Il ritorno di CowgirlSara (/viewuser.php?uid=535)
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** 1 ***
Capitolo 2: *** 2 ***
Capitolo 3: *** 3 ***
Capitolo 4: *** 4 ***
Capitolo 5: *** 5 ***
Capitolo 6: *** 6 ***
Capitolo 7: *** 7 ***
Capitolo 1 *** 1 ***
Nuova pagina 1
Ripubblico
i capitoli già postati perché mi è stato giustamente fatto notare che
ero stata incoerente nelle scelte dei nomi. Adesso opto per quelli originali,
perché ultimamente li preferisco. Non ci saranno altre modifiche sostanziali.
Ringrazio Francine per il consiglio e tutti quelli che hanno commentato finora.
Baci
Sara
Mia terza ff
dedicata ai Cavalieri; stavolta si torna indietro. Scrivendo il seguito di
"Nuova vita…" (quando l’ho finito lo posto ^__-), infatti, mi è
venuta l’ispirazione per questa storia, ambientata immediatamente prima e
durante l’episodio dell’anime intitolato "I cavalieri d’oro". È
stata più che altro l’occasione per dire alcune cosine sul mio cavaliere
preferito ^__^
Per quanto
riguarda il legame tra Milo e Camus, io preferisco vederlo come una bella e vera
amicizia virile, e così credo di averlo reso; spero di non deludere nessuno, ma
non riesco proprio a percepire questa unione omosex che va tanto per la
maggiore. Io, i fighi, preferisco immaginarmeli etero, non voglio togliermi
delle possibilità, che già la roba scarseggia…
Infine, ho messo
delle note in coda al capitolo, se non doveste gradirle, vi prego, fatemelo
sapere, che provvederò a non usarle più.
Grazie fin da ora
a chi vorrà seguire e commentare questo ennesimo tentativo di pseudoscrittura.
Un bacione.
Sara
P.S.: i personaggi
di Saint Seya e le canzoni che eventualmente userò appartengono ai loro
legittimi autori, e vengono usati solo per amore. ^x^
~ Il ritorno
~
Le strade di Atene erano trafficate come sempre, in
quella limpida mattina che, da una parte, profumava di primavera, e
dall’altra, puzzava di nafta e pesce marcio. Da quell’incrocio si vedeva
ancora il porto, i gabbiani, il mare verde-blu, i traghetti, le petroliere scure
a largo.
La radio vomitava vecchi successi degli anni 80, come
se si volesse adattare a quella macchina che proveniva dalla stessa epoca; era
una vissuta Volkswagen Golf che aveva conosciuto tempi migliori, di un
indefinito color grigio-verde. Il sole attraversava il parabrezza investendo il
sedile del passeggero ed uno sgualcito pacchetto di sigarette abbandonato sul
cruscotto.
Il ragazzo alla guida fece un ultimo tiro alla
sigaretta che aveva tra le dita e la gettò dal finestrino appena prima che
scattasse il verde. Alla radio, Bonnie Tyler cantava: “Once
upon a time I was falling in love / But now I'm only falling apart / There's
nothing I can do / A total eclipse of the heart…”
~
1
~
Il paesaggio era sempre uguale: l’aspra collina
dominava un territorio brullo e inospitale, che avrebbe scoraggiato personaggi
ben più arditi, o incoscienti, di lui; il Santuario, il mare lo aveva alle
spalle e si poteva goderne la vista solo dall’alto.
S’incamminò lungo un sentiero che s’inerpicava,
sassoso, lungo il fianco sbertucciato di una collinetta calcarea; incredibile,
si ricordava perfettamente dove conduceva. Prima di partire aveva gettato
l’ultima sigaretta, fumata a metà, contro un mucchietto di pietre che
facevano da segnale.
Tra poco avrebbe trovato compagnia. Non trascorse
molto tempo, infatti, prima che un gruppo di soldati lo fermasse; si fece avanti
un tipo, elmo, pettorale e schinieri, con una faccia ottusa ed il classico naso
da pugile. Gli ricordò uno di loro e decise che, se lo attaccavano, sarebbe
stato il primo a morire.
“Tu, straniero.” Lo appellò l’uomo. “Non
puoi proseguire, questo territorio è proibito ai forestieri.”
Il ragazzo non rispose, ma, sotto la massa di capelli
scomposti che gli coprivano gli occhi, le sue labbra s’incresparono in un
beffardo sorriso.
“Voi, piuttosto.” Replicò infine. “Fatemi
strada, se ci tenente alla vita.”
“Come osi!” Esclamò indignato il portavoce,
mentre i suoi sgherri si facevano più minacciosi. “Tu non sai con chi stati
parlando!”
“Proprio perché lo so, vi intimo di togliervi di
mezzo.” Ribatté lui tranquillo.
“Non lo ripeterai ancora! Ahhhhhhhhh!”
Gli si lanciarono contro in tre e, mentre due furono
scagliati lontano, con un solo movimento della mano sinistra, a spaccarsi la
testa contro basamenti di colonne spezzate, il terzo rimase inspiegabilmente
bloccato sul posto, come trattenuto da una forza invisibile che emanava
direttamente dalla mente del ragazzo, finché non fu sollevato in aria e
sfracellato contro la parete di roccia. Un altro gruppetto allora lo attaccò,
preso dall’impeto; rimasero a terra in cinque, a torcersi in dolorosi spasmi,
come se un veleno avesse percorso il loro corpo fino al cuore, senza nemmeno
rendersi conto di come fosse successo. I rimasti stavano per fare la stessa
fine, quando furono fermati.
“Stolti!” Gridò una voce profonda dall’alto.
“Non vi accorgete di chi state affrontando?” Tutti, tranne il ragazzo, si
voltarono verso l’uomo in ombra contro il sole, in cima alla rupe. “Le
vostre vite sono un nulla, per un guerriero superiore come lui, desistete, per
il vostro bene!”
Il ragazzo dai capelli lunghi sbuffò; quel modo di
parlare pomposo era veramente ridicolo, ma si ricordò che lì, era un po’ la
regola. Lui odiava le regole.
Il nuovo venuto, nel frattempo, balzò elegantemente
giù dalla rupe, piazzandosi davanti ai soldati.
“Ben trovato,
Aiolia.” Lo salutò l’altro, con
tono disincantato.
“Ben trovato a te, Milo di Scorpio.” Replicò
lui, poi si guardò intorno. “Perché hai fatto questo?” Gli domandò,
indicando gli uomini a terra.
Milo diede un’occhiata supponente all’ammasso di
corpi lamentosi ai suoi piedi, quindi guardò Ioria con un sorriso sardonico.
“Se non sono capaci di riconoscere chi hanno davanti è questo che meritano,
ma hai ragione tu, non vale la pena di sporcarsi le mani.”
Si fissarono per un lungo istante; i severi occhi
verde oceano di Aiolia in quelli beffardi di Milo che, nonostante fossero coperti
da una zazzera ribelle, restavano di un azzurro trasparente.
“Il Grande Sacerdote ti manda a chiamare, e tu ti
presenti così?” Lo rimproverò infine il cavaliere di Leo, osservando la sua
pietosa condizione.
Beh, certo, le vecchie scarpe
da ginnastica con la
punta un po’ sbucciata, i jeans troppo vissuti, con strappi sulle ginocchia,
le cosce e il sedere, e la camicia un po’ sgualcita non erano esattamente
da sfilata, specie se associati alla barba di tre giorni ed ai capelli non
troppo puliti, legati con un vecchio elastico di spugna sfilacciato.
Scorpio si guardò, poi rialzò gli occhi su Ioria,
stringendosi nelle spalle con fare indifferente; Leo contrasse la mascella, la
strafottenza di Milo non l’aveva mai sopportata.
“E dov’è la tua armatura?” Gli domandò,
cercando di farsi sbollire la rabbia.
“Ah!” Fece Milo, posando le mani sui fianchi.
“L’ho lasciata nel bagagliaio della macchina, vai a prenderla tu? È un
vecchia Golf color catarro…” Rispose poi, sarcastico.
“Credi di essere spiritoso?” Replicò torvo
l’altro. “Tu sei un cavaliere della casta suprema, il tuo dovere…”
“E lascialo in pace,
Aiolia!” Tuonò una voce alle
sue spalle. “È appena arrivato, Santi Numi, fallo acclimatare!”
I due cavalieri si voltarono per vedere il nuovo
venuto; era un ragazzo alto, col fisico slanciato e le spalle di un nuotatore.
Capelli lunghi, occhi blu.
“Camus!” Esclamò allegro Milo.
Aiolia, invece, si fece ancora più cupo, e fissò il
cavaliere di Acquarius da sotto le sopracciglia minacciosamente aggrottate.
“Che ci fai qui?” Gli chiese.
“Hm…” Fece Camus vago. “Sospettavo che il
vostro incontro non sarebbe stato all’insegna dell’affetto, quindi sono
sceso.”
“Come potrei salutare degnamente quest’uomo?”
Ribatté Leo, indicando il compagno. “È inaccettabile l’atteggiamento con
cui si è presentato!”
“Aiolia,
ragazzo mio.” Disse Camus, scuotendo il
capo e stringendo una spalla del cavaliere della quinta casa. “Facciamo così,
io mi prendo questo derelitto e lo rimetto a nuovo, tu fai recuperare la sua
armatura, e ti prometto che prima del tramonto sarà al Tempio.”
Leo fissò per un attimo gli occhi furbi di Acquarius,
poi si voltò verso Scorpio ed il suo sorriso strafottente, quindi si scostò
dalla presa del primo.
“E sia, ma non ve ne approfittate.” Accettò, poi
gli diede le spalle, allontanandosi con ciò che rimaneva degli improvvidi
soldati.
Camus si voltò verso Milo facendo una buffa smorfia
scocciata, lui rise, poi s’incamminarono verso il Tempio.
“Non ti sta molto simpatico
Aiolia, eh?” Gli
domandò Scorpio, mentre camminavano.
“Ehm…” Grugnì Acquarius. “È un cazzone
quello, tutto chiacchiere e armatura, quando il suo ego esploderà sentiranno il
botto fino al Pireo!”
“Eheheheh, sempre acidi, vero?” Rise Milo. “Il
lupo siberiano perde il pelo, ma…”
L’altro cavaliere lo guardò sorridendo.
“Preferisco mantenere le vecchie, sane, cattive abitudini.” Scherzò. “Mi
sei mancato, amico mio.” Aggiunse poi, stringendogli la spalla.
“Anche tu.” Rispose Milo. “Ma fatti un po’
vedere.” Continuò, allontanandosi di un passo. “Mi sembri un po’
invecchiato…” Commentò poi, mettendo la mano sotto il mento.
“Invecchiato?!” Esclamò Camus offeso.
“Guardami bene, sono l’uomo più bello del Grande Tempio!” Proclamò
quindi, allargando le braccia.
Scorpio ridacchiò. “Quando scoppierà il tuo, di
ego, l’onda d’urto arriverà perfino nella tua amata Siberia, dammi
retta.” Scoppiarono entrambi a ridere.
CONTINUA
NOTE:
- penso che vi spiegherò più
avanti a chi si riferisce Milo quando dice che il soldato gli ricorda
“loro”.
- La canzone! La canzone? Sì,
la canzone in introduzione è, ovviamente, "Total eclipse of the heart",
una delle mie preferite in assoluto, e il verso in particolare non è scelto a
caso.
SFOGO
MALUPINO:
1 – Non so voi, ma io mi sono
fatta un’idea mooolto precisa del fondoschiena di Milo dentro a quei jeans
strappati… data la saliva che ho sprecato, sto ancora seguendo una scrupolosa
cura per recuperare i liquidi persi… ¬_¬
2 – Ho pensato che il
fisico di un nuotatore era perfetto per Camus, e siccome il mio nuotatore
preferito è, e sarà sempre, il divino Alexander Popov, vi voglio mettere un
link per farvi un’idea del corpo di quest’uomo… http://go.virgilio.it/clkc_M_search_immagini_google_0__1_41/http://photogallery.tiscali.it/repository/uomini/Alexander_popov/popov01.jpg
3 – Siccome bisogna dare a Cesare quel che è suo e,
nonostante abbia un carattere un po’ così, sono costretta ad ammettere che
anche Ioria l’è un bel topone!
E con questo i miei ormoni ballerini fanno l’inchino e
salutano alla prossima! Ciaoooo!
CrazyCow
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Capitolo 2 *** 2 ***
Nuova pagina 1
Siccome
un solo capitolo non è sufficiente a giudicare, vi posto subito il secondo;
fatemi sapere cosa ne pensate. Grazie a blustar e Swan per le recensioni. A
presto! Un bacione.
Sara
~ 2
~
La sagoma svettante
dell’Ottava Casa dello Zodiaco torreggiava di fronte a loro, con la sagoma
dello Scorpione posta a minaccioso saluto; dall’interno buio e cupo proveniva
soltanto aria fredda e un vago odore di muffa.
“Com’è dentro?” Domandò
preoccupato Milo, fissando il buco d’ombra che sarebbe stata l’entrata.
“Polveroso, immagino.”
Rispose laconico Camus.
“Errr…” Si lamentò
l’altro.
“Senti, poche storie bello!”
Esclamò Acquarius, spingendolo oltre la soglia. “Devi lavarti, puzzi come se
avessi passato gli ultimi cinque anni nel magazzino di una pescheria!”
“Vivevo vicino al porto.” Si
giustificò lui.
“Secondo me, vivevi proprio a
mollo nello scalo pescherecci, e poi cos’è…” Lo annusò. “Questo è
fumo di sigarette…”
“Hm… ho appena smesso di
fumare.” Spiegò Scorpio.
“Da quanto?” Chiese
perplesso l’amico.
“Ho gettato l’ultima
sigaretta ai piedi del Santuario, circa un’ora fa…” Rispose Milo,
massaggiandosi la nuca.
“Non voglio sentire più
niente.” Affermò perentorio Camus, continuando a spingerlo. “Ma lavati
anche i denti.”
Un’ora dopo, più o meno,
Acquarius era seduto al tavolo del piccolo soggiorno al piano superiore
dell’ottava casa. Tutte le case dello Zodiaco avevano quelle che erano
chiamate “le stanze segrete”, situate di solito nel sottotetto, oppure nei
sotterranei; queste stanze erano usate come vera e propria abitazione dai
cavalieri che non si stabilivano altrove, oppure come biblioteche, magazzini, o
per l’uso più conveniente al loro custode.
Camus si grattò un orecchio,
infastidito dall’odore di chiuso della stanza, che non veniva per niente
alleviato dalla piccola finestra; il cavaliere incrociò le braccia e cominciò
a dondolarsi con la sedia.
“Hey, ci vogliamo sbrigare?”
Vociò all’amico, che stava ancora in bagno. “Non ho mica tutta la giornata,
io!”
“E dammi pace!” Protestò
Milo. “Non si vede una beneamata sega qui, vuoi che mi tagli il naso?!”
l’unica risposta fu una risatina poco divertita.
Scorpio si guardò nello
specchio, dopo aver tolto l’ultima striscia di schiuma da barba; era strano
essere di nuovo lì, la successione degli eventi non gli aveva dato tempo di
pensarci.
Il luogo in cui era cresciuto…
bambino tra altri bambini, adulti che da lui volevano solo impegno e devozione,
che l’infarcivano di retorica ed epica, che lo sfiancavano in addestramenti
cui nessun bambino dovrebbe essere sottoposto… e poi, un adolescente ribelle,
insofferente a quegli stessi adulti che fino al giorno prima chiamava maestri,
salvato dall’autodistruzione dalla mano che gli aveva porto un libro…
un’armatura d’oro… un ragazzo innamorato… una felicità ed un dolore che
nulla avrebbe potuto eguagliare… un dolore…
Un familiare magone gli si formò
alla bocca dello stomaco ed un nodo soffocante gli attanagliò la gola; abbassò
il viso nel lavandino, lavandoselo con l’acqua fredda, prima che gli occhi gli
si riempissero di lacrime.
Quando tornò in soggiorno, con
addosso soltanto le mutande, trovò Acquarius seduto sullo scrigno della sua
armatura; sorrise beffardo, mentre l’altro si alzava.
“Cominciavo a darti per
disperso.” Esordì l’amico, corrispondendo al sorriso.
Camus indossava, sopra ai jeans
scoloriti, una larga e finissima camicia di lino bianco, con lo scollo
all’indiana ricamato d’oro; una roba che, su chiunque altro, sarebbe
sembrata eccessiva. Su di lui no; la portava con una nonchalance che avrebbe
fatto l’invidia di un indossatore professionista, e se lo poteva permettere.
Forse per quello, Milo la notava solo ora.
Camus di Acquarius. Slanciato,
elegante e gelido come la lama di una di quelle spade giapponesi, e forse per
questo altrettanto letale in battaglia; tutto ciò lo aveva reso, negl’anni,
un modello da imitare per Scorpio, cavaliere più giovane ed irruento. Si
sorrisero di nuovo.
“Vuoi una birra?” Chiese il
cavaliere dell’undicesima casa, porgendogli una bottiglia scura.
“Sì, grazie!” Accettò
volentieri Milo, prendendola, ma poi la guardò perplesso. “Ma è calda!” Si
lamentò quindi.
“Scusa, non c’è corrente
elettrica, come caspita pensi che possa aver acceso il frigorifero?!” Replicò
Camus indispettito, ma sarebbe stato difficile dire se faceva sul serio.
“Ma come…” Riprese
l’altro. “…non mi dirai che il grande Camus di Acquarius, signore e
padrone delle energie fredde, adesso ha bisogno di un frigorifero…” Gli
disse con uno sguardo provocatorio.
“Mi stai provocando?”
Chiese, infatti, lui con un’occhiata obliqua. “No, dico, mi stai
provocando?” Insisté, strappandogli di mano la bottiglia; Scorpio gongolava.
L’amico si avvicinò, quindi,
al tavolo e stappò la bottiglia contro il bordo con un rapido gesto, senza
togliere gli occhi da quelli dell’amico, poi l’avvicinò alle labbra e ci
soffiò dentro; in un istante la birra si raffreddò, formando anche un lieve
strato di brina sul vetro.
“Adesso è perfetta.”
Proclamò restituendogliela.
“Eheh, sapevo che l’avresti
fatto!” Commentò Milo ridendo. “Spero per te che non usi questa tecnica
anche con le donne, altrimenti scordati di essere baciato ancora!” Aggiunse,
per tutta risposta ottenne uno scappellotto sulla nuca.
Pochi minuti dopo erano seduti
sulle scale che portavano al piano inferiore; lì si respirava meglio, anche se
era piuttosto buio. Entrambi i cavalieri fissavano il vuoto, sorseggiando le
loro birre, ora belle fresche.
“A proposito.” Fece ad un
certo punto Scorpio. “Ti vedi ancora con Vulva di Pietra?” Domandò
all’amico.
Acquarius si girò verso di lui
sorpreso; prima lo guardò male, ma poi ridacchiò, abbassando il capo. “Sì…”
Rispose infine. “Ma perché la chiami così?”
“Bah, non lo so, mi ha sempre
dato quell’impressione…” Spiegò Milo.
“Non hai idea di quanto ti
sbagli.” Commentò Camus, alzando gli occhi blu nel buio. “Ma comunque sì,
stiamo ancora insieme… per quanto sembri strano.”
“E cosa dicono qui, del fatto
che frequenti una rinnegata?” Chiese l’altro, abbassando inspiegabilmente la
voce.
Lui tornò a guardarlo, gli
occhi cupi. “Non sono affari loro, la mia vita privata è solo mia… e, ad
ogni modo, siamo tutti sotto controllo, di questi tempi.”
“Che cosa vuoi…” Ma Camus
mise fine alla discussione alzandosi.
“Preparati ora, non possiamo
far aspettare troppo il Grande Cazzone Supremo.” Affermò stiracchiandosi;
Scorpio capì che il discorso era chiuso.
Camus era seduto sull’ampio
corrimano di marmo delle scale che conducevano al Tempio, l’edificio
principale del Santuario di Atena, in attesa del suo amico che era ora
all’interno; guardando il sole infuocarsi nel tramonto, il cavaliere pensava
che, in fondo, non gl’importava poi molto di quello che stava succedendo lì,
il suo primo pensiero era sempre lei, da anni.
Elettra di Zeus, Gran Sacerdotessa del Padre Celeste,
figlia del Cielo e della Folgore, questo era lei, certo, occhi azzurri come il
cielo e capelli d’oro come il fulmine del grande padre, carattere di ferro
come i martelli che lo forgiarono, ma era anche molto di più. Era qualcosa di
diverso; soprattutto lì, tra le mura sacre ad Atena, era la Traditrice. Era
stata l’amante dell’uomo che aveva osato violare col sangue l’altare della
Dea, macchiare di vilipendio la notte a Lei sacra, ed ora accoglieva traditori e
reietti, oppositori, si diceva avesse favorito la fuga di Ariete, che cospirasse
contro il Grande Sacerdote Arles, che mirasse al suo trono, che appoggiasse
apertamente questi millantati Cavalieri di Bronzo venuti da oriente…
Poco gl’interessava, alla
fine, di tutto questo, conosceva Elettra da una vita intera e sapeva che non era
capace di azioni maligne, era una persona sincera e umile, soprattutto umile, e
le sue ambizioni erano abbastanza soddisfatte così, aveva comunque un potere
immenso. E poi l’amava. L’amava così tanto che, a volte, riusciva ad
odiarla per questo, perché lui, nel suo smisurato orgoglio, non sopportava la
necessità che aveva di lei. E non sopportava di venire secondo… terzo, forse
addirittura terzo! nel suo cuore.
Beh, il primo non poteva sperare
di contrastarlo, e nemmeno voleva; era Alexandros, il figlio di Elettra, il
Bambino d’Oro, come usava chiamarlo lui, che sembrava vivere costantemente
circondato da un’aura dorata, come se la mano amorevole di una divinità fosse
sempre posata sul suo capo. Quello che gli dava fastidio era confrontarsi con il
Fantasma.
Scomparso da tredici anni,
accusato di tradimento, morto da fuggiasco, sepolto chissà dove, che aveva
trascinato con se nell’oblio la Sacra Armatura di Sagitter, la più cara alla
Dea; eppure, nonostante tutto, il suo ricordo sovrastava ogni cosa, splendente
immagine di un amore più forte del destino. Lo aveva odiato, Aioros, da vivo, e
lo odiava ancora di più ora che era morto, perché lasciando il mondo dei vivi
era diventato qualcosa di più di uomo.
Gelò il piccolo sasso che aveva
tra le dita fino a polverizzarlo; nessuno doveva sospettare questi suoi
sentimenti, le passioni che agitavano il suo cuore, per tutti lui, Camus di
Acquarius, doveva restare il gelido guerriero di sempre, non lo avrebbero colto
in fallo.
“Hey.” Lo richiamò una
voce; voltandosi si trovò davanti Milo, bardato nella sua splendente armatura
dello Scorpione.
“Hai fatto presto.” Commentò
Camus, alzandosi.
“Hm…” Fece Scorpio, stringendosi nelle spalle,
mentre lo precedeva sulle scale. “Un tizio rinsecchito e ampolloso mi
annunciato che il Gran Sacerdote mi riceverà domani a mezzogiorno.”
“Umpf… il primo
ministro…” Scimmiottò Acquarius, con tono disgustato.
“Che fine ha fatto quello
basso e grasso? Il tipo che c’era prima?” Domandò incuriosito il più
giovane; Camus gli rivolse un sorriso furbo.
“Un giorno, dopo l’ennesimo fallimento
dei suoi sicari, si è offerto volontario
per affrontare il nemico…” Era
strana la scelta delle parole che sottolineava. “…e non è più tornato.”
“Ehehehehe!” Rise Milo.
“Se il codardo non è morto, e
mi auguro di sì, a quest’ora sarà rintanato in qualche buca adatta ai
conigli come lui, timoroso anche solo di mettere fuori il naso, per paura della longa
manus del nostro Cazzone Supremo.” Affermò con rabbia.
“Non si può dire che fosse
tra i tuoi preferiti…” Commentò ironico Milo, scendendo le scale.
“No, non hai capito.” Lo
bloccò l’altro, strattonandolo per un braccio, affinché lo guardasse
negl’occhi. “Quello che mi da fastidio è il fatto che noi
ci dobbiamo inchinare davanti a certa gente, che ha fatto carriera solo perché
è brava a baciare le pile di quelli come Arles, e valgono meno della suola
delle nostre scarpe. Noi, che dovremmo
piegarci solo davanti al Grande Sacerdote, o ad Atena in persona, siamo invece
costretti a farlo davanti a comuni, infimi, mortali, che non hanno nemmeno idea
del potere che hanno davanti.” Fremevano gli occhi di Acquarius, come fiamme.
“Non sanno che potremmo spazzare via tutta la loro schiera di insulsi
burocrati con un solo gesto, dovrebbero temerci, invece ci disprezzano.”
Milo si sottrasse alla sua
presa, intimorito. “Ma che cosa sta succedendo qui?” Domandò allarmato.
“Guarda con i tuoi occhi.”
Gli rispose Camus, indicando un punto oltre le rocce che coprivano i lati della
scala.
Un gruppo di soldati trasportava
i cadaveri di due giovani su una sola barella, i loro corpi sembravano
martoriati, coperti di ecchimosi e ferite sanguinose; Scorpio spalancò gli
occhi.
“Traditori?” Domandò poi
con un filo di voce.
“Sì.” Annuì l’amico.
“Ma colpevoli solo di aver diffuso idee contrarie alla dottrina di Arles.”
Spiegò poi, mentre le azzurre iridi di Milo stentavano a staccarsi dalle figure
che si allontanavano. “E questa dovrebbe essere la sede suprema della
giustizia? C’è qualcosa che non va.” Dichiarò ancora Camus.
“Ma non possiamo
intervenire?” Fece l’altro, voltandosi verso di lui. “Noi siamo la schiera
eletta dei guerrieri di Atena, dovremmo essere noi ad amministrare la legge,
e…”
“La schiera eletta, oh, sì!”
Sbottò Acquarius, dandogli le spalle. “Non tutti si pongono domande come
facciamo noi, Milo.” Continuò poi, tornando a guardarlo. “Finché ci
saranno persone come Death Mask, Aphrodite, Aldebaran o Shura, le cose non
cambieranno, loro sono convinti di essere dalla parte giusta e non si fanno
impietosire da un morto in più o in meno. Sono fedeli ad Arles, vuoi metterti
contro di loro?”
“No! Non è questo!” Replicò
l’altro stringendo i pugni. “Ma siamo tutti cavalieri d’oro, dovremmo
collaborare per…”
“Non siamo niente, ma non
capisci!” L’interruppe Camus. “Non c’è più nessuno che ci tenga uniti,
non c’è Libra, non c’è Sagittarius, siamo soli, ognuno gioca per se al
Grande Tempio, ora.” Affermò poi, prendendolo per le spalle. “È meglio che
impari quanto prima a farlo anche tu, non dovrebbe riuscirti difficile.”
Scorpio non lo guardava, i suoi
occhi erano rivolti in basso, sull’acquamarina che adornava la cintura
dell’armatura di Acquarius; quando rialzò il capo trovò l’amico che lo
fissava.
“Hai mai pensato, anche solo
per un attimo, che quelle voci possano essere vere?” Gli chiese, aggrottando
serio la fronte. “Se quella fanciulla fosse davvero chi dice di essere…”
“Taci!” Gl’intimò
perentorio l’altro, pur a bassa voce. “Adesso parli come un traditore.”
“Tu li frequenti, i
traditori.” Ribatté Milo; Camus sgranò gli occhi, si scostò di un passo e
lo colpì con un violento manrovescio che gli fece cadere l’elmo e scendere un
rivolo di sangue dalle labbra.
“Che questa conversazione
rimanga tra noi, mangiati la lingua, va bene?” Gli consigliò poi, glaciale.
“Adesso andiamo a toglierci questa ferraglia, t’invito a cena.” Aggiunse,
con aria indifferente, e s’incamminò giù per le scale.
CONTINUA
NOTE:
-
A quanto pare si comincia a capire che i nostri due begli omini hanno una
gran confusione nelle loro ipertricotiche testoline, e non è ancora niente.
-
Elettra. Temo che dovrete sopportarla, è un personaggio ricorrente nelle
mie ff, e chi ha letto “Nuova vita al Grande Tempio” lo sa; qui però sarà
solo citata, almeno credo…
-
Ah, spero che l’epiteto Grande Cazzone Supremo, rivolto ad Arles/Saga,
non offenda nessuno; mi sembrava adatto da parte di Camus, e cmq a me il
personaggio è sempre stato simpatico.
SFOGO
MALUPINO:
1 – Milo in cucina in mutande… No, dai, Sara,
resistiiii… la pelle abbronzata, i muscoli, i boxer aderenti… sbav! sbav!
No, non ci devo pensare! Non ci devo pensare! Arfffff….
2 – Ok, il primo piano sulla camicia di
Camus me lo potevo risparmiare, ma ce lo vedevo troppo vestito così! Mi sembra
di vedere la stoffa leggera trasparire appena, s’intravede la pelle, e…
3 – Sì, lo ammetto, ho fatto pensieri cattivi
anche immaginando le labbra di Camus soffiare nella bottiglia, confesso!
A volte mi chiedo se sono normale… Mia mamma dice:
“Ahi, che passione, averlo di ciccia e baciarlo di cartone!”, ma siccome io
non ho, in carne ed ossa, un uomo (e soprattutto uno così) al momento, mi
accontento di sognare. Anche alla mia età gli sfoghi ci vogliono! Alla
prossima!
CrazyCow
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Capitolo 3 *** 3 ***
Buonasera
Buonasera! Eccoci
qua con un nuovo capitolo, sempre che interessi a qualcuno… Beh, alla fine
della settimana parto per le vacanze, ma penso di mettere almeno il capitolo 4
(anche perché il resto è in lavorazione ^__^). Grazie a kiana, blustar,
Lilychang e Eirien per i commenti. Un bacio a tutti!
Sara
~
3 ~
La
macchina percorreva senza fretta le strade della città immerse nelle ultime
luci del crepuscolo; i lampioni e le insegne dei locali si accendevano uno dopo
l’altro, silenziose, oltre i vetri oscurati del fuoristrada.
L’atmosfera
all’interno dell’abitacolo era strana; Milo si stava domandando se Camus ce
l’avesse con lui, era sempre difficile sapere cosa stesse pensando l’amico.
Impenetrabile come un muro di ghiaccio. Lui, invece, non era adirato: lo aveva
provocato e meritava una punizione; la ferita al labbro, però, bruciava ancora.
La
sua mente ritornò per un attimo alla discussione del pomeriggio. I suoi dubbi
restavano intatti; per cinque anni non si era chiesto cosa succedesse al
Santuario, sapeva solo che, se lo avessero richiamato, sarebbe dovuto tornare.
Lui era un cavaliere, il suo primo dovere era verso la Dea e, per quanto ne
poteva sapere, Arles parlava per Lei. Adesso, però…
Le
parole di Camus avevano smosso qualcosa dentro di lui, toccato un dubbio che
forse covava dentro il suo animo da tempo; per anni la sua mente era stata
rivolta altrove, occupata in altri pensieri. Foschi pensieri. Adesso era tempo
di riprendere il suo posto, di essere il cavaliere che era nato per essere. O
forse era solo un modo qualunque per risalire la china.
Qualunque
fosse il motivo, l’unico modo per fugare le sue incertezze era restare ad
Atene.
Scrutò
il profilo serio di Camus, che fissava attento la strada, le sue lunghe mani
eleganti sul volante; perché non gli rivolgeva la parola? Sì, certo, era tipo
capace di tenere rancore per una vita, ma…
“Hai
voglia di mangiare pesce, oppure…” L’improvvisa domanda rispose alle sue
elucubrazioni; il tono era normale, controllato.
“No,
pesce no, ti prego!” Rispose Milo, alzando le mani. “Non ho mangiato altro
per cinque anni!” Aggiunse inorridito.
“Una
bistecca italiana?” Chiese allora Camus, girandosi con un sorriso; Scorpio
acconsentì e proseguirono, dopo essersi sorrisi con complicità.
Milo
tornò a guardare fuori dal finestrino. L’elegante carrozzeria blu oltremare
dell’auto sfilava sotto i primi lampioni della sera, lucida e silenziosa; il
ragazzo sfiorò con una mano la superficie del prestigioso sedile in pelle nera
e carezzò con gli occhi l’ipertecnologico ma funzionale cruscotto, poi si girò
verso l’amico con uno dei suoi sorrisetti ironici.
"Certo
che hai messo su proprio una macchina da figo." Affermò infine.
Camus
si girò appena, spalancando gli occhi sorpreso. "Che, non sono un figo,
io?" Gli fece.
"Come
no." Replicò lui, sprofondando in quel sedile comodo come una poltrona.
"Ma questa è un auto da figo che se la tira." Aggiunse con
disincanto.
L’occhiata
di Acquarius fu gelida. "Senti…" Rispose quindi, con un gesto della
mano. "…non fare tanto l’alternativo con me, li conosco i tuoi gusti in
fatto di macchine, e poi, scusa, già là dentro…" Ed indicò un
punto alle sue spalle con il pollice. "…sono costretto ad abbassare la
testa davanti ad insignificanti vermi, che almeno fuori la gente capisca subito
che sono superiore!"
Milo
lo guardava divertito. "A me va benissimo." Ribatté quindi, alzando
le mani. "Basta che al prossimo semaforo non sali sopra ad
un’utilitaria…"
La
presa in giro era talmente palese che anche a Camus venne da ridere; cercò di
trattenersi, ma non gli riuscì. "Non cambierai mai, Milo, è bello
riaverti qui!" Esclamò quindi, dandogli una pacca sul ginocchio.
La
cena fu all’insegna del vino rosso e dei vecchi aneddoti. Scorpio scoprì così
che fine aveva fatto una sua acerrima nemica. Pelle candida, profumo di
caprifoglio e… artigli spietati: Shaina cavaliere d’argento dell’Ofiuco.
Pare che la sacerdotessa guerriero favorita del Gran Sacerdote, dopo
innumerevoli, quanto inspiegabilmente insistenti, attacchi ai Cavalieri di
Bronzo, e successivamente all’ennesimo fallimento, fosse scomparsa nel nulla;
forse passata al nemico, o forse, più probabile, ribelle agli ordini del
Santuario, partita da sola per un nuovo attacco. Fatto sta che era attualmente
irreperibile. Quello che Milo ricordava meglio di lei, era il suo affetto per la
piccola Celeste, un’energica sacerdotessa guerriero che era stata il primo
amore del saint dell’ottava casa, trasformato poi in rabbia violenta dopo
l’improvvisa sparizione di questa, a seguito della loro rottura; certo,
ricordava anche il suo maldestro tentativo di ucciderlo, senza sapere chi si
trovava di fronte. E la ricordava a terra, umiliata e dolente, con una puntura
della Cuspide nella spalla, senza nemmeno essersi accorta di come era successo.
I
casi della vita, le persone s’incontrano, a volte si piacciono, a volte no.
Non siamo sempre e comunque compatibili con gli altri. Era particolarmente vero
detto da lui, che negli ultimi cinque anni si era sentito incompatibile col
mondo intero.
Alzò
gli occhi su Camus, che stava finendo la sua bistecca. Acquarius era una delle
poche persone al Santuario che lui avesse veramente ammirato. Perché lui era
coerente con se stesso, non scendeva a patti, o era bianco o era nero; per il
cavaliere dell’undicesima casa non esistevano le grigie vie di mezzo in cui
Milo aveva trascorso l’esistenza. Quel giorno, però, aveva notato in lui una
fragilità che non conosceva. Una strana impazienza. E la rabbia. Era come se
Camus, nel momento in cui lo aveva colpito, avesse per un attimo abbassato la
maschera glaciale che indossava sempre, per mostrare l’uomo dietro al
cavaliere. L’attimo era durato troppo poco, e, adesso, Milo non poteva fare a
meno di chiedersi quanto profondo fosse il suo turbamento.
La
serata proseguì in un locale, e lì, Scorpio cominciò a preoccuparsi. Camus
continuava a ridere e scherzare, ma anche a bere… e lanciare occhiate
seducenti a tutte le ragazze carine che entravano, nonché ad attaccare bottone
con alcune di loro, anche in maniera piuttosto esplicita.
Beh,
certo, anche Milo s’era fatto notare, ma non certo per volontà; il fatto era
che da quelle parti non se ne vedevano molti come loro. Dalle occhiate che gli
lanciavano, il cavaliere si sentiva come un succulento pollo arrosto davanti ad
un massa di affamati. Ma lui non era pronto.
Cinque
anni. Quattro o cinque volte. Solo fisico. Poco appagante. Semplicemente
squallido. E poi tornava quel vuoto. Un vuoto che ti risucchiava l’anima come
il cuore di una stella morta. Morta. Come lei. Le ferite sanguinavano ancora.
Nessuno come lei.
Chissà
se un giorno avrebbe trovato qualcuno capace di curarle, le sue ferite, qualcuno
di benefico, di forte e dolce… qualcuno di speciale. Ci sperava, ci sperava
davvero.
Milo
si alzò quasi all’improvviso, rifiutando gentilmente la compagnia
dell’ennesima ragazza in minigonna attratta dai suoi occhi azzurri come il
cielo nel deserto, e si diresse verso il bagno, aveva bevuto decisamente troppo.
Quando tornò in sala, Camus era sparito.
Provò
a concentrarsi per percepire il suo cosmo. Il segnale gli arrivò distorto e
offuscato. Acquarius era ubriaco, ma non c’erano dubbi, si trovava fuori. Il
parcheggio non era grande e poco illuminato; i sensi da cavaliere di Milo gli
fecero percepire subito due voci ansimanti, nel buio alla sua destra.
Nell’angolo tra un muro ed una ringhiera c’erano Camus ed una ragazza dai
capelli troppo neri che si davano da fare. Scorpio spalancò gli occhi incredulo
e si diresse verso di loro a grandi passi.
"Per
tutti i fulmini di Zeus, ma che cazzo stai facendo?!" Gli gridò con
rabbia.
"Ma
che vuole questo?" Fece la ragazza con aria distratta, masticando una
gomma.
"Vuoi
unirti a noi, mon amis?" Domandò provocatorio Camus, rispolverando
il suo francese.
Milo,
a questa battuta, perse il controllo, face un ultimo passo, afferrandolo ad un
braccio con una stretta d’acciaio e strappandolo dalla ragazza con un ringhio;
la tipa cercò di ricomporsi, per quanto possibile.
"Che
cazzo!" Imprecò Acquarius, barcollando per qualche passo. "Ma
vaffanculo!" Aggiunse, scostandosi bruscamente e allontanandosi.
Alla
ragazza non restò che riprendere la borsetta e andarsene. "Beh, finita la
festa, i fidanzatini hanno litigato!" Commentò rassegnata.
Camus,
nel frattempo, camminava verso la propria macchina, seguito da uno Scorpio
nerissimo, che fissava la sua schiena come fosse un bersaglio.
"Si
può sapere che cosa pensavi di fare?" Gli domandò torvo, quando Acquarius
si fermò con le mani appoggiate al tetto dell’auto e la testa piegata in
avanti.
"Pensavo
di scoparmela, guarda un po’." Rispose lui arrogante.
"Io
non credo a quello che sento." Commentò l’altro. "Ma non hai un
briciolo di rispetto per lei…"
"E’
soltanto sesso, Milo!" Sbottò Camus, girandosi a braccia allargate.
Lo
fissò per un attimo negl’occhi, preso da un sospetto. "Non è la prima
volta che la tradisci…" La rivelazione era stata improvvisa e
chiarissima; si guardarono in silenzio.
L’immagine
di una donna apparve nella mente di Scorpio. Una donna bella e altera come una
regina scolpita nel ghiaccio. Giovane e antica. Con negl’occhi la luce della
potenza concessale dal Padre. Distaccata, eppure capace di compassione. La donna
che Camus proclamava di amare da una vita.
Camus
fu il primo ad abbassare gli occhi. Non avrebbe potuto resistere un attimo di più
a quello sguardo inquisitorio e tagliente come un cristallo. Lui era il custode
delle energie fredde, perché gli Dei non gli avevano donato un paio d’occhi
come quelli, capaci di gelare con un solo sguardo? Invece era il proprietario di
due grandi e vellutati occhioni blu, da principe azzurro del cazzo. I soliti Dei
ingiusti, cui piace troppo giocare con la sorte degl’uomini.
Il
cavaliere sapeva perché stava indugiando in quei pensieri inutili, non era così
ubriaco come sembrava, soltanto era difficile riuscire a rispondere. E poi, come
diavolo si fa a voltarsi verso quello sguardo appuntato su di te, accusatorio,
pungente come l’ago della Cuspide del suo proprietario?
“Camus…”
Lo appellò l’amico; il suo tono era deluso, stanco, ma esigente di una
risposta. Ti sta crollando un mito, eh Milo?
“Che cosa ti devo
dire?” Fece lui alla fine, stringendosi nelle spalle. “L’ho fatto solo per
esasperazione.” Aggiunse voltandosi.
Si
accorse subito che Scorpio non aveva smesso un attimo di fissarlo, e sempre con
la stessa espressione inquisitoria. Distogli
quegl’occhi, per amore di Atena, non li sopporto, non li sopporto più! Ma
l’amico non sembrava intenzionato a mollare.
“Credevo
che l’amassi.” Affermò Milo. Vabbene,
se vuoi distruggermi, allora continua così…
Camus si allontanò
di qualche passo, fermandosi sotto un lampione, appoggiò una mano al palo e
rise amaramente. Se l’amava? Se l’amava?! Oh, sì, certo…
“La verità… la
verità è che quella donna io la odio.” Affermò poi, con rabbia; Milo
spalancò gli occhi incredulo. “Oh, e anche lei odia me.” Continuò, con un
sorriso amaro; sentiva che, ormai, anche aiutato dall’alcool, aveva rotto
l’argine. “Ci odiamo perché siamo uguali, siamo uno lo specchio dei difetti
dell’altro, e ci amiamo… ci amiamo per lo stesso motivo, perché riflettiamo
anche i pregi, ma è un equilibrio precario… mi fa paura l’idea che un
giorno l’odio possa prendere il sopravvento, e allora… e allora…”
Strinse i pugni.
“Camus,
sei ubriaco.” Intervenne preoccupato Milo, avvicinandosi.
“Lasciami in
pace!” Reagì lui, intimandolo con la mano di stare lontano. “Ma guardami,
il grande cavaliere di Acquarius…” Affermò poi, in un attacco improvviso di
autolesionismo. “…sono solo un uomo in trappola, ho giocato il suo gioco per
troppo tempo, e quel gioco l’ha resa… forte, molto più forte di me,
potrebbe resistere a qualsiasi cosa, superare di tutto, mentre io… se mi
lasciasse sarei finito, perché… perché Elettra è l’unica divinità in cui
ho mai veramente creduto…” I suoi occhi si erano fatti lucidi.
Milo
osservava la scena incredulo. Camus gli aveva parlato molte volte del suo amore
per la Sacerdotessa di Zeus, ma dietro alle sue parole non aveva mai sospettato
un coinvolgimento ed una complessità del genere. Ricordava una frase che
l’amico gli aveva detto una volta: «Se
Elettra mi chiedesse la luna, sfiderei le frecce di Artemide, pur di
portargliela». Solo ora capiva che non si trattava della solita frase
retorica da amanti, ma della pura e semplice verità.
“Ti faccio pena, eh?” Gli domandò
senza ironia. Non, non gli faceva pena, Milo sapeva bene quanto si poteva
soffrire per amore. “Se penso a tutto quello che ho fatto per lei…”
Riprese Camus, guardando il vuoto mentre scuoteva il capo. “…per quella
stupida, arrogante, ragazzina bionda… vent’anni, ho aspettato vent’anni
per un suo bacio! Vent’anni! Sono proprio un idiota!”
“Smettila di farti del male.”
Gli ordinò deciso Milo; l’amico alzò gli occhi su di lui. “Adesso hai
bisogno di un caffè ed una dormita, domani ti sveglierai con un bel mal di
testa e sarà passato tutto…”
“Tu non capisci.” L’interruppe
Camus; si era raddrizzato e la sua espressione era quasi normale. “Le ho
chiesto di sposarmi, ha detto di no.” Ora si spiegavano molte cose. “Sta per
lasciarmi Milo, io lo sento, e non può succedere ora, perché lui sta
arrivando.”
“Lui?!” Esclamò perplesso Scorpio, aggrottando la fronte. E
questo ora chi è…
Camus gli diede le
spalle. “Sì, l’allievo del Maestro dei Ghiacci.” Rispose calmo, sembrava
improvvisamente ridiventato il solito, glaciale Acquarius. “Colui che l’ha
sconfitto, che ha osato sfidare il suo maestro.”
“Hyoga
del Cigno… si chiama così, non è vero?” Chiese Milo.
“Sì.” Annuì
Camus. “E quando ci affronteremo gl’insegnerò ben io qual è il suo posto,
che non si può essere tanto arroganti da sfidare il proprio maestro, che per
scontrarsi con un cavaliere d’oro bisogna essere molto più che uomini…”
Il tono della sua voce si era alzato, diventando pericoloso. “…che nessuno
potrà mai paragonarsi a me, il Signore delle Energie Fredde!”
“Vaneggi…”
Commentò allarmato Milo. “Che intenzioni hai?” Domandò quindi.
L’amico fece un
sorrisetto strano e inquietante. “Solo di dargli la sua ultima lezione.”
“Mi chiedo se ti
rendi veramente conto di quello che sta succedendo.” Affermò serio Scorpio;
Camus lo guardò perplesso. “Se loro verranno qui, e lo faranno, cambierà
tutto, per sempre.” Aggiunse con fermezza.
“Sono solo
cavalieri di bronzo.” Ribatté sprezzante l’altro; Scorpio fissò di nuovo i
suoi occhi trasparenti in quelli dell’amico.
“Ma hanno fede in
chi li guida, mentre noi… l’abbiamo persa, ormai.” Dichiarò, e la verità
di quelle parole li colpì entrambi.
Rimasero immobili
per un lungo momento, sembrava che si muovessero solo i moscerini intorno al
lampione; la luce gialla e stanca gli lambiva la punta delle scarpe. Scorpio
guardava Acquarius che teneva la testa china, fissando il marciapiede.
“Vieni.” Suggerì
ad un certo punto Milo. “Guido io per tornare a casa.”
CONTINUA
NOTE:
-
ehhh, ci sono andata giù dura col povero Camus, e devo dire che il suo
rapporto con Elettra sta uscendo assai più complesso di come l’avevo
concepito all’inizio (ma si parla di anni fa);
-
magari non vi piacerà l’idea che un virtuoso cavaliere tradisca la sua
donna, ma a me piace immaginarli con dei veri difetti, e poi penso che ci stia
bene in un rapporto così conflittuale.
Per lo Sfogo
Malupino stasera non saprei che dire, questo capitolo non è adatto, anche se i
nostri eroi sono sempre in splendida forma! ^__-
See you
CrazyCow
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Capitolo 4 *** 4 ***
Nuova pagina 1
~
4 ~
Non fu una bella
notte per Scorpio. Troppi fantasmi nell’ottava casa. Troppe voci dal passato.
Dopo aver
accompagnato Camus nella casa di Acquarius, tornò nella sua, ma l’idea di
arrabattarsi in quel vecchio letto alla stentata luce di una candela non lo
ispirava. Si cambiò, infilandosi un paio di logori pantaloni di cotone ed una
maglietta senza maniche, quindi uscì, intenzionato a non tornare.
Sapeva dove stava
andando, e la luna era sufficiente illuminazione per percorrere una strada che
conosceva a menadito. Nella piccola valle c’era una specie di villaggio, poche
case dove vivevano soldati, servitori, civili con le loro famiglie. Un po’
discostata dalle altre c’era la casa che Milo cercava.
Era una costruzione
squadrata, le mura di semplice pietra, il tetto color mattone. Il ragazzo si
avvicinò. Sopra la porta c’era sempre, anche se ancora più scrostato,
l’affresco di Atena Sapiente, con un fascio di ulivo in una mano ed una
pergamena nell’altra. Milo sorrise, poi, però, si guardò intorno. La casa
sembrava abbandonata. Con sgomento si accorse, infatti, che la porta era
leggermente aperta. La scostò piano ed entrò.
Lo accolsero pareti
spoglie e polvere sul pavimento. Non più il vecchio divano verde, o la stampa
delle ballerine di Degas appesa sulla parete in fondo, né i pesanti mobili di
castagno pieni di libri, il tappeto di canapa intrecciata. Tutto sparito
nell’oblio degl’anni passati. A parte una cornice rotta, ai piedi delle
scale.
Non poté resistere
ed entrò in cucina. Il luogo sacro dove la cara Danae preparava le sue
deliziose frittelle all’uva. Lì erano rimasti tutti i mobili, ma era sparito
il frigorifero ed una coltre di fine polvere copriva ogni cosa. Il focolare
spento. Solo una nera finestra. Milo fu preso da una botta violenta di
nostalgia, mentre osservava una persiana sbattere piano, al vento della notte.
Quella casa. Quelle
persone. Gli anni più belli. Quando credeva che mai avrebbe avuto una famiglia
erano arrivati Nikolais e Danae, la
sua governante. Lo avevano preso con se, cresciuto, vestito, viziato, istruito,
come fosse un figlio. Ora c’era solo polvere e malinconia.
Che cosa poteva
essere successo? Non poteva credere che Nikolais avesse infastidito qualcuno,
era l’uomo più mite che avesse conosciuto… poi pensò alle sue parole, alle
sue idee… un sospetto tremendo gli attanagliò la mente e corse al piano
superiore.
Milo controllò
ogni stanza. Erano rimasti anche lì tutti i mobili, ma i cassetti e le ante
degli armadi erano spalancati, come se qualcuno se ne fosse andato in tutta
fretta. Polvere, anche qui. E vetri rotti.
Il cavaliere,
sopraffatto dalle emozioni, si lasciò cadere seduto sul letto; si guardava
intorno, incapace di ritrovare in quell’abbandono il calore di un tempo. I
suoi occhi velati, infine, si fermarono sul largo comodino di noce. C’era una
foto rovesciata. La prese; il vetro era rotto, ma l’immagine quasi intatta.
Nikolais era più
giovane di quando l’aveva conosciuto lui, ma il sorriso era lo stesso. Teneva
in braccio due bambini. Lei, boccoli biondi e occhi assurdamente azzurri, gli
abbracciava il collo con espressione di assoluta felicità. Lui, capelli scuri e
occhi blu, gli stava sottobraccio come un pacco, ma aveva lo stesso sorriso
della bimba. Camus e Elettra. Sì, quella Elettra. Era la figlia di Nikolais, il
quale aveva cresciuto Camus proprio come aveva fatto con lui. Milo non l’aveva
conosciuta quando viveva lì, perché lei era già al confino e non poteva certo
visitare il padre. Preferiva non ricordare come l’aveva incontrata.
Decise di tenersi
la foto, la pulì dalla polvere e dai vetri, poi se la mise in tasca; chissà,
magari a qualcuno di loro avrebbe fatto piacere riaverla. Sperò che quel
qualcuno fosse un Nikolais vivo e vegeto. Lo voleva riabbracciare.
Si sdraiò,
accomodandosi alla meglio. Il letto era scomodo e sporco, ma andava bene, pur di
dormire lontano dal Tempio. Milo si addormentò quasi subito.
Il mattino dopo,
Milo si svegliò relativamente tardi; dopo essersi scosso dalla polvere che
c’era sul letto, corse all’ottava casa per una doccia veloce. Doveva
assolutamente andare in un posto, prima d’incontrarsi col Grande Sacerdote.
Arrivando al tempio
principale dal lato ovest, a circa metà della lunga scala, si trovava una
deviazione. Tra due ali di pietra, come un piccolo canyon scavato nella roccia,
partiva una scala bianca più stretta; salendola per qualche minuto ci si
ritrovava in uno spiazzo su cui sorgeva un’imponente edificio. Più piccola
del Tempio, ma altrettanto severa, la Biblioteca del Santuario accoglieva il
sapere di millenni di storia. Scorpio si fermò davanti all’entrata.
Alla statua di
Atena che custodiva l’ingresso mancava un braccio, adesso. Quello che reggeva
il libro. Mentre l’altro, quello che teneva la lancia, era ancora al suo
posto. Milo lo ritenne un cattivo presagio, come se una parte della Dea fosse
stata snaturata. Si avvicinò al portone.
La grande porta di
ulivo era serrata da una trave posata su sostegni di bronzo. La porta della
biblioteca non era mai chiusa quando c’era Nikolais. Milo la tolse con facilità
ed entrò.
Lo spettacolo che
gli si presentò davanti era perfino peggiore di quello della casa. Intenso
puzzo di muffa, ragnatele, luce opaca che filtrava tra le assi che coprivano le
finestre. E i libri. Sparsi in giro, come passati tra le braccia di un uragano.
Tutto in disordine. Tutto abbandonato.
Il cavaliere sentì
lacrime di rabbia pungergli gli occhi; serrò i pugni, osservando quella
desolazione.
“Sapevo di
trovarti qui.” Affermò una voce, era Camus, Milo non aveva bisogno di
voltarsi per saperlo, e comunque non avrebbe potuto togliere gli occhi dallo
scempio.
“Che cosa è
successo?” Domandò cupo.
“La biblioteca è
stata abbandonata quattro anni fa.” Rispose Acquarius. “Un notte Nikolais è
scomparso, e nessuno ha preso il suo posto di custode.”
“Scomparso?”
Fece Milo, intenzionato a saperne di più, ma senza togliere gli occhi dal
triste spettacolo davanti a se.
“Giravano
voci.” Spiegò reticente Camus. “Sembrava che la Biblioteca fosse diventata
un ricettacolo di sovversivi, che Nikolais avesse troppo potere, che il padre
della Traditrice fosse anch’egli un traditore.” Come Milo immaginava. “Lo
avevano minacciato, più volte.”
No, non voleva
sapere nient’altro! Non poteva essere successo, non a lui! Non come quei
ragazzi sulla barella… non un corpo scaricato chissà dove…
“E lei…”
Mormorò Scorpio con voce tremante. “…che ne pensa lei?” Chiese.
“Adesso, ad
Elettra, basta che suo padre sia vivo.” Rispose Camus.
Milo si voltò di
scatto verso di lui, gli occhi lucidi spalancati. “E’ vivo?!” Esclamò.
“Sì.” Annuì
soltanto l’altro, a bassa voce. “Non gridare.” Aggiunse.
“Tu
sai dov’è?” Domandò allora Milo, abbassando il tono.
“No.” Dichiarò
sicuro Acquarius.
“Ma lo ha aiutato
lei a fuggire?” Continuò Scorpio, facendosi insistente.
Quelle domande
cominciavano ad infastidire Camus, che si scostò da lui, dandogli le spalle.
“Non lo so.” Ammise. “Io e Elettra abbiamo un patto, io non voglio sapere
quello che combina, e lei non me lo dice, meglio non esserne a conoscenza, credimi.”
“Capisco.”
Accettò Milo, abbassando gli occhi; poi, però, tornò a guardare lo scempio
della Biblioteca. “Come puoi accettare questo, ad ogni modo.” Affermò
quindi, indicando i libri a terra, i banchi rovesciati, gli scaffali vuoti.
“Anche tu sei cresciuto qui.”
“Accetto solo il
naturale svolgimento delle cose.” Rispose Camus con distacco. “Non è più
il momento dei libri, al Santuario, ora è solo quello della spada.”
“Ma come puoi dirlo?” Replicò Milo. “Atena è Dea di sapienza, prima di essere una
guerriera, è nata dalla mente del Padre Zeus…”
“Sì, e ne è
uscita con l’armatura!” Replicò l’amico interrompendolo. “Scorpio,
ragiona! Questo è solo il passato…” Affermò indicando i resti della
Biblioteca. “…non possiamo restarci attaccati, è una debolezza che non
possiamo permetterci in questo momento.”
Milo lo fissò per
un attimo negl’occhi, poi scosse mestamente il capo. “Oh, è inutile che ne
parli con te, tu non tieni a niente, non puoi capire…” Un lampo
d’indignazione passò negl’occhi di Camus, ma lui non se ne avvide. “Se ti
comporti così anche con lei, non mi meraviglio che ti voglia lasciare.”
Gli occhi di Camus,
stavolta, saettarono pericolosi. “Stai cercando di farmi del male?” Gli
chiese torvo.
“No.” Rispose
Milo, alzando di nuovo lo sguardo su di lui. “Sto solo cercando di farti
capire quanto fa male.”
Si fissarono per
qualche secondo, poi Camus abbassò il capo con un sorriso cinico. “Come
vuoi.” Disse con disincanto, e senza ammettere di aver perso il confronto.
“Crogiolati pure nelle tue malinconie, ma ricordati che ti stanno aspettando,
non far tardi.” Aggiunse, poi se ne andò. E Milo non vide con che rabbia
aveva stretto i denti prima di uscire.
Il cavaliere di
Scorpio rimase ancora qualche minuto nella Biblioteca. Un posto che era stato
molto importante per lui. Dove gli era stato insegnato che per essere un
cavaliere, prima devi imparare ad essere un uomo. Con le tue debolezze. I tuoi
istinti. I tuoi dolori. Le tue
lacune. I tuoi dubbi.
Questi Cavalieri di
Bronzo dicevano di essere guidati da Atena in persona. Gli era molto difficile
crederlo veramente. Perché la Dea, invece di prendere la testa dei suoi Supremi
Difensori allo sbando, si sarebbe circondata di un gruppo di arroganti
ragazzini? Non riusciva a capirlo. Ma, allo stesso tempo, non si fidava di
Arles. Troppo misterioso il suo passato. Troppo crudeli i suoi ordini. E poi…
lo aveva sentito subito, arrivando. Era come se il male aleggiasse sul
Santuario. Il Sacro Tempio stava morendo. E loro con lui.
Uscì al sole, la
sua armatura risplendeva accecante, il mantello di seta candida si muoveva alla
leggera brezza. Lanciò un’occhiata alla Meridiana dello Zodiaco. Mancava
poco. Presto avrebbe incontrato il Grande Sacerdote. Sperava che qualcosa,
almeno, si sarebbe chiarito.
Si aggiustò
l’elmo, incamminandosi verso il Tempio attraverso il Giardino degli Oleandri,
che lo divideva dalla Biblioteca. Lontano, in basso, si intravedeva il mare.
CONTINUA
NOTE:
-
ebbene sì, sia Camus che Milo (orfani come tutti gli sfigati cavalieri)
hanno vissuto un importante periodo della loro vita in casa del padre di
Elettra, è così che è nata la tormentata relazione tra Acquarius e la donna,
ma non è per questo che Scorpio l’ha conosciuta (poi vi spiegherò ^__-);
-
la faccenda della foto mi piaceva e ce l’avevo davanti agli occhi
mentre la descrivevo, spero di aver reso bene l’idea, ma soprattutto di aver
fatto capire quanto Milo sia legato a Nikolais.
PICCOLO
SFOGO MALUPINO:
-
mi fa tanta tenerezza il povero Milo, così attaccato ai suoi cari
ricordi, come ogni buon segno d’acqua; se ha bisogno di qualcuno che lo
consoli eccomi qua! Scommetto che, se la pensate come me, tra poco quella casa
abbandonata diventerà sede di un rumoroso festino… ihihihih!
Domani
parto per il mare, mi raccomando, fatemi sapere cosa ne pensate, aspetto i
commenti! See
you next time! Baciotti
CrazyCow
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Capitolo 5 *** 5 ***
Eccoci qua
Eccoci
qua, di ritorno dalle (brevi) vacanze, che però sono servite a terminare questo
capitolo. Qui, confesserò, tanto si capisce subito, mi sono moooolto ispirata
all'episodio "I cavalieri d'oro" della serie; la situazione, il
dialogo e, spesso, proprio le battute sono riprese dalla puntata, ho solo
cambiato un po' l'atteggiamento di Milo, rendendolo più sospettoso e prudente.
Beh, aspetto i vostri commenti.
Baci
Sara
~
5 ~
Era appena scoccato
mezzogiorno ed i fuochi si erano tutti riaccesi, sul magico orologio che, da
secoli, segnava lo scorrere del tempo nel Santuario. Milo sapeva che con questi
tipi era meglio essere molto puntuali negli appuntamenti, anche se poi loro non
lo erano altrettanto nel riceverti; infatti, si ritrovò a dover aspettare.
Ora camminava
avanti e indietro, nell’anticamera di Arles, da un buon quarto d’ora,
scandendo bene i passi dei suoi tacchi d’oro contro il porfido del pavimento.
Le guardie davanti alla porta sembravano del tutto estranee a qualsiasi cosa;
Scorpio si domandò se per caso non le drogassero. Magari gli calavano qualche
pastiglietta nel rancio…
In quel momento la
porta del Gran Sacerdote fu socchiusa e ne uscì il primo ministro, tale Bethon,
col viso magro e antipatico ed i capelli rossi; l’atteggiamento di superiorità
era il solito del giorno prima. Il cavaliere era sicuro che il leccapiedi fosse
il classico leone coi conigli e coniglio coi leoni e che si cagasse in mano ogni
volta che stava davanti ad Arles. Indossava una specie di armatura, ma chiunque
fosse un cavaliere consacrato sapeva che si trattava solo di apparenza, poiché
quella corazza non aveva poteri, era soltanto semplice bronzo lavorato.
Milo lo fissò
dalla sua superiore altezza. E non era solo un dato fisico. Lui era un Cavaliere
d’Oro. Sebbene pensasse che Bethon era sicuramente un vigliacco, si poteva
intuire dai suoi occhi, Scorpio non lo credeva uno stupido, data la posizione
conquistata, quindi sapeva che l’uomo lo temeva, che conosceva il suo potere,
o almeno una parte di esso.
“Il Divino Arles
è pronto a riceverti, Cavaliere.” Gli annunciò Bethon, con un’aria
d’insopportabile sufficienza.
Scorpio ora capiva
perfettamente l’insofferenza di Camus. Avrei
voglia di cancellarti dalla faccia quell’espressione sostenuta a forza di
schiaffi, perché usare la Cuspide sarebbe un onore troppo grande per un verme
come te…
“Bene.” Si
limitò però a rispondere il cavaliere; l’uomo gli aprì la porta e lo lasciò
entrare da solo.
La Sala delle
Udienze era ampia e rettangolare, un tappeto rosso ne percorreva tutta la
lunghezza e, ai lati, svettavano candide colonne; sul fondo, in cima a tre
scalini di marmo bianco, vi era il trono d’oro del Gran Sacerdote. Tutti
sapevano che, tramite le tende poste dietro il seggio, si accedeva alla scala
che conduceva all’altare di Atena, il luogo più sacro del Tempio.
Milo percorse la
navata a testa alta. Il Grande Sacerdote era in piedi vicino allo scranno. La
sua figura era imponente. Un lungo mantello bianco bordato di rosso lo copriva
fino ai piedi e indossava un coprispalle dotato di minacciosi aculei d’argento
ed un elmo rosso rubino, con sopra una drago ad ali spiegate. Scorpio si chiese
cosa rappresentasse e se fosse, diciamo così, d’ordinanza. Ciò che lo colpì
di più, però, fu il suo volto: coperto da una maschera blu notte con occhi
rossi, che lo rendeva remoto e inquietante. Milo si ripromise di essere
prudente.
“Benvenuto
Cavaliere.” Lo accolse il sacerdote, con una voce talmente profonda da
sembrare proveniente da qualche girone dell’averno.
“Milo, Cavaliere
di Scorpio, ai vostri ordini, Eccellenza.” Si presentò il ragazzo,
inginocchiandosi.
L’uomo sedette
sul trono; le pietre dure della collana di potere tintinnarono contro la sua
corazza. Scorpio alzò gli occhi.
“Sono qui per
conoscere i motivi della mia così urgente convocazione, Sommo Arles.”
Aggiunse il cavaliere, fissando il volto inespressivo dell’interlocutore.
Il Grande Sacerdote
sospirò profondamente, come affannato dalla preoccupazione. “Come saprai la
situazione è grave.” Esordì. “I Cavalieri di Bronzo hanno scatenato
un’assurda guerra contro di noi.” Il cavaliere non era sicuro di chi
l’avesse esattamente cominciata, ma certo la guerra c’era.
“Quei maledetti
hanno infangato tutti i cavalieri di Atena con le loro imprese…” Rispose
Scorpio; aveva deciso di essere accondiscendente. “…ma credevo ve ne foste
liberato da tempo…” Mentì poi, visto che ben conosceva tutti i fallimenti
cui erano andati incontro i suoi scagnozzi.
Vide la mano di
Arles serrarsi sui braccioli del trono. “Sono costretto ad ammettere che li
abbiamo sottovalutati.” Affermò, ed era chiaro che si conteneva.
“All’inizio credevamo di poterne avere ragione grazie a Phoenix, ma ci ha
traditi, forse convinto da quei miserabili che si proclamano salvatori del mondo
guidati da Atena in persona…” La rabbia era palpabile nelle sue parole.
“Tali affermazioni compromettono il prestigio del Santuario, ora capisci perché
ti ho convocato? Bisogna porre fine a tutto questo.”
Milo lo scrutò,
cercando la risposta più adatta; infine decise di continuare ad assecondarlo.
“Sono dei pazzi, la loro punizione dovrà essere indimenticabile.”
“Non sarà facile
batterli.” Quella dichiarazione di Arles lo stupì. “I Cavalieri d’Argento
hanno tentato a più riprese di sconfiggerli, senza riuscirci.”
“Non ci sono
riusciti?!” Esclamò incredulo Scorpio; anche se l’idea di quella tronfia
damina incipriata di Eris e dei suoi compagnucci boriosi, presi a calci nel
sedere da cavalieri di casta inferiore, lo faceva quasi ridere. E, allo stesso
tempo, lo inquietava. “È assurdo!” Sbottò, quasi senza volere. “Cosa
avranno inventato per riuscire a tanto, è incredibile!”
“Sono
sopravvissuti anche agli attacchi di Shaina, che pur di affrontarli si è
ribellata alla mia autorità.” Dichiarò Arles.
Dunque era andata
come pensava Milo, quella ragazza testarda aveva contravvenuto agli ordini pur
di combatterli, e questo sì che era incredibile; ad ogni modo, la sua
convocazione era ancora un mistero. Doveva sapere.
“Comprendo la
vostra collera, Eccellenza, ma continuo a non capire il motivo per cui mi avete
chiamato.” Si decise ad intervenire Scorpio. “Sono pur sempre un Gold Saint
e non posso battermi con cavalieri qualsiasi, ne andrebbe del mio onore.”
Aggiunse orgoglioso; quello era un punto su cui non transigeva, se doveva
combattere voleva un suo pari.
“Intendi
disubbidirmi?” Tuonò minaccioso il Gran Sacerdote.
“Non è mia
volontà, Sommo Arles.” Rispose subito il cavaliere. “Ma preferirei di gran
lunga non affrontare guerrieri così inferiori, anch’io ho una reputazione da
difendere, sono un Cavaliere d’Oro.” E c’era da aggiungere che gli
ripugnava uccidere uno che non poteva difendersi.
Arles sospirò,
sconfortato. “Lo so.” Disse poi. “Ma se non ci liberiamo ora dei Cavalieri
di Bronzo potremmo pentircene… perché aspettare oltre, Scorpio?”
“Mio signore!”
Sbottò indignato Milo, che non lo credeva così timoroso. “Temete così tanto
quei miserabili? Perché tanta paura?”
“Ora avrai una
spiegazione.” Rispose Arles con tono brusco. “Abbiamo il fondato sospetto
che la Sacra Armatura di Sagittarius, scomparsa tredici anni fa, sia finita in
mano loro.” Spiegò glaciale.
Milo rimase
allibito; lui era un bambino quando tutto era successo, ma, come aspirante
cavaliere d’oro, era a conoscenza dei fatti. Nessuno, però, a quanto si
credeva, aveva avuto più notizie certe delle vestigia e del loro custode.
“L’armatura del Sagittario…” Mormorò quindi.
“È in loro
possesso…” Ribadì il sacerdote. “Tutto è cominciato tredici anni fa,
quando Aioros cavaliere di Sagittarius, fu allontanato dal Santuario per aver
osato sfidare l’autorità del Grande Sacerdote, carica a quel tempo ricoperta
dal mio amatissimo fratello.” Sì, tanto amato che da più parti si pensava lo
avesse tolto di mezzo lui stesso. “Venni a sapere più tardi che le Sacre
Vestigia finirono nelle mani di Mitsumasa Kido, che si occupò anche della
piccola Saori.” Il racconto lo interessava. “In seguito riuscii a
recuperare l’Armatura quasi per intero, solo l’elmo mi sfuggì.” Arles si
alzò dallo scranno, dirigendosi verso una pesante tenda alla sua sinistra, Milo
non poteva fare a meno di seguirlo con lo sguardo. “Credo di averti detto
tutto, ora guarda.”
La tenda fu
scostata con un rapido gesto. Dietro di essa vi era una specie di nicchia, nella
quale erano posati degli scrigni d’oro. Scrigni da armatura. Armature Sacre.
Erano sette: Toro, Gemelli, Acquario, Capricorno, Vergine, Cancro e Gemelli.
Milo non fu stupito di vedere lo scrigno di Camus, mentre alcuni degli altri
furono delle sorprese. Virgo e Gemini erano dei veri e propri fantasmi al
Santuario, alcuni credevano non ne esistesse neanche un custode. Ma non era così.
“Sette scrigni
per sette Sacre Armature…” Mormorò il cavaliere; questo incontro si stava
rivelando più inquietante del previsto.
“Esatto!”
Proclamò soddisfatto il sacerdote. “In questa epoca di confusione nemmeno i
Cavalieri d’Oro sanno esattamente quante armature abbiano un custode, né in
quale parte del mondo essi si trovino.” Continuò a spiegare. “Ci sono anche
due traditori tra i Gold Saints, che aiutarono Micene tredici anni fa, e che ora
si aggirano per il pianeta nascondendosi al mio severo sguardo che tutto
sovrasta.”
Scorpio aveva
sentito dire anche questo, ma non aveva idea di chi potessero essere. “Quali
sarebbero?” Domandò infatti.
“Libra e
Aries.” Rispose immediato Arles, Milo ascoltava attento. “Il cavaliere della
Bilancia, stando alle ultime notizie ricevute, dovrebbe trovarsi in Cina, è
molto anziano, però è uno dei cavalieri più temibili e pericolosi.” Il
ragazzo era interdetto, aveva sentito parlare di Libra, come di un grande
saggio, come di un totale pazzo, a chi dare ragione? “Ariete, invece, sembra
che si sia nascosto nei monti tra l’India e la Cina, secondo alcune voci pare
che viva riparando armature.” Arles si girò verso il cavaliere, la sua voce
si fece più dura. “Sono tredici anni che tento di riportarli al Santuario,
senza riuscirci, non temono Atena e nemmeno la mia autorità.”
Milo non sapeva
molto di Mu dell’Ariete, solo quel che gli aveva detto Camus, e cioè che era
stato il migliore amico di Aioros e che era scomparso dal Santuario poco dopo di
lui. Era difficile, però credere che questi cavalieri così potenti avessero
tradito Atena solo per brama di potere, ci doveva essere qualcosa in più
dietro… il cavaliere scrutò il sacerdote sospettoso.
“Libra e Aries,
avete detto…” Mormorò quindi.
“Esatto.”
Confermò Arles, aggiustandosi una manica. “Pensa, se l’armatura del
Sagittario fosse veramente nelle mani di Saori Kido…” Continuò con voce
suadente, mentre scendeva le scale. “…e se Libra e Aries si alleassero con i
Cavalieri di Bronzo, ci sarebbero tre Gold Saints, compreso Sagittarius, a
combattere contro il Santuario…” Oltrepassò Scorpio ancora inginocchiato e
si fermò. “Non lo posso permettere!” Esclamò quindi, autoritario.
Scorpio girò
appena il capo, scrutando la figura massiccia del Gran Sacerdote che gli dava le
spalle, la sua ombra scura si proiettava su di lui, togliendo i riflessi alla
sua armatura. All’improvviso il cavaliere si sentì inquieto, avvertì una
sensazione di disagio, come un cosmo celato, oscuro…
Era vero, pensò,
se anche alla fine i cavalieri fedeli al Tempio avessero vinto, sarebbe comunque
stata un’inutile lotta fratricida, e Scorpio non voleva che ciò accadesse,
non voleva essere costretto a prendere posizione, a sapere come si sarebbero
schierati gli altri.
Il Grande
Sacerdote, facendo svolazzare il mantello, tornò sui suoi passi, fino a
riguadagnare lo scranno d’oro e sedersi. Le collane tintinnarono di nuovo,
poco rassicuranti.
“Allora.”
Riprese Arles, rivolto al cavaliere ancora inginocchiato. “Ascoltami bene,
Scorpio, la tua prima missione sarà quella di estirpare per sempre la
malapianta dei Cavalieri di Bronzo, parti subito e agisci!” Gli ordinò
quindi.
Milo era costretto
ad accettare, era suo dovere ubbidirgli, ma non riusciva ad essere del tutto
convinto; si disse che avrebbe verificato sul posto le proprie perplessità.
“Sì.”
Acconsentì dunque. “Come desiderate Eccellenza, sarò presto di ritorno.”
Aggiunse annuendo.
“Confido in
te.” Ribatté Arles, Scorpio quindi si alzò e fece un profondo inchino.
“Non muoverti!”
Intimò però una voce dal fondo della sala; sia il cavaliere sia il sacerdote
guardarono in quella direzione.
“Aiolia di
Leo…” Mormorò perplesso Milo; che diavolo voleva adesso?!
Il giovane dai
corti capelli dorati si avvicinò con passo deciso al trono, senza degnare di
uno sguardo il compagno, quindi s’inchinò davanti al Grande Sacerdote.
“Sommo Arles, vi
supplico, lasciate a me questa missione.” Chiese deciso.
“Che cosa?!”
Esclamò incredulo Scorpio.
“Capisco…”
Mormorò invece Arles, con tono mellifluo. “Anche tu sei un Gold Saint se non
sbaglio.” Aggiunse lisciandosi una manica.
“Proprio così,
Eccellenza.” Rispose Aiolia senza alzare la testa.
“E cosa faresti,
se ti dicessi che ho già scelto Scorpio per questo incarico?” Lo provocò
quindi il sacerdote, che sembrava provare un sadico piacere a metterli uno
contro l’altro.
Aiolia alzò appena
gli occhi sul compagno, poi tornò a chinarsi verso Arles. “Lo farei a pezzi,
qui, davanti a voi.” Affermò quindi, senza indugio.
Non era un mistero
che lui e Leo non si erano mai fatti sangue, ma questo era decisamente troppo.
“Che cosa hai detto?!” Esclamò indignato e furente Milo.
“Molto bene.”
Intervenne però Arles, e la sua voce sembrava molto soddisfatta. “Aiolia,
parti subito, la missione è tua!” Ordinò quindi.
“Ma come,
Eccellenza!” Sbottò Scorpio, facendo un passo avanti; non moriva dalla voglia
di compiere quell’incarico, ma vederselo soffiare così da un cavaliere che
non riteneva degno era ben peggio per il suo orgoglio di guerriero.
“Silenzio!”
Gl’intimò Arles, con un gesto che bastò a far valere la sua autorità; Milo
abbassò il capo e si ritrasse. “Ioria, esegui gli ordini.” Aggiunse poi,
rivolgendosi al cavaliere di Leo.
“Sì, mio
signore.” Rispose prontamente il giovane, alzandosi; diede le spalle ad
entrambi e s’incamminò verso l’uscita.
Milo, con sguardo
corrucciato, seguì il compagno lasciare la sala; si sentiva offeso e
sottovalutato dal Gran Sacerdote, e poi, che diritto aveva Aiolia
d’intrufolarsi così? Si girò di nuovo verso Arles, tornando ad
inginocchiarsi davanti al trono.
“Sommo Arles,
perché aveva incaricato Aiolia?” Domandò con rabbia. “Sapete bene che si
tratta del fratello di Aioros cavaliere di Sagittarius, che tredici anni fa tradì
il Santuario, può anche essere diverso, ma ha pur sempre lo stesso sangue.”
Protestò poi. “Per quanto sia fedele ad Atena ed al Santuario e,
indubbiamente, uno dei Gold Saints più forti, resta pur sempre il fratello di
un uomo che vi ha tradito!” Concluse indignato.
Arles accennò una
risata. “È proprio per questo che mi sono convinto a scegliere lui.” Affermò
poi, lasciando allibito il cavaliere, ma sopraggiunse la spiegazione. “Aiolia
si è condannato a tredici anni di esilio, ha volto pagare, sebbene innocente,
una colpa non sua, nella speranza di poter, un giorno, porre rimedio al crimine
del fratello, per questo sarà pronto a dare anche la vita, pur di recuperare la
Sacra Armatura di Sagittarius, sottraendola ai Cavalieri di Bronzo.”
Scorpio conosceva
la storia di Leo, le traversie che aveva sopportato per diventare comunque
cavaliere, nonostante la faccenda del fratello e, anche se non erano mai andati
d’accordo, gli riconosceva un senso dell’onore fuori del comune, lealtà e
coraggio. Ma restava il dubbio: una persona così limpida sapeva davvero per chi
stava lavorando? Milo, che puro non era per niente, intuiva la vera natura del
Gran Sacerdote, e continuava a non fidarsi.
La voce di Arles lo
destò dai suoi pensieri. “Tuttavia, nell’eventualità che i tuoi sospetti
su Aiolia si rilevassero fondati, provvederò a farlo seguire, non lo perderanno
mai di vista.” Detto questo, il sacerdote si diresse verso l’uscita che
conduceva alle sue stanza private. “Sei congedato, ma resta a mia
disposizione, potrei avere presto nuovi incarichi per te, cavaliere di
Scorpio.” Gli disse l’uomo prima di andarsene; Milo annuì.
Che astuzia!
Commentò dentro di se il ragazzo rimasto solo, alludendo al piano di far
seguire Leo. Scorpio doveva riconoscere che il Gran Sacerdote prevedeva ogni
eventualità. Da quanto aveva sentito dire al Santuario, in molti erano disposti
a tutto, pur di metter fine alla sua tirannia o per scoprire chi si nascondeva
dietro alla sua maschera inespressiva. Cosa devo fare? Si chiese Milo. Posso
fidarmi di un essere così inquietante e misterioso?
Preso dai suoi
dubbi, come e peggio che all’inizio del colloquio, Milo si diresse di nuovo
verso l’ottava casa. Il sole si abbassava all’orizzonte.
CONTINUA
NOTE:
- mi
piaceva l'idea di lasciare Milo piuttosto indeciso alla fine del colloquio,
anche e soprattutto per giustificare comunque lo scontro che avverrà con
Cristal, pur non essendo contemplato in questa ff, anche se il cavaliere di
Scorpio in questa storia è decisamente più consapevole di dove sta il giusto.
Stasera
non saprei che dirvi, per malupinare un po', se non la proposta di un viaggio
organizzato tra le pieghe del tunicone di Saga...
See you
next time!
CrazyCow
|
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Capitolo 6 *** 6 ***
Buonasera
Buonasera!
Ecco qua il sesto capitolo, e siamo quasi alla fine. Devo dire che questo
capitolo all’inizio non era contemplato, ma le vostre recensioni mi hanno
ispirato, quindi ecco a voi una parte tutta dedicata ad Elettra e Camus. Vi
anticipo che la conclusione sarà quasi tutta dedicata a Milo! Aspetto i vostri
commenti.
Baci
Sara
~
6 ~
Quando
Acquarius era tormentato dai suoi fantasmi, c’era un solo posto dove poteva
andare, il problema era che quel luogo era anche l’origine d’ogni suo
cruccio. Era il Grande Tempio di Zeus.
Il
fatto era che, in certi momenti, Camus aveva bisogno di sicurezze, di sapere che
qualcuno, al di là di tutto, lo amava. Sapeva perfettamente di non essere uno
stinco di santo e di avere un carattere a dir poco pessimo, ma c’erano giorni
in cui la fragilità propria dell’essere umano non riusciva assolutamente a
reprimerla. Era un attimo e all’improvviso era di nuovo quel triste bambino
solitario che non conosceva la felicità. No, non l’aveva conosciuta, almeno
fino al giorno in cui una bambina bionda con le lentiggini e gli occhi turchesi
non gli aveva sorriso. E quel sorriso, ancora oggi, era l’unica cura per il
suo male, qualunque fosse.
Inutile
negare, infatti, che le parole di Scorpio gli avevano fatto male, per il
semplice motivo che erano la verità. Sì, lui era una persona distaccata,
scarsamente romantica e troppo pragmatica, anche se questa era un’apparenza
che Camus aveva costruito con stoica determinazione e anni d’impegno. Era
qualcosa che lo difendeva meglio della sua armatura.
Ma
quello che gli dava fastidio più di tutto era il modo in cui Milo glielo aveva
fatto notare, come fosse un dato che ormai non si può cambiare, con
rassegnazione, ma cogliendo con precisione chirurgica il punto cruciale: lui
dava l’impressione di non tenere a niente.
Non
era così, ma per troppo tempo Camus si era impegnato a lasciarlo credere, fino,
forse, a convincersene lui stesso, che poi era quello che voleva. Se non si
attaccava a nulla, nessuna perdita lo avrebbe toccato. Nessun dolore. Nessun
distacco.
Milo,
ad ogni modo, aveva infilato la sua Cuspide nella piaga più giusta, rivelando
una sensibilità assai superiore a quanto il suo atteggiamento guascone
lasciasse immaginare. Maledetto. Non sapeva se invidiarlo, odiarlo, oppure
continuare semplicemente a volergli bene.
Chissà
se il suo amico lo aveva capito, che lui gli voleva bene. Sì, figurati se non
lo aveva fatto, ma non erano cose che si dicevano queste, specialmente tra
guerrieri.
Era
arrivato dunque. Viveva sempre un po’ come una debolezza, il tornare da lei.
Stupido.
Elettra
e Alexandros erano a tavola, li vedeva ridere, mentre percorreva il corridoio
buio verso l’arco che conduceva nella sala da pranzo illuminata. La luce, però,
sembrava provenire da loro due. La donna allungò una mano per carezzare
teneramente la guancia e la tempia del figlio, sorridendo.
Lo
aveva chiamato come il mitico condottiero macedone, ma nel loro rapporto fatto
di dolcezza, complicità e rispetto, non c’era certo nulla di quello
tormentato dell’antico re con l’infida madre, principessa d’Epiro Eppure,
chissà perché, spesso glieli ricordavano.
"Disturbo?"
Chiese il cavaliere; molte volte gli capitava di avere la sensazione
d’interrompere qualcosa d’incomprensibile e magico, entrando
all’improvviso in una stanza dove c’erano solo loro.
I
sorrisi sinceri e felici con cui l’accolsero, però, fugarono ogni dubbio a
proposito della sua visita inaspettata; Elettra si alzò per andare a baciarlo,
poi, mentre Camus salutava Alexi, lei chiamò un servo per far aggiungere un
posto a tavola.
Solo
quando furono seduti, l’uomo poté rilassarsi. Elettra gli sorrideva,
stringendo la sua mano. Alexi raccontava della scuola. Camus, ora, si sentiva a
casa, loro due erano la sua famiglia. Li amava. Anche se questo significava che
i suoi sforzi per non soffrire erano falliti…
La
donna era sul balcone, dopo cena. Le mani posate sulla balaustra di marmo
candido, gli occhi fissi sulle stelle. Sentiva il presagio. Lo aveva avvertito
prima e meglio degli altri, grazie ad un cosmo più potente di quello di un
cavaliere e ad una sensibilità data dal suo essere donna. Il presagio non era
opprimente, piuttosto s’insinuava nella mente come una nebbia scura. E dire
che lei amava la nebbia. Il presagio di distruzione copriva ogni cosa al
Santuario d’Atena. Colava come sangue infetto e maligno lungo le mura violate.
Era oscurità. Era male. Esisteva da quasi tredici anni.
Il
suo rifugio, il suo esilio dorato, la proteggeva da tutto questo. L’anonimato
proteggeva suo figlio. Ma chi avrebbe protetto lui? Sapeva qual era il
suo compito, era un cavaliere, se Arles gli avesse detto combatti, lui avrebbe
dovuto farlo. Perché non si mette in dubbio la parola di un Gran Sacerdote, lo
sapeva bene lei che lo era.
Per
dubitare di un tale potere bisogna essere Eroi. Ce n’era stato solo uno. Il
padre di suo figlio.
Elettra
si girò verso l’interno e guardò le due persone sedute al tavolo del
soggiorno; da una parte, intento a leggere un libro, c’era l’uomo che amava.
Sì, dopotutto, lo amava ancora. Nonostante le liti, i musi lunghi, le male
parole, i silenzi… il rifiuto di sposarlo.
Un
giorno, se n’avesse avuta la possibilità, gli avrebbe spiegato perché aveva
detto di no. Aveva rifiutato perché sapeva che stava per succedere qualcosa.
Qualcosa di grande. Camus, nel bene o nel male, ne sarebbe stato parte. Elettra
sapeva fin troppo bene a cosa va incontro un cavaliere che decide di combattere.
Oh, e lui avrebbe combattuto; magari per motivi lontanissimi dal trionfo della
giustizia, la lotta contro il male, il ritorno di Atena, ma avrebbe combattuto.
Elettra
avvertì subito gli occhi del compagno alzarsi su di lei. Erano occhi che
conosceva benissimo, forse anche meglio dei propri. Un quarto di secolo passato
a confrontarsi con loro. Era davvero tanto tempo, e probabilmente lui l’amava
da allora, da quando erano bambini. Le faceva male, a volte, pensare che a lei
ci erano voluti vent’anni per capire e ricambiare il suo amore. Ancora più
doloroso era pensare che, questo amore, non era che una piccola parte di quello
che aveva provato per Aioros. Un amore ancora vivo nel suo cuore.
Lo
sguardo di Camus si spostò dalla madre al figlio. "È ora di andare a
dormire, Alexi." Gli disse.
Il
bambino alzò i suoi occhi verde-blu sull’uomo. "Io a dormire ci vado, ma
mi prometti che voi due non litigate?" Replicò quindi.
Il
cavaliere incrociò le braccia, appoggiandosi allo schienale della poltrona.
"Questo devi dirlo a tua madre…"
"Smettila,
Camus." Lo rimproverò severa lei, mentre rientrava.
"Vabbene."
Acconsentì lui, stupendola, quindi si alzò, raggiunse Alexi e, prima gli
scompigliò i riccioli biondi, poi lo prese per le braccia e se lo caricò in
spalla. "A nanna!" Proclamò portandolo via, il ragazzino rise.
Elettra
sorrise, guardandoli uscire dalla stanza. Erano gesti abbastanza comuni, quelli
che aveva visto. Sapeva che Camus amava Alexandros, che la sua energia positiva
aveva conquistato anche l’algido guerriero del nord. Tutti amavano Alexi, era
impossibile fare altrimenti. Si lasciò andare ad un altro sorriso, mentre
sistemava le ultime cose prima di andare nella sua stanza.
Acquarius,
nel frattempo, salutava il bambino davanti alla sua camera. "Mi raccomando,
lavati i denti e poi corri a letto, che domani c’è scuola." Affermò
serio.
"Non
preoccuparti, lo farò." Promise Alexi. "Buonanotte." Gli augurò
poi.
"Buonanotte
a te." Rispose Camus, allontanandosi.
Il
cavaliere, mentre percorreva il corridoio fino alla camera di Elettra, si disse
che voleva davvero bene ad Alexandros. Un tempo avrebbe desiderato che non fosse
così, perché era figlio del suo rivale, ma era impossibile resistergli. Lo
aveva visto nascere. Aveva assistito alla sua prima poppata. Era lì, il primo
giorno di scuola. Lui gli aveva insegnato ad andare in bicicletta. E, alla fine,
questo voleva dire che Camus era stato l’unico padre che Alexi avesse avuto.
Aveva cresciuto il figlio del suo rivale, e questa era una piccola vittoria.
Entrò
nella camera di Elettra col sorriso sulle labbra. La stanza era in penombra, la
luce del bagno spenta, il letto vuoto; forse la donna era ancora in soggiorno.
Il cavaliere si guardò intorno, però, e infine la scorse sul balcone, oltre le
fini tende bianche che si muovevano alla brezza primaverile.
"Sei
di nuovo fuori?" Le chiese raggiungendola.
"E’
una sera così bella." Rispose lei, continuando a guardare il cielo.
"Guarda, stiamo entrando nel segno del Cancro." Aggiunse, indicando la
costellazione.
"Sta
arrivando l’estate…" Commentò Acquarius. "Che palle!"
Aggiunse, posando i gomiti sulla balaustra.
La
donna rise sommessamente. "Sei proprio un pinguino, tu." Rise anche
lui.
"È
tornato Milo." Annunciò Camus, poco dopo; Elettra lo guardò.
"Davvero?"
Chiese, lui annuì. "E… come sta?" Continuò la donna, tornando però
a guardare fuori.
"Bene."
Rispose soltanto Acquarius. "È sempre il solito rompiballe."
"Ma
sta davvero bene, oppure…" Insisté Elettra, incitandolo con un gesto.
Ecco,
ci risiamo… Pensò il
cavaliere, che ben conosceva il senso di colpa che la sua donna aveva per i
fatti di cinque anni prima; va bene, la ragazza era una sua allieva, ma da qui a
fustigarsi per la sua morte ce ne correva. Ma Elettra, del resto, aveva un senso
di colpa troppo radicato.
Camus si girò,
appoggiandosi contro il parapetto e sospirò. "Fa una buona impressione, ma
secondo me… sa fingere." Le rispose infine.
"Lo
sapevo." Affermò Elettra chinando il capo. "È molto arduo uscire
da certe cose, specie se si rifiuta ogni tipo di aiuto, come ha fatto lui."
Aggiunse. "Quando si ama una persona è difficile accettare di perderla, e
specie in quel modo…"
Acquarius
contrasse la mascella. Sapeva a chi stava pensando lei e, come sempre in certi
casi, all’improvviso l’uomo la sentì lontana, parte di un mondo che non gli
era dato conoscere, immersa in ricordi privati dove lui non c’era. Soltanto
Aioros c’era. E, come sempre, Camus reagì nel modo sbagliato.
"Dovreste
farla finita tutti e due." Dichiarò bruscamente, Elettra si girò verso di
lui. "Non è colpa vostra se quella s’è impiccata." Continuò
fissando il vuoto. "Io posso capire il dolore, ma sono passati cinque anni,
dovreste aver capito che chi non ci stava con la testa era lei."
La donna lo
fissava con gli occhi spalancati. "Quella aveva un nome, ed era
Melissa, e per tua informazione non era affatto pazza." Proclamò quindi
offesa. "E poi non credo che il mio senso di colpa sia ingiustificato, era
una delle mie vestali, avrei dovuto proteggerla, portarla via dalla sua
famiglia." Aggiunse sempre più rabbiosa. "E se si è uccisa non è
perché fosse una malata di mente, ma solo perché non si possono chiamare vita
sedici anni passati tra segregazioni, botte, umiliazioni, con un padre tiranno e
due fratelli carcerieri!" Concluse con sguardo saettante.
"Ha fatto la
scelta più facile." Replicò Camus fissandola. "Poteva combattere,
chiedere il tuo aiuto, oppure fuggire il più lontano possibile, Milo
l’avrebbe portata dall’altra parte del mondo, e invece ha preso la strada più
corta per sfuggire al suo dolore, non è colpa di nessuno, semmai solo sua, per
essere stata tanto egoista da uccidersi."
"Non ti
permetto di parlare così di lei!" Reagì Elettra, gridando. "Io le
volevo bene, Melissa era un angelo e questo mondo era troppo triste e doloroso
per lei, per questo ci ha lasciati!"
"Le persone
che si tolgono la vita non pensano mai a cosa si lasciano dietro, altrimenti non
lo farebbero." Replicò lui. "Pensi che il povero Milo si meritasse
tutto questo dolore, il senso di colpa, la depressione, cinque anni passati a
farsi domande?" Le chiese.
"Nessuno
merita un dolore del genere." Fu costretta a rispondere lei, ma con
espressione cupa.
"Vedi che
siamo d’accordo?" Ribatté Camus.
"No, non
sono d’accordo con te." Affermò Elettra, poi si allontanò. "Sei
mostruoso, un essere completamente privo di sensibilità e comprensione…"
Continuò entrando in camera. "Mi fai paura, quando ti comporti così."
E sparì oltre le tende, nell’oscurità della stanza.
Camus rimase
immobile sul terrazzo, stringendo i denti. Avevano litigato di nuovo. Il
cavaliere si domandava perché, per loro due, fosse impossibile avere una
discussione civile. Un essere mostruoso… questa era peggio di quando l’aveva
chiamato "ghiacciolo misantropo", o di quella volta che, dopo aver
fatto l’amore, lo accusò di essere gelido. Adesso sarebbero rimasti senza
parlarsi per un periodo variabile dai due giorni alle tre settimane…
L’uomo si voltò
verso l’esterno. Il mare si muoveva lontano sotto la luna, le stelle
sembravano cantare, tanto brillavano. Si voltò attratto da qualcosa. Una stella
cadente aveva attraversato il cielo a nord. Sarebbe bello, per una volta,
volersi bene e basta, eh Elettra?
Il
cavaliere lasciò passare un po’ di tempo, entrambi dovevano sbollire la
rabbia. La cosa più semplice da fare, sarebbe stata quella di entrare, passarle
davanti senza guardarla e tornarsene al Santuario, o forse andare a rimorchiare
qualcuna in città. Sì, la cosa più semplice e anche la più stupida. Uno dei
due doveva ingoiarsi l’orgoglio, per una volta.
Camus
entrò nella camera; tutto era spento, ma da fuori veniva luce sufficiente a non
inciampare nei propri piedi. La forma del grande letto sopra la pedana risaltava
nella semi oscurità, come anche la figura della donna che vi era distesa sopra.
Tutto aveva un colore azzurrino, compresa la sua elegante camicia da notte
bianca ed i suoi capelli biondi sparsi sui cuscini.
Avvicinandosi
accarezzò con lo sguardo le dolci e sinuose curve del corpo di Elettra. Il
desiderio, da quando lo conosceva, era inevitabilmente legato a doppio filo con
la figura di lei. Le altre donne non erano che un palliativo, un timido riflesso
del suo univo, vero, Desiderio. Le più belle anche. Perfino Natasha, la
splendida ballerina russa con cui aveva vissuto un’infuocata fuga a
Pietroburgo, durata circa sei mesi, per poi tornare pentito e affranto, in
ginocchio davanti a lei.
Camus
si fermò ai piedi del letto, Elettra era immobile in una posizione che
gl’impediva di vederle il viso. "Stai dormendo?" Le domandò a bassa
voce.
"No."
Fu l’attesa e secca risposta. Certo, è troppo arrabbiata per farlo…
"Chi
lo fa il primo passo?" Domandò timidamente il cavaliere.
"Mi
sembra che tu sia perfetto." Replicò sarcastica la donna, mettendosi
seduta, ma continuando a dargli le spalle.
"Perdonami…"
Mormorò lui, sedendosi al suo fianco, sul bordo del letto.
Elettra
si voltò di scatto, pronta a ribattere, ma si trovò davanti gli occhi di Camus
che la fissavano, resi quasi neri dal buio della notte; la donna capì che
quella non era un richiesta di perdono a breve termine, forse non c’entrava
niente con la storia di Melissa.
"Devi
perdonarmi, se non sono l’uomo che vorresti." Riprese infatti lui,
rammaricato e sincero. "Se non sono riuscito a perdere nessuno dei miei
difetti, se, puntualmente, dico la cosa sbagliata…"
Elettra
sospirò, chinando gli occhi. "Non hai il predominio sui difetti."
Affermò poi. "Anche io… beh, non ti faccio mai parlare, e poi sono
polemica, lo so…"
Lui
le prese le mani, costringendola a guardarlo di nuovo. "Io vorrei soltanto
non dover essere sempre in guerra." Confessò con tono dimesso.
"È…
è colpa mia…" Balbettò la donna. "Sto sempre sull’attenti, non
so di cosa ho paura…" E scostò ancora gli occhi, ma poi tornò a
fissarlo. "Ma devi credermi, quando dico che ti amo, che non è cambiato
niente." Aggiunse con passione.
"Non
dovrebbe essere così." Affermò Camus, pur sollevato da quella
dichiarazione. "Con tutto quello che ti faccio passare…"
"No."
L’interruppe lei, prendendogli il viso tra le mani. "Non dirlo, perché
so bene che anch’io ti faccio soffrire, anche se sei bravissimo a non
dimostrarlo." Gli disse, poi lo abbracciò.
"Mi
conosci…" Mormorò Camus, affondando il viso tra i suoi capelli.
"Ti
conosco." Rispose Elettra, mentre sentiva le sue braccia circondarle la
vita.
"Mi
manderai via, stanotte?" Le domandò, con lo stesso tono che avrebbe un
bambino rifugiatosi nel lettone dei genitori in una notte di tempesta.
"No."
Rispose dolcemente la donna, quindi lo scostò da se e lo baciò, per poi
togliergli la camicia e fare altrettanto con la sua. Si stesero sul letto,
continuando a baciarsi.
Il
corpo di Camus era sempre stato magnifico. Le spalle larghe e le lunghe braccia
da nuotatore, i fianchi sottili e le natiche piccole e sode, l’addome
scolpito, i muscoli tesi e tonici. La pelle abbronzata e più morbida di come,
di normale, dovrebbe averla un uomo.
Elettra
amava quel corpo, adorava percorrerlo con le dita in ogni centimetro, sentirlo
sopra di se. I capezzoli turgidi contro la sua pelle. I capelli che ricadevano
scomposti sul suo viso. Le mani eleganti che, esigenti, s’insinuavano tra le
sue cosce. Le labbra, sottili e ardenti sul collo.
In
quei momenti sembrava fossero nati per stare insieme e accoglierlo in se era un
gesto naturale e giusto. E atteso. E il piacere saliva, saliva fino alle stelle,
fino a toccare i loro cosmi uniti, per poi ridiscendere su di loro come
un’accecante tempesta di ghiaccio percorsa da fulmini d’oro che toglieva per
un attimo il respiro… per restituirlo poco dopo, spezzato.
Elettra,
mentre Camus era ancora su di lei ansante, non riusciva a fermare il battito
impazzito del suo cuore, e non a causa dell’amplesso appena terminato. Aveva
visto un’ombra nel cosmo del cavaliere, proprio nel momento in cui il suo
spirito aveva toccato le stelle dell’Acquario. Un’ombra di morte. Qualcosa
che lei conosceva.
Unendosi
ad un cavaliere, non sempre si riusciva a raggiungere quel particolare stato di
"scambio di cosmi"; doveva esserci un sentimento profondo e reciproco,
una grande passione, intenso desiderio, oltre ad una conoscenza delle discipline
cosmiche. Con Camus non le era capitato spesso, con Aioros quasi sempre. Ma
quell’ombra, che vedeva ora nel cosmo di Acquarius, era la stessa di quella
notte. La notte in cui amò Sagittarius per l’ultima volta. La notte degli
inganni.
Camus,
dopo averle baciato la guancia, fece per scostarsi, sapeva che Elettra non amava
molto stare appiccicata dopo l’amore, ma stavolta lei lo trattenne; la guardò
sorpreso.
"Resta."
Lo pregò. "Voglio sentirti." Aggiunse stringendolo a se; lui accettò
ben volentieri e, poco dopo, si addormentò, senza accorgersi che la donna,
invece, era rimasta ben sveglia.
CONTINUA
NOTE:
-
Camus fa tanto per rimanere un guerriero impassibile e freddo, ma alla
fine cede sempre alla sua natura umana, e la sua catarsi non può che essere
Elettra. Come sono complicati ‘sti due… Mi piacciono!
-
Elettra, come gran sacerdotessa, ha una visione più ampia perfino di
quella di un cavaliere, ma mi piace credere che la sua chiarezza sia dovuta al
fatto che non mai perso la fiducia nella sincerità e nell’amore di Micene/Aioros.
-
Ah, non so se si capisce (forse no…), ma non ho pensato questo come
l’ultimo incontro tra i due, ma più che altro come il momento in cui la donna
si rende conto che il destino di Camus è segnato.
SFOGO
MALUPINO
1
– Non c’è Milo in questo capitolo… dove sei Miluccio bbelloooo?! Vabbene,
dai, accontentiamoci di Camus (e dico poco ^__-)
2
– Era giusto e doveroso celebrare il corpo di Camus. Punto. …Dov’è
l’asciugamano per la saliva?!?!
A
presto!
CrazyCow
|
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Capitolo 7 *** 7 ***
Questo è
Questo
è, come annunciato, l'ultimo capitolo. So che ci sono dei punti rimasti un po'
in sospeso, ma questa storia era nata per parlare del ritorno di Milo al
Santuario e dell'inizio di un suo percorso di guarigione dal dolore. Spero
comunque che questa ff vi sia piaciuta e che apprezzerete questo logorroioco
finale. Aspetto i vostri commenti. Grazie con anticipo.
Baci
Sara
~
7 ~
Era passata quasi
una settimana dall’arrivo di Milo al Santuario; come ordinato da Arles, il
cavaliere era rimasto ad Atene, nell’attesa di nuove disposizioni del
Sacerdote, che erano ben presto arrivate. Il giorno successivo sarebbe partito,
ma c’erano ancora alcune cose da fare.
Non vedeva Camus da
quella mattina nella Biblioteca, quasi quattro giorni prima; l’amico si era
allontanato dal Grande Tempio. Era andato da Elettra, molto probabilmente. O
chissà dove, date le sue recenti inclinazioni allo sfarfallamento…
Scorpio si chiedeva
come un rapporto d’amore, era da sottolineare d’amore, potesse arrivare a
diventare così complicato e contorto da essere causa di sofferenza. Milo si
disse che era perché a Camus non era mai capitato di perderlo un amore, nessuno
glielo aveva mai strappato e, anche dopo i suoi tradimenti, c’era da
scommetterci, era stato perdonato. Almeno all’apparenza. La Divina Elettra non
gli era mai sembrata una donna in vena di rassegnazione, a Camus doveva essere
costato caro il pentimento. Sorrise di sbieco, pensandoci.
Ricordava benissimo
il suo primo incontro con la figlia di Nikolais. Lui e Melissa non riuscivano
mai a stare un po’ insieme, potevano solo scambiarsi delle lettere segrete,
grazie ad un metodo del bibliotecario: la ragazza prendeva un libro, ne leggeva
una parte e lo riconsegnava con la lettera dentro, il giorno dopo Nikolais si
preoccupava di restituirglielo accompagnato dalla risposta di Milo. Fu così che
Melissa gli fece sapere che avrebbe passato un paio di giorni al Tempio di Zeus,
dove sarebbero stati liberi di passare del tempo insieme. Presi accordi con
Camus, la raggiunse lì… e conobbe la Gran Sacerdotessa.
Quella prima
impressione gli sarebbe rimasta stampata per sempre nella mente. Non sembrava
per niente greca, prima di tutto. Era alta, molto alta, e bionda, molto bionda.
Con una pelle talmente chiara da sembrare quasi nordica, come nordico era il suo
sguardo, e i suoi occhi erano di un turchese scuro, ma trasparente, quasi
irreale. E rammentava che non gli piacque il suo atteggiamento: troppo
altezzosa, distaccata, fredda, con quelle mani grandi e crudeli, dalla perfetta
manicure.
Le domande che gli
fece poi… una sola parola, irritanti. Sapeva d’averle risposto con arroganza
e scarsa educazione, sotto lo sguardo stranamente divertito di Camus.
Ma ciò che
ricordava meglio era il momento in cui quella donna, finalmente, alzò gli occhi
su di lui, trapassandolo, e poi sorrise soddisfatta. “Mi piaci.” Gli disse,
con quella voce che non sapevi bene se era antipatica o sensuale. In
quell’istante Milo aveva intravisto qualcosa nei suoi occhi.
L’ombra di un
dolore, una sofferenza antica e radicata, e più di questo… un potere che
andava al di là della straordinaria energia del suo cosmo saettante… era
latente e ancestrale e lui non lo capì.
Nemmeno ora lo
capiva, gli ci sarebbero voluti ancora un paio d’anni prima di afferrare il
segreto di quella forza creatrice e distruttiva allo stesso tempo, prima di
comprendere quel potere tutto femminile di essere madre, figlia, amica, amante,
compagna allo stesso tempo (*). Capace di riempire un mondo. Capace di riempire
un vuoto.
Ma in questo
momento, mentre saliva le scale verso l’undicesima casa, Milo era lontanissimo
dal considerare Elettra una donna avvicinabile, era più un simbolo, una specie
di autorità lontana che, presa da improvvisa magnanimità, gli aveva concesso i
pochi momenti felici insieme a Melissa. Non riusciva a pensare la Sacerdotessa
lontana dal suo trono o con un atteggiamento meno algido. Aveva come
l’impressione che farci l’amore fosse un po’ come trombarsi un
distributore di ghiaccioli, per questo la chiamava Vulva di Pietra. Anche se, a
ben dire, a Camus piacevano molto i ghiaccioli… Brrr, Milo odiava il freddo!
Mancavano pochi
gradini per raggiungere la casa di Acquarius, ma Scorpio si fermò, accorgendosi
della persona che lo fissava con un sorriso beffardo dall’ombra del colonnato.
Camus fece un passo
avanti, scendendo il primo gradino, per fermarsi nel piccolo spiazzo dove
finivano le scale di raccordo con la decima casa. Indossava un lungo caftano
color porpora e, a giudicare da come gli aderiva al corpo a causa de vento, solo
quello. Il suo modo di vestire era sempre stato bizzarro, ma che ora avesse
anche smesso di portare le mutande…
Milo lo squadrò
perplesso, alzando un sopracciglio, per poi sorridere in quel suo modo tipico,
ironico, sensuale e misterioso allo stesso tempo. Altra caratteristiche che
l’amico gli invidiava.
“Sei sparito.”
Affermò Milo, grattandosi l’addome; per farlo sollevò la canottiera,
svelando che i jeans gli andavano un po’ larghi in vita, calando sui fianchi
scolpiti.
“Avevo cose da
fare.” Rispose laconico Camus, slacciando le braccia; il caftano aveva
un’ampia apertura sul davanti, che mostrava il petto liscio e muscoloso del
cavaliere.
Si sedettero
entrambi sulle scale. Camus si accorse che Milo, con quella canottiera nera e
quei jeans sdruciti, i capelli lunghi, sembrava proprio una rockstar. Sì, gli
mancava solo un cicchino tra le labbra e la chitarra elettrica… Sorrise,
tornando a guardare avanti.
“Mi spieghi perché
ti sei vestito come una vecchia checca francese?” Gli chiese però l’amico,
facendolo voltare.
“Perché?”
Replicò lui, sfoderando l’ironia. “Non mi trovi sexy?”
Scorpio gli lanciò
un’occhiata disincantata. “Senti, la tua bella troverà anche eccitante che
vai in giro con il canarino fuori dalla gabbia, ma onestamente sono altre le
cose che trovo sexy.” Gli rispose infine; Camus lo fissò per un attimo, poi
scoppiò a ridere, seguito subito da Milo.
“Com’è andato
il colloquio con Arles?” Domandò Acquarius qualche minuto dopo.
“Hm…
inquietante…” Rispose Milo, alzando gli occhi al cielo.
“Decisamente.”
Confermò l’altro, che doveva esserci passato prima di lui. “Hai visto le
armature?”
“Sì.” Annuì
Scorpio. “E tu, sapevi di Virgo e Gemini?”
“Ho incontrato
Shaka, giorni fa.” Raccontò Camus. “Tanto perbenino, con quei suoi bei
capelli da Barbie Kamasutra…” Aggiunse acido.
Scorpio ridacchiò,
ma tornò subito serio. “E Gemini? Non sapevo avesse un custode.”
“Non so dirti
molto.” Fu costretto a rispondere l’amico. “Anni fa, ai tempi della mia
investitura, forse prima, avevo sentito parlare di un cavaliere, un certo Saga,
ma poi non ho saputo più nulla.”
“Che sia sempre
lui?” Mormorò pensoso Milo, fissando il nulla.
“Non mi riguarda,
comunque.” Glissò bruscamente Camus. “Dimmi di te.” Incitò poi.
“Beh, il Gran
Sacerdote mi aveva affidato il simpatico compito di sterminare i Cavalieri di
Bronzo e riportare in Grecia la Sacra Armatura di Sagittarius, ma il prode Ioria
di Leo me l’ha soffiato da sotto il naso.” Dichiarò Scorpio, con tono
pomposo e sarcastico.
Camus l’osservò
per un momento, poi sorrise. “Non sembri poi così dispiaciuto.” Ipotizzò.
Milo fece
un’alzata di sopracciglia. “Non molto, alla fine.” Rispose quindi,
stringendosi nelle spalle. “Se non fosse per l’atteggiamento di Ioria, che
se ne va in giro a fare proclami, col petto gonfio, come se fosse il re della
savana!” Sbottò poi.
“Certo che dici a
me… ma voi due non vi siete proprio mai presi.” Commentò Camus. “Se non
mi sbaglio fu proprio a causa di una lite con lui che finisti a fare
l’assistente in biblioteca…”
“E lo domandi?!
Mi ci portasti tu a calci nel sedere!” L’interruppe l’amico; risero di
nuovo. “Ad ogni modo…” Riprese Scorpio. “…siamo troppo diversi, io e
Ioria, lui prende le cose maledettamente sul serio, io non l’ho mai fatto, però…
in un certo senso lo ammiro, per la sua coerenza, il coraggio, lo spirito di
sacrificio, non so se sarei stato capace di fare quel che ha fatto lui…”
Ammise serio.
“È solo un
ragazzino stupido.” Sentenziò Camus, facendo voltare Milo. “Non si può
vivere col paraocchi, ci sbatterà il muso prima o poi.”
“A cosa
alludi?” Chiese l’altro. “Lui e Elettra…”
“Lascia stare.”
L’interruppe con un gesto. “È una faccenda in cui non voglio entrare, quei
due sono fermi nelle loro posizioni come fossero in trincea, un giorno sapremo
chi ha ragione e qualcuno dovrà chiedere perdono, ma fino ad allora è bene che
si scannino tra di se.”
Milo
ritenne meglio far cadere l’argomento, sapeva che i rapporti, diciamo così, «familiari»
tra Elettra e Ioria non erano esattamente idilliaci, poiché i due la pensavano
in modo opposto: lui era sempre rimasto fedele al Santuario ed al Gran
Sacerdote, mentre lei… beh, lei non nascondeva certo come la pensava.
“Ho
avuto un altro incarico, comunque.” Affermò quindi; Camus si girò verso di
lui, incuriosito.
“Di
che si tratta?” Gli domandò.
Milo
si alzò. “Devo recarmi all’isola di Andromeda e scoprire il motivo per cui
Albione non ha ancora giurato fedeltà ad Arles.”
Camus
si mise a sua volta in piedi. “Conosco Albione, è una brava persona, avrà
certamente una plausibile spiegazione per il suo comportamento.” Affermò.
“Non
dubito.” Ribatté Milo, mani sui fianchi e leggermente piegato in avanti.
“Sarò diplomatico.” Aggiunse, quindi alzò gli occhi, incrociando quelli
seri dell’amico.
"E
se la diplomazia non dovesse funzionare, quali provvedimenti sei autorizzato a
prendere?" Chiese retorico Acquarius.
Scorpio
lo fissò per un attimo, poi abbassò gli occhi sbuffando. “Andiamo Camus, lo
sai… lo sai come vanno queste cose…” Rispose poi, tentando di alleggerire
il tono.
Il
cavaliere dell’undicesima casa preferì non indagare ulteriormente
l’argomento, sapeva che le risposte non gli sarebbero piaciute, anche se
capiva che loro erano cavalieri e agivano in nome di un’autorità che, al
momento, non era possibile contestare. Si spostò di qualche passo, posando una
mano contro la superficie liscia di una delle anfore che ornavano la cima delle
scale; il vento, fattosi all’improvviso più intenso, fece aderire la stoffa
sottile al suo corpo slanciato.
“Quando
te ne vai?” Domandò all’amico.
“Partiamo
all’alba.” Rispose Milo.
“Partite?!”
Esclamò sorpreso girandosi. “Chi viene con te?” Domandò quindi.
“Aphrodite
di Pisces.” Affermò Scorpio, dopo una lieve titubanza.
Camus
si voltò del tutto, spalancando gli occhi stupito, poi gli si formò sulle
labbra un sorrisetto perfido e ironico. “Aphrodite… beh, amico mio,
assicurati di avere in valigia un bel paio di mutande di ghisa!”
“È
la prima cosa che ho fatto!” Esclamò Milo. “Ma non è giusto che me lo
faccia notare tu, che te ne vai in giro coi lombi al vento!” Aggiunse
divertito; si scambiarono uno sguardo obliquo, poi scoppiarono a ridere.
“Oh,
non rompere i coglioni, mi davano fastidio!” Sbottò Camus, mentre ancora
ridevano.
Quando
l’ilarità terminò rimasero lì, in piedi, senza dire nulla, fianco a fianco.
Acquarius aveva scherzato, ma in realtà era turbato dalla notizia che Aphrodite
avrebbe accompagnato Milo. Due cavalieri d’oro erano decisamente troppi per
una missione diplomatica. Pisces era
un fedelissimo di Arles e che Albione avesse addestrato uno dei cavalieri di
bronzo non era un mistero. Troppe coincidenze allarmanti, c’era da tenere
dritte le antenne.
“Bene…”
Fece Milo, risvegliandolo dai suoi pensieri, lo guardò. “…ora devo andare,
ho lasciato un paio di cose in sospeso e vorrei risolvere prima di partire.”
Camus annuì fissandolo.
Scorpio
scese un paio di gradini, poi però si girò di nuovo verso l’amico, come se
avesse dimenticato qualcosa; Camus lo guardò perplesso, con espressione
interrogativa. Il ragazzo risalì in fretta le scale e abbracciò d’impeto
l’altro cavaliere. Fu un gesto istintivo, qualcosa che sentiva di dover fare,
prima di partire, per dimostrare che, nonostante fossero molto diversi e spesso
la pensassero in modo opposto, la loro amicizia restava. Un punto fermo nelle
vite di entrambi. Un legame profondo e vero per chi, come loro, non aveva mai
avuto una vera famiglia.
Acquarius,
dopo un primo istante di sorpresa e imbarazzo, sorrise e poi rispose
all’abbraccio dell’amico, stringendolo a se e dandogli lievi pacche sulla
schiena. Capiva e condivideva i suoi sentimenti. I legami creati dal cuore che
diventano più forti degli ormai smarriti legami del sangue. Milo era come un
fratello e come tale lui lo amava.
Lo
strinse appena un po’ di più, ma solo un attimo dopo, svelto come era nato,
l’abbraccio cessò e Scorpio si allontanò veloce, cominciando a scendere le
scale senza guardarlo. Certo, non è che ci fosse bisogno di tante parole, i
gesti avevano già detto tutto…
“Milo.”
Lo fermò però l’altro; lui si bloccò sulle scale, poi si girò piano. Ah, ecco perché scappava, ha gli occhi lucidi… si disse Camus.
“Volevo solo dirti di tenere gli occhi aperti, non mi fido di Aphrodite.”
Gli suggerì serio, guardandolo negl’occhi.
L’amico
annuì. “Lo farò.” Rispose quindi. “Grazie Camus.” Aggiunse poi, con un
ultimo sguardo e s’incamminò giù per le scale. E Acquarius sapeva che quel
grazie non era per il consiglio.
C’era
veramente qualcosa che Milo aveva lasciato in sospeso. Per cinque anni. Fatti
d’interminabili giorni passati a fare finta che non fosse successo nulla, che
le persone coinvolte non fossero esistite. E di molti altri giorni, altrettanto
interminabili, passati sul fondo della più cupa disperazione, tra alcool e
sigarette, a sfiorare il pensiero che sì, farla finita non sarebbe stato poi
così male.
Giorni
in cui il mondo era bello solo perché esisteva e anche se eri triste valeva la
pena vivere. Altri in cui la vita era semplicemente come la scaletta del
pollaio: corta e piena di merda. Particolarmente nel suo caso. Attimi in cui gli
sembrava di stare quasi bene, alternati ad altri dove stava tanto male da
vomitare. E non perché aveva bevuto troppo. Quelle volte era meglio calarsi un
Valium e stare rincoglionito per un paio di giorni, almeno non pensava.
E
tutto questo a causa di una ragazza e della sua storia. Melissa era una
ragazzina minuta, molto magra, con lunghi capelli color miele e due occhi troppo
grandi. Li vedeva come se fosse ora, di un blu cupo, ma luminosi come una notte
stellata. Era un piccolo angelo, fragile e dolce. Avrebbe avuto bisogno di
qualcuno che la salvasse. Se soltanto lui ne avesse avuta la forza.
Ma
Milo aveva solo diciassette anni a quel tempo. Era un giovane cavaliere che non
aveva ancora ben capito i doveri e i limiti del suo ruolo. Troppo immaturo per
comprendere che la vera tragedia non è gridata, ma si consuma in silenzio,
all’improvviso, quando meno te lo aspetti. (*)
Così
era successo. Melissa, schiacciata da anni di vessazioni, dolore e violenze,
aveva compiuto l’unico gesto che poteva veramente liberarla. Si era uccisa.
Nonostante tutto l’amore di Milo, l’affetto e la comprensione di Elettra, il
sostegno di una sorella più forte.
Il
cuore del giovane cavaliere di Scorpio si era fermato quel giorno e anche se poi
era ripartito, non aveva avuto più la forza di un tempo. Il dolore lo aveva
lasciato quasi stordito, nella sua potenza. La rabbia lo aveva accecato e reso
quasi un assassino. Ma, infine, ciò che aveva preso il sopravvento era stato il
senso di colpa.
Lui
era un cavaliere e non era stato capace di comprendere l’orrore in cui viveva
Melissa e salvarla, portandola lontano. Era stato incapace di prendere in mano
le loro vite e dare una svolta nuova. La sua giovane età non era un
giustificazione. La volontà di lei di tenerlo allo scuro ancora meno. Per anni
si era roso in queste considerazioni, preso negli alti e bassi delle sue crisi
depressive.
Le
cose, però, ultimamente erano un po’ cambiate. Crescendo aveva capito meglio.
Si sentiva ancora in colpa, ma comprendeva che il destino e la mente degli
uomini erano territori oscuri. Aveva compreso che, probabilmente, portare
lontano Melissa non avrebbe risolto i suoi problemi, che l’aspettavano anni di
terapia per uscirne. Che lui, in ogni caso, restava un cavaliere di Atena e il
suo dovere l’avrebbe prima o poi riportato al Santuario. Come era davvero
successo, infine.
Forse
il dolore era una crudele prova degli Dei per mettere i mortali davanti alla
loro fallibile natura umana. Forse Melissa era davvero una creatura del cielo e,
se era così, questo cattivo mondo non era il suo posto. Solo nei giardini
dell’Elisio sarebbe stata libera e felice. Questi pensieri non lo confortavano
dal dolore, che comunque era nel suo cuore, ma almeno poteva sperare che lo
sguardo amorevole della fanciulla lo proteggesse nelle battaglie che avrebbe
dovuto affrontare.
Si tolse il casco e
lo poggiò sulla sella della moto che aveva usato per arrivare fin lì. Il
panorama era talmente bello da togliere il fiato.
La costa si
frastagliava in alte scogliere particolarmente candide, spoglie d’alberi, ma
coperte da erba verde. Il cielo era di un azzurro cristallino, che si rifletteva
nell’acqua verde e blu del mare calmo. I gabbiani sfioravano le onde,
gridando, nel vento dolce. C’era profumo di salsedine, misto a quello
inebriante degli arbusti cresciuti tra le rocce.
Milo camminò
attraverso l’incerto sentiero che risaliva una scogliera. Quel posto aveva
certamente un’importanza particolare. Lui e Melissa c’erano stati alcune
volte e la ragazza se n’era innamorata. Aveva lasciato scritto che era il
luogo in cui voleva riposare e così era stato.
Il suo desiderio,
in realtà, era rimasto un segreto condiviso da solo tre persone, perché
Melissa doveva essere sepolta nella cripta del Santuario, un onore concesso a
pochi; dopo la sua morte, però, Milo aveva trovato la sua lettera d’addio,
dove la ragazza esprimeva la volontà di essere tumulata sulla scogliera, non in
un posto buio e freddo. E a chi poteva chiedere aiuto, il cavaliere di Scorpio,
se non al suo migliore amico e all’unica persona che aveva dimostrato di amare
Melissa? Camus, pur non del tutto d’accordo, lo aiutò a trafugare il corpo,
mentre Elettra si occupava della tomba. Furono loro tre gli unici ad assistere
alla tumulazione e, al di fuori della ristretta cerchia, solo Ofelia, la sorella
di Melissa, fu informata del luogo di sepoltura.
La sparizione del
corpo della ragazza era tutt’ora uno dei misteri meglio custoditi del
Santuario. E solo gli Dei sapevano quanti segreti celassero quelle mura.
Il padre di
Melissa, un capitano delle guardie del Santuario, e i suoi due figli, rozzi e
viscidi soldati di truppa, avevano tentato di accusarlo, rendendosi conto ben
presto che un cavaliere di quella casta era intoccabile e anche che gli
conveniva stargli lontano. Scorpio, infatti, quando aveva saputo i particolari
della vicenda di Melissa, era partito deciso a fare strage dei membri maschi
della famiglia; solo Camus era riuscito a riportarlo alla ragione, con le
maniere forti.
Erano stati giorni
strani quelli. Passati addosso come se fossero stati guardati dal di fuori. Con
la rabbia che lo riempiva di energia negativa, per poi lasciarlo in balia di una
disperazione tanto forte da privarlo di qualsiasi forza, anche quella di
sollevare una mano.
In seguito aveva
vissuto un periodo di apatia quasi totale, finché Nikolais non lo convinse che
l’unico modo per ritrovarsi era allontanarsi da tutto.
Lo aveva fatto. Era
andato nel deserto, aveva vissuto per un anno insieme ai beduini; poi il
Mediterraneo, esplorato in ogni angolo per quasi due anni. Si era perso molte
volte. Nei profumi estranianti dei suk maghrebini, nelle acque cristalline della
Croazia, nei vicoli di Istanbul, nelle voci estranee sui traghetti. In notti
lunghe e dolorose, dove l’unico rumore era quello dei suoi singhiozzi. Poi
Milos lo aveva accolto. Il luogo dove aveva conquistato l’armatura, con le sue
case bianche, il profumo di limoni, le campane lontane, i riti dei pescatori.
C’era una strana pace irreale sull’isola, sembrava quasi artefatta, come lo
era l’apparente tranquillità di Scorpio, però gli aveva fatto bene.
Ora tornava su
quella scogliera con il dolore sempre nel cuore, ma consapevole che, qualunque
cosa fosse successo, la sua vita era andata avanti comunque, che lo desiderasse
oppure no.
Vide
la tomba. In un punto dove
l’erba si faceva più fitta e verde sorgeva una piccola lapide di semplice
marmo bianco. Nessun nome, nessuna data. Solo il simbolo dello Scorpione, una
specie di M con la coda, scolpita al centro.
Si avvicinò, con
già un groppo alla gola e gli occhi lucidi. La tomba era curata, l’erba
tagliata, il marmo pulito. Il piccolo roseto che la circondava era ben tenuto e
cominciavano a spuntare piccoli boccioli di rose gialle, le preferite di
Melissa. Era stato proprio Milo a piantarlo, il giorno del funerale.
Si stupì, ad ogni
modo, di trovare quell’ordine. Era segno che qualcuno accudiva con devozione
la tomba e non lo avrebbe creduto. Chi poteva mai essere? Sapeva che Ofelia
viveva al nord, quindi era improbabile che fosse lei. Camus non era certo il
tipo che… ma sì, non poteva che essere la Divina Elettra a farlo. Era la
soluzione più logica, pensandoci. Al ritorno sarebbe andato a ringraziarla di
persona. Ora aveva altro cui pensare.
Si chinò
sull’erba, ma la sua mente era già altrove, non vedeva più il mare e il
cielo. Solo gli occhi di Melissa. I loro giorni insieme. Il primo sguardo che si
scambiarono, la prima carezza… il primo bacio. E quando decisero di fare
l’amore, inesperti entrambi e un po’ imbarazzati. Il corpo di lei, fragile e
magro… e quei lividi, c’era sempre una buona scusa. “Sono proprio
imbranata!” Diceva; ma essere picchiati non è come colpire per sbaglio uno
spigolo, i segni sono diversi. Le raccomandazioni così inutili di Milo, che non
sapeva, no, non poteva capire. La consapevolezza arresa di Melissa, convinta che
al peggio di un essere umano non ci fosse mai fine. Una giovane vita talmente
privata di speranza da non riuscire a vedere neanche il riflesso di un futuro
migliore. Una morte improvvisa, che aveva colto di sorpresa solo chi non aveva
intuito la disperazione della ragazza.
Milo lo aveva
fatto. Sentiva la disperazione in lei, nonostante lo avesse voluto tenere
lontano da quel lato della sua vita. C’era qualcosa d’irrimediabilmente
spezzato in Melissa e quando era morta, Milo aveva capito la propria impotenza,
perché anche se lui l’aveva amata, non era stato in suo potere salvarla.
Questo aveva alimentato il suo senso di colpa nel corso di quegli anni trascorsi
a tormentarsi.
Era passato molto
tempo, adesso, e altro ne sarebbe dovuto passare, prima che lui guarisse, che
potesse rinascere denudato dagli sbagli e dai peccati, pronto a danzare sulla
tomba della sua vecchia anima. (*) Non aveva perso la speranza, la ricostruzione
era lunga e dolorosa, ma non si sarebbe arreso.
Si asciugò il viso
bagnato dalle lacrime e sorrise appena, come se avesse davanti Melissa che gli
diceva di non piangere, poi si sporse verso la lapide e scavò alla sua base. Un
bocciolo più grande degli altri, già pronto a fiorire, lambiva il marmo. La
ricerca fu breve, ricordava perfettamente di averlo messo lì prima di partire,
cinque anni prima.
Era un medaglione
di forma ovale attaccato ad una catenina d’oro. Una cornice di oro rosso
formava una specie di stella a molte punte al cui interno spiccava il simbolo
dello Scorpione. Milo, da quando aveva memoria, lo aveva sempre posseduto; forse
era l’unico collegamento con la sua vera famiglia, ma non c’erano conferme.
Un tempo lo aveva donato a Melissa, ma lei non aveva potuto indossarlo, così
aveva continuato a portarlo lui. Rappresentava, ad ogni modo, il legame tra loro
due, per questo, quando Scorpio era partito, lo aveva lasciato lì. La garanzia
del suo ritorno ed un modo per continuare comunque a starle vicino.
Il ragazzo risistemò
la terra smossa, poi si alzò. Aprì il pugno e pulì la superficie dorata del
gioiello, che brillò al sole, quindi se lo mise al collo; il metallo freddo gli
trasmise un brivido familiare. Abbassò di nuovo gli occhi sulla lapide.
“Sono tornato,
hai visto Melissa?” Mormorò cercando di trattenere le lacrime. “Non ti
lascerò mai più sola così a lungo.” Continuò con voce tremante. “Sto
ancora male, a volte, sai… ma non ti preoccupare, io… ce la farò…”
Sospirò e sfiorò la lapide con la punta delle dita; quindi si asciugò le
ultime lacrime prima che gli scendessero dagli occhi, poi riprese il sentiero in
discesa.
La lunga strada
della salvezza. Sarebbe riuscito a percorrerla completamente solo quando avesse
compreso che, ormai, l’unico da salvare era lui stesso. Aveva speranza nel
cuore e questa era già una vittoria. Forse avrebbe avuto bisogno anche di
aiuto, se solo avesse trovato la persona adatta. Il futuro lo spaventava ancora,
con le sue incertezze, ma avrebbe vissuto giorno per giorno tutto ciò che gli
era riservato. Le battaglie. I dubbi. Le scelte. I sentimenti. Poi un mattino si
sarebbe svegliato, forse con qualcuno accanto, o forse no, e la paura sarebbe
scomparsa.
Sì,
sarà una mattina di sole… si disse il cavaliere, poi sorrise al cielo,
dove vedeva l’immagine sorridente di Melissa, e lei scomparve dolcemente, nel
vento.
If
there's a light up ahead well brother I don't know
But I got this fever burnin' in my soul
So let's take the good times as they go
And I'll meet you further on up the road
(Further
on (up the road) – Bruce Springsteen)
FINE
NOTE:
-
(*) anche questa riflessione è tratta da Camilleri, “La voce del
violino”.
-
(*) quest’idea della tragedia silenziosa (che condivido in pieno) me
l’ha data un libro di Andrea Camilleri che ho letto quest’estate “La luna
di carta”, che consiglio come tutti i romanzi dell’autore siciliano.
-
(*) non pensate che all’improvviso mi sia data alla filosofia, ho solo
rielaborato un concetto che mi piaceva, espresso nei versi di una canzone che
amo. Li riporto per
correttezza: “Tonight I'm gonna get birth naked and bury my old soul / And
dance on its grave” (Long time coming – Bruce Springsteen). Tutto il
testo sarebbe da citare, cmq… ^__-
-
Further on… questa canzone era perfetta per chiudere la storia, perché
come quasi tutte quelle dello zio Bruce è piena di speranza, nonostante tutto,
e voglio dargliene di speranza, al nostro Milo.
E ora, finite le
cose serie, si apre lo spazio dello SFOGO MALUPINO!
1.
Lo ammetto, l’idea di un figone con addosso solo un leggero caftano è
una dei miei pensieri erotici ricorrenti. Che ci volete fare, sono malata…
2.
Scorpio rockstar è un classico, ormai, ma non ho potuto fare a meno del
mio sguardo ma malupino… lo vedete anche voi il suo pancino? L’addominale
tirato? L’ombelico? O_O E via, sono andata definitivamente…
3.
Infine non posso che ribadire il mio amore per Milo, che mi conquistò al
primo sguardo del primo episodio in cui appare ed è sempre rimasto il mio
cavaliere preferito. Del resto non è possibile fare altrimenti, davanti a
cotanto splendore! Sbavatrici del mondo uniamoci!
Bene, asciugandomi
l’ultima goccia di saliva, vi saluto e ringrazio e spero di rifarmi viva
presto in questa sezione, altrimenti a presto sulla pagina degli autori!
Un saluto
grandissimo a tutti!
CrazyCow
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