Undisclosed Desires di Roberta87 (/viewuser.php?uid=95911)
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** trama ed introduzione ***
Capitolo 2: *** PROLOGO ***
Capitolo 3: *** CAPITOLO 1 - Giullare di corte ***
Capitolo 4: *** CAPITOLO 2 - il primo incontro ***
Capitolo 5: *** CAPITOLO 3 - Il fiore più bello ***
Capitolo 6: *** CAPITOLO 4 - La proposta ***
Capitolo 7: *** CAPITOLO 5 - Luce ***
Capitolo 8: *** CAPITOLO 6 - Fuoco ***
Capitolo 9: *** CAPITOLO 7 - Sei ***
Capitolo 10: *** CAPITOLO 8 - Cantante muta ***
Capitolo 11: *** CAPITOLO 9 - Bella può bastare? ***
Capitolo 12: *** CAPITOLO 10 - Informazioni e sassolini ***
Capitolo 13: *** CAPITOLO 11 - Tana, Lupo ***
Capitolo 14: *** CAPITOLO 12 - Decisioni ***
Capitolo 15: *** CAPITOLO 13 - Incontro ravvicinato ***
Capitolo 16: *** AVVISO!! Buone Vacanze!! ***
Capitolo 17: *** CAPITOLO 14 - Minaccia ***
Capitolo 18: *** CAPITOLO 15 - Mille e una notte - parte prima 'Sam Uley' ***
Capitolo 19: *** CAPITOLO 15 - Mille e una notte - parte seconda 'Garage' ***
Capitolo 20: *** CAPITOLO 15 - Mille e una notte - parte terza 'Anima e Corpo' ***
Capitolo 21: *** CAPITOLO 16 - Punto di rottura ***
Capitolo 22: *** CAPITOLO 17 - Farsi da parte ***
Capitolo 23: *** CAPITOLO 18 - Un passo alla volta ***
Capitolo 24: *** CAPITOLO 19 - Romeo ***
Capitolo 25: *** CAPITOLO 20 - Opportunità ***
Capitolo 26: *** CAPITOLO 21 - Undisclosed Desires ***
Capitolo 27: *** CAPITOLO 22 - Confessioni ***
Capitolo 28: *** CAPITOLO 23 - Niente roba da femminucce ***
Capitolo 29: *** CAPITOLO 24 - Quando il bianco è spietato ***
Capitolo 30: *** CAPITOLO 25 - Orribili difetti ***
Capitolo 31: *** CAPITOLO 26 - Festa con sorpresa - parte prima ***
Capitolo 32: *** CAPITOLO 26 - Festa con sorpresa - parte seconda ***
Capitolo 33: *** CAPITOLO 27 - L'Orlando ***
Capitolo 34: *** CAPITOLO 28 - Sol Invictus ***
Capitolo 35: *** CAPITOLO 29 - Ri-conoscersi ***
Capitolo 36: *** CAPITOLO 30 - Una nuova realtà ***
Capitolo 37: *** CAPITOLO 31 - Freaks ***
Capitolo 38: *** CAPITOLO 32 - Umanamente io ***
Capitolo 39: *** Avviso, Buone Vacanze! ***
Capitolo 40: *** CAPITOLO 33 - La fine e l'inizio ***
Capitolo 41: *** CAPITOLO 34 - Distrai le mie parole ***
Capitolo 42: *** CAPITOLO 35 - Un tuffo nel passato ***
Capitolo 43: *** Avviso ***
Capitolo 1 *** trama ed introduzione ***
INTRODUZIONE e TRAMA
“I want to reconcile the violence in your heart
I
want to recognise your beauty’s not just a mask
I
want to exorcise the demons from your past
I
want to satisfy the undisclosed desires in your heart.”
Muse
“
Voglio riconciliare la violenza che c’è nel tuo
cuore
Voglio
riconoscere che la tua bellezza non è solo una maschera
Voglio
esorcizzare i demoni del tuo passato
Voglio
soddisfare i desideri non rivelati che ci sono nel tuo cuore”
Muse
Questo
ritornello dei Grandiosi Muse mi ha convinto a mettere su carta
ciò che ormai stava già da un pezzo nella mia
fantasia. Una storia, la mia storia alternativa a Twilight.
Questa storia narra di una spensierata e felice Bella, che vive da tre
anni a
Forks, trasferitasi all’allora suo primo anno di liceo. Da
due
anni ha una storia con una persona “molto
speciale”, una storia completa, serena e piena
d’amore. Davvero non avrebbe potuto sperare di meglio da quel
trasferimento....Se non fosse che,
è un mese che ormai Bella si sveglia prima del solito, con
un senso di inquietudine attaccato
addosso……Che qualcosa stia per
succedere? Che qualcuno stia per arrivare a sconvolgere la sua
normalità?......Qualcuno che poi, infondo , tanto
“normale” non è ? Magari una famiglia, i
Cullen, che stavolta si presenteranno al completo + 1 .
Se
volete scoprire chi è il suo adorabile compagno; Chi,
stavolta, si troverà nella scomoda posizione di
“ultimo arrivato” alla Forks High, invertendo le
parti originarie; Chi è questo nuovo (che tanto nuovo non si
rivelerà) componente della famiglia Cullen; E come tutte
queste cose si intrecceranno tra loro…..non vi resta che
leggere il resto della mia storia!! Spero vi piaccia tanto quanto a me
sta piacendo scriverla!
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Capitolo 2 *** PROLOGO ***
PROLOGO
Pioggia,
immancabile e fastidiosissima pioggia.
Anche
quella mattina fu la prima cosa che vidi appena aperti gli occhi, fuori
dalla finestra accanto al mio letto. Non che ci fosse qualcosa di cui
stupirsi, del resto da quando mi ero trasferita da mio padre a Forks
erano spuntate al massimo una decina di giorni di sole in tre anni.
Wow,
erano già passati ben tre anni. A volte sembravano passati
solo pochi giorni da quando girando per i corridoi della Forks High mi
sentivo come un fenomeno da baraccone, una di quelle scimmiette che
cantano e ballano attirando l’attenzione di chiunque nel
raggio di un centinaio di metri.
Mentre ripensavo a quei primi,
terribili giorni, la sveglia sul comodino iniziò a trillare
quel fastidioso motivetto che Charlie aveva tanto insistito che
scegliessi, perché, parole sue “Meglio una cosetta
tranquilla come questa Bells, non vorrei correre a sollevarti da terra
tutte le mattine perché sei caduta dal letto nella fretta di
spegnere una sveglia rumorosa!”.
Spensi
la sveglia con una mano senza nemmeno guardarla, mi passai le dita tra
i capelli con l’altra e quello che vidi pendere dal mio polso
mi procurò il solito sfarfallio allo stomaco che non
riuscivo mai a controllare, specialmente di primo mattino. Quel
piccolo, semplicissimo oggettino appeso al braccialetto mi fece
sorridere involontariamente, scacciando all’istante la
scomoda sensazione di inquietudine che mi pervadeva ormai ogni mattina
nell’ultimo mese e che puntualmente mi svegliava circa una
mezz’oretta prima del dovuto .
Con
la testa ancora un po’ tra le nuvole mi alzai e inziai a
prepararmi per la giornata sapendo che di lì a poco lui
sarebbe venuto a prendermi per andare a scuola. Lui che era ormai il
MIO lui da due anni, il mio fedele compagno, il mio caloroso
amante…il mio Jacob.
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Capitolo 3 *** CAPITOLO 1 - Giullare di corte ***
Salve a tutti.... da qui inizia
la mia storia. Per i primi capitoli noterete che sono molto brevi, ma
posso assicurarvi che con il passare del tempo sono diventati molto
più lunghi e lo stile è decisamente
migliorato....ero davvero alle primissime armi quando ho scritto questi
capitoli iniziali. Per cui......spero continuerete a leggere questa
storia con piacere.
E spero anche vivamente di poter ricevere le vostre recensioni, belle o
brutte che siano, perchè è grazie a voi e alle
vostre parole se continuo a pubblicare la mia storia.
Buona Lettura.
CAPITOLO
1 – “Giullare
di corte”
Preparavo
i pancakes per Charlie quando scese le scale ed
entrò in cucina vestito di tutto punto nella sua uniforme.
Sarebbe sembrato un autorevolissimo capo della polizia a chiunque, ma
non a me. Nemmeno da bambina quella divisa mi aveva mai intimorita,ero
sempre riuscita a vedere l’uomo buono ed insicuro che vi si
celava dietro.
« ‘Giorno tesoro »
disse
distrattamente dando una sistemata al distintivo.
Poi alzò lo sguardo e vide la tavola
tutta apparecchiata per
la colazione e me che gli servivo un piatto con fumanti pancakes
affogati nello sciroppo d’acero.
« Cavolo Bells, anche stamattina ti
hanno tirata
giù dal letto all’alba?! »
« Ehm….ma no
papà, che dici. Sono
solo….stata più veloce del solito,ecco.
»
« Bella il giorno in cui tu, anche solo
tenterai, di fare
qualsiasi cosa “più
veloce del solito”
temo che dovrò rispolverare le mie conoscenze al centro
traumatologico della città » disse puntando la
forchetta nella mia direzione e ridendosela sotto i baffi.
Ormai non facevo più caso a quante
volte al giorno mio padre
mi ricordasse quanto fossi disperatamente scoordinata; Anzi a dire il
vero da quando Jacob aveva iniziato a frequentare casa nostra, diciamo
“più spesso”, Charlie aveva trovato in
lui l’alleato perfetto per rendermi il loro clown personale:
ero circondata, ed in netta minoranza, non mi restava che subire quel
loro pseudo cameratismo anti-Bella.
Pensando a Jake e ricordandomi che di
lì a poco sarebbe
stato fuori casa mia ne presi in prestito la sua risposta
più frequente, contenta di poterla usare almeno per stavolta
a mio vantaggio
« Certo, certo » .
Per poco Charlie non si strozzò con il
boccone ultra
glicemico della sua colazione .
« Ehi, signorina, va bene che Jacob mi
sta molto simpatico,
ma non voglio che anche tu prenda quel brutto viziaccio di rispondere
meccanicamente, d’accordo? »
E così dicendo sfoderò il
suo sguardo da Capo
Swan, ottenendo come unico risultato quello di intenerirmi,
trattenendomi dal rispondergli ancora una volta nello stesso modo. Gli
sorrisi,
« Non preoccuparti papà, non
c’è questo pericolo » e non
c’era davvero dal momento che anche io combattevo la sua
stessa battaglia contro quello zuccone del mio ragazzo.
Infilai il cappotto, presi lo zaino e mi avviai
verso la porta
« A stasera! » gli gridai
dall’ingresso,
« D’accordo e sta attenta!
» .
Aprii la porta e nel richiuderla dietro di me ci
rimase lo zaino
incastrato dentro, sbuffai, “Stupida porta”,
mi
liberai da quella trappola e finalmente la richiusi alle mie spalle.
Intanto dalla cucina mi raggiunse l’eco della grassa risata
di Charlie, ma in quel momento non me la presi del suo deridermi, in
quel momento mi ero appena immersa nel mare scuro e profondo color
nocciola del paio d’occhi più innamorati
dell’intero stato di Washington.
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Capitolo 4 *** CAPITOLO 2 - il primo incontro ***
CAPITOLO
2 – “Il
primo incontro”
Quegli
occhi, che in quel momento erano pieni di
una dolcezza che solo un amore puro porta con se, appartenevano a colui
che era il mio compagno da due anni : Jacob Black.
Prima di diventare tale, Jake era stato per me
dapprima un
divertentissimo compagno di giochi infantili quando da piccola venivo a
trascorrere le vacanze da Charlie; Poi, una salda e spensierata ancora
di salvezza durante il primo anno in cui mi trasferii a Forks.
In quel periodo dovunque andassi avevo tutti gli
occhi puntati addosso:
la cosa più imbarazzante del mondo. Mi sentivo sempre
osservata; all’inizio pensai che forse avevo qualcosa di
strano, magari ero troppo pallida, troppo magra, i capelli fuori posto,
i vestiti sgualciti : insomma proprio non riuscivo a capire
perché, tutto ad un tratto, mi ritrovavo ad essere la
principale attrazione di un’intera cittadina.
Poi, dopo il terzo giorno dal mio arrivo, vennero
a farci visita Billy
Black e suo figlio Jacob. Ricordo ancora che la prima cosa che mi disse
fu
«
Tranquilla Isabella, qui sono solo a corto di svaghi,
vedrai che tra qualche settimana sarai lasciata in pace da tutti quei
pettegoli »
«
Bella » risposi indicando me stessa, fu
l’unica cosa che mi venne da dire in quel momento al
ragazzone premuroso che mi trovavo davanti, così diverso dal
bambino che ricordavo giocare con me in spiaggia.
«
Come scusa? » chiese spiazzato
«
Bella può bastare. Del resto mi pare mi
chiamassi già così quando facevamo le torte di
fango insieme da piccoli »
Billy
scoppiò in una fragorosa risata indicando il figlio
che in quel momento mi guardava confuso :
«
Visto Jake? Te l’avevo detto che si sarebbe
ricordata di te » poi rivolto a me aggiunse «
E’ stata un’idea sua quella di chiamarti Isabella,
diceva che non voleva sembrare invadente come gli altri; Ma dico io,
è più invadente una manciata innocente di
ragazzini curiosi o uno zuccone che tormenta il padre di portarlo a
casa tua? »
Jacob
diventò rosso paonazzo in volto e poi sorrise, un
sorriso imbarazzato, ma nel quale rividi il mio compagno di giochi di
un tempo.
No, non era
diverso, non era cambiato, era ancora il Jacob che avevo
conosciuto anni prima. Era solo cresciuto, e da un bambino magrolino,
vispo e con i capelli arruffati era diventato il bellissimo ragazzo che
avevo davanti in quel momento.
La pioggerellina sottile sul viso mi
riportò al presente,
davanti a me, alla fine del vialetto di casa, c’era il mio
Jacob.
Poggiato con la schiena alla moto nera e lucente
stava lì a
guardarmi.
La bocca dalle labbra carnose e lisce si apriva
in un sorriso ampio che
mostrava i bellissimi e perfetti denti; il volto olivastro incorniciato
da una morbida e folta cascata di capelli neri che gli ricadeva sulle
spalle inumidita dalla pioggia .
Quelle stesse spalle di cui era semplice seguire
il profilo attraverso
la stretta T-shirt bianca che indossava quel giorno, e che metteva
ancora più in risalto il caldo incarnato della sua pelle.
Una mano in tasca, e l’altra
all’altezza del petto
nella quale girava piano un coloratissimo fiore dalle sfumature viola e
gialle.
Angolo
autrice : PER FAVORE recensite !
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Capitolo 5 *** CAPITOLO 3 - Il fiore più bello ***
CAPITOLO 3
– “Il
fiore più bello”
Avevo lo
stomaco in subbuglio, come ogni volta che mi si presentava
così: sorriso disarmante, sguardo innamorato, ed immancabile
fiore selvatico da offrirmi. Feci un bel respiro profondo, ringraziando
il cielo di non aver mangiato nulla quella mattina, e mi diressi verso
Jacob.
Cercavo
in tutti i modi di mantenere un contegno recitando la parte
dell’indifferente, consapevole dei mediocri risultati che
avrei potuto ottenere vista la mia totale incapacità di
mentire bene. Il mio passo era lento e misurato, avrei voluto che fosse
prova quasi di una sensazione di noia; mi imposi di staccargli gli
occhi di dosso e di farli vagare un po’ dovunque : in giro
per il vicinato, sulla bizzarra auto color verde evidenziatore
parcheggiata a pochi isolati da casa mia, su di un cagnolino arruffato
che passeggiava sotto la pioggia con il suo padrone, sui miei piedi
perfino.
E
devo ammettere che mai come quella volta ebbi un tempismo perfetto :
abbassai lo sguardo sui miei piedi giusto in tempo per vederli
aggrovigliarsi fra loro. Persi l’equilibrio sbilanciandomi
sulla destra, “No
! cavolo!” pensai mentre nella
mia mente già si materializzava l’immagine di me
faccia sull’asfalto e mano sbucciata “Non adesso,
Bella, e che diamine! Tieniti su per una volta!”
.
Qualche
dio del cielo dovette ascoltarmi perché, miracolosamente,
con un paio di balzelli ed una mezza giravolta evitai di capitombolare,
ritrovandomi seppur leggermente sconvolta ed in una posizione
stranissima, ma vittoriosamente in
piedi!
In
quel momento mi sarei fatta un applauso da sola tanto ero orgogliosa di
me stessa, di non averla data vinta almeno stavolta alla mia
acerrima nemica : la gravità. Mentre ero intenta a celebrare
mentalmente la mia rivincita personale contro il mondo intero mi
ricordai di avere un pubblico, un unico spettatore per essere precisi,
ma sarebbe bastato ed avanzato a farmi sentire ridicola ancora una
volta .
Lanciai
un’occhiata a Jacob che era un misto fra minaccia e sguardo
indagatore per capire le sue intenzioni, lo trovai con
un’espressione divertita ma con mio grande stupore si stava
trattenendo dal ridere. Finalmente, voleva darmi una
possibilità di iniziare la mattinata senza sentirmi un
pagliaccio. Approfittando della mia buona stella mi drizzai su me
stessa, aggiustai lo zaino arancione in spalla e poi, mento
all’insù, sguardo fiero, coprii la breve (grazie
al cielo!) distanza che mi separava dal mio cavaliere.
«
Che ne dici Bells, ti senti soddisfatta o preferisci tornare indietro e
ripropormi questa farsa? » stavolta non si trattenne dal
farsi un bel risolino.
Nonostante
ogni sua risata, dalla più piccola alla più
fragorosa, mi facesse sentire subito di buon umore, decisi che stavolta
non mi avrebbe fregata; incrociai le braccia al petto e sbuffai.
Il
risolino di Jacob si trasformò in un sorrisone ampio, in un
attimo estrasse la mano destra dalla tasca dei pantaloni e la
portò dietro la mia schiena attirandomi dolcemente a
sé. Lentamente mi porse il bellissimo fiore che recava nella
mano sinistra; ne rimasi affascinata, era davvero stupendo. Allungai
una mano, lo presi e rigirandolo tra le dita ne annusai il profumo :
selvatico, come la stessa natura della sua provenienza.
Jacob
percorse teneramente il profilo del mio naso sfiorandolo con due dita,
per poi continuare con i lineamenti della guancia e del
mento. Riuscivo a sentire i punti in cui mi aveva sfiorata ancora
caldi, come se le sue dita fossero ancora lì, ad indugiare
su ogni millimetro della mia pelle, come se nel loro tragitto le sue
dita avessero posato su di essa un sottile strato di miele bollente.
Mi
sollevò leggermente il viso, piano. Il mare nocciola e
profondo dei suoi occhi invase i miei, e lentamente avvicinò
il suo volto al mio. Con la punta del suo naso perfetto ridiscese la
pendenza del mio fino a raggiungerne la punta, dove si
soffermò, e tenendo gli occhi magneticamente immersi nei
miei mi sussurrò in un soffio
«
…Kuk Laule…».
Le
sue labbra si posarono sulle mie dolcemente e vi indugiarono qualche
secondo, posando sulla mia bocca un bacio morbido e caldissimo. La sua
temperatura corporea era sempre stata molto più alta della
mia, “un’eredità
genetica della famiglia
Black” a suo dire. Non mi interessava da chi
l’avesse ereditata, sapevo solo che per me era confortante :
tra le sue braccia, immersa nel suo calore, mi sentivo sempre a casa.
Jacob
allontanò leggermente il suo volto dal mio, ancora con un
braccio poggiato dietro la mia schiena. La mano che fino a pochi
istanti prima reggeva dolcemente il mio viso si spostò in
cerca della mia e la trovò che stringeva il fiore poggiata
al suo petto. La avvolse nella sua, e la mise in bella mostra tra di
noi. Quel piccolo fiorellino rappresentava l’unico ostacolo
che separava i nostri visi, i nostri occhi, le nostre labbra, quando
disse
«…Niente
da fare, anche stavolta ho vinto io. » Rivolgendosi
più a se stesso che a me, posando lo sguardo prima sul fiore
e poi ancora sulla sottoscritta.
«
Non sono d’accordo » replicai « Stavolta
è proprio bellissimo, non penso di poter contrastare cotanta
perfezione ».
Mi
sfilò il fiore dalla mano e delicatamente fece scorrere il
lembo dei suoi petali sulla mia guancia.
«
Bella, tu non ti rendi conto. Tu sei il fiore più bello del
pianeta. Ed io te lo sto dimostrando »
«
Se non sbaglio puoi testimoniare solo per la
riserva…»
«
Sono sicuro che non servirebbe a farti aprire gli occhi, ma per te,
estenderei la mia scommessa anche al mondo intero ».
Il
giorno in cui io e Jake avevamo rivelato i sentimenti che
nutrivamo l’uno nei confronti dell’altro, in un
momento di intimità, tra un bacio ed una carezza mi aveva
detto “Sei il
fiore più bello che esista al mondo.
Sei il mio fiorellino, ed io sarò il tuo sole.”,
tremendamente in imbarazzo lo canzonai dicendogli che stava esagerando.
Lui, punto in un momento di tenerezza in cui si era lasciato
andare, fece riemergere il Jacob impertinente lanciandomi una sfida :
Per ogni giorno che saremmo stati insieme, lui mi avrebbe portato un
fiore diverso che nasce nel territorio della riserva. Fin quando non ne
avesse trovato uno capace di superarmi in bellezza, io sarei stata il
suo fiorellino,
ahimè, di nome e di fatto.
«
Ora andiamo fiorellino,
o non arriverai mai in tempo per
l’inizio delle lezioni »
«
D’accordo…»
Sciolse
il nostro abbraccio, salì in sella alla moto ed io lo
guardai ancora «..Jake, stamattina quando sei uscito di casa
hai visto che stava piovendo? »
«
Certo Bella, e se tu
non lo avessi notato, sta ancora piovigginando….i miei baci
ti fanno proprio perdere il contatto con la realtà vero?
»
Stupido
idiota, quando faceva lo sfacciato gli avrei tirato volentieri un
ceffone.
«
Si che l’ho notato, idiota. Mi riferivo al fatto che sei
uscito in T-shirt in una mattina di pioggia! »
«
E secondo te come avrei fatto, se non presentandomi così, a
farti stringere lo stomaco quando mi avresti visto? »
Mannaggia
alla mia boccaccia e a quando gli avevo raccontato del mambo che era
solito ballare il mio stomaco alla sua vista.
Che
sciocco … come se fosse una semplice T-shirt a farmi
quell’effetto e non la bellezza di chi la indossasse. Una
risata divertita mi uscì spontanea dall’anima
«
Bene, buffone, dopo la tua esibizione mattutina penso proprio che
possiamo andare ».
Mi
infilai il casco,salii in sella e mi strinsi forte al mio ragazzone,
che mise in moto con un rombo la sua due ruote e partì
direzione Forks High.
Angolo
autrice : PER FAVORE recensite !
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Capitolo 6 *** CAPITOLO 4 - La proposta ***
CAPITOLO 4
– “La
proposta”
Le moto
suscitavano in me una reazione di amore/odio.
Mi
sembravano sempre bellissime e avventurose, come il mio Jacob, ma allo
stesso tempo le temevo : pensare ad una persona seduta su di un
proiettile capace di sfrecciare anche a 200 km orari senza nessuna
protezione, se non un casco….mi spaventava molto. Forse mi
spaventava di più l’idea che ci fossi io da sola,
su uno di quei proiettili .. probabilmente avrei avuto le
allucinazioni!
Inevitabilmente
però, ogni volta che ne avvistavo una per strada, o che ne
sentivo il rombo, i miei occhi correvano a scrutare il volto del
guidatore, sperando di scorgervi quello di Jake.
Non
riuscivo mai a spiegare le sensazioni che provavo quando ero in sella
alla moto aggrappata a lui; mi rendevo conto che quei momenti erano
quelli che meglio spiegavano l’essenza del mio rapporto con
Jacob: libertà, spensieratezza, leggerezza d’animo.
Il
paesaggio intorno a noi sfrecciava via veloce, il vento ci accarezzava
prepotentemente facendo vibrare nell’aria i capelli
folti,neri e lucenti di Jacob che mi solleticavano il viso portando con
loro il profumo di legna bruciata e muschio selvatico che tanto mi
piaceva, sapeva di buono, sapeva di casa, era l’odore della
pelle del mio cavaliere.
Inebriata
da quel profumo che tanto amavo, istintivamente schiacciai il mio corpo
ancora di più alla sua muscolosa schiena, strinsi forte le
mie gambe alle sue, mentre le mie braccia scioglievano la presa intorno
alla sua vita per andare a cercare l’ampio torace al quale mi
aggrappai forte con entrambe le mani aperte sul suo petto. Sentii
distintamente il brivido che lo percorse nonostante le vibrazioni della
moto, e restai ancora una volta stupita nel vedere la sua reazione a
questo piccolo gesto dopo due anni di relazione.
Nemmeno
mi accorsi che eravamo giunti a destinazione immersa com’ero
con i pensieri liberi nel vento.
«
Un altro giro? » nella sua voce divertita
c’era tutta l’intenzione di farlo davvero.
A
malincuore mi staccai dalla sua schiena, cercai il gancio del casco e
me lo sfilai
«
Mi piacerebbe molto Jake, ma penso di essere già abbastanza
in ritardo »
«
Aspetta ti aiuto a scendere »
«
Oh, andiamo, credo di saper scendere da sola ormai! »
«
Vediamo….»
Quel
“vediamo” mi suonò molto come una
sfida,non avrei di certo sprecato una simile occasione per riscattare
la mia reputazione! Mi concentrai più di quanto chiunque al
mondo facesse per scendere da una moto, infondo era semplice . Con
molta attenzione riuscii a mettere entrambi i piedi per terra senza
cadere: ero salva.
«
Hai visto abbastanza o vuoi che lo rifaccia? » adesso ero io
a provocare lui.
«
Non sia mai Bells, hai già sfidato troppo la sorte da
stamattina! »
Mise
il cavalletto alla moto e scese, prese il casco dalle mie mani e lo
poggiò sul sellino.
«
A proposito di stamattina, ti sei svegliata ancora all’alba?
»
Con
Jacob tutto era più semplice, anche parlare. Non esisteva
cosa che ci nascondessimo, forse perché parlare con
l’altro era come riporre le proprie parole ed i pensieri in
un posto sicuro; uno di quelli dove sai che nessuno andrà a
sbirciare, dove non c’è nessuno che giudichi o ti
faccia la predica. Per questo motivo non gli nascosi nemmeno il fatto
che era ormai un mese che mi svegliavo all’alba, con uno
strano e fastidioso senso di inquietudine attaccato addosso. Non
ricordavo mai cosa sognavo, ma infondo sapevo che era quella
l’origine della sensazione che mi svegliava.
«
Già, che rottura! » risposi infastidita,
ovviamente non dalla domanda, ma dalla mia risposta.
«
L’ho sempre saputo che eri strana, ma ora stai iniziando a
farmi paura »
Gli
diedi un leggero pugno sulla spalla trattenendo una risata
«
Vuoi smetterla di torturarmi stamattina?! »
«
Ma perché? Mi diverto così tanto! »
«
Perché non hai più cinque anni….o
almeno
non dovresti! »
«
Certo, certo » Eccolo qui, immancabile, il tic
più fastidioso del pianeta!
Gli
lanciai la solita occhiata prima-o-poi-questo-tic-te-lo-faccio-ingoiare.
La qual cosa gli procurò una grassa e rimbombante risata
che fece girare tutti quelli che ancora non ci stavano fissando.
Sì,
perché Jacob destava sempre un certo interesse
nelle ragazze della scuola che non perdevano mai occasione di
squadrarselo ben bene ogni mattina; e i ragazzi invece lo fissavano con
curiosità mista a ….. timore? Pensavo fosse la
definizione più giusta per i loro atteggiamenti.
Non
avevo mai capito come potesse Jacob suscitare timore, e se le persone
non si fossero soffermate soltanto sui lineamenti duri del suo volto
avrebbero visto anche loro quello che vedevo io : la dolcezza infinita
dei suoi occhi e la bontà genuina ed innocente del suo animo.
«
Ma si può sapere cos’hai stamattina? »
ormai ero troppo curiosa, dovevo capire.
«
Sono felice Bells! » sorrise apertamente
«
E da dove ti arriva tutta questa felicità? »
proprio non ci arrivavo.
«
Da quello che sto per chiederti…» il sorriso
aperto di prima lasciò spazio
all’intensità del suo sguardo.
«Tu…..tu lasciami fare, ok? » .
Mi
prese le mani e le tenne strette nelle sue, incatenò il suo
sguardo al mio con la ferma intenzione di non lasciarlo andare da
nessuna parte. Ma cosa stava succedendo?...ormai ero confusa e non ci
capivo più niente. Dopo un attimo si schiarì la
voce
«
Isabella Marie Swan…...»
Oh, oh !
«
Jake ma cosa diavolo…? »
«
E sta zitta per una volta, Bells! Chiudi quella bocca e stammi a
sentire! » il tono duro che usò mi convinse che
forse era meglio non interromperlo più .
Eppure
con quella premessa mi aveva mandato nel panico totale, di certo non
aveva scelto le parole migliori per farmi stare tranquilla. Ora che lo
guardavo meglio non avevo mai visto sul suo viso
un’espressione più seria, determinata e
concentrata di quella.
Era
in momenti come questi che dimostrava più anni di quanti ne
avesse, e nonostante fosse più piccolo di me, mi faceva
sentire come una bambina a suo confronto. Il mio stomaco si strinse
forte mentre aspettavo che riprendesse a parlare,
quell’attesa mi stava uccidendo :
«
Isabella Marie Swan…………vuoi
uscire con me stasera? » il sorriso che fece gli
arrivò fin dietro le orecchie.
«
Jacob ma…. sei
impazzito ?! » quasi gliele gridai in faccia
quelle ultime due parole.
Ma
cosa gli prendeva? Erano due anni che stavamo insieme e lui se ne
usciva con una domanda del genere? A volte era proprio capace di
sorprendermi, certo, ci era sempre riuscito, ma stavolta aveva superato
se stesso!
«
No che non sono impazzito! » rispose scandalizzato.
Scandalizzato?!..........
lui
faceva lo strano e guardava me
scandalizzato?!
«
Allora dimmi che significa questa…..non so nemmeno come
chiamarla….proposta?
» non ero certa che proposta
fosse la
parola più adatta, ma in quel momento era l’unica
che mi veniva in mente.
«
Tu prima rispondimi e poi ti spiego. Allora…? » Lo
sguardo implorante e il tono speranzoso mi fecero cedere a quella
follia che non sapevo nemmeno dove ci avrebbe portato.
«
Sì, certo che ci esco con te stasera Jacob Black. Ma ora
spiegami cosa
ti frulla nella testa »
«
Niente è che ho pensato fosse giusto così. Non ti
ho mai chiesto di uscire con me, non ce n’è mai
stato bisogno, e per questa volta credo che ci stia bene! »
Sputò
fuori talmente velocemente quella spiegazione assurda che nemmeno mi
diede il tempo di capirla. Poi altrettanto velocemente prese il mio
casco e se lo mise al braccio, salì in sella, e mentre
accendeva la moto, per sovrastare il solito rombo assordante, aggiunse
quasi urlando
«
Oggi non vengo a prenderti all’uscita, fiorellino ti
dispiace? Ho da fare, ti lascio un messaggio più tardi a
casa, ci vediamo stasera! »
Quasi
non colsi le ultime parole mentre si allontanava da me sgommando come
se fosse in fuga dal più pericoloso predatore della storia.
Era
pazzo. Sì, era decisamente pazzo.
E
c’era qualcosa sotto questo suo comportamento, ne ero certa.
Mentre fissavo ancora il punto in cui Jacob Black il pazzo era sparito,
la campanella suonò ricordandomi che era meglio sbrigarsi se
volevo arrivare in tempo per l’inizio della lezione di
biologia.
Angolo
autrice : PER FAVORE recensite !
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Capitolo 7 *** CAPITOLO 5 - Luce ***
CAPITOLO 5
– “Luce”
Percorrevo
il corridoio che mi avrebbe portata all’aula di biologia
quasi correndo, non volevo fare tardi a lezione solo per colpa delle
turbe mentali di Jake. Sentii avvicinarsi alle mie spalle un rumore di
piedi saltellanti
«
Ehi, Bella! » una delle voci più confortanti di
tutta Forks; mi voltai
«
Buongiorno Angie! »
«
‘Giorno tesoro » intanto mi aveva raggiunta e mi
schioccò un sonoro bacio sulla guancia.
Angela
Weber, la mia migliore amica. Era una delle persone più
sensibili che avessi mai conosciuto, e proprio questa sua grande
sensibilità mi aiutò molto al mio arrivo in quel
piccolo paesino di curiosi. Lei insieme a “Pazzo
Black” mi avevano confortato, fatto sentire a casa, e mi
erano stati sempre vicini con la gentilezza che li contraddistingueva.
In
quei tre anni l’avevo vista “crescere”
sotto i miei occhi, la ragazza che avevo ora davanti sembrava quasi una
donna : lunghi capelli neri, la bocca piccola e raffinata, un naso
normalissimo e gli occhiali dietro i quali si affacciavano i suoi
grandi occhi castani.
E
quella mattina, quegli occhi mi fissavano allegri e con la luce curiosa
che avevo imparato bene a riconoscere quando c’era qualcosa
che voleva chiedermi, raccontarmi o di cui voleva parlare.
Così sorridendo divertita la incitai:
«
Avanti Angela, smettila di fare gli occhioni e chiedi »
Nemmeno terminai la frase che disse
«
Uh! Morivo dalla voglia di chiedertelo, ma cosa gli è preso
stamattina a Jacob? L’ho visto scappare come se avesse visto
un mostro! » Alzai gli occhi al cielo:
«
Lo so Angie ma, credimi, il ‘mostro’
è
lui »
«
Perché? Cos’ha fatto stavolta il matto? »
«
Ecco hai proprio centrato il punto, ha fatto il pazzo! Si è
messo una bella espressione seria in volto e mi ha chiesto di uscire
con lui stasera »
Angela
scoppiò dalle risate e di fronte alla mia espressione ancora
perplessa tentò di dire:
«
Oh….hahaha!, dai Bella….hahaha, infondo
è una cosa da lui! »
E
mentre Angie si scompisciava dalle risate beffandosi delle stranezze
del mio ragazzo, un braccio si posò sulle mie spalle ed una
voce troppo vicina per i miei gusti esordì con un
infelicissimo :
«
Troppo forte la mia ragazza eh?! »
Mike
Newton. Era incredibile, erano passati tre anni eppure ancora ci
provava. Avrei scommesso che anche il giorno in cui mi avesse vista
sposata e con prole al seguito avrebbe fatto comunque il cascamorto.
Sbuffai e Angela disse
«
Certo Mike, come no. Vorrei solo sapere perché
l’idiota lo fai esclusivamente dentro le mura di scuola,
quando sai che il ragazzone di Bella non ti vede. Cosa
c’è hai paura che ti riduca come una poltiglietta
informe? »
Le ressi il gioco, mi divertivo a spaventare quel
fifone
«
Sai Angie, credo che basterebbe anche solo dirglielo, non
c’è bisogno che veda per stritolarlo »
Mike
sbiancò come ogni volta che il mio Jacob lo guardava storto
e fulmineo tolse il braccio dalle mie spalle
«
Io….ora devo andare è tardi »
farfugliò mentre si allontanava.
Angela
ed io, che intanto eravamo giunte all’aula di biologia,
ridemmo come due bambine, divertite e complici, ed entrammo a sederci
al nostro solito terzo banco accanto alla finestra.
Il
professor Molina ci guardò con aria di rimprovero e disse
«
Swan e Weber, siamo al terzo anno e non siete cambiate di una virgola!
Mi giocherò la cattedra a poker il giorno in cui entrerete
in classe in orario e senza sghignazzare! » Non ci riusciva
proprio a fare il professore serio e cattivo, così mentre lo
diceva ci sorrise benevolo.
Recuperai
quaderno e penna dallo zaino e mi preparai a seguire la lezione.
«
Bene ragazzi, l’argomento della lezione di oggi è
la FOTOSINTESI » scrisse l’ultima parola
sottolineandola alla lavagna dietro di sé «
Qualcuno sa di cosa sto parlando? » ironicamente.
Dalla
classe salì piano una risatina divertita.
«
Oh bene ! Noto con piacere che sono circondato da geni qui! Ma, bando
alle ciance, vediamo di fare un discorso serio…..Allora : La
fotosintesi clorofilliana è l’insieme delle
reazioni durante le quali le piante verdi producono sostanze organiche
a partire da CO2 e dall’acqua, in presenza di luce. Mediante
la clorofilla, l'energia solare permette di trasformare CO2 e
acqua in uno zucchero, il glucosio,
fondamentale……»
Mentre
il professor Molina continuava la sua spiegazione io smisi
distrattamente di prendere appunti. Quasi ipnotizzata guardavo le
parole scritte sul foglio e qualcosa iniziò a muoversi nella
mia testa . Mi sentivo come se avessi un capogiro, ma in
realtà stavo benissimo……d’un
tratto capii….luce…..energia solare….quelle
tre parole parvero brillare e sollevarsi dal foglio. Improvvisamente
ricordai. Finalmente ricordai il sogno che mi tormentava da un mese
ogni notte:
….Tutto
intorno a me era bianco e vuoto , solo in lontananza c’era
qualcosa. Curiosa mi avvicinavo. Dopo pochi passi intravedevo
che era una sagoma, ma non riuscivo bene a distinguere cosa fosse,
perché esattamente alle spalle di quella figura , sulla
destra , vi era una grande luce che l’abbagliava, mettendola
in controluce. Più mi avvicinavo più sentivo
mutare in me la curiosità in qualcosa di diverso, come se
fossi guidata da una cosa più forte e più grande
di me , un bisogno quasi fisico di riuscire ad arrivare a quella
misteriosa apparizione. Ancora più vicina, la sagoma andava
scurendosi , sommersa sempre di più dalla fortissima luce.
Più io mi avvicinavo, più la luce aumentava
d’intensità, impedendomi di vedere bene. Giunta a
pochi passi dalla sconosciuta figura riuscivo a decifrare cosa fosse :
era la sagoma di un volto….Nello stesso istante in cui
intuivo che era un viso quello che cercavo di guardare,
l’immensa luce esplodeva d’intensità,
accecandomi completamente….
Riemersi
da quel ricordo quasi boccheggiando. Evidentemente non mi ero accorta
di aver trattenuto il fiato per tutto il tempo. Nel mio sogno non
c’era nulla di spaventoso o pericoloso, eppure anche solo
ricordandolo mi sentivo investita da una sensazione di angoscia e di
inquietudine, come se mi avessero gettato addosso una secchiata di
acqua gelida. Mi resi conto solo in quel momento che, oltre a questa
sensazione che mi svegliava ogni mattina, le immagini del sogno avevano
portato con loro una nuova e ancor più fastidiosa sensazione
: la privazione. Un senso di privazione assoluto mi aveva avvolto
l’anima come un manto nero.
«…BELLA!!
» qualcosa mi scuoteva per il braccio. Era Angela che mi
guardava con un’espressione tra lo sbigottito ed il
preoccupato.
«
Insomma si può sapere cosa ti è preso? Sembravi
ipnotizzata! la campanella è suonata già da dieci
minuti ed io ti ho praticamente urlato in faccia il tuo nome un
centinaio di volte! ».
Mi
ci volle un grande sforzo e tutto l’autocontrollo che mi era
possibile per ritrovare l’uso della parola. Mi bagnai le
labbra, deglutii e provai a risponderle pur non avendo la sicurezza che
dalla mia gola sarebbe uscito qualcosa di comprensibile.
«
Ehmm…s-scusami Angie. N-non mi sento molto
bene….ehmm…credo che me ne andrò a
casa » Come avevo immaginato, quello che uscì
dalla mia gola fu un sussurro tremolante quasi inesistente.
«
Oh....Okay. D’accordo, vuoi che ti accompagni? »
Raccolsi
in fretta le mie cose, misi lo zaino in spalla
«
No grazie, Angie, un po’ d’aria mi farà
bene » stavolta più convinta. E mi avviai verso la
porta.
La
lunga passeggiata fino a casa mi aveva davvero giovato. Le fastidiose
sensazioni mi si erano staccate di dosso dopo poco, ed io avevo deciso
che non era il caso di farsi prendere dal panico solo per uno stupido
sogno.
Girai
la chiave nella porta e mi feci accogliere dalla serenità
che ogni casa portava con se.
Charlie
sarebbe tornato solo per l’ora di pranzo, avrei avuto tutto
il tempo di rilassarmi e rimettermi in sesto.
Entrai
in cucina per un bicchiere d’acqua, mi avvicinai al frigo e
mentre afferravo la maniglia vidi il biglietto fissato sulla superficie
lucida con una calamita.
“Per
Bella ” annunciava la scritta in
inchiostro rosso.
Lo
staccai ed aprendolo ne lessi il contenuto tracciato con lo stesso
colore:
“
Bentornata a casa Amore.
Ti
aspetto stasera a La Push per le 21.
Non
vedo l’ora….
Jacob
”
Il
mio sole personale riusciva ad essermi di conforto anche
involontariamente.
Sorridendo
mi sentii entusiasta alla prospettiva di quella serata, e mai come in
quel momento ringraziai Jake di riempirmi la vita con le sue follie.
Angolo autrice : PER FAVORE recensite !
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Capitolo 8 *** CAPITOLO 6 - Fuoco ***
CAPITOLO 6
– “Fuoco”
Avevamo
appena finito di cenare quando, con un
po’ di imbarazzo, Charlie fermò la mano con cui
stavo per togliere il suo piatto dal tavolo, si schiarì la
voce e senza guardarmi in faccia disse
«
Non ti preoccupare Bells, stasera ci penso io. Tu hai un appuntamento
no? »
Il
suo imbarazzo si trasferì anche sul mio volto, ero proprio
una Swan.
«
Beh, si …. Ed in effetti dovrei anche sbrigarmi. Grazie
papà. » prima di dileguarmi da quella situazione
scomoda per entrambi gli baciai la guancia per ringraziarlo.
Durante
la mia lunga doccia rilassante pensai che se Jacob Black voleva giocare
…. Io avrei giocato più sporco di lui,
rendendogli pan per focaccia quella sera. Chiusi l’acqua
bollente che mi aveva arrossato tutta la pelle, mi avvolsi in un enorme
asciugamano bianco e con i capelli ancora bagnati andai in camera mia.
Aprii l’armadio e mi misi ad osservare il suo contenuto :
felpe, jeans, camicione, tute ….. di certo non era quello
che si poteva definire “un tipico armadio
femminile”. Avrei dovuto pensarci prima! Ma ormai dovevo
accontentarmi, avrei tentato di scovare in mezzo a tutta quella roba da
maschiaccio qualche regalo fattomi da Renee o da Angela.
Avevo deciso
che il primo passo per la mia vendetta sarebbe stato il presentarmi,
almeno per una volta, curata come una vera signorina. Anche
solo l’idea mi metteva a disagio….. ma la cosa si
rivelava necessaria se volevo spiazzare Jake facendogli vacillare
la sicurezza di avere in mano le redini della situazione.
Iniziai a scavare, letteralmente, fra i vestiti. Dopo
un’intensa ricerca trovai una graziosa minigonna in cotone
morbido, bianca con dei piccolissimi fiorellini
celesti…ancora ovviamente con il cartellino. Mi immersi
ancora nel caos dell’armadio e ne tirai fuori una camicetta
in seta azzurra, perfetta per l’occasione. Tanto valeva
tentare. Poggiai quegli inusuali, per me, abiti sul letto ed andai ad
asciugarmi i capelli. La mia chioma arruffata stavolta avrebbe dovuto
collaborare, quindi mi armai di spazzola e li stirai tutti per benino;
così lisci sembravano ancora più scuri.
Tornai
in camera e mi provai i vestiti. Mi guardavo allo specchio e
ciò che vedevo non era di certo la Bella che tutti
conoscevano. La minigonna arrivava un palmo più su del
ginocchio ma il fatto che fosse abbastanza ampia e morbida non segnava
le mie forme; cosa che al contrario faceva la camicetta, molto avvitata
e aderente. Infilai un paio di sandali bianchi con tacco, un regalo di
Angela quando ancora sperava di risvegliare il mio lato femminile. Se
mi avesse visto quella sera pensai che non avrebbe creduto ai suoi
occhi. Mentre studiavo la figura riflessa nello specchio
involontariamente arrossii, mi sentivo in imbarazzo già solo
con me stessa conciata in quel modo. Per non pensarci su oltre, e
quindi per evitare di cambiarmi optando per i soliti jeans
confortevoli, mi misi ad armeggiare con capelli ed elastico tirandoli
su e raccogliendoli in una coda molto alta. Subito dopo passai al
trucco, non sapevo bene cosa stavo facendo, l’ultima volta
che mi ero truccata era stato per…..per cosa? Non lo
ricordavo nemmeno più. Alla fine optai per una semplice
matita nera e rimmel per gli occhi, ed un lucidalabbra molto chiaro.
Scesi
le scale con molta attenzione, di solito rappresentavano un pericolo
anche senza i trampoli al piede come quella sera, ed io non avevo certo
intenzione di farmi ridere in faccia da Charlie, mi sentivo
già abbastanza ridicola in quelle vesti. Giunta
all’ultimo gradino tirai un sospiro di sollievo che
evidentemente fu molto rumoroso perché Charlie distolse lo
sguardo dalla partita in tv e si voltò leggermente verso di
me. Come se avesse visto un fantasma scattò in piedi
alzandosi dal divano, spalancò la bocca e allungò
una mano nella mia direzione indicandomi, come se volesse dirmi
qualcosa. Ci provò, ma non emise nessun suono. Richiuse la
bocca, fece ricadere il braccio lungo il fianco e finalmente
riuscì a parlare:
«
Bells, sei…….ecco, sembri davvero una signorina
stasera »
«
Grazie papà, era proprio quello che volevo sentirmi dire
» lo canzonai.
Lui
fece spallucce « Scusa è che … se ti
avessi detto che sei bellissima forse saresti corsa di sopra a
cambiarti » Ed aveva una gran ragione.
Gli
puntai un dito dritto nella direzione dei suoi occhi:
«
Non una parola di tutto questo con la mamma d’accordo?
»
«
Tanto non mi crederebbe! »
«
Appunto. Meglio così »
«
Però sarebbe davvero orgogliosa di te » gli occhi
improvvisamente lucidi.
«
Ma dai papà, alla mamma vado bene anche con jeans e felpa
» non riuscivo a vederlo commosso.
«
Certo, è ovvio! » disse sbrigativo e
tornò a sedersi sul divano rivolto verso la tv.
«
Allora io vado, ho le chiavi, non aspettarmi alzato »
«Figurati.
Tu però sta attenta »
E
uscii con la consapevolezza che al mio ritorno l’avrei
trovato ancora lì sul divano, profondamente addormentato e
russante.
Il
mio adorato, vecchio, Chevy si trascinò rumorosamente fino a
La Push dove trovai il mio cavaliere ad attendermi. Spensi il motore, i
fari, presi un bel respiro per farmi coraggio e scesi dal catorcio che
guidavo da tre anni. Jacob rimase come folgorato, vidi i suoi occhi
spalancarsi e la sua bocca aprisi sempre di più. Mi sentii
avvampare di rossore sulle guance, non solo perché in quel
momento ero terribilmente in imbarazzo e sprofondavo nella vergogna, ma
anche per la bellezza dell’uomo che mi trovavo davanti.
Jacob
era mozzafiato, nel suo pantalone classico nero e camicia bianca dalle
maniche arrotolate fino ai gomiti, dimostrava molti più anni
di quanti ne avesse in realtà. I capelli erano per
metà raccolti dietro la nuca, mentre la parte rimanente a
partire da dietro le orecchie erano lasciati liberi di cadere sulle
scapole. Illuminato solo dalla luce della luna, i suoi lineamenti duri
sembravano addolcirsi. Non ebbi il coraggio di parlare
n’è di muovermi, e nei successivi cinque minuti
non lo trovò nemmeno lui, rimanendo così come due
statue di sale, intenti a fissarci a vicenda, studiandoci come se non
ci fossimo mai visti prima di allora.
In
effetti sotto un certo aspetto era così, insieme era come se
non fossimo mai cresciuti, ci sentivamo sempre dei bambini e non ci
eravamo mai accorti che nel frattempo gli anni erano passati,
accompagnandoci verso quella che sarebbe stata la nostra età
adulta. Non ci eravamo visti cambiati nemmeno quando per la prima volta
facemmo l’amore, fu tutto molto naturale, come se seguisse il
corso delle cose, ed un secondo dopo eravamo di nuovo i Jake e Bella di
sempre.
Mentre
mi perdevo nei miei pensieri Jacob sbattè più
volte le palpebre, tirò su la mandibola e sorrise. Quel
sorriso aveva il potere di rischiarare ogni cosa nella mia vita e di
spazzare via qualsiasi nuvola nella mia anima.
«
Amore mio sei bellissima
..» Era raggiante e caricò di tutta
l’enfasi che gli era possibile l’ultima parola,
come se ci volesse far passare attraverso tutta l’emozione
che provava in quel momento.
«
Anche tu Jake, sei magnifico » risposi senza pensarci e senza
esitazioni. Era una vera gioia per gli occhi.
Si
avvicinò e mi prese per mano mentre il suo sguardo
passeggiava lungo il mio corpo dai piedi fino agli occhi per poi
ricominciare in senso inverso. Quando capii che non avrebbe detto altro
non resistetti alla reazione istintiva di uscire da quella situazione
di imbarazzo. Se avessi potuto sarei fuggita. Con Jacob non era mai
esistito un solo attimo di vergogna o di imbarazzo, e questa nuova
sensazione proprio non mi piaceva. Magari se fossi saltata di nuovo
sullo Chevy avrei mandato il messaggio sbagliato, per questo optai per
una scorciatoia meno ridicola e più divertente
«...La
Push eh ?...che novità! » dissi guardandomi
intorno.
Non
ottenni la reazione che mi aspettavo, infatti Jacob come ipnotizzato
parve non notare l’ironia nella mia voce e tutto serio mi
rispose
«
Vedrai, sarà come essere in un luogo sconosciuto
».
Mi
prese il viso fra le sue grandi mani; erano più calde del
solito se possibile. Tenne il suo sguardo nel mio per qualche secondo
e poi mi baciò. Un bacio lungo e dolce sempre a fior di
labbra, le sue sembravano solo sfiorare le mie, come se volesse
semplicemente assaggiare il mio sapore. Quando interruppe
quell’intimo contatto vidi balenargli negli occhi la luce
della furbizia. Non ebbi nemmeno il tempo di chiedermi cosa stesse
pensando perché fece un enorme sorriso soddisfatto e mi disse
«
Ora se non ti dispiace smettila di fare la simpatica, che tanto non ti
riesce, e seguimi. »
Di
tutta risposta gli feci una bella linguaccia liberatoria che parve
riportare entrambi sul pianeta Terra, il pianeta sul quale esistevano
Jacob Black e Isabella Swan, complici da sempre, in imbarazzo da mai.
Mi
portò in spiaggia, mi chiese di togliermi le scarpe per non
inciampare, e lo stesso fece lui con le sue. Passeggiammo lungo tutto
il bagnasciuga, parlando del più e del meno, fin quando Jake
non intraprese un sentierino che si nascondeva tra gli scogli al
limitare della spiaggia.
Sapevo
benissimo dove mi avrebbe portata quella minuscola lingua di sabbia
bagnata.
Prima
di intrufolarmi tra le pareti rocciose gli sorrisi e gli dissi
«
Cosa c’è hai organizzato qualcosa nella nostra
alcova? »
«
Una specie….» Mi rispose ammiccando.
Dietro
il sentiero tracciato dalla sabbia tra gli scogli, nasceva quella che
chiamavamo la nostra
alcova : ovvero una piccolissima insenatura di sabbia
bianca e finissima, chiusa da pareti rocciose…..era la
nostra alcova perché fu proprio lì che ci amammo
la prima volta.
Proprio
mentre mi abbassavo per infilarmi nel piccolo spazio tra le rocce,
Jacob mi coprì gli occhi con le sue grandi mani.
«
Jake ma che fai, non ci vedo! »
«
Si beh, l’idea era proprio quella, genio »
«
Genio sarai tu! Lo sai benissimo che non mi tengo in piedi nemmeno
quando ci vedo »
«
Si, ma questa volta conosci la strada a memoria….e ti guido
io! » così mi spinse piano con il suo corpo dietro
il mio, guidandomi nello stretto cunicolo.
Una
volta superato il passaggio mi liberò la vista dalle sue
mani e quello che vidi mi lasciò senza fiato.
Nel
mezzo della piccola insenatura vi era un quadrato enorme e perfetto,
composto da un tappeto di fiori selvatici coloratissimi.
Migliaia di esemplari di fiori che avevo ricevuto ogni giorno
in due anni. Riuscivo a riconoscerli uno ad uno. Sospettai che sotto
quella distesa di fiori ci fosse una coperta, dato lo spessore che li
separava da terra. Poco distante da quello splendido giaciglio,
scoppiettava nelle sue fiammelle calde un piccolo falò. Le
restanti, poche, zone vuote di sabbia erano costellate di
graziose candele minuscole che facevano risplendere il candore dei suoi
granelli.
Mi
voltai verso Jacob e gli gettai le braccia al collo
«
Jake è bellissimo! »
«
Shh piccolo fiorellino.
Aspetta un secondo »
Delicatamente
scostò le mie braccia dal suo collo.
Si
accovacciò ancora nello scorcio tra gli scogli e ne estrasse
un piccolo stereo. Lo poggiò accanto ai nostri piedi e fece
partire una canzone.
«
Balli con me? » mi disse tendendomi una mano.
Ero
sempre stata incapace di ballare, ma con Jacob non me ne ero mai
preoccupata. E lui di certo non era da meno. Spesso avevamo ballato
insieme per gioco, lenti e musica dance, proprio per divertirci della
nostra comune goffaggine. Quindi non ci pensai su due volte e gli tesi
la mano.
Lui
la avvolse nella sua, mi accostò delicatamente a
sé, cinse la mia vita con l’altro braccio ed
iniziammo ad ondeggiare lentamente. La canzone non mi era
nuova, ma pensai fosse troppo vecchia per ricordarmene bene. Jacob
fissava i miei occhi come se non vedesse altro intorno a noi, ed ogni
tanto mi sussurrava piano parti del testo .
«
I'll be your dream,
I'll
be your wish, I'll be your fantasy.
I'll
be your hope, I'll be your love,
Be
everything that you need »
Mi
baciò piano e dolcemente prima di proseguire…
«
I'll love you more with every breath
Truly,
madly, deeply do »
E
come per dimostrarmi quanto profondo e tangibile fosse il suo amore,
smise di ballare, mi strinse forte a sé e mi diede un bacio
lungo, appassionato e caldo. Non volevo si distaccasse più
da me, così appena tentò di farlo intrecciai le
dita dietro la sua nuca e, ad occhi chiusi, dischiusi le labbra
aspettando che cogliesse il mio invito. Sentii la punta della sua
lingua seguire il contorno del mio labbro superiore prima di immergersi
in un lungo bacio approfondito. Il respiro di Jacob si
spezzò, diventando irregolare, e mentre le nostre lingue
continuavano ad accarezzarsi l’un l’altra, sentii
la sua mano grande e calda sfiorarmi il ginocchio, per poi rafforzare
il contatto in una carezza che saliva piano su per il lato esterno
della coscia, fino ad arrivare a toccare il bordo della mia biancheria
intima.
Nonostante
il suo contatto generasse in me un calore irresistibile, sentii un
brivido percorrermi tutta la schiena. Jacob se ne accorse e mi sorrise
a fior di labbra. Si incurvò leggermente, prese le mie cosce
e le mise sui suoi fianchi sollevandomi in braccio. Mentre mi baciava
dal mento, alla mascella, fino al lobo dell’orecchio, giunse
al tappeto di fiori che aveva preparato apposta per noi. Si
inginocchiò e con una mano dietro la mia schiena, lentamente
mi distese per terra. Restò lì a fissarmi per un
secondo che a me parve un’eternità prima di
poggiarsi delicatamente su di me. Con un dito della mano destra mi
toccò il mento, poi da lì lo fece scorrere
lentamente lungo il collo, poi sul petto, fino a trovare il primo
bottone della mia camicetta. Me la sbottonò piano, e ad ogni
bottone che veniva liberato dalla propria asola, lasciava su ogni nuovo
centimetro di pelle scoperta un bacio bollente. Quando giunse sulla
pancia, ogni suo bacio mi provocava un involontario e leggerissimo
inarcamento del busto. Come se il mio corpo non bramasse altro che quel
contatto morbido e dolce. Sfilò piano le maniche della
camicia baciandomi l’incavo del braccio, poi il polso ed
infine il palmo delle mie mani. Ritornò a baciarmi
dolcemente le labbra con il respiro che si era fatto affannoso.
Allungò una mano sopra la mia testa, sciolse la pettinatura
ordinata e mi passò le dita tra i capelli. Mentre i suoi
baci continuavano ad accarezzarmi la bocca gli sbottonai la camicia e
gliela tolsi. Il suo petto caldo contro il mio non riusciva
più a nascondere il battito eccitato del suo cuore, che in
quel momento suonava ad un ritmo forsennato in duetto con il mio. Come
se i nostri corpi fossero in sincrono in una perfetta danza ci sfilammo
a vicenda la gonna ed il pantalone. Jacob mi accarezzava teneramente
una guancia mentre baciava piano, dall’altro lato, il collo.
Sentivo il suo desiderio premere sulla mia coscia.
Il
mio Jacob era fatto così : mi trattava sempre come un
oggetto delicatissimo, donandomi tutta l’immensa dolcezza
nascosta nel suo animo. Ma io lo conoscevo bene, Jake era la passione
fatta corpo, che si tratteneva soltanto per celebrarmi. E lui era il
fuoco della mia anima anche per questo, perché sapeva
trasportarmi e coinvolgermi nella sua scottante passione. A quel
pensiero non resistetti oltre e provai a lanciargli un messaggio
sapendo che lo avrebbe colto. Con un gesto felino della mano gli
sciolsi i capelli facendoli ricadere tutti intorno al mio
viso, alzai le gambe intrecciandole sul suo fondoschiena e
strinsi forte il mio bacino al suo.
Mi
guardò negli occhi per un brevissimo istante in cui vidi
accendersi nei suoi il fuoco della passione che alimentava il suo
essere Jacob in tutto e per tutto. Una mano febbricitante si
appoggiò sul mio fondoschiena tenendo premuto ancora
più forte il mio bacino contro il suo. L’altra
mano mi sfilò abile e rapida il reggiseno e le sue labbra
infuocarono i miei seni di baci ardenti. La sua pelle bronzea era per
me un richiamo irresistibile, così gli baciai la spalla
muscolosa, e con la punta della lingua tracciai un percorso che mi
portò fino al lobo dell’orecchio che mordicchiai
piano prima di chiuderlo tra le labbra. Jacob emise un flebile gemito,
poi mi sfilò la biancheria e fece lo stesso con la sua.
Ormai mi sentivo tutta completamente avvolta dalle fiamme del suo
calore bruciante, mi sentivo viva, mi sentivo libera da tutto, mi
sentivo riportata ad uno stato quasi animalesco dove il cervello non mi
invadeva più con le sue imposizioni….ero istinto,
puro istinto, e solo il mio Jacob, il mio sole, era capace di farmi
risvegliare e rigenerare in questo modo.
Jake
incatenò i miei polsi nelle sue mani sopra la mia testa e
con una spinta del bacino entrò lentamente dentro di me. La
lentezza di quel movimento fece nascere dal profondo della
mia gola un lungo e vellutato gemito di piacere.
Lasciò libere le mani dalla sua presa, mi percorse tutta con
una carezza decisa fino alla coscia destra, la prese con forza, la
sollevò all’altezza del suo fianco e si impose per
la seconda volta dentro me più profondamente.
Quella seconda volta un intenso e bruciante richiamo d’estasi
salì dalla sua di gola, e diede inizio alla danza di corpo e
fuoco che univa le nostre anime.
Ci
ritrovammo distesi, nudi ed abbracciati dopo esserci amati, occhi negli
occhi, ma con il sentore che le nostre anime fossero ancora intrecciate
l’una all’altra. Era una serata molto afosa, ma
nonostante ciò, non riuscivo a fare a meno del calore
bollente del corpo di Jacob a contatto con il mio. Un braccio sotto la
mia testa, a farmi da cuscino, mentre l’altra mano
accarezzava il mio polso sinistro giocherellando con l’unica
cosa che avessi ancora indosso : un braccialetto dal quale pendeva una
miniatura di un lupo ululante, intagliata in un lucido legno rossastro.
Quel
ciondolo era un suo regalo, fatto con le sue stesse mani. Me lo
regalò il giorno del mio compleanno l’anno prima,
dopo avermi raccontato una leggenda secondo la quale il popolo dei
Quileute discendeva direttamente dai lupi. In quell’occasione
Jacob mi disse di ritrovarsi molto in quel racconto, per il suo spirito
ribelle e un po’ selvaggio; poi aggiunse che lui per me
sarebbe stato sempre fedele, un perfetto e leale compagno di vita, che
mi avrebbe dato tutto l’amore di cui era capace senza mai
chiedere nulla in cambio: lui per me sarebbe stato proprio come un
lupo, il mio
lupo.
Quel
ricordo accese un’idea nella mia testa come una lampadina.
«
Jake…..che giorno è oggi? » era
innaturale sentire la mia voce dopo tanto tempo trascorso in silenzio.
«
Hmmm, vedo che hai capito tutto, fiorellino. Ormai sarà
passata mezzanotte e quindi….oggi è 13 settembre.
Buon compleanno amore » e mi sorrise felicemente, anche con
gli occhi.
Ancora
una volta il mio stomaco fece le capriole alla vista di quello
spettacolo unico e gli posai un bacio sulle labbra scure, lisce e
carnose.
«
Ho pensato e ripensato al regalo da farti in quest’ultimo
mese. Ma non c’era nulla di abbastanza adatto a te, nulla che
potesse celebrare la tua nascita a pieno. Così mi sono
arreso, e ho deciso di organizzare questo per donarti ancora una volta
tutto me stesso, e ricordarti che sarò tuo per sempre, come
la mia anima, il mio cuore, e la mia stessa vita. Ti amo, Bella
»
Mi
disse quelle parole piano, ma con convinzione. Come se mi stesse
facendo una promessa solenne. Non riuscivo a credere che un ragazzo
così speciale potesse amare me in quel modo. Mentre lo
ammiravo in tutta la sua imponente bellezza, vidi
l’espressione del suo volto cambiare . Il viso di Jacob si
incupì appena, ma in confronto allo stato raggiante di
prima, fu impossibile non notarlo.
«
Cos’hai Jake?... pensi che non mi sia piaciuto il tuo regalo?
Perché se è così non ti azzardare
nemmeno, è stato uno dei più bei compleanni della
mia vita. Anzi il più bello in assoluto
e….» Interruppe il fiume di parole in piena
poggiando delicatamente l’indice sulle mie labbra ancora
accaldate.
«
Non me lo dirai mai vero Bells?...» una nota triste nella sua
voce, ed un velo della stessa natura nei suoi occhi bui come la notte.
Sapevo
bene a cosa si stesse riferendo, e d’istinto la mia reazione
fu di abbassare lo sguardo. Jacob sospirò forte, e dopo poco
mi sollevò il mento costringendomi a guardarlo ancora una
volta negli occhi. Mai come in quel momento, la vista inebriante del
suo viso dai tratti selvaggi, mi provocò una fitta al cuore.
«
Ohh Bells, ti prego….una volta sola. » Disse con
tono implorante e sofferente e la voce tremula. La fitta di
prima si trasformò in una profonda e lacerante ferita, come
se mi stessero strappando il cuore dal petto con le mani. Mi sentivo
profondamente egoista. Pretendevo che il mio sole continuasse a starmi
accanto nonostante non gli avessi mai detto che l’amavo.
Ma
che razza di persona ero? Ridurre un ragazzo unico come Jake a stare
male per due semplici parole. Se solo fossi stata come tutte le altre
persone, che spesso dicono cose senza conoscerne il significato, gli
avrei risparmiato tutte quelle pene. Ma purtroppo io non ero
così. Dovevo analizzare sempre tutto, e dare il giusto nome
ad ogni cosa. Specialmente quando si trattava di Jacob, credevo fosse
un’abitudine che mi era rimasta dal primo anno che passai a
Forks, in cui tentavo di misurare ogni parola ben sapendo
l’attrazione che lui provasse nei miei confronti. Non avevo
mai detto a Jake “ti
amo” . Mi faceva soffrire
terribilmente vederlo ogni volta deluso, ma io purtroppo ero sicura di
quello che non
dicevo. Ero certa che quello che provassi per Jacob non
fosse l’amore di cui tutti parlano. L’amore
è descritto in letteratura come quel sentimento che ti
tormenta e brucia l’anima, che ti corrode dentro fino ad
annullarti, che ti rende schiavo e prigioniero dell’altra
persona.
No,
tutto questo non si avvicinava minimamente a quello che provavo io per
Jacob. Era completamente l’opposto!. Con Jake la mia anima
era leggera e libera, con lui la mia personalità si
risvegliava e rompeva ogni tipo di legame con tutto, nessuna catena,
nessuna costrizione, abbandonavo tutto…..perfino me stessa.
Io non vivevo in funzione di Jacob….io vivevo grazie
a Jacob.
Così,
pensando ancora una volta se non fosse più giusto da parte
mia lasciarlo andare, permettergli di cercare qualcuno che lo avesse
amato e ricambiato con lo stesso tipo di sentimento che lui dedicava a
me, gli risposi come ogni volta .
«
Io ti vivo,
Jacob »
«..Già…»
era deluso e sofferente, ed io nel vederlo così mi sentii
ancora peggio.
Iniziai
a torturarmi le mani come sempre quando ero in ansia, e sentii gli
occhi riempirsi di lacrime. Un semplice battito di ciglia diede inizio
a quello che definirei un pianto silenzioso ma dilaniante. Le gocce
bollenti che cadevano dai miei occhi arrivarono a bagnarmi il mento e
il collo quando Jacob se ne accorse.
«
Ma che fai piccola, piangi?! » era allarmato ed aggiunse
subito
«
Oh dio no, scusami. Non volevo! Ti prego, perdonami..» e mi
strinse in un abbraccio forte, sicuro ed accogliente, mentre mi posava
caldi baci tra i capelli.
Ancora
una volta dimostrò di amare me più di se stesso.
Cosa che mi fece sentire ancora peggio, sempre più meschina.
Dovette accorgersene perché si mise seduto trascinandomi con
lui, mi prese il volto tra le mani e mi disse
«
Hey, non vorrai sprecare questa magnifica notte piangendo? Andiamo a
fare una nuotata, ti va? » aveva l’espressione
dipinta in volto del mio compagno di giochi.
Era
bellissimo, i suoi occhi erano bellissimi, il suo sorriso era
magnifico, il suo naso perfetto lo era ancor di più. Non
riuscivo mai a resistere alla sua vivacità, così,
ancora una volta, il mio sole spazzò via le nubi dal mio
cuore.
Gli
feci cenno di si con la testa. Esplose di gioia, si sollevò
in piedi e quasi mi trascinò di peso in una corsa verso il
mare ridendo. La sua risata limpida era per me sempre contagiosa,
così iniziai a ridere anch’io senza motivo,
mentre, improvvisamente felice, mi tuffavo in acqua.
Non
so per quanto tempo giocammo spensierati e radiosi, immersi nel mare
blu illuminato dalla luce argentea della luna piena. Prima di ritornare
a riva mi strinsi forte a lui, abbracciandolo con il corpo e con ogni
parte della mia anima che gridava internamente un profondo grazie.
Baciai Jacob con l’intenzione di fargli capire quanto
importante fosse per me, quanto considerassi fondamentale la sua
presenza nella mia vita. E poi glielo dissi
«
Grazie Jake, di tutto. Mi fai sentire viva »
Ricambiò
il mio bacio come se gli avessi fatto la più grande
dichiarazione d’amore di tutti i tempi, stupendomi ancora una
volta.
Ritornammo
in spiaggia mano nella mano e ci asciugammo al calore del piccolo
falò. Ci rivestimmo e mi accompagnò allo Chevy.
Salii a bordo
«
Spostati Swan, guido io »
«
Jacob ma cosa dici? Dopo come ritorni alla riserva? »
«
Diciamo che quando sono passato a casa tua stamattina, il biglietto non
è l’unica cosa che ho lasciato da quelle parti
»
«
Parla chiaro Black, sono stanca. » quanto era vero, mi
sentivo distrutta.
«
C’è la mia moto nascosta nel boschetto dietro casa
tua » rispose spingendomi dal lato passeggero.
Mise
in moto il vecchio catorcio, io mi accoccolai al suo petto, e mi
addormentai spensierata e felice.
Angolo autrice : PER FAVORE recensite !
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Capitolo 9 *** CAPITOLO 7 - Sei ***
CAPITOLO 7
– “Sei”
Ero
accecata, tanto che gli occhi mi bruciavano. Fu proprio per quel
dolore incredibilmente reale che mi svegliai. Era fastidiosissimo
aprire gli occhi così ogni mattina. Mi misi seduta in mezzo
al letto e tolsi l’allarme alla sveglia….sarebbe
suonata inutilmente.
Guardai
fuori dalla finestra: un altro giorno pieno di nuvoloni neri, fantastico! Odiavo
il freddo, la pioggia, l’umido…odiavo tutto del
clima di Forks.
Mi
alzai col broncio e mi preparai svogliatamente, non volevo attirare
ulteriormente l’attenzione . Il fatto che fosse il mio
compleanno, e che tutti mi avrebbero fermata e festeggiata,
già bastava a mettermi di pessimo umore. Scesi a preparare
la colazione quando trovai Charlie in cucina che bruciacchiava un
pancake nella padella e tutto intorno a lui, sulla cucina, e perfino su
di lui….tutto schizzato di impasto.
«
Bells, già in piedi? Volevo farti una sorpresa! »
«
A giudicare dal caos che regna qui dentro, ci sei riuscito. Mi
toccherà pulire tutto! » ero stata acidissima.
«
Di buon umore come sempre il giorno del tuo compleanno eh? »
un po’ mi sentii in colpa.
«
Scusa papà…lo sai che non mi piace essere
festeggiata »
«
Già, ma almeno dovevo provarci. Comunque non preoccuparti di
nulla. Pulisco io, tu va a scuola »
«
Ma no lascia, ci penso io. Tanto sono in anticipo »
«
Scusa del pasticcio. E…buon compleanno » aggiunse
in tono incerto
«
Grazie ..»
Pulii
lo scompiglio portato da Charlie tra i fornelli ed uscii. Come quasi
ogni mattina c’era Jacob ad aspettarmi. Nemmeno il tempo di
chiudermi la porta alle spalle che già aveva
l’espressione divertita. Così pensai bene di
avvisarlo mentre mi avvicinavo a lui:
«
Il tuo regalo ieri è stato stupendo ma … oggi non
una parola, d’accordo? » suonava come una minaccia.
Bene,
era proprio quello che volevo. Non si curò minimamente di
quanto avevo detto, e di tutta risposta mi corse incontro con un
sorriso enorme, mi sollevò in braccio ed iniziò a
girare su se stesso.
«
BUON COMPLEANNO! » sembrava felice come la mattina di
Natale.
«
Diamine Jake mettimi giù, mi gira la testa! »
«
Quando la finirai di odiare il tuo compleanno Bells? » mi
disse ridendo.
Proprio
non riusciva a smettere, e questo forse mi infastidiva ancora di
più
«
Quando l’umanità smetterà di
festeggiarli! » il tono serio della mia voce lo fece
divertire più di prima.
Gli
diedi un pugno nello stomaco che non sortì
l’effetto desiderato, anzi, si sbellicò
letteralmente dalle risate e mi prese il mento con una mano
schiacciando le dita sulle guance per metterle in risalto come si fa
con i bambini.
«
Andiamo, Tyson! » e mi schioccò un sonoro bacio
sulle labbra.
Arrivammo
nel parcheggio della scuola troppo in fretta, avrei ritardato quel
momento di, diciamo, anche un centinaio d’anni. Scesi dalla
moto, mi tolsi il casco e stranamente di tutti i ragazzi che popolavano
il parcheggio quella mattina nessuno si avvicinò. Rimasi
piacevolmente stupita di quella cosa, che le mie preghiere fossero
state ascoltate?.
Mentre
porgevo il casco a Jacob sentii due dita picchiettarmi sulla spalla
destra. Mi voltai ed una scimmietta urlante mi saltò
praticamente in braccio
«
TANTI AUGURI BELLA!» Angela strillava nel mio orecchio
come se fosse ad un concerto.
«
Grazie Angie, ma smettila di urlare così o mi farai
diventare sorda! » avevo gridato vittoria troppo presto.
Si
staccò di dosso e riuscii a vedere anche Mike dietro di lei,
il quale si avvicinò e fece per abbracciarmi tutto
sorridente. Jacob si schiarì la voce molto forte in tono
minaccioso e lo fulminò con lo sguardo. Vidi Mike
impallidire e non sapendo cosa fare delle sue braccia ormai spalancate
le fece ruotare una verso il basso e l’altra verso
l’alto, fece vibrare veloci le mani, mi guardò
come se fosse un cabarettista che sta per gridare “ta-daaaan!!!”
e iniziò a cantare a squarciagola
«
TANTI AUGURI A TEEEE…» la voce era resa acutissima
dalla paura,era un vero strazio.
«
Gesù, basta Mike sembri una sirena! » gli disse
Angela visibilmente stupita dalla follia momentanea che dimostrava il
cantante. La scena mi strappò una risata incontenibile,
mentre Mike si zittì all’istante mettendo le mani
in tasca.
«
Beh Mike….grazie? » la mia era proprio una
domanda, non avevo idea se si dovesse ringraziare per una cosa tanto
sconvolgente!
«
Si, si…io vado in aula » e andò via
tutto imbronciato.
Diedi
una leggera gomitata a Jacob:
«
E tu non dovresti spaventarlo così! » gli dissi
divertita.
«
Prima
o poi gli spezzo le mani » mimò il gesto in
maniera molto realistica.
«
Potresti strappargli anche la lingua,per favore? » gli chiese
Angela
«
Con piacere Angie, più pezzi tolgo a quel moccioso meglio
sto »
«
Ti ricordo che anagraficamente è più grande di
te! » gli dissi sorridendo.
«
Ma dai Bells, ha il cervello di un bambino »
«
In effetti credo che nella testa abbia solo noccioline
e…..» smisi di ascoltare la risposta divertita di
Angela che divenne come una specie di ronzio di sottofondo mentre la
mia attenzione veniva catturata da due costosissime auto che entravano
nel parcheggio.
Non
me ne intendevo di auto ma riuscii a riconoscerne gli stemmi. Una
Mercedes nera ed una Volvo grigio metallizzato. Dalla macchina nera
scesero contemporaneamente quattro angeliche figure. Erano talmente
belli ed aggraziati che pensai stessero girando uno spot pubblicitario
sotto il mio naso. Non riuscivo a spiegarmi cosa ci facessero dei
modelli alla Forks High. Così come non riuscivo a smettere
di guardarli : la ragazza piccolissima scesa dal lato passeggero fece
il giro della macchina e prese per mano il guidatore, mentre lui con un
gesto armonioso richiudeva la portiera. Lei aveva capelli neri corti
che le arrivavano poco sotto il viso, tutti sfilzati, uno di quei tagli
alla moda che si vedono sulle riviste fashion.
A
dir la verità sembrava che fosse uscita per intero da una
rivista fashion, nei suoi abiti firmati e coloratissimi. Il modo in cui
si era mossa verso quel ragazzo mi parve una coreografia di danza
classica più che una semplice camminata, quella ragazza
sembrava danzare ad ogni suo movimento. Il ragazzo che teneva per mano
era molto più alto di lei, magro, i capelli riccioluti e
biondi. La guardava dritta negli occhi come per trarne sostegno, mi
sembrò una scena molto buffa.
Accanto
a loro gli altri due occupanti dell’abitacolo si erano appena
scambiati un bacio molto appassionato. Lui era enorme! Alto, grosso e
muscoloso. Il ragazzo più grosso che avessi mai visto in
vita mia….perfino più grosso di Jacob. Aveva i
capelli corti, neri e ricci, un sorriso furbetto posato in volto che
dedicava alla dea che gli era di fronte. Si, perché la
ragazza che aveva appena baciato era quanto di più vicino ad
una dea si potesse immaginare. Lei lo guardava piena
d’amore, i capelli biondi e lucenti lunghi fino alla vita,
ogni tratto del suo volto era talmente bello da sembrare finto, un
corpo statuario che avrebbe fatto invidia alla più bella top
model della storia.
Tutti
insieme erano di una bellezza sconvolgente, e c’era qualcosa
che li rendeva molto simili, che li accomunava tutti, rendendoli anche
un po’ somiglianti nonostante tutte le loro differenze.
Dopo
un attimo capii cos’era quel filo conduttore che li univa:
La loro pelle sembrava di porcellana, era perfetta e bianchissima, un
bianco talmente puro da sembrare luminoso.
Mentre
ero immersa in quel candido spettacolo qualcosa di colorato si mosse al
limitare del mio campo visivo. Diressi lo sguardo nella direzione del
movimento e vidi che ciò che aveva attirato la mia
attenzione erano dei capelli del colore del bronzo fuso, completamente
spettinati eppure perfetti. Quella massa ribelle apparteneva al ragazzo
che, ora di spalle, era appena sceso dalla Volvo metallizzata e ne
richiudeva la portiera.
Quando,
con un movimento pieno d’eleganza, si voltò rimasi
senza fiato. Era bello come un dio greco nel suo etereo pallore. La
creatura più bella che si possa immaginare. La fronte ampia
e distesa, gli occhi grandi dal taglio deciso, il naso dritto, la bocca
perfetta e rosea, il corpo slanciato e tonico. Nella sua interezza
sembrava scolpito nel marmo, una bellezza d’altri tempi.
Nell’ammirare
quel ragazzo talmente bello da sembrare una visione celestiale, quasi
non mi accorsi dell’altra persona che era scesa dalla stessa
auto. La notai solo nel momento in cui si avvicinò a lui
aggrappandosi al suo braccio. Era una ragazza, anche lei bella da non
credere. Era di poco più bassa di lui, ma le cose che mi
colpirono più di tutto il resto furono i suoi capelli rosso
acceso, del colore del fuoco, ed i lineamenti felini del volto. Gli
sussurrò qualcosa all’orecchio e lui le rispose
solo con un sorriso.
In
quel momento credetti di essere ancora addormentata e sognante oppure
morta. Quel sorriso non poteva essere reale. Quel sorriso non poteva
appartenere che ad un angelo. Lui
era un angelo.
Le
sei, uniche, creature appena arrivate, si diressero tutte insieme verso
l’ingresso della scuola con gli sguardi sbigottiti di
chiunque incollati addosso.
«
Hai finito di sbavare?! » la voce arrabbiata di Jacob mi
riportò bruscamente sul pianeta Terra dopo quella breve
sbirciata agli angeli del paradiso.
«
Io….io non sto sbavando, cosa dici? » ero offesa
«
Ah no? Ma se te li sei squadrati da capo a piedi! Specialmente
l’ultimo! » Jake era sempre più
arrabbiato.
«
Jake ma…li hai visti anche tu,sono
incredibili…» come poteva non essersi accorto
della loro unicità?
«
In effetti sono mozzafiato tutti » disse Angela, anche lei
molto colpita da quell’apparizione.
«
Non mi dire che non hai notato quelle bellissime
ragazze…» gli dissi per spostare
l’attenzione su di lui, forse era vero che mi ero soffermata
troppo a guardarli.
«
Beh…si, ovviamente. Ma tu…» il tono
accusatorio della sua voce mi fece innervosire
«
Eh no, io un corno Jake! L’hai ammesso anche tu. Ora basta!
Non c’è una sola persona in tutta la scuola che
non sia rimasta stupita di fronte a quei ragazzi ! Non ho fatto nulla
di sbagliato! » avevo quasi urlato.
«
D’accordo, Bells. Come credi ! » urlò
più forte di me.
Jacob
reagiva sempre così quando alzavo la voce, torto o ragione
che avessi lui si infervorava e si metteva sulla difensiva attaccandomi.
Saltò
sulla moto e se ne andò via rosso in volto dalla rabbia.
Ero
sbigottita. Cosa diavolo gli era preso? Una scenata di gelosia per i
nuovi arrivati era l’ultima cosa che mi sarei aspettata di
vedere quel giorno. E per cosa poi ? Non che mi volessi giustificare di
niente ma….l’arrivo di quei sei ragazzi aveva
spiazzato tutti. Angela era ancora vicino a me visibilmente in
imbarazzo:
«
Angela scusami….non so cosa gli sia preso! »
«
Figurati Bella….è solo geloso »
«
Sarà, ma per Mike non ha mai fatto nulla di simile
»
«
Tesoro, hai visto quei bonazzi da paura appena arrivati?...credi
davvero
che abbiano qualcosa in comune con Mike Newton? » e
pronunciando il suo nome mimò il gesto del vomito
infilandosi due dita in bocca.
«
Forse hai ragione, ma ha comunque sbagliato » non intendevo
fargliela passare liscia.
«
Va bene Bella, come vuoi. Ora muoviti però. »
«
Cos’hai alla prima? » speravo fosse con me.
«
Storia. E tu? »
Controllai
il mio orario. Ecco appunto, mai che me ne andasse una bene.
«
Letteratura sperimentale » le risposi dispiaciuta
«
Vedi che il tuo compleanno inizia bene? Alla prima ora, la tua materia
preferita » e mi sorrise per confortarmi. Poi aggiunse
«
Ora scappo, la professoressa Spencer odia i ritardatari » mi
baciò una guancia e corse via.
In
effetti aveva ragione, quell’ora di letteratura mi avrebbe
fatta riprendere dal pessimo inizio di giornata. Mi avviai speranzosa
verso l’aula mentre la prima campanella ancora non era
suonata, volevo starmene cinque minuti da sola prima
dell’inizio delle lezioni.
L’aula
di letteratura sperimentale era uno dei posti che preferivo in assoluto
in tutta la cittadina di Forks. Forse perché ne avevo scelto
e curato io l’arredamento. Mi ricordai piacevolmente di
quando, al secondo anno, il professor Barnes scelse i dodici studenti
più meritevoli del corso di letteratura classica (tra i
quali c’ero anch’io) per formare un nuovo corso
sperimentale. A quei dodici fortunati fu chiesto di presentare un
progetto
per l’arredamento della nuova aula….e scelsero il
mio.
Aprii
la porta e la richiusi silenziosa alle mie spalle. Chiusi gli occhi ed
inspirai a fondo : odore di carta, inchiostro, legno, polvere, pelle e
cuoio. Si mescolavano perfettamente.
Li
riaprii, anche se conoscevo quel posto a menadito e avrei potuto
muovermi anche alla cieca. I sei “banchi, disposti in due
file da tre, erano uguali alla cattedra, ovvero erano pesanti scrivanie
in legno scuro dalle pareti finemente intagliate. Il restante grande
spazio alle spalle delle scrivanie era occupato da varie file di
scaffali della stessa fattura, come a riprodurre i corridoi di una
biblioteca antica, ovviamente traboccanti di libri.
Forse
adoravo stare lì proprio per quello, l’aula
sembrava la riproduzione di una biblioteca universitaria e infondeva
molta tranquillità, ci si dimenticava di essere
all’interno della Forks High. Andai alla mia scrivania, la
centrale in seconda fila, e vi poggiai lo zaino e i libri occupandola
tutta. Non me ne curai, ero l’unica del corso a non avere un
compagno di banco, la ragazza che prima occupava quel posto aveva
gentilmente rifiutato di partecipare al progetto poco dopo il suo
inizio. Mi infilai nel primo corridoio tra gli scaffali, dalle finestre
entrava una pallida luce che rendeva tutti i colori più
tenui.
Mentre
passavo una mano sul dorso dei libri vecchi disposti in fila sentii la
porta aprirsi. Sbirciai attraverso il poco spazio libero tra la parte
superiore dei libri e la mensola dello scaffale che li conteneva. Zaino
in spalla, e in mano una pila di almeno una decina di libri,
varcò la soglia della mia piccola tana il magnifico angelo
del parcheggio. Quei libri dovevano pesare tantissimo, forse quanto me,
ma lui sembrava non soffrirne minimamente. Ci camminava con la stessa
facilità ed eleganza come se portasse solo un foglio.
Non
sapevo se si fosse accorto della mia presenza, si guardò
intorno, per poi puntare lo sguardo dritto nella mia direzione, come se
mi avesse vista. … Ma era impossibile, non poteva vedermi
dietro quel pesante scaffale con tutte le mensole stracolme di libri !
Eppure i suoi occhi entravano dritti nei miei. Solo in quel momento mi
accorsi del loro magnifico colore: erano di un caldissimo ambra con
brillanti riflessi dorati. Sembravano fatti di miele, caldo e lucido
miele. Ne ero attratta magneticamente, non riuscivo a non fissarli.
Erano talmente splendidi da donare a quella magnifica creatura il tocco
per la perfezione assoluta.
Improvvisamente
mi sentii avvampare di rossore, come se mi avessero sorpresa con le
dita nel barattolo della marmellata. Ma cosa diavolo dicevo? La
perfezione assoluta? Per quanto potesse essere bello (anche se
definirlo bello sarebbe stato talmente riduttivo da risultare come
un’offesa) quel ragazzo era la causa del mio litigio con
Jacob e quindi la causa di quel pessimo inizio di giornata.
Nell’esatto
momento in cui le mie guance avvamparono lo vidi contrarre la mascella,
per poi poggiare quasi istantaneamente la fronte sull’alta
pila di libri che recava in braccio. Con le spalle inarcate e quasi
chiuse vicino al collo, sembrava come….. come se stesse
soffrendo. Come se avesse avuto una fitta di dolore in un punto non ben
precisato del corpo.
D’improvviso
la campanella suonò facendomi sobbalzare e mandandomi il
cuore a vento, le mie pulsazioni triplicarono. Credo che anche il
ragazzo dovette spaventarsi perché lo vidi poggiarsi con la
mano libera alla cattedra, sembrava ancora più sofferente di
prima, come se avesse avuto una fitta molto più forte della
precedente. La campanella portò con se l’ingresso
degli studenti in aula con tanto di professore al seguito e il ragazzo
sconosciuto parve riprendersi giusto in tempo. Approfittai del caos
temporaneo per sgusciare fuori dal mio nascondiglio e mi sedetti al mio
posto.
Quando
tutti si furono seduti il professor Barnes prese in consegna il foglio
di presentazione del ragazzo, aggiunse un altro libro alla sua
già sostanziosa pila, e gli disse
«
Bene signor Cullen, mi hanno parlato molto bene di lei. Spero sia
all’altezza della sua fama di studente modello anche qui, nel
mio corso sperimentale. Prego, si accomodi pure accanto alla signorina
Swan. » .
Come?!
Accanto a me? No, no, no, cavolo! Tutti ma non lui!
Era decisamente
il compleanno più brutto della mia vita. La mia solita
sfortuna non mi abbandonava mai.
Il
ragazzo si girò verso di me e mi guardò con
un’espressione grave, come se pensasse le mie stesse cose.
Notai qualcosa di diverso in lui, ma sul momento non riuscii a capire
bene cosa fosse. Mentre si avvicinava lentamente alla mia scrivania lo
guardai meglio, e quello che vidi mi fece sentire una pazza. Tutte le
emozioni vissute quella mattina in poche ore dovevano avermi fatto
saltare qualche rotella. I suoi occhi, che stavolta evitavano
accuratamente i miei, erano di un buio ed infinito nero corvino.
Angolo autrice : PER FAVORE recensite !
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Capitolo 10 *** CAPITOLO 8 - Cantante muta ***
CAPITOLO 8 – “Cantante
muta”
POV Edward
Guidavo
piano, mantenendo una velocità moderata per non
esagerare il primo giorno di scuola.
In effetti se non ci fosse stato Jasper davanti a
dettare il passo con
la sua Mercedes non avrei resistito a quel ritmo di lumaca
nemmeno un minuto. Come al solito, dare un’immagine
“normale”
di noi ad ogni costo, mi
risultava ancora un po’ difficile.
Nonostante mi infastidisse molto quel doverci
trasferire continuamente
da un paesino all’altro, era anche per me motivo di sfida
personale, ogni volta era un’occasione in più per
fare sempre meglio, per perfezionare il mio autocontrollo….e
non nego che era anche l’unico momento in cui riuscivo ancora
a ricordare certe sensazioni tipicamente umane: il disagio e
l’imbarazzo di sentirsi fuori posto, la curiosità
di scoprire nuove persone, nuovi modi di pensare.
In me vi era ancora molto dell’umano
che ero stato, ero
ancora determinato, ancora ambizioso, e questo mi aveva aiutato molto
nei primi difficilissimi anni trascorsi con Carlisle e la sua famiglia.
Pensare a quante volte ero caduto, quante avevo fallito..mi provocava
una sofferenza enorme, incontenibile, tanto che avrei posto fine a
quell’assurda e tremenda esistenza senza la minima
esitazione. Non volevo sentirmi un mostro, non volevo essere
un mostro,
mai più.
Serrai la mascella e strinsi più forte
il volante sotto le
mani al ricordo del mio passato da assassino.
“
Ed,
cos’hai? ” quella domanda posta
direttamente nella mia mente, mi ricordò che non ero solo in
macchina.
Doveva essersi accorta della tensione che mi
aveva attanagliato qualche
attimo prima.
« Nulla Vicky, non preoccuparti.
» Per rassicurarla
mi voltai e le sorrisi.
Ogni volta guardarla era per me una tortura ed un
piacere. I suoi
occhi, ora dorati come i miei, mi ricordavano quanto le fosse costato
seguirmi nella scelta di unirmi alla famiglia di Carlisle..e le ero
molto grato per questo. Ma i suoi capelli, di un rosso acceso, non
potevano non ricordarmi il colore del sangue, del nostro passato
insieme.
In lei vedevo il volto rassicurante della prima
persona che si era
presa cura di me dopo la trasformazione, della persona che per me
c’era sempre stata e che per me aveva fatto di tutto. Ma allo
stesso tempo, nel suo viso vedevo lo spettro di ciò che
eravamo stati, ed ogni volta mi sorprendevo a distogliere lo sguardo
per non ricordare, immerso nella vergogna e nel disprezzo per me
stesso. Lo feci anche in quel momento, portando di nuovo gli occhi alla
strada. Victoria capì al volo, allungò una mano e
la pose sulla mia che intanto stringeva il cambio tanto da farlo
scricchiolare sotto la presa.
« Edward, non pensarci. Almeno per una
volta goditi il
trasferimento » mi stupiva sempre notare che i suoi pensieri
per me non erano mai filtrati.
Tutto ciò che mi diceva lo pensava
davvero e non
c’era cosa che pensasse che non mi dicesse.
« Ci proverò
ma….»
“
Ma ?
” mi chiese muta.
«…Ma non posso fare a meno
di avere paura
» quanto mi costava quell’ammissione.
Non sopportavo l’idea di sentirmi
debole, di sentirmi
incapace di affrontare una situazione.
« Ed tu sei cambiato! Ti sei impegnato
tanto, e ci sei
riuscito perché l’hai voluto con tutte le tue
forze »
« A quanto pare non abbastanza per
Emily….o per
Iris…»
I ricordi che quei nomi portavano con loro mi
fecero nascere dal
profondo della gola un ringhio basso e lungo. Sentivo però
che la sua vera origine era un’altra…..era il mio
cuore, il mio stomaco, il mio cervello…in quel ringhio
c’era il dolore di tutto me stesso. Un dolore che mi scavava
dentro ogni giorno. Non avrei potuto sopportare l’idea di
comportarmi ancora una volta come il mostro che ero.
« Non dire
così….per loro è
stato diverso. » Mi carezzò dolcemente la guancia.
« Per una volta vorrei essere IO quello
diverso, Vicky
»
« E lo sarai, splendore. Lo sarai.
Datti una nuova
possibilità. Prova a voltare pagina e vedrai che tutto
andrà meglio. »
Aveva ragione. Dovevo fare tesoro dei miei errori
senza mai
dimenticarli. Ne avrei tratto la forza per reagire, per cambiare,per
non scivolare ancora.
Avrei dato a quel trasferimento una nuova
valenza, una nuova promessa.
Avrei mantenuto il controllo anche nel peggiore dei casi. E non
l’avrei fatto solo per me stesso: lo dovevo a Carlisle e ad
Esme che mi avevano accolto nella loro famiglia come un figlio, lo
dovevo a Emmett sempre pronto a risollevare il mio umore, lo
dovevo a Rosalie che con le sue sfide mi spingeva a fare sempre meglio,
lo dovevo ad Alice che mi era sempre stata vicina in tutto, lo dovevo a
Jasper che con me era sempre stato generoso e comprensivo, e lo dovevo
anche a Victoria che per seguire me aveva abbandonato la vita che
conosceva da più di cento anni.
« Grazie » le dissi sincero.
Qualche minuto dopo fummo nel parcheggio della
nuova scuola : la Forks
High School. Non sembrava tanto male, e per essere il liceo di un
piccolo paesino era anche abbastanza grande. Sapevo che tutti i
presenti stavano già fissando le nostre auto.
C’era chi ammirava semplicemente i nostri splendidi veicoli,
chi si chiedeva cosa ci facessero lì, e la maggior parte di
loro era curiosa di vedere chi ci sarebbe sceso.
Pensai che infondo non c’era nulla di
male a divertirsi un
po’ per scaricare la tensione, così quando
Victoria allungò una mano per aprire lo sportello la fermai
« No aspetta. Voglio prima
sentire….»
sapevo che avrebbe capito.
« Edward Cullen, non si sbircia nella
mente delle persone
solo per divertimento! » e rise di gusto.
« Oh andiamo! Dovrò pure
abituarmi alle loro voci.
»
« D’accordo. Ma dopo
promettimi che le ignorerai.
»
« Come sempre capo » le
scompigliai un
po’ i capelli.
“…quando
si accorgerà di me?...” Le
sfuggì mentre rideva.
Capitava spesso, purtroppo, che le sfuggissero
pensieri come quelli.
Avevo sempre saputo ciò che Victoria provava per me
nonostante tentasse di mascherarlo nell’attesa che io
ricambiassi . Quella volta parve non accorgersene, o fece finta di
niente.
Dal finestrino vidi i miei fratelli fare la loro
trionfale apparizione.
Anche quella volta rimasi stupefatto dalla molteplicità di
reazioni che la nostra presenza scatenava. Di primo impatto la maggior
parte dei ragazzi rimase affascinato dalla loro bellezza, altri
provarono un moto improvviso di invidia, altri ancora invece rimasero
senza pensieri.
Ero esterrefatto, non riuscivo a capire come
potesse un essere umano
restare senza pensare. Ma la successiva ondata di pensieri mi
ricordò perché ciò avvenisse.
Paura.
Inconsciamente ebbero tutti paura di loro.
Poi iniziarono a chiacchierare tra di loro, e il
mio divertimento
finì. La parte che preferivo di ogni trasferimento era
appena finita. Era arrivato il momento di iniziare questa nuova vita.
Cercai di rinchiudere quel vocio nell’angolo più
lontano della mia testa prima di decidermi a scendere dalla Volvo. Non
ero mai stato interessato alla reazione che avesse la gente nel vedere
me per la prima volta. Non volevo saperlo, non volevo sentirlo. Non
volevo avvertire anche nei miei confronti quel senso di paura di poco
prima.
« Andiamo? » le chiesi.
Victoria mi sorrise ed aprì la
portiera dell’auto,
lo stesso feci anch’io ed uscii. Il tempo di richiudere la
Volvo che lei fu subito accanto a me. Si aggrappò al mio
braccio e mi sussurrò
« Scusa per prima » era
puramente sincera, come
sempre.
Le sorrisi per rassicurarla, mi sembrava ingiusto
che qualcuno si
dovesse scusare per i propri pensieri.
Raggiungemmo gli altri e ci avviammo verso
l’ingresso della
scuola.
Prendemmo tutto il necessario in segreteria,
orari, libri, piantina
degli edifici. Non condividevo nessuna lezione con nessuno dei miei
fratelli. Men che meno quello alla prima ora, una specie di corso
puntiglioso sulla letteratura che mi era stato proposto
all’atto dell’iscrizione.
« Secchione come sempre, eh Ed ?
» disse Emmett
dandomi una pacca sulla spalla.
Quello scimmione non riusciva mai a contenere la
sua forza, o forse non
voleva. La pacca che mi aveva appena dato sarebbe stata sufficiente a
spappolare la spalla di qualsiasi essere umano.
« Già Emm, a quanto pare
faccio funzionare
l’unico muscolo che tu non alleni »
Le ragazze risero di gusto e anche Jasper non si
risparmiò.
« Ah ha….spiritoso!.
Perché non pensi
ad iniziare ad allenare un muscolo che, al contrario del tuo cervello,
non hai mai usato? »
E cingendo le spalle di Rosalie con il suo
possente braccio,
scoppiò in una fragorosa risata andando via. Ormai non
tenevo più il conto di quante volte Emm mi prendesse in giro
circa la mia “purezza”, se così si
può definire, ma mi infastidiva lo stesso. Victoria sorrise
imbarazzata e si allontanò anche lei. Alice sorrise divertita
« Ohhh vieni qui fratellino »
e con un saltello si
aggrappò con le braccia dietro il collo abbracciandomi.
Voltò il viso verso il mio orecchio e mi sussurrò
impercettibilmente
« Stamattina accadrà una
cosa…ma tu ce
la farai. Sono fiera di te, come lo saranno tutti » prima di
staccarsi velocemente ed avviarsi con Jasper nel corridoio.
« Alice, cosa?! » le gridai
per farmi sentire sopra
il ronzio di voci dei ragazzi.
Ma lei non si voltò, non mi diede
spiegazioni. E nemmeno la
sua mente mi rivelò nulla dal momento che aveva appena
iniziato a tradurre un qualche sconosciuto libro in coreano.
Una frase enigmatica della mia sorella veggente
non era il modo
migliore per affrontare il primo giorno di scuola.
Così, nonostante mancassero circa
dieci minuti
all’inizio delle lezioni, mi avviai verso l’aula di
letteratura sperimentale. Avrei avuto modo di riflettere sulle sue
parole in aula da solo.
Quando giunsi alla porta dell’aula
diedi una sbirciatina
all’interno attraverso il vetro. Rimasi colpito nel vedere il
modo in cui era arredata, sembrava una biblioteca universitaria. Notai
che sulla pesante scrivania centrale in seconda fila vi era poggiato
uno zainetto arancione con tanto di libri sparpagliati. Qualcuno doveva
avermi preceduto. Tanto valeva entrare ed iniziare a familiarizzare con
quel futuro compagno di studi. Spostai la pila di libri sul braccio
sinistro, e con la mano destra aprii la porta entrando. Quando la
richiusi alle mie spalle restai in ascolto,in attesa di sentire il
pensiero che mi sarebbe toccato affrontare per primo.
Dopo circa dieci secondi mi resi conto che nessun
pensiero veniva
formulato tra quelle quattro pareti, eppure…..eppure sentivo
che non ero solo. Avvertivo il rumore di un respiro e, seppur flebile,
mi giungeva il suo odore. Com’era possibile che ci fosse
qualcuno lì dentro e che io non ne sentissi la mente?
Un piccolo movimento attirò la mia
attenzione e i miei occhi
da perfetto predatore scovarono quelli dell’ignara preda.
Credeva di essere al sicuro, lo percepivo. Del resto nessun essere
umano avrebbe potuto accorgersi di quegli occhi che si intravedevano a
malapena sopra il bordo dei libri, nascosti dietro al pesante scaffale.
Involontariamente li fissai. Sapevo di non
doverlo fare, nessuno ci
sarebbe riuscito. Ma nonostante la ragione mi gridasse di distogliere
lo sguardo, il mio istinto continuava a tenere incatenati i miei occhi
dentro i suoi. Non avevo mai visto nulla di simile, non avevo mai visto
così tanta dolcezza. Erano del colore del cioccolato al
latte, un caldissimo, profondo, e magnetico cioccolato.
Ero talmente perso in quel dolce spettacolo che
dimenticai per un
momento il fatto che non riuscissi a leggerle la mente. Poi ad un
tratto accadde.
Fu tutto talmente veloce che non ebbi il tempo di
prepararmi. Vidi in
quegli splendidi occhi un mutamento, la dolcezza sparì per
lasciare posto all’ostilità, e in quel preciso
istante mi raggiunse prepotente l’odore più
invitante che avessi mai sentito in tutti i miei anni da vampiro. La
gola avvampò come se avessi appena ingurgitato un litro di
benzina infuocata, le mie narici si allargarono per annusare avide
quell’irresistibile profumo. Poggiai la fronte
sull’alta pila di libri che recavo in braccio cercando di
mantenere il controllo, cercando di impormi sul mostro che si agitava
nella mia testa.
Non era possibile, non volevo, non potevo
crederci. Quegli occhi non potevano appartenere ad una cantante. Alla mia
cantante .
Il destino si divertiva a beffarsi di me! Proprio
quando avevo deciso
di dimenticare tutto, lui mi metteva di fronte all’ennesima
sfida, all’ennesima tentazione. Di fronte ad
un’altra cantante….la più potente che
avessi mai incontrato. Stavolta però, avrei vinto io. Non ci
sarebbe stato spazio per il mostro che albergava in me. Non sarei stato
mai più un assassino.
Mentre accettavo la sfida con il destino, ma
soprattutto con me stesso,
la campanella suonò. La ragazza dovette spaventarsi, sentii
il suo piccolo cuoricino esplodere in un milione di battiti e
l’odore penetrante del suo gustosissimo sangue invadermi
perfino la testa. Non avevo mai creduto possibile che i vampiri
potessero avere un mancamento, eppure fu proprio così che mi
sentii. Nello sforzo di resistere a quel richiamo potentissimo mi
aggrappai forte con la mano libera al bordo della cattedra. La sentii
scricchiolare all’impatto, ci mancava solo che distruggessi
una possente scrivania con il solo tocco di una mano….credo
che a quel punto alla mia innocente cantante sarebbe venuto un
infarto…divenendo così, in un attimo, la mia
debole preda.
La porta dell’aula alle mie spalle si
spalancò
permettendo l’ingresso, non solo degli altri studenti, ma
anche dell’aria pulita, andando a diluire sensibilmente il
profumo di quel dolcissimo sangue.
Mi drizzai sulle spalle inspirando a fondo, avido
di aria che avrebbe
spento il fuoco nella mia gola. Mi sentii decisamente meglio, e pensai
che infondo, se avevo resistito a quel potentissimo richiamo quando ero
solo in una stanza con la mia preda, e quando nulla mi avrebbe impedito
di saziare la spregevole sete, allora potevo superare anche
quell’ora condividendone la stessa aula.
Il professore si avvicinò ed io gli
porsi il mio foglio di
presentazione.
« Bene signor Cullen, mi hanno parlato
molto bene di lei.
Spero sia all’altezza della sua fama di studente modello
anche qui, nel mio corso sperimentale. Prego, si accomodi pure accanto
alla signorina Swan. » Mi disse con fare superiore.
Oh povero sciocco, provato com’era in
quel momento il mio
autocontrollo avrei potuto staccargli la testa per molto meno.
Ma non lo feci per un semplice motivo : avevo
trovato la sfida che
tanto cercavo. Avevo trovato la più difficile delle prove da
superare, e non me la sarei lasciata sfuggire.
Seguii con lo sguardo il punto in cui la sua mano
stava indicando il
mio posto a sedere.
Questo era troppo! Lei? ….. ripensai
alle considerazioni di
un attimo prima, non ero più tanto sicuro del mio entusiasmo
per la situazione, no di certo.
Mi avvicinai contro voglia alla sua scrivania,
passando accanto agli
altri studenti. Almeno vi era una cosa positiva in tutta quella
orribile situazione : nessun’altro umano in tutta Forks
avrebbe dovuto temermi, perché nessun’altro
sangue per me sarebbe stato più un tale richiamo. Non dopo
aver sentito il Suo.
“ Oddio
che
figo da paura!! ”
“ Il
classico
figlio di papà ”
I loro pensieri mi accompagnarono fin quando non
mi sedetti vicino a
lei. Accanto alla signorina Swan.
Mi guardava fisso, come se avesse appena visto la
cosa più
assurda del mondo. Era letteralmente sbalordita. Ma dalla sua mente,
niente. Esattamente come poco prima, la sua mente non aveva parole per
me.
Come poteva accadere una cosa simile?
Perché non riuscivo a
sentire i suoi pensieri? Perché mi guardava così
? Ma soprattutto, perché continuava a sfidare doppiamente il
mostro dentro me, istigandolo prima con il suo sangue e poi con la sua
mente?
Inspirai profondamente per l’ultima
volta. Non lo avrei fatto
per tutto il resto della lezione se volevo che quella ragazza rimanesse
in vita.
Quella fu l’ora più lunga di
tutta la mia
esistenza, trascorsa in continua tensione e cercando costantemente di
non pensare al succulento profumo della signorina Swan…per
non parlare di tutte le infinitesime volte che tentai di leggerle la
mente senza alcun risultato. Appena suonò la campanella la
vidi raccogliere le sue cose stizzita e correre fuori
dall’aula. Quel suo comportamento mi infastidì
ulteriormente : io combattevo una battaglia interna contro il
più grande predatore della storia per salvarle la
vita e lei andava via stizzita?!
Mi alzai dal mio posto, mi diressi in corridoio
cercando le uniche due
persone con le quali avrei voluto parlare in quel momento. Li trovai
fuori, in cortile, appoggiati ad una panchina ad aspettarmi. La cosa
non mi sorprese . Mi avvicinai e puntai un dito contro quel folletto di
mia sorella:
« Alice tu sapevi tutto!
Perché non mi hai
avvertito? »
« Perché avresti cambiato
corso » mi
rispose come se fosse la cosa più scontata del mondo
« APPUNTO! » le gridai in
faccia
« E dai calmati Ed, infondo
l’ha fatto per te . Hai
superato la situazione senza farle del male » intervenne
Emmett in difesa del mostriciattolo
« Si, si, si ! Io l’avevo
visto! »
canticchiò Alice saltellando e battendo le mani entusiasta.
Forse avevano ragione, se l’avessi
saputo mi sarei rifiutato
di incontrarla. Non avrei mai superato la mia grande paura.
« Va bene, va bene. Hai vinto tu
folletto! » dissi
arrendendomi
« E….? » mi
invitò lei a
continuare
Sbuffai sapendo dove volesse arrivare senza
nemmeno bisogno di leggerle
la mente.
« E….Grazie » le
risposi sorridendo. Era
un folletto fastidioso, ma le volevo un bene incredibile.
« Bravo fai bene a ringraziarmi
perché ho anche
preparato una cosa per te stamattina » disse tirando fuori
dalla borsa un contenitore del latte con tanto di cannuccia che gli
spuntava dall’apertura.
« Latte, Alice? E cosa dovrei farci?
» ero stupito
e non capivo
« Idiota non è
latte…è…..puma » mi fece
l’occhiolino e proseguì sorridente « Ho
pensato che ti sarebbe stato utile per proseguire la giornata
»
Ahhh la mia sorellina pazza …. Trovava
sempre soluzioni a
tutto. L’abbracciai e presi il cartoncino del latte, bevendo
avidamente dalla scomoda cannuccia. Quando finii le chiesi
« Alice dimmi, oltre a questo
incontro…nella tua
visione c’era anche qualcos’altro? »
« Cosa intendi? »
« Non hai visto nulla di particolare
che riguardasse la
ragazza? »
« Edward smettila di fare gli
indovinelli e parla chiaro!
»
Ah ecco, lei poteva lanciarmi frasi ambigue e
tendermi delle imboscate
con la mia cantante ed io non potevo tenerla un po’ sulle
spine?
« Ed ti decidi a sputare il rospo?
» Emmett
sembrava anche più curioso di Alice
« Ok, ok!....sentite…la
ragazza, questa Swan
….io….non riesco a leggerle la mente »
Alice mi guardò stupefatta ed
affascinata, Emmett come suo
solito mi guardò trattenendo una risata ed iniziando a
prendermi in giro già mentalmente.
« Zitto scimmione, non ci provare
nemmeno! » gli
dicemmo in coro io e la mia sorella veggente.
Emmett parve spiazzato, e preso in contropiede
disse tutto imbronciato
« Non ci si può mai
divertire con voi due!
»
Alice sorrise e poi si rivolse a me
« E adesso? Cos’hai
intenzione di fare? Intendo
prima di parlarne con Carlisle »
Ci pensai su un attimo, e poi le risposi
sinceramente:
« Alice, io sento che ce la posso fare
stavolta. Sento che
posso finalmente raggiungere quell’equilibrio che ho tanto
cercato. Il destino mi ha posto d’avanti ad una doppia sfida
ed io non intendo tirarmi indietro. Cercherò di abituarmi al
suo odore, ma soprattutto, voglio capire perché non riesco a
sentire la sua mente. »
Improvvisamente mi ricordai di quanto le fossi
potuto sembrare
scostumato e spregevole quella mattina, tenendomi a debita distanza e
non rivolgendole nemmeno la parola.
« Che idiota che sono! Non le ho
nemmeno detto ciao
»
« Andiamo, non pretendere
così tanto da te stesso
ora. Almeno non l’hai uccisa no? »
Guardai Alice con uno sguardo truce e lei smise
di sorridere.
Mentre pensavo che forse aveva ragione, che forse
era già
tanto per me essere riuscito a mantenere il controllo, vidi la mia
misteriosa cantante spuntare da dietro l’edificio accanto al
nostro e sedersi su di una panchina. Ancora una volta ne fui catturato.
C’era qualcosa in lei che mi attirava inspiegabilmente,
qualcosa che non fosse il semplice istinto predatorio. Mi affascinava
come nulla prima di allora il silenzio della sua mente. Quello per me
era un richiamo più forte perfino dell’odore del
suo sangue.
« Io devo parlarle….
» Dissi
distrattamente ai miei fratelli.
Non attesi una loro risposta e mi incamminai
verso quella che conoscevo
soltanto come ‘la signorina Swan’.
Avvicinandomi sempre di più alla
fragile umana che destava
in me tanto interesse la guardai veramente per la prima volta. Era
minuta e non tanto alta, la sua pelle diafana appariva fragilissima ai
miei occhi, la lunga e corposa cascata di capelli che le ricadeva
ribelle addosso era di un bellissimo castano con riflessi rossastri. La
forma del suo viso mi ricordava molto quella di un cuore, con quel
mento così delicato. La bocca, piccola e rosa, aveva un
labbro leggermente più sporgente
dell’altro…era adorabile.
Infine lasciai per ultimo ciò che mi
aveva rapito quella
mattina in aula, ciò che mi aveva aiutato a salvarle la
vita…i suoi splendidi occhi. In quel momento si accorse del
mio avvicinarsi e li sollevò dal cellulare che teneva tra le
mani, puntandoli dritti nei miei. Non doveva rendersi conto della
potenza che sprigionavano.
Così, mentre mi beavo del languido
cioccolato dei suoi
occhi, mi fermai dinanzi a lei. Non avrei resistito un secondo di
più a quel silenzio tra noi e tra le nostre menti
così mi presentai, sorridendo involontariamente:
« Ciao, ti chiedo scusa per prima, non
so cosa mi sia preso.
Permettimi di riparare presentandomi adesso: io sono Edward Cullen
»
In un primo momento mi parve molto stupita, e le
sue guance si
colorarono di un invitante e delizioso rosso. Era adorabile.
Poi subito dopo, come se si fosse risvegliata da
un lungo pensiero,
battè più volte le palpebre.
Il grazioso rossore di poco prima
svanì dalle gote e vidi il
suo sguardo mutare allo stesso modo dell’ora prima in aula,
nascosta dietro lo scaffale.
E fu proprio così che, con il suo
sguardo infastidito
puntato addosso, mi parlò per la prima volta.
Angolo autrice : PER FAVORE recensite !!
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Capitolo 11 *** CAPITOLO 9 - Bella può bastare? ***
CAPITOLO 9
– “Bella
può bastare?”
Mentre ancora suonava la campanella che segnava
la fine della prima ora, io ero già fuori
dall’aula diretta verso il cortile posteriore della scuola.
Camminavo a passo svelto e un paio di volte rischiai anche di cadere,
ma non mi interessava. Avevo bisogno di un po’
d’aria fresca, avevo bisogno di scaricare la tensione
accumulata.
Tutta
l’ora di letteratura era trascorsa con il nuovo arrivato che
stava seduto rigido e tutto contratto nel punto più lontano
della scrivania…mi aveva trasmesso un’ansia
incredibile! Come se non bastasse poi, all’incirca ogni
minuto e mezzo lo vedevo guardarmi di sottecchi con
un’espressione in volto che era tra l’incredulo e
il terrorizzato. Non mi aveva nemmeno rivolto la
parola….nemmeno un ciao, un salve … che dico,
nemmeno un cenno con la testa! Io di rimando per tutta l’ora
ero stata tesissima e quasi con il fiato trattenuto, un po’
per reazione al suo comportamento, un po’ perché
pensavo di avere le allucinazioni dopo aver visto il colore dei suoi
occhi cambiare. Ed inoltre, non so perché, ma quel suo
sguardo così intensamente indagatore e allo stesso tempo
così accusatorio, mi aveva intimorita molto.
Al
ricordo di quello sguardo un brivido mi percorse la
schiena….ma cosa mi prendeva? Spinsi forte la porta
dell’uscita di emergenza e fui investita in pieno viso
dall’aria gelida e umida di quella mattina. Mi sentii
già molto meglio, ma avevo ancora tutta quella tensione
incredibile addosso da scaricare, così mi ritrovai a
scalciare istericamente tutte le erbacce che mi trovavo a tiro.
Pestavo, scalciavo e sradicavo ogni erbetta molesta sulla mia
traiettoria e allo stesso tempo agitavo le braccia come se stessi
litigando con qualcuno.
Dopo
qualche minuto mi balenò in testa l'immagine di me stessa
vista dall'esterno : dovevo sembrare una pazza furiosa alle prese con
una rissa contro il nulla. Così mi resi conto che forse era
meglio farla finita se non volevo diventare ancora una volta lo
zimbello della scuola. Mi fermai e mi guardai intorno, nessuno mi aveva
vista fortunatamente, ed inoltre notai piacevolmente che i miei muscoli
si erano tutti rilassati; finalmente tutta la tensione, l'ansia e il
disagio erano spariti.
Non
sapevo bene il perchè, ma lentamente un risolino
iniziò a scuotermi piano, per poi aumentare
d'intensità sempre di più. Ridevo, ridevo come
mai, ridevo senza un motivo, senza una ragione, ridevo a crepapelle!
Piegata in due, poggiata con le mani sulle ginocchia, delle lacrime mi
rigavano il viso mentre tentavo di riprendere fiato tra una risata e
l'altra. Poche volte avevo pianto dal ridere nella mia vita, ma MAI mi
era successo senza che ne avessi un motivo.
Inspirai
profondamente un paio di volte, mi rimisi dritta e mi asciugai gli
occhi con le maniche della felpa. Non avevo idea di cosa mi avesse
appena preso, e la cosa era alquanto inquietante. Tutte le emozioni
della giornata mi avevano evidentemente scombussolata e i miei nervi
avevano avuto un crollo.
Passeggiavo
avanti e indietro sul praticello retrostante alla scuola, e riflettevo
sugli eventi che si erano susseguiti : in effetti aveva ragione Jacob,
era ora che crescessi e che iniziassi ad accettare con
serenità il mio compleanno, non era di certo da una persona
adulta infastidirsi se per qualche ora si era al centro
dell'attenzione! Oltretutto, seppure i nuovi arrivati fossero
così straordinari, aveva ragione anche sul fatto che li
avevo squadrati da capo a piedi dal primo
all'ultimo…..specialmente l'ultimo.
Aveva
dovuto sentirsi preso in giro quando avevo negato tutto. Mi passai una
mano tra i capelli e sospirai: indipendentemente dalle bizze del mio
umore, Jake aveva avuto ragione su tutto quella mattina. Ed io l'avevo
trattato anche malissimo urlandogli in faccia. Rovistai nelle tasche
dei jeans e della felpa alla ricerca del cellulare. Composi il numero
di Jacob e mentre partivano i primi squilli pensai che infondo
già sapevo come sarebbe andata quella telefonata. Al quinto
squillo sentii l'inconfondibile rumore di quando inizia la
comunicazione, ma nessuno rispose. Sentivo solo degli impastati e
confusi rumori di fondo.
«
Pronto? » provai a dire, ma dall'altro capo nessuna risposta.
«
Jake mi senti? »
«
Certo che ti sento » mi rispose infastidito.
«
E allora perchè non rispondevi? »
«
Cosa vuoi Bells? » no, mi ero sbagliata.
Non
era infastidito, era decisamente arrabbiato e le mie domande non
avrebbero risolto nulla. Era meglio andare dritti al punto.
«
Jacob volevo chiederti scusa...per stamattina...si,insomma ho
sbagliato. Tu avevi ragione su tutto : sono una bambina se mi
infastidisco ancora per il mio compleanno, dovrei decidermi a crescere
e ad accettare che ogni tanto nella vita non è la fine del
mondo se mi trovo al centro dell'attenzione. » mi aveva
lasciata parlare senza mai interrompermi...mmm...brutto segno, non
è da Jacob.
«
Nient'altro? » ancora arrabbiato
«..Beh
si, in effetti si. » mi schiarii la voce e continuai
«
Avevi ragione anche sui....sui nuovi arrivati »
«
Su cosa
di preciso, Bells?! » era sempre arrabbiato, ma nella sua
voce c'era anche un pizzico di sfida.
«
Ecco io...io li ho guardati a lungo, si. Tutti. Dal primo all'ultimo.
S-specialmente...l-l'ultimo. » deglutii.
«
Bene! ma brava Isabella! sul serio, mi complimento! Hai anche il
coraggio di venirmelo a dire? » Era esploso, e quando usava
il mio nome per intero ero decisamente nei guai.
«
Jake ma io mi sto scusando! » tentai di fargli capire
«
E ti scusi ammettendo che ti sei studiata a dovere l'ultimo arrivato?!
»
«
Ma insomma Jake, non ti capisco. Stamattina ti sei arrabbiato
perchè non ammettevo di averlo fatto, ed ora, ti arrabbi
ancora di più perchè ti do ragione? »
cosa voleva allora?
«
Certo! ne ho tutto il diritto! Io mi arrabbio quanto mi pare e piace!
»
Adesso
mi aveva proprio stancata, anche la mia di pazienza aveva un limite.
«
Va bene, Jacob Black. Sai cosa ti dico? Con te è tutto fiato
sprecato! Ho sbagliato a fare questa telefonata, sapevo già
come sarebbe andata a finire! Quindi ora se hai ancora qualche
problema, sono cavoli tuoi! »
Gli
risposi arrabbiata e chiusi la comunicazione prima che potesse
rispondermi. Era decisamente il compleanno peggiore di tutta la mia
vita. Presi un bel respiro per calmarmi ancora una volta e mi guardai
intorno: ormai erano tutti fuori dalle aule per il cambio
d’ora era meglio non fare scenate di follia come quella
precedente. Non molto distante da me, alla mia sinistra, adocchiai una
panchina vuota. Magari seduta all’aria aperta avrei avuto
modo di riprendere il controllo prima della successiva lezione.
A
differenza di quanto fatto in corridoio camminai piano, godendomi ogni
passo di libertà prima della prigionia dell’ora di
matematica. Giunsi alla panchina e mi ci lasciai cadere sopra,
già esausta alle prime ore del mattino, ed ebbi la strana
sensazione che quella giornata non sarebbe mai finita. Tenevo lo
sguardo basso e rigiravo il cellulare tra le mani quando sentii un
rumore di passi avvicinarsi. Non era la giornata adatta, e chiunque
fosse, gliel’avrei fatto capire. Sollevai lo sguardo con la
ferma intenzione di puntarlo dritto negli occhi del mal capitato, e mi
riuscì.
Per
la seconda volta da quella mattina mi ritrovai immersa
nell’oro fuso. Senza che avessi nemmeno il tempo di
riprendermi da quel tuffo sconsiderato nel mare più
invitante che avessi mai visto, lui si fermò dritto dinanzi
a me e mi parlò
«
Ciao, ti chiedo scusa per prima, non so cosa mi sia preso. Permettimi
di riparare presentandomi adesso: io sono Edward Cullen »
Rimasi
stupita dalla dolce musica che giunse alle mie orecchie. Non fui certa
che quella meravigliosa creatura avesse parlato, la sua voce era
così profonda e melodiosa che mi sembrò quasi
avesse cantato dolcemente quella sua presentazione. Era di una bellezza
disarmante, e lì seduta davanti a lui mi sentii in imbarazzo
al solo pensiero che si stesse rivolgendo proprio a me. Mi accorsi
delle mie guance che avvamparono dall’intenso calore che
sentii avvolgermi la faccia.
In
un certo senso fu come ricevere uno schiaffo dalla mano bollente di
Jacob. Battei più volte le palpebre per uscire da quella
visione celestiale e ritornai in me.
I
suoi occhi erano del caldo color ambra/d’orato di quando li
avevo visti per la prima volta. Non erano mai stati neri . Sentii il
rossore sparire dalle mie guance e tornare a montare dentro di me il
fastidio provato quella mattina dietro lo scaffale colmo di libri. Ero
infastidita da tutto ciò che riguardasse lui in quel
momento: i suoi occhi cangianti sembravano prendermi in giro come se
fossi
pazza, ed inoltre la sua incredibile bellezza non faceva altro che
mettermi in difficoltà. Così sputai fuori
d’istinto la mia risposta senza abbassare lo sguardo
«
Ah si? Magnifico
» pronuncia quell’ultima parola con
un’espressione di menefreghismo cosmico dipinta in volto.
E
prima di distogliere lo sguardo dal suo lo vidi completamente spiazzato
da quella risposta.
«
Ti dispiacerebbe dirmi come ti chiami? » mi disse
ridacchiando.
«
Ti dispiacerebbe sparire dalla mia vista? » gli risposi
mentre mi voltavo per guardarlo, ma quando lo feci non lo trovai
più in piedi di fronte a me.
«
Così ti senti più a tuo agio? »
La
sua voce melodiosa giunse rapida dalla mia destra. Mi mancò
il fiato per un secondo e non ebbi il coraggio di muovere nemmeno un
muscolo. Era seduto di fianco a me ma abbastanza lontano da non
sfiorarmi nemmeno. Non era quello il momento di farmi prendere dalla
timidezza, così mi feci forza e lo guardai ancora.
«
Io sono sempre a mio agio, Cullen » sperai di averlo
intimidito.
«
Allora l’hai capito il mio nome, signorina Swan »
mi rispose sfoderando un sorriso sghembo che mi fece vorticare forte la
testa.
«
N-non sono mica stupida » dissi di getto più per
riprendermi che per conversare.
«
Mai detto. Ora ti dispiacerebbe dirmi il tuo nome? »
«
Bella »
«
Signorina Swan, bella lo è di certo, anzi forse sarebbe
più appropriato dire che è deliziosa, ma gradirei
una risposta alla mia domanda »
Non
capirò mai se fu quella frase o il sorriso che mi
regalò pronunciando quelle parole a farmi smettere di
respirare. Gli sorrisi di rimando, anche non volendo.
«
Io ho già…..beh….Bella è il
mio nome. Mi chiamo Isabella, ma Bella può bastare
»
«
Non sono d’accordo…» sussurrò
appena guardandomi intensamente negli occhi.
Mi
sentii mancare a quello sguardo così profondo. Non ebbi
nemmeno il tempo di replicare che lo vidi voltarsi di scatto verso
l’ingresso dell’edificio. Seguii il suo sguardo e
vidi tre ragazzi che erano con lui quel mattino : la piccoletta, il
gigante e la ragazza rossa. Lo fissavano tutti ma ognuno con
un’espressione diversa in volto. La piccoletta sembrava
raggiante ed entusiasta, quasi inorgoglita. Il gigante pareva ridersela
di gusto. Mentre la ragazza rossa teneva le braccia incrociate al petto
e gli lanciava uno sguardo assassino. Lo stesso sguardo che rivolse a
me un secondo dopo. Fui scossa da un brivido di terrore puro lungo la
schiena e distolsi rapida lo sguardo. Lui era già in piedi .
«
Scusami devo andare. Ma è stato piacevole
conoscerti…Bella »
«
Si certo, anche per me…Edward » sorrise e si
incamminò verso i ragazzi che lo attendevano.
Quando
sparirono entrando nell’edificio mi lasciai andare sullo
schienale della panchina.
Avevo
ancora nella mente la sua voce melodiosa che pronunciava il mio nome.
Da dove arrivava quel ragazzo così splendido? E
perché aveva insistito così tanto nel conoscermi?
Navigavo
ad occhi chiusi immersa in un mare di domande come quelle quando la
vibrazione del cellulare mi fece sobbalzare. Lo estrassi dalla felpa,
un messaggio da parte di Angela “Dove sei finita??La lezione sta
iniziando!”. In un momento mi ricordai chi ero e
dove fossi.
Mi
alzai di scatto dalla panchina e feci per correre via, ma i piedi come
al solito si intrecciarono tra loro facendomi cadere rovinosamente. Mi
rialzai e, maledicendo la mia goffaggine, tentai di ripulire la felpa
dalla vistosa macchia d’erba che si era formata su di un
braccio. I miei tentativi furono vani così corsi verso
l’aula ancora tutta stropicciata.
Mentre
correvo pensavo solo a due cose : la prima, più necessaria,
era tentare di non cadere nuovamente.
La
seconda, più futile ma decisamente più
interessante, era Edward Cullen.
Angolo autrice : PER FAVORE recensite !!
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Capitolo 12 *** CAPITOLO 10 - Informazioni e sassolini ***
CAPITOLO
10 – “Informazioni
e sassolini”
L’ora
di matematica era noiosa e frustrante come al solito. Sia io che Angie
ci perdevamo subito dopo i primi passaggi del professor Allen,
così in genere trovavamo di meglio da fare. Angela mi diede
una piccola gomitata, mi voltai, e lei mi indicò la macchia
d’erba sul braccio con un’espressione che alternava
l’incuriosito e il rassegnato. Le feci una smorfia scocciata
e le mimai un ruzzolone con le mani che giravano l’una
intorno all’altra. Angela trattenne una risata, poi prese la
matita, scrisse qualcosa sul suo quaderno e lo voltò per
farmi leggere
“Sei
sempre la solita! Ma perché hai fatto così
tardi?”
In
effetti aveva ragione, non facevo quasi mai tardi ad una lezione se non
per motivi seri. Pensai che non ci fosse nulla di male nel raccontarle
l’accaduto, così presi una matita, e con la mia
solita grafia orribile e disordinata le risposi.
“Parlavo
con uno dei ragazzi nuovi”
Non
appena lesse strabuzzò gli occhi tanto da dover rimettere al
loro posto gli occhiali con le mani e prima di rispondermi mi
lanciò un’occhiata incredula
“Bells..DEVI
DIRMI TUTTO!!” dal maiuscolo intuii che non me la
sarei cavata tanto a buon mercato
“Niente
di particolare Angie! Non fare la sciocca!” se per
niente di particolare si intendeva considerare normale i giramenti di
testa e la perdita di fiato per un sorriso…allora non le
avevo mentito.
“Bugiarda!
Non sai mentire nemmeno quando scrivi!!...quale di loro era?”
ecco appunto.
Mi
mancava essere sbugiardata anche durante un discorso non verbale!
“Quello
sceso dalla macchina con la rossa” al solo pensiero di quel
volto felino mi venne un brivido.
“Oddio
il più figo di tutti!! Come si chiama? Come lo hai
conosciuto?”
“Edward
Cullen, è il mio nuovo compagno in letteratura.”
iniziava ad infastidirmi quella muta conversazione, così le
risposi in fretta e feci finta di prendere appunti.
Angela
parve fregarsene del tutto e dopo aver scritto la sua risposta mi diede
un’altra leggera gomitata per attirare la mia attenzione
“Non
crederai mica di cavartela così?” …. No
in effetti non ci credevo, ma dovevo almeno tentare.
“Angie
basta , non è niente di trascendentale!!” e
ritornai a prendere appunti, stavolta più determinata di
prima nell’ignorarla.
La
vidi scrivere nervosamente, e quando ebbe finito mi tirò la
solita gomitata. Io feci finta di nulla. Lei me ne tirò un
altro paio più forti. Di tutta risposta mi voltai quasi del
tutto verso il muro alla mia destra puntando il gomito sinistro sul
banco ed appoggiando la testa sulla mano. La sentii cancellare in
fretta e subito dopo scrivere con altrettanta rapidità. Come
a voler rinforzare la barriera che avevo creato tra noi mi scostai i
capelli facendoli ricadere tutti sul lato sinistro, di fianco al
braccio alzato, come un sipario. Speravo si arrendesse ma conoscendola
avevo poche speranze che andasse così, infatti con un
movimento rapido vidi il suo quaderno piombare sul mio
dall’alto. Mi venne da ridere per l’astuto e
disperato stratagemma della mia amica ma non lo diedi a vedere.
“LA
TUA RILUTTANZA NEL PARLARNE DIMOSTRA SOLO CHE C’E’
QUALCOSA SOTTO. IN MENSA NON MI SCAPPI ” con accanto
disegnato il classico teschio dei pirati con le due ossa incrociate
sotto…..segno di evidente minaccia.
Le
successive ore trascorsero tra me che tentavo di ignorarla e lei che mi
pedinava ma in silenzio.
Giunte
a mensa non potei più evitarla e così le
raccontai tutto mitragliata dalle sue continue domande. Arrivata alla
centesima domanda il mio muro di autodifesa crollò, e le
raccontai ogni minimo dettaglio di mia spontanea
volontà…..mi chiesi se dietro quella sua faccia
d’angelo in realtà si nascondesse un veterano
della CIA.
«
Ahi , Ahi , Ahi , Bella…..prevedo guai » mi disse
sospirando
«
E perché mai? »
«
Tesoro….lui è perfetto…e a quanto ho
capito non gli sei nemmeno indifferente…come credi che possa
prenderla Jacob? » già, bella domanda
«Non
lo so Angie...» Un momento….ma cosa dicevo?
« Anzi sai cosa ti dico? La prenderà benissimo
perché non c’è nulla di cui
preoccuparsi! » dissi risoluta.
Angela
mi guardò dritta negli occhi, fece per parlare ma poi si
trattenne, ci pensò su, e poi mi accarezzò una
guancia dicendomi dolcemente
«
D’accordo, Bella…».
Il
resto della giornata trascorse tranquillo, e quando fu il momento di
tornare a casa notai nel parcheggio l’assenza delle
auto costose dei nuovi arrivati. Angela fu molto gentile e mi
offrì un passaggio a casa.
«Prendilo
come regalo di compleanno. Ho promesso a me stessa che non te ne avrei
fatti più dopo i magnifici sandali bianchi
dell’anno scorso!» disse imbronciata.
Si
riferiva alle magnifiche scarpe che avevo indossato la sera prima per
andare a La Push da Jake….sembrava passato un secolo! Pensai
che fosse colpa di quella giornata assurda ed infinita. Guardai la mia
migliore amica : aveva davvero ancora il broncio, in effetti ero stata
abbastanza scorbutica per tutta la giornata. Ma le volevo un bene
dell’anima. Così le dissi ciò che
sapevo l’avrebbe risollevata per farmi perdonare
«
Veramente quei sandali hanno assistito da poco ad uno spettacolo niente
male……a proposito, grazie per avermeli regalati !
»
Angela
frenò bruscamente, inchiodandosi nel bel mezzo della strada
con le macchine dietro che strombazzavano impazzite. Cavolo, mi
aspettavo una reazione, ma non di certo quella di sfiorare un maxi
tamponamento!
«
Isabella Swan, ma chi sei oggi ? prima l’incontro con il
nuovo arrivato, ora questo! »
«
Già tesoro, e se ti decidi a riprendere la guida
può darsi anche che ti racconti i particolari più
piccanti…..» le risposi ammiccando.
Al
suono di queste parole Angela partì accelerando come se
fosse al gran premio di Silverstone ed entrambe ci perdemmo in una
fragorosa risata.
* * * * * *
Erano
ormai passate le 8 ed io aspettavo Charlie per la cena immersa nel
divano.
Mi
sentivo esausta. Dopo aver raccontato ad Angie tutto della sera prima
ero rincasata giusto in tempo per rispondere al telefono. Mia
mamma…..mi aveva tenuta al telefono fino alle 7 con la scusa
del mio compleanno. Lo avrei ripetuto all’infinito : quello
era stato il compleanno peggiore della mia vita e la giornata
più lunga in assoluto. Non desideravo altro che Charlie
tornasse per cenare e infilarmi a letto. In quel momento sentii la
porta aprirsi alle spalle del divano
«
Bells, sono tornato »
Finalmente
sembrava che le cose iniziassero a girare come volevo.
Cenammo
senza quasi dire una parola, il bello di Charlie era che sapeva capire
quando ero stanca o giù di morale. Mentre lavavo i piatti
però pensai che infondo lui era pur sempre il capo della
polizia….così domandai
«
Papà oggi sono arrivati dei nuovi ragazzi a scuola,ne sai
qualcosa? »
«
Parli dei Cullen, Bells? »
«
Credo non ci siano stati molti nuovi arrivi oggi a Forks »
risposi sarcastica.
«
Beh si...mi sono informato »
«
E…? »
«
Cosa vuoi sapere? »
«
Non so, cose normali : da dove arrivano, quanti sono in famiglia, come
si chiamano…»
Charlie
mi parve contento di quello scambio di battute che stavamo avendo,
così si lasciò andare e mi raccontò un
bel po’ di cose. Scoprii che arrivavano
dall’Alaska, forse era per questo che erano tutti
così pallidi. Il capo famiglia, Carlisle Cullen, era un
medico conosciuto in tutto il paese ed era sposato da un bel pezzo con
la signora Esme Cullen. Purtroppo i due non hanno mai avuto figli
naturali, così pensarono bene di iniziare ad adottare
ragazzi sfortunati. Quando capii che quei ragazzi che si baciavano
quella mattina nel parcheggio erano tutti fratelli mi sembrò
un po’ strano. Ma in effetti non erano realmente
imparentati,non si trattava di incesto.
Miracolosamente
per Charlie, riuscì perfino a ricordarsi tutti i nomi : la
piccoletta si chiamava Alice, il suo ragazzo Jasper, il gigante
muscoloso Emmett e la sua compagna bionda Rosalie, di Edward
già sapevo e il nome della rossa era Victoria. Edward e
Victoria erano gli ultimi arrivati in famiglia e pensando bene a quella
mattina non riuscii a capire se anche loro stessero
insieme…. Lei comunque mi era sembrata decisamente
interessata. Non foss’altro che per l’occhiataccia
lanciatami in cortile.
Una
volta esaurite le informazioni a sua disposizione, Charlie
andò ad accomodarsi sul divano gustandosi
l’ennesima partita in tv. Ed io, una volta finite le mie
faccende in cucina, salii in camera. Non potevo crederci, la mia
giornata stava davvero finendo? Alleluia!
A
quel pensiero mi gettai sul letto, con lo sguardo fisso al soffitto.
Pian piano sentivo il corpo rilassarsi, con la consapevolezza che
finalmente non avrei dovuto affrontare nient’altro.
Il
cellulare iniziò a vibrare sulla scrivania facendomi
sobbalzare. Mentre mi dimenavo sul letto disperandomi per
l’ennesima rottura mi parve quasi di sentire la mia sfiga
deridermi e chiamarmi ‘povera illusa’.
Mi
alzai dal letto piagnucolando mentre quell’affaraccio non la
smetteva di vibrare….giurai a me stessa che dopo quella
telefonata avrei staccato ogni contatto col mondo e sarei andata dritta
a letto.
Lessi
il nome sul display, normalmente non mi sarebbe dispiaciuta quella
chiamata, ma in quel momento sapevo benissimo a cosa era dovuta.
Sbuffai e risposi:
«
Come mai non sono stupita da questa telefonata, Seth? »
Seth
Clearwater. Quel ragazzo aveva una specie di adorazione per il suo
amico Jacob. Avrebbe fatto di tutto per lui….come ad esempio
arrischiarsi in una pericolosa telefonata alla sottoscritta nel peggior
giorno della sua vita.
«
Ma nooo, cosa dici Bella? Chiamavo per farti gli
auguri….»
«
Si certo. Quindi dovresti sapere che non compio tre anni »
«
Uff…va bene! Chiamo per Jake »
«
Ma va? »
«
Voleva farti sapere che è dispiaciuto e
che…» lo interruppi, ecco che saliva il
nervoso.
«
E dimmi Seth, il tuo amico ha per caso perso la memoria? »
«
In che senso? »
«
Nel senso che conosce benissimo il mio numero e se mi vuole chiedere
scusa che lo faccia di persona! Mi sono stancata di queste bambinate!
Digli di crescere una buona volta, tanto lo so che è
lì! » gridai nel telefono tenendolo ad un palmo
di fronte alla mia bocca ed attaccai.
Magnifico!
Ci voleva proprio un’altra sfuriata in quella giornata
pessima!
Spensi
il cellulare e lo chiusi in un cassetto; se fosse stato uno di quelli
con la serratura l’avrei anche chiuso a doppia mandata ed
avrei gettato la chiave nel bosco. Mi tolsi le scarpe e mi diressi in
bagno, se mi fossi messa in quello stato a letto mi sarei innervosita
ulteriormente; meglio fare prima una doccia bollente per sciogliere i
nervi.
Uscii
dalla doccia mezz’ora più tardi, ma almeno aveva
avuto il suo effetto, ero finalmente rilassata e pronta per dormire.
Andai in camera ed aprii l’armadio in cerca del pigiama.
Mentre lo recuperavo mi parve di sentire un rumore, mi voltai, ma non
vidi nulla fuori posto.
Chiusi
le ante ed iniziai ad infilarmi la maglia quando lo sentii di nuovo, un
rumore sordo e secco. Ancora una volta mi guardai intorno. Restai un
momento in ascolto, ma la cosa non si ripeté. Feci spallucce
e presi il pantalone del pigiama.
Non
appena sollevai una gamba per infilarcela dentro, un sasso enorme
impattò sul vetro della finestra, crepandolo e producendo un
rumore fortissimo. Dallo spavento persi l’equilibrio
già precario e caddi. Mi infilai di fretta il pantalone e
con il cuore in gola corsi alla finestra e diedi un’occhiata
giu. Piegato in due dalle risate, vidi Jacob poggiato
all’albero fuori di essa. Alzai di scatto il vetro e mi
sporsi:
«
Idiota! » gli gridai senza voce, evitando di svegliare il
vicinato
«
Scusa, forse ho esagerato » riuscì a malapena a
rispondermi scosso da una fortissima risata.
«
Dici?...hai quasi rotto il vetro! » venne da ridere anche a
me, ma mi trattenni.
«
I primi non li hai sentiti! » tentò di
giustificarsi « Così ne ho cercato uno
più grosso »
«
Qualche grammo in più e avrebbe abbattuto la casa
» dissi divertita senza pensarci su.
Grosso
errore. Jacob sentendo la mia voce libera
dall’ostilità sollevò lo sguardo nel
mio, sfoderando un sorriso compiaciuto in segno di vittoria.
No,
no, no. Non doveva averla vinta così presto. Mi ricomposi
e incrociai le braccia al petto
«
Cosa ci fai qui? » dissi seria
«…Mi
fai salire? » disse dolcemente abbandonando l’idea
di aver vinto.
«
Come mai non hai chiesto anche questo a Seth? » lo provocai
«
Se tu l’avessi lasciato finire ti avrebbe detto che ero
dispiaciuto e che… stavo venendo da te! »
«
Certo, certo. »
«
Eh no Bells, quello lo dico io! » sorrise apertamente.
«
Allora….posso salire, principessa? » disse
inginocchiandosi ed allargando le braccia.
Come
avrei potuto resistergli?
Gli
feci cenno di fare il giro della casa e sgattaiolai giù per
le scale. Charlie non era più sul divano e la tv era spenta,
doveva essere andato a dormire senza dirmi niente. Aprii la porta il
più piano possibile
«
Shhh, fai piano. Charlie dorme » gli sussurrai.
A
Jacob scappò un risolino soffocato mentre faceva un passo in
casa in punta di piedi e tutto ingobbito, come i personaggi dei cartoni
animati quando tendono un agguato. Alzai gli occhi al cielo e gli tirai
una ciocca di capelli, poi lo presi per mano, chiusi la porta alle sue
spalle e lo trascinai svelta al piano di sopra.
Angolo autrice : PER FAVORE recensite !!
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Capitolo 13 *** CAPITOLO 11 - Tana, Lupo ***
CAPITOLO
11 – “Tana
, Lupo”
Feci molta
attenzione nel richiudere silenziosamente anche la porta
della mia stanza. Avevo ancora le mani sulla porta quando Jacob, alle
mie spalle, mi avvolse rapidamente in un abbraccio.
Mi
divincolai svelta dalla presa morbida delle sue possenti braccia e
andai ad appoggiarmi alla scrivania, non poteva cavarsela
così facilmente. Lui mi guardò stupito puntando i
profondissimi occhi scuri nei miei, come a voler capire il motivo di
quel mio gesto. Le sue labbra si aprivano poco, in un sorriso dolce ed
innocente.
Quel
ragazzone dalla bellezza disarmante era capace di farmi sciogliere
sempre, anche quando aveva tremendamente torto. Distolsi lo sguardo
perché non vi cogliesse la mia debolezza….ma il
mio Jake mi conosceva perfino meglio di me stessa. Jacob si mosse, e
con passi lenti mi raggiunse, mentre io con un dito torturavo il bordo
della maglia del pigiama. Mi sollevò il viso con una mano
sotto il mento e avvicinò il suo. Tenne gli occhi incatenati
nei miei talmente a lungo che lo sfarfallio allo stomaco divenne quasi
insopportabile, poi sorrise dolcemente e mi baciò allo
stesso modo.
Lo
guardai, e mi persi ancora una volta nei lineamenti adorabili del suo
viso….non avrei potuto rimanere arrabbiata con lui un
secondo di più, lui era il mio Sole, la mia Anima, il mio
mondo. Gli posai le braccia intorno al collo e lo baciai io stavolta,
sempre dolcemente ma più a fondo.
Dopo
un primo attimo di stupore, Jacob si lasciò andare, guidando
con i movimenti avidi della sua lingua ciò che io avevo
iniziato. Le sue mani, grandi e calde , mi scivolarono sotto la
maglietta, afferrandomi per i fianchi. Quel gesto così
possessivo mi infuocò la pelle e la mente, ed incollai il
mio corpo al suo, intrecciando le dita fra i suoi capelli. In quel
momento tutto intorno a me era caldo e possente, tutto era
Jacob….ed era l’unica cosa che volessi.
Mi
spinse frettolosamente con la schiena contro l’armadio e
sciolse il nostro bacio solo per continuarlo sul mio collo, mentre le
sue mani percorrevano frementi le mie cosce. Avrei voluto che tra le
sue mani ed il mio corpo non ci fosse stata la barriera di stoffa del
pigiama, per sentire la sua pelle sulla mia. I nostri respiri si fecero
svelti e spezzati. Sapevo che se non avessi fatto qualcosa i baci e le
carezze si sarebbero presto trasformati in qualcosa di più
intimo. Il mio corpo non desiderava altro, lo gridava, lo cercava, lo
pretendeva. Ma il pensiero di Charlie nell’altra stanza mi
scosse da quel vortice bollente. Dovevo fermarlo.
«
Jake….» Sussurrai con il fiato corto.
Il
suo nome uscì dalle mie labbra come
un’invocazione. Sembrava dettato più dalla
necessità del mio corpo che dalla determinazione della mia
mente.
«
mmm…Bells…» bisbigliò Jacob
quasi in un gemito, mentre le sue mani
scendevano sul bordo dei miei pantaloni e le dita ne superavano
l’elastico.
Un
fremito mi scosse dal fondo della schiena che involontariamente si
inarcò sfiorando il suo bacino. Dovevo fermarmi, subito,o
non sarei più riuscita a tornare indietro. Portai le mani
sul suo petto e lo scostai dolcemente mentre tentavo di dire
«
N-no … Jake…non possiamo..»
«…Perché
no, Bells? » mi rispose in un soffio con le labbra sul mio
lobo.
Oh
diamine! Io tentavo di fermarlo e lui mi eccitava sempre di
più.
«
J-Jacob…così mi farai
impazzire….smettila »
«
Dammi un buon motivo….per non
continuare…» le sue dita scivolarono superando
anche il bordo della mia biancheria intima «….ed
io giuro che mi fermo…».
Il
suo tocco vellutato mi tolse il respiro….non riuscivo a dire
niente, n’è tantomeno a formulare un pensiero
completo, inspirai a fondo e sibilai senza voce
«
Charlie…»
Jacob
si fermò all’istante, scostò il viso
dal mio orecchio e mi guardò perplesso
«
Bella tesoro, capisco che volevi che mi fermassi….ma
sussurrare il nome di tuo padre non ti sembra un po’
eccessivo? »
Gli
sorrisi mentre tentavo di recuperare un po’ di contegno, ma
sapevo benissimo di essere rossa come un peperone.
«
Scusami, Jake….è che sono riuscita a
dire solo quello….»
Mi
passai una mano tra i capelli imbarazzata, lui prese l’altra
e mi accompagnò sul letto.
Si
distese comodo ed io mi accucciai al suo petto, protetta come una
bambina.
Mi
avvolse in un forte abbraccio, chiudendo una mano sul polso
dell’altra in una morsa d’amore.
«
Perdonami amore, per oggi » disse lasciandomi un bacio tra i
capelli
«
Va bene così, Jake. Ho sbagliato anch’io
» mi strinsi forte al suo torace
«
E’ che ho avuto così tanta paura di
perderti….» Nella sua voce riconobbi la
stessa sofferenza della sera prima, e mi strinse talmente forte che il
mio piccolo corpo, tra le sue possenti braccia, parve quasi scomparire.
«
Jacob non dovresti nemmeno pensarla una cosa simile! »
«
Se tu avessi potuto vedere lo sguardo perso con cui guardavi quel
Cullen….» Lo sentii digrignare i denti anche a
distanza.
«
E’ solo….molto bello, Jake. Ma anche tu lo sei,
non hai nulla da invidiare a nessuno!.....e poi….come
conosci il suo cognome? »
«
Mio padre oggi mi ha raccontato una cosa sulla loro famiglia »
«
Billy? E cosa ti ha detto? »
«
Che non sono poi così tanto nuovi qui a
Forks…»
«
Ci sono già stati? Non capisco..»
«
Nulla Bells, non ci pensare. Le solite storie tramandate dai Quileute
»
«
Beh? Mi hai raccontato quella dei lupi, ora non posso sapere questa?
» alzai gli occhi per guardarlo, sperando che si rendesse
conto dell’assurdità della situazione.
Jacob
fissava un punto davanti a sé
«
Mi ha detto che al tempo dei nostri antenati la loro famiglia fu
beccata a cacciare nel nostro territorio. Così per mantenere
la pace raggiunsero un accordo in cui si delimitava il territorio di
caccia…..e la riserva per loro è off
limits….lo era allora….e lo è ancora
oggi. » Mi spiegò tutto assorto e serio
…. Troppo serio.
«
Oh andiamo Jake! È una cosa vecchia di centinaia di anni !
»
«
No Bells, non lo è. Non per i Quileute. »
«
Te compreso? » domandai incredula e confusa
«
Me compreso …. Anzi, mettimi anche in prima schiera
»
«
Jacob Black ma ti senti?….tu stai impazzendo! »
riuscii a dire mentre ridevo di gusto riempiendolo di pizzicotti.
Jacob
mi fermò le mani sorridendo
«
Non sto impazzendo tesoro….è solo che non puoi
capire…….»il suo sguardo divertito
mutò nell’espressione furbetta che conoscevo
benissimo «…soprattutto dopo un momento di fuoco
come quello di prima » e scoppiò in una delle sue
fragorose risate
Svelta
gli tappai la bocca
«
Shhh idiota! Sveglierai Charlie!.....e smettila di fare battute sui
nostri momenti intimi »
Mi
sentii arrossire a quelle parole dette sotto voce.
Era
vero, con Jacob perdevo il controllo di me stessa…ma mi
imbarazzava parlarne.
Jacob
mi accarezzò dolcemente una guancia e con una morbidissima
voce mi disse
«
C’è un momento quando stiamo
insieme…..un momento in cui ti lasci andare
completamente….ed io ogni volta mi perdo nel guardarti, nel
sentirti, mi perdo in te in quel momento. Non puoi immaginare quanto tu
sia bella…..così come io non riesco a credere che
quello splendore sia tutto per me … tutto mio. Sono
l’uomo più fortunato della Terra
amore…e voglio che tu resti solo mia per sempre. »
Quella
voce dolcissima mi sciolse il cuore
«
Jacob, tu sei tutta la mia vita, e non sopporterei di fare un solo
respiro in più se tu non ci fossi »
Sollevai
lo sguardo nel suo.
«
Sono la donna più fortunata della
Terra….»
Jake
si voltò lentamente, accompagnandomi con una mano tra le
scapole e poggiandosi delicatamente su di me. Mi accarezzava piano i
capelli mentre io sprofondavo nei suoi occhi dolci dai quali scese
lenta e solitaria una lacrima. Si morse piano il labbro inferiore,
sorpreso anche lui stesso da quel momento di debolezza. Il mio Jake era
il ragazzo più buono del mondo, i suoi sentimenti talmente
puri da non sembrare reali …. Non l’avrei mai reso
felice abbastanza per tutto quello che era capace di donarmi. Sollevai
piano il viso e delicatamente raccolsi con le labbra quella lacrima
salata dal suo zigomo perfetto. Poggiai nuovamente la testa sul cuscino
e la assaporai, avrei giurato di riuscire a sentirne l’amore
che l’aveva generata.
«
Ti amo » mi disse dolcemente, di questo ne ero
certa ormai.
«
Ti vivo » gli risposi altrettanto dolcemente, sperando che
bastasse.
Suggellò
quelle parole con un bacio caldo, profondo ed infinito. Mentre ci
abbracciavamo stretti nella notte scivolavo serena in un dolce sonno,
cullata dal suo respiro sul mio viso……e prima di
perdermi completamente nel mondo onirico pensai che nulla al mondo ci
avrebbe mai divisi, nulla al mondo ci avrebbe mai scalfiti
…. Non lo avrei permesso, mai…. Fin quando avrei
avuto vita.
POV
Edward.
Correvo
nel bosco inebriato solo dalla sua scia.
Quel
profumo delizioso mi invadeva la mente come un’onda
inarrestabile.
Avevo
resistito a lungo….troppo per quel giorno.
Ora
dovevo vederla.
Rallentai
quando in lontananza scorsi una casa bianca.
Percorsi
gli ultimi metri ad una velocità quasi umana, ero al
limitare del bosco, mi separavano dal fianco della casa solo un piccolo
spazio verde e qualche fila di alberi.
Mi
arrampicai svelto su di un albero, fermandomi alla stessa altezza di
una finestra.
Sapevo
che quella era la sua
finestra, l’odore che ne usciva fuori copioso e potentissimo
era inconfondibile….Isabella.
Mi
accovacciai su di un ramo e guardai :
Bella
era distesa sul suo letto rannicchiata al petto di un ragazzo muscoloso.
Che
idiota!
Come
avevo potuto non considerare l’idea che amasse qualcuno? Come
avevo potuto non pensare che c’era già qualcuno
nella sua vita?
Quella
creatura così fragile aveva avuto la potenza di risvegliare
una curiosità ed un interesse sopiti da tempo nel mio freddo
mondo….tutto con un unico sguardo.
Mi
sentivo inspiegabilmente attratto da lei, e non riuscivo a toglierle lo
sguardo di dosso nemmeno per un istante.
Nemmeno
in quel momento, nemmeno vedendola abbracciata ad un altro.
Lui…..provai
un immediato moto d’invidia e di fastidio nei suoi confronti.
Chi
era?
Perché
poteva giacerle accanto, inebriandosi della sua essenza senza temere di
farle del male?
Annusai
l’aria più affondo, cercando in essa tracce del
suo odore, qualcosa che mi raccontasse di lui.
Dopo
pochissimo avvertii un odore pungente ed irritante, che mi fece
istintivamente arricciare il naso…..non riuscii
però ad identificarlo subito.
Controvoglia,
inspirai ancora di più, seguendo la traccia di quel
fastidioso odore…in esso riconoscevo il vago sentore di
qualcosa a me noto, ma non completamente.
Era
una traccia forte ma incompleta.
Come
un frutto non ancora maturo, o un fiore non del tutto sbocciato.
Lentamente
si fece strada in me un’idea…….oh
si…..era proprio così.
Il
ragazzo forse ancora non sapeva….ma presto si sarebbe
trasformato anche lui.
Presto
anche lui sarebbe stato indegno di esserle vicino.
Un
sorriso amaro, quasi un ghigno, si fece largo sul mio volto.
Tana, Lupo.
Angolo autrice : PER FAVORE recensite !!
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Capitolo 14 *** CAPITOLO 12 - Decisioni ***
CAPITOLO
12 – “Decisioni”
POV
Edward
Quella
notte tornai a casa subito, non volevo vedere altro. L’unica
cosa che volessi era chiudermi nel silenzio della mia stanza, con solo
Debussy a tenermi compagnia. Forse avrebbe potuto calmarmi la sua
musica serena. Ero infastidito, arrabbiato, amareggiato e deluso.
Deluso da me, da lei, da tutto.
Aprii
la porta di casa e mi diressi al salone, dove avrei trovato le scale
che conducevano al piano superiore delle camere da letto. Victoria era
sola, sul lungo divano bianco, e mi stava aspettando, lo sentivo. La
ignorai, non era la serata adatta per parlare con
nessuno….men che meno con lei. Feci spedito i primi tre
gradini quando mi parlò.
«
Dove credi di andare? »
«
Vic…..non è la serata adatta per rivolgersi a me
in questo modo » scandii molto lentamente parola per parola.
«
Ah no? Perché altrimenti cosa succede? »
sibilò lei fra i denti avvicinandosi minacciosa.
Inspirai
forte mentre un ringhio basso mi sorgeva dal petto.
Non
dovevo perdere la calma.
«
Dove sono gli altri Vic? » riuscii a dire nonostante la
mascella contratta.
«
Cosa ti importa? »
«
Devono….impedirmi….che ti stacchi la
testa…» risposi prendendo fiato ad ogni parola.
Le
mani mi tremavano dalla rabbia, il mio sguardo, se avesse potuto
colpirla davvero, l’avrebbe uccisa. Non avevo mai desiderato,
come in quel momento, di uccidere un mio simile.
Richiamato
dalla potenza dell’odio che stavo provando, accorse Jasper.
Seguito poi da tutta la famiglia.
«
Edward calmati, cerca di rilassarti » mi disse tranquillo,
avvicinandosi con le mani protese in avanti e mentre sentivo un senso
di calma tentare di entrarmi dentro.
«
Figliolo, ricordati della scelta che hai fatto » mi disse
paternamente Carlisle.
Un
mostro….non ero un mostro….non volevo
esserlo….non volevo più uccidere.
Così, mentre le parole di mio padre mi ricordavano chi
avessi scelto di essere, e mentre la calma regalatami da Jasper si
faceva strada dentro di me, mi rilassai. La mascella si
ammorbidì e il respiro tornò lento e regolare.
Aprii gli occhi e ritrovai tutti intorno a me con sguardo apprensivo, e
Victoria nuovamente sul divano.
«
Bravo, ragazzo » disse sollevato Carlisle, e mi diede una
leggera pacca su una spalla.
«
Si può sapere cosa è successo? » la
voce trillante e curiosa di Alice ruppe definitivamente
quell’attimo di tensione.
Feci
una smorfia infastidita e guardai Victoria dritto negli occhi:
«
Chiedetelo a lei »
Victoria
ricambiò lo sguardo e rispose
«
Sei tu che volevi staccarmi la testa Ed! »
«
Ti avevo detto di lasciarmi in pace! E tu invece non hai fatto altro
che provocarmi! »
Avevamo
iniziato a strillarci contro, quando intervenne Esme
«
Ragazzi smettetela! Siete adulti abbastanza da riuscire a condurre una
conversazione senza alzare la voce. »
«
Scusa Esme. » dissi sincero
«
Scusa…» si accodò imbarazzata Victoria.
«
Va bene. Adesso, con calma, spiegateci cosa vi è preso
» la premurosa Esme aveva sempre un tono dolcissimo per noi
figli.
«
Ero appena rientrato, volevo solo andare in camera mia. Invece Vicky mi
ha ostacolato e successivamente provocato » esposi brevemente
la mia versione dei fatti.
«
Tsè…» mormorò Victoria
voltandosi verso la vetrata con la ferma intenzione di ignorarmi.
Sapeva
che avevo ragione.
Una
bassa risata profonda ci fece voltare tutti verso Emmett. Rosalie
alzò gli occhi al cielo e gli diede una gomitata.
«
Sembrano due mocciosi, Rose! » e continuò a
ridersela.
«
Se non la smetti subito ti faccio passare dal riso al pianto in un
nanosecondo » gli disse truce Rosalie.
Emm,
che evidentemente aveva già saggiato altre volte la
veridicità di quelle parole, smise in un attimo di ridere
sfoderando l’espressione più seria che avesse in
repertorio.
Rosalie
lo guardò compiaciuta e, a braccia conserte, gli diede una
spinta amorevole con i fianchi
«
Bravo il mio scimmione » sussurrò facendogli
l’occhiolino.
«
Oddio questi si risposano! » sfuggì dalla bocca ad
Alice appena uscita da una delle sue visioni.
Scoppiammo
tutti quanti a ridere a quelle parole pronunciate con tanta
rassegnazione. Il clima era del tutto stemperato ormai. Esme
andò a sedersi accanto a Victoria, poi mi guardò,
sfiorò il posto accanto a lei sul divano e mi disse
mentalmente
“Vieni qui tesoro”
Le
sorrisi, era la donna più amorevole del mondo. Mi avvicinai
e mi sedetti di fianco a lei, come mi aveva chiesto.
«
Posso sapere perché non volevi che Edward andasse in camera
sua? » disse dolcemente a Victoria carezzandole piano una
mano.
«…Volevo
delle spiegazioni. » rispose lei sottovoce.
«
Volevi sapere dove fosse stato? » le chiese.
«
No Esme….si sente lontano un miglio,
dov’è stato » rispose con cattiveria
fissandomi dritto negli occhi.
Involontariamente
un ringhio sommesso mi nacque a fior di labbra.
Esme
si voltò, e con l’altra mano mi
accarezzò dolcemente la testa
«
Shhh, Edward…..Shhh » sottovoce.
Poi
si rivolse nuovamente a Victoria
«
Victoria, per
favore » marcò con decisione le
ultime due parole.
«
Oh Esme, ma insomma! Ha fatto una sciocchezza! » disse
sulla difensiva
«
No Vic. Qui se c’è una che fa le sciocchezze sei
tu. »le dissi in tono di sfida prima di continuare
«
Sbaglio, o oggi è stata colpa tua se siamo dovuti tornare a
casa prima della fine delle lezioni? E tutto perché?
Perché mi hai visto parlare con lei e per poco in palestra
non sfogavi la tua rabbia con una pallonata che avrebbe potuto staccare
la testa a qualcuno! »
«
Victoria!!
» disse in tono di rimprovero Esme, voltandosi verso di lei
con aria stupita.
Le
guardai per un momento: Victoria con la testa bassa e
un’espressione colpevole in volto, Esme che la guardava
incredula; sembravano una madre alle prese con la figlia di 5 anni che
ha appena combinato un pasticcio……un sorriso mi
si aprì dolce in viso.
Mai
come in quel momento mi sentii a casa, con la mia famiglia.
Capii
subito di aver sbagliato a perdere la calma, ma anche questo mi sarebbe
servito a non ripeterlo più in futuro.
Poggiai
la mano sinistra sulla spalla di Esme che si voltò verso di
me, e vedendo il mio sorriso sereno, lo ricambiò con uno
altrettanto disteso e dolce. Poi guardai Victoria.
«
Scusami, Vicky. Ero molto nervoso è vero, ma ho esagerato.
Mi perdoni? »
Senza
sollevare lo sguardo mi rispose:
«
Perché, Edward?......Perchè l’hai
fatto? » riuscii a sentire tutta la sua tristezza e la
delusione in quelle poche parole.
Così
mi sporsi appena, e poggiai l’altra mano sulla sua, ancora
immobile sulla gamba di Esme. A quel punto mi guardò.
«
E’ più forte di me, Vic. Il suo sangue mi
chiama…» le dissi il più dolcemente
possibile.
Chiuse
appena gli occhi sospirando, parlandomi mentalmente
“Oh Ed…..ti prego non
prendermi in giro….non è solo il suo sangue
ciò che ti affascina di lei.”
Soffrivo
terribilmente nel vederla così, in quei pochi attimi di
debolezza che si concedeva, perché sapevo di essere io la
causa del suo male.
«
E’ la mia cantante, Vicky.
E……..» tentai di spiegare ma lei mi
interruppe bruscamente.
«
E ALLORA MANGIATELA, EDWARD ! » gridò scattando
in piedi con i pugni serrati, poi, veloce come solo un vampiro
può essere, corse in camera sua.
Abbassai
la testa, non era mia intenzione che si sentisse presa in giro,
n’è tantomeno potevo ferirla raccontandole
ciò che avevo provato quella mattina. Esme mi
abbracciò materna
“Non preoccuparti, Edward. Le
passerà”
Poi
mi posò un leggero bacio sulla fronte e si alzò
dal divano
«
Scusate….vado da lei. » disse dirigendosi al piano
superiore.
Alice
mi si avvicinò e condivise con me la sua ultima visione :
sarebbe tornato tutto come prima.
Poi
mi sorrise e si allontanò con Jasper in silenzio.
«
Mica tanto male il consiglio, però….»
disse sghignazzando Emmett mentre portava via Rosalie in braccio
«…..posso assaggiarla signorina? » e le
diede un lieve morso sul collo, mentre Rose rideva di gusto
accarezzandogli i corti riccioli neri.
Sorrisi
a quella buffa scenetta tipica di loro.
«
Non cambierà mai » disse compiaciuto Carlisle
avvicinandosi e prese il posto occupato prima dalla moglie.
«
Allora, Edward. Ti va di parlarne? »
Carlisle
era l’uomo più comprensivo della terra. Adoravo
definirlo “un uomo”, perché tale era. La
sua umanità non lo aveva mai abbandonato, ma anzi, pareva
essersi rafforzata nei decenni. Il suo essere comprensivo e magnanimo
metteva a proprio agio chiunque gli parlasse, allontanando ogni timore,
ogni ansia, ogni imbarazzo. In quel momento gli fui immensamente grato
di quella domanda, non capivo cosa mi stesse succedendo, e non avrei
saputo confidarmi con nessun’altro.
«
Te ne sarei grato, Carlisle » gli risposi sincero.
«
Dovere, figliolo. Ora dimmi, è davvero la tua cantante come
hai detto poco fa? »
Mi
poggiai con la schiena al morbido cuscino del divano, un gesto inutile
e senza significato per un vampiro…..ma in quel momento
volevo sentirmi umano più che mai. Parlare del profondo ed
unico legame che scatenano le cantanti era sempre difficile per me.
«
Si. Ne sono sicuro, sai che non è la prima volta che ne
incontro una. »
«
Lo so, Edward. E sono fiero di te. »
«
Si ma…..Carlisle io credo di non aver deciso nulla
stamattina »
«
Non capisco, spiegati meglio »
Come
se fosse facile spiegare ciò che era successo in
quell’aula…
«
Scusa, ma è difficile spiegare. Lei era in aula stamattina
ed io non l’ho sentita, così sono stato colto alla
sprovvista…»
«
Aspetta un momento. Hai detto di non averla sentita? »
«
Proprio così. Io non riesco a leggerle la mente. »
Vidi
negli occhi dorati di Carlisle la stessa espressione di
incredulità che, ero sicuro, avessi anch’io quella
mattina.
«
Ma…..è incredibile figliolo. Ed assolutamente
affascinante »
«
Oh credimi, Carlisle…..lo è davvero »
confidai in un sospiro.
«
Beh, io mi riferivo alla sua mente ma…..non metto in dubbio
le tue parole » mi sorrise.
«
Accidenti! Non so cosa mi stia prendendo! Scusami, davvero, mi rendo
conto da solo che sembro un folle….ma è
così che mi sento. »
«
Edward, è più che legittimo che tu sia confuso.
Oggi è stata una giornata molto pesante per te: il primo
giorno di scuola, l’incontro con la tua
cantante….una cantante muta mentalmente, per
giunta»
«
Lei è speciale….» dissi in un sussurro
«…Continua,
ragazzo mio » mi incitò
«
Non riuscivo quasi a credere che fosse la mia cantante, non avevo mai
sentito nulla di così potente in vita mia. Con Iris ed Emily
il richiamo era stato fortissimo…..ma stavolta sono stato
accecato, stordito, rapito completamente dal suo profumo. Lo sentivo
graffiare forte nella testa e alla gola, come una presenza
ingombrante…..in un attimo mi ha invaso la testa come un
fiume in piena. E la verità è che in quel momento
non sapevo più nemmeno chi ero: il mostro dentro di me era
incontenibile per la sete ed io ero del tutto disarmato dal non sentire
la sua mente. Ti giuro, Carlisle…...ho davvero pensato che
sarei scivolato ancora. » confessai tutto d’un
fiato.
«
Ma non lo hai fatto Edward. E dovresti essere orgoglioso di te stesso
»
«
Come ti ho detto prima, non credo di aver deciso nulla. »
risposi sconfortato
«
Se non tu……allora cosa lo ha fatto per te?
»
Mi
persi un attimo in quel ricordo, e risposi con ancora
l’immagine in testa:
«
Sono stati i suoi occhi…….i suoi magnifici occhi.
Per un istante li ho guardati e….mi hanno dato la forza di
domare il mostro, di sopire la sete, di chiudere anche la mia, di
mente. Per un breve, minuscolo, ma intenso
istante……mi hanno letteralmente catturato. Mi
hanno portato in salvo…….Lei, mi ha salvato da me
stesso. »
Carlisle
mi diede una leggera pacca sulla spalla, con uno sguardo che non gli
avevo mai visto rivolgere nei miei confronti.
«
Io ed Esme aspettavamo da tanto questo momento, Edward. »
«
Quale momento? »
«
Quello in cui ti avremmo visto finalmente
rinascere…..perchè è questo il potere
dell’amore, figliolo : rende nuovamente vivi anche i cuori
apparentemente immobili come i nostri. »
«
Amore? E’ questo, l’amore? » dissi
stupefatto
«
Beh, potrai dirlo solo tu, un giorno. Ma sicuramente per te le cose
sono molto complesse: lei è umana, ed è la tua
cantante. Datti tempo, Ed. »
«
Non credo servirà a molto….anche se ne fossi
innamorato…….lei non vorrebbe mai uno come me.
» non esisteva al mondo verità
più assoluta.
«
Su questo purtroppo non posso rassicurarti…..per non parlare
del fatto che lei non dovrebbe mai sapere di
noi…….ma potrebbe bastarti semplicemente il
vegliare su di lei. »
«
Mmmm….c’è una cosa che non ti ho detto,
Carlisle »
«
Ancora? Stasera mi stai letteralmente sbalordendo » mi disse
in un piccolo riso.
«
Allora credo che dopo questo non avrai più parole
» sorrisi amaramente
«
Ho più di qualche secolo sulle spalle,
Edward…..mettimi alla prova. »
«
Lei….» ma mi interruppe
«
Che presuppongo abbia un nome…»
Mi
strappò un sorriso divertito
«
Si certo. Il suo nome è Isabella, ma preferisce la chiamino
Bella » ancora una volta, nel pronunciare il suo nome, mi
ritrovai a pensare quanto fosse riduttivo per una creatura
così straordinaria.
«
La figlia del capo Swan? »
«
Proprio lei…»
«
E cosa avrebbe di così incredibile da lasciare senza parole
un immortale? »
«
Ha un ragazzo…»
«
E fin qui nulla di straordinario……»
«…….Ed
è un licantropo » dissi con tono di sfida.
Carisle
restò a fissarmi nella sua immobilità innaturale,
mentre il silenzio calava.
«
Te l’avevo detto » gli dissi scuotendo piano la
testa.
«
Beh…..il fatto è che non mi aspettavo tanta
sfortuna, ragazzo mio » mi disse sorridendo
«
Se ama uno come lui…..non potrà mai nemmeno
notare uno come me. »
«
Ho visto tante cose nella mia lunga esistenza, Edward…..e
non mi stupirei se Isabella un giorno potesse cambiare idea.
Però, vedi figliolo…..forse dovresti pensare
anche a cosa è meglio per lei, infondo è umana,
proprio come lo è lui. »
«
Lui non è umano, Carlisle! Lui è un mostro!
Esattamente come me! » risposi infastidito alzandomi in piedi.
«
Ma, Edward….lui è vivo, ha un cuore che batte,
è mortale. »
«
Ed è pericoloso almeno quanto me » ribattei serio
e teso.
«
Lui non brama il suo sangue….»
«
Ma basta che perda il controllo anche solo per un attimo quando
sarà trasformato e….»
«
Aspetta » mi interruppe « Vuoi dirmi che non si
è ancora trasformato? »
«
Già, ma manca poco oramai, l’ho sentito nel suo
odore » mi si arricciò il naso al pensiero.
«
Però adesso è assolutamente umano. Caro ragazzo,
non affrettiamo i tempi. Credo che tu abbia già abbastanza
complicazioni per adesso. Tu cerca solo di comprendere qual
è la tua strada……la migliore da
seguire per farti star bene. O almeno, questo è quanto posso
consigliarti da padre….»
Sentii
l’incertezza nella sua voce, così domandai
«
E se non fossi stato mio padre? Cosa mi avresti detto? »
Anche
Carlisle si alzò dal divano e mi rispose
«
Credimi, figlio mio…..non vorresti saperlo » mi
guardò dispiaciuto e poi mi strinse in un abbraccio.
Nonostante
dimostrasse sempre il suo amore per noi figli, non era frequente che mi
abbracciasse. Ricordai che lo fece quando persi il controllo con Emily
ed Iris…..e da lì capii. Sarebbe stato un
percorso difficile, qualsiasi strada avessi scelto.
«
Grazie, papà » gli risposi in un soffio
ricambiando la stretta.
Anche
quella era una cosa non frequente, il chiamarlo papà. Ma in
quel momento, per quella sera, non ci sarebbe stato appellativo
più appropriato. Lui era mio padre: come tale mi aveva
accolto nella sua famiglia quando ero disperato, come tale mi aveva
sostenuto nel tremendo cammino del rinunciare al sangue umano, come
tale mi incoraggiava a dare sempre il meglio di me e gioiva quando ero
sereno, e come tale, era sempre pronto ad ascoltarmi, proprio come
quella sera.
“Vorrei poter fare di
più” pensò mentre
scioglievamo l’abbraccio, sapendo che l’avrei
ascoltato.
Mentre
mi dirigevo al piano superiore pensai nuovamente a Bella, a quanto poco
la conoscessi, ma a quanto mi avesse già rapito ogni
pensiero. Ripensai ai suoi occhi di cioccolato, e mi fu tutto chiaro.
Così,
giunto a metà scala lo chiamai, ancora con lo sguardo fisso
davanti a me, senza guardarlo:
«
Carlisle….»
«
Si, Edward? » lo sentii rispondere.
Con
il corpo immobile, una mano poggiata al corrimano della scala, ed un
piede già al gradino successivo; voltai lentamente solo la
testa, per poterlo guardare dritto negli occhi:
«
Non mi arrenderò. Non questa volta. »
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Capitolo 15 *** CAPITOLO 13 - Incontro ravvicinato ***
CAPITOLO
13 – “Incontro
ravvicinato”
Quella
notte il sogno che mi tormentava fu anche peggio del solito.
Ricordavo benissimo che la sensazione d’ansia per raggiungere
la misteriosa figura era più forte, così come era
ancora più abbagliante l’immensa luce alle sue
spalle. Era come se le due cose andassero di pari passo : quanto
più io volessi raggiungere quel volto, tanto più
la luce aumentava. Ovviamente come ogni mattina, la sveglia sul
comodino trillò quando io ero già sveglia da una
mezz’ora buona. La spensi e diedi un’occhiata
fuori: niente pioggia! Certo, del cielo non ne si riusciva a vedere
nemmeno un pezzettino, come al solito, ma almeno non pioveva! Senza che
nemmeno me ne accorgessi fui invasa dal buonumore. Forse fu come una
reazione a tutto lo stress e al malumore accumulato il giorno prima, ma
poco importava, non mi sentivo così da tempo.
Mi
alzai di scatto dal letto ed inciampai nel comodino ritrovandomi con le
gambe per aria, mi rimisi in piedi e ridacchiai, infondo non
c’era nulla di male se per una volta ridevo anch’io
della mia stessa goffaggine! Saltellai allegra verso il piccolo stereo
che avevo fatto montare a Jake in camera mia l’estate prima e
lo accesi. Delle note allegre come me quel mattino iniziarono a
danzarmi intorno, invitandomi a cantarle e a ballarle: era Mika, con la
sua nuova “Blame it on the
girls”…..irresistibile!
Avevo
sempre avuto un rapporto particolare con la musica, così
come con i libri. Erano il sale della mia vita, le davano sapore e
colore. Due passioni trasmessemi da Renée, non passava
giorno che non mi svegliasse con dell’ottima musica ed un
commento all’ultimo libro che stava leggendo. Ascoltavamo di
tutto, qualsiasi genere musicale era il benvenuto in casa nostra,
bastava che ci emozionasse in qualche modo, poco importava che ci
facesse piangere commosse, che ci facesse saltellare allegre, che ci
facesse venire la pelle d’oca per
l’intensità delle note…tutto quanto era
musica, entrava dritto nelle nostre vene per animarci.
Mi
venne in mente di quando, una mattina, mi tolse le cuffie
dell’ipod dalle orecchie durante la colazione, mi disse
“Bella….la vera musica, puoi ascoltarla solo da
una imparziale e indipendente radio. Non vale scegliersi le canzoni!
Questo puoi farlo quando non hai uno stereo a portata di mano,
ma….fin quando avrai una radio, non ci pensare nemmeno ad
usare un ipod. E’ la musica che deve sceglierti e trovarti
per regalarti qualcosa…..non il contriario”. Aveva
ragione da vendere, e da quel giorno la radio fu la mia seconda
compagna di vita, sostituita all’occorrenza da un ipod.
Quanto
mi mancava la mia imprevedibile ed ingestibile mamma. Non lo ammettevo
mai, soprattutto con Charlie….ma mi mancava davvero
tantissimo.
Rifacevo
il letto e continuavo a canticchiare
«
Blame it on the girls who know what to do,
Blame
it on the boys who keep hitting on you »
In
quel momento bussarono alla porta della mia camera, lo sentii appena
«
Bells? »
«
Entra pure Char…..papà! »
Charlie
si affacciò solo con la testa dietro la porta, come se
temesse di trovare un alieno dall’altro lato.
«
Tutto a posto, Bella? » sembrava sorpreso
«
Certo! » gli risposi con un gran sorriso
Inspiegabilmente
sembrò ancora più sorpreso….qualcuno
avrebbe detto che mi guardava con la tipica faccia “a punto
interrogativo”.
«
Ti vedo bene oggi….» tentò cauto,
accennando anche un sorriso
«
Perché sto bene! » ridacchiai aprendo le braccia.
«
Oh….grandioso allora!....beh…..io vado
» fece un cenno con la testa.
«
Certo! Buona giornata papà! » senza pensarci su
due volte, con due grandi passi fui da lui e gli schioccai un sonoro
bacio sulla guancia appena rasata.
L’ispettore
capo Swan arrossì, avrei dovuto aspettarmelo. Mi voltai e
raggiunsi l’armadio spalancandolo, quando la porta della
camera invece di chiudersi dietro Charlie si aprì
leggermente di più.
«
Ehmm…dovresti farlo più spesso, Bells »
«
Cosa? » chiesi sempre col sorriso sulle labbra
«
Questo…» disse disegnando distrattamente un
cerchio per aria con una mano «… insomma,
divertirti….e cantare. Sei brava sai? Proprio come tua
madre….».
Riuscii
a sentire il tono dolce della sua voce perfino attraverso le note della
canzone che oramai era cambiata. Quando Charlie parlava di
Renée era sempre così : dolce e tormentato.
In
quel momento avrei voluto gridargli che anche per me era
così, che anche io sentivo la mancanza della mamma come
l’acqua nel deserto, che anche a me mancava la sua risata
limpida e acuta, che anche io avrei dato di tutto pur di tornare
indietro….a quando eravamo felici e insieme.
Ma
come al solito, la timidezza tipica degli Swan mi frenò,
facendomi semplicemente arrossire al solo pensiero. Però
qualcosa feci, andai di nuovo verso di lui e lo abbracciai.
Charlie
parve spaesato, sapevo che non aveva idea di cosa fare. Poi, dopo pochi
secondi, ricambiò la stretta.
«
Grazie papà…..canterò più
spesso » “se
può farti sentire
di meno la mancanza della mamma” avrei voluto
aggiungere.
Ma
la situazione era già abbastanza imbarazzante.
Lui
fece un semplice cenno con la testa, ed io mi allontanai svelta,
così come mi ero avvicinata, e tornai all’armadio.
Senza bisogno di altro, Charlie allungò una mano alla
scrivania accanto alla porta e girò la manopola dello
stereo, aumentando ancora di più il volume, poi silenzioso
richiuse la porta dietro di se. Rimasi sola con la mia musica e la mia
allegria, sentivo che quella giornata sarebbe andata
benissimo…..ero un leone!
Mi
vestii perfino più carina del solito, con una camicetta blu
che non avevo mai messo, e con l’aiuto della spuma diedi un
bel movimento ai capelli. Nulla di particolare infondo, ma per me che
tentavo di passare quanto più inosservata possibile, era
già un traguardo. Dedicando più tempo del solito
ai capelli non ebbi abbastanza tempo per fare colazione.
Così, mentre la mia fetta di pane tostato saltava fuori dal
tostapane, sentii il clacson della moto di Jake richiamarmi
all’ordine.
Infilai
rapida lo zaino in spalla, presi il cappotto sul braccio ed uscii. Il
mio ragazzone era lì, davanti a me ad attendermi bello come
il Sole, solo che Jacob risplendeva sempre nonostante le nubi di Forks.
La mia felicità aumentò all’istante
ancora di più….ero euforica! Sentii un sorriso
allargarsi sulle mie labbra, e fregandomene della
possibilità di cadere gli corsi incontro, gli gettai un
braccio intorno al collo e lo baciai
«
Buongiorno amore! » gli dissi sprizzando felicità
da tutti i pori
«
Buongiorno anche te fiorellino
» mi rispose anche lui
immensamente felice.
Riuscivamo
a condividere e a contagiarci a vicenda con ogni stato
d’animo…non riuscivo mai a capire come potesse
succedere.
Prima
che dicesse altro, gli infilai un angolo della fetta di pane tostato in
bocca, mentre io ne addentavo l’angolo opposto.
«
Hmm….Graffie tesofo , ma ho già faffo colafione
» farfugliò quasi incomprensibilmente con la bocca
piena.
Un
suo singolo morso aveva portato via quasi metà della fetta,
mentre io ero riuscita appena a mangiarne solo l’angolo.
«
Jake, hai mangiato quasi tutta la fetta! » gli dissi
fintamente sconcertata
«
Sei tu che me l’hai infilata in bocca….la prossima
volta impari! »
Mi
passò una mano dietro i capelli, alla base del collo, e mi
diede un lungo bacio.
L’euforia
di quel mattino mi fece sentire ancora di più quanto unico,
dolce, ed incredibilmente sensuale, riuscisse ad essere ogni suo tocco.
«
Ti ho già detto che sei ancora più bella
stamattina? » mi sussurrò con quella voce roca che
mi faceva impazzire, mentre strofinava piano il suo naso contro il mio
«
Ti ho già detto che pretendo di continuare un certo discorso
iniziato ieri sera? » gli sussurrai fissandolo dritto nei
suoi magnifici occhi del color dell’onice.
Per
un attimo rimase spiazzato, ma pochi secondi dopo, un sorriso malizioso
si aprì sul suo splendido viso
«
Se proprio lo pretendi…..» e mi lasciò
una bollente scia di baci dalla mascella fino al collo.
Poi
si sollevò, e mi porse l’ennesimo bellissimo fiore
dicendomi
«
Sei proprio carica oggi, eh? »
«
Sì, Jake! » gli risposi afferrando il fiore
« Ma
non credi che sia ora di smetterla con questi fiori? »
«
Ti ho forse detto di averne trovato uno più bello di te?
» mi rispose divertito
«
No, ma mi arrendo. »
«
Eh no, mi dispiace…..troppo facile, cara Isabella
» e mi lasciò un veloce bacio sulle labbra.
Si
voltò per prendere i caschi ed io ne approfittai per
abbracciare la sua muscolosa schiena ed immergere il mio viso tra i
suoi capelli, fino a toccare la nuca con il naso. Inspirai
profondamente, a pieni polmoni, come dopo un’apnea.
«
Ti ho mai detto quanto adoro
il tuo profumo? » gli dissi
ancora persa in quella fragranza unica.
Si
voltò sorridendomi con i due caschi in mano, poi si
abbassò leggermente all’altezza del mio orecchio e
mi disse
«
Ti ho mai detto che Billy è a pesca e casa mia è
tuuutta sola soletta? »
Mi
scostai leggermente, ridendo piano
«
Ok, Jacob Black….portami a scuola o questo gioco del
“ti ho mai detto” potrebbe prendere una piega
strana, stamattina! »
«
Ma io non chiedo altro, zuccona! » mi rispose ridendo ed
infilandomi il casco in testa.
«…Però…..potrei
venire a farti visita oggi…» gli lanciai uno
sguardo languido che lasciava poco ai fraintendimenti.
Restò
un momento con la bocca aperta, come un bambino davanti ad un regalo,
prima di rispondermi.
«
Oh Bells! Smettila di torturarmi e sali, prima che ti riporti di nuovo
dentro casa! »
Ci
credevo, ne era capace. Così saltai svelta sulla moto e mi
allacciai il casco.
Come
al solito, il tragitto in moto con Jake durò troppo poco per
i miei gusti. Appena la due ruote si fermò, mi tolsi rapida
il casco, poi lo sfilai anche a lui e percorsi il profilo del suo collo
con tanti piccoli baci. Prima che potessi raggiungere il lobo del suo
orecchio destro lo sentii sospirare tra il compiaciuto e il disperato.
Saltò svelto giù dalla moto, si voltò
verso di me e mi cinse i fianchi con le sue grandi mani.
«
Bells…..te la sei cercata! » mi disse con la voce
più sexy che avessi sentito in vita mia.
Prima
di capire a cosa si stesse riferendo si avventò sulle mie
labbra con tanta voracità che pensai volesse mangiarmele. E
infondo era proprio quello che iniziò a fare: prendeva le
mie labbra tra le sue e le stringeva forte prima di mordermele. Era
passionale…..e quando approfondì il bacio lo fu
ancora di più. La sua lingua rincorreva la mia in ogni
angolo, mi sembrava di avere un boccone bollente in bocca, di quelli
che scottano a tal punto che vorresti ricacciarli fuori….ma
che allo stesso tempo sono così saporiti che quel loro
bruciare non fa che aumentarne il gusto.
Mentre
il suo sapore mi invadeva anche il cervello, le sue mani spinsero i
miei fianchi in avanti, facendomi scivolare con il sedere fino alla
punta della sella. Jacob continuava a stare in piedi di fianco a me,
per cui non capii subito il motivo di quel
gesto……ma lo capii esattamente una decina di
secondi dopo, quando continuando a baciarmi instancabilmente,
iniziò a spingermi piano all’indietro. Lentamente,
stava facendomi sdraiare sulla sella della moto lucente.
Dio solo sa
quanto lo volessi in quel momento, ma il cortile della scuola non mi
sembrava decisamente un luogo appropriato, non intendevo dare
spettacolo. Feci cadere i caschi che ancora avevo uno per ogni mano,
producendo due tonfi sordi, e poggiai svelta i gomiti dietro di me,
sulla sella ormai pericolosamente vicina alla mia schiena, arrestando
subito la mia discesa. Sorrisi sulle sue labbra e lui si
scostò appena
«
Jacob Black, sto iniziando ad amare ancora di più questa
moto ma…..non esagerare! » gli dissi sempre
sorridendo, ma allontanandolo da me con una mano sul suo petto, mentre
mi rialzavo.
Jake
di tutta risposta si lasciò andare ad un risolino divertito,
che in quel momento mi sembrò ancora più
sbruffone del solito. Mentre scendevo dalla moto, per evitare il
nascere di altre situazioni compromettenti mi disse
«
Hey, Bells….ricordi come mi hai salutato stamattina?
» voleva sembrare disinvolto, ma conoscendolo come le mie
tasche notai subito l’agitazione che tentava di nascondere.
Ma
non glielo dissi, risposi semplicemente alla sua domanda
«
Si certo, Jake. Ti ho detto “Buongiorno amore”
»
«
Appunto…… “amore”
»
ripetè lui, accompagnando l’ultima parola con un
gesto delle dita che stava a mimare delle virgolette.
Mi
sorrideva spavaldo, come se avesse appena smascherato un delinquente
sul fatto. Era adorabile, decisamente irresistibile. E quella mattina
mi sentivo talmente felice che non intendevo perdermi nelle mie solite
congetture
«
Beh Jake…..chissà, magari potrei ricredermi
sull’argomento! » gli risposi sorridendo
apertamente.
Jacob
capì subito che la mia era una provocazione e mi rispose
ridendo
«
Certo, certo! »
Mentre
entrambi ancora ridevamo felici, mi guardai intorno. A parte alcuni
sguardi imbarazzati per la scena di poco prima, nessun’altro
ci
guardava…………nessun’altro
a parte Lui.
Edward
Cullen ci fissava intensamente, o meglio, fissava me
molto intensamente.
Aveva
qualcosa che non mi convinceva in quello sguardo. Nulla a che vedere
con quelli di inquietudine che mi lanciava appena il giorno prima in
aula…..ma nemmeno nulla di somigliante a quelli
profondamente incuriositi che mi aveva dedicato sulla panchina.
Stavolta era diverso….beh, non avrei dovuto stupirmi, da
quando l’avevo conosciuto, in appena una mattinata, mi era
sembrato due persone diverse.
Però….c’era
qualcosa adesso, in quel preciso istante, in quello sguardo che proprio
non mi tornava. Mentre riflettevo sulla particolare luce nei suoi
occhi, sul suo viso si aprì un sorriso sghembo. Era a
qualche macchina di distanza da noi, poggiato con la schiena alla sua
Volvo fiammante, con le braccia incrociate sul petto e i piedi
altrettanto intrecciati. I suoi fratelli, poco dietro di lui parlavano
tra loro, solo la rossa di nome Victoria non lo perdeva mai
d’occhio. Ad un tratto vidi le labbra di Edward muoversi, e
tutti i suoi fratelli voltarsi a guardarlo. Mentre la piccoletta,
Alice, tentava di rispondergli, Edward si scostò dalla Volvo
e si mise dritto in piedi. Si passò una mano tra i capelli
perfettamente in disordine ed iniziò a camminare.
Edward
Cullen camminava senza indugio e con un fare sicuro di sé,
come se fosse invincibile. Teneva le mani nelle tasche del cappottino
corto grigio, mentre avanzava spedito, e un sorriso sghembo stampato in
volto che non aveva nulla di angelico quel mattino….avrei
giurato di leggerci una grande impertinenza, piuttosto.
Era
dannatamente bello e impertinente…..e veniva dritto da me,
senza mai staccare i suoi occhi ambrati dai miei.
Per
una frazione di secondo, appena realizzai che era diretto proprio verso
di me, lanciai un’occhiatina a Jacob, per capire se si stesse
rendendo conto della situazione. Lui subito si voltò e vide
Edward colmare la distanza tra noi con gli ultimi tre passi.
Insieme
ad Edward giunse una folata di profumo incredibile….il
profumo più dolce che avessi mai sentito. Peccato che in
quel momento, il suo odore era l’unica cosa dolce che avesse.
Edward
non degnò Jacob nemmeno di uno sguardo, non aveva distolto
gli occhi dai miei nemmeno per un secondo mentre attraversava il
parcheggio come solo un modello può fare. Lo fissai,
determinata a non distogliere lo sguardo…..che mi stesse
sfidando?
Non
avrei potuto sbagliarmi di più, e lo seppi qualche attimo
dopo.
Appena
Edward si fermò davanti a me, il suo sorriso
sembrò ancora più impertinente quando mi disse
«
Buongiorno, dolce Bella » caricando il mio nome di
un’enfasi sensuale incredibile.
Mentre
mi diceva quelle due sole parole fece un gesto che mai mi sarei
aspettata.
Le
sue labbra ancora si muovevano nel pronunciare il mio nome, quando
estrasse la mano destra dalla tasca del suo cappotto, la
allungò verso di me e prese la mia mano sinistra. Lentamente
la avvicino a sé e chinò leggermente il capo in
avanti, non distogliendo mai lo sguardo dal mio, e se la
portò alle labbra, dove vi lasciò un delicato
bacio da vero gentiluomo.
Fu
in quel momento che riuscii a capire il significato di quel sorriso
sghembo….non era impertinente…..era provocatore.
Era il sorriso sghembo più provocatore che potesse esistere
sull’intero pianeta. Io ero letteralmente scioccata! Edward
pareva essersene fregato altamente del fatto che io fossi lì
con il mio ragazzo. Anche Jacob per i primi attimi rimase completamente
sbalordito, perfino con la bocca aperta e le sopracciglia aggrottate.
Poi parve realizzare cos’era appena
successo……e fu la prima volta che
anch’io ebbi paura di Jacob Black.
Con
uno schiaffo potentissimo, dato dal basso verso l’altro con
il dorso della sua enorme mano, spezzò l’unione
della mia mano con quella di Edward e gridò
«
STRONZO DI UN CULLEN, MA CHE CAZZO FAI?! »
Jacob
era furioso, tutti i suoi muscoli tremavano dalla rabbia, i pugni
stretti tanto da far sbiancare le nocche delle dita e le vene del collo
parevano scoppiare. Il suo viso, che avevo visto sempre e solo
dolcissimo, in quel momento era una maschera di odio: i suoi lineamenti
duri sembrarono riempirsi di una minaccia nera come la notte.
Edward
si scansò leggermente, il sorriso di prima lasciò
posto ad un ghigno di soddisfazione, come se avesse appena raggiunto il
suo scopo….ed io capii, non era me che stava sfidando poco
prima…..con quel baciamano il suo unico obiettivo era
sfidare Jake.
«
Hey, calmati piccolo Black! » gli rispose portando le mani
in alto come in segno di resa, ma senza mai smettere di sorridere.
Quel
sorriso soddisfatto e provocatore avrebbe fatto infuriare chiunque.
Voleva prendersi gioco di Jacob. Voleva fargli perdere le
staffe……e ci riuscì.
Dalla
gola di Jacob salì un suono sordo e vibrato che esprimeva
tutta la sua rabbia mentre lo vidi caricare un pugno che aveva come
unico bersaglio il volto di Edward.
«
No, Jake! » gli gridai trattenendolo per la vita, senza
alcun risultato.
Jacob
sferrò il suo destro, ma incredibilmente andò a
vuoto, Edward era riuscito a scansarsi una manciata di millimetri prima
che il pugno di Jacob lo colpisse dritto sul naso. Immediatamente
giunsero i fratelli Cullen che si pararono davanti ad Edward, mentre
lui se la rideva piano ma di gusto. Contemporaneamente arrivarono tutti
i miei compagni delle varie lezioni che si fiondarono su Jacob,
trattenendogli le braccia al corpo ed impedendogli di raggiungere
Edward. Jake si dimenava come un pazzo mentre gridava
«
Lasciatemi stare! Vi ho detto di lasciarmi! IO TI DISTRUGGO,
CULLEN! » i suoi occhi fiammeggiavano dalla rabbia.
Edward
di tutta risposta si riportò le mani nelle tasche del
cappotto grigio sempre ridendogli in faccia, poi disse
«
A cuccia, Black…..» fece cenno ai
fratelli con la testa « Andiamo? » e si
voltò incamminandosi verso l’ingresso della scuola
con tutti i fratelli al seguito.
Ci
vollero almeno quindici minuti prima che Jacob smettesse di dimenarsi
come un
pazzo furioso, mentre io e i miei compagni cercavamo di calmarlo.
Quando finalmente smise di gridare minacce, i ragazzi lo lasciarono ed
entrarono anche loro a scuola. Io lo fissai dritto negli occhi, mentre
lui ancora mormorava strani insulti.
«
Jake, basta……non ne vale la pena »
«
Bells, per favore,
non ne parlare altrimenti giuro che entro lì dentro
e….»
«
Shhh! » lo zittii con una mano sulla bocca per evitare che
continuasse, infuriandosi di nuovo.
Poi
la stessa mano gliela posai sulla guancia, mentre con l’altra
gli carezzai dolcemente i capelli, che in quella sua sfuriata erano
diventati tutti scompigliati.
«
Adesso calmati e và a scuola anche tu, ci sentiamo dopo
» gli dissi prima di posargli un dolce bacio sulle labbra.
«
D’accordo » mi rispose non troppo convinto, ma
sincero.
Ricambiò
il mio bacio con uno altrettanto dolce, poi si infilò il
casco, salì sulla moto e se ne andò.
Sospirai,
e mi incamminai anch’io verso l’entrata della
scuola.
Non
avevo mai visto Jacob così tanto arrabbiato. Pensai che
tutta la felicità di quella mattina era svanita in un
attimo, spazzata via in pochi istanti, in un unico gesto.
Quell’Edward Cullen era stato davvero
meschino……ma gli avrei reso pan per focaccia. Non
avevo ancora idea del come, ma avrei trovato un
modo……e me l’avrebbe pagata.
Angolo autrice : PER FAVORE recensite !!
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Capitolo 16 *** AVVISO!! Buone Vacanze!! ***
Bene,
bene , bene..........care ragazze!!! sono qui per dirvi che......si va
in Vacanza!!! Ovviamente non smetterò di scrivere
ma....penso che per gli aggiornamenti dovrete aspettare un bel
pò !!!! Domani parto e....spero che mi aspetterete, per
continuare a leggere di questa storia!!!
Un bacio a tutte e......Buone Vacanze!!
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Capitolo 17 *** CAPITOLO 14 - Minaccia ***
CAPITOLO
14 – “Minaccia”
Camminavo
per i corridoi della scuola con la testa bassa, immersa in mille
pensieri, diretta al mio armadietto. Edward era stato capace di
rovinare il mio bellissimo inizio di giornata…..che
presuntuoso! E che irrispettoso, per giunta! Aveva istigato il mio
Jacob in tutti i modi, con fatti e parole, ben sapendo che nessuno gli
avrebbe permesso di toccarlo. Il pensiero di doverlo incontrare da
lì a qualche ora per la lezione di letteratura mi
aggrovigliava ancora di più lo stomaco!
Alzai
per un attimo lo sguardo dal linoleum del corridoio, in cerca di un
volto amico tra la confusione, quello di Angela, ma non lo trovai. Solo
la sua compagnia poteva distrarmi un po’ in quel momento.
«
Stupido Cullen! » bofonchiai irritata chinando di nuovo il
capo sul mio percorso.
«
Magari sarebbe meglio che tu specificassi! » qualcuno
trillò improvvisamente quella frase alle mie spalle,
facendomi sobbalzare.
Mi
voltai di scatto verso la voce sconosciuta, e mi ritrovai di fronte un
bellissimo folletto sorridente e con le braccia incrociate al petto.
«
Come, scusa? » le chiesi confusa
«
Se dici “stupido
Cullen” io ti consiglio di
metterci anche un nome proprio di riferimento, siamo in quattro qui a
scuola a portare quel cognome…..e qualcuno potrebbe
offendersi » mi rispose sempre con quel sorriso smagliante
stampato in faccia.
«
M-mi dispiace io…..non pensavo mi potesse sentire qualcuno
» risposi imbarazzata.
In
effetti non volevo offendere nessun’altro se non il diretto
interessato. Però le sue parole non mi risultarono scontrose
come dopo un’offesa….anzi, mi parve piuttosto
divertita.
«
Ah! Figurati, Bella! Scherzavo…..io comunque sono Alice
Cullen » annunciò con la sua voce argentina
« E spero proprio che tu non ti stessi riferendo a me!
»
«
Oh, no no! No davvero! » le risposi in fretta per fugare
ogni dubbio.
Ma
la mia reazione parve divertirla ancora di più, e rise
allegramente
«
Lo so, Bella. Lo so! Comunque, piacere di conoscerti! » mi
scompigliò un po’ i capelli
«
Piacere mio, Alice » le risposi sorridendole di rimando.
Il
suo buonumore era contagioso, normalmente mi avrebbe infastidito tutta
quella confidenza con cui un’estranea si rivolgeva a me,
ma…con lei fu diverso. La sentii da subito come una vecchia
amica. Per questo non mi sorpresi quando mi disse
«
Andavi agli armadietti? Facciamo la strada insieme! »
prendendomi sottobraccio.
Riuscii
a sentire quanto le sue braccia fossero fredde perfino attraverso la
stoffa dei nostri indumenti. Quel contatto mi riportò alla
mente un particolare che pareva essere stato offuscato dallo stupore
del momento: quando Edward aveva preso la mia mano nella sua,
l’avevo sentita gelida. La sua mano era gelida come se
l’avesse tenuta in un cumulo di neve. E gelide erano anche le
sue labbra, che si erano posate gentili sul dorso della mia mano.
«
Ti prego di voler scusare mio fratello….» disse
Alice distogliendomi dai miei pensieri.
«
Beh….» iniziai a parlare non sapendo bene cosa
dire.
Le
fui quasi grata quando mi interruppe.
«
So bene che ti riferivi a lui poco fa, e ne hai tutte le ragioni
ma…..Edward non è così. » la
sua voce era sempre squillante, ma in quel momento mi parve di
cogliervi una nota di apprensione.
«
Alice, mi spiace. Io non so com’è tuo fratello, so
solo cosa ha fatto poco fa. » se davvero intendeva evitare la
mia collera nei suoi confronti con un semplice discorso, aveva
sbagliato persona.
«
Già, ha sbagliato. E’ stato impulsivo e stupido.
Ma credimi se ti dico che in lui c’è molto altro
oltre a..….»
«
Oltre alla presunzione, la spavalderia, la sfacciataggine e la
cattiveria? » la interruppi elencando ogni aggettivo con un
disprezzo evidente nella voce, prima di guardarla. Anche i suoi occhi
erano di un caldo color oro.
Lei
mi sorrise prima di parlare
«
Beh, si Bella. So che può sembrarti impossibile dopo
stamattina, ma Edward è un bravo ragazzo».
Certo,
cos’altro poteva dirmi la sorella?
«
Alice, davvero io….»
Ma
mi interruppe nuovamente.
«
Bella, per favore….credimi. Non pensare che io ti dica
queste cose solo perché sono sua
sorella….» Appunto
«…cerca di
dargli una possibilità. » rallentò il
passo fino a fermarsi.
«
Alice, sul serio. Vorrei crederti ma non trovo una sola, buona ,
ragione per farlo ».
Ferme
all’incrocio con il corridoio degli armadietti pensavo che la
discussione fosse finita lì, quando mi disse più
di quanto avrebbe dovuto….almeno per il bene del fratello.
«
Bella, non ti chiedo molto, solo di permettergli ancora di parlarti.
» mi fissò dritta negli occhi, ma io non capii
«
Io non ne farei tanto un dramma se una persona che conosco da appena 24
ore non mi rivolgesse più la parola » le risposi
sinceramente.
«
Perché tu non cerchi la sua attenzione come lui
agogna alla tua….» prese un momento di pausa,
durante il quale pensai che fosse un po’ esagerato
l’ aggettivo che aveva appena usato
«….Non pensare che esageri, per favore. Non
commettere questo errore. Per Edward è davvero importante
poterti parlare ed avere la tua attenzione » disse tutto in
un tono talmente serio che non ne dubitai nemmeno per un istante.
Però
non potei fare a meno di esultare dentro di me. Mi aveva offerto su un
piatto d’argento la risposta alle mie domande di quella
mattina: avevo finalmente trovato il modo di fargliela pagare. Alice
vedendo il mio silenzio dovette pensare di avermi convinta, infatti
sorrise, sciolse le nostre braccia e mi disse
«
Bene! Ora devo proprio andare! »
«
Non vai al tuo armadietto? » le chiesi curiosa
«
No, ci sono passata già prima…..era solo per
conoscerti! Buona giornata, Bella! » trillò tutta
sorridente, scompigliandomi i capelli e saltellando via da me
«
Anche a te, Alice » e
grazie! Avrei
voluto urlarle, ma mi trattenni.
Svoltai
l’angolo per il corridoio degli armadietti, stavolta
camminando guardando davanti a me. La testa finalmente leggera e
gongolante, all’idea di aver finalmente uno strumento di
vendetta. Raggiunsi il mio armadietto dopo pochissimo, lo aprii ed
iniziai a cercare il libro di storia per la prima ora di lezione. Non
riuscivo a trovarlo da nessuna parte, così poggiai lo zaino
ai miei piedi e mi spinsi leggermente più dentro, nello
stretto spazio che conteneva tutti i miei oggetti.
«
Sembra quasi che ti stia risucchiando, Bella »
Cacciai
un piccolissimo urlo di spavento al suono di quella voce melodiosa,
così vicina al mio orecchio da riuscire a sentire il suo
respiro sulla mia guancia. Mi sentivo le guance paonazze dallo
spavento, ma non me ne importai, e mi tirai nuovamente dritta sulle
spalle, gettando una fugace occhiata alla mia sinistra. Edward Cullen
mi fissava divertito, poggiato con la spalla sinistra
all’armadietto accanto al mio, con la mano in tasca, e
l’altro braccio rilassato lungo il fianco destro.
Non
gli risposi, e facendo finta di nulla, continuai a cercare il libro.
«
Bella? » mi chiamò.
Ancora
una volta non gli risposi, spostando alla rinfusa ogni libro
dell’armadietto sperando di trovare quello di storia al
più presto.
«
Bella Swan, stai cercando forse di ignorarmi? » disse in un
risolino divertito.
Non
avevo la minima intenzione di rispondergli…..se solo quel
maledetto libro fosse sbucato!! Stavo iniziando ad innervosirmi, quando
Edward, sempre ridacchiando, si fece largo insinuandosi nello stretto
spazio tra me e l’armadietto. Ritirai subito il braccio con
il quale cercavo il libro, e lui si poggiò con la schiena
dritto di fronte a me, incrociando le braccia al petto e sorridendomi.
Rimasi
un attimo senza parole a quella vista. Edward era splendido, con un
sorriso limpido e caldo sul volto, lo stesso che mi aveva rivolto la
mattina precedente sulla panchina. Quando ero stata catturata dal suo
modo gentile ed affabile, trascinata nel mare chiaro dei suoi occhi
ambrati. Proprio come in quel momento, i suoi occhi fissavano i miei,
divertiti e dolci, attirandoli magneticamente.
«
Allora? » mi disse interrompendo l’incanto muto del
suo corpo.
Sbuffai,
irritata dal suo atteggiamento ostinato, sapevo che ormai avrei dovuto
rivolgergli la parola necessariamente.
«
Cullen spostati, farò tardi a lezione » gli dissi
cercando di mantenere un tono freddo.
«
E così adesso sono di nuovo Cullen, eh? »
«
Ovviamente….Cullen » glielo ripetei ancora.
«
E quindi io ora come dovrei chiamarti? Di nuovo “signorina
Swan” come prima delle presentazioni di ieri? »
disse ridendo.
Incrociai
le braccia al petto e lo fissai dritto negli occhi.
«
Oh…bene allora, Signorina
Swan….» marcò le ultime
due parole « come preferisci ».
Non
accennava a muoversi di lì, mi sembrò si stesse
quasi divertendo.
«
S.p.o.s.t.a.t.i. » gli dissi lentamente, con un tono deciso
che non ammetteva repliche.
Edward
sbuffò, scuotendo la testa, e si voltò verso il
mio armadietto dandomi le spalle.
«
Cosa pensi di fare, Cullen? » gli chiesi sorpresa, quando lo
vidi frugare tra le mie cose.
«
Ti salvo da un ritardo, signorina Swan. » si voltò
sorridendomi con in mano il mio libro di storia, pescato da chi sa
quale anfratto.
Glielo
presi dalle mani senza ringraziarlo, quando la campanella
suonò e lui mi guardò arcuando un sopracciglio,
in segno di vittoria.
«
Non merito nemmeno un “grazie” ? » disse
spostandosi alla mia sinistra.
«
Figuriamoci…» mormorai sottovoce, in tutto quel
casino non mi avrebbe mai sentita.
Mi
abbassai per sistemare il libro nello zainetto ai miei piedi, quando mi
ritrovai il suo angelico viso sorridente a pochi centimetri dalla mia
guancia sinistra. Mi scostò delicatamente i capelli
all’indietro, come per vedermi meglio, poi si fece ancora
più vicino, le sue labbra potevano quasi toccare il mio
orecchio
«
Sei ostinata, signorina Swan…..mi piace »
sussurrò piano prima di alzarsi e andar via, perdendosi tra
la folla di ragazzi diretti a lezione.
Ero
rimasta immobile, e senza respiro. Così appena fui certa che
si fosse allontanato mi rilassai, espirando l’aria trattenuta
e poggiandomi con una mano alla base dell’armadietto. Il
profumo del suo respiro era qualcosa di incredibile, l’odore
più dolce che avessi mai sentito. Ed aveva avuto la potenza
di catturarmi completamente, immobilizzandomi perfino i pensieri.
Scossi
la testa e mi alzai, rimettendomi lo zaino in spalla. Non poteva farmi
questo effetto, se avevo appena deciso di ignorarlo, non potevo
permetterglielo. Impilai velocemente i libri rimasti
nell’armadietto e prima di richiuderlo diedi
un’occhiata alle foto che tenevo fissate con lo scotch
all’anta, indugiando particolarmente, come ogni volta, su di
una che ritraeva me e Renèe sorridenti. Forse il buonumore
di quella mattina non era andato tutto perso, così
sospirando, chiusi in fretta l’anta
dell’armadietto…..trovando la rossa di nome
Victoria incredibilmente vicina.
Sobbalzai
dallo spavento per la terza volta quella mattina, cacciando un urlo
più alto rispetto al precedente. Avevo il cuore in gola, e
lei era poggiata con il fianco destro all’armadietto accanto
al mio, come se si fosse appostata quanto più vicino
possibile all’anta aperta del mio, aspettando proprio che io
la richiudessi e la trovassi così vicina. Teneva le braccia
incrociate al petto e mi fissava dritto negli occhi, con un sorriso
sulle labbra che avrei giurato fosse intriso di cattiveria.
«
Continua così, Isabella…..fossi in te, io lo
farei. » mi disse a bassa voce.
Poi
si allontanò. Rimasi un attimo a fissare il punto dal quale
poco prima i suoi occhi color oro stavano puntando dritti nei miei.
Erano dello stesso colore dei suoi fratelli, ma nei suoi ero sicura di
aver visto un lampo di cattiveria, così come ero sicura che
quelle poche, semplici, parole che mi aveva rivolto, fossero una
minaccia.
Ero
corsa in classe appena mi fui ripresa da quella, non tanto, velata
minaccia e una volta in aula tirai un sospiro di sollievo. I potentissimi mezzi
della Forks High School contavano solo due televisori, uno dei quali
era a riparazione, e quindi per la lezione di storia che contemplava la
visione di un documentario sulla seconda guerra mondiale avevano unito
due classi : la mia e quella di Angela.
Lei
era lì, infondo all’aula che si sbracciava per
attirare la mia attenzione, indicandomi la sedia libera al suo fianco.
«
Come mai non siamo in trincea? » le dissi appena la raggiunsi
indicando la prima fila di sedie, praticamente incollate al televisore.
Angela,
oltre ad avere un amore viscerale per la fotografia, era una patita
della storia, e per nulla al mondo pensavo si fosse seduta infondo
all’aula durante una lezione con documentario.
«
Un uccellino mi ha riferito che oggi “la storia” si
stava compiendo nel parcheggio…» disse
ammiccandomi «…so che c’era
già chi scommetteva su l’uno o
sull’altro, e c’è perfino qualcuno che
giura di aver visto scorrere del sangue! » sparò
tutto d’un fiato prima di mettersi a ridere.
«
Andiamo, Angie! » le risposi ridendo anch’io
dandole uno spintone sulla spalla.
«
Ok, ok….torniamo serie. Vuoi spiegarmi cosa è
successo o devo fare io un collage di tutte le cose che mi hanno detto?
»
«
Meglio che te lo racconti io…»
Così
l’ora di storia trascorse tra me che le raccontavo tutto
l’accaduto, e lei che sgranava sempre più gli
occhi interrompendomi di tanto in tanto con qualche
“Ohh”
sognante alla descrizione del baciamano, e
con qualche “Uhh”
al racconto della mia decisione e
della minaccia di Victoria.
Le
restanti ore di lezione prima della pausa pranzo scivolarono via
monotone, al bancone della mensa presi solo un trancio di pizza ed una
soda e mi sedetti al solito tavolo con Angela, Mike ed altri buffi
ragazzi.
«
Senti Angela….sai qualcosa dei Cullen? » le chiesi
sottovoce mentre gli altri ragazzi intavolavano una discussione su
quale fosse l’auto più veloce di tutti i tempi.
«
Qualcosa, si. Cosa ti interessa? » il suo sguardo era curioso
«
Beh vedi, stamattina Alice mi ha detto che sono in quattro qui a
chiamarsi Cullen ma…loro sono sei » risposi
imponendomi di non guardare al tavolo dove le sei bellezze sedevano.
«
In effetti è così, solo in quattro fanno Cullen
di cognome. Vedi ci sono….» e puntò un
dito dritto nella loro direzione.
Mi
sentii avvampare di vergogna e le tirai subito la mano sul tavolo
«
Ma cosa fai?! Non ti hanno mai detto che non si indicano le persone?
» tentai di mascherare dietro una buona educazione la paura
che Edward capisse che parlavamo di loro.
Angie
rise prima di continuare, forse la sapeva più lunga di
quanto immaginassi.
«
Dicevo, che Rosalie e Jasper pare siano davvero fratelli e si chiamano
Hale. In pratica il signore e la signora Cullen hanno adottato per
primo Emmett, lui era poco più di un bimbo allora e quindi
fu molto naturale dargli il loro cognome. Poi, dopo poco arrivarono i
fratelli Hale, che si dice fossero già abbastanza
cresciutelli per togliergli la loro
“identità”. Dopo i biondi e bellissimi
fratellini, giunse Alice che, a quanto pare, nonostante fosse
già grandicella volle prendere Cullen come suo nuovo
cognome…..alcuni dicono che è andata
così perché lei non lo avesse proprio. Infine,
arrivarono a completare la famiglia Edward e Victoria, insieme, anche
se nessuno sa perché o come furono adottati
assieme…..ed inoltre….una cosa molto
strana…..» La ascoltavo pendendo dalle sue labbra,
con la fetta di pizza in mano a qualche centimetro dalla mia bocca
aperta, ma immobile «….circola voce che i due
abbiano voluto, quasi preteso, di chiamarsi Cullen per cancellare del
tutto un passato alquanto oscuro e violento….» a
quelle parole rabbrividii e la pizza mi cadde in grembo.
«
Cavolo! » esclamai riemergendo da quel racconto che mi aveva
tanto affascinata.
Era
mai possibile che non riuscissi a mangiare senza farmi cadere nulla
addosso? Ogni volta era sempre la stessa storia.
«
Ancora, Bella? » Angela rideva come sempre
«
Già…..» sbuffai mentre recuperavo un
tovagliolo per rimediare alla macchia.
«
Eppure credevo che col tempo avresti imparato a mangiare da sola!
» rideva talmente tanto che a stento riuscii a capire cosa
dicesse.
Mi
infastidiva essere così scoordinata e goffa, e Angie non
faceva altro che riderne, così le risposi scocciata, mentre
ancora strofinavo il tovagliolo sulla camicetta
«
Angie smettila, per favore! »
Forse
la mia richiesta era andata a centro, perché lei smise di
ridere, ma dopo pochi secondi
«
Bella….» mi chiamò
«
No Angie, sul serio! » la implorai lottando contro la macchia
che andava allargandosi.
«
B-Bella……» mi disse ancora, un
po’ balbettando e sottovoce.
Ma
perché non capiva? Io lottavo contro l’ennesima
umiliazione spiaccicata sulla mia camicetta e lei continuava a volermi
stuzzicare?
«
Serve una mano? O preferisci un bavaglino? »
La
voce melodiosa di Edward mi fece sobbalzare talmente tanto che la mano
che strofinava il tovagliolo sulla macchia parve attraversata da una
scossa elettrica e andò a sbattere sotto il bordo del
tavolo. Con grandissima gioia dei presenti, quel gesto fece cadere la
mia lattina di soda, che mi si rovesciò completamente
addosso, andando ad aumentare il disastro sulla mia camicia.
Edward
scoppiò in una risata talmente fragorosa da rimbombare in
tutta la mensa, seguito a ruota da Angela che era totalmente scossa dai
sussulti. Per non parlare dei miei “compagni” di
tavolo che ridevano indicandomi spudoratamente.
«
Dannazione! » sbottai alzandomi in piedi e tentando di
asciugare un po’ quel guaio.
Tutti
continuavano a ridere
«
Signorina Swan, sei un vero disastro! » mi disse Edward
mentre ancora si sbellicava.
«
Cosa vuoi tu? » gli dissi bruscamente lasciando perdere la
mia camicia senza speranze per guardarlo, in piedi al mio fianco.
Fortunatamente
la crisi di ridarella era passata e tutti erano tornati alle loro
conversazioni, compreso Angela. Mi pentii immediatamente di avergli
rivolto la parola, io dovevo ignorarlo!
«
Beh, abbiamo la lezione di letteratura adesso e
quindi….volevo fare la strada con te » mi rispose
come se fosse la cosa più naturale del mondo.
Se
lo poteva scordare!! Tornai a sedermi senza rispondergli, e mi infilai
nella conversazione che proseguiva al mio tavolo. Per la successiva
mezz’ora avevo continuato a fingermi interessata e partecipe
delle loro chiacchiere mentre Edward non si era mosso di un millimetro,
in piedi alla mia sinistra. Mi chiesi cosa aspettasse ad andarsene, e
la risposta arrivò al suono della campanella, quando tutti
abbandonarono i loro tavoli, me compresa, per andare a lezione. Quando
mi alzai gli passai davanti, salutai Angela e mi diressi ai
corridoi…..con Edward al mio seguito. Alla fine stava
riuscendo nella sua impresa : stava facendo la strada con me.
«
E così ti capita spesso di rovesciarti il cibo addosso?
» mi domandò e dal tono di voce capii che stava
sorridendo.
Non
lo guardavo nemmeno, facevo come se non esistesse. E inoltre aveva
scelto l’argomento più sbagliato possibile per
iniziare una conversazione con me conciata a quel modo. Per tutto il
tragitto non fece altro che riempirmi di domande, per lo più
futili, sperando che io gli parlassi.
«Swan,
andiamo…..non fare la bambina!» mi disse
spazientito quando giungemmo all’ingresso
dell’aula, parandosi davanti a braccia aperte, con le mani
che toccavano gli stipiti della porta.
Io
sbuffai e, abbassando la testa, entrai in aula passandogli sotto il
braccio destro. La nostra seconda lezione di letteratura trascorse
molto diversamente rispetto alla prima : io lo ignoravo, mentre lui
alternava sguardi fissi e profondi al mio viso a tentativi di farmi
parlare. Non potei però fare a meno di notare il suo
atteggiamento completamente diverso, stavolta non se ne stava seduto
rigido sul bordo della sedia nel punto più lontano della
scrivania. Stavolta potevo dire che era stato seduto quasi rilassato e
ad una distanza da normalissimi compagni di banco. Al suono della
campanella raccolsi le mie cose e andai via, sotto il suo sguardo
incredulo ed infastidito, mentre ancora rimaneva seduto al suo posto,
sconfitto.
L’ultima
ora fu una tortura: educazione fisica. Il mio incubo peggiore a scuola,
e come ogni volta, riuscii a capitombolare durante la partita di
pallavolo, escoriandomi il polso. E, sempre come ogni volta dopo la
lezione in palestra, dopo essermi rivestita passai in infermeria per
farmi disinfettare l’escoriazione e metterci un cerotto.
Perfino l’infermiera, che ormai mi considerava quasi sua
nipote, mi prese in giro vedendo la camicetta tutta sporca di pizza e
soda che indossavo. Grazie al cielo quella mattina mi ero svegliata di
buon umore, e questo mi aveva dato una mano a superare quella
giornata……e ad affrontare l’ennesimo
temporale di Forks , che mi attendeva scrosciante fuori
dall’infermeria.
Corsi
al parcheggio pregando di non cadere ancora, ma quando vi arrivai non
trovai nessuno ad aspettarmi. Nessuno che fosse Angela o Jacob in quel
parcheggio deserto……nessuno tranne la Volvo
grigio metallizzato che mi veniva incontro.
Sapevo
benissimo chi guidava quell’auto, così prima che
mi raggiungesse mi incamminai sotto la pioggia ignorandola. Piuttosto
che farmi accompagnare da lui sarei arrivata a casa con la polmonite!
Dopo qualche passo, mentre i miei capelli già gocciolavano
zuppi d’acqua, la Volvo accelerò raggiungendomi.
Sentii il ronzio del finestrino che si abbassava.
«
Credo ti serva un passaggio. » sentii appena la voce di
Edward, sovrastata dai tuoni e dallo scrosciare potente della pioggia.
Diluviava!
Ma io continuai imperterrita a camminare, con lo sguardo dritto davanti
a me.
«
Swan non ti pare di esagerare adesso? Ti verrà una
polmonite! Sali in macchina! » disse deciso e a voce
più alta.
Non
ebbi problemi nel sentirlo stavolta, ma lo ignorai e continuai per la
mia strada…ormai avevo perfino i calzini completamente
fradici. Nonostante l’auto stesse procedendo a passo di
lumaca per starmi accanto, la sentii frenare bruscamente. Accelerai il
passo, immaginando cosa aveva intenzione di fare.
Ma
per quanto l’avessi potuto immaginare, restai completamente
spiazzata quando Edward Cullen, completamente fradicio e di una
bellezza pari soltanto ad una divinità mi si parò
davanti.
«
Bella, entra subito in macchina! » mi impose indicando la
Volvo con un braccio teso.
Non
lo ascoltai, ero rapita nel seguire i percorsi delle migliaia di
goccioline di pioggia sul suo viso pallido e perfetto. Lente e gentili,
gli discendevano la fronte ed il naso, gli incorniciavano gli occhi di
topazio splendenti, e gli carezzavano il liscio labbro superiore
scomparendo a contatto con quello inferiore.
Dovevo
avere un’espressione davvero inebetita perché lo
sguardo di Edward cambiò, divenendo più caldo,
mentre mi regalava il sorriso sghembo che per la seconda volta mi fece
girare la testa. Abbassò il braccio con il quale stava
ancora indicando la macchina e si avvicinò ad un passo da
me. Il suo sorriso e i suoi occhi mi scioglievano, mentre sollevava una
mano per scostarmi i capelli incollati al viso dalla pioggia. Il
contatto con la sua mano fredda non mi infastidì, ero
anch’io gelata.
«
Andiamo » mi disse con una voce morbida e vellutata.
«
S-si…..grazie » gli risposi uscendo da quella
specie di trans in cui ero sprofondata.
Mi
avvicinai alla Volvo e Edward aprì la portiera del passeggero
«
Prego » mi disse.
Lo
guardai stupefatta da quel gesto tanto galante quanto inusuale e non mi
mossi.
«
Oh fai con calma…..fa così caldo oggi!
» mi disse ridendo mentre il temporale ancora impazzava su di
noi.
Risi
anch’io e mi infilai svelta in auto. Lo vidi aggirare il
cofano e sedersi al posto di guida. Non appena chiuse la sua portiera
accese il riscaldamento,
«
Se non altro la pioggia ha lavato via la macchia » disse
sorridendo e indicando la mia camicetta ormai fradicia.
«
Già » risposi sorridendogli di rimando.
«
Speravo proprio non si rovinasse….il blu ti rende ancor
più deliziosa » sussurrò Edward mentre
metteva in moto e partiva.
Il
viaggio in macchina fu molto breve, quel ragazzo guidava come se fosse
su un circuito di Formula 1 , e silenzioso. Non dicemmo una parola.
Edward staccava gli occhi dalla strada per lanciarmi lunghe occhiate
che non facevano che aumentare la mia paura di andare a sbattere contro
qualche albero. Fuori casa mia spense il motore, che non fece il minimo
rumore, così come all’accensione. Il paragone con
il fracasso che produceva il mio Chevy mi nacque spontaneo e non potei
fare a meno di ridere.
«
Cosa c’è? » mi chiese Edward incuriosito.
«
Niente, scusa » gli risposi mentre ancora ridevo.
Evidentemente
si fece l’idea sbagliata e si guardò nello
specchietto retrovisore
«
Ho qualcosa che non va? » disse mentre si passava una mano
tra i capelli ramati ancora zuppi.
Anche
i miei erano ancora fradici ma a differenza sua, io avevo
l’aspetto di uno spaventapasseri esposto ad un uragano,
mentre lui sembrava un modello appena uscito dal set di uno spot
pubblicitario.
«
No, affatto Edw…..Cullen! » mi corressi subito.
In
un attimo risollevai il muro che avevo costruito tra noi. Ma cosa mi
passava per la testa? Era bastato un semplice giro in auto a farmi
cedere? Dovevo ritornare sui miei passi. Nonostante Edward fosse di una
bellezza quasi miracolosa , era pur sempre lo stesso ragazzo che
qualche ora prima aveva provocato spudoratamente il mio Jacob. Poco
importava che in quel momento mi sembrasse completamente diverso. Forse
aveva parlato con Alice e ora si stava fingendo ciò che non
era.
«
Siamo di nuovo ai cognomi, Bella? » mi disse sconfortato
«
Certamente, Cullen. Cosa ti aspettavi? » gli risposi brusca
Edward
sospirò per poi puntare lo sguardo al parabrezza, ma
sembrava che stesse guardando un punto all’orizzonte
inesistente.
«
Nulla….» accese il motore della Volvo «
Buon pomeriggio, Swan »
Aprii
la portiera della macchina, ma fu più forte di me. Mi voltai
verso di lui prima di scendere
«
Grazie….» gli dissi piano.
Il
suo sguardo parve illuminarsi e tornare vivo, si voltò
puntando i suoi occhi nei miei
«
Di niente » mi rispose quasi dolcemente, sfiorandomi la mano
con un dito.
Uscii
dalla Volvo, richiusi lo sportello e mi avviai verso casa mentre sentii
le ruote sgommare veloci sull’asfalto. Percorsi il vialetto
lentamente, tanto ormai ero completamente inzuppata d’acqua.
In quei pochi passi, non potei fare a meno di chiedermi se quel piccolo
pezzetto di Edward Cullen che avevo appena visto fosse parte di un
qualcosa di più grande.
Angolo autrice : PER FAVORE recensite !!
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Capitolo 18 *** CAPITOLO 15 - Mille e una notte - parte prima 'Sam Uley' ***
CAPITOLO
15 – “Mille
e una notte” - parte prima "Sam Uley"
Corsi su
per le scale con i capelli ancora bagnati dopo la doccia,
avevo appena infilato i vestiti fradici nella lavatrice, e nel
frattempo tentavo di raccoglierli in una coda per evitare che mi
bagnassero la maglia della tuta. Quando superai indenne la salita delle
scale, sempre di corsa entrai nella mia camera e rimasi un attimo
interdetta. C’era qualcosa di diverso ma….cosa?
Il
letto era rifatto, la scrivania era in ordine, l’armadio era
chiuso, i vestiti erano a posto, le tende erano aperte come
sempre….ecco cos’era! Le tende lilla erano
luminose, erano sfiorate da una forte luce che entrava dalla finestra
che incorniciavano. Non potevo crederci.
Mi
avvicinai dubbiosa alla prima delle due finestre della mia camera e
guardai fuori : c’era il Sole. Sul momento non realizzai
subito, così mi grattai la testa con la mano destra, e
ancora più dubbiosa di prima andai alla seconda finestra,
guardando fuori anche da quella: Sole.
Scoppiai a ridere di me stessa,
cosa pensavo di trovarvi? Un altro cielo di un altro posto? La vista
del Sole mi aveva colto talmente di sorpresa che avevo sentito il
bisogno di controllare anche dall’altra finestra che fosse
vero, che il Sole stesse sul serio illuminando la piovosa cittadina di
Forks.
Possibile
che quel furioso temporale di appena un’oretta prima fosse
del tutto scomparso? E per cosa poi….per lasciare il posto
addirittura al Sole? Ancora stentavo a crederci! Sentii il buonumore di
quella mattina esplodermi rinnovato nel cuore e sul viso, sorridevo!
Aprii la finestra e mi poggiai al davanzale con i gomiti,
godendomi ad occhi chiusi il tepore di quel piccolo miracolo sul mio
viso.
Dopo
qualche minuto mi stiracchiai le braccia in avanti, stringendo con la
mano sinistra il polso destro, sentendo un fastidioso bruciore. Riaprii
gli occhi e mi ricordai di non aver messo di nuovo il cerotto
sull’escoriazione al polso dopo la doccia. Normalmente avrei
sbuffato, perfino imprecato contro la mia goffaggine, ma non quel
giorno. Ero piena del mio buonumore ritrovato, e quel Sole mi dava un
motivo in più per essere felice.
Scesi
le scale e saltellante andai in cucina, presi la cornetta del telefono
appesa al muro accanto al frigorifero e composi il numero. Mentre gli
squilli andavano aprii meccanicamente lo sportello del pensile sopra la
mia testa, ne tirai fuori la cassetta del pronto soccorso e la poggiai
sul ripiano della cucina.
«
Casa Black » mi rispose una voce profonda
«
Hey Billy! Sono Bella, c’è Jake? »
incastrai la cornetta tra l’orecchio e la spalla, per frugare
nella cassetta alla ricerca di un cerotto.
«
Ciao Bells! Si è qui, vuoi che te lo passi? »
«
Magari, grazie » nel frattempo aprivo le linguette della mia
medicazione.
«…Jaaake!
Telefono! » sentii Billy seppur in lontananza.
Non
potei fare a meno di sorridere, mentre poggiavo il cerotto sulla mia
escoriazione: la casa di Jacob era praticamente un buco, eppure Billy
lo aveva chiamato come se fosse lontano miglia!
«
Sì? »
«
Jacob? » chiesi un po’ dubbiosa.
«
Ciao Bells...» mi rispose con lo stesso tono di prima
«
Jake cos’è questa voce? »
«
Quale voce? » ecco, per l’appunto. Era triste.
«
A me non la dai a bere….lo sai vero? » richiusi la
cassetta con il solito scatto.
Lo
sentii sghignazzare debolmente dall’altro capo del telefono.
«
Educazione fisica oggi? »
«
Perché? » o meglio, come faceva a saperlo?
«
Hai appena richiuso la cassetta del pronto soccorso che tieni in cucina
»
Mi
guardai intorno circospetta, prima di rispondergli. Doveva essere
lì da qualche parte a spiarmi.
«
Dove sei, Jake? » gli dissi.
«
Che domanda è, Bells? »
Stavo
per aprir bocca….poi ricordai che ero al telefono con lui,
che l’avevo chiamato a casa, che mi aveva appena risposto
Billy….così con la faccia di un’ebete
presi il telefono dalla spalla e me lo portai davanti, scrutandolo con
l’espressione più incredula al mondo. Me lo portai
di nuovo all’orecchio
«
Se io sto parlando con te, che sei a casa tua….come fai a
sapere cosa stavo facendo? » chiesi lentamente.
«
Ahhh » lo sentii sospirare « Oramai riconosco il
rumore dello scatto di quella cassetta, Bella. La usi talmente tante
volte che potrei riconoscerlo anche a capodanno tra i fuochi
d’artificio » mi rispose scocciato.
Istintivamente
mi colpii la fronte con il palmo della mano, ma quanto ero stata
stupida?
«
Hai ragione! » risi « non ci avevo pensato!
» e continuai a ridere.
«
Bells, tutto a posto? …. Mi sembri pazza! » non
potevo dargli torto.
«
Scusami Jake è che….c’è il Sole!
» dissi strillando e saltellando.
«
E allora? » mi rispose monotono.
C’era
qualcosa che non andava.
«
“E allora”,
Jacob?! Questa cittadina vede il Sole
una volta ogni mille anni, e tu mi rispondi “E
allora” ?? » lui mi rispose con uno
sbuffo.
Tentai
di ricompormi un momento da quella follia che mi pervadeva, complice il
bel tempo, e continuai
«
Jacob Black…cos’hai? »
«
Nulla, Bells. Avevi chiamato per qualcosa? » era proprio
triste e scocciato
«
Non starai ancora pensando a stamattina, vero? »
Sbuffò
ancora più forte, talmente tanto che dovetti allontanare la
cornetta dall’orecchio.
«
D’accordo » dissi « Ci vediamo
più tardi da te, come promesso. » mi stava
nascendo una strana idea.
«
Certo, certo »
«
Ciao tesoro » e riagganciai.
Riposi
la cassetta al suo posto. Non potevo permettere che il mio sole
personale fosse triste, mai, tantomeno in un pomeriggio di bel tempo.
Mi sentivo euforica, completamente ed irrecuperabilmente euforica!
L’idea che mi era nata in testa poco prima non mi
sembrò più così strana, e anche se lo
fosse stata, me ne sarebbe importato ben poco quel pomeriggio!
Così
corsi nuovamente al piano superiore, evitando di un pelo una caduta
sull’ultimo gradino, e afferrai il cellulare. Cercai il
numero in rubrica e avviai la chiamata, mentre i primi squilli
partivano, mi specchiavo aggiustando la coda ai capelli ormai asciutti.
«
Pronto? » rispose vivace come sempre.
«
Ciao, Seth » dissi altrettanto vivacemente
«
Hey, Bella! »
«
Seth, avrei bisogno di un favore » andai
all’armadio e lo aprii.
«
Spara! »
«
Dovresti accompagnarmi con la moto in un posto…»
lasciai cadere la frase volutamente, mentre prendevo una maglietta a
mezze maniche. Seth non avrebbe mai detto di no a nessuno.
«
Jacob non può? » già, il suo mito
vivente, dovevo aspettarmelo che domandasse di lui.
«
No, non può. E’ una sorpresa. » almeno
questo potevo dirglielo.
«
Forte! Quando passo? » era tutto entusiasta….lo
sarebbe stato un po’ meno quando fossimo giunti a
destinazione.
«
Anche subito, per me » richiusi l’armadio
«
Cinque minuti e sono sotto casa tua » riagganciò
senza salutare.
Sorrisi
felice, ancora convinta della mia idea e travolta
dall’esuberanza di Seth, e mi vestii più in fretta
che potei.
«
No, no, no, e No! Non ci entro lì dentro! » Seth
indicava il negozio guardando me, paonazzo.
«
Seth…» lo guardai severa «..Non fare il
bambino! » lo presi per un polso ed iniziai a trascinarlo.
«
Non faccio il bambino, ma li dentro io non vengo! » si
lamentò divincolandosi dalla mia presa.
«
Ho bisogno di un consiglio, Seth » glielo ripetei per la
milionesima volta, quasi afflitta.
«
Allora dovevi portarti Angela »
«
Certo! Così a Jacob sarebbe venuto un infarto! »
conoscendo Angela, avrebbe scelto qualcosa di esagerato.
«
Perché, cosa pensi gli verrebbe se venisse a sapere che ti
ho aiutato IO a scegliere?? E sono sicuro che prima di stramazzare al
suolo troverebbe lo stesso la forza per riempirmi di botte! »
incrociò le braccia al petto e si appoggiò alla
moto deciso a non muoversi. Sbuffai.
«
Codardo! » gli dissi con un’occhiata truce prima di
voltarmi ed incamminarmi.
«
Fulminata! » disse alle mie spalle alzando la voce.
«
Poppante! » gli gridai senza voltarmi.
«
Isterica! » gridò a sua volta.
Mi
voltai giusto per fargli una linguaccia, prima di posare una mano sulla
maniglia ed entrare nel “Mille
e una notte” il negozio di lingerie
più famoso di Port Angeles.
In
un’ora ero riuscita a comprare ciò che volevo,
tornare a casa, cambiarmi ed ora ero alla guida verso la riserva. La
radio suonava a tutto volume una nuova canzone che non conoscevo, il
vento entrava dai finestrini spalancati a scompigliarmi i capelli ed io
avrei giurato di non essermi mai sentita tanto felice!
Le
prime case cominciavano a sbucare tra gli alberi fitti, non mancava
ancora molto alla mia meta. Abbassai lo specchietto del guidatore per
darmi una rapida occhiata : non ero truccata, come mio solito, ma mi
vedevo carina. Avevo scelto con cura il mio abbigliamento, volevo
essere femminile, ma senza sembrare troppo diversa dal solito.
Così alla fine avevo optato per una semplice polo nera in
cotone, una minigonna in jeans a metà coscia e le
mie adorate Converse nere.
Da
lontano riuscivo già a scorgere la casa in legno di un rosso
scolorito che era ormai la mia seconda dimora, e fuori, accanto al
furgoncino di Billy, l’auto della polizia di Charlie. Mi
aveva lasciato un biglietto a casa, nel quale mi informava che sarebbe
passato da Billy nel pomeriggio per alcune commissioni. Parcheggiai e
distrattamente spensi la radio con un gesto automatico.
Scesi
dallo Chevy e richiusi la portiera, dirigendomi verso casa Black. In
quel momento uscirono Quil Ateara e Seth, che avevo precedentemente
minacciato di non rivelare a nessuno di esserci visti.
«
Hey ragazzi! Andate via? » li salutai con un cenno della mano
«
Ciao, Bells » Seth fu abbastanza credibile, dovevo ammetterlo
«
Sì Bella, assolutamente sì! » rispose
Quil visibilmente
scocciato
«
Perché non restate un altro po’? »
«
Tsè! Vorrai scherzare! Stacci tu con mister Depressione!
» Quil indicò la porta.
Non
potei fare a meno di ridere
«
Lo so, oggi è un po’ giu…»
«
Un po’ giù ?! » mi risposero entrambi
all’unisono con delle facce allibite.
«
Va bene, va bene….è uno strazio lo so! Allora
sciò, via, ci penso io. » li incitai indicando
gli alberi con dei rapidi gesti delle mani, mentre a Seth
sfuggì una risatina.
Lo
avrei di certo incenerito con lo sguardo se non avessi visto chi ci
osservava dal limitare del bosco. Con dei calzoncini al ginocchio e a
torso nudo, si ergeva in tutta la sua stazza Sam Uley, affiancato da
Paul. I due sembravano la copia l’uno dell’altro :
stesso abbigliamento, stesso tatuaggio tribale sulla spalla destra,
stesso taglio di capelli…..ma la cosa più
inquietante, era la stessa espressione dura del volto, lo
stesso sguardo profondo ed indagatore di chi conosce qualcosa che tu
non capirai mai.
In
quel momento osservavano me, ultimamente lo facevano più
spesso del solito quando li incrociavo….e proprio come in
quel momento la mia reazione era sempre la stessa, sostenevo il loro
sguardo senza distogliere il mio. Era una strana sensazione, il loro
sguardo mi penetrava a fondo e mi poneva domande delle quali non
coglievo il senso.
Mi
inquietavano, ma non lo avevo mai mostrato, mi facevo forza e non
abbassavo mai per prima lo sguardo….e lo facevo per Jacob.
Il modo in cui guardavano me non era nulla in confronto a come lo
facevano con lui. Sembrava quasi volessero scavarlo dentro ogni volta,
e mentre a me, i loro sguardi ponevano domande, a lui imponevano
certezze. Certezze inquietanti, di quelle che ti fanno battere il cuore
a mille e ti fanno venir voglia di fuggire via, lontano, ma non
puoi….perchè allo stesso tempo ti trattengono, ti
imprigionano in qualcosa che senti sia inevitabile. Sapevo bene che
Jacob temeva quegli sguardi e quelle certezze, li avrebbe temuti
chiunque.
Ma
io dovevo essere forte, e ogni volta mi dimostravo tale soprattutto per
lui, per dimostrargli che quegli sguardi non ci avrebbero mai toccati,
che le certezze che volevano imporgli non ci avrebbero nemmeno
sfiorati, e che se anche fosse arrivato il giorno in cui le avremmo
dovute affrontare saremmo stati comunque insieme. Anche quella volta
Sam fu il primo a distogliere lo sguardo e a sparire oltre gli alberi
seguito da Paul.
«
Bella, ma come diavolo fai? » mi chiese stupito Seth.
Quil
invece mi fissava a bocca aperta
«
A fare cosa? » gli chiesi riprendendo il controllo delle mie
emozioni dopo quella spiacevole invasione del mio profondo.
«
A reggere lo sguardo di Sam Uley! A me mette i brividi anche solo
sapere che mi guarda »
«
Già…è terrorizzante »
confermò Quil.
Sorrisi
ad entrambi e cercai di alleggerire l’atmosfera
«
Andiamo ragazzi…è solo un bulletto di terza
categoria! Il nostro Jake potrebbe mangiarselo a colazione! »
non ero stata molto convincente,ma i ragazzi colsero la palla al balzo.
«
Sì, sì come no. Oggi Jake si farebbe schiacciare
perfino da Seth!
» disse ridendo Quil e indicando il compagno al suo fianco.
I
due giovani Quileute iniziarono delle schermaglie manesche e mi
salutarono allontanandosi così.
Tirai
un bel respiro per rilassarmi e nel mentre sentivo le voci di Charlie e
Billy provenire dall’interno della casa. Un sorriso mi nacque
spontaneo a quel suono così familiare, accompagnato
dall’odore di legna di casa Black. Quella era casa mia, anzi
era di più, era la casa dove regnava sempre il buonumore,
dove splendeva un bellissimo Sole, lo stesso che quel giorno era
coperto da una nuvolaccia nera, ed io ero lì per lui.
Aprii
la porta di casa Black con un gran sorriso, Charlie era seduto sul
divano del piccolissimo soggiorno, con Billy alla sua sinistra sulla
sua sedia rotelle.
«
Buon pomeriggio! »
Distolsero
per un secondo lo sguardo dal tg sportivo pomeridiano
«
Ciao Bells » mi rispose Charlie distrattamente
«
Ciao scricciolo! » mi salutò Billy con un
sorrisone e spalancando le braccia.
Andai
da lui e lo abbracciai. Mi voleva davvero bene, diceva di considerarmi
come la sua quarta figlia, ed infondo non era stata una sorpresa
nè per lui nè per Charlie quando io e Jacob
avevamo iniziato a frequentarci.
«
Come stai, Bill? » gli chiesi sciogliendo
l’abbraccio
«
Io benone! È quel bamboccione di mio figlio che oggi ha la
luna storta! » mi rispose indicando con il pollice un piccolo
corridoio di fronte alla porta d’ingresso e gli occhi
nuovamente puntati al televisore.
«
Vado da lui. » dissi , ma i due avevano già
ripreso a battibeccare delle notizie sportive.
Fine
prima parte
Angolo autrice : PER FAVORE recensite !!
|
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Capitolo 19 *** CAPITOLO 15 - Mille e una notte - parte seconda 'Garage' ***
DOVE
ERAVAMO RIMASTI :
.....Aprii
la porta di casa Black con un gran sorriso, Charlie era seduto sul
divano del piccolissimo soggiorno, con Billy alla sua sinistra sulla
sua sedia rotelle.
«
Buon pomeriggio! »
Distolsero
per un secondo lo sguardo dal tg sportivo pomeridiano
«
Ciao Bells » mi rispose Charlie distrattamente
«
Ciao scricciolo! » mi salutò Billy con un
sorrisone e spalancando le braccia.
Andai
da lui e lo abbracciai. Mi voleva davvero bene, diceva di considerarmi
come la sua quarta figlia, ed infondo non era stata una sorpresa
nè per lui nè per Charlie quando io e Jacob
avevamo iniziato a frequentarci.
«
Come stai Bill? » gli chiesi sciogliendo l’abbraccio
«
Io benone! È quel bamboccione di mio figlio che oggi ha la
luna storta! » mi rispose indicando con il pollice un piccolo
corridoio di fronte alla porta d’ingresso e gli occhi
nuovamente puntati al televisore.
«
Vado da lui. » dissi , ma i due avevano già
ripreso a battibeccare delle notizie sportive........
CAPITOLO 15 – “Mille
e una notte”- parte seconda "Garage"
Il piccolo
corridoio accanto alla cucina contava una sola porta, quella
della camera di Jacob.
Aprii
la porta senza bussare, e lo vidi disteso prono sul suo
letto, quasi troppo piccolo per lui, con la faccia immersa nel cuscino
e i capelli lunghi sciolti tutti spettinati. Non si era nemmeno accorto
della mia presenza. Per un attimo mi godetti lo spettacolo che la
natura magnifica del mio ragazzo mi offriva : le braccia alzate accanto
alla testa sul cuscino mettevano in evidenza le spalle grosse, fasciate
dalle mezzemaniche della t-shirt nera che indossava. Scendendo con lo
sguardo notai che la t-shirt cadeva più larga sul busto, che
per effetto delle braccia alzate, lasciava scoperti i fianchi dalla
pelle liscia e bronzea. Leggermente più in basso spuntava il
bordo di cotone elasticizzato dei boxer neri, che si perdevano poi nel
jeans blu scuro riempito alla perfezione da un sedere tondo e sodo. Lo
spettacolo terminava con la discesa delle sue gambe forti e i piedi
nudi.
Mi
sforzai non poco per trattenermi dal tuffarmi con lui su quel letto. Mi
ravvivai un po’ i capelli, che avevo acconciato mossi,
imbarazzata dal dover sostenere tanta bellezza, prima di parlare.
«
Sai che tuo padre ti chiama bamboccione? »
Jacob
sussultò appena alla mia voce e si girò di
scatto. Aveva le guance tutte rosse, talmente tanto che riuscivo a
scorgerne il colore distintamente nonostante la sua carnagione scura.
Per un momento sembrò stupito, soffermando il suo sguardo
prima sulle mie gambe e poi sul mio viso.
«
Ehmm…. » provò a dire.
Poi
scosse la testa e si riprese da quell’attimo di stupore. Si
tirò su a sedere, poggiando i piedi per terra e
sbuffò, portando lo sguardo sul pavimento.
«
Qui nessuno si fa mai gli affari suoi » borbottò
«
Non è questo, Jake. E’ che sembra strano a tutti
vederti così. » e lo indicai dalla testa ai piedi
poggiandomi allo stipite della porta.
Sollevò
appena lo sguardo da terra verso di me, sempre con il volto abbassato,
e mi sembrò tanto un cucciolone. Gli sorrisi per
incoraggiarlo, e per fargli capire che io ero lì proprio per
quello. Jacob sospirò alzando la testa, battè con
le mani due volte sulle sue cosce e poi aprì le braccia
pronto ad accogliermi. Colsi al volo quell’invito, mi
avvicinai e mi sedetti sulle sue gambe.
Mi
abbracciò forte nascondendo il viso tra la mia spalla ed il
collo, mentre io gli cingevo con un braccio le sue grandi spalle e con
l’altra mano gli carezzavo piano la testa. Istintivamente
iniziai a dondolarmi avanti e indietro, come per cullarlo. Jake a volte
era soltanto un bambino intrappolato in un corpo enorme. E questo
faceva nascere in me un senso di protezione pari a quello che si
può provare per un figlio, come in quel momento.
Dopo
poco mi lasciò un piccolo bacio sul collo, poi
sollevò la testa dal suo nascondiglio e prese la mia mano
destra che gli carezzava ancora la testa. Mi guardò negli
occhi con uno sguardo dolcissimo e mi sorrise. Quel sorriso sarebbe
valso mille sacrifici e mille torture, per quel sorriso tanto dolce e
sereno avrei affrontato le pene dell’inferno, per quel
sorriso adorabile, dedicato solo a me, avrei dato ogni cosa. Si
portò la mia mano al viso e la carezzò con una
guancia, prima lasciarvi una scia di baci dalle dita al polso,
fermandosi sul cerotto che copriva l’escoriazione di quella
mattina. Il suo sorriso allora cambiò, e potei scorgervi un
misto di divertimento e amore, poco prima che sollevasse la testa dal
mio polso per baciarmi. Le sue labbra calde si mossero lente e delicate
sulle mie, con una dolcezza unica.
«
Pallavolo o Badminton? » mi sussurrò sorridente
con gli occhi puntati nei miei, mentre sfregava con il pollice il
cerotto.
Gli
sorrisi di rimando, sollevai il braccio sinistro dalle sue spalle ed
iniziai a passargli la mano tra i capelli lunghi, come per pettinarli.
«
Pallavolo….» gli tirai indietro le ciocche
spettinate che gli ricadevano sulle guance.
«
Sei un disastro » la sua voce era sempre bassa, dolcissima,
la sua mano destra carezzava la mia schiena dall’alto in
basso.
«
E tu….» mossi la mano incerottata e gli sfilai il
solito elastico nero che portava al polso sinistro «..sei un
bamboccione spettinato » parlavo anche io sottovoce senza
sapere bene il perché.
Gli
raccolsi la folta chioma setosa in una specie di cipolla poco
più su della nuca. Jacob non si mosse, e continuò
a tenere i suoi occhi incollati nei miei, con quel sorriso che ti
scalda l’anima finalmente ritornato sul suo volto. Lo
osservai un momento senza dire nulla, con le braccia poggiate sulle sue
spalle, e le sue mani che mi carezzavano piano la schiena e ora anche
le cosce.
I
capelli raccolti mettevano ancora più in risalto i
bellissimi lineamenti di quel viso indiano. Solo in quel momento notai
quanto il mio Jacob stesse crescendo in fretta. Gli zigomi iniziavano a
pronunciarsi, le guanciotte paffutelle stavano scomparendo, e la
mascella sembrava più quadrata. Dio se era
bello….e lo diventava ogni giorno di più.
«
Staresti bene con i capelli corti. » gli dissi lasciandogli
un piccolo bacio su uno zigomo.
«
Vuoi che me li tagli? » sussurrò lui lasciandone
uno anche a me sullo stesso punto.
«
No…era un’osservazione. » gli baciai la
punta di quel meraviglioso naso e strinsi le braccia intorno al collo.
«
Ma ti piacerei di più? » come prima
ricambiò il mio stesso bacio, con una voce bassa alla quale
non sapevo resistere.
Avvicinai
i nostri visi tanto da poter sentire il suo caldo respiro nella mia
bocca, le nostre labbra quasi sfiorarsi….era una questione
di millimetri.
«
Più di così?.....impossibile » soffiai
quelle parole quasi senza voce,più basse di un sussurro e lo
baciai.
Le
mie labbra cercavano le sue molto meno teneramente di quanto aveva
fatto lui. La sua calda lingua trovò la mia in meno di un
secondo ed iniziò il suo corteggiamento. Jacob strinse la
presa attorno al mio fianco con il braccio destro, e con il sinistro
spinse le mie cosce avvicinandomi di più a se. I nostri
toraci incollati si muovevano al ritmo di un unico respiro. Il mio
istinto mi gridava di abbandonare quella seduta da bambina e di
mettermi a cavalcioni su quella statua di bronzo bollente che mi
mordicchiava le labbra, ma la ragione mi ricordava che appena a qualche
metro di distanza, nel minuscolo salotto, guardavano la tv ignari di
tutto i nostri padri.
«
Bella? » sentii chiamare Charlie proprio in quel momento
Mi
alzai di scatto tutta rossa in viso, mentre Jacob se la rideva sotto i
baffi. Mi ricomposi in un secondo ed uscii in corridoio
«
Accompagno Billy dai Clearwater e poi torno in centrale. Stasera
ceniamo qui, ti va? » mi chiese mentre apriva già
la porta d’ingresso.
«
Certo! Cosa preferite? »
«
Non ti preoccupare scricciolo, ordiniamo una bella pizza. »
Billy mimò con le mani una pizza enorme e mi venne da ridere.
«
Va bene. A stasera! » salutai con la mano.
Charlie
spinse la carrozzella di Billy appena fuori la porta, e si
voltò
«
Sta attenta, Bells. »
«
Hey c’è il mio ragazzo con lei, è in
una botte di ferro! » si intromise Billy
«
E’ proprio del tuo ragazzo che mi preoccupo, vecchio.
» gli rispose e uscirono ridendosela sonoramente.
Quei
due a volte sembravano più ragazzini di me e Jacob.
Non
appena giunse in casa il rumore dell’auto della polizia che
si allontanava, due mani grandi e forti mi strinsero i fianchi, e delle
labbra bollenti mi lasciarono un umido bacio sul collo. Dovevo mettere
in atto il mio piano… così mi divincolai dalla
sua presa e saltellai nel bel mezzo del soggiorno, con le mani sui
fianchi ed un sorriso di sfida sul volto rivolto a Jacob
«
Pazza! » esclamai convinta.
A
Jacob cadde letteralmente la mascella prima di rispondere
«
Tu….vuoi giocare a quella stupidaggine, proprio adesso ??
» era incredulo.
Io
e Jake avevamo un gioco tutto nostro. Consisteva nel dire in una sola
parola quello che l’altro stava pensando. Fin quando entrambi
indovinavamo, si andava avanti, se uno dei due sbagliava,
l’altro era il vincitore. Ormai ci conoscevamo
così a fondo che negli ultimi anni ci giocavamo per ore
senza mai avere un vincitore. Il mio piano per il pomeriggio iniziava
proprio da lì, non sarebbe stato facile, ma sarei riuscita a
fargli capire cosa avevo in mente.
«
Completamente
pazza. » gli risposi a conferma della sua
domanda.
Jacob
sbuffò rassegnato, poi si poggiò con la spalla al
muro e si arrese al gioco
«
Vittoria…» giusto, avevo appena pensato di aver
vinto convincendolo a giocare.
«
Letto. » rilanciai subito, ero convinta
che stesse ancora pensando al suo letto con noi due abbracciati sopra.
Al nostro bacio interrotto da Charlie…
«
Bacio.. » rispose lui con un sorrisino malizioso in volto
cogliendo al volo il mio pensiero.
«
Baci… » azzardai io al plurale…se la
fortuna era dalla mia, ero riuscita a fargli ripensare a tutti i baci
della giornata.
Quando
mi sorrise ancora di più, capii di aver indovinato e mi fu
impossibile arrestare le immagini che scorrevano nella mia testa di
quella mattina nel cortile della scuola…
«
Scuola.. » rispose Jacob avanzando di un passo verso di
me….centrata in pieno!
«
Parcheggio… » dissi sicura, ormai ce
l’avevo in pugno, entrambi pensavamo al bacio sulla moto di
quella mattina.
«
Moto… » ribattè lui avvicinandosi
ancora.
Ecco,
questo era il punto….dovevo giocarmi alla perfezione questo
momento. Conoscendolo, i suoi pensieri vagavano dal nostro bacio alle
sue creature in garage, così lanciai quella che speravo
sarebbe stata l’ultima deduzione, prima che lui capisse cosa
avevo in mente io
«
Moto, auto, e attrezzi… » risposi facendo un passo
indietro.
Jacob
sembrò spiazzato per un secondo, avevo ovviamente indovinato
il suo pensiero…..ma rimase spiazzato per quello che pensavo
io. Perché , ovviamente, anche lui aveva appena
indovinato….ma non ne coglieva il senso. Così,
esitante mi disse
«
Garage…? » Bingo!
Ero
riuscita nella mia impresa! Dalla mia bocca uscì un piccolo
risolino, mentre lasciavo Jake imbambolato in soggiorno ed uscivo di
casa correndo verso il retro.
Sul
retro di casa Black, dopo una barriera di cespugli, nel fitto degli
alberi, sorgeva il garage di Jacob. Era una specie di unione tra due
casotti prefabbricati,adiacenti e privi di barriere divisorie, con solo
un’enorme porta a due ante e un paio di finestre quasi sotto
il tetto. All’interno subito sulla destra, vi era un enorme
bancone degli attrezzi pieno di cassetti, che costeggiava la parete
destra, seguiva l’angolo, e continuava sulla parete di
fronte. C’erano attrezzi di ogni tipo sparpagliati dovunque.
Il restante spazio, era occupato dalla moto nera di Jake,
un’altra moto rossa che stava ricostruendo, e la sua Golf.
Quando
raggiunsi il garage ne spalancai le porte e terminai la mia breve corsa
indenne raggiungendo la parte del bancone degli attrezzi sul fondo,
dritto davanti all’ingresso. Jacob mi raggiunse qualche
secondo dopo, anche lui ridendo
«
Bells ma che ti prende? » rideva di gusto.
Era
arrivato il momento di mostrargli il mio pensiero. L’idea mi
imbarazzava, ma mi bastò percorrere ancora una volta la sua
figura con lo sguardo per lasciarmi andare.
«
Chiudi la porta, Jacob. » gli dissi togliendomi il sorriso
dalla faccia.
«
Ma…»
«
Tu chiudila e basta » insistetti.
Jacob
tornò di qualche passo indietro e chiuse le due enormi porte.
«
Cosa… » tentò di domandarmi mentre
avanzava verso di me.
«
Shhh » lo interruppi ancora.
Lui
era fermo, a metà strada tra me e le porte. Dalle finestre
alte giungeva filtrata la tiepida luce del tramonto che dava a tutto
una particolare luce rosso-arancione. Jacob era ancora più
meraviglioso in quella luce. La sua pelle bronzea sembrava ancora
più scura, i suoi occhi ancor più intensi. Feci
scivolare il mio sguardo lungo tutto il suo corpo: i capelli legati,
il viso dall’espressione spaesata, il torace ampio sotto la
t-shirt nera, i jeans blu scuro, e i piedi nudi. Mi bastò
quella panoramica per perdere del tutto ogni freno. Mi avvicinai a lui
lentamente, inchiodando i miei occhi nel mare scuro dei suoi, e gli
poggiai una mano al petto
«
Com’è la sensazione di avere entrambi i tuoi amori
nella stessa stanza? » gli dissi piano, riferendomi a me e ai
suoi motori.
«
Bellissima » rispose Jacob ancora un po’ confuso.
«
Potrebbe essere ancora meglio?...» chiesi facendo scorrere
lentamente le mie mani sui suoi fianchi.
«
Non credo » mi disse.
Mi
sollevai sulle punte dei piedi per raggiungere il suo orecchio e
sussurrargli
«
Pensaci bene…. » infilai le mani sotto
l’ampia t-shirt e carezzandogli i fianchi.
Jacob
fu scosso da un piccolo fremito, e il suo respiro divenne leggermente
irregolare. Mi avvicinai ancora di più, facendo toccare i
nostri corpi e lo baciai. Assaggiai le sue labbra carnose come si fa
con una pietanza prelibata, piano e a fondo. Le baciavo, le succhiavo,
le mordicchiavo.
«
Bella io non credo che….» tentò di dire.
«
Lasciati andare, Jake….» gli dissi in un tono di
voce che non sembrava nemmeno più il mio.
E
a Jacob Black tanto bastò.
Mi
prese il viso tra le sue grandi mani e mi baciò lui
stavolta. La sua calda lingua fu la prima cosa che sentii, ne ero
ingorda, insaziabile. Il nostro bacio divenne sempre più
vorace, ci stavamo mangiando a vicenda e Jacob aveva sempre avuto
un sapore…un
sapore irresistibile, era una sorta di afrodisiaco, ne bastava solo un
assaggio per volerne sempre di più e sempre più
forte. Le mie mani incominciarono a muoversi di volontà
propria, mentre gli carezzavo i fianchi, la schiena e il
busto sotto la t-shirt. Le sue mani calde scesero dal mio viso ai
fianchi, e mi premette forte contro di lui. Sentivo che stava per
prendere il controllo della situazione, così mi distaccai un
pochino. Questa volta volevo condurre anche io i giochi, volevo essere
anche io quella che teneva l’altro nelle proprie mani. Jacob
mi guardò sorpreso, e quando mi allontanai da lui facendo
qualche passo indietro la sua espressione stupita
aumentò…….
Fine
seconda parte
Angolo autrice : PER FAVORE recensite !!
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Capitolo 20 *** CAPITOLO 15 - Mille e una notte - parte terza 'Anima e Corpo' ***
DOVE ERAVAMO RIMASTI :
.........
« Lasciati andare, Jake….» gli dissi in
un tono di voce che non sembrava nemmeno più il mio.
E a Jacob Black tanto bastò.
Mi prese il viso tra le sue grandi mani e mi baciò lui
stavolta. La sua calda lingua fu la prima cosa che sentii, ne ero
ingorda, insaziabile. Il nostro bacio divenne sempre più
vorace, ci stavamo mangiando a vicenda e Jacob aveva sempre avuto
un sapore…un sapore irresistibile, era una sorta
di afrodisiaco, ne bastava solo un assaggio per volerne sempre di
più e sempre più forte. Le mie mani
incominciarono a muoversi di volontà propria, mentre gli
carezzavo i fianchi, la schiena e il busto sotto la t-shirt.
Le sue mani calde scesero dal mio viso ai fianchi, e mi premette forte
contro di lui. Sentivo che stava per prendere il controllo della
situazione, così mi distaccai un pochino. Questa volta
volevo condurre anche io i giochi, volevo essere anche io quella che
teneva l’altro nelle proprie mani. Jacob mi guardò
sorpreso, e quando mi allontanai da lui facendo qualche passo indietro
la sua espressione stupita aumentò…….
CAPITOLO
15 – “Mille
e una notte” - parte terza "Anima e Corpo"
Pov
Jacob
Dio che sapore! E che
profumo!
La pelle di velluto dei suoi fianchi sotto le mie
mani non faceva altro
che tentarmi. In un attimo mi dimenticai del perché due
minuti prima avessi tentato di ragionare. Forse aveva ragione il mio
vecchio, stavo diventando un bamboccione! Stavo per rifiutare quello
che mi era parso l’invito più eccitante di tutta
la mia vita. Bella, la mia
Bella, che faceva le fusa come una gattina nel mio garage. Questa
non me la sarei mai aspettata. Certo, era un po’ svitata, e a
quanto pare la mia presenza aumentava esponenzialmente il suo grado di
follia e la sua propensione a godersi la vita. Ma non avrei mai
immaginato di sentirla così un giorno. Infondo lei era
sempre così….goffa e scoordinata che non avrei
mai pensato potesse ostentare tanta sicurezza…..e
l’amavo anche per questo.
Le strinsi ancora di più la presa sui
fianchi e la premetti
forte contro di me. Volevo sentirla ancora più vicina,
volevo assaporarla ancora più a fondo, volevo immergermi
irreparabilmente nel suo profumo. La volevo, volevo Bella e
nient’altro al mondo.
Quasi in risposta alla mia stretta la vidi
scostarsi leggermente da me,
interrompendo il nostro bacio. Perché? Avevo sbagliato
qualcosa? Lo stupore doveva leggermisi in faccia perché la
vidi quasi compiaciuta della mia reazione. Io continuavo a non capirci
niente, e poi…..lo stupore aumentò. Bella sciolse
la mia presa, indietreggiò di qualche passo e si
portò le mani al bordo della polo nera che le stava
d’incanto.
Santo
Dio, dimmi che non
stai per fare quello che penso, piccola.
Lentamente, vidi sollevarsi il cotone nero, che
delicato e carezzevole
scopriva il suo ventre, salendo sempre più in alto, fino a
giungere al suo magnifico viso. In un istante fui catturato ancora una
volta dai suoi occhi. Per quanto mi riguardava, il mondo intero poteva
marcire all’inferno o andare a rotoli quando li
fissavo…io non avrei visto altro. Quella cioccolata fusa era
una pozione magica, qualcosa di sovrannaturale che madre natura le
aveva donato solo per farmi impazzire.
Solo
io
potevo sapere quanto mutevoli potessero essere gli occhi di Bella.
Nessun’altro al mondo era capace di leggerli come io ci
riuscivo. E ne andavo fiero, era l’unica cosa che mi
riempisse davvero d’orgoglio nella mia vita.
Solo
io
potevo leggervi la sua infinita dolcezza, quando mi sorrideva.
Solo
io
potevo leggervi la forza che nemmeno lei sapeva di avere, quando aveva
qualcosa per cui lottare.
Solo
io
potevo leggervi l’ironia e il cinismo di chi ha intelligenza
da vendere, per ridere su ogni cosa.
E solo
io….potevo
leggervi la potentissima sensualità di quando si abbandonava
a me…proprio come in quel momento. Era quello che vedevo in
quel preciso istante nei suoi occhi, una sensualità
irresistibile. Irresistibile perché ostentava anche
soddisfazione, la soddisfazione di avermi in pugno per una volta.
L’incantesimo che mi legava magneticamente ai suoi occhi fu
interrotto dalla polo nera che si passò sul viso,
nell’atto di sfilarla, e io fui libero di guardare anche il
resto del mondo….anche il resto di lei.
Cazzo
sono morto! Sono
fritto, sono andato, sono completamente fottuto!
Bella era una visione di un altro mondo. Era
perfetta. Se ne stava
lì a guardarmi con occhi languidi mentre io percorrevo
avidamente ogni centimetro del suo corpo con lo sguardo. Rifeci in
senso inverso lo stesso percorso che mi aveva portato ai suoi occhi. La
morbida cascata di capelli mossi le ricadeva in onde perfette sulle
spalle e le sfiorava i seni. Indossava un reggiseno di pizzo nero che
metteva ancora più in risalto la sua pelle candida, bianca
come la luna.
Restai a lungo a fissare quei seni piccoli eppure
perfetti, contenuti
in quel capo mortalmente eccitante che mai avrei pensato di vederle
indosso, prima di continuare la mia discesa panoramica lungo lo
splendido ventre piatto che si perdeva sotto il bordo della minigonna.
Idiota
muoviti! Smettila
di stare lì a sbavare come un pervertito e FA QUALCOSA!
Mossi un passo verso Bella e il fuoco che avevo
dentro
avvampò per tutto il corpo. Il mio desiderio per lei non era
mai stato così forte, così potente,
così totale! Ogni parte di me la desiderava, ogni cellula
del mio corpo voleva perdersi in lei. Sentivo il mio corpo cambiare
come ogni volta che l’avevo vicina in quel modo, il cuore
triplicava i battiti, il respiro aumentava, i miei muscoli si
contraevano da soli come in uno spasmo per raggiungere il suo
corpo…ogni cosa di me tendeva a lei. Feci un altro passo
incerto verso di lei, ma Bella mi sorrise maliziosamente ed
indietreggiò, lasciando la distanza tra noi invariata.
« Ah ha, non si fa così..
» le dissi
contrariato.
« Così come? »
faceva la vaga, ma i suoi
occhi non potevano mentirmi.
« Vieni subito qui! » tentai
di ordinarle puntando
un indice ai miei piedi.
Di tutta risposta Bella rise. Si
lasciò andare ad una
piccola e breve risatina, reclinando appena il capo
all’indietro….che mi fece completamente perdere il
controllo di me stesso.
Colmai la distanza che ci separava con soli due
grandi passi, le
infilai una mano tra i capelli alla base del collo stringendoli tra le
mie dita e la baciai. Premevo forte le mie labbra sulle sue, quasi con
prepotenza, mentre l’altra mano scendeva ad accarezzarle
quella pelle tentatrice fino ai fianchi. Cercai quasi subito la sua
lingua, sempre senza chiederne il permesso, e la trovai ad aspettarmi,
con la mia stessa voglia di sentirla ancora mia.
Il sapore di Bella mi mandava in estasi, non
esisteva nulla di
più squisito al mondo. Avrei potuto vivere tutta la mia vita
nutrendomi solo di lei, del suo sapore, del suo odore, della sua
essenza.
Il calore che mi aveva avvolto tutto il corpo
fino ad un attimo prima,
arrivò ad annebbiarmi anche il cervello. In un nanosecondo
tutto l’universo era scomparso, esistevamo solo io e la mia
Bella.
Le mordicchiai il labbro superiore, mentre le
sfioravo con due dita il
ventre piatto. La sentii fremere sotto le mie mani….Dio che
sensazione!
Adoravo suscitare in lei quelle reazioni, adoravo
il fatto di essere
l’unico al mondo a fargliele provare, adoravo essere
l’unico uomo sulla Terra al quale veniva concesso di toccarla
così.
In un attimo la sollevai per i fianchi e la misi
a sedere sul bancone
dietro di lei. Mi infilai tra le sue cosce nude quasi con prepotenza e
schiacciai il mio corpo contro il suo, tenendola con le mani dietro la
schiena. Solo in quel momento mi resi conto di quanto fossi eccitato,
in quel brusco abbraccio la mia virilità aveva premuto forte
contro la biancheria di Bella. La sentii sospirare forte, mentre
involontariamente la sua schiena aveva tentato di inarcarsi verso di
me, non riuscendoci per la morsa nella quale la tenevo stretta. Ma quel
gesto così naturale ed incontrollato mi eccitò
ancora di più.
Sciolsi l’abbraccio e scesi a baciarle
la pancia, il primo
bacio che le lasciai fu all’ombelico, per poi continuare su
tutta la morbidezza di quel ventre candido. Ad ogni bacio lasciavo che
le mie labbra si dischiudessero appena, sfiorandole la pelle anche con
la punta della lingua, assaporandone ogni fremito, ogni tremolio.
Quando le sfiorai con la lingua il bordo della minigonna le
sfuggì un piccolo sospiro rumoroso. Volevo di
più, volevo sentirla di più, volevo amarla di
più.
Così mi sollevai ed avvicinai i nostri
visi, incollando i
miei occhi nel suo mare di cioccolato. Le sorrisi compiaciuto, mentre
la mia mano destra iniziava una lunga discesa, carezzandola dal collo,
passando per i suoi seni, sui quali mi soffermai appena, per poi
giungere al suo basso ventre. Le baciai umidamente le labbra, mentre la
mia mano si insinuava nella sua biancheria e trovava la sua
femminilità. La sfiorai delicatamente e Bella interruppe
appena il contatto tra le nostre labbra, lasciandosi sfuggire un
gemito. Continuai ad accarezzarla sempre piano e lentamente, potevo
vedere il suo piacere crescere ad ogni gesto. Bella si
aggrappò con un braccio dietro il mio collo, che baciai
istintivamente, mentre con l’altra mano afferrò il
bordo del bancone sul quale era seduta.
La vidi chiudere gli occhi, prima di avvicinarsi
al mio collo, dove
iniziò a baciarmi e leccarmi avidamente. Sentivo il suo
respiro forte accanto al mio orecchio, mentre venivo invaso
anch’io da brividi caldi. Con un gesto lentissimo entrai in
lei con un dito. Bella emise un gemito strozzato, stringendo forte i
miei capelli. Iniziai a muovermi ritmicamente, seguendo il tempo
dettato dal suo bacino, che aveva iniziato quella danza incontrollata
che mi faceva uscire di testa.
Sentivo la mia Bella gemere affannata sul mio
collo, quando aumentai
quel nostro contatto di altre due dita. Dalle sue morbide labbra ne
uscì quasi un grido soffocato, e avvolse le flessuose gambe
intorno al mio bacino, in un invito esplicito a non fermarmi. E non lo
feci…anzi, aumentai il ritmo della mia mano, che si muoveva
ormai veloce a tempo con i suoi gemiti.
« Jake… » la
sentii mormorare, ed avrei
potuto morire in quel preciso istante.
Invece inaspettatamente sciolse la presa delle
sue gambe intorno a me e
mi sfilò la mano dalla sua biancheria. Mi fissò
per un istante che a me parve interminabile.
Ecco,
lo sapevo. Hai
esagerato imbecille!
« Io….mi dispiace
se….»
tentai di dire qualcosa senza sapere cosa.
Prima che potessi trovare un senso per le mie
parole, Bella mi
sfilò la t-shirt. Restò a fissarmi per qualche
momento, passandomi lo sguardo dalla testa al bordo dei miei jeans. Poi
i suoi sguardi divennero carezze.
Poggiò le sue mani delicate sulle mie
spalle e le strinse
forte tra le sue dita, prima di sfiorarmi i pettorali per poi
torturarmi con una lenta, lentissima, discesa lungo tutto il mio
addome, fino al bordo dei boxer. Ad ogni carezza fremevo dalla testa ai
piedi. Quella ragazza aveva un potere immenso su di me, sentire le sue
mani sfiorarmi i fianchi mi faceva tremare le ginocchia.
Avvicinò il suo viso al mio corpo con una lentezza che avrei
giurato fosse studiata, e sentii il calore delle sue labbra inumidirmi
il torace e gli addominali di morbidi baci.
Tu
mi farai impazzire,
bambina.
Mentre le sue labbra tornavano a deliziarmi il
collo, sentii le mani di
Bella sbottonarmi i jeans, che scivolarono inermi ai miei piedi nudi.
Avrei potuto prendere il controllo della situazione in un secondo, ma
non lo feci, era chiaro che anche Bella voleva fare la sua parte in
questo splendido gioco a due.
La sua calda lingua mi lambì il lobo
destro, e non riuscii a
trattenere un sospiro di eccitazione. Le poggiai le mani sulle cosce ed
iniziai ad accarezzagliele, godendomi la sua pelle di pesca sotto le
mie dita. Chiusi anch’io gli occhi, e sentii un tocco
leggerissimo sfiorare ancora una volta il bordo dei miei boxer.
L’eccitazione era ormai tale che fui scosso da un fremito
fortissimo che fece sorridere bella sulla mia pelle.
« Cosa ridi, streghetta..? »
quasi stentai a
riconoscere la mia voce, tra l’affanno e i tremolii.
Esattamente due secondi dopo capii
perché aveva riso. Stava
semplicemente pregustandosi la mia reazione a quello che stava per
fare. Una sua mano si insinuò tentatrice nei miei boxer ed
iniziò a carezzare leggermente la mia virilità.
Santoddio
che qualcuno
mi aiuti!
Mi lasciai sfuggire un sospiro ad ogni carezza
fugace che Bella mi
regalava, mandandomi in estasi. Sollevò appena la testa dal
mio collo, guardandomi, mentre dalle carezze passava ad impugnare
decisa il mio membro. Quasi mi sentii mancare, poggiai la fronte alla
sua e strinsi la presa delle mani sulle sue cosce.
Bella si muoveva piano e a fondo, così
come prima mi ero
dedicato io a lei. Ero invaso dal piacere, non riuscivo a sentire
altro, soltanto questo immenso e potente calore bruciante che mi
regalava piacere ad ogni movimento. Bella non accennava a fermarsi, e
quando il ritmo dei suoi movimenti aumentò mi ritrovai a
gemere ad ogni sua stretta, ad ogni sua spinta. Persi completamente il
controllo del bacino, che iniziò anche lui quella danza
primordiale che prima aveva pervaso la mia amata. Sentivo nelle
orecchie dei gemiti forti e incessanti, e mi ci volle un grosso sforzo
per capire che fossero i miei. Ma non erano soltanto
miei….non mi ero accorto di essermi nuovamente portato a
giocare con la femminilità di Bella che ora non aveva
più la gonna ed indossava soltanto una sottilissima coulotte
in pizzo nero.
Quand’è
che l’hai spogliata, ragazzino????
Erano i nostri gemiti forti ed incessanti quelli
che arrivavano alle
mie orecchie. Erano i nostri respiri affannati che si mescolavano,
mentre i movimenti veloci della mano di Bella mi mandavano in paradiso
e ritorno senza sosta.
Dovresti
darti una
calmata prima di fare qualche figura di merda colossale….
Ormai stavo per sragionare completamente, sfilai
la mano dalla
biancheria di Bella, incapace di controllare anche quella, e mi poggiai
con entrambe le mani al muro pieno di attrezzi dietro di lei,
sporcandomele di grasso. Nello stesso momento un’ondata
più forte di piacere mi fece quasi gridare un gemito.
Ma
sei scemo?? Datti una
svegliata o il tuo compare esplode prima che Bella possa dire
“Jacob”!
In un secondo di lucidità mi riguardai
le mani e trovai il
modo per porre fine a quella meravigliosa tortura e tornare al comando
della situazione. Bella aveva giocato le sue carte, l’avevo
lasciata fare per un po’, ma era arrivato il momento di
ricordarle chi fosse l’uomo in quel garage…..
Pov Bella
Jacob teneva il viso accanto al mio, mentre
fissava qualcosa dietro la
mia testa. Era completamente perso e fuori controllo, e lo era grazie a
me. In due anni di relazione non era mai successa una cosa simile, ero
sempre stata travolta dalla sua esuberanza in quei frangenti, tanto da
scordarmi perfino chi fossi….ma quel giorno avevo deciso che
sarebbe andata diversamente. E lui fino a quel momento mi aveva
lasciata fare, mi aveva permesso di giocare con il suo corpo come mai
prima di allora…era una sensazione incredibile!
Poi improvvisamente si mosse, tornando dritto
sulla schiena. Questo suo
movimento mi spiazzò talmente tanto da interrompere il mio
gioco che lo stava facendo impazzire, e lo fissai, come lui stava
facendo con me. Sul viso aveva dipinto un sorriso eccitato e malizioso
che poche volte gli avevo visto….forse mai, forse
perché insieme avevamo sempre fatto
“l’amore” e non avevamo mai giocato
così tanto l’uno con le sensazioni
dell’altro.
« Il nero ti dona…
» sussurrò
con la voce più roca e sexy che avessi mai udito
Percorse tutto il mio corpo dalla gola al
ginocchio con una carezza
lenta e pesante. Seguii con lo sguardo quel movimento, sorridendo alla
lunga scia nera di grasso che mi aveva cosparso addosso con quel gesto.
« Se è per
questo…. » gli
presi le grandi mani tra le mie, stringendole forte «
…dona molto anche a te » e percorsi
anch’io il suo corpo con entrambe le mani, lasciando anche su
di lui due lunghe scie di grasso nero, dalle spalle fino a quella
sensualissima V del suo inguine.
Jacob si guardò e poi dal suo petto
nacque un suono
stranissimo, una specie di ringhio animalesco che ci lasciò
stupiti entrambi. Forse lasciò stupita più me,
perché Jake dopo qualche secondo mi afferrò per
le natiche portandomi in braccio. Istintivamente mi aggrappai a lui con
le gambe e con le braccia. Non capivo dove volesse portarmi, era molto
improbabile che mi portasse in casa così….eravamo
decisamente troppo poco vestiti per uscire da quel garage.
Lui mosse qualche passo ed ad un tratto si
abbassò facendomi
sedere su di una superficie morbida : la sella della sua moto nera.
Sentii un brivido di eccitazione scorrermi lungo
tutta la schiena,
mentre Jacob mi invitava a distendermi con una lunga carezza dalla
pancia fino al collo, sicuramente sporcandomi ancora di più
di grasso. Non potei rifiutare quel sensuale invito, ormai non ero
più in grado di decidere nulla, ero stata di nuovo attratta
e rapita dal vortice di passione che sprigionava quell’enorme
bronzo di Riace.
Stesa sulla sella della moto, non riuscivo a
vederlo, ma sentii
distintamente le sue grandi mani divaricarmi le gambe, poco prima che
facesse scorrere i suoi denti sul bordo della mia coulotte. Li fece
scorrere da un fianco all’altro provocandomi brividi sempre
più forti, fin quando non li sentii afferrare il bordo della
biancheria di pizzo per trascinarla giù fino ai miei piedi,
per poi sfilarla completamente. Pensai che da un momento
all’altro l’avrei finalmente visto distendersi su
di me, e invece ciò non avvenne.
Sentii la presa forte della sua mano afferrarmi e
sollevarmi un
ginocchio, mentre le sue labbra morbide ed umide mi lasciavano bollenti
baci nel profilo interno della coscia. Fremevo ad ogni suo bacio, ad
ogni suo sfiorarmi con la lingua…voleva farmi impazzire, e
ci stava riuscendo benissimo. Lo sentii avvicinarsi pericolosamente al
mio centro, ma non trovai la forza di fermarlo, nè tantomeno
la volontà.
Quando sentii il primo, rovente, eppure delicato
bacio sulla mia
femminilità le mie mani scattarono da sole, infilandosi
nei suoi capelli di seta e li strinsi forte. Ad ogni assaggio che Jacob
prendeva di me, venivo devastata da esplosioni di puro piacere, un
piacere incontenibile, che mi portava ad ansimare e gemere forte ad
ogni carezza della sua lingua, ad ogni risucchio delle sue labbra.
Anche Jacob gemeva nell’assaporarmi, ed io non potevo fare a
meno di stringere sempre più forte i suoi capelli tra le
dita, mentre perdevo completamente il controllo di me stessa,
lasciandomi sfuggire gemiti e sospiri sempre più forti. La
sua lingua e le sue labbra erano inarrestabili, e si muovevano fuori e
dentro di me sempre più esperte, sempre più a
fondo, sempre più decise, provocandomi un piacere
incontenibile, che esplose in una devastante intensità,
facendomi gridare forte il suo nome mentre raggiungevo
l’apice del piacere tra le sue labbra.
Non avevo mai provato una sensazione simile in
tutta la mia vita, e
nonostante fossi completamente appagata ed affannata, la mia voglia di
Jacob non diminuì. Mi sollevai di scatto e lo feci sedere
dove fino a pochi istanti prima vi ero io, sul sedile di pelle nero.
Senza dargli il tempo di capire cosa stesse
succedendo mi sedetti a
cavalcioni su di lui, accogliendolo in me con un unico movimento
deciso. Jacob reclinò all’istante la testa
all’indietro, gemendo forte, e lo stesso feci
anch’io, pervasa da quella sensazione di pienezza. Jake mi
strinse forte i fianchi con le sue grandi mani, ed io iniziai quella
danza che entrambi non potevamo più attendere. I nostri
bacini si muovevano veloci e decisi, inondandoci di un piacere bollente
e potente ad ogni spinta, sempre più forte, sempre
più travolgente ad ogni movimento, fino a quando il mondo
intero si annullò mentre entrambi esplodevamo insieme
all’apice del piacere, con Jacob che invocava intenso e basso
il mio nome.
Restammo a lungo abbracciati sulla sua moto,
occhi negli occhi, a
riempirci a vicenda il viso di teneri e lenti baci, stupiti ed
increduli del modo in cui ci eravamo appartenuti. Era stato
così strano pretenderci in un modo mai sperimentato prima,
così diverso, così
forte….così poco adolescenziale. Forse stavamo
semplicemente crescendo insieme, ancora una volta. E ancora una volta
era stato tutto così naturale, così semplice,
così facile….come qualsiasi cosa facessimo
insieme.
Se davvero stavamo crescendo, se davvero stavamo
cambiando, lo stavamo
facendo insieme…e non avrei potuto chiedere altro. Non avrei
potuto chiedere di meglio.
L’unica cosa che potessi chiedere era
che quel momento non
avesse mai fine, che il mio Jacob non mi lasciasse mai da sola, che
fosse sempre e per sempre al mio fianco e nella mia anima, ad amarmi,
scaldarmi e rendermi felice dal profondo delle nostre anime. Volevo che
promettesse, volevo quasi che giurasse, volevo suggellare in quel
momento perfetto l’unione dei nostri spiriti
« Jacob? » gli sussurrai
appena, con la guancia
poggiata sulla sua forte spalla.
« Dimmi piccola » mi rispose
sereno.
Sollevai la testa ed immersi i miei occhi nelle
sue due stelle nere,
che in quel momento brillavano di una felicità che solo io
potevo condividere del tutto.
« Jacob….prometti.
» glielo chiesi senza
aggiungere altro.
Lui, Jacob Black, il mio Sole, il mio cuore, la
mia intera e pura
essenza, mi scavò nell’anima attraverso uno
sguardo, come solo lui al mondo riusciva a fare, e sono certa che
comprese.
« Te lo giuro, Bella. » mi
rispose intenso,
suggellando quel patto immortale tra le nostre anime.
Angolo autrice : PER FAVORE recensite !!
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Capitolo 21 *** CAPITOLO 16 - Punto di rottura ***
CAPITOLO
16 – “Punto
di rottura”
…….Tutto
intorno a me era bianco e vuoto , solo in lontananza c’era
qualcosa. Curiosa mi avvicinavo. Dopo pochi passi intravedevo
che era una sagoma , ma non riuscivo bene a distinguere cosa fosse ,
perché esattamente alle spalle di quella figura , sulla
destra , vi era una grande luce che l’abbagliava, mettendola
in controluce. Più mi avvicinavo più sentivo
mutare in me la curiosità in qualcosa di diverso,come se
fossi guidata da una cosa più forte e più grande
di me , un bisogno quasi fisico di riuscire ad arrivare a quella
misteriosa apparizione. Ancora più vicina, la sagoma andava
scurendosi , sommersa sempre di più dalla fortissima luce.
Più io mi avvicinavo , più la luce aumentava
d’intensità , impedendomi di vedere bene. Giunta a
pochi passi dalla sconosciuta figura riuscivo a decifrare cosa fosse :
era la sagoma di un volto….Nello stesso istante in cui
intuivo che era un viso quello che cercavo di guardare,
l’immensa luce esplodeva d’intensità,
accecandomi completamente….
Aprii
gli occhi che ero seduta in mezzo al letto, tra le lenzuola tutte
aggrovigliate, il fiato corto e la fronte imperlata di sudore. Ancora
una volta quel sogno, maledizione! Possibile che dovesse torturarmi
ogni notte?! Mi inumidii le labbra secche con la lingua, mentre passavo
una mano tra i capelli quasi bagnati intorno al viso.
La sveglia sul comodino segnava le 5:30, di
questo passo sarei finita
col dormire due ore per notte. Al solito la presi, la rigirai un
po’ tra le mani prima di disattivare l’allarme che
anche per quella mattina sarebbe stato superfluo. Sbuffai e la lanciai
ai piedi del letto, prima di farmi ricadere mollemente sul cuscino.
Non ne sapevo nulla sui sogni ricorrenti, sempre
uguali, o se avesse
qualche significato il sognare sempre la stessa cosa per un mese
intero. Forse era vero che ero strana, come diceva Jake. Forse avevo
bisogno di uno strizzacervelli….certo, come no ,
così poi mi avrebbe torturata per il resto dei miei giorni!
Sorrisi al pensiero di ogni volta che mi prendeva in giro.
Anche ieri sera l’aveva fatto, durante
tutta la cena con
Charlie e Billy, mi tirava piccole ciocche di capelli, mi sbeffeggiava
quando un pezzo di pizza mi cadeva sulle gambe, mi rubava le patatine
dal piatto, mi toglieva il bicchiere di coca cola dalle mani solo per
sfidarmi a riprenderlo. Non c’era niente da fare, era un
bambinone! Il mio sorriso si allargò ancora di
più al pensiero che ero stata io l’artefice di
quel cambiamento d’umore. Ero estremamente compiaciuta del
potere che avevo su di lui, estremamente compiaciuta di aver fatto
tornare a splendere il suo bellissimo sorriso solo con le mie piccole
forze. E forse ancora più incredibile era il fatto che lui
riusciva a fare lo stesso per me. Bastava un piccolo gesto, una parola,
una battuta…e tutto il brutto del mondo svaniva.
Però c’era una cosa in cui
Jacob riusciva anche a
sua insaputa, una cosa in cui io non credevo di riuscire : era capace,
proprio come in quel momento, di farmi tornare il sorriso anche quando
non c’era, anche solo con un ricordo. Era proprio
incredibile, ed io ero molto fortunata, me ne rendevo conto. E devo
ammettere che spesso i miei problemi nascevano proprio da questo punto
: sapevo di essere molto molto fortunata, quindi era inevitabile per me
chiedermi se fossi all’altezza della situazione, se
anch’io fossi abbastanza per lui, se gli dessi almeno una
piccola parte di quanto lui era capace di donarmi.
Ogni volta, purtroppo, la risposta a queste
domande era sempre la
stessa: no.
E non era “no” solo
perché fossi una che
tende a sottovalutarsi, era “no” perché
i fatti parlavano chiaro. Lui era sempre disposto a delle rinunce per
me, era sempre pronto a mettere da parte tutto per me, perfino se
stesso….perfino i suoi sentimenti. Perché,
diciamocelo, il vero, grande, gigantesco e tragico
“no” era uno soltanto, ma bastava a pesare quanto
una casa. L’unico “no” che riuscisse a
ferire davvero entrambi : il mio non essermi mai dichiarata innamorata
di lui. Il mio non avergli mai detto “ti amo”.
Non riuscivo nemmeno ad immaginare quanto
ciò potesse essere
frustrante, io non l’avevo mai provato, avevo avuto al mio
fianco una persona che da sempre aveva gridato al mondo di amarmi,
quasi non aspettasse altro…anzi, niente quasi, era
esattamente così. Jacob diceva di avermi amata da subito,
dalla prima volta che ci siamo conosciuti, da bambini, mentre giocavamo
con le torte di fango…e da quel momento, non ha fatto altro
che tentare, che cercarmi, che conquistarmi, e successivamente rendermi
felice. Io sono sempre stata sicura di lui, della sua presenza nella
mia vita, e del suo amore grande. Il solo pensiero di non avere alcuna
di queste certezze mi faceva mancar l’aria.
Eppure, era esattamente la condizione nella quale
avevo messo Jacob,
era precisamente ciò che avevo imposto di vivere a lui. Una
relazione senza certezze, se non quella del mio bisogno di
averlo nella mia
vita.
Egoista….una perfetta egoista.
“Io” ,
“Mio” , “Mia” , perfino nei
miei pensieri non dicevo altro. Perfino nella mia testa rifiutavo
categoricamente di considerare una vita senza lui. Eppure, non sono mai
stata una stupida, una sprovveduta, o men che meno una ragazza cattiva.
Proprio per questo mi sentivo uno schifo. Sapevo di non essere
abbastanza per lui, sapevo che ogni giorno che passava senza dirgli
quelle due semplici parole era un’incisione ancora
più in profondità nella sua ferita,
sapevo….che meritava di più, di meglio. Sapevo
benissimo che meritava qualcuno di unico come lui al suo fianco,
qualcuno capace di donarsi completamente, e non qualcuno che come me
cercava la sua presenza per sentirsi viva.
Ma che razza di idiota! Avrei dovuto vergognarmi
di quello che stavo
facendo. Avrei dovuto decidermi una buona volta : o dentro o fuori. O
lasciarlo libero di trovare qualcuno migliore di me, o decidermi a
cambiare idea sull’amore.
Non potevo più rimandare, non potevo
pretendere oltre
dall’infinita pazienza di Jake…due anni erano
stati anche troppi. Era arrivato il momento di crescere.
Quando realizzai ciò un pizzico di
malinconia si
insinuò nel mio cuore, e stavolta non era per
Jake…ma per Renée. Quanto avrei voluto averla
vicina in quel momento, scendere al piano di sotto e chiederle
consiglio. La mia mamma era la persona meno adatta alla quale chiedere
consiglio su come crescere, lei non l’aveva mai fatto, ma era
la persona perfetta alla quale chiedere dell’amore. Ne aveva
vissuti tre, uno più grande dell’altro : quello
per Charlie, il primo, devastante e travolgente. Quello per Phil, che
era quello giusto e duraturo. E poi c’era quello per me,
l’amore per un figlio, quanto di più assoluto ed
incondizionato possa esistere.
Lei di sicuro avrebbe saputo ascoltarmi e
consigliarmi.
Mi sollevai a sedere sul bordo del letto e feci
scivolare i piedi per
terra, allungai un braccio per recuperare la sveglia e la riposi al suo
posto, segnava le 6:00. In quel momento il rumore dello schianto di una
padella sul pavimento giunse dalla cucina, accompagnato da una serie di
improperi che sentii chiaramente rimbombare nel silenzio
dell’alba. Possibile che Charlie fosse già alzato?
Uscii dalla stanza e scesi al piano di sotto, dove effettivamente lo
trovai ai fornelli.
« Vuoi davvero riprovarci,
papà? » gli
chiesi sorridendo.
Charlie, ancora in pigiama, stava armeggiando con
padella, burro e una
pastella collosa che avrebbe dovuto essere un preparato per pancakes.
« Oh ciao, Bells. Si, beh …
in effetti stavolta
sto usando un impasto già pronto. Sai…per evitare
il disastro del tuo compleanno » si grattò la
testa con una mano sporcandosi i capelli di impasto « Non
saranno buoni come i tuoi ma….volevo tentare »
abbozzò un sorriso sotto i baffi scuri.
« Vuoi che ti dia una mano? »
« No, no tesoro. Se vuoi siediti.
»
versò la prima dose di impasto nella padella e la
fissò.
« Sai, dovresti accendere il fuoco se
vuoi che si cuociano.
» gli ricordai ridendo
« Giusto, giusto! »
arrossì
dall’imbarazzo ed iniziò ad armeggiare con le
manopole del fornello, cercando quella giusta.
Più lo guardavo, più non
potevo fare a meno di
notare quanto gli somigliassi. Tutto impacciato, con
l’impasto tra i capelli e imbarazzato nel sentirsi il mio
sguardo addosso. Effettivamente ero la sua copia spiccicata, solo
versione “mini” , con la corporatura esile della
mamma. Caratterialmente ero molto più simile a Charlie che a
lei.
Fu quell’osservazione che mi
portò a riconsiderare
il pensiero di qualche minuto prima . Certo, Renee aveva vissuto tre
grandi amori nella sua vita, ma Charlie non era da meno. Anche lui era
stato travolto dal primo amore con la mamma, anche lui aveva provato lo
sconfinato amore per un figlio….e in un certo senso anche
lui aveva trovato un amore duraturo, quello per il suo lavoro.
La sua candidatura come consigliere quindi era
valida tanto quanto
quella della mamma, e inoltre, i nostri caratteri erano molto simili,
se non uguali. Mi resi conto in quel momento che la persona
più giusta alla quale chiedere consiglio era proprio lui.
Ovviamente Charlie presentava un grosso limite:
la quasi totale
incapacità di parlare di sentimenti. Anche per me valeva la
stessa cosa, solo che con Renee tutto diventava più facile,
era sempre lei a guidare le nostre conversazioni, e mi riusciva
naturale aprirmi.
Non sapevo cosa sarebbe potuto venir fuori da una
conversazione in cui
nessuno dei due interlocutori era capace di affrontare
l’argomento. Però forse valeva la pena tentare, e
non era il caso di scendere nei dettagli….la nostra arma
vincente sarebbe stata rimanere sul vago. Magari in questo modo avremmo
potuto reggere ed uscirne indenni.
« Senti
papà….vorrei chiederti una
cosa. »
« Dimmi, Bells »
« Tu….. » deglutii
rumorosamente, prima
di aggiungere a voce sempre più bassa «
…si insomma tu…..tu cosa pensi che sia
l’amore? » tenevo lo sguardo incollato al tavolo.
Mi sentii le guance infiammarsi dal rossore e
avrei voluto che
un’enorme voragine si aprisse sotto la sedia e mi
inghiottisse. Charlie dallo stupore colpì con il polso il
manico della padella, che saltò in aria e poi
rimbalzò un paio di volte sul fornello, spargendo pezzi di
pancakes su tutto il ripiano della cucina. Aveva prodotto un fracasso
enorme! E io mi resi conto dell’idiozia che stavo facendo
« Come non detto, papà io
… »
dissi in fretta alzandomi di scatto dalla sedia e dirigendomi verso la
prima via di fuga disponibile, ma Charlie mi interruppe
« No, no! Aspetta, Bella » lo
sentii sospirare
rumorosamente, e nonostante fosse di spalle potevo ben immaginare il
rossore infuocato delle sue guance, identico al mio « Non
scappare ».
Charlie si appoggiò per qualche
secondo con entrambe le mani
al ripiano della cucina, prima di voltarsi verso di me. Teneva anche
lui lo sguardo in basso, ma la sua reazione mi aveva stupita. Non
voleva che scappassi. Forse aveva intuito anche lui che valeva la pena
impegnarsi, era la prima volta in assoluto che affrontavamo un discorso
così personale, e dovevamo almeno tentare.
« Problemi con Jacob? » mi
chiese titubante e, se
possibile, divenne ancora più rosso.
« No, no , no papà. Davvero
non è
questo e poi….rimaniamo sul vago, okay? » proposi
sempre più in imbarazzo, mentre torturavo il pigiama con le
mani.
« Oh, si….sul vago
» annuì
lui e si diresse al frigo dove prese una birra.
Alzai un sopracciglio e tentai di protestare,
erano solo le 6 del
mattino! Ma lui mi guardò con un espressione che diceva mettiti-nei-miei-panni
. Forse per quella volta aveva ragione lui.
« Io…non so dirti cosa sia
l’a….l’am…beh si insomma, hai
capito » fece un gesto nervoso con la mano, prese un lungo
sorso dalla lattina, e lasciò vagare ancora lo sguardo in
giro.
« S-si, scusa hai ragione io non avrei
dovuto chiederlo,
è….una domanda stup… »
« Dicevo » interruppe il mio
farfugliamento
« che non credo esista una…definizione, o una
descrizione precisa. Penso che…sia una cosa diversa per
ognuno di noi. Prendi….m-me e …l-la mamma..
» aggiunse farfugliando e cambiando continuamente peso sulle
gambe.
« Oh n-no, papà. Sul vago,
ricordi? » lo
interruppi, ancora più in imbarazzo di lui.
« Si, si , lasciami dire, ho quasi
finito. » si
grattò la testa con una mano « Per me
l’amore era voler condividere con lei le serate sul divano
davanti alla tv, cenare fuori insieme il giovedì,
o….che ne so, restarmene seduto con lei in veranda ogni
pomeriggio. Mentre per lei….beh per lei era
l’opposto. Per lei l’amore era condividere
esperienze nuove, buttarsi insieme in qualche
follia…..vedi…tua mamma aveva bisogno che
qualcuno la facesse sentire viva per amarlo. »
Per un lungo momento rimasi senza parole. Ero
sbalordita. Nessuno dei
due esempi corrispondevano a quanto mi aspettassi.
Certo, Charlie tendeva ad essere sempre molto
pratico nelle sue idee.
Ma stavolta era servito ad aprirmi gli occhi. Chi sa perché
mi ero aspettata risposte che dovessero per forza contenere parole come
“anima” “cuore”
“destino” e cose simili. Invece quei due esempi
pratici e semplicissimi, mi avevano riportata al mondo reale. Quello in
cui le idee trovano sempre un risvolto pratico. Infondo mi rivedevo di
più nell’idea dell’amore della mamma
ma….sapevo che una parte di me necessitava anche del lato
dell’amore descritto da Charlie. Comunque poco importava.
La cosa fondamentale, era che mi ero appena resa
conto che tutte le
descrizioni che avevo dato per veritiere sull’amore, quelle
letterarie e puramente spirituali, andavano prese con le pinze.
L’amore non doveva essere necessariamente quello che leggevo
nei romanzi d’epoca. L’amore per me non doveva
essere uguale a quello che leggevo, uguale a quello provato da altri.
Il mio amore….doveva essere soltanto mio.
Non mi servivano termini di paragone o un
obiettivo da raggiungere,
dovevo solo capire cosa mi faceva stare bene, cosa mi emozionava, cosa
consideravo necessario ed insostituibile nella mia vita. Quanto ero
stata stupida! Quanto ero stata infantile! Ma adesso finalmente sapevo
cosa fare. Dovevo vivermi a pieno ogni emozione con Jacob…e
poi forse, finalmente sarei riuscita a dirgli che
l’amavo…se era questo che provavo.
« Senti, Bells, so che non sono bravo a
parlare di certe cose
ma… » Charlie mi aveva ridestata dai miei
pensieri, pensava che il mio silenzio fosse dovuto alla delusione.
Prima che potesse finire la frase mi alzai dalla
sedia e mi lanciai
letteralmente tra le sue braccia, stringendolo forte con tutte le mie
forze.
« Grazie papà. Sei stato
perfetto! »
Charlie posò la birra sul ripiano al
suo fianco, e
ricambiò la stretta, accarezzandomi i capelli.
Però!...stavamo migliorando!
« Di niente, piccola. Se avessi ancora
bisogno….
» si interruppe un attimo « ….beh magari
lasciamo passare un po’ di tempo prima della prossima
chiacchierata! »
« Tranquillo! » ridemmo e
finalmente ci rilassammo,
sciolsi l’abbraccio e gettai la birra sotto il suo sguardo
contrariato « Non fai tardi in centrale? »
« Oh non stamattina. Ho una riunione
alla sede della
Forestale, nella riserva. »
« Come mai? Ci sono problemi?
» era raro che
polizia e forestale collaborassero, in genere capitava durante i casi
di persone scomparse, ma non mi sembrava di averne sentiti ultimamente.
« Ci sono arrivate delle segnalazioni
di alcuni avvistamenti,
la gente ha un po’ paura. »
« Avvistamenti di cosa? »
« Non lo sappiamo. Per questo faremo
una riunione con la
Forestale. Per cercare di capire qualcosa in
più….secondo me sono orsi. »
finì la frase gettandosi sulla sedia che
scricchiolò appena.
« Beh…in bocca al lupo
allora! ».
Alla fine la colazione la preparai io, come ogni
mattino, buttando
disgustata quella pasta collosa. Nonostante avessi un sacco di tempo mi
preparai più in fretta che potei per l’ultimo
giorno di scuola della settimana. Quella nuova prospettiva
sull’amore mi aveva riempito di energia, mi aveva finalmente
liberata di quel latente senso di colpa che mi portavo sempre dietro. E
ro impaziente di vedere Jake, volevo saltargli in
braccio e riempirgli
il faccione di baci! Magari per quel fine settimana avremmo potuto fare
qualcosa di divertente! Insomma, la mia testa girava a mille e non
vedevo l’ora di iniziare a vivere sul serio il nostro
rapporto.
Fui pronta in meno di dieci minuti, sapevo che
Jacob sarebbe passato a
prendermi non prima di una mezz’ora, ma non ne volevo sapere
di restare in casa, così salutai Charlie, presi lo zaino, un
libro che avevo iniziato a leggere da poco, l’i-pod ed uscii.
Quel giorno non pioveva, ma il solito spesso strato di nubi era sempre
lì a coprire il cielo.
Mi misi seduta sugli ultimi due gradini del
portico, infilai le
auricolari ed accesi l’i-pod in modalità
“random”, ed iniziai a leggere. Era un libro
davvero intrigante, la trama prometteva bene, all’inizio
poteva sembrare la classica storia d’amore tra una ragazza
fragile e un ragazzo iperprotettivo ma ero sicura che lui nascondesse
qualche segreto, e non me ne sarei staccata fin quando non
l’avessi scoperto.
Tra un paragrafo e l’altro mi lasciavo
andare alla
musica che mi teneva compagnia, chiudendo gli occhi e canticchiando un
ritornello. Infatti, quando dalle auricolari mi giunsero le prime note
di “What part of forever” di Cee-Lo-Green non seppi
resistere. Adoravo quella canzone, e nonostante non sapessi
fischiettare , ci provavo ogni volta, perché quando la
musica mi catturava….non comandavo più io,
soltanto lei.
« Run,
run,
run away, so lost, lost, never comin’
Home,
rolling, rolling
down a track,
No,
no I’m
never comin’ back.
Hot
love pumpin in my
venis,
Our
love I hope its not
too late.
That’s
the road, that’s the load, that’s the role
I’ve
been
down, I’ve been down, I’ve been down….
»
Cantai la strofa iniziale con un sorriso sulle
labbra, sentendo
l’odore delle pagine del libro che tenevo alzato di fronte al
viso. E stavolta la cantai con uno spirito diverso!
Quel mattino un pezzo di quella strofa sembrava
scritto apposta per me
: “Un amore ardente pompa nelle mie vene, spero che non sia
troppo tardi per il nostro amore, questa è la strada, questo
è il peso, questo è il ruolo” e speravo
davvero con tutta me stessa che non fosse tardi per il nostro amore,
perché sentivo, perché
sapevo….perchè ero quasi certa che quella
fosse la strada, quello
fosse il peso….che quello
fosse il mio ruolo.
Sentii le cuffie sfilarsi dalle orecchie, mentre
la musica si
allontanava e udivo soltanto la mia voce cantare.
« Buongiorno, usignolo! »
Aprii gli occhi e Jacob era lì,
accovacciato davanti a me,
con le cuffie tra le mani, che mi guardava da sopra le pagine del libro
con un sorriso smagliante.
Chiusi il volume tenendo un dito come segna
pagina e gli gettai le
braccia al collo, mentre le sue mi cinsero prontamente la vita. Ero
così felice! Premetti a lungo le mie labbra sulle sue, senza
smettere mai di sorridere, non ci riuscivo.
« Buongiorno a te, capellone!
» gli scompigliai la
chioma setosa con la mano libera « Da quanto sei qui a
prenderti gioco di me? »
« Abbastanza perché i tuoi
vicini mi implorassero
di farti smettere ».
Gli diedi un leggero buffetto dietro la testa
« Ma smettila,
bugiardo! »
Rise e sciolse l’abbraccio, iniziando a
farmi il solletico su
tutta la pancia.
« E così sarei un bugiardo,
eh? Ora me la paghi,
signorinella »
Non riuscii a controbattere nulla, il solletico
annientava tutte le mie
forze, e in pochi secondi mi ritrovai raggomitolata sul gradino, preda
di una ridarella convulsa, che scalciavo e tiravo pugni al vuoto come
un’ossessa. Dopo poco Jacob mi concesse una brevissima tregua
« Arrenditi! Dì “mi perdoni, signor Black, non
metterò mai più in dubbio la sua invidiabile
integrità morale, la sua smisurata intelligenza ed il suo
irresistibile fascino” »
Di tutta risposta, pur sapendo a cosa andavo in
contro, non appena
finì di parlare gli risposi con una sonora pernacchia. Lui
ricominciò a farmi il solletico più forte di
prima, mentre le nostre risate risuonavano per tutto il vicinato.
« Ja….Jake!
pe…per fa….per
favore, s…..sme….smettila!! » riuscii
appena a balbettare tra uno scoppio di risa ed un altro.
Fortunatamente ebbe pietà di me, e
dopo avermi fatto
ripetere quella frase idiota mi sollevò a sedere sul gradino
accanto a lui quasi di peso, e mi strinse forte in un mega abbraccio
mentre ridevamo ancora.
« Lo sai benissimo che amo sentirti
cantare. » mi
disse dopo poco.
Mi scostò appena dal suo petto, solo
per prendermi il viso
tra le mani e carezzarmi le guance con i pollici.
« Ti amo, Bells » sorrideva
felice.
Ebbi giusto qualche secondo di tempo per bearmi
di quel suo sorriso
caldo, e dei suoi occhi gioiosi e neri. Nessuno al mondo, a parte me,
può immaginare quanto possa essere caldo, radioso e luminoso
il nero. Prima che potessi rispondergli qualcosa, mi diede un leggero
colpetto sulla punta del naso con il suo, mi baciò il labbro
superiore, poi quello inferiore ed infine mi baciò come se
mi stesse assaggiando. Ma quella non era la fine…era appena
l’inizio. L’inizio di uno dei “baci alla
Jacob” , perché solo lui sapeva baciare
così. Ogni volta sapeva essere diverso, quel mattino mi
assaporava, lentamente e con intensità. Tratteneva le mie
labbra tra le sue, sfiorandole anche con la lingua, nel movimento
più dolce del mondo. Mi lasciai cullare dalla sua dolcezza,
intrecciando le mie dita alle sue, ancora sul mio viso.
Improvvisamente il rumore di un auto ci
interruppe. Jacob mi
lasciò un ultimo bacio a fior di labbra e tenendo ancora il
mio viso tra le mani si voltò verso la strada. Sciolsi
l’intreccio delle nostre dita e guardai anch’io.
Una Volvo metallizzata aveva appena parcheggiato fuori il mio cortile.
Sapevo bene a chi appartenesse quell’auto.
Rimasi un attimo sbigottita, cosa ci faceva lui
qui? Cosa voleva?.
Voltai ancora lo sguardo verso Jacob, giusto in tempo per vedergli
serrare la mascella. Le sue mani sul mio volto furono percorse da una
breve scarica di leggero tremore, mentre continuava a fissare
l’auto.
« Vieni, Bells. E’ ora di
andare. » il
suo tono era basso e nervoso.
Si alzò in piedi con lo sguardo
incollato alla Volvo e,
quando vide Edward Cullen scendere e chiudere la portiera, si
sfilò il giubbotto. A quel gesto mi balzò il
cuore in gola, avrei voluto alzarmi ma il timore mi aveva immobilizzata
su quel gradino.
« Cos’hai intenzione di fare,
Jake?! » la
mia voce risuonò stridula dall’agitazione.
« Niente, Bella. Ho solo caldo.
» mi tese una mano
senza guardarmi «Vieni»
Non staccava gli occhi di dosso ad Edward nemmeno
per un secondo, il
quale di rimando faceva la stessa cosa, poggiato al cofano della sua
auto.
L’agitazione ormai mi arrivava fin
sopra i capelli,avevo
paura di ciò che potesse succedere. Il vicinato era deserto,
non ci sarebbero stati compagni di classe a dividerli stavolta, ma
nella peggiore delle ipotesi, avrei potuto lanciare uno strillo e
richiamare l’attenzione di Charlie in casa.
Presi la mano che Jacob mi offriva come aiuto per
alzarmi e la sentii
ancora tremante. Lo conoscevo da tutta una vita, eppure nemmeno per un
attimo l’avevo visto tanto agitato. Strinse forte le mie dita
tra le sue e ci incamminammo verso il marciapiede. In meno di un
secondo la mano che stringevo alla sua iniziò a sudare, come
se l’avessi infilata in un guanto di lana caldo.
« Buongiorno, Bella » mi
salutò Edward
staccando finalmente gli occhi da Jacob.
« Sparisci, Cullen » la voce
di Jake era dura e
ostile.
Riuscivo a percepire nitidamente il suo tremore
che aumentava di
secondo in secondo, così come il calore della sua mano.
Iniziai seriamente a preoccuparmi che potesse venirgli un malore.
« Black… »
salutò Edward,
spostando di nuovo lo sguardo su di lui.
Per un lungo momento restarono a fissarsi senza
aggiungere altro. I
miei occhi si spostavano dall’uno all’altro,
immersi in un silenzio mattutino quasi irreale. L’unica cosa
che sentivo era il martellare del mio cuore. Non mi piaceva per niente
il modo in cui si guardavano, e ciò che mi piaceva ancor di
meno, era il modo in cui Edward guardava Jacob. Nei suoi occhi dorati
riuscivo a riconoscere la stessa soddisfazione del giorno prima.
La mia mano che Jake teneva stretta nella sua
pian piano
iniziò quasi a bruciarmi, come se nel palmo della sua mano
si fosse acceso un fuoco. Istintivamente sciolsi quella stretta e
sentii la paura aumentare ad ondate. Gli poggiai una mano sul braccio e
l’altra al petto, per attirare la sua attenzione, e anche
quelli erano febbricitanti….scottavano come un corpo che
brucia. Non era normale, ero sicura che stesse per sentirsi male, ma
non capivo come riuscisse a rimanere così impassibile a quel
bruciore.
« Jake, tu stai mal... »
« Infila il casco, stai facendo tardi a
scuola. »
mi interruppe bruscamente.
Aveva la fronte imperlata di sudore e mai, mai,
in tutta la vita aveva
avuto quel tono di voce. Era minaccioso, era teso. Quel loro fissarsi
mi stava facendo impazzire, e in più ero sicura che di
lì a poco avrei dovuto chiamare un’ambulanza per
Jacob. Ero decisa a dire qualcosa, ad interrompere quella sfida
silenziosa che non capivo, ma Jake mi precedette.
« Cosa sei venuto a fare qui?
» la frase gli
uscì cupa e tremolante, ormai i brividi che lo percorrevano
erano visibili ad occhio nudo.
« Ero venuto a vedere se Isabella
avesse bisogno di un
passaggio a scuola. » rispose Edward tranquillamente
« E perché mai avrebbe
dovuto? » Jacob
sputò fuori quella domanda quasi con un ghigno sulle labbra.
Edward spalancò gli occhi dallo
stupore, poi mi
guardò
« Non gliel’hai detto?
» mi chiese con un
sorriso.
In quel momento mi fu tutto chiaro. Mentre
sott’occhi
percepivo il tremito di Jake aumentare, capii dove volesse arrivare
Edward.
Non era possibile! Non poteva farlo! Il cuore mi
esplose dalla paura.
Avevo evitato accuratamente di raccontare a Jacob che il giorno prima
Edward mi aveva riaccompagnata a casa. Dopo la scenata nel parcheggio
ci mancava solo che gli dicessi una cosa simile. E lui sapeva benissimo
che se solo Jake l’avesse saputo sarebbe andato su tutte le
furie.
Ma cos’aveva quel ragazzo? Moriva dalla
voglia di farsi
spaccare la faccia da qualcuno?!
« Non mi ha detto, cosa? »
Jake era teso, ma allo
stesso tempo stupito.
Il suo sguardo guizzava da me a Edward mentre
strinse le mani in due
pugni.
Tentai di parlare ma Edward fu più
rapido.
« Ieri ho avuto il piacere di
accompagnare Bella a casa.
E’ stato molto cortese da parte sua concedermi
quest’opportunità ».
Riuscii quasi a sentire l’assordante
scoppio che quella
frase-bomba aveva provocato. Successe tutto talmente in fretta che non
ebbi nemmeno il tempo di respirare. Jacob sussultò e gli si
spezzò il respiro, come se Edward gli avesse appena
assestato un gancio destro alla bocca dello stomaco.
« Tu….tu….
» tentò di dire, ma il respiro accelerato non
glielo permise.
Jacob tremava talmente forte che sembrava quasi
scosso da una crisi
epilettica, con il respiro affannato, e bruciava me ed Edward con uno
sguardo furente, riuscivo a vedere l’odio e la sorpresa
fiammeggiargli nel buio delle iridi.
In quel momento avrei voluto morire, avrei voluto
gridargli le mie
mille motivazioni, ma non riuscivo nemmeno a respirare. Sentivo le
orecchie fischiarmi e la testa girare forte, mentre il mio
preziosissimo Sole si eclissava. Riuscivo quasi a sentire bruciare la
ferita che gli era stata appena inflitta, per colpa mia.
« Jake, io… » la
voce mi uscì
in un sussurro talmente debole che non riuscii a sentirla nemmeno io
stessa.
Allungai una mano verso di lui, per cercare di
ristabilire un contatto
che potesse trasmettergli un briciolo della mia verità, ma
Jacob si scostò addirittura con un balzo.
« Non….ci provare, Bells.
» mi disse
lentamente, poi prese un lungo respiro, mentre il suo corpo tremava
più di prima « Cosa….cosa diavolo ti
è saltato in mente!! E perché non mi hai detto
nulla?! » mi aveva letteralmente gridato contro.
Sentii gli occhi riempirsi di lacrime, mentre le
orecchie mi
fischiavano sempre più forte. Non era possibile, non stava
succedendo davvero, non potevo perdere il mio Jacob.
« Ti prego, Jake » squittii
con la voce rotta dal
pianto.
Jacob si incamminò talmente
velocemente verso la sua moto
che dovetti correre per stargli dietro. Non poteva andarsene, non
così, non prima che potessi spiegargli. Sentivo le lacrime
scorrere inarrestabili e copiose sulle guance, mentre tutto intorno a
me iniziava ad apparirmi con contorni sfocati, perfino Jacob nel suo
tremare convulso.
Salì in sella alla moto e la accese
con un unico colpo. Lo
stesso colpo che parve rimbombare nel mio cuore, come una piccola
esplosione. Mi aggrappai forte con entrambe le mani alla sua che
stringeva già la frizione sul manubrio.
« Jacob! » dissi con la voce
più alta
che riuscissi ad usare in quel momento.
« Lasciami andare, Bella! »
mi parve quasi un
ringhio.
I suoi occhi bui come la notte fiammeggiarono per
un istante nei miei,
e in quell’istante mi mancò il respiro. Per la
prima volta non li riconoscevo.
Sentii le ginocchia cedere quando Jacob diede gas
alla moto e si
allontanò accelerando.
« JACOB!
» gridai con tutto il fiato che avevo in corpo, mentre le
gambe mi cedevano molli, inginocchiandomi sul prato del mio cortile.
I singhiozzi mi scuotevano inarrestabili, mentre
un macigno mi
schiacciava cuore e polmoni. Mi sentivo annegare, come se fossi appena
sprofondata negli abissi di un oceano, con le sue acque scure che si
chiudevano su di me e mi schiacciavano, con tutto il loro peso
insostenibile, la loro forza violenta. In quel momento tutto perse
colore, tutto diventò buio e freddo, ed io iniziai a
tremare. Il mio cuore tremava, la mia anima
tremava..…….il mio Sole si era
oscurato….il mio Sole mi aveva lasciata.
Angolo autrice : PER FAVORE recensite !!
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Capitolo 22 *** CAPITOLO 17 - Farsi da parte ***
CAPITOLO
17 – “Farsi
da parte”
Guardavo
il punto in cui Jake era scomparso con la moto, gli occhi
ancora lucidi di lacrime, sempre seduta nel prato del mio cortile.
Sapevo benissimo che ciò che aveva fatto imbestialire Jacob
potesse sembrare una cosa da nulla per il resto del
mondo…appunto, per il resto del mondo, ma non per lui. Non
per lui che diceva di provare un odio quasi viscerale nei confronti
della famiglia Cullen. Poco importava se il resto del mondo avrebbe
visto il mio gesto di accettare un semplice passaggio come una cosa da
nulla…..per lui, per la sua vita, per il suo mondo, quello
che era accaduto era molto pesante. La sua ragazza gli aveva nascosto
di essersi fatta accompagnare a casa dall’unica persona al
mondo che lui odiava con tutto se stesso.
Mi sentivo davvero una piccola sporca traditrice
in quel
momento…non avrei mai dovuto accettare
quell’invito….non avrei mai dovuto nascondergli
l’accaduto. Però c’era una cosa che mi
faceva sentire ancora peggio: il ricordo del suo sguardo. Gli occhi
che mi avevano sempre parlato, sempre sorriso, poco prima mi erano
sembrati tanto diversi da non riconoscerli.
Da perfetta egoista quale ero, sarei voluta
saltare sul mio pickup e
raggiungere Jacob, dovunque egli fosse, per parlagli, per chiarire
tutto, per sistemare ogni cosa. Ma sapevo che non sarebbe stata la
scelta giusta, non questa volta. L’unica cosa che potessi
fare in quel momento era lasciargli del tempo per starsene da solo, in
santa pace, a calmarsi e riacquistare un po’ di
lucidità. Quando sarebbe stato nuovamente pronto a parlarmi,
allora si che avrei potuto far qualcosa….qualsiasi cosa per
farmi perdonare.
Una mano fredda si poggiò
delicatamente sulla mia spalla
« Bella, scusami, mi dispiace
»
Qualcosa fece click
nella mia testa.
Quel tocco freddo e quella voce avevano appena
fatto scattare un
interruttore nella mia testa, con un click talmente
reale che fui quasi certa di averlo sentito. In un secondo mi sentii
risucchiata a terra dal mondo delle idee nel quale mi ero persa, con
una forza talmente magnetica da superare perfino quella della
gravità. Sbattei più volte le palpebre, come se
mi stessi svegliando in quel momento da un incubo e realizzai : io ero
seduta lì per terra, sul prato freddo di casa mia, con gli
occhi gonfi di lacrime dopo che il mio ragazzo era corso via
imbestialito…..per colpa loro.
Per colpa di quel tocco freddo e di quella voce.
Per colpa di colui al quale essi appartenevano.
Per colpa di Edward Cullen.
Lentamente voltai la testa alle mie spalle e
guardai in su, alla
ricerca dei suoi occhi. Li trovai che mi fissavano corrucciati in una
smorfia di sincero dispiacere. Certo! Era facilissimo innescare una
bomba di proposito, e dopo pentirsene. Era facilissimo rovinare la vita
delle persone e dopo piangere lacrime da coccodrillo! Ma
quell’idiota avrebbe presto pianto altre lacrime per mano
mia. Sentii l’ira esplodermi nel petto come un ordigno
atomico, ed evidentemente l’onda d’urto dovette
arrivare anche ai miei occhi, potente e fiammeggiante,
perché vidi l’espressione di Edward mutare in
pochi attimi.
« Bella…. »
cercò di dire
ritirando lentamente la mano.
« Bella? » ripetei incredula,
e mentre la sua mano
si allontanava lentamente, con la stessa lentezza io mi voltavo
alzandomi in piedi « Bella
?! » ripetei ancora alzando la voce.
« Ti prego credimi, mi dispiace davvero
tanto »
indietreggiava, non mi ero nemmeno accorta che stessi muovendo qualche
passo verso di lui.
« Ohh….ti dispiace….ma
certo…. » inspirai profondamente in cerca di un
po’ di calma, ma non ne trovai nemmeno un briciolo
« Vaffanculo, Edward ! » gli gridai contro.
Lui indietreggiò ancora, stupito dalla
mia reazione. Forse
si aspettava che mi bevessi sul serio quelle scuse false ed insipide.
Forse nella sua vita non aveva ancora incontrato nessuno disposto a
passar sopra il suo magnifico aspetto e guardare realmente a
ciò che faceva.
« Ma chi credi di essere? Come ti
permetti di intrometterti
nella mia vita e di giocare con i miei equilibri? » gridavo
sempre più forte, mentre mi avvicinavo e lui si ritraeva
« Ti conosco da appena un giorno e mi hai già
incasinato la vita! E se non ti ho ancora messo le mani addosso
è soltanto perché non so se è reato
pestare un malato di mente! » presa dalla furia avevo anche
iniziato a sbracciarmi come un’ossessa, incurante della sua
faccia sempre più sbalordita
« Perché è questo
che sei ! uno
psicopatico ! tu sei uno psicopatico! Uno di quelli con le manie di
persecuzione! E, anzi, sai cosa ti dico? Me ne sbatto se pestare uno
come te sia reato o meno! Charlie è il capo della polizia,
di certo non mi farebbe andare in gattabuia! » mi tirai su le
maniche del giubbotto.
L’avrei pestato?
Oh
si.
Certo che l’avrei fatto.
Non desideravo altro, mi prudevano le mani dal
desiderio impellente di
stampare il calco della mia mano su quelle guance pallide.
In meno di un secondo colmai la distanza tra noi,
caricai il mio
schiaffo e lo sferrai, pregustando già il rumore secco
dell’impatto della mia mano sul suo bel visino.
Inaspettatamente però quel rumore non giunse. Edward fu
più rapido di me e afferrò il mio polso a pochi
centimetri dalla sua faccia.
« Vuoi davvero schiaffeggiarmi, Bella?!
» era
incredulo eppure divertito.
« Schiaffeggiarti?! Io voglio pestarti,
Cullen! Voglio vedere
lo stampo rosso delle mie dita sulle tue guance esangui! Per la prima
volta in vita mia voglio far sanguinare qualcuno! » con
ancora la mano destra bloccata dalla sua, sferrai un pugno con la
sinistra, mirando dritta al suo occhio.
Ma ancora una volta bloccò la mia mano
nella sua. Che avesse
studiato autodifesa? Forse da bravo psicopatico era abituato a persone
che tentavano di liberarsi di lui.
« Andiamo! Vigliacco! Fatti colpire!
Dammi la soddisfazione
di farti un occhio nero! » Gli gridavo a tre centimetri dalla
sua faccia, dimenandomi come se avessi le convulsioni, con i capelli
che ormai mi coprivano completamente il volto.
Ero consapevole che in quel momento potevo
sembrare uscita direttamente
dal film “L’Esorcista” ma non me ne
importava nulla. Ero completamente accecata dalla voglia di mettergli
le mani addosso, di procurargli del dolore fisico, di lasciare un segno
tangibile di violenza su quel corpo perfetto. Edward, con mio sommo
stupore, iniziò a ridersela, fomentando ancora di
più la mia furia
« Aaaahhh ! » gridai furiosa
ed esasperata
dimenandomi ancora di più, praticamente quasi non poggiavo i
piedi per terra.
« Cosa diavolo sta succedendo?!
» sentii urlare
alle mie spalle « Tu! Toglile le mani di dosso, subito!
» Charlie attraversò il cortile di corsa.
« Dammi la pistola, papà!
» gridai nel
momento in cui Edward mi liberò le mani dalla sua presa.
« Cosa ti ha fatto? » mi
chiese allarmato Charlie
mentre fulminava Edward con lo sguardo.
« Dammi quella dannata pistola,
Charlie! Non l’hai
mai usata, questa è la volta buona!! » feci per
saltare addosso ad Edward ma lui con uno scatto iniziò a
correre nel cortile, con me che lo inseguivo.
« Scappa, Cullen! Scappa! Anche se non
ti servirà a
nulla contro un proiettile! »
Charlie restò un attimo sbigottito a
guardarci.
« Vuole fermarla, per favore?!
» gli chiese Edward
mentre sfuggiva alla mia presa.
« Okay, okay, adesso basta! »
Charlie si
precipitò fra noi bloccandomi tra le sue braccia.
« Lasciami papà! O mi dai la
pistola o ti togli di
mezzo! » gridavo ancora e mi dimenavo nella sua presa, senza
staccare gli occhi di dosso a quella che volevo fosse la mia prima
vittima per omicidio volontario.
« Bells adesso basta. Datti una calmata
e dimmi
cos’è successo. » Charlie
sfoderò il suo tono autoritario.
Edward si avvicinò a noi, trattenendo
a stento una risata.
Dovevo essergli sembrata ridicola, e questo mi
faceva irritare ancora
di più. Però di certo non potevo raccontare tutto
a Charlie. Come gli avrei spiegato perché
Jake lo odiasse tanto? Infondo nemmeno io ne capivo bene la ragione.
Inspirai a fondo e mi sforzai di togliere
quell’espressione
da pazza furiosa che sentivo incresparmi tutto il viso. Smisi di
spingere contro le braccia di Charlie e mi raddrizzai, togliendomi i
capelli dal viso e aggiustandoli dietro le orecchie. Mi schiarii la
voce, alla ricerca di un tono, se non calmo, quantomeno
normale, entro i limiti dei decibel consentiti.
« Niente, papà. »
dissi fissando Edward,
non avevo intenzione di aggiungere altro.
Charlie mi guardò stupito, per poco
non gli cadde la
mascella.
« Niente, Bells? E la scena
apocalittica di poco fa? Non ti
ho mai vista così infuriata con nessuno »
Santo cielo! Gli pareva giusto quello il momento
di mettersi ad
indagare nella mia vita? Non l’aveva mai fatto!...Certo, non
gli avevo nemmeno mai chiesto la sua pistola per sparare ad un semi
sconosciuto nel nostro cortile.
Ma una cosa era certa, non avevo davvero
nessunissima intenzione di
mettermi a discutere dell’accaduto con lui, così
gli risposi con parte della verità, la parte che sapevo
l’avrebbe messo in imbarazzo e gli avrebbe impedito di
chiedere altro.
« Si, beh…ho litigato con
Jake per colpa sua
» lo
indicai sprezzante e probabilmente con una smorfia incontrollata di
disgusto.
Come previsto, Charlie arrossì
leggermente.
« Oh… » si
grattò la tempia
con un pollice « Allora credo che possiate risolvere da soli.
» fece due passi verso l’auto prima di voltarsi di
nuovo verso di noi.
Il suo lato di capo della polizia evidentemente
doveva avergli
ricordato di impartire un paio d’ordini prima di andar via
« Tu » mi disse indicandomi
con l’indice
« Non minacciare più nessuno di sparargli con la
mia pistola » poi volse lo stesso dito in direzione di Edward
« E tu, ragazzo.. » esitò un istante,
nel quale dovette probabilmente ricordarsi che non lo conosceva affatto
e che per quel poco che sapeva non aveva combinato nulla di grave
« ..tu fila a scuola. Tuo padre non sarà contento
se salterai le lezioni»
« Si, signore » rispose
subito Edward.
Poi entrambi guardarono me, come se si
aspettassero anche da parte mia
un cenno di assenso. Incrociai le braccia al petto e li guardai con
un’espressione incredula. Davvero avevano pensato che potevo
sparargli? I due non si mossero, a conferma della mia supposizione.
Alzai gli occhi al cielo sbuffando
« Ridicoli » dissi a mezza
voce, mentre voltavo le
spalle ad entrambi e mi dirigevo a grandi passi verso casa.
Inciampai un paio di volte nel coprire quella
breve distanza, e sentii
Edward sghignazzare alle mie spalle. Entrai in casa e richiusi la porta
sbattendola forte….in effetti non avevano pensato affatto
male.
*****
« Ciao sono
Jake, lasciate un messaggio. » richiusi il
cellulare con uno scatto
« Nulla, Angie. Ancora la segreteria
» mi lasciai
cadere pesantemente sulla sedia della cucina che scricchiolò
appena, con la cornetta attaccata all’orecchio per riuscire a
sentire la voce di Angela che veniva sovrastata dalla partita di
baseball a tutto volume.
Era domenica pomeriggio, e Jake era sparito dal
venerdì
mattina senza farsi più sentire. In realtà si
faceva anche negare al telefono, da un Billy dai toni molto bruschi e
sbrigativi. Chi sa se mi aveva giudicata male anche lui. Perfino al
cellulare rispondeva sempre la segreteria, e per quanto mi riguardava
quei tre giorni erano stati un inferno.
Non sapere nulla di Jake era già
abbastanza frustrante, ed
in più Edward non mi lasciava mai in pace, continuando a
venire sotto casa mia con la sua auto. Il giorno prima
l’avevo addirittura visto rimanere fermo in macchina per
mezza giornata, sperando che scendessi a parlargli come mi aveva
chiesto insistentemente per tutto il giorno e anche quello precedente.
« Bella io ti conosco, so quanto ti sia
costato fino ad oggi
lasciargli il suo spazio. Ed hai fatto benissimo. Però credo
che adesso possa bastare. » la voce di Angie mi
sembrò lievemente spazientita, e me la immaginai intenta ad
aggiustare le ultime fotografie scattate in un bell’album dai
toni del marrone, come sempre quando era infastidita. «
Insomma, ti ha soltanto riaccompagnata a casa! »
sbuffò sonoramente e lo feci anche io di rimando.
Per qualche minuto restammo entrambe in silenzio,
mentre in me cresceva
l’impulso di prendere le chiavi dello Chevy e guidare fino
alla riserva. Angela interruppe lo scenario che andava formandosi nella
mia mente
« Bella, so cosa stai pensando e sai
cosa ti dico? »
« No, dimmi. »
« Salta su quel vecchio rottame che ti
ostini a chiamare auto
e và da lui. »
« Dici che posso? » mi passai
nervosamente una mano
tra i capelli.
« Certo che puoi! Sono tre giorni che
si dà alla
macchia. E se necessita fagli anche una sonora tirata
d’orecchie »
« Grazie, Angie »
« Figurati, Bells! Quando torni
chiamami. »
« Certo» feci per
riagganciare poi aggiunsi
«Ah, Angela? »
« Dimmi »
« Il mio pickup non è un
rottame! ».
Era quasi il tramonto ed io riuscivo ad
intravedere la casa rossa di
Jacob fare capolino tra un albero e l’altro. Per tutto il
tragitto non avevo fatto altro che pensare a cosa gli avrei detto e a
come lo avrei fatto, ma a pochi metri da casa sua ancora non avevo idea
di cosa fare.
Parcheggiai lo Chevy e mentre spegnevo il motore
vidi dallo specchietto
retrovisore la porta di casa aprirsi. Quello era l’unico
difetto che riuscivo a trovare al mio pickup: annunciava il mio arrivo
sempre e comunque. Scesi dall’abitacolo e quando feci il giro
del mio ingombrante mezzo di trasporto color ruggine mi bloccai.
Sam Uley si stagliava in tutta la sua imponenza
sotto l’uscio
di casa Black, mentre si richiudeva la porta alle spalle. Mi si strinse
lo stomaco quando incrociai il suo sguardo. Camminava verso di me con
l’espressione più dura che mi avesse mai
riservato. In quel momento la smorfia di ostilità che gli
corrugava il viso lo fece apparire ancora più scuro e
minaccioso del solito. Fece gli ultimi passi con i pugni stretti lungo
i fianchi e si fermò a due metri di distanza.
In altre circostanze, con chiunque altro, mi
sarei sentita rassicurata
da quella distanza di sicurezza. Ma con Sam tutto sembrava diverso,
perfino quel gesto. Quei due metri con lui non apparivano come una
gentile concessione del mio spazio privato, tutt’altro,
mandavano un chiaro avvertimento. Quella era una distanza che indicava
minaccia. Una separazione voluta appositamente per farmi notare che si
sforzava di controllarsi, che in quel momento ero in pericolo, e che
era meglio che mi impegnassi a mantenerla tale se non volevo provocarlo
ed essere aggredita.
« Cosa ci fai qui? » mi
chiese diretto, e
contrariamente alla sua espressione, il suo tono era calmo.
« Sono venuta a parlare con Jake. E
comunque non penso siano
affari tuoi. » la mia risposta brusca parve scivolargli
addosso come se lo avessi salutato nel più cordiale dei modi.
« Jacob non c’è, e
anche se ci fosse
stato non ha intenzione di parlarti. Ti consiglio di tornartene a casa
e ritornare qui solo quando sarai stata invitata. »
voltò il busto per andarsene
« Ehi aspetta! » gli dissi
dietro, ma lui si
fermò soltanto quando sentì che mossi un passo.
Si voltò di scatto, come per ricordarmi che mi conveniva
lasciare intatta la distanza fra noi, ed io mi fermai « Dimmi
dov’è Jacob »
« Non hai sentito? Jacob non vuole
vederti. »
« Beh che me lo dicesse in faccia
allora. E sinceramente non
capisco perché sia tu a fargli da portavoce »
esitai un momento prima di continuare « Proprio tu che ci hai
sempre odiati. »
Sul volto di Sam comparve un ghigno divertito e
accorciò di
qualche passo la distanza che ci separava.
« Io non vi ho mai odiati. Specialmente
Jacob. Ed
è proprio per questo che sono qui. Per aiutarlo e per
proteggerlo. »
« Proteggerlo da me? »
scoppiai in una risata
incredula « ma se è sempre stato il contrario!
»
« Bene, da oggi non più
» disse a denti
stretti « Jacob è partito, e non ti
cercherà nemmeno al suo ritorno, fattene una ragione.
»
Non capivo, ma cosa stava succedendo? Jake era
partito? Quando? Per
dove? E perché Sam si ergeva a suo protettore? Ma
soprattutto, potevo credergli? Nessuno mi assicurava che non mi stesse
semplicemente raccontando un mucchio di stupidaggini.
« Partito?! E chi mi dice che non mi
stai soltanto riempiendo
di bugie? »
Sam sospirò forte, ma mi
sembrò che lo avesse
fatto soltanto per me, soltanto per farmi credere che stesse perdendo
la pazienza. Annullò la distanza fra noi in tre lunghi
passi. Mi guardava dall’alto e io riuscivo a sentire il
calore che emanava il suo corpo teso quasi a contatto con il mio.
« Ascoltami bene Isabella,
perché non lo
ripeterò due volte. » il suo tono era
improvvisamente duro e severo, gridava pericolo e minaccia
« Jacob.
non.
vuole. più. vederti. »
scandì così lentamente da sembrare a rallentatore
« E non me ne frega niente se non mi credi. Fa quello che ti
pare. Ma sappi che se tornerai ancora qui, se lo cercherai ancora senza
che lui ti abbia chiamata, troverai sempre e solo me ad attenderti. E
non sarò più così gentile. »
strinse i pugni in una morsa ancor più stretta quando
capì dalla mia espressione che non sarebbero state di certo
le sue minacce a fermarmi.
Lui non era nessuno per impedirmi di cercare il
mio ragazzo. Ma allora
non conoscevo bene Sam, non immaginavo il colpo che stava per
infliggermi per proteggere Jacob a modo suo
« Tu lo hai ferito, Bella.
Profondamente. Si fidava di te. Tu
eri l’unica cosa che lo teneva ancora legato alla sua
umanit… » si morse la lingua e si corresse
« alla sua infanzia. Eri l’unica capace di ferirlo
e lo hai fatto. Non sottovalutare il tuo gesto, per lui
è stato come una coltellata. E peggio ancora è
stato scoprire che glielo hai tenuto nascosto, è stato come
girare con cattiveria la lama già affondata nella sua carne.
Me lo ha detto, Bella. Si è confidato con me. E’
cambiato tutto adesso. Non si fida più di te e tutto quello
che ti chiede è di lasciarlo in pace, di smetterla di
torturarlo aggiungendo sale alle sue ferite. Ogni volta che sentiva che
lo cercavi, che lo chiamavi, ogni volta che sentiva la tua voce per lui
era un pugno dritto allo stomaco. Per questo è partito. Per
non doverti più sentire in nessun modo, per non permetterti
di farlo soffrire ancora. »
Per un momento mi parve che volesse continuare,
ma la mia espressione
dovette convincerlo che bastava così. Mi sentivo stritolare
il cuore dalle sue parole, e singhiozzavo silenziosamente senza nemmeno
accorgermene. Sam aveva ragione, era stata tutta colpa mia. Avevo
rovinato tutto e non immaginavo nemmeno quanto dolore potevo aver
causato a Jacob fino a quel momento. Sentire tutta la sofferenza che
gli avevo fatto patire mi fece mancare l’aria. Volevo tanto
poter rimediare, non potevo accettare che dovesse finire tutto
così. Non potevo lasciare che la nostra storia si
distruggesse senza nemmeno lottare.
« Ma io… » tentai
di dire tra i
singhiozzi, e Sam parve capire anche senza che finissi.
« Se tu l’hai mai amato
Bella, devi farti da parte.
Non c’è più niente che tu possa fare,
quindi se mai hai provato qualcosa per lui, vattene. Vattene adesso e
non tornare più. Lascialo libero di curarsi le ferite che
gli hai procurato, smettila di farlo soffrire, smettila di torturarlo.
» alzai gli occhi nei suoi e quel contatto con ciò
che aggiunse subito dopo, fu fatale per il mio cuore « Non se
lo merita, Bella. Jacob non merita tutto questo. »
Iniziò a piovere. I singhiozzi
silenziosi di poco prima
lasciarono il posto a un pianto sofferto che mi scuoteva tutta da capo
a piedi. Ecco dove mi aveva portata il mio egoismo, ecco dove mi aveva
portata la mia meschinità : avevo ferito Jacob in tanti modi
diversi, ogni volta più in profondità della
precedente. E lui non meritava davvero tutto il dolore che gli avevo
inflitto, non Jacob, non il mio Jake. Anche solo l’idea di
avergli fatto tanto del male bastava a farmi odiare tutto di me stessa.
Era soltanto colpa mia se lui aveva dovuto lasciare perfino suo padre,
per fuggire via dalle torture che gli procuravo. E ancora una volta,
avevo pensato soltanto a me stessa, senza curarmi di ciò che
stesse succedendo a lui. Credevo davvero che il tempestarlo di
telefonate avrebbe potuto aiutarci in qualche modo? Non mi era passato
nemmeno per l’anticamera del cervello che forse anche il solo
sentire la mia voce poteva fargli male. A malincuore dovetti dare
ragione a Sam, se fino a quel momento avevo sbagliato tutto, ora potevo
davvero fare qualcosa di buono. Dovevo smettere di cercarlo, smettere
di torturarlo. Sperai almeno che avesse mantenuto qualche contatto con
Billy o con Sam stesso.
« Io.. » cercai di parlare ma
un singhiozzo ancora
più forte mi soffocò le parole in gola.
Abbassai lo sguardo sulle mie scarpe ormai
fradice e sentii una mano
rovente posarsi sulla mia spalla. Per un attimo il mio cervello
sperò inconsciamente che quel contatto tanto familiare
appartenesse a Jacob.
« Mi dispiace così tanto!
» quasi gridai
tra i singhiozzi ormai soffocanti e poggiai la fronte al petto nudo di
Sam.
Era incredibile che mi stessi aggrappando
all’unica persona
che pensavo di odiare in assoluto. Eppure in quel momento il suo calore
scottante sotto la pioggia era troppo confortante per rinunciarvi,
troppo familiare per non rifugiarmici. E inoltre sapevo bene che non
era con lui che dovevo sentirmi arrabbiata. Sapevo per certo che quella
maschera dura di ostilità che aveva indossato prima era
soltanto per proteggere Jacob. Lo sentivo. E per questo lo apprezzai.
Apprezzai anche il dolore lancinante che le sue
parole mi avevano
provocato, perché erano servite nel suo scopo: non avrei
più inflitto altro dolore al mio sole personale. Il mio
amato sole che in quel momento non sapevo nemmeno dove fosse o con chi,
in balia di chissà quali tormenti interiori, con il cuore
rotto in mille pezzettini ancora più piccoli di quelli che
ormai erano i resti del mio.
Mi distaccai dall’ampio torace di Sam e
indietreggiai di un
passo, prima di andarmene dovevo almeno tentare di lasciargli un
messaggio, che sapevo che forse non gli sarebbe mai arrivato, ma era il
minimo che potessi fare in quel momento.
« Ti prego, digli che mi dispiace
tanto. Che è
stata tutta colpa mia, che sono un mostro! Che avrei dovuto lasciarlo
libero di vivere la sua vita molto prima, ma non ci sono mai riuscita
per puro egoismo e… » mi morsi le labbra
maledicendomi per non riuscire a trovare parole migliori, tutto questo
lui lo sapeva già. C’era soltanto una cosa che non
sapeva, che non aveva avuto il tempo di conoscere «
…e che era e rimarrà sempre tutta la mia anima.
Avrà per sempre il mio cuore e resterà per sempre
il mio
Jacob. Anche se non sarò mai abbastanza per lui. »
Sospirai afflitta e addolorata
« Se solo avessimo avuto un
po’ più di
tempo…io avrei potuto rimediare. A tutto. E renderci felici.
Insieme. » alzai per l’ultima volta lo sguardo
negli occhi di Sam, avevo bisogno che mi credesse, e che capisse cosa
intendevo dire « Rendere felice lui. Nel modo in cui aveva
sempre sperato. »
Sentii una nuova ondata di dolore in arrivo,
così mi voltai
e salii a bordo dello Chevy, senza più guardarmi indietro.
Non diedi nemmeno un ultimo sguardo alla casa rossa che si allontanava
alle mie spalle, ero certa di non poter reggere alla vista della mia
anima che rimaneva lì.
Pov Jacob
Non sentivo niente.
Miracolosamente.
Non avevo idea di quali santi ringraziare per
quella breve tregua. Dopo
tre lunghi, infiniti, orribili giorni, immerso in una febbre che mi
bruciava perfino il cervello, e quando non ardevo, esplodevo in un
corpo che non riconoscevo, quel momento mi parve davvero miracoloso.
Riuscivo perfino a rimanere in uno stato di
dormiveglia così
umano che mi sorprese. Se non fosse stato per il bagno di sudore in cui
ero immerso, e di cui era impregnato ogni millimetro del
letto…beh, avrei quasi potuto pensare che fosse stato tutto
un terribile incubo.
Sé…..magari!
ti piacerebbe, ragazzo!
Dannazione. Certo che mi sarebbe piaciuto!
Mi sarebbe piaciuto da morire scoprire che era
stato soltanto un incubo
tutto il dolore che si può provare quando il tuo corpo
sembra avvolto dalle fiamme. Oppure scoprire che era sempre per lo
stesso, meschino, incubo che quando il fuoco raggiungeva
l’apice del suo bruciante dolore il tuo corpo esplodeva in
quello di un animale…..un
animale! Dio santo!
Mi sarebbe piaciuto eccome avere a che fare con
un incubo, invece di
pensare di essere impazzito! Perché è stata
questa la prima cosa che ho pensato. Credevo di essere completamente
uscito di testa. Insomma, un conto è ascoltare delle antiche
leggende sulla discendenza del proprio popolo, e un altro è
trovarsi immersi in un dolore bruciante che ti porta a ritrovarti nel
corpo di un lupo.
Sant’iddio credetemi, se quello
non è frutto della tua pazzia…allora pazzo ci
diventi comunque, nello stesso istante in cui ti ritrovi su quattro
zampe e ricoperto di pelliccia!
Emisi un grugnito infastidito a quei pensieri che
stavano lentamente
portandomi fuori da quel bellissimo stato di dormiveglia e mi voltai su
di un fianco, con la faccia al muro poco sotto la finestra della mia
stanza. Era incredibile come mi sentissi bene quella sera.
Non bene
nel senso che fossi sereno o felice…bene nel senso
strettamente collegato all’assenza di dolore.
Tsè…
“felice”…..femminuccia!
Stesi una gamba infastidito e sentii un crack. Non ebbi
bisogno di sollevare la testa per vedere cosa fosse successo, lo sapevo
già. Avevo appena rotto l’ultimo pezzo di pediera
in legno del mio letto che era rimasto.
Ormai Billy aveva anche smesso di ricordarmi che
quello era
l’unico letto che avevo e che non aveva intenzione di
cambiarlo. Merda, fra poco non ci sarei entrato per intero nemmeno in
diagonale!
Sbuffai afflitto. In un altro contesto sarei
stato orgoglioso di una
tale prestanza fisica, ma sapere a cosa fosse dovuto il mio dimostrare
qualche anno in più mi faceva salire l’amaro in
bocca.
“Felice”
ripensai…no, non sarei mai più stato felice nella
mia vita.
Non si può essere felici se si
è dei mostri, se
si è uno scherzo della natura degno del peggior film horror!
Non si può essere felici se non si è nemmeno in
grado di stare accanto ad una persona qualsiasi sperando di non perdere
la pazienza e di non trasformarsi in un animale in grado di ucciderla
anche solo con una spinta!
Strinsi il lenzuolo in un pugno, ormai sveglio, e
lo sentii strapparsi
sotto le mie dita come se fosse zucchero filato. Un ringhio basso e
cupo mi nacque spontaneo dal petto.
Mi odiavo. Odiavo ciò che ero,
più precisamente
odiavo non essere più quello di prima. Odiavo sapere di non
essere più la persona che tutti conoscevano…che Lei conosceva.
Iniziarono a tremarmi leggermente le mani a quel
pensiero. Cercavo di
evitare quanto più possibile tutto quanto riguardasse Lei proprio per
questo motivo. Istantaneamente montava in me una rabbia che non ero
ancora capace di controllare e in un batter d’occhio mi
ritrovavo nei panni di un lupo inarrestabile e furioso. Era ancora
impensabile per me ricordare di noi.
Quell’ira che esplodeva incontrollabile
nasceva dallo stesso
odio che provavo verso me stesso. Nasceva dalla consapevolezza che mai
più avrei potuto starle accanto come prima, che mai
più avrebbe saputo qualsiasi cosa di me, che
forse…Lei
non mi avrebbe voluto mai più.
Sam stava cercando in tutti i modi di farmi
capire che almeno un
piccolo risvolto positivo di tutta questa maledizione c’era :
ora sapevo che le leggende sui “freddi” non erano
più solo leggende, ma pura verità, e grazie alla
mia nuova forma avrei potuto vegliare e proteggere chiunque
amassi….compresa Lei.
Ma a me non bastava! Non mi sarebbe mai bastato
poterla soltanto
proteggere.
Lei
era mia.
Lo era sempre stata e fino a qualche giorno prima
avrei scommesso la
testa che sarei stato capace di tenerla al mio fianco per sempre. Ed
ora invece? Ora ero diventato un mostro.
Un essere mutante che non è nemmeno
padrone del suo corpo.
Perché quando il tremore iniziava, quando il calore arrivava
e mi ardeva dentro in un lampo, io non ero capace di controllare me
stesso. Non ero in grado di arrestare quell’iniziale
formicolio che mi pizzicava tutto il corpo, dalle dita dei piedi alla
cute del cranio, che pochissimi istanti dopo diveniva dolore bruciante
esplodendo alla fine nella forma di lupo.
Dovevo ammettere che più volte mi
succedeva di trasformarmi,
meno durava la sofferenza. In poche parole, ad ogni trasformazione gli
stadi di transizione tra una forma e l’altra mi facevano
sempre meno male. L’ultimo paio di trasformazioni, ad
esempio, avevo sentito sì ardermi in ogni cellula ma il
dolore era quasi del tutto sparito.
Un pizzicore alla spalla destra mi distolse da
quei pensieri. Mi
grattai con il pollice sinistro il punto in cui ora faceva bella mostra
di sè il tatuaggio della mia tribù.
Che
presa per il culo!
Era davvero una presa per il culo quella
lì! Come se
servisse anche un marchio per indicare la nostra diversità.
La nostra appartenenza al “branco”.
Come se non si notasse già abbastanza
quanto eravamo
diversi. Ognuno di noi mostrava fisicamente almeno otto o dieci anni
più del dovuto e avrei potuto dire che io ero
l’emblema vivente di quanto si potesse cambiare una volta
entrati nel branco. Per un secondo immaginai di guardarmi in quel
momento con gli occhi di un’altra persona. Cosa avrebbe
visto?
Un ragazzo enorme, forse di 24 anni, con un
tatuaggio tribale alla
spalla destra, un taglio di capelli corto decisamente rozzo e povero, e
con indosso soltanto dei calzoncini di felpa grigia lunghi fino al
ginocchio.
Chi
era
quel ragazzo?
Chi diavolo
era??
Di certo non io….di certo non
l’io che ero fino a
qualche giorno prima! Al Jacob Black che conoscevo io non sarebbe
passato nemmeno per la testa di tagliarsi i capelli o di farsi un
tatuaggio, così come non sarebbe mai andato in giro mezzo
nudo per i boschi della riserva!
Ma ormai ero costretto ad accettare tutto questo,
ero costretto ad essere
tutto
questo.
Dovevo
portare i capelli corti, per i problemi che mi causava il pelo troppo
lungo dopo la trasformazione.
Dovevo
andarmene in giro semi nudo a rischio di passare per il pervertito
esibizionista di turno per una questione di praticità, di
esigenza, per cercare di disintegrare quanti meno vestiti possibile nel
passaggio da una forma all’altra.
Dovevo
essere un membro del branco, e questo non sarebbe mai cambiato.
Improvvisamente sentii un rombo ed uno
scoppiettio
familiari…troppo familiari.
« Ma porca…. »
saltai a sedere nel bel
mezzo del letto, rompendo una doga.
Non era possibile, non poteva essere
lì. Non così
vicino, non così all’improvviso.
Non mi ero preparato ad una cosa simile. Non
potevo incontrarla! Non
adesso! Non ora che non sapevo nemmeno cosa fosse
l’autocontrollo!
Istintivamente saltai fuori dalla finestra con un
balzo, dovevo andare
via di lì al più presto. Non avevo nemmeno fatto
tre passi di corsa quando sentii la sua voce.
« Sono venuta a parlare con Jake. E
comunque non penso siano
affari tuoi. »
La mia
Bella…
Quella
era la tua
Bella,
illuso!
Già, era vero, ma non
m’importava. O almeno non
era abbastanza.
Non era abbastanza sapere che non era
più la mia
Bella,
perché la sua voce fu al contempo aceto e balsamo per le mie
ferite profonde. Sapevo benissimo di dover andar via, di fuggire il
più lontano possibile da lei e dal mostro che era in me. Ma
non ci riuscivo. I miei piedi, le mie gambe, tutto il mio corpo si
rifiutava di compiere un altro passo in avanti….ma non
indietro.
Lentamente, e del tutto istintivamente,
ripercorsi
all’indietro i pochi passi fatti, senza voltarmi, fermandomi
solo quando sentii la parete in legno di casa mia toccarmi la schiena.
Ti
sei bevuto il
cervello, ragazzo?! Solo un’idiota rischierebbe tanto! Corri!
Allontanati da qui!
Come se fosse possibile!
Come se riuscissi sul serio a muovermi di
lì e a non
ascoltare più la sua
voce! Era già lo sforzo più grande di tutta la
mia vita non voltarmi per guardarla oltre la parete di legno rosso! Per
un po’ restai lì ad ascoltare senza capire cosa
stesse dicendo a Sam. Mi beavo semplicemente del suono della sua voce,
riempiendomi completamente di quel dolce suono, facendomi invadere fin
nel profondo del cervello e del mio povero cuore.
« Mi dispiace così tanto!
» quasi
urlò soffocata dai singhiozzi.
Mi sentii letteralmente pugnalare in pieno petto
da quelle parole, da
quel pianto. Anche se non avevo ascoltato nulla prima di quelle
semplici parole, sapevo con sicurezza ciò che stava
accadendo.
Sam mi aveva avvertito : se davvero intendevo
tornare da lei
un giorno,
avrei dovuto aspettare di possedere l’autocontrollo migliore
di tutta la storia del branco affinchè non scoprisse mai il
nostro segreto. Ma se prima di allora lei mi avesse
cercato…sarebbe stato compito suo allontanarla.
Ed io avevo capito da subito che non avrebbero
avuto spazio modi
gentili o parole confortevoli, ma avevo accettato comunque.
In quel momento però, sentire la sua
voce sommersa dai
singhiozzi, mi strappò l’ultimo pezzo di anima che
mi era rimasto attaccato addosso per sbaglio.
Cosa le stavo facendo? Perché
l’amore della mia
vita doveva subire tutto questo? Iniziai a tremare forte sotto la
fredda pioggia battente, che creava un piccolissimo alone di vapore
intorno a tutto il mio corpo rovente, e capii che non mi restava ancora
molto tempo.
Così cercai di concentrarmi, di
combattere contro la furia e
il rogo che crescevano dentro di me, per ascoltarla ancora un
po’, ancora per qualche secondo, ne avevo un disperato
bisogno. Deglutii forte, spingendo via quel nodo che mi stringeva la
gola sempre più forte.
Non
vorrai piangere,
spero!
Io volevo soltanto sentirla ancora.
« Ti prego, digli che mi dispiace
tanto. Che è
stata tutta colpa mia, che sono un mostro! Che avrei dovuto lasciarlo
libero di vivere la sua vita molto prima, ma non ci sono mai riuscita
per puro egoismo e… » si interruppe ed io annaspai.
Annaspai in cerca d’aria, mentre i
contorni delle mie mani mi
apparivano già sfocati dal tremore.
Ma
non vedi, amore?!
Sono io! Sono io il Mostro!
« …e che era e
rimarrà sempre tutta la
mia anima. Avrà per sempre il mio cuore e resterà
per sempre il mio
Jacob. Anche se non sarò mai abbastanza per lui. »
Oh
Dio, anima mia! Tu!
Tu! Tu! Sei TU la mia anima, non il contrario! E io non sono
più il tuo Jacob…non lo sarò mai
più.
Una fitta al cuore mi tolse completamente il
respiro. Come poteva anche
solo pensare di non essere abbastanza per me? Lei era perfetta!
Assolutamente perfetta.
« Se solo avessimo avuto un
po’ più di
tempo…io avrei potuto rimediare. A tutto. E renderci felici.
Insieme. »
Fece un’ultima breve pausa, mentre il
nodo alla mia gola si
stringeva, e il mio corpo esplose in quello di un lupo in meno di
qualche secondo. Non ce la facevo! Non potevo più
trattenermi! Con un balzo scattai in avanti ed iniziai a correre, a
fuggire via lontano dal dolore che le stavo procurando ancora una
volta, ma alle mie orecchie giunsero le sue ultime parole, che
scandirono il ritmo della mia corsa furente e straziante
« Rendere felice lui. Nel modo in cui
aveva sempre sperato.
»
Il dolore ormai mi dilaniava in ogni molecola del
mio essere, bloccai
la mia corsa in un unico movimento, scivolando sul tappeto di foglie,
slittando con le zampe posteriori per la brusca frenata, gettai il capo
all’indietro e guidato da una forza più grande di
me ululai.
Ululai forte, come mai avevo fatto prima, tanto
da spaccarmi il petto,
tanto che credetti fosse sangue quel leggero rivolo caldo che sentivo
scorrermi lungo il muso, prima di riaprire gli occhi, e vedere soltanto
lacrime.
Angolo autrice : PER FAVORE recensite !!
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Capitolo 23 *** CAPITOLO 18 - Un passo alla volta ***
CAPITOLO
18 – “Un
passo alla volta”
Tre settimane dopo…..
«
Edward Cullen, Angie?! No dico…Edward Cullen?!?
» avevo alzato la voce senza accorgermene.
Angela mi aveva tappato la bocca rapidamente,
prima che tutto il
cortile della Forks High si voltasse a guardarmi.
« Ho capito! »
sbuffò esasperata e fece
ricadere di nuovo le mani lungo i fianchi sottili.
« Ne sei proprio sicura?
Perché, sai, non ti vedo
sconvolta quanto me, o nemmeno sconvolta quanto mi aspettassi
» incrociai le braccia al petto e pensai che forse dovevo
apparirle proprio come una bimbetta capricciosa.
« Il fatto è
che….non ci vedo nulla di
così sbagliato, Bells. » ammise con lo sguardo
rivolto a terra e si sedette sulla panchina a pochi passi da noi.
Sospirai forte per calmarmi, mentre con una mano
mi torturavo i
capelli. Infondo Angela era la mia migliore amica anche e soprattutto
perché la consideravo una ragazza davvero molto
intelligente. Quindi di sicuro aveva i suoi buoni motivi per pensarla a
quel modo. E, ancora più sicuramente, in quel momento io non
avevo la lucidità necessaria per valutare
l’episodio obiettivamente.
Così mi rasserenai, era meglio
affrontare la cosa con calma,
facendomi guidare da lei. Affondai le mani ormai gelate dal freddo
ottobre di Forks nelle tasche profonde della felpa e mi abbandonai
sulla panchina al suo fianco.
Angela mi guardò di sottecchi e poi,
non senza una punta
d’imbarazzo, infilò la sua mano nella tasca
sinistra della mia felpa e mi prese la mano. Sospirai a quel contatto
affettuoso e strinsi le sue dita fra le mie. Gli occhi mi pungevano e
mi accorsi della lacrima che mi solcava la guancia solo
perché Angie la raccolse con l’altra mano, per poi
accarezzarmi.
« Oh Bella, tesoro. »
sussurrò ed io la
guardai, nei suoi grandi occhi nocciola anch’essi lucidi
dietro gli occhiali. « Non devi arrabbiarti con te stessa.
Non devi prenderla così. »
« E come dovrei, Angie? » le
chiesi con la voce
tremante.
« Soltanto per quello che è:
un sogno. Niente di
più. »
« Si certo, la fai facile
tu… »
« Facile, Bells? » rispose
brusca e questo mi
stupì « Pensi sia stato facile vederti distrutta
in queste tre settimane? Pensi sia facile starti accanto, anche adesso,
mentre ancora soffri e ti amareggi addirittura per un sogno?
» spinse di nuovo su gli occhiali che le erano scivolati
lungo il naso.
« No, Angela, no. Scusami. »
sbuffai davvero
afflitta.
Angela era stata il mio vero sostegno in quelle
tre settimane. Soltanto
lei era riuscita a tirarmi su quando la voragine che Jacob aveva
lasciato nel mio petto pareva allargarsi ed inghiottirmi. Soltanto lei
era riuscita a convincermi ad uscire dal letto, a non farmi rammollire
sotto bollenti docce infinite, a farmi uscire di casa dopo giorni, a
ricominciare anche soltanto a parlare con più di qualche
semplice monosillabo.
Angie mi abbracciò forte per un
secondo e poi si
staccò, aumentando la stretta della sua mano nella mia nel
calore della felpa.
« Non scusarti tesoro. E’
solo che vorrei aiutarti
a capire che non vale la pena amareggiarsi perfino per un sogno
» mi rivolse un debole sorriso
« Angie…quello non
è un
sogno, ma il
sogno.
» puntualizzai per l’ennesima volta.
« Che a quanto pare è
tornato a farti visita.
»
« Ma cambiato » aggiunsi
« Già, cambiato. E per
fortuna direi, altrimenti
sarei stata costretta a portarti da uno strizzacervelli! »
Mi strappò una piccola, breve risata
contagiata dalla sua.
Un po’ di tempo prima, in un pomeriggio
a casa mia, per
distrarmi dal torpore in cui mi trovavo dopo la rottura con Jake, le
avevo raccontato di quel fastidiosissimo sogno che mi tormentava ogni
notte nel mese precedente. Poi, forse per clemenza, quello stesso sogno
aveva smesso di torturarmi dalla notte stessa in cui avevo parlato con
Sam. Non l’avevo più fatto. Le mie notti erano
semplicemente diventate buie e senza sogni. Fino all’altra
notte perlomeno.
L’altra notte quel sogno era tornato,
ma diverso. Era
cambiato. Stavolta , mentre camminavo nell’immenso spazio
bianco senza confini e orizzonti, cercando di raggiungere una sagoma
scura in lontananza….la potentissima luce accecante dietro
quella sagoma si affievoliva fino a spegnersi del tutto. Permettendomi
finalmente di avvicinarmi senza più intralci alla sagoma,
permettendomi di raggiungerla, permettendomi di vedere a chi appartenesse quella
sagoma.
Mi ero svegliata di soprassalto quasi
immediatamente quando avevo
riconosciuto Edward Cullen. All’inizio avevo pensato di
ricordare male, così mi ero riaddormentata, e il sogno era
tornato. Uguale a poco prima, esattamente lo stesso. Appena la luce
svaniva del tutto, mi avvicinavo alla figura ormai identificata come
Edward. E nonostante mi fossi risvegliata e riaddormentata almeno
cinque volte nella stessa notte, ogni volta che perdevo i sensi mi
ritrovavo sempre nello stesso sogno, sempre uguale.
La cosa che mi spaventò di
più, fu notare che nel
sogno venivo spinta sempre da un istinto più grande di me
verso Edward. Inconsciamente, mentre sognavo ero ben consapevole di
come sarebbe andato a finire quel sogno, avrei raggiunto la sagoma,
avrei visto che era Edward….ma nonostante ciò,
nonostante questo sarebbe dovuto bastare a farmi fermare, se non
addirittura voltarmi nell’altra direzione, io venivo comunque
spinta verso di lui. Mi sentivo profondamente e magneticamente attratta
da Edward. E il mio subconscio approfittava dello stato di incoscienza
in cui mi trovavo, per abbattere ogni tipo di resistenza nei confronti
di Edward e abbandonarsi al richiamo che lui suscitava in me.
« Forse… » Angela
mi distolse dal
ricordo « …forse vuole dirti qualcosa »
« Chi? Il sogno? » le chiesi
« Beh in un certo senso. Direi
più il tuo
subconscio. » mi rispose sorridendomi.
« Ci mancano solo queste cose da
manicomio, nella mia vita
» sbuffai
« Ma quanto sei diventata noiosa!
» mi
lanciò un occhiataccia « Chi ti dice che non sia
una cosa positiva? »
« Non ci vedo nulla di positivo in
Edward Cullen, e lo sai
benissimo. »
« No, mia cara. Quello che so
è che tu non
vuoi vedere
nulla di positivo in lui. Ti ostini a non parlargli, a non guardarlo
nemmeno! E sinceramente non mi sembra un comportamento normale.
»
« Non sono mai stata tanto normale
»
« Su questo, ma solo su questo, ti do
ragione » mi
diede una stretta alle dita e mi sorrise, cercando il mio sguardo.
Sapevo cosa stava aspettando, e a quel punto, tanto valeva ascoltarla.
« Avanti, Freud. Illuminami sul mio
subconscio. »
Angela rise e gongolò di gusto, poi si
voltò
ancora di più verso di me. Aveva una strana luce folle negli
occhi, e questo mi fece capire che stava per spiattellarmi una di
quelle sue spiegazioni degne dell’arringa del miglior
avvocato di Washington.
« E’ molto semplice, Bells.
Quasi elementare direi,
e anzi, sinceramente mi sono sorpresa che tu non ci fossi arrivata
prima perché…. »
« Oddio Angie! » la
interruppi « per
favore, potresti evitare di dilungarti su quanto sia stata
“elementare” per te questa deduzione e passare a
spiegarmela? »
« Bene, ascolta. Tu hai iniziato a fare
questo sogno prima
che i Cullen arrivassero in città, ovviamente senza riuscire
ad identificare quella sagoma in controluce.
Poi…improvvisamente, quando Jake sparisce, ecco che riesci
ad identificare il “personaggio misterioso”. Ma il
punto sai qual è? Che tu hai escluso da subito che in quel
sogno ci fosse qualcun altro oltre a te e alla sagoma. » mi
guardò sollevando un sopracciglio evidentemente soddisfatta.
« Non capisco dove vuoi andare a
parare. »
« Insomma, nel sogno c’eri
tu, la
sagoma…e la luce! La luce abbagliante, Bells! »
era possibile che mi sembrasse ancora più folle?
« Angie, mi stai mettendo paura.
»
« Credo che il tuo cervellino abbia
subito qualche danno
ultimamente. Ma visto che non ci arrivi da sola te lo dirò
io. » sospirò vistosamente, quasi infastidita
dalla mia mancanza di arguzia « Quella luce, guarda caso, era
proprio ciò che ti impediva di vedere Edward. E lo faceva di
proposito, perché quella luce abbagliante rappresenta
qualcuno. »
« E quel qualcuno sarebbe….
» la incitai
a proseguire
« L’unica persona al mondo
che definiresti il tuo
sole personale. » aggiunse con un tono improvvisamente
più sommesso, come se avesse paura di ferirmi anche solo
facendo riferimento a lui.
Ed in effetti non aveva tutti i torti. Come ogni
volta che si parlava
di Jacob il mio stomaco fu stretto in una morsa dolorosa.
« Jake » sussurrai piano.
« Si, Jake. » mi
confermò Angela e
strofinò il pollice sul dorso della mia mano. «
Secondo me tutto ciò ha un significato, Bella. Fin quando
Jacob era nella tua vita, la sua forza ti impediva di avvicinarti ad
Edward. Ti impediva anche solo di guardarlo meglio, di riconoscerlo e
conoscerlo. Semplicemente, ora che Jake non è più
qui, puoi finalmente guardare ciò che ti era stato negato
fin’ora. » Poteva aver ragione.
« D’accordo Angie, ammettiamo
che sia
così. Ma perché Edward? Perché proprio
lui? »
« Perché non esiste persona
al mondo
più diversa da Jacob. » mi sorrise piena
d’affetto « Tu lo sognavi ancora prima che lui
arrivasse a Forks. E’ come se avessi avuto un sesto senso,
come se lo avessi aspettato. Come se il tuo subconscio volesse
prepararti ad incontrarlo. Oppure, ancora meglio, voleva rassicurarti
che quando avresti perso Jacob non saresti stata da sola, ma anzi. Il
destino aveva in serbo per te la cura ai tuoi dolori. Qualcuno che
rappresentasse una novità, una scoperta, qualcuno che fosse
l’opposto di Jacob in tutto. »
Le lanciai uno sguardo implorante.
Perché sapevo che aveva
ragione. Infondo sentivo che aveva ragione su tutto. Edward era
totalmente diverso da Jacob, e io in quel momento della mia vita, per
sfuggire al dolore, avevo bisogno esattamente di quello.
« Quindi, tesoro, per favore smettila
di ignorarlo. Io non
dico che dovrete diventare amici per la pelle, ma almeno prova a
prendere da lui soltanto ciò che potrebbe aiutarti a non
pensare. »
« Ma a Jacob.. »
« Jacob non c’è,
Bella. Se
n’è andato. » il suo tono divenne
improvvisamente serio « Tu sai quanto anche io gli voglia
bene. Siamo cresciuti insieme, noi tre. Ma la mia migliore amica sei
tu. E se vederti di nuovo felice, o almeno meno sofferente, significa
doverti spingere a fare qualcosa che ferirebbe Jacob….beh,
diamine, si, sono determinata a farlo. »
Mi gettai tra le sue braccia come poche volte
avevo fatto.
Perché poche volte, prima di allora, mi ero sentita
così piccola, così bisognosa di una guida.
« Grazie, Angie. Ti voglio bene
»
« Anch’io te ne voglio,
Bella. »
Le successive ore ed il pranzo mi servirono molto
per pensare. Certo
Angela aveva ragione, ed io volevo seguire i suoi consigli. Ma una
volta scemata l’intensità quasi mielosa di quel
nostro scambio di idee, decisi che non sarebbe stato tutto rose e
fiori.
Del resto ero ancora assolutamente diffidente nei
confronti di Edward,
non lo conoscevo affatto. Però in quelle tre settimane ero
giunta anche ad un’altra conclusione : se io e Jacob avevamo
rotto, non era del tutto colpa sua. In effetti mi aveva soltanto dato
un passaggio a casa, e non potevo sapere quanto fosse davvero
intenzionale il suo dirlo a Jacob quel mattino. Magari anche per lui
non sarebbe stata una tragedia così grande farglielo sapere.
Quindi a conti fatti, decretai che Edward non
meritava più
il trattamento “fantasma” che gli avevo riservato
fino a quel momento, ma comunque sarei stata diffidente. A volte ancora
mi saliva l’amaro in bocca quando ripensavo a quel giorno.
Così, quando quel pomeriggio entrai
nell’aula di
letteratura sperimentale, e lo trovai già seduto al suo
posto, mi sforzai di sembrare quanto più rilassata possibile.
« Ciao Cullen » gli dissi.
Edward si voltò come se avesse sentito
parlare un morto. Non
avevo mai visto nessuno con un’espressione più
ridicola di quella, e dovetti trattenermi tantissimo per non ridere.
« Ciao Bella » mi rispose
ancora sbalordito, ma
quando lo fulminai con lo sguardo si corresse « Ciao Swan
» e dal suo volto sparì ogni traccia di stupore,
rimpiazzato dal suo sorriso sghembo.
Mi sedetti accanto a lui, posai lo zaino sul
pavimento ed aprii il
libro di testo.
« Non ci speravo più.
» mi disse con un
tono di voce dolcissimo, e mi fu impossibile non voltarmi.
E così rincontrai i suoi occhi dorati.
L’impatto
fu forte, non li incrociavo da più di tre settimane. Non
credevo fosse possibile che un essere umano avesse così
tanto potere in uno sguardo, o in un sorriso, o semplicemente nel suo
volto. Quel ragazzo era ipnotizzante, bastava guardarlo
perché ti si svuotasse la mente e ti ritrovassi
completamente in balia dei suoi gesti.
E quella sensazione di rapimento era piacevole,
ma allo stesso tempo mi
infastidì molto in quel momento. Non volevo cadere trappola
del suo fascino, non volevo che mi abbindolasse con così
tanta facilità.
« Già. » gli
risposi, poi aggiunsi
determinata « Ma non pensare che la mia sia una resa. Voglio
soltanto concederti il beneficio del dubbio. »
« Grazie. Ed io non te ne
farò mai pentire,
Bel… » lo interruppi bruscamente, parlando con un
tono leggermente superiore al suo e fissandolo dritto negli occhi.
« Un passo alla volta, Cullen. Un passo
alla volta.
»
Mi sorrise, felice come una pasqua, anche se non
avevo idea del
perché.
« Non te ne farò mai
pentire, signorina Swan. Lo
prometto. »
Angolo autrice : PER FAVORE recensite !!
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Capitolo 24 *** CAPITOLO 19 - Romeo ***
CAPITOLO
19 – “Romeo”
Due
settimane dopo…….
Era
ormai metà Ottobre. Un sabato pomeriggio
dell’Ottobre più freddo degli ultimi dieci anni.
Così almeno diceva il meteorologo in
quel momento alla
televisione. In realtà mi stava letteralmente assordando con
le sue previsioni, il volume della tv era ad un livello pazzesco, come
ogni volta che Charlie guardava una partita. Allungai pigramente un
piede sul divano per raggiungere il telecomando e lo trascinai
più vicino, dove lo presi ed abbassai il volume quasi al
minimo.
Dalla cucina proveniva uno strano rumore che non
riuscivo ad
identificare. Così mi voltai e sporsi appena gli occhi al di
sopra dello schienale del divano per dare uno sguardo. Dalla mia
prospettiva riuscivo a vedere soltanto la parte sinistra della cucina,
il tavolo e le sedie.
Attesi qualche secondo prima che nel mio campo
visivo entrasse Charlie.
Andava avanti e indietro apparendo e scomparendo
dalla mia visuale, il
lungo filo del telefono appeso mollemente dietro di lui e la cornetta
schiacciata al viso. Era già molto insolito vedere Charlie
al telefono, ma era addirittura impossibile vederlo bisbigliare al
telefono, proprio come in quel momento.
Un sorriso si fece largo sul mio viso. Era
così buffo, tutto
impacciato, ancora nella sua divisa da lavoro, mentre bisbigliava chi
sa cosa a chi sa chi al telefono. Per un brevissimo istante il mio
cervello mi suggerì l’ipotesi che stesse parlando
con una donna, e quasi subito arrossii all’idea di averlo
colto in un momento così intimo.
Mi voltai di nuovo verso lo schermo, dove il
meteorologo aveva lasciato
il posto ad un paffuto cronista sportivo, e pensai che se
quell’ipotesi di poco prima si fosse rivelata vera, ne sarei
stata felice. Renée ormai erano anni che si era rifatta una
vita con Phil, un uomo abbastanza più giovane di lei, che a
quanto sapevamo si guadagnava da vivere allenando squadre minori di
baseball in giro per la Florida. Non mi sarebbe affatto dispiaciuto
vedere anche Charlie di nuovo felice.
Sbadigliai oziosamente e controllai
l’ora. Erano le 15:59, in
teoria mancava soltanto un minuto all’appuntamento ma pensai
che avessi ancora tempo prima che arrivasse il mio ospite. Invece,
esattamente qualche secondo dopo, la lancetta dell’orologio
scoccò le 16:00 e contemporaneamente il campanello
suonò.
« Vado io » dissi ad alta
voce per avvisare Charlie.
Ovviamente non poteva essere il mio ospite,
nessuno era così
puntuale. Aprii la porta e rimasi di stucco.
« Buon pomeriggio, Bella. »
A quanto pareva, nessuno al mondo era così
puntuale, tranne lui.
Era splendido nella cornice bianca della mia
porta, con un sacchetto di
carta in una mano e un libro nell’altra, sul viso poggiato un
angelico sorriso e due topazi splendenti che trafiggevano il cioccolato
dei miei occhi.
« Ciao Edward, entra. » mi
scostai per lasciargli
spazio e richiusi la porta dietro di lui.
« Questo è un piccolo
pensiero per te. Non sapevo
quale preferissi. » mi porse il sacchetto di carta.
« Grazie, ma non dovevi »
« Per me invece è stato un
piacere »
sfoderò il sorriso sghembo che mi annebbiava i pensieri
« E poi è scortese far visita ad una splendida
signorina senza recarle alcun omaggio per la sua compagnia. »
Sentii le guance avvampare di rossore senza un
motivo preciso
« Quando parli così sembri
uscito da un romanzo
del ‘500 » lo schernii
« Mi preparavo al compito di oggi
» mi sorrise ed
infilò le mani nelle tasche.
In quelle due settimane avevo capito che Edward
non rappresentava per
me alcun pericolo, non era la persona falsa e machiavellica che avevo
immaginato. Avevo abbattuto la barriera del distacco, lasciando i
cognomi solo a momenti di scherzo, ed ora era per me un amico che
dovevo imparare a conoscere. Perché nonostante ci fossimo
avvicinati, Edward rimaneva un mistero per me sotto molti aspetti. Era
disposto a stare ad ascoltarmi per ore, o pronto a sommergermi di
domande, ma non mi aveva mai detto nulla di sé, e quelle
rare volte che il discorso sembrava volersi dirigere verso il suo
passato, un ombra oscurava il suo viso e prontamente deviava
l’argomento verso altri temi.
« Chi c’è, Bells?
» Charlie ci
raggiunse nell’ingresso.
Appena vide Edward spostò lo sguardo
su di me e
portò istintivamente una mano alla fondina che teneva
agganciata ai pantaloni, per controllare se la pistola fosse ancora
lì.
« Tranquillo papà
» risi imbarazzata a
quel gesto « Non ho intenzione di sparargli »
« Lo voglio ben sperare! »
Edward
scoppiò in una risata cristallina e poi si rivolse a Charlie
« Buon pomeriggio, capo Swan »
Charlie mi lanciò un occhiataccia
« Ciao Edward
»
« Il professor Barnes ha assegnato un
compito da fare in
coppia e Edward è il mio compagno di banco. » gli
spiegai
« Oh, bene » eppure non mi
sembrava tanto convinto.
Mi guardava come se si aspettasse di vedermi strangolare Edward da un
momento all’altro. « L’altro giorno ho
conosciuto tuo padre, Edward. In ospedale è diventato
già un punto di riferimento per tutti, spero che anche voi
ragazzi vi siate ambientati bene a Forks. »
« Splendidamente, grazie »
per un breve istante
fece scivolare il suo sguardo su di me.
« Noi dovremmo…. »
indicai le scale per
togliere tutti da quel momento di imbarazzo
« Si, certo. Andate pure »
Charlie si
dileguò in cucina da dove arrivò quasi subito il
rumore del frigo che si apriva.
« Vuoi qualcosa da bere? »
domandai a Edward
« No, grazie » mi rispose
sottovoce
« E da mangiare? »
« Nemmeno, sono a posto
così. »
« Allora andiamo »
Lo guidai su per le scale fino in camera mia,
dove avevo cercato di
fare quanto più spazio possibile sulla mia minuscola
scrivania, alla quale avevo aggiunto una sedia in più. Posai
il sacchetto di carta sul ripiano in legno e cercai il libro.
Edward nel frattempo si guardava intorno con
attenzione, scrutando ogni
angolo della mia camera come se volesse impararne a memoria ogni
centimetro. Trovai “Romeo e Giulietta” nel primo
cassetto del comodino accanto alla finestra, dove l’avevo
riposto appena qualche giorno prima dopo averlo letto per
l’ennesima volta. Mi avvicinai alla scrivania, mi sedetti e
vi poggiai il libro.
Sentii Edward sedersi accanto a me proprio nel
momento in cui aprivo il
sacchetto che mi aveva portato. Capii subito a cosa si riferiva quando
mi aveva detto che non sapeva quale preferissi. Al suo interno vidi un
muffin con gocce al cioccolato, un red velvet cupcake e una ciambella
con glassa ai mirtilli. Sorrisi ad Edward e poi estrassi dal sacchetto
il muffin, uno dei miei dolci preferiti.
Non riuscivo a resistergli, nonostante ogni volta
che ne vedessi uno mi
si stringeva il cuore al ricordo di quelli che Jacob mi portava ancora
caldi quando Emily, la fidanzata di Sam, ne sfornava di giganti.
Gli diedi un morso prima che il nodo che mi era
appena nato in gola mi
soffocasse.
« E così ti piacciono i
muffin » mi
guardò intensamente prima le labbra, mentre masticavo per
rispondergli, e poi la gola, quando deglutii.
« Si, moltissimo. »
« E’ il tuo dolce preferito?
»
« Subito dopo i pancakes. »
diedi un altro morso al
muffin e il suo sguardo seguì ancora attentamente ogni
movimento delle mie labbra, della mia mandibola, e della mia gola.
« Smettila di fissarmi » gli
dissi prima di
addentare ancora il dolce.
A volte lo faceva anche in mensa a scuola, ma non
l’aveva mai
fatto così a lungo e così intensamente.
« Scusami, non volevo imbarazzarti.
» si
scusò ma non distolse lo sguardo dalla mia bocca «
E’ che sembra così….dolce.
Così…. » si passò la lingua
sulle labbra « …saporita. »
Stava iniziando a mettermi in soggezione, e
pensai che si fosse
sbagliato ad usare il femminile, che volesse dire
“saporito” riferito al muffin. Così
posai di nuovo il dolce nel sacchetto con la promessa di recuperarlo
appena Edward se ne fosse andato. Evidentemente se ne accorse,
perché distolse lo sguardo e lo fece vagare in giro per la
stanza.
« Ti piace il viola? » mi
chiese subito dopo
« Perché me lo chiedi?
»
« Beh sai » iniziò
ad indicare cose
intorno a sé « Le lenzuola, le tendine »
« L’ha scelto Charlie prima
che mi trasferissi
»
« E tu non l’hai cambiato per
evitare che si
dispiacesse nonostante non ti piaccia. » dedusse a modo suo.
Ma era vera soltanto la prima parte.
« Non è vero che non mi
piace.
E’…carino » non ne andavo pazza, ma
poteva andar bene.
« Ma non è il tuo colore
preferito »
« No »
« E qual è? »
« Non ne ho uno » mentii.
Quella era soltanto una parte della
verità, ma per me
rappresentava lo stesso una menzogna. Sperai che non mi conoscesse
abbastanza da notarlo, perché avrebbe significato dovergli
dire tutta la dolorosa verità.
Invece strinse appena gli occhi, fissandomi. Mi
sentivo il suo sguardo
addosso, puntato in viso, nonostante io tenessi il mio puntato sulla
copertina logora di “Romeo e Giulietta”.
« Tutti hanno un colore preferito,
Bella. » non se
l’era bevuta.
Possibile che mi conoscesse già
così bene?
Possibilissimo, vista l’attenzione
quasi maniacale che mi
dedicava ogni giorno, ogni ora, e per qualsiasi cosa. Ma non potevo
rispondere a quella domanda. Non così presto.
Cosa avrei potuto dirgli in quel momento?
“Vedi
Edward,
io non ho un colore preferito per il semplice motivo che ne ho più di uno.
Uno
di questi
è il rosso: è il colore di quella che
è stata la mia seconda casa per tre anni, è il
colore che mi avvolgeva completamente la vista quando Jacob mi baciava.
Un
altro è il
ruggine con tutte le sue sfumature di rame e marrone mescolate
insieme: perché è il colore caldo e
vellutato della pelle del mio Jake.
Infine
c’è il nero, forse quello che più
preferisco fra i tre : perché mi ricorda il mare profondo,
intenso e avvolgente dei suoi occhi ; perché nera
è la cascata setosa dei suoi capelli; perché nera
è la sua moto lucente che adora; perché perfino
il suo cognome è nero; perché Jacob Black,
nonostante sia solo un ragazzo, è ammaliante, intenso,
profondo, ed eccitante come solo la notte più nera sa essere.”
« Invece io no! Ti ho detto di no.
» gli risposi
acida per scacciare via tutta la cascata di ricordi che mi stava
piombando addosso.
Me ne pentii quasi immediatamente, e alzai lo
sguardo verso di lui.
Edward mi guardava con gli occhi dorati velati di dispiacere. Quel
dispiacere glielo vedevo dipinto in volto ogni volta che mi comportavo
così, ogni volta che gli rispondevo male o che lo trattavo
rudemente per colpa di qualche ricordo, e se non ci conoscessimo
soltanto così poco, avrei giurato che fosse addolorato.
« Mi dispiace, Bella. Io…
»
« No, no, Edward. Scusami tu. A volte
sono insopportabile
»
« Non dire così. »
allungò
una mano verso di me, e mi sfiorò appena una guancia con un
dito « Sei la persona più adorabile che abbia mai
conosciuto in tutta la mia vita. »
Il suo tocco leggero e freddo sfiorò
appena la mia pelle
come una debole brezza autunnale, procurandomi un lieve brivido lungo
la schiena. Non era la prima volta che Edward mi sfiorava in quel modo.
E nonostante sapessi che non avrei dovuto permetterglielo, che non
avrei dovuto lasciare che si illudesse, non trovavo mai la forza per
sottrarmi al suo tocco.
Ogni volta che mi toccava, quel brivido mi
scorreva sotto la pelle,
donandomi la sensazione del ghiaccio che allevia la febbre, e riuscivo
quasi a sentire di volta in volta una piccola ferita bruciante
dell’animo che si rimarginava.
« Possiamo finirla qui con
l’interrogatorio
quotidiano? Sai, avremmo un saggio da scrivere » gli ricordai
« Certo, hai ragione. » diede
una rapida occhiata
alla mia copia di “Romeo e Giulietta” «
Vuoi rileggerlo brevemente per rinfrescarti la memoria? »
« Non ne ho bisogno, lo conosco
talmente bene che potrei
recitarlo dal principio alla fine anche adesso. »
Edward sollevò un sopracciglio,
sorpreso, e il suo sorriso
sghembo mi investì nuovamente con tutto il suo potere.
Certo, se faceva così non sarei stata in grado di ricordare
nemmeno il titolo del romanzo in questione.
« Mi sorprendi, Swan. »
« Credevi di essere l’unico
secchione della classe,
Cullen? » gli sorrisi anch’io divertita
« Assolutamente si. » la sua
risata musicale
riempì l’aria della camera, seguita dalla mia.
Due ore dopo ci trovavamo in una situazione che
nessuno dei due aveva
ipotizzato. Già, perché non c’erano
dubbi sulla nostra preparazione su “Romeo e
Giulietta”. Ma ciò che non avevamo messo in conto,
erano le diverse opinioni che avremmo potuto avere.
Infatti, il nostro saggio si era scritto
praticamente da solo e con
estrema facilità, fino ad un certo punto. Fino a quel
determinato punto, sul quale stavamo discutendo ormai da
un’ora. Il suicidio di Romeo.
« Almeno ammetti che ha fatto una
sciocchezza! È
stato uno sconsiderato! Uccidersi subito dopo la morte della propria
amata….che idiozia! » mi rendevo conto di essere
molto cinica a volte, ma non potevo farci nulla. « Anche
perché se tutti agissimo come Romeo la popolazione mondiale
sarebbe dimezzata dai suicidi di tutti coloro che perdono un amore. Io
stessa non sarei qui se lui fosse stato nel giusto! » mi
pentii immediatamente di ciò che avevo detto.
Mi zittii imbarazzata.
« Bella, con tutto il rispetto, non
puoi paragonare il tuo
amore a quello di Romeo » tutto mi sarei aspettata tranne
quell’affermazione.
« E tu cosa ne sai? » gli
risposi infastidita
« Ti prego non fraintendermi. Non
intendo in alcun modo
giudicare o misurare i tuoi sentimenti. E’ soltanto
che… per Romeo era diverso. »
« Diverso? »
« Tu…prova per un momento a
immaginare di essere
lui. Romeo amava talmente tanto la sua Giulietta che ha rischiato
più volte la vita per lei, per la loro unione. Prima di
Giulietta, Romeo viveva nell’assoluta malinconia…
»
« Perché amava Rosalina, una
Capuleti anche lei.
»
« Bella, lascia stare chi amasse o non
amasse. Il punto
è che Romeo prima di Giulietta semplicemente non viveva. La sua
esistenza era triste, buia, e piena di sconforto »
normalmente avrei ribattuto subito ad un argomento di letteratura,
eppure non lo feci.
In quel momento non intervenni perché
l’espressione di Edward mi catturò. Era come se
riuscissi a vedere il suo volto attraversato da quel dolore di cui
stava parlando, ed ebbi la strana sensazione che stesse parlando un
po’ anche di sé
« Giulietta è stata la sua
luce, il suo ossigeno,
l’adrenalina iniettata direttamente in un cuore
anestetizzato. Lei in un attimo, un solo attimo, gli ha ridato la vita.
Gli ha dato un motivo per il quale vivere
davvero la sua vita e non esistere semplicemente.
Giulietta è diventata l’anima di Romeo, e senza di
essa, lui non sarebbe stato più nulla. »
tirò un profondo respiro, e poi mi fissò dritta
negli occhi, aggiungendo quasi addolorato « Come avrebbe mai
potuto, anche solo pensare, di camminare su di un mondo nel quale la
sua ragione di vita non esiste? Senza Giulietta, Romeo non era nulla.
Nient’altro che un involucro di tessuti senz’anima.
»
Per un momento, un lungo momento, rimasi senza
fiato. E non fu soltanto
perché non avevo mai pensato alla vita di Romeo in quei
termini. Ma perché fui attraversata dalla improvvisa
sensazione che Edward mi avesse appena parlato di lui.
Del suo
passato. Dei suoi
dolori e tormenti. E l’intensità di quelle
sensazioni così sofferenti mi aveva investita in pieno. Per
la prima volta mi ritrovai a chiedermi chi fosse davvero Edward Cullen.
Cosa fosse accaduto realmente nel suo passato. Quale fosse stata la sua
vera vita prima di arrivare a Forks…la stessa vita che
tentava di celare dietro il suo magnifico aspetto, forse sperando che
grazie a quello nessuno si fosse mai chiesto altro su di lui.
Eppure in quel momento io stavo chiedendomi di
più. Avrei
voluto sapere tutto di lui, dei suoi tormenti, delle sue sofferenze, ma
anche dei suoi desideri, delle sue fantasie, dei suoi bisogni. In quel
preciso momento avrei voluto sapere tutto, e allo stesso tempo avrei
voluto fare qualcosa per aiutarlo.
La mia mano si mosse verso il suo viso quasi
senza che io la
controllassi e le punte dei miei polpastrelli arrivarono a pochi
millimetri dalla pelle candida e liscia delle sue guance. Poi prima che
potessi effettivamente toccarlo, Edward indietreggiò quasi
impercettibilmente, irrigidendosi.
Quella reazione, seppur minima, mi fece tornare
sui miei passi e
ritirai in fretta la mano. I nostri occhi erano ancora incatenati, e
forse fu proprio grazie a loro che ritornai sui miei passi. Per un
secondo avevo visto nel suo sguardo un velo di preoccupazione, o forse
frustrazione, non lo seppi dire con certezza. Ma quel velo era bastato
a farmi capire che non era il momento.
Distolsi lo sguardo e lo portai sul quaderno,
imbarazzata da quella
situazione e da quel silenzio così pesante. Infondo era
stata una reazione più che giustificata la sua. Fino a quel
momento aveva avuto davanti una persona diffidente, che non si era mai
ancora interessata davvero
a lui, a cosa pensasse o a cosa avesse realmente dentro.
Mi resi conto di aver sbagliato qualcosa nel
nostro rapporto. Avevo
preso, preso e ancora preso, tutto quanto potesse servirmi a non
pensare, senza mai dare qualcosa in cambio. E mi sentii davvero in
difetto nei suoi confronti. Alzai per un secondo lo sguardo verso di
lui, ed inaspettatamente lo trovai sorridente. Di quel sorriso sghembo
che poteva avere mille significati, ma che in quel momento sembrava
volermi dire “E’
tutto okay”.
Allungò una mano al mio quaderno e se
lo portò
avanti. Rilesse ciò che avevo scritto e strizzò
gli occhi
« Tu dovresti ricominciare a riempire
le paginette con le
lettere. Come all’asilo » commentò la
mia grafia davvero orribile e disordinata.
Poi mi guardò ancora sorridendo,
apertamente stavolta. E
ancora una volta, come tutte le volte, non riuscii a non sorridere di
rimando a quella visione così angelica. Mi sentii davvero
grata nei suoi confronti, per aver appena spazzato via con tanta
facilità il mio momento di imbarazzo.
« Penso sia meglio che continui a
scrivere io,
così almeno abbiamo qualche possibilità che il
professor Barnes apprezzi quantomeno la fine del nostro saggio.
»
Poi prese la penna, e riempì le
successive righe con la sua
grafia perfetta ed ordinata, concludendo il nostro saggio
nell’unico modo possibile:
Romeo aveva ragione. Romeo era stato perfetto.
Quella sera stessa, dopo che Edward se ne fu
andato, cenai con Charlie
come al solito, e fu quando mi trovavo già nel letto che
successe.
Stavo quasi per addormentarmi quando li sentii
per la prima volta.
Dei lupi ululavano.
E uno di loro lo faceva più vicino
degli altri.
Angolo autrice : PER FAVORE recensite !!
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Capitolo 25 *** CAPITOLO 20 - Opportunità ***
CAPITOLO
20 – “Opportunità”
Sapevo
esattamente
cosa fare.
Ci avevo pensato su tutta la mattina. Da quando
mi si erano aperti gli
occhi qualche ora prima, all’alba. Avevo cercato di aspettare
che si facesse un orario più consono al sabato mattina, ma
alla fine non avevo resistito oltre, e alle 8:00 spaccate avevo inviato
un sms ad Edward.
Per la prima volta dopo tanto tempo, quella
mattina ero stata sincera
con me stessa. Avevo riconosciuto la rabbia latente che mi portavo
dietro nei confronti di Jacob, per essere scappato via da me, senza
nemmeno parlarmi, come se non meritassi nemmeno una sola parola. Avevo
ammesso che ormai il muro che avevo costruito con tanta ostinazione fra
me ed Edward era palesemente crollato. Ed infine, avevo capito che
volevo parlagli. Volevo dirgli che con me poteva alleggerire il peso
che si portava dentro, se avesse voluto. Dirgli che volevo sapere tutto
di lui, e raccontargli tutto di me. Fargli capire che volevo conoscere
la sofferenza che vedevo fare capolino nei suoi occhi, e non solo.
Volevo spazzarla via, volevo annullarla, volevo compensarla
regalandogli qualcosa che cercava. Perché io sapevo che Edward
stava cercando qualcosa, lo sentivo.
Ma ovviamente, da brava Swan quale ero, non avrei
mai trovato il
coraggio di parlargli tanto apertamente di cose così
profonde. Quindi avevo trovato un’altra strada, avevo
aggirato l’ostacolo. Mi stavo affidando ancora una volta alla
mia leale compagna di sempre.
E la stringevo fra le mani proprio in quel
momento, in piedi accanto
alla scrivania nella mia stanza.
Guardai ancora una volta quel piccolissimo i-pod
bianco, per poi
avvolgerlo nel pugno ed infilarlo nella tasca della felpa. Avevo dato
appuntamento ad Edward di lì a poco sotto casa mia.
L’avrei portato nel mio posto speciale, e avrei cercato di
parlargli attraverso la musica, con una canzone che sembrava essere
stata scritta soltanto per me, anzi, sembrava essere stata scritta
proprio da me.
Scesi le scale con passo un po’
pesante, salutai con un
sorriso Charlie che era seduto al tavolo della cucina a bere
caffè, ma non mi fermai.
« Bells aspetta, vieni qui. »
Tornai indietro sui miei passi e mi affacciai
oltre la porta
« Dimmi papà. »
« Esci? »
« Già. » annuii
« Non avresti un momento? »
era strano, mi pareva
quasi sornione e soddisfatto, non sembrava il solito.
« Certo. Qualcosa non va? »
Charlie ridacchiò appena e prese un
sorso di
caffè dalla grande tazza blu che teneva nella mano sinistra,
poi con quella destra mi fece cenno di avvicinarmi
« Vieni e siediti. »
Mi scostai i capelli dietro l’orecchio
e mi avvicinai
titubante. Charlie mi indicò la sedia di fronte a lui e io
mi sedetti.
Fu in quel momento che la notai. Una busta da
lettere bianca.
Completamente bianca, senza scritte n’è timbri. In
quel momento mi balzò il cuore in gola. Sperai
istantaneamente che fosse una lettera di Jacob, ma allo stesso tempo
temevo che fosse così. Restai a fissare la busta davanti a
me trattenendo il respiro per un tempo che mi sembrò
interminabile.
« E allora? Cosa fai, non la apri?
» sorrideva
soddisfatto sotto i suoi folti baffi neri.
« S-si, certo. » ma in
realtà non mossi
un muscolo. N’è tantomeno staccai gli occhi dalla
candida superficie levigata.
« Guarda che non morde mica!
» ridendo si
allungò sul tavolo, voltò la busta e poi
picchiettò con l’indice ruvido sul timbro postale
che ora faceva mostra di sé « Ha fatto un lungo
viaggio, ma non abbastanza da farsi crescere i denti »
E da quando Charlie era di così buon
umore da fare delle
battutacce?! Lessi il timbro postale e mi rilassai sullo schienale
della sedia. Florida.
Sospirai con un sorriso amaro che mi increspava
le labbra. Stupida!
Davvero avevo pensato che potesse essere Jake? Che mi degnasse di
ricevere sue notizie o di dirmi due parole? Complimenti Isabella, ti
sei aggiudicata l’ennesimo trofeo di idiota
dell’anno! Presi la busta dal tavolo e l’aprii,
scacciando ancora una volta le mie false ed inutili speranze.
« Oh mio Dio » esclamai
quando ne tirai fuori il
contenuto.
Un biglietto aereo per la Florida utilizzabile
nell’arco di
un anno. Controllai meglio nella busta, ma non c’era altro,
nemmeno un biglietto, anche se sapevo benissimo chi fosse il mittente.
« Ma è impazzita!?
» chiesi a Charlie
mentre ridevo.
Era davvero impazzita mia madre! Non sapevo come
potesse permettersi di
regalarmi un biglietto aereo, ma ero davvero felice. Non me lo sarei
mai aspettata, e non avrei francamente potuto permettermelo. Sarei
potuta saltare su un aereo e andare dalla mia pazza mamma, era
fantastico!
« A quanto pare si » Charlie
si unì alle
mie risa « E l’ha anche dovuto comprare due volte
»
« Due volte?? » domandai
ancora più
sorpresa, mentre il sorriso che mi illuminava il volto non aveva la
minima intenzione di andar via
« Aveva spedito il biglietto in modo
che ti arrivasse per il
tuo compleanno, ma a quanto pare è andato perso insieme ad
altra posta. Così ne ha comprato un altro e te
l’ha rispedito. Ma nel frattempo torturava me ogni giorno per
sapere se fosse arrivato. »
« Era con lei che parlavi ieri al
telefono? »
« Purtroppo si. Ieri come ogni giorno
di tutte le settimane
precedenti. Credo fosse sull’orlo di una crisi di nervi
»
Ridemmo entrambi a quell’immagine della
mamma così
realistica. Quasi riuscivo a vederla attaccata al telefono in pieno
panico, mentre camminava su e giù per una stanza.
« Devo chiamarla! »
I primi cinque minuti di quella telefonata
trascorsero con
Renée che urlava felice e mi tempestava di domande senza
nemmeno aspettare le mie risposte, e me che ridevo della sua solita
follia. Quando finalmente si fu calmata la rimproverai per aver speso
così tanto e lei mi disse di non preoccuparmi, poi parlammo
di qualsiasi cosa le venisse in mente, e così in poco meno
di un quarto d’ora le avevo raccontato di tutto. O
quasi….non le avevo detto di Jacob.
« E così non hai
più scuse,
pasticciona! Quando verrai a trovare la tua povera vecchia mamma?
»
« Mamma, tu non sei vecchia »
« Disse la figlia di ormai 18
anni… »
« Non sono poi così tanti 18
anni! »
« Per te che li compi! »
« Già, ma tu avevi
esattamente la mia
età soltanto
diciotto anni fa. »
« Ehh….va bene
d’accordo mi hai
convinta. Sono una ragazzina! » risi perché sapevo
benissimo che era lì che voleva arrivare sin
dall’inizio « Ma, sciocchezze a parte, quando ti
vedrò comparire sotto la soglia di casa mia? Non sei ansiosa
di sfuggire per un po’ alle nebbie della tristissima Forks??
»
A quella domanda ripensai all’i-pod che
tenevo nella tasca
della felpa, ed istantaneamente mi sembrò che pesasse quanto
un libro. Riuscivo a sentire la sua consistente presenza premermi sul
fianco. Era il peso dell’importanza.
Quel piccolo aggeggio racchiudeva tutta la
valenza della mia vita a
Forks in quel momento. Al pensiero di poter partire anche
immediatamente mi fu subito chiaro che se avessi ricevuto quel
biglietto appena un mese prima, quando Jacob mi aveva lasciata, non ci
avrei pensato su due volte a saltare sul primo aereo. Sarei fuggita da
tutto e tutti almeno per un po’. Invece in quel mese erano
cambiate così tante cose : in me era cresciuta la rabbia nei
confronti di quel gesto tanto immaturo da parte di Jacob; io e Angela
ci eravamo unite ancora di più; e poi c’era stato
Edward.
Edward mi si era avvicinato, avevamo iniziato a
conoscerci, e io avevo
scoperto soltanto il giorno prima di volere una parte più
importante nella sua vita. Giusto quel mattino avrei mosso il primo
passo per scoprire cosa custodisse dentro.
No, un mese prima sarei saltata sul primo aereo,
ma non in quel
momento. In quel momento ebbi la conferma che la mia vita a Forks era
appena ricominciata, avevo di nuovo uno scopo, avevo di nuovo degli
interessi, e soprattutto, avevo qualcuno di cui occuparmi.
Così infilai la mano in tasca e
strinsi tra le dita il
piccolo i-pod.
« Verrò presto,
mamma…..ma non adesso.
» quasi non mi resi conto del tono sicuro con cui pronunciai
quelle parole.
Renèe ovviamente se ne accorse, e
forse spinta dai sensi di
colpa per avermi lasciata a Forks da sola, a vivere la mia vita con
Charlie, non indagò oltre.
« Oh, certo. Certo tesoro, quando vuoi!
Io ti
aspetterò a braccia aperte. Perché la mamma ti
ama tanto. Lo sai vero? » sentii la sua vocina tremare appena.
Sapevo cosa significava : allarme lacrime in
arrivo!
« Mamma?...no! non farlo! »
« Beeeells… » si
lamentò
quasi squittendo come un topolino
« No no no no no »
« Belliiiiiinaaaa » la vocina
sempre più
acuta e tremolante di lacrime ormai era davvero troppo comica perfino
anche per me.
Così scoppiai a ridere, mentre lei di
rimando scoppiava in
lacrime.
« Mamma sei sempre la solita!
»
« Ma tu mi manchi così
taaaaaanto »
piangeva come una fontana
« Anche tu mi manchi tanto, ma non
faccio i capricci, io
! »
La sentii tirare su col naso e poi mi rispose
quasi subito «
Si, hai ragione »
« Ecco, da brava. Pensa che ormai ho
tra le mani un
bellissimo biglietto aereo che userò al più
presto per venire da te. »
« Già, è vero
» si
schiarì la voce, e avrei scommesso la testa che stesse
sorridendo « quando imparerò che sono io
l’adulta della situazione e non tu? »
« Mai, mamma. Semplicemente
perché non
è vero. Sono io l’adulta. »
« Forse » rise appena e
così feci
anch’io.
« A presto, mamma. »
« Ciao tesoro, ti voglio bene.
»
« Anch’io. »
« Saluta Charlie per me »
« Tu fa lo stesso con Phil »
« D’accordo. Ciao ciao Bells.
»
« Ciao mamma…..e attacca!
»
« Uuufff…va
bene……al tre?
» mi domandò titubante ed io risi. Non sarebbe mai cresciuta.
« Al tre »
« Uuuuunoooo….
»disse con una lentezza
da far invidia ad una moviola.
« Due » risposi immediatamente
« Eh no così non vale! Non
c’è suspance! »
« Mamma….. »
sospirai avvilita
« Va bene, va bene, TRE! Ciao amoreeeee
»
parò velocissimamente e mi gridò
l’ultima parola, prima di attaccare.
Salii al piano superiore ancora sorridendo per la
mia folle mamma, e
attaccai il biglietto aereo con una puntina rossa alla bacheca di
sughero appesa sulla scrivania.
Quando uscii di casa Edward era già
lì che mi
aspettava, elegantemente poggiato alla sua Volvo scintillante. Era,
come al solito, di una bellezza quasi vergognosa!
« Scusami, aspetti da molto?
» lo raggiunsi e lui
mi salutò con il solito baciamano.
Sapevo benissimo che in realtà il
baciamano, nel ventunesimo
secolo, avrebbe potuto essere descritto in qualsiasi modo tranne che
“solito”. Ma se nella tua vita c’era
Edward Cullen, con i suoi modi da gentiluomo compassato, allora
“solito” era l’aggettivo giusto.
« Affatto, sono appena arrivato
» mi
lasciò la mano e sul suo volto si aprì uno
splendido sorriso « A cosa devo l’onore di questo
appuntamento, signorina Swan? »
« Vedrai, Cullen » gli
sorrisi di rimando e mi
strinsi un po’ nel cappotto. L’inverno ormai
avanzava a grandi passi, e il vento di quella mattina lo testimoniava.
Edward si accorse del mio gesto.
« Ho tenuto acceso il riscaldamento
»
aprì la portiera del passeggero indicando con una mano il
caldo interno dell’abitacolo.
« Non sai quanto sia invitante in
questo momento. »
sospirai appena, sognando di sprofondare in quei caldissimi e
morbidissimi sedili in pelle « Ma oggi niente auto »
« Niente auto? » mi
sembrò abbastanza
sorpreso.
« Mh, mh » annuii
vigorosamente, con un mezzo
sorrisetto ed un sopracciglio alzato.
« Niente auto. »
accettò con un sorriso
e richiuse la vettura.
« Vieni con me » infilai le
mani nel pesante
giaccone blu e mi incamminai.
Edward mi raggiunse in pochi passi «
Dove stiamo andando?
»
« Ho detto che lo vedrai, Edward. Non
iniziare ad
ossessionarmi di domande. » risi divertita mentre giravo
intorno a casa mia.
« Agli ordini, capo. »
Angolo autrice : PER FAVORE recensite !!
|
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Capitolo 26 *** CAPITOLO 21 - Undisclosed Desires ***
Buonasera
a tutte....sono qui per aggiornare anche se con una certa amarezza. E'
davvero triste vedere che per un'altra storia che scrivo, ho pubblicato
un capitolo dopo molti mesi che non l'aggiornavo e.....in pochi giorni
ha ricevuto più del doppio delle recensioni che ricevo per
questa storia. E' stato inevitabile chiedermi : ma allora è
la mia
storia, questa
storia che non funziona.
Sono davvero molto delusa da me stessa. Però cosa
dirvi.....io ne sono innamorata, e so bene che sono di parte, ma non
potrei mai abbandonarla. Peccato.
Tornando al capitolo.....come noterete dal titolo, è da qui
che è nato tutto. Da quando la prima volta ho ascoltato
questa magnifica canzone, e ho visto
questa scena nella mia mente. Da allora vi è nata una storia
tutto intorno, che non nego di aver modificato e addirittura
trasformato molte volte.....ma alla fine è diventata quello
che è oggi e che sarà domani. Come sempre....non
sono soddisfatta del risultato, per questo capitolo meno che mai, ma
spero possa piacervi.
HO UNA COSA DA
CHIEDERVI : So bene che ognuna di voi conosce questa canzone alla
perfezione, ma quando giungerà il momento nella
lettura....vi prego di aprire comunque il link che troverete e di
continuare a leggere con la canzone in sottofondo. Vorrei tanto che
riusciste a vedere il momento
così come l'ho visto io.
Detto questo......buona lettura, e spero tanto di leggere
qualche recensione
CAPITOLO 21 – “Undisclosed
Desires”
Non
seguivo nessun sentiero, nessuna strada battuta, eppure la trovavo ogni
volta sin da quando ero piccola. Mi incamminavo tra i fitti alberi sul
retro di casa Swan ogni volta che volevo rimanere sola con i miei
pensieri, o quando volevo semplicemente un posto per tranquillizzarmi,
magari con un buon libro. Ed ogni volta mi ritrovavo lì.
Lentamente
tra
i fitti alberi e gli spessi arbusti ai loro piedi spuntava ad ogni
passo qualche ciuffo d’erba sempre più verde, fin
quando, quasi come in un incantesimo, mi ritrovavo con un piede tra i
tronchi degli alberi ed uno tra l’erba alta e rigogliosa. Gli
alberi in quel punto lasciavano spazio soltanto ad una piccolissima
radura verdeggiante, perfettamente circolare e piena di piccolissimi
fiori lilla e azzurri.
Era
uno
spettacolo da fiaba, uno di quei posti talmente magici da convincerti
che il sovrannaturale esiste davvero. Uno splendido, perfetto e
fiabesco angolo di paradiso che spuntava all’improvviso
proprio lì, sotto i miei occhi. Ed ogni volta ne rimanevo
basita, quasi come se mi aspettassi che da un momento
all’altro quella piccola radura dovesse popolarsi di creature
fantastiche.
Quando
la
raggiunsi quel mattino rimasi per un momento al limitare degli alberi
ad ammirarla, come facevo ogni volta. Poi mi voltai verso Edward che,
alla mia sinistra, un passo più indietro, la ammirava con lo
stesso sguardo rapito che dovevo avere anch’io la prima volta
che la scoprii.
«
Ti
piace ? »
«
E’ incantevole » continuava ad ammirarla
affascinato, non l’avevo mai visto così stupito.
Mi
mossi e
raggiunsi piano il centro della piccola radura, dove mi inginocchiai
per carezzare l’erba morbida e i fiori profumati. Quando mi
voltai vidi che Edward era ancora fermo tra gli alberi.
«
Hai intenzione di rimanere lì ancora per molto? »
Sorrise
imbarazzato a capo chino, prima di sollevare lo sguardo nel mio
«
Posso? » chiese indicando la radura con un gesto morbido
della mano
«
Certo che puoi ! non è proprietà privata, non
dovresti chiedere il permesso a nessuno »
Si
avvicinò lentamente, cauto. Come se stesse attento a dove
mettesse i piedi, quasi a non voler intaccare nulla di quel piccolo
paradiso. Mi raggiunse ed io mi sollevai di nuovo in piedi.
«
Questo posto mi sembra così…..tuo che non avrei
mai potuto entrarvi senza prima chiederti il permesso » i
suoi occhi erano immersi nei miei.
Oro
splendente
nella terra bruna .
«
Se
non ti avessi voluto qui, non ti ci avrei mai portato.» gli
sorrisi imbarazzata.
Edward
era il
ragazzo più intelligente che avessi mai conosciuto, per
questo a volte mi sembrava così assurdo dovergli spiegare
cose tanto ovvie. In genere queste cose riguardavano tutte quante me.
«
Mi
dispiace soltanto che oggi non ci sia il sole. Dovresti vederla nelle
giornate assolate, è ancora più bella »
mi guardai intorno e poi tornai a guardare lui, che teneva ancora gli
occhi fissi su di me.
«
Non è necessario il sole per far risplendere un luogo. Ci
sono persone che soltanto con la loro accecante presenza rendono ogni
cosa luminosa.»
«
Già » sussurrai. Non avrei potuto rispondere
altrimenti al cospetto dei suoi occhi dorati.
Gli
stessi
occhi che quel giorno mi sembravano particolarmente luminosi, accesi,
con una scintilla che non avevo ancora avuto modo di vedere prima di
allora. Mi chiesi quale fosse il motivo di tanta vitalità in
quegli occhi in genere sempre velati di inquietudine. Edward
corrucciò appena le sopracciglia, come a chiedermi
cos’avessi, perché lo stessi fissando.
Così gli sorrisi
«
Bel giubbotto » gli dissi indicando il pesante giubbotto
imbottito, blu, che gli stava d’incanto
«
Ma
se è uguale al tuo » mi rispose ridendo
In
effetti era
vero, e la mia era una battuta.
«
Appunto! » risi anch’io e le nostre voci
risuonarono nella piccola radura silente.
Mi
sembrò così strano. Lì ci ero sempre
stata da sola. Non vi avevo mai portato nemmeno Jacob. A quel pensiero
lo stomaco mi si chiuse in una morsa e mi mancò
l’aria per qualche secondo, come ogni volta che pensavo a
lui. Poi quasi istantaneamente riaffiorò la rabbia cocente
che provavo nei suoi confronti.
«
Cos’hai? » Edward si avvicinò di un
passo, posandomi una mano sulla spalla
«
Nulla, perché? »
«
Sei impallidita. Sicura di sentirti bene? Vuoi che ti riporti a casa?
Posso andare a recuperare l’auto e portarti da mio padre
se…»
«
Shhh!! Edward!! » alzai la voce più della sua e
risi di gusto « Mio Dio! Sto bene.» a volte era
davvero eccessivo e mi metteva ansia solo a sentirgli sputare fuori a
raffica tutta una serie di domande pressanti ed incalzanti come quelle.
Rise
leggermente anche lui, espirando forte « Si, scusa
» si passò una mano tra i capelli.
Ogni
volta che
lo vedevo compiere quel gesto sentivo l’improvviso bisogno di
farlo anch’io, di immergere le dita in quelle onde
disordinate e lucenti. Avevo l’idea che dovessero essere
morbidissimi.
«
E…c’è un motivo in particolare per cui
mi hai portato qui? » mi chiese incerto
«
Veramente si » staccai gli occhi dalla sua chioma ramata e
cercai di riprendere il controllo della situazione.
Possibile
che
ogni volta che lo guardavo andava a finire sempre così? Con
me imbambolata a fissargli gli occhi, i capelli, la bocca e
quant’altro? Edward era decisamente ipnotico e questa sua
caratteristica mi aveva sempre infastidito molto. Odiavo perdere ogni
contatto con il resto del mondo quando lo guardavo, mi faceva sentire
impotente, inerme ed in balia di qualcosa di molto più
grande di me. Però da quando Jacob era sparito riuscivo a
trovare veramente sollievo da ogni dolore solo quando lo fissavo, senza
pensare ad altro. E quando il dolore per la partenza di Jake si era
trasformato in rabbia nei suoi confronti, il perdermi nella bellezza di
Edward era diventato una nuova sicurezza. Quei momenti erano diventati
pace, tranquillità, serenità. Momenti in cui
spariva ogni rabbia, ogni amarezza, ogni delusione, e in cui subentrava
un immediato sollievo. Quindi ormai accoglievo quel dolce rapimento di
sensi come un dono, un regalo, qualcosa di unico e speciale. In quel
momento mi sentii ancora più grata a Edward, per la pazienza
che aveva avuto con me, per il tempo che mi aveva dedicato, per tutte
le attenzioni e perfino per quel dono speciale che aveva rinnovato
appena pochi attimi prima.
«
Decisamente si. » confermai sorridendogli.
Mi
sbottonai
il giubbotto e fui investita dall’aria gelata di quel
mattino. Infilai una mano nella tasca della felpa in cerca
dell’i-pod e con una smorfia guardai il cielo. Era quasi del
tutto bianco, ed io avevo imparato bene a riconoscere il motivo di quel
colore così particolare.
«
Cielo di neve » dissi quasi balbettando dal freddo ad Edward
Lui
alzò lo sguardo a sua volta e sorrise
«
Mi
piace la neve »
«
Hmmm » feci spallucce « Si, anche a me »
tirai fuori l’i-pod dalla felpa e richiusi la zip del
giubbotto rabbrividendo dalla testa ai piedi « Sempre meglio
della pioggia »
Srotolai
il
filo delle cuffie ed iniziai ad armeggiare con i pulsanti in cerca
della canzone, tutto sotto lo sguardo attento di Edward. Quando
l’ebbi trovata, lui era ancora lì che mi osservava
con un cipiglio curioso, apprezzai molto il fatto che non mi avesse
incalzato con le sue solite domande. Così presi coraggio e
cercai di dire almeno due parole per spiegargli la situazione.
«
Ascolta, Edward, io……..io sono una Swan
» feci una breve pausa e vidi sul suo volto nascere un
sorriso divertito accompagnato da una domanda.
Sollevai
prontamente una mano per indicargli di non interrompermi e lo fissai
dritto negli occhi. Edward comprese, infilò le mani in tasca
sospirando, spostò il peso sulla gamba destra e
piegò leggermente il volto, come a dirmi che mi ascoltava.
Così proseguii
«
E
più passo il tempo con Charlie, più me ne rendo
conto. Lo vedo quando arrossisce di fronte ad argomenti imbarazzanti.
Così come vedo le parole fermarglisi in gola quando vorrebbe
affrontare un discorso serio. E in tutte queste cose mi riconosco,
rivedo me e le mie reazioni alle stesse situazioni. Certo, mi rendo
conto che è un modo di fare che non va bene, e che non porta
da nessuna parte. Però io sono così. Sono una
Swan e credo che questo non cambierà mai. » mi
passai una mano gelata tra i capelli in cerca delle parole per
proseguire quel discorso e pensai che più cercavo di trovare
quelle giuste, più queste mi morivano in gola.
Così sbuffai, afflitta, e continuai di getto
«
Avrei molte cose da dirti, ma non ci riesco, e questo è
frustrante. Le cose tra noi non sono filate sempre lisce
ma….è un po’ di tempo che tutto va
bene, che tutto va per il verso giusto. E questo è tutto
merito tuo. Fosse per me staremmo ancora a chiamarci per cognome, o
peggio, a non rivolgerci la parola. » dalle labbra secche mi
uscì una piccola risata che mi sciolse un po’ i
nervi
«
Tu
sei venuto incontro a me in tutto. Mentre io non ho fatto nemmeno un
passo verso di te » lo guardai.
Edward
aveva
dipinta in volto l’espressione più contrariata del
mondo, era evidentemente di un altro parere. Ma ancora una volta non mi
interruppe, permettendomi di continuare
«
Me
ne sono accorta da poco, troppo poco forse. Però anche io ti
ho guardato in questi mesi, e ho visto qualcosa in te.
Qualcosa di cui non riesco a parlarti senza che la Swan che sono
prevalga su Bella »
Mi
mordicchiai
le labbra rinsecchite dal freddo senza sapere come continuare, ero
arrivata al punto in cui le parole si rifiutavano di collaborare.
« Quindi se tu, oggi, me lo permetterai, vorrei iniziare a
rimediare alla mia mancanza » Infilai una cuffietta nel mio
orecchio, poi presi l’altra tra le dita e guardai Edward
«
Posso? » gli chiesi sottovoce e sentii le guance scaldarsi.
Se
non avesse
fatto tutto quel freddo le avrei sicuramente sentite ardere.
«
Certo » mi rispose Edward con un sorriso sulle labbra.
Si
chinò leggermente per permettermi di arrivare al suo
orecchio. Gli infilai la cuffietta e poi guardai ancora i suoi occhi,
così vicini ai miei, nei quali brillava ancora
più forte la scintilla vitale che vi avevo visto quella
mattina.
Fu
in quel
momento che mi resi conto dell’atmosfera surreale che
aleggiava nell’aria. Per un secondo riuscii a vederci
dall’esterno : due ragazzi avvolti in cappotti blu, vicini,
in piedi nel centro esatto di una radura magica e silente, avvolti
dall’aria gelida e dal cielo bianco che precedono la neve.
E
fu
esattamente in quel momento così surreale che cambiai per
sempre le nostre vite, schiacciando soltanto il tasto Play.
CLICCA
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CANZONE DURANTE LA LETTURA.
Le
prime note presero vita dalla tastiera sintetica, avvolgendoci
completamente, riempiendo il nostro silenzio. I nostri occhi erano
incatenati, ogni muro abbattuto, ogni difesa sbaragliata, pronti per
affrontare la sincerità nascosta sotto tanta paura.
Poi,
la voce di Matthew Bellamy si librò gentile e piena tra di
noi
I
know you've suffered
But
I don't want you to hide
Nei
suoi occhi dorati vidi un lampo di sorpresa, poi li abbassò
corrucciando le sopracciglia
It's
cold and loveless
I
won't let you be denied
Il
suo volto perfetto non riuscì a trattenere una smorfia quasi
di dolore, con gli occhi ancora fissi a terra.
Soothing
I'll
make you feel pure
Le
mie mani si mossero da sole, raccogliendo il suo viso e sollevandolo
Trust
me
You
can be sure
Finalmente
i suoi occhi feriti si intrecciarono ai miei , forti, sicuri,
determinati.
I
want to reconcile the violence in your heart
La
mia mano scivolo’ sul suo giubbotto, posandosi sul suo cuore
I
want to recognise your beauty's not just a mask
L’altra
mano carezzò lenta la sua guancia perfetta, che si
increspò sotto l’effetto del suo miglior sorriso
sghembo
I
want to exorcise the demons from your past
Lo
sentii sospirare forte, sotto il peso di quelle parole, ma i miei occhi
non abbandonarono i suoi
I
want to satisfy the undisclosed desires in your heart
Mi
avvicinai ancora di più, i nostri giubbotti si sfioravano in
un morbido fruscio
You
trick your lovers
That
you're wicked and divine
Entrambi
sorridemmo, imbarazzati, ed io pensai che non ci fosse aggettivo
migliore di “divino” per descriverlo
You
may be a sinner
But
your innocence is mine
La
sua mascella si contrasse, forse per un punto dolente della sua anima,
della sua storia. Ma io non ne potevo più di tutto quel
dolore. Non sul suo splendido viso.
Please
me
Show
me how it's done
Le
mie mani decise afferrarono il suo giubbotto, i miei occhi affondarono
ancora di più nei suoi
Tease
me
You
are the one
Edward
fu attraversato come da una scossa di vita, mi afferrò per i
fianchi e mi sollevò, facendo poggiare i miei piedi sui suoi.
I
want to reconcile the violence in your heart
Socchiuse
appena gli occhi, ed iniziò ad ondeggiare lentamente,
seguendo la melodia avvolgente.
I
want to recognise your beauty's not just a mask
Mi
strinse ancora più forte, ammaliandomi con il suo sguardo
più intenso, nel quale mi persi abbandonandomi a quella
morbida danza
I
want to exorcise the demons from your past
Delicati
e candidi, dei fiocchi di neve iniziarono a cadere tutti intorno a noi,
sui nostri capelli, sui nostri volti, sui nostri corpi stretti.
Iniziarono a danzare con noi, e il mio respiro accelerò,
così come il mio cuore
I
want to satisfy the undisclosed desires in your heart
Edward
non smise di ondeggiare leggero. Una sua mano risalì lungo
tutta la mia schiena, andando ad immergersi pallida nelle onde scure
dei miei capelli, poco sotto la nuca. Quel tocco gelido e
così intimo mi fece sussultare, forte. Un brivido di vita mi
attraversò tutto il corpo tornando a scompigliarmi il cuore
e lo stomaco.
Please
me
Avvicinò
il suo viso al mio, molto lentamente, e il suo respiro freddo
solleticò il mio naso
Show
me how it's done
Strofinò
piano il suo naso contro la mia guancia sospirando forte
Trust
me
«
Trust me » le
mie labbra ripeterono in un sussurro spezzato, le mie mani si strinsero
forte alla sua schiena
You
are the one
«
You are the one » le
sue labbra ripeterono in un gemito, sfiorando le mie
I
want to reconcile the violence in your heart
E poi......tutto esplose. Le sue
labbra morbide e fredde si poggiarono delicatamente sulle mie,
baciandomi come non ero mai stata baciata.
I
want to recognise your beauty's not just a mask
E
le mie labbra si mossero con le sue, lente e caute. Fui invasa dal
sapore e dal profumo di Edward fin dentro le ossa, mentre ondeggiavamo
lenti sotto la neve.
I want to exorcise the
demons
from your past
Edward
schiuse appena la bocca, trasportato dall’avvolgenza della
melodia che ci accompagnava complice in quel momento.
I
want to satisfy the undisclosed desires in your heart
Colsi
il suo invito con trasporto, accogliendolo nella mia bocca come un
sorso di acqua fresca. Le nostre labbra si strofinavano, le nostre
lingue si sfioravano appena, la sua mano fredda si muoveva tra i miei
capelli e le mie nei suoi.
Mentre
le
ultime note della canzone ci lasciavano, il momento non perse la sua
magia. Tutto intorno a noi continuavano a vorticare indiscreti i
morbidi fiocchi di neve…..e noi continuavamo ad ondeggiare,
lenti, flessuosi, accompagnando con il resto del corpo la dolce danza
intrapresa dalle nostre bocche, dalle nostre mani.
In
quel
momento mi sentii di nuovo viva, rinata, sotto il tocco freddo delle
sue mani, rapita dal gentile movimento delle sue labbra. Edward era la
mia sorgente di acqua pura e purificatrice, il suo tocco premuroso e
gelido rimarginava ogni ferita bruciante lasciata dal calore di Jacob,
il suo respiro gelido donava nuova vita ai miei polmoni arsi dal fuoco
dell’assenza di Jake. Ma soprattutto la sua pelle fredda
sulla mia ,così profondamente diversa da quella bruciante
del mio Jacob, mi provocava brividi di estasi pura
riportandomi alla vita…..andava a sanare, riempire, e
medicare i resti bruciacchiati del mio cuore, di ciò che ne
rimaneva dopo l’incendio costante del mio sole personale.
Edward
mi
stava amando.
E,
nel suo
essere l’opposto di ciò che mi aveva distrutta,
stava facendo rinascere me, i miei sentimenti, e tutto quanto di buono
poteva ancora esserci in me.
Anch’io,
forse, quel giorno, iniziai ad amare a modo mio Edward Cullen.
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Capitolo 27 *** CAPITOLO 22 - Confessioni ***
CAPITOLO 22 – “Confessioni”
Fu Edward
per primo ad interrompere quel bacio. Non ci ero abituata,
con Jacob ero sempre stata io la prima a tornare con i piedi per terra.
Quando le sue morbide labbra infreddolite abbandonarono le mie, aprii
gli occhi. Mi mancò il fiato nel ritrovarmi immersa nella
pozza dorata dei suoi occhi, quegli occhi che ora erano così
diversi dal solito! Così vitali, così limpidi,
così felici.
In
me vi era il riflesso della sua stessa felicità. Avevo
temuto che nel riaprire gli occhi tutta la magia di qualche attimo
prima sarebbe svanita. Invece no. Invece eccoci ancora lì,
abbracciati, a perderci l’uno negli occhi
dell’altra, sotto la pigra nevicata che stava imbiancando la
piccola radura.
Baciare
Edward era stato magnifico, potevo ancora sentirne il dolce sapore tra
le labbra, ma in quel momento mi sentii avvampare
dall’imbarazzo. Non sapevo cosa dire, cosa fare, era il primo
ragazzo che baciavo dopo Jacob…dopo il mio primo vero ragazzo.
Abbassai
gli occhi ai nostri piedi e sentii Edward ridere debolmente. Mi
massaggiò delicatamente la nuca, dove teneva ancora poggiata
la mano, prima di parlarmi a bassa voce
«
Cosa fai? Ti vergogni? » la sua voce parve accarezzarmi ogni
muscolo, ed istantaneamente mi sciolsi. Sollevai di nuovo gli occhi nei
suoi
«
Non più adesso » gli sorrisi di rimando e poi
Edward mi baciò ancora.
Fu
un bacio rapidissimo, un semplice sfioramento di labbra, molto
delicato, ma mi sentii comunque tremare le ginocchia a quel contatto.
Accidenti
baciare Edward era l’esperienza più assurda che
avessi mai fatto in tutta la mia vita! Se fino a poco tempo prima
pensavo che mi rapisse i pensieri il solo guardarlo…..beh,
il baciarlo mi fece completamente cambiare idea. Ogni volta che il suo
volto perfetto si avvicinava al mio smettevo di respirare, smettevo
perfino di pensare. Mi rapiva totalmente, ipnotizzandomi ed
annullandomi nella sua perfezione.
Sciolse
l’abbraccio e mi fece scendere dai suoi piedi, porgendomi la
cuffietta che aveva indossato fino a quel momento. La presi, tolsi
anche la mia e riposi l’i-pod nella tasca del giubbotto
mentre Edward si metteva seduto sul prato ormai quasi del tutto
imbiancato. Lo imitai e rimanemmo in silenzio per un pò,
semplicemente seduti l’uno accanto all’altra.
Fissava
accigliato un punto davanti a sé da un bel pezzo quando mi
prese una mano tra le sue, lentamente, senza guardarla. Sperai che non
si fosse dimenticato del motivo fondamentale per il quale
l’avevo portato lì, quello che avevo lasciato che
gli dicesse Matthew Bellamy al posto mio.
«
Non è facile per me parlare della mia vita » disse
tutto ad un tratto, spiazzandomi completamente. Non mi guardava, si
limitava a massaggiare delicatamente il dorso della mia mano con un
pollice
«
Di me puoi fidarti »
«
Lo so » mi rispose rivolgendomi per un breve istante un
dolcissimo sorriso
«
E allora non hai nulla da temere » lo incitai
«
Non è così semplice, Bella. Io
non….» sospirò avvilito, chinando
brevemente la testa
Mi
avvicinai a lui e poggiai la testa alla sua spalla
«
Vorrei tu capissi che non m’importa nulla di quello che mi
dirai » gli dissi.
Edward
fu visibilmente spiazzato da quella mia affermazione, si
scostò brevemente da me, in modo che sollevassi la testa dal
suo braccio e lo guardassi negli occhi
«
Non m’importa se nel tuo passato c’è
stato qualcosa di orribile, così come non
m’importerebbe se tu fossi stato un prete » cercai
di sdrammatizzare la situazione, ma lui non rise « Voglio
solo conoscerti. Vorrei solo sapere chi sei veramente, e
soprattutto non vorrei vedere mai più quelle ombre nei tuoi
occhi quando mi guardi. Solo….rendimi partecipe. »
abbozzai un sorriso, e almeno a quello rispose imitandomi, anche se nel
suo non vidi nessuna allegria.
Distolse
ancora una volta lo sguardo dal mio, sospirando forte, e capii che si
era finalmente arreso.
«
Io e Victoria siamo fratellastri » iniziò, anche
se continuava a non riuscire a guardarmi « anche se non si
direbbe » aggiunse in fretta.
«
In effetti avete entrambi i capelli rossi, anche se di un rosso molto
diverso. E gli occhi. Anche quelli sono quasi identici »
«
Quasi identici? »
Non
mi andava di spiegargli che negli occhi della sorellastra avevo sempre
intravisto una luce cattiva, quantomeno non in quel momento
così delicato. Così cercai di dire una mezza
verità, sperando che me la facesse passare per buona
«
I tuoi sono più belli » sorrisi. Ma lui no.
Si
prese un momento prima di continuare, e quando ricominciò a
parlare lo fece ancora senza guardarmi
«
Nella mia vita c’è sempre stata solo lei. Almeno
per quanto riesca a ricordare » sulle sue labbra si
increspò un sorriso amaro « So che può
sembrare assurdo ma….non ho altri ricordi di persone di
famiglia, se non lei. Non saprei dirti nemmeno se fossimo fratellastri
da parte di madre o di padre. Il mio primo ricordo siamo soltanto noi
due, soli, in giro per l’Alaska. » quel ricordo
così semplice, eppure così desolato, mi fece
stringere il cuore «
Vicky è stata tutta la mia famiglia da sempre. Mi ha
accudito, mi ha medicato quando ne ho avuto bisogno, mi ha abbracciato
quando ero triste, mi ha insegnato come provvedere a me stesso se un
giorno la vita ci avesse separati. Mi ha donato l’amore di
cui una persona ha bisogno per non sentirsi mai sola al mondo. Victoria
mi ha donato tutta se stessa. Sempre. »
In
quel momento mi sentii davvero meschina. Avevo giudicato una persona
senza nemmeno conoscerla, eppure non potevo fare a meno di zittire le
mie prime sensazioni. Quando Edward continuò non mi ero
nemmeno resa conto che ora ero io a stringere la sua mano tra le mie.
«
Eravamo soltanto due sbandatelli » il termine in quel caso
non aveva nulla della sua connotazione leggera, ma anzi, mi
sembrò carico di un peso insostenibile « Ci
….. sostentavamo….nell’unico modo che
conoscevamo. » a queste parole deglutì
rumorosamente, e poi strinse gli occhi, come se fosse stato invaso da
ricordi troppo fastidiosi.
Potevo
immaginare come potessero riuscire a sostenersi due ragazzini soli al
mondo….e l’immagine di un piccolo Edward che
rubacchiava in giro per sopravvivere mi sembrò totalmente
stonata. Poi proseguì
«
Insieme abbiamo affrontato tutto, con la sicurezza che
l’altro sarebbe stato sempre un porto sicuro.
Poi….beh, poi io ho fatto una delle più grandi
sciocchezze della mia vita » a queste parole inspiegabilmente
sorrise, lasciandomi di stucco
«
Scappai. » mi lanciò una breve occhiata furtiva,
prima di tornare a guardare gli alberi di fronte a sé
« Non ne potevo più di quella vita così
meschina. Iniziai a chiedermi se davvero non ci fosse modo per condurre
un’esistenza dignitosa, e quando raggiunsi davvero il limite
scappai. Fui un tale codardo! Non trovai nemmeno il coraggio di
parlarle. Se penso a quanto dolore le ho
inflitto….» sospirò ma sul suo volto
c’era ancora un piccolo sorriso, ed io continuavo a non
capirne il motivo.
«
E dove andasti? » gli chiesi di getto
«
Per qualche anno vagabondai in giro per vari Stati del nord. Fin quando
non mi resi conto che in realtà non sapevo nemmeno io cosa
stessi cercando. »
«
E a quel punto sei tornato da Victoria? » fece una breve
risata alla mia domanda
«
No, certo che no. Ero, e sono, troppo testardo. »
«
Ma, allora cos’è successo? »
«
E’ successo che la più grande sciocchezza della
mia vita si rivelò essere stata anche la più
grande fortuna che mi potesse capitare. »
«
In che senso? »
«
Proprio quando pensavo di aver fatto un sbaglio enorme pensai di
riavvicinarmi all’Alaska. L’unico posto che fino a
quel momento valesse come casa mia. » sollevò la
testa verso l’alto, socchiudendo gli occhi al contatto con i
fiocchi di neve che ancora cadevano intorno a noi, e sorrise sereno «
Nevicava quel giorno. Proprio come ora. Forse è un segno del
destino. » abbassò di nuovo la testa e
continuò « Ero in condizioni pessime, da giorni
non mangiavo nulla, ero talmente debole che mi accasciai sulla panchina
di un parco pubblico sperando solamente di addormentarmi e non
svegliarmi mai più. » Rabbrividii a quel pensiero,
ma al contrario Edward continuava a sorridere sereno. Quando vidi che
non continuava lo incitai
«
E poi ? »
«
E poi….» il suo sorriso si allargò fino
a diventare una vera e propria espressione di gioia
«….quando stavo quasi per addormentarmi una vocina
fastidiosa ed impertinente iniziò a disturbarmi. Era un vero
e proprio tormento, così aprii appena un occhio. Tutto
quello che vidi fu un minuscolo folletto appollaiato
nell’unico, piccolissimo, angolo di panchina lasciato libero
dai miei piedi, che parlava della neve come se nulla fosse. Come se
avesse appena incontrato un vecchio amico e non un relitto umano!
» quasi si mise a ridere a quel ricordo
«
Alice » dissi sorridendo
«
Già , Alice » mi confermò Edward ancora
sorridente
«
Allora tutto si spiega! » aggiunsi ridendo. In quel mese
avevo imparato a conoscere Alice, sapevo quanto potesse essere
fastidiosa ed insistente.
«
Io davvero non capivo cosa volesse quella nanerottola da me.
Sinceramente all’inizio pensai che fosse pazza, ma quando mi
accorsi che era da sola mi irritò ancora di più
il sapere che mi stesse infastidendo apposta. Così le
risposi in malo modo, cercai di mandarla via in tutti i modi e quando
finalmente si zittì richiusi gli occhi. Ciò che
non potevo sapere era che aveva chiuso la bocca soltanto
perché si era spostata. Me ne accorsi quando sentii la sua
mano tra i capelli. Allora aprii gli occhi di scatto, pronto ad
aggredirla, ma quando lo feci mi ritrovai il suo viso ad un palmo dal
mio. Si era inginocchiata in modo da guardarmi dritto in faccia e a me
mancò l’aria quando vidi i suoi splendidi occhi
dorati. Ne rimasi così affascinato che rimasi per un bel
pezzo a fissarli con la bocca spalancata, senza riuscire a pensare a
nient’altro. »
«
I vostri occhi sono identici » puntualizzai io sorridente,
evitando di aggiungere che era lo stesso effetto che avevano su di me.
« Per questo rimanesti di sasso!»
«
Oh….s-si …» Edward mi rispose
balbettando, come se avesse un groppo in gola.
In
un certo senso la sua risposta avrebbe dovuto essere leggera,
confortante. Invece la sua voce mi disse di si, ma la sua faccia
sembrò dirmi il contrario : si contrasse come se fosse
disgustato. Quella reazione fu davvero spiazzante e strana, ma non mi
diede il tempo di soffermarmici, perché continuò
a raccontare.
«
Non c’è bisogno che ti dica come sia Alice, lo sai
già. E’ semplicemente inarrestabile.
Così mi lasciai andare e mi feci guidare da lei, in tutti i
sensi. Mi portò a casa sua, dove tutta la famiglia mi
accolse come se fossi già un altro figlio.»
sorrise apertamente a quel ricordo, che forse doveva essere stato il
momento più sereno della sua vita.
«
E Victoria? »
«
Dissi subito a loro di Vicky. Mi riempirono di amorevoli cure per una
settimana, prima di permettermi di iniziare a cercarla, con tutti loro
al seguito. Quando la ritrovai ero pronto ad una sua sfuriata, un suo
rifiuto….ed invece non accadde nulla di tutto
ciò. Quando Victoria mi rivide corse tra le mie braccia
senza esitazioni. Così come, sempre senza alcuna esitazione,
accettò di seguirmi nella nuova famiglia che mi aveva
accolto, senza preoccuparsi nemmeno per un attimo di tutti i
cambiamenti che avrebbe dovuto affrontare. Non si preoccupò
di nulla, non chiese chi fossero quelle persone, non mi chiese come li
avevo incontrati, non mi domandò nemmeno perché
volessi restare con loro o perché loro volessero tenermi con
sé. Il suo unico desiderio era ricominciare la nostra vita
insieme. Non desiderava altro che me, a questo mondo. » lo
vidi sorridere pieno di amore a quel ricordo, subito prima di
rabbuiarsi
«
Ovviamente non aveva idea delle difficoltà alle quali
stavamo per andare in contro.» Mi rivolse una rapida occhiata
e poi continuò
« Sai….non è semplice imparare a vivere
in una società con delle regole da rispettare, con dei
limiti da non oltrepassare, per chi ha sempre vissuto nella totale
anarchia, nel totale abbandono agli istinti. E’ difficile
addomesticare degli animali selvaggi e renderli mansueti come degli
agnellini.» sospirò forte
«
Ogni giorno mi sentivo responsabile del disagio di Victoria
nell’abituarsi a quella nuova vita. Infondo, io avevo scelto
per entrambi. Ma lei si è sempre comportata benissimo. Ha
fatto di tutto per evitare problemi, per non gravare sulle mie spalle e
non rendermi più difficile il mio percorso. Non posso dire
lo stesso per me, però.» deglutì
rumorosamente e si lamentò.
Sciolse
l’intreccio delle nostre mani e abbandonò la testa
tra le sue, con le dita tra i capelli. A quel gesto mi si strinse lo
stomaco. Avevo capito che eravamo giunti al punto che più di
tutto lo faceva soffrire, al punto che causava ogni volta quel velo di
tormento negli occhi.
Mi
avvicinai ancora di più a Edward, gli cinsi le spalle con un
braccio e posai la testa accanto alla sua, sperando che bastasse a
fargli capire che io c’ero.
«
Nonostante avessi scelto io di restare con Carlisle per me i
primi tempi furono davvero molto difficili e….. ho fatto
delle cose di cui mi pentirò per il resto della mia
esistenza.» sollevò la testa dal rifugio che si
era creato con le mani e mi guardò intensamente, nei suoi
occhi vidi solo dolore «
I miei due grandi errori erano quasi come te, sai? »
quell’affermazione mi spiazzò
«
Edward io non…» ma mi interruppe, come se non mi
avesse nemmeno sentita, o come se il flusso delle sue parole avesse
saltato una diga solidissima e fosse ormai inarrestabile.
«
Avevano dei bellissimi nomi. Iris ed Emily. » li
lasciò in sospeso nell’aria , come se assaporarne
il suono tra le labbra potesse renderle materiali davanti a noi. «
Davvero carine, ognuna a modo suo. Iris una vera forza della natura :
energica, sveglia, come se nulla al mondo potesse scalfirla. Emily
invece….Emily era un fiore. Un fiore delicatissimo,
sfuggente a chiunque non le sembrasse limpido all’esame
infallibile dei suoi occhioni azzurri. » sorrise a quel
ricordo, ma un brivido mi percorse tutta la schiena, anche se non seppi
darmi una spiegazione.
Avevo
paura in quel momento, paura di chiedergli cosa fosse successo a quelle
due ragazze, paura di vedere sul suo viso un dolore che non avrei mai
potuto capire. Quindi tacqui.
«
Io….io ho….. » gli mancò il
fiato in gola, e poi disse con la voce come rotta dal pianto, ma senza
nemmeno una lacrima « Io ho fatto loro del male. »
il suo tono fu gelido.
Per
una strana ragione perfino la neve smise di cadere. Il paesaggio
candido intorno a noi rese quella frase ancora più irreale.
Ma
per una ragione ancor più strana, io non ebbi paura. Non mi
spaventai nemmeno per un secondo a quella dichiarazione,
perché c’era qualcosa in quel ragazzo seduto di
fianco a me, così distrutto da quel ricordo, che mi urlava
che non c’era niente di cui aver timore. Se non che gli si
spezzasse ancora l’anima in mille pezzi, nel rivivere quei
momenti.
In
quel momento vidi Edward cercare di proseguire, e le parole morirgli
più volte in gola.
«
Va bene così, Edward. » sollevò gli
occhi, stupito « Davvero, va bene così.
» gli passai una mano fra i capelli « Non ha
importanza cosa sia successo, o perché. Hai sbagliato. Hai
fatto degli errori che forse non saranno mai perdonabili da chi ha
vissuto quel momento. Ma ora, ad oggi, a me non interessa. »
«
Bella tu non sai di cosa stai parlando, io…. »
«
Shhh, ti prego. Basta. » gli poggiai un dito sulle labbra
tremanti « Tutto ciò che hai fatto, tutti gli
errori che hai commesso, ti hanno reso quello che sei oggi. E
l’Edward che conosco io sento che non rifarebbe mai le stesse
cose. Ma soprattutto, il fatto che tu sia qui in questo momento,
significa che hai già pagato per i tuoi sbagli. Hai
già sofferto per i tuoi errori e …. Vedo che
ancora ne soffri. Questo basta a renderti una persona diversa.
»
I
suoi occhi brillarono di una gratitudine che non pensai dovesse
appartenermi, e abbandonò la sua testa sulla mia spalla. Lo
cullai dolcemente per un tempo che non saprei definire, prima che
sollevasse gli occhi nei miei. Mi prese dolcemente il viso tra le sue
mani affusolate
«
Oh….Isabella… » sospirò con
tanto trasporto che mi sembrò come se sentissi davvero il
mio nome per la prima volta.
Poi
le sue labbra si posarono ancora una volta sulle mie, caute e gentili.
Proprio come lui.
Quando
la neve ricominciò a cadere in fiocchi grandi mi
aiutò ad alzarmi.
«
Dovremmo andare, inizia a fare troppo freddo per te. » mi
disse premuroso
Ci
avviammo verso casa senza dire altro. Qualsiasi cosa sarebbe stata
superflua dopo quella mattina.
Quando
mi salutò con un dolce bacio sotto il portico di casa mi
sorrise in un modo diverso dal solito, che non seppi decifrare. Appena
lo vidi allontanarsi nella sua Volvo coperta di neve afferrai il
cellulare che tenevo nella tasca e chiamai Angela.
«
Bells, tesoro! Hai visto che bella la nevicata domenicale? »
«
Angie dove sei? » non mi curai della sua domanda e la
sommersi con la mia
«
Sono a Port Angeles a comprare una nuova lente per la Nikon. Ma tu che
hai? »
«
Non muoverti di lì, sto arrivando » le dissi
concitata, mentre mettevo già in moto il vecchio ma
efficiente Chevy
«
Bella mi devo preoccupare?! » risi di gusto alla sua voce
già incrinata dal sospetto
«
No, Angie. Ma avvisa tua mamma che oggi pranzi con me. Ho troppe cose
da raccontarti » non avevo intenzione di raccontarle
ciò che mi aveva confidato Edward….ma tutto il
resto si.
Sentii
ridere brevemente la mia amica dall’altro capo del cellulare
prima che dicesse:
«
Bentornata, Bells » sapevo cosa intendesse, e aveva ragione.
«
A tra poco, Angie. » poi riagganciammo.
Avevo
già imboccato la statale e non vedevo l’ora di
abbracciare la mia amica, di gridarle quanto mi sentissi rinata, quanto
mi sentissi entusiasta per le nuove opportunità che il
destino mi stava offrendo. Le avrei raccontato delle scottature che
sentivo rimarginarsi sotto il fresco tocco di Edward, avrei cercato di
descriverle quanto avessi perso ogni briciolo di lucidità
quando mi aveva baciata. Ero completamente in un’altra
dimensione.
Forse
fu per questo che successe.
Improvvisamente
una macchia indistinta di colore sfrecciò a pochi metri dal
muso del mio pick-up tagliandomi la strada. Gridai forte dallo spavento
e sterzai per evitare qualsiasi cosa mi fosse passata
d’avanti.
Ma
la nevicata di quella mattina aveva prodotto una enorme gelata, e persi
del tutto il controllo dello Chevy. Le ruote scivolarono sul ghiaccio
facendo di me una trottola impazzita prima che il pick-up si abbattesse
tra i pini adiacenti la strada, mandando i finestrini in mille pezzi.
In quel brevissimo istante prima dell’impatto scorsi di nuovo
un lampo di colore indistinto sfrecciarmi accanto.
Poi
ci fu l’impatto…fragoroso, assordante,
devastante….e tutto divenne buio.
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Capitolo 28 *** CAPITOLO 23 - Niente roba da femminucce ***
Buonasera
a tutti ! stasera non ho resistito a postare il ventitreesimo capitolo!
non vedo l'ora di sapere cosa ne pensate...... Però ho da
dirvi una cosa : purtroppo questo è l'ultimo capitolo della
mia "scorta" e al momento sto scrivendo il capitolo 24. Questo
significa che purtroppo da ora in poi non avrò una
pubblicazione costante, ma ahimè dovrete aspettare che io
scriva di volta in volta. Purtroppo il tempo a mia disposizione per la
scrittura è davvero poco, sono tutto il giorno
all'università e i fine settimana studio (esami in
avvicinamento !!) però prometto che farò di tutto
per non farvi aspettare troppo!
Come
sempre, spero di leggere le vostre recensioni.
Un
bacio a tutti e..... Buona lettura!
CAPITOLO 23 – “Niente
roba da femminucce”
«
Ehi tu! » sputò fuori nel peggio della
sua voce roca da ubriacone.
Certo. Come no
stronzo, contaci che mi giro!
Accesi il faretto posizionato a terra alla mia
destra, poco sopra la mia testa, per vedere meglio da dove diavolo
stesse colando fuori tutto quell’olio. Era più di
una settimana che smanettavo sui bulloni di quel maledetto Chevrolet
Blazer!
“Fiiù”
« Ehi ! dico a te là sotto! »
Quel pezzo di bastardo mi aveva fischiato? Aveva
fischiato, a me
, per chiamarmi? Dio l’avrei massacrato. Lo odiavo
già normalmente, ma quando mi fischiava l’avrei
distrutto tra le mie mani!
« Siamo chiusi. » risposi
senza nemmeno uscire da sotto il fuoristrada
« A me non sembra proprio, ragazzo
» gracchiò ancora
« Vattene via, Joe » gli
dissi sbuffando mentre tentavo di riprendere la concentrazione disteso
su quel carrellino troppo piccolo per la mia schiena
« Dov’è Earl ?
»
Cominciava davvero a stancarmi. Gettai la chiave
inglese alla mia sinistra e mi spinsi fuori da sotto il motore del
Blazer. Mi misi seduto e iniziai a pulirmi le mani piene di grasso con
lo straccio accanto alle mie scarpe.
« Oggi è domenica, Joe . Si
dà il caso che di domenica quest’officina sia
sempre stata chiusa, da cinquant’anni a questa parte, come
ben sai. » distolsi lo sguardo dalle mie mani nere e puntai
gli occhi in quelli arrossati di Joe « E che Earl di domenica
va a pesca al lago. Sempre come ogni dannata domenica da
cinquant’anni a questa parte. Ma anche questo sai
bene.» gettai lo straccio di nuovo accanto ai miei piedi, non
mi importava nulla di avere le mani pulite « Quindi
perché sei qui a darmi fastidio ancora una volta?
» non volevo essere troppo brusco per il momento, me lo aveva
chiesto Earl.
Il basso e tozzo Joe si dondolò appena
nella neve, sulle suole consumate dei logori scarponi da trekking
imbottiti. Un tempo quella sua aria da uomo trasandato e vittima
dell’alcool mi avrebbe fatto pietà. Oggi invece
nel guardarlo non provavo altro che fastidio. Fastidio per i suoi modi
volgari, fastidio per il suo guardarmi sempre con disprezzo, fastidio
perfino per la sua incipiente calvizie brizzolata quel mattino!
« Deve ridarmi il mio Land Rover
» puntò di nuovo con cattiveria i piccoli
occhietti scuri e arrossati nei miei, ancora con quei suoi modi rozzi e
intimidatori
« Earl non deve ridarti proprio un
cazzo, Joe » e fanculo ai buoni propositi di non essere
brusco.
« Sta attento a come parli, ragazzino.
L’auto è mia, e deve ridarmela al più
presto »
Mi sollevai in piedi lentamente, e nonostante il
tozzo Joe stesse in piedi al di fuori dell’officina a quasi
quattro metri di distanza da me, la mia nuova altezza mi permetteva
comunque di guardarlo dall’alto in basso.
« Earl ti ridarà la tua auto
quando avrai pagato i 300 dollari che gli devi per la riparazione
»
« Quel vecchio bacucco se lo scorda che
gli sganci 300 verdoni! Si è rincoglionito del tutto!
» cominciò ad agitarsi e gli riuscì
difficile mantenere l’equilibrio con tutto quel movimento
« Da quando è schiattato Tom nessuno gli ha detto
che spara solo cazzate! »
Questo non
avresti dovuto dirlo, coglione!
Mi avvicinai a lui con soli tre passi e lo
sollevai per il collo in pelliccia del pesante giaccone. Portai i suoi
piccoli occhietti infami all’altezza dei miei, che sentivo
bruciare dall’odio in quel momento. E sicuramente lo vide
anche lui, sul suo viso paonazzo rovinato dal freddo si dipinse una
vera espressione di terrore.
Era anche per questo che Earl mi aveva assunto
subito.
« Stammi a sentire vecchio stronzo
ubriacone. I 300 dollari che ti ha chiesto Earl sono anche pochi, sono
il minimo che gli serve per pagare me, per pagare tutto il tempo che ho
sprecato per riparare quel tuo fottuto rottame » gli diedi
una lieve scossa, durante la quale gli caddero dagli scarponi i pezzi
di neve che ancora erano attaccati alle suole, e portai il suo viso
sconvolto a pochi centimetri dal mio « E se sento, anche solo
un’altra volta, il nome di Tom su quella fogna della tua
bocca giuro su mia madre che ti faccio a pezzi, li seppellisco sotto il
primo cumulo di neve che trovo e dopo ci piscio anche sopra.
» non dissi niente per un momento, tanto per essere sicuro
che lo stronzo capisse cosa gli avevo appena detto « Intesi,
Joe? »
Lo stronzo ubriacone agitò la testa
annuendo senza rispondere ed io lo rimisi a terra senza troppa
delicatezza.
« Ora vattene che ho da fare
» non se lo fece ripetere due volte.
Lo guardai allontanarsi con passo incerto sui
cumuli di neve, mentre borbottava acido su cosa mi avrebbe fatto se
fosse stato più giovane di vent’anni.
La distesa di neve bianca fuori
l’officina gridava quiete e calma. Inspirai a fondo
l’aria gelida del Canada di fine Ottobre. La stessa che
c’era il giorno in cui arrivai lì, circa un mese
prima.
Appena ero
stato in grado di tenere il mio lupo a bada da solo, Sam mi aveva dato
il permesso di allontanarmi da Forks. Mi aveva concesso
l’opportunità di imparare a convivere con il lupo
dentro di me lontano dagli affetti, e quindi lontano da tutto
ciò che avrebbe potuto farmi perdere il controllo
più facilmente. Mi aveva raccontato di averlo fatto anche
lui, e che gli era servito davvero a prendere il controllo sulla sua
doppia natura. Così appena potei me ne andai. Non portai
nulla con me se non pochi cambi, infondo ero un asso dei motori, in un
modo o nell’altro sarei riuscito a mantenermi. Per i primi
giorni mi lasciai vivere nella forma di lupo. Correvo, mangiavo, bevevo
e dormivo. Ma soprattutto correvo.
Lasciavo
libero sfogo a tutti gli istinti e le necessità che il lupo
dentro di me imponeva, lasciai che fosse lui a comandare. In quei
giorni tutta la sua potenza tenuta nascosta per diciassette anni
esplose come una bomba, donandomi una libertà mai conosciuta.
Dopo pochi
giorni che ebbi superato il confine con il Canada, però,
decisi che il lupo aveva avuto ciò che pretendeva, aveva
preso abbastanza da me, aveva avuto la sua opportunità di
spezzare le catene che lo avevano tenuto imprigionato fino a quel
momento. Quando mi ritrasformai in forma umana infatti, fui orgoglioso
di me stesso e della mia scelta.
Il lupo dentro
di me non sbraitava più, non si agitava, non tentava di
ribellarsi in alcun modo. Lo avevo accontentato, lo avevo rispettato
nella sua natura, e lui a sua volta mi aveva riconosciuto degno del suo
rispetto. Il lupo dentro di me mi aveva riconosciuto come parte della
sua entità, ed io avevo fatto lo stesso, trovando il giusto
equilibrio.
Questa nuova
stabilità mi piaceva, dovevo solo abituarmi alla mia nuova
condizione. Dovevo solo imparare a vivere la vita quotidiana senza far
notare nulla al resto del mondo. Senza che nessuno notasse quanto ero
diverso da chiunque altro. Senza che nessuno notasse quanto di rude e
selvaggio portavo dentro di me.
Dopo quasi
cinque giorni di cammino ininterrotto raggiunsi la città di
Winnipeg, nella regione di Manitoba, in Canada. Ad esattamente 2.712 km
da Forks.
Se il mio
vecchio avesse saputo che mi trovavo a più di duemila
chilometri da casa sarebbe caduto dalla carrozzella!
Ma non mi
fermai lì : troppa gente, troppa vita, troppo caos. In quel
momento sentivo la necessità di ricominciare ad integrarmi
nella società in un posto tranquillo e senza troppi casini.
La trasformazione mi aveva cambiato, non ero più il ragazzo
sempre solare di prima.
Così
proseguii e quando giunsi a Cooks Creek, a circa 39 km a nord-est di
Winnipeg pensai che fosse un buon posto per iniziare.
A Cooks Creek
c’era soltanto una via principale. Dopo di che si diramavano
piccolissime stradine sterrate che portavano ad isolate abitazioni
contadine. Nemmeno sull’unica via centrale c’era
chi sa quale movimento. Cooks Creek era perfetta per me.
Iniziai a
girovagare nei dintorni in cerca di un posto dove stare. Ero sporco e
trasandato, probabilmente anche un po’ sciupato, e nonostante
il mio corpo fosse divenuto il doppio più grande rispetto a
prima della trasformazione, mi muovevo con facilità nello
spesso strato di neve che copriva tutta la cittadina.
In una
stradina sperduta raggiunsi un grande capannone. Perfino da lontano
riuscii a fiutare l’odore di grasso e di olio da motore che
proveniva dall’interno. Così mi avvicinai.
Affacciai la
testa oltre la saracinesca dell’officina e tutto
ciò che vidi fu un vecchietto tutt’ossa seduto
accanto ad un Lange Rover, con le braccia del tutto immerse nel motore.
Quando notò la mia presenza alzò lo sguardo e non
disse nulla.
I suoi occhi
mi colpirono. Erano azzurri, talmente chiari da risultare quasi bianchi
da lontano, ma sembravano così spenti che nemmeno un paio di
occhi neri come i miei sarebbero sembrati più scuri e
profondi. Quegli occhi erano incastonati ed infossati un viso pallido e
rugoso, invecchiato dalle intemperie e dalla vita. I capelli bianchi
erano ancora stranamente folti e ben curati, stridevano molto
con il resto del suo aspetto.
«
Buon Dio, figliolo! Ti si saranno gelati perfino i peli del culo!
» la sua voce mi giunse corposa e baritonale, sembrava essere
troppo grande per un uomo così gracile.
Mi diedi una
rapida occhiata, indossavo ancora i miei abituali vestiti, un paio di
pantaloni di jeans al ginocchio, una canotta di cotone e delle scarpe
da ginnastica ormai distrutte. Lì fuori dovevano esserci
almeno cinque gradi sotto zero ed io non lo avevo nemmeno notato. Ormai
per me il freddo non era più un problema, i miei 42 gradi mi
isolavano del tutto da qualsiasi temperatura.
Ecco, pensai,
è proprio questo quello che intendo sull’imparare
a non farsi notare tra le persone normali!
« E
non startene lì impalato. Entra. »
Non seppi cosa
rispondergli, ero solo stupito e al contempo affascinato da quel tizio
tanto strano. Così entrai senza dire nulla. Mi ricordai di
dover sembrare normale e così mi strinsi le braccia intorno
al corpo, tanto per sembrare infreddolito. La verità era che
mi sentivo soltanto un emerito coglione, e quindi almeno mi risparmiai
la scena patetica dello sbattere dei denti.
Il vecchio
corrucciò appena le sopracciglia, accentuando ancora di
più le rughe profonde del viso, e non riuscì a
trattenere un mezzo sorriso. Di sicuro si era reso conto di quanto
fossi strano. Quel tizio la sapeva lunga. Ne ero certo.
«
Aspetta qui, dovrei avere ancora qualche maglione in
magazzino. »
Si
alzò dalla sedia e si allontanò sulle sue gambe
gracili, nascoste perfettamente dagli enormi pantaloni imbottiti.
Mi avvicinai
al cofano aperto del Lange Rover.
Oh cazzo! Fu
l’unica cosa che riuscii a pensare
Quel nonnetto
stava per mandare a puttane tutta la centralina con il collegamento che
aveva appena arrangiato!
Gettai un
occhio al magazzino nel quale era sparito, ma da lì dietro
non arrivava il benché minimo rumore. Presi le pinze e i
fili elettrici poggiati sulla sua sedia e in pochi minuti tutte le
connessioni della centralina erano a posto e funzionanti. Feci il giro
del mezzo e mi sedetti al posto di guida per verificare se le
connessioni avessero retto davvero. Nel momento in cui misi in moto, il
Lange Rover si accese senza alcuna fatica.
« Ho
trovato solo questi. Ma ti terranno senz’altro più
al caldo di quei calzoncini da finocchio che ti
ritrov-..…Porco cane! » gli cadde letteralmente la
mascella e i vestiti di mano.
Scesi svelto
dall’abitacolo prima di scusarmi
« Mi
dispiace signore, io stavo solo… » ma il vecchio
mi interruppe senza staccare gli occhi dall’auto
« Oh
sta zitto, ragazzino! Le scuse da femminuccia mi fanno soltanto
rivoltare le budella! » camminò a quella che
pensai fosse la sua massima velocità verso il cofano del
fuoristrada. Quasi ci si infilò del tutto dentro per
controllare cosa avessi fatto.
Pensai che
fosse meglio tagliare la corda prima che tirasse fuori un fucile a
doppia canna da qualche angolo di quell’officina. Gli voltai
le spalle e mi diressi alla saracinesca
«
Ehi! Dove credi di andare, capellone? »
Mi voltai un
po’ seccato, ma cercai di non darlo a vedere troppo
«
Senti nonnetto ti ho già chiesto scusa » lui
sorrise a quelle mie parole, soddisfatto.
Poi lentamente
iniziò ad avvicinarsi.
«
Regola numero uno… » sollevò un dito
ossuto all’altezza del suo naso « Quando io ti do
dei vestiti, tu » e puntò lo stesso dito nella mia
direzione « li prendi e te li metti. »
« Ma
che cos… »
«
Regola numero due » alzò la voce più
della mia « nella mia officina non si balbetta
n’è si frigna come femminucce » sul suo
cammino aveva raggiunto il pesante maglione e il pantalone che gli
erano caduti di mano, li raccolse e colmò la distanza tra
noi, mettendomeli in mano con una forza che non mi sarei aspettato da
un uomo così gracile.
«
Regola numero tre… » mi guardò
sospettoso in volto e i capelli « quei cosi flosci devono
sparire.» dichiarò indicando con un cenno del
mento i miei capelli ormai troppo lunghi.
A me venne da
ridere, quel tizio mi piaceva proprio. Allungò una mano
ossuta verso di me, ed io la avvolsi completamente nella mia stretta.
Ma la sua presa non fu meno vigorosa della mia.
« Mi
chiamo Earl Donovan, ragazzino, e da oggi sono il tuo capo. »
Rimasi un
attimo sbalordito a quella proposta e non mi diede materialmente
nemmeno il tempo di oppormi che aggiunse « E guai a te se mi
chiami ancora nonnetto »
« Io
sono Jacob Black, Earl » gli risposi sorridendo « e
grazie per questi » sollevai appena i vestiti.
« Oh
figurati. Erano di quell’idiota di mio figlio Tom. Li teneva
lì per emergenza. E poi sai che ha fatto? » mi
chiese voltandomi le spalle e ritornando al Lange Rover « Ha
pensato bene di morire » aggiunse in tono ironico.
Ma non
riuscì ad ingannare i miei nuovi sensi. Non
riuscì a coprire il vero dolore che provava. Sul momento non
seppi cosa dire. Così cambiai argomento. Mi diedi un
occhiata intorno
«
Beh, scusa Earl ma non capisco cosa dovrei fare io qui »
«
Farmi fare una montagna di soldi, spilungone » lo aggiunse
quasi scocciato dalla mia stupidità
«
Potrei anche farlo, se non avessi appena riparato l’unica
auto in questa officina » gli feci notare e lui di tutta
risposta scoppiò a ridere
« Tu
hai risolto solo il primo dei casini di quel fottuto rottame!
Vieni ti faccio vedere » mi fece cenno di avvicinarmi
« Prima mi togli dalle palle il mezzo di quello stronzo
ubriacone di Joe Finningan e meglio sto! »
Era così che Earl mi aveva accolto.
Senza farmi domande, senza chiedermi nemmeno se quello fosse il mio
vero nome. Mi voltai di nuovo verso l’interno
dell’officina. Ora campeggiavano pronte all’uso,
appena riparate: due trattori Mercedes, un Hammer, due fuoristrada
Wolksvagen e il maledetto Chevrloet Blazer. Oltre al Lange Rover di
Joe, ovviamente, ma quello ormai faceva quasi parte
dell’arredamento.
Buttai un occhio all’orologio, era
quasi ora di pranzo. Andai in bagno e mi lavai le mani velocemente, poi
recuperai il pesante giaccone dall’ufficio, me lo infilai,
chiusi la saracinesca con un unico movimento e mi incamminai verso
“Macey’s” per il mio pranzo.
Non avevo ancora capito perché quel
posto si chiamasse
“Macey’s” se il proprietario era Connor
Mahone e in tutta la sua famiglia non c’era nessuno che si
chiamasse Macey. Ma forse aveva acquistato la minuscola tavola calda
già con quell’insegna e se l’era tenuta.
Era così che funzionava da quelle parti.
«…l’ondata
di gelo continuerà fino a martedì notte quando
una …»
La voce della tizia del meteo era stridula, e
stonava incredibilmente con l’interno semi vuoto della tavola
calda. Mi sistemai con un certo impaccio all’ultimo tavolo a
destra, in fondo al locale. Il divanetto di pelle bordeaux ormai
spellato dall’uso mi accolse con il solito sbuffo, quasi
fosse contrariato sotto il mio peso. E cosa avrei dovuto dire io
allora? Che ogni volta dovevo stendere le gambe ai due lati del tavolo
per stare seduto senza avere le ginocchia alla gola!
«…il
Sindaco di Winnipeg ha annunciato i prossimi piani per
sostenere…»
Non mi interessava nessuna di quelle notizie.
Dall’altro lato del locale mi
salutò con un cenno del capo il figlio del dottore. Non gli
risposi. Non mi interessavano i “rapporti di buon
vicinato”. Guardai fuori dalla finestra con le tendine rosse,
e come al solito non vidi altro che una lunga e scintillante distesa di
neve soffice. Almeno quel giorno c’era il sole.
« Ciao Jake »
« Ehi, Melody » mi voltai e
sorrisi alla più bella ragazza che avessi mai incontrato in
tutta la mia vita.
Melody Thompson, un metro e settantotto di
morbide curve nere, una cascata di riccioli ribelli a incorniciare due
occhi verdi come il mare e delle labbra rosse e piene. Non credevo
affatto che “Melody” fosse il suo vero nome, ma non
mi interessava. Io ero l’ultimo a poterle chiedere
spiegazioni di quel tipo. Era arrivata li poco dopo di me, e questo era
tutto quello che mi bastava sapere su di lei.
« Cosa posso portare oggi al ragazzone
più bello dell’intero Canada? » mi
sorrise mordendosi un labbro.
Oh si, sapevo anche che se avesse potuto, mi
avrebbe strapazzato in ogni modo umanamente possibile.
« Il solito, Mel » le sorrisi
anch’io malizioso « Tutto affogato nel tuo miglior
sorriso »
« Arriva subito »
sparì in cucina ridendo come una ragazzina alla prima cotta.
Non prima che avessi avuto la mia dose quotidiana
di panoramica del suo magnifico lato B, ovviamente.
Mi rilassai, per quanto possibile, nello scomodo
divanetto bordeaux
«…Passiamo
la linea alla nostra inviata a Seattle per un resoconto su
quanto…»
Anche in quel momento, come altre volte mi era
già capitato, pensai che avrei dovuto cedere alla tentazione
della bella Melody. Era davvero bellissima, ma non lo avrei fatto per
quel motivo.
Mi si strinse lo stomaco, conoscevo benissimo
come proseguiva quel pensiero scomodo.
Melody non avrebbe potuto essere più
bella e sensuale….ma non sarebbe mai stata nulla in
confronto alla mia Bella.
La mia Bella…
Facevo tutto questo solo per lei.
Vivevo come un eremita solo per lei. Solo per
essere sicuro che mai e poi mai le avrei fatto del male una volta
tornato a casa. Quindi per me fu inevitabile ad un certo punto
chiedermi se fossi riuscito a mantenere il controllo con Bella anche in
situazioni più intime.
Per questo pensavo che avrei dovuto cedere a
Melody. Solo per questo.
I suoi brillanti occhi verdi non avrebbero potuto
competere mai con il denso cioccolato dolce degli occhi del mio amore.
Le labbra carnose di Mel nulla avrebbero potuto al cospetto dei
boccioli delicati e rosei della mia ragione di vita. Il suo corpo
formoso e scuro non avrebbe mai brillato di luce propria attirandomi
come un magnete quanto il delicato, sottile ed etereo corpo della mia
Bella.
« Oh, Jacob! » mi chiamarono
dall’ingresso
« Ciao, Rob » risposi al
ragazzo biondo e allampanato appena entrato nel locale.
Così come risposi al saluto delle
altre dieci persone che entrarono nella tavola calda nella successiva
mezz’ora.
«
…Quindi si pensa che il furto alla banca locale sia stato
progettato…»
Mi guardai intorno ed improvvisamente mi resi
conto che tutti lì dentro mi conoscevano. Ognuno di loro
conosceva il mio nome, ognuno di loro passava abitualmente in officina
a salutarmi, ad ognuno dei loro figli avevo insegnato qualcosa sui
motori, ed ognuno di loro mi conosceva come “il Jacob di
Earl”.
No, non andava bene così.
Anch’io conoscevo tutta la cittadina di
Cooks Creek ormai, e senza rendermene conto mi ero anche affezionato a
quel vecchiaccio di Earl.
«…così
nella giornata di ieri la polizia ha fatto il
sopralluogo…»
Gettai una breve occhiata al televisore sopra il
bancone.
Avevo già preso la mia decisione.
E anche per quel giorno il notiziario era quasi
terminato senza che sentissi nominare nessuno della mia famiglia. Era
l’unico contatto che intendevo mantenere con loro per il
momento. Non ero ancora pronto per tornare a casa.
Avevo già preso la mia fottuta
decisione.
Semplicemente non ero pronto. Non ero pronto a
ritornare a casa.
Ma non potevo rimanere ancora lì.
« Mel » chiamai con voce
decisa, e lei si voltò subito « portami il conto.
E una penna. »
Melody mi servì come avevo chiesto.
Poggiai le banconote sul tavolo e scrissi velocemente dietro lo
scontrino:
Alan Kennett
Royce Dallas
Bruce Mc
Cormitt
Gli ho
insegnato quanto basta per tirare avanti la tua baracca, nonnetto.
Tieniti pure i soldi che mi hai dato fino ad ora, sono sotto la prima
mattonella in bagno.
Considerali
come il saldo del conto di quello stronzo di Joe. Ridagli quella merda
di Lange Rover e mandalo a fanculo per entrambi una volta per tutte.
Stammi bene
Earl.
Jake
Nessun “grazie”. Tra me ed
Earl andava bene così.
Niente roba da femminucce.
Uscii in fretta dalla tavola calda e mi diressi
per l’ultima volta in officina.
«…Ed
ora l’ultimo servizio della
giornata viene da Forks, Washington, dove un ragazza a bordo di uno
Chevrolet ha perso il controllo del suo mezzo andando in testacoda,
prima di impattare violentemente contro gli abeti circostanti, causando
un pericoloso incidente a catena…»
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Capitolo 29 *** CAPITOLO 24 - Quando il bianco è spietato ***
Buonasera
a tutti. Vi chiedo davvero SCUSA, non ho avuto il tempo di rispondere
alle vostre recensioni ma le ho lette tutte con moltissima emozione.
GRAZIE per i vostri splendidi apprezzamenti, sono davvero felice che il
capitolo precedente vi sia piaciuto. Così come spero possa
piacervi anche questo.
A tutte le lettrici silenziose invece : mi piacerebbe davvero sentire
il vostro parere.
Un bacio e..... Buona lettura.
CAPITOLO 24 – “Quando
il bianco è spietato”
«
…Non ancora ma il dottore dice che è normale
»
« Normale?
Pfff… lei non ha mai fatto nulla di normale! »
Era tutto
buio, le voci intorno a me mi giungevano talmente confuse ed
ovattate che mi era quasi impossibile capire il significato delle
parole, ed ero quasi certa di non possedere un corpo. Non sentivo
limiti di spazio intorno a me, e lentamente cominciavo ad avvertire un
senso di torpore risalire dal punto in cui credevo di avere i piedi fin
su, risvegliando lentamente gambe, busto ed infine le braccia. In pochi
secondi mi ricredetti…possedevo ancora un corpo, anche se
per il momento non riuscivo a sentirlo mio. Poi la prima voce rispose
alla seconda, un uomo sicuramente.
« E’
forte come una roccia la mia Bells. Su questo puoi scommetterci, Angie
»
«
J…Jake… » un bruciore di
mille fiamme ardenti mi avvolse completamente la gola
Cos’era
successo? A chi apparteneva quell’orribile
suono gutturale che avevo appena sentito?
Qualcosa
di morbido, liscio e caldo mi toccò un punto che
dopo qualche secondo riuscii ad identificare come una mia mano, che in
quel momento mi formicolò interamente donandomi di nuovo il
senso del tatto.
«
Bella! » questa volta l’avevo sentita
bene e riconosciuta.
«
A…Angie » ancora quel bruciore
infinito e quel suono orribile
Possibile
che fossi io? Possibile che quel verso tanto mostruoso
appartenesse a me?
«
Sì! Sì tesoro sono io! » la
sentii rispondere tutta eccitata
«
Bella! Bella come ti senti? » ed ecco anche
l’altra voce, quella maschile,ora la riconoscevo, era di
Charlie.
In quel
momento avvertii soltanto il mio cuore perdere un battito senza
capirne il motivo. Lo sentii come trafitto da una lama rovente di
delusione e allo stesso tempo scaldato dalla rassicurante presenza di
mio padre in quel luogo buio e senza confini.
Ma la
pressione esercitata dalla mano di Angela sulla mia divenne
più debole, fin quasi a scomparire, portandosi dietro anche
il formicolio, il tatto e la percezione di tutto il resto del corpo. Le
voci divennero di nuovo confuse e, come se fosse stato tutto soltanto
un sogno, l’intorpidimento che mi avvolgeva il corpo giunse
alla testa facendomi sprofondare ancora nel buio.
Quando
ripresi i sensi era tutto diverso, tanto che ero sicura che quel
precedente semi-risveglio fosse stato soltanto un sogno. Tenevo ancora
gli occhi chiusi ma riuscivo a distinguere benissimo le voci che mi
circondavano e che chiacchieravano così come nel mio sogno.
E poi c’era la percezione del mio corpo. Oh stavolta
sì che lo sentivo, lo sentivo fin troppo.
Provavo un
dolore sordo e continuo in ogni punto, a partire dalle
unghie dei piedi per finire alla testa, e in particolare sentivo un
dolore intenso e pulsante ad una gamba e alla fronte. In quel momento
fui certa che solo allora mi stessi svegliando per la prima volta,
tutte le sensazioni del risveglio precedente erano troppo assurde : il
corpo che non sentivo inizialmente, per poi avvertirlo come non mio, le
parole e le voci ovattate….e poi quel suono orribile che
avrebbe dovuto essere la mia
voce. La stessa che aveva pronunciato parole che non ricordavo
più.
Soltanto
una sensazione era forte e presente come se la stessi vivendo
ancora in quel momento, ed era l’unica che mi faceva avere
ancora qualche dubbio che quel momento fosse esistito davvero : la
sensazione di delusione cocente che avevo sentito nel mio cuore,
facendo dolorare anche quello.
Ma infondo
non era possibile, niente di tutto quello era accaduto
realmente, soltanto il momento presente era reale, come dimostrava
tutto il mio corpo dolorante e le voci che non la smettevano un secondo
di blaterare intorno a me, stavolta chiare e di cui riuscivo a capirne
il senso nelle loro parole
«
Volete smetterla di blaterare, voi due? » provai
a dire, e quello che ne uscì fu effettivamente un suono
rauco e graffiato, ma sempre meglio di quello che avevo udito nel mio
sogno. Aprii piano gli occhi
«
Bella! » Angie era lì accanto al mio
letto e subito mi strinse la mano sinistra
«
Bells, piccola mia » mi voltai piano, alla mia
destra Charlie afferrò l’altra mano «
come ti senti ? » aveva gli occhi sgranati
dall’agitazione
«
B-bene, credo » tentai di mettermi dritta nel
letto ma il dolore alla gamba destra fu lancinante « Ah!
»
«
No, Bells non muoverti ancora » Angie mi
carezzò dolcemente la mano che teneva stretta tra le sue
«
Angela avvertiresti il dottore, per favore? »
«
Vado subito » poi si allungò a
lasciarmi un veloce bacio in testa « non permetterti mai
più di farmi prendere uno spavento simile Isabella Swan !
» uscì dalla stanza quasi correndo
Sentii
Charlie accarezzarmi la testa, così mi voltai verso
di lui. Mi sorrise subito ma potevo ben vedere ancora tutta la tensione
nascosta sotto quel sorriso « Scusa papà
»
«
E per cosa, Bells? Non è stata colpa tua, la
strada era ghiacciata, può succedere »
sospirò forte.
In quel
momento pensai alla mamma « Non avrai chiamato mamma,
vero? » gli chiesi allarmata, le sarebbe venuto un colpo
«
No, tesoro. Quando sono arrivato all’ospedale con
quasi un infarto in corso il dottore mi ha spiegato che non
c’era nulla di cui preoccuparsi » mi sorrise e io
risi della sua battuta « Ho pensato che sarebbe meglio se la
chiamassi tu in serata. »
«
Grazie »
Mi diedi
una veloce occhiata intorno. Non condividevo la camera con
nessun’altro. Le pareti erano del solito bianco asettico
tipico degli ospedali, così come tutti gli altri macchinari,
tendaggi e mobiletti. Sembrava di essere dentro un igloo. Tutto quel
bianco mi fece risaltare subito una cosa all’occhio: non
c’era nessuno lì dentro a parte me e Charlie. Fino
a qualche attimo prima avevo avuto anche Angela accanto, certo, ma
erano solo loro due. In quel momento odiai il bianco : come poteva un
colore essere così spietato e spiazzante?
Improvvisamente
mi sentii amareggiata e triste. Tutto quel dannato
candore, quella solitudine … cosa ne era della mia vita?
Dove erano le persone nelle quali pensavo di aver lasciato un segno?
Dov’era Edward? La sua famiglia? Tutti i miei amici della
riserva? … dov’era Jacob? L’ultima
domanda mi nacque spontanea, non riuscii a non formularla. Possibile
che fosse tanto lontano e irraggiungibile da non permettere a nessuno
di avvisarlo? Possibile che invece sapesse, e non fosse lì
accanto a me per scelta? Dentro di me stavano tornando a bruciare le
ferite lasciate dal suo abbandono e dalla sua nulla considerazione di
me, quando entrò uno splendido uomo in camice bianco.
«
Buon pomeriggio, Isabella » mi sorrise e quel
sorriso mi abbagliò
Procedeva
a passi lunghi e sicuri verso di me, bello come il sole.
Alto, biondo, pallido come la luna ma luminoso e raggiante come una
stella. Nei movimenti eleganti e nel suo pallore rividi Edward.
Possibile che fosse il dottor Cullen? Quando fu a pochi passi da me e
potei scorgere i suoi occhi non ebbi più alcun dubbio :
erano dorati proprio come quelli di Edward. Quella constatazione mi
fece correre un brivido lungo la schiena … iniziava ad
essere inquietante quella assurda somiglianza di colore tra tutti i
membri della famiglia adottiva.
«
Salve » gli risposi e mi schiarii la voce
Il dottore
si accomodò accanto a me sul letto ed
iniziò a puntarmi una lucina negli occhi « Io sono
il dottor Cullen, il padre di Edward » spense la luce e la
ripose nel taschino, ma il suo sorriso continuò ad
abbagliarmi più di quell’aggeggio
«
Piacere di conoscerla » mi sentivo tremendamente
in imbarazzo.
Come ci si
comporta in questi casi? Si allunga una mano? Si cerca di
essere cordiali e di apparire persone a posto? Non avevo idea di come
funzionassero le conoscenze con i genitori dei ragazzi che si
frequentano. Io avevo sempre avuto Billy in casa mia, così
come io ero solita muovermi a casa sua come in quella di un parente.
Provai l’impulso istintivo di fuggire da quella stanza e
rompere del tutto con Edward soltanto per non trovarmi in quella
situazione.
Il dottor
Cullen invece parve del tutto a suo agio « Puoi
darmi del tu, Isabella » sorrise ancora e alzò un
dito a due palmi dal mio naso « Segui il dito con lo sguardo,
cara » feci come mi aveva ordinato senza fiatare «
Bene. molto bene » esordì quando ebbe finito. Si
sollevò in piedi e mi tolse la coperta dalle gambe, fu
allora che vidi che la destra era ingessata. Controllò il
gesso e mi chiese « Come ti senti? » prima di
prendere il piede nelle sue mani e farlo roteare lentamente.
Ebbi
appena il tempo di notare quanto quelle mani fossero gelide,
proprio come quelle di Edward, che un dolore acuto serpeggiò
sù dal piede fino al ginocchio.
«
Ah! » mi lamentai e mi morsi la lingua a quel
gesto « beh quella fa male » lo vidi ridere e
scuotere la testa divertito « mi sento un po’ tutta
dolorante, veramente. » il dottor Cullen mi coprì
nuovamente le gambe ed iniziò a controllare i macchinari
alla mia sinistra « E poi mi pulsa la testa, mi fa male
» mi portai istintivamente una mano alla fronte, sopra il
sopracciglio destro e sentii una stoffa ruvida sotto le dita. Mi voltai
verso di lui con espressione interrogativa
«
E’ normale che ti senta così,
Isabella. Hai sbattuto contro i pini con tutta la fiancata destra del
pickup più volte. Questo ti ha fatta letteralmente volare
via dal tuo posto di guida e hai impattato contro il lato destro
interno all’abitacolo dello Chevy. Purtroppo
nell’impatto la tua gamba è rimasta intrappolata
tra la leva del cambio e quella del freno a mano, fratturandoti tibia e
perone. Mentre hai sbattuto la testa e il resto del corpo
più volte lungo la lamiera della fiancata. » il
dottor Cullen si allontanò dai macchinari e si
spostò ai piedi del lettino, dove prese quella che doveva
essere la mia cartella clinica per studiarla.
Ero
rimasta esterrefatta alle sue parole : tutto quello era successo a
me?
«
Sei stata fortunata, Bells. Te la sei cavata soltanto con
un paio d’ossa rotte e dei punti » Charlie mi
sorrise ma io non riuscii a ricambiare subito, scossa ancora dal
racconto di quell’incidente che sembrava così
grave.
«
I punti sono proprio lì dove avevi la mano,
Isabella. Sulla fronte, poco al di sopra dell’arcata
sopraccigliare destra. Mi dispiace ma temo che rimarrà una
cicatrice. »
«
Quanti punti? » chiesi, anche se non mi importava
nulla dei segni visto ciò a cui ero scampata
«
Undici »
«
Wow » mi sfuggì a bassa voce e
sorrisi.
Quello
sarebbe stato il tipo di cicatrice per cui Jacob sarebbe andato
fiero fino a qualche anno prima. Lo stesso tipo di infortunio che in
quel momento lo avrebbe prima fatto spaventare a morte e subito dopo
l’avrebbe fatto ridere di me con il suo sguardo innamorato.
In un
secondo mi ridestai. Ma cosa pensavo? Jacob non avrebbe fatto
nulla di tutto ciò, perché a lui non importava
più nulla di me e io dovevo dimenticarlo una volta per tutte.
«
Come sono arrivata qui? » chiesi per scacciare
via quei pensieri e concentrarmi su altro
«
Vedi Bells, prima di impattare contro i pini hai slittato
sull’asfalto andando in testacoda lungo parte della
carreggiata. C’erano altre auto dietro di te e per evitare lo
Chevy hanno sterzato bruscamente. Si è creato un incidente a
catena abbastanza grande. »
Non
riuscivo a crederci « Oh mio Dio, papà.
Cos’è successo alle altre persone? »
«
Stanno tutti bene, giusto qualche graffio. »
Sospirai e
il peso dell’ansia svanì dal mio
stomaco. In quel momento Angela rientrò in stanza e mi
sorrise, venendosi ad accomodare di nuovo sulla poltroncina alla mia
sinistra. Poi Charlie aggiunse
«
Tu cosa ricordi, Bella? Come hai perso il controllo?
»
Quella
domanda fu come un fulmine a ciel sereno. In effetti cosa
ricordavo davvero? Cercai di sforzarmi, le immagini di quel momento mi
tornavano alla mente come quelle di un sogno, un sogno di cui si cerca
di ricordare il contenuto ma appare tutto sfocato e tremolante. Dopo
qualche secondo di concentrazione ricordai meglio
«
Qualcosa mi ha tagliato la strada » dissi ancora
immersa nei ricordi
«
Un animale? » mi chiese Charlie e con la coda
dell’occhio vidi il dottor Cullen sollevare lo sguardo verso
di me, attento alla conversazione
«
Non lo so …. »
«
E’ normale se non ricordi, Isabella. Hai subito
un forte trauma cranico » aggiunse il dottore
«
No, non è per quello. Io ricordo cosa
è successo. » sollevarono entrambi le
sopracciglia, sorpresi « Ma non sono riuscita a distinguere
cosa fosse. Era troppo veloce. Mi è sfrecciato davanti in un
millesimo di secondo, e lo ha rifatto subito dopo l’impatto
con gli alberi » Charlie corrucciò le sopracciglia
pensieroso, mentre il dottor Cullen assunse un’espressione
che non riuscii a decifrare
«
Non ricordi proprio nulla di quella figura? » mi
chiese il dottore cautamente « Pensaci bene »
Riflettei
ancora per qualche attimo, ma le immagini provenienti dalla
mia testa erano sempre le stesse « No, mi dispiace. Solo una
macchia indistinta di colore, anche se non saprei dire quale
precisamente »
Il dottor
Cullen annuì lentamente e il suo sguardo divenne
assente, lo stesso che aveva Edward quella mattina nella radura, mentre
si concentrava sui suoi pensieri.
«
Indagherò ancora, tesoro. Ma potrebbe essere
stato un cervo, sono molto veloci. » mi disse Charlie
«
Non era un cervo papà. Nessun animale
è così veloce » gli risposi
Per un
breve attimo fui certa di vedere il dottor Cullen trasalire, ma
quando lo guardai era sereno come quando aveva varcato la soglia di
quella stanza e mi sorrideva
«
Comunque non importa, Bells. L’importante
è che tu stia bene, adesso. » aggiunse Charlie ed
io annuii
«
Ha ragione Charlie, sei stata molto fortunata »
mi disse il dottor Cullen mentre richiudeva la mia cartella clinica
dopo averci appuntato qualcosa sopra « Hai perso i sensi per
qualche ora, ma non ci sono motivi per tenerti ancora qui. Oggi stesso
potrai tornare a casa ma per quattro giorni dovrai rimanere a riposo,
consiglio a casa tua o di altri ma sempre in tranquillità.
Mi raccomando, se hai vertigini, nausea o avverti giramenti di testa
torna qui. D’accordo? »
«
Certo, grazie » gli sorrisi e lui fece lo stesso.
Poi si
rivolse a Charlie « Vieni con me, Charlie? Ti
accompagno alla reception per compilare i moduli di dimissione
»
«
Torno tra un po’, Bells » si
alzò dalla poltroncina e mi lasciò un bacio tra i
capelli
«
Stai tranquillo Charlie, resto io con lei » gli
disse Angela
«
Grazie » si avvicinò al dottor Cullen
ed insieme lasciarono la stanza.
«
Allora, pare che stavolta tu l’abbia combinata
grossa! » Angela sollevò le sopracciglia e si
lasciò andare contro lo schienale della poltroncina verde.
Io annuii
convinta « Già, un incidente con lo
Chevy mancava al mio repertorio »
Lei
ridacchiò appena « Credi di aver perso parte
delle tue già limitate capacità intellettive?
»
«
Hummm » mi portai un dito all’angolo
della bocca ed alzai gli occhi al cielo con fare pensieroso «
Può darsi … » poi lentamente li
riabbassai sgranandoli e spalancando la bocca, mi sporsi verso di lei e
rimasi a fissarla così, immobile.
Angela
sussultò agitata e si sporse anche lei verso di me,
allungando una mano sulla mia « Bella? Bella
cos’hai? »
«
Chi sei tu ? » sussurrai appena, mantenendo
sempre la stessa espressione scioccata per qualche secondo, prima di
scoppiare a riderle in faccia. Sembrava davvero spaventata.
«
Mio Dio ma sei scema davvero! » mi
gridò contro, prima di unirsi alla mia risata « E
non ridere di me, idiota! » iniziò a riempirmi di
pizzicotti e piccoli buffetti su tutte le braccia
«
Hey ma cosa fai? Sono in degenza io! » non
riuscivo a smettere di ridere « Infermiera! Infermiera,
aiuto! C’è una psicopatica che attenta alla mia
salute! » finsi di gridare e Angie tornò al suo
posto mentre le nostre risate scemavano nel silenzio della stanza.
«
Allora » riprese dopo poco, spingendo gli
occhiali dalla montatura rosa su per il naso «
L’ultima cosa che ho sentito uscire dalla tua bocca prima di
questo inferno è stata “ho troppe cose da raccontarti”
» premette con la punta dell’indice sinistro su
quella del destro, portando il conto delle cose che mi diceva
« poi c’è stato un Edward Cullen corso
qui come una furia alla notizia del tuo incidente » stavolta
spinse con la punta dell’indice sinistro su quella del medio
destro, portando il conto a due « ed infine sempre lo stesso
Edward Cullen non si è mosso dal tuo capezzale nemmeno un
secondo durante queste ore, e ti assicuro che il suo sguardo era troppo
tendente al pazzo-maniaco
per i miei gusti » concluse tirando fuori anche
l’anulare, portando il conteggio finale a quota tre.
«
Edward è rimasto qui? » le chiesi di
getto, provando quasi sollievo a quelle parole che sembravano lottare
contro la solitudine bianca di quella stanza vuota.
«
Purtroppo si. Aveva una faccia da disperato che non ho mai
visto, nemmeno se l’avesse causato lui l’incidente!
Credimi tesoro, quello lì mi preoccupa. »
Sorrisi a
quelle parole. « Ora dov’è?
»
«
Ha accompagnato Victoria a casa. Lei è arrivata
qui subito dopo Edward, insieme ad Alice, ma è rimasta tutto
il tempo fuori. Non mi piace affatto quella ragazza, sembrava quasi
annoiata di starsene lì seduta. Infatti poco fa ha
praticamente costretto Edward a riaccompagnarla. »
«
Anche a me non piace … ha qualcosa di strano
»
Angela
sbuffò e mi interruppe sorridendo « Ma chi
se ne frega di questa Victoria! Non credi che sia più
importante raccontare alla tua migliore amica del perché
Edward Cullen ha trascorso le ultime ore al tuo capezzale da vero
disperato? Cosa sta succedendo tra voi, eh? Confessa!» mi
chiese sollevando più volte le
sopracciglia in un espressione buffissima.
«
Angie » sospirai, in effetti non sapevo da dove
iniziare « ecco diciamo che … » non
terminai la frase che la porta della stanza si spalancò.
«
Bella! » Edward Cullen aveva pronunciato il mio
nome come in preda ad una visione.
Aveva gli
occhi spalancati e cerchiati di viola, i capelli ancora
più in disordine del solito. Rimase per qualche istante
immobile sull’uscio della porta, con ancora la mano sul
pomello e la bocca spalancata a fissarmi, come se volesse davvero
essere certo che fossi lì davanti a lui. Era di una bellezza
disarmante, e sapere che quell’espressione tanto disperata
era dovuta al mio semplice essere sveglia mi fece sciogliere il cuore.
Per quel lungo istante i nostri occhi si incontrarono come calamite,
attratti e bisognosi gli uni del sostegno degli altri. Poi Edward corse
verso di me, girò intorno al letto e prese il mio viso tra
le sue mani. Non ebbi il tempo di trasalire al suo tocco freddo che
pronunciò ancora il mio nome in un sussurro
«
Bella » nella sua voce profondo sollievo, ma nei
suoi occhi una tremenda disperazione che lasciava il posto al tormento.
In un
istante posò gentilmente le sue labbra sulle mie, in
un bacio pieno di dolcezza e liberazione. Non avevo mai visto o provato
nulla del genere in vita mia. Non credevo che tanta disperazione fosse
umanamente sopportabile, non pensavo di poter essere io a scatenare una
tale reazione in una persona. Staccò le sue labbra dalle mie
soltanto per baciarle ancora una volta, ancora più
delicatamente, ancora più dolcemente. Lo sentii sospirare e
finalmente riaprì gli occhi. Mi sorrise come solo lui sapeva
fare e carezzò delicatamente la mia guancia con il pollice,
poi parve ricordarsi della presenza di Angela e si accomodò
sulla poltrona alla mia destra prendendomi una mano tra le sue. Gli
sorrisi e nonostante lui non staccasse un secondo gli occhi da me, mi
voltai verso Angie. Era decisamente sotto shock, la bocca spalancata
così come gli occhi che saettavano da me a Edward,
tratteneva persino il fiato. Fu inevitabile per me scoppiare in una
fragorosa risata
«
Cosa ridi, scema? » Angela si ridestò
e rise insieme a me, consapevole dell’espressione che aveva
assunto.
Gettai una
rapida occhiata ad Edward e lo vidi sorridere divertito alla
scena
«
Ora si spiega tutto » Angie affermò
sorniona e soddisfatta guardando Edward « e bravo Cullen
»
«
Smettila » le dissi quando vidi
l’espressione imbarazzata sul volto di Edward
«
Si, si. Ma ovviamente mi aspetto tutti i dettagli
»
«
Angie! »
Edward
stavolta scoppiò a ridere « Non fa niente,
Bella. Piuttosto, come ti senti? » si accigliò
fissando il cerotto che sentivo prudermi sulla fronte.
«
Bene, ho solo male alla gamba e alla fronte, ma va sempre
meglio. » gli sorrisi per tranquillizzarlo, aveva una cera
leggermente migliore rispetto al momento del suo ingresso in stanza, ma
rimaneva comunque stravolto.
«
Ho incontrato tuo padre alla reception, stava compilando i
moduli ma credo che non ti dimetteranno prima di questa sera.
»
Annuii e
poi guardai in silenzio lui ed Angela. Quella stanza sembrava
piena grazie a loro, e così anche la mia vita.
Però
un pensiero sfuggì al mio controllo, uno di
quei pensieri che senti vividi nella testa ma che non vorresti mai
formulare veramente. Per un breve istante fui contenta di sapere che
sarei rimasta lì fino alla sera, voleva dire che avrei avuto
ancora qualche ora per sperare che qualcuno irrompesse nella stanza con
la stessa veemenza di Edward qualche istante prima.
Proprio in
quel momento la quiete della stanza fu scossa da un bussare
prepotente e vigoroso sul legno della porta. Il mio cuore
sobbalzò, non soltanto per il lieve spavento, e parve
uscirmi dal torace quando un secondo dopo la porta si aprì
di uno spiraglio e i miei occhi scorsero una mano color del bronzo
avvolgerne il pomello.
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Capitolo 30 *** CAPITOLO 25 - Orribili difetti ***
CAPITOLO 25 – “Orribili difetti”
Era seduto proprio lì, accanto a me sul letto, dove fino a pochi minuti prima vi erano le mani di Edward.
Eppure non potei fare a meno di allungare una mano e portargliela al viso, per accarezzarlo leggermente. Non credevo ai miei occhi. Era assurdo, non lo riconoscevo più. Certo, lo sguardo era quello di sempre, solo un po’ più adulto. Così come il sorriso contagioso e dalla dentatura perfetta. Quello che non mi quadrava affatto era tutto il resto.
Il suo corpo così muscoloso e definito - seppur ancora immaturo - , la statura decisamente più elevata. Ma quelle erano tutte cose che prima o poi mi sarei aspettata con il passare del tempo, che il suo corpo cambiasse e crescesse sulla strada per diventare adulto.
Le cose che invece non mi sarei aspettata erano tutte lì davanti a me, sembravano gridarmi in faccia tanto da far passere in secondo piano il vederlo cresciuto in così poco tempo. Il taglio di capelli così uguale a quello di Sam e Paul, così come anche il modo di vestire e quello strano tatuaggio tribale sulla spalla destra.
Al tocco con la mia mano scoppiò a ridere, così la ritirai subito
« Vuoi essere sicura che io non sia un’allucinazione? »
« No » risposi al suo sorriso nonostante fossi ancora scioccata dal suo aspetto « Sto solo cercando di capire cosa diavolo ti è successo » indicai platealmente tutto il suo corpo con entrambe le mani tese
Fece spallucce « Sono cresciuto, Bells »
« Cresciuto? Hai soltanto quindici anni, Seth. Non voglio immaginare come diventerai quando sarai davvero cresciuto! »
A quelle parole sorrise divertito. Io lo avevo sempre divertito tantissimo, e lui aveva sempre sorriso in quel modo. Quel modo che ora mi fece un po’ male al cuore. Lo stesso sorriso di Jacob.
Seth gli somigliava in un modo impressionante, più di un parente, più delle stesse Rachel e Rebecca. Ogni volta mi sembrava di guardare ad un Jacob da piccolo, identico a quello dei miei ricordi d’infanzia. Adesso invece quel ragazzone che mi sedeva di fianco me lo ricordava ancora di più, poteva passare tranquillamente per il fratello di Jacob.
« E comunque non mi riferivo soltanto a questo, lo sai. » lanciai un’occhiata molto eloquente a lui e anche a Quil, che se ne stava appoggiato accanto alla finestra a braccia conserte. Anche lui era cambiato allo stesso modo « Sembrate la copia di Sam » aggiunsi infastidita quasi in un sussurro.
Seth non rispose e Quil simulò in maniera pessima un improvviso interesse per una crepa nell’intonaco. La loro reazione non mi piacque, specialmente quella di Seth. Non era da lui nascondermi qualcosa.
« Per me sta davvero benissimo » Angela ruppe il pesante silenzio che si era appena creato.
Era ancora seduta sulla poltroncina verde alla mia sinistra e riuscii a stento a trattenere una risata quando vidi il modo in cui guardava Seth. Edward invece, seduto accanto a lei, non fu bravo quanto me e la sua risatina parve risvegliare la mia amica infatuata che arrossì violentemente. Anche Quil se la rise, nemmeno troppo sotto i baffi, mentre mi stupì notare che anche le guance di Seth si erano visibilmente imporporate.
« Grazie, Angela. Perché non puoi fare anche tu così, Bells? Guardami » si sollevò in piedi ed iniziò ad imitare alcune buffe pose da culturista « Ora puoi dire di avere un amico davvero figo »
« Due, mio caro » e anche Quil si unì a quel ridicolo spettacolino che mi fece sorridere.
Mi voltai verso Angela « Ecco, vedi? Avranno anche qualche muscolo in più ma il cervello è rimasto grande quanto una nocciolina »
Lei rise divertita ed anch’io, ma non potei fare a meno di notare il disagio di Edward. Era seduto tutto contratto sulla sua poltroncina verde e non perdeva mai d’occhio Seth e Quil. Il suo sguardo saettava da me a loro continuamente.
« Insomma, catastrofe umana, non sono venuto qui solo per pavoneggiarmi » Seth si sedette di nuovo accanto a me e mi scompigliò appena i capelli « Era da troppo che non ti vedevo e la tua quasi morte per incidente stradale mi è sembrata un ottimo motivo per venirti a trovare » mi abbagliò ancora con il suo sorriso
« Oh, ma grazie. Troppo buono »
« Credi che quella ti impedirà di venire alla festa per il mio compleanno? » mi chiese indicando con il pollice la gamba ingessata « Domani pomeriggio verranno tutti a casa mia. Una cosetta tranquilla, con qualcosa da mangiare e nulla di folle. »
Per un momento non seppi cosa rispondergli. Sentivo davvero tanto la mancanza della riserva, di Billy, di Emily e di tutti quei chiassosi ragazzi. Però l’immagine che avevo in testa di Sam fuori casa Black che mi intimava di non presentarmi più alla riserva era ancora molto nitida. Ricordai le sue parole, non avrei dovuto più mettere piede lì senza essere stata invitata. Per quanto ne sapevo, quello che mi aveva proposto Seth era un invito in piena regola. Inoltre mi mancavano davvero tanto, troppo, tutti quanti. Non ebbi il tempo di prendere una decisione che Edward si intromise fulmineo nella discussione
« Isabella non verrà. E’ stanca, deve stare a riposo e non ha di certo bisogno di una festa. »
La sua voce in quel momento mi sembrò talmente fuori luogo da irritarmi. Per un istante provai nei suoi confronti lo stesso moto d’insofferenza che nutrivo i primi giorni dopo la nostra conoscenza. Mi voltai di scatto verso Edward, i suoi occhi dorati fiammeggiavano in quelli scuri di Quil.
« Come hai detto, scusa? » tutta l’irritazione per quel gesto si era riversata apertamente nel mio tono di voce.
Edward se ne accorse e mi guardò accigliato. Quella sua espressione quasi stupita mi infastidì ancora di più.
« Io non credo sia una buona idea, Bella. Tu devi capi….»
« Io devo Edward? » ripetei incredula « Ma cosa stai facendo? » la sua espressione stupita aumentò e così anche il mio fastidio.
Fu in quel momento che mi resi conto che la piccola, accondiscendente Bella Swan stava crescendo. Per quanto potessi essere grata ad Edward per quello che aveva fatto e continuava a fare per me non avrei mai accettato che mi privasse della mia libertà di scelta. Seppur per una scelta banale come quella di andare ad una festa. Sicuramente in passato non avrei posto obiezioni a quell’intromissione, avrei pensato che infondo lo stava facendo per il mio bene, che poteva aver ragione lui … ma non adesso. O almeno non più.
Non più da quando l’unica certezza della mia vita era sparita senza degnarmi di un saluto o di una parola. Mi resi conto in quel momento che se mai avessi rivisto Jacob avrei dovuto quasi ringraziarlo. Avrei dovuto dirgli grazie per essere sparito così, facendomi mancare perfino la terra da sotto i piedi, perché mi aveva permesso di crescere. Nulla al mondo ti costringe a crescere, maturare, tirare fuori unghie e carattere più dell’improvvisa caduta delle tue certezze.
« E per favore non guardarmi così. Ti ringrazio per esserti preoccupato per la mia salute, ma non credi che spetti a me scegliere cosa fare o non fare? » non volli infierire troppo davanti agli altri, così mi rivolsi subito a Seth, che intanto mi guardava con un bel sorrisetto di soddisfazione stampato in volto « Grazie di avermi invitata, Seth. Non vedo l’ora che sia domani » gli sorrisi anch’io.
Edward accennò un gesto di protesta ma lo fulminai con lo sguardo
« Grande, Bells! Sarà fantastico! Giuro che ti divertirai da morire! » Seth non stava nella pelle, mentre Edward emise uno strano suono infastidito a quelle ultime parole « Angela perché non vieni anche tu? » si rivolse a lei con il sorriso abbagliante stampato in volto.
La mia povera amica, che non era abituata a questi attacchi da sorriso-stordente come la sottoscritta, avvampò fin sulla fronte con un sorriso da beata « Ehmm, si grazie, volentieri »
« Fico! » rispose soltanto Seth, con quasi lo stesso sorriso di Angela sulle labbra, poi parve ridestarsi « Tu…cioè, da quanto….o meglio, ti va se…» si morse la lingua con espressione accigliata, poi guardò Quil con la coda dell’occhio e sul suo viso spuntò il solito sorriso furbetto di chi ha appena trovato una scorciatoia « Quil stamattina ha perso una scommessa, deve pagarmi uno spuntino e se vieni anche tu posso fargli spendere di più »
Quasi mi misi a ridere per quella scusa così infantile, Quil sbuffò visibilmente mentre Angela parve non notare affatto la stranezza della situazione.
« Prepara il portafogli, Quil. Ho proprio fame! » esordì lei alzandosi dalla poltrona « Ci vediamo dopo, Bells » mi lasciò un bacio sulla guancia
« Si, si, vai pure » le sorrisi
« Andiamo, approfittatrice » le disse Quil avviandosi verso la porta « ci vediamo domani, Bella » mi salutò con una mano ed aprì la porta per Angela che sgattaiolò subito in corridoio
« Tu » Seth sollevò un sopracciglio e puntò entrambi gli indici verso di me « sei forte, ragazza! E domani sarà un gran pomeriggio! »
« Già, ma adesso sparisci » gli dissi mentre si dirigeva alla porta per raggiungere Angela e Quil in corridoio « prima che la mia amica si renda conto di quanto tu sia un mocciosetto »
Mi lanciò un rotolo di garza ed uscì ridendo.
Senza i due ingombranti ragazzoni in stanza sembrò che il silenzio fosse in realtà un rumore. Un rumore molto forte, di fondo, che aspettava soltanto di essere sovrastato da altri suoni, come ad esempio quelli delle nostre voci. Edward fissava ancora la porta, con sguardo affilato e concentrato. Quando faceva così era davvero troppo strano, cosa poteva scrutare in una porta chiusa? O forse stava semplicemente riflettendo sull’accaduto.
« Credo che noi due dovremmo parlare » ruppi il silenzio in maniera leggera
« Già » voltò la testa e puntò i suoi occhi dritti nei miei « dovremmo proprio » aggiunse in tono seccato.
Le mie sopracciglia si sollevarono autonomamente dallo stupore « Non credo che sia tu a poter usare un tono seccato in questo momento »
Edward si avvicinò e tornò a sedersi nella poltrona verde alla mia sinistra « Fammi indovinare. Tu puoi, invece? »
« Stai scherzando, vero? » ovvio che scherzava, non poteva fare sul serio.
« Io no. E tu, Bella? » ed aveva uno sguardo proprio convinto.
« D’accordo. Mettiamola così. Non voglio arrabbiarmi con te. Quindi, per favore, potresti abbandonare questo tono seccato? Almeno ce la giochiamo ad armi pari : non lo uso io, e non lo usi nemmeno tu »
Edward annuì piano con la testa e sospirò « Hai ragione, va bene. Nemmeno io voglio litigare con te. »
Dovetti mordermi la lingua per non rispondergli che se queste erano le sue intenzioni allora avrebbe dovuto evitare di intromettersi nelle mie scelte. Ma infondo quello era proprio il messaggio che volevo fargli arrivare, così provai ad aprire il discorso.
« Ascolta, Edward. Io non conosco tutte le abitudini della tua vita, sto appena imparando a conoscere te più a fondo. Non so se tu sia abituato ad intrometterti nei discorsi o nelle scelte altrui …»
« No, non mi permetto mai. Non è mia abitudine » mi interruppe subito, con lo sguardo fisso sul copriletto.
« E allora perché, Edward? Perché poco fa l’hai fatto con me? »
Il suo sguardo dorato guizzò nel mio in un secondo. Mi mancò il respiro al contatto con quei due topazi che mi fissavano così intensamente da sotto le ciglia lunghe.
« Perché tu non sei tutti gli altri, Isabella » lo disse con un tono talmente serio che mi fu impossibile ribattere subito « io non posso permettere che ti accada nulla di male. Mai e in alcun modo. Non vedi cosa ti è successo oggi? Tutto perché non ti sono stato vicino abbastanza e l’immagine di te in questo letto d’ospedale mi tormenterà per sempre » mi avvolse rapido una mano tra le sue mentre il suo sguardo continuava ad ipnotizzarmi « Voglio solo il tuo bene, Bella. Il tuo bene sopra ogni cosa ».
Il rapido susseguirsi di bip provenienti dalla macchina a cui ero collegata mi ricordarono che se volevo continuare a vivere avrei fatto meglio a respirare. Così lo feci, inspirai profondamente.
Le parole di Edward mi avevano colpita, soprattutto per l’intensità con cui le aveva pronunciate. Il suo sguardo dorato bruciava nelle mie iridi scure, bruciava di una determinazione che non avrei mai potuto smentire. Ma dovevo trovare il modo per ridestarmi dall’effetto ipnotico che avevano su di me. C’era qualcosa nel mio istinto che mi suggeriva che se avessi lasciato correre questo episodio sarei entrata in un vortice senza uscita di decisioni prese al posto mio.
Mi schiarii la voce e sbattei più volte le palpebre richiamando quanta più lucidità riuscissi a racimolare « Io... ecco … » sospirai infastidita da quanto tempo mi ci volesse a riprendermi da quel subdolo attacco pregno del suo fascino « Non dire sciocchezze, non è colpa tua se ho avuto l’incidente. Se anche fossi stato con me cosa avresti potuto fare? Sciogliere il ghiaccio con il tuo sguardo laser? » gli sorrisi ma a lui non parve piacere la battuta.
« Bella tu non capisci …»
« Edward Cullen, prova a dirmi anche solo un’altra volta tu non capisci e giuro che io e te abbiamo chiuso » tirai via la mano dalle sue ed incrociai le braccia al petto « Si può sapere con chi credi di parlare? Io davvero non voglio arrabbiarmi con te, ma tu stai tirando troppo la corda » sbarrò gli occhi a quella mia reazione così decisa « E non guardarmi in quel modo! » alzai la voce
« Ma quale modo, Bella? » la alzò un pelo anche lui, visibilmente confuso
« Quel modo stupito che dice oh mio Dio, Isabella Swan ha un cervello pensante! cosa c’è, non è normale che io mi opponga a qualcosa che tu decidi? O non è normale che io mi arrabbi con Mister Perfezione? »
« Si può sapere che ti prende? Cosa stai dicendo? » stava iniziando ad infervorarsi anche lui
« Sto dicendo che non me ne frega niente se nella tua vita non hai mai incontrato nessuno che andasse oltre il tuo magnifico aspetto! Non me ne frega un accidente se nessuno ha mai trovato il coraggio o la forza necessari per contraddirti! Io non voglio farmi abbindolare ogni volta dall’ascendente che eserciti sulle persone, quindi rassegnati! »
« Io non esercito proprio un bel niente su di te, Bella! Lo vuoi capire o no? »
« Ah no? E allora cos’è quella specie di sguardo ipnotico che mi fai ogni volta? »
« Quello sono semplicemente io, Isabella. Soltanto me stesso. Hai detto che vuoi conoscermi per quello che sono davvero? Eccoti servita! Io sono così! Tu inciampi anche sul pavimento più liscio del mondo? Io guardo le persone e loro perdono un po’ di lucidità! E … » smise di urlare e cacciò fuori tutta l’aria dai polmoni, svuotandosi del tutto e scuotendo la testa. Poi si alzò dalla poltrona e si accomodò lentamente sul letto accanto a me, proseguendo a bassa voce, con un tono profondo e spesso di una nuova calma ritrovata
« E il fatto che tu sia l’unica che stia anche solo cercando di contrastarmi ti rende ancor più speciale ai miei occhi »
Era sincero, potevo capirlo dalla limpidezza del suo sguardo. Eppure quel cambio repentino di umore mi aveva spiazzata del tutto. Non sapevo cosa rispondergli, ma la sua tranquillità pacò anche la mia agitazione.
Mi prese il viso tra le mani « Forse è come dici tu, forse sono sempre stato abituato a non essere contrastato. E una parte di me continua a volere fortemente che anche tu dia ascolto ai miei consigli per il tuo bene. Però questa sei tu, Isabella. Sei una ragazza cocciuta e testarda tanto quanto io sono un tipo saccente e presuntuoso. Sono difetti orribili i nostri, e il bello è che adesso li conosciamo. Ci stiamo conoscendo davvero adesso. Proprio come volevi tu, e come io non mi aspettavo »
Sospirai rilassandomi anch’io a quelle parole e adagiai maggiormente il volto tra le sue mani. In parte aveva ragione, ci stavamo conoscendo davvero, senza maschere o inutili nascondigli. Muso a muso, difetti contro difetti. E mi stava bene. Certo, la cosa mi scombussolava alquanto, ero abituata ad avere vicino una persona che avevo imparato a conoscere negli anni, ma questa era la mia nuova vita. La vita in cui Bella Swan stava diventando adulta ed iniziava a scrollarsi di dosso un po’ di insicurezze e paranoie.
« Va bene, Edward. Avremo anche dei difetti orribili, ma si spera che insieme riusciremo a smussarli un po’. Magari partendo dal fatto che nessuno ti ha detto di non darmi consigli » alzai lo sguardo nel suo, ancora « Io voglio i tuoi consigli, Ed. Così come voglio dartene io. Però, per favore, non scegliere al posto mio senza nemmeno aver sentito cosa penso. Che sia una festa, un piatto di pasta, un cucciolo oppure un investimento di milioni di dollari »
Stavolta sorrise apertamente, e come al solito rimasi affascinata da tanta bellezza
« Perdonami, allora, se ti ho messa in imbarazzo poco fa. Non era mia intenzione »
« L’ho capito »
« E’ che non credo sia il caso che tu vada a quella festa. Hai appena avuto un brutto incidente »
Sfilai il viso dalle sue mani con espressione contrariata « Andiamo, Edward. Lo sai benissimo cos’ha detto tuo padre. Sto bene. Devo solo evitare affaticamenti. Quindi sputa il rospo, qual è il vero motivo? »
Gli sfuggì per pochissimo uno dei suoi sorrisi sghembi, ma quando mi rispose era di nuovo serio « Non mi piace saperti alla riserva da sola »
« Cosa? Da sola? Ma se ci sarà tutta La Push! E poi puoi sempre venire anche tu »
« Non …. Noi Cullen non siamo graditi lì »
Mi ritornarono in mente le parole di Jacob “Mi ha detto che al tempo dei nostri antenati la loro famiglia fu beccata a cacciare nel nostro territorio. Così per mantenere la pace raggiunsero un accordo in cui si delimitava il territorio di caccia…..e la riserva per loro è off limits….lo era allora….e lo è ancora oggi”. Non mi sembrava quello il momento di mettermi a discutere anche di faccende non mie.
« Oh… capisco » mi limitai a commentare « E comunque non devi preoccuparti di nulla. Conosco tutti i ragazzi e ti assicuro che sono persone a posto »
« Non metto in dubbio che molti di loro lo siano, ma ce ne sono altri che vorrei vedere lontani chilometri da te » evidentemente la mia espressione confusa dovette spingerlo ad aggiungere il resto « Persone come Sam Uley e tutti gli altri … selvaggi che si porta dietro »
« Edward non ti permetto di chiamarli così »
« Ma è quello che sono »
« Assolutamente no! » diedi un leggero colpo con la mano al copriletto « So che possono sembrare inquietanti, ma restano comunque ragazzi che non hanno mai dato fastidio a nessuno » se escludiamo il terrorismo psicologico che esercitavano su Jake e me. Ma non mi sembrava il caso di peggiorare la situazione, così lo tenni per me.
Era passato del tempo dal mio ultimo incontro con Sam, avevo avuto modo di rifletterci sopra a lungo, e le mie riflessioni avevano soltanto consolidato fortemente l’impressione che mi feci in quel momento. Sam non mi aveva ferita per cattiveria o perché era una brutta persona. Semmai il contrario. Lo aveva fatto per proteggere Jacob, ed era stata la mossa migliore. Senza quelle terribili parole forse avrei continuato a cercarlo e cercarlo ancora, ferendo solo più profondamente sia me che lui.
« E poi ho trascorso alla riserva ogni pomeriggio della mia vita a Forks, anche prima che mi trasferissi. Se qualcuno di loro avesse voluto farmi del male non credi che l’avrebbe già fatto da un pezzo? »
« Magari prima non erano pericolosi come lo sono oggi »
« Addirittura pericolosi, Edward? » soffocai sulle labbra una risatina isterica. Mi passai una mano sulla fronte, dove il dolore sotto la medicazione aveva iniziato a pulsare più intensamente « tsè … pericolosi » ripetei sbuffando a bassa voce.
« Per favore, Bella… »
« No » sollevai l’altra mano davanti al suo viso « Per favore tu, Edward » abbassai entrambe le mani « Ora sono stanca. Tutta questa discussione mi ha stancata e ho mal di testa. Quindi non parliamone più. Accetto i tuoi consigli ma ti assicuro che non c’è nulla di cui preoccuparsi. La Push è la mia seconda casa, la tribù è la mia seconda famiglia, quindi io andrò a quella festa. Così come tu non mancheresti al compleanno di Alice » mi stesi di più nel letto, se dovevo aspettare che mi dimettessero tanto valeva riposare.
Edward mi guardò con un espressione frustrata in volto, non volevo vederlo così, si stava soltanto preoccupando per nulla. Portai una mano a quel volto angelico e gli carezzai la guancia un paio di volte, su e giù
« Non guardarmi così » gli sorrisi « sei troppo bello per tenere il broncio »
Mi sorrise a sua volta « E tu sei adorabile anche quando hai mal di testa » si avvicinò lentamente e sfiorò le mie labbra con le sue.
Esattamente come quel mattino il mio cuore prese il volo a quel contatto freddo e delicato, e i bip della macchina aumentarono vertiginosamente. Edward sorrise sornione a pochi millimetri dalla mia bocca.
« Ti faccio questo effetto, Swan? »
Sbuffai « Maledetto aggeggio »
« Non fare così » sussurrò piano al mio orecchio, mentre la sua morbida chioma bronzea mi solleticava una guancia « questo non è nemmeno paragonabile all’effetto che fai tu su di me »
Sentii le guance andarmi a fuoco e non mi curai più dei suoni provenienti dal macchinario cercando ancora le labbra di Edward, trovandole immediatamente. Anche quel bacio fu delicato e appena accennato, ma bastò ad inebriarmi completamente del suo profumo dolce.
« Ora però riposa »
« E tu cosa farai? »
Mi sorrise e poi ruotò su se stesso, stendendosi di fianco a me. Mi cinse la vita con un braccio al di sopra delle coperte e mi passò l’altro sotto il collo. Poggiai la faccia al suo petto come se fosse la cosa più naturale del mondo.
« Io non ho intenzione di muovermi di qui »
Quanto mi era mancato addormentarmi in un abbraccio.
****
Quando l’infermiera dai capelli biondi bruciati da anni di tinture aggressive era entrata in stanza stavo ridendo con le lacrime agli occhi. Edward aveva impegnato l’ultima mezz’ora raccontandomi alcune disavventure di Emmett dovute alla sua…. Irruenza? Infantilità ? un po’ tutto messo insieme.
« Mi fa piacere che vi stiate divertendo tanto, ma ora dovresti uscire giovanotto » disse rivolta al mio angelo sorridente « Devo aiutarla a rivestirsi »
« Ti aspetto fuori » mi posò un bacio tra i capelli ancora sorridendo e sparì in corridoio.
L’infermiera, nonostante avesse una sessantina d’anni, era rimasta qualche secondo di troppo a fissare il punto in cui il sedere di Edward era sparito, così mi schiarii appena la voce e lei parve ridestarsi
« Forza, ragazza. Si torna a casa! »
« Non vedo l’ora » le risposi mentre mi staccava dal petto i sensori del macchinario
Fu scossa da una risatina leggera « E sei qui soltanto da otto ore »
« Già … ma mi sono sembrate eterne. Non mi piacciono gli ospedali, ci vengo troppo spesso »
« Non piacciono a nessuno, se è per questo. Forse solo alle infermiere vecchie e masochiste come me o agli uomini pieni di passione per il proprio lavoro come il dottor Cullen » mi diede una mano ad alzarmi in piedi « Perché ci vieni spesso? » mi chiese con un tono sospettoso, mentre mi indicava di sfilarmi il camice
« Soffro di una gravissima patologia molto acuta » le risposi infilando la maglia
Lei mi rivolse uno sguardo che pensai dovesse offrire ad ogni persona gravemente ammalata che incontrava ogni giorno, mentre mi aiutava ad infilare i pantaloni. Forse non era stata una buona idea scherzare a quel modo
« Scherzavo, io … sono solo molto goffa, impacciata e scoordinata quindi il pronto soccorso è come casa mia » tentai di rimediare a quella figuraccia mentre lei finiva di allacciarmi le scarpe.
Il suo sguardo si trasformò istantaneamente in qualcosa di più simile al ma sei scema o cosa? . Si sollevò in piedi e si diresse alla porta « Beh, allora rimettiti in fretta e cerca tornare il più tardi possibile » ma la sentii benissimo quando aggiunse sottovoce « ragazzi d’oggi » mentre lasciava la stanza.
Quand’è che avevo detto che Bella Swan stava crescendo? Sbuffai della mia incorreggibile abilità a fare pasticci e figuracce. Gettai un’occhiata al paio di stampelle che l’infermiera aveva dovuto poggiare accanto al letto quando era entrata. Ci mancavano solo quelle, ora sì che avrei potuto incastrarmi dovunque!
Le afferrai, poggiai i gomiti nell’apposito sostegno ed iniziai a cercare un nuovo equilibrio per fare qualche passo. I primi tentativi ovviamente furono penosi, poi però capii come fare e mi mossi verso la porta. Quando la raggiunsi, prima di allungare una mano sul pomello, mi voltai indietro per gettare un’ultima occhiata alla stanza.
Sapevo cosa stavo facendo. Stavo accogliendo la serenità di chi sta per chiudersi definitivamente una porta alle spalle. La mia porta era alta, calda, bronzea e bellissima. Il fatto che non si fosse fatto vivo per una cosa del genere mi diede la conferma che non sarebbe mai più tornato nella mia vita. Così sospirai, avvertii il particolare vuoto allo stomaco che si prova quando si dice addio a qualcosa di importante con la consapevolezza che non si tornerà indietro. Sorrisi a tutti i bei ricordi che avrei portato con me sempre e poi uscii da quella stanza, chiudendomi alle spalle sia la porta in alluminio bianco che quella in carne ed emozioni del mio passato.
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Capitolo 31 *** CAPITOLO 26 - Festa con sorpresa - parte prima ***
CAPITOLO 26 – “Festa con sorpresa” – prima parte
« Dio … » sospirai tra l’avvilito e lo stupito «… sembro nonna Marie »
Mi lasciai cadere seduta pesantemente sul letto e il piumone emise un lento puff che contribuì ad aumentare la penosità di quella scena. Era davvero incredibilmente penoso. Avevo diciotto anni e nemmeno un briciolo di gusto estetico nel vestire.
Alzai di nuovo gli occhi allo specchio verso la mia figura che in quei panni, perfino da seduta, mi sembrava la copia di mia nonna, accidenti!
Avevo recuperato un maxipull bianco con ghirigori neri, con il collo alto e vaporoso e maniche lunghe. L’avevo indossato sopra un paio di jeans belli larghi, per farci entrare il gesso…. e quanto avevo sudato per infilarlo da sola! Alla fine mi ero ritrovata con il fiatone, stanca morta e… orribilmente sciatta.
« Oh mio Dio »
Nello specchio vidi il riflesso di Angela sotto l’uscio di camera mia, così mi voltai appena solo con il busto verso di lei. Aveva le sopracciglia sollevate e un’espressione talmente stupita che mi fece desiderare che non dicesse mai cosa stava pensando.
« Sembri tua nonna Marie » concluse con la stessa faccia.
Mi lamentai con un mugolio stridulo e mi lasciai cadere del tutto sul letto. Mi era bastata una veloce occhiata per notare quanto lei invece fosse carina e femminile nel suo abitino di lana rosa. Mentre fissavo il soffitto sentii i suoi passi avvicinarsi al letto.
« Stai scherzando, Bells. Non è vero? Ti sei vestita così apposta per farmi venire un colpo » non la vedevo, ma me la immaginavo benissimo con le mani sui fianchi.
« Purtroppo no, Angela. Anzi, ti dirò di più. Questo … » indicai con un cenno della mano tutto il mio corpo, continuando a fissare il soffitto « è il meglio che sono riuscita a fare. E ho anche sudato come uno stupido maiale per infilarmi questi stramaledetti jeans! » conclusi agitando i pugni sul materasso sotto di me.
Ma da Angie non arrivò nessuna risposta, cosa molto strana « Non mi porterai alla festa così, vero? »
« Non ti porterei nemmeno nello scantinato di zia Ruth vestita così »
Mi lamentai ancora e più forte di prima. Se nemmeno lo scantinato della vecchia zia pazza, gattara e dalla scarsissima igiene personale di Angela poteva accogliermi, allora la situazione era anche peggio di quanto mi aspettassi. Forse potevo ancora giocarmi la carta della timidezza.
« Lo sai, Angie, che non vado alle feste » non mi ero mai accorta che il soffitto fosse così pieno di piccole crepe nell’intonaco « A nessuna festa. Non mi piacciono »
« Primo : sarebbe anche ora che iniziassi, hai diciotto anni e vivi come se ne avessi ottanta. Secondo : non è una scusa accettabile per quello che vedo »
Sbuffai infastidita. Non mi interessava nemmeno valutare se avesse ragione o meno in quel momento. Mi sentivo solo umiliata, triste e … vecchia!
« Allora » le sentii dire poco prima che il suo volto occhialuto entrasse capovolto nel mio campo visivo oscurando del tutto il soffitto « vuoi rimanere distesa a fissare il soffitto ancora per molto, o posso cercare di riparare questo danno? » mi chiese con il sopracciglio alzato della sfida.
Lo conoscevo benissimo quel sopracciglio. Si alzava per svariati motivi, ma in quel momento era proprio per la sfida di riportare questo relitto umano alla forma di diciottenne smagliante.
Mi tirai su di scatto e sbuffando « Non vedo come potresti riuscirci »
« Sta zitta e lascia fare a me » si tolse il cappotto nero che portava sbottonato e io mi resi conto che era anche più bella di come l’avessi intravista prima.
Indossava un carinissimo vestitino in lana rosa chiaro, calze velate, un bel paio di stivali neri che richiamavano il cinturone che portava sotto il seno e il cappotto.
« Come sei bella, Angie » le dissi spontaneamente
« Si, lo so. E se non ti alzi non posso iniziare la mia opera su di te »
Mi alzai in piedi e la faccia della mia amica parve sbiancare, la guardai interrogativa
« Scusa, Bells è che …. In piedi è peggio! voglio dire… Santo Dio, sei la copia sputata di tua nonna! »
« Angie così non mi aiuti » sospirai sempre più avvilita
« Giusto, giusto, scusami » la vidi affaccendata nel mio armadio ma la sentii comunque sussurrare « se ti avessi trovata già in piedi mi sarebbe venuto un infarto al cospetto del fantasma di Marie »
« Angela! »
« Che c’è ?! » mi chiese infastidita mentre emergeva dalle ante in legno con un groviglio nero in mano dal quale pendeva ancora un cartellino « trovato » mi sorrise « sapevo che li avrei trovati ancora intatti. Meno male, così potremo salvare l’unica cosa davvero bella che hai messo addosso »
Mi guardai meglio cercando di capire cosa fosse, ma mi arresi quasi subito.
Dieci minuti dopo, quando Angela ebbe finito di vestirmi, capii a cosa si riferisse. Guardandomi allo specchio quasi non mi riconoscevo. Il maxipull bianco e nero era rimasto al suo posto, con la differenza che ora sfoggiavo la bellissima cintura nera di Angela sotto il seno a segnarmi il girovita e a sollevare la stoffa fino a metà coscia, e dei leggins neri al posto degli orribili jeans. Anche per infilare quelli avevamo sudato entrambe in una maniera improponibile, ma alla fine Angela era riuscita nella sua impresa : me li aveva infilati, ed aveva tirato il lembo della gamba destra su, fino all’inizio del gesso, lasciandolo scoperto ed avvolto nel tutore nero che Charlie aveva comprato. Tocco finale al piede non ingessato, una ballerina nera che nemmeno sapevo di avere, forse un’altro regalo della mia migliore amica che avevo gettato nel dimenticatoio.
« Wow, Angie »
Mi sorrise soddisfatta nel riflesso dello specchio « Visto? Basta poco per essere carine » mi strizzò l’occhiolino « e quando ti avrò aggiustato anche capelli e trucco sarai perfetta »
« Grazie » le sorrisi « Ho solo un piccolo appunto »
« Spara »
« Non avrò freddo soltanto con i leggins a coprirmi le gambe? È l’Ottobre più rigido degli ultimi dieci anni»
Angela sbuffò « Hai mai sentito il detto “chi bella vuole apparire, un po’ deve soffrire” ? »
« Si, ma tu non mi sei mai sembrata sofferente »
« Tesoro » mi poggiò le mani sulle spalle con un sorriso un po’ inquietante « Ricordi qualche mese fa, quando entrasti nel mio bagno la sera del mio compleanno? »
« Si certo, eri stupenda e quei tacchi li ricorderò per il resto della mia vita » mi venne da ridere al pensiero
« Bene… e ricordi cosa mi chiedesti? » quel sorriso inquietante era ancora lì nel riflesso della mia amica allo specchio
« Si… “come ti senti?” »
« Ed io cosa ti risposi? »
« Una strafiga »
« Esatto. Una strafiga con mille lame arroventate infilate nelle piante dei piedi e centinaia di spilli sotto ogni unghia » il sorriso inquietante si allargò, ed io finalmente capii.
****
Ero intenta a mangiucchiarmi quel che restava dell’unghia del mio pollice sinistro quando Angela mi schiaffeggiò la mano togliendomela di bocca.
« Bells, questa cosa fa schifo »
« Lo so, me lo dici da quando ci siamo conosciute » sbuffai appoggiandomi con la testa al finestrino della sua macchina e assicurandomi con le dita che la grande medicazione sopra l’occhio destro fosse a posto.
« Ma a quanto pare non è bastato ancora » mi rivolse una breve occhiata truce mentre arrestava l’auto all’ultimo semaforo che ci separava dalla riserva.
L’ultimo semaforo. Rosso tra l’altro. Forse era un segno? Forse davvero non sarei dovuta andare a quella festa. In un secondo fui travolta dal panico e il cuore mi andò a vento.
Avrei rivisto tutti i ragazzi, magari ce l’avevano con me per la fuga di Jake. Avrei rivisto Billy che sicuramente mi odiava per la fuga di Jake. E ultimo, ma non meno importante, avrei rivisto Sam, che non avevo ancora deciso se mi avrebbe pestata o ridicolizzata davanti a tutti. Non mi ero nemmeno accorta che quei pensieri mi avevano portata a starmene seduta tutta rigida, con la schiena ad un palmo dal sedile.
Mi sentivo il cuore in gola e fissavo la luce rossa del semaforo con la vana speranza che rimanesse accesa per sempre, senza mai far scattare il verde. Il cuore accelerava ogni secondo di più, la bocca divenne arida senza nemmeno un goccio di saliva e istintivamente gettai un’occhiata alla maniglia alla mia destra. Potevo sempre tirarla e fuggire via a gambe levate. Le dita dei piedi ebbero uno spasmo a quel pensiero, come se fossero pronte a reagire istantaneamente. Ma allo stesso tempo quel piccolo movimento mi ricordò del gesso. Dannazione ero in trappola.
« E basta! » Angela aveva quasi gridato
Sobbalzai dallo spavento. Ero talmente tesa che quasi toccai con la testa sotto il tettuccio.
« Che ti prende? » le chiesi quasi senza fiato
« Non ti sopporto quando fai così! Mi stai facendo saltare i nervi! Mi sembra di sentire il ronzio incessante di quei pensieri stupidi e paranoici che stai sicuramente facendo, e come se non bastasse mi sembra di sentire perfino il tremolio di tutti i muscoli tesi che hai in questo momento! Mi stai. facendo. venire. l’ansia! » Angela gridava e non si fermava nemmeno un secondo per respirare, sputando fuori quelle parole e scandendo le ultime battendosi una mano al petto « Smettila di farti tutte queste seghe mentali! Non ti sto portando al patibolo, non ti sto portando in pasto ai cani né tantomeno nello scantinato di zia Ruth! Quindi per favore calmati! Mi basta la mia di agitazione! Tu ci sei sempre stata in quella dannata riserva, ogni ora e ogni secondo della tua vita a Forks, e se stai pensando a Jake : no, lui non ci sarà! E non voglio nemmeno pensare che invece tu ti stia cagando sotto di incontrare le persone che ti hanno sempre accolta, perché se è così giuro che ti disconosco come amica! » smise un secondo di gridare, soltanto per riprendere fiato e ricominciare più forte di prima, aveva una faccia stravolta « Anzi, forse ti disconosco comunque, dato che è da quando siamo uscite da casa tua che non fai altro che torturarti nelle tue paranoie invece di pensare a me e a quanto mi senta anch’io dannatamente agitata per questa cazzo di festa! » batté entrambe le mani sul volante e appoggiò di nuovo la schiena al sedile riprendendo fiato.
Ero rimasta senza parole e letteralmente con la bocca aperta a quella scena isterica. La mia amica forse stava addirittura peggio di me e come al solito la sua strigliata mi servì per riprendere il controllo sulla situazione. Feci uno sforzo immenso per non farmi scappare una risata per la scenata che aveva appena fatto quando parlai
« Angie scusami, faccio davvero schifo come amica, non ho proprio pensato a …. »
« Shhh » mi zittì subito passandosi una mano tra i capelli sconvolti « non dire niente » aggiunse riprendendo il controllo sul suo respiro e ingranando la marcia allo scattare della luce verde.
Quando Angela venne ad aiutarmi a scendere dalla sua macchina blu le strinsi entrambe le mani nelle mie
« Angie, questa festa non sembra facile per nessuna di noi due. Ma almeno siamo insieme » accennai un timido sorriso, al quale rispose altrettanto timidamente
« Già » annuì piano, raccolse le stampelle e me le porse « E poi sto per assistere ad un grande evento » sollevò un sopracciglio dietro gli occhiali rosa e sorrise più apertamente « Bella Swan che partecipa ad una festa non mia ! »
« Il mondo sta andando a rotoli » annuii con il capo.
Ci incamminammo verso casa Clearwater, che era praticamente identica a tutte le altre casette in legno della riserva, però rispetto a quella di Jacob era molto più grande e il legno scuro non era dipinto. Dall’interno ci giungeva un vociare confuso con della musica e risa frequenti. Quando arrivammo alla porta aspettai qualche secondo, poi mi voltai verso la mia amica immobile a fissare il legno davanti a sé
« Sono quasi certa che per farla aprire dovresti prima bussare »
Lei si voltò verso di me e rispose sarcastica « Tu dici? »
« Puoi sempre provare con Apriti sesamo » mi strinsi leggermente nelle spalle
« Stasera sei più simpatica del solito » mi fece una smorfia e poi bussò più volte sulla porta « Ti odio » aggiunse sottovoce
Un rumore sordo di passi pesanti e poi la porta si spalancò in un attimo rivelando la grossa figura di Seth sorridente. Non so bene il perché ma mi stupii nel vederlo con abiti decisamente diversi da quelli del giorno prima. Indossava un bel paio di jeans ampi e scoloriti sotto una felpa azzurra con cappuccio anch’essa abbondante. Stava proprio bene, guardai di sottecchi Angela e la sua espressione la diceva lunga sul fatto che forse lei in quel momento stava usando termini ben diversi. Anche Seth rimase qualche secondo senza fiato dopo averla riconosciuta e non si fece scrupoli di darle una lunga ed accurata occhiata da capo a piedi, prima di parlare
« Ciao Angela » esordì con un tono forse troppo stridulo e l’abbracciò esuberante
« B-buon compleanno, Seth » gli rispose impacciata e a me venne ancor più da ridere
Avevo appena preso fiato per fargli anche i miei auguri quando Seth mi precedette
« Hai fatto benissimo a lasciare quella tragedia ambulante di Bella a casa » poi si girò verso di me « E tu chi saresti, splendore? »
Sbuffai leggermente, divertita « Questa è vecchia come il mondo »
Lui rise e abbracciò anche me, con meno impeto ma mi strinse forte
« Buon compleanno, marmocchio » gli dissi cercando di ricambiare la stretta nonostante le stampelle
« Grazie, Bells » poi prima di lasciarmi andare mi sussurrò piano ad un orecchio « Bentornata a casa »
A quelle parole mi vennero istantaneamente le lacrime agli occhi. Era così bello, perché per quel breve istante mi ero sentita esattamente così. Di nuovo a casa mia.
Seth sciolse l’abbraccio e mi regalò uno dei suoi bellissimi sorrisi che cancellarono immediatamente le lacrime dai miei occhi
« Forza, venite dentro e unitevi alla festa » esclamò facendoci spazio
Angela entrò spedita ed io esitai un attimo. Era davvero arrivato il momento in cui avrei incrociato gli sguardi di tutte le persone che avevo ferito indirettamente.
« Vuoi che ti aiuti? » mi domandò lui attento
Si, grazie, rendimi invisibile
« No, grazie Seth » aiutandomi con le stampelle feci un passo oltre la soglia. Superando l’uscio di casa Clearwater mi preparai ad affrontare i miei demoni, poi alzai gli occhi nei suoi « devo farcela da sola » in ogni senso.
Il pomeriggio prima avevo detto ad Edward che alla festa ci sarebbe stata tutta La Push per tranquillizzarlo. Mai mi sarei aspettata che poi sarebbe stato esattamente così. L’intera casa Clearwater pullulava di persone, e quelli più insofferenti si godevano l’ampio giardino sul retro, noncuranti perfino della neve intorno a loro. La musica si mescolava al vociare insistente e alle risate, e avrei giurato di vedere Leah rifornire completamente d’accapo il buffet ogni dieci minuti. Ed era un buffet lungo tre tavoli da pranzo.
Mi scostai un po’ il maglione dal collo con un dito, con tutta quella gente lì dentro faceva un po’ caldo e il colore rossastro delle pareti mi dava l’impressione di aumentare anch’esso la temperatura. Mi ero accomodata su una sedia imbottita poco distante dal buffet, le stampelle decisamente non mi aiutavano a stare comoda in piedi. Ogni tanto qualcuno si fermava a fare due chiacchiere con me ed io mi sentivo davvero serena.
Tutti quei problemi che mi ero fatta prima della festa erano evaporati un secondo dopo aver messo piede in casa. Mi avevano accolta tutti con grande affetto, preoccupandosi anche delle mie condizioni. In particolare Quil, Embry, Seth e perfino Paul mi avevano fatta ridere e presa in giro per la mia solita dose di sfortuna. Non avevo trovato traccia di risentimento nello sguardo di nessuno e per questo mi ero data della stupida ancora una volta, per aver dubitato della bontà di quella gente.
Gettai un occhiata ad Angela che si era ambientata benissimo e in quel momento parlava con un paio di ragazze del posto e Seth, che non la perdeva di vista nemmeno per un attimo. Tutto stava andando per il meglio.
« Dov’è quel moccioso che compie gli anni? »
Le ultime parole famose, Bella.Riconobbi subito la voce corposa proveniente dall’uscio, nonostante fossi rivolta con il capo verso l’altro lato della stanza. Il cuore mi balzò in gola all’istante ed istintivamente deglutii come se volessi mandarlo giù e riportarlo al suo posto.
« Entra, Billy! È lì in mezzo alle ragazze » la voce di qualcuno che non riconobbi lo invitò.
Non avevo il coraggio di voltarmi ed incontrare quegli occhi che conoscevo benissimo e che avevo amato identici in un altro volto.
« Ah, impara in fretta » ridacchiò.
Fissai il mio sguardo sul buffet per tutta la durata della sua conversazione con Seth e, da perfetta vigliacca, sperai ardentemente che non mi notasse. Speranza vana, ovviamente, dato che io e Angela eravamo le uniche “viso pallido” in tutto quel caos e sarebbe stato inevitabile notarmi dopo un po’. Infatti così fu.
Sentii lo squittio delle ruote della sedia di Billy avvicinarsi al tavolo centrale. Alzai un po’ lo sguardo e lo trovai intento a riempirsi un piatto con una porzione di ogni cibo presente. Intanto dentro di me contavo i secondi che mi separavano da quell’incontro che avevo tanto temuto, una goccia di sudore freddo mi percorse tutta la schiena lungo la colonna vertebrale e non potei fare a meno di rabbrividire. Forse fu proprio quel movimento così strano che lo fece voltare verso di me.
I suoi occhi incontrarono subito i miei, come se avesse saputo dove trovarli ancor prima di voltarsi, e il mio cuore fece un paio di capriole. O forse sarebbe stato più giusto definirli salti mortali senza rete di salvataggio.
Rimasi per qualche istante immersa nelle profondità di quegli occhi che conoscevo meglio dei miei. E in quegli istanti non sentii più la musica, il vociare, non vidi più tutto quel marasma di persone. C’erano solo i miei occhi in quelli neri e luminosi di Billy.
Luminosi?
Impiegai forse qualche attimo più del dovuto a rendermi conto che Billy Black mi stava sorridendo.
Ero totalmente spiazzata e nella mia mente non si affacciò nemmeno un pensiero coerente mentre lui si avvicinava alla mia sedia. Si fermò esattamente davanti a me, posò il piatto pieno sulla sedia accanto alla mia e poi raccolse le mani che tenevo poggiate sulle gambe nelle sue.
« Come stai, scricciolo? Sono felice di vederti » mi sorrideva sereno e sincero
Aprii la bocca per rispondergli, un gesto automatico, quando mi resi conto che in realtà non avevo idea di cosa dirgli. Ero sbalordita. Ancora una volta un membro della famiglia Black mi aveva spiazzata e aveva fatto crollare le mie certezze. In quel momento fui sicura che prima o poi sarei impazzita per colpa di un Black. Uno qualsiasi.
Il sorriso sul volto di Billy diventò un sorriso divertito alla mia reazione da pesce lesso e mi resi conto di quanto in realtà mi fosse mancato più di quanto avessi voluto ammettere. Così senza pensarci, istintivamente, ritirai le mie mani dalle sue e lo abbracciai. Tentai di avvolgergli completamente le spalle con le mie braccia ma dietro la sua schiena le mie dita arrivavano solo a sfiorarsi.
« Sono felice di vederti anch’io » gli sussurrai all’orecchio ancora incredula e poi tornai a rilassarmi sulla sedia
« Ce ne sono davvero undici lì sotto? » mi chiese facendo cenno alla benda sulla fronte, sicuramente riferendosi ai punti
Gli sorrisi divertita « Precisi! »
« Ah, Bells, come si deve fare con te? » scosse il capo e i lunghi capelli sottili ondeggiarono « Io lo so che tu hai la pelle dura, ma vorrei che a Charlie non venisse un infarto prima di qualche altro anno. Pensi di potermi lasciare il tuo vecchio ancora per un po’? »
« Non posso prometterti nulla » gli risposi ridacchiando
« E la gamba ti fa male? »
« Veramente no, mi infastidisce soltanto il gesso »
« Un po’ di pazienza e poi toglierai anche quello. » poi il suo sguardo si fece più intenso, tipico di quando un Black sta per dirti qualcosa di serio « Hai avuto davvero un brutto incidente, mi hai fatto preoccupare tantissimo »
Ancora una volta rimasi stupita « Mi dispiace, Billy. E poi ho pensato che tra tutte le persone che potevano preoccuparsi per me tu fossi l’ultima in assoluto »
« Bells! » mi aveva appena rimproverata come quando avevo cinque anni « tu sei la mia quarta figlia, come puoi aver pensato una cosa simile? » il dispiacere nei suoi occhi era così evidente che mi pentii subito di aver parlato senza prima pensare
« Billy, lo sai » aggiunsi abbassando lo sguardo
« No, non lo so, signorina. Perché non c’è cosa al mondo che dovrebbe farti avere certi pensieri »
« Nemmeno l’essere stata la causa della fuga di tuo figlio? » mi stupii di quanto il mio tono fosse stato secco e tagliente.
Gli occhi di Billy si sgranarono per qualche istante « Io lo sapevo che la tua piccola e machiavellica testolina sarebbe arrivata a questo. Lo sapevo! E lo sapevo perché ti conosco forse meglio di quel caprone di Jake » diede un leggero colpo con la mano ad una ruota della sua sedia prima di sbuffare « Guardami Isabella, per favore »
Alzai immediatamente gli occhi nei suoi, semplicemente perché in tutta la mia vita non avevo mai sentito il mio nome per intero uscire dalle sue labbra.
« Io c’ero il giorno in cui tu sei nata, c’ero il giorno in cui hai detto la tua prima parola, quello in cui hai perso il primo dentino, quello in cui hai mosso il primo passo e c’ero anche nei tuoi conseguenti milioni di capitomboli. Io ti conosco come un padre conosce una figlia, perché è questo che sei per me. » fece una breve pausa, come a valutare se confessarmi o meno un pensiero, poi si decise a rendermi partecipe « Lo sai che è anche grazie a te se io e Sarah abbiamo messo al mondo Jacob? » lo vidi sorridere di quel sorriso che aveva solo quando ricordava di lei « Charlie era continuamente a casa nostra con te fra le braccia e lei si innamorò così tanto di te che volle fare un altro bambino »
« Dici sul serio? » gli chiesi stupita
« Certo » il suo sorriso non accennava a diminuire « Anche se non è questa la cosa fondamentale. Il punto è che io a volte persino mi confondo con la tua data di nascita e quella di Jake. Ora, tu pensi che si possa non essere in apprensione per un figlio? Quando ho saputo del tuo incidente è stato peggio dell’aver scoperto che Jacob era partito »
« Andiamo! Non è possibile »
« Invece si, testa dura. Non è colpa tua se Jacob è fuggito »
« Sam non la pensa così. Ed io sono anche d’accordo con lui »
« Sam può pensare quello che vuole, ma non conosce Jacob quanto me. O quanto te. E ancora mi meraviglio del fatto che tu ti stia ancora incolpando per questo. Tu lo sai che Jake quando si mette una cosa in testa non c’è niente al mondo capace di toglierla da lì o di fargli cambiare idea. Avrà avuto i suoi motivi per decidere di andar via, così come avrà i suoi buoni motivi quando deciderà di tornare. Se sono in ansia per lui? Certo, ovviamente, ma so che è un ragazzo in gamba e se la saprebbe cavare in qualsiasi situazione. » poi sorrise leggermente e fu lo specchio di suo figlio « Invece sapere di te in una macchina accartocciata sul ciglio della strada non è la stessa cosa. Ora capisci cosa volevo dire? »
Ma certo che capivo. Capivo che ancora una volta un membro della famiglia Black mi stava confermando il suo amore. E per l’ennesima volta mi sentii una piccola e sporca ingrata, che non si rende conto di quanto le persone intorno ad essa l’amino più di quanto meriti. Mi limitai ad annuire con il capo, perché non ero degna nemmeno di rispondere qualcosa a quell’uomo tanto buono e pieno d’affetto nei miei confronti.
« Bene, perché non accetterò mai più che tu pensi certe assurdità » poi allargò le braccia e il sorriso « Vieni »
Mi feci accogliere nel suo abbraccio caldo e fui grata a chiunque ci fosse lassù in cielo per avermi donato persone tanto speciali
« Ti direi che puoi venirmi a trovare quando vuoi, ma so anche che per te non è semplice » mi sussurrò piano, aumentò la stretta intorno alle mie spalle e a me parve che mi stesse stringendo perfino il cuore in quell’abbraccio.
« Grazie » mi sciolsi dalla sua presa e tornai ad appoggiarmi allo schienale « Mi manca casa tua » gli sorrisi
« Vuoi scherzare? Quel buco? » e poi scoppiò a ridere
Non potei fare a meno di unirmi alla sua risata e Billy rimase con me a chiacchierare per qualche altro minuto, prima che fosse richiesto in una conversazione sulla pesca di un paio di invitati che non conoscevo.
La festa era andata avanti in grande allegria, compreso lo stonatissimo coro del tanti auguri a te durante lo spegnimento delle candeline con conseguente lancio di pezzetti di torta al festeggiato da parte di Paul e Quil.
Avevo fatto la scelta giusta andando a quella festa. Avevo trascorso un po’ di ore in compagnia di vecchi amici, avevo finalmente parlato con Billy dopo tanto tempo, Angela si era ambientata bene e stava conoscendo meglio Seth e tutti gli altri.
C’era soltanto una persona che ancora non mi si era avvicinata nonostante mi avesse vista, nonostante avesse continuato a lanciarmi occhiate per tutto il pomeriggio, ed era la stessa che vedevo venire verso di me proprio in quel momento, con due piattini di torta tra le mani.
« Ciao, Bella » mi disse semplicemente, porgendomi uno dei due piattini con tanto di forchetta in plastica
« Ciao, Sam » gli risposi prendendo la torta e cercando di apparire calma e rilassata, come se non avessi temuto quell’incontro durante tutte le ultime ventiquattro ore « Grazie »
« Figurati »
Poi non aggiunse altro, se ne restò semplicemente seduto accanto a me a mangiare la sua fetta di torta al cioccolato e panna. Così lo imitai, presi un boccone con la forchetta e tentai di mandarlo giù nonostante il nodo di angoscia che sentivo stringermi la gola. Fu una buona idea, il sapore dolce della cioccolata e la consistenza morbidissima della panna mi aiutarono a rilassarmi e sciolsero completamente quel brutto nodaccio che rischiava di tradirmi.
« Mmmh, è buonissima » dissi ancora con la bocca piena, senza nemmeno sapere perché.
Perché diavolo commentavo la torta con Sam Uley?!
Ma lui mi sorprese rispondendo come se fosse una cosa normalissima starsene lì seduti a chiacchierare della panna e del cioccolato « Già. Emily era indecisa tra questa ed una alla marmellata »
« L’ha fatta Emily? »
Lui annuì soddisfatto, ma sempre con lo sguardo sul suo piatto
« E’ sempre stata grandiosa in cucina, i suoi muffin restano la cosa più buona che abbia mai mangiato in vita mia » mi resi conto dopo che forse il tono sognante che avevo usato poteva sembrare un po’ eccessivo.
Infatti Sam se la rise di gusto « La prossima volta che li preparerà mi assicurerò che te ne arrivino un paio »
« Oh, grazie » sentii le guance avvamparmi.
Tutto mi sarei aspettata da quel pomeriggio tranne la conversazione con Billy e ancor meno questa specie di strana riappacificazione con Sam. Avevo immaginato scenari catastrofici in cui un Uley adiratissimo con le fiamme agli occhi gridava cose tipo Fuori dalla mia riserva, brutta, piccola e sporca viso pallido irrispettosa! . Invece eccoci lì, seduti a mangiare torta e a chiacchierare dei dolci di Emily. Era tutto così assurdo, così sorprendente. A quel pensiero mi sfuggì tra le labbra una piccola risatina.
Sam se ne accorse e si voltò verso di me con un sopracciglio alzato.
« Pensavo a … beh, a cose stupide in effetti » il suo sopracciglio si alzò ancora di più in un invito ad andare avanti, così quasi ridendo glielo dissi « Insomma, noi due … seduti qui a mangiare torta e a chiacchierare di dolci »
« Ah, capisco » sorrise, ma non per me, fu come un sorriso tra se e se a qualche pensiero « Però sono ancora in tempo per lanciare la torta per aria ed iniziare ad urlarti di lasciare immediatamente la mia terra »
Mi sentii sbiancare, lo aveva detto sul serio?
Poi Sam scoppiò a ridere fragorosamente, ed io saltai sulla sedia dallo spavento « Rilassati, Bella! Stavo scherzando! Sei diventata ancora più pallida » quasi aveva le lacrime agli occhi dal ridere.
« Ma potresti farlo davvero » aggiunsi in un filo di voce
« No » mi poggiò una mano sulla spalla e ancora una volta il suo calore familiare mi avvolse « Non potrei farlo davvero. L’ho già fatto, avevo le mie buone motivazioni, ma non lo rifarei mai più »
Per qualche attimo ci fu solo silenzio e alzai gli occhi nei suoi. Erano sinceri e mi chiesi perché non li avessi mai visti così nel periodo in cui lanciava quelle brutte occhiatacce a me e Jacob.
Jacob … nell’ultimo periodo mi ero dimostrata la perfetta egoista che sapevo di essere. In tutto quel mese non avevo fatto altro che autocommiserarmi ed arrabbiarmi per il suo abbandono, senza mai chiedermi per più di qualche secondo dove fosse, se stesse bene o se si fosse cacciato in qualche guaio. Forse la tendenza che ha ognuno di noi a preservarsi dai dolori me lo aveva impedito, ma questo non bastava a giustificare la mia ostinazione nel non volermi preoccupare per lui.
Sam tolse la mano dalla mia spalla e tornò a mangiare la torta. In quel brevissimo istante nella mia mente si affacciò un pensiero che non riuscii a frenare quando giunse spontaneo alle mie labbra
« Sai qualcosa di lui? » le parole uscirono da sole, prima che potessi pentirmene.
Sam sospirò e in quella frazione di secondo mi maledissi per aver chiesto : nella mia testa si affacciarono tutta una serie di scenari catastrofici in cui Jake piangeva, in cui era ferito, era al freddo, senza cibo, in cui moriva perfino.
« No, non so nulla »
Una mia mano scattò sulla sua prima che potessi fermarla e la strinsi forte. Sam alzò ancora i suoi occhi nei miei ed io mi maledissi di nuovo. Perché quando si trattava di quel ragazzo non riuscivo a controllare le mie azioni?
« Se tu sapessi qualcosa, qualsiasi cosa … » lasciai per un istante la frase in sospeso, affinchè cogliesse tutte le implicazione di quel qualsiasi « … me lo diresti, vero? »
Non staccai gli occhi dai suoi nemmeno per un secondo e forse la mia voce tremò appena. Sam mi restituì lo sguardo a lungo e profondamente prima di rispondermi e io gliene fui grata. Si stava veramente ponendo quella domanda in maniera mortalmente seria, valutando davvero la mia richiesta mascherata da domanda retorica. Non so perché ma mi diede l’impressione come se si stesse chiedendo se fosse la cosa giusta da fare, addirittura come se si stesse domandando se avrei potuto sopportare il peso di una tale eventualità.
Qualcosa nella determinazione del mio sguardo dovette dargli tutte le risposte che cercava perché mi rispose sicuro « Ma certo. Certo che lo farei »
Lasciai andare fuori un respiro che avevo trattenuto lungo tutto quel momento, che a me era sembrato infinito, e gli lasciai la mano « Grazie, Sam »
Lui semplicemente annuì e tornò ad occuparsi della sua fetta di torta ormai quasi finita. Io feci allo stesso modo e mi costrinsi di non pensare al fatto che quell’idiota di Jacob Black non aveva dato notizie di sé a nessuno. Infondo ero riuscita per tutto quel tempo a non preoccuparmi per lui, cosa mi costava continuare sulla stessa linea?
Mi costava invece, mi costava eccome.
La verità era che semplicemente io non potevo permettermi di perdermi in quel limbo.
Io non ero come Billy, non avevo la fiducia incrollabile nell’infallibilità di Jake, non avevo la sicurezza che se la sarebbe cavata in qualsiasi circostanza. Le avevo avute, ovviamente, tutte queste certezze in passato. Perché conoscevo Jacob, e sapevo che riusciva ad essere capace di tutto e in tutto. Infondo quando si ama qualcuno lo si crede davvero invincibile, insuperabile, infallibile. Fin quando però questa persona ci è accanto.
Quando le persone che ami spariscono o semplicemente si allontanano….improvvisamente vieni invasa dal panico, dalla paura che forse quella persona non è poi così infallibile. Forse quella persona potrebbe trovarsi in difficoltà che non ha mai dovuto affrontare prima e potrebbe non sapere che pesci prendere. E la cosa peggiore in tutto questo è che tu non sei lì.
Tu non sei lì accanto alla persona che tanto ami e che tanto avresti creduto invincibile ed imbattibile. Non sei lì a sostenerla nelle difficoltà, non sei lì ad accertarti che i danni che riporta sono soltanto dei graffietti per i quali basta un cerotto.
Io non ero come Billy, assolutamente no. La mia paura che il mio Jacob potesse non essere infallibile era talmente grande, talmente immensa, che avrebbe potuto piombarmi addosso con la forza di una cascata, e con la stessa violenza avrebbe potuto sovrastarmi, sommergermi, schiacciarmi fino a farmi smettere di respirare.
Non potevo permettermi tutto questo. Non potevo permettermi di perdermi in quella paura senza risposte. Così, semplicemente chiudevo fuori dalla mente tutto quanto riguardasse Jacob lì fuori, solo in giro per il mondo. Perché mi costava, è vero, continuare sulla stessa linea di quel mese. Ma mi costava senz’altro di meno che farmi travolgere dalla paura delle mie preoccupazioni.
Per la prima volta in tutta la mia vita ringraziai il cielo che mi venisse così bene darmi dell’egoista e crederci anche.
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Capitolo 32 *** CAPITOLO 26 - Festa con sorpresa - parte seconda ***
“L’amore è una forza selvaggia.
Quando tentiamo di controllarlo, ci distrugge.
Quando tentiamo di imprigionarlo, ci rende schiavi.
Quando tentiamo di capirlo, ci lascia confusi e smarriti.”
Paulo Coelho
CAPITOLO 26 – “Festa con sorpresa” – seconda parte
Uno studio di un famoso sociologo e ricercatore, pubblicato il mese scorso sul “National Enquirer”, riportava che un essere umano adulto pronuncia all’incirca quattro parole al secondo, per un totale in media di duecentoquaranta parole al minuto.
In quel momento avrei voluto stringere la mano di quell’uomo, presentarmi, e successivamente introdurre la mia amica Angela Weber come prova vivente che il suo studio di cinque anni non era servito a nulla.
Per i primi tre minuti del nostro viaggio – a partire da quando si erano chiuse le portiere dell’auto fuori casa Clearwater – durante i quali aveva parlato ininterrottamente senza prendere fiato nemmeno una volta avevo temuto che potesse venirle una crisi respiratoria. Quando invece ha continuato allo stesso modo anche durante i successivi cinque minuti mi sono convinta che otto minuti di apnea fossero decisamente fuori dalla portata della mia amica e che quindi, a rigor di logica, riuscisse in qualche modo a inspirare ossigeno in una qualche frazione di millesimi di secondo di cui io - povero essere umano di poche parole – non riuscivo a rendermi conto.
Era un continuo, infinito, incessante, martellante blablabla su quanto fosse bello Seth, quanto fosse simpatico Seth, quanto fosse dolce Seth, quanto fosse stato gentile, quanto fosse stato divertente, quanto fosse stato tutto Seth. Mi passai una mano sull’ingombrante benda sopra l’occhio destro, sentivo pulsare i punti sottostanti insieme a tutto il resto della fronte. Non provai nemmeno ad intervenire in quel monologo senza sosta perché le guance infiammate di Angela, i suoi occhi brillanti e il sorriso stampato in volto non me ne davano il coraggio. Non l’avevo mai vista così felice, così raggiante, per cui accettai di buon grado che quella cascata infinita di parole mi investisse in pieno.
« Mi stai ascoltando, Bells? » mi chiese ad un certo punto
« Perché, esiste un modo per non farlo, Angie? Certo che ti sto ascoltando » le risposi ridendo
« Oddio sto esagerando, è vero? Me lo sento, l’ho capito che sto esagerando »
Le indicai una quantità minuscola tra l’indice ed il pollice « Poco così »
Lei rise forte « Adoro quando tenti di dire le bugie »
« Non era una bugia » mi strinsi appena nelle spalle « era … solidarietà, credo »
« Solidarietà femminile? »
« No. Solidarietà amica-del-tutto-persa-per-Seth »
Angela non rispose, non negò, e questo in genere era il suo segnale di resa, quello che precedeva di un giorno al massimo l’ammissione della cotta. Poi però sospirò, sorrise e mi rispose
« Mi sa che hai ragione, Bells »
Questo sì che era un evento. Non avevo mai sentito la mia migliore amica ammettere immediatamente di aver perso la testa per qualcuno.
« Però! … » annuii lentamente nella sua direzione « … è una cosa seria, allora »
« Non esagerare adesso » si affrettò a rispondermi, prima di abbassare leggermente lo sguardo ed aggiungere con finta timidezza « Non so nemmeno se sono il suo tipo »
Sbarrai gli occhi e mi venne da ridere « Angie! Il marmocchio praticamente non ha occhi che per te! »
Anche lei rise forte « Lo so! » poi aggiunse « pensi sia troppo piccolo? »
«No, affatto. Perché dovrei? »
« Lo chiami marmocchio o moccioso in continuazione »
« Ma cosa c’entra adesso? » le sorrisi « sono nomignoli affettuosi, ma Seth non è piccolo. » presi un bel respiro profondo come rincorsa « Seth non è piccolo così come non lo era Jake per me »
Per un secondo nell’auto calò il silenzio. Angela era ancora un po’ restia sul parlare di Jacob.
« Non vedo l’ora che Charlie ti faccia riparare quel rottame »
Non capii per niente quella risposta ma replicai comunque, abbastanza confusa « Già, anche a me manca lo Chevy e l’ho praticamente minacciato di farmelo tornare come nuovo. Ma questo cosa c’entra? »
Angela fece spallucce « Vengono fuori discorsi troppo strani in questa macchina » poi alzò al massimo il volume della radio ed iniziò a cantare a squarciagola.
Io semplicemente chiusi gli occhi e aspettai che quella piacevole tortura finisse presto.
Dieci minuti dopo l’auto rallentò e la musica cessò di colpo
« Bella, aspettavi Edward per cena? »
« No, che cos… » aprii gli occhi e in lontananza vidi la Volvo grigia parcheggiata davanti il vialetto di casa mia
Ci avvicinammo e Angela accostò dietro la macchina grigio metallizzato. Edward scese elegantemente dalla vettura in uno splendido smoking nero e camicia bianca, si incamminò verso di noi con la sua solita andatura perfetta e fluida. Rimasi senza fiato per la sorpresa e al tempo stesso per la disarmante bellezza di quell’angelo.
La mia amica ridacchiò « Qualcosa mi dice che lui non sia del tuo stesso avviso »
Non ebbi il tempo di risponderle, Edward aprì la portiera ed allungò una mano invitandomi a scendere
« Buonasera, Bella » il suo immancabile sorriso sghembo stampato in viso. Si abbassò quel tanto che gli permettesse di vedere Angela « Buonasera, Angela »
« Ciao, Edward »
Gli rispose la mia amica mentre io, stordita, allungavo la mano nella sua in un gesto automatico e mi lasciavo guidare fuori dall’auto. In un attimo fui in piedi e le sue dolci labbra carezzarono le mie in un lievissimo bacio.
« Mi sei mancata » la sua voce melodiosa era balsamo per le mie orecchie e il mal di testa che sembrava essere svanito in un attimo.
Gli sorrisi, incapace di fare altro.
« Bells io andrei, ci sentiamo domani »
Mi voltai verso Angela ancora un po’ frastornata mentre Edward recuperava le stampelle per me « Si, certo »
Lei approfittò dell’attimo di distrazione di Edward per mandarmi un messaggio che lessi sulle sue labbra “E’ uno schianto” e riuscii a sorriderle prima che ne dicesse una delle sue al mio cavaliere
« Ciao anche a te, Edward. Mi raccomando, ha appena avuto un incidente, non farle fare troppo tardi.. »
Sollevai un sopracciglio a quelle parole aspettando un seguito che sicuramente sarebbe arrivato e che infatti non si fece attendere a lungo, quando continuò
« … Ma se proprio devi, falla impazzire » e gli strizzò l’occhiolino alquanto maliziosamente prima di ripartire ridendosela alla grande.
Mi portai una mano alla fronte sorridendo « Scusala » dissi ad Edward che in realtà pareva divertito.
Mi porse le stampelle sulle quali mi appoggiai subito
« E di cosa? »
« Per quello che a volte esce dalla sua boccaccia. Non lo fa apposta, è pazza » raggiungemmo lentamente la Volvo
« Figurati » mi disse prima di voltarmi verso di lui ed avvicinare il suo viso a pochi millimetri dal mio « Ha ragione, è esattamente quello che ho intenzione di fare »
Poi finalmente la sua bocca fresca incontrò la mia. Le sue labbra strinsero forte le mie, a lungo, prima di lasciarle andare. Una, due, tre volte ancora e le mie ginocchia tremarono. Si allontanò di poco, aprì la portiera e mi aiutò a sedermi.
Nei pochi istanti che impiegò a fare il giro dell’auto mi resi conto che non avevo idea delle sensazioni che stavo provando per quella situazione. Una parte di me era entusiasta e curiosa di questa serata inaspettata, ma non riuscivo ad ignorare una piccola vocina che sentivo provenire da qualche parte dentro di me, che dopo il pomeriggio trascorso alla riserva voleva soltanto andare a casa, mangiare qualcosa, e poi rifugiarsi sotto il caldo piumone viola. Mi dissi che forse ero solo un po’ stanca, quando Edward si accomodò al posto di guida e mi scrutò perplesso
« Tutto bene? »
« Si, credo di essere soltanto un po’ stanca » gli risposi tranquillamente
Vidi un’ombra di tristezza passargli negli occhi color miele « Vuoi andare a casa? »
« No, non ce n’è bisogno » gli sorrisi « Sono proprio curiosa e… credo di essere soltanto un po’ intimorita da tanta eleganza » indicai lo smoking che fasciava il suo corpo slanciato in maniera perfetta.
Edward sorrise, ed io mi incantai ad ammirargli il volto come succedeva troppo spesso.
« Tu invece sei perfetta ed io non mi sento affatto intimorito dalla tua bellezza » avvicinò ancora il suo volto al mio « Piuttosto mi sento molto …» mi baciò a fior di labbra « …molto…» mi baciò ancora « .. fortunato »
« Non sei fortunato, sei sleale » riuscii a sussurrare ancora ad occhi chiusi mentre lui tornava a poggiarsi allo schienale del suo sediolino.
Rise e mise in moto la Volvo che produsse le solite fusa.
« Charlie si preoccuperà » dissi senza pensarci
« Non lo farà. Prima di tutto ho chiesto il suo permesso »
« E sei ancora vivo per raccontarmelo? » constatai molto stupita
Edward rise ancora « In effetti non era molto d’accordo inizialmente, poi ha ceduto »
« Già » sussurrai abbandonandomi al comodo sedile in pelle mentre l’auto partiva « chi sa come mai! Non ho mai visto nessuno cedere al tuo fascino »
Edward rise ancora e più forte di prima, poi accelerò ed io mi unii alla sua risata.
Quindici minuti dopo Edward abbandonò la strada principale che stavamo percorrendo in silenzio e svoltò in una piccola stradina sterrata alla nostra sinistra. Ai lati dell’auto la fitta vegetazione, resa completamente nera dal buio pesto, sembrava quasi toccare le portiere. In lontananza riuscivo a malapena a percepire l’uscita da quello che sembrava un nerissimo tunnel con centinaia di braccia tese nel tentativo di ostacolare il nostro passaggio. Non seppi spiegarmi il motivo ma quella visuale mi fece stringere la gola in una morsa claustrofobica. Volevo uscire di lì, e volevo farlo in fretta.
Involontariamente mi irrigidii sul sedile e al tempo stesso mi diedi della stupida. Non c’era motivo di farsi prendere dal panico, era soltanto una stradina secondaria, c’era pur sempre Edward al mio fianco. Mi voltai verso di lui e il disagio svanì all’istante. Lui mi sorrise, e così feci anch’io di rimando. Scossi appena il capo alle stranezze di quella serata e a quanto perfino io mi sentissi più stramba del solito in questo altalenare di sensazioni.
« Siamo arrivati » mi disse Edward sorridendo e guardando davanti a sé
« Wow …. » fu tutto ciò che riuscii a dire quando la vidi anch’io.
Edward parcheggiò lateralmente a quella che appariva come un’immensa cascina di due piani in mattoni chiari, antichi e solidi. Sembrava davvero imponente grazie al suo essere l’unico edificio in un piccolissimo spiazzo di ciottoli bianchi. La osservai meglio, nei suoi due comignoli ai lati del tetto a spiovente, nelle sue numerose ma piccole finestre che si affacciavano sul davanti, nel grande e massiccio portone a due ante in legno scuro al quale si arrivava da una bellissima scalinata bianca completamente spoglia ai lati. E mentre Edward faceva il giro dell’auto per venire ad aprirmi la portiera riuscii finalmente a capire cosa ci fosse di strano in quella cascina che mi era saltato subito all’occhio, ma che non avevo riconosciuto : era completamente buia. Non una luminaria a rischiarare l’esterno così come l’interno. L’unica, piccolissima e flebile fonte di luce proveniva da quelle che mi sembravano essere minuscole candele poste su ogni gradino che conduceva al portone chiuso.
Edward aprì la portiera, mi invitò a scendere, e mentre raccoglieva le stampelle i miei capelli furono scompigliati da una freddissima ed improvvisa raffica di vento proveniente dalla mia sinistra, apparentemente dal bosco sul retro della cascina. Fu in quel momento che sentii il rumore forte ed imponente del mare e delle sue grosse onde invernali che si infrangevano su degli scogli chi sa dove.
« Siamo vicini al mare? » gli chiesi quando ci incamminammo verso la grande scalinata bianca
« Lo vedrai » mi rispose sornione
Raggiungemmo la scalinata con qualche difficoltà dovuta ai ciottoli, ma una volta lì il mio stupore aumentò. La prospettiva della cascina da lì vicino era mozzafiato e la costruzione sembrava davvero enorme, eppure la neve candida intorno alla scalinata donava a tutto un’atmosfera fiabesca che non credevo possibile. Sentii la mia bocca aprirsi in un sorriso meravigliato quando notai che ogni gradino era adorno di decine di candele e di piccoli fiori bianchi tutti uguali. Mi voltai verso Edward sorridente e anche il sorriso sul suo splendido volto si allargò. Sapeva di aver fatto centro.
« Vieni, ti aiuto a salire » mi porse il braccio come un vero gentiluomo d’altri tempi.
Mi ci aggrappai goffamente come mio solito e quando arrivammo in cima alla scalinata Edward semplicemente spinse con una mano il portone in legno, che si aprì senza emettere nemmeno un cigolio a dispetto della sua imponenza.
Come avevo sospettato anche l’ingresso era buio, illuminato soltanto dalle stesse candele e pieno degli stessi fiori della scalinata. Edward mi aiutò con delicatezza a togliermi il cappotto, lo posò su di una poltrona in un angolo e mi guidò verso la porta bianca di fronte a noi. Mi guardò intensamente e ancora una volta naufragai nel mare dorato dei suoi occhi, avvolse la mia mano sinistra nella sua e poi, senza distogliere lo sguardo dal mio volto, spalancò lentamente la porta.
Quello che vidi mi lasciò completamente senza parole, senza respiro, senza nemmeno pensieri. Davanti a noi si apriva un enorme salone circolare, nel quale l’unica parete in mattoni era quella della porta dove eravamo noi due immobili. Per il resto quel salone non aveva pareti, ma un’unica, immensa, splendida vetrata – circolare anch’essa - che faceva sembrare quella stanza una enorme e perfetta bolla trasparente affacciata completamente sul mare. Anche lì dentro tutto era illuminato da migliaia di candele e tutto era ricoperto dei piccoli fiori che avevo visto fuori.
Mossi un paio di passi all’interno di quello splendore e rimasi incantata nel notare che il salone era completamente vuoto. Le uniche cose presenti, immerse nella calda luce tremolante, erano un tavolo rotondo per due persone, completamente coperto da luna lunghissima tovaglia bianca e affiancato da due poltroncine candide; ed uno splendente pianoforte a coda nero, unico elemento scuro in tutto quel candore.
Edward mi raggiunse, mi prese ancora per mano e mi accompagnò verso la vetrata curva. Da lì potei ammirare il panorama mozzafiato. Il mare in tempesta sembrava urlare sotto di noi, a tratti nero come la notte e a tratti rischiarato da lampi argentei di luna sulle creste delle sue onde.
Mi voltai verso Edward senza sapere bene cosa dire, e la sua bellezza indescrivibile non mi aiutò.
« Edward io non ho mai visto niente, niente, di più splendido in vita mia » le parole uscirono dalla mia bocca lente, morbide, incredule.
« Speravo proprio che ti piacesse » mi carezzò una guancia con la sua mano fredda, mentre l’altra strinse le mie dita tra le sue ancora più forte
« Come avrebbe potuto essere il contrario? »
Lui si strinse appena nelle spalle « Con te non si sa mai »
« Ma è … voglio dire, è tua? »
« In realtà è di Alice e Jasper. Esme l’ha disegnata apposta per loro. Il mare, la solitudine, li rigenera »
« Oh » mi guardai ancora intorno e un leggero senso di inadeguatezza mi pizzicò « A loro non dispiacerà? »
« No, perché dovrebbe? Alice è felice se io sono felice. Ed io riesco ad essere sereno solo quando ti vedo sorridere »
Mi sentii avvampare le guance a quelle parole, ma le labbra fredde di Edward corsero subito in mio soccorso, baciandomele entrambe e rinfrescandomi all’istante. Sorrisi a quella sensazione così particolare e lui mi guidò lentamente verso una delle due poltroncine bianche del tavolo. Mi aiutò ad accomodarmi e mi chiese di scusarlo per qualche istante lasciandomi sola.
La prima cosa che attirò la mia attenzione furono la decina di fiori bianchi sul tavolo. Ne presi uno tra le dita, era morbido e vellutato, estremamente delicato e guardando meglio tutti gli altri sparsi nella stanza fui certa che fossero tutti uguali. Non li riconoscevo, eppure mi affascinavano nella loro pura bellezza. Erano composti tutti da cinque petali leggermente appuntiti, bianchi come la neve, che però andavano colorandosi di arancione, pesca o giallo verso il centro, nel quale mi meravigliai di non vedere alcun bottoncino come per gli altri fiori. In questi semplicemente i petali delicati si riunivano tra loro.
Me ne portai uno al naso e mi guardai intorno. In quella frazione di secondo provai una brutta sensazione di disagio nell’essere sola lì dentro. Mi sentii fuori posto in un luogo così maestoso e perfetto ed involontariamente il mio cervello lo paragonò in un breve flash alla casa calda, umile ed accogliente di Seth. Il piede non ingessato iniziò una danza incontrollata su e giù sulle dita, preda di quella sensazione di smarrimento che cresceva ogni secondo di più.
In quel momento Edward rientrò nel salone ed io sospirai, rilassandomi subito. Spingeva un ampio carrello argentato sul quale vi erano poggiati diversi piatti con cibi che non riuscii a riconoscere da lontano. Mi raggiunse e sorrise mentre mi poggiava davanti un piatto con degli invitanti ravioli.
« Sono bellissimi, ma non credo di conoscerli. Perché tutti uguali? » gli chiesi mostrandogli il fiore che tenevo tra le dita.
Edward girò intorno al tavolo, prese la sua poltroncina bianca e la portò accanto alla mia, raccolse tra le sue mani la mia che reggeva ancora il fiore dai petali pallidi come le sue dita.
« Sono fiori di Tiarè, una pianta tropicale di origine polinesiana » sussurrò piano incatenando i suoi occhi nei miei, come se stesse recitando una poesia
« Sono… i tuoi fiori preferiti? » provai ad indovinare esitante
« Decisamente sì, da quando ti ho conosciuta » le perfette labbra rosee si aprirono in un sorriso luminoso
« Perché? » domandai semplicemente, incapace di articolare più di una parola al cospetto di quell’angelo
« Bella » soffiò appena tra le labbra.
Mi passò una mano fredda e sottile dietro la nuca, avvicinò il mio viso al suo, e poi inaspettatamente iniziò ad annusarmi. Prima un lungo e profondo respiro tra i capelli; poi un eterno e languido respiro nel quale mi sfiorò con il naso l’angolo tra le labbra e la guancia; ed infine l’ultimo, sensuale e delicato respiro lungo tutto il mio collo, verso il basso, fino ad incontrare il suo stesso polso. Non potei fare a meno di sentirmi invasa da mille brividi.
« Bella .. » soffiò ancora « .. i tuoi capelli, la tua pelle, le parole che fluttuano fuori dalle tue labbra … tutto in te profuma di questi fiori » mi baciò il labbro superiore « Con anche un delicato e dolcissimo pizzico di fragola in sottofondo » e baciò il labbro inferiore.
« Io … » tentai di dire, ma la voce mi uscì tremolante « Io non lo sento » ammisi.
Edward sorrise, ma in quel modo che odiavo tanto, un sorriso velato di tristezza e chi sa quale tormento. Così affondai le dita di entrambe le mani tra i suoi capelli soffici e voluminosi. Lui mi guardò sorpreso
« Però riconosco il tuo odore » sussurrai annusandolo nello stesso modo in cui lui aveva fatto con me e fui certa di sentirlo vibrare sotto le mie dita « Riconosco il tuo sapore » sussurrai ancora più piano, assaggiando delicatamente le sue dolci labbra « E so per certo che sono unici al mondo, che non potrei sentirli in nessun’altro essere umano. » mi interruppi per un istante e poi le parole sfuggirono tra le mie labbra come in una preghiera « Sei così bello, Edward »
In quel momento successe ancora. Tutto durò soltanto una frazione di secondo. Il mio cervello malato mi riportò alla mente un brevissimo flash nel quale le mie mani erano immerse in altri capelli, i miei occhi sprofondati in altri occhi, ero seduta su una sedia decisamente meno comoda e sussurravo le stesse tre parole ad un altro bellissimo ragazzo.
Sussultai appena, sorpresa e frastornata da quel secondo così particolare. Cos’era stato?
« Bella ti senti bene? » la voce melodiosa di Edward
Battei un paio di volte le palpebre e fissai i miei occhi nelle sue ambre profondissime, ancora leggermente spiazzata
« Si » dissi poco convinta « credo .. » “credo” cosa? « .. credo di aver avuto un piccolo calo di zuccheri »
Fu l’unica spiegazione che riuscii a darmi. Sul volto di Edward lessi un’istantanea apprensione e il mio cuore si strinse. Non volevo vederlo mai così.
« Forse sarebbe meglio che tu mangiassi quei ravioli. Sono certo che dopo ti sentirai meglio » mi invitò indicandomi il piatto ancora fumante
« Già, lo penso anch’io » gli sorrisi e presi la forchetta argentata accanto al piatto.
Inforcai il primo raviolo, che capii dall’odore essere ripieno di funghi, e me lo portai alle labbra quando notai che Edward era ancora di fianco a me, immobile.
« Tu non mangi? » chiesi
Lui mi parve leggermente spaesato per qualche secondo, come se si fosse quasi stupito della mia domanda, come se non se l’aspettasse. Quella reazione così strana mi fece accantonare del tutto l’episodio di pochi attimi prima e mi concentrai solo su Edward. Aveva preparato tutto per me quella sera ed io volevo prestargli la mia totale attenzione.
« Oh, scusami » disse in un fiato « Ero molto teso mentre ti aspettavo e non ho potuto fare a meno di mangiare un boccone. Ti dispiace se ti faccio compagnia e basta? » mi chiese con il suo miglior sorriso sghembo
« No, figurati » gli risposi sorridendo ed iniziai a godermi quelle squisite prelibatezze preparate per me soltanto.
La cena fu ottima dai ravioli alla crostata di fragole, e la compagnia di Edward rese tutto ancora più speciale. Ormai non mi infastidiva più il suo fissarmi mentre mangiavo, mi ci ero abituata, solo cercavo sempre di metterci tutto l’impegno possibile per non offrirgli uno spettacolo impietoso e impasticciato su cui ridere.
Avevo mangiato, avevamo chiacchierato, riso, e in tutto questo avevo perso la cognizione del tempo ma la luna, ormai giunta quasi all’estremità destra della enorme vetrata, mi fece capire che si era fatto tardi. Edward dovette intuire il mio pensiero
« Credo si sia fatto tardi » disse gettando un’occhiata anche lui alla luna « forse è il caso che ti riaccompagni a casa. Ma prima, ho un’ultima cosa per te » sorrise e si alzò
Io lo imitai « Ancora una? Non pensi di aver fatto abbastanza? »
« No, tu non muoverti di qui » prese le mie mani tra le sue « E no. Niente è mai abbastanza per te »
Mi baciò dolcemente la punta del naso e poi si incamminò verso il pianoforte a coda che, nero e lucido, illuminato direttamente dai raggi argentei della luna, spiccava sul lato destro della grande vetrata del salone candido. Edward lo raggiunse, ma io non mi sedetti, rimasi in piedi accanto al tavolo ad ammirare quello spettacolo unico. Quando si accomodò sullo sgabello imbottito, prima di poggiare le dita sui tasti, mi rivolse una breve occhiata e a me mancò l’aria. Come poteva esistere al mondo un essere umano così perfetto? La sua bellezza non avrebbe mai smesso di stupirmi e alla debole luce della luna sembrava perfino che la sua pelle diafana fosse luminosa, come se sprigionasse una luce propria morbida ed ovattata che contribuiva a rendere il suo viso perfetto ancora più surreale.
« Questa l’ho scritta per te » disse semplicemente, come se fosse la cosa più normale del mondo.
« Che cos…. »
Non mi diede il tempo di esprimere il mio stupore che le sue lunghe dita si mossero già sulla tastiera. Il suono che ne uscì mi sconvolse, era una melodia perfetta, e sembrava suonata da un’intera orchestra piuttosto che da sole due mani. Poi, Edward Cullen iniziò a cantare per me.
« You could be my unintended choice, to live my life extended. You could be the one I'll always love»
Non riuscivo e non potevo credere alle mie orecchie. Il canto di Edward era quanto di più somigliante al divino potesse esistere nell’intero universo. Se normalmente, quando mi parlava, la sua voce mi sembrasse melodiosa, quello che giungeva ai miei timpani in quel momento era un vero e proprio canto angelico.
« You could be the one who listens to my deepest inquisitions . You could be the one I'll always love »
La sua voce indescrivibile si mescolava ed amalgamava alla splendida melodia che le sue dita lunghe ed esperte producevano sui tasti bianchi e neri, creando una sinfonia di emozioni che non pensavo potesse esistere.
« I'll be there as soon as I can. But I'm busy mending broken pieces of the life I had before »
Le note della canzone divennero più alte, e con esse anche la voce di Edward che carezzava le corde della mia anima come mai nessun’altro pezzo musicale aveva mai fatto. Forse perché era stata scritta apposta per me, forse perché le parole che mi stava cantando erano talmente belle e lusinghiere che mai avrei accettato tanto, ma sicuramente erano la cosa più bella che si potesse ascoltare in tutta una vita.
« First, there was the one who challenged all my dreams and all my balance… » in quel momento lo vidi aprirsi nel suo sorriso sghembo e gettare un’occhiata nella mia direzione. Capii subito a cosa si stesse riferendo e quasi mi venne da ridere quando nella testa mi risuonarono le prime parole, così acide, che gli rivolsi e successivamente tutti i miei tentativi per cercare di ignorarlo e di odiarlo « …She could never be as good as you »
Dalle note che le sue dita continuavano a comporre intuii che stava per ripetere la prima strofa di quella splendida e rilassante melodia
«You could be my unintended choice to live my life extended…. »
Così in quel momento, pur non ricordando alla perfezione le parole, istintivamente iniziai a cantare anch’io a bocca chiusa la melodia che Edward produceva al piano. La mia voce, seppur risuonante in gola e frenata dalle labbra serrate, mi sembrò davvero uno sgorbietto in confronto alla sua, eppure continuai, trascinata dalla bellezza di quello che ascoltavo.
« …. You should be th…. »
“Lo sai benissimo che amo sentirti cantare”
In quel momento la voce melodiosa di Edward era giunta flebile alle mie orecchie e non aveva terminato da sola la strofa. Alla sua si era sovrapposta per quel breve istante un’altra voce. Decisamente più bassa, più roca, più ruvida e sicuramente molto meno melodiosa. Per la terza volta in quella serata la mia mente aveva reagito autonomamente.
Non ero preparata a sentire sussurrare nella mia testa la voce di Jacob, specialmente una delle ultime cose che gli avevo sentito dire prima che sparisse. Così boccheggiai per lo stupore in cerca d’aria e mi aggrappai più forte con le dita al bordo del tavolino per non perdere l’equilibrio. Sentivo la fronte imperlarsi di sudore freddo e la bocca dello stomaco stringersi forte. Per un istante ebbi paura. Cosa stava succedendo alla mia testa? Stavo per impazzire? Era così che succedeva?
Il crescendo finale della melodia suonata da Edward mi riscosse da quel traumatico momento.
Edward… pensai con dolcezza Edward non merita tutto questo. Forse ero davvero pazza, ma per il credere di stare davvero impazzendo. Edward non meritava di avere accanto una persona che si lasciava andare così tanto all’immaginazione. Perché era esattamente questo che era successo. Avevo ceduto all’immaginazione collegando a questo momento l’ultima volta che avevo cantato davvero. La voce di Jacob non aveva sussurrato realmente quelle parole del passato nella mia testa. Avevo immaginato tutto.
E proprio per questo mi sentii infinitamente meschina ed ingrata. Quante persone possono vantare nella propria vita di avere una splendida canzone scritta apposta per loro? La canzone più bella che sia mai stata composta su questa Terra. Quante persone possono vantare nella propria vita di avere accanto uno tra gli uomini più belli che la storia abbia mai conosciuto? Se non il più bello in assoluto.
No, non volevo sentirmi mai più in colpa nella mia vita per non aver dato il massimo di me stessa a qualcuno che invece mi stava donando tutto.
Così mi mossi e mi diressi verso Edward per la fine della canzone. Lo raggiunsi, gli circondai le spalle fasciate dallo smoking con un braccio e poggiai la guancia sui suoi capelli ramati.
« I'll be there as soon as I can. But I'm busy mending broken pieces of the life I had before you »
Edward fece danzare ancora le dita affusolate sui tasti e guidò dolcemente la melodia alla sua fine. Lo sentii sospirare sotto le mie braccia prima che si voltasse e mi facesse sedere accanto a lui abbracciandomi con tenerezza.
« Edward, è la cosa più incredibile che abbia mai ascoltato in tutta la mia vita » gli dissi sinceramente, voltandomi per cercare il suo sguardo
« Quindi ti è piaciuta davvero? »
« Scherzi? Io non credo di meritare una cosa del genere! »
« Tu invece meriti di avere tutto quanto di più bello esista » soffiò piano prima di baciarmi delicatamente.
« Quando l’hai composta? » gli chiesi
Lui mi sorrise e il suo sguardo si addolcì da sotto le ciglia lunghe « Poco dopo averti incontrata. In realtà è nata in due momenti diversi. Prima è nata la musica. L’ho composta esattamente la sera in cui ti ho conosciuta. Ero un po’ … diciamo depresso » sorrise di sé « perché avevo saputo che non avresti mai potuto essere mia. » l’oro dei suoi occhi si incupì appena per poi illuminarsi di nuovo « Il testo invece è nato soltanto ieri. Dopo la mattina nella radura, quando finalmente mi hai aperto le porte del tuo cuore » mi sorrise felice
Sentii le guance andarmi in fiamme e dissi la prima cosa che mi venne in mente per uscire da quell’imbarazzo « Prima che mi schiantassi contro un pino »
« No » Edward scoppiò a ridere e come ogni volta mi fecero quasi male gli occhi per la tanta bellezza « In realtà è nato dopo il tuo schianto contro il pino. Precisamente ieri notte, dopo averti riaccompagnata a casa dall’ospedale »
« Ieri notte? » domandai sbalordita
Lui fece una piccola smorfietta arricciando il naso e contraendo le labbra morbide, come se avesse preferito tenersi per sé ciò che stava per dirmi « Bells tu … tu sai che parli nel sonno? »
Arrossii violentemente « Si, purtroppo si. Lo facevo anche da piccola. » Edward abbassò lo sguardo sui suoi piedi « Cos’ho detto? E soprattutto quando?! » domandai in un misto tra timore ed imbarazzo
« Ieri pomeriggio mentre dormivi in ospedale. In realtà non hai detto nulla di comprensibile, forse per colpa degli anestetici. Però è stato proprio questo a preoccuparmi. In genere gli anestetici azzerano ogni percezione e reazione, invece tu … » alzò di nuovo gli occhi dorati nei miei « … tu ti agitavi molto. Continuavi a voltare il busto da un lato all’altro e le tue mani non stavano ferme un istante. Toccavano ogni centimetro di materasso raggiungibile come se cercassi qualcosa di importante »
«Oh … Io non so se mi agito così anche le altre volte. Non mi accorgo di nulla »
Edward mi carezzò dolcemente la testa « Meglio così » e mi sorrise « Per questo ho pensato che sarebbe stato carino aggiungere le parole a quella melodia per farla diventare una sorta di ninna nanna che avrebbe potuto calmare i tuoi sogni. La tua ninna nanna » ripeté dolcemente e il sorriso si allargò illuminando anche i suoi occhi.
« Grazie, Edward. Anche se grazie mi sembra decisamente troppo poco »
« In realtà un modo per ringraziarmi meglio ci sarebbe » sorrise malizioso e felice « potresti regalarmi uno dei tuoi dolcissimi baci »
La sua richiesta mi parve ovviamente troppo povera, ma lo accontentai comunque prima che ci avviassimo fuori da quel candido rifugio.
****
« Ti accompagno » mi disse quando fummo davanti casa mia.
E così fece, mi aiutò a scendere dalla Volvo e mi accompagnò sotto il portico. Mi sentivo rilassata all’idea che sarei finalmente andata a rintanarmi sotto il piumone. La serata era stata magnifica, unica, ma nonostante cercassi di ignorare i due scherzetti fatti dalla mia mente non riuscivo a non sentirmi in colpa nei confronti di Edward. Gli sorrisi, anche per scacciare quei pensieri prematuri e godermi gli ultimi minuti con lui.
« Questa serata la ricorderò per tutta la vita » gli dissi mentre le sue braccia scorrevano a circondarmi la vita.
« Lo spero proprio. Considerato che … » lasciò la frase in sospeso e mi strinse così forte contro di lui che quasi respiravo a fatica
« Considerato che … ? » riuscii a soffiare appena tra le labbra.
Edward affondò il viso tra i miei capelli e mi sussurrò all’orecchio « Ti amo, Isabella » con tutta la passione che aveva in corpo « Ti amo » ripeté ancora.
Quelle parole avrebbero dovuto portare in paradiso ogni ragazza al mondo invece a me, Isabella Swan, regina dei sentimenti confusi e mai espressi, mi portarono dritta all’inferno.
Mi mancò istantaneamente l’aria e boccheggiai in cerca di ossigeno. Edward dovette fraintendere il panico che mi assalì con un’emozione del tutto diversa perché mi strinse a sé ancora più forte, continuando a ripetere incessantemente quelle due parole come una preghiera. Una preghiera che a me suonava forte come una maledizione.
Non potevo, non potevo, non potevo e non volevo trovarmi ancora in quella situazione. Non volevo sentirmi dire che ero amata con tanta devozione e non potere, non riuscire, a rispondere allo stesso modo ancora una volta. Il panico dentro di me cresceva a dismisura ad ogni “ti amo” che Edward aggiungeva con maggior sentimento sapendo che dalla mia bocca non sarebbero uscite le stesse parole, sapendo che non l’avrei reso felice ma al contrario… l’avrei condannato ad una relazione senza certezze, senza punti fermi. Stavo costringendo Edward a vivere nelle stesse condizioni che avevo imposto a Jacob. Perché io non potevo, non riuscivo, nemmeno con Edward a dare quel nome alle emozioni che provavo. Mi maledissi per questo mentre Edward continuava a stringermi sempre più forte, tanto da farmi male e questo contribuiva solo ad aumentare il panico dentro di me.
« Ti amo, Isabella » ripetè ancora
“Ti amo, Bells”
La voce di Jacob stavolta esplose letteralmente nella mia testa come in risposta alle parole di Edward. La voce di Jake proveniente dal mio passato, da tutte le volte che mi aveva detto di amarmi con tanto ardore, rimbombò nella mia testa come un’esplosione. Forte, fortissima, tanto da produrre un’eco che continuava a torturarmi alternandosi alla cantilena ormai quasi mistica di Edward
« Ti amo, Isabella »
“Ti amo, Bells”
Ancora una volta, assordante, esplose nelle mie orecchie come se fosse esattamente lì accanto a gridarmi quelle tre parole a pieni polmoni.
Il panico a quel punto dilagò completamente in me.
« Aaah! »
Gridai soffocata dal petto di Edward contro il quale mi stringeva, avevo il cuore che batteva talmente impazzito dalla paura da farmi male. Lui mi lasciò all’istante interrompendo anche quella mortale cantilena e io iniziai a risucchiare quanta più aria potevo nei polmoni che sentivo troppo piccoli in quel momento. Affannavo come se fossi appena scampata da un annegamento ed era esattamente così che mi sentivo. Gli occhi lucidi di lacrime, il respiro che non accennava a regolarizzarsi e il cuore che volava ancora dallo spavento. Mi aggrappai al muro di casa mia sperando inconsciamente di afferrare solo aria e capire che era soltanto un incubo e che non stavo impazzendo sul serio, che non sentivo realmente voci esplodermi nella testa. Invece il legno bianco di casa mia si fece trovare solido e ruvido sotto il palmo della mano, confermandomi che forse sì, ero del tutto fuori di testa.
« Bella, cos’hai ? Bella! Isabella! »
Mi accorsi solo in quel momento delle mani fredde di Edward che mi scuotevano leggermente per le spalle. Aveva gli occhi stravolti dallo spavento, come sicuramente dovevano essere anche i miei. Ma non potevo dirgli quello che mi era appena successo. Non potevo dirgli che stavo impazzendo, che avevo sentito una voce esplodermi potente nella testa.
« Scusami, io … non sto bene, non sto bene per niente » gli risposi ancora affannata
« Vieni, ti porto in ospedale »
« No! » quasi gridai dalla paura che potesse farlo davvero « No, ti prego » aggiunsi con tono più basso.
Edward mi guardò interrogativo e sconvolto. Io chiusi appena gli occhi e tirai un lunghissimo respiro per cercare di tranquillizzarmi. Dovevo quantomeno apparire calma se volevo che tutto questo finisse in fretta.
« Non ce n’è bisogno. Voglio solo andare dentro, prendere un’aspirina e andare a dormire » dissi con una calma apparente che non mi apparteneva affatto
« Invece è più sicuro farti fare un controllo, hai appena subito un incidente » insistette, quasi del tutto dimentico del momento romantico di qualche attimo prima.
Come se il fatto che mi amasse fosse decisamente poca cosa rispetto alla priorità della mia salute. Anche lui stava mettendo il mio benessere prima di sé stesso, delle sue emozioni, della sua vita. Non potevo reggere ancora quella pressione che sembrava tornare più forte di prima dal mio passato con Jacob.
« Edward ti prego » lo interruppi e gli strinsi una manica dello smoking tra le mie dita tremanti « Ti supplico, lasciami andare nel mio letto a riposarmi »
Lui si fermò qualche secondo a rifletterci, ma alla fine cedette. Fece cenno di sì con la testa anche se l’espressione del suo viso gridava un “no” a caratteri cubitali. Approfittai della sua breve resa ed aprii svelta la porta alle mie spalle.
« Buonanotte, Edward. A domani » gli dissi prima di lasciargli un leggero bacio sulle labbra ed entrare in casa più in fretta che potei.
Mi richiusi la porta alle spalle e mi ci poggiai con la schiena. Sentii i passi di Edward allontanarsi e tirai un paio di respiri per calmarmi ancora. Avevo la testa che mi scoppiava e sentivo le lacrime pungermi il retro degli occhi. Perché mi stava succedendo tutto questo? Non sapevo se sentirmi più schiacciata dalla situazione in cui mi ero cacciata con Edward o più impaurita per quello che stava succedendo nella mia testa.
Lasciai cadere le stampelle accanto alla porta e mi diressi zoppicando in cucina come in trance. Aprii il frigo, afferrai una bottiglietta d’acqua, la stappai ed iniziai a bere avidamente quel liquido freddo che sentivo rigenerarmi ad ogni sorso.
Più ne bevevo e più ne volevo, così iniziai a fare sorsi sempre più grandi e sentii delle gocce gelide fuoriuscirmi dai lati delle labbra e scorrere decise lungo il collo teso. La bottiglietta divenne subito più leggera tra le mie mani e lo sguardo mi cadde su un piatto in ceramica bianca con del pollo avanzato dal pranzo. Sapevo di aver mangiato a sufficienza a cena, eppure provai una voglia fastidiosa di assaggiarne un po’. Istintivamente, senza nemmeno pensarci, smisi di bere e poggiai la bottiglina sul ripiano accanto al frigo. Allungai una mano e presi il piattino di ceramica. Sollevai il sottile ed appiccicoso strato di cellophane trasparente e mi portai un pezzetto di pollo in bocca.
Masticai piano e la consistenza secca e fredda della carne mi provocò un leggerissimo sollievo. Così senza pensarci mangiai anche un secondo pezzo di pollo, stavolta masticandolo più in fretta. Il terzo boccone lo infilai tra le labbra mentre il precedente era ancora a metà strada tra la bocca e la gola. Poi a quello seguirono sempre più velocemente il quarto, il quinto, il sesto. Sollevai lo sguardo dal piatto ormai quasi vuoto mentre ancora masticavo e i miei occhi caddero su una grande, lucente, morbida fetta di torta al cioccolato di quella mattina. Improvvisamente il pollo perse tutta la sua attrattiva e lasciai cadere per terra il piatto, noncurante del rumore che provocò. Afferrai il piatto con la torta rapida come se avesse potuto sparire di lì a qualche secondo. Presi la fetta direttamente con la mano sporcandomela tutta di glassa e l’aggredii con un morso selvaggio quasi prima che riuscissi a sollevarla dal piatto. Nello stesso istante in cui la bocca si riempì mi sentii ancora meglio di prima.
Un mugolio di piacere e di soddisfazione mi salì su per la gola mentre mi lasciavo scivolare sul pavimento davanti al frigorifero spalancato. Non mi diedi il tempo di ingoiare il primo morso che mi avventai ancora sulla torta, e poi un’altra volta, poi ancora, ancora e ancora, fin quando non riuscii quasi più a respirare. La bocca non mi si chiudeva per la troppa torta che conteneva eppure a me sembrava ancora poca. Diedi un altro morso alla fetta ormai dilaniata tra le mie mani completamente sporche di cioccolato, così come sentivo il naso e le guance. Affannata, con la bocca pronta ad esplodere di cibo, afferrai senza pensarci con una mano un pezzo di pizza al formaggio e lo addentai con foga, quasi con disperazione. Masticavo quel boccone misto di torta e pizza troppo grande per la mia bocca come se ne dipendesse la mia stessa vita.
Ero allucinata, alienata, e sentivo un bisogno sempre più grande di mangiare, trangugiare, ingoiare quanta più roba potessi per riempire quella voragine che sentivo farsi sempre più grande dentro di me. Non sapevo bene dove, ma c’era un buco enorme che sentivo allargarsi dentro ed io continuavo ad ingozzarmi di qualsiasi cosa riuscissi ad afferrare nel frigo. Avevo le mani e il viso completamente sporchi di cioccolato, formaggio, maionese, salsa di pomodoro; la bocca talmente piena da costringermi a respirare solo con il naso e le mie mani continuavano a prendere cibo e lasciarne cadere altro sul pavimento e sulle mie stesse gambe.
Poi fu un secondo. Un brevissimo, insignificante secondo.
Come se avessi ricevuto un ceffone in pieno viso improvvisamente il bisogno quasi vitale di mangiare cessò e smisi di masticare. Per un attimo rimasi stordita.
Ripresi a masticare lentamente l’enorme boccone che avevo in bocca composto da almeno tre pietanze diverse e mi guardai le gambe sporche, poi le mani ormai luride fin sopra i polsi di qualsiasi cosa. Appena riuscii a deglutire inspirai a fondo in cerca d’aria ancora stordita. Cosa diavolo mi era preso?!
Poggiai le mani per terra in affanno e la sinistra scivolò.
In quel momento una nausea fortissima ed inarrestabile mi sommerse del tutto attanagliandomi e attorcigliandomi completamente lo stomaco. Un conato di vomito mi giunse tra le labbra ancor prima che potessi capire cosa mi stesse accadendo. Spaventata mi portai una mano alla bocca cercando di contenere il vomito che sentivo salire su per la gola e mi rimisi in piedi più in fretta che potei. Il gesso non aiutò e le mani luride scivolarono più volte su ogni superficie imbrattando qualsiasi cosa intorno a me.
In preda al panico scivolai più volte, mi aggrappai disperatamente ad un cassetto e finalmente riuscii a mettermi in piedi e a gettarmi con la testa nel lavandino dove un conato fortissimo mi piegò le ginocchia ed iniziai a vomitare violentemente. I conati iniziarono a susseguirsi rapidi e aggressivi, tanto da produrre un rumore spaventoso ed arrivare a farmi male la gola, senza nemmeno lasciarmi il tempo di respirare.
Vomitai a lungo e con una violenza tale da lasciarmi tremante, impaurita ed esausta.
Ero sconvolta. Ero sotto shock.
Aprii l’acqua gelata e mi bagnai copiosamente il viso in cerca di sollievo. Il sollievo però arrivò soltanto per la puzza e per l’impiastricciamento provocati dal vomito che svanirono subito risucchiati dallo scolo, ma non servì a nulla contro lo shock che avevo appena subito.
Chiusi l’acqua, mi misi lentamente dritta sul busto e sentii il cerotto scollarsi dalla fronte e cadere nel lavello. Mi guardai lentamente intorno e vidi il disastro che avevo combinato. Non ero mai stata molto religiosa ma in quel momento non potei fare a meno di rivolgere una preghiera per me stessa ad un Dio onnipotente. Cosa era successo? Cosa mi era preso? Perché mi sentivo così disorientata?
Non sentivo più nulla dentro di me, la voragine iniziale era sparita, così come la nausea, lasciandomi in uno stato di torpore assoluto nel quale non riuscivo ad avvertire nemmeno le dita delle mani e dei piedi. Il mio cervello non formulava un pensiero coerente ed ogni movimento mi sembrava rallentato e pesante.
Come un automa vidi il mio corpo incamminarsi verso le scale senza curarmi di ripulire nulla o di richiudere il frigorifero. Raggiunsi il pianerottolo allo stremo delle forze. Voltai il capo verso il bagno e la porta aperta mi fece incontrare direttamente il mio riflesso nello specchio. Rabbrividii a quella visione. Ero pallida come non lo ero mai stata in tutta la mia vita, i capelli erano sporchi di cibo e quelli accanto al viso erano tutti bagnati e appiccicosi, le occhiaie viola erano talmente profonde da toccarmi le guance e gli zigomi, ed infine gli undici punti ancora freschi sulla fronte – messi bene in vista dopo la caduta del cerotto – mi rendevano del tutto identica ad un mostro. Un piccolo Frankestein al femminile.
Non ebbi nemmeno la forza di gemere o spaventarmi di me stessa. Mi trascinai alla porta della mia camera, entrai e la richiusi dietro di me. Mi avvicinai alla scrivania ed iniziai a sfilarmi il maglione nell’oscurità totale.
« Bella »
Qualcuno mi chiamò alle mie spalle ma il mio corpo non reagì. Non mi voltai, come se fosse ormai del tutto normale sentire voci sussurrare il mio nome. Le mie mani continuarono a spogliarmi, facendo salire il maglione fin sotto il seno.
« Bella! »
Stavolta la voce arrivò forte e chiara al mio orecchio e vidi delle mani pallide bloccare le mie. Sollevai lo sguardo e i miei occhi incontrarono il viso impaurito di Edward. Non dissi niente, il mio cervello era muto.
« Santo cielo, Isabella cos’hai ?! »
Ancora non risposi, né tantomeno mi chiesi come facesse Edward ad essere nella mia stanza. Semplicemente sentii il mio torace iniziare a sussultare, a scuotersi forte, il respiro spezzarsi e lacrime fredde come le mani di Edward rigarmi le guance.
Il mio corpo stava piangendo. Piangeva quasi disperatamente. Eppure io non sentivo nulla.
« Non piangere, adesso passa tutto » sussurrò sofferente e confuso
Poi Edward mi abbracciò. Mi strinse davvero forte a sé e finalmente riuscii a percepire lui e di nuovo anche il mio corpo. Mi aggrappai a lui come ad un salvagente in un oceano in tempesta e iniziai a piangere consapevolmente, più forte di prima. Avevo paura, una paura immensa e schiacciante di quello che mi era successo prima sotto il portico e poi nella cucina. Dell’ultima cosa non avevo ricordi precisi, erano tutti confusi nonostante fosse stato appena qualche minuto prima, eppure ne ero terrorizzata.
I singhiozzi continuavano e Edward mi guidò dolcemente sul mio letto, sul quale si distese al mio fianco e mi cullò per ore. Lentamente i singhiozzi scemarono così come la paura, confortata dalla presenza solida e reale di Edward al mio fianco. Quando fui del tutto calma mi avvolse nel piumone e poi tornò a stringermi forte a sé.
« Ti prego, non lasciarmi da sola » mi sentii sussurrare roca
« Non preoccuparti, non sarai mai più da sola. Nemmeno per un secondo, se è questo che vuoi » mi rispose sicuro.
Quella promessa allentò istantaneamente la morsa della paura e la fece sparire del tutto. Subito dopo mi addormentai sfinita tra le braccia di Edward.
Ero egoista? Sì, tanto. Ma il terrore di rimanere da sola e che mi potessero accadere ancora quelle cose orribili senza nessuno al mio fianco era più forte di tutto.
E così, nonostante tutto, nonostante me e la mia impossibilità nel riuscire a ricambiare i suoi ti amo, continuai ad addormentarmi abbracciata a lui ogni notte per i successivi due mesi.
Spero che il capitolo vi sia piaciuto. Ora vorrei passare alle note e alla dedica.
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La ninna nanna di Edward ovviamente non è opera mia, ma è un'altra favolosa canzone dei grandiosi Muse. Il suo titolo è "Unintended" e vi invito caldamente ad ascoltarla a questo link Unintended - Muse
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Questa è la traduzione della canzone, perchè le parole sono fondamentali. Sembrano scritte esattamente per gli Edward e Bella di questa storia : Potresti essere la mia scelta involontaria di vivere la mia vita estesa/ Potresti essere colei che amerò sempre/ Potresti essere colei che ascolta le mie inquisizioni più profonde/ Potresti essere colei che amerò sempre/ Ci sarò il più presto possibile/ Ma sono occupato a riaggiustare i pezzi della vita che avevo prima/ Prima ci fù quella che sfidò tutti i miei sogni e il mio intero equilibrio/ Lei non avrebbe mai potuto essere buona come te/ Potresti essere la mia scelta involontaria di vivere la mia vita estesa/ Devi essere colei che amerò per sempre/ Ci sarò appena potrò/ Ma sono occupato a riaggiustare i pezzi della vita che avevo prima di te.
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Questo è un fiore di Tiarè.
Infine, vorrei dedicare questo capitolo a Jakefan, la scrittrice più talentuosa che abbia mai incontrato nei meandri delle fanfiction. E' stata l'unica che, nel suo genio, è riuscita ad anticipare cosa sarebbe successo in questo capitolo.
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Capitolo 33 *** CAPITOLO 27 - L'Orlando ***
“ … E se ben come Orlando ognun non smania, / suo furor mostra a qualch'altro segnale.
E quale è di pazzia segno più espresso / che, per altri voler, perder sé stesso? ”
Da “Orlando furioso” di Ludovico Ariosto
CAPITOLO 27 – “L’Orlando”
Era stato come l’accendersi di una lampadina in una stanza buia. Improvviso.
Ma a differenza della lampadina che si accende per volontà di qualcuno, il mio interruttore era scattato spontaneamente. Non richiesto, non voluto. Incontrollato.
Eppure era bastato un attimo, un battito di ciglia, per l’esattezza la frazione millesimale di secondo dell’aprire le palpebre. Avevo aperto gli occhi e d’un tratto era lì dentro di me. Inaspettato.
Nel buio notturno del mio giaciglio un minuto prima dormivo serenamente ed un attimo dopo i miei occhi si erano aperti lucidi e vigili come se fossi stato sveglio da ore. Ed era lì, pressante, esattamente dentro il mio cervello e in profondità nel mio petto : Sono pronto per tornare a casa.
Non sapevo perché, non sapevo come, non sapevo da dove venisse quella fulminea ma granitica sicurezza. Ciò nonostante mi ero sollevato a sedere nel bel mezzo del letto con la consapevolezza improvvisa che ero pronto per tornare a casa. Era come se l’avessi sempre saputo, sembrava una decisione perentoria maturata nel corso di mesi invece che di qualche secondo. Lo sapevo, lo sapevo e basta.
Ancor prima che potessi muovere un muscolo la sua voce mi risuonò dolce nella testa.
“ Jacob … prometti”
E poi subito dopo la mia stessa voce, che in quel momento mi sembrò quella di un ragazzino
“ Te lo giuro, Bella”
Sussurri provenienti da un’istantanea che sembrava essere stata scattata secoli prima. Nel mio garage, con il grande amore della mia vita tra le braccia. Cosa mi aveva chiesto di prometterle? Non lo sapevo allora e non lo avrei mai saputo in futuro. Eppure gliel’avevo addirittura giurato. Perché qualsiasi cosa fosse, qualsiasi cosa volesse, qualsiasi cosa desiderasse o immaginasse, per me meritava molto più di una promessa. Meritava un giuramento, ed era ciò che avevo fatto.
Così come la certezza che ero pronto per tornare a casa era giunta fulminea, arrivò allo stesso modo anche la sicurezza che fosse arrivato il momento di adempiere il mio giuramento. Qualsiasi esso fosse. Così avevo scostato il lenzuolo bianco dalle gambe, mi ero sollevato in piedi ed avevo iniziato a vestirmi. Istintivo.
Ero pronto per tornare a casa. Volevo tornare a casa. Dovevo tornare a casa.
Era nato tutto così, in pochi secondi, qualche settimana prima. I miei piedi ora pestavano agili ma decisi il terreno gelato dell’alba. Ero sicuro che fossi già all’interno dello stato di Washington, anche se ancora una volta non sapevo come facessi ad avere una sicurezza del genere, ma era così e basta. Forse era grazie ad una specie di bussola interna donatami dal lupo che albergava in me. Erano ormai settimane, o forse più di un mese, che camminavo instancabilmente per tornare a casa. Sapevo che il viaggio sarebbe stato lunghissimo dato che con il mio peregrinare ero finito addirittura sulla costa Est del Québec, praticamente sulla sponda opposta del continente rispetto alle coste di Washington. Di sicuro se avessi intrapreso quel viaggio in forma di lupo avrei impiegato un quarto del tempo, ma non avevo voluto trasformarmi per varie ragioni.
All’inizio mi ero incamminato chiedendomi se quell’improvvisa sicurezza che fossi pronto mi avrebbe abbandonato fulminea com’era arrivata, e se così fosse stato non sarebbe stato giusto illudere i miei fratelli in forma di lupo. Un’altra ragione era che volevo assorbire del tutto la portata di quella decisione, prima di ritrovarmi troppo presto a casa. Ed infine, quando la sicurezza si era saldata del tutto nel mio animo, avevo scelto di continuare a marciare in forma umana per sorprendere tutti i miei fratelli con il mio ritorno. Non che credessi che stessero aspettando solo me a braccia aperte, ma avevo la sensazione che anche io forse potevo essergli mancato quanto loro erano mancati a me.
Tutto questo piano sarebbe stato perfetto, se solo il mio caratteraccio avesse resistito. Già, perché era stato facile prendere quelle decisioni, un po’ meno facile era stato invece convincere la mia impulsività a starsene buona, convincere il lupo a non strattonarmi lo stomaco per la foga di essere lasciato libero di tornare al suo posto, tra i suoi fratelli, nella sua terra, tra le braccia dell’unica che possedeva il nostro cuore.
Così mi ritrovavo negli ultimi giorni a camminare con un passo talmente svelto che avrei fatto meglio a definire galoppo. Ogni singolo muscolo del corpo era teso e i tendini duri, mi sentivo un vero e proprio fascio di nervi. Perfino i miei movimenti sembravano arrivare a scatti nervosi, mentre gettavo una gamba davanti all’altra e con le braccia spostavo con foga qualsiasi cosa ostacolasse il mio cammino.
Non ce la facevo più, non resistevo più. Sentivo il bisogno di tornare a casa pungermi tutto il corpo come tanti spilli, lo sentivo aggrovigliarmi lo stomaco e poi risalire lungo la gola stringendola in una morsa soffocante.
Soffocante, ecco la parola giusta. Stavo soffocando. Come se nel resto del pianeta non ci fosse più aria da respirare e ne potessi trovare di fresca ed ossigenata solo nella mia riserva, tra i miei fratelli, avvolto dalle sue braccia.
Non sapevo con precisione a quanti giorni o settimane di marcia fossi da casa, ma del resto era irrilevante, qualsiasi previsione sarebbe stata stracciata una volta trasformato in lupo. Fu in quel momento che non resistetti oltre, l’ennesimo pensiero di casa mia pietrificò del tutto ogni muscolo del mio corpo in una morsa di tensione. Avvertii il tremolio tipico della trasformazione avvolgermi le mani, i piedi e la nuca, ma stavolta non lo fermai. Lasciai che mi attraversasse il corpo intero come una scarica di elettricità, e con la stessa velocità mi ritrovai nel corpo del lupo.
Nello stesso istante in cui le zampe fecero presa sul terreno gelato e si mossero sotto la spinta frenetica dei muscoli dei quattro arti possenti mi fu impossibile trattenere un mugolio misto di piacere, soddisfazione e liberazione. Vidi la foresta intorno a me sfrecciare ad una velocità che non era nemmeno lontanamente paragonabile a quella di qualche attimo prima, e questo alimentò la fame del lupo, spingendomi a muovere i muscoli delle cosce sempre più forte, sempre più velocemente, sempre più freneticamente.
Erano mesi che non correvo così, praticamente volavo. Le unghie quasi faticavano ad arpionare il terreno gelato che immediatamente spingevo le zampe in avanti ancora una volta, e poi un’altra, e un’altra ancora.
Finalmente mi sentivo libero, finalmente sentivo che stavo davvero tornando a casa. Il cuore pompava forte nel petto e ci avrei scommesso la pelliccia che non fosse soltanto per la corsa sfrenata.
Fu solo qualche attimo dopo che mi resi conto che oltre alla foresta c’era qualcos’altro nel mio campo visivo. Fino a quel momento non mi ero accorto di nulla perché la foresta intorno a me era una percezione reale, mentre le altre immagini erano le solite figure nebulose, ma chiarissime, che non provenivano realmente dal mondo esterno. Bensì dalla mia stessa testa.
Un fratello! Sono i pensieri di un fratello!
Il grosso cuore di lupo a quel pensiero fece una capriola nel petto già scombussolato. Non lo volevo ammettere – e non lo avrei mai ammesso né a me stesso quando ero lontano, né a nessuno di loro – ma mi erano mancati così tanto.
I problemi però erano due. Il primo era che non riuscivo a riconoscere il fratello in questione, il che mi portò a dedurre che si fosse trasformato da poco. Il secondo problema – quello che mi infastidiva maggiormente – era che le uniche immagini che quel cervello mi trasmetteva fossero di una ragazza quileute.
L’avevo già vista, era la cassiera del market della riserva, ma non l’avevo mai vista così.
Io la ricordavo come una semplice ragazzina, nemmeno particolarmente carina. Eppure in quei ricordi era bellissima, da mozzare il fiato … con i capelli lucidi come la seta, la pelle liscia come una pesca, le labbra rosse e carnose come due ciliegie mature che vogliono solo essere mangiate, un sorriso splendente che abbaglia qualsiasi cosa, ed infine gli occhi … santo cielo, quegli occhi sono due stelle, due soli, due fari nella notte che riescono a strapparti l’anima e il cuore e tenerli incatenati ai tuoi per l’eternità e forse anche dopo … e poi beh, certo, ci sono quelle due belle tette tonde e grosse che …
“Ma che cazzo succede?!” mi sfuggì istintivamente mentre scrollavo la testa durante la corsa
“Chi è là ?!” mi rispose il fratello scimunito, evidentemente il possessore di quei pensieri
“No, chi sei tu, bambolina! Mi stai facendo venire da vomitare”
“Jacob?! Jake sei proprio tu?”
“Chi altri volevi che fossi? il culo della cassiera? Da come ci pensi pare che ti possa parlare anche quello”
Nella mia testa rimbombò il suono gracchiante di una risata lupesca e non riuscii a distinguere se appartenesse a quel fratello o a me stesso. Più probabilmente era di entrambi.
“Lo sapevo che saresti tornato!”
“Bene, bravo Nostradamus. Ma si può sapere tu chi sei?”
“Embry! Non mi hai riconosciuto? Non ci posso credere”
“E da cosa avrei mai potuto riuscirci? Mi hai invaso con tutto quello zucchero” mi zittii per un istante e agli alberi che sfrecciavano intorno a me si mescolarono una serie di ciao sussurrati dalle labbra della cassiera “E lo stai facendo ancora, per la miseria! La vuoi smettere?”
“Non ci riesco Jake! Non riesco ancora a controllare questa cosa del pensiero, e poi …”
“E poi che?”
“E poi Lucy è l’unica cosa alla quale pensi ogni istante della mia vita”
Quelle parole furono seguite da miliardi di momenti pieni di Lucy che mi investirono in pieno come flash sparati dritti nei miei occhi : Lucy nel bosco, Lucy al mare, Lucy che torna a casa, Lucy che parla con un’amica a scuola, Lucy che sbadiglia, Lucy che mi guarda…. Ed in quel momento lo capii.
“Da quanto ti sei trasformato, Embry?”
“Saranno cinque giorni”
“E hai avuto l’imprinting?” gli chiesi sbigottito
“Oh, si” mi rispose sognante e beato
“Cazzo, che culo, principessa!” sbottai in una risata fragorosa, anche se sapevo che non c’era nulla da ridere.
Sam me l’aveva spiegata questa storia dell’imprinting. Come se non bastasse avevo anche vissuto la sua esperienza con Emily e Leah tra i suoi ricordi. E io non avrei avuto nulla da ridere se quella specie di stregoneria si fosse abbattuta su di me.
“Ehi, Jake. Sarò anche un novellino ma sta attento a come parli”
Oh, già … la loro unica ragione di vita.
“Scusa fratello, è che mi sembra assurdo. Non solo la trasformazione, ma anche l’imprinting nel giro di qualche giorno” non resistetti ed aggiunsi con un ghigno “Mi fai quasi tenerezza”
In risposta mi giunse un ringhio soffocato ed un’altra valanga di immagini di Lucy
“Tu non puoi capire”
“Grazie a Dio no! E nemmeno ci tengo, mi bastate tu e Sam” pronunciare il suo nome mi ricordò che avevo altre cose più importanti da chiedergli, piuttosto che prenderlo in giro “Come sta lui?”
“Bene, Jake. Come sempre”
“E Seth? Paul, Quil … e il mio vecchio?”
“Paul è stronzo come quando l’hai lasciato. Quil e Seth si sono uniti al branco e tuo padre sta meglio di quando te ne sei andato” aggiunse ridendosela
“Anche Seth e Quil?” dai suoi pensieri mi arrivarono le immagini di due nuovi lupi che non conoscevo, sicuramente erano loro e avrei scommesso la testa che Seth fosse quello color sabbia.
“Esatto, fratello! Come hai fatto?”
“E che ne so! Istinto, credo”
“Forte!”
“Già, ma smettila di sbavarmi addosso”
“Piuttosto non vedo l’ora di fartela pagare per tutte queste prese per il culo. Perché stai tornando, vero Jake?”
Nonostante non lo avessi davanti riuscii benissimo a percepire la felicità e l’impazienza nella sua voce
“Pare di si” gli risposi sereno, sentendo dentro di me l’ennesima conferma che stavo facendo la cosa giusta
“Sei vicino?”
“Non so dove di preciso ma, sì. Sono vicino. Credo a qualche giorno di corsa dalla riserva”
“Grande! Aspetta che lo sappiano gli altri”
Per qualche attimo nessuno dei due fiatò. Mi crogiolai nel ritmo frenetico della corsa che non avevo mai abbandonato gustandomi il paesaggio che vedevo anche con gli occhi di mio fratello. Stava passeggiando lungo la scogliera di La Push e riuscivo a distinguere l’acqua nera e la spiaggia di sassi altrettanto scuri a qualche decina di metri sotto di lui. Riuscii a scorgere anche la piccola insenatura segreta tra le pareti rocciose che conduceva alla nostra alcova e il mio grosso cuore di lupo perse un battito.
“Lei come sta?” chiesi quasi con disperazione
Qualcosa dovette turbare mio fratello perché avvertii distintamente l’agitazione farsi spazio nelle sue sensazioni, ma non rispose
“Embry? Ti ho chiesto come sta Bella” e la mia agitazione crebbe al doppio della sua
“Oh, beh …” esitò troppo a lungo per i miei gusti “… lei … lei sta bene, Jake”
Un debole ringhio infastidito mi fece tremare il muso ed Embry si agitò. Lo avvertii muoversi più svelto, annusare il terreno intorno a lui con più attenzione, come se cercasse di distrarsi
“Cosa stai cercando di nascondermi?” gli chiesi in un tono aggressivo che mai avevo usato con uno dei miei fratelli
“Niente, Jake! Lasciami in pace!” e i suoi pensieri si spostarono ancora su Lucy, come se ci si volesse aggrappare
“Embry!” gridai, per quanto possibile, e il ringhio tra i miei denti crebbe.
Lui si spaventò e questo provocò come una leggera crepa tra i suoi pensieri. Tra le innumerevoli immagini di Lucy riuscii a scorgere di sfuggita Bella. Era seduta in casa di Seth, tra tante persone e parlava con mio padre. Rabbrividii quando notai che aveva una gamba ingessata ed una medicazione sulla fronte che sembrava enorme per il suo viso così sottile. Ma era stato soltanto un flash, e capii immediatamente che non poteva essere quello a turbare Embry, nonostante per me fosse stata una visione già fin troppo preoccupante.
“Porca puttana, Embry! Cosa le è successo? Cos’ha fatto?!” questa volta gridai talmente forte che la voce risuonò con un’eco nella mia stessa testa.
La scarsa capacità di Embry di controllare i pensieri cedette del tutto sotto il peso della mia furia. Immediatamente alle immagini di Lucy si sostituirono quelle di Bella nel corso dei mesi in cui ero stato via. I momenti che potevo vedere nella mente di mio fratello si susseguivano tanto velocemente da non permettermi quasi di identificare persone, luoghi e circostanze. Come se Embry avesse perso totalmente il controllo di quei ricordi, sgorgavano fuori dalla sua testa e si infrangevano nella mia come una cascata che ha appena rotto la diga. Troppo veloci, troppo.
Eppure mi bastarono per cogliere qualcosa.
La prima immagine che riuscii a focalizzare per più di qualche secondo non ritraeva affatto Bella, ma Angela. La vedevo chiudere la finestra della camera di Bella in una sera fredda, e poi sentivo i suoi passi muoversi verso il letto, dal quale proveniva un pianto disperato ma soffocato tra i cuscini. Mi si strinse il cuore perché sapevo benissimo cosa le stava succedendo. Piangeva per colpa mia.
Il secondo minuscolo frammento che riuscii a focalizzare era ancora Bella alla festa di compleanno di Seth. Credetti che mi stesse per venire un infarto nel momento in cui rividi quel piccolo viso, chiaro come se ce l’avessi davanti. Di nuovo non potei fare a meno di chiedermi cosa le fosse accaduto.
Forse i pensieri di Embry reagirono istintivamente a quella domanda inespressa perché cominciarono a vorticare sempre più forte, a susseguirsi a velocità sempre maggiore e a quel punto feci davvero fatica a focalizzare qualcosa.
Le uniche cose che vedevo mi guidavano nel giro di secondi lungo il percorso affrontato da Bella in quei mesi. La intravidi piangere, muoversi tra la gente come se fosse quasi malata, poi ad un tratto, vidi il suo volto distendersi sempre di più, fino quasi a sorridere.
La parte più grande del mio cuore gioì a quelle immagini, ero orgoglioso della mia Bells che si tirava fuori da sola dal pasticcio nel quale l’avevo ficcata io stesso.
Poi qualcosa nei ricordi di Embry dovette andare storto. O almeno avrei tanto voluto che fosse così.
Improvvisamente Bella non era più sola, ogni volta, in ogni ricordo, era sempre accompagnata da….
Non è possibile.
Il sorriso di Bella riflesso in un paio di occhi color dell’oro.
Non è possibile.
La piccola mano di Bella avvolta in un arto sottile e pallido come la morte
Non può essere vero.
Le dita di Bella immerse in una chioma bronzea inconfondibile
Non ci credo.
Le labbra di Bella che incontravano le sue, fredde e morte, in una radura sotto la neve.
Io non…
E così come quello altre centinaia, migliaia di momenti in cui lui la baciava, la toccava, l’accarezzava e lei ricambiava tutto, ogni gesto, ogni sorriso.
No!
No!
No, no, no, no, no!
« Noooo! » mi ritrovai a gridare come un disperato
Nemmeno mi ero reso conto di essere tornato in forma umana, ed ero più che sicuro che nessun’altro ci sarebbe mai riuscito con tanta rabbia in corpo.
Eppure io si, e non l’avevo scelto. Il lupo lo aveva fatto per me, seguendo quello che si chiama “istinto di conservazione” … non avrei potuto reggere altro. Nemmeno un fotogramma in più. O avrei perso del tutto la ragione.
Ma infondo, non era servito a nulla, perché ero impazzito comunque. Impazzito del tutto. Fuori di testa dalla rabbia, dal dolore, dalla furia ceca. Ogni singolo centimetro del mio essere Jacob Black gridava, in preda ad un dolore ed una disperazione che non credevo fossero nemmeno possibili.
« No! No! No! Maledizione! »
Sbraitavo come mai avevo fatto in tutta la vita, eppure non bastava. Gridavo tanto da sentirmi quasi strappare le corde vocali in gola ma non era mai abbastanza. Niente sarebbe stato abbastanza per lo strazio che mi dilaniava il petto. Cominciai a tirare pugni a qualsiasi tronco mi trovassi intorno. Li colpivo uno dopo l’altro, sempre più forte, mentre le mie grida disumane scuotevano tutta la foresta.
« Non è possibile! Non è vero! »
Crack . E le ossa del pugno destro furono tutte rotte contro un pino.
« Vaffanculo! Vaffanculo! Vaffanculo! »
Crack. Crack. E anche quelle della mano sinistra si schiacciarono completamente.
Ma non per questo mi fermai. Continuavo a ferirmi braccia, spalle, piedi, gambe, testa, ogni singola parte del corpo nel tentativo di abbattere qualsiasi forma di vita nel raggio di chilometri.
Dio santo! Se avessi avuto di fronte quell’abominio, quel demonio, l’avrei distrutto in meno di qualche secondo.
Il peggiore degli incubi! Il peggiore dei fottutissimi incubi su questa cazzo di faccia della Terra!
Quella fetida, meschina, orripilante sanguisuga era riuscita con i suoi mezzucci, con i suoi trucchetti ad ammaliarla! L’aveva fregata! L’aveva raggirata, l’aveva sicuramente costretta!
« Aaaah! » urlai ancora, disperato, e stavolta sentii il sapore del sangue nella gola.
Lo stesso sangue di cui sentivo l’odore tutto intorno a me, di cui vedevo macchiate le mie mani, le braccia, le gambe, e che sentivo scorrere anche dalla fronte.
Le ossa delle mani si erano rapidamente saldate tra di loro nel peggiore dei modi, deformando del tutto gli arti. Le guardai per qualche istante e poi quasi con soddisfazione iniziai a rompermele da solo una ad una.
Più il dolore aumentava, più mi sembrava di poter gestire quello che mi straziava il cuore.
Un dito alla volta.
Crack
« Stronzo! » un imprecazione alla volta.
Crack
« Figlio di puttana! »
Crack
Un osso dopo l’altro.
In quella lenta – seppur liberante – tortura un pensiero cominciò a formarsi tra le miriadi di bestemmie che rivolgevo a quell’essere senza vita. Era il primo pensiero coerente che iniziava a nascere nel mio cervello bruciato da quelle immagini viste poco prima.
Quelle immagini.
Le vidi scorrere ancora davanti ai miei occhi, ma in quel momento notai ciò che forse prima avevo rifiutato di vedere. Non c’era soltanto lui ad accarezzarla, a toccarla e ad abbracciarla.
Era anche Bella che gettava le sue esili braccia attorno a quel collo marmoreo. Lei sorrideva, rideva, lo cercava. Con lo sguardo, con le mani.
Bella lo aveva voluto.
La mia Bells aveva voluto quel mostro.
Quel pensiero mi paralizzò. Per qualche minuto infinito non mossi un muscolo, non battei ciglio, i miei occhi restarono sgranati, i muscoli tesi e il respiro trattenuto.
Bella ha scelto lui.
Fu come sentirsi mangiare il cuore da migliaia di iene fameliche, pezzo per pezzo. I pensieri si formavano sconnessi nella testa, mentre tutto ciò che era stato di me, tutto ciò che aveva contribuito a rendermi Jacob Black si frantumava.
Lei mi ha dimenticato, non mi ama più. Lei ama … uno come lui.
Per un secondo la rabbia svanì e il ragazzino insicuro che ero stato venne fuori in tutta la sua potenza.
Se ha scelto uno come lui non potrà mai accettare o amare uno come me.
Impossibile, naturalmente impossibile. E il mio cuore si distrusse completamente.
E’ tutto finito.
E’ … tutto … finito.
A cosa era servito tutto questo?
E’ tutto finito.
A cosa era servito dover diventare un mostro, se lei aveva scelto di amare l’unico altro tipo di mostro dal quale avrei dovuto proteggerla?
Lei ha messo fine a tutto.
Ha messo fine a noi.
Sentii montare dentro il petto un nuovo terribile sentimento. Qualcosa che ti inacidisce il palato, che ti fa salire l’acido dallo stomaco, qualcosa che ti fa venire voglia di vomitare veleno. La rabbia mista alla delusione. Come aveva potuto farmi questo? Come aveva potuto fare una scelta del genere? Come era stato possibile avvicinarsi ad un essere tanto spregevole e diverso da me?
Voltai il capo verso la direzione dalla quale ero venuto – quella opposta a casa mia – e oltre la devastazione che avevo provocato non vidi nient’altro. Soltanto il buio. Il buio della notte che avvolgeva ogni cosa con il suo manto nero.
La notte che rende tutti uguali, che nasconde le macchie di chiunque con il suo velo scuro.
Volevo tornare sui miei passi, volevo immergermi ancora nell’oscurità di quella vita che non mi apparteneva, volevo nascondermi in quella notte e poi cercare dentro di lei la forza per andare avanti.
Mi voltai anche nella direzione che sapevo mi avrebbe condotto a casa, e pregai la notte nera come la mia esistenza di darmi la forza per allontanarmi da quello che fino a qualche ora prima ero sicuro fosse stato il mio sole.
Non mi ci volle più di qualche istante per ricominciare a correre. Ma nella direzione dalla quale ero venuto.
Le gambe non sapevano nemmeno cosa fosse la stanchezza, animate da quel dolore e quella delusione e quella rabbia che mai avevo provato con tanta intensità. Correvo da umano, perché volevo rimanere solo. Correvo a perdifiato verso una vita che non mi sarebbe mai appartenuta, ma che sarebbe sempre stata meglio di quella che mi lasciavo alle spalle, nella quale la donna della mia vita aveva scelto il mio peggior nemico.
Codardo! Sei soltanto un codardo!
Spinsi le gambe ancora più forte, correndo alla cieca nella notte della foresta, pregando che fosse in grado di coprirmi dagli insulti che io stesso mi rivolgevo. E almeno lei, la notte nera, nera come me, mi lasciava fare.
Mi lasciava fare, correndo verso il buio sempre più profondo, facendomi male ad ogni passo che mi allontanava dalla vita sbagliata che avrei avuto tornando a casa. Mi lasciava fare anche se forse in quel momento stavo sbagliando a farmi male, ma era l’unica soluzione che vedessi. La notte, a differenza della mia testa, non mi insultava per il dolore che stavo provando.
Non come te, Bells. Non come te che invece hai cancellato in un momento tutto quanto.
Sentii la bile risalirmi la gola, e riempirmi la bocca di amarezza. Lei aveva cancellato tutto, tutto, ogni cosa che c’era stata. Aveva cancellato i nostri momenti, aveva cancellato il nostro passato e il nostro futuro. Aveva cancellato me dal suo cuore lasciando dentro di sé soltanto il peggio, per colpa di uno sbaglio della natura, per colpa di un momento in cui mi ero sentito solo, senza coraggio.
Esatto, sei un codardo!
Spinsi la mia corsa ad un ritmo ancora più veloce, cercando di fuggire anche a tutto quel risentimento.
Non potevo crederci, non mi sembrava vero, non poteva essere vero. Lei non poteva aver scelto lui, non poteva aver dimenticato me con così tanta facilità. La mia Bells non mi avrebbe mai punito così tanto per uno sbaglio. Ormai la mia natura era di mostro, ma rimanevo pur sempre un uomo … un uomo che può sbagliare. Un uomo che in preda al panico per qualcosa più grande di lui può anche fuggire lontano dalla donna che ama. Ma uno sbaglio non sarà mai tutto.
Uno sbaglio non era mai tutto, per la Bells che amavo.
Mentre correvo sempre più forte, con il cuore che mi scoppiava nel petto, mi ricordai di ogni singolo momento passato con Bella. Ogni sorriso, ogni sguardo, ma soprattutto ogni parola detta.
Non era possibile.
C’era qualcosa che non andava e il mio istinto me lo gridava sempre più forte.
La Bells che amavo da sempre non avrebbe mai dimenticato tutto in un istante.
Non avrebbe mai dimenticato tutto.
Forza, coglione, che forse ci arrivi anche tu … Codardo!
La corsa divenne meno sfrenata mentre cercavo di affidarmi a quel pensiero che l’orgoglio non voleva accettare ma che l’istinto del lupo mi imponeva di seguire.
La mia Bella non poteva avermi dimenticato così.
La Bells che amavo da sempre non poteva non pensare a me, non poteva non cercarmi mai, non poteva stare già così bene. Qualcosa dentro di me mi strillò che non poteva essere così.
L’amore che avevo letto nei suoi occhi ogni giorno in quei due anni – anche se lei si ostinava a non ammetterlo – era talmente grande che non sarebbe mai potuto scomparire così in fetta.
Mi accorsi in quel momento di essermi fermato, non correvo più. Non correvo perché evidentemente ero impazzito. Mi ritrovavo ad essere convinto dell’esatto opposto di tutto quanto avevo pensato fino a quel momento.
Perché io lo avvertivo.
Da qualche parte sotto la pelle io lo sentivo.
Io lo sapevo.
Io lo so che la notte pensi a me. Lo sento che quando sei immersa nel buio che ti ricorda i miei occhi cerchi anche le mie mani. Ti conosco troppo a fondo, forse più di te stessa, per capire che stai soltanto fingendo. Non puoi aver dimenticato, e non puoi fingere di stare già bene. Non con me.
Di colpo ritrovai tutta la forza e l’orgoglio del lupo dentro di me.
Forse Bella poteva ingannare tutti, tutti a questo mondo, perfino i miei fratelli, perfino quel succhiasangue, perfino se stessa. Ma non poteva ingannare me.
Bella mi aveva amato, lo sapevo anche se non me l’aveva mai detto, e io avrei lottato per riprendermi ciò che era mio. Ciò che era stato mio da sempre, dal primo momento che l’avevo vista.
Stavolta avrei vinto io, non foss’altro che per il gusto di farle capire che stava sbagliando tutto, che ero io l’unico che avrebbe potuto renderla felice.
Sapevo benissimo che ero stato uno stronzo ed un disonesto, ma per una volta mi costrinsi ad ascoltare il cuore, e non l’orgoglio.
In meno di un istante mi ritrovai di nuovo in forma di lupo.
Il mio cuore batteva di nuovo al ritmo forsennato che solo l’amore per quella ragazza riusciva a scatenare.
Avevo ripreso la mia corsa sfrenata.
Correvo di nuovo verso casa.
Correvo a riprendere ciò che era stato mio.
Correvo a lottare per l’unica che avrebbe mai potuto dare un senso alla mia vita.
Fottiti, bastardo di un succhiasangue. Il lupo cattivo sta tornando.
Un ghigno folle, di sfida e soddisfazione, si aprì sul mio volto da lupo.
Accelerai il ritmo della corsa, per ritrovare Jacob Black.
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Capitolo 34 *** CAPITOLO 28 - Sol Invictus ***
CAPITOLO 28 – “ Sol Invictus”
20 Dicembre
Non ero mai stata solita andare a dormire prima dell’una di notte, e forse era per quello che il mio sonno era inquieto. Quella sera mi ero infilata sotto il piumone addirittura alle undici, “come una gallina” aveva commentato Angela prima che la salutassi al telefono.
O forse dormivo sonni agitati perché era la prima volta in tre mesi che dormivo sola nel mio letto, senza la confortante presenza di Edward al mio fianco. Quel mattino era spuntato un sole splendido e la sua famiglia ne aveva approfittato per trascorrere un bel fine settimana in campeggio. Mi era stato chiesto di unirmi a loro, ma avevo gentilmente rifiutato. L’idea di trascorrere ventiquattro ore a stretto contatto con la famiglia di Edward non mi faceva sentire proprio a mio agio, soprattutto per colpa di Victoria. Quella ragazza continuava ad inquietarmi ogni giorno di più.
Comunque, che fosse per l’una o per l’altra ragione, quella notte c’era qualcosa di insistente che disturbava il mio sonno.
Voltai il capo dall’altro lato, strofinando il viso sul cuscino in cerca di un conforto che non arrivò. C’era qualcosa di strano, qualcosa che mi agitava profondamente.
E – notai mentre riprendevo lentamente conoscenza – c’era anche qualcosa che produceva un fracasso incredibile.
Aprii lentamente gli occhi nel buio totale della mia camera con la mente ancora avvolta dalle nebbie del sonno e trovai un volto concentrato ad osservarmi a pochi centimetri di distanza dal mio.
Era il volto di Victoria, incorniciato dalla massa ribelle di ricci rosso fuoco, che mi osservava dritta negli occhi con un ghigno malefico ad incresparle il viso dalla bellezza innaturale. Una luce folle e maligna negli occhi color dell’oro.
Un piccolo grido di terrore mi sgusciò fuori dalle labbra. Mi allungai più in fretta che potei verso il comodino ed accesi con mano tremante l’abat-jour. Quando riportai lo sguardo davanti a me Victoria era svanita.
Non c’era alcuna traccia di lei nella stanza, la porta era chiusa come quando ero andata a letto, e la tenda che incorniciava l’unica finestra leggermente aperta era immobile. Nemmeno uno spiffero d’aria a smuoverla di un millimetro. Mi portai una mano sul petto, dove potevo sentire distintamente il cuore galoppare ad una velocità impossibile. Sudavo freddo e sentivo il sangue scorrere tanto velocemente da produrre un fastidioso ronzio nelle orecchie. Stavo per svenire.
Mi voltai al contrario sul letto e mi distesi sollevando le gambe per appoggiarle al muro dietro la testiera del letto, come mi aveva insegnato Reneè quando ero piccola. Far arrivare più sangue al cervello per evitare di perdere i sensi.
Svolsi la manovra in maniera rapida ed automatica e il terrore che avevo provato poco prima lentamente andò diminuendo, così come il ronzio nelle orecchie ed i puntini luminosi che poco prima mi erano apparsi improvvisamente davanti agli occhi. Inspirai a fondo ed abbassai le gambe quando sentii che la pressione era tornata ad un livello normale.
Era solo un incubo mi ripetei un paio di volte.
Passai una mano ancora leggermente tremante fra i capelli e la mia attenzione fu catturata da qualcos’altro. Quello che nel dormiveglia avevo definito come un fracasso incredibile in realtà era un ululato. Mi sollevai a sedere, stavolta lentamente, ed altrettanto cautamente poggiai i piedi nudi sul parquet e mi diressi alla finestra socchiusa. Scostai le tendine viola dal tessuto leggero e ruvido e mi venne la pelle d’oca su tutto il corpo quando sollevai il vetro e l’aria gelida di Dicembre mi avvolse con un soffio.
Il silenzio che normalmente accompagnava le notti della placida Forks era straziato da un ululare incessante e scoordinato di un branco di lupi. Rimasi un attimo interdetta e notai che non mi era quasi mai capitato di assistere ad una cosa del genere. In quei tre anni, da quando mi ero trasferita, solo un’altra notte avevo sentito dei lupi ululare : era stato verso metà Ottobre, qualche settimana dopo la scomparsa di Jacob.
Sospirai al pensiero che fosse passato così poco tempo da quando la mia vita sembrava essere normale e felice al fianco di Jake. Eppure quei tre mesi a me sembravano un’eternità, li sentivo pesarmi sulle spalle come se fossero stati anni, forse per le tante circostanze ed emozioni molto profonde che si erano susseguite rapidamente. Prima il dolore, poi l’odio verso tutto e tutti, poi la lenta risalita dal baratro, Edward che iniziava a piacermi ed infine una ritrovata serenità.
Mi sedetti sul davanzale, poggiai la schiena al muro, la fronte al vetro freddo e chiusi gli occhi.
Chi sa cos’avevano da lamentarsi tanto quei lupi, mi chiesi. Le loro voci erano tutte diverse e questo contribuì a rendere la loro raffigurazione nella mia mente ancora più viva. Mi sembrava quasi di poterli vedere : tanti e tutti di colori diversi ma simili, che si spintonavano spalla a spalla, tra i tronchi robusti degli abeti della foresta con il muso puntato alla luna.
Sorrisi leggermente alle immagini che si formavano nella mente e venivano proiettate dalla mia immaginazione dietro le palpebre chiuse. Mi ricordavano una storia che mi aveva raccontato Billy quando ero più piccola, tenendo a sottolineare che era una leggenda appartenente ad altre tribù indiane e che non aveva nulla a che fare con la cultura Quileute. “Però” mi disse “te la racconto lo stesso perché parla di lupi. E ciò che riguarda i lupi ti insegna a vivere nel modo giusto”.
Raccontava di una mamma lupo che una notte aveva perduto un cucciolo ed ululava straziata, la luna le chiese cos’avesse da lamentarsi così tanto e la lupa le rispose chiedendole aiuto. La luna allora si gonfiò fino a diventare un’enorme sfera luminosissima per aiutare la madre disperata nella sua ricerca. Dopo poco il cucciolo fu ritrovato tremante ma sano e salvo e la lupa le fu grata a vita. Ma, le fate dei boschi, per premiare la bontà della luna le fecero un bellissimo regalo : ogni trenta giorni sarebbe potuta ridiventare enorme e luminosa e i cuccioli del mondo intero, alzando nella notte gli occhi al cielo, avrebbero potuto ammirarla in tutto il suo splendore. “I lupi lo sanno, e per questo ululano festosi alla luna piena”.
Aprii gli occhi e cercai la luna in cielo. Quella notte non era affatto piena, piuttosto disegnava una specie di sorriso furbetto tra le montagne.
Eppure, per qualche ragione misteriosa, fui certa che in quel momento i lupi di Forks stessero ugualmente festeggiando.
23 Dicembre
Quando li trovai sotto il letto riuscii a spiegarmi il motivo di quel particolare odore.
Non ero mai stata un’amante delle pulizie però accettavo il mio dovere di figlia femmina con padre a carico e tenevo sempre casa Swan non lucida come un brillante ma almeno decente. Ogni stanza della casa – esclusa quella di Charlie e la mia – subivano una spazzata al giorno ed una lavata di pavimenti a settimana più o meno. Nella camera di Charlie ci avevo messo piede una decina di volte in tutto, non mi andava di infrangere la sua privacy, così come lui rispettava la mia. Ed era proprio per questa consapevolezza che nessuno sarebbe mai entrato in camera mia a passare un dito su mensole e mobilia varia per testare lo strato di polvere che mi permettevo il lusso di pulirla pochissimo.
Non che mi piacesse vivere nella sporcizia, ma sapevo con sicurezza che la mia camera era il luogo più sporco di casa Swan. Non lo avrei mai ammesso, ma infondo questa era anche una delle piccole cose che mi facevano sentire una diciottenne standard. Libera e piacente di vivere in una stanza che pulivo solo quando ne sentivo reale necessità.
Proprio come quel pomeriggio.
La polvere non era troppa, il pavimento non era troppo sporco, ma c’era un odore che non riuscivo a spiegarmi e che nei tre giorni precedenti era andato ad aumentare. Un odore molto particolare, inizialmente era un profumo anche molto carino, ma quel pomeriggio aveva iniziato ad essere fastidioso. Così mi ero armata di stracci e scopa ed avevo iniziato a spolverare, spostare, e spazzare arrivando fin sotto il letto.
E lì li avevo trovati.
Li rigiravo tra le mani leggermente pensierosa. Non avevo la più pallida idea di cosa ci facessero sotto il mio letto o come e quando ci fossero finiti, ma lo stato quasi marcescente di due di loro mi fece capire immediatamente cosa fosse quell’odore che sentivo da qualche giorno in camera.
Ormai i colori erano quasi del tutto sbiaditi, tranne di uno. Il terzo – di cui continuavo ad accarezzare la superficie morbida e levigata – conservava ancora i suoi splendidi colori. Era di un rosso scarlatto con punte gialle talmente intenso da sembrare finto. Gli altri due purtroppo erano uno in uno stato peggiore dell’altro.
Questo mi fece intuire che fossero giunti sotto il mio letto in tempi diversi, in ordine cronologico: prima quello che qualche giorno prima avrebbe dovuto essere di un caldo violetto, poi quello che conservava ancora un po’ di vivacità nel suo arancione, ed infine il rosso che continuava ad incantarmi … ancora fresco, ancora vivo, ancora colorato, ancora emozionante come i ricordi che mi suscitava.
Erano tre fiori di campo. Tre fiori selvatici uno più splendido dell’altro, che ero sicura di non aver mai visto crescere né a Forks né nell’intera riserva.
24 Dicembre
Era stato diverso rispetto agli altri anni preparare la cena della Vigilia per me e Charlie.
In genere giravo tutta la giornata tra i fornelli, immersa nella musica e con Jake continuamente tra i piedi che andava a trovarsi con la sua grossa mole sempre nel posto sbagliato al momento sbagliato. Con lui mi mostravo infastidita, ma in realtà la cosa divertiva molto entrambi.
Quella giornata invece era trascorsa sempre con me che giravo come una trottola impazzita tra i fornelli, ma con al mio fianco Edward, che aveva saputo muoversi perfettamente in sincronia con i miei movimenti non diventando mai di impaccio, anzi, riuscendo perfino ad essermi molto d’aiuto.
Quando l’ora di cena si era avvicinata avevamo imbandito insieme la tavola, spostata per l’occasione nel salotto già pieno di lucine, addobbi e albero di Natale. Poi lui aveva raggiunto la sua famiglia ed io avevo cenato con mio padre chiacchierando perfino più del solito. Dopo cena Charlie si era recato da Billy per l’attesa della mezzanotte ed io mi ero spostata a casa Cullen.
La mia piccola e modesta casetta con gli addobbi natalizi mi era sempre sembrata una reggia incantata ma quando mi trovai al cospetto della casa di Edward tutta decorata a festa mi sentii piccola come una formichina, e così anche la mia dimora. Nemmeno le più importanti riviste del settore avrebbero potuto competere con quello scintillio di bianco e dorato che inondava tutta casa Cullen, con ogni particolare curato e pensato perfettamente – a partire dal più piccolo suppellettile fino ad arrivare all’immenso albero di Natale con una valanga di doni sotto di esso.
Tutta la famiglia mi accolse con gioia e calore – tranne Victoria, che come al solito mi guardava come se le avessi ucciso un parente – e nell’attesa della mezzanotte scartammo i regali. Da ogni singolo pacchettino era sbucato un regalo che – da solo – valeva quanto un anno e mezzo di stipendio per un qualsiasi cittadino di Forks. Più la carta veniva strappata più il mio disagio cresceva. Quando fu il turno di aprire i miei regali – un maglioncino rosa per Alice, una felpa per Emmett, una trousse per Rosalie, una collanina per Victoria e due libri per Carlisle ed Esme – che messi insieme non valevano nemmeno la metà di un solo regalo che ognuno di loro aveva comprato per me, mi sentii avvampare di vergogna. Loro però li accettarono come fossero i gioielli della corona di un Re e questo alleggerì in parte il mio imbarazzo.
Sapevo che sarebbe andata a finire così, ma mentre contro la famiglia Cullen al completo non potevo nulla, ero riuscita almeno ad imporre le mie condizioni ad Edward. Un regalo modesto e fatto con il cuore. Incredibilmente mi aveva accontentata, donandomi un cd di sue composizioni che a quanto pare avevo ispirate io stessa. Dal canto mio avevo rispolverato le mie vecchie abilità di ricamatrice, confezionandogli un completo di sciarpa, cappello e guanti, sperando che servissero a scaldare almeno un po’ quelle mani sempre gelide. Quando aprì il mio pacco si fece una grassa risata che non riuscii affatto a spiegarmi, ma anche lui accettò quel pensiero come un tesoro inestimabile.
Ci eravamo scambiati i regali da un pezzo ormai, Carlisle guardava con un sorriso Emmett che prendeva in giro le donne di casa e poi posò il suo sguardo su di me, seduta non molto distante da lui sul grande divano bianco, con la schiena poggiata al petto di Edward.
« Sai, Bella, perché è stato scelto proprio il 25 di Dicembre per festeggiare il Natale? » mi chiese con la sua voce vellutata, ancor più serena del solito.
« Perché è il giorno in cui nacque Gesù » gli risposi leggermente titubante, consapevole che non potesse essere soltanto quella la risposta esatta ad una domanda del genere.
Infatti Carlisle mi sorrise « Beh questo per i Cristiani. Ma, vedi, il 25 Dicembre è un giorno che vede celebrazioni sin dal tempo degli antichi Romani » fece una piccola pausa e poi inclinò il capo di lato « Se escludiamo le civiltà precedenti, ovviamente.»
Edward sospirò tra i miei capelli « Papà … »
« Oh certo » Carlisle agitò con grazia una mano davanti al viso « Non intendo annoiare la nostra ospite con storie antiche come il mondo » sorrise
« Edward » lo ammonii voltandomi leggermente verso di lui, che mi posò un bacio sulla tempia, poi mi rivolsi ancora a Carlisle « Non mi annoio, anzi, sono molto curiosa. E poi sarebbe la prima volta da quando conosco Angela in cui potrei insegnarle qualcosa sulla storia » sorrisi e così fece anche il dottore, illuminandosi di gioia.
Carlisle esitò ancora un momento e – nonostante non fossi il tipo che dà particolare importanza all’arredamento altrui – notai la mancanza di un camino nel salotto. Una cosa davvero rara per le case del nostro Stato. Era un peccato, i camini mi erano sempre piaciuti, adoravo il loro calore, l’odore di legna bruciata, e soprattutto rendevano perfetti momenti come quello. Quando si è tutti riuniti sul divano e su di un grande tappeto alla Vigilia di Natale, raccontando storie antiche come il mondo.
« Allora » lo incitai « cosa si celebrava nell’antichità se non la nascita di Gesù? »
« Beh, prima della religione Cristiana si veneravano Dei pagani, e spesso questi erano identificati attraverso elementi naturali, come ad esempio il sole »
Annuii lentamente « Humm » era innegabile che mi sentivo leggermente perplessa
« Mi spiego meglio »
« Mi piacerebbe conoscere tutta la storia, se non è un problema » lo precedetti, quell’argomento mi aveva incuriosita molto
Carlisle sorrise « Per me è un piacere, Bella »
Edward scivolò più in basso sullo schienale alle mie spalle, permettendomi di poggiarmi meglio al suo petto e di stare più comoda. Peccato per quel caminetto …
« Nel 272 l’imperatore romano Aureliano sconfisse la principale nemica dell'impero, riunificandolo: la Regina Zenobia del Regno di Palmira, grazie all'aiuto provvidenziale della città stato di Emesa. L'imperatore stesso dichiarò di aver avuto la visione del dio Sole di Emesa, che interveniva per rincuorare le truppe in difficoltà nel corso della battaglia decisiva. »
Carlisle iniziò a raccontare catturandomi dal primo istante, complice il suo innato carisma che in quel momento sembrava ancor più magnetico.
« In seguito, nel 274, Aureliano trasferì a Roma i sacerdoti del dio Sol Invictus e ufficializzò il culto solare di Emesa, edificando un tempio sulle pendici del Quirinale e creando un nuovo corpo di sacerdoti. Comunque, al di là dei motivi di gratitudine personale, l'adozione del culto del Sol Invictus fu vista da Aureliano come un forte elemento di coesione dato che, in varie forme, il culto del Sole era presente in tutte le regioni dell'impero »
« Sol Invictus ? » lo interruppi « Cosa significa? »
Carlisle sorrise e mi sembrò quasi contento della mia domanda, come se fosse una prova che l’argomento mi interessava davvero. O forse sorrise semplicemente perché sembrava letteralmente adorare raccontare.
« E’ latino, la parola Sol significa sole ed Invictus sta per invitto, invincibile »
« Che bello. Sol Invictus » ripetei ancora quel nome dal suono così musicale e dal significato così affascinante « Quindi il 25 Dicembre è collegato a questo culto? »
« Esattamente. Aureliano consacrò il tempio del Sol Invictus il 25 dicembre 274, in una festa chiamata Dies Natalis Solis Invicti, ovvero "Giorno di nascita del Sole Invitto", facendo del dio-sole la principale divinità del suo impero ed indossando egli stesso una corona a raggi. »
« Ma perché fu scelto proprio quel giorno? »
« Beh immagino tu sappia che le conoscenze astronomiche delle civiltà antiche fossero precisissime, quasi impressionanti considerando i mezzi che avevano a loro disposizione »
Annuii e lui continuò
« Letteralmente natale significa nascita. Per questo motivo la festività del Dies Natalis Solis Invicti veniva celebrata nel momento dell'anno in cui la durata del giorno iniziava ad aumentare dopo il solstizio d'inverno: una vera rinascita del sole. In particolare, il giorno del solstizio cade generalmente il 21, ma per l’inversione apparente del moto solare diventa visibile il terzo/quarto giorno successivo. Il sole, quindi, nel solstizio d’inverno giunge nella sua fase più debole quanto a luce e calore, pare precipitare nell’oscurità, ma poi ritorna vitale ed invincibile sulle stesse tenebre. E proprio il 25 dicembre sembra rinascere, ha cioè un nuovo Natale. Questa interpretazione astronomica può spiegare perché il 25 dicembre sia una data celebrativa presente in culture e paesi così distanti tra loro … il che ci riporta alla motivazione principale dell’imperatore Aureliano, ovvero riunificare l’impero e tutte le religioni presenti in esso. »
« Quindi » riflettei « è nato prima il culto del Sol Invictus piuttosto che il Natale cristiano come lo conosciamo noi »
« A grandi linee, sì »
« E le due festività come furono conciliate? »
« Questo lo si deve all’imperatore che succedette Aureliano. Infatti anche l'imperatore Costantino sarebbe stato un cultore del Dio Sole. Però, dopo aver abbracciato la fede cristiana, nel 330 l'imperatore ufficializzò per la prima volta il festeggiamento cristiano della natività di Gesù, che con un decreto fu fatta coincidere con la festività pagana della nascita di Sol Invictus. E quindi … il "Natale Invitto" divenne il "Natale" Cristiano » sorrise e il suo volto si illuminò.
« E … i cristiani lo accettarono tranquillamente? » chiesi titubante
« Diciamo che fu una cosa quasi naturale. Secondo i cristiani il simbolismo solare per indicare Cristo è ben radicato nella Bibbia. L'iconografia cristiana delle origini utilizzò sistematicamente temi iconografici pagani, soprattutto nei primi tre secoli, quando il rischio delle persecuzioni impediva l'utilizzo di simboli troppo esplicitamente cristiani in luoghi pubblici come le catacombe. Per questo motivo furono utilizzati anche attributi solari per alludere a Cristo come la corona radiata del Sol Invictus o, in alcuni casi, il carro solare. L'utilizzo del sole come simbolo cristologico, infatti, è durato nei secoli sino a oggi. » fece una breve pausa e poi mi chiese entusiasta « Sai che anche nell'abside esterna del Duomo di Milano, in Italia, vi è una raffigurazione della Trinità in cui il Cristo è raffigurato non come una persona umana ma come un sole fiammeggiante di pietra?»
« No, non ne avevo idea » gli risposi quasi ridendo, era così strano vedere il dottor Cullen, un uomo tanto posato, animarsi così tanto per una discussione.
« Papà, davvero, adesso basta » si intromise Edward ridendo
« Secondo me Bella non metterà mai più piede in questa casa » aggiunse Emmett e tutta la famiglia rise
« Ma no » ridevo anch’io
« Avete ragione » Carlisle si sollevò dal divano, ridendo con i suoi figli « Quando racconto certe cose esagero sempre, scusami Bella »
« Affatto! Per me è stato bellissimo, grazie »
« Il piacere è stato tutto mio » rivolse una breve occhiata ai ragazzi che ancora ridevano sull’enorme tappeto « Come puoi vedere, i miei figli non apprezzano allo stesso modo »
« Oh, lasciali perdere tesoro » Esme gli abbracciò dolcemente la vita « Ci sono io che ti ascolterei per giorni»
Si scambiarono uno sguardo così carico di amore che dovetti distogliere lo sguardo.
Poco dopo Edward mi riaccompagnò a casa. Raccolsi i regali dal sedile posteriore della Volvo e feci per dargli la buonanotte.
« Il tempo di parcheggiare la macchina a qualche isolato di distanza e sono da te » mi carezzò la guancia.
Involontariamente rabbrividii a quel contatto gelido improvviso.
« Non fa niente » gli sussurrai posando un bacio sulla mano
« Cosa? »
« Non preoccuparti » presi la sua mano e la tenni nella mia « E’ già tardi, torna a casa e goditi ancora un po’ la vigilia con la tua famiglia »
« Ma … »
« Niente ma » posai un indice sulle sue labbra rosse e perfette « Per una notte non mi succederà niente »
« Ne sei proprio sicura? »
Sbuffai ridendo ed aprii la portiera « E’ solo una notte, Edward! »
« Lo sai che non sono tranquillo a lasciarti sola nemmeno per un attimo » come al solito la sua voce fu carica di apprensione.
Lo guardai. Era bello da mozzare il fiato come sempre, i suoi occhi dorati erano fissi nei miei e bruciavano della solita intensità di quando mi diceva cose del genere. Gli passai una mano tra i capelli scompigliati e setosi e il mio cuore accelerò.
Quando era diventato così importante per me?
Gli posai un bacio leggero sulle labbra e come ogni volta il suo sapore mi annebbiò il cervello.
« Vado e torno in un lampo » soffiò ancora sulle mie labbra
Mi scostai rapidamente « Non era una resa, la mia » gli dissi con un mezzo sorriso
« E se invece salissi e basta? » mi chiese brusco con una luce diversa negli occhi.
In quei mesi avevo imparato a conoscere anche quella, era la luce di quando Edward tentava di impormi qualcosa, sostenendo che fosse per il mio bene. Purtroppo – dovevo ammettere tristemente – glielo avevo concesso la maggior parte delle volte dopo l’episodio di quella notte nella mia cucina. Spesso Edward mi aveva impedito di fare cose che reputava pericolose per me, oppure aveva preso decisioni al posto mio.
Ma quella sera il suo atteggiamento mi infastidì. Potevo almeno essere libera di stare da sola in camera mia?
« Troveresti la finestra chiusa » il mio tono fu tagliente almeno quanto il suo era stato quasi minaccioso.
Ci fu un attimo di silenzio durante il quale i nostri sguardi duellarono a lungo. Probabilmente lui sondava quanto fossi determinata, e dal canto mio non esitai nemmeno per un istante. Pensai che ero disposta a reggere quella sfida fino al giorno successivo pur di averla vinta, prima che Edward abbassasse lo sguardo e tornasse al suo solito tono dolce e mesto « Se è questo che vuoi, Bella »
« E’ esattamente quello che voglio » gli sorrisi « Buonanotte e buon Natale »
Mi avvicinai per farmi avvolgere in un abbraccio e qualche minuto dopo salutai la Volvo grigia che si allontanava scintillando alla luce dei lampioni.
Non potei fare a meno di sospirare incamminandomi lungo il vialetto. L’essere così iperprotettivo di Edward nei miei confronti mi aveva sempre infastidita.
Posai la borsa con i regali sul pavimento in legno del portico ed avvicinai le chiavi alla serratura quando un rumore di rami spezzati catturò la mia attenzione. Proveniva dal bosco accanto casa mia e mi voltai immediatamente verso destra sobbalzando. Chi poteva esserci lì fuori a quell’ora?
« C’è qualcuno? » chiesi incerta e il rumore si ripeté
Raccolsi un po’ di coraggio e scesi dal portico, avvicinandomi al limitare del bosco.
Magari è un animale. O forse qualcuno che si è perso.
In realtà non sapevo nemmeno perché mi stessi muovendo. Avrebbe anche potuto esserci un mal intenzionato lì dentro, ma continuai ad avanzare. Il cuore mi batteva impazzito e il bisogno di sapere chi ci fosse nel bosco prese il sopravvento. Aumentai il passo.
« Chi c’è? » chiesi ancora
L’oscurità era fitta ma un altro rametto si spezzò a non molta distanza da me. Mi voltai e ad una trentina di passi alla mia sinistra intravidi una figura familiare. Era tutto buio ma l’altezza e la corporatura mi sembrarono quelle di Sam Uley.
« Sam ? » feci un passo nella sua direzione « Sam, sei tu? »
L’uomo vacillò appena e poggiò tutto il suo peso ad un tronco con una mano. Lo vidi abbassare leggermente la testa e poggiare l’altra mano ad una gamba, quasi come se sotto i suoi piedi ci fosse stato un piccolo terremoto e stesse cercando un nuovo equilibrio. Grazie a quel movimento un piccolo raggio di pallida luce lunare arrivò ad illuminargli la spalla e la base del collo. Il tatuaggio della tribù Quileute mi confermò che fosse uno dei ragazzi della riserva, ma i lineamenti della mascella e i folti capelli neri alla base del collo non erano quelli di Sam.
« Seth! » mi avvicinai di un altro passo « Seth, lo so che sei tu. Ti ho riconosciuto, lo scherzo è finito »
Lui si sollevò dritto sulla schiena quasi con fatica e per un attimo dubitai che fosse Seth per la sua altezza. Ma con quel buio era impossibile essere certi di qualcosa, se non di quel poco di luce che prima mi aveva fatto riconoscere i suoi lineamenti. Inspiegabilmente iniziò ad indietreggiare, lentamente e con passi pesanti, come se facesse fatica a muoversi di lì.
« Seth » lo chiamai ma lui continuò ad indietreggiare « Seth, cos’hai? Stai male? »
Improvvisamente si voltò ed iniziò a correre e d’istinto lo feci anch’io dietro di lui
« Ma dove vai? Torna qui ! Non sono arrabbiata »
Seth aumentò la corsa ed io tentai di tenere il suo passo ma inutilmente, stava per sparire del tutto nell’oscurità del bosco
« Seth! » lo chiamai un’ultima volta ma la sua figura si confuse definitivamente con le ombre della notte.
25 Dicembre
I poliziotti di Forks erano una vera e propria famiglia.
Ed in quanto tale, ogni anno alcuni di loro si riunivano per il pranzo di Natale. Ovviamente Charlie era sempre tra quelli. A me non era mai dispiaciuta questa tradizione, anzi. Era piacevole trascorrere il pranzo di Natale in compagnia di tante persone.
Immancabilmente – come ogni anno precedente – quello fu un lungo, abbondante, divertente pranzo che terminò perfino con uno dei bambini presenti a recitare la poesia in piedi sul tavolo. Charlie non si sottrasse nemmeno ad un paio di brindisi che videro esplodere le sue guance di un rosso porpora impressionante ed io scambiai qualche chiacchiera con alcune delle ragazze presenti che mi era anche capitato di incrociare a scuola.
A pranzo finito salutai tutti ed andai da Angela. Lì – tra dolci e ad auguri di famiglia – ci scambiammo il nostro solito regalo di Natale : un libro per me ed un nuovo album per Angela. Qualcuno avrebbe potuto definirci noiose, o prevedibili, ma per noi non era affatto così. Perché gettar soldi in regali che – sapevamo con sicurezza – non ci avrebbero rese altrettanto felici? Rinunciavamo con molto piacere alla sorpresa perché quanto ne guadagnavamo era decisamente meglio.
Quando parcheggiai il mio Chevy recentemente riparato nel vialetto di casa era pieno pomeriggio. Raccolsi il libro, richiusi la pesante portiera e sollevai il viso verso il cielo ad occhi chiusi. C’era un bellissimo sole e nemmeno l’ombra di una nuvola. Sorrisi al ricordo del culto del Sol Invictus e pensai che le civiltà antiche erano senz’altro molto più sagge e lungimiranti di quelle contemporanee. Quel giorno il sole era davvero rinato ed imponeva invincibile la sua calda presenza su chiunque.
Un fremito caldo mi percorse tutta la schiena e potei sentire il cuore scandire qualche battito più forte degli altri. Spalancai gli occhi sorpresa. Restai in attesa di qualche altra reazione incontrollata del mio corpo, leggermente spaventata che potesse essere un’avvisaglia di una nuova crisi. Ma non successe nulla.
Una leggera folata di vento mi scompigliò i capelli, li riportai goffamente dietro un orecchio e mi incamminai verso casa quasi prendendomi gioco di me stessa. Che stessi diventando maniacale ed ossessiva come Edward? Una piccola risata mi sgusciò fuori dalle labbra quando ero già sul ciottolato antistante il portico.
« Hey, Bells »
Mi paralizzai all’istante e la risata si strozzò in gola mentre il libro che mi aveva donato Angela cadeva con un tonfo sordo ai miei piedi.
Non è possibile, non è reale
Con gli occhi spalancati e il cuore impazzito trattenni il respiro per qualche istante.
Non è reale
Avrei riconosciuto quella voce tra milioni. Calda, profonda, roca. Quel nomignolo che solo lui sapeva pronunciare così bene.
Non è reale
Molto lentamente mi voltai verso il bosco temendo che da un momento all’altro potesse esplodermi il cuore nel petto.
« Buon Natale »
Sol … Invictus.
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Capitolo 35 *** CAPITOLO 29 - Ri-conoscersi ***
[…]Quante vite sono già passate,
quante volte ci siamo incontrati?
Il ricordo non ci aiuta. […]
CAPITOLO 29 – “ Ri-conoscersi”
Jacob Black era sempre stato un bel ragazzo, con i suoi capelli folti, gli occhi scuri dal taglio deciso, la pelle bruna e il sorriso più disarmante dell’universo. Ed io l’avevo sempre saputo.
Ciò che non avrei potuto sapere era che Jacob Black sarebbe diventato l’uomo più bello che i miei occhi avessero mai incontrato.
Definire cosa sia il bello è impossibile, soprattutto perché il gusto personale di ognuno di noi è diverso. Eppure avrei scommesso – in quel momento e per il resto della mia vita – che non ci fosse persona al mondo che potesse dire che l’uomo che avevo di fronte a me non fosse incredibilmente, inequivocabilmente, innegabilmente ed irresistibilmente bello.
Magari qualcuno avrebbe potuto malignamente osservare che la sottoscritta non fosse la persona più adatta ad intavolare simili scommesse per i più svariati motivi, primi fra tutti l’essere l’ex fidanzata del sopracitato uomo e il fatto che non lo vedessi né avessi sue notizie da ben tre mesi.
E invece no.
Avrebbero sbagliato anche loro.
Perché sì, quasi sicuramente il mio giudizio in quel momento non era affatto obiettivo, ma l’obiettività era lì che mi fissava : dritta sulle spalle larghe avvolte da una felpa nera, con un leggero sorriso ad increspare due labbra lisce e carnose, ma soprattutto, con uno sguardo talmente intenso che avrebbe potuto resuscitare un morto per poi farlo crepare ancora.
E soprattutto – sempre quei maligni – si sarebbero sbagliati di grosso per un motivo ancora più grande.
Io quasi non riconoscevo in quell’uomo il ragazzo che mi era appartenuto.
Questo Jacob era decisamente più alto del mio Jake.
Questo Jacob era perfino molto più grosso del mio Jake.
Questo Jacob portava i capelli corti e spettinati invece di quelli lunghi e fluenti del mio Jake.
Questo Jacob aveva i lineamenti duri, decisi e marcati di un uomo piuttosto che quelli morbidi, tondi ed un po’ infantili del mio Jake.
Una cosa però era indiscutibilmente identica a quella del Jake che conoscevo io : il sorriso. Questo Jacob portava sulle labbra lo stesso sorriso soddisfatto e un po’ beffardo dello stesso Jake che avevo avuto accanto in quegli anni.
Forse avrebbe dovuto essere quella la cosa alla quale avrei dovuto dare maggiore importanza, o che avrebbe dovuto colpirmi di più. Ma – e ormai era un dato certo – siccome di normale nella mia vita avevo avuto sempre ben poco, non mi stupii nel notare che la cosa che mi aveva colpita più di tutte, fin dal primo istante che l’avevo rivisto, fossero stati gli occhi.
Questo Jacob aveva gli occhi più incredibili che avessi mai incrociato, molto diversi da quelli del mio Jake.
No, non ero impazzita, semplicemente i suoi occhi erano sempre stati in grado di parlarmi, di comunicare con un angolo della mia anima che sembrava essere nato apposta per ricevere i suoi messaggi. Ed il suo sguardo mi era stato da sempre familiare: così dolce, così puro, così limpido, sincero e spensierato.
Nonostante in quel momento stesse sorridendo i suoi occhi non avevano la stessa luce che avevo visto in passato. Mi fermai un secondo di più ad osservarli. Mi sembrarono adulti, mi sussurrarono un vissuto che forse non avrei mai potuto capire, perfino gli occhi di questo Jacob erano cresciuti.
Per un breve istante mi sentii scrutata dagli occhi di un estraneo, e fu una sensazione del tutto nuova. In quel piccolissimo, preciso istante, io stavo conoscendo un nuovo Jacob Black, e la cosa mi inquietava ed affascinava allo stesso modo.
« Bells, ti hanno mai detto che in genere gli auguri vanno ricambiati? »
Si mise le mani in tasca e il suo classico sorriso beffardo gli arrivò fin dietro le orecchie. Quel piccolo movimento e quelle poche parole fecero svanire in un secondo tutto l’incanto di quel momento. Fino a poco prima i miei occhi e i miei sensi tutti, non avevano percepito e divorato altro che non fosse Jacob Black. Invece grazie a quel suo solito modo da schiaffi, era come se improvvisamente qualcuno avesse riacceso la luce sul mondo.
Sbattei un paio di volte le palpebre e riuscii a vedere anche tutto il resto: il verde del bosco dietro di lui, il bianco del ciottolato, il ruggine del mio pickup, l’azzurro rosato del cielo prima del tramonto. E poi ovviamente anche la sua espressione, la solita, odiosissima espressione spaccona di chi si è accorto che mi ero imbambolata a fissarlo. Come se avesse già vinto.
Ah no, bello mio, ti sbagli di grosso.
Sentii montarmi dentro tutto l’odio, la rabbia, il risentimento accumulati verso di lui e verso la sua fuga ad ondate sempre più grandi e potenti. Non l’avrebbe passata liscia. Certo, una parte di me non avrebbe voluto far altro che corrergli incontro e gettargli le braccia al collo, ma anche Isabella Swan era cresciuta in sua assenza, e se pensava di conoscere ancora tutto di me, allora avrebbe ricevuto ben presto una bella sorpresa.
Raccolsi il libro da terra con quanta più calma potessi inscenare, poi lo raggiunsi con passo normale, cercando di frenare quell’istinto che mi spingeva a corrergli incontro e tirargli un ceffone.
« Ah già … Buon Natale anche a te, stronzo! »
Non riuscii a trattenermi oltre, afferrai il libro per la base con entrambe le mani ed iniziai a colpire Jacob con tutta la forza che avevo in corpo.
« E’ così che si sparisce? Eh? Dimmelo! E’ così che ci si comporta?! » continuavo a colpirlo sempre più forte, con sempre più furia, come se lui fosse di marmo e non potessi ferirlo « Sei uno stronzo, Jacob! Nient’altro che un lurido, sporco, bastardo, stronzo e vigliacco! »
Ormai urlavo e sfogavo tutta la rabbia di quei mesi in insulti e sferrando colpi sempre più forti, finalmente sentivo tutto il risentimento accumulato in quei mesi esplodere senza più barriere. Ed avrei potuto continuare anche per ore se non fosse stato che Jacob, anziché scostarsi, difendersi o lamentarsi per i colpi ricevuti, si fosse messo a ridacchiare.
Mi fermai incredula con il libro ancora sollevato sulla mia testa e cercai di riprendere un po’ di autocontrollo, ma lui era ancora lì, davanti a me con un braccio a proteggersi il corpo mentre ridacchiava. Io lo guardavo sgomenta.
« Si può sapere cosa diavolo hai da ridere? »
Calai lentamente le braccia e vidi il pesante libro regalatomi da Angela piegato esattamente a metà, con la copertina a formare un angolo retto. Solo in quel momento realizzai quante volte lo avevo colpito e con quanta forza. Mi balzò il cuore in gola.
« Oddio, Jake ti ho …? »
Avrei sinceramente voluto chiedergli se gli avessi fatto male ma non ne ebbi il tempo. Jacob si rimise dritto sulle spalle e con un movimento deciso mi afferrò per un polso e mi attirò al suo petto.
« Tu, farmi male con questo? » disse piano mentre le sue dita scivolavano tra le mie per farmi lasciare la presa sul libro, che cadde ai nostri piedi con un tonfo « Nemmeno un pochino. Per questo ridevo, Bells. »
Strinse la presa del suo abbraccio intorno al mio torace ancora più forte e io smisi di respirare e anche solo di pensare. Erano mesi che non vedevo Jacob, ed improvvisamente mi ritrovavo stretta al suo corpo e con il suo splendido viso ad un palmo dal mio. Ero sotto shock, e me ne rendevo conto solo in quel momento.
« Per questo … » avvicinò le sue labbra al mio orecchio e sussurrò roco e profondo « … e per l’effetto che a quanto pare ancora ti faccio, fiorellino »
Sentii un fremito caldo percorrermi tutta la spina dorsale a quel sussurro ed involontariamente chiusi gli occhi per un istante. Poi fu una questione di secondi, e il mio cervello parve tornare a funzionare, riprendendosi dallo shock. La rabbia tornò ad investirmi più forte di prima, sentendomi quasi offesa per il suo modo di ripresentarsi all’improvviso e di fare di me ciò che voleva. Mi divincolai rapida ed aggressiva dal suo abbraccio.
« Ma cosa pensi di fare? » gli sputai quelle parole dritto in faccia mentre indietreggiavo di qualche passo.
« E dai, Bells, stavo solo scherzando »
« Scherzavi un cazzo, Jake! » gli gridai contro e sul suo volto si dipinse un espressione di puro stupore « Cosa credevi fare? Pensavi di poter tornare qui a tuo piacimento, senza dare spiegazioni, e trattarmi come meglio ti pare? Non hai capito proprio niente, Jake! Niente ! »
« Scusami, Bella io … » allungò appena le mani verso di me, mentre potevo vedere i suoi occhi tornare limpidi e un po’ turbati, come se anche lui stesse riacquistando lucidità e padronanza di se stesso solo in quel momento.
Feci ancora un passo indietro, rapidamente « E non toccarmi più, per favore! »
Per un minuto restammo entrambi in silenzio. Io con il cuore in gola, piena di rabbia e di risentimento, con il respiro quasi affannoso per la fatica di riuscire a tenermi ancora tutto dentro. Lui con le braccia abbandonate lungo i fianchi, come se solo in quel momento stesse accettando una verità alla quale non aveva voluto credere. Forse si era aspettato davvero che cadessi ai suoi piedi al nostro primo incontro. Potevo benissimo leggergli in faccia che le carte in tavola stavano cambiando anche per lui. Dopo un po’ , infatti, si mise dritto sulla schiena, strinse i pugni e vidi dipingersi sul suo volto un’espressione che non gli avevo mai visto. Sembrava deciso, ma allo stesso tempo ferito e distaccato, una persona completamente diversa rispetto a quella che mi aveva attirata a sé con tanto trasporto qualche attimo prima.
« Non preoccuparti, non ho intenzione di rifarlo » sputò fuori con risentimento.
Ed il suo risentimento non fece altro che fomentare il mio, potevo quasi sentirlo crescere come un muro tra di noi. Ci fu ancora silenzio, ancora altri infiniti momenti di silenzio nel quale riecheggiavano soltanto i rumori del bosco dietro di lui. Noi intanto non facevamo altro che studiarci, non esisteva definizione migliore. Ci fissavamo per studiare le nuove sfumature della persona che ci stava davanti, consapevoli che fossero cambiate tante cose dal nostro ultimo incontro. Pensare che l’ultima volta che ci eravamo visti eravamo proprio qui, fuori casa mia, felici ed innamorati, mi fece stringere appena il cuore.
Quanto sembrava diverso ora il ragazzo che avevo sempre conosciuto. E soprattutto, quanto mi sembrava ridicola la situazione di quel momento. Chi erano questi due idioti che si fissavano senza capirsi? Chi erano questi due ragazzini che quasi facevano a gara per dispetto a chi tenesse il muso più a lungo? Con Jacob non era mai stato così, i nostri silenzi erano sempre stati pieni di comunicazione. Sospirai forte e sentii le spalle sciogliersi un po’ da quella morsa rigida che sembrava attanagliarle. Lo guardai ancora negli occhi e capii che forse anche lui condivideva i miei stessi pensieri. Nonostante la rabbia, nonostante il dolore, nonostante il risentimento, io volevo capire. E Jacob sembrava avere la stessa voglia di rimettere almeno un po’ a posto le cose.
« Mi devi qualche spiegazione, Jacob » cercai di non essere pungente
« Sono qui per questo » fece un lento cenno di assenso col capo
I suoi occhi guizzarono per un istante alla casa alle mie spalle
« Meglio non entrare » risposi, più che altro pensando che di lì a poco sarebbe tornato Charlie
Jacob annuì lievemente « Facciamo due passi? »
********
Rimasi di stucco quando misi piede nella piccola radura perfetta dove non avevo mai portato nessuno, tranne Edward. Trattenni per un attimo il respiro, ferma al limitare degli alberi, mentre guardavo Jacob camminare sicuro verso il centro dello spazio circolare. Si voltò verso di me con un sorriso soddisfatto sulle labbra, come se la mia reazione fosse un punto a suo favore, qualcosa che lo avvicinava ad una sorta di mia sconfitta. In quel secondo lo odiai.
« Cosa c’è, Bella? » mi chiese spavaldo e lo odiai ancora di più « Non ti piace questo posto? »
Non risposi, non riconoscevo più in questo Jacob dall’aria così vendicativa quello che era stato al mio fianco. Evidentemente spazientito dalla mia immobilità mi raggiunse svelto in un paio di passi e mi afferrò un polso
« Avanti, Isabella! Non startene lì impalata! Forse dal centro potrà piacerti di più » mi trascinò con se fino al centro esatto della radura e io ancora non fiatai, semplicemente sfilai il polso dalla sua presa, come a sottolineare la mia richiesta di non essere toccata.
Jacob mi girò intorno lentamente prima di soffiarmi dietro la nuca « O forse è la compagnia che non ti aggrada? »
« Smettila! » gridai, e qualche uccellino spaventato volò via dai cespugli.
Sentii i passi di Jacob allontanarsi leggermente e capii sia perché mi avesse portata lì sia perché si era comportato proprio in quel modo. Possibile che già sapesse di me ed Edward? Evidentemente sì.
Il suo scopo era stato quello di sbattermi in faccia che non ero l’unica a poter pretendere spiegazioni, mi stava praticamente suggerendo – e nemmeno velatamente – di non comportarmi come se avessi il coltello dalla parte del manico, perché a quanto pareva in quella situazione ci trovavamo entrambi a stringere la stessa lama dentellata.
Mi voltai verso di lui e lo trovai a fissarmi con gli occhi ridotti a due fessure.
« Ma si può sapere cosa diavolo ti è successo? Cos’è tutta questa cattiveria? Perché mi tratti così ? Io non ti riconosco! » non riuscii a trattenere le parole, anche se avrei preferito morire piuttosto che espormi così fin da subito.
Jacob sembrò colpito, sbattè un paio di volte le palpebre e poi si passò le mani sugli occhi, strofinandoli forte.
« Scusami, Bells, ti prego. E’ solo che … » le grandi mani abbandonarono gli occhi solo per passare a tormentare i capelli corvini ormai corti « … sono così stanco. » soffiò fuori quasi in un sospiro prima di lasciarsi cadere seduto sull’erba a gambe incrociate.
Sospirai anch’io, mi misi di fronte a lui e lo imitai « Sì, posso capirti »
Jacob sbuffò una piccola risatina, con lo sguardo fisso sull’erba. Rimanemmo così in silenzio per qualche minuto, poi mi decisi ad affrontare quella che temevo potesse essere una lunga e sofferta conversazione.
« Allora, Jake. Me lo dici dove sei stato tutto questo tempo? »
« Un po’ dovunque » scrollò leggermente la testa corvina.
Forse fu quel movimento a farmi notare un piccolo particolare « Sai che sei diventato quasi uguale a Sam? »
Le sue spalle si irrigidirono appena sotto la felpa, ma i miei sensi notavano ogni minimo cambiamento nel suo corpo come se lo avessi lasciato soltanto il giorno prima.
« Ma che dici! » si prese una piccola pausa « Io sono molto più grosso! » esclamò sorridente sollevando lo sguardo nel mio.
Mi mancò il respiro. In quel sorriso avevo rivisto il mio Jake sul volto di questo nuovo Jacob, e non c’era niente di più spettacolare che potessi immaginare. Mi costrinsi a ritornare con i piedi per terra.
« E anche più stupido a quanto vedo. Che significa che sei stato un po’ dovunque, Jake? Non pensi di aver fatto abbastanza il misterioso in questi tre mesi? » ecco che la collera ricominciava a montarmi dentro.
Mi sollevai in piedi infastidita.
« Anzi aspetta, sai che ti dico? Partiamo dal principio » mi voltai verso di lui e quasi lo fulminai con lo sguardo « Perché sei sparito così all’improvviso? Perché te ne sei andato senza nemmeno darmi una spiegazione o vedermi un’ultima volta? Cazzo, Jake! Mi sarebbero andati bene persino degli insulti, invece sei scappato senza pensare a me nemmeno una volta! Hai idea di come mi sia sentita? Hai idea di quanto mi sia sentita stupida, inutile ed insignificante? » ancora una volta le parole erano sgusciate fuori senza che potessi frenarle.
Incrociai le braccia al petto e lottai con tutte le mie forze contro le lacrime pungenti che premevano dietro gli occhi. Non avrei pianto, non gli avrei dato questa soddisfazione, dovevo essere forte.
« Bells tu stai sbagliando tutto, non sai di cosa stai parlando » si sollevò in piedi anche lui e mi sovrastò con la sua nuova enorme mole. Ormai gli arrivavo al di sotto del petto.
« E allora illuminami ! dimmi perché sei scappato, tanto per iniziare »
« Io ero … avevo bisogno di un po’ di tempo per stare da solo »
Sgranai gli occhi e sentii la furia montarmi dentro « Tutto qui?! Spero per te che non sia la verità! Avresti potuto parlarne invece di far disperare me e tutta la riserva per mesi! » poi un dubbio mi colpì improvviso, ed aggiunsi più a bassa voce « Avresti semplicemente potuto dirmelo se non mi volevi più »
« Mio Dio, ma dici sul serio? » lo sentii avvicinarsi e prendere il mio volto tra le sue mani bollenti « Eri la cosa più bella che avessi mai avuto in tutta la mia vita, e avrei fatto di tutto per proteggerti, anche sparire per mesi, o addirittura per anni se fosse stato necessario »
I suoi occhi erano brace ardente nei miei, e forse nemmeno si rese conto di ciò che disse.
« Proteggermi da cosa? » chiesi in un soffio
« Da tutto, Bells. Da chiunque avesse potuto farti del male, me compreso » lasciò andare il mio viso e si voltò di spalle.
« Tu non potresti mai farmi del male »
Le spalle di Jacob sobbalzarono appena, come se avesse riso e poi si voltò ancora « No, adesso no. »
Mi portai una mano alla fronte, sempre più confusa.
« Ma di cosa stiamo parlando, Jake? Non capisco »
« Bella mi dispiace » si avvicinò di un passo, ma non mi toccò più « Mi dispiace così tanto. Ti prego, perdonami » i suoi occhi mi imploravano
« Non ci riesco. Non posso senza almeno una motivazione, Jacob. Sei sparito per più di tre mesi » scandii lentamente « Tre lunghissimi mesi, Jake. »
Lui sbuffò insofferente e pestò i piedi un paio di volte « Lo so, sono stato un coglione, ma fidati di me. Avevo le mie ottime motivazioni per farlo e giuro su mia madre che non ho intenzione di lasciarti mai più, nemmeno per un attimo. »
« Se sono davvero ottime come dici, perché non me ne parli! » sbottai e quasi non riuscii più a trattenermi.
La sua presunzione che potesse tornare e chiedermi semplicemente di perdonarlo senza alcuna spiegazione mi mandò su tutte le furie.
« Ti sei bevuto il cervello, per caso?! Con quale faccia ti ripresenti e chiedi che io dimentichi tutto? Che semplicemente ci passi sopra! Sei tu a non avere la minima idea di cosa stai parlando! »
« Bells io l’ho fatto per te! L’ho fatto per noi! »
A quelle parole fui definitivamente divorata da una furia cieca che mi portò a gridare come mai avevo fatto prima
« Per noi, Jake?! Per noi ?! Tu hai davvero qualcosa che non va! Se avessi voluto fare qualcosa per me, qualcosa per noi, saresti rimasto! saresti venuto da me e avremmo trovato insieme una soluzione a qualsiasi tormento adolescenziale tu stessi affrontando! »
« Tu non ne hai idea, invece! » gridò anche lui.
Dovevo aspettarmelo, almeno in questo non era cambiato. Come ogni volta che io alzavo la voce nei suoi confronti, lo faceva di rimando anche lui. Questa cosa in parte mi confortò, mi ricordò che sotto quella maschera di durezza c’era ancora qualcosa del mio Jacob.
« E allora parla, santo Dio! Per l’ultima volta, Jake, parla! Perché ti do la mia parola che questa è l’ultima occasione che avrai » stavolta fui io ad avvicinarmi di un passo ed aggiunsi sottovoce « E assicurati che sia la più sconcertante delle rivelazioni, Jacob Black, altrimenti puoi scordarti anche come mi chiamo. »
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Capitolo 36 *** CAPITOLO 30 - Una nuova realtà ***
“La realtà non esiste, l'hanno inventata gli uomini per i loro scopi”
Angelo Fiore
CAPITOLO 30 – “ Una nuova realtà”
Dovevo aspettarmelo.
« Il punto è che tu sei testarda come un mulo, e non cambierai mai »
Io dovevo semplicemente aspettarmelo, che non sarebbe stata una passeggiata.
« No, Jake. Il punto è che tu sei un vigliacco. Un codardo che non riesce ad ammettere le proprie responsabilità »
Cosa credevo di ottenere con quell’ultimatum? Una resa? Se non avessi avuto il fegato marcio di rabbia forse sarei scoppiata a ridere della mia stessa presunzione. Con Jacob non esistevano out-out, non servivano a nulla. Per questo aveva continuato a menare il can per l’aia per la successiva mezz’ora, evitando le mie domande più specifiche. Ma il punto, stavolta, era che io non ne potevo più.
« Un codardo, Bells? Io? » sgranò gli occhi incredulo, come se avessi bestemmiato
Chiusi gli occhi, inspirai a fondo e recuperai tutte le forze che mi erano rimaste per non mettergli ancora le mani addosso. Anche perché stavolta gli avrei fatto davvero male.
« Sai che c’è, Jacob? » riaprii gli occhi e mi presi una piccola pausa « Non mi interessa »
Lui aprì la bocca pronto a ribattere, come se si fosse aspettato un’altra domanda o un’altra accusa, ma la tenne spalancata e con il fiato spezzato quando realizzò cosa avevo appena detto.
« Hai capito bene, non fare quella faccia. Non mi importa nulla di dove tu sia stato, di cosa tu abbia fatto, del perché tu non ci abbia pensato su nemmeno una volta a lasciarmi come un’idiota. Non mi interessa perché, grazie a Dio, sono stata abbastanza forte da superare tutto. Sono stata abbastanza forte da rimboccarmi le maniche ed arrampicarmi lungo le pareti scivolose del burrone nel quale mi hai lasciata tu. E, per una volta nella mia vita, ho avuto abbastanza fortuna da trovare al mio fianco delle persone splendide che mi hanno aiutata e sostenuta. » mi guardai intorno con fare plateale, ormai l’avevo in pugno, glielo leggevo negli occhi e nell’espressione del volto « E tu dov’eri, Jake? Dov’eri quando non ho dormito per giorni interi? Dov’eri quando non mi sono alzata dal letto per settimane? Dov’eri quando credevo di essere impazzita o quando vomitavo anche l’anima? »
Gli concedetti qualche secondo, ma da Jacob non arrivò nemmeno un soffio. Forse, se avessi creduto che provasse ancora qualcosa per me, avrei potuto dire che la smorfia sul suo viso fosse di dolore.
« Semplicemente non lo so. Poi, tu torni con la tua bella faccia tosta e continui ad evitare le mie domande. Ed è a questo punto che a me non importa più nulla, Jacob. Io ho sofferto, io ho affrontato il peggior periodo della mia vita a causa tua. Ma l’ho superato. E sono stata anche in grado di uscirne tutta intera. A questo punto la tua occasione l’hai avuta. La tua occasione per uscirne tutto intero l’hai appena gettata al vento. Tieniti pure i tuoi stupidi segreti, a me non importa più nulla. »
Mi voltai senza dire altro, senza nemmeno soffermarmi a guardarlo un’ultima volta, proprio come lui aveva fatto con me. Mi incamminai e per qualche passo mi sentii anche un po’ alleggerita dall’essermi lasciata alle spalle tutta quella orribile situazione. Ancora non mi sembrava vero il modo in cui si era ripresentato e una parte di me proprio non voleva credere al Jacob che evitava di darmi spiegazioni.
Continuavo a mettere un piede davanti all’altro e nonostante mi stessi allontanando da lui potevo quasi sentire il suo sguardo bruciarmi la schiena.
Raggiunsi il limitare della radura e misi un piede al di là della prima fila di alberi, ormai era fatta. Jacob mi aveva lasciata andare ancora una volta. Mi si rivoltò lo stomaco a quel pensiero e un sapore amaro mi riempì la bocca, avrei potuto vomitare in quel preciso istante se il mio orgoglio non me l’avesse impedito.
« Aspetta! »
La sua voce mi giunse forte e decisa e il mio cuore sussultò. Ma non mi sarei fermata così facilmente. Feci un altro passo al di fuori della radura.
« Bella, fermati ti prego! »
Il mio corpo si immobilizzò. Non fu una scelta razionale, fosse stato per me sarei andata dritta verso casa senza nemmeno esitare. Quello che mi fregava – mi aveva sempre fregato – era che la voce di Jacob mi arrivava dentro. Poco importava cosa dicesse, il mio corpo percepiva le vibrazioni del suo e questo strano modo di comunicare arrivava talmente in profondità che era come dialogare con sé stessi.
« Ti prego, torna qui » per la prima volta da quando era ricomparso la sua voce non fu più spavalda « Ti dirò tutto ma ti prego, Bells, non andartene »
Mi lasciai accarezzare per un momento da quelle parole. Era così bello risentire la voce del mio Jacob. Dolce, sincera, intensa.
Voltai solo il capo. Jacob si raddrizzò sulla schiena, negli occhi una scintilla di speranza. Per qualche secondo non mi mossi, promisi a me stessa che se avessi rivisto nel suo sguardo un’ombra sprezzante ed ostinata mi sarei voltata ancora e sarei tornata a casa di corsa. Scrutai il suo viso e lui spostò il peso del corpo sulla gamba destra, abbassando lo sguardo. Ecco, quello era un segno. Si sentiva in difficoltà. Il che mi fece ben sperare che avesse davvero tutte le buone intenzioni di parlarmi.
Mi voltai completamente ed iniziai a tornare sui miei passi, senza distogliere lo sguardo dal suo viso. Jacob se ne accorse e sollevò il capo. Più mi avvicinavo più diventava inquieto, riuscivo benissimo a vederlo borbottare qualcosa fra sé e sé, mentre non riusciva a stare fermo. Quando fui a pochi metri da lui iniziò a camminare in tondo, nervoso. Si portò le mani dietro la nuca e strinse forte i capelli fra le dita, quasi volesse strapparseli.
« Ma porca miseria! » quasi lo gridò, prima di voltarsi verso di me e puntarmi un dito contro « Sai cosa mi fa imbestialire? Hai avuto tanta di quella merda sotto il naso per tre mesi e a quanto pare non ti sei accorta di nulla! Poi torno io » lo stesso dito lo puntò sul suo petto, sporgendosi con il busto nella mia direzione « Io, Bells. Quello che hai sempre conosciuto, di cui ti sei sempre fidata ciecamente, e cosa fai? Pretendi spiegazioni! Tiri fuori tutta la testardaggine di questo mondo! »
Lo raggiunsi con gli ultimi passi ed incrociai le braccia al petto « Già, me l’hai ripetuto una decina di volte in meno di mezz’ora che sono testarda »
« E te lo ripeto ancora! Sei testarda, sei orgogliosa, e sei anche un filo egoista. Te l’ha mai insegnato nessuno che queste cose non portano mai nulla di buono? »
« Jake » sospirai spazientita
Lui continuava a pestare l’erba furioso ed in evidente difficoltà. Lo capivo benissimo che stava mettendo su tutta quella pantomima più per sé stesso che per me. Mi urlava contro, ma sapevo perfettamente che non era con me che era arrabbiato. Ce l’aveva con sé stesso.
« Come fai a non capire che tutto questo ti farà soltanto del male? »
« Non potrà mai farmene più di quanto abbia già fatto tu »
« Oh, invece sì! Non hai nemmeno idea delle cose con cui avresti a che fare »
Gli lanciai un’occhiata molto eloquente, stavo davvero perdendo l’ultimo briciolo di pazienza.
« Io vorrei soltanto che tu ti fidassi di me, Bells. Non ti chiedo altro. Non puoi essere semplicemente felice che io sia di nuovo qui con te? »
Aveva ricominciato sulla stessa strada di prima.
« Vaffanculo, Jake »
Mi voltai ed iniziai a camminare a passo svelto, quasi correndo.
« Bells! » gridò « E dai, Bella! »
Ero quasi arrivata di nuovo al limitare della radura quando la sua grande mano mi afferrò un polso e mi fece voltare con un movimento brusco.
« Ahi! » mi sfuggì
Jacob aveva stretto con troppa forza il polso al quale portavo il braccialetto. Aprì le dita e sgranò gli occhi quando vide il lupo in legno pendere dalla catenina. Si morse appena il labbro inferiore e con il pollice accarezzò il lupo e la mia pelle. Quasi mi incantai nel guardare quel gesto, il contrasto tra la sua pelle scura e la mia diafana era tra le cose che più amavo di noi.
Sulle labbra di Jacob si aprì per un istante un sorriso pieno di dolcezza ed i suoi occhi profondi saettarono nei miei. Ebbi giusto il tempo di scorgere un po’ di quella tenerezza anche nel suo sguardo prima che si posasse ancora sul lupo al mio polso. Quando sollevò ancora gli occhi, sul suo volto non c’era già più traccia del Jacob dolce che mi era tanto familiare. Piuttosto i suoi occhi erano tornati taglienti e le sue labbra piegate in un sorriso amaro. Strinse di nuovo la presa intorno al mio polso ed iniziò a trascinarmi verso la radura.
« Lasciami, Jacob »
« Sei sempre la solita, non cambierai mai » borbottò
« Se hai intenzione di ricominciare con quelle stronzate ti conviene lasciarmi »
Non mi portò al centro della radura come prima, ma verso il margine destro, accanto ad un masso grigio che non avevo mai notato.
« Non ricomincio con nessuna stronzata, Bells. Ci tieni così tanto a conoscere la verità? Bene! Allora te la meriti! Per una volta meriti di subire le conseguenze della tua testardaggine »
Mi lasciò i polsi, sui quali erano evidenti i segni rossi della sua presa salda. Me li massaggiai appena mentre Jacob raggiungeva un grande cespuglio accanto agli alberi un po’ distante da me.
« Siediti » indicò il masso accanto alle mie gambe
« Non mi va »
« Bells, ho detto di sederti »
« Non dirmi cosa devo fare! » gridai.
Sembravamo due bambini che si litigano un giocattolo. Jacob indicò con più decisione il masso e scandì lentamente
« Bella … siediti su quella dannata pietra »
Affilai lo sguardo e risposi secca « No »
« Fa’ quel che vuoi! » gridò gettando le braccia per aria
Si infilò dietro il cespuglio ma lo sentii comunque borbottare « Spero che tu svenga e che ci caschi di testa su quel fottutissimo masso »
« Guarda che ti ho sentito! »
« Meglio così » mi rispose ad alta voce
Dal cespuglio dietro il quale Jacob si era posizionato riuscivo a vederlo dai fianchi in su. Si guardò intorno per un secondo e poi iniziò a sfilarsi la felpa nera. Sgranai gli occhi, incredula e confusa.
« Ma che stai facendo?! »
Jacob non rispose, gettò la felpa in terra e dai suoi movimenti capii che stava armeggiando con i bottoni dei jeans, mentre continuava a borbottare furioso parole incomprensibili in lingua Quileute.
« Jake, ma sei impazzito? Perché diavolo ti stai spogliando?! »
Il rumore di una zip calata con forza arrivò forte alle mie orecchie, poi Jacob si abbassò per un momento, ritornando dritto sulle spalle nude. In un breve istante il mio cervello valutò l’ipotesi che si fosse spogliato completamente, perfino della biancheria. Sentii la bocca spalancarsi da sola ed il cervello svuotarsi del tutto.
« Di certo non per fare colpo su di te, Bells »
Non mi diede il tempo di ribattere e nemmeno di farmi assimilare quella scena così fuori dal mondo.
« Non avrei mai voluto che lo venissi a sapere in questo modo, ma te la sei davvero cercata, Bella. E adesso per favore, siediti e cerca di non farti prendere dal panico ».
L’ultima frase sarebbe anche potuta sembrare premurosa e gentile, se non l’avesse sputata fuori piena di rabbia e con il viso contratto.
Pochi secondi dopo Jacob fu scosso da tremiti talmente forti da far risultare la sua figura ai miei occhi quasi senza contorni ben definiti. Il cuore iniziò a battermi forte nel petto e temetti che gli stesse per succedere qualcosa quando lo vidi lanciarsi in avanti, come se volesse tuffarsi sull’erba. Non appena i suoi piedi si furono staccati da terra, improvvisamente il corpo di Jacob esplose e tutto ciò che restò davanti ai miei occhi fu soltanto un enorme lupo rossiccio.
Gridai talmente forte da sentirmi strappare i muscoli della gola, il cuore mi esplose dalla paura e indietreggiai istintivamente, inciampando prima nei miei stessi piedi e poi sul masso. Il lupo abbassò le orecchie e si acquattò sulle quattro zampe, come se si fosse spaventato anche lui. Io continuavo a gridare, senza riuscire a fermarmi, senza nemmeno riuscire a capire cosa stesse succedendo. Mi rannicchiai dietro il masso, poggiai la testa sulle ginocchia e la coprii con entrambe le braccia.
Pochi secondi dopo le mani calde di Jacob mi afferrarono le spalle e mi resi conto solo in quel momento che la mia carne tremava quasi quanto la sua. Sussultai ancora sotto shock e lui mi sollevò il viso. Non sapevo che faccia potessi avere io, ma la sua era talmente sconvolta dal dolore che mi fece male solo a guardarla.
« Oh mio Dio, Bells, cosa ho fatto? »
Anche se avessi avuto la forza per rispondergli non me ne diede il tempo. Mi attirò a se con decisione e mi avvolse in un abbraccio bollente e sicuro. Istintivamente non mi mossi, ero come paralizzata. Jacob mi strinse ancora più forte, si poggiò con la schiena contro il masso e mi fece rannicchiare su di lui. Iniziò a cullarmi come un padre disperato.
« Amore perdonami! Sono un coglione! Non sono altro che un immenso coglione! Ti prego, Bells, scusami non avrei mai dovuto fare una cosa tanto assurda, è solo che ero così arrabbiato! Oh Dio, amore mio, cosa ti ho fatto? »
La voce di Jacob si incrinò sempre di più fino a quando il suo petto fu scosso dai singhiozzi. Continuava a ripetermi di perdonarlo, a maledirsi per ciò che aveva fatto e nella sua voce non c’era altro che dolore. Con l’orecchio contro il suo torace riuscivo a sentire il battito furioso del suo cuore, eco del mio.
Contro ogni logica poggiai una mano sul suo petto e lo accarezzai piano, soltanto un flebile suono sgusciò fuori dalle mie labbra tremanti.
« Shh »
Non esisteva alcun motivo al mondo per cui in quel momento fossi io a tentare di calmare lui, eppure non potei farne a meno. Fu una reazione istintiva. Sapevo che in quel momento mi trovavo ad affrontare qualcosa di più grande di me, eppure il suo dolore era così straziante da non farmi avere alcun dubbio su chi fosse più annientato tra noi due.
Dopo qualche minuto, quando i singhiozzi di Jacob cessarono, sollevai appena la testa. Aveva le guance rigate dal pianto, gli occhi gonfi e le ciglia bagnate. Anche il mio cuore aveva ritrovato un battito più regolare, eppure nel guardare quegli occhi lo sentii esplodere ancora. Non potevo sopportare di vederli così, nemmeno quando lui stesso ne era il diretto responsabile. Tentai di sorridergli.
Jacob tirò su con il naso e liberò un sorriso amaro con un sospiro. Scosse appena la testa ed infilò le dita tra i miei capelli, incatenandomi con lo sguardo. Avrei potuto perdermi in quell’onice liquida e non sentire la mancanza di nulla.
« Io non ti merito » sussurrò « Però adesso ascoltami. Non mi perdonerò mai per quello che ti ho appena fatto e so bene che non servirà a cancellare questo brutto ricordo, ma voglio spiegarti tutto. Non devi avere paura di me, Bells, ti prego. Io sono sempre io, il tuo Jake… » esitò per un secondo «… il tuo sole, ricordi? » sorrise imbarazzato.
Gli feci cenno di sì con la testa e lui mi strinse forte a sé. Jacob a quel punto iniziò a raccontare.
Con il viso poggiato al suo petto nudo e bollente ascoltai storie vecchie come il mondo, cose che sembravano assurdità e superstizioni ma che invece erano reali quanto il nostro abbraccio. Mi raccontò delle leggende Quileute, di quello che gli era successo, di quanto Sam lo avesse aiutato e del vero motivo per cui era sparito per mesi. Le parole scivolavano via dalle sue labbra in un fiume inarrestabile, eppure sempre gentili e sussurrate.
Ascoltai tutto senza dire nulla, senza nemmeno muovere un muscolo, mentre il mio cervello associava quei racconti così inverosimili alla persona di carne ed ossa che mi stringeva forte. Com’era possibile che fosse tutto vero? Se pochi minuti prima non avessi visto con i miei occhi Jacob diventare un gigantesco lupo, avrei riso a quei racconti e gli avrei chiesto di smetterla di prendermi in giro.
Invece era tutto reale. Qualche volta mi era capitato di leggere di licantropi nei libri fantasy, ma non avrei mai immaginato che certe cose potessero esistere davvero. Certo, da quanto avevo capito i lupi Quileute non erano soggetti alle fasi lunari, ma restavano pur sempre delle creature mitologiche che prendevano vita. Santo cielo, era tutto così assurdo!
Quando Jacob ebbe finito di raccontare rimanemmo in silenzio per un po’, lui probabilmente aspettava una mia reazione ed io cercavo soltanto di assimilare la notizia. Ripensai a tutte le volte che avevo ascoltato Billy rapita dai suoi racconti sui lupi, ripensai al dono inconsapevolmente sincero di Jacob quando mi intagliò il lupo di legno. In un certo senso molte cose sembravano quasi più piene di significati in quel momento. Forse sarei riuscita ad accettare quella nuova realtà più in fretta e più facilmente di quanto mi aspettassi.
Sollevai la testa e lo guardai ancora negli occhi. Mi sorrise e lo fece nello stesso modo in cui lo avrebbe fatto il mio Jacob appena qualche mese prima. Il cuore mi si scaldò e in un solo istante ne fui certa: non mi importava di cosa fosse, ma la sua presenza nella mia vita era indispensabile.
« Non ho mai avuto paura di te, Jacob Black. E se questo era un tentativo per far cambiare le cose, mi dispiace, ma hai fallito »
Il sorriso sul suo volto si allargò e Jacob liberò una piccola risatina che scosse anche me, poggiata su di lui. Mi rilassai subito anch’io, il solo fatto che fosse di nuovo lì con me mi rendeva più semplice affrontare qualsiasi assurdità la vita mi presentasse. Perfino se le assurdità venivano proprio da lui.
« L’ho sempre detto che non sei normale, Bells »
Infilò ancora le mani tra i miei capelli e il suo sguardo si spostò languido dai miei occhi alle labbra. Qualcosa nel mio stomaco si sciolse, ma non mi lasciai andare a quella sensazione. C’era una cosa che volevo chiedergli.
« Jake, tu … lo rifaresti? … per me ».
Sbatté le palpebre un paio di volte, stupito « Cosa? »
« Farmi … r-rivedere il … lupo » balbettai e sentii le guance andarmi a fuoco a quella richiesta tanto surreale.
Jacob non rispose, piuttosto spalancò la bocca
« Per favore, se non ti dispiace » aggiunsi con gentilezza.
« No che non mi dispiace, è solo che sono … stupito. Ne sei sicura? »
Ci pensai un attimo. Non c’era altro che volessi in quel momento. Avevo capito che quella era una parte di lui, e che forse ormai era anche quella che lo caratterizzava maggiormente. La verità era che credevo che gran parte dei suoi cambiamenti fossero dovuti proprio al lupo, e volevo incontrarlo ancora. Stavolta magari con più sangue freddo.
« Quello sei tu, Jake. E’ da quando ti ho rivisto che fatico a riconoscerti. Ora vorrei … incontrarti ancora. »
Mi sorrise in un modo che mi fece sciogliere il cuore. Si sollevò lentamente da terra tenendomi in braccio e poi mi posò delicatamente in piedi. Mi accorsi solo in quel momento che Jacob era completamente nudo. Abbassai lo sguardo imbarazzata, con le guance a fuoco.
« Come se non mi conoscessi! » commentò ridendo mentre si allontanava da me.
Arrossii ancora di più ed alzai lo sguardo giusto in tempo per vederlo cambiare forma ancora una volta. In pochi secondi al centro della radura, davanti a me, ci fu di nuovo lo splendido lupo dal pelo rossiccio.
Stavolta non mi spaventai, faticai ancora un po’ ad accettarlo ma tutto sommato non fu affatto traumatico. Il grande lupo restò fermo, aspettando che fossi io a muovermi. Mossi qualche passo di lato, lungo il perimetro della radura, per riuscire ad averne una panoramica generale. Era gigantesco, alto molto più di un cavallo e grosso il doppio di un toro. Eppure mi scoprii confortata dalla sua presenza più che intimorita.
Da qualche parte alle spalle del lupo il sole stava tramontando e inondava con una luce calda ed arancione qualsiasi cosa. Il manto rosso mi sembrò splendente ed incendiato di calore, avrei scommesso che fosse folto e soffice sotto le dita. Si teneva dritto sulle quattro zampe ed il capo era sollevato in tale fierezza che mi ci vollero soltanto pochi secondi per innamorarmi di quella magnifica creatura.
Mi avvicinai, rapita da tanta bellezza. Sfiorai appena il manto sul fianco e fui quasi certa di averlo sentito fremere sotto le mie dita. Affondai con più decisione la mano fino a carezzarne la carne bollente. Esattamente come quella di Jacob. Percorsi con una lunga carezza il fianco, la grande spalla ed il collo. Il lupo abbassò la testa in un invito a continuare ed io proseguii lungo l’orecchio, la mascella ed infine presi il muso tra le mani. Perfino nell’altra forma il colore di Jacob era più scuro del mio.
Sorrisi e mi sembrò che anche sul suo volto si aprisse una sorta di sorriso lupesco. Era incredibile, quello era davvero il mio Jacob. Incontrai i suoi occhi e ne ebbi la conferma definitiva. Tutto in lui si era trasformato, ma non i profondi pozzi d’onice che mi incantavano anche in quel momento.
Era lui. Quello era il mio Jacob … forse più se stesso di quanto non lo fosse mai stato prima.
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Capitolo 37 *** CAPITOLO 31 - Freaks ***
CAPITOLO 31 – “ Freaks”
Senza sapere bene come, mi ritrovai dall’abbracciare il collo di un lupo all’essere aggrappata alle spalle di Jacob. Mi avvolse tra le braccia forti e mi posò delicatamente a terra.
« Va meglio adesso? »
« Sì »
Ritirai lentamente le braccia e nel farlo sfiorai con le dita il tatuaggio sulla sua spalla destra. Pian piano stavo mettendo insieme i tasselli di quel puzzle assurdo.
« Ma allora questo è … »
« Una grande stronzata » mi interruppe sorridendo « Secondo te non lo ricordiamo abbastanza bene che possiamo trasformarci in cani giganti? »
Mi strappò una piccola risata, come ogni volta. In qualche modo Jacob riusciva sempre a farmi sorridere.
« Quindi significa che anche Paul, Seth, Quil, Embry … »
« Sì, tutti »
Mi portai le mani alla bocca, incredula « Seth »
Jacob aggrottò le sopracciglia « Perché ti stupisci solo di lui? »
« Perché lui è rimasto lo stesso. Cioè … non proprio uguale, visto che ora è diventato enorme. Però è sempre così dolce, allegro, vivace. Invece voi…» mi fermai lì.
Stavo parlando senza pensarci su troppo ed inconsapevolmente avevo detto qualcosa che aveva trasformato le rughe sulla fronte di Jacob da segni di stupore a tratti di tristezza.
« Invece noi non siamo abbastanza scodinzolanti? » lo disse con tale amarezza che fu quasi come sputarmelo addosso.
« Intendevo esattamente questo » lo indicai « Guardati, Jake. Passi dall’essere il simpaticone di sempre ad un concentrato di risentimento ».
Jacob sbuffò e voltò il capo di lato, con lo sguardo rivolto a terra. A pensarci bene forse mi stavo comportando male con lui. Cosa potevo saperne di come si era sentito quando aveva scoperto di essere una specie di mostro mutante?
« Scusami » sussurrai « Non dovrei avere la presunzione di giudicarvi. Io forse sarei impazzita al posto tuo: ritrovarsi improvvisamente vittima di leggende assurde, senza alcuna buona ragione, deve essere … »
« Non è così » mi interruppe e i suoi occhi saettarono nei miei « Esiste un’ottima ragione per la quale il nostro gene di mutaforma si attiva. Il mio problema non è essere diventato ciò che sono, ma le conseguenze che ha portato la mia trasformazione »
Si avvicinò e prese le mie mani tra le sue. La temperatura di Jacob era sempre stata più alta della mia ma da quando si era trasformato il suo corpo era diventato letteralmente febbricitante.
« Guardaci, Bells » sussurrò ed avvicinò il suo volto al mio, fissandomi negli occhi « Guarda cos’è successo. Ti avevo promesso che non ti avrei mai lasciata e invece sono dovuto sparire per mesi. Ho dovuto allontanarmi il più possibile da te per non rischiare di farti del male. Quello che sono adesso mi permette di proteggerti da qualsiasi cosa. Qualsiasi, Bella, e non potrei sentirmi più orgoglioso o fiero di me stesso »
Sciolse la stretta intorno alle mie mani, mi raccolse il viso tra le sue e mi guardò per un momento. Lo vidi osservarmi prima gli occhi, poi le labbra ed infine la fronte. Con una mano mi scostò i capelli e con il pollice seguì il contorno irregolare della cicatrice sopra l’occhio. Vidi la sua mascella contrarsi più volte.
« E a quanto pare non è stato abbastanza comunque, non è servito a proteggerti da te stessa » poi sorrise e i suoi occhi si illuminarono « Ma da oggi sarà tutto diverso. Le cose torneranno come prima, anzi meglio! »
Jacob aveva aumentato il tono della voce senza rendersene conto e la luce nei suoi occhi era cambiata in un attimo. Non era più dolce, piuttosto mi pareva sovreccitata.
« Ora ci sono di nuovo io con te, Bells. Finalmente possiamo stare ancora insieme, come se non ci fossimo mai separati »
Avvicinò il suo viso al mio velocemente ma riuscii a rendermi conto subito di cosa volesse fare. Voltai il capo dall’altro lato.
« No, Jacob »
Mi lasciò andare il viso delicatamente, un po’ stupito.
« Non posso » ribadii
« Che significa che non puoi? »
Il suo tono quasi avvilito mi costrinse a guardarlo negli occhi. Lo stavo ferendo, lo capii in un istante. Rividi nel suo sguardo la stessa insofferenza di quando non ricambiavo i suoi ti amo. E anche questa volta, non potevo farci nulla.
« Le cose non torneranno come prima, Jake. Non è vero che sarà come se non ci fossimo mai separati perché la verità è che tu sei andato via per davvero »
Jacob sbuffò sconcertato « Ma è assurdo, Bells! Ti ho appena spiegato che ho dovuto allontanarmi per il tuo bene. Per essere sicuro che non ti avrei mai fatto del male »
« Sì e l’ho capito » deglutii a fatica, cercando le parole giuste per spiegarmi meglio « Ascoltami, Jake. Io non sono più la stessa Bella che hai lasciato. Tu … eri il mio mondo » lo vidi sospirare forte « Eri l’unica certezza che avessi nella mia vita insieme a Charlie, ed improvvisamente sei sparito »
Jacob fece per ribattere ma mi affrettai a continuare
« Ti prego ascoltami per un momento soltanto e cerca di metterti nei miei panni così come io mi sono messa nei tuoi » Jacob incrociò le braccia al petto e io proseguii « Mi fidavo di te come di nessun’altro al mondo. La mia casa eri tu. Quando sei sparito senza lasciare traccia, senza nemmeno rivolgermi la parola, io mi sono sentita morire. Il problema è che una parte di me si è distrutta davvero … ed era quella parte che si fidava di te in maniera incondizionata »
Nei suoi occhi un lampo di comprensione, come se si fosse accorto solo in quel momento di non aver considerato quest’opzione. Doveva aver pensato così tanto alle sue motivazioni da trascurare le mie.
« Non credo che riuscirei a fidarmi di te come prima » confessai
Jacob scattò in avanti, come scosso da qualcosa « Questo non puoi dirlo »
Mi strinsi appena nelle spalle.
« Forse, ma so cosa sento adesso »
Jacob divenne irrequieto ed iniziò a spostare il peso da una gamba all’altra, ad agitare le mani mentre le parole uscivano dalle sue labbra inarrestabili e confuse
« Okay, okay, scusami. Magari … magari hai ragione tu »
Lo fulminai con lo sguardo, lui sollevò le mani in segno di scusa
« Sicuramente hai ragione tu. Ora è difficile fidarti di me, ma ti assicuro che riconquisterò la tua fiducia, me la meriterò, Bells. Tu … tu non puoi dirmi che non ti fiderai più di me, non puoi. Io non posso accettare di non esserti vicino, non posso pensare che ci sia un futuro in cui non avrò la possibilità di riscattarmi, io … »
Jacob non prendeva nemmeno fiato tra una parola e l’altra. Si vedeva benissimo che stava dicendo tutto ciò che gli passava per la testa, preda di una profonda agitazione.
Ma anch’io ero scossa nel profondo. Lo vedevo agitarsi, scusarsi, cercare di rimediare e non potevo fare a meno di pensare che avrei dovuto dirglielo. Avrei dovuto confessargli che oltre al problema della fiducia, adesso c’era qualcos’altro a dividerci. Adesso c’era Edward.
Mi mordicchiai il labbro, tesa, come sempre.
Forse non avrei dovuto farlo. Tutti quei mesi passati con Edward mi avevano in un certo senso fatto abbassare la guardia sui movimenti del mio corpo. Cosa che con Jacob non sarebbe mai accaduta. I nostri corpi avevano una comunicazione tutta loro, che andava ben oltre le parole.
Gli bastò una semplice occhiata al mio gesto, alla mia espressione, al mio corpo per immobilizzarsi e zittirsi. Nello stesso istante capii di essermi fregata da sola. Non avevo idea di come potesse leggermi ancora così bene, dopo tutto quello che era successo. Non potevo credere che mi avesse capita davvero anche in quel momento.
« Ma non è solo questo … eh, Bells? » si inumidì con la lingua le labbra improvvisamente secche « ha! » gridò gettando le braccia in aria.
Ricominciò a pestare l’erba furioso, lo vedevo serrare la mascella e a tratti scoprire i denti, i suoi atteggiamenti a metà fra quelli umani e quelli del lupo. Strinse i pugni tremanti un paio di volte, fin quando non ebbe le mani completamente ferme. Poi voltò di scatto il viso verso di me e mi incenerì con uno sguardo colmo di risentimento. Se gli sguardi avessero potuto uccidere, in quel momento sarei stata morta e sepolta.
Purtroppo, però, gli sguardi non uccidono davvero ed io mi sentii morire della morte peggiore: stavo morendo di dolore, stavo morendo di dispiacere. Io stavo morendo di Jacob.
Provai a dire qualcosa, ma ciò che uscì dalle mie labbra fu – come si conviene ad una moribonda – poco più di un rantolo pietoso.
« M-mi dispiace, Jake »
« Oh, ma vaffanculo, Bells! » gridò, il busto inclinato in avanti « ti dispiace un cazzo! »
Abbassai gli occhi, colpevole.
« E, per Dio, guardami! » gridò ancora più forte.
Obbedii, sollevai lo sguardo fissandolo poco sotto il suo mento. Vidi il pomo d’Adamo abbassarsi e risalire. Istintivamente deglutii anch’io, cercando di ingoiare il sapore amaro della colpevolezza. Iniziavo a rendermi conto di quello che anch’io avevo fatto solo in quel momento, esattamente davanti alla persona che ne avrebbe fatto le spese.
« Negli occhi, Bella. Guardami dritto negli occhi » sibilò basso e letale.
Ed io, suicidamente, obbedii ancora. Lentamente iniziai con lo sguardo quel percorso doloroso che mi avrebbe condotta all’inferno. I miei occhi incontrarono prima le sue labbra, che piene e scure tremavano di rabbia, lasciando intravedere i denti bianchi, perfetti e digrignati. Poi ci fu il naso, bellissimo, quasi lupesco perfino nella sua forma umana, con le narici dilatate dalla furia. Infine, arrivai ai suoi occhi.
Due pozzi di petrolio in fiamme, luccicanti di disprezzo e rabbia. Pensavo di conoscere ogni sfumatura di quelle gemme scure, ma in realtà non li avevo mai visti così. Disperati, increduli, furibondi.
Io ero la causa di tutto. Mi portai una mano allo stomaco contratto dalla sofferenza. Presi fiato, non sapendo nemmeno da dove avrei potuto iniziare a spiegargli, impaurita dalla reazione che avrebbe potuto avere nello scoprire la verità.
Poi sulle sue labbra si aprì lentamente un ghigno sinistro. Una specie di sorrisetto malevolo, con solo un piccolo angolo della bocca sollevato. In quel momento i suoi occhi cambiarono ancora, un lampo di cattiveria e soddisfazione che non avrei mai pensato di vedere.
« Io so tutto, Bells » sollevò un sopracciglio e il ghigno si allargò « tutto » sibilò.
Il respiro mi si mozzò in gola, e fu come se un macigno mi fosse appena caduto in pieno petto, schiacciandomi i polmoni. Com’era possibile?
Jacob mosse un passo nella mia direzione, il viso indurito in una smorfia spavalda. Si abbassò per arrivare con il viso all’altezza del mio. Per un momento non disse niente, potevo solo sentire il suo respiro caldo ed accelerato dalla rabbia infrangersi contro la mia guancia. Mi sentivo morire, mi sentivo tremendamente in colpa, ma non potevo farci niente. Non riuscivo comunque, nemmeno in quel momento, a rinnegare la salvezza che Edward aveva rappresentato per me.
« Pensavi che avresti potuto gettarti tra le braccia di qualcuno senza che lo venissi a sapere? A maggior ragione se quel qualcuno è un certo Edward Cullen » sussurrava e pronunciò il nome di Edward con tale schifo che subito dopo fu costretto a deglutire « Riesci ad immaginare quanto sia stato piacevole per me vedere nella testa di un fratello le immagini di te abbracciata ad un altro? Di te che accarezzi qualcun altro? Di te che baci – e che Dio mi fulmini in questo momento, anche con molto trasporto – qualcuno che non sia io? » allontanò il viso dal mio quel tanto che bastava per guardarmi dritto negli occhi « Tu come ti saresti sentita? »
Forse ne sarei morta. Ma non ebbi il coraggio di rispondergli. Per non farmi investire in pieno dal suo dolore mi ripetevo continuamente che Edward era stato la mia salvezza, il ghiaccio sulle mie ferite. Ferite che aveva provocato lo stesso Jacob. Ricambiai il suo sguardo, determinata a far valere almeno in parte anche le mie ragioni.
« E tu come ti saresti sentito al posto mio? »
« Distrutto, Bells. Ma puoi scommettere la pelle che per me non avresti continuato ad esistere che tu. Come del resto è stato ».
Provai a ribattere ma fu più veloce di me.
« Oh, ma sai cosa c’è? In un universo parallelo in cui tu non fossi stata la mia unica ragione di vita, forse avrei potuto passarci sopra se avessi scelto una persona qualsiasi. Chiunque sulla faccia di questa Terra, ma non lui. Non quella feccia immonda che non dovrebbe nemmeno esistere. Come hai potuto scegliere quell’essere, Bella? Come diavolo è possibile che tu ti sia gettata tra le braccia della creatura più schifosa e meschina che l’uomo abbia mai conosciuto? »
Indietreggiai, offesa dalle sue parole
« Ma come ti permetti? » sbottai anch’io, tentando di dare una spinta al suo torace ampio che non si mosse nemmeno di un millimetro « Come ti permetti di dire queste cose di una persona che nemmeno conosci? Come osi mettere bocca in una mia scelta dopo essere stato tu stesso la causa di tutto? »
Inaspettatamente Jacob scoppiò a ridere. Una risata tanto amara quanto sinceramente divertita. Indietreggiai ancora, stupita.
« Io lo conosco molto meglio di te, Bells »
« Non dire stronzate, Jake »
« Io non ne ho mai dette, bambina »
« Ah, perché io l’avrei fatto? »
Sbuffò appena, come se avessi detto una cosa ridicola.
« Nah, forse nemmeno tu. Ma lui ti ha riempita talmente tanto di cazzate che quasi mi dispiace per te »
« Ma cosa ne sai tu? Cosa pretendi di sapere? » gridai « Sei sparito subito dopo il suo arrivo ed ora vorresti farmi credere di conoscerlo meglio di me? Sei soltanto incazzato nero! »
« Ah sì? oh, beh vediamo … » si portò una mano al mento e rivolse gli occhi verso l’alto, fintamente pensieroso « … hai notato che i suoi occhi cambiano colore? Ma certo, almeno qualche volta ti sarà successo, mentre li contemplavi imbambolata. E poi … ah sì! magari quando ha tentato di portarti fuori a cena come un essere umano qualsiasi ti sarai accorta di non averlo mai visto mangiare. Oh, aspetta, meglio ancora! » fece ricadere la mano lungo un fianco e strinse talmente forte il pugno che le dita sbiancarono « Quando gli hai permesso di posare le sue luride mani sul tuo corpo per farti accarezzare, per farti toccare, sarai sicuramente rabbrividita e – lascia che te lo dica io, fiorellino – non erano certo brividi di eccitazione »
Mi portai il palmo della mano alla fronte. Avevo anche spalancato la bocca per replicare, ma la verità nelle sue parole amare mi travolse come il mare in tempesta. Non erano cattiverie gratuite quelle.
Improvvisamente mi passarono davanti agli occhi tutti i momenti in cui pensavo di essere impazzita nell’aver visto gli occhi di Edward diventare neri, oppure tutte le giornate passate insieme senza che mangiasse o bevesse nulla, tutte le volte in cui mi aveva anche solo sfiorata e la sua pelle mi era sembrata fredda in maniera innaturale.
Alzai gli occhi in quelli di Jacob, erano furenti ma pieni di risposte che poteva darmi solo lui. Morivo dalla voglia di sapere tutto, ma allo stesso tempo volevo fosse chiaro che Edward era diventato importante per me, e non sarebbe bastato un po’ di fango a sminuire il suo ruolo nella mia vita.
« Lui è importante. Di qualsiasi cosa si tratti non lo pianterò in asso come tu hai fatto con me »
« Scommettiamo, piccola Bells? » inarcò un sopracciglio
Il lato sfacciato di Jacob tirava fuori il peggio di me, e qualche volta – come in quel momento – perfino la cattiveria.
« Tutto quello che vuoi, grande Jacob. Non sono scappata via urlando da un mostriciattolo mutaforma come te, di certo con Edward non potrà andare peggio »
« Invece sì, perché lui è più mostro di me! » gridò forte e alcuni animali nel bosco dietro di lui scapparono via impauriti.
Mi gelai. Lo guardavo con gli occhi spalancati e cercavo di trovare un senso a quella frase. Non poteva fare sul serio. Sentivo i nervi tremare a fior di pelle. La rivelazione di Jacob, tutti quegli stupidi battibecchi che sembra vogliano dire tutto ma alla fine non dicono niente. Mi sentivo stanca e tesa come una corda di violino, volevo soltanto che tutto finisse così come era iniziato. Possibilmente in fretta e con chiarezza. Mi drizzai sulle spalle e quando parlai la mia voce aveva ritrovato un timbro sicuro e deciso.
« Sono stanca di queste mezze frasi, Jacob. Dimmi quello che sai e facciamola finita ».
Jacob espirò forte, chiuse gli occhi e cominciò a tirare dei lunghi respiri profondi per tranquillizzarsi. Con il capo rivolto all’indietro e la mascella contratta, i miei occhi vagarono sul suo corpo per la prima volta da quando si era ritrasformato. I muscoli bruni e torniti lentamente venivano abbandonati dal tremore che li scuoteva. Il petto forte andava su e giù guidato dai polmoni che si riempivano d’aria, potevo quasi immaginare il diaframma tendersi e rilassarsi al di sotto del suo torace. Il ventre, piatto e dagli addominali che sembravano scolpiti nel bronzo, lentamente andava perdendo la tensione trattenuta fino a quel momento. Fu solo quando seguii le linee perfette dei suoi fianchi scendere lungo le forti cosce che mi resi conto per la seconda volta della sua nudità.
Ancora una volta arrossii ma, forse consapevole di non essere vista, non riuscii ad abbassare lo sguardo. Jacob era talmente bello da catturarmi. Certo, lo era sempre stato, ma in quei tre mesi era cresciuto talmente tanto da sembrare un vero uomo. Per un istante mi sembrò di non averlo mai conosciuto. Mi sentii come una ragazza qualsiasi che posa gli occhi su di un uomo incredibilmente attraente e spera soltanto che lui la inviti a bere qualcosa.
Jacob abbassò lentamente la testa ed io abbandonai la contemplazione del suo corpo. Quando riaprì gli occhi mi trovò con le guance in fiamme. Prima ancora che potesse aprirsi un sorriso malizioso su quelle splendide labbra incrociai le braccia al petto e sollevai anch’io il mento.
« Magari sarebbe il caso che tu ti rivestissi, prima di parlare »
Come se avessi detto tutt’altro, Jacob si drizzò sulle spalle, tirò il petto in fuori e pose con decisione le mani sui fianchi. Poi sorrise, e lo fece in maniera tanto sfacciata e maliziosa che chiunque al mondo sarebbe stato combattuto tra lo spaccargli la faccia e il gettarsi tra le sue braccia.
« Non mi pare che ti sia mai dispiaciuto quello che vedi »
Io avrei decisamente scelto la prima.
Ma prima che potessi muovermi o rispondergli come meritava, Jacob si avviò verso il cespuglio, urtandomi leggermente il braccio passandomi accanto. Qualche minuto dopo tornò davanti a me vestito soltanto dei suoi jeans stropicciati. Indicò il tatuaggio sulla spalla.
« Sai come ci chiamano quelli del mio popolo, Bells? … Protettori . Perché quello che siamo è nato secoli fa affinché potessimo proteggere la tribù dai predatori più meschini che siano mai esistiti. Esseri che uccidono per sostenere i loro corpi morti da secoli. Creature che si nutrono del sangue e della vita delle persone. Vampiri, Bella, e il tuo adorato Cullen è uno di loro »
Forse stavo impazzendo sul serio, ma in risposta scoppiai in una risatina breve ed acuta, quasi isterica. Pensai che volesse solo prendersi gioco di me. Poi il suo sguardo si fece più intenso, e la risata mi morì in gola. Possibile che stesse dicendo la verità?
Sentii le ginocchia diventare molli, mossi qualche passo all’indietro senza staccare lo sguardo dal suo, e quando riuscii a toccare con la mano il masso alle mie spalle mi ci sedetti sopra. Ancora incredula trovai un respiro per parlare.
« V-vorresti dire c-che Edward è … » agitai una mano, incapace di finire la frase
« Un fetido succhiasangue. Proprio così »
« Non è uno scherzo, Jake? Perché giuro che stavolta non … » deglutii a fatica
« Non hai proprio idea di quanto vorrei che fosse tutto uno scherzo »
« Oh mio Dio » sospirai abbassando la testa e raccogliendola tra le mani.
Chiusi gli occhi e respirai profondamente cercando di arrestare la ribellione del mio stomaco a quella notizia. Ma dove diavolo ero finita? In un film dell’orrore? Forse avevo sbattuto la testa e ora mi trovavo in una specie di incubo, in un delirio, in un’allucinazione! Possibile che nel mondo reale esistessero davvero i mostri? Avevo sempre snobbato l’horror spicciolo con vampiri protagonisti di film surreali … e adesso?
Adesso dovevo affrontare il fatto che il ragazzo che frequentavo da qualche mese fosse un vampiro. Nella mia testa le informazioni vorticavano alla velocità della luce, confuse tra centinaia di domande. Com’era possibile che nessuno si fosse mai accorto di nulla? Come potevano camminare liberamente alla luce del sole? Avevano ucciso della gente? Edward aveva ucciso qualcuno? … Perché non aveva ucciso me?
Sentii il sangue gelarsi nelle vene e un giramento di testa mi costrinse a sedermi sull’erba e poggiare la schiena al masso.
« Bella, tutto bene? »
Jacob si avvicinò e mi posò le mani sulle spalle. Non riuscii a rispondergli, ancora sotto shock. Lui mi prese il viso tra le mani e il loro calore fortissimo mi fece sentire subito meglio. Sospirai appena e abbandonai la testa alla sua presa forte e sicura. Aprii lentamente gli occhi. Jacob era lì che mi fissava, sopracciglia corrucciate e sguardo pieno di apprensione.
« Bells, rispondimi! »
Una folata di vento mi scompigliò i capelli e un brivido di freddo mi percorse tutta la schiena. Jacob mi scostò i capelli dal viso, si sedette accanto a me e mi avvolse le spalle con le braccia. Solo in quel momento notai che si era fatto buio.
« Va tutto bene, Jake. Sono solo un po’ scossa »
Fece per dire qualcosa ma lo zittii subito. Volevo restare un momento sola con i miei pensieri. Cercavo di riordinarli, di accettare quelle rivelazioni incredibili, ma più di ogni altra cosa ero alla disperata ricerca della paura.
Tra le migliaia di cose che mi frullavano nella testa e nell’animo non ce n’era nemmeno un accenno. Qualsiasi altra persona al mio posto forse sarebbe morta di terrore, invece io niente. Anzi, addirittura questa era la cosa che probabilmente mi spaventava più di tutto: il fatto che non nutrissi nemmeno un’ombra di timore.
Ci ragionai brevemente. Forse non ero del tutto fuori di testa e una spiegazione era possibile. Per me, Jacob e Edward erano semplicemente loro: due ragazzi testardi e pieni di difetti così come di pregi. Prima di conoscere il loro lato sovrannaturale io li avevo conosciuti come persone. Sapevo chi erano, di conseguenza il cosa fossero poteva quasi passare in secondo piano.
Quasi.
E qui ancora una volta mi stupii della mia anormalità. Non volevo ammetterlo, non volevo crederci, ma la verità era che da un paio di minuti c’era un pensiero fisso che aleggiava tra gli altri come una nebbiolina. Qualcosa di fastidioso che acquistava sempre più importanza col passare dei secondi, sgomitando e facendosi largo tra tutti gli altri pensieri, fino ad arrivare ad urlarmi nella testa.
Io ero incazzata nera.
Non avevo paura, non avevo crisi esistenziali, ma ero incazzata come una iena. In un secondo tutta la rabbia mi esplose nel petto come una bomba, arrivando forse alla più infantile delle considerazioni, ma era quella che mi mangiava dentro.
Il fatto che Edward fosse un vampiro era momentaneamente irrilevante rispetto al fatto che mi avesse mentito praticamente da sempre. Fin dall’inizio, e poi sempre più gravemente man mano che la nostra conoscenza cresceva così come le bugie, fino ad arrivare al massimo della falsità quando avevamo iniziato ad avere una storia.
Le mani cominciarono a tremarmi dalla rabbia e mi sentii stringere lo stomaco in una morsa furente mai provata prima di allora. L’unica persona che mi era stata accanto dopo il dolore di Jacob, l’unico di cui mi ero fidata, l’unico al quale avevo concesso di avvicinarmi, la persona che ritenevo importante come poche altre, colui che avevo ritenuto diverso, affidabile e puro … in realtà non aveva fatto altro che mentirmi.
« Bastardo » sussurrai.
Jacob si irrigidì appena al mio fianco « Come dici? »
Mi alzai di scatto sgusciando via dal suo abbraccio e gridai più forte « Bastardo! » con le lacrime agli occhi e il risentimento che mi strizzava lo stomaco.
« Oh no, non devi avere paura, Bells. Ci sono io adesso a proteggerti » Jacob si sollevò in piedi allungando le mani verso di me.
Le scansai bruscamente mentre continuavo a pestare l’erba e a proferire una serie di improperi che non ricordavo nemmeno di conoscere « Non ho paura, idiota! »
Jacob sussultò e sgranò gli occhi. Forse pensava che fossi del tutto pazza, e sinceramente in quel momento non avrei avuto nessun valido motivo per dargli torto.
« Non ho affatto paura, sono arrabbiata. Arrabbiata da morire! » gridai « Sono incazzata come mai prima di adesso e voi … » puntai un dito nella sua direzione «…voi siete davvero dei mostriciattoli. Tu e quell’altro bastardo siete veramente delle bestie che non si curano altro che di loro stesse! Cosa c’è?! Credete di poter trattare le persone come vi pare, come se non dovessero godere di alcun rispetto?! Eh?! Come funziona tra i mostri, Jake?!» gridavo talmente tanto che potevo sentire le vene del collo pulsare.
Jacob indietreggiava ad ogni parola, mente io lo incalzavo, preda di una furia che mi accecava completamente.
« Mi avete trattata come un burattino, senza valutare nemmeno per una volta che anch’io ho delle opinioni! Che anch’io merito rispetto e sincerità! E…» mi bloccai, colpita dall’ovvietà di un pensiero.
Smisi di gridare e mi incamminai verso il limitare della radura.
« Dove stai andando, Bella? » gridò
Non mi voltai, ero furente « A gridare le stesse cose in faccia all’altro responsabile di questa situazione »
« No, tu non ci vai da quelle sanguisughe! » mi raggiunse in pochi passi
Mi voltai e gli urlai in viso quasi potessi mangiarlo vivo « Non ti azzardare a dirmi cosa cazzo posso o non posso fare! »
Jacob ci penso su soltanto un istante, nel quale dovette valutare le mie effettive condizioni di furia totale.
« Allora verrò con te »
« Non potrei chiedere di meglio » sibilai a denti stretti, mentre lo incenerivo con lo sguardo prima di ricominciare la marcia furibonda verso casa.
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Capitolo 38 *** CAPITOLO 32 - Umanamente io ***
CAPITOLO 32 – “ Umanamente io”
La cosa divertente era che mentre guidavo ero arrivata a chiedermi se fosse mai esistito, nella storia del mondo, un essere umano che si era messo contro un licantropo ed un vampiro allo stesso tempo. Probabilmente no, altrimenti un’impresa tanto memorabile non sarebbe passata inosservata. O, più verosimilmente, quell’uomo era esistito, aveva tentato l’impresa, ma ne era uscito sconfitto – da leggersi come morto.
Qual’era la cosa divertente?
Che stavolta era una donna a provarci. Già questo sarebbe bastato a rendere meno scontato l’esito dello scontro. Oltretutto, la donna in questione era un concentrato di furia e risentimento, per cui … due a zero per l’umana. E terzo, ma non per questo meno importante, quella donna, quell’umana infuriata, ero io. E non avevo alcuna intenzione di uscirne sconfitta.
Ma del resto, quando mai avevo avuto ragione su qualcosa?
Jacob aveva tentato d’insistere perché fosse lui a guidare, ma alla fine ero salita in macchina senza nemmeno ascoltarlo. Avevo avviato il motore e l’unica alternativa che aveva avuto era stata quella di montare a bordo prima che partissi, o avrebbe dovuto tentarci in corsa. Ora era seduto al mio fianco mentre guardava fuori dal finestrino e continuava a borbottare qualcosa circa il fatto che avessi completamente perso la ragione. Non mi andava di controbattere, anche perché non ne avrei avuto motivo. Forse ero davvero uscita di testa ma poco mi importava, quello che volevo era soltanto dirne quattro ad entrambi.
Jacob cambiò posizione mettendosi comodo e io cominciavo a non sopportare più il calore asfissiante che si stava creando nell’abitacolo per colpa sua e del suo nuovo corpo febbricitante da lupo. Mi sembrava di scarrozzare in giro un’enorme stufa a legna. Tirai giù il finestrino sbuffando e gli lanciai un’occhiataccia. Il freddo della sera fortunatamente arrivò tempestivo in mio aiuto, graffiandomi il viso.
Jacob sbuffò a sua volta, anche se sinceramente non capivo proprio perché ne avesse motivo. Saggiamente però non disse nulla, forse il suo istinto da lupo gli aveva suggerito di tenere la boccaccia chiusa se voleva conservare intatta la pelle fino a che lo Chevy era in movimento.
« Scatenerai una guerra, Bells. Ma non lo capisci? Non che mi dispiaccia, non aspetto altro, ma ci sono dei fratelli che non mi andrebbe proprio di vedere azzoppati così giovani. Che ne so, uno a caso … Seth, per esempio? »
Ecco, mi sembrava strano che non ricominciasse. Erano almeno dieci minuti che mi ripeteva quella storia dei territori. Lui, come gli altri lupi, non poteva mettere piede nel territorio dei Cullen e viceversa, altrimenti il patto era rotto, si sarebbe scatenata una battaglia all’ultimo sangue e bla bla bla. Mentalmente risi alla scelta azzeccata dell’espressione “all’ultimo sangue” prima di rispondergli.
« Nessuno ti ha chiesto di venire con me. Se vuoi puoi scendere subito dalla macchina e ti ricordo che usare il mio attaccamento a Seth non servirà a nulla nella tua opera di persuasione »
Borbottò ancora in risposta, infastidito, anche se al mio orecchio arrivarono solo stralci di proteste tipo “porterai sulla coscienza”. Se non la smetteva fra non molto mi sarei portata sulla coscienza anche il tentato omicidio del mio ex migliore amico nonché ex ragazzo.
Fu un secondo e da dietro la curva che stavo per imboccare sfrecciò nella corsia opposta la Volvo di Edward. Jacob scattò a sedere mentre quello che potevo definire unicamente come un ringhio saliva forte dal suo petto. Mi fece leggermente impressione, ma non ci badai più di tanto. Piuttosto mi seccava dover tornare indietro e raggiungere Edward dovunque stesse andando. Terminai la curva e non ebbi nemmeno il tempo di sbuffare che vidi la macchina grigia spuntare dietro di me. In pochi secondi mi fu incollato al paraurti e riuscivo a vedere la furia nei suoi occhi neri perfino dallo specchietto retrovisore. La domanda mi nacque spontanea.
« Che significa quando hanno gli occhi neri? »
Jacob in risposta ringhiò ancora più forte, scoprendo perfino i denti.
« Se non me lo dici tu adesso, lo chiederò a lui dopo. O comunque lo verrò a scoprire in qualche modo »
« Vuol dire che sono assetati » mi rispose spazientito « o che sono furibondi. E comunque avrebbe risposto lui stesso a questa domanda, dato che ti può sentire tranquillamente da lì »
« Benone » sussurrai.
Non diedi tempo né all’uno né all’altro di assimilare la mia risposta che sterzai bruscamente verso un tratto sterrato nella foresta alla mia destra. Ovviamente la Volvo non trovò alcun ostacolo nel seguirmi. Frenai poco dopo aver abbandonato l’asfalto, lasciando giusto lo spazio ad Edward per fermarsi dietro lo Chevy, poi tirai il freno a mano e scesi sbattendo la portiera.
« Ma ti pare che ti fermi sul ciglio della strada, Bells? » mi gridò Jacob, lasciando la portiera del passeggero spalancata.
« Non mi interessa, oggi è Natale e le persone normali sono tutte in casa a festeggiare. Sono sicura che a nessuno salterà in mente di venire a controllare se sul ciglio della statale ci siano una ragazza infuriata, un vampiro ed un licantropo che si scannano ».
Forse si sarebbe anche messo a ridere se Edward non gli fosse piombato addosso in meno di un secondo, bloccandolo fra le sue braccia e il mio pickup.
« Cosa le hai raccontato, cane? » gli gridò in faccia
Jacob ringhiò tanto da far vibrare lo Chevy e con una sola spinta lo scaraventò tra gli alberi.
« Ancora troppo poco, succhiasangue » rispose senza scomporsi più di tanto.
Edward si rialzò e si mise in una posizione che mi ricordava molto quella dei gatti quando stanno per saltarti addosso, così fui io a gridare.
« Ma siete impazziti? Vi pare questo il momento per una scazzottata? »
Entrambi mi guardarono con un’espressione che gridava se-non-ora-quando? Poi Edward parve tornare leggermente in sé. Forse si rese conto della situazione in cui si trovava con la sottoscritta e si rimise in posizione eretta. Sul suo volto si dipinse una maschera contrita, di dolore sincero, che in qualsiasi altro momento mi avrebbe fatto stringere il cuore insieme a quegli occhi da uomo disperato. Ma non in quel momento. Si incamminò verso di me, ma quando fu a pochi passi dal raggiungermi Jacob frappose un braccio tra di noi.
« Non ti avvicinare o te la vedrai con me »
« Lo sai che non aspetto altro, bastardo »
« Smettetela subito » mi imposi decisa.
Entrambi mi guardarono. Jacob tremava dalla rabbia, Edward sembrava una statua scolpita nel marmo, ed io in quel momento volevo parlare principalmente con la statua.
« Tu mi hai mentita » lo fissai negli occhi neri, come non li vedevo da tanto tempo
« Non avrei mai potuto dirti la verità »
« Perché? Credevi che non l’avrebbe retta? » si intromise Jacob.
Edward ringhiò a sua volta « No, cane. Forse io semplicemente non sono senza scrupoli come te »
« Puah! Una sanguisuga che si definisce senza scrupoli, questa sì che è bella, devo raccontarla al branco appena torno in riserva »
« State zitti! » gridai « Pensate che sia possibile tentare di avere una discussione costruttiva? » mi voltai verso Jacob « Se non ti dispiace vorrei chiarire un paio di cose con Edward, prima »
« Come vuoi, ma io da qui non me ne vado »
Jacob indietreggiò di un passo soltanto, poggiandosi con la schiena al pickup che si inclinò appena sotto il suo peso, poi incrociò le braccia al petto e puntò lo sguardo dritto su Edward.
Mi voltai anch’io verso quello che, ufficialmente, era ancora il mio ragazzo.
« Come hai potuto riempirmi così tanto di bugie? Ti rendi conto che tutto quello che abbiamo non è altro che un pugno di mosche? » Edward aprì bocca per protestare « E non provare a dire che ho torto, perché le cose stanno esattamente così. Ti ho dato la possibilità di avvicinarti, ho cercato di capire cosa nascondessi in quegli occhi tanto tormentati e tu cos’hai fatto? Ti sei preso gioco di me, raccontandomi un sacco di bugie. Magari non è vero niente di quello che mi hai raccontato su di te, magari è la stessa copertura che usi da secoli e io non sono altro che una delle tante »
« Non è così, Bella, cerca di capire … »
« No, cerca di capire tu, Edward! » gridai « Io mi sono fidata di te. Tu mi hai soltanto presa in giro »
Edward si avvicinò e prese le mie mani tra le sue. Dalle mie spalle arrivò il ringhio infastidito di Jacob ma Edward lo ammonì con lo sguardo, prima di posarlo su di me.
« Esistono delle leggi per quelli come noi, Bella. Una di queste ci vieta di far conoscere agli umani la nostra vera natura … come del resto dovrebbe essere anche per i cani » sibilò rivolto a Jacob.
« Pensa a te, succhiavita »
Sfilai le mani da quelle di Edward, infastidita.
« Per una volta devo concordare con Jacob. Pensa a te, Edward. Pensa a noi! »
Ero sconvolta da tutta quella situazione e le mie parole sembrarono riportare anche Edward alla persona che avevo conosciuto e che pensavo di conoscere.
« Scusami, ti prego perdonami » sussurrò mentre lentamente si inginocchiava ai miei piedi.
Entrambi ignorammo la risatina che Jacob a stento riuscì a trattenere.
« Vago su questa terra, in questa vita, da oltre cento anni e tu sei stata l’unica persona in grado di ridare vita al mio cuore. Dal momento in cui ti ho vista la mia intera esistenza è stata sconvolta e il mio unico desiderio era quello di starti accanto. Tu dovresti vederti, Isabella » i suoi occhi si scaldarono, e ritrovai il ragazzo di cui mi ero fidata « Sei così delicata ai miei occhi, così fragile. Anche se le nostre leggi non fossero esistite come avrei mai potuto pensare di sconvolgere la tua vita con una tale rivelazione? Con quale coraggio avrei trovato le parole per confessarti che ero un mostro? »
Non sapevo perché, ma era esattamente quello che mi ero aspettata che mi dicesse. Sospirai, e poi gli risposi, con tutto il carico di sconfitta che mi sentivo pesare sulle spalle.
« In questi casi non serve il coraggio, Edward, basta il rispetto. Se tu avessi avuto un briciolo di rispetto per me, la mia intelligenza, la mia persona, non mi avresti ingannata così. Guardami, ora lo so, so cosa sei. Eppure ti sembra che io sia impazzita? Beh, forse lo sono, ma non per il motivo che immaginavi tu. Non mi importa di cosa sei, ma non posso sopportare l’idea che tu mi abbia mentita così a fondo »
« E non sai nemmeno tutto » aggiunse Jacob alle mie spalle.
Vidi Edward irrigidirsi e poi sollevarsi in piedi molto lentamente, con un’espressione un po’ incredula sul volto.
« Cosa vuoi dire? » mi voltai
« Non ti permettere … » sibilò Edward
Jacob affinò lo sguardo e proseguì « Non ti sei chiesta come mai lui sapesse già tutto, quando siamo arrivati qui? »
L’ovvietà di quella domanda mi colpì in pieno. Aveva ragione, ma io ero così offuscata dalla rabbia che non avevo pensato a nient’altro in quel momento, se non al chiarimento che stavo per pretendere.
« Sei uno sporco bastardo »
« E tu sei uno schifoso manipolatore, insieme a quel mostro di tua sorella »
« Cosa significa? » mi intromisi, prima che Edward potesse scattare di nuovo verso Jacob.
Edward mi guardò e nei suoi occhi lessi qualcosa di quanto più simile alla colpevolezza che avessi mai visto.
« Rispondimi per favore » insistetti « Come facevi a sapere cos’era successo? Come facevi a sapere che stavo venendo da te? »
Ci fu un momento di pausa durante il quale tentai di vagliare alcune soluzioni, ma nessuna di quelle che riuscivo ad immaginare mi sembrava potesse andare bene. Semplicemente, iniziai a prepararmi a qualche altra confessione sovrannaturale, sperando che il mio sistema nervoso potesse reggere ancora un po’ prima di mandarmi a quel paese.
« Alcuni di noi hanno … delle doti » confessò ad occhi bassi
« Che genere di doti, Edward? »
« Sono più che altro caratteristiche che qualcuno di noi aveva da umano che però, non si sa come o perché, vengono enfatizzate con la trasformazione e … ci ritroviamo ad avere delle capacità particolari »
« Non ti ho chiesto come, ti ho chiesto cosa » lo interruppi.
La tensione nella mia voce era specchio di quella che sentivo nello stomaco, e per un secondo soltanto mi meravigliai che Jacob ci stesse lasciando avere quella conversazione senza dirne nemmeno una delle sue. Forse si stava già godendo abbastanza la situazione.
« Non sapevo cosa fosse successo, ma l’ho capito quando ti ho sentita fare quella domanda poco fa in macchina. E non sapevo che stessi venendo da me. »
« Vuoi smetterla di riempirmi di balle? » alzai la voce
« Sto dicendo la verità! »
« E allora dilla tutta, per una buona volta »
Edward tentennò, poi alla fine si decise a dirmi tutto.
« Alice ha la dote di vedere il futuro »
Spalancai occhi e bocca. Ma mi stava prendendo in giro? Anche se, ormai, non c’era più nulla a cui non potessi credere dopo quel giorno. Forse era la vita stessa che si stava prendendo gioco di me.
« Cos.. » tentai di dire, ma a quel punto lui sembrava deciso a parlare.
« Ognuno di noi prende delle decisioni nella vita quotidiana ed Alice è in grado di seguirle, prevederle e di vedere il loro esito. Però, purtroppo, non riesce a vedere nulla che riguardi i cani e di conseguenza nemmeno delle persone che gli stanno intorno. Come te oggi per esempio. Quando sei improvvisamente sparita dalle visioni di Alice ho capito immediatamente cosa stesse succedendo e ho cercato di raggiungerti »
« Aspetta, aspetta. Fermati » sollevai le mani nella sua direzione.
Boccheggiai per un momento, cercando di aiutare il mio cervello perlomeno garantendogli un grosso apporto di ossigeno. Metabolizzavo l’informazione e al tempo stesso mi chiedevo se prima o poi mi sarei svegliata, scoprendo che era tutto soltanto un sogno ridicolo. Ma ovviamente non cambiò niente. Nessun pizzico che ti riporti al mondo reale, quindi il mondo reale doveva essere sicuramente quello in cui mi trovavo in quel momento, per quanto pazzo fosse.
Evidentemente, però, l’ossigeno dovette fare un giro strano perché ancora una volta mi ritrovai ad avere una reazione inaspettata a quelle rivelazioni. Ancora una volta le mie considerazioni su di un fatto paranormale, nella mia testa si riducevano ad elementi estremamente umani.
« Questo vuol dire che … Alice mi … mi teneva … sotto controllo? » faceva strano perfino anche a me pronunciare quelle parole da film scadente. « Teneva sotto controllo me o le decisioni che prendevo? »
Pregai intensamente che mi dicesse di no, che mi ero sbagliata. Non aveva potuto farmi anche quello, no.
Ma ancora una volta Edward abbassò lo sguardo, confermando in pieno i miei timori. Allora la mia rabbia tornò più forte di prima, riuscii quasi a sentirla esplodermi dentro.
« Ma come ti sei permesso? » gridai « Chi sei tu per venire nella mia vita, riempirmi di bugie e tenermi addirittura sotto controllo? Ma ti rendi almeno conto di quello che hai fatto? Sei uno stronzo, Edward! Sei solo uno stronzo, bugiardo, egoista! » mi dimenavo come se avessi messo le dita nella presa della corrente.
Edward fece una smorfia di dolore e tentò di avvicinarsi.
« Ti prego, non fare così. Era per il tuo bene, non volevo che ti potesse mai accadere nulla di male. E questo è esattamente il motivo per cui non volevo che venissi a sapere tutto »
Quelle parole mi infiammarono ancora di più il cervello. Pestai l’erba e diedi un calcio alla ruota dello Chevy, mentre Jacob guardava tutta la scena con un sorriso soddisfatto in volto. Ma erano tutti impazziti?
« Tu sei pazzo! » gridai contro Edward con tutto il fiato che avevo in corpo « Sei un pazzo maniaco e credo sia l’unica cosa vera che conosco di te. E tu! » puntai un dito contro Jacob « Ti stai divertendo abbastanza? Lo spero per te, perché questo sarà l’ultimo spettacolo che ti offro! »
« Andiamo, Bells, e io che c’entro? »
« Tu mi hai abbandonata come se non valessi niente! »
« Ma l’ho fatto per il tuo bene »
« Il prossimo di voi due che si azzarda a dire che ha fatto qualcosa per il mio bene giuro che gli stacco la faccia a morsi » sibilai seria
« L’unica cosa che potresti fare per il suo bene sarebbe sparire dalla sua vita » si intromise Edward
« Oh, ma senti da che pulpito. Tu a quest’ora dovresti essere soltanto un mucchietto di polvere »
Edward si avvicinò a Jacob con fare minaccioso.
« Almeno io non rischio di sfregiarla a vita se mi saltano i nervi »
Jacob non si tirò indietro, facendo un passo verso Edward e trovandosi ad affrontarlo muso a muso.
« Già, hai ragione, tu la dissangueresti. Togliendogliela direttamente, la vita »
« Non paragonarmi a te, bestia. Io riesco a controllarmi meglio di quanto tu possa arrivare a fare in una vita intera »
« Certo, perché tu sei bravo nel controllare perfino la testa degli altri, non è vero? »
« Non osare … »
« Cosa? » Jacob quasi poggiò il suo naso su quello di Edward « Farle finalmente sapere che riesci a frugare nella testa della gente? » Edward ringhiò.
Io, che fino a quel momento avevo assistito incredula e quasi schifata a quella scena in cui a nessuno dei due pareva importare che ci fossi anch’io, mi portai istintivamente le mani alla testa.
« Oh Dio » intrecciai le dita ai capelli.
Non era possibile. Tutto ma non quello. Non poteva essere arrivato fino a quel punto senza dirmi niente.
« Di tutti meno che di lei, bastardo » sibilò Edward.
In un secondo tutta la tensione tra noi parve allentarsi. Jacob spalancò gli occhi e indietreggiò, colpito da quella che doveva essere una novità perfino per lui. Io mi poggiai con tutto il peso allo Chevy dietro di me, sospesa tra il sollievo che i miei pensieri fossero stati al sicuro e lo shock di quelle novità. Edward inspirò a fondo e poi il suo sguardo iniziò a saltare da me a Jacob e viceversa.
Un piccolissimo sorriso cattivo si aprì sulle sue labbra, in quel momento esangui.
« Oh, non lo sapevi, cucciolo? Quanto mi dispiace. Forse così imparerai a tenere il muso serrato invece di traumatizzare Bella »
« Non potrei essere più contento per lei, invece » rispose Jacob che mi sembrava ancora un po’ stupito di quella notizia « E io non la traumatizzo affatto. La tratto semplicemente con rispetto, dicendole tutto quello che merita di sapere »
« No, tu sei soltanto uno sporco cane egoista e presuntuoso che … »
« State zitti »
Per un secondo quasi non riconobbi la mia voce. Avevo pronunciato quelle due parole quasi sottovoce, eppure erano bastate a far ammutolire entrambi. Ero stanca, incredula, sconvolta, e tutto questo era stato palese nel tono apparentemente pacato che avevo utilizzato.
Mi sentivo stravolta, e più che dai contenuti lo ero dal modo in cui quei due si erano scannati per tutto quel tempo davanti a me, in una sorta di gara a chi sputava meglio addosso all’altro. Per la prima volta assorbii tutta la portata delle emozioni che stavo provando e l’impatto fu devastante. Nessuno dei due si era sinceramente preoccupato di me. A nessuno dei due era saltato in mente che potessi avere qualcosa da dire, come se avessi un cervello talmente debole o influenzabile da non poter formulare un giudizio da sola, senza le loro rispettive accuse.
Li guardai, uno per volta, e perfino in quel momento lessi nei loro sguardi una scintilla di incredulità mista a timore. Timore che stessi per perdere il senno da un istante all’altro, come se non fossi in grado di sostenere quella situazione. Ovviamente in quel senso si sbagliavano, ma su di una cosa avevano centrato il punto entrambi. Stavo per crollare, e lo feci nella più normale ed umana delle maniere.
Iniziai a sgretolarmi. Internamente e senza fare troppo rumore, usando le ultime forze per non ridurmi in macerie davanti a loro, o almeno non prima di aver detto la mia.
« Avete finito la gara di testosterone? Perché di questo credo si tratti, a meno che uno di voi adesso non se ne esca con qualche altra rivelazione sovrannaturale, del genere che in realtà possedete qualche altro tipo di ormone da supereroi. »
Nessuno dei due fiatò, completamente spiazzati dalla calma serafica che dimostravo in quel momento. In realtà stavo solo sfruttando l’ultimo barlume di lucidità che possedevo, prima di implodere definitivamente.
« Bene, sinceratami che nell’organismo di entrambi circola dell’umanissimo testosterone ora posso continuare. Io non sono un oggetto, un trofeo da conquistare o, peggio, un territorio da marcare. Che ci crediate o meno, Isabella Swan ha un cervello che funziona, se non alla perfezione, quantomeno bene. »
Mi rimisi dritta sulle spalle, scostandomi dallo Chevy, sostenendo di nuovo tutto il mio peso da sola, sperando che afferrassero anche quello come metafora di quanto stavo dicendo.
« Voi due mi fate schifo. Nessuno escluso, nessuno di più o di meno dell’altro. Mi fate voltare lo stomaco allo stesso identico modo, perché mi avete trattata entrambi alla stessa identica maniera. Come se fossi un’inetta, una poveraccia che non è in grado di badare a sé stessa o agli imprevisti della vita. E’ vero, non sono un mutante, così come non ho idea di cosa voglia dire una vita da vampiro. Ma io conosco il mondo forse meglio di voi. Siete così presi da questo vostro piccolo mondo di mostri da non rendervi più conto di quale sia la vita vera.
Ho diciotto anni, e nella mia giovane esistenza ho affrontato il divorzio dei miei genitori, lo sgretolarsi della mia famiglia. Mi sono trasferita da un capo all’altro dell’America almeno tre volte, sradicando ogni punto fermo che fossi riuscita a costruire e affrontando una vita nuova, tirandomi su le maniche per crearmene di nuovi. Come se non bastasse, nell’arco di tempo fra questi trasferimenti, ho dovuto sempre vestire i panni dell’adulta della situazione, con una madre che – anche senza rendersene conto – non era in grado di badare responsabilmente nemmeno a sé stessa, figuriamoci a due persone. E quando credevo che finalmente tutto potesse iniziare a mettersi a posto anche nella mia vita, vengo abbandonata come un giocattolo usato dal compagno che pensavo avrei avuto al mio fianco per il resto della vita. Ma tutto questo ancora non bastava, evidentemente, perché dopo l’oceano di dolore che ho affrontato, e dopo aver trovato la forza d’animo per tornare a fidarmi di qualcuno, scopro che anche questa persona è soltanto un altro pugno nello stomaco che la vita mi ha riservato. »
Mi interruppi solo quando mi resi conto che un nodo enorme stava per soffocarmi. Gli occhi mi bruciavano da impazzire, ed ero sicura che le lacrime mi stavano solcando il viso copiose. Non me ne curai, anzi, forse me l’aspettavo. Era prevedibile che scoperchiando tutte le scatole piene di dolore del mio passato mi sentissi così. Stanca, distrutta, provata, ma non per questo meno forte.
Entrambi i ragazzi che fino a quel momento non avevano pensato ad altri che a loro stessi mi guardavano con occhi nuovi. Come se solo in quel momento capissero cosa avevano fatto, quanto mi avessero sottovalutata, quante cose di me non avevano messo in conto nel momento in cui avevano deciso cosa fare della mia vita. Perché era questo l’errore più grande che non avrei mai perdonato a nessuno dei due. Avevano creduto che non fossi in grado di affrontare la realtà dei fatti, non rendendosi conto che quelli che non riuscivano a guardare oltre il proprio naso fossero loro stessi.
Tirai su col naso, mi asciugai gli occhi e mi schiarii la voce. Volevo essere certa che non prendessero quelle parole soltanto come una cosa del momento. Parlai piano e pacatamente.
« Per questo ora andate a fanculo entrambi. Sono in grado di badare a me stessa meglio di quanto possiate fare voi due messi insieme. Non voglio più vedervi. »
Mi voltai senza nemmeno la voglia di guardare le loro facce o la loro reazione alla mia decisione. In quel momento decisi che prima di ogni altra cosa, prima di chiunque, avrei messo soltanto me stessa. Girai intorno allo Chevy e salii a bordo con lo sguardo di entrambi puntato addosso, immobili. Misi in moto e mentre rientravo in carreggiata mi chiesi se una volta andata via si sarebbero uccisi con le loro stesse mani.
Mi risposi che non mi importava.
L’unica cosa di cui realmente mi importava in quel momento era di riuscire ad arrivare a casa ancora tutta intera, prima di crollare in mille pezzi che avrei ricomposto ancora una volta da sola.
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Capitolo 39 *** Avviso, Buone Vacanze! ***
Lo so, avevo detto che avrei
postato un capitolo prima di partire, me l'ero ripromesso, ma purtroppo
non ce l'ho fatta. Piuttosto che pubblicarvi uno sgorbietto non finito
e pieno di errori, preferisco lasciar perdere. Mi dispiace immensamente
di avervi fatto attendere così a lungo senza dare nulla in
cambio, ma prometto di darvi il meglio al ritorno delle vacanze.
Infatti, auguro ad ognuna/o di voi una splendida estate, proprio come
la desiderate o l'avete programmata, che sia in pieno relax o
all'insegna del divertimento puro.
Per quanto riguarda me, domattina prenderò il volo verso la mia vacanza,
durante la quale spero davvero di riuscire anche a scrivere qualcosina.
Per questo, a chiunque ne abbia ancora voglia, do appuntamento a
Settembre per i nuovi capitoli di Undisclosed
Desires.
Vi ringrazio infinitamente, abbracciandovi uno ad uno,
perchè senza di voi Roberta87 non esisterebbe nemmeno.
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Capitolo 40 *** CAPITOLO 33 - La fine e l'inizio ***
CAPITOLO 33 – “ La fine e l’inizio”
Quella sera tornai da Angela, scoprendo per la prima volta quanto fosse meno difficile ricomporre i pezzi della propria vita quando si ha l’aiuto di qualcuno. Fu lei stessa ad avvertire Charlie che non sarei rientrata a dormire quando entrai in camera sua in lacrime. Per un brevissimo istante fui tentata di raccontare tutto liberamente alla mia migliore amica, anche per il gusto di una ripicca nei confronti dei due ragazzi che avevano avuto così poco rispetto per me. Poi il buon senso prevalse e, tra un singhiozzo e l’altro, le raccontai che Jacob era tornato, che aveva preteso che lo perdonassi come se niente fosse accaduto e che, venuto a sapere di me ed Edward, punto dalla gelosia mi aveva svelato molte bugie che Edward mi aveva rifilato in quei mesi. La mia migliore amica non chiese altro, si prese cura di me per il resto della notte e di questo le fui immensamente grata. Il giorno dopo ne parlammo con più tranquillità, o meglio, Angela mi riempì la testa di chiacchiere su quanto fosse delusa da entrambi ma orgogliosa della mia scelta. Nel pomeriggio mi sentii pronta per tornare a casa e, nonostante Angela avesse insistito affinché restassi da lei per qualche giorno, saltai a bordo dello Chevy sentendomi molto più forte di me stessa e della scelta che avevo fatto. Tutto merito di Angela, anche se lei sbuffò quando glielo dissi.
La cosa che non mi sarei mai aspettata fu che sia Jacob che Edward rispettarono la mia decisione di non voler vedere nessuno dei due. Tramite Angela e Seth seppi subito che Jacob era tornato a casa sano e salvo quella stessa sera, così come Edward. Dal canto mio cercai di cavarmela al meglio e riuscii in qualche modo anche a spiegare a Charlie che adesso non frequentavo nessuno dei due. Sul momento ci rimase un po’ male, anche lui forse si aspettava che tra me e Jacob le cose sarebbero tornate subito come prima, poi però il lato protettivo dell’essere mio padre prima che amico di Billy lo portò a darmi ragione. Come suo solito non fu affatto invadente e mi lasciò tutto lo spazio di cui avevo bisogno. Declinò perfino l’invito di Emily a trascorrere il capodanno alla riserva. Così, per ricambiare la sua attenzione nei miei confronti, mi ritrovai invece ad accettare l’invito di un suo collega che aveva fittato un enorme cottage vicino Port Angeles per festeggiare tutti insieme.
La mattina dell’ultimo giorno dell’anno sembrava che qualcuno in cielo avesse dimenticato di chiudere il rubinetto. La pioggia scrosciava rumorosa fuori dalle finestre, il cielo era talmente scuro che tutti nel vicinato tenevano accese le luci nei cortili e sotto i portici, mentre un vento furioso agitava gli alberi ed arrivava perfino a sovrastare la musica che veniva fuori dalla vecchia radio che tenevo poggiata sul davanzale interno della finestra appannata.
Allungai una mano a girare la rotellina consunta e le note dell’ultima canzone di Adele si librarono forti e chiare intorno a me. Tenevo il ritmo con la punta di un piede che, avvolto nel pesante calzino a pallini, non produceva alcun rumore sulle piastrelle chiare della cucina. La corpulenta, eppure bellissima cantante stava gridando al mondo di come avesse “dato fuoco alla pioggia”. Un lampo illuminò per qualche secondo il paesaggio nero fuori dalla finestra ed io sorrisi, chiedendomi se ad Adele potesse pesare molto venire a fare una capatina a Forks per provare a dar fuoco anche a quella, di pioggia.
Mescolavo lentamente con un cucchiaio in legno la crema nel pentolino, che ribolliva morbidamente sul fuoco a fiamma bassa. Tirai fuori il cucchiaio e con la punta della lingua presi un piccolissimo assaggio della crema, constatando che ci sarebbero voluti altri dieci minuti prima che fosse pronta. Poggiai l’utensile in legno sul bordo del pentolino ed aprii il forno, infilai il guanto imbottito e tirai a me prima la lasagna – che era ben lontana dall’essere cotta – e poi il pan di spagna sulla teglia inferiore. Il colorito dorato mi suggeriva che fosse cotto a puntino e quando infilai un lungo bastoncino in legno in profondità, per poi tirarlo fuori e constatare che era asciutto, ne ebbi la conferma. Facendo attenzione a non scottarmi tirai il pan di spagna fuori dal forno e lo deposi sul tavolo a raffreddare, per poi tornare velocemente ad occuparmi della crema.
Ogni famiglia avrebbe portato qualcosa quella sera, Charlie aveva insistito che preparassi la lasagna che gli piaceva tanto, mentre la torta di pan di spagna farcita con crema pasticcera e ricoperta di glassa al cioccolato era stata un’idea mia. Charlie non sarebbe rientrato prima di sera ed io mi ero dedicata alla cucina con largo anticipo per contrastare con un po’ di calore l’orribile temporale di quella mattina. Angela mi aveva telefonata pochi minuti prima, informandomi che avrebbe trascorso tutta la giornata in riserva con Seth a casa di Emily. Il marmocchio l’aveva invitata ad uscire il giorno successivo al suo compleanno e la mia migliore amica aveva ceduto immediatamente ed irrimediabilmente al fascino dei ragazzi Quileute. Da quel giorno i miei due grandi amici avevano iniziato una bellissima e serena relazione ed io, una volta fatta l’abitudine a quella strana situazione, non potevo essere più felice per loro. Avevo davanti a me una lunga, rilassante e solitaria giornata tra i fornelli con la sola compagnia di un po’ di buona musica.
Per questo sussultai quando il campanello suonò inaspettatamente. Il cucchiaio di legno ricadde pesantemente nel pentolino e uno schizzo di crema bollente mi colpì il pollice. Mi lamentai appena e portai il dito alle labbra mentre spegnevo il fuoco, non volevo rischiare che la crema bruciasse durante la mia breve assenza. In quel momento un tuono più forte degli altri fece vibrare i vetri alle finestre ed io corsi più in fretta che potei alla porta, per non lasciare ulteriormente al freddo la persona lì fuori. I calzini pesanti persero aderenza al pavimento in prossimità dell’ingresso così giunsi alla porta quasi in scivolata, aggrappandomi alla maniglia, e spalancandola di colpo. Mi ritrovai in una posizione decisamente imbarazzante, quasi del tutto aggrappata alla maniglia, con le gambe distese lunghe davanti a me e il sedere a pochi centimetri da terra. Mi sentivo uno scimpanzé e quando alzai lo sguardo non potei che arrossire ancora di più per l’imbarazzo. La perfezione fatta corpo, più precisamente incarnata in quello di Edward Cullen, mi fissava con le sopracciglia sollevate, la bocca socchiusa in una morbidissima “o” ed uno sguardo decisamente divertito.
In automatica risposta a quella visione i miei polmoni smisero di assolvere alla loro funzione e non mi resi nemmeno conto di aver smesso di respirare. Edward era di una bellezza incredibile, con nemmeno un capello fuori posto nel loro perfetto disordine, nel maglioncino azzurro con camicia abbinata miracolosamente asciutti nonostante la tempesta. E poi quegli occhi d’ambra che sembravano liquidi per la loro bruciante intensità. Tornai a realizzare solo in quel momento che gli stessi occhi magnetici mi stavano fissando con un certo divertimento. Mi odiai tantissimo, ancora una volta avevo fatto la figura della scema e non si trattava della mia eterna goffaggine. Per l’ennesima volta la bellezza di Edward mi aveva incantata, rendendomi un fantoccio ancor più ridicolo se non ai suoi occhi, decisamente ai miei. Però, maledizione, avrei scommesso la testa che chiunque al posto mio avrebbe avuto la stessa reazione. Ritrovarsi di colpo una bellezza simile davanti, senza alcuna preparazione e dopo giorni di lontananza, avrebbe steso chiunque. Figuriamoci un anatroccolo goffo come me. In quel momento tutta la sua perfezione mi diede decisamente fastidio, non mi sentivo mai a mio agio di fronte ad una tale discrepanza e quando ero con Edward odiavo quel leggero senso di inadeguatezza che mi accompagnava in ogni secondo che trascorrevamo insieme.
Superato lo stupore iniziale, Edward sorrise ed allungò una mano nella mia direzione per aiutarmi. Dopo aver fatto la figura della scema non avrei mai lasciato che mi tirasse anche su, così mi rimisi in piedi da sola ed incrociai le braccia al petto. Poteva anche essere il ragazzo più perfetto di questo mondo ma non avevo certo dimenticato di aver detto a lui e a Jacob di non volerli più vedere. Certo, sapevo benissimo che non potevo ingannare me stessa e che con quelle parole non intendevo non vederli mai più. Ma di certo le mie parole implicavano un lungo periodo di separazione durante il quale non sarebbero stati più loro due a decidere alcunché.
« Ciao », disse semplicemente.
I suoi occhi mi scrutavano avidi il viso, soffermandosi a lungo su ogni lineamento. I suoi sguardi erano l’equivalente di carezze e la loro intensità me li faceva percepire esattamente così, come se riuscissi a sentirne il tocco sulla pelle. Sentii un brivido nascermi alla base del collo e proseguire deciso lungo tutta la schiena e, orgogliosamente, decisi di attribuirlo al freddo e al vento che entravano prepotenti dall’uscio.
« Ciao », risposi cercando di apparire quanto più distaccata possibile, « cosa ci fai qui? »
« Volevo soltanto parlarti », si strinse appena nelle spalle « e mi mancavi » aggiunse sommessamente mentre un tuono copriva quasi del tutto le sue parole.
Ignorai l’ultima parte della frase, così come lo stupore nel constatare che era lo stesso anche per me.
« Pensavo di essere stata chiara l’ultima volta che ci siamo visti. Non voglio vederti. »
« Ti prego, Bella. Chiedo soltanto di avere la possibilità di spiegarmi. Lascia che ti racconti io stesso tutto ciò che mi riguarda ».
Avrei tanto voluto avere il polso fermo per sbattergli la porta in faccia ed apparire ferma e decisa. Ma io ero soltanto io e non potei fare a meno di pensare che infondo mi stava chiedendo la stessa cosa che avevo concesso a Jacob: la possibilità di raccontarmi di sé stesso e della sua condizione. Tentennai per qualche istante e i suoi sensi infallibili lo registrarono immediatamente, così sferrò il colpo di grazia.
« Per favore, lasciami entrare. Ti dirò tutto quello che meriti di sapere e poi ti lascerò in pace ».
Sbuffai e mi feci da parte per lasciargli lo spazio per entrare. Edward mi regalò uno dei suoi sorrisi sghembi e poi varcò l’uscio a capo chino. Chiusi la porta mentre lo guardavo avviarsi in cucina, poggiai per qualche istante la fronte al legno freddo e inspirai a fondo un paio di volte. Non sapevo il perché, ma me l’ero aspettata da subito che sarebbe stato Edward il primo a rifarsi vivo.
Lo raggiunsi in cucina e lo trovai seduto al tavolo, immobile ad attendermi. Il mio cervello faticava ad assimilare quella sua diversità ora che Edward non nascondeva più la sua vera natura. In effetti proprio in quel momento la sua diversità mi apparve così lampante che mi chiesi come avessi fatto a non accorgermene prima e quasi mi venne da ridere quando mi trattenni dal chiedergli se potessi offrirgli qualcosa. Si voltò verso di me e sorrise ancora. I suoi occhi continuavano a riempirsi di me, avidi come se quei cinque giorni di lontananza fossero stati in realtà anni. Mi portai timidamente i capelli dietro l’orecchio e tornai ad accendere il fuoco per la crema. Non mi avrebbe ingannata con il suo fascino, non gliel’avrei permesso.
« Allora? Sono tutta orecchi »
Lo sentii espirare forte e la sedia scricchiolare. Sapevo che stava venendo verso di me, ma non mi voltai quando lo vidi al mio fianco.
« Pur avendo le mie buone ragioni per non averti raccontato tutto fin dall’inizio ti chiedo comunque perdono. Voglio rimediare, Bella. Anche se ti chiedo un po’ di comprensione, ci sono cose della mia condizione di cui non riesco a parlare facilmente ».
« Non voglio sapere nulla di trascendentale, Edward. Non ti chiederò se davvero dormi in una bara o se ti sciogli al sole ». Mi voltai per guardarlo negli occhi « Quel giorno nella radura, quando ci siamo baciati, credevo che finalmente mi avessi aperto le porte del tuo cuore e del tuo passato. Non credo sia chiederti tanto di raccontarmi la tua vera storia ».
« Assolutamente », convenne annuendo. Ci fu una breve pausa e poi parlò ancora. « Victoria è realmente la prima persona che riesca a ricordare. Alcuni di noi dopo la trasformazione non ricordano nulla della propria vita da umani, come me e anche Alice. E’ stata Victoria a trasformarmi, non le ho mai chiesto il perché. Lei si è presa cura di me nei primi anni difficili da vampiro, mi ha insegnato a provvedere a me stesso e a controllare gli istinti brutali che caratterizzano un neonato, un vampiro appena trasformato. Lei…», alzò gli occhi nei miei « non ti mentivo quando ti dicevo che per me è stata tutto il mio mondo, non ti mentivo quando ti ho raccontato del mio essere tutto per lei. Così come non era una menzogna il fatto che ad un certo punto sono fuggito, reputando quello stile di vita troppo meschino. Io non ho mai voluto essere un mostro ».
Aggiunse quell’ultima frase con voce rotta e nel tormento dei suoi occhi vidi una sincerità purissima. Rilassai le spalle che fino a quel momento non mi ero nemmeno accorta di tenere contratte. Mi stava davvero raccontando tutto, senza bugie o mezze verità. Fu inevitabile porgli la domanda successiva.
« Voi … uccidete davvero le persone, per vivere? »
Edward inspirò lentamente, ad occhi chiusi, e mi rispose allo stesso modo.
« Io l’ho fatto ».
Di nuovo, un brivido mi percorse tutta la schiena nel sentire quelle parole. Com’era possibile che il male non lasciasse traccia di sé? Nell’immaginario comune si riesce sempre a distinguere il buono dal cattivo, ma quella era la prova che si tratta solo di muri di carta eretti dal subconscio umano per sentirsi più al sicuro. Chi mai avrebbe detto che un ragazzo dalle fattezze angeliche come Edward aveva ucciso qualcuno?
Per un solo istante la mia mente contorta cercò di figurarselo sporco di sangue, in un vicolo oscuro con un cadavere ai suoi piedi. Ma niente, la scena non riuscì in alcun modo a sembrarmi plausibile. E fu proprio questa la cosa che mi inquietò maggiormente. Mi ero gettata tra le braccia di una persona che aveva tolto la vita a qualche innocente senza sospettare mai nulla. Ero sconvolta, ma allo stesso tempo pensavo che la presenza così pacata ed esteticamente perfetta e sempre in ordine di Edward avrebbe ingannato chiunque.
Lui riaprì gli occhi con lentezza sofferta, poi li puntò nei miei. « E’ da questo che sono fuggito quando ero con Victoria. Poi ho incontrato Alice. Ricordi quando ti ho raccontato dei suoi occhi? »
Annuii e tornai a mescolare la crema, sperando che non riuscisse a leggere lo sconcerto nei miei occhi. Ero sicura che conoscendo la sua natura le sue confessioni non mi avrebbero turbata, ma mi sbagliavo. La verità era che non mi turbava cosa avesse fatto nella sua vita, ma mi inquietava profondamente rendermi conto di quanto la mia di vita fosse stata in pericolo. Ovviamente Edward non era un pericolo reale per la mia incolumità, ma ciò che rappresentava sì, ed io mi ero fidata di lui senza nemmeno un pizzico di esitazione.
« Mi avevano colpito perché erano dorati, come vedi. I vampiri che si nutrono di sangue umano hanno gli occhi rossi, io li avevo così, ed era anche l’unico colore che avevo mai conosciuto vivendo con Victoria. Solo con i Cullen ho saputo che era possibile condurre una vita più dignitosa, e i loro occhi ne erano la dimostrazione ».
Mi grattai con un dito la base del collo per nascondere la pelle d’oca che stava iniziando a nascervi. Improvvisamente il gelo del corpo di Edward accanto al mio mi sembrò palese.
« Quindi in poche parole, uccidete le persone o no? »
Dalla sua espressione mi resi conto che ero stata decisamente brusca. Sospirai e cercai di scusarmi con gli occhi. Edward abbassò la testa concedendomi la libertà di sentirmi almeno un po’ scossa. Spensi il fuoco sotto la crema automaticamente, senza controllare se fosse cotta davvero. Il mio vero obiettivo era mettere un po’ di distanza tra me e lui. Presi il pentolino e mi diressi al tavolo della cucina. A quel punto normalmente avrei iniziato a tagliare a metà il pan di spagna per prepararlo alla farcitura, ma pensai che forse era più saggio aspettare la risposta di Edward prima di mettermi ad armeggiare con un grosso coltello e la mia goffaggine.
« No »
La risposta arrivò decisa e secca alle mie spalle. Un nodo che non mi ero accorta di avere si sciolse nello stomaco e pensai che quella reazione era decisamente inopportuna. Mi sentivo sollevata al pensiero che forse non ero stata poi così tanto sconsiderata, ma in realtà era un pensiero sbagliatissimo. I Cullen forse oggi non uccidevano nessuno, ma quantomeno Edward per un periodo della sua vita era stato un assassino. Mi sentii in colpa nel pensarlo ma era solo la pura verità: Edward era stato un mostro, un omicida.
Lo sentii avvicinarsi alle mie spalle e cercai di apparire il più naturale possibile quando mi spostai a mia volta per prendere il coltello dal cassetto della cucina. Edward sospirò e lo sentii lasciarsi cadere su una sedia. Mi voltai e lo trovai con la testa fra le mani, i gomiti poggiati al tavolo.
Quella reazione così disperatamente umana mi ricordò quanto avevo sempre sostenuto: non doveva importarmi cosa fosse stato in passato, io conoscevo la persona che mi sedeva di fronte in quel momento. Mi vergognai appena di tutte quelle strane sensazioni e brutti pensieri che stavo sperimentando, però ero certa che fossero del tutto normali. Richiusi il cassetto alle mie spalle e mi avvicinai al tavolo. Posai il coltello al fianco della torta e con la mano sinistra gli carezzai piano i capelli.
« So che non sembra affatto meno brutale, ma anzi, mi fa sembrare ancor di più una bestia, però ci nutriamo solo di animali. E’ questo che rende i nostri occhi dorati. E’ questo che ci fa sentire meno mostri, leggermente più in pace con la nostra coscienza ». Aprì leggermente le dita e vidi i suoi occhi cercare pietà nei miei attraverso quel sottile nascondiglio.
Mi sembrò esattamente un animale impaurito ed umiliato, che tenta di nascondersi in una tana troppo piccola per il suo corpo così come per i suoi malefatti. Inclinai il capo verso destra, cercando in quegli occhi dorati la scintilla che mi aveva catturata quando ancora non conoscevo nulla di lui. Vidi le sue sopracciglia aggrottarsi sotto le dita lunghe ed affusolate, contrariato a quel mio esame forse un po’ troppo invadente in un momento tanto delicato. Determinata nel mio intento scostai le sue mani dal viso con le mie e, seppur contro voglia, Edward me lo lasciò fare. Attesi che sollevasse ancora lo sguardo nel mio e quando lo fece gli sorrisi appena. Vampiro o no, il ragazzo che sedeva a un palmo dal mio corpo era distrutto, affranto, infinitamente mortificato e sofferente. Questo era il mio Edward, quello che mi aveva spinta a scavare più a fondo. Nient’altro che un uomo prigioniero e schiavo della sua stessa condizione.
Feci un solo passo per colmare la distanza tra noi e lo avvolsi in un abbraccio. Dopo un attimo di stupore lo sentii rilassarsi, immerse del tutto il volto nella mia pancia e strinse le sue braccia attorno alla mia vita. Poggiai la guancia sulla seta ramata dei suoi capelli mentre lo avvertii sospirare più e più volte, quasi incredulo. Trascorremmo il resto della giornata insieme, la pioggia divenne neve e, per la prima volta, mi raccontò tutto quello che c’era da sapere e anche di più.
* * * *
Il cottage fittato dall’agente Pierce era davvero enorme e il fatto che fosse stato sgomberato di tutta la mobilia per lasciar spazio all’immensa tavolata lo faceva sembrare ancor più grande. Se c’era una cosa che amavo del modo di fare dei poliziotti di Forks era il prendere la vita senza alcun fronzolo. Le pareti di legno erano state lasciate spoglie, senza alcun decoro, festone, lucina o suppellettile inutile. Nessun addobbo riconducibile al Natale appena trascorso o al capodanno imminente faceva la sua presenza in quel cottage. Le mogli degli agenti, se possibile, mi risultavano ancor più gradevoli nella loro totale indifferenza alla mancanza di decori inutili che, a detta loro, sarebbero soltanto serviti ad aggiungere maggior lavoro al termine della festa, quando tutti gli uomini sarebbero stati ubriachi e sarebbe toccato a loro pulire tutto.
Per cui, l’interno del cottage risultava piacevolmente a prova di bambino, i quali senza nulla da poter strappare, tirare o rompere, persero in fretta tutto l’interesse per il nuovo luogo dedicandosi a giochi tranquilli sul tappeto davanti al camino. Nel giro di poche ore erano tutti placidamente addormentati e con le bocche ancora sporche della glassa al cioccolato della mia torta. La cena era volata tra le risate cameratesche degli agenti per gli aneddoti dell’anno appena trascorso e i commenti delle signore allo stile di vita decisamente poco raffinato condotto dai rispettivi mariti.
Quando tutta la tavola era stata sgomberata dai piatti ed era stata preparata con spumante e dolcetti nell’attesa della mezzanotte, infilai il pesante giaccone bianco ed uscii dall’immensa portafinestra che dava sul giardino. Il cielo era stranamente limpido e vantava un’enorme luna piena che faceva scintillare il soffice strato di neve che ricopriva il cortile dall’erba tagliata corta, l’altalena sulla destra e anche il filare di pini che delimitava l’inizio della foresta. Mi riempii gli occhi di quel paesaggio semplice ma reso incantato dalla luce azzurrina dei riflessi della neve e mi incamminai con cautela verso l’altalena mentre uno scoppio di risa mi giungeva dall’interno del cottage. Sorrisi appena, sentendomi un po’ come a casa mia, sorprendendomi nell’ammettere che quelle voci, quell’atmosfera, mi facevano sentire parte di una grande famiglia.
Raggiunsi l’altalena e spazzai via la neve dal sediolino con le mani nude. Mi sedetti e soffiai un po’ tra le dita congelate, prima di avvolgerle intorno alle catene ed iniziare a dondolarmi piano. Non mi andava di spingermi molto in alto, volevo semplicemente starmene lì, quasi come cullata a godermi una serenità che non ritrovavo da troppo tempo. E così feci.
Persi la cognizione del tempo e quando Charlie mi chiamò per il conto alla rovescia quasi mi spaventai. Lo vidi richiudere la portafinestra e sorridermi da dietro il vetro prima di ritornare dai colleghi, o meglio, dagli amici di una vita. Portai ancora lo sguardo alla luna e sospirai. Chiusi gli occhi e mi godetti gli ultimi dondolii con il capo chinato all’indietro e le punte delle scarpe che frusciavano sulla neve. In tutto quel frusciare ritmico il rumore di un ramo spezzato riecheggiò improvviso quasi come uno sparo.
Riaprii gli occhi e fermai l’altalena poggiando le piante dei piedi a terra. Mi voltai verso il cottage ma non vidi nessuno all’esterno, mi giunsero soltanto le voci concitate di chi si contendeva lo spumante da stappare. Quando riportai lo sguardo davanti a me un luccichio nell’ombra della foresta attirò la mia attenzione. Strinsi le dita attorno alle catene gelate dell’altalena ed aguzzai lo sguardo. C’era qualcosa che si muoveva nell’ombra e dopo poco riuscii a distinguere il profilo asciutto e muscoloso di un fianco dal pelo rosso con del nevischio attaccato che riluceva sotto i raggi della luna piena.
Riconobbi immediatamente lo splendido animale che, ormai scoperto, si faceva strada tra i grandi tronchi pur volendo rimanere in parte ancora in seno alla foresta, senza esporsi troppo. Trattenni il fiato finché il muso del lupo rosso non mi fu visibile grazie al riverbero della luce lunare sul tappeto di neve.
Gli sbuffi di vapore che venivano fuori dalle sue fauci erano lo specchio dei miei, che si allargavano dalle mie labbra sempre più rapidi, testimoni del cuore che sentivo accelerami nel petto. Dal cottage mi giungeva il festoso conto alla rovescia per la mezzanotte ed io sapevo di dover rientrare per festeggiare con Charlie, ma il mio corpo non voleva saperne di muoversi di lì. Almeno non finché avessi soddisfatto la brama che sentivo crescermi dentro ad ogni secondo. Volevo incontrare gli occhi del lupo, anche solo per un istante.
Come all’unisono con il mio desiderio il lupo si mostrò in tutta la sua fierezza al limitare del bosco, gli occhi di onice che mi sembravano bruciare puntati dritti nei miei. Qualcosa alla base dello stomaco, aderente al fondo della mia anima, tremò. Mi sentii scuotere nel profondo delle viscere e quello sguardo di uomo nel corpo di animale sembrò rovistarmi dentro e sconvolgere ogni cosa. Organi, ossa e anima.
I festeggiamenti per la mezzanotte mi giungevano dal cottage soltanto come un rumore di fondo indistinto, tutti i miei sensi erano rapiti dal lupo. Dei fuochi d’artificio in lontananza illuminarono il cielo d’argento e rosso. Il lupo assottigliò lo sguardo nel mio e poi, lentamente, si chinò leggermente sulle zampe anteriori, abbassando il capo in un inchino rispettoso senza mai staccare gli occhi dai miei.
Le parole scivolarono fuori dalle labbra con naturalezza.
« Buon anno anche a te, Jake »
Mi manchi da morire.
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Capitolo 41 *** CAPITOLO 34 - Distrai le mie parole ***
CAPITOLO 34 – “ Distrai le mie parole ”
Quella notte e per le successive quattro sognai il lupo rosso di Jacob nelle situazioni più svariate. Ormai l’avevo capito, il mio subconscio comunicava con me attraverso la fase onirica e, pur volendo, non riuscivo più ad ignorare i suoi messaggi. Morale della favola, quel cocciutissimo sbruffone mi mancava da morire. In effetti non avrebbe dovuto stupirmi più di tanto visto che avevo trascorso gli ultimi tre anni della mia vita in simbiosi con Jake, tranne i passati tre mesi in cui era sparito.
Il punto era, infatti, non che mi stupissi di questo sentire la sua mancanza ma il fastidio che mi provocava il doverlo ammettere. Reneé lo diceva sempre, prima o poi l’essere tanto orgogliosa mi avrebbe fatta cacciare in grossi guai. Più di tutto, in realtà, non sopportavo il fatto che io sentissi la sua mancanza mentre lui non si era più fatto vivo dalla sera di Natale. No, la notte di capodanno mi rifiutavo di contarla. Il suo alter ego peloso non valeva in questa conta. Per quanto potessi esserne affascinata, il lupo non poteva sostituire Jacob, il mio Jacob, quello con cui fare due chiacchiere, arrabbiarmi e poi fare la pace.
Infatti, mentre Edward dall’ultimo dell’anno trovava il modo per incontrarmi ogni giorno, di Jacob non ne avevo visto nemmeno l’ombra. Ogni tanto Charlie buttava lì la proposta di chiamarlo, cercando di risultare imparziale con scarsi risultati, da perfetto Swan, ed io puntualmente cambiavo argomento.
Il punto è che quando gli uomini dicono che le donne non sanno cosa vogliono noi ci arrabbiamo tantissimo, ma la verità è che hanno ragione. Ero stata io a dire ad entrambi di non volerli più vedere, il che implicava che avrei dovuto manifestare io per prima la mia nuova disponibilità nel frequentarli, però … Dio, quanto mi infastidiva l’indifferenza di Jake. Odiavo l’idea che in dieci giorni non avesse tentato di chiamarmi o di vedermi.
Avrei potuto raccontarmi la frottola che era la vicinanza ad Edward, che mi cercava sempre e in ogni maniera, ad avermi influenzata in questo modo. Ma la cosa poco divertente è che nella mia vita non riuscivo a mentire a nessuno. Me compresa.
Quindi, traendo le somme, io non chiamavo Jacob e lui non cercava me. Di questo passo avremmo potuto potenzialmente trascorrere i successivi cinque anni aspettando l’uno la prima mossa dell’altro. Tutto ciò mi faceva prudere le mani in maniera folle, ma di certo non sarei stata io la prima a gettare la spugna.
« Io credo che sia abbastanza pulito »
L’espressione di Edward al mio fianco sembrava piuttosto divertita, ma la minuscola increspatura tra le sopracciglia curate non aveva più segreti per me. Evidentemente ero ammutolita per troppo tempo perdendomi tra i miei pensieri. Mi sentii leggermente in colpa: avevo Edward al mio fianco eppure non riuscivo a mettere freno alla valanga di pensieri che mi portavano a Jacob. Gli sorrisi, poi iniziai a sciacquare il piatto che tenevo tra le mani, ribadendo tra me e me che quella era l’unica spugna che avrei mai avuto intenzione di gettare.
« Dici? »
Edward ridacchiò appena.
« Humm » mi sfilò il piatto dalle mani, se lo portò all’altezza del viso e si ravviò i capelli con una mano « Sì, decisamente. Posso specchiarmici ».
« Dà qua » sorrisi « Piuttosto, prima o poi dovrai prendere una decisione. O vieni a trovarmi al di fuori degli orari dei pasti, o ti costringi a mangiare qualcosina una volta ogni tanto. Sai com’è, Charlie inizia a guardarti in modo strano ».
« Inizia? » sollevò un sopracciglio.
Mi strinsi appena nelle spalle « Okay. Più del solito ».
Non avevo bisogno di chiedere ad Edward cosa ci fosse nella testa di mio padre. In primo luogo perché non volevo saperlo, in secondo luogo perché avevo sempre saputo quanto Charlie pensasse che Edward fosse un po’ strano.
« Hai ragione, credo che opterò per la prima proposta ».
« Vi fa proprio tanto schifo il cibo umano? »
« Tu mangeresti mai del pongo? »
Gli schizzai un pochino d’acqua, ma Edward era poggiato al frigorifero dall’altro lato del lavello ancor prima che le gocce toccassero terra.
Il rumore dei pesanti anfibi sui gradini in legno annunciarono la presenza di Charlie ancor prima che i suoi baffi facessero capolino in cucina. Ci dedicò un fintamente distratto cenno del capo mentre si aggiustava il distintivo sulla divisa e si infilava il giaccone.
« Io vado. Potrei fare un po’ tardi stasera, Bells, quindi non farti problemi se vuoi cenare senza di me »
Edward mi lanciò una breve occhiata, indovinando il mio pensiero che non fosse il caso di rimanere da soli in casa con Charlie che andava a lavorare. Meglio non aggiungere altri motivi per non fargli andare a genio Edward.
« Un momento, capo Swan, vado via anch’io. Ho detto a mia madre che l’avrei accompagnata a Port Angeles questo pomeriggio »
Charlie sorrise appena sotto i baffi, visibilmente sollevato. Edward si accostò per baciarmi una guancia e sentii Charlie girare sui tacchi ed avviarsi alla porta.
« Ne approfitto per andare a caccia con Alice, è un mese che me lo chiede. Passo a trovarti stasera se per te va bene »
Annuii nonostante il brivido che mi percorreva tutta la pelle a quella vicinanza. Il soave sussurro delle sue parole così vicino al mio orecchio mi procurò un leggero giramento di testa.
« D’accordo » sussurrai a mia volta.
Edward si voltò e lasciò la cucina a velocità umana, permettendomi di sbirciare la sua andatura elegante.
Da vero predatore, pensai.
Una volta terminati i miei doveri da figlia in cucina mi diressi in camera per terminare i compiti delle vacanze natalizie. Mancavano soltanto pochi giorni al ritorno tra i banchi e non volevo rischiare di arrivarci impreparata. Ero quella che la maggior parte degli studenti definiva come secchiona, ma io mi ritenevo diversa. Non studiavo per un ligio senso del dovere, n’è tantomeno per la voglia di primeggiare, Dio solo sa quanto odiassi essere al centro dell’attenzione. Ho sempre studiato perché mi piaceva e perché, non navigando nell’oro con il misero stipendio del capo della polizia di Forks, sapevo di aver bisogno dei migliori voti possibili se volevo assicurarmi una borsa di studio per qualche college rispettabile. Quello tra l’altro era il mio ultimo anno di liceo e, nonostante i professori continuassero a ripetermi che ormai la mia media era già tra le migliori di tutta la scuola, non avevo intenzione di adagiarmi sugli allori proprio alla fine.
Sollevai lo sguardo dal libro di storia solo quando sentii lo scricchiolio del davanzale della finestra, rumore che ormai riconoscevo benissimo e che significava che un vampiro di mia conoscenza era ritornato. Sorrisi, sapevo che non avrebbe resistito fino alla sera, ma non mi aspettavo di rivederlo dopo sole poche ore.
« Non è un po’ troppo presto per ripresentarti qui? »
« Non per me. Ma se credi di poter reggere solo un mostro alla volta allora fatti dire che stai scegliendo quello sbagliato ».
Al suono di quella voce doppia, un po’ graffiata, così diversa da quella melodiosa che mi ero aspettata, il cuore mi balzò in gola. Sentii formarsi la pelle d’oca su ogni centimetro di pelle e ancora prima che riuscisse a finire la frase il mio corpo era già andato in tilt. Mi voltai lentamente, consapevole del rossore che mi imporporava le guance. E mi persi.
Forse non capirai mai,
tu distrai le mie parole
Un fulmine a ciel sereno sarà
Non avrei mai immaginato che per un essere umano fosse possibile smarrirsi restando seduto in una stanza. Eppure a me successe. Nel tempo di un respiro, il mio, mi persi nei suoi occhi. In quelle profondità scure smarrii ogni filo che mi teneva attaccata ad una sedia, ad una stanza, ad una casa dalle pareti bianche e all’uomo che vi abitava dentro. Ogni parte di me perse memoria di chi o cosa fosse, per lasciarsi invadere da quel mare nero e bruciante che aveva significato da sempre casa. Mi bastò il tempo di un respiro per perdere ogni cosa ma allo stesso tempo ritrovare tutto.
Ripercorsi la strada all’inverso, riemergendo da quegli occhi che mi divoravano solo per il bisogno di vedere anche tutto il resto. Il naso, che tante volte aveva significato tenerezza. La bocca, che da sempre era stata una porta che talvolta mi conduceva in paradiso tal’altra nel centro dell’inferno. Il viso che ormai era d’uomo e non più di ragazzo. La seta nera e scompigliata dei capelli, che attirava le mie dita con il bisogno di toccarli.
Jacob.
Anche lui nel tempo di quel respiro mi fissò. Mi scrutò l’anima attraverso gli occhi come solo lui riusciva a fare. Da sempre.
Jacob.
Mi divorò con lo sguardo senza respirare, le labbra leggermente dischiuse di chi gli si è appena mozzato il fiato.
Jacob.
In quel brevissimo istante la sua vecchia anima scorse appena la mia, di vecchia anima. Entrambe non ancora segnate dalle bugie e dai tradimenti. Entrambe ancora indissolubilmente fuse insieme.
Jacob era la sola parola che il mio cuore voleva gridare. Schiusi appena le labbra per lasciare che quel suono scivolasse via dolce, portandomi un po’ di sollievo, ma il ragazzone bruno che sembrava essersi paralizzato di fronte a me si riscosse.
« Aspetta, aspetta, non dire niente », sollevò le mani davanti a sé e sorrise.
Come se non fossi già abbastanza stordita dalla sua presenza.
« Mi scuso per non aver bussato alla porta come avrebbe fatto una persona normale ma: a) dato che quando lo fa qualcun altro non hai niente da ridire, ho pensato che non vedevo perché non potevo farlo anch’io. E b) vuoi mettere quanto è decisamente più fica una cosa così? ».
Sollevai le sopracciglia ed inspirai quel tanto che mi bastava per chiedergli se non avesse battuto la testa da qualche parte nel tentativo di salire alla mia finestra, perché quella non era decisamente la frase d’esordio che ci si aspetta da una persona che non vedi da dieci giorni. Ma ancora una volta mi precedette.
« Merda. No no no, aspetta, Bells, » mosse un paio di passi veloci nella mia direzione « non dire niente, ti prego. Sono un coglione, giuro che non erano queste le prime cose che avevo intenzione di dirti, specialmente l’ultima stronzata. Non che la magnifica frase d’effetto che ho sputato fuori appena entrato fosse più brillante eh, è solo che, Dio, quando ti sei voltata mi si è fuso il cervello e … che poi, Gesù, sono entrato da una cazzo finestra come un cazzo di maniaco ed ora sto straparlando e sboccando come un cazzo di coglione del cazzo che sono. Cazzo! ».
Jacob non aveva praticamente più fiato, si guardava intorno con una mano tra i capelli e gli occhi spaesati. Fece il giro del letto e si lasciò cadere seduto sul lato più vicino alla mia scrivania. Si prese il viso tra le mani e sospirò profondamente. Quando tornò a guardarmi attraverso le dita sembrava già più padrone di sé.
« Devi darmi il nome del tuo spacciatore, è uno che sa il fatto suo » annuii.
Jacob sospirò ancora e poi rise, gettandosi all’indietro sul letto.
« Okay, ce la faccio. Ci sono » si sollevò a sedere ancora con il sorriso sulle labbra.
« Ciao, Jacob » non riuscivo a non sorridergli di rimando quando faceva così.
« Ciao, Bells »
« Che piacere rivederti »
« Senza tutto quel pelo addosso, intendi? »
« Proprio così »
Ridemmo entrambi. Mi resi conto solo in quel momento quanto tutto questo mi era mancato, i nostri discorsi assurdi, le risate stupide. Ci guardammo per un attimo interminabile negli occhi, senza bisogno di dirci altro. Non gli avrei mai detto che mi era mancato come l’aria, non con la voce almeno, perché sicuramente in quel momento tutto il mio corpo glielo stava comunicando istintivamente ed ero certa che lui riuscisse a capirlo. Così come potevo leggere dal suo che era lo stesso anche per lui.
Forse non capirò mai,
anche se in riva al sole
al culmine mi ritrovo oramai.
« Senti, Bella, mi dispiace. Un po’ per tutto, ma non sono qui per questo ».
Jacob fece leva con le mani sulle cosce e si alzò dal letto, colmando la distanza fra noi con un solo passo. Si accovacciò sulle caviglie e prese le mie mani nelle sue, guardandomi dritto negli occhi. Un brivido di calore mi percorse tutta la schiena a quel contatto così improvviso e sincero. Gli restituivo lo sguardo senza dire nulla.
« Non mi interessa parlare del passato, non voglio tornare a discutere con te. Anzi, scusami se ho preteso che tu dimenticassi che mi sono comportato da vero stronzo. Sono venuto perché mi manchi, Bells ».
Restai un attimo interdetta, in bilico fra la sensazione di leggerezza che mi pervase a quelle parole così dolci e il controsenso contenuto in esse.
« Ti mancavo, vorrai dire » sorrisi, odiava quando lo riprendevo.
« No, mi manchi ancora ». Strinse più forte le mie mani nelle sue, « non mi basta toccarti, lo sai. Non mi è mai bastato. Mi manca la mia migliore amica, Bella. Mi manca prenderti in giro, mi manca parlare di cose inutili, mi manca vederti inciampare e farmi chiamare stupido almeno tre volte in un’ora ».
Sorrise e io come al solito persi ogni potere decisionale.
« Anche tu mi manchi, Jake » sussurrai appena, nonostante mi fossi appena ripromessa il contrario.
Jacob buttò fuori tutto il fiato che aveva in corpo con un unico sospiro, sorridendo e scuotendo la testa. Come se gli avessi tolto il peso più grande del mondo dalle spalle, come se non aspettasse altro che essere liberato.
« E allora è facile no? Esci con me, stasera ».
Non mi stava ponendo una domanda. Stava facendo molto di più. Mi stava pregando.
No.
Qualcosa dentro di me mi stava dicendo che no, non dovevo farlo. Il calore delle sue mani contrastava con il disappunto del mio cervello come il giorno e la notte. Le mie dita fremevano per liberarsi dalla presa solo per intrecciarsi alle sue. Eppure il mio orgoglio mi spingeva a non farmi ammaliare da quegli occhi così profondi che mi stavano implorando e desiderando allo stesso tempo. La mia testardaggine mi imponeva di non cedere al primo tentativo, dopo tutto quello che era successo.
Sì.
Sì era quello che invece non gridava altro il mio cuore, che aveva preso il volo nello stesso istante in cui Jacob era entrato dalla finestra e in tutto quel tempo piuttosto che ritrovare un ritmo normale aveva accelerato sempre di più. Sì, continuava a sussurrarmi ogni centimetro di pelle che non agognava altro che essere toccato, o anche solo sfiorato, dal calore bruciante del suo corpo.
Uh, è più grande di me,
inutile insistere
Solo se tu vuoi, solo se tu vuoi.
«Niente di complicato, te lo prometto. Solo io, tu e una pizza, se ti va. Farò il bravo ragazzo, anzi il buon amico. Il tuo migliore amico e nient’altro ».
E in quello Jacob era sempre stato perfetto. Grazie a lui non mi ero mai sentita sola, fuori posto, né strana. A lui si poteva confidare ogni cosa, senza il timore di essere giudicati o disprezzati. Mi aveva fatta sentire a casa anche quando ne ero stata distante anni luce. Il mio migliore amico, prima di ogni cosa.
Perciò … di cosa avevo paura? Non c’era nulla da temere.
Nulla, a parte il liberarmi delle catene che mi avvolgevano costantemente. Perché solo lui era capace di farmi questo, solo con lui incontravo la vera me stessa, quella che non usciva fuori nemmeno quando ero sola. Quello che più temevo, era il lasciarmi andare. Ancora una volta.
Non potevo permettermelo in quel momento, proprio quando avevo bisogno di distacco e di lucidità per capire quale direzione prendere.
Jacob fremeva ad un palmo da me. Potevo sentire l’energia delle sue aspettative vibrare nel centimetro scarso che separava le nostre ginocchia, le nostre braccia. Riuscivo a percepire qualcosa tremare in fondo ai suoi occhi, così intensi, così disperati. Ma nonostante tutto questo, mi preparai a dirgli di no, dovevo iniziare a mettere me stessa prima di chiunque altro.
Presi aria, una frazione di secondo. La stessa che lui impiegò a sorridermi.
Ah, se non l’avesse mai fatto.
Se solo non l’avesse fatto, non avrei visto la differenza tra quel sorriso ed il suo sorriso. Non mi si sarebbe stretto lo stomaco nel paragonare quel sorriso, al mio. Quello che per anni aveva dedicato sempre e solo a me, un sorriso a parte, nonostante lui sorridesse sempre al mondo intero. Non un sorriso gioioso, leggero né sincero. Piuttosto, quello che gli spuntava in quel momento, era una richiesta di aiuto.
Le persone comuni chiedono aiuto a gran voce, disperate, con volti sfigurati dalla necessità. Jacob chiedeva aiuto in silenzio, pacato, con una maschera d’indifferenza. Jacob chiedeva aiuto solo a chi era capace di offrirglielo senza che lui aprisse bocca.
Forse non capirai mai,
tu distrai le mie parole.
Credo di avergli sussurrato un va bene, inconsapevolmente. Non lo so, non lo ricordo. Ma ricordo benissimo il suo corpo rilassarsi, le rughe spianarsi e il calore del suo – mio – vero sorriso scaldarci entrambi.
Avrei fatto di tutto per non vedere mai il mio Jacob sofferente.
E poi, in fondo, era solo una pizza con il mio migliore amico, no?
Buonasera, mi scuso per l'imperdonabile ritardo. Spero che lì fuori ci sia ancora qualcuno disposto a leggere le castronerie che butto in questa storia.
I versi inseriti all'interno del testo sono della canzone "Grattacielo" dei Verdena.
Grazie a chi c'è da sempre, e so che ci sarà anche in futuro.
Grazie anche a quelli che sono sbarcati qui tramite qualche shot.
Grazie a voi, amiche mie, che siete sempre pronte a sostenermi.
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Capitolo 42 *** CAPITOLO 35 - Un tuffo nel passato ***
Buonasera, spero di sorprendere qualcuno di voi con quest'aggiornamento "rapido" per i miei soliti tempi.
Due parole prima di lasciarvi al capitolo. Sopportatemi, ormai non lo faccio da un pezzo.
Per iniziare, un grazie a tutti.
A chi continua a dare un'opportunità alla mia storia ed anche a chi invece l'ha scoperta da poco.
A chi mi riempe d'orgoglio e di stimoli con preziosissime recensioni, ma anche a chi legge in silenzio. Spero che un giorno troverete il coraggio di uscire fuori dal vostro guscio per scoprire che la parte migliore di quest'esperienza è entrare nel mondo di chi scrive attraverso il dialogo.
Un piccolo appunto prima di togliermi dalle scatole. Forse due.
Se siete amanti di momenti sconcertanti, se siete allergici a quelli più soft, questo capitolo non fa per voi. So gia che a molti sembrerà deludente, piatto e forse anche noioso, l'ho sempre saputo fin da quando l'ho immaginato. Ma io non posso e non voglio rinunciarci. Questo capitolo, per parafrasare le parole di qualcuno, è gravemente affetto da JacobBellite acuta. Li amo insieme, anche e soprattutto nei momenti più semplici. E non voglio smettere.
Ultimo appunto, che forse è più una nota. Mi sono resa conto dello sconcertante numero di capitoli che ho pubblicato, senza nemmeno essere arrivata oltre la metà della storia. Quindi, anche se non ve ne potrà fregare di meno, mi sono riproposta che dal prossimo capitolo in poi procederò a passo spedito nella narrazione, evitando - si spera - capitoli morti e momenti di stallo.
Quindi, per voi che storcerete il naso a questo capitolo, sappiate che spero sia l'ultimo di questo genere.
Per voi, invece, che apprezzerete la sua dolcezza ... spero di potervi regalare in futuro molto più che questo.
Con affetto,
Roberta.
CAPITOLO 35 – “ Un tuffo nel passato”
Me ne stavo a gambe incrociate sul divano, con il telecomando in mano e lo sguardo fisso sulla tv nonostante non le stessi prestando la minima attenzione. Non avevo particolari pensieri per la testa, eppure non riuscivo a concentrarmi su nulla. L’indice della mano sinistra iniziò a picchiettare sul telecomando senza che glielo avessi ordinato. Dopo che Jacob era andato via – uscendo dalla porta, stavolta – non ero più riuscita a riportare l’attenzione sui libri. Quel testone era riuscito a strapparmi un appuntamento per il pomeriggio stesso, quindi non mi restava che aspettare.
Quando sentii i due colpi di clacson mi voltai verso la finestra, non mi sembrava quello dell’auto di Charlie. Infatti, con un po’ di stupore, scorsi la Golf rossa di Jacob ferma nel vialetto. Spensi la tv e mi infilai le scarpe di tutta fretta, non diedi nemmeno un’occhiata nello specchio quando mi infilai il giaccone nell’ingresso. Indossavo i soliti jeans con la solita felpa, tanto per lanciare il messaggio di amicizia con ancora più chiarezza. O forse solo per convincere te stessa, aveva commentato Angela al telefono.
Mi richiusi la porta alle spalle, il pomeriggio era nuvoloso come nello standard di Forks, ma almeno non si gelava dal freddo e la neve era sparita. Alzai lo sguardo e, tra la portiera aperta e l’abitacolo, c’era Jacob in piedi ad aspettarmi, con un braccio poggiato al tettuccio rosso della Golf, con tanto di sorriso stampato in faccia. Indossava una camicia azzurro carico, arrotolata sui gomiti come suo solito, sopra ad un paio di blue jeans. Era la semplicità fatta persona, eppure non avrebbe potuto essere più bello di così.
Istintivamente mi strinsi le braccia intorno alla vita mentre camminavo verso l’auto, pensando alla stupida felpa che si nascondeva sotto il giaccone e a quanto fossi in imbarazzo. Gli sarei sicuramente sembrata sciatta, poco attraente. Anche se in effetti, realizzai quasi subito, quello a cui stavo andando incontro non era il mio ragazzo. Io non dovevo piacergli. Quella era solo un’uscita con il mio migliore amico.
Fu questo a farmi scattare un piccolo campanello d’allarme. Conoscevo Jacob, indossava camice del genere solo in occasioni speciali. Dovevo aspettarmelo che non avrebbe mantenuto la parola, che avrebbe trasformato una pizza innocente nell’occasione per farsi avanti. Quindi, quando arrivai all’auto ero leggermente infastidita.
« Avevi promesso che avresti fatto il bravo ragazzo » lanciai un’occhiata alla camicia che aderiva perfettamente alle braccia scure e alla vita.
« Perché, ti sembro un delinquente? » mi rispose anche lui senza salutarmi.
Almeno avevamo conservato una delle nostre vecchie abitudini.
« Sai cosa intendo »
Fece spallucce. « Credevo che una camicia mi avrebbe reso abbastanza … amichevole » mi sorrise maliziosamente.
Gli lanciai un’occhiataccia.
« Andiamo, Bells, non esagerare. Avresti preferito che mi fossi presentato mezzo nudo come quando sto con i ragazzi? Mi sa che devi rivedere le tue priorità, fiorellino » si infilò in macchina.
Sbuffai, iniziavo ad odiare il modo in cui stava usando quel nomignolo. Fino a non molto tempo prima era una cosa dolce, forse fin troppo, ora invece era diventato quasi uno scherno. Aprii la portiera e poco prima di sedermi vidi la margherita poggiata sul mio sediolino. La raccolsi, mi accomodai e provai a lanciargli una seconda occhiataccia. Jacob si schiarì la voce, guardando nello specchietto laterale ed avviando la macchina come se niente fosse. Voleva fare l’indifferente. Cose da pazzi.
« Anche questo rientra negli optional di una serata amichevole? »
Sorrise. « E dai, Bella. Uno più, uno meno, ormai che differenza fa? »
« Fa tutta la differenza del mondo, visto che da amico non me ne hai mai regalato uno »
« Però quei tre prima del mio ritorno li hai accettati, quando te li ho lasciati sul davanzale »
« Ma di che … »
Mi zittii. Ma certo. Si riferiva ai tre fiori che avevo trovato sotto il letto qualche giorno prima di Natale. Ma allora erano suoi, li aveva portati lui. Anche se non si trovavano affatto sul davanzale della mia finestra. Sospirai, scuotendo la testa, quando capii. C’era solo un’altra persona che avrebbe voluto tenermeli nascosti. Edward.
Ricollegai tutto in un istante. Jacob mi lanciava sguardi sott’occhio con un mezzo sorriso soddisfatto sulle labbra. Pensai a quanto avessero dovuto essere importanti per lui, in quel momento. A quanta paura provasse nel dovermi rivedere, sapendo di dover affrontare spiegazioni che forse non sapeva nemmeno come darmi. Aveva voluto prepararmi, in un certo senso. Forse anche rassicurarmi, a modo suo. Decisi che non avrei lasciato che la meschinità di Edward rovinasse quel gesto. Così sorrisi, senza aggiungere altro. Jacob sorrise soddisfatto di rimando e tornò a prestare attenzione alla strada.
Forse, se i tentativi di Jacob di andare oltre l’amicizia si fermavano a quei sottili messaggi, potevo rilassarmi e godere di quella serata così preziosa, dopo tutto quello che era successo. Jacob scalò una marcia del cambio manuale della Golf dell’89 e con l’indice accese la radio. Fischiettava il ritornello della canzone ed io sorrisi, felice di tornare a vedere di nuovo il volto del mio Jacob, sembrava essere tornato quello prima della trasformazione. Sereno, felice, quasi radioso come il sole che a Forks spuntava raramente.
« L’ultima volta che ho visto quest’auto era poco più di un catorcio, ora invece funziona anche la radio. Incredibile » constatai.
« Diciamo che negli ultimi tre mesi ho fatto molta pratica e quando ho rivisto la Golf è stato un gioco da ragazzi finirla ».
Mi mossi leggermente sul sediolino, c’era un odore strano.
« Che cos’è questo … » iniziai ad annusarmi intorno.
« Cosa cerchi? »
Aprii anche il cruscotto davanti alle mie ginocchia. « L’arbre magique che fa questo odoraccio ».
Jacob rise « Sono io, è il dopobarba di Billy. Fa schifo »
Lo guardai stupita.
« Il dopo … dopobarba, eh? » mi venne da ridere.
Cercavo di trattenermi in ogni modo, ma sentivo chiaramente gli angoli della bocca tirarsi e la risata soffocata nello stomaco.
« Cosa ridi? » sorrise, un po’ in imbarazzo.
« Non sto ridendo » ribattei, ma ormai era palese che mi stessi trattenendo.
« Vedi, mia dolce metà … » iniziò.
Lo fulminai con un’occhiataccia.
« Mia dolce metà amichevole, ovvio. Si da il caso che sia cresciuto anch’io e che mi rasi come qualsiasi altro uomo ».
A quel punto lasciai andare la risata che trattenevo, non sapevo di preciso perché mi divertisse così tanto l’idea di Jacob uomo, concentrato davanti allo specchio con un rasoio in mano. Forse perché era andato via poco più di un bambino, ed era tornato adulto. Non riuscivo ad immaginarlo. Lo presi un po’ in giro, tanto per divertirmi. Jacob afferrò la mia mano e se la portò al viso, strofinandola su una guancia e sotto il mento.
« Vedi? Più liscio del sedere di un neonato. Così ci si presenta ad una ragazza, Bells ».
Ritirai la mano mentre ridevo come non mi capitava più da mesi ormai, mi sentivo leggera e spensierata come solo con lui riuscivo ad essere.
« Iniziamo male, Black. Iniziamo proprio male ».
« E così era qui che volevi portarmi? » domandai incredula, mentre chiudevo la portiera e mi incamminavo.
« Più neutro di così … » la voce di Jacob mi seguiva alle spalle.
Davanti a me si apriva una distesa d’erba ormai troppo alta, perfettamente rettangolare. Una volta era un campetto, lo usavamo per qualsiasi tipo di gioco ci venisse in mente. In un capanno non molto lontano da lì c’erano sicuramente ancora stipate le porte da calcetto, i canestri da basket e la rete di pallavolo. I pali da football invece si ergevano ancora in tutta la loro altezza, ai margini opposti del campo, ormai arrugginiti e con la vernice rovinata. Nel corso degli anni avevamo trascorso pomeriggi interi a fare gli scemi lì in mezzo, con Angela, Jessica, Mike, i ragazzi della riserva.
Dal centro del campo mi guardai intorno, con un pizzico di malinconia nel sorriso. La luce del tardo pomeriggio lo rendeva ancora più suggestivo. Non riuscii a fare a meno di pensare che quel campetto rispecchiava gli anni appena trascorsi. L’erba alta, forse cresciuta troppo in fretta, proprio come tutti noi. La vernice scrostata dai pali, segnati dalle macchie di ruggine così come gli errori che avevamo commesso segnavano ognuno di noi. Mi voltai verso Jacob sorridendogli e lo trovai che avanzava verso di me con una palla da football tra le mani e sulle labbra il mio stesso sorriso. Un po’ malinconico.
« Mi mancava questo posto » confessai.
« Anche a me » rispose sospirando.
Mi guardai ancora intorno, mentre lui non distoglieva lo sguardo da me. Era sollevato che fossi contenta. E così quello era il motivo di quell’appuntamento così anticipato. Cominciai a ricredermi, forse Jacob voleva davvero vivere una giornata come se non ci fosse mai accaduto niente di brutto, come se le creature sovrannaturali non esistessero, semplicemente lui ed io. I nostri sguardi, le nostre risate.
« Bells » mi chiamò.
Non appena mi voltai mi lanciò la palla. Allungai le mani per afferrarla, ma la mia proverbiale scoordinazione non mi permise di fare altro che farla rimbalzare un paio di volte sulle dita, prima di farla cadere al suolo senza riuscire a bloccarla. Jacob rise.
« Non vale così, a tradimento » protestai.
Lui si avvicinò, ancora ridendo. « Non l’avresti presa nemmeno se ti avessi avvisata dieci minuti prima ».
« Ah no? Allora vediamo se ci riesci tu, a prenderla ».
Jacob fece un balzo nella mia direzione, allungando le mani verso di me. Mi voltai di schiena, proteggendo la palla con il corpo ma le sue lunghe braccia si insinuarono presto sotto le mie. Provai a divincolarmi ed in qualche modo ci riuscii, o me lo permise, ed iniziai a correre lungo tutto il campo. L’erba alta mi sfiorava i fianchi, mentre ridevo e cercavo di saltare i vari ostacoli che si nascondevano sotto di essa. Jacob dietro di me cercava di afferrarmi, di farmi cadere, con una risata specchio della mia. Ogni tanto mi voltavo per capire quanto fosse distante e lo trovavo sempre troppo vicino, tanto da chiedermi se non lo facesse apposta a non raggiungermi.
Continuammo così per qualche ora, semplicemente giocando, come se fossimo tornati bambini. Il mio giaccone abbandonato accanto alla Golf. Mi apprestavo a tirare l’ultimo field goal che mi avrebbe assicurato la vittoria, anche se non sapevo bene come fossi arrivata a quel risultato. Tutta fortuna, visto che Jake era scivolato un paio di volte quando era toccato a lui. Incredibilmente riuscii nella mia impresa, calciai forte e la palla roteò in aria, in alto, fino ad oltrepassare i pali dritto nel mezzo. Esultai come avessi davvero dieci anni, iniziando a correre tutto intorno alla metà campo.
« E’ solo fortuna, Bells » mi gridava dietro Jacob.
Non me ne curai e continuai a rimbalzargli intorno, deridendolo. Jacob mi lanciò un sorriso sornione, poi scattò veloce nella mia direzione. Mi acciuffò in pochi secondi, confermando i miei sospetti che fino a quel momento mi avesse lasciata sfuggire di proposito. Sentii le sue braccia afferrare le mie, poco prima che mi rovinasse addosso con una mezza capriola. Doveva essere inciampato. Ridemmo, sprofondati nell’erba e con gambe e braccia intrecciate dopo il ruzzolone. Mi sentivo leggera. Guardavo il suo sorriso, i suoi occhi, e pensavo che non avrei mai potuto rinunciare a tutto questo.
Jacob sorrideva, con gli occhi incatenati nei miei. Una mano lasciò la presa sul mio braccio per percorrerlo tutto, fino ad arrivare al mio fianco scoperto. Lo avvolse e sentii il calore bruciante del palmo sulla mia pelle, le dita affondate fino a sentirne la pressione sulle ossa. Dovetti fare uno sforzo enorme per impedire ai miei fianchi di muoversi verso di lui. Jacob invece si avvicinò, infilando una gamba tra le mie, i nostri nasi quasi a sfiorarsi.
Non andava bene così, non andava bene per niente. Il suo calore, così avvolgente, mi travolgeva. Non potevo permettere che andasse oltre.
« Faremo tardi per quella pizza » me ne uscii.
Jacob non si scompose, nemmeno sorrise. Piuttosto aumentò la stretta sul mio fianco, avvicinò ancora il busto al mio. Potevo sentire il suo torace sfiorare il mio, mentre respirava. Avvicinò ancora il viso, ma io mi voltai dall’altro lato. Sospirò frustrato.
« Al diavolo la pizza, Bells »
Mi baciò la guancia che gli porgevo e che, già accaldata per la corsa, divenne ancor più rossa. Le sue labbra soffiarono una risatina sulla mia pelle a quella reazione.
« Da quanto non ti sentivi così? » sussurrò, sfiorandomi il collo con il naso.
Se per così intendeva letteralmente a fuoco, beh la risposta era da un pezzo. Mi sentivo bruciare sotto le sue mani, il suo fiato. Il cuore mi martellava in petto talmente forte che pensai potesse arrivare a toccare la stoffa azzurra della camicia di Jacob. Non potevo lasciarmi andare, non potevo. Me stessa prima di chiunque altro, mi rammentai.
« Adesso basta, Jake. Avevi promesso ».
Riuscii a divincolarmi dal suo abbraccio, scivolando sulla terra fino ad essere fuori dalla morsa pesante e bollente del suo corpo. Lo sentii sbuffare esasperato, prima che si tirasse su. Mi avviai alla macchina, infilai il giaccone e quando mi voltai lo trovai che si guardava intorno, tastandosi le tasche dei jeans.
« Che c’è? »
« Mi sa che ho appena perso le chiavi »
« Scherzi? » chiesi, guardando il campo avvilita.
« No »
Gli lanciai un’occhiata. Se si trattava di uno dei suoi trucchetti per tenerci ancora lì non mi piaceva affatto.
« Bella, davvero. Non ho bisogno di certe stronzate, se ti voglio ferma qui … » schiacciò il mio corpo tra il suo e l’auto, le mani poggiate al tettuccio dietro di me « … so come fare ».
Si discostò lentamente con un sorriso da schiaffi, io sbuffai. Mi guardai ancora intorno. Non saremmo mai riusciti a ritrovare un mazzetto di chiavi in una giungla simile.
Infatti impiegammo più di un’ora a setacciare in lungo e in largo tutto il campo. Il tramonto non aveva di certo aiutato le ricerche e più la luce andava affievolendosi più perdevo ogni speranza di ritrovare quelle maledette chiavi.
« Sai che sono un coglione? » mi chiese Jacob dall’altro lato del campo.
« Finalmente lo ammetti » risposi senza staccare gli occhi da terra, mentre setacciavo ogni centimetro di terreno intorno alle mie scarpe.
« No, davvero. Smonto e rimonto qualsiasi mezzo a motore anche alla cieca ogni giorno. Posso farla partire con i fili. Come diavolo ho fatto a non…»
« Le ho trovate! » lo interruppi. « Le ho trovate, Jake! »
Afferrai le chiavi, mi raddrizzai sulla schiena e le feci tintinnare sorridendogli. Lui mi sparò uno di quei sorrisi che sarebbero capaci di illuminare perfino la notte e corse verso di me.
« Grande, Bells! »
Saltellavo sul posto, felice e sollevata. Jacob mi raggiunse e mi sollevò in un attimo, facendomi saltare per aria un paio di volte. Gridava festoso e non dava l’impressione di voler smettere. Forse stava leggermente esagerando. Mi mise di nuovo a terra mentre continuava a saltellarmi intorno.
« Yeah! Sei un mito! » mi prese le chiavi di mano mentre lo guardavo leggermente stupita. « Woohoo! »
Mi sorrise e lanciò le chiavi dietro le sue spalle, che atterrarono da qualche parte molto lontano. Sgranai gli occhi incredula, mentre lui scoppiava a ridere.
« Ma che … sei impazzito? Ci sono volute ore! » gli gridai contro.
Ma Jacob non sembrava voler smettere di ridere. Dopo una lunga serie di imprecazioni da parte mia ed una infinita risata da parte sua, si decise a porre fine a quello scherzo che solo lui trovava divertente. Si trasformò in lupo e recuperò le chiavi. In meno di dieci minuti eravamo diretti in pizzeria.
Quando Jacob frenò nel parcheggio sul retro del ristorante a Port Angeles, si slacciò la cintura di sicurezza senza problemi. A differenza di me, che cercavo in ogni modo di tirarla fuori dal gancio senza successo.
« Ah, già. Quella è ancora un po’ difettosa, ti aiuto io ».
Si allungò verso di me, o forse sarebbe meglio dire sopra di me. Mi sovrastò togliendomi del tutto la visuale del parabrezza, un ginocchio poggiato sul suo sediolino ed una mano contro il mio finestrino.
« Giusto questa qui, eh? Guarda caso » commentai.
Lui ridacchiò appena, sottovoce, abbassandosi eccessivamente per raggiungere la fibbia incastrata.
« Vedi, ci vuole soltanto un pochino … di forza » sussurrò guardandomi dritto negli occhi, mentre con uno strattone deciso liberava la cintura dall’ingranaggio.
Tenne la parte metallica in mano, mentre la faceva risalire lentamente lungo tutto il mio busto, per sfilarmi la cintura. Mi resi conto che quell’appuntamento era iniziato bene, ma procedeva sempre peggio. Da semplici messaggi innocui e sottintesi Jacob era passato allo sfacciato andante, senza nessun freno. Mi dissi che me lo meritavo, la situazione stava degenerando per colpa mia, che non avevo un briciolo di polso fermo. Così, nonostante stessi andando a fuoco per la vicinanza del suo corpo forte e caldo, deglutii e mi imposi.
« Jake »
« Dimmi tutto » disse piano
« Togliti di dosso. Ora » ordinai, la voce più dura che avessi mai usato.
Jacob mi guardò sorpreso, ma non si mosse. Dopo il primo attimo di incertezza fece per parlare, con un mezzo sorrisetto che stava iniziando a spuntargli sulle labbra.
« Jacob mi hai sentito? Togliti » lui esitò ancora un attimo. « Subito » aggiunsi.
Lui sbuffò, ma si lasciò cadere sul suo sediolino.
« Io proprio non ti capisco » mi guardò di sbieco. « Lo capirebbe perfino uno stupido che … »
« D’accordo basta così » alzai la voce, non volevo sentire altro. « Mettiamola così, Jake. Ho accettato di passare una serata con il mio migliore amico, quello che mi ha promesso una pizza senza altre complicazioni e questa mi sembra tutto fuorché un’uscita amichevole ».
Quando vidi che taceva, ascoltandomi sul serio, senza più l’aria da spaccone che aveva addosso fino ad un secondo prima, aggiunsi. « Per favore, Jacob » a bassa voce, fissando il mio sguardo nel suo. « Lo sto chiedendo al mio migliore amico. Per favore, rispetta la mia decisione. Ho … » sentii gli occhi inumidirsi, la voce tremarmi leggermente « … io ho bisogno di … »
Jacob espirò forte « Scusa, Bells » scosse il capo. « Sono stato un coglione, perdonami ».
Allungò le braccia verso di me e mi attirò a se, stringendomi in un abbraccio forte e caldo. Rassicurante. Non c’era niente di malizioso in quella vicinanza, l’opposto di quanto successo fino a poco prima. Sospirò, accarezzandomi la testa che tenevo poggiata al suo petto.
« L’hai sempre saputo che sono un coglione. Ma mi vuoi bene anche per questo, giusto? »
Sollevai lo sguardo per incontrare il suo, dolce e gentile, quello del mio amico. Sorrideva e io non potei non imitarlo, come ogni volta.
« Più o meno … » commentai, storcendo appena il naso.
Le nostre risate si unirono, riecheggiando nel piccolo abitacolo della Golf e come avrebbero fatto per tutto il resto della serata.
« Devo proprio dirtelo, Bells » farfugliò ad un certo punto, con la bocca piena.
La sua pizza era finita da un pezzo ed aveva iniziato a mangiare la metà della mia che avevo lasciato. Dai bicchieri di coca cola colavano goccioline di condensa, la bibita troppo fredda per quel locale così caldo. Jacob si era lamentato, se fossimo stati a casa avrebbe potuto godersi una bella birra invece di quella schifezza dolciastra. Subito dopo si era sbottonato un po’ la camicia azzurra, accaldato. Lo sguardo della cameriera si era fissato sul suo petto, se lo mangiava con gli occhi da quando avevamo messo piede lì dentro.
« Cosa? »
Si succhiò l’olio dei peperoni dalla punta delle dita. Gli passai un tovagliolo, lui alzò gli occhi al cielo e lo afferrò.
« Sei cazzuta »
« Suppongo sia un complimento »
« Ovvio. Cioè … sei una tosta », mi guardò davvero con orgoglio prima di proseguire. « L’ho sempre saputo che sai il fatto tuo, però … ammetto che sono rimasto stupito di come hai affrontato le questioni mie e di quell’altro. Insomma, ci hai anche mandati a fanculo entrambi e, con il senno di poi, hai fatto benissimo. Sei una tosta ». Ribadì annuendo, con un sorriso sulle labbra.
Tralasciando il fatto che, a modo suo, mi stava facendo uno dei più bei complimenti che avessi mai ricevuto, Jacob sembrava davvero orgoglioso di me. Nei suoi occhi c’era una luce diversa, di chi ha ricevuto una piacevole sorpresa. Mi sentii rincuorata all’istante. Tutti i miei timori, le paure e le insicurezze di aver sbagliato con loro, di non essere stata all’altezza delle loro rivelazioni, furono spazzate via in un sospiro. Mi sentivo cambiata, sentivo che stavo crescendo e questa ne era finalmente la prova. Se riuscivano a vederlo anche gli altri, allora non era solo una mia impressione.
« Grazie, Jake » posai una mano sulla sua.
In quel grazie c’erano talmente tante cose che sperai solo riuscisse a carpirle dal mio sguardo. C’era un grazie per il suo appoggio, uno per il suo orgoglio, uno per la sua semplicità, ma soprattutto uno per la soddisfazione che mi dava il suo apprezzarmi come persona, nei miei gesti e nelle mie scelte, e non soltanto per i miei occhi o le mie gambe.
Ancora una volta, i suoi occhi nei miei, fui certa che comprese. Sollevò la mano dal tavolo per portarsi la mia alle labbra e baciarla.
Quando mi riaccompagnò rimanemmo qualche minuto in macchina a scambiare le ultime battute. Le luci in casa erano tutte spente, segno che Charlie era già a letto o ancora in centrale. Nonostante gli alti e bassi di quella giornata mi riusciva difficile salutare Jacob e scendere dall’auto. Avrei voluto che quel momento durasse il più a lungo possibile. Dovevo rendergli merito che quelle ore trascorse insieme erano state ossigeno puro. Ci salutammo a malincuore, negli occhi di entrambi l’amara consapevolezza che il giorno dopo non sarebbe cambiato assolutamente niente, che quella giornata era stata soltanto un tuffo nel passato e niente più.
Camminavo sul selciato nell’aria fredda della sera, facendo tintinnare le chiavi tra le dita. Le infilai nella toppa, mi voltai a salutare Jacob che ricambiò con un colpo di clacson prima di andare via, poi entrai in casa e mi richiusi la porta alle spalle. La casa era stranamente silenziosa, niente russare, niente tv accesa al piano di sopra. Charlie doveva essere ancora in centrale. Mi tolsi il giaccone con una strana sensazione addosso, andai in cucina per un bicchier d’acqua. C’era qualcosa che mi punzecchiava un angolo dei pensieri, ma non riuscivo a cogliere cosa fosse di preciso. Avevo la sgradevole sensazione di aver dimenticato qualcosa.
Di solito è una percezione che si ha quando si esce di casa e non quando si rientra, ma non mi stupii più di tanto, forse rientrava tra le mie stranezze ancora inesplorate. Mi dissi che sicuramente si trattava di una battuta o qualcosa che volevo raccontare a Jacob, ma che non mi sovveniva. Scrissi un bigliettino a Charlie per quando sarebbe tornato, dicendogli che ero a letto. Lo fissai al frigo con una calamita, poi spensi la luce e mi diressi al piano di sopra.
Quando entrai in camera c’era buio pesto e un freddo incredibile. Chiusi la finestra che avevo lasciato aperta fin dal pomeriggio. Fu solo quando mi voltai che notai la persona seduta sul mio letto.
« Bentornata, Isabella. Hai trascorso una giornata piacevole? »
Al suono di quella voce mi si gelò il sangue nelle vene e mi fu chiaro cos’avessi dimenticato.
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Capitolo 43 *** Avviso ***
AVVISO
- Sospensione temporanea della pubblicazione -
Buon pomeriggio a tutti.
Mi dispiace infinitamente dover postare questo avviso, ma è necessario. Più di ogni cosa, però, è per rispetto nei vostri confronti.
Questo 2012 mi ha portato molti problemi, situazioni complicate e difficili dalle quali una alla volta sono riuscita a venir fuori. Ma, per rimarcare l'andazzo di quest'anno nuovo, qualche giorno fa mi si è rotto definitivamente il computer. E' un periodo davvero da pazzi, fra esami universitari, trasferimenti, problemi, e anche il pc rotto.
Ho considerato tutti questi eventi, sommandoli ad un pensiero su Undisclosed Desires che avevo già da un po', e alla fine ho deciso di sospendere la pubblicazione della storia.
Non so dirvi con precisione quando riprenderò a postare i nuovi capitoli, ma la mia intenzione sarebbe quella di pianificare (se non svolgere) tutto il lavoro prima di ritornare a pubblicarli.
Quindi, cosa dire?
Non è un addio, assolutamente.
E' un arrivederci.
Un invito a voi che avete sempre seguito Undisclosed Desires a non dimenticarvi di lei.
Vi prometto che farò tutto il possibile per rendere questa sospensione quanto più breve possibile.
Grazie per aver avuto sempre così tanta pazienza ed affetto nei mei confronti, grazie ad ognuno di voi.
A presto,
Roberta.
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