You're the Reason I'm Leaving

di nainai
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** 1.Prima Battuta ***
Capitolo 2: *** 2.Seconda Battuta ***



Capitolo 1
*** 1.Prima Battuta ***


Attenzione: Il presente scritto ha come protagonisti persone realmente esistenti e soggetti di pura fantasia. Le vicende narrate sono interamente inventate dall’autrice. Nessuno scopo di lucro e nessun intento offensivo né pretesa di veridicità o verisimiglianza. Nessun diritto legalmente tutelato s’intende leso ed ogni diritto riservato spetta ai rispettivi titolari.
 
Storia – immeritatamente - seconda classificata al “Lyrics Contest” organizzato da Nemo from Mars, con la seguente “traccia”:
 
“Ti cerco perché sei la disfunzione,
La macchia sporca, la mia distrazione,
La superficie liscia delle cose,
La pace armata, la mia ostinazione”
 
Subsonica
“Nuova Ossessione”
 
You’re The Reason I’m Leaving
 
1. Prima battuta
Bob Hardy aveva una caratteristica fondamentale. Una di quelle cose che la gente impara in fretta di te, che memorizza e manda a memoria per sapere esattamente cosa aspettarsi.
In realtà, Bob Hardy ne aveva parecchie di caratteristiche fondamentali che i suoi amici – ma poi anche quelli che lavoravano con loro, i tecnici, Cerne, Rich…- avevano mandato a memoria per sapere sempre esattamente cosa aspettarsi da lui. Ad aiutarli, in realtà, c’era il fatto che Bob fosse fondamentalmente una persona semplice. Al di là delle velleità artistiche, Robert Byron Hardy era, infatti, una delle persone più semplici che esistessero al mondo. Era incredibilmente “solido”, per dire, uno di quegli individui a cui piace fare le cose solo quando hanno la certezza che riusciranno, e riusciranno bene. Era puntuale, era ordinato, era metodico, era uno senza grilli per la testa…un abitudinario, la classica persona di cui dire che “quando serve, c’è”. Era il punto fermo di un gruppo – una band – che di colonne portanti ne aveva anche troppe, ma in basi stabili aveva peccato fin dal principio.
E se pure a Cerne Cunning, il loro manager, piaceva dire che la forza dei “Franz Ferdinand” stava tutta nelle loro personalità così diverse, loro sapevano bene quanto quelle “personalità diverse” a volte potessero diventare incostanti e difficili da gestire.
Per dire, Bob Hardy aveva appunto una caratteristica fondamentale che tutti loro conoscevano e su cui potevano fare affidamento: qualunque cosa fosse successa, lui sarebbe stato al proprio posto quando avrebbe dovuto esserci.
Allo stesso modo, ed in una sorta di immagine riflessa, anche Alex Kapranos aveva delle caratteristiche fondamentali ed in particolare su una tutti loro sapevano di poter contare con una regolarità aritmica che aveva dello spaventevole.
Alex Kapranos, infatti, era pazzo.
Non era il genere di conclusione a cui arrivavi immediatamente, quando lo conoscevi. Anzi. Alex era un pazzo di quelli tranquilli, di quelli che a vederli pensi che siano proprio come tutti gli altri e pure più intelligenti della media dei tuoi conoscenti. Era pulito, ad esempio. Il che non era male per uno che comunque aveva sangue inglese nelle vene. Ed era educato, in generale…quando la birra non riportava a galla il sangue inglese, appunto. Era anche uno che ci pensava alle cose prima di dirle – non che poi questo gli impedisse di dirle lo stesso con tutte le conseguenze del caso – e pareva proprio che non ci fosse nulla in grado di fargli perdere la pazienza, eh. Salvo che non fosse ubriaco, chiaro.
Beh insomma, per non dilungarsi troppo, Alex Kapranos, a conoscerlo così, superficialmente, era come qualsiasi altro inglese di trent’anni che Bob avesse mai conosciuto. Come suo cugino, ad esempio. Magari meno grasso, ecco.
Però poi lo conoscevi meglio – e se ce lo avevi attorno per ventiquattro ore al giorno, trecentosessantacinque (o giù di lì) giorni all’anno, lo conoscevi meglio di tuo cugino…ma pure meglio di tua madre! – e capivi che era pazzo. E manco un pazzo di quelli che lo sono sempre e, quindi, puoi gestire. No no, lui era un pazzo di quelli che ti colpivano a tradimento, mentre tu eri perso nel mezzo della campagna scozzese, in un cottage che lui aveva comprato e che voi avevate dovuto fare i salti mortali per dotare di uno studio di registrazione. A quel punto, quando meno te lo aspettavi, l’evidenza della follia di Alex Kapranos ti veniva sbattuta in faccia con una crudeltà che ti privava del tutto di ogni capacità di reazione.
Per cui Bob Hardy aveva preso la decisione, più o meno ponderata, di non provarci affatto, a reagire, di lasciarsi scivolare addosso quella nuova consapevolezza con la stessa flemma atavica che stava sfoggiando nel prenderne atto, ritto davanti ad una finestra, in cucina, una tazza di the bollente nella destra, la sinistra affondata nella tasca di una tuta malmessa che usava come pigiama, la musica assordante di “Cats” alle sue spalle.
Dall’altro lato di quello stesso vetro, immerso fino alla caviglia nel fango e nella pioggia malsana tipica di quella regione, Alex marciava, sulla spalla una zappa ed in mano un grosso annaffiatoio da giardiniere, ai piedi stivali alti di gomma di quelli che si usano per la pesca, ed in faccia l’espressione più torva che Bob, in tanti anni di sincera amicizia, riusciva a ricordare.
Bob prese un sorso di the dalla tazza e la riabbassò.
-Siamo alle solite?
La voce alle sue spalle gli fece voltare la testa per riconoscere l’uomo che stava entrando in quel momento dirigendosi direttamente alla vecchia cucina economica – Alex aveva insistito per tenerla ed, anzi, rimetterla in funzione – su cui riposava in caldo il bollitore ancora pieno.
-Ciao, Rich.- borbottò Bob basso e pacato.
Non si premurò di confermare quello che il produttore aveva chiesto, anche perché lui stesso lo raggiunse alla finestra, una seconda mug tra le mani, e scostò delicatamente la tendina, osservando poi Alex che, raggiunta finalmente l’aiuola che lo interessava, metteva mano alla zappa con un entusiasmo che lo avrebbe ricoperto di terra, fango ed erba nel giro di pochi minuti.
-Sarei davvero curioso di sapere che gli frulla per la testa. – ammise piano l’uomo, sfoggiando peraltro la stessa rassegnazione indolente del ragazzo più giovane. Lasciò ricadere la tendina per tornare sui propri passi, seguendo la scia musicale che proveniva dal piano di sopra e che sembrava essere improvvisamente aumentata di intensità.- Paul è uscito dalla tana!- annunciò cattedratico il produttore.
Bob rise e soffocò quel suono nella tazza quando, a conferma delle parole dell’altro, si udì un fracasso terribile provenire dal piano di sopra, seguito da una serie di imprecazioni volgari e dal rumore di qualcuno che si precipitava scalpicciando nel corridoio delle stanze da letto.
-…tutto a posto?- s’informò una voce perplessa.
Bob riconobbe facilmente Paul quando rispose, soffocato, un “sì” stentato e tutt’altro che convinto:
-Sono inciampato.- spiegò con una certa dose di imbarazzo.
-Eh…tanto per cambiare…- Questo era Cerne, rifletté Bob voltandosi anche lui e posando la tazza semivuota sul tavolo.
Fuori della finestra Alex era completamente fradicio, sporco e molto molto stanco. Un ottimo modo per iniziare una giornata di lavoro.
E Nick ancora non si trovava.
 
Alex aveva preso questa abitudine del giardinaggio da un po’ di tempo ormai. I ragazzi non lo capivano, ad essere onesti, e lui credeva che la giudicassero un cosa un po’ strana – si era accorto di certe occhiate che i suoi stivali di gomma, la zappa ed il rastrello si erano guadagnati più di una volta. In realtà gli serviva per schiarirsi le idee.
Solo, in mezzo ad un giardino che oltre ad essere deserto era immerso in un silenzio reso ovattato dal ticchettio costante e sottile di una pioggia quasi invisibile, Alex aveva come compagnia i propri pensieri e niente altro fino a quando le braccia non diventavano troppo pesanti, le ginocchia gli si stancavano a stare piegate e le ossa prendevano a fargli male sotto l’umido che raccattava lì fuori. A quel punto c’erano una doccia calda, un the bollente ed una chitarra ad aspettarlo, ma tutto il resto era molto più facile.
Quella mattina non avrebbe fatto eccezione alle altre identiche che si ripetevano da tempo, se Nick non avesse deciso di non farsi trovare affatto. Le ultime notizie che si avevano di lui le aveva fornite Michael, che alzatosi alle quattro per andare a pisciare aveva beccato il chitarrista mentre usciva, vestito di tutto punto e baldanzoso come se lo avessero invitato ad una festa di sole donne. Aveva pure provato a fermarlo prima che imboccasse la porta, ma la risposta di Nick davanti al suo ragionevole “che cazzo ci fai già sveglio?!” era stata la più lapidaria possibile.
-Esco.
E l’istante dopo lo aveva pure fatto, tirandosi dietro il battente del cottage e lasciando l’amico da solo su una scala buia, la bocca spalancata ed il sole che sorgeva pallido e smunto attraverso le finestre del salotto. Michael, chiaramente, aveva fatto quello che avrebbe fatto chiunque altro al suo posto: aveva girato le spalle, era andato a pisciare e poi se n’era tornato a letto.
Da lì, tuttavia, si perdeva ogni traccia di Nick. Ed erano già le undici del mattino; Rich stava  inspiegabilmente perdendo la pazienza.
-Ma io che cazzo devo fare per lavorare con voi?!- abbaiò dietro ad uno scazzatissimo Alex, arrampicato su uno sgabello con l’acustica in braccio ed un’espressione feroce a contrastare quella del produttore.- Siamo in ritardo fottuto su tutta la scaletta e voi cosa fate?!- continuò imperterrito. – Tu ti metti a coltivare patate e quell’altro sparisce nel mezzo della campagna senza lasciare traccia di sé!
Alex pensò tra sé e sé che quella cosa che lui fosse il leader della band solo quando c’era da prendersela nel culo cominciava ad andargli stretta; perché Rich non urlava allo stesso modo contro Bob o Paul?
-Beh, poco male. Tornerà.- affermò spiccio, pizzicando di malavoglia un paio di corde, in un chiaro invito a piantarla lì.- Magari quando avrà fame…- aggiunse velenosamente con un sorrisetto tutt’altro che incoraggiante.
Rich sospirò in modo pesante e teatrale e Bob provò pena per lui.
-Se non si è addormentato in un pozzo…- borbottò Paul facendo per uscire da dietro la batteria.
Per sua fortuna inciampò nel rullante molto prima di riuscire a districare le gambe dallo sgabello, rovinò in modo ignobile sui piatti e piombò a terra con un fracasso che congelò del tutto la battuta crudele di Rich sul fatto che invece sarebbe stato molto meglio per lui affogarci in un pozzo, prima che potesse mettergli le mani addosso.
-Paul!- ringhiò Alex tappandosi le orecchie istintivamente.
-Eccheccazzo! Fai attenzione!- gli tirò dietro anche Bob imitando il cantante.
-…scusate.- biascicò il batterista dal pavimento.
Rich sospirò ancora, ma stavolta si risparmiò qualsiasi commento affidandosi ad una breve scrollata di mano ed uscendo subito dopo, nel momento esatto in cui Cerne Cunning appariva sulla stessa soglia, mano ai fianchi e sguardo severo da “papà è molto arrabbiato”.
-Dove cazzo è quel coglione?!- ruggì.
A quel punto Alex mise via l’acustica, saltò giù dallo sgabello e si ricordò improvvisamente di avere un altro impegno che non poteva proprio essere rimandato.
 
Bob e Paul uscirono a mezzogiorno. La pioggia aveva deciso di dare loro un attimo di tregua e, visto che c’erano da scaricare il materiale e la spesa dal furgoncino che Andy aveva portato su il giorno prima – e visto che tutti, appena sentito che c’era da scaricare il furgoncino di Andy, si erano dileguati a tempo record. Andy in testa – avevano pensato di approfittare di quel momento di pausa per non doversi ridurre a due spugne indolenzite e raffreddate. Raggiunsero il garage nella vecchia stalla, Bob avanti con le chiavi in mano e Paul che gli arrancava dietro, cercando quanto più possibile di evitare le pozzanghere fangose che costellavano i vialetti.
-Diamoci una mossa.- sbuffò il primo rudemente, spalancando di malagrazia il portello posteriore del furgoncino rosso.
-Che diavolo è quella roba?- s’informò Paul raggiungendolo e studiando una cassa più piccola delle altre su cui tutta una serie di avvisi tipo “attenzione, proprietà privatissima!” e “non toccare o Alex morde!” invitavano a maneggiare il tutto con cautela.
Cautela che difficilmente ci si sarebbe potuti aspettare dal batterista, così che Bob si affrettò a togliergli dalla testa ogni idea al riguardo e gli rifilò un più agile sacchetto della spesa ricolmo di verdura e frutta. Che poi che senso avesse ordinare tutta quella roba vegetale, visto che l'unica cosa che non mancava lì intorno erano le verdure, restava un mistero su cui Bob aveva smesso di interrogarsi quando Alex lo aveva tenuto più di un'ora a discutere di tre differenti qualità di cipolla.
-Sai a cosa pensavo?- intervenne la voce di Paul a distrarre l'amico dalle proprie riflessioni a tempo perso. Bob grugnì una sorta di attestazione interrogativa e Paul proseguì senza avvertire nemmeno lontanamente il bisogno di aiutare l'altro quando caricò a braccia un'enorme cassa di birre.- Beh, se ci pensi bene Alex e Nick hanno iniziato a comportarsi in modo strano da un momento preciso.
-Sì. Quello del loro primo vagito.- sbuffò ancora l'altro, posando a terra la cassa e reinfilando la testa nel retro del furgoncino.
-Beh, ok...intendevo dire in modo più strano.- si corresse Paul pacatamente. Bob gli alzò in faccia un'occhiata scettica e lui circostanziò.- Dai! facci caso.- pretese agitando il sacchetto in un modo che Bob ritenne decisamente pericoloso per le cipolle di Alex.- Prima che Nick ci dicesse che lui e Manuela si sarebbero sposati, andava tutto come al solito.
La testa bionda e ricciuta di Bob fece nuovamente capolino dalla portiera del furgone e gli occhi del ragazzo si puntarono su Paul con attenzione autentica stavolta.
-Beh, senti...- prese a borbottare il più giovane tirandosi dritto e mollando la presa sulla maniglia della portiera.- Nick è solo...spaesato, ecco. Ed Alex...- ma rinunciò ad aggiungere qualcosa non appena si rese conto che non avrebbe saputo cosa aggiungere. Alex era incomprensibile. Scosse la testa e tornò a scaricare casse e sacchetti.
-Cioè, tu pensi che non ci sia relazione tra le due cose?- continuò imperterrito Paul alle sue spalle.- Voglio dire, sarebbe anche normale. Nick sposato non riesco proprio ad immaginarlo, sai. Glielo hanno detto che significa monogamia a vita? Ed Alex, in fondo, è il suo migliore amico. Insomma, quando non tentano di uccidersi a vicenda, s'intende. Ma ci sta che ci sia rimasto male, così, a sangue freddo, da un giorno all'altro. Da quant'è che Manuela e Nick stanno assieme?
-Da sempre.- grugnì nuovamente Bob, secco ed aspro, rimettendosi dritto.- E questo dovrebbe darti l'esatta misura di quanto sia stupida la tua idea! Lo sapevamo tutti che si sarebbero sposati, prima o poi.
-Saperlo per principio non è come saperlo e basta.- filosofeggiò il batterista con aria ascetica.- Secondo me per Al è stata una doccia fredda e ci deve ancora fare l'abitudine.
-E sfoga la stizza a colpi di zappa!- esclamò ridendo Bob.
Paul storse il naso, non la reputava una gran battuta. Ma non ebbe il tempo di farlo notare al biondo perché un suono sordo e metallico, soffocato, li raggelò entrambi sul posto.
-...cosa è stato?- sussurrò Paul guardandosi attorno spaventato.
Il suono si ripeté più basso e Bob si voltò in direzione della cabriolet bianca di Nick, parcheggiata vicino all'uscita del garage.
-Viene da lì.- annunciò a mezza voce, posando a terra la cassa di birra che era tornato ad imbracciare ed impugnando un'unica bottiglia a mo’ di arma.- Stammi vicino.- ordinò.
Paul trovò la cosa sufficientemente ridicola, gli gettò uno sguardo perplesso a sopracciglio alzato e rimase esattamente dov'era mentre Bob procedeva lento e guardingo verso l'auto.
A metà strada il rumore divenne ritmico anche se più flebile e Bob si accorse che era accompagnato da versi bassi e gutturali che sembravano provenire dall'interno dell'auto. Dal bagaglio per la precisione. Si assicurò che la macchina fosse aperta e poi si portò sul retro, una mano sul pulsante che apriva il portabagagli e l'altra sollevata e pronta con la bottiglia a mezz'aria. Paul fece un paio di passi ed allungò incuriosito il collo verso la scena.
Bob spalancò il portello con un unico gesto rapido, scagliando contemporaneamente in avanti il braccio che reggeva la bottiglia di vetro ed un urlo disumano, cui il qualcuno infilato nel bagagliaio rispose con identica ferocia:
-BOB!
-NICK?!- urlò Paul.
-CHECAZZO!- strillò Bob, saltando indietro mentre il chitarrista si buttava a terra per evitare di essere colpito dall'amico.
-...ma...che...diavolo ci fai nel portabagagli della macchina?- mormorò Paul affaticato, reggendosi una mano sul petto e prendendo fiato a respiri corti.
Nick, ancora steso sul dorso proprio sotto le ruote posteriori della cabrio, sollevò su di loro uno sguardo smarrito e confuso ed additò silenziosamente Bob.
-Oh.- realizzò quest'ultimo, abbassando il braccio armato che ancora brandiva in aria.- Scusa.- borbottò imbarazzato e spaventato.
Nick si rilassò visibilmente, spalancando le braccia attorno a sé e rimanendo così, pancia all'aria e sguardo al soffitto del garage.
-E' una storia lunga.- confessò quietamente.
Paul e Bob si cambiarono un'occhiata veloce da sopra il corpo dell'altro e tutti e due recepirono la medesima informazione.
-Ti sei addormentato lì dentro!- sbottarono all'unisono, sconsolatamente.
-...riassumendo...
 
Paul fece fuori per intero la scorta di uova che avevano ordinato dal paese, Andy lo mandò a cagare e Michael fu estratto a sorte per pulire il pavimento della cucina da tuorli e rossi. Nick tornò in quel momento dalla propria camera, dove era sparito mezz'ora prima con la scusa di farsi una doccia “che puzzava come un arbre magique”, si affacciò alla soglia della cucina frizionandosi i capelli con un asciugamano e si informò candidamente di dove accidenti fosse finito Alex.
-E' uscito due ore fa.- rispose stringato Michael, a cui non pareva andare a genio l'essere stato eletto Cenerentolo del focolare per una mattina.
Ma Bob era ai fornelli a spadellare per il pranzo e Paul era stato cacciato prima che combinasse altri disastri. Andy aveva trovato in Rich un aiuto insperato quando il produttore aveva chiesto che lo assistesse in sala di mixaggio e Cerne non avrebbe toccato una scopa nemmeno se ne fosse andato della sua vita.
-Mi aiuti?- provò Michael in tono scettico.
-Non ci penso neanche.- gli confermò Nick asciutto. Sistemò sulle spalle l'asciugamano, si arrampicò su uno degli sgabelli della cucina ignorando il “figuriamoci!” risentito dell'altro e puntò a Bob per avere maggiori informazioni.- Dov'è che è andato Alex?
-Uhm?- borbottò il bassista buttandogli uno sguardo distratto da sopra la spalla.- Cos'hai? paura che ti avveleni per averci fatto saltare le prove oggi?
-Ehi! io sono qui adesso, è sua altezza ad aver tagliato la corda!- fece notare acidamente Nick.- E poi non è colpa mia se sono stato vittima di un incidente.
-Se dormissi di notte invece di girare come un sonnambulo e poi cadere addormentato praticamente ovunque!- sbottò il biondo senza farsi intimidire.
-Non posso farci nulla se il silenzio e la pace di questo posto mi scombussolano i bioritmi. Voglio il caos rumoroso della città! non riesco a dormire senza!- protestò infantilmente il chitarrista.- Io non ci volevo mica venire, qui, è stato Alex a mettersi in testa con la storia del ritiro spirituale per meglio concentrarsi ed esprimere le nostre potenzialità artistiche e...
-Aveva un funerale.
La risposta lapidaria del biondo soffocò il resto delle proteste di Nick in un silenzio pesante e carico di significati che non riusciva a cogliere. Succedeva sempre così, rifletté vagamente mentre passava lo sguardo da Bob – che gli dava di nuovo le spalle – a Michael, che spazzava a terra con l’espressione concentrata ed assorta di un chirurgo. Succedeva sempre così perché alla fin fine c’era sempre qualcosa che lui, come ultimo arrivato del “gruppo di Glasgow”, non poteva sapere. Alex aveva un funerale? Come minimo era morto qualcuno che tutti tranne lui conoscevano, ed anche se era sciocco sentirsi degli esclusi per una cosa così – ti auguri di essere escluso da una cosa così! – non era la prima volta che Nick si trovava a provare quella sensazione fastidiosa all’altezza dello stomaco.
-Vado a cercare Cerne e Rich.- annunciò saltando giù dallo sgabello.
-Guarda che Rich vuole la tua testa!- lo inseguì la voce di Bob.
Nick non si preoccupò di rispondergli, tanto non era davvero sua intenzione cercare né il manager né il produttore, ma sentiva il bisogno quasi fisico di uscire dalla stanza e quella era la prima scusa sensata che aveva racimolato. Poi, fermandosi sotto la verandina d'ingresso del cottage ed accendendosi una sigaretta, si ritrovò a sorridere ed a dirsi che in fondo sarebbe bastata anche quella come scusa. Prese un tiro, si appoggiò alla ringhiera di legno e puntò i piedi avanti e lo sguardo all'orizzonte.
Se aveva un funerale, Alex sarebbe andato giù a Glasgow e questo significava che non sarebbe stato lì prima di sera. Rich non avrebbe apprezzato quella cosa, erano davvero in ritardo sulla scaletta ed il loro cantante non sembrava intenzionato più di tanto a cercare di recuperare quel ritardo. Ed ok che parte della colpa era anche sua in qualità di “co-autore”, ma restava il fatto che le registrazioni procedevano a rilento - peggio di quelle del primo album - e la data delle sue nozze si avvicinava inesorabile.
...magari avrebbe potuto dire a Manuela che dovevano rimandare il matrimonio.
Scoppiò a ridere alla sola idea, era quasi certo che lei lo avrebbe ammazzato! Non che non ne avesse motivo, poi. Santo Cielo! erano anni che lo inseguiva con una fede ed un abito bianco e Nick si reputava fortunato che avesse ancora abbastanza amor proprio e desiderio di godersi la vita da non aver cominciato a vaneggiare di bambini e cani e casette con il giardino…! Ma siccome la amava davvero - Dio, non se lo ricordava nemmeno da quanto la amava… - e siccome Manuela, quando lui ne aveva avuto bisogno, era stata l'unica persona della sua vita ad essergli vicina nel modo in cui serviva, Nick lo sapeva che era stupido e codardo continuare a scappare.
Per cui le aveva chiesto lui di sposarlo. Le vendite del primo disco erano andate alla grande, la band registrava un successo che non si sarebbero aspettati nemmeno nelle loro sogni più rosei, stavano registrando un secondo album che avrebbe segnato il loro ingresso definitivo nel mondo della musica rock o la loro disfatta totale. Lui ed Alex si stavano giocando tutto...
Fece un secondo tiro ed infilò una mano in tasca scuotendo la cenere davanti a sé. Aveva ricominciato a piovere in quel modo sottile e costante che era la caratteristica peggiore della Scozia.
Ne avevano parlato, a volte, mentre erano tutti e due troppo stanchi per continuare a cercare di buttare giù qualcosa di decente ma avevano ancora troppa adrenalina in corpo per pensare davvero di andare a dormire. In quei momenti, di solito, stavano giù nel salotto più piccolo, quello dove c'erano solo il piano, le due acustiche ed un mucchio di fogli e penne sul tavolino da the di fianco ai divani. Alex sembrava incapace di metterla via, quella dannata chitarra, se la teneva in braccio come fosse un orso di peluche con troppi spigoli. Lui, invece, era la prima cosa che si toglieva di dosso, poi stendeva le gambe davanti a sé e si lasciava scivolare fino in fondo alla poltrona, in punta in punta, socchiudendo gli occhi ed incrociando le mani sulla pancia. Era tutto un susseguirsi di risate basse e confessioni a mezza voce, allora, c'erano le paure di sempre, le aspirazioni nuove e quelle vecchie che si confondevano, c'erano un sacco di idee che il giorno dopo si sarebbero dimenticati perché erano troppo confuse e mischiate a troppe cose diverse. C'era quella cosa ricorrente sopra tutte, un pensiero fisso che era come se si tendesse nell'aria stessa e finisse per condizionare qualsiasi altra. Era un ostacolo fermo che passava da un capo all'altro della casa ma che non aveva abbastanza spessore da poter essere colto interamente da loro, l'unico istante in cui Alex gli permetteva di assumere un senso era proprio quello: in un salotto, con la compagnia di un'acustica, di un tavolino da the e di un amico / nemico che aveva trovato per caso sulla propria strada.
-Se questo album dovesse essere un fiasco avremmo chiuso.- esordiva invariabilmente.
Nick la sapeva talmente tanto bene, ormai, che quello stupore quieto che l'aveva preso la prima volta all’affermazione dell’altro era sbiadito perfino nel ricordo. Sbadigliava e poggiava la fronte sul pugno chiuso, agganciando il gomito al bracciolo scomodo della poltrona “da nonna”.
-Beh, allora dovremo impegnarci perché non lo sia.- ribatteva quietamente, con un sorriso.
Di solito Alex lo fissava. Non faceva altro per un po’, lo studiava come se si stesse aspettando un suo cedimento, tanto che Nick aveva capito che era proprio quello che cercava sul suo viso. Ci era rimasto stranito nel rendersene conto - che Alex potesse aver bisogno anche lui di un appoggio, di qualcuno a cui chiedere “possiamo farcela?” solo per sentirsi dire di sì, per sentirsi dire che, comunque, lui aveva fatto tutto per bene, tutto quello che poteva. Alex non era il tipo che ti facesse credere di aver bisogno di essere rassicurato. Pensavi sempre, erroneamente, che dietro ai suoi modi decisionisti, ai suoi tentativi educati di tiranneggiarli tutti, ci fosse la certezza delle proprie scelte. Forse era anche così, Nick era sicuro che Alex fosse ben conscio e determinato riguardo le decisioni che prendeva per sé o per tutti loro; era un buon leader, nel senso pieno del termine, anche nel suo cercare di imporre un punto di vista finiva per scontrarsi con la propria incapacità di non far passare tutto per un dibattito. Ché magari di democratico non c'era nulla! - si ritrovò a pensare ridendo - erano più le botte da orbi e gli insulti che volavano in quei casi, ma difficile che qualcuno di loro non dicesse la propria e gli altri non lo ascoltassero.
Beh, comunque quella volta era andata in modo leggermente diverso. Invece di deviare il discorso subito dopo, far ricadere tutto in una normalità quieta che era diventata la norma di quegli incontri serali, Alex aveva finito per rimettere le dita sulla chitarra – una scusa evidente per non guardarlo in faccia e dover condividere con lui i propri dubbi tutti per intero, aveva realizzato Nick – e poi gli aveva posto quella domanda in modo piano.
-Ci hai mai pensato a cosa potresti fare se andasse male?
Nick non gli aveva risposto subito, soprattutto perché non sapeva bene quello che l’altro intendesse.
-…uhm…- aveva bofonchiato dopo, recependo il senso solo a livello epidermico, in un fastidio superficiale che gli faceva prudere la nuca.- Onestamente, no.- aveva ammesso con una risatina nervosa, passandosi la mano tra i capelli e nel punto incriminato.
-Beh, ma avrai pensato a cosa avresti fatto se non fossi riuscito a diventare un musicista!- aveva obiettato Alex ostinatamente.
Detta da lui suonava strana davvero, Nick lo conosceva abbastanza bene da sapere che Alex era proprio il tipo di persona che ad un’alternativa che non comprendesse note musicali, chitarre e microfoni non aveva mai pensato, quindi non doveva essergli difficile credere che anche lui potesse aver sempre “saputo” che era quello che sarebbe finito a fare.
-Vuoi dire se penso alla possibilità di abbandonare questo mestiere?- gli ritorse pacatamente.- Nah.- ammise con una smorfia serena.- Ad essere sinceri non ci ho mai pensato e non credo che ne sarei neppure capace. Immagino che continuerei solo a provarci.- confessò divertito.- Voglio dire, se il disco andasse male ed i Franz dovessero sciogliersi. Non penso davvero che sarei capace di fare altro.
Alex aveva riso con lui, scuotendo la testa e tirando una o due corde in un’eco bassa che si era persa in fretta nella stanza.
-Povera Manuela.- aveva sospirato in un tono che Nick si era trovato a dover interpretare. C’era qualcosa al di là dello scherzo, ma Alex non sembrava intenzionato a permettergli di decifrarlo e si affrettò a sollevargli in faccia lo sguardo una seconda volta, sbuffando un sorriso sereno – Beh, facciamo in modo che non debba mantenerti tutta la vita, allora!- aveva esclamato.
Nick gli aveva ricambiato il sorriso perché era felice che fosse tornato l’Alex di sempre, quello che all’indulgere in pensieri malinconici preferiva buttarci su due righe e due note e passare oltre con una risata, un bicchiere di whiskey e quattro chiacchiere al pub.
Adesso, guardando verso l’orizzonte alla ricerca di una Glasgow per cui sarebbe sempre rimasto l’ultimo arrivato, si chiese se Alex stesse facendo lo stesso in quel momento: bevendo una birra o un whiskey giù al pub, in compagnia degli amici di una vita e per dimenticare la malinconia di un’assenza su cui, magari, avrebbe scritto su due parole e due note…
 
Era una canzone del cazzo. Era davvero una canzone del cazzo.
Sbatté la porta, gocciolando nell’ingresso e sul tappeto orientale per cui quello dell’agenzia immobiliare si era raccomandato tanto. Fottuta canzone del cazzo. Si tolse l’impermeabile appallottolandolo malamente quando si impigliò un po’ ovunque - sui suoi vestiti o sui mobili intorno – e lo tirò contro l’attaccapanni sperando in un intervento divino che lo convincesse dell’opportunità di restare aggrappato ad almeno uno dei bracci che sporgevano in fuori. Ovviamente l’intervento divino non ci fu affatto ma Alex era già su per le scale, saltando i gradini a due a due e facendo tanto baccano da non doversi stupire troppo di aver richiamato l’attenzione dell’intero cottage – Paul si affacciò alla porta della propria stanza in tempo per rischiare seriamente di farsi tranciare il naso da un passaggio rapido del cantante, Cerne si fermò alla base delle scale guardando in su con aria stralunata e da qualche parte Michael gli chiese come fosse andata e non ricevette risposta – spalancò il battente della camera e se lo richiuse alle spalle con un calcio.
A quel punto si fermò a respirare di nuovo.
Mentre le lacrime agli angoli degli occhi pizzicavano la pelle ed iniziavano a tirare lungo gli zigomi, si ripeté ancora che era solo una fottuta canzone del cazzo.
 
Nick lo raggiunse nel salottino, dopo cena. I ragazzi erano stati bravi come sempre, all’unisono avevano adottato la modalità “di protezione” che sfoderavano nell’individuare, riconoscere e sopperire agli umori ed alle esigenze del gruppo. Bob aveva raccontato di come lui e Paul avessero trovato Nick nel bagagliaio della cabrio, Nick si era difeso, Rich lo aveva rimproverato ed Alex aveva riso di tutti. Nessuno aveva ripetuto la domanda di Michael.
-Ehi.- Alex girò la testa, ricambiando con un “ehi” appena meno sentito ed un sorriso decisamente più spento. Mise via la penna sul tavolino da the e si massaggiò gli occhi, una mano ancora attaccata all’inseparabile chitarra.- Scrivi?- s’informò Nick in un evidentissimo tentativo di fare conversazione sull’ovvio.
Alex apprezzò il modo in cui l’altro cercava discretamente di sondare il terreno e si limitò a sbuffare un accenno divertito.
-Ci provo.- disse con qualche difficoltà, aggiungendo.- …mi è venuta un’idea oggi…
La ritrosia con cui concesse quelle ultime parole fece intuire a Nick che non volesse parlare della canzone. Si lasciò cadere a sedere sulla solita poltrona e provò ancora.
-…era qualcuno che conoscevo?
-No.- gli rispose Alex semplicemente. E come al solito quando le cose si facevano difficili, rimise le dita alle corde.- Era un vecchio amico di scuola.
-Uhm. Ci sei rimasto male, eh…- banalizzò nuovamente.
Alex si concesse due note ed un sorriso stirato, giusto per non doverlo guardare in faccia mentre rispondeva ancora, allo stesso modo spento e lento.
-Non è quello. È che le cose cambiano e noi non possiamo farci proprio nulla per impedirlo.
-Beh. Se non fosse così, sarebbe uno schifo!- sbuffò Nick, sincero, accomodandosi meglio tra i cuscini ed allungando le gambe tra sé e l’altro, in un incastro perfetto.
Alex si fermò. Le dita congelate sulla chitarra e gli occhi ancora fissi alle corde. Nick capì che qualcosa lo aveva infastidito, perché recepì il brivido leggero dell’altro e poi non gli sfuggì il modo educato ma fermo con cui si spostò all’indietro, allontanandosi da lui fino a ristabilire una certa distanza. Gli sembrò strano, ma preferì non commentare; magari aveva detto qualcosa che aveva ferito Alex, era un argomento abbastanza delicato. Quando il cantante riprese a strimpellare a casaccio accordi che non conosceva, lui rimase semplicemente in silenzio, rispettando i suoi spazi.
-Hai presente quella canzone dei REM?- esordì Alex dopo un po’.
Nick lo osservò interrogativamente, ma l’altro non gli ricambiava affatto lo sguardo ed era difficile capire cosa gli passasse per la testa. Alex era un riflessivo, certo, ma non era affatto uno portato a quel modo alla drammatizzazione e Nick cominciava a sentircisi stretto nel ruolo che gli altri gli avevano rifilato con tanta sollecitudine – quello di confidente e migliore amico – senza che lui glielo avesse mai chiesto. Almeno in quelle occasioni, per quanto rare fossero, ci si sentiva davvero stretto. E poi Bob era molto più bravo di lui nel dare virtuali pacche sulle spalle alla gente e farla sentire rincuorata!
-Sai, Alex, non è che i REM ne abbiano fatta una di canzone, eh!- commentò spiccio quando ritenne che l’amico avesse bisogno di un incoraggiamento per andare avanti, e gli strappò una risata sincera che valse a ripagarlo di tutto il fastidio e l’imbarazzo che avvertiva in quel momento.- Di quale canzone stai parlando?
Alex si decise a guardarlo, sembrò fare un attimo mente locale – le labbra arricciate in un’espressione concentrata e le dita pronte sulle corde – e poi accennò il motivo, prima sulla chitarra e poi a labbra socchiuse, così che fu il turno di Nick di sorridere.
-Ah!- esclamò.- La so!- e gli puntò addosso un dito con aria sorniona. Ci pensò su a sua volta, mentre Alex lo osservava divertito, sopracciglia alzate.- “Everybody Hurts”!- chiosò orgogliosamente.
Alex motteggiò un “Bingo!” silenzioso e gli ricambio il cinque quando Nick, ringalluzzito, gli allungò la mano.
-Carina.- annuì distrattamente il chitarrista, rimettendosi comodo a mani strette sulla pancia. Ecco, adesso che Alex rideva era tutto nella norma.
-Fa schifo!- commentò l’altro ilare.
-…beh…ora…
-Nah, fa schifo!- ribadì Alex recuperando un plettro dal tavolino.- È patetica! Ma non sentirla mai quando stai andando al funerale di un tuo vecchio compagno di scuola.- raccomandò prima di rigirarsi il plettro tra le dita e posarlo sulle corde.
Nick non ribatté. Rimase in silenzio mentre Alex ricominciava a scappare da tutti loro – e sì, erano giorni ormai che lo faceva e nessuno riusciva a fornire una spiegazione convincente. Avrebbe davvero voluto essere Bob in quel momento.
-Alex.- lo chiamò di nuovo. La musica si fermò, ma fu lui, stavolta, a fare fatica nel girarsi ancora a cercare gli occhi dell’amico.- Senti…c’è…sì, insomma, c’è qualcosa che io o gli altri possiamo fare? - Alex era sinceramente stupito. Nick sospirò e fece uno sforzo ulteriore – Abbiamo la sensazione che tu non stia troppo bene e siamo un po’ preoccupati…
-Sto da Dio!- lo interruppe allegramente il cantante.- Sono solo un po’ preoccupato che non veniamo a capo di queste registrazioni.
-Mh. Posso?- si ritrovò a chiedere, additando il quaderno aperto sul tavolino di fianco a loro.
Alex esitò, poi scrollò le spalle e gli fece cenno di prenderlo pure.
           
Mentre viaggiamo sotto un sole ottimista
alla radio c’è quella canzone dei REM che dice “Everybody…”
Ed io sono qui a lottare, a lottare,
sì, a lottare per non piangere
E questa è un’altra ragione
per la quale devo odiarti quanto ti odio
quanto ti odio
 
Sei tu il motivo per cui me ne vado
 
***

Nota di fine capitolo della Nai:
La mia prima fan fiction sui Franz Ferdinand! *_*
 
Siamo nell’ambito di quelle storie che, volente o nolente, mi sento in dovere di corredare di note esplicative, sia perché i Franz Ferdinand non sono un gruppo così conosciuto in Italia, sia perché ammetto per prima che la lettura di una piccola monografia a loro dedicata, a parte farmi venire voglia di scrivere fan fictions che li vedessero protagonisti, ha avuto l’ulteriore effetto di farmi usare un mucchio di riferimenti semi incomprensibili.
Quindi partiamo dall’inizio ed andiamo con ordine.
I componenti dei Franz Ferdinand, band scozzese che di scozzese ha solo il luogo di provenienza – Glasgow - ed un unico componente del quartetto, è formata da quattro elementi:
Alex Kapranos,voce e chitarra nonché “fondatore” della band; Nick McCarthy, chitarra, voce e tastiera e “co-fondatore” del progetto “Franz Ferdinand”; Bob Hardy, originariamente pittore ma precettato bassista in circostanze che rasentano l’assurdo °-°; Paul Thomson, batterista le cui capacità sembrano essere pari esclusivamente alla totale mancanza di coordinazione nei movimenti (e non fatemi domande su come ciò sia possibile) che lo porta ad essere una delle creature più imbranate nell’Universo creato.
Questi quattro meravigliosi omini – per i quali mi struggo d’amore dal glorioso 2005, anno di uscita del mio singolo preferito “Walk Away” – vivono in un mondo variegato di altri meravigliosi omini, dei quali sputtanano nomi, attività lavorative e non e, se qualcuno non li censurasse, pure gli indirizzi di casa ed i numeri di telefono (la mancanza di pudore è una caratteristica del mondo musicale, pare). Tra questi meravigliosi esseri io ne ho citati alcuni.
Andy Knowles e Michael Kasparis sono entrambi musicisti che girano nello stesso ambiente di Glasgow che ha dato i natali, musicalmente parlando, ai quattro pargoli e collaborano spesso e volentieri con la band oltre ad esserne rimasti carissimi amici.
Cerne Cunning è effettivamente il manager dei Franz Ferdinand e Rich Costey è effettivamente il produttore del secondo album “You could have it so much better”, le cui registrazioni offrono spunto al racconto.
 
E veniamo agli spunti, offerti in ordine di apparizione e nella speranza di essere il più esaustivi possibili (sono tanti, vi avviso…)
 
Si comincia dal cottage nella campagna scozzese, effettivamente comprato da Alex ed utilizzato dalla band per le registrazioni del secondo album nell’estate del 2005. Pare che il cottage fosse appartenuto ad un qualche personalità storica che ho rimosso e, pertanto, i ragazzi ebbero un mucchio di problemi nel trasformarlo in uno “studio di registrazione” per un’estate. Ma la cosa fu molto divertente a sentire loro.
Sempre durante il periodo della permanenza presso il cottage, pare, Paul – delle cui capacità motorie si è già riferito, notizia proveniente tra l’altro da dichiarazioni rese dallo stesso Costey nel definirlo, comunque, uno dei migliori batteristi indie che avesse mai sentito - allietò l’intera combriccola riunita con l’audizione a spron battuto di musical classici. Così come vera sarebbe stata anche la passione di giardiniere di Alex nel periodo di permanenza al cottage e l’abitudine di Nick di addormentarsi ovunque e nei momenti più impensabili – auto compresa…
La passione di Alex per la cucina risale a tempi immemori – lui e Bob hanno, tra l’altro, lavorato nello stesso ristorante – ed è la ragione per cui, a tutt’oggi, il cantante delizia i lettori di “The Guardian” con articoli che vengono pubblicati nella rubrica culinaria del giornale (ho scoperto oggi che alcuni sono stati anche pubblicati in Italia…)
Il matrimonio tra Nick e Manuela, fidanzata storica del chitarrista ed “origine” della sua conoscenza con Alex e gli altri, è avvenuto davvero nello stesso anno delle registrazioni dell’album.
Quando Nick svolge una serie di considerazioni sul fatto che sarà sempre l’ultimo arrivato a Glasgow, queste sono dettate dal fatto che, effettivamente, Nick, trapiantato in Baviera da piccolissimo, arrivò in Scozia al seguito della fidanzata che, per farlo ambientare, lo presentò ai colleghi di corso presso la “Glasgow School of Art”, ambiente all’epoca frequentato da Alex e Bob, studente della stessa Accademia.
L’incontro / scontro tra il cantante ed il chitarrista avvenne proprio ad una festa a cui Manuela portò il ragazzo, complice un incidente con una bottiglia di vodka e l’abitudine scozzese – per me incomprensibile – di bere alle feste ognuno quello che porta da sé °_° Nick, inconsapevole di tale usanza, si era servito dalla bottiglia di Alex senza pensarci ed i due hanno finito per fare a botte, poi mettersi a chiacchierare – non è chiaro in quale successione – e quindi decidere di condividere vari, astrusi progetti musicali dei quali – Grazie al Cielo! – andò in porto esclusivamente la band.
Da allora il rapporto tra i due pare si svolga sempre su toni scoppiettanti e dinamici – liti furiose ed entusiastiche riappacificazioni – ma, in generale, nel leggere la monografia sono arrivata alla conclusione che sia tipico degli scozzesi risolvere le questioni con il binomio pugni / discussione civile.
L’episodio del funerale e della canzone dei REM è tristemente vero. Lo stesso episodio ha ispirato la canzone che da il titolo alla fan fiction e che è stata da me “forzata” in un ruolo ingrato, essendo stata scritta da Alex sulla spinta delle emozioni suscitate dall’evento luttuoso e da una serie di circostanze piuttosto spiacevoli. Pare, comunque, che Alex non apprezzi davvero la povera, bistrattata “Everybody Hurts”…
 
Per la seconda parte del documentario “Alla scoperta del favoloso mondo dei Franz Ferdinand” si rimanda alle note a piè di pagina del capitolo II e si ringraziano i gentili telespettatori per la loro attenzione! ^_^
 
 
 
 
 

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Capitolo 2
*** 2.Seconda Battuta ***


2. Seconda battuta
-Manuela, arrivo con il primo volo domani mattina! Te lo giuro, amore!
Bob si voltò a fissare Paul. Paul gli ricambiò lo sguardo. Entrambi fecero spallucce e ripresero a scrutare il proprio chitarrista mentre camminava avanti ed indietro per la sala di mixaggio come un leone in gabbia, il cellulare attaccato ad un orecchio.
Alla consolle di regia Rich ed Alex tenevano le cuffie premute contro le orecchie e parlottavano a voce bassa tra loro, nessuno dei due sembrava particolarmente soddisfatto o felice. Anzi, a dirla tutta la faccia di Alex non prometteva nulla di buono, soprattutto non dopo che il suo solito perfezionismo del cazzo li aveva costretti tutti ad una sessione notturna di registrazioni assolutamente non prevista. Pareva che del materiale registrato in Scozia, una volta arrivati lì a New York, non dovesse salvarsi praticamente nulla e quella cosa aveva già causato più di un problema.
Nick era giustamente insofferente, Manuela lo aspettava in Germania già da una settimana e lui era ancora lì a cambiare tracklist e a ripetere take di registrazione fino alla nausea. Lui ed Alex non facevano che litigare in continuazione ed a stento, ormai, si rivolgevano la parola se non era per questioni di lavoro. Tutta quella tensione era praticamente inspiegabile, Paul li fissava allucinato, voltandosi poi a cercare comprensione in un Bob ermeticamente chiuso in un silenzio ostinato. Cerne se l’era data a gambe appena avuta la possibilità, salvo chiamarli ad intervalli regolari di sei ore per sapere come procedessero le cose. Rich era praticamente al collasso e stavano seriamente rischiando di ritrovarsi senza produttore.
-Cazzo, Nick! – ruggì Alex, voltandosi rabbiosamente all’altro, che smise repentinamente di parlare e si voltò a fissarlo scioccato - Vai fuori se ne hai ancora per molto! Qui stiamo provando a lavorare!
Nick rimase un attimo in silenzio, talmente in silenzio che gli altri tre poterono sentire chiaramente le grida di Manuela in sottofondo.
-Ma vaffanculo!- ritorse poi con un gestaccio, ed uscì dalla stanza sbattendosi alle spalle la porta e sputando imprecazioni in tedesco.
-Merda.- fu il commento stanco di Alex nel rigirarsi alla consolle di mixaggio. Si nascose dietro le dita, massaggiandosi gli occhi e la radice del naso in un gesto volutamente lento.
Rich, accanto a lui, tolse le cuffie e gli batté incoraggiante una pacca sulla spalla, stringendo forte per fargli sentire la sua presenza. Alex annuì, ma non aprì gli occhi e non si mosse.
-Facciamo una pausa.- disse il produttore.- E voi ragazzi cominciate ad andare.
Bob fu il primo a sollevarsi, rapido e deciso, si rassettò i vestiti e scosse Paul per incitarlo a darsi una mossa.
-Recuperiamo Nick e lo portiamo in albergo. Così prepariamo i bagagli. Alex, mi dai la tua chiave?- chiese allungando una mano al cantante.
Lui reagì in automatico. Scavò in tasca e ne tirò fuori una carta magnetica che allungò all'amico senza una parola e senza uno sguardo. Bob la intascò, strinse la mano di Rich - seduto sulla consolle di regia con una sigaretta spenta già pronta tra le labbra - e spinse leggermente Paul fuori dalla stanza quando il batterista si fermò a lanciare una lunga occhiata preoccupata alla schiena curva di Alex.
Bob chiuse la porta dietro di sé, isolando all'interno la voce sommessa del produttore che si rivolgeva ancora all'ultimo componente della band rimasto dentro; lui sperò che il tono calmo e paterno dell'uomo più anziano sortisse qualche effetto ma cominciava a dubitare che potessero uscire da quella storia senza acciacchi.
Paul continuava a fissarlo.
-...cosa?- ritorse lento il bassista.
L'altro grugnì, insoddisfatto, s'immusonì puntando gli occhi dritti davanti a sé ma non aggiunse una sillaba, serrando le braccia al petto per ostentare il proprio disappunto.
-Se credi davvero che ne sappia più di te...!- iniziò Bob, intuendo quello che l'amico non diceva.
-Con te Alex ci parla!- ringhiò Paul secco.
-Non certo di quello che gli frulla per la testa!- ritorse lui.- Ma è abbastanza chiaro che a stargli tra le palle non ci guadagniamo niente ed è molto più utile che teniamo buono quell'altro!- spiegò spiccio.
Lo trovarono che aveva riattaccato al telefonata e stava aspettando di smaltire la rabbia, fumando stizzito una sigaretta che aveva malamente massacrato nel tirare fuori dal pacchetto. Paul e Bob si scambiarono l'ennesima occhiata di appoggio ed incoraggiamento di quella lunga giornata, il bassista sospirò e poi allungò il passo in direzione del compagno di band. Paul gli arrancò dietro con molta meno disinvoltura.
-Nick, andiamo in albergo.- esordì Bob, stringato, prima ancora di annunciarsi.
Nick si voltò a registrare la sua presenza, sobbalzando leggermente nel ritornare brusco alla realtà. Scostò la sigaretta dalla bocca e scosse la cenere a terra.
-Dov'è?- interrogò svogliato.
Bob sospirò ancora, Paul si strinse nelle spalle nell'intercettare il suo sguardo desolato e gli lasciò il compito di rispondere.
-Immagino che sia esattamente dove lo abbiamo lasciato. Rich ha suggerito una pausa, ma tu sai com'è Alex quando lavora.- provò a mediare diplomaticamente.
-Un cazzone fissato e rompipalle!- ringhiò Nick tra i denti, in risposta.
-Sì, possiamo vederla anche così.- concesse Bob conciliante.- Detto questo, domattina abbiamo un aereo da prendere e se non ci diamo una mossa difficilmente ci riusciremo. Sai, credo che tu non possa sposarti per procura, lavorare con Alex Kapranos non è ancora considerato come essere comandati al fronte in tempo di guerra.- ci scherzò su con un sorriso sbilenco.
Nick parve pensarci un attimo, indeciso se mantenere il puntiglio feroce dettato dallo stress e dalla tensione oppure lasciarsi andare ad un sorriso stanco, che alla fine prevalse tirandogli allo stesso modo gli angoli della bocca e degli occhi. Bob si accontentò, ricambiò il gesto con una poderosa spallata di incoraggiamento ed il chitarrista si fece scivolare giù dal muretto a cui era appoggiato, lasciandosi spingere dall'altro, e si raddrizzò davanti a loro.
-Forza.- ripeté incoraggiante Bob.
Paul lo prese in parola, sollevando una mano a fermare uno dei taxi che sfrecciavano veloci lungo la strada ed entrandoci per primo quando quello accostò al lato del marciapiede. Bob gli andò dietro e Nick buttò un'ultima occhiata distratta al palazzone grigio alle loro spalle e poi s'infilò a testa bassa nell'abitacolo.
 
C'è un confine sottile che divide il desiderio dall'ossessione.
Più in particolare, c'è un confine sottile a dividere qualsiasi pensiero razionale la mente formuli dal bisogno malsano.
Un bisogno a cui non sempre puoi dare un senso. Il più delle volte non vuoi darglielo. Il significato di certe frasi, di certi sguardi, di certe...voglie deve restare segreto.
A volte ci pensava seriamente. A cosa avrebbero detto, loro, se lui fosse stato semplicemente sincero.
E sì che fino a pochi mesi prima la sincerità non l'aveva avuta nemmeno per se stesso. Mentirsi era molto più comodo, ricondurre il piacere di quella compagnia entro i confini sicuri di un'amicizia complicata, di quelle che oscillano tra l'empatia istintiva di un'affinità intellettiva e la ferocia violenta di uno scontro di opinioni con chi si reputa proprio pari.
Lui era il tipo a cui piaceva catalogare le cose. Osservare i fenomeni naturali e dargli un nome, un'etichetta rassicurante che permettesse di andare a cercare nel ricordo ciò che serviva al momento. Per questo aveva dato un'etichetta anche a quel rapporto, distinguendolo da quello che condivideva con Bob o con Paul, consapevole che in termini di affetto non ne stava lesinando a nessuno dei suoi amici e compagni di avventura e ritenendo sufficiente quello che si diceva per spiegare il senso di ciò che non afferrava del tutto.
Era stato effettivamente sufficiente. Almeno fino a quell'annuncio dato a bruciapelo.
Il sorriso smagliante di Nick lo ricordava ancora, come se si fosse impresso a fuoco sulla pelle e non si decidesse a cicatrizzare nonostante il tempo, così come ricordava ancora Manuela - bellissima - le sue dita intrecciate a quelle del “fidanzato di sempre”, la sua voce alta e sicura, la stessa voce a cui Nick si rivolgeva quando prendeva il sopravvento una timidezza impacciata che non avresti mai sospettato in lui ma che Alex aveva imparato a conoscere. Nick che era una contraddizione vivente, nel suo essere travolgente, instancabile, desideroso di vivere sempre e comunque, seguace di un culto del “tutto e subito” a cui lui non riusciva ad adeguarsi, eppure poi lo ritrovavi immobile in un'insicurezza infantile, che lo raggelava sulla soglia di una nuova “impresa” a guardarsi attorno spaesato in attesa di un'indicazione che gli venisse da qualcuno di cui potesse fidarsi.
Manuela era sempre lì in quei momenti, Alex e gli altri avevano imparato a darla per scontata quasi quanto Nick stesso.
Era stato allora che il bisogno era diventato ossessione. Le sfumature di un rapporto avevano perso i contorni definiti a cui le aveva ricondotte. Aveva processato quelle stesse sfumature attraverso una battuta innocente - di Bob o di Cerne, non ricordava - attraverso l'allusione al fatto che adesso sarebbero finite “le nottate in piedi a cercare di associare strumentazione elettrica e canti di nativi americani”, le risate di Nick, il suo ammiccare alla possibilità che le nottate da sveglio le avrebbe fatte a cullare un bambino non ancora nato... Il mondo apriva prospettive che non aveva davvero considerato ed in quelle prospettive il senso delle cose si perdeva ed assumeva una conformazione diversa, allungandosi in forme che invadevano i nuovi spazi ma smettevano di avere un nome conosciuto. Guardare Manuela in un'ottica diversa, pensare di non volerla intorno a sé, alla propria band, per scoprire che non era nemmeno quello il problema, che il problema si riduceva ad averla vicino in quei rari momenti in cui Nick era ancora il compagno di scorribande, quello delle chiacchiere a notte inoltrata, delle litigate per ogni sciocchezza e delle bevute fino a non ricordare il proprio nome. Era stato un tormento tollerare la presenza della ragazza fino alla fine del tour. Una benedizione liberarsene per quel breve periodo di tempo che si erano concessi prima di tornare al lavoro. Un miracolo scoprire che non sarebbe rimasta, ripartita prima ancora dell'inizio dell'estate ad organizzare un matrimonio per cui lui contava i giorni in un conto alla rovescia che aveva il sapore dell'ineluttabile.
Ed ora il tempo era scaduto e bisognava tirare le somme della propria incapacità a ridisegnare i rapporti umani.
Nel momento in cui aveva ammesso con se stesso la verità che si nascondeva dietro il bisogno, Alex aveva anche capito di non potersi affatto concedere la stessa sincerità con nessuno di loro. Tutto quello che avevano faticosamente costruito - e nessuno più di lui e Nick sapeva quanto ci avessero speso, di se stessi, per riuscire a raggiungere quell'unica possibilità - si reggeva su una bugia di normalità che lui stesso aveva artificiosamente messo in piedi ed era ora costretto a preservare.
 
Aveva trovato Bob in camera, nel tornare in albergo. Stava ancora cercando diligentemente di dare un senso ad un guazzabuglio disordinato di abiti accatastati sul suo letto. Gli dava le spalle e si grattava la sommità della testa in un'immagine che gli strappò una risata sguaiata entrando e ritrovandoselo davanti così assorto. Lui si voltò e gli sorrise.
-Idiota.- commentò senza cattiveria.
Alex fece leva sulla maniglia della porta per rimettersi dritto e cercare di recuperare un minimo di dignità e Bob tornò a voltarsi ed a studiare l'intrico di stoffa e pellame, mentre il battente veniva chiuso con un tonfo sordo ed i passi del cantante si producevano morbidamente sulla moquette chiara.
Sollevò le braccia ai fianchi, assumendo una fiera posa da teiera e scimmiottando ostentatamente la stessa convinzione riflessiva del bassista, almeno fino a strappargli una nuova occhiata a mezzo ed una violenta gomitata a livello di un rene. Sbuffò il fiato accennando un “ouch” non troppo serio e si piegò di lato per evitare di incassare davvero il colpo affatto deciso dell’amico.
-Ti sei calmato?- indagò Bob in tono insinuante.
Alex immaginò che avesse già la risposta. Lo immaginò sia perché lo sguardo con cui Bob lo stava studiando era eloquente sul punto – su quanto ne sapesse, il bassista, di come la sua testolina funzionasse di solito – sia perché conosceva abbastanza se stesso da sapere di non sapere fingere. Magari ai più era incomprensibile quello che stava pensando, ma che il suo cervello fosse una fucina in piena ebollizione e di pensieri tutt’altro che sereni era evidente come ce lo avesse scritto sulla fronte a caratteri cubitali.
-Mh.- si limitò a mugugnare, ritirandosi in un riserbo di allusioni a metà.
-Bene. Perché qui c’è ancora un sacco da fare e come sempre tocca a me fare tutto!- grugnì il bassista, strappandogli una nuova risatina.- Avanti, aiutami a capire come buttare tutte queste cianfrusaglie in quei sacchi che chiami valigie.
-…sono delle Louis Vuitton comprate appositamente a Parigi.- scoccò lapidario ed offeso.
-E tu sei un dannatissimo snob.- ritorse Bob incurante del suo risentimento.- Vuoi darti una mossa?- lo incitò poi spiccio, affrettandosi lui per primo a gettare una mano alla rinfusa nel marasma di abiti.
Alex non si mosse. Bob ci mise un po’ a recepire la cosa, già preso com’era dal valutare se fosse il caso di piegare una camicia che aveva visto tempi migliori dopo essere uscita dalla tintoria e che ora era decisamente troppo spiegazzata per dedicarle tutta quella fatica. Beh, Alex, comunque, non aveva mosso un muscolo per aiutarlo e lui non era certo di voler fare tutto il lavoro al posto suo.
Gli alzò addosso gli occhi solo per trovarsi spiazzato dallo sguardo deciso che incontrò.
-Io non vengo.- si limitò a dire Alex, stringato.
Bob lì per lì nemmeno capì di cosa stessero parlando.
-…guarda che il matrimonio è tra due giorni…- fece notare poi.
-Sì, lo so. Ma se non finiamo il lavoro di produzione per questa settimana, addio contratto, Bob.- ritorse soltanto.
Il bassista sospirò. Lasciò andare sul letto la camicia ed Alex interpretò quel gesto di resa come un’accettazione della sua dichiarazione e decise di prendere fiato, anche solo per un momento, accomodandosi a sua volta sul materasso e facendosi spazio a manate tra i vestiti sgualciti.
-A Nick non piacerà.- provò a farlo ragionare Bob.
-A Nick piacerebbe ancora meno se i Franz Ferdinand finissero domani.- ribatté l’altro stringendosi nelle spalle.- E poi non ho detto che non sarò al matrimonio, ma solo che non parto con voi domattina.- ridimensionò accomodante.
Bob annuì. Alex lo guardò avviarsi mestamente alla porta e fermarsi sulla soglia, le dita già sulla maniglia.
-Dillo a Nick.- lo pregò, ricevendo solo un cenno distratto e forzato.- Alex...- riprese con più difficoltà. Quando si bloccò da solo, inciampando sulle parole, il cantante ricambiò il suo sguardo cercando di mostrarsi quanto più possibile disponibile a quel dialogo.- So che per voi due sembra un'eresia bella e buona!- riprese con un sorriso tirato Bob, ed Alex sbuffò un diverso sorriso, leggero, ancora prima di sentire la battuta seguente.- …ma la band non è la cosa più importante che noi quattro abbiamo, ora come ora. Per nessuno di noi quattro, lo è.
 
Alex aveva deciso di non scendere a cena con gli altri. Si era fatto portare qualcosa in stanza, aveva recuperato da una delle borse gli appunti presi durante la fase delle registrazioni ed il vecchio i-pod, sgangherato, a cui proprio non riusciva a rinunciare. Cuffie alle orecchie e penna in mano, aveva risentito le take originali talmente tante di quelle volte da aver imparato a memoria ogni singola sbavatura, di ogni singola battuta e per ogni singolo strumento. Due ore dopo essersi chiuso in stanza il taccuino degli appunti grondava letteralmente di cancellature, ritocchi e note fino ad essere praticamente illeggibile. Lui aveva assaggiato appena la cena, che si era raffreddata indisturbata sul comodino accanto al letto fino a diventare del tutto incommestibile, e poi era rimasto talmente catturato da quello che stava facendo da dimenticare perfino la ragione reale che lo aveva spinto a rintanarsi lassù.
Quando quella ragione si presentò alla sua porta, fu una doccia fredda di cui non aveva alcun bisogno.
Si alzò svogliatamente dal materasso, realizzando nello sgranchirsi le gambe intorpidite il reale tempo trascorso dal suo rientro in albergo. I colpi alla porta si ripeterono a distanza ravvicinata, tradendo facilmente il nervosismo della persona che aspettava fuori. Alex si stizzì, ma si mosse più velocemente per raggiungere il battente e spalancarlo in faccia al visitatore senza nemmeno sincerarsi di chi fosse.
-Toh, guarda! Credevo fossi morto!- ironizzò violentemente Nick, scostandolo di peso dalla porta con uno spintone ed entrando d'autorità nella stanza nel tempo che ci volle ad Alex a recepire la sua presenza e farci i conti fino in fondo.
A bocca aperta lo fissò mentre si chiudeva il battente alle spalle con una manata.
-...ma come diavolo...?!- cominciò rabbiosamente.
Il chitarrista lo prevenne; si voltò di scatto e gli piantò un dito proprio sotto il naso, minacciosamente, tanto che Alex si ritrovò a fare un passo indietro.
-Non pensarlo nemmeno.- lo redarguì gelidamente, zittendolo. Avanzò nella stanza a passi lunghi, buttando uno sguardo disgustato ai resti della cena sul comodino e poi alla faccia pallida di Alex, ancora vicino alla porta.- Certo che sei davvero uno stronzo nel tenere il punto, tu!- gli rinfacciò arrabbiato.
Alex rimase spiazzato per il tempo che gli ci volle a ricordare il modo barbaro in cui lui e l'amico si erano lasciati quel pomeriggio agli studi di registrazione. Sbatté le palpebre perplesso e poi decise che tanto valeva fargli credere che fosse per quel motivo.
-Porca puttana, Alex!- ringhiò Nick irritato dal suo silenzio.- Non mi pare proprio di non essermi impegnato per questo lavoro! Mi sono impegnato quanto tutti gli altri, ma stiamo parlando del mio matrimonio! Quante accidenti di volte vuoi che si sposi uno, nella vita?!
Alex si concesse un mezzo sorriso sghembo, fidando che il loro presunto litigio valesse a giustificare l'espressione sarcastica che colorava quello stesso sorriso.
-Ah, spero per te, una soltanto!- commentò ironicamente.
-Vaffanculo!- arrivò inesorabile dall'altro lato. Incassò con un cenno del capo, un «hai ragione» non detto a voce alta ma che rabbonì in parte Nick.- Mi da fastidio che tu pensi che non mi stia dando abbastanza da fare.- tornò a ripetere in tono appena più conciliante, braccia incrociate al petto nell'evidente attesa di scuse ufficiali.- E comunque,- ci tenne a precisare subito dopo.- non è giusto che tu ti isoli dal gruppo, punendo tutti, te compreso! solo perché noi due abbiamo avuto a che ridire. Non è mai successo, Alex! Abbiamo sempre litigato tra noi quattro, ma questo non ha mai messo in discussione nulla! Una rissa, parole grosse, qualche livido e poi tutti amici come prima!
-Certo.- convenne placidamente il cantante.
-E allora perché diavolo sei qui sopra rintanato come un cazzo di coniglio?!- gli rinfacciò.
-Perché ho da lavorare.- concesse facilmente avanzando anche lui nella camera per guadagnare nuovamente il materasso.
Stirò le gambe davanti a sé, si tirò il taccuino e l’i-pod sulla pancia e fece per reinfilare le cuffie con un’occhiata allusiva al proprio compagno di band.
Nick lo squadrò allibito, lasciando ricadere le braccia lungo i fianchi in un gesto sconsolato.
-Alex…!- lo richiamò concitatamente. Salvo poi restare in silenzio e raccogliere le idee davanti allo sguardo disinteressato dell’altro.- No, sul serio! che diavolo ti prende?! Cosa accidenti c’è che non va?!
Il cantante mise via taccuino, i-pod e cuffie, tirandosi su dritto e fissandolo intensamente.
-Lo vuoi davvero sapere?- sibilò rabbiosamente. E se pure non riusciva a capire la ragione di quella rabbia, Nick si ritrovò ad annuire automaticamente, sperando che Alex fosse sincero nell’offrire a quel modo una soluzione.- Bene.- scandì lui.- Nell’arco di questa settimana si decide la sorte dei Franz Ferdinand. Ed anche se sembra che questa cosa debba necessariamente passare in secondo piano rispetto al tuo fantastico matrimonio, Nick, sono quasi certo che quando sarai tornato dal viaggio di nozze – e sulla Terra! – perfino tu ci arriverai a capire quello che stiamo rischiando.
-Oh, adesso non fare…!
-Non fare cosa, Nick?!- lo interruppe Alex, scattando in piedi con tanta velocità che fu il turno di Nick di indietreggiare colto di sprovvista.- Il martire? l’eroe? il salvatore della patria?! No, tranquillo, non mi salta nemmeno per testa di atteggiarmi a qualcosa del genere, ma fatto sta che è quello che sto cercando di fare: salvare la nostra band! E fino a qualche tempo fa era anche il tuo progetto, mi pare!
Si lasciò ricadere sul materasso, accasciandosi come fosse privo di forze, e Nick guardandolo si rese conto per la prima volta di quanto sembrasse seriamente stanco e sfatto e di quanto, probabilmente, erano stati ingiusti loro tre nel giudicare solo ed esclusivamente quel suo solito ed assurdo perfezionismo. Sospirò, quando si sedette accanto a lui sul letto, Alex sussultò impercettibilmente, sollevando lo sguardo a studiarlo con sospetto, sulla difensiva.
-Senti…- iniziò pazientemente il chitarrista.- non è così pessimo il lavoro che abbiamo fatto finora.
-Non è un problema di “essere pessimo” arrivati a questo punto,- lo corresse Alex atono.- è un problema di “non essere finito”.
-…e…quanto mancherebbe, orientativamente?- provò ad interessarsi Nick, mandando giù un groppo di saliva mentre cercava di capire le dimensioni esatte del problema al di sotto ed al di là delle fisime sempre esagerate che l’altro si faceva.
Incredibilmente sembrò riuscire a rabbonirlo. Alex piegò le spalle e scrollò il capo, sconfitto, lasciandosi poi ricadere all’indietro contro i cuscini e chiudendo gli occhi al soffitto.
-Non lo so.- confessò piano.- Uno o due giorni di lavoro…- provò ad ipotizzare.
-Non li abbiamo due giorni di lavoro!- protestò Nick.
-Tu non li hai.- lo corresse ancora il cantante, senza aprire gli occhi e senza muoversi.
Nick ci mise un po’ a recepire fino in fondo il messaggio ma, quando lo fece, non gli piacque nemmeno un po’.
-Aspetta un secondo…- iniziò asciutto. Alex aprì gli occhi e li piantò nei suoi con una determinazione che Nick conosceva bene e che, in quella occasione, non gli piacque affatto.- E’ il mio matrimonio!- ringhiò arrabbiato.- Non puoi dire sul serio!
-E’ lavoro, Nick. Non è che ho molte scelte.- ritorse Alex.- E poi, se ho fortuna, riuscirò ad esserci comunque.
-Se hai fortuna?!- ripeté Nick, attonito.- Devo di nuovo chiederti…
-…quante volte uno si sposi.- gli fece l’eco Alex terminando con lui la frase.- Ti ho già risposto,- ci scherzò su forzando un sorriso.- spero per te una soltanto. Ma nel caso, per la seconda mi organizzo meglio.
-Vaffanculo, Alex! Sei il mio cazzo di migliore amico!
-E non ho mica detto che mancherò sicuramente.- gli fece notare secco lui.- Ma ora come ora non posso che dirti di partire tranquillo, tu, Bob e Paul, e che vi assicuro che finirò il disco in tempo per tutti e quattro.
Messa così, Nick lo vedeva da sé che non c’era possibilità di scappare. Alla fine dei conti, che gli piacesse o meno, Alex ci era riuscito a farsi passare per il supereroe della situazione ed, anche se aveva solo voglia di spaccargli la faccia e mandarlo al diavolo – lui ed il suo dannatissimo disco – Nick si ritrovò ad annuire meccanicamente e ad alzarsi in piedi con una velocità dettata solo dal senso di nausea incombente.
Non aggiunse altro, nemmeno quando si accorse che l’idea di lasciare le cose così come stavano non piaceva ad Alex più di quanto piacesse a lui. Entrambi esitarono, sul punto di dire altro, entrambi aspettarono troppo uno spunto, che non arrivò affatto, dall’interlocutore.
Ed alla fine fu proprio Nick il primo a lasciare il campo, chiedendosi distratto, mentre chiudeva la porta della stanza dietro di sé, chi dei due l’avesse vinta sul serio.
 
Era stato Bob a chiamarlo il giorno prima del matrimonio. Alex era ancora seduto in sala di regia ad una consolle che brillava sinistramente di mille lucine colorate nella semioscurità della stanza. Fuori dalla porta aperta Rich passava e ripassava nel corridoio cantando e battendo il tempo con i piedi sul pavimento, erano entrambi decisamente stanchi e scoraggiati ma il lavoro era quasi finito e potevano concedersi qualche cedimento in più. E poi Rich, alla sua età, nemmeno avrebbe dovuto tirare così tardi appresso a degli scavezzacollo come loro, si diceva Alex ridacchiando nell’ascoltarlo.
Ad essere onesti, prima della telefonata del bassista aveva anche provato a chiamare Nick per fargli gli auguri, ma aveva trovato il telefono spento per tutto il giorno ed alla fine aveva rinunciato dicendosi che era meglio così. Non avrebbe tollerato di dover sentire la sua gioia in quel momento; se nella voce di Nick ci fosse stato anche solo un accenno di cedimento, Alex sapeva che si sarebbe precipitato lì con il primo volo ed avrebbe finito per dirgli tutto a costo di mandare all’aria la stessa identica cosa che diceva di stare cercando di salvare. Ma se Nick fosse stato sicuro di sé, sicuro della scelta fatta senza lasciargli spazio di pentimento…Alex non era certo di voler sapere che fosse così.
Molto più semplice nascondersi dietro la scusa ufficiale che Bob sentì arrivare inesorabilmente appena formulata la domanda.
-Domani consegno tutto a quelli della casa discografica e poi salgo su un aereo qualsiasi.
-Il che significa che non sarai qui prima di sera.
Alex finse una risata che stonò terribilmente con la serietà grave del bassista.
-Il che significa che, presumibilmente, sarò morto appena toccato il suolo tedesco.- scherzò.- Sono esausto.- ammise subito dopo, strappando a Bob un sospiro preoccupato che scacciò ogni rimprovero dalla sua voce.- Dì a Nick che mi dispiace,- iniziò ad elencare Alex con difficoltà evidente.- che…gli voglio bene,- proseguì- che è un testone,- Bob sbuffò un sorriso ed Alex gli fece eco con una risatina a mezza voce. In corridoio, Rich attaccò una seconda strofa urlata in tono sguaiato ed improvvisò una frenetica rumba.- e che auguro a lui e Manuela tutto il bene di questo mondo.
-Non gliene fregherà un accidente di sentirlo dire da me.- ritorse Bob. Ma, appunto, non c’era nessun rimprovero nella sua voce ed Alex apprezzò quella considerazione.- E poi non mi va di prendermi un pugno al posto tuo!- borbottò.
-Beh, fallo soprassedere. Potrà tirarmelo di persona domani sera, se tutto va bene.
Si erano lasciati così. Una telefonata chiusa sul mugugnare incomprensibile del più giovane ed un sospiro molto più sincero di Alex, quando fu certo che non ci fosse nessuno a sentirlo e giusto prima di rimettersi al lavoro. Schiacciando le cuffie contro le orecchie per non sentire i versi disarmonici di Rich, il cantante premette un pulsante e finse di ascoltare distratto le note di una canzone scritta in un momento di totale scoraggiamento.
Sei tu la ragione per cui me ne vado…
 
Non aveva mai ricevuto un invito altrettanto strampalato in tutta la sua vita. Non lo aveva mai ricevuto prima di sposarsi e davvero no, non pensava che gli sarebbe stato recapitato dopo che Manuela fosse riuscita ad infilargli una fede al dito.
Sulle prime, nel leggere le righe scarne battute a macchina, aveva pensato che fosse anche un po’ ingiusto doversi abituare all’idea che cose simili non dovessero più appartenergli. Paul si era accorto del sorrisetto malizioso sulle sue labbra mentre tentava di nascondere il bigliettino e gli aveva gettato uno sguardo di rimprovero. Silenzioso, grazie a Dio, ché Nick non dubitava affatto della propensione di Bob alla paternale se il batterista avesse fatto tanto da fargli capire che in quel biglietto c’era effettivamente qualcosa di sbagliato.
Gli era stato consegnato in modo innocente insieme ad un mucchio di altri bigliettini simili che recitavano tutti la stessa solfa: mille felicitazioni ai novelli sposini e notti intere di ardente passione! L’unica cosa che lo aveva incuriosito abbastanza da indurlo a sottrarre proprio quello tra tutti gli altri era stato il latore della missiva: un mocciosetto dinoccolato che né lui né Manuela conoscevano o avevano mai visto prima e che, da bravo monello, gi aveva sganciato il biglietto direttamente in mano – rifiutandosi nettamente di consegnarlo a chicchessia – aveva agguantato dal vassoio dei dolci il bignè più gonfio che aveva trovato e poi era scappato via come era arrivato. Nick aveva fatto sparire la busta bianca ed anonima nel panciotto del vestito e poi se l’era dimenticata fino a dopo la fine del ricevimento, quando aveva lasciato che Manuela lo precedesse nella suite che avevano prenotato in albergo e lui si era concesso un giro di whiskey con gli amici di sempre per festeggiare.
Le tre righe recitavano blandamente “Ci vediamo sul tetto. Stanotte alle tre. Porta due bicchieri”, un messaggio tutt’altro che intrigante non fosse stato per la situazione, il modo e le circostanze con cui si presentava. Nick aveva digerito a malapena la condanna implacabile di Paul nel rammentargli crudelmente che era finito il tempo delle sue “scappatelle” in tour, per quel che lo riguardava la fedeltà era una concetto difficilmente assimilabile anche se si era animati dalle migliori intenzioni. Di positivo c’era che, nel caso di specie, era animato più che altro da semplice curiosità. Chiunque fosse l’autrice di quel biglietto mancava di qualsiasi abilità seduttoria ma non certo di originalità.
Alle tre di notte, dopo aver lasciato Manuela a dormire in camera, Nick si era lavato, rivestito ed armato di due flute di cristallo sopravvissuti ai fiumi di champagne che lui e la moglie si erano concessi generosamente. A passo felpato aveva attraversato il corridoio fino alla scala antincendio nascosta dietro l’uscita di sicurezza del piano. Aveva fatto i gradini a due a due, frenando la curiosità e l’eccitazione che gli scorrevano sotto pelle, ed aveva aperto in un cigolio sinistro una porta pesante e arrugginita, per la quale si era chiesto pigramente se fosse il caso di protestare con la direzione dell’albergo visto quello che gli faceva pagare per il ricevimento ed una notte lì.
Fuori c’era buio ed una città intera da guardare dall’alto in basso, ma a parte quello Nick aveva creduto sulle prime ad uno scherzo di pessimo gusto, temendo subito dopo di vedere Paul e Bob ed i ragazzi spuntare da dietro il muro per dargli addosso in qualità di traditore fedifrago alla sua prima notte di nozze. Camminando attorno al perimetro della terrazza ci aveva messo un po’ ad individuare la figura seduta sul cornicione e, nel capire che non era affatto una ragazza, l’idea che fosse uno scherzo stupido era tornata subito.
-Che diavolo ci fai qui?- aveva esordito, mani in tasca, avvicinandosi a passo lento.
-Il lupo perde il pelo ma non il vizio, eh Nick?- lo aveva deriso Alex senza nessuna allegria.
L’indecisione gli aveva rubato il tempo per la battuta di risposta. Nick non sapeva bene se essere felice della presenza dell’altro, essere preoccupato della sua faccia stanca e pallida e del suo tono spento oppure limitarsi – come chiunque altro avrebbe fatto al suo posto, e legittimamente – ad allungargli uno spintone e buttarlo giù per tutti e dieci i piani del palazzo. Probabilmente dopo si sarebbe sentito meglio.
O magari no.
Alex indicò i flute che spuntavano dalla tasca del giaccone, ancora agganciati al pollice e l’indice del chitarrista.
-Non hai bevuto abbastanza?- interrogò stirando un sorriso forzato.- Sento puzza di alcol da qui.
-Vaffanculo, Alex, spero che ti sia chiaro che sei la peggiore merda che esista a questo mondo.
-Ne ho una vaga intuizione.- annuì lui, voltando le gambe per gettarle al di qua del parapetto e posarle sul suolo della terrazza. Nick lo osservò piegarsi a cercare qualcosa in quella striscia di buio fitto che l’ombra del muro disegnava a terra e si accorse solo in quel momento della bottiglia appoggiata proprio contro il parapetto.- E quindi ti risparmierò scuse idiote che non ti interessa sentire, né a me inventare.- concluse Alex rimettendosi dritto e posando la bottiglia sulle gambe.
Quel verbo – quell’inventare fin troppo sincero per i gusti di Nick, che magari avrebbe gradito sentirlo inventare qualcosa che valesse ad offrirgli una scusa per fare finta di nulla e passarci su – fu uno schiaffo in pieno viso. Però gli disse, almeno, che non ci sarebbe stata alcuna finzione per quella notte, nessuna fuga come quelle che si erano susseguite inspiegabili negli ultimi mesi. Nick accettò una resa condizionata con un breve cenno della testa e ad Alex sembrò bastare. Gli allungò la bottiglia e lui lesse il nome della vodka e sorrise.
-Qui da noi ognuno beve quello che porta da sé.- iniziò a spiegare Alex asciutto, tenendo sempre la bottiglia dritta tra sé e l’altro.
-…che usanze del cavolo.- gli ritorse Nick senza smettere di sorridere.- Da noi si porta da bere per tutti ed ognuno prende quello che vuole.
-Questo perché vieni da un paese del cazzo. E delle usanze di voi crucchi a noi non interessa proprio una accidenti di niente.
Nick rise e finse di tirargli un pugno. Alex sorrise ed incassò, facendogli spazio mentre il chitarrista gli si sedeva accanto e lo fissava con uno sguardo talmente brillante da lasciare senza fiato. Alex deglutì ed abbassò lo sguardo sulle proprie mani, intrecciate alla vodka.
-Mi devi una bottiglia, crucco.- riprese secco Alex, armeggiando con il tappo ed un vecchio coltellino svizzero.- Con questa siamo a due.- gli notificò stappando e porgendo la bottiglia all’altro.
Nick guardò i flute e poi il liquore che lui gli allungava.
-Punto uno, questa roba fa talmente schifo che non se li merita nemmeno due cristalli così.- iniziò posando i bicchieri accanto a sé ed afferrando la bottiglia.- Punto secondo, sei la peggiore delusione che mi sia mai capitata ad un incontro galante.- aggiunse prima di bere a canna un lungo sorso. Mentre Alex rideva.
-Andiamo! Non puoi ancora saperlo, mettimi alla prova!- suggerì maliziosamente.
E Nick gli passò la bottiglia nello stesso istante in cui gli gettò una lunga occhiata di disapprovazione e disgusto.
 
Sei tu la ragione per cui me ne vado.
E sei anche quella per cui, invariabilmente, torno su questi stessi passi.
 
“You’re the reason I’m leaving”
MEM 2010
 
Nota di fine capitolo della Nai:
 
Come promesso, ulteriori note esplicative. Stavolta decisamente brevi, visto che questo capitolo è quasi interamente frutto della fantasia di chi scrive.
In particolare, e dato che dell’episodio della “bottiglia” che diede l’avvio al “tutto” si è già parlato, resta solo da dire che è tristemente vero anche che Alex sia un dannato perfezionista – la vicenda delle registrazioni tirate su fino all’alba è vera, sebbene non sia specificato in quali circostanze è accaduto – e che questo abbia causato la sua assenza al matrimonio di Nick (ragione per cui la sottoscritta ha cominciato a pensare malissimo ed a fangirlare pure peggio).
 
Nella speranza che tutto questo sia stato di vostro gradimento e nella speranza - perché no! – di reiterare l’esperimento…vi saluto con affetto e spero che vi siate divertiti quanto me!
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MEM

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