; il Santuario, il mare lo aveva alle spalle e si poteva goderne la vista solo dall’alto.

S’incamminò lungo un sentiero che s’inerpicava, sassoso, lungo il fianco sbertucciato di una collinetta calcarea; incredibile, si ricordava perfettamente dove conduceva. Prima di partire aveva gettato l’ultima sigaretta, fumata a metà, contro un mucchietto di pietre che facevano da segnale.

Tra poco avrebbe trovato compagnia. Non trascorse molto tempo, infatti, prima che un gruppo di soldati lo fermasse; si fece avanti un tipo, elmo, pettorale e schinieri, con una faccia ottusa ed il classico naso da pugile. Gli ricordò uno di loro e decise che, se lo attaccavano, sarebbe stato il primo a morire.

“Tu, straniero.” Lo appellò l’uomo. “Non puoi proseguire, questo territorio è proibito ai forestieri.”

Il ragazzo non rispose, ma, sotto la massa di capelli scomposti che gli coprivano gli occhi, le sue labbra s’incresparono in un beffardo sorriso.

“Voi, piuttosto.” Replicò infine. “Fatemi strada, se ci tenente alla vita.”

“Come osi!” Esclamò indignato il portavoce, mentre i suoi sgherri si facevano più minacciosi. “Tu non sai con chi stati parlando!”

“Proprio perché lo so, vi intimo di togliervi di mezzo.” Ribatté lui tranquillo.

“Non lo ripeterai ancora! Ahhhhhhhhh!”

Gli si lanciarono contro in tre e, mentre due furono scagliati lontano, con un solo movimento della mano sinistra, a spaccarsi la testa contro basamenti di colonne spezzate, il terzo rimase inspiegabilmente bloccato sul posto, come trattenuto da una forza invisibile che emanava direttamente dalla mente del ragazzo, finché non fu sollevato in aria e sfracellato contro la parete di roccia. Un altro gruppetto allora lo attaccò, preso dall’impeto; rimasero a terra in cinque, a torcersi in dolorosi spasmi, come se un veleno avesse percorso il loro corpo fino al cuore, senza nemmeno rendersi conto di come fosse successo. I rimasti stavano per fare la stessa fine, quando furono fermati.

“Stolti!” Gridò una voce profonda dall’alto. “Non vi accorgete di chi state affrontando?” Tutti, tranne il ragazzo, si voltarono verso l’uomo in ombra contro il sole, in cima alla rupe. “Le vostre vite sono un nulla, per un guerriero superiore come lui, desistete, per il vostro bene!”

Il ragazzo dai capelli lunghi sbuffò; quel modo di parlare pomposo era veramente ridicolo, ma si ricordò che lì, era un po’ la regola. Lui odiava le regole.

Il nuovo venuto, nel frattempo, balzò elegantemente giù dalla rupe, piazzandosi davanti ai soldati.

“Ben trovato, Aiolia.” Lo salutò l’altro, con tono disincantato.

“Ben trovato a te, Milo di Scorpio.” Replicò lui, poi si guardò intorno. “Perché hai fatto questo?” Gli domandò, indicando gli uomini a terra.

Milo diede un’occhiata supponente all’ammasso di corpi lamentosi ai suoi piedi, quindi guardò Ioria con un sorriso sardonico. “Se non sono capaci di riconoscere chi hanno davanti è questo che meritano, ma hai ragione tu, non vale la pena di sporcarsi le mani.”

Si fissarono per un lungo istante; i severi occhi verde oceano di Aiolia in quelli beffardi di Milo che, nonostante fossero coperti da una zazzera ribelle, restavano di un azzurro trasparente.

“Il Grande Sacerdote ti manda a chiamare, e tu ti presenti così?” Lo rimproverò infine il cavaliere di Leo, osservando la sua pietosa condizione.

Beh, certo, le vecchie scarpe da ginnastica con la punta un po’ sbucciata, i jeans troppo vissuti, con strappi sulle ginocchia, le cosce e il sedere, e la camicia un po’ sgualcita non erano esattamente da sfilata, specie se associati alla barba di tre giorni ed ai capelli non troppo puliti, legati con un vecchio elastico di spugna sfilacciato.

Scorpio si guardò, poi rialzò gli occhi su Ioria, stringendosi nelle spalle con fare indifferente; Leo contrasse la mascella, la strafottenza di Milo non l’aveva mai sopportata.

“E dov’è la tua armatura?” Gli domandò, cercando di farsi sbollire la rabbia.

“Ah!” Fece Milo, posando le mani sui fianchi. “L’ho lasciata nel bagagliaio della macchina, vai a prenderla tu? È un vecchia Golf color catarro…” Rispose poi, sarcastico.

“Credi di essere spiritoso?” Replicò torvo l’altro. “Tu sei un cavaliere della casta suprema, il tuo dovere…”

“E lascialo in pace, Aiolia!” Tuonò una voce alle sue spalle. “È appena arrivato, Santi Numi, fallo acclimatare!”

I due cavalieri si voltarono per vedere il nuovo venuto; era un ragazzo alto, col fisico slanciato e le spalle di un nuotatore. Capelli lunghi, occhi blu.

“Camus!” Esclamò allegro Milo.

Aiolia, invece, si fece ancora più cupo, e fissò il cavaliere di Acquarius da sotto le sopracciglia minacciosamente aggrottate. “Che ci fai qui?” Gli chiese.

“Hm…” Fece Camus vago. “Sospettavo che il vostro incontro non sarebbe stato all’insegna dell’affetto, quindi sono sceso.”

“Come potrei salutare degnamente quest’uomo?” Ribatté Leo, indicando il compagno. “È inaccettabile l’atteggiamento con cui si è presentato!”

“Aiolia, ragazzo mio.” Disse Camus, scuotendo il capo e stringendo una spalla del cavaliere della quinta casa. “Facciamo così, io mi prendo questo derelitto e lo rimetto a nuovo, tu fai recuperare la sua armatura, e ti prometto che prima del tramonto sarà al Tempio.”

Leo fissò per un attimo gli occhi furbi di Acquarius, poi si voltò verso Scorpio ed il suo sorriso strafottente, quindi si scostò dalla presa del primo.

“E sia, ma non ve ne approfittate.” Accettò, poi gli diede le spalle, allontanandosi con ciò che rimaneva degli improvvidi soldati.

Camus si voltò verso Milo facendo una buffa smorfia scocciata, lui rise, poi s’incamminarono verso il Tempio.

“Non ti sta molto simpatico Aiolia, eh?” Gli domandò Scorpio, mentre camminavano.

“Ehm…” Grugnì Acquarius. “È un cazzone quello, tutto chiacchiere e armatura, quando il suo ego esploderà sentiranno il botto fino al Pireo!”

“Eheheheh, sempre acidi, vero?” Rise Milo. “Il lupo siberiano perde il pelo, ma…”

L’altro cavaliere lo guardò sorridendo. “Preferisco mantenere le vecchie, sane, cattive abitudini.” Scherzò. “Mi sei mancato, amico mio.” Aggiunse poi, stringendogli la spalla.

“Anche tu.” Rispose Milo. “Ma fatti un po’ vedere.” Continuò, allontanandosi di un passo. “Mi sembri un po’ invecchiato…” Commentò poi, mettendo la mano sotto il mento.

“Invecchiato?!” Esclamò Camus offeso. “Guardami bene, sono l’uomo più bello del Grande Tempio!” Proclamò quindi, allargando le braccia.

Scorpio ridacchiò. “Quando scoppierà il tuo, di ego, l’onda d’urto arriverà perfino nella tua amata Siberia, dammi retta.” Scoppiarono entrambi a ridere.

 

CONTINUA

 

NOTE:

- penso che vi spiegherò più avanti a chi si riferisce Milo quando dice che il soldato gli ricorda “loro”.

- La canzone! La canzone? Sì, la canzone in introduzione è, ovviamente, "Total eclipse of the heart", una delle mie preferite in assoluto, e il verso in particolare non è scelto a caso.

 

SFOGO MALUPINO:

1 – Non so voi, ma io mi sono fatta un’idea mooolto precisa del fondoschiena di Milo dentro a quei jeans strappati… data la saliva che ho sprecato, sto ancora seguendo una scrupolosa cura per recuperare i liquidi persi… ¬_¬

2 – Ho pensato che il fisico di un nuotatore era perfetto per Camus, e siccome il mio nuotatore preferito è, e sarà sempre, il divino Alexander Popov, vi voglio mettere un link per farvi un’idea del corpo di quest’uomo… http://go.virgilio.it/clkc_M_search_immagini_google_0__1_41/http://photogallery.tiscali.it/repository/uomini/Alexander_popov/popov01.jpg

3 – Siccome bisogna dare a Cesare quel che è suo e, nonostante abbia un carattere un po’ così, sono costretta ad ammettere che anche Ioria l’è un bel topone!

E con questo i miei ormoni ballerini fanno l’inchino e salutano alla prossima! Ciaoooo!

CrazyCow

 

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Capitolo 2
*** 2 ***


Nuova pagina 1

Siccome un solo capitolo non è sufficiente a giudicare, vi posto subito il secondo; fatemi sapere cosa ne pensate. Grazie a blustar e Swan per le recensioni. A presto! Un bacione.

Sara

~ 2 ~

 

La sagoma svettante dell’Ottava Casa dello Zodiaco torreggiava di fronte a loro, con la sagoma dello Scorpione posta a minaccioso saluto; dall’interno buio e cupo proveniva soltanto aria fredda e un vago odore di muffa.

“Com’è dentro?” Domandò preoccupato Milo, fissando il buco d’ombra che sarebbe stata l’entrata.

“Polveroso, immagino.” Rispose laconico Camus.

“Errr…” Si lamentò l’altro.

“Senti, poche storie bello!” Esclamò Acquarius, spingendolo oltre la soglia. “Devi lavarti, puzzi come se avessi passato gli ultimi cinque anni nel magazzino di una pescheria!”

“Vivevo vicino al porto.” Si giustificò lui.

“Secondo me, vivevi proprio a mollo nello scalo pescherecci, e poi cos’è…” Lo annusò. “Questo è fumo di sigarette…”

“Hm… ho appena smesso di fumare.” Spiegò Scorpio.

“Da quanto?” Chiese perplesso l’amico.

“Ho gettato l’ultima sigaretta ai piedi del Santuario, circa un’ora fa…” Rispose Milo, massaggiandosi la nuca.

“Non voglio sentire più niente.” Affermò perentorio Camus, continuando a spingerlo. “Ma lavati anche i denti.”

Un’ora dopo, più o meno, Acquarius era seduto al tavolo del piccolo soggiorno al piano superiore dell’ottava casa. Tutte le case dello Zodiaco avevano quelle che erano chiamate “le stanze segrete”, situate di solito nel sottotetto, oppure nei sotterranei; queste stanze erano usate come vera e propria abitazione dai cavalieri che non si stabilivano altrove, oppure come biblioteche, magazzini, o per l’uso più conveniente al loro custode.

Camus si grattò un orecchio, infastidito dall’odore di chiuso della stanza, che non veniva per niente alleviato dalla piccola finestra; il cavaliere incrociò le braccia e cominciò a dondolarsi con la sedia.

“Hey, ci vogliamo sbrigare?” Vociò all’amico, che stava ancora in bagno. “Non ho mica tutta la giornata, io!”

“E dammi pace!” Protestò Milo. “Non si vede una beneamata sega qui, vuoi che mi tagli il naso?!” l’unica risposta fu una risatina poco divertita.

Scorpio si guardò nello specchio, dopo aver tolto l’ultima striscia di schiuma da barba; era strano essere di nuovo lì, la successione degli eventi non gli aveva dato tempo di pensarci.

Il luogo in cui era cresciuto… bambino tra altri bambini, adulti che da lui volevano solo impegno e devozione, che l’infarcivano di retorica ed epica, che lo sfiancavano in addestramenti cui nessun bambino dovrebbe essere sottoposto… e poi, un adolescente ribelle, insofferente a quegli stessi adulti che fino al giorno prima chiamava maestri, salvato dall’autodistruzione dalla mano che gli aveva porto un libro… un’armatura d’oro… un ragazzo innamorato… una felicità ed un dolore che nulla avrebbe potuto eguagliare… un dolore…

Un familiare magone gli si formò alla bocca dello stomaco ed un nodo soffocante gli attanagliò la gola; abbassò il viso nel lavandino, lavandoselo con l’acqua fredda, prima che gli occhi gli si riempissero di lacrime.

Quando tornò in soggiorno, con addosso soltanto le mutande, trovò Acquarius seduto sullo scrigno della sua armatura; sorrise beffardo, mentre l’altro si alzava.

“Cominciavo a darti per disperso.” Esordì l’amico, corrispondendo al sorriso.

Camus indossava, sopra ai jeans scoloriti, una larga e finissima camicia di lino bianco, con lo scollo all’indiana ricamato d’oro; una roba che, su chiunque altro, sarebbe sembrata eccessiva. Su di lui no; la portava con una nonchalance che avrebbe fatto l’invidia di un indossatore professionista, e se lo poteva permettere. Forse per quello, Milo la notava solo ora.

Camus di Acquarius. Slanciato, elegante e gelido come la lama di una di quelle spade giapponesi, e forse per questo altrettanto letale in battaglia; tutto ciò lo aveva reso, negl’anni, un modello da imitare per Scorpio, cavaliere più giovane ed irruento. Si sorrisero di nuovo.

“Vuoi una birra?” Chiese il cavaliere dell’undicesima casa, porgendogli una bottiglia scura.

“Sì, grazie!” Accettò volentieri Milo, prendendola, ma poi la guardò perplesso. “Ma è calda!” Si lamentò quindi.

“Scusa, non c’è corrente elettrica, come caspita pensi che possa aver acceso il frigorifero?!” Replicò Camus indispettito, ma sarebbe stato difficile dire se faceva sul serio.

“Ma come…” Riprese l’altro. “…non mi dirai che il grande Camus di Acquarius, signore e padrone delle energie fredde, adesso ha bisogno di un frigorifero…” Gli disse con uno sguardo provocatorio.

“Mi stai provocando?” Chiese, infatti, lui con un’occhiata obliqua. “No, dico, mi stai provocando?” Insisté, strappandogli di mano la bottiglia; Scorpio gongolava.

L’amico si avvicinò, quindi, al tavolo e stappò la bottiglia contro il bordo con un rapido gesto, senza togliere gli occhi da quelli dell’amico, poi l’avvicinò alle labbra e ci soffiò dentro; in un istante la birra si raffreddò, formando anche un lieve strato di brina sul vetro.

“Adesso è perfetta.” Proclamò restituendogliela.

“Eheh, sapevo che l’avresti fatto!” Commentò Milo ridendo. “Spero per te che non usi questa tecnica anche con le donne, altrimenti scordati di essere baciato ancora!” Aggiunse, per tutta risposta ottenne uno scappellotto sulla nuca.

Pochi minuti dopo erano seduti sulle scale che portavano al piano inferiore; lì si respirava meglio, anche se era piuttosto buio. Entrambi i cavalieri fissavano il vuoto, sorseggiando le loro birre, ora belle fresche.

“A proposito.” Fece ad un certo punto Scorpio. “Ti vedi ancora con Vulva di Pietra?” Domandò all’amico.

Acquarius si girò verso di lui sorpreso; prima lo guardò male, ma poi ridacchiò, abbassando il capo. “Sì…” Rispose infine. “Ma perché la chiami così?”

“Bah, non lo so, mi ha sempre dato quell’impressione…” Spiegò Milo.

“Non hai idea di quanto ti sbagli.” Commentò Camus, alzando gli occhi blu nel buio. “Ma comunque sì, stiamo ancora insieme… per quanto sembri strano.”

“E cosa dicono qui, del fatto che frequenti una rinnegata?” Chiese l’altro, abbassando inspiegabilmente la voce.

Lui tornò a guardarlo, gli occhi cupi. “Non sono affari loro, la mia vita privata è solo mia… e, ad ogni modo, siamo tutti sotto controllo, di questi tempi.”

“Che cosa vuoi…” Ma Camus mise fine alla discussione alzandosi.

“Preparati ora, non possiamo far aspettare troppo il Grande Cazzone Supremo.” Affermò stiracchiandosi; Scorpio capì che il discorso era chiuso.

 

Camus era seduto sull’ampio corrimano di marmo delle scale che conducevano al Tempio, l’edificio principale del Santuario di Atena, in attesa del suo amico che era ora all’interno; guardando il sole infuocarsi nel tramonto, il cavaliere pensava che, in fondo, non gl’importava poi molto di quello che stava succedendo lì, il suo primo pensiero era sempre lei, da anni.

Elettra di Zeus, Gran Sacerdotessa del Padre Celeste, figlia del Cielo e della Folgore, questo era lei, certo, occhi azzurri come il cielo e capelli d’oro come il fulmine del grande padre, carattere di ferro come i martelli che lo forgiarono, ma era anche molto di più. Era qualcosa di diverso; soprattutto lì, tra le mura sacre ad Atena, era la Traditrice. Era stata l’amante dell’uomo che aveva osato violare col sangue l’altare della Dea, macchiare di vilipendio la notte a Lei sacra, ed ora accoglieva traditori e reietti, oppositori, si diceva avesse favorito la fuga di Ariete, che cospirasse contro il Grande Sacerdote Arles, che mirasse al suo trono, che appoggiasse apertamente questi millantati Cavalieri di Bronzo venuti da oriente…

Poco gl’interessava, alla fine, di tutto questo, conosceva Elettra da una vita intera e sapeva che non era capace di azioni maligne, era una persona sincera e umile, soprattutto umile, e le sue ambizioni erano abbastanza soddisfatte così, aveva comunque un potere immenso. E poi l’amava. L’amava così tanto che, a volte, riusciva ad odiarla per questo, perché lui, nel suo smisurato orgoglio, non sopportava la necessità che aveva di lei. E non sopportava di venire secondo… terzo, forse addirittura terzo! nel suo cuore.

Beh, il primo non poteva sperare di contrastarlo, e nemmeno voleva; era Alexandros, il figlio di Elettra, il Bambino d’Oro, come usava chiamarlo lui, che sembrava vivere costantemente circondato da un’aura dorata, come se la mano amorevole di una divinità fosse sempre posata sul suo capo. Quello che gli dava fastidio era confrontarsi con il Fantasma.

Scomparso da tredici anni, accusato di tradimento, morto da fuggiasco, sepolto chissà dove, che aveva trascinato con se nell’oblio la Sacra Armatura di Sagitter, la più cara alla Dea; eppure, nonostante tutto, il suo ricordo sovrastava ogni cosa, splendente immagine di un amore più forte del destino. Lo aveva odiato, Aioros, da vivo, e lo odiava ancora di più ora che era morto, perché lasciando il mondo dei vivi era diventato qualcosa di più di uomo.

Gelò il piccolo sasso che aveva tra le dita fino a polverizzarlo; nessuno doveva sospettare questi suoi sentimenti, le passioni che agitavano il suo cuore, per tutti lui, Camus di Acquarius, doveva restare il gelido guerriero di sempre, non lo avrebbero colto in fallo.

“Hey.” Lo richiamò una voce; voltandosi si trovò davanti Milo, bardato nella sua splendente armatura dello Scorpione.

“Hai fatto presto.” Commentò Camus, alzandosi.

“Hm…” Fece Scorpio, stringendosi nelle spalle, mentre lo precedeva sulle scale. “Un tizio rinsecchito e ampolloso mi annunciato che il Gran Sacerdote mi riceverà domani a mezzogiorno.”

“Umpf… il primo ministro…” Scimmiottò Acquarius, con tono disgustato.

“Che fine ha fatto quello basso e grasso? Il tipo che c’era prima?” Domandò incuriosito il più giovane; Camus gli rivolse un sorriso furbo.

“Un giorno, dopo l’ennesimo fallimento dei suoi sicari, si è offerto volontario per affrontare il nemico…” Era strana la scelta delle parole che sottolineava. “…e non è più tornato.”

“Ehehehehe!” Rise Milo.

“Se il codardo non è morto, e mi auguro di sì, a quest’ora sarà rintanato in qualche buca adatta ai conigli come lui, timoroso anche solo di mettere fuori il naso, per paura della longa manus del nostro Cazzone Supremo.” Affermò con rabbia.

“Non si può dire che fosse tra i tuoi preferiti…” Commentò ironico Milo, scendendo le scale.

“No, non hai capito.” Lo bloccò l’altro, strattonandolo per un braccio, affinché lo guardasse negl’occhi. “Quello che mi da fastidio è il fatto che noi ci dobbiamo inchinare davanti a certa gente, che ha fatto carriera solo perché è brava a baciare le pile di quelli come Arles, e valgono meno della suola delle nostre scarpe. Noi, che dovremmo piegarci solo davanti al Grande Sacerdote, o ad Atena in persona, siamo invece costretti a farlo davanti a comuni, infimi, mortali, che non hanno nemmeno idea del potere che hanno davanti.” Fremevano gli occhi di Acquarius, come fiamme. “Non sanno che potremmo spazzare via tutta la loro schiera di insulsi burocrati con un solo gesto, dovrebbero temerci, invece ci disprezzano.”

Milo si sottrasse alla sua presa, intimorito. “Ma che cosa sta succedendo qui?” Domandò allarmato.

“Guarda con i tuoi occhi.” Gli rispose Camus, indicando un punto oltre le rocce che coprivano i lati della scala.

Un gruppo di soldati trasportava i cadaveri di due giovani su una sola barella, i loro corpi sembravano martoriati, coperti di ecchimosi e ferite sanguinose; Scorpio spalancò gli occhi.

“Traditori?” Domandò poi con un filo di voce.

“Sì.” Annuì l’amico. “Ma colpevoli solo di aver diffuso idee contrarie alla dottrina di Arles.” Spiegò poi, mentre le azzurre iridi di Milo stentavano a staccarsi dalle figure che si allontanavano. “E questa dovrebbe essere la sede suprema della giustizia? C’è qualcosa che non va.” Dichiarò ancora Camus.

“Ma non possiamo intervenire?” Fece l’altro, voltandosi verso di lui. “Noi siamo la schiera eletta dei guerrieri di Atena, dovremmo essere noi ad amministrare la legge, e…”

“La schiera eletta, oh, sì!” Sbottò Acquarius, dandogli le spalle. “Non tutti si pongono domande come facciamo noi, Milo.” Continuò poi, tornando a guardarlo. “Finché ci saranno persone come Death Mask, Aphrodite, Aldebaran o Shura, le cose non cambieranno, loro sono convinti di essere dalla parte giusta e non si fanno impietosire da un morto in più o in meno. Sono fedeli ad Arles, vuoi metterti contro di loro?”

“No! Non è questo!” Replicò l’altro stringendo i pugni. “Ma siamo tutti cavalieri d’oro, dovremmo collaborare per…”

“Non siamo niente, ma non capisci!” L’interruppe Camus. “Non c’è più nessuno che ci tenga uniti, non c’è Libra, non c’è Sagittarius, siamo soli, ognuno gioca per se al Grande Tempio, ora.” Affermò poi, prendendolo per le spalle. “È meglio che impari quanto prima a farlo anche tu, non dovrebbe riuscirti difficile.”

Scorpio non lo guardava, i suoi occhi erano rivolti in basso, sull’acquamarina che adornava la cintura dell’armatura di Acquarius; quando rialzò il capo trovò l’amico che lo fissava.

“Hai mai pensato, anche solo per un attimo, che quelle voci possano essere vere?” Gli chiese, aggrottando serio la fronte. “Se quella fanciulla fosse davvero chi dice di essere…”

“Taci!” Gl’intimò perentorio l’altro, pur a bassa voce. “Adesso parli come un traditore.”

“Tu li frequenti, i traditori.” Ribatté Milo; Camus sgranò gli occhi, si scostò di un passo e lo colpì con un violento manrovescio che gli fece cadere l’elmo e scendere un rivolo di sangue dalle labbra.

“Che questa conversazione rimanga tra noi, mangiati la lingua, va bene?” Gli consigliò poi, glaciale. “Adesso andiamo a toglierci questa ferraglia, t’invito a cena.” Aggiunse, con aria indifferente, e s’incamminò giù per le scale.

 

CONTINUA

 

NOTE:

-          A quanto pare si comincia a capire che i nostri due begli omini hanno una gran confusione nelle loro ipertricotiche testoline, e non è ancora niente.

-          Elettra. Temo che dovrete sopportarla, è un personaggio ricorrente nelle mie ff, e chi ha letto “Nuova vita al Grande Tempio” lo sa; qui però sarà solo citata, almeno credo…

-          Ah, spero che l’epiteto Grande Cazzone Supremo, rivolto ad Arles/Saga, non offenda nessuno; mi sembrava adatto da parte di Camus, e cmq a me il personaggio è sempre stato simpatico.

 

SFOGO MALUPINO:

1 – Milo in cucina in mutande… No, dai, Sara, resistiiii… la pelle abbronzata, i muscoli, i boxer aderenti… sbav! sbav! No, non ci devo pensare! Non ci devo pensare! Arfffff….

2 – Ok, il primo piano sulla camicia di Camus me lo potevo risparmiare, ma ce lo vedevo troppo vestito così! Mi sembra di vedere la stoffa leggera trasparire appena, s’intravede la pelle, e…

3 – Sì, lo ammetto, ho fatto pensieri cattivi anche immaginando le labbra di Camus soffiare nella bottiglia, confesso!

A volte mi chiedo se sono normale… Mia mamma dice: “Ahi, che passione, averlo di ciccia e baciarlo di cartone!”, ma siccome io non ho, in carne ed ossa, un uomo (e soprattutto uno così) al momento, mi accontento di sognare. Anche alla mia età gli sfoghi ci vogliono! Alla prossima!

CrazyCow

 

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Capitolo 3
*** 3 ***


Buonasera

Buonasera! Eccoci qua con un nuovo capitolo, sempre che interessi a qualcuno… Beh, alla fine della settimana parto per le vacanze, ma penso di mettere almeno il capitolo 4 (anche perché il resto è in lavorazione ^__^). Grazie a kiana, blustar, Lilychang e Eirien per i commenti. Un bacio a tutti!

Sara

 

~ 3 ~

 

La macchina percorreva senza fretta le strade della città immerse nelle ultime luci del crepuscolo; i lampioni e le insegne dei locali si accendevano uno dopo l’altro, silenziose, oltre i vetri oscurati del fuoristrada.

L’atmosfera all’interno dell’abitacolo era strana; Milo si stava domandando se Camus ce l’avesse con lui, era sempre difficile sapere cosa stesse pensando l’amico. Impenetrabile come un muro di ghiaccio. Lui, invece, non era adirato: lo aveva provocato e meritava una punizione; la ferita al labbro, però, bruciava ancora.

La sua mente ritornò per un attimo alla discussione del pomeriggio. I suoi dubbi restavano intatti; per cinque anni non si era chiesto cosa succedesse al Santuario, sapeva solo che, se lo avessero richiamato, sarebbe dovuto tornare. Lui era un cavaliere, il suo primo dovere era verso la Dea e, per quanto ne poteva sapere, Arles parlava per Lei. Adesso, però…

Le parole di Camus avevano smosso qualcosa dentro di lui, toccato un dubbio che forse covava dentro il suo animo da tempo; per anni la sua mente era stata rivolta altrove, occupata in altri pensieri. Foschi pensieri. Adesso era tempo di riprendere il suo posto, di essere il cavaliere che era nato per essere. O forse era solo un modo qualunque per risalire la china.

Qualunque fosse il motivo, l’unico modo per fugare le sue incertezze era restare ad Atene.

Scrutò il profilo serio di Camus, che fissava attento la strada, le sue lunghe mani eleganti sul volante; perché non gli rivolgeva la parola? Sì, certo, era tipo capace di tenere rancore per una vita, ma…

“Hai voglia di mangiare pesce, oppure…” L’improvvisa domanda rispose alle sue elucubrazioni; il tono era normale, controllato.

“No, pesce no, ti prego!” Rispose Milo, alzando le mani. “Non ho mangiato altro per cinque anni!” Aggiunse inorridito.

“Una bistecca italiana?” Chiese allora Camus, girandosi con un sorriso; Scorpio acconsentì e proseguirono, dopo essersi sorrisi con complicità.

Milo tornò a guardare fuori dal finestrino. L’elegante carrozzeria blu oltremare dell’auto sfilava sotto i primi lampioni della sera, lucida e silenziosa; il ragazzo sfiorò con una mano la superficie del prestigioso sedile in pelle nera e carezzò con gli occhi l’ipertecnologico ma funzionale cruscotto, poi si girò verso l’amico con uno dei suoi sorrisetti ironici.

"Certo che hai messo su proprio una macchina da figo." Affermò infine.

Camus si girò appena, spalancando gli occhi sorpreso. "Che, non sono un figo, io?" Gli fece.

"Come no." Replicò lui, sprofondando in quel sedile comodo come una poltrona. "Ma questa è un auto da figo che se la tira." Aggiunse con disincanto.

L’occhiata di Acquarius fu gelida. "Senti…" Rispose quindi, con un gesto della mano. "…non fare tanto l’alternativo con me, li conosco i tuoi gusti in fatto di macchine, e poi, scusa, già là dentro…" Ed indicò un punto alle sue spalle con il pollice. "…sono costretto ad abbassare la testa davanti ad insignificanti vermi, che almeno fuori la gente capisca subito che sono superiore!"

Milo lo guardava divertito. "A me va benissimo." Ribatté quindi, alzando le mani. "Basta che al prossimo semaforo non sali sopra ad un’utilitaria…"

La presa in giro era talmente palese che anche a Camus venne da ridere; cercò di trattenersi, ma non gli riuscì. "Non cambierai mai, Milo, è bello riaverti qui!" Esclamò quindi, dandogli una pacca sul ginocchio.

 

La cena fu all’insegna del vino rosso e dei vecchi aneddoti. Scorpio scoprì così che fine aveva fatto una sua acerrima nemica. Pelle candida, profumo di caprifoglio e… artigli spietati: Shaina cavaliere d’argento dell’Ofiuco. Pare che la sacerdotessa guerriero favorita del Gran Sacerdote, dopo innumerevoli, quanto inspiegabilmente insistenti, attacchi ai Cavalieri di Bronzo, e successivamente all’ennesimo fallimento, fosse scomparsa nel nulla; forse passata al nemico, o forse, più probabile, ribelle agli ordini del Santuario, partita da sola per un nuovo attacco. Fatto sta che era attualmente irreperibile. Quello che Milo ricordava meglio di lei, era il suo affetto per la piccola Celeste, un’energica sacerdotessa guerriero che era stata il primo amore del saint dell’ottava casa, trasformato poi in rabbia violenta dopo l’improvvisa sparizione di questa, a seguito della loro rottura; certo, ricordava anche il suo maldestro tentativo di ucciderlo, senza sapere chi si trovava di fronte. E la ricordava a terra, umiliata e dolente, con una puntura della Cuspide nella spalla, senza nemmeno essersi accorta di come era successo.

I casi della vita, le persone s’incontrano, a volte si piacciono, a volte no. Non siamo sempre e comunque compatibili con gli altri. Era particolarmente vero detto da lui, che negli ultimi cinque anni si era sentito incompatibile col mondo intero.

Alzò gli occhi su Camus, che stava finendo la sua bistecca. Acquarius era una delle poche persone al Santuario che lui avesse veramente ammirato. Perché lui era coerente con se stesso, non scendeva a patti, o era bianco o era nero; per il cavaliere dell’undicesima casa non esistevano le grigie vie di mezzo in cui Milo aveva trascorso l’esistenza. Quel giorno, però, aveva notato in lui una fragilità che non conosceva. Una strana impazienza. E la rabbia. Era come se Camus, nel momento in cui lo aveva colpito, avesse per un attimo abbassato la maschera glaciale che indossava sempre, per mostrare l’uomo dietro al cavaliere. L’attimo era durato troppo poco, e, adesso, Milo non poteva fare a meno di chiedersi quanto profondo fosse il suo turbamento.

La serata proseguì in un locale, e lì, Scorpio cominciò a preoccuparsi. Camus continuava a ridere e scherzare, ma anche a bere… e lanciare occhiate seducenti a tutte le ragazze carine che entravano, nonché ad attaccare bottone con alcune di loro, anche in maniera piuttosto esplicita.

Beh, certo, anche Milo s’era fatto notare, ma non certo per volontà; il fatto era che da quelle parti non se ne vedevano molti come loro. Dalle occhiate che gli lanciavano, il cavaliere si sentiva come un succulento pollo arrosto davanti ad un massa di affamati. Ma lui non era pronto.

Cinque anni. Quattro o cinque volte. Solo fisico. Poco appagante. Semplicemente squallido. E poi tornava quel vuoto. Un vuoto che ti risucchiava l’anima come il cuore di una stella morta. Morta. Come lei. Le ferite sanguinavano ancora. Nessuno come lei.

Chissà se un giorno avrebbe trovato qualcuno capace di curarle, le sue ferite, qualcuno di benefico, di forte e dolce… qualcuno di speciale. Ci sperava, ci sperava davvero.

Milo si alzò quasi all’improvviso, rifiutando gentilmente la compagnia dell’ennesima ragazza in minigonna attratta dai suoi occhi azzurri come il cielo nel deserto, e si diresse verso il bagno, aveva bevuto decisamente troppo. Quando tornò in sala, Camus era sparito.

Provò a concentrarsi per percepire il suo cosmo. Il segnale gli arrivò distorto e offuscato. Acquarius era ubriaco, ma non c’erano dubbi, si trovava fuori. Il parcheggio non era grande e poco illuminato; i sensi da cavaliere di Milo gli fecero percepire subito due voci ansimanti, nel buio alla sua destra. Nell’angolo tra un muro ed una ringhiera c’erano Camus ed una ragazza dai capelli troppo neri che si davano da fare. Scorpio spalancò gli occhi incredulo e si diresse verso di loro a grandi passi.

"Per tutti i fulmini di Zeus, ma che cazzo stai facendo?!" Gli gridò con rabbia.

"Ma che vuole questo?" Fece la ragazza con aria distratta, masticando una gomma.

"Vuoi unirti a noi, mon amis?" Domandò provocatorio Camus, rispolverando il suo francese.

Milo, a questa battuta, perse il controllo, face un ultimo passo, afferrandolo ad un braccio con una stretta d’acciaio e strappandolo dalla ragazza con un ringhio; la tipa cercò di ricomporsi, per quanto possibile.

"Che cazzo!" Imprecò Acquarius, barcollando per qualche passo. "Ma vaffanculo!" Aggiunse, scostandosi bruscamente e allontanandosi.

Alla ragazza non restò che riprendere la borsetta e andarsene. "Beh, finita la festa, i fidanzatini hanno litigato!" Commentò rassegnata.

Camus, nel frattempo, camminava verso la propria macchina, seguito da uno Scorpio nerissimo, che fissava la sua schiena come fosse un bersaglio.

"Si può sapere che cosa pensavi di fare?" Gli domandò torvo, quando Acquarius si fermò con le mani appoggiate al tetto dell’auto e la testa piegata in avanti.

"Pensavo di scoparmela, guarda un po’." Rispose lui arrogante.

"Io non credo a quello che sento." Commentò l’altro. "Ma non hai un briciolo di rispetto per lei…"

"E’ soltanto sesso, Milo!" Sbottò Camus, girandosi a braccia allargate.

Lo fissò per un attimo negl’occhi, preso da un sospetto. "Non è la prima volta che la tradisci…" La rivelazione era stata improvvisa e chiarissima; si guardarono in silenzio.

 

L’immagine di una donna apparve nella mente di Scorpio. Una donna bella e altera come una regina scolpita nel ghiaccio. Giovane e antica. Con negl’occhi la luce della potenza concessale dal Padre. Distaccata, eppure capace di compassione. La donna che Camus proclamava di amare da una vita.

Camus fu il primo ad abbassare gli occhi. Non avrebbe potuto resistere un attimo di più a quello sguardo inquisitorio e tagliente come un cristallo. Lui era il custode delle energie fredde, perché gli Dei non gli avevano donato un paio d’occhi come quelli, capaci di gelare con un solo sguardo? Invece era il proprietario di due grandi e vellutati occhioni blu, da principe azzurro del cazzo. I soliti Dei ingiusti, cui piace troppo giocare con la sorte degl’uomini.

Il cavaliere sapeva perché stava indugiando in quei pensieri inutili, non era così ubriaco come sembrava, soltanto era difficile riuscire a rispondere. E poi, come diavolo si fa a voltarsi verso quello sguardo appuntato su di te, accusatorio, pungente come l’ago della Cuspide del suo proprietario?

“Camus…” Lo appellò l’amico; il suo tono era deluso, stanco, ma esigente di una risposta. Ti sta crollando un mito, eh Milo?

“Che cosa ti devo dire?” Fece lui alla fine, stringendosi nelle spalle. “L’ho fatto solo per esasperazione.” Aggiunse voltandosi.

Si accorse subito che Scorpio non aveva smesso un attimo di fissarlo, e sempre con la stessa espressione inquisitoria. Distogli quegl’occhi, per amore di Atena, non li sopporto, non li sopporto più! Ma l’amico non sembrava intenzionato a mollare.

“Credevo che l’amassi.” Affermò Milo. Vabbene, se vuoi distruggermi, allora continua così…

Camus si allontanò di qualche passo, fermandosi sotto un lampione, appoggiò una mano al palo e rise amaramente. Se l’amava? Se l’amava?! Oh, sì, certo…

“La verità… la verità è che quella donna io la odio.” Affermò poi, con rabbia; Milo spalancò gli occhi incredulo. “Oh, e anche lei odia me.” Continuò, con un sorriso amaro; sentiva che, ormai, anche aiutato dall’alcool, aveva rotto l’argine. “Ci odiamo perché siamo uguali, siamo uno lo specchio dei difetti dell’altro, e ci amiamo… ci amiamo per lo stesso motivo, perché riflettiamo anche i pregi, ma è un equilibrio precario… mi fa paura l’idea che un giorno l’odio possa prendere il sopravvento, e allora… e allora…” Strinse i pugni.

“Camus, sei ubriaco.” Intervenne preoccupato Milo, avvicinandosi.

“Lasciami in pace!” Reagì lui, intimandolo con la mano di stare lontano. “Ma guardami, il grande cavaliere di Acquarius…” Affermò poi, in un attacco improvviso di autolesionismo. “…sono solo un uomo in trappola, ho giocato il suo gioco per troppo tempo, e quel gioco l’ha resa… forte, molto più forte di me, potrebbe resistere a qualsiasi cosa, superare di tutto, mentre io… se mi lasciasse sarei finito, perché… perché Elettra è l’unica divinità in cui ho mai veramente creduto…” I suoi occhi si erano fatti lucidi.

Milo osservava la scena incredulo. Camus gli aveva parlato molte volte del suo amore per la Sacerdotessa di Zeus, ma dietro alle sue parole non aveva mai sospettato un coinvolgimento ed una complessità del genere. Ricordava una frase che l’amico gli aveva detto una volta: «Se Elettra mi chiedesse la luna, sfiderei le frecce di Artemide, pur di portargliela». Solo ora capiva che non si trattava della solita frase retorica da amanti, ma della pura e semplice verità.

“Ti faccio pena, eh?” Gli domandò senza ironia. Non, non gli faceva pena, Milo sapeva bene quanto si poteva soffrire per amore. “Se penso a tutto quello che ho fatto per lei…” Riprese Camus, guardando il vuoto mentre scuoteva il capo. “…per quella stupida, arrogante, ragazzina bionda… vent’anni, ho aspettato vent’anni per un suo bacio! Vent’anni! Sono proprio un idiota!”

“Smettila di farti del male.” Gli ordinò deciso Milo; l’amico alzò gli occhi su di lui. “Adesso hai bisogno di un caffè ed una dormita, domani ti sveglierai con un bel mal di testa e sarà passato tutto…”

“Tu non capisci.” L’interruppe Camus; si era raddrizzato e la sua espressione era quasi normale. “Le ho chiesto di sposarmi, ha detto di no.” Ora si spiegavano molte cose. “Sta per lasciarmi Milo, io lo sento, e non può succedere ora, perché lui sta arrivando.”

“Lui?!” Esclamò perplesso Scorpio, aggrottando la fronte. E questo ora chi è…

Camus gli diede le spalle. “Sì, l’allievo del Maestro dei Ghiacci.” Rispose calmo, sembrava improvvisamente ridiventato il solito, glaciale Acquarius. “Colui che l’ha sconfitto, che ha osato sfidare il suo maestro.”

“Hyoga del Cigno… si chiama così, non è vero?” Chiese Milo.

“Sì.” Annuì Camus. “E quando ci affronteremo gl’insegnerò ben io qual è il suo posto, che non si può essere tanto arroganti da sfidare il proprio maestro, che per scontrarsi con un cavaliere d’oro bisogna essere molto più che uomini…” Il tono della sua voce si era alzato, diventando pericoloso. “…che nessuno potrà mai paragonarsi a me, il Signore delle Energie Fredde!”

“Vaneggi…” Commentò allarmato Milo. “Che intenzioni hai?” Domandò quindi.

L’amico fece un sorrisetto strano e inquietante. “Solo di dargli la sua ultima lezione.”

“Mi chiedo se ti rendi veramente conto di quello che sta succedendo.” Affermò serio Scorpio; Camus lo guardò perplesso. “Se loro verranno qui, e lo faranno, cambierà tutto, per sempre.” Aggiunse con fermezza.

“Sono solo cavalieri di bronzo.” Ribatté sprezzante l’altro; Scorpio fissò di nuovo i suoi occhi trasparenti in quelli dell’amico.

“Ma hanno fede in chi li guida, mentre noi… l’abbiamo persa, ormai.” Dichiarò, e la verità di quelle parole li colpì entrambi.

Rimasero immobili per un lungo momento, sembrava che si muovessero solo i moscerini intorno al lampione; la luce gialla e stanca gli lambiva la punta delle scarpe. Scorpio guardava Acquarius che teneva la testa china, fissando il marciapiede.

“Vieni.” Suggerì ad un certo punto Milo. “Guido io per tornare a casa.”

 

CONTINUA

 

NOTE:

-          ehhh, ci sono andata giù dura col povero Camus, e devo dire che il suo rapporto con Elettra sta uscendo assai più complesso di come l’avevo concepito all’inizio (ma si parla di anni fa);

-          magari non vi piacerà l’idea che un virtuoso cavaliere tradisca la sua donna, ma a me piace immaginarli con dei veri difetti, e poi penso che ci stia bene in un rapporto così conflittuale.

 

Per lo Sfogo Malupino stasera non saprei che dire, questo capitolo non è adatto, anche se i nostri eroi sono sempre in splendida forma! ^__-

See you

CrazyCow

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Capitolo 4
*** 4 ***


Nuova pagina 1

~ 4 ~

 

Non fu una bella notte per Scorpio. Troppi fantasmi nell’ottava casa. Troppe voci dal passato.

Dopo aver accompagnato Camus nella casa di Acquarius, tornò nella sua, ma l’idea di arrabattarsi in quel vecchio letto alla stentata luce di una candela non lo ispirava. Si cambiò, infilandosi un paio di logori pantaloni di cotone ed una maglietta senza maniche, quindi uscì, intenzionato a non tornare.

Sapeva dove stava andando, e la luna era sufficiente illuminazione per percorrere una strada che conosceva a menadito. Nella piccola valle c’era una specie di villaggio, poche case dove vivevano soldati, servitori, civili con le loro famiglie. Un po’ discostata dalle altre c’era la casa che Milo cercava.

Era una costruzione squadrata, le mura di semplice pietra, il tetto color mattone. Il ragazzo si avvicinò. Sopra la porta c’era sempre, anche se ancora più scrostato, l’affresco di Atena Sapiente, con un fascio di ulivo in una mano ed una pergamena nell’altra. Milo sorrise, poi, però, si guardò intorno. La casa sembrava abbandonata. Con sgomento si accorse, infatti, che la porta era leggermente aperta. La scostò piano ed entrò.

Lo accolsero pareti spoglie e polvere sul pavimento. Non più il vecchio divano verde, o la stampa delle ballerine di Degas appesa sulla parete in fondo, né i pesanti mobili di castagno pieni di libri, il tappeto di canapa intrecciata. Tutto sparito nell’oblio degl’anni passati. A parte una cornice rotta, ai piedi delle scale.

Non poté resistere ed entrò in cucina. Il luogo sacro dove la cara Danae preparava le sue deliziose frittelle all’uva. Lì erano rimasti tutti i mobili, ma era sparito il frigorifero ed una coltre di fine polvere copriva ogni cosa. Il focolare spento. Solo una nera finestra. Milo fu preso da una botta violenta di nostalgia, mentre osservava una persiana sbattere piano, al vento della notte.

Quella casa. Quelle persone. Gli anni più belli. Quando credeva che mai avrebbe avuto una famiglia erano arrivati Nikolais e Danae,  la sua governante. Lo avevano preso con se, cresciuto, vestito, viziato, istruito, come fosse un figlio. Ora c’era solo polvere e malinconia.

Che cosa poteva essere successo? Non poteva credere che Nikolais avesse infastidito qualcuno, era l’uomo più mite che avesse conosciuto… poi pensò alle sue parole, alle sue idee… un sospetto tremendo gli attanagliò la mente e corse al piano superiore.

Milo controllò ogni stanza. Erano rimasti anche lì tutti i mobili, ma i cassetti e le ante degli armadi erano spalancati, come se qualcuno se ne fosse andato in tutta fretta. Polvere, anche qui. E vetri rotti.

Il cavaliere, sopraffatto dalle emozioni, si lasciò cadere seduto sul letto; si guardava intorno, incapace di ritrovare in quell’abbandono il calore di un tempo. I suoi occhi velati, infine, si fermarono sul largo comodino di noce. C’era una foto rovesciata. La prese; il vetro era rotto, ma l’immagine quasi intatta.

Nikolais era più giovane di quando l’aveva conosciuto lui, ma il sorriso era lo stesso. Teneva in braccio due bambini. Lei, boccoli biondi e occhi assurdamente azzurri, gli abbracciava il collo con espressione di assoluta felicità. Lui, capelli scuri e occhi blu, gli stava sottobraccio come un pacco, ma aveva lo stesso sorriso della bimba. Camus e Elettra. Sì, quella Elettra. Era la figlia di Nikolais, il quale aveva cresciuto Camus proprio come aveva fatto con lui. Milo non l’aveva conosciuta quando viveva lì, perché lei era già al confino e non poteva certo visitare il padre. Preferiva non ricordare come l’aveva incontrata.

Decise di tenersi la foto, la pulì dalla polvere e dai vetri, poi se la mise in tasca; chissà, magari a qualcuno di loro avrebbe fatto piacere riaverla. Sperò che quel qualcuno fosse un Nikolais vivo e vegeto. Lo voleva riabbracciare.

Si sdraiò, accomodandosi alla meglio. Il letto era scomodo e sporco, ma andava bene, pur di dormire lontano dal Tempio. Milo si addormentò quasi subito.

 

Il mattino dopo, Milo si svegliò relativamente tardi; dopo essersi scosso dalla polvere che c’era sul letto, corse all’ottava casa per una doccia veloce. Doveva assolutamente andare in un posto, prima d’incontrarsi col Grande Sacerdote.

Arrivando al tempio principale dal lato ovest, a circa metà della lunga scala, si trovava una deviazione. Tra due ali di pietra, come un piccolo canyon scavato nella roccia, partiva una scala bianca più stretta; salendola per qualche minuto ci si ritrovava in uno spiazzo su cui sorgeva un’imponente edificio. Più piccola del Tempio, ma altrettanto severa, la Biblioteca del Santuario accoglieva il sapere di millenni di storia. Scorpio si fermò davanti all’entrata.

Alla statua di Atena che custodiva l’ingresso mancava un braccio, adesso. Quello che reggeva il libro. Mentre l’altro, quello che teneva la lancia, era ancora al suo posto. Milo lo ritenne un cattivo presagio, come se una parte della Dea fosse stata snaturata. Si avvicinò al portone.

La grande porta di ulivo era serrata da una trave posata su sostegni di bronzo. La porta della biblioteca non era mai chiusa quando c’era Nikolais. Milo la tolse con facilità ed entrò.

Lo spettacolo che gli si presentò davanti era perfino peggiore di quello della casa. Intenso puzzo di muffa, ragnatele, luce opaca che filtrava tra le assi che coprivano le finestre. E i libri. Sparsi in giro, come passati tra le braccia di un uragano. Tutto in disordine. Tutto abbandonato.

Il cavaliere sentì lacrime di rabbia pungergli gli occhi; serrò i pugni, osservando quella desolazione.

“Sapevo di trovarti qui.” Affermò una voce, era Camus, Milo non aveva bisogno di voltarsi per saperlo, e comunque non avrebbe potuto togliere gli occhi dallo scempio.

“Che cosa è successo?” Domandò cupo.

“La biblioteca è stata abbandonata quattro anni fa.” Rispose Acquarius. “Un notte Nikolais è scomparso, e nessuno ha preso il suo posto di custode.”

“Scomparso?” Fece Milo, intenzionato a saperne di più, ma senza togliere gli occhi dal triste spettacolo davanti a se.

“Giravano voci.” Spiegò reticente Camus. “Sembrava che la Biblioteca fosse diventata un ricettacolo di sovversivi, che Nikolais avesse troppo potere, che il padre della Traditrice fosse anch’egli un traditore.” Come Milo immaginava. “Lo avevano minacciato, più volte.”

No, non voleva sapere nient’altro! Non poteva essere successo, non a lui! Non come quei ragazzi sulla barella… non un corpo scaricato chissà dove…

“E lei…” Mormorò Scorpio con voce tremante. “…che ne pensa lei?” Chiese.

“Adesso, ad Elettra, basta che suo padre sia vivo.” Rispose Camus.

Milo si voltò di scatto verso di lui, gli occhi lucidi spalancati. “E’ vivo?!” Esclamò.

“Sì.” Annuì soltanto l’altro, a bassa voce. “Non gridare.” Aggiunse.

“Tu sai dov’è?” Domandò allora Milo, abbassando il tono.

“No.” Dichiarò sicuro Acquarius.

“Ma lo ha aiutato lei a fuggire?” Continuò Scorpio, facendosi insistente.

Quelle domande cominciavano ad infastidire Camus, che si scostò da lui, dandogli le spalle. “Non lo so.” Ammise. “Io e Elettra abbiamo un patto, io non voglio sapere quello che combina, e lei non me lo dice, meglio non esserne a conoscenza, credimi.”

“Capisco.” Accettò Milo, abbassando gli occhi; poi, però, tornò a guardare lo scempio della Biblioteca. “Come puoi accettare questo, ad ogni modo.” Affermò quindi, indicando i libri a terra, i banchi rovesciati, gli scaffali vuoti. “Anche tu sei cresciuto qui.”

“Accetto solo il naturale svolgimento delle cose.” Rispose Camus con distacco. “Non è più il momento dei libri, al Santuario, ora è solo quello della spada.”

“Ma come puoi dirlo?” Replicò Milo. “Atena è Dea di sapienza, prima di essere una guerriera, è nata dalla mente del Padre Zeus…”

“Sì, e ne è uscita con l’armatura!” Replicò l’amico interrompendolo. “Scorpio, ragiona! Questo è solo il passato…” Affermò indicando i resti della Biblioteca. “…non possiamo restarci attaccati, è una debolezza che non possiamo permetterci in questo momento.”

Milo lo fissò per un attimo negl’occhi, poi scosse mestamente il capo. “Oh, è inutile che ne parli con te, tu non tieni a niente, non puoi capire…” Un lampo d’indignazione passò negl’occhi di Camus, ma lui non se ne avvide. “Se ti comporti così anche con lei, non mi meraviglio che ti voglia lasciare.”

Gli occhi di Camus, stavolta, saettarono pericolosi. “Stai cercando di farmi del male?” Gli chiese torvo.

“No.” Rispose Milo, alzando di nuovo lo sguardo su di lui. “Sto solo cercando di farti capire quanto fa male.”

Si fissarono per qualche secondo, poi Camus abbassò il capo con un sorriso cinico. “Come vuoi.” Disse con disincanto, e senza ammettere di aver perso il confronto. “Crogiolati pure nelle tue malinconie, ma ricordati che ti stanno aspettando, non far tardi.” Aggiunse, poi se ne andò. E Milo non vide con che rabbia aveva stretto i denti prima di uscire.

Il cavaliere di Scorpio rimase ancora qualche minuto nella Biblioteca. Un posto che era stato molto importante per lui. Dove gli era stato insegnato che per essere un cavaliere, prima devi imparare ad essere un uomo. Con le tue debolezze. I tuoi istinti. I tuoi dolori. Le tue lacune. I tuoi dubbi.

Questi Cavalieri di Bronzo dicevano di essere guidati da Atena in persona. Gli era molto difficile crederlo veramente. Perché la Dea, invece di prendere la testa dei suoi Supremi Difensori allo sbando, si sarebbe circondata di un gruppo di arroganti ragazzini? Non riusciva a capirlo. Ma, allo stesso tempo, non si fidava di Arles. Troppo misterioso il suo passato. Troppo crudeli i suoi ordini. E poi… lo aveva sentito subito, arrivando. Era come se il male aleggiasse sul Santuario. Il Sacro Tempio stava morendo. E loro con lui.

Uscì al sole, la sua armatura risplendeva accecante, il mantello di seta candida si muoveva alla leggera brezza. Lanciò un’occhiata alla Meridiana dello Zodiaco. Mancava poco. Presto avrebbe incontrato il Grande Sacerdote. Sperava che qualcosa, almeno, si sarebbe chiarito.

Si aggiustò l’elmo, incamminandosi verso il Tempio attraverso il Giardino degli Oleandri, che lo divideva dalla Biblioteca. Lontano, in basso, si intravedeva il mare.

 

CONTINUA

 

 

NOTE:

-          ebbene sì, sia Camus che Milo (orfani come tutti gli sfigati cavalieri) hanno vissuto un importante periodo della loro vita in casa del padre di Elettra, è così che è nata la tormentata relazione tra Acquarius e la donna, ma non è per questo che Scorpio l’ha conosciuta (poi vi spiegherò ^__-);

-          la faccenda della foto mi piaceva e ce l’avevo davanti agli occhi mentre la descrivevo, spero di aver reso bene l’idea, ma soprattutto di aver fatto capire quanto Milo sia legato a Nikolais.

 

PICCOLO SFOGO MALUPINO:

-          mi fa tanta tenerezza il povero Milo, così attaccato ai suoi cari ricordi, come ogni buon segno d’acqua; se ha bisogno di qualcuno che lo consoli eccomi qua! Scommetto che, se la pensate come me, tra poco quella casa abbandonata diventerà sede di un rumoroso festino… ihihihih!

 

Domani parto per il mare, mi raccomando, fatemi sapere cosa ne pensate, aspetto i commenti! See you next time! Baciotti

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Capitolo 5
*** 5 ***


Eccoci qua

Eccoci qua, di ritorno dalle (brevi) vacanze, che però sono servite a terminare questo capitolo. Qui, confesserò, tanto si capisce subito, mi sono moooolto ispirata all'episodio "I cavalieri d'oro" della serie; la situazione, il dialogo e, spesso, proprio le battute sono riprese dalla puntata, ho solo cambiato un po' l'atteggiamento di Milo, rendendolo più sospettoso e prudente. Beh, aspetto i vostri commenti.

Baci

Sara

 

~ 5 ~

 

Era appena scoccato mezzogiorno ed i fuochi si erano tutti riaccesi, sul magico orologio che, da secoli, segnava lo scorrere del tempo nel Santuario. Milo sapeva che con questi tipi era meglio essere molto puntuali negli appuntamenti, anche se poi loro non lo erano altrettanto nel riceverti; infatti, si ritrovò a dover aspettare.

Ora camminava avanti e indietro, nell’anticamera di Arles, da un buon quarto d’ora, scandendo bene i passi dei suoi tacchi d’oro contro il porfido del pavimento. Le guardie davanti alla porta sembravano del tutto estranee a qualsiasi cosa; Scorpio si domandò se per caso non le drogassero. Magari gli calavano qualche pastiglietta nel rancio…

In quel momento la porta del Gran Sacerdote fu socchiusa e ne uscì il primo ministro, tale Bethon, col viso magro e antipatico ed i capelli rossi; l’atteggiamento di superiorità era il solito del giorno prima. Il cavaliere era sicuro che il leccapiedi fosse il classico leone coi conigli e coniglio coi leoni e che si cagasse in mano ogni volta che stava davanti ad Arles. Indossava una specie di armatura, ma chiunque fosse un cavaliere consacrato sapeva che si trattava solo di apparenza, poiché quella corazza non aveva poteri, era soltanto semplice bronzo lavorato.

Milo lo fissò dalla sua superiore altezza. E non era solo un dato fisico. Lui era un Cavaliere d’Oro. Sebbene pensasse che Bethon era sicuramente un vigliacco, si poteva intuire dai suoi occhi, Scorpio non lo credeva uno stupido, data la posizione conquistata, quindi sapeva che l’uomo lo temeva, che conosceva il suo potere, o almeno una parte di esso.

“Il Divino Arles è pronto a riceverti, Cavaliere.” Gli annunciò Bethon, con un’aria d’insopportabile sufficienza.

Scorpio ora capiva perfettamente l’insofferenza di Camus. Avrei voglia di cancellarti dalla faccia quell’espressione sostenuta a forza di schiaffi, perché usare la Cuspide sarebbe un onore troppo grande per un verme come te…

“Bene.” Si limitò però a rispondere il cavaliere; l’uomo gli aprì la porta e lo lasciò entrare da solo.

La Sala delle Udienze era ampia e rettangolare, un tappeto rosso ne percorreva tutta la lunghezza e, ai lati, svettavano candide colonne; sul fondo, in cima a tre scalini di marmo bianco, vi era il trono d’oro del Gran Sacerdote. Tutti sapevano che, tramite le tende poste dietro il seggio, si accedeva alla scala che conduceva all’altare di Atena, il luogo più sacro del Tempio.

Milo percorse la navata a testa alta. Il Grande Sacerdote era in piedi vicino allo scranno. La sua figura era imponente. Un lungo mantello bianco bordato di rosso lo copriva fino ai piedi e indossava un coprispalle dotato di minacciosi aculei d’argento ed un elmo rosso rubino, con sopra una drago ad ali spiegate. Scorpio si chiese cosa rappresentasse e se fosse, diciamo così, d’ordinanza. Ciò che lo colpì di più, però, fu il suo volto: coperto da una maschera blu notte con occhi rossi, che lo rendeva remoto e inquietante. Milo si ripromise di essere prudente.

“Benvenuto Cavaliere.” Lo accolse il sacerdote, con una voce talmente profonda da sembrare proveniente da qualche girone dell’averno.

“Milo, Cavaliere di Scorpio, ai vostri ordini, Eccellenza.” Si presentò il ragazzo, inginocchiandosi.

L’uomo sedette sul trono; le pietre dure della collana di potere tintinnarono contro la sua corazza. Scorpio alzò gli occhi.

“Sono qui per conoscere i motivi della mia così urgente convocazione, Sommo Arles.” Aggiunse il cavaliere, fissando il volto inespressivo dell’interlocutore.

Il Grande Sacerdote sospirò profondamente, come affannato dalla preoccupazione. “Come saprai la situazione è grave.” Esordì. “I Cavalieri di Bronzo hanno scatenato un’assurda guerra contro di noi.” Il cavaliere non era sicuro di chi l’avesse esattamente cominciata, ma certo la guerra c’era.

“Quei maledetti hanno infangato tutti i cavalieri di Atena con le loro imprese…” Rispose Scorpio; aveva deciso di essere accondiscendente. “…ma credevo ve ne foste liberato da tempo…” Mentì poi, visto che ben conosceva tutti i fallimenti cui erano andati incontro i suoi scagnozzi.

Vide la mano di Arles serrarsi sui braccioli del trono. “Sono costretto ad ammettere che li abbiamo sottovalutati.” Affermò, ed era chiaro che si conteneva. “All’inizio credevamo di poterne avere ragione grazie a Phoenix, ma ci ha traditi, forse convinto da quei miserabili che si proclamano salvatori del mondo guidati da Atena in persona…” La rabbia era palpabile nelle sue parole. “Tali affermazioni compromettono il prestigio del Santuario, ora capisci perché ti ho convocato? Bisogna porre fine a tutto questo.”

Milo lo scrutò, cercando la risposta più adatta; infine decise di continuare ad assecondarlo. “Sono dei pazzi, la loro punizione dovrà essere indimenticabile.”

“Non sarà facile batterli.” Quella dichiarazione di Arles lo stupì. “I Cavalieri d’Argento hanno tentato a più riprese di sconfiggerli, senza riuscirci.”

“Non ci sono riusciti?!” Esclamò incredulo Scorpio; anche se l’idea di quella tronfia damina incipriata di Eris e dei suoi compagnucci boriosi, presi a calci nel sedere da cavalieri di casta inferiore, lo faceva quasi ridere. E, allo stesso tempo, lo inquietava. “È assurdo!” Sbottò, quasi senza volere. “Cosa avranno inventato per riuscire a tanto, è incredibile!” 

“Sono sopravvissuti anche agli attacchi di Shaina, che pur di affrontarli si è ribellata alla mia autorità.” Dichiarò Arles.

Dunque era andata come pensava Milo, quella ragazza testarda aveva contravvenuto agli ordini pur di combatterli, e questo sì che era incredibile; ad ogni modo, la sua convocazione era ancora un mistero. Doveva sapere.

“Comprendo la vostra collera, Eccellenza, ma continuo a non capire il motivo per cui mi avete chiamato.” Si decise ad intervenire Scorpio. “Sono pur sempre un Gold Saint e non posso battermi con cavalieri qualsiasi, ne andrebbe del mio onore.” Aggiunse orgoglioso; quello era un punto su cui non transigeva, se doveva combattere voleva un suo pari.

“Intendi disubbidirmi?” Tuonò minaccioso il Gran Sacerdote.

“Non è mia volontà, Sommo Arles.” Rispose subito il cavaliere. “Ma preferirei di gran lunga non affrontare guerrieri così inferiori, anch’io ho una reputazione da difendere, sono un Cavaliere d’Oro.” E c’era da aggiungere che gli ripugnava uccidere uno che non poteva difendersi.

Arles sospirò, sconfortato. “Lo so.” Disse poi. “Ma se non ci liberiamo ora dei Cavalieri di Bronzo potremmo pentircene… perché aspettare oltre, Scorpio?”

“Mio signore!” Sbottò indignato Milo, che non lo credeva così timoroso. “Temete così tanto quei miserabili? Perché tanta paura?”

“Ora avrai una spiegazione.” Rispose Arles con tono brusco. “Abbiamo il fondato sospetto che la Sacra Armatura di Sagittarius, scomparsa tredici anni fa, sia finita in mano loro.” Spiegò glaciale.

Milo rimase allibito; lui era un bambino quando tutto era successo, ma, come aspirante cavaliere d’oro, era a conoscenza dei fatti. Nessuno, però, a quanto si credeva, aveva avuto più notizie certe delle vestigia e del loro custode. “L’armatura del Sagittario…” Mormorò quindi.

“È in loro possesso…” Ribadì il sacerdote. “Tutto è cominciato tredici anni fa, quando Aioros cavaliere di Sagittarius, fu allontanato dal Santuario per aver osato sfidare l’autorità del Grande Sacerdote, carica a quel tempo ricoperta dal mio amatissimo fratello.” Sì, tanto amato che da più parti si pensava lo avesse tolto di mezzo lui stesso. “Venni a sapere più tardi che le Sacre Vestigia finirono nelle mani di Mitsumasa Kido, che si occupò anche della piccola Saori.” Il racconto lo interessava. “In seguito riuscii a recuperare l’Armatura quasi per intero, solo l’elmo mi sfuggì.” Arles si alzò dallo scranno, dirigendosi verso una pesante tenda alla sua sinistra, Milo non poteva fare a meno di seguirlo con lo sguardo. “Credo di averti detto tutto, ora guarda.”

La tenda fu scostata con un rapido gesto. Dietro di essa vi era una specie di nicchia, nella quale erano posati degli scrigni d’oro. Scrigni da armatura. Armature Sacre. Erano sette: Toro, Gemelli, Acquario, Capricorno, Vergine, Cancro e Gemelli. Milo non fu stupito di vedere lo scrigno di Camus, mentre alcuni degli altri furono delle sorprese. Virgo e Gemini erano dei veri e propri fantasmi al Santuario, alcuni credevano non ne esistesse neanche un custode. Ma non era così.

“Sette scrigni per sette Sacre Armature…” Mormorò il cavaliere; questo incontro si stava rivelando più inquietante del previsto.

“Esatto!” Proclamò soddisfatto il sacerdote. “In questa epoca di confusione nemmeno i Cavalieri d’Oro sanno esattamente quante armature abbiano un custode, né in quale parte del mondo essi si trovino.” Continuò a spiegare. “Ci sono anche due traditori tra i Gold Saints, che aiutarono Micene tredici anni fa, e che ora si aggirano per il pianeta nascondendosi al mio severo sguardo che tutto sovrasta.”

Scorpio aveva sentito dire anche questo, ma non aveva idea di chi potessero essere. “Quali sarebbero?” Domandò infatti.

“Libra e Aries.” Rispose immediato Arles, Milo ascoltava attento. “Il cavaliere della Bilancia, stando alle ultime notizie ricevute, dovrebbe trovarsi in Cina, è molto anziano, però è uno dei cavalieri più temibili e pericolosi.” Il ragazzo era interdetto, aveva sentito parlare di Libra, come di un grande saggio, come di un totale pazzo, a chi dare ragione? “Ariete, invece, sembra che si sia nascosto nei monti tra l’India e la Cina, secondo alcune voci pare che viva riparando armature.” Arles si girò verso il cavaliere, la sua voce si fece più dura. “Sono tredici anni che tento di riportarli al Santuario, senza riuscirci, non temono Atena e nemmeno la mia autorità.”   

Milo non sapeva molto di Mu dell’Ariete, solo quel che gli aveva detto Camus, e cioè che era stato il migliore amico di Aioros e che era scomparso dal Santuario poco dopo di lui. Era difficile, però credere che questi cavalieri così potenti avessero tradito Atena solo per brama di potere, ci doveva essere qualcosa in più dietro… il cavaliere scrutò il sacerdote sospettoso.

“Libra e Aries, avete detto…” Mormorò quindi.

“Esatto.” Confermò Arles, aggiustandosi una manica. “Pensa, se l’armatura del Sagittario fosse veramente nelle mani di Saori Kido…” Continuò con voce suadente, mentre scendeva le scale. “…e se Libra e Aries si alleassero con i Cavalieri di Bronzo, ci sarebbero tre Gold Saints, compreso Sagittarius, a combattere contro il Santuario…” Oltrepassò Scorpio ancora inginocchiato e si fermò. “Non lo posso permettere!” Esclamò quindi, autoritario.

Scorpio girò appena il capo, scrutando la figura massiccia del Gran Sacerdote che gli dava le spalle, la sua ombra scura si proiettava su di lui, togliendo i riflessi alla sua armatura. All’improvviso il cavaliere si sentì inquieto, avvertì una sensazione di disagio, come un cosmo celato, oscuro…

Era vero, pensò, se anche alla fine i cavalieri fedeli al Tempio avessero vinto, sarebbe comunque stata un’inutile lotta fratricida, e Scorpio non voleva che ciò accadesse, non voleva essere costretto a prendere posizione, a sapere come si sarebbero schierati gli altri.

 

Il Grande Sacerdote, facendo svolazzare il mantello, tornò sui suoi passi, fino a riguadagnare lo scranno d’oro e sedersi. Le collane tintinnarono di nuovo, poco rassicuranti.

“Allora.” Riprese Arles, rivolto al cavaliere ancora inginocchiato. “Ascoltami bene, Scorpio, la tua prima missione sarà quella di estirpare per sempre la malapianta dei Cavalieri di Bronzo, parti subito e agisci!” Gli ordinò quindi.

Milo era costretto ad accettare, era suo dovere ubbidirgli, ma non riusciva ad essere del tutto convinto; si disse che avrebbe verificato sul posto le proprie perplessità.

“Sì.” Acconsentì dunque. “Come desiderate Eccellenza, sarò presto di ritorno.” Aggiunse annuendo.

“Confido in te.” Ribatté Arles, Scorpio quindi si alzò e fece un profondo inchino.

“Non muoverti!” Intimò però una voce dal fondo della sala; sia il cavaliere sia il sacerdote guardarono in quella direzione.

“Aiolia di Leo…” Mormorò perplesso Milo; che diavolo voleva adesso?!

Il giovane dai corti capelli dorati si avvicinò con passo deciso al trono, senza degnare di uno sguardo il compagno, quindi s’inchinò davanti al Grande Sacerdote.

“Sommo Arles, vi supplico, lasciate a me questa missione.” Chiese deciso.

“Che cosa?!” Esclamò incredulo Scorpio.

“Capisco…” Mormorò invece Arles, con tono mellifluo. “Anche tu sei un Gold Saint se non sbaglio.” Aggiunse lisciandosi una manica.

“Proprio così, Eccellenza.” Rispose Aiolia senza alzare la testa.

“E cosa faresti, se ti dicessi che ho già scelto Scorpio per questo incarico?” Lo provocò quindi il sacerdote, che sembrava provare un sadico piacere a metterli uno contro l’altro.

Aiolia alzò appena gli occhi sul compagno, poi tornò a chinarsi verso Arles. “Lo farei a pezzi, qui, davanti a voi.” Affermò quindi, senza indugio.

Non era un mistero che lui e Leo non si erano mai fatti sangue, ma questo era decisamente troppo. “Che cosa hai detto?!” Esclamò indignato e furente Milo.

“Molto bene.” Intervenne però Arles, e la sua voce sembrava molto soddisfatta. “Aiolia, parti subito, la missione è tua!” Ordinò quindi.

“Ma come, Eccellenza!” Sbottò Scorpio, facendo un passo avanti; non moriva dalla voglia di compiere quell’incarico, ma vederselo soffiare così da un cavaliere che non riteneva degno era ben peggio per il suo orgoglio di guerriero.

“Silenzio!” Gl’intimò Arles, con un gesto che bastò a far valere la sua autorità; Milo abbassò il capo e si ritrasse. “Ioria, esegui gli ordini.” Aggiunse poi, rivolgendosi al cavaliere di Leo.

“Sì, mio signore.” Rispose prontamente il giovane, alzandosi; diede le spalle ad entrambi e s’incamminò verso l’uscita.

Milo, con sguardo corrucciato, seguì il compagno lasciare la sala; si sentiva offeso e sottovalutato dal Gran Sacerdote, e poi, che diritto aveva Aiolia d’intrufolarsi così? Si girò di nuovo verso Arles, tornando ad inginocchiarsi davanti al trono.

“Sommo Arles, perché aveva incaricato Aiolia?” Domandò con rabbia. “Sapete bene che si tratta del fratello di Aioros cavaliere di Sagittarius, che tredici anni fa tradì il Santuario, può anche essere diverso, ma ha pur sempre lo stesso sangue.” Protestò poi. “Per quanto sia fedele ad Atena ed al Santuario e, indubbiamente, uno dei Gold Saints più forti, resta pur sempre il fratello di un uomo che vi ha tradito!” Concluse indignato.

Arles accennò una risata. “È proprio per questo che mi sono convinto a scegliere lui.” Affermò poi, lasciando allibito il cavaliere, ma sopraggiunse la spiegazione. “Aiolia si è condannato a tredici anni di esilio, ha volto pagare, sebbene innocente, una colpa non sua, nella speranza di poter, un giorno, porre rimedio al crimine del fratello, per questo sarà pronto a dare anche la vita, pur di recuperare la Sacra Armatura di Sagittarius, sottraendola ai Cavalieri di Bronzo.”

Scorpio conosceva la storia di Leo, le traversie che aveva sopportato per diventare comunque cavaliere, nonostante la faccenda del fratello e, anche se non erano mai andati d’accordo, gli riconosceva un senso dell’onore fuori del comune, lealtà e coraggio. Ma restava il dubbio: una persona così limpida sapeva davvero per chi stava lavorando? Milo, che puro non era per niente, intuiva la vera natura del Gran Sacerdote, e continuava a non fidarsi.

La voce di Arles lo destò dai suoi pensieri. “Tuttavia, nell’eventualità che i tuoi sospetti su Aiolia si rilevassero fondati, provvederò a farlo seguire, non lo perderanno mai di vista.” Detto questo, il sacerdote si diresse verso l’uscita che conduceva alle sue stanza private. “Sei congedato, ma resta a mia disposizione, potrei avere presto nuovi incarichi per te, cavaliere di Scorpio.” Gli disse l’uomo prima di andarsene; Milo annuì.

Che astuzia! Commentò dentro di se il ragazzo rimasto solo, alludendo al piano di far seguire Leo. Scorpio doveva riconoscere che il Gran Sacerdote prevedeva ogni eventualità. Da quanto aveva sentito dire al Santuario, in molti erano disposti a tutto, pur di metter fine alla sua tirannia o per scoprire chi si nascondeva dietro alla sua maschera inespressiva. Cosa devo fare? Si chiese Milo. Posso fidarmi di un essere così inquietante e misterioso?

Preso dai suoi dubbi, come e peggio che all’inizio del colloquio, Milo si diresse di nuovo verso l’ottava casa. Il sole si abbassava all’orizzonte.  

 

CONTINUA

 

NOTE:

- mi piaceva l'idea di lasciare Milo piuttosto indeciso alla fine del colloquio, anche e soprattutto per giustificare comunque lo scontro che avverrà con Cristal, pur non essendo contemplato in questa ff, anche se il cavaliere di Scorpio in questa storia è decisamente più consapevole di dove sta il giusto.

 

Stasera non saprei che dirvi, per malupinare un po', se non la proposta di un viaggio organizzato tra le pieghe del tunicone di Saga...

 

See you next time!

CrazyCow

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Capitolo 6
*** 6 ***


Buonasera

Buonasera! Ecco qua il sesto capitolo, e siamo quasi alla fine. Devo dire che questo capitolo all’inizio non era contemplato, ma le vostre recensioni mi hanno ispirato, quindi ecco a voi una parte tutta dedicata ad Elettra e Camus. Vi anticipo che la conclusione sarà quasi tutta dedicata a Milo! Aspetto i vostri commenti.

Baci

Sara

 

~ 6 ~

 

Quando Acquarius era tormentato dai suoi fantasmi, c’era un solo posto dove poteva andare, il problema era che quel luogo era anche l’origine d’ogni suo cruccio. Era il Grande Tempio di Zeus.

Il fatto era che, in certi momenti, Camus aveva bisogno di sicurezze, di sapere che qualcuno, al di là di tutto, lo amava. Sapeva perfettamente di non essere uno stinco di santo e di avere un carattere a dir poco pessimo, ma c’erano giorni in cui la fragilità propria dell’essere umano non riusciva assolutamente a reprimerla. Era un attimo e all’improvviso era di nuovo quel triste bambino solitario che non conosceva la felicità. No, non l’aveva conosciuta, almeno fino al giorno in cui una bambina bionda con le lentiggini e gli occhi turchesi non gli aveva sorriso. E quel sorriso, ancora oggi, era l’unica cura per il suo male, qualunque fosse.

Inutile negare, infatti, che le parole di Scorpio gli avevano fatto male, per il semplice motivo che erano la verità. Sì, lui era una persona distaccata, scarsamente romantica e troppo pragmatica, anche se questa era un’apparenza che Camus aveva costruito con stoica determinazione e anni d’impegno. Era qualcosa che lo difendeva meglio della sua armatura.

Ma quello che gli dava fastidio più di tutto era il modo in cui Milo glielo aveva fatto notare, come fosse un dato che ormai non si può cambiare, con rassegnazione, ma cogliendo con precisione chirurgica il punto cruciale: lui dava l’impressione di non tenere a niente.

Non era così, ma per troppo tempo Camus si era impegnato a lasciarlo credere, fino, forse, a convincersene lui stesso, che poi era quello che voleva. Se non si attaccava a nulla, nessuna perdita lo avrebbe toccato. Nessun dolore. Nessun distacco.

Milo, ad ogni modo, aveva infilato la sua Cuspide nella piaga più giusta, rivelando una sensibilità assai superiore a quanto il suo atteggiamento guascone lasciasse immaginare. Maledetto. Non sapeva se invidiarlo, odiarlo, oppure continuare semplicemente a volergli bene.

Chissà se il suo amico lo aveva capito, che lui gli voleva bene. Sì, figurati se non lo aveva fatto, ma non erano cose che si dicevano queste, specialmente tra guerrieri.

Era arrivato dunque. Viveva sempre un po’ come una debolezza, il tornare da lei. Stupido.

Elettra e Alexandros erano a tavola, li vedeva ridere, mentre percorreva il corridoio buio verso l’arco che conduceva nella sala da pranzo illuminata. La luce, però, sembrava provenire da loro due. La donna allungò una mano per carezzare teneramente la guancia e la tempia del figlio, sorridendo.

Lo aveva chiamato come il mitico condottiero macedone, ma nel loro rapporto fatto di dolcezza, complicità e rispetto, non c’era certo nulla di quello tormentato dell’antico re con l’infida madre, principessa d’Epiro Eppure, chissà perché, spesso glieli ricordavano.

"Disturbo?" Chiese il cavaliere; molte volte gli capitava di avere la sensazione d’interrompere qualcosa d’incomprensibile e magico, entrando all’improvviso in una stanza dove c’erano solo loro.

I sorrisi sinceri e felici con cui l’accolsero, però, fugarono ogni dubbio a proposito della sua visita inaspettata; Elettra si alzò per andare a baciarlo, poi, mentre Camus salutava Alexi, lei chiamò un servo per far aggiungere un posto a tavola.

Solo quando furono seduti, l’uomo poté rilassarsi. Elettra gli sorrideva, stringendo la sua mano. Alexi raccontava della scuola. Camus, ora, si sentiva a casa, loro due erano la sua famiglia. Li amava. Anche se questo significava che i suoi sforzi per non soffrire erano falliti…

 

La donna era sul balcone, dopo cena. Le mani posate sulla balaustra di marmo candido, gli occhi fissi sulle stelle. Sentiva il presagio. Lo aveva avvertito prima e meglio degli altri, grazie ad un cosmo più potente di quello di un cavaliere e ad una sensibilità data dal suo essere donna. Il presagio non era opprimente, piuttosto s’insinuava nella mente come una nebbia scura. E dire che lei amava la nebbia. Il presagio di distruzione copriva ogni cosa al Santuario d’Atena. Colava come sangue infetto e maligno lungo le mura violate. Era oscurità. Era male. Esisteva da quasi tredici anni.

Il suo rifugio, il suo esilio dorato, la proteggeva da tutto questo. L’anonimato proteggeva suo figlio. Ma chi avrebbe protetto lui? Sapeva qual era il suo compito, era un cavaliere, se Arles gli avesse detto combatti, lui avrebbe dovuto farlo. Perché non si mette in dubbio la parola di un Gran Sacerdote, lo sapeva bene lei che lo era.

Per dubitare di un tale potere bisogna essere Eroi. Ce n’era stato solo uno. Il padre di suo figlio.

Elettra si girò verso l’interno e guardò le due persone sedute al tavolo del soggiorno; da una parte, intento a leggere un libro, c’era l’uomo che amava. Sì, dopotutto, lo amava ancora. Nonostante le liti, i musi lunghi, le male parole, i silenzi… il rifiuto di sposarlo.

Un giorno, se n’avesse avuta la possibilità, gli avrebbe spiegato perché aveva detto di no. Aveva rifiutato perché sapeva che stava per succedere qualcosa. Qualcosa di grande. Camus, nel bene o nel male, ne sarebbe stato parte. Elettra sapeva fin troppo bene a cosa va incontro un cavaliere che decide di combattere. Oh, e lui avrebbe combattuto; magari per motivi lontanissimi dal trionfo della giustizia, la lotta contro il male, il ritorno di Atena, ma avrebbe combattuto.

Elettra avvertì subito gli occhi del compagno alzarsi su di lei. Erano occhi che conosceva benissimo, forse anche meglio dei propri. Un quarto di secolo passato a confrontarsi con loro. Era davvero tanto tempo, e probabilmente lui l’amava da allora, da quando erano bambini. Le faceva male, a volte, pensare che a lei ci erano voluti vent’anni per capire e ricambiare il suo amore. Ancora più doloroso era pensare che, questo amore, non era che una piccola parte di quello che aveva provato per Aioros. Un amore ancora vivo nel suo cuore.

Lo sguardo di Camus si spostò dalla madre al figlio. "È ora di andare a dormire, Alexi." Gli disse.

Il bambino alzò i suoi occhi verde-blu sull’uomo. "Io a dormire ci vado, ma mi prometti che voi due non litigate?" Replicò quindi.

Il cavaliere incrociò le braccia, appoggiandosi allo schienale della poltrona. "Questo devi dirlo a tua madre…"

"Smettila, Camus." Lo rimproverò severa lei, mentre rientrava.

"Vabbene." Acconsentì lui, stupendola, quindi si alzò, raggiunse Alexi e, prima gli scompigliò i riccioli biondi, poi lo prese per le braccia e se lo caricò in spalla. "A nanna!" Proclamò portandolo via, il ragazzino rise.

Elettra sorrise, guardandoli uscire dalla stanza. Erano gesti abbastanza comuni, quelli che aveva visto. Sapeva che Camus amava Alexandros, che la sua energia positiva aveva conquistato anche l’algido guerriero del nord. Tutti amavano Alexi, era impossibile fare altrimenti. Si lasciò andare ad un altro sorriso, mentre sistemava le ultime cose prima di andare nella sua stanza.

Acquarius, nel frattempo, salutava il bambino davanti alla sua camera. "Mi raccomando, lavati i denti e poi corri a letto, che domani c’è scuola." Affermò serio.

"Non preoccuparti, lo farò." Promise Alexi. "Buonanotte." Gli augurò poi.

"Buonanotte a te." Rispose Camus, allontanandosi.

Il cavaliere, mentre percorreva il corridoio fino alla camera di Elettra, si disse che voleva davvero bene ad Alexandros. Un tempo avrebbe desiderato che non fosse così, perché era figlio del suo rivale, ma era impossibile resistergli. Lo aveva visto nascere. Aveva assistito alla sua prima poppata. Era lì, il primo giorno di scuola. Lui gli aveva insegnato ad andare in bicicletta. E, alla fine, questo voleva dire che Camus era stato l’unico padre che Alexi avesse avuto. Aveva cresciuto il figlio del suo rivale, e questa era una piccola vittoria.

Entrò nella camera di Elettra col sorriso sulle labbra. La stanza era in penombra, la luce del bagno spenta, il letto vuoto; forse la donna era ancora in soggiorno. Il cavaliere si guardò intorno, però, e infine la scorse sul balcone, oltre le fini tende bianche che si muovevano alla brezza primaverile.

"Sei di nuovo fuori?" Le chiese raggiungendola.

"E’ una sera così bella." Rispose lei, continuando a guardare il cielo. "Guarda, stiamo entrando nel segno del Cancro." Aggiunse, indicando la costellazione.

"Sta arrivando l’estate…" Commentò Acquarius. "Che palle!" Aggiunse, posando i gomiti sulla balaustra.

La donna rise sommessamente. "Sei proprio un pinguino, tu." Rise anche lui.

"È tornato Milo." Annunciò Camus, poco dopo; Elettra lo guardò.

"Davvero?" Chiese, lui annuì. "E… come sta?" Continuò la donna, tornando però a guardare fuori.

"Bene." Rispose soltanto Acquarius. "È sempre il solito rompiballe."

"Ma sta davvero bene, oppure…" Insisté Elettra, incitandolo con un gesto.

Ecco, ci risiamo… Pensò il cavaliere, che ben conosceva il senso di colpa che la sua donna aveva per i fatti di cinque anni prima; va bene, la ragazza era una sua allieva, ma da qui a fustigarsi per la sua morte ce ne correva. Ma Elettra, del resto, aveva un senso di colpa troppo radicato.

Camus si girò, appoggiandosi contro il parapetto e sospirò. "Fa una buona impressione, ma secondo me… sa fingere." Le rispose infine.

"Lo sapevo." Affermò Elettra chinando il capo. "È molto arduo uscire da certe cose, specie se si rifiuta ogni tipo di aiuto, come ha fatto lui." Aggiunse. "Quando si ama una persona è difficile accettare di perderla, e specie in quel modo…"

Acquarius contrasse la mascella. Sapeva a chi stava pensando lei e, come sempre in certi casi, all’improvviso l’uomo la sentì lontana, parte di un mondo che non gli era dato conoscere, immersa in ricordi privati dove lui non c’era. Soltanto Aioros c’era. E, come sempre, Camus reagì nel modo sbagliato.

"Dovreste farla finita tutti e due." Dichiarò bruscamente, Elettra si girò verso di lui. "Non è colpa vostra se quella s’è impiccata." Continuò fissando il vuoto. "Io posso capire il dolore, ma sono passati cinque anni, dovreste aver capito che chi non ci stava con la testa era lei."

La donna lo fissava con gli occhi spalancati. "Quella aveva un nome, ed era Melissa, e per tua informazione non era affatto pazza." Proclamò quindi offesa. "E poi non credo che il mio senso di colpa sia ingiustificato, era una delle mie vestali, avrei dovuto proteggerla, portarla via dalla sua famiglia." Aggiunse sempre più rabbiosa. "E se si è uccisa non è perché fosse una malata di mente, ma solo perché non si possono chiamare vita sedici anni passati tra segregazioni, botte, umiliazioni, con un padre tiranno e due fratelli carcerieri!" Concluse con sguardo saettante.

"Ha fatto la scelta più facile." Replicò Camus fissandola. "Poteva combattere, chiedere il tuo aiuto, oppure fuggire il più lontano possibile, Milo l’avrebbe portata dall’altra parte del mondo, e invece ha preso la strada più corta per sfuggire al suo dolore, non è colpa di nessuno, semmai solo sua, per essere stata tanto egoista da uccidersi."

"Non ti permetto di parlare così di lei!" Reagì Elettra, gridando. "Io le volevo bene, Melissa era un angelo e questo mondo era troppo triste e doloroso per lei, per questo ci ha lasciati!"

"Le persone che si tolgono la vita non pensano mai a cosa si lasciano dietro, altrimenti non lo farebbero." Replicò lui. "Pensi che il povero Milo si meritasse tutto questo dolore, il senso di colpa, la depressione, cinque anni passati a farsi domande?" Le chiese.

"Nessuno merita un dolore del genere." Fu costretta a rispondere lei, ma con espressione cupa.

"Vedi che siamo d’accordo?" Ribatté Camus.

"No, non sono d’accordo con te." Affermò Elettra, poi si allontanò. "Sei mostruoso, un essere completamente privo di sensibilità e comprensione…" Continuò entrando in camera. "Mi fai paura, quando ti comporti così." E sparì oltre le tende, nell’oscurità della stanza.

Camus rimase immobile sul terrazzo, stringendo i denti. Avevano litigato di nuovo. Il cavaliere si domandava perché, per loro due, fosse impossibile avere una discussione civile. Un essere mostruoso… questa era peggio di quando l’aveva chiamato "ghiacciolo misantropo", o di quella volta che, dopo aver fatto l’amore, lo accusò di essere gelido. Adesso sarebbero rimasti senza parlarsi per un periodo variabile dai due giorni alle tre settimane…

L’uomo si voltò verso l’esterno. Il mare si muoveva lontano sotto la luna, le stelle sembravano cantare, tanto brillavano. Si voltò attratto da qualcosa. Una stella cadente aveva attraversato il cielo a nord. Sarebbe bello, per una volta, volersi bene e basta, eh Elettra?

 

Il cavaliere lasciò passare un po’ di tempo, entrambi dovevano sbollire la rabbia. La cosa più semplice da fare, sarebbe stata quella di entrare, passarle davanti senza guardarla e tornarsene al Santuario, o forse andare a rimorchiare qualcuna in città. Sì, la cosa più semplice e anche la più stupida. Uno dei due doveva ingoiarsi l’orgoglio, per una volta.

Camus entrò nella camera; tutto era spento, ma da fuori veniva luce sufficiente a non inciampare nei propri piedi. La forma del grande letto sopra la pedana risaltava nella semi oscurità, come anche la figura della donna che vi era distesa sopra. Tutto aveva un colore azzurrino, compresa la sua elegante camicia da notte bianca ed i suoi capelli biondi sparsi sui cuscini.

Avvicinandosi accarezzò con lo sguardo le dolci e sinuose curve del corpo di Elettra. Il desiderio, da quando lo conosceva, era inevitabilmente legato a doppio filo con la figura di lei. Le altre donne non erano che un palliativo, un timido riflesso del suo univo, vero, Desiderio. Le più belle anche. Perfino Natasha, la splendida ballerina russa con cui aveva vissuto un’infuocata fuga a Pietroburgo, durata circa sei mesi, per poi tornare pentito e affranto, in ginocchio davanti a lei.

Camus si fermò ai piedi del letto, Elettra era immobile in una posizione che gl’impediva di vederle il viso. "Stai dormendo?" Le domandò a bassa voce.

"No." Fu l’attesa e secca risposta. Certo, è troppo arrabbiata per farlo…

"Chi lo fa il primo passo?" Domandò timidamente il cavaliere.

"Mi sembra che tu sia perfetto." Replicò sarcastica la donna, mettendosi seduta, ma continuando a dargli le spalle.

"Perdonami…" Mormorò lui, sedendosi al suo fianco, sul bordo del letto.

Elettra si voltò di scatto, pronta a ribattere, ma si trovò davanti gli occhi di Camus che la fissavano, resi quasi neri dal buio della notte; la donna capì che quella non era un richiesta di perdono a breve termine, forse non c’entrava niente con la storia di Melissa.

"Devi perdonarmi, se non sono l’uomo che vorresti." Riprese infatti lui, rammaricato e sincero. "Se non sono riuscito a perdere nessuno dei miei difetti, se, puntualmente, dico la cosa sbagliata…"

Elettra sospirò, chinando gli occhi. "Non hai il predominio sui difetti." Affermò poi. "Anche io… beh, non ti faccio mai parlare, e poi sono polemica, lo so…"

Lui le prese le mani, costringendola a guardarlo di nuovo. "Io vorrei soltanto non dover essere sempre in guerra." Confessò con tono dimesso.

"È… è colpa mia…" Balbettò la donna. "Sto sempre sull’attenti, non so di cosa ho paura…" E scostò ancora gli occhi, ma poi tornò a fissarlo. "Ma devi credermi, quando dico che ti amo, che non è cambiato niente." Aggiunse con passione.

"Non dovrebbe essere così." Affermò Camus, pur sollevato da quella dichiarazione. "Con tutto quello che ti faccio passare…"

"No." L’interruppe lei, prendendogli il viso tra le mani. "Non dirlo, perché so bene che anch’io ti faccio soffrire, anche se sei bravissimo a non dimostrarlo." Gli disse, poi lo abbracciò.

"Mi conosci…" Mormorò Camus, affondando il viso tra i suoi capelli.

"Ti conosco." Rispose Elettra, mentre sentiva le sue braccia circondarle la vita.

"Mi manderai via, stanotte?" Le domandò, con lo stesso tono che avrebbe un bambino rifugiatosi nel lettone dei genitori in una notte di tempesta.

"No." Rispose dolcemente la donna, quindi lo scostò da se e lo baciò, per poi togliergli la camicia e fare altrettanto con la sua. Si stesero sul letto, continuando a baciarsi.

Il corpo di Camus era sempre stato magnifico. Le spalle larghe e le lunghe braccia da nuotatore, i fianchi sottili e le natiche piccole e sode, l’addome scolpito, i muscoli tesi e tonici. La pelle abbronzata e più morbida di come, di normale, dovrebbe averla un uomo.

Elettra amava quel corpo, adorava percorrerlo con le dita in ogni centimetro, sentirlo sopra di se. I capezzoli turgidi contro la sua pelle. I capelli che ricadevano scomposti sul suo viso. Le mani eleganti che, esigenti, s’insinuavano tra le sue cosce. Le labbra, sottili e ardenti sul collo.

In quei momenti sembrava fossero nati per stare insieme e accoglierlo in se era un gesto naturale e giusto. E atteso. E il piacere saliva, saliva fino alle stelle, fino a toccare i loro cosmi uniti, per poi ridiscendere su di loro come un’accecante tempesta di ghiaccio percorsa da fulmini d’oro che toglieva per un attimo il respiro… per restituirlo poco dopo, spezzato.

Elettra, mentre Camus era ancora su di lei ansante, non riusciva a fermare il battito impazzito del suo cuore, e non a causa dell’amplesso appena terminato. Aveva visto un’ombra nel cosmo del cavaliere, proprio nel momento in cui il suo spirito aveva toccato le stelle dell’Acquario. Un’ombra di morte. Qualcosa che lei conosceva.

Unendosi ad un cavaliere, non sempre si riusciva a raggiungere quel particolare stato di "scambio di cosmi"; doveva esserci un sentimento profondo e reciproco, una grande passione, intenso desiderio, oltre ad una conoscenza delle discipline cosmiche. Con Camus non le era capitato spesso, con Aioros quasi sempre. Ma quell’ombra, che vedeva ora nel cosmo di Acquarius, era la stessa di quella notte. La notte in cui amò Sagittarius per l’ultima volta. La notte degli inganni.

Camus, dopo averle baciato la guancia, fece per scostarsi, sapeva che Elettra non amava molto stare appiccicata dopo l’amore, ma stavolta lei lo trattenne; la guardò sorpreso.

"Resta." Lo pregò. "Voglio sentirti." Aggiunse stringendolo a se; lui accettò ben volentieri e, poco dopo, si addormentò, senza accorgersi che la donna, invece, era rimasta ben sveglia.

 

CONTINUA

 

NOTE:

-          Camus fa tanto per rimanere un guerriero impassibile e freddo, ma alla fine cede sempre alla sua natura umana, e la sua catarsi non può che essere Elettra. Come sono complicati ‘sti due… Mi piacciono!

-          Elettra, come gran sacerdotessa, ha una visione più ampia perfino di quella di un cavaliere, ma mi piace credere che la sua chiarezza sia dovuta al fatto che non mai perso la fiducia nella sincerità e nell’amore di Micene/Aioros.

-          Ah, non so se si capisce (forse no…), ma non ho pensato questo come l’ultimo incontro tra i due, ma più che altro come il momento in cui la donna si rende conto che il destino di Camus è segnato.

 

SFOGO MALUPINO

1 – Non c’è Milo in questo capitolo… dove sei Miluccio bbelloooo?! Vabbene, dai, accontentiamoci di Camus (e dico poco ^__-)

2 – Era giusto e doveroso celebrare il corpo di Camus. Punto. …Dov’è l’asciugamano per la saliva?!?!

 

A presto!

CrazyCow

 

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Capitolo 7
*** 7 ***


Questo è

Questo è, come annunciato, l'ultimo capitolo. So che ci sono dei punti rimasti un po' in sospeso, ma questa storia era nata per parlare del ritorno di Milo al Santuario e dell'inizio di un suo percorso di guarigione dal dolore. Spero comunque che questa ff vi sia piaciuta e che apprezzerete questo logorroioco finale. Aspetto i vostri commenti. Grazie con anticipo.

Baci

Sara

 

~ 7 ~

 

Era passata quasi una settimana dall’arrivo di Milo al Santuario; come ordinato da Arles, il cavaliere era rimasto ad Atene, nell’attesa di nuove disposizioni del Sacerdote, che erano ben presto arrivate. Il giorno successivo sarebbe partito, ma c’erano ancora alcune cose da fare.

Non vedeva Camus da quella mattina nella Biblioteca, quasi quattro giorni prima; l’amico si era allontanato dal Grande Tempio. Era andato da Elettra, molto probabilmente. O chissà dove, date le sue recenti inclinazioni allo sfarfallamento…

Scorpio si chiedeva come un rapporto d’amore, era da sottolineare d’amore, potesse arrivare a diventare così complicato e contorto da essere causa di sofferenza. Milo si disse che era perché a Camus non era mai capitato di perderlo un amore, nessuno glielo aveva mai strappato e, anche dopo i suoi tradimenti, c’era da scommetterci, era stato perdonato. Almeno all’apparenza. La Divina Elettra non gli era mai sembrata una donna in vena di rassegnazione, a Camus doveva essere costato caro il pentimento. Sorrise di sbieco, pensandoci.

Ricordava benissimo il suo primo incontro con la figlia di Nikolais. Lui e Melissa non riuscivano mai a stare un po’ insieme, potevano solo scambiarsi delle lettere segrete, grazie ad un metodo del bibliotecario: la ragazza prendeva un libro, ne leggeva una parte e lo riconsegnava con la lettera dentro, il giorno dopo Nikolais si preoccupava di restituirglielo accompagnato dalla risposta di Milo. Fu così che Melissa gli fece sapere che avrebbe passato un paio di giorni al Tempio di Zeus, dove sarebbero stati liberi di passare del tempo insieme. Presi accordi con Camus, la raggiunse lì… e conobbe la Gran Sacerdotessa.

Quella prima impressione gli sarebbe rimasta stampata per sempre nella mente. Non sembrava per niente greca, prima di tutto. Era alta, molto alta, e bionda, molto bionda. Con una pelle talmente chiara da sembrare quasi nordica, come nordico era il suo sguardo, e i suoi occhi erano di un turchese scuro, ma trasparente, quasi irreale. E rammentava che non gli piacque il suo atteggiamento: troppo altezzosa, distaccata, fredda, con quelle mani grandi e crudeli, dalla perfetta manicure.

Le domande che gli fece poi… una sola parola, irritanti. Sapeva d’averle risposto con arroganza e scarsa educazione, sotto lo sguardo stranamente divertito di Camus.

Ma ciò che ricordava meglio era il momento in cui quella donna, finalmente, alzò gli occhi su di lui, trapassandolo, e poi sorrise soddisfatta. “Mi piaci.” Gli disse, con quella voce che non sapevi bene se era antipatica o sensuale. In quell’istante Milo aveva intravisto qualcosa nei suoi occhi.

L’ombra di un dolore, una sofferenza antica e radicata, e più di questo… un potere che andava al di là della straordinaria energia del suo cosmo saettante… era latente e ancestrale e lui non lo capì.

Nemmeno ora lo capiva, gli ci sarebbero voluti ancora un paio d’anni prima di afferrare il segreto di quella forza creatrice e distruttiva allo stesso tempo, prima di comprendere quel potere tutto femminile di essere madre, figlia, amica, amante, compagna allo stesso tempo (*). Capace di riempire un mondo. Capace di riempire un vuoto.

Ma in questo momento, mentre saliva le scale verso l’undicesima casa, Milo era lontanissimo dal considerare Elettra una donna avvicinabile, era più un simbolo, una specie di autorità lontana che, presa da improvvisa magnanimità, gli aveva concesso i pochi momenti felici insieme a Melissa. Non riusciva a pensare la Sacerdotessa lontana dal suo trono o con un atteggiamento meno algido. Aveva come l’impressione che farci l’amore fosse un po’ come trombarsi un distributore di ghiaccioli, per questo la chiamava Vulva di Pietra. Anche se, a ben dire, a Camus piacevano molto i ghiaccioli… Brrr, Milo odiava il freddo!

 

Mancavano pochi gradini per raggiungere la casa di Acquarius, ma Scorpio si fermò, accorgendosi della persona che lo fissava con un sorriso beffardo dall’ombra del colonnato.

Camus fece un passo avanti, scendendo il primo gradino, per fermarsi nel piccolo spiazzo dove finivano le scale di raccordo con la decima casa. Indossava un lungo caftano color porpora e, a giudicare da come gli aderiva al corpo a causa de vento, solo quello. Il suo modo di vestire era sempre stato bizzarro, ma che ora avesse anche smesso di portare le mutande…

Milo lo squadrò perplesso, alzando un sopracciglio, per poi sorridere in quel suo modo tipico, ironico, sensuale e misterioso allo stesso tempo. Altra caratteristiche che l’amico gli invidiava.

“Sei sparito.” Affermò Milo, grattandosi l’addome; per farlo sollevò la canottiera, svelando che i jeans gli andavano un po’ larghi in vita, calando sui fianchi scolpiti.

“Avevo cose da fare.” Rispose laconico Camus, slacciando le braccia; il caftano aveva un’ampia apertura sul davanti, che mostrava il petto liscio e muscoloso del cavaliere.

Si sedettero entrambi sulle scale. Camus si accorse che Milo, con quella canottiera nera e quei jeans sdruciti, i capelli lunghi, sembrava proprio una rockstar. Sì, gli mancava solo un cicchino tra le labbra e la chitarra elettrica… Sorrise, tornando a guardare avanti.

“Mi spieghi perché ti sei vestito come una vecchia checca francese?” Gli chiese però l’amico, facendolo voltare.

“Perché?” Replicò lui, sfoderando l’ironia. “Non mi trovi sexy?”

Scorpio gli lanciò un’occhiata disincantata. “Senti, la tua bella troverà anche eccitante che vai in giro con il canarino fuori dalla gabbia, ma onestamente sono altre le cose che trovo sexy.” Gli rispose infine; Camus lo fissò per un attimo, poi scoppiò a ridere, seguito subito da Milo.

“Com’è andato il colloquio con Arles?” Domandò Acquarius qualche minuto dopo.

“Hm… inquietante…” Rispose Milo, alzando gli occhi al cielo.

“Decisamente.” Confermò l’altro, che doveva esserci passato prima di lui. “Hai visto le armature?”

“Sì.” Annuì Scorpio. “E tu, sapevi di Virgo e Gemini?”

“Ho incontrato Shaka, giorni fa.” Raccontò Camus. “Tanto perbenino, con quei suoi bei capelli da Barbie Kamasutra…” Aggiunse acido.

Scorpio ridacchiò, ma tornò subito serio. “E Gemini? Non sapevo avesse un custode.”

“Non so dirti molto.” Fu costretto a rispondere l’amico. “Anni fa, ai tempi della mia investitura, forse prima, avevo sentito parlare di un cavaliere, un certo Saga, ma poi non ho saputo più nulla.”

“Che sia sempre lui?” Mormorò pensoso Milo, fissando il nulla.

“Non mi riguarda, comunque.” Glissò bruscamente Camus. “Dimmi di te.” Incitò poi.

“Beh, il Gran Sacerdote mi aveva affidato il simpatico compito di sterminare i Cavalieri di Bronzo e riportare in Grecia la Sacra Armatura di Sagittarius, ma il prode Ioria di Leo me l’ha soffiato da sotto il naso.” Dichiarò Scorpio, con tono pomposo e sarcastico.

Camus l’osservò per un momento, poi sorrise. “Non sembri poi così dispiaciuto.” Ipotizzò.

Milo fece un’alzata di sopracciglia. “Non molto, alla fine.” Rispose quindi, stringendosi nelle spalle. “Se non fosse per l’atteggiamento di Ioria, che se ne va in giro a fare proclami, col petto gonfio, come se fosse il re della savana!” Sbottò poi.

“Certo che dici a me… ma voi due non vi siete proprio mai presi.” Commentò Camus. “Se non mi sbaglio fu proprio a causa di una lite con lui che finisti a fare l’assistente in biblioteca…”

“E lo domandi?! Mi ci portasti tu a calci nel sedere!” L’interruppe l’amico; risero di nuovo. “Ad ogni modo…” Riprese Scorpio. “…siamo troppo diversi, io e Ioria, lui prende le cose maledettamente sul serio, io non l’ho mai fatto, però… in un certo senso lo ammiro, per la sua coerenza, il coraggio, lo spirito di sacrificio, non so se sarei stato capace di fare quel che ha fatto lui…” Ammise serio.

“È solo un ragazzino stupido.” Sentenziò Camus, facendo voltare Milo. “Non si può vivere col paraocchi, ci sbatterà il muso prima o poi.”

“A cosa alludi?” Chiese l’altro. “Lui e Elettra…”

“Lascia stare.” L’interruppe con un gesto. “È una faccenda in cui non voglio entrare, quei due sono fermi nelle loro posizioni come fossero in trincea, un giorno sapremo chi ha ragione e qualcuno dovrà chiedere perdono, ma fino ad allora è bene che si scannino tra di se.”

Milo ritenne meglio far cadere l’argomento, sapeva che i rapporti, diciamo così, «familiari» tra Elettra e Ioria non erano esattamente idilliaci, poiché i due la pensavano in modo opposto: lui era sempre rimasto fedele al Santuario ed al Gran Sacerdote, mentre lei… beh, lei non nascondeva certo come la pensava.

“Ho avuto un altro incarico, comunque.” Affermò quindi; Camus si girò verso di lui, incuriosito.

“Di che si tratta?” Gli domandò.

Milo si alzò. “Devo recarmi all’isola di Andromeda e scoprire il motivo per cui Albione non ha ancora giurato fedeltà ad Arles.”

Camus si mise a sua volta in piedi. “Conosco Albione, è una brava persona, avrà certamente una plausibile spiegazione per il suo comportamento.” Affermò.

“Non dubito.” Ribatté Milo, mani sui fianchi e leggermente piegato in avanti. “Sarò diplomatico.” Aggiunse, quindi alzò gli occhi, incrociando quelli seri dell’amico.

"E se la diplomazia non dovesse funzionare, quali provvedimenti sei autorizzato a prendere?" Chiese retorico Acquarius.

Scorpio lo fissò per un attimo, poi abbassò gli occhi sbuffando. “Andiamo Camus, lo sai… lo sai come vanno queste cose…” Rispose poi, tentando di alleggerire il tono.

Il cavaliere dell’undicesima casa preferì non indagare ulteriormente l’argomento, sapeva che le risposte non gli sarebbero piaciute, anche se capiva che loro erano cavalieri e agivano in nome di un’autorità che, al momento, non era possibile contestare. Si spostò di qualche passo, posando una mano contro la superficie liscia di una delle anfore che ornavano la cima delle scale; il vento, fattosi all’improvviso più intenso, fece aderire la stoffa sottile al suo corpo slanciato.

“Quando te ne vai?” Domandò all’amico.

“Partiamo all’alba.” Rispose Milo.

“Partite?!” Esclamò sorpreso girandosi. “Chi viene con te?” Domandò quindi.

“Aphrodite di Pisces.” Affermò Scorpio, dopo una lieve titubanza.

Camus si voltò del tutto, spalancando gli occhi stupito, poi gli si formò sulle labbra un sorrisetto perfido e ironico. “Aphrodite… beh, amico mio, assicurati di avere in valigia un bel paio di mutande di ghisa!”

“È la prima cosa che ho fatto!” Esclamò Milo. “Ma non è giusto che me lo faccia notare tu, che te ne vai in giro coi lombi al vento!” Aggiunse divertito; si scambiarono uno sguardo obliquo, poi scoppiarono a ridere.

“Oh, non rompere i coglioni, mi davano fastidio!” Sbottò Camus, mentre ancora ridevano.

Quando l’ilarità terminò rimasero lì, in piedi, senza dire nulla, fianco a fianco. Acquarius aveva scherzato, ma in realtà era turbato dalla notizia che Aphrodite avrebbe accompagnato Milo. Due cavalieri d’oro erano decisamente troppi per una missione diplomatica. Pisces era un fedelissimo di Arles e che Albione avesse addestrato uno dei cavalieri di bronzo non era un mistero. Troppe coincidenze allarmanti, c’era da tenere dritte le antenne.

“Bene…” Fece Milo, risvegliandolo dai suoi pensieri, lo guardò. “…ora devo andare, ho lasciato un paio di cose in sospeso e vorrei risolvere prima di partire.” Camus annuì fissandolo.

Scorpio scese un paio di gradini, poi però si girò di nuovo verso l’amico, come se avesse dimenticato qualcosa; Camus lo guardò perplesso, con espressione interrogativa. Il ragazzo risalì in fretta le scale e abbracciò d’impeto l’altro cavaliere. Fu un gesto istintivo, qualcosa che sentiva di dover fare, prima di partire, per dimostrare che, nonostante fossero molto diversi e spesso la pensassero in modo opposto, la loro amicizia restava. Un punto fermo nelle vite di entrambi. Un legame profondo e vero per chi, come loro, non aveva mai avuto una vera famiglia.

Acquarius, dopo un primo istante di sorpresa e imbarazzo, sorrise e poi rispose all’abbraccio dell’amico, stringendolo a se e dandogli lievi pacche sulla schiena. Capiva e condivideva i suoi sentimenti. I legami creati dal cuore che diventano più forti degli ormai smarriti legami del sangue. Milo era come un fratello e come tale lui lo amava.

Lo strinse appena un po’ di più, ma solo un attimo dopo, svelto come era nato, l’abbraccio cessò e Scorpio si allontanò veloce, cominciando a scendere le scale senza guardarlo. Certo, non è che ci fosse bisogno di tante parole, i gesti avevano già detto tutto…

“Milo.” Lo fermò però l’altro; lui si bloccò sulle scale, poi si girò piano. Ah, ecco perché scappava, ha gli occhi lucidi… si disse Camus. “Volevo solo dirti di tenere gli occhi aperti, non mi fido di Aphrodite.” Gli suggerì serio, guardandolo negl’occhi.

L’amico annuì. “Lo farò.” Rispose quindi. “Grazie Camus.” Aggiunse poi, con un ultimo sguardo e s’incamminò giù per le scale. E Acquarius sapeva che quel grazie non era per il consiglio.

 

C’era veramente qualcosa che Milo aveva lasciato in sospeso. Per cinque anni. Fatti d’interminabili giorni passati a fare finta che non fosse successo nulla, che le persone coinvolte non fossero esistite. E di molti altri giorni, altrettanto interminabili, passati sul fondo della più cupa disperazione, tra alcool e sigarette, a sfiorare il pensiero che sì, farla finita non sarebbe stato poi così male.

Giorni in cui il mondo era bello solo perché esisteva e anche se eri triste valeva la pena vivere. Altri in cui la vita era semplicemente come la scaletta del pollaio: corta e piena di merda. Particolarmente nel suo caso. Attimi in cui gli sembrava di stare quasi bene, alternati ad altri dove stava tanto male da vomitare. E non perché aveva bevuto troppo. Quelle volte era meglio calarsi un Valium e stare rincoglionito per un paio di giorni, almeno non pensava.

E tutto questo a causa di una ragazza e della sua storia. Melissa era una ragazzina minuta, molto magra, con lunghi capelli color miele e due occhi troppo grandi. Li vedeva come se fosse ora, di un blu cupo, ma luminosi come una notte stellata. Era un piccolo angelo, fragile e dolce. Avrebbe avuto bisogno di qualcuno che la salvasse. Se soltanto lui ne avesse avuta la forza.

Ma Milo aveva solo diciassette anni a quel tempo. Era un giovane cavaliere che non aveva ancora ben capito i doveri e i limiti del suo ruolo. Troppo immaturo per comprendere che la vera tragedia non è gridata, ma si consuma in silenzio, all’improvviso, quando meno te lo aspetti. (*)

Così era successo. Melissa, schiacciata da anni di vessazioni, dolore e violenze, aveva compiuto l’unico gesto che poteva veramente liberarla. Si era uccisa. Nonostante tutto l’amore di Milo, l’affetto e la comprensione di Elettra, il sostegno di una sorella più forte.

Il cuore del giovane cavaliere di Scorpio si era fermato quel giorno e anche se poi era ripartito, non aveva avuto più la forza di un tempo. Il dolore lo aveva lasciato quasi stordito, nella sua potenza. La rabbia lo aveva accecato e reso quasi un assassino. Ma, infine, ciò che aveva preso il sopravvento era stato il senso di colpa.

Lui era un cavaliere e non era stato capace di comprendere l’orrore in cui viveva Melissa e salvarla, portandola lontano. Era stato incapace di prendere in mano le loro vite e dare una svolta nuova. La sua giovane età non era un giustificazione. La volontà di lei di tenerlo allo scuro ancora meno. Per anni si era roso in queste considerazioni, preso negli alti e bassi delle sue crisi depressive.

Le cose, però, ultimamente erano un po’ cambiate. Crescendo aveva capito meglio. Si sentiva ancora in colpa, ma comprendeva che il destino e la mente degli uomini erano territori oscuri. Aveva compreso che, probabilmente, portare lontano Melissa non avrebbe risolto i suoi problemi, che l’aspettavano anni di terapia per uscirne. Che lui, in ogni caso, restava un cavaliere di Atena e il suo dovere l’avrebbe prima o poi riportato al Santuario. Come era davvero successo, infine.

Forse il dolore era una crudele prova degli Dei per mettere i mortali davanti alla loro fallibile natura umana. Forse Melissa era davvero una creatura del cielo e, se era così, questo cattivo mondo non era il suo posto. Solo nei giardini dell’Elisio sarebbe stata libera e felice. Questi pensieri non lo confortavano dal dolore, che comunque era nel suo cuore, ma almeno poteva sperare che lo sguardo amorevole della fanciulla lo proteggesse nelle battaglie che avrebbe dovuto affrontare.

 

Si tolse il casco e lo poggiò sulla sella della moto che aveva usato per arrivare fin lì. Il panorama era talmente bello da togliere il fiato.

La costa si frastagliava in alte scogliere particolarmente candide, spoglie d’alberi, ma coperte da erba verde. Il cielo era di un azzurro cristallino, che si rifletteva nell’acqua verde e blu del mare calmo. I gabbiani sfioravano le onde, gridando, nel vento dolce. C’era profumo di salsedine, misto a quello inebriante degli arbusti cresciuti tra le rocce.

Milo camminò attraverso l’incerto sentiero che risaliva una scogliera. Quel posto aveva certamente un’importanza particolare. Lui e Melissa c’erano stati alcune volte e la ragazza se n’era innamorata. Aveva lasciato scritto che era il luogo in cui voleva riposare e così era stato.

Il suo desiderio, in realtà, era rimasto un segreto condiviso da solo tre persone, perché Melissa doveva essere sepolta nella cripta del Santuario, un onore concesso a pochi; dopo la sua morte, però, Milo aveva trovato la sua lettera d’addio, dove la ragazza esprimeva la volontà di essere tumulata sulla scogliera, non in un posto buio e freddo. E a chi poteva chiedere aiuto, il cavaliere di Scorpio, se non al suo migliore amico e all’unica persona che aveva dimostrato di amare Melissa? Camus, pur non del tutto d’accordo, lo aiutò a trafugare il corpo, mentre Elettra si occupava della tomba. Furono loro tre gli unici ad assistere alla tumulazione e, al di fuori della ristretta cerchia, solo Ofelia, la sorella di Melissa, fu informata del luogo di sepoltura.

La sparizione del corpo della ragazza era tutt’ora uno dei misteri meglio custoditi del Santuario. E solo gli Dei sapevano quanti segreti celassero quelle mura.

Il padre di Melissa, un capitano delle guardie del Santuario, e i suoi due figli, rozzi e viscidi soldati di truppa, avevano tentato di accusarlo, rendendosi conto ben presto che un cavaliere di quella casta era intoccabile e anche che gli conveniva stargli lontano. Scorpio, infatti, quando aveva saputo i particolari della vicenda di Melissa, era partito deciso a fare strage dei membri maschi della famiglia; solo Camus era riuscito a riportarlo alla ragione, con le maniere forti.

Erano stati giorni strani quelli. Passati addosso come se fossero stati guardati dal di fuori. Con la rabbia che lo riempiva di energia negativa, per poi lasciarlo in balia di una disperazione tanto forte da privarlo di qualsiasi forza, anche quella di sollevare una mano.

In seguito aveva vissuto un periodo di apatia quasi totale, finché Nikolais non lo convinse che l’unico modo per ritrovarsi era allontanarsi da tutto.

Lo aveva fatto. Era andato nel deserto, aveva vissuto per un anno insieme ai beduini; poi il Mediterraneo, esplorato in ogni angolo per quasi due anni. Si era perso molte volte. Nei profumi estranianti dei suk maghrebini, nelle acque cristalline della Croazia, nei vicoli di Istanbul, nelle voci estranee sui traghetti. In notti lunghe e dolorose, dove l’unico rumore era quello dei suoi singhiozzi. Poi Milos lo aveva accolto. Il luogo dove aveva conquistato l’armatura, con le sue case bianche, il profumo di limoni, le campane lontane, i riti dei pescatori. C’era una strana pace irreale sull’isola, sembrava quasi artefatta, come lo era l’apparente tranquillità di Scorpio, però gli aveva fatto bene.

Ora tornava su quella scogliera con il dolore sempre nel cuore, ma consapevole che, qualunque cosa fosse successo, la sua vita era andata avanti comunque, che lo desiderasse oppure no.

 

Vide la tomba. In un punto dove l’erba si faceva più fitta e verde sorgeva una piccola lapide di semplice marmo bianco. Nessun nome, nessuna data. Solo il simbolo dello Scorpione, una specie di M con la coda, scolpita al centro.

Si avvicinò, con già un groppo alla gola e gli occhi lucidi. La tomba era curata, l’erba tagliata, il marmo pulito. Il piccolo roseto che la circondava era ben tenuto e cominciavano a spuntare piccoli boccioli di rose gialle, le preferite di Melissa. Era stato proprio Milo a piantarlo, il giorno del funerale.

Si stupì, ad ogni modo, di trovare quell’ordine. Era segno che qualcuno accudiva con devozione la tomba e non lo avrebbe creduto. Chi poteva mai essere? Sapeva che Ofelia viveva al nord, quindi era improbabile che fosse lei. Camus non era certo il tipo che… ma sì, non poteva che essere la Divina Elettra a farlo. Era la soluzione più logica, pensandoci. Al ritorno sarebbe andato a ringraziarla di persona. Ora aveva altro cui pensare.

Si chinò sull’erba, ma la sua mente era già altrove, non vedeva più il mare e il cielo. Solo gli occhi di Melissa. I loro giorni insieme. Il primo sguardo che si scambiarono, la prima carezza… il primo bacio. E quando decisero di fare l’amore, inesperti entrambi e un po’ imbarazzati. Il corpo di lei, fragile e magro… e quei lividi, c’era sempre una buona scusa. “Sono proprio imbranata!” Diceva; ma essere picchiati non è come colpire per sbaglio uno spigolo, i segni sono diversi. Le raccomandazioni così inutili di Milo, che non sapeva, no, non poteva capire. La consapevolezza arresa di Melissa, convinta che al peggio di un essere umano non ci fosse mai fine. Una giovane vita talmente privata di speranza da non riuscire a vedere neanche il riflesso di un futuro migliore. Una morte improvvisa, che aveva colto di sorpresa solo chi non aveva intuito la disperazione della ragazza.

Milo lo aveva fatto. Sentiva la disperazione in lei, nonostante lo avesse voluto tenere lontano da quel lato della sua vita. C’era qualcosa d’irrimediabilmente spezzato in Melissa e quando era morta, Milo aveva capito la propria impotenza, perché anche se lui l’aveva amata, non era stato in suo potere salvarla. Questo aveva alimentato il suo senso di colpa nel corso di quegli anni trascorsi a tormentarsi.

Era passato molto tempo, adesso, e altro ne sarebbe dovuto passare, prima che lui guarisse, che potesse rinascere denudato dagli sbagli e dai peccati, pronto a danzare sulla tomba della sua vecchia anima. (*) Non aveva perso la speranza, la ricostruzione era lunga e dolorosa, ma non si sarebbe arreso.

Si asciugò il viso bagnato dalle lacrime e sorrise appena, come se avesse davanti Melissa che gli diceva di non piangere, poi si sporse verso la lapide e scavò alla sua base. Un bocciolo più grande degli altri, già pronto a fiorire, lambiva il marmo. La ricerca fu breve, ricordava perfettamente di averlo messo lì prima di partire, cinque anni prima.

Era un medaglione di forma ovale attaccato ad una catenina d’oro. Una cornice di oro rosso formava una specie di stella a molte punte al cui interno spiccava il simbolo dello Scorpione. Milo, da quando aveva memoria, lo aveva sempre posseduto; forse era l’unico collegamento con la sua vera famiglia, ma non c’erano conferme. Un tempo lo aveva donato a Melissa, ma lei non aveva potuto indossarlo, così aveva continuato a portarlo lui. Rappresentava, ad ogni modo, il legame tra loro due, per questo, quando Scorpio era partito, lo aveva lasciato lì. La garanzia del suo ritorno ed un modo per continuare comunque a starle vicino.

Il ragazzo risistemò la terra smossa, poi si alzò. Aprì il pugno e pulì la superficie dorata del gioiello, che brillò al sole, quindi se lo mise al collo; il metallo freddo gli trasmise un brivido familiare. Abbassò di nuovo gli occhi sulla lapide.

“Sono tornato, hai visto Melissa?” Mormorò cercando di trattenere le lacrime. “Non ti lascerò mai più sola così a lungo.” Continuò con voce tremante. “Sto ancora male, a volte, sai… ma non ti preoccupare, io… ce la farò…” Sospirò e sfiorò la lapide con la punta delle dita; quindi si asciugò le ultime lacrime prima che gli scendessero dagli occhi, poi riprese il sentiero in discesa.

La lunga strada della salvezza. Sarebbe riuscito a percorrerla completamente solo quando avesse compreso che, ormai, l’unico da salvare era lui stesso. Aveva speranza nel cuore e questa era già una vittoria. Forse avrebbe avuto bisogno anche di aiuto, se solo avesse trovato la persona adatta. Il futuro lo spaventava ancora, con le sue incertezze, ma avrebbe vissuto giorno per giorno tutto ciò che gli era riservato. Le battaglie. I dubbi. Le scelte. I sentimenti. Poi un mattino si sarebbe svegliato, forse con qualcuno accanto, o forse no, e la paura sarebbe scomparsa.

Sì, sarà una mattina di sole… si disse il cavaliere, poi sorrise al cielo, dove vedeva l’immagine sorridente di Melissa, e lei scomparve dolcemente, nel vento.

 

If there's a light up ahead well brother I don't know
But I got this fever burnin' in my soul
So let's take the good times as they go
And I'll meet you further on up the road

(Further on (up the road) – Bruce Springsteen)

 

FINE

NOTE:

-          (*) anche questa riflessione è tratta da Camilleri, “La voce del violino”.

-          (*) quest’idea della tragedia silenziosa (che condivido in pieno) me l’ha data un libro di Andrea Camilleri che ho letto quest’estate “La luna di carta”, che consiglio come tutti i romanzi dell’autore siciliano.

-          (*) non pensate che all’improvviso mi sia data alla filosofia, ho solo rielaborato un concetto che mi piaceva, espresso nei versi di una canzone che amo. Li riporto per correttezza: “Tonight I'm gonna get birth naked and bury my old soul / And dance on its grave” (Long time coming – Bruce Springsteen). Tutto il testo sarebbe da citare, cmq… ^__-

-          Further on… questa canzone era perfetta per chiudere la storia, perché come quasi tutte quelle dello zio Bruce è piena di speranza, nonostante tutto, e voglio dargliene di speranza, al nostro Milo.

 

E ora, finite le cose serie, si apre lo spazio dello SFOGO MALUPINO!

1.        Lo ammetto, l’idea di un figone con addosso solo un leggero caftano è una dei miei pensieri erotici ricorrenti. Che ci volete fare, sono malata…

2.        Scorpio rockstar è un classico, ormai, ma non ho potuto fare a meno del mio sguardo ma malupino… lo vedete anche voi il suo pancino? L’addominale tirato? L’ombelico? O_O E via, sono andata definitivamente…

3.        Infine non posso che ribadire il mio amore per Milo, che mi conquistò al primo sguardo del primo episodio in cui appare ed è sempre rimasto il mio cavaliere preferito. Del resto non è possibile fare altrimenti, davanti a cotanto splendore! Sbavatrici del mondo uniamoci!

 

Bene, asciugandomi l’ultima goccia di saliva, vi saluto e ringrazio e spero di rifarmi viva presto in questa sezione, altrimenti a presto sulla pagina degli autori!

Un saluto grandissimo a tutti!

CrazyCow

 

 

 

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