Burattinaio

di dragoargento
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** l'inizio del viaggio ***
Capitolo 2: *** Pharnasius e Loki ***
Capitolo 3: *** la macchina madre ***
Capitolo 4: *** la farfalla nera ***
Capitolo 5: *** Loki rischia un pugno ***
Capitolo 6: *** Pirati ***
Capitolo 7: *** la proposta ***
Capitolo 8: *** l'energia dei quattro elementi ***
Capitolo 9: *** Pharnasius si ribella ***
Capitolo 10: *** sei fregato, ragazzo ***
Capitolo 11: *** la mente di Oscar ***



Capitolo 1
*** l'inizio del viaggio ***


l'inizio del viaggio

Breve introduzione

 

Lo so, lo so, Pharnasius e Mimue (personaggio apparso in un'altra mia fiction) appartengono al medesimo stereotipo; si potrebbe dire a buon ragione che siano sorelle-gemelle, anche se le loro avventure si svolgono in differenti ambientazioni.

Forse devo attribuire questi miei deliri tecnologici all'influenza di Nebbiolina... devo ammettere che le ambientazioni futuristiche, dove la tecnologia espande le capacità di ognuno fino ad avvicinarle a quella degli dei, hanno un loro fascino.

Questo non significa che io stia per rinunciare alla mia aurea medievale (che non fa “prendere” Internet per le ricerche sul Comfort e non fa girare bene SolidThinking sul mio computer), bada bene Neb. : No.

Prima di iniziare vorrei citare la fonte originaria delle mie idee, visto che non sono capace di scrivere senza spintarelle esterne (sarebbe assai più intellettuale e fine definirle “ispirazioni”).

Anche se quel che ho in mente è una rielaborazione estrema dello spunto iniziale, tanto che di esso ne rimane solamente un alone, vorrei ringraziare Shalone Howard per i suoi fantastici fumetti (se visitate Deviantart li troverete senz'altro... sono disegnati assai bene, anche se l'influenza manga è un po' troppo marcata per i miei gusti).

Per farla breve e chiudere il discorso, Pharnasius non è altro che la mia versione di Zonoya... o forse un altro Spyro...

 

L'inizio del viaggio

 

La superficie esterna del pianeta forniva uno degli spettacoli più deprimenti ai quali fosse possibile assistere, se mai vi fossero stati degli occhi viventi intenti a scrutare quella rovente distesa di sabbia ocra e spoglie montagne rosso ruggine all'orizzonte.

Tralasciando la polvere, incessantemente trascinata dal vento come i lussuriosi all'inferno, erano le macchine le uniche cose animate che vagavano nello sterminato deserto.

Esseri mastodontici di acciaio, ingranaggi, olio e circuiti, a cui non importava nulla se l'ambiente fosse tetro o meno: la loro vista non era stata programmata per godere delle bellezze naturali ma per scrutare senza sosta alla ricerca del più insignificante brandello di vita, affinché tutto restasse morto.

Il loro costruttore aveva impartito chiaramente le istruzioni, lasciando alla gigantesca massa del sole il compito di rifocillare i suoi abominevoli figli.

Ma era il nulla l'unico dominatore di quelle terre disgraziate?

Se i mostri meccanici avessero potuto volare, avrebbero sicuramente notato il cono di un imponente vulcano spento.

Se la curiosità (che non conoscevano e mai avrebbero potuto conoscere) li avesse spinti ad affacciarsi dal bordo della cavernosa bocca, si sarebbero accorti che qualcos'altro aveva preso il possesso delle pareti basaltiche ormai abbandonate dal magma.

L'interno del cratere sfavillava ancora come se fosse costellato di tizzoni ardenti, ma questi non erano altro che le fredde luci delle illuminazioni elettriche, che si riflettevano sul susseguirsi di migliaia di grate e strutture metalliche, mentre innumerevoli figure alate si affaccendavano in ogni dove, come minuscole formiche perse nel baccano provocato dalle loro voci ed attività.

Si sarebbe così svelata la presenza di una comunità superstite di draghi, ancora pulsante nel sottosuolo, che aveva fatto di quella montagna cava la propria porta verso l'esterno.

 

L'ascensore cigolava e sussultava, ma la cosa non la infastidiva minimamente.

La sua testa era vuota, mentre lasciava che le ombre proiettate dalla grata metallica dell'abitacolo le scorressero addosso, rigando la sua figura di fuliggine.

Pharnasius se ne stava dritta sui posteriori, utilizzando le pareti dell'ascensore come una seduta ischiatica improvvisata, con le ali semi spalancate che si congiungevano ai lati del suo torace per poi proseguire lungo la coda, così come avrebbe potuto fare il telo di un aquilone.

Le sue ali bianche, chiazzate da grandi cerchi neri tra una falange alare e l'altra, come quelli che ornavano le ali delle farfalle, l'avevano battezzata con il nome di Pharnasius.

Eppure le ali “da farfalla” erano un fatto assai frequente tra la sua gente, anonimo e indegno di nota alcuna.

Forse i suoi genitori avevano voluto spostare l'accento su una sua caratteristica così meschina per affievolire il fatto che le sue scaglie presentassero una colorazione veramente inusuale, per non dire unica.

Vi era un vasto assortimento di colori tra la gente della sua razza: c'erano draghi rossi, verdi, bianchi, neri, blu... addirittura dorati o argentati, eppure mai si era visto un drago viola, così come lo era Pharnasius.

Uno scossone improvviso la indusse ad alzare gli occhi dal pavimento chiazzato di olio per fissali verso le porte avanti a sé, con le loro iridi nere come la pece: due macchie irrequiete di inchiostro su di un foglio immacolato.

Era arrivata.

La confusione ed i rumori della stazione di lancio la investirono come una folata di tramontana, facendole ardentemente desiderare di tornarsene al sicuro nella fatiscente cabina dell'ascensore, per farsi cullare nuovamente da quell'ipnotico cigolio.

-Ehi Pharnasius! Qual buon vento?!-

Quella improvvisa voce tonante per poco non la fece schizzare fuori dalla scaglie, con il risultato di accrescere oltremodo la sua irritazione.

La dragonessa indirizzò lo sguardo corrucciato verso un volto mostruoso, dagli occhi lucidi e giganteschi che sporgevano all'infuori come un cannocchiale, in una perfetta imitazione delle grottesche figure dei pesci abissali.

Quando l'interlocutore si portò la zampa artigliata alle mostruose propaggini oculari, esse si rivelarono per ciò che erano: un semplice paio di occhiali da meccanico.

-Ciao Derfel ... preparami la nave-

Riuscì a rispondere con il tono svogliato di chi si sia appena destato dal sonno; non voleva scambiare parola con nessuno e a malapena sopportava di dover conversare lo stretto necessario con i custodi delle navi.

-Siamo un po' giù di corda oggi? Forza Pharnasius! Dove sono finite le tue energie e la tua allegria?-

Senza volerlo, Derfel si era appena introdotto in un deposito di polvere da sparo con una candela accesa stretta nella coda.

Pharnasius spalancò le ali e gli sibilò contro con fare minaccioso.

-STA ZITTO E FAI IL TUO LAVORO!-

Gli ruggì praticamente addosso, prima di voltargli le spalle e lasciarlo impalato sul posto.

-Wow, ma che le prende...-

-Buono Derfel...-

Un altro meccanico come lui interruppe momentaneamente il suo delicato lavoro di saldatura di un'ala retrattile al corpo di una nave.

-... con quel che le è successo, ha tutti i motivi per comportarsi così... è stata esiliata-

E con queste parole si rimise all'opera.

-Esiliata?-

La notizia lo aveva lasciato assai più stordito che l'improvvisa aggressività di Pharnasius.

-Non è possibile! Pharnasius è uno dei nostri guerrieri migliori, cosa avrà mai fatto di tanto grave?-

L'idea di essersi salutati in maniera così decisamente poco cortese era triste, tuttavia Derfel non potette fare altro che dirigersi verso il decimo piano della stazione di lancio, settore 54B, dove da bravo custode sapeva stanziata la nave della dragonessa viola.

 

Solo una volta fori dall'atmosfera si potevano nuovamente vedere le stelle: un ammiccare di luci che si perdevano nei meandri più bui del cosmo e che tanto somigliavano alle colossali gallerie dove la sua gente si era rifugiata da tempo immemore.

Troppo tempo!

Il buio aveva annichilito le loro menti, smorzando ogni desiderio di cambiamento, di libertà.

In assenza di gravità, Pharnasius fluttuava nei pressi di una finestra dell'abitacolo di pilotaggio, saziandosi della vista del suo mondo, per il quale aveva dato tutto ricevendo in cambio solo un pugno di cenere... quanto era ora insignificante quella pallina giallastra persa nel cosmo!

-Attivare gravità artificiale-

-Ricevuto-

Pharnasius ebbe la spiacevole sensazione che la situazione le gravasse improvvisamente sulle ali quando il peso del suo corpo tornò a farsi sentire.

Presa dallo sconforto, si lasciò scivolare a terra, acciambellandosi su se stessa come un cucciolo nel guscio dell'uovo.

Lì, sola nel buio dello spazio, si concesse il lusso di lasciarsi andare ad un pianto a lungo represso, mentre il dolore veniva pian piano lavato via dalle lacrime fino a farsi sopportabile.

Il sistema centrare della nave la capì, decidendo di lasciarla fare per un po' senza intromettersi.

-Ehi, va meglio adesso?-

-Uh....?-

La dragonessa alzò appena l'ala con la quale si era coperta la testa, trovando una piccola manta di un blu pieno e brillante come i lapislazzuli che le fluttuava innanzi, mantenendosi sospesa in aria con eleganti colpi di pinna.

La sua nave era solita interagire con lei tramite quell'interfaccia olografica, che Pharnasius stessa si era scelta dopo avere passato al vaglio l'interminabile gamma di forme messe a disposizione dai programmatori del sistema centrale, che andavano dalle più infantili fino a quelle sessualmente provocanti.

Le erano sempre piaciute le mante e la divertiva l'idea di averne una in miniatura che le fluttuasse al fianco come un pesce fuori dall'acqua.

-Sì, è passata adesso-

-Posso fare qualche cosa per tirarti su il morale?-

-No, grazie comunque Belta... attiva il pilota automatico e mettimi in ibernazione-

-Quali coordinate?-

-Eh-eh! Questa sì che è una bella domanda... dove andiamo? Bo, per me è indifferente, scegli pure te.... svegliami quando arriveremo in un qualsiasi posto di questo fottutissimo universo, notte notte!-

-... Come vuoi... ma diavolo, come la fai tragica!-

-Non una parola di più Belta....-

Facendo spallucce, la piccola manta si dissolse mentre una foresta di tubi e piastre spuntarono dal pavimento avviluppando la dragonessa come i rovi attorno ad una vecchia cancellata abbandonata.

Poco prima che la sua attività celebrale venisse sospesa, Pharnasius considerò con stupore come quella giornata infernale fosse cominciata nella stessa identica maniera delle altre.

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Capitolo 2
*** Pharnasius e Loki ***


Pharnasius e Loki

Pharnasius e Loki

 

Quella stessa mattina del giorno in cui venne esiliata, Pharnasius sonnecchiava beatamente tra le esili braccia di Loki, suo collega e compagno.

Come ogni volta, alle 6:30 del mattino, il suono martellante della sveglia fece sgarbatamente irruzione nel monolocale, svegliando all'istante Loki e lasciando Pharnasius stordita e borbottante.

-Su Pharnasius! Op-op!- era solito stuzzicarla Loki, aprendole a forza le palpebre degli occhi e punzecchiandole i fianchi con un artiglio.

-Cosa devo fare con te? Forse una bella secchiata d'acqua...-

-Non ci provare Loki, sai che non ti conviene...-

Tempo addietro il gracile drago dorato aveva avuto la brillante idea di mettere in pratica le sue minacce, rovesciandole addosso qualche decina di litri d'acqua gelida e ricevendo in cambio una furiosa zampata in pieno muso, che lo aveva fatto schiantare sull'attrezzatura sottostante il soppalco dove avevano il giaciglio.

Loki ebbe un sussulto, portandosi istintivamente la zampa al lato destro del muso, dove quella spiacevole avventura gli aveva lasciato un brunastro ematoma che lo aveva accompagnato per settimane.

Così puntò con decisione i posteriori a terra, cercando invano di spingere verso il bordo della piattaforma la massiccia mole della compagna, che benché fosse della sua stessa altezza, lo superava nettamente in fatto di massa muscolare.

Pharnasius lo lasciò fare per un po', divertendosi al gioco, prima di decidere di alzarsi e cominciare la giornata; non senza aver dato un affettuoso bacio di saluto all'affaticato Loki.

-Sai... dovresti fare un po' di esercizio fisico, invece di sprecare tutto il tuo tempo collegando i neuroni alle macchine...-

-Non basta quel che facciamo a letto? Forse hai ragione, dolcezza, ma ci deve pur essere qualcuno che tenti di far saltare i circuiti a quei dannati mostri meccanici mentre tu fai da esca...-

-Da esca, solo? Caro, senza di me verresti spappolato in meno di un nanosecondo!-

-Urca! Guarda qua! Finalmente lo abbiamo beccato!-

I due si trovavano tra la disordinata accozzaglia di apparecchiature che Loki aveva miracolosamente ricavato dalle carcasse di computer e macchine obsolete.

Pharnasius aveva allungato il collo per scrutare una lucina rossa che lampeggiava sullo sfondo verdastro di un vecchissimo monitor, che ancora utilizzava uno schermo materico.

-Non ci posso credere! È proprio il bambinone a cui stiamo dando la caccia!-

-Già, una caccia durata anni...-

Tutto era iniziato quando Loki aveva ottenuto udienza presso il Consiglio degli Anziani,che da tempo immemore teneva in mano le redini della metropoli sotterranea.

Pharnasius si trovava là assieme agli altri sette guerrieri che costituivano la scorta dei tre centenari draghi che sedevano imperiosamente sui loro preziosi cuscini di rappresentanza.

Lei poteva avvertire la freddezza di quegli sguardi che divoravano il giovane ricercatore mentre esponeva con entusiasmo le proprie teorie, che suscitarono biasimo da parte dell'assemblea ma che rapirono i sogni e le speranze di Pharnasius.

Egli affermava che esisteva un modo per combattere il dominio delle macchine e riemergere alla luce del sole, raccontò di come una volta fosse riuscito ad entrare in contatto con il sistema operativo di uno di quei colossi facendo una scoperta sconvolgente: qualcuno li controllava.

Loki era riuscito a sfiorarne la mente prima che quest'ultimo se ne accorgesse e reagisse; soltanto la grande abilità ed esperienza di Loki avevano impedito al misterioso burattinaio di ghermirlo bruciandogli i neuroni.

-Dietro tutto questo vi è un drago in carne ed ossa, proprio come noi. Questo significa che potremmo combatterlo e sconfiggerlo! Non so dove si nasconda, questo non ha importanza, ma possiamo colpirlo attraverso il collegamento che unisce il suo cervello alle macchine che controlla-

-Basta, abbiamo sentito troppo...-

-No, Ascoltate! Devo solo trovare la Macchina Madre ed il gioco è fatto, ma per fare questo ho bisogno del vostro appoggio!-

-Apprezziamo i vostri buoni propositi ma non abbiamo intenzione di ascoltare ulteriori baggianate: le macchine esistono fin da quando la nostra civiltà ha memoria e lei, uno “scienziato”, affermerebbe che un drago possa vivere così a lungo?-

-Fatemi almeno provare...-

-Guardia, scortalo fuori...-

Da soldato ligio al dovere, Pharnasius aveva saldamente ghermito il ricercatore per le spalle e le ali, trascinandolo via dalla Sala del Consiglio, impassibile di fronte alle sue proteste e patetici tentativi di divincolarsi.

Una volta fuori, Loki perse ogni energia, afflosciandosi come un pupazzo di pezza, lasciando che la guardia lo conducesse lungo il corridoio verso l'uscita.

-Sai scricciolo, credo che tu non abbia tutti i torti, dopotutto...-

Aveva commentato di punto in bianco la guerriera viola, approfittando della solitudine del corridoio e prendendo in contropiede il giovane.

-... quei muffosi vecchi draghi si sono impigriti! A loro non interessano i cambiamenti, ma non per questo devi mollare! Sappi che se dovessi aver bisogno di aiuto, sono pronta ad appoggiarti.-

Pharnasius aveva pronunciato le ultime parole a cuor leggero, più per sollevare il morale di lui che per una reale intenzione di collaborare al suo progetto.

Tuttavia Loki prese le parole alla lettera e qualche giorno dopo si presentò negli alloggi di lei con un sorrisetto soddisfatto tutto zanne, che gli arrivava da corno a corno.

A qual punto la dragonessa viola non potette tirarsi più indietro.

Ebbe così inizio la loro collaborazione:

Loki, un magrissimo maschio dorato, le cui striature rosse ed arancio lo facevano somigliare ad una fiamma, era solito muoversi con l'agilità di un bradipo; ma una volta che il suo cervello entrava in connessione con un'apparecchiatura elettronica, si trasformava in un falco: uno spietato cacciatore capace di penetrare nel sistema centrale di qualsiasi macchina, riuscendo così a carpirne i più intimi segreti.

Di contro Pharnasius aveva un controllo ferreo sul mondo concreto.

Forte, agile e temeraria, sapeva tener testa ad ogni mastodontica macchina distruttrice che vagava sulla superficie del pianeta.

I due formarono così una squadra capace di combattere ed abbattere gli esseri di metallo che decidevano di colpire, nel tentativo di scovare la Macchina Madre che li avrebbe condotti al “burattinaio”.

Ogni loro trofeo era un passo in più che li avvicinava al vero obbiettivo e finalmente, quella stessa mattina, la lucetta rossa lampeggiante aveva annunciato che il momento era arrivato.

 

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Capitolo 3
*** la macchina madre ***


la macchina madre La Macchina Madre

Due draghi, uno viola e l'altro dorato, scrutavano l'immenso deserto sabbioso da dietro degli schermi oscuranti che proteggevano dal sole i loro sensibili occhi abituati alla penombra.
-Ecco, ci ha individuati... sta puntando contro di noi...-
- Qual’é la distanza?-
Loki controllò meglio lo schermo a fotoni del radar che si era materializzato tra il pollice e l'indice della zampa destra che teneva avanti a sé.
-Circa 5km... considerando la velocità con cui sta viaggiando, dovrebbe esserci addosso tra qualche minuto-
-Molto bene...-
La ferocia racchiusa nelle poche parole della compagna fecero sobbalzare il drago d'oro.
Pharnasius sfoderò gli artigli, e con essi delle taglienti propaggini laser fuoriuscirono dai massicci bracciali che le ricoprivano gli avambracci.
Le pistole riposte nel fodero che le fasciava il torace, erano cariche ed efficienti: sarebbe stato uno scherzo far a pezzi quell'ammasso di ferraglia!
Loki inserì un cavo nella porta che aveva impiantata nel corno, collegando così la propria mente con un piccolo ripetitore che portava ancorato addosso.
-Eccolo: pronta amore?-
-Pronta piccolo mio, diamo inizio alle danze-

L'approssimarsi della Macchina Madre fu uno spettacolo di sublime bellezza, affascinante e spaventoso allo stesso tempo.
Tra la liquida aria rovente e le nubi di sabbia, una massa nera stava furiosamente caricando verso di loro, con il suo corpo tozzo sorretto da innumerevoli propaggini meccaniche, ognuna dotata di una sorta di pinza all'estremità
Quel ragno metallico superava in proporzione i due draghi come un elefante con uno scoiattolo.
Loki fece un respiro, rilassando il corpo mentre la mente saettava veloce verso il nemico.
La sua aggressione confuse le istruzioni che comandavano il mostro, facendolo vacillare come se avesse appena ricevuto una pallonata in pieno muso.
A quel punto fu Pharnasius ad intervenire.
Con un tonante urlo di guerra, la dragonessa viola aveva spiccato un balzo verso la macchina; schivò gli attacchi diretti contro di lei con la grazia e l'agilità di una ballerina, prima di recidere di netto un braccio meccanico che le si era parato avanti e sparare una raffica di colpi sul corpo principale dell'essere.
Le piastre metalliche della carrozzeria iniziarono a fumare.
Pharnasius credeva di aver la vittoria in pugno, quando un gemito strozzato la raggiunse.
Alle sue spalle, vide Loki stramazzato sul terreno che si contorceva in preda alle convulsioni; a quanto pareva l'entità che guidava la macchina lo aveva infine acciuffato.
-LOKI! NOOOOOOOOOOO!-
Mai aveva avvertito una paura più grande, mentre accorreva in suo aiuto, afferrando il cavo che collegava il suo compagno al ripetitore e strappandolo di netto dal corno.
Le convulsioni cessarono subito, lasciando il drago dorato stordito e boccheggiante.
-Pharnasius... quel figlio di puttana mi ha beccato! È troppo veloce... io...-
-Shh... sei salvo, mi basta questo-
Un inquietante stridore metallico fece tornare la guerriera alla realtà, scacciando completamente l'immane sollievo che l'aveva distratta, quando si accorse che la Macchina Madre si era completamente ripresa dalla prima ondata di attacchi ed ora stava caricando furiosamente nella loro direzione.
Pharnasius riuscì in qualche modo a sedare il panico che le stava invadendo il cervello.
Nonostante l'istinto le suggerisse di raggomitolarsi su se stessa come una palla, la guerriera si caricò Loki sulla groppa, spalancando le ali e lanciandosi in aria con una poderosa spinta dei posteriori.
Contava di seminare il nemico volando, ma mai si sarebbe immaginata che il ragno metallico potesse compiere dei salti così prodigiosi da permettere ad una delle sue chele di squarciarle la membrana di un'ala.
I due precipitarono sul declivio di una duna, rotolando come una trottola di sabbia per svariati metri prima di cozzare dolorosamente contro dei macigni rossastri.
Mezza accecata dalla polvere e dal dolore, la dragonessa trascinò il suo compagno verso le rocce, gettandosi con lui entro una fenditura troppo piccola per permettere alla macchina di infilarci il braccio per ghermirli.
Poco dopo il ragno li raggiunse: la sua mole coprì la luce mentre decine di occhi rossi scrutavano la fenditura alla ricerca delle prede.
Lo sguardo cremisi li trapassò con odio viscerale, prima che la sua massa sgomberasse l'uscita dell'anfratto dove si erano rifugiati.
La Macchina Madre se ne era andata.
Pharnasius si lasciò sfuggire un sospiro di sollievo sentendo la tensione che le abbandonava i nervi tesi del corpo, mentre si accasciava debolmente al suolo.
Due braccia premurose la cinsero attirandola a sé.
Loki si era ripreso ed ora la cullava con dolcezza mentre dalla sua gola fuoriusciva un chiocciare rassicurante, un po' come le fusa per i gatti.
-È tutto finito- le ripeteva -tutto finito- quando l'inaspettato attacco della Macchina Madre li investì con la violenza di un tornado.
La cosa stava colpendo con furia le pareti rocciose, scavandosi un varco verso di loro.
Non sapendo che altro fare, Loki si era raggomitolato su di Pharnasius, nel misero tentativo di proteggerla con il proprio corpo.
Una rabbia gigantesca fece vibrare l'anima di Pharnasius spazzando via ogni prudenza o timore.
Mai aveva sperimentato qualche cosa del genere, mentre scostava malamente l'esigua massa di Loki per lanciarsi contro la Macchina Madre, con il solo bruciante desiderio di vederla ridotta in un ammasso fumante di rottami.
La parte razionale di Pharnasius, che quel tempestoso oceano di furore non era riuscito a spazzare via del tutto, osservava con costernazione la scena; come se non fosse stata lei stessa la dragonessa viola che stava ghermendo una chela metallica appena apparsa nel tunnel di roccia.
Poi il mostro tirò fuori la propaggine, trascinandosi dietro Pharnasius.
In quel breve lasso di tempo, dove la guerriera si era ritrovata a grattare contro le pareti della stretta galleria, perdendo parecchie scaglie, il dolore offrì un appiglio al quale la ragione potesse aggrapparsi e squarciare la cappa di furore che la stava soffocando.
“Pharnasius! Cosa diavolo pensi di fare? Dannata idiota!”
Troppo tardi.
Ormai la combattente era stata scaraventata sulla sabbia da un brusco movimento della Maccina e lì stava tentando disperatamente di evitare i colpi del nemico, mentre il sole e la polvere l'accecavano: aveva assolutamente bisogno di un'idea.
Un fortuito attimo di tregua le diedero la possibilità di balzare in aria e librarsi in volo sopra la testa del mostro.
La manovra era stata così repentina che il ragno meccanico ebbe pochi attimi di disorientamento, che servirono alla dragonessa per osservare con più attenzione la fisionomia dell'avversario.
Un brillio di speranza le balenò negli occhi quando si rese conto che la Macchina non possedeva gli snodi necessari affinché gli arti potessero raggiungere il dorso corazzato.
Pharnasius comprese immediatamente che quello era il punto in cui avrebbe dovuto agire.
Ripiegando le ali contro il corpo, si lasciò cadere in picchiata verso l’obbiettivo, mentre al di sotto la macchina si dimenava come impazzita, quasi avesse compreso le sue intenzioni; ma ormai era troppo tardi e un paio di propaggini laser erano penetrate nella corazza metallica.
Pharnasius provocò due profondi squarci al carapace, infilandovi poi gli artigli e gonfiando i muscoli degli arti anteriori nello sforzo di allontanare i bordi delle lamiere fino a quando non ebbe ottenuto un varco sufficientemente ampio per passarci attraverso.
Come un mortale parassita, Pharnasius era in seguito piombata all'interno del corpo della macchina.
Il buio era opprimente ed assordante, mentre un atroce, rancido fetore di olio e grasso le mozzarono il fiato, rendendole la bocca amara di bile.
Tentando di respirare il meno possibile quella venefica aria viziata, la dragonessa iniziò a strisciare tra i meccanismi in continuo movimento della bestia, illuminandosi il cammino con le lame delle spade.
Sapeva che la maniera sicura di porre fine alla vita del perverso costrutto era quella di distruggere il generatore d'energia; l'unico inconveniente era che lei ignorava completamente la sua ubicazione.
Un sommesso ronzio, a stento udibile tra l'inferno di fischi e cigolii, attirò la sua attenzione guidandola verso la meta.
In prossimità del generatore, un bagliore bluastro aveva man mano preso il posto delle tenebre, mentre lo spazio tra i vari meccanismi era notevolmente aumentato, tanto da permetterle di starsene comodamente in piedi sulle zampe.
La macchina aveva ormai i secondi contati, mentre il carnefice ne guardava trionfante il cuore pulsante di vita artificiale.
La dragonessa era ridotta ad una selvaggia figura imbrattata di idrocarburi maleodoranti, con la pelle ustionata dal calore degli ingranaggi laddove le scaglie erano state asportate dalla roccia del tunnel; tuttavia questo non impedì a Pharnasius di provare un immenso piacere mentre estraeva le pistole dal fodero.

Loki aveva timidamente fatto capolino dal rifugio, ora che gli attacchi del colosso erano cessati, e scrutava ansiosamente il paesaggio alla ricerca di Pharnasius; ma di lei non vi era alcuna traccia.
Il panico che lo invase al pensiero di averla persa gli impedì di accorgersi dello stano comportamento della Macchina Madre.
Il ragno artificiale sembrava avesse perso la ragione: dimenava gli arti azionati da pistoni verso l'alto, nel futile tentativo di disarcionare la minuscola macchiolina viola che se ne stava accovacciata sulla sua groppa.
Loki ebbe un tuffo al cuore nel costatare che la sua compagna fosse salva, prima di vederla scomparire all'interno del mostro.
-Cosa vorrà mai fare quella pazza...-
Di lì a poco l'essere artificiale perse la testa, mentre delle istruzioni di emergenza si riversavano nel computer che lo controllava, provocando in lui un comportamento assai simile al panico degli esseri viventi.
Non sapendo cosa fare, la macchina iniziò a girare su se stessa come una trottola, per poi spiccare una disparata corsa senza meta, nella speranza di poter sfuggire dal male che la stava divorando da dentro.
Tremendamente sconcertato, Loki spalancò le ali e seguì in volo il tragitto del ragno metallico.
Improvvisamente la macchina si arrestò, crollando al suolo con un cavernoso sferragliare di membra.
Fu allora che Loki atterrò lì vicino, con il petto che si alzava ed abbassava selvaggiamente per lo sforzo di aver volato a grande velocità.
Scrutò nuovamente il mostro, sperando di individuare ancora quella macchia purpurea, ma di Pharnasius non vi era alcuna traccia.
Poi si sentì un forte martellare, simile al maglio del fabbro che si abbatte sull'incudine, che si fuse con il fischiare del vento tra le dune di sabbia.
Il guscio di metallo si smembrò e la piccola figura della dragonessa schizzò fuori come un kaiser.
-Loki!!! Ci sono riuscita! Lo abbiamo preso!-
Nel pieno del suo entusiasmo, Pharnasius volò tra le braccia di lui con la cinguettante allegria di una rondine, scaraventandolo direttamente a terra e imbrattandolo di bitume, che subito andò disgustosamente ad impastarsi con la fine sabbia del deserto; ma lei era troppo entusiasta per accorgersene.

Oscar osservò ogni cosa e represse un tremito di rabbia.
Il suo corpo atrofizzato se ne stava da tempo immemore intrappolato all'interno di una foresta impenetrabile di elettrodi e cavi, tuttavia gli impulsi e le sensazioni che il calcolatore inviava al cervello di Oscar erano gli stessi che avrebbe provato standosene in un comodo salottino.
Poteva gustare la morbidezza del broccato che ricopriva l'imbottitura del divano, l'odore aromatico del ceppo di ginepro che bruciava nel caminetto e il dolciastro sapore del vino che stava sorseggiando da un calice di cristallo finemente modellato.
Quella perfezione era stata guastata quando aveva avvertito la morte della sua creatura, avvenuta per mano di una dragonessa viola imbrattata dal sangue della sua stessa vittima.
Un affronto così grave non poteva essere ignorato.

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Capitolo 4
*** la farfalla nera ***


la farfalla nera

La farfalla nera

- Pha! Ma che è ‘sta roba … cavolo quanto puzzi!-

-Ops! Scusami Loki-

-Fa niente … basta che mi stai lontana fino a quando non assomiglierai più ad una torta di fango-

-Wow! Quante storie per un po’ di olio! Comunque, spero di non aver distrutto troppo la Macchina Madre per i nostri scopi-

Quella osservazione allarmò Loki, tanto che il drago d’oro guardò con comica preoccupazione il mostro metallico che scintillava sotto lo spietato sole del deserto.

-Se il computer centrale non è stato danneggiato dal tuo attacco, non dovrebbe essere difficile prendere in scacco quel perverso “burattinaio”… spero solo non sia andato in cortocircuito … -

-Cosa aspettiamo allora! Andiamo subito a controllare!-

Detto questo, Pharnasius aveva spiccato la corsa verso la carcassa, sprizzando entusiasmo da tutti i pori come una cucciola presa dai suoi giochi.

Mentre correva, con Loki alle calcagna che penosamente tentava di sostenerne il passo, una strana nebbia nera  calava a tratti sui suoi occhi, nascondendo il torrido paesaggio.

Poi un brusio si insinuò nella sua testa facendosi man mano più distinto.

-Pharnasius … -

La dragonessa si arrestò di scatto, scrutando attorno per capire chi la stesse chiamando, ma non vide altro che le dune e la sagoma barcollante di Loki ancora lontana.

“Bha, sarà stata solo una suggestione, forse un calo di zuccheri, il caldo …”

- Salve Pharnasius-

I dubbi si dissiparono all’istante quando il nero di un immenso spazio vuoto si impadronì del suo campo visivo, lasciandola sola e smarrita all’interno di quella vastità senza inizio né fine.

Cosa stava succedendo?

-Benvenuta Pharanasius, mi hai fatto un grave torto oggi … -

Disse una voce calma e profonda, deliziosamente modulata, melodiosa quanto un canto.

Il cuore le schizzò in gola quando si accorse che il burattinaio le stava parlando, il suo primo pensiero fu quello di fuggire, ma dove? Non c’era altro che nulla e buio! Così decise di mantenere i nervi saldi più per mancanza di valide alternative che per una questione di decoroso orgoglio.

-Dove sei? Mostrati! Affrontami muso a muso codardo!-

-Non mi sto affatto nascondendo-

Pharnasius per poco non schizzò fuori dalle scaglie quando la sagoma di un altro drago le si materializzò al fianco da un momento all’altro.

Si trattava di uno splendido esemplare, dalla corporatura snella ma robusta allo stesso tempo; aveva movenze ponderate, raffinate e molto antiquate, tanto che il nuovo arrivato sembrava improvvisamente partorito dalla buona società aristocratica che, innumerevoli secoli addietro, si dilettava conversando in eleganti salotti, dietro servizi da tè in porcellana finemente dipinta, completamente dimentica di essere prigioniera in chilometri e chilometri di gallerie sotterranee.

Tuttavia, il particolare che maggiormente disorientò Pharnasius fu il colore delle scaglie: viola come le sue!

-Perché mi combatti, Pharnasius? d'altronde noi due siamo simili e abbiamo in comune molte più cose di quanto tu creda … -

L’espressione sbigottita di lei strappò ad Oscar una risatina divertita, che molto somigliava al tintinnio di una campana d’argento, mentre la deliziosa piega del sorriso di perla gli solcava il muso dalla linea regolare e perfetta, di una bellezza e giovinezza che mozzò il fiato a Pharnasius.

Ma quando lei si concentrò sul tenero verde delle iridi, la freddezza e la spietata crudeltà racchiuse negli occhi del burattinaio, bastò ad insozzare l’aurea di ascetica perfezione che tanto aveva abbindolato la sua ammirazione.

Un minaccioso ringhio di avvertimento le fuoriuscì dalla gola, mentre lei spalancava al massimo le ali da farfalla per intimorire l’avversario.

-Esci subito dalla mia testa!-

Un’altra risatina musicale fu la risposta che ricevette.

-Esci subito dalla mia testa! Ho detto! Effeminato ammasso di scaglie o sarà peggio per te!

Con queste parole, la dragonessa si lanciò verso Oscar, soltanto per artigliare e mordere il vuoto.

-Non puoi nulla contro di me, in questa dimensione è la mia volontà che controlla ogni cosa-

-Maledetto bastardo! Lasciami stare!-

 

 

Loki era riuscito finalmente a raggiungere Pharnasius solo per ritrovarla in un evidente stato confusionale,

La sua compagna stava girando in tondo, lanciando sguardi terrorizzati al vuoto, vedendo cose che solo lei poteva percepire.

Poi al disorientamento sopraggiunsero la rabbia e la paura.

Loki vide la guerriera ringhiare al vento, mordere ed azzannare l’aria, gridare sempre più forte e combattere il nulla con maggiore furia.

Per quanto lui tentasse di chiamarla, lei non poteva udirlo; perfino quando Loki le si piazzò davanti, afferrandola per le spalle ed avvicinando il suo muso al suo, Parnasius non si accorse di lui né dell’espressione di impotenza che gli si era dipinta in faccia.

 

-Vattene via!-

Oscar schivò con eleganza l’ennesima zampata diretta verso la testa cornuta, facendo fluttuare come alghe mosse dalle correnti del mare i barbigli che gli spuntavano dalla mascella.

Spinta dall’eccessivo impeto del colpo andato a vuoto, Pharnasius inciampò malamente e sarebbe caduta a terra se il burattinaio non l’avesse sorretta afferrandola per le spalle.

Il suo tocco era gelido più del buio della notte.

Lei tentò inorridita di divincolarsi ma lui le stringeva le zampe, rivelando una forza innaturale, quasi meccanica.

Oscar si divertì quando il suo sguardo incrociò quello dell’avversaria, pietrificandola.

La sentiva tremare.

Se si fosse trattato di un’altra dragonessa, quei sussulti sarebbero stati sicuramente dovuti alla paura, ma Oscar conosceva bene l’essenza di Parnasius, più di quanto lei conoscesse se stessa, e ben sapeva che un vulcano sopito stava per eruttare da un momento all’altro.

-Sì, brava… continua così…-

La incitò sommessamente, stravolgendo i propri lineamenti scultorei in un ghigno malefico, bestiale.

-Cosa vuoi da me?-

La voce di Pharnasius aveva iniziato a corrompersi, facendosi simile ad un cupo rimbombo proveniente dalle viscere della terra.

-Lasciamiiiiiiiiiiiii!-

 

Loki credeva di essere fagocitato nell’incubo più spaventoso e reale che avesse mai fatto, quando vide le linee guizzanti di minuscole saette oscure danzare attorno alle scaglie della propria amata.

Fu quando lei proruppe in un glaciale urlo che lui fece un balzo indietro spaventato.

Con gli artigli che gli tremavano dall’agitazione, Loki aveva collegato il cavo del ripetitore al corno affinché le immagini che stavano attraversando la sua retina restassero per sempre impresse in quella imperturbabile memoria elettronica.

Sentiva di doverlo fare: anche se la logica confutava ogni ipotesi che in quei momenti gli tormentava l’anima, Loki sentiva che qualche cosa di terribilmente sbagliato stesse risvegliandosi in Pharnasius.

Per quanto fugacemente, il drago d’oro aveva sfiorato più volte la mente del burattinaio e sempre aveva scorto quell’incubo del quale la sua compagna stava assumendo le fattezze, avvolta dalle saette come una crisalide infernale nel suo bozzolo.

La farfalla che ne uscì non era più una creatura primaverile e leggera, ma un demone ghignante dalle scaglie nere come la pece e gli occhi bianchi che emanavano malevoli bagliori.

 

Oscar non la lasciò, nemmeno quando il corpo di lei assunse fattezze da incubo sotto le sue stesse grinfie.

Ora stava stringendo quell’essere oscuro che lo fissava attraverso i due abissi bianchi e vuoti degli occhi, ma lui non ne aveva timore perché quelle immense e malefiche energie erano le stesse che gli pulsavano nel sangue.

-Ho raggiunto il mio scopo: ora sai chi sei, o meglio, COSA sei … ci rivedremo presto mia cara-

Lui svanì assieme agli ultimi echi delle sue parole, restituendola al deserto, al caldo ed al nauseante odore dell’olio che la imbrattava dalle corna fino alla punta della coda.

Pharnasius scorse Loki che la fissava con un misto di disperazione ed odio, mentre le forze l’abbandonavano lasciandola cadere senza sensi tra la sabbia rovente.

 

 

 

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Capitolo 5
*** Loki rischia un pugno ***


Loki rischia un pugno Loki rischia un pugno

Pharnasius riprese conoscenza qualche ora più tardi.
Si ritrovò accucciata su di una branda, incapace di pensare, ricordare e capire, mentre fissava senza motivazione uno scacco di luce bianca sul pavimento di linoleum, perdendosi in quella immagine …  divenendo soltanto ciò che i suoi occhi captavano e niente di più.
Sentì il rumore di passi e lo strisciare di diverse code, come un confuso rimbombo proveniente da qualche parte.
Ma dove?
Pharnasiu smise di essere solamente una pozza di luce per riacquistare completamente consapevolezza di sé.
Si mise faticosamente a sedere sulla branda mentre un sensore di movimento accendeva un neon fissato al soffitto, inondandola con la sua luce fredda e triste.
Si trovava in una cella.
Lo spazio era appena sufficiente per ospitare una branda ed una piccola nicchia dove poteva starsene in piedi senza toccare le pareti con le ali e la coda.
Una parete forata, di un polimero trasparente come l’aria e resistente come fibra di carbonio, solitamente utilizzato per gli abitacoli delle navi spaziali, la separavano da un basso e lunghissimo corridoio dove si affacciavano innumerevoli altre celle … tutte vuote!
I passi si avvicinavano.
Pharnasius si limitò a restarsene tranquilla al proprio posto, mentre un piccolo manipolo di guardie si era schierato avanti alla sua cella.
La parete invisibile scomparve nel pavimento, scivolando fluida e veloce come l’acqua e permettendo ad uno dei soldati di entrare.
La dragonessa continuò a fissare la parete avanti a lei, anche quando l’altro drago le si era avvicinato così tanto che lei poteva avvertirne chiaramente la presenza.
-Ok, ci avete beccati..-
Iniziò a dire Pharnasius, tentando di celare la sua indignazione dietro un tono piatto e distaccato, che suo malgrado ne tradiva il nervosismo.
-.. io e Loki abbiamo effettuato delle uscite all’esterno non autorizzate e questo è contro la legge … lo so … -
E qui voltò lentamente il capo fino a focalizzare la sua attenzione sul muso celato dell’altro.
-..  ma questo non giustifica il fatto che ora mi trovi in una cella di isolamento e che ve ne stiate in assetto completo da combattimento, e Fergus?-
Fergus era un guerriero addetto alla guardia del Consiglio degli Anziani, proprio come lei.
 Parnasius lo conosceva fin da quando era una cucciola in quanto erano stati entrambi avviati all’arte del combattimento presso lo stesso maestro.
Fergus aveva uno strano modo di starsene dritto sulle zampe, con quel singolare dondolio con il quale spostava incessantemente il peso del corpo da destra verso sinistra, che aveva permesso alla dragonessa viola di identificarlo da dietro l’esoscheletro metallico che ne celava per intero le scaglie rosse, maculate di nero, in una terrificante e fluida forma.
Fergus inarcò di scatto il lungo collo, comunicando implicitamente di essere a disagio per il fatto di essere stato smascherato.
Pharnasius non seppe dar risposta ad un simile comportamento: sembrava quasi avesse paura di lei!
-Avrai le tue risposte a tempo debito … in quanto alle armature, stiamo solo eseguendo degli ordini di prescrizione-
- … anche se, ad essere sinceri, così mi sento molto più al sicuro … -
Aggiunse poi, con voce assai più sommessa, evitando accuratamente di guardare l’espressione attonita di Pharnasius.
-Ragazzi, incatenatela e portatela fuori, se prova ad opporre resistenza, non esitate a paralizzarla con l’elettricità-
Un’imprecazione assai volgare sfuggì dalle labbra della dragonessa, mentre ben tre soldati le erano saltati addosso, applicandole con efficienza delle fasce magnetiche ai polsi, alle caviglie ed alla base delle ali.
La guerriera si sentì particolarmente umiliata quando le infilarono una sorta di museruola, quasi fosse un cane rabbioso! Tuttavia decise di mantenere una certa docilità: se dovevano condurla da qualche parte, avrebbe preferirlo andarci sulle proprie zampe, invece di essere trasportata di peso come un sacco di patate, paralizzata e stordita da una dolorosa scarica elettrica.

Era una stanza spoglia, asettica come una sala operatoria, rivestita per intero di linoleum, con gli immancabili neon che ne aumentavano l’anonimato e l’opprimente desolazione.
Loki se ne stava seduto sul pavimento, con il capo abbandonato tra le zampe anteriori.
La pesantezza dei ceppi, in contrasto con l’esilità della corporatura di lui, faceva del drago dorato la personificazione dell’impotenza.
Pharnasius ebbe un tuffo al cuore quando lo vide in quello stato.
Le guardie la condussero nella stanza, depositandola al fianco dell’altro prigioniero.
-Loki! Che sollievo vederti! Tutto bene? … Loki…-
Niente
Il drago d’oro evitava accuratamente il suo sguardo ed anche il più piccolo contatto con lei.
Sembrava per assurdo che anche lui, il suo compagno, serbasse per lei lo stesso timore che aveva fiutato nelle guardie, unito però al rimorso ed alla vergogna.
Cosa diavolo stava mai succedendo?
-Toglietele pure la museruola, sempre se la nostra “fidata” guardia non voglia compiere qualche gesto inconsulto-
- Non si preoccupi, Saggio Morrigan, noi soldati siamo die cani  ben addestrati, come voi tutti ben sapete-
L’insulto velato strappò un minaccioso sibilo al soldato che stava armeggiando con le cinghie della museruola.
Pharnasius ignorò di sana pianta quella scortese minaccia per concentrare la sua attenzione sulle tra figure che occupavano il lato opposto della stanza, con le loro fragili e antiche scaglie mollemente adagiate su ricchi cuscini ed il solito sguardo scrutatore, quasi al di sopra degli altri e degli eventi.
I tre Anziani si trovavano nella stanza, troppo vecchi e stanchi per non essere pomposi e saccenti.
La dragonessa viola era indignata oltre ogni modo e non potette fare a meno di trapassare quei vecchi draghi con occhi infuocati: un impertinente gesto di sfida che mai si sarebbe azzardata a fare in circostanze differenti.
-Sai perfettamente che te ed il tuo “amato scienziato” avete violato la legge meritandovi almeno cinque anni di reclusione, ma tu … tu Pharnasius … non sappiamo cosa fare con te … -
-Come sarebbe a dire? Io e Loki abbiamo commesso le stesse azioni, siamo sgattaiolati fuori, abbiamo distrutto la Macchina Madre, cosa della quale dovreste esserne grati, e poi … e poi … -
-E poi, Pharnasius?-
Già, e poi?
Tentò più volte di ricordare quello che era successo: rammentava che stava correndo verso quella carcassa meccanica quando … quando si era risvegliata nella cella.
Cosa era successo in quel lasso di tempo?
Guardò verso il suo uomo in cerca di risposte, ma lui continuava a tenere gli occhi bassi, barricato entro la muraglia che si era costruito attorno.
-Forse noi potremmo aiutarti a mettere in ordine le idee, visto che Loki è stato così gentile da fornirci i suoi ricordi … guarda attentamente Pharnasius-
Uno schermo a fotoni si materializzò tra di loro, occupando buona parte della stanza.
Ora tutti potettero assistere alle agghiaccianti scene registrate dagli occhi di Loki.
Pharnasius era pietrificata dallo shock, mentre assisteva alla tremenda trasformazione che l’aveva resa simile ad un essere infernale, mentre la sua mente accedeva ai cassetti della sua memoria che l’inconscio aveva accuratamente chiuso a chiave.
Come un grimaldello, i ricordi di Loki scassinarono tutti i lucchetti facendo riemergere ogni cosa: il vuoto, la rabbia e Oscar, con la sua malvagia bellezza.
Lo schermo a fotoni svanì, lasciando la stanza immersa in un opprimente silenzio colmo di attesa.
Pharnasius poteva solamente udire il suo fiato che le usciva a fiotti dalla gola.
-Loki… come hai potuto?-
Sussurrò al drago che l’aveva tradita, con quel poco di voce alla quale riuscì a fare appello.
Lui non rispose, ignorandola deliberatamente.
-Maledetto bastardo, come hai potuto? Rispondimi dannazione?-
Niente, Loki si faceva scivolare sopra gli insulti con sorprendente facilità.
Un rombo di rabbioso fece vibrare il petto della guerriera viola: avrebbe voluto una qualche reazione da lui, persino violenta, ma quel silenzio infrangibile era per lei qualche cosa di insopportabile, un’ingiuria gravissima che aveva gettato alle ortiche anni ed anni di vita trascorsa assieme.
Un velo rosso di furia le calò sugli occhi
Pharnasius esternò un ruggito potentissimo mentre si gettava su Loki, attingendo inconsciamente alle forze prodigiose che si celavano nel suo corpo e agendo così rapidamente da prendere tutti di sorpresa.
I vincoli magnetici che le serravano le membra si ruppero come fragili pagliuzze, mentre lei afferrava l’emaciato drago d’oro per le spalle spalmandolo al muro e tenendolo lì inchiodato.
La zampa destra di lei si serrò in un pugno.
Loki chiuse con forza gli occhi, preparandosi all’impatto che molto probabilmente gli avrebbe fracassato il muso o peggio.
Sentì lo spostamento d’aria mentre il pugno seguiva la sua traiettoria.
Il drago dorato gemette pietosamente, mentre un tonfo assordante gli rimbombò nelle orecchie.
Passò qualche secondo, ma l’atroce dolore che Loki si aspettava di avvertire da un momento all’altro non giunse mai: Pharnasius non lo aveva colpito, ma aveva indirizzato il colpo al lato della sua testa, scaricando la sua forza devastatrice contro il muro e facendolo visibilmente cedere.
Era chiaro che un pugno del genere lo avrebbe sicuramente ucciso.
Loki non fece in tempo a provare sollievo, per il pericolo scampato, che si ritrovò intrappolato nello sguardo di Pharnasius.
Il muso di lei era vicinissimo al suo, tanto che poteva avvertirne il fiato fondersi con il proprio, mentre quelle due profonde e nerissime pozze d’inchiostro delle sue iridi lo ghermivano, avvolgendolo come un mare in tempesta e facendolo inesorabilmente affondare in abissi freddi e spietati.
Loki si sentì accartocciare l’anima, mentre un insopportabile senso di colpa e pentimento lo rapì.
Aveva commesso un gravissimo errore, spinto solamente da un sentimento meschino e primitivo quale la paura.
Solo ora si rendeva conto di quanto amasse Pharnasius … adesso che l’aveva irrimediabilmente persa!
Lui ebbe l’impressione di aver subito quel tormento per ore, ma in realtà non erano trascorsi che una manciata di secondi; il tempo necessario affinché le guardie accorressero in suo aiuto, ghermendo rudemente Pharnasius e scaraventandola all’indietro, assestandole un colpo all’addome che l’aveva lasciata piegata in due al centro della stanza.
In preda al dolore, Loki si rannicchiò contro il muro, avvolgendosi nelle ali, desideroso di svanire nel nulla.
Gli anziani assistettero alla scena con un crudele sorriso soddisfatto stampato sul muso.
Era chiaro che quella era la prova ulteriore della veridicità della conclusione a cui erano giunti dopo la discussione che si era aperta riguardo a ciò che Loki aveva testimoniato.
Pharnasius era un elemento estremamente pericoloso per l’intera comunità, quindi era assolutamente necessario che se ne sbarazzassero al più presto.
-Pharnasius, è chiaro che c’è qualche cosa di tremendamente sbagliato in te … ci dispiace, ma per il bene di noi tutti tu dovrai sparire … ti condanniamo pertanto all’esilio! Ti concediamo due giorni per prepararti alla partenza-
-N … non ho bisogno dei vostri “magnanimi” due giorni … -
Riuscì a rispondere la guerriera, mentre faticosamente si metteva sulle quattro zampe per affrontare con sguardo fiero e testa alta la piccola assemblea.
-Partirò immediatamente-  
Così dicendo si avviò con passo spedito verso l’uscita della stanza, ma prima di svanire dalla vista, si voltò nuovamente; diede con profondo disgusto un fugace sguardo alla figura rannicchiata di Loki per poi trafiggere tutti quanti con il suo odio.
-Che possiate tutti marcire in questa tomba sotterranea-
Sibilò con voce satura di veleno, sputando nella loro direzione in segno di disprezzo prima di avviarsi verso la stazione di lancio.






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Capitolo 6
*** Pirati ***


pirati

Pirati

Era buio all’interno dell’abitacolo, estremamente freddo e silenzioso.

Così era sto ininterrottamente per circa otto anni, quando una piccola spia rossa sia accese, cominciando a pulsare.

Di lì a poco ogni cosa si animò: sistemi di navigazione, controlli d’assetto … tutto.

Un tripudio di luci che danzava in ogni dove, riflettendosi sulla superficie lucida di una cupola trasparente che conteneva il corpo inanimato di Pharnasius, avvolto nei cavi elettrici che lo mantenevano in vita nel delicato stato di congelamento in cui si trovava.

Per tutto il tempo l’intelligenza artificiale di Belta aveva guidato la traiettoria della nave attraverso le galassie, unendosi o dissociandosi ai numerosi plotoni di macchine che attraversavano il cosmo come carovane di nomadi nel deserto; ma ora, il verificarsi di una situazione che esulava dalle sue innumerevoli istruzioni, aveva reso Belta incapace di agire in completa automazione.

Pharnasius aprì gli occhi di botto, così come la consapevolezza di sé le era tornata: veloce ed improvvisa come uno scroscio di pioggia in una giornata estiva.

Non vi erano sogni durante l’ibernazione, solamente l’assenza totale di sé; un po’ come morire e tornare alla vita con la deliziosa illusione che tutto si sia compiuto nel tempo di uno schiocco di coda.

-Belta? Dove siamo? Siamo arrivati da qualche parte?-

Subito la manta olografica le fu al fianco, danzando nell’aria ciclicamente riciclata da un potentissimo impianto di filtri e sintetizzatori.

-Ci siamo allontanati centinaia di anni luce dal pianeta che abbiamo lasciato, seguendo sempre la stessa traiettoria lungo il trentesimo quadrante quanto alla tua seconda domanda no, non siamo arrivati da nessuna parte -

-Come, come? Perché mi hai svegliata se siamo ancora immerse nel nulla più totale?-

La manta stropicciò con più impeto le pinne, così come un drago si sarebbe grattato la nuca con l’artiglio dell’ala, svelando un certo imbarazzo.

-Riguarda il pilota automatico, Pharny … La porzione del mio software adibita al suo controllo non risponde alla mia volontà! Abbiamo così effettuato una deviazione notevole dalla traiettoria di crociera… ho tentato più volte di correggerlo, ma non ci sono riuscita… _

Pharnasius si sfregò gli occhi ancora assonnati.

-Accidenti, voi macchine siete tutte così: va tutto bene fino a quando non succede un imprevisto, ed alla più piccola cavolata avete sempre bisogno di qualcuno che tappi la falla … siete ancora troppo rigide.-

Belta lampeggiò di rosso prima di ribattere prontamente con un veloce elenco delle qualità proprie delle macchine che superavano di gran lunga quelle degli esseri viventi, tra le quali la velocità di pensiero, la precisione e la capacità di reperire energia ovunque.

-Hai ragione mia piccola e petulante manta, ma avete sempre bisogno di noi che vi ripariamo o che vi forniamo l’intelligenza necessaria al vostro funzionamento … e questo è un bene: sarebbe spaventoso il contrario, non trovi?-

- Come preferisci che ti mandi a quel paese? In maniera esplicita o velata?-

L’indignazione simulata dalla piccola interfaccia strappò alla dragonessa viola una sincera risata che subito la mise di buon umore.

Allungò una zampa per carezzare la sagoma di Belta ma le sue dita non trovarono alcuna superficie ad accoglierle: tutto di Belta era un illusione, un gioco di cifre binarie.

Quella considerazione la fece rabbrividire, quando si ricordò di come Oscar, il burattinaio, utilizzasse lo stesso sistema per creare i suoi fittizi universi.

Poi ad Oscar si succedette la figura di Loki, l’indomito domatore di quelle correnti di alta e bassa tensione, che spesso e ben volentieri smarriva ogni contatto con la realtà.

“In fondo, Oscar e Loki sono molto simili…”

-Pharnasius, sveglia! Torna tra noi!-

-Hu?-

-Il pilota automatico, dolcezza, gli vuoi dare unocchiata o no?-

-Ok, Ok! Cavoli come sei esasperante!-

La guerriera sfiorò appena la scocca interna dell’abitacolo, facendo materializzare il pannello di controllo della nave, completamente costituito di forme di luce semitrasparenti, frutto di una proiezione olografica sensibile al tatto.

Fu quando Pharnasius tentò di accedere al programma del pilota automatico che di colpo l’intero abitacolo fu immerso dal buio più totale, come se si fosse verificato uno spaventoso cortocircuito.

Poi la corrente tornò a circolare tra i circuiti della nave, alimentando solamente lo schermo del pannello dei controlli.

La creatura che apparve nel riquadro luminoso era quanto di più bizzarro e ripugnante che Pharnasius avesse mai visto.

Era informe e gelatinosa, come una ameba ingrandita innumerevoli volte; tutto il suo corpo aveva una carne trasparente e rosata che faceva chiaramente intravedere gli organi interni che rilucevano di un cremisi bagliore proprio.

Due protuberanze alla sommità della testa, simili a due pesche sciroppate, costituivano gli occhi dell’abominio, mentre una strana proboscide da  farfalla vorticava laddove ci sarebbe dovuta essere la bocca.

-Pha! Ma che razza di essere sei, da dove potranno mai provenire creature così ripugnanti?-

Le sputò addosso poco garbatamente il budino vivente, tramite l’ausilio di un congegno che, appoggiandosi alla memoria di Belta, traduceva in parole comprensibili quelle che non erano altro che flebili schiocchi.

-Senti chi parla! Non si capisce dove hai un inizio né una fine! Comunque nessuno ti ha obbligato a bloccarmi la nave per vedermi, cosa diavolo vuoi? Parla in fretta.-

- Derubarti-

Le rispose con semplicità.

-È uno scherzo, vero?-

Pharnasius sentì il proprio sangue gelare.

-Niente affatto… abbiamo agganciato la tua nave ed ora la stiamo dirigendo verso la nostra ciurma, ti consiglio di non opporre resistenza se non vuoi essere prontamente eliminata; se collaborerai e non ci creerai noie, ti libereremo al prossimo porto.-

La dragonessa viola rispose soffiando come mille serpenti, contorcendo il muso in modo da esibite le lunghe zanne appuntite in tutta la loro letalità, comunicando chiaramente che mai e poi mai avrebbe reso il lavoro facile a quei predoni.

L’ameba venne attraversata da un movimento ondulatorio, come una forma di gelatina alla frutta infilzata da un cucchiaino: era praticamente impossibile intuire ciò che un simile gesto stesse a significare.

-Hu, come vuoi. A presto…-

Lo schermo si spense e la luce tornò nell’abitacolo assieme al pannello di controllo.

Subito la guerriera si precipitò a prendere le armi, preparandosi ad una strenua resistenza indossando i bracciali dalla lame laser ed il fodero con le pistole.

-Dannazione Beltsa come hai fatto ad non accorgerti che c’è un virus nel pilota automatico che ci sta portando dritti verso la bocca di quegli sciacalli!-

-Perdonami Pharny ma ho le idee alquanto confuse se ti può aiutare posso dirti che ho sentito parlare di bande sparse di pirati che vagano in questa parte dell’universo… sai, quando mi univo agli sciami ho avuto l’occasione di conversare con i sistemi operativi delle altre navi… devo dire che ho visto delle cose alquanto bizzarre… Hai mai sentito parlare di navi funebri? Sono dei computer veramente sfortunati, costretti a vagare in eterno in compagnia di un cadavere: certi addirittura sono in giro da millenni! E poi…-

-Non ora, Belta! Riesci a disinnescare il pilota automatico?-

-No, il sistema operativo dell’ammiraglia nemica mi nega l’accesso!-

Pharnasius infilò le punte degli artigli sotto la scocca del pannello di comando, sradicandola con malagrazia dalla propria sede con uno strattone.

Belta si illuminò di rosso come un piccolo fuoco, mentre i piccoli occhi per poco non le fuoriuscirono dalle orbite.

-Cosa diavolo stai facendo! FERMA!-

-Qual è il cavo che collega il tuo sistema operativo ai motori della nave?-

-È quello lì grosso in primo piano, con le rigature bianche e verdi, perché me lo chiedi?-

On un fugace guizzo degli affilati artigli, la dragonessa recise di netto il cavo in questione senza tante cerimonie.

-MA SEI USCITA DI SENNO! GUARDA COSA HAI FATTO!-

L’ira di Belta era palese, tanto che la sua proiezione olografica si era ingrandita a dismisura; ma Pharnasius ignorò con facilità lo spaesamento del computer di bordo, inserendo il pilota manuale.

-Preferirei provare a fuggire prima di essere costretta a combattere-

La modalità di comando manuale prevedeva un completo riassetto della cabina di pilotaggio.

Da sempre i draghi erano stati dei maldestri piloti, fino a quando non trovarono un modo efficace di simulare il volo, facendo così muovere le navi, dalle ali flessibili e dalla lunga coda, in simbiosi con i movimenti del pilota.

Un sistema di campi di forza avvolse Pharnasius, sollevandola dal pavimento, mentre un ingegnoso sistema di fibre ottiche cancellò alla vista le pareti della nave, tanto che la dragonessa ebbe l’illusione di starsene fuori tra le stelle del cosmo.

Poteva sentire le forze che agivano sul corpo della nave come correnti d’aria sulle proprie ali e quando ripiegò le membrane contro il corpo per acquistare velocità, i potenti motori della macchina risposero dando il massimo delle loro prestazioni.

La navicella schizzò via come una cometa azzurrognola, mentre il cosmo tutto attorno si trasformava in una confusa cacofonia di linee e lampi di luce ed i pirati non tardarono a gettarsi nell’inseguimento dell’ambita preda che era riuscito a rompere le maglie della loro rete.

 

-Dannazione! Questi bastardi hanno l’artiglieria!-

Fino ad allora stava andando tutto più che bene.

Pharnasius era riuscita a giocare egregiamente le proprie carte, sfruttando l’agilità e le capacità di manovra, tipiche delle navi dragonesche, per distanziare confondere la traiettoria delle più goffe macchine pirata, completamente sferiche.

Aveva volato per un lunghissimo periodo, intercettando una fascia di meteoriti dove aveva tentato di far perdere le proprie tracce agli inseguitori; il suo intento non venne raggiunto, ma almeno quattro macchine nemiche si erano disintegrate contro un asteroide, esplodendo in un fiore di petali infuocati e pezzetti di lamiera incandescente.

Fu forse il fatto di aver avuto delle considerevoli perdite tra la ciurma, che spinse l’ammiraglia a non badare più all’incolumità della nave fuggiasca e a ricorrere ai dispositivi di offensiva: la flotta fece fuoco, prendendo Pharnasius completamente impreparata e colpendola ad un motore di propulsione ed allo snodo dell’ala destra.

I danni erano gravi e costrinsero la nave a diminuire di molto la velocità di crociera.

Ormai controllare l’assetto e la traiettoria del veivolo era quasi completamente impossibile! Pharnasius era continuamente sballottata da continui sbalzi di pressione sulle proprie ali, più volte si era rovesciata, tuttavia non volle arrendersi, non ancora perlomeno.

I pirati la raggiunsero con facilità, circondandola e rinchiudendola in una gabbia di sfere fluttuanti.

-Siamo finite, Pharny hai qualche idea?-

-E lo chiedi a me Belta? Non dovresti essere tu il mega cervellone tra noi due?-

-I radar hanno rivelato un pianeta nelle vicinanze, forse potremmo sfruttarlo in una qualche maniera-

Belta proiettò l’immagine del globo: una strana palla azzurra e verde, circondata da vorticanti striature di bianco.

Pharnasius non aveva mai visto una cosa del genere, se il suo pianeta appariva torrido e bruciato, anche se osservato dalle profondità dello spazio, questo trasmetteva freschezza e salute.

situato a un anno luce da qui in pratica, alla nostra velocità dovremmo raggiungerlo tra una manciata di minuti: le sue condizioni atmosferiche sono compatibili per la vita .-

-Come pensi potremmo sfruttarlo?-

- Bella domanda-

Non volendo, furono i pirati ad offrire una possibile soluzione: credendo di avere ormai preso la preda nel sacco, da alcune navicelle sferiche fuoriuscì un cordone di energia elementare che andò a ghermire la navicella di Pharnasius; mentre le loro compagne si aggrapparono ad esse formando una sfera colossale di metallo ed energia.

La dragonessa avvertì quei vincoli come se li avessero applicati direttamente sulle sue scaglie, le stringevano in maniera dolorosa la coda, il torace e le zampe posteriori, lasciandole fortunatamente libere le ali.

- Notevole, veramente notevole, è da tanto che non ci capitava di trattare con un osso duro come te…-

La raggiunse la voce del capitano, proiettata nel vuoto che la circondava.

-Sfortunatamente non è nostra usanza risparmiare la vita a chi osa complicarci il lavoro, o peggio, farci perdere delle navi…-

-Arrrg!-

Pharnasius diede degli strattoni a destra e a manca, accorgendosi, con suo grande stupore e piacere, che le navi dei suoi aguzzini risentivano dei suoi movimenti, come se gli spostamenti della sua navicella si percorressero i cavi d’energia che la ghermivano, per poi trasmettersi alle navi sferiche.

Una possibile via di fuga le si disegnò in mente alla velocità della folgore: ora sapeva come sfruttare quel pianetucolo vicino, o meglio, come utilizzare a proprio vantaggio l’atmosfera che lo circondava.

Sapeva che sarebbe stata una manovra assai pericolosa, con ampie probabilità di completo fallimento… che scelta aveva dopotutto?

Pharnasius cominciò a spintonare l’intero gruppo verso il pianeta.

La ciurma tentò di aumentare la tensione dei campi di forza per bloccarla, ma la dragonessa riusciva sempre a trovare le inclinazioni giuste per far leva e continuare il suo tragitto, rispondendo d’istinto alle sensazioni che l’abitacolo le trasmetteva con le sue pressioni e vibrazioni.

Dopo un lasso di tempo che le sembrò interminabile, avvertì la forza di gravità del pianeta iniziare ad attirarla verso di sé.

Era giunto il momento di agire.

Pharnasius appiattì le ali contro i fianchi e si tuffò verso la sfera azzurrognola, sperando di penetrare nell’atmosfera del pianeta con il giusto angolo di inclinazione.

La manovra prese completamente alla sprovvista i pirati.

Molti riuscirono a recidere il legame d’energia in tempo, mentre alcuni sfortunati vennero disordinatamente trascinati verso il pianeta, esplodendo come bombe quando le navicelle impattarono con il muro dell’atmosfera.

I legami svanirono all’improvviso, squilibrando irrimediabilmente l’assetto di Pharnasius, tanto che la navicella penetrò in malo modo il muro di gas, trasformandosi in una palla di fuoco.

In automatico, Belta attivò una barriera di sicurezza attorno alla cabina di pilotaggio, cercando così di proteggere una spaventata dragonessa viola che fissava paralizzata l’inferno che la circondava, mentre tremendi scossoni la sballottavano come maracas.

Disintegrandosi man mano che acquisiva velocità, la navicella si trasformò in una maestosa cometa che solcò il cielo, attraversando la sagoma delle dei tre satelliti che circondavano il pianeta.

Sorvolò boschi e vallate, per poi raggiungere una torrida distesa di rocce magmatiche e laghi di lava borbottante, finendo la propria corsa contro i le pendici di un vulcano.

 

La caduta terminò con un grandissimo botto, seguito dal rumore cigolante di lamiere che si piegano e spezzano, qualche solitario scricchiolio e poi il silenzio: un vuoto spaventoso colmato solamente dal battito impazzito del cuore di Pharnasius, intrappolata in un bozzolo di oscurità e fitte di dolore che dall’ala destra e dal torace le attraversavano il corpo per trapanarle il cervello.

Sentiva il sapore ferrigno del sangue in bocca e le risultava difficile muoversi, ma perlomeno era salva.

La sagoma di Belta le si materializzò al fianco …  a quanto pareva la sua capsula di protezione era riuscita a preservare la componente hardware del sistema operativo della nave…

La manta appariva furente più che mai.

-Complimenti Pharnasius, sei riuscita a disintegrare totalmente la mia carrozzeria e per poco non ci rimettevi anche tu le scaglie! Testarda di una lucertola viola troppo cresciuta avremmo potuto tentare di rabbonire quei farabutti, invece no, tu hai voluto fare leroina, come al solito! E guarda qua che bella frittata!-

-Belta, ti prego… ho la nausea e non c’è parte del mio corpo che non mi faccia male… se vuoi litigare va benissimo, ma non ora per favore… tuttavia ti ricordo che sei stata tu a proporre di utilizzare questo pianeta per liberarci o sbaglio?-

-Liberarci! Non finire prigioniere su di esso! Come pensi di tornare a casa?.. spero che la tecnologia degli abitanti sia abbastanza sviluppata-

-Non posso tornare a casa Belta, lo sai bene, stupido computer! Ora fammi uscire di qui… -

-Agli ordini, molliccia polpetta di carne-

La barriera protettiva che aveva tenuto assieme l’abitacolo si dissolse e con essa i pezzi della cabina di pilotaggio crollarono scompostamente sul suolo roccioso.

Una volta libera, Pharnasius si abbandonò con gratitudine al suolo, lasciandosi cullare dalla sensazione di spossatezza che pian piano la rapiva, invitandola ad addormentarsi per dimenticare il bruciore insopportabile dell’ala spezzata e le fitte di alcune costole che le affondavano nei polmoni ad ogni respiro, rendendola sempre più affamata d’aria.

Stava per cadere in un sonno dal quale molto probabilmente non si sarebbe più svegliata, quando Belta la richiamò indietro.

Phrnasius riaprì gli occhi, trovandosi a tu per tu con il corpicino della manta che ronzava in aria come un moscone maldestro, in preda ad una sfrenata agitazione.

-Pharnasius! Presto, torna in te! Sto captando del movimento attorno a noi! E la cosa mi preoccupa -

La dragonessa si lasciò sfuggire un gemito di protesta, prima di mettersi faticosamente sulle quattro zampe, sibilando quando una fitta particolarmente acuta le trafisse il torace ammaccato.

-Movimento?-

Pharnasius cercò faticosamente di scrutare le ombre che aleggiavano nella caverna in cui si trovavano.

L’unica fonte di luce era soltanto il sinistro bagliore del magma, proveniente dal cratere che la navicella aveva scavato nell’impatto, facendo così crollare parte della parete della galleria.

-Sì, sono qualche decine di unità-

-Di cosa?-

- scimmie-

 

Dall’alto del cono del vulcano si poteva godere del terrificante spettacolo offerto dall’infuocato territorio vulcanico, che si estendeva per svariati chilometri tutto attorno.

Malefor amava trascorrere lì la maggior parte del proprio tempo, riempiendosi i polmoni con l’aria incandescente delle Terre Bruciate e baloccandosi nell’immaginare ogni cosa ridotta in una sterile e nera pianura.

Le sue fantasticherie sarebbero presto diventate realtà, se solo sarebbe riuscito ad attuare per intero i suoi piani di distruzione.

-…Maestro…-

L’anziano drago viola emise un ringhio cavernoso che pietrificò la grossa scimmia che si era prostrata al suo cospetto: odiava essere distolto dai suoi sogni di grandezza!

- Cosa c’è, parla!-

Disse con la sua voce dura e cavernosa, gravata dal mele che covava dentro di sé.

- Ecco… siamo andati ad indagare sulla causa della gigantesca esplosione che ha scosso il vulcano, come tu ci hai comandato, Maestro, e …-

La scimmia sembrava imbarazzata, teneva gli occhi bassi e si tormentava nervosamente la punta delle dita.

- E…-

Il soldato si fece coraggio, preparandosi al peggio…

-Abbiamo trovato la carcassa fumante di uno strano marchingegno, non abbiamo idea di cosa possa trattarsi e… c’era un drago al suo interno… un altro drago viola…-

-COSA?!-

Di colpo Malefor dimenticò la presenza della tremante scimmia, per precipitarsi verso i piani bassi del vulcano.

Un altro drago viola? Era impossibile! Ve ne era uno ogni dieci generazioni… come poteva essercene un altro oltre a quella fastidiosissima spina nel fianco di nome Spyro?

I suoi sospetti non lo prepararono comunque alla scena che si presentò ai suoi occhi.

Già, c’era un altro drago viola … una dragonessa per la precisione, con ali dalla forma più improbabile che avesse mai visto.

Era circondata dai suoi scagnozzi, che la attaccava vano senza tregua.

Lei si stava difendendo egregiamente, nonostante fosse chiaramente visibile che stesse allo stremo delle forze e che solo la forza di volontà le permetteva di reggersi sulle zampe.

Mai aveva visto uno stile di combattimento come quello.

Assai inspiegabilmente, la dragonessa non utilizzava le sue armi soffio ma si batteva manovrando con abilità due lunghe lame di luce che fuoriuscivano da un paio massicci bracciali, sicuramente magici, che le cingevano gli avambracci.

Inoltre passava con disinvoltura da una postura a quattro zampe a quelle bipede, dimostrando di avere un equilibrio non indifferente sulle zampe posteriori.

Era una brava combattente, non vi erano dubbi, ma le gravi ferite che la ricoprivano la stavano fiaccando e molto presto, i sui guerrieri l’avrebbero sopraffatta: Malefor era troppo incuriosito per permettere che ciò accadesse, per non parlare che forse un alleata di quel calibro avrebbe potuto giovare alla propria causa.

Con un secco ordine, comandò alle scimmie di cessare gli attacchi, utilizzando i suoi poteri per dissolversi ed apparire al fianco della nuova venuta.

 

Pharnasius sentiva molto chiaramente di essere prossima al collasso, tuttavia strinse i denti e si costrinse a continuare a lottare, per quanto la vista le si appannasse sempre di più e puntini bianchi le danzavano avanti agli occhi.

Poi le scimmie si dileguarono da un momento all’altro.

La dragonessa fiutò la loro tensione mista a timore reverenziale e si irrigidì, preparandosi al peggio.

Avvertì una presenza alle sue spalle, mentre l’adrenalina le permetteva di attingere alle ultime riserve di energia.

Con movimenti rapidi e precisi, estrasse entrambe le pistole dal fodero, drizzandosi sui posteriori e voltandosi di scatto, con le zampe anteriori stese avanti a sé.

Le sue armi quasi sfiorarono il muso di un altro drago.

Le energie le vennero a mancare proprio in quel momento, facendole tremare le membra e scaraventandola verso i profondi meandri dell’incoscienza.

L’ultima cosa che vide, prima che il buio la divorasse per intero, furono un paio di occhi a mandorla dalle pupille allungate, gialli ed incandescenti come il sole.

 

 

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Capitolo 7
*** la proposta ***


la proposta

La proposta

Il cuore gli era direttamente saltato in gola mentre le scaglie si erano rizzate come aculei per lo spavento e la sorpresa.

Avanti a lui un imbarazzante cratere di roccia liquefatta sembrava deriderlo con i suoi rivoli infuocati che colavano sfrigolanti verso il terreno.

Malefor gettò subito via il misterioso marchingegno che stava esaminando: aveva scoperto la sua natura… fortunatamente non lo stava puntando contro se stesso quando aveva premuto il grilletto, o si sarebbe beccato in pieno la devastazione di un soffio di drago al vertice del suo potere.

L’antico drago viola guardò con un pizzico di suggestione l’oggetto magico che aveva scagliato lontano da lui, chiedendosi come mai un manufatto così devastante fosse assai difficoltoso da maneggiare, visto che continuava a sfuggirgli dagli artigli ogni volta che aveva tentato di brandirlo.

“Solamente una scimmia potrebbe gestire comodamente una cosa del genere…”

Ma, in fin dei conti, la proprietaria dell’oggetto magico aveva grinfie simili alle mani di una scimmia! Con tanto di pollice opponibile, solo che erano ricoperte di scaglie ed armate di artigli del tutto degni di un drago.

Il Maestro delle Ombre aveva trascorso gli ultimi giorni curiosando sul conto della nuova venuta che nonostante gli incantesimi di guarigione continuava a giacere in uno stato di incoscienza.

Non che questo lo avesse distolto dai suoi turpi sogni di devastazione: le indagini erano quasi interamente volte a comprendere il modo migliore di servirsi della dragonessa per prorogare la sua causa.

Era certo che avrebbe collaborato di sua spontanea volontà… d'altronde era anche lei un drago viola, esponente di una stirpe destinata a scatenare il Distruttore affinché la purificazione del mondo possa avvenire tra le fiamme e il caos.

Era logico che anche lei la pensasse in questa maniera, ma se così non fosse stato, cosa di cui dubitava parecchio, avrebbe sempre potuto prendere il controllo della sua anima.

Tutto sarebbe andato per il meglio.

 

Pharnasius stava riprendendo gradualmente coscienza di sé e la cosa non le piaceva per niente!

Sapeva che presto avrebbe riavvertito l’insopportabile dolore al torace e all’ala che le sarebbe rimbalzato nel cranio, ma le sue cupe prospettive non si avverarono.

Quando infine riprese il controllo del proprio corpo, Pharnasius si ritrovò ad abitare in una macchina efficiente ed in ottimo stato, invece che nel catorcio in cui l’impatto dell’astronave l’aveva ridotta.

Ad accogliere il suo ritorno tra i vivi furono gli stessi occhi felini che l’avevano accompagnata nell’oscurità.

Un altro drago le sedeva al fianco e questo l’avrebbe assai rassicurata se soltanto il suo aspetto non fosse così inquietante.

Era vecchio di secoli, non vi erano dubbi, eppure non aveva nulla che indicasse il declino fisico che ghermiva i draghi della sua età.

Al contrario degli Anziani che tenevano in mano le redini del suo mondo, il corpo del vetusto drago era dritto e possente come quello di un guerriero ben addestrato di età matura.

Un numero esagerato di spine ne adornavano la figura come una terribile corazza, mentre degli artigli spropositati ne armavano le dita: Pharnasius non ne aveva mai visti di così lunghi!

Quando lui parlò, dandole un distaccato benvenuto, la sua voce cavernosa le provocò dei fastidiosi brividi lungo la schiena.

Quel tizio era il secondo drago viola che la guerriera avesse mai incontrato, e anche in questa occasione avvertiva un senso di disagio attanagliarle lo stomaco con una morsa glaciale.

Per l’ennesima volta sentì in lei qualche cosa di sbagliato, e si rattristò di condividere il colore delle scaglie con esseri tanto sgradevoli.

Nascondendo a malapena l’espressione di disgusto che le si era dipinta sul muso, Pharnasius si mise a sedere con movimenti cauti che man mano riacquistavano la loro abituale scioltezza quando nessuna fitta di dolore la raggiunse.

- Ho forse dormito per mesi? Credo proprio di sì, o le mie ferite non sarebbero completamente guarite…-

- Tre giorni … ho eseguito su di te degli incantesimi di guarigione-

Incantesimi di guarigione?

Ovvio che stesse scherzando; molto probabilmente la medicina dei draghi di quel pianeta era assai più avanzata di quella del suo.

Apprezzò il tono serio e composto con cui aveva pronunciato la piccola burla: quello strano tizio, dall’aspetto di un serial killer appena fuggito da un manicomio criminale, possedeva dopotutto un sottile senso dell’umorismo che subito lo riscattò agli occhi di Pharnasius.

La dragonessa viola decise dunque di stare al gioco: che strano modo di presentarsi!

- Quindi, a rigor di logica, il fatto che io possa parlare la tua lingua con disinvoltura è merito di un’altra tua magia, no?-

- Esattamente-

Il che sarebbe dovuto equivalere ad dire che un software di agevolazione linguistica  le era stato sparato dentro il cervello mentre lei era incosciente … Menomale la tecnologia di questo lontano pianeta non aveva nulla da invidiare a quella della sua gente.

-Senti…-

-Pharnasius-

-… Pharnasius … toglimi una curiosità, c’è uno spirito che alberga nel costrutto metallico dal quale sei uscita? E’ lui che ti ha portata qui? Sai ho provato ad avvicinarmi ed una specie di manta mi è apparsa davanti minacciando di fulminarmi se solo avessi provato a sfiorare le lamiere-

Con enorme sorpresa di Malefor, la misteriosa dragonessa scoppiò in una fragorosa risata che gli urtò non poco i nervi: cosa aveva detto di tanto esilarante?

Dal canto suo Pharnasius si stava accorgendo che la finzione fantastica del suo interlocutore si stava facendo troppo ardita e criptica per essere agevolmente interpretata, così decise di porre fine al gioco riportando la conversazione sul piano reale.

-Non dar retta al mio sistema operativo, al contrario di quel che dice, nessun antifurto è stato mai istallato sulla mia astronave, quindi potrete procedere senza problemi alla sua riparazione … è molto gentile da parte vostra soccorrermi e rimettermi a nuovo la nave, grazie!-

Pharnasius si accorse con uno sguardo che il corpulento drago viola non aveva capito un bel niente di ciò che aveva detto.

-Sistema operativo? Astronavi? Non ho mai sentito parlare di sortilegi del genere-

Se i draghi avessero potuto sbiancare, Pharnasius sarebbe divenuta lilla quando si accorse che l’altro non stava scherzando e che mai aveva apparecchiato una giocosa finzione fin dall’inizio della loro conversazione.

Ora si rendeva conto del grave equivoco in cui era incappata: i draghi di quel pianeta non capivano un bel niente di tecnologia ma erano solamente un branco di superstiziosi che si aggrappavano ad eventuali rituali folkloristici da loro chiamati “magia”.

In quel momento Pharnasius realizzò di essere veramente imprigionata in quella minuscola porzione del cosmo.

Si sentì mancare, tuttavia quei tremendi attimi di panico la indussero a saltare come una molla sulle quattro zampe per gettare una frenetica occhiata agli immensi spazi della caverna in cui si trovava.

Poco più in là trovò quel che restava della navicella.

Ora che la necessità di salvarsi le scaglie non le comandava più cosa notare oppure scartare, la guerriera poteva rendersi pienamente conto dell’enormità della catastrofe.

La nave somigliava ad un misto di spezzatino di pecora e coratella condito con strisce di vecchia pellicola cinematografica bruciacchiata.

La cosa l’avrebbe divertita non avesse costituito lo spettacolo più tragico a cui avesse mai assistito.

Il quadro venne poi completato dalla comparsa di Belta: la manta olografica la stava trafiggendo con uno sguardo a metà tra il biasimo, il rimprovero e la derisione

-Qual’è la tua soluzione miracolosa, genio?-

Non era il momento giusto per pronunciare parola di sorta tanto che la risposta di Pharnasius consistette in un minaccioso ringhio che trasformò il suo muso sinuoso in un terrificante arsenale di zanne affilate; ma Belta era di già troppo distrutta per lasciarsi intimidire da ciò.

­-Prima di tutto, verrai con me-

Riuscì infine a sibilare Pharnasiusa denti stretti, una volta che era riuscita a calmarsi abbastanza da non distruggere quel poco di sano che era rimasto.

A parte una pistola, che non tardò ad individuare sul terreno, gettata là in malo modo, i resto del suo equipaggiamento era ancora al suo posto lungo le cinghie dei foderi da lei indossati.

La dragonessa sganciò un piccolo oggetto semisferico che pose alla sommità del dispositivo che conteneva il “cervello” di Belta.

Qualche cosa stava avvenendo… Malefor poteva avvertire l’aria farsi leggermente frizzante ed gli innumerevoli percorsi della magia ondeggiare per un istante.

Il procedimento di trasferimento dei dati era invisibile agli occhi di Pharnasius, eppure Malefor poteva chiaramente individuarne il flusso di energia dispiegarsi come un’onda di particelle luminose.

Il vecchio drago ne annusò il particolare odore, cercando di identificare quel tipo ignoto di magia.

La sua mente tornò ai tempi della sua giovinezza, trascorsa tra le mura del Tempio a coltivare quei formidabili talenti che la sua razza aveva in dono.

Ricordava le ore trascorse nel tentativo di dominare l’energia degli elementi che gli scorrevano nel sangue, guidato dall’esperta tutela dei Guardiani di quel tempo remoto.

L’elettricità! Non poteva essere che la potenza del fulmine ciò che infondeva vita allo spirito del costrutto o “astronave”, come la chiamava quell’improbabile dragonessa viola.

Poteva avvertire dei picchi e delle depressioni nella tensione, come ogni tal volta che evocava la sua arma a soffio elettrica; ma in questa occasione la velocità del loro susseguirsi era impressionante, praticamente inafferrabile!

Indignato, Malefor serrò gli occhi costringendosi ad una maggiore concentrazione.

Afferrò e perse più volte la risacca di quelle onde d’energia, prima di riuscire a stabilizzare un contatto saldo che lo catapultò nella mente di Belta, o meglio, in ciò che realmente era.

Malefor non era per nulla preparato a sfiorare la coscienza di una creatura priva di vita, a scoprire di punto in bianco l’esistenza delle macchine e del loro mondo di circuiti.

Boccheggiando si ritirò immediatamente da quel contatto.

-Ehi! Cosa ti prende?!-

Malefor si riscosse da quella valanga di emozioni, quel tanto per avvertire ogni fibre del suo corpo pronta a scattare, mentre i suoi artigli erano affondati nella roccia, frantumandola.

Tremava e le sue pupille allungate si erano dilatate; riuscì comunque a riprendere il controllo della situazione, rimproverandosi mentalmente di aver manifestato un momento di debolezza di fronte alla sua potenziale servitrice.

-Per il caos e l’oscurità! Cos’è quella dannata roba?!-

La manta si era nuovamente materializzata al fianco della guerriera, fluttuando attorno alla sua testa cornuta con fare indispettito.

-Ma quale roba e roba?! Mi chiamo Belta, bello! E sono il cervello della nave.. una potenza di calcolo come la mia te la sogneresti la notte, quindi mostra un po di rispetto cavernicolo!-

-Calmati pesciolino, come pretendi che possa mai comprendere cosa sei? Cerca di non strapazzarlo più di quanto non abbiamo già fatto, ok?-

L’ologramma non si mostrò per nulla soddisfatto della risposta, diede ancora un paio di colpi di pinna e poi si dissolse nel nulla, tutto sotto gli sconcertati occhi di Malefor.

Il Maestro delle Ombre avrebbe voluto impossessarsi subito della mente di Pharnasius, ma ciò che aveva scoperto con Belta lo aveva messo in allarme.

E se la dragonessa viola si fosse rivelata un qualche cosa simile alla manta? Avrebbe mai potuto accettare una realtà talmente inconcepibile?

Francamente ne dubitava.

Era chiaro che doveva trovare un modo alternativo per assicurarsi la sua completa obbedienza, e cosa sarebbe più appropriato di un ricatto?

-Dimmi Pharnasius, a quanto pare non sai come andartene da questo mondo, giusto?-

-Esattamente-

Gli rispose lei esalando un sospiro di stanchezza.

-… ma cosa importa ormai… non vedo come la tua gente possa essere di una qualche utilità…-

Malefor si lasciò sfuggire un ghigno divertito, che molto somigliava all’espressione soddisfatta di una volpe in un pollaio.

Pharnasius fece involontariamente un passo indietro, non le piaceva la compagnia di quel tizio: la spaventava.

-Forse quei pivelli dei miei simili no, ma io sono perfettamente in grado di comandare lo spazio ed il tempo… credo di poterti ricondurre dove desideri, sai …-

Pharanasius si lasciò andare in una sonora risata di biasimo.

-E come penseresti di fare? Accenderesti qualche candela e danzeresti ricoperto di pittura e piume?-

Questa volta fu lui a ridere.

-Mettimi subito alla prova, straniera. Forza, afferra la mia zampa e vedrai.-

Con un movimento fluido, l’antico drago le porse le grinfie, mentre osservava divertito la guerriera che le porgeva riluttante la mano artigliata.

Malefor le serrò il polso in una presa ferrea attirandola a sé con uno strattone … e di punto in bianco accadde l’impossibile.

Pharnasius venne accecata dall’oscurità che si era fatta tangente e pesante come l’umidità di una palude.

Per pochi attimi si sentì precipitare, senza avere la rassicurante certezza di poter frenare la caduta spalancando le sue bizzarre ali da aliena.

Poi la sgradevole sensazione cessò.

Avvertì qualche cosa di morbido e frusciante sotto le zampe, mentre una gamma infinita di nuovi e freschi odori le invase le narici.

Sentiva sulle scaglie i tiepidi raggi di un sole benevolo e carezzevole, assai diverso dalla stella spietata che fustigava i deserti del suo pianeta natale,

Ovunque spirava una lieve brezza che le portava il canto degli uccelli ed il gaio gorgogliare di un ruscello.

Invitata da quella esplosione di nuove sensazioni, Pharnasius aprì i neri occhi e la bellezza di ciò che vide la commosse.

Si trovava in una verde vallata, assai distante dal territorio vulcanico nel quale si erano trovati solo un attimo prima!

Accanto a lei l’antico drago viola ignorava il paesaggio, da lui giudicato meschino e deplorevole, per lanciarle sguardi di trionfo.

-Allora? Che te ne pare?-

-Ma è magnifico!-

Malefor ridacchiò tra sé prima di accorgersi con costernazione che Pharnasius non si stava per niente riferendo alle sue doti magiche ma alle bellezze naturali di cui poteva godere per la prima volta nella sua vita.

 

Il vecchio drago avvertì una bruciante delusione farsi avanti avvolta dalla sensazione di essere stato in qualche modo tradito: contava di aver trovato un altro drago viola a modo che rendesse manifesto il suo disprezzo per l’esplosione di vita insita nella Valle di Avalar, invece aveva accanto un altro esemplare della sua razza dal cervello flippato, che fissava le verdi cime dei tigli con la gioia, lo stupore e la curiosità di un cucciolo appena uscito dall’uovo!

Pharnasius sembrava un essere silvano, una ninfa dei boschi, mentre in preda al suo puerile entusiasmo faceva ondeggiare il suo corpo snello in sintonia con le fronde degli alberi, ipnotizzata dai mutevoli giochi di luci ed ombra che facevano somigliare le tenere foglie a rubini.

-Cosa sono questi giganti?-

- Alberi … che domande!-

Malefor quasi ringhiò la risposta: ciò a cui stava assistendo lo disgustava, era contro la natura dei draghi viola!

Dal canto suo, la guerriera non era dello stato d’animo giusto per notare la freddezza ed il disprezzo dell’altro.

Ripetendo il nuovo vocabolo più volte, quasi con distrazione, lasciò vagare lo sguardo al cielo dall’improbabile indaco, macchiato da masse di gigantesche di non so che cosa simile al poliuretano espanso verniciato di bianco e grigio scuro, che correvano all’impazzata, coprendo sempre di più quel sole gentile.

-È tutto così deliziosamente differente dal pianeta da cui provengo…-

Commentò con un sospiro soddisfatto, rivolgendo per la prima volta la sua attenzione a Malefor.

Parte della sua allegria si dissolse quando si ritrovò accanto una fredda statua di marmo, che la guardava accigliata.

Per Pharnasius ciò era troppo insensato ed una mancanza di sentimento nei confronti di un luogo così splendido non poteva restare impunita.

Parte della cucciola che giocava arrampicandosi tra i tralicci della stazione di lancio, combinando marachelle e burle ai poveri meccanici, riaffiorò, scacciando la compostezza marziale che aveva acquisito in anni di addestramento, lotte e preoccupazioni.

Decise che era giunto il momento di fare un bello scherzetto a quel bisbetico e burbero vecchio.

Il fatto che si trovassero sul crinale di una collina giocò a suo vantaggio.

-Sei mai stato rinchiuso dentro una centrifuga?-

- Eeee!?-

-Ottimo! Perché non provare?-

Senza lasciare il tempo a Malefor di raccapezzare un bel niente di ciò che stesse avvenendo, Pharnasius si gettò su di lui con rapida agilità facendolo piombare sull’erba della collina per poi assestargli un bello spintone con la coda che lo fece rotolare lungo la discesa.

-Difficile uscire dal cestello della lavatrice, vero?!-

La dragonessa rimase per un po’ ad osservare il drago viola che man mano si tramutava in una trottola di scaglie ed erba sempre più indistinta, prima di gettarsi anche lei sul manto erboso per rotolare a sua volta.

Malefor era letteralmente allibito.

Cercava in tutti i modi di frenare la discesa puntellando le zampe lungo il crinale, ma senza successo mentre le sue proteste venivano soffocati dai folti ciuffi d’erba che gli sferzavano continuamente sul muso e le gioiose risate della dannatissima dragonessa gli colmavano le orecchie.

Avrebbe potuto ricorrere alla magia, se solo la situazione in cui si era cacciato non gli impedisse di concentrarsi a sufficienza per richiamare il suo oscuro potere.

Poi cielo e terra tornarono pian piano al loro posto abituale, mentre il Maestro delle Ombre si ritrovava a giacere supino sull’erba.

Subito si alzò, rabbrividendo come se si fosse ritrovato disteso in una fossa di scorpioni velenosi, mentre la testa gli girava a tal punto che sentiva la bile risalirgli dallo stomaco.

Era tremendamente arrabbiato, furioso oltremodo! Come aveva potuto osare quella mocciosa burlarsi di lui in tal maniera?!

Con centinaia di saette oscure che gli danzavano attorno alle zanne snudate, l’antico drago scrutò la sommità della collina per scatenare la sua furia contro Pharnasius.

Era così intento ad osservare il declivio con occhi iniettati di sangue che non si accorse che il suo bersaglio gli stava letteralmente piombando addosso, rotolando come una botte incontrollata.

Lo sgambetto lo fece piombare nuovamente al suolo come un sacco di patate, ma questa volta fu la stessa Pharnasius ad attutirne la caduta con il proprio corpo.

-Ahi! Cavolo se sei pesante!-

Facendo forza con gli arti anteriori, la dragonessa si liberò dalla mole dell’altro.

Malefor restò sorpreso dalla forza di quella pazza furiosa, che con tanta facilità lo aveva scostato di lato.

Avrebbe voluto trasformarla in una chiazza fumante nell’erba, ma quell’occasionale dimostrazione di potenza lo indusse a ragionare e a tornare sui suoi passi.

Dannazione! Pharnasius gli serviva! Questo significava che avrebbe dovuto sopportare le sue stranezze; ma una volta raggiunto il suo scopo, giurò sull’oscurità stessa che le avrebbe fatto pagare ogni cosa, con gli interessi!

Quasi rispondendo ai suoi turpi pensieri, il cielo si ricoprì del tutto di nubi temporalesche mentre un tremendo boato riecheggiò nella valle.

-Cos’è stato?-

-Un tuono, credo si stia per scatenare un temporale, penso sia meglio parlare di affari sotto quella cengia di roccia…-

Una gocciolina colpì Pharnasius sul muso, subito seguita dalla sue sorelle che pian piano circondarono la dragonessa, carezzandole le scaglie con il loro tocco rinfrescante.

-Mha, guarda che roba! L’acqua scende dal cielo come se sgocciolasse da un tubo che perde!-

L’unica acqua che Pharnasius avesse mai visto scorreva in tumultuosi ed oscuri fiumi sotterranei che venivano convogliati nelle tubature dell’acquedotto…  mai quel liquido insapore aveva assunto quell’aspetto gaio e giocoso.

-Perché mai dovremmo ripararci? A me non sembra una cosa sgradevole!-

Non fece in tempo a finire la frase che un altro rombo coprì le sue parole, trasformando all’istante quella innocua pioggerellina in una vera e propria cascata di acqua che la bagnò tutta fino al midollo.

Trovando quell’inferno d’acqua tutt’altro che piacevole, Pharnasius corse precipitosamente verso il riparo mentre Malefor la osservava scuotendo incredulo la testa cornuta di fronte a tanta ingenuità.

 

Pharnasius si scosse tutta come un cane per liberarsi dall’acqua che le era rimasta intrappolata tra le fessure delle scaglie violacee.

-Wow! Questa proprio non me la sarei mai aspettata…-

Rimase per un po’ ad osservare tutto quello sfavillare di verdi ed oro che si era ora tramutato in una fosca chiazza di colori scuri, resi traslucidi dall’acquazzone, mentre scariche d’energia folgoravano a tratti il paesaggio con candida luce.

La dragonessa adulta riuscì infine a riporre in un angolo la cucciola che si era appena scatenata, per ponderare la situazione con pacata logica.

Una domanda le folgorò la mente.

-Alt! C’è qualche cosa che non va…-

Malefor si ritrovò per l’ennesima volta le scuri iridi della dragonessa piantate nelle proprie, ma questa volta non vi era racchiusa la spensierata allegria di poco fa ma un sospetto pesante come il piombo.

Comprese che in quel momento aveva a che fare con un drago adulto e non più con una pargoletta troppo cresciuta.

La cosa lo sollevò parecchio.

-Ci trovavamo all’interno di un vulcano… come hai fatto a catapultarci qui in uno scocco di coda?-

- Teletrasporto… è un incantesimo minore che chiunque può effettuare con un po’ di pratica-

- Stai mentendo, la magia non esiste! Forza, svuota il sacco!-

-Ma non ti sto affatto mentendo…-

Malefor pronunciò queste parole trattenendo a stento una risata: quella tizia non finiva mai di stupirlo, sembrava proprio che le si dovesse insegnare ogni cosa.

Lei gli rispose con un ringhio sommesso, spalancando le ali con fare sospettoso.

Il vecchio drago anziano rispose arricciando le labbra in modo da lasciare intravedere le zanne aguzze dove una miriade di scariche di energia stavano danzando, pronte a colpire.

Lasciò sospeso tra di loro quel cupo gesto di ammonimento mentre si accingeva a fornire l’ennesima dimostrazione di ciò che la sua magia potesse compiere.

L’improvvisa scomparsa di Malefor prese Pharnasius di sorpresa.

Il drago si era dissolto nel nulla da un momento all’altro, come se una gomma da cancellare fosse passata su un disegno a matita, per poi riapparire sul soffitto della cengia, aggrappandosi con gli artigli alle sporgenze della roccia come un immenso pipistrello.

La dragonessa viola rimase di stucco, tanto era la sua incredulità che provò timore quando Malefor saltò agilmente verso il terreno per avvicinarsi a lei sempre di più.

Ad ogni passo, Pharnasius indietreggiava fino a ritrovarsi appiattita contro la parete rocciosa.

Ci doveva pur essere una spiegazione logica a quel che aveva assistito, non poteva essere altrimenti, non poteva assolutamente trattarsi di magia! Ammetterlo sarebbe per lei equivalso a mettere in discussione le convinzioni di una vita, a rinnegare il proprio modo di vedere la realtà per uno nuovo a lei completamente alieno: privo di senso!

Malefor sorrise tra se, costatando di aver finalmente giocato la carta giusta.

-Ti condurrò dove tu vorrai, prima però dovrai svolgere un lavoretto per me…-

 

 

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Capitolo 8
*** l'energia dei quattro elementi ***


l'energia dei quattro elementi

L’energia dei quattro elementi

La corrente ascensionale curvava le bianche e maculate membrane alari di Pharnasius in strane forme, mentre lei concentrava la sua attenzione sulle mutevoli carezze e spinte che l’aria le esercitava sulle ali.

Non doveva assolutamente perdere la concentrazione: le pareti del Tempio erano troppo vicine ed ogni minimo errore l’avrebbe sicuramente spinta contro il muro intonacato di malta.

Sotto di lei scorrevano i giganteschi cappelli brunastri di una improbabile foresta di funghi mastodontici, dai gambi larghi e legnosi come tronchi d’albero, la quale prosperità era forse dovuta alla presenza delle tumultuose acquee di un fiume che scorreva lì vicino.

Quel soffitto di cupole viventi era stato la prima cosa che aveva accolto la comparsa di Pharnasius nei pressi del tempio; la quale era stata letteralmente scaraventata lì, senza tante cerimonie, dalla magia del Maestro delle Ombre.

Le occorsero qualche secondo per liberarsi dalla sensazione di estrema confusione, risultato dell’incantesimo che aveva appena subito, prima di guardarsi attorno e focalizzare il proprio obiettivo: una mastodontica costruzione di pietra scolpita, metallo e calce, che nonostante si stesse visibilmente deteriorando conservava ugualmente la sua suggestiva magnificenza.

La dragonessa era rimasta per qualche momento in contemplazione dell’edificio; prima per placare la sua fame di bellezza e poi, una volta abbandonato l’edonismo, per una motivazione decisamente più pragmatica: trovare il modo di entrare nel tempio senza essere notata.

-Dovrai agire di notte, con discrezione e cautela: è assolutamente necessario che nessuno ti veda…-

Le aveva raccomandato Malefor, una volta che lei aveva stretto il patto con lui.

-… se vuoi ritornare indietro sana e salva, non devono accorgersi della tua presenza-

Aveva poi aggiunto il drago antico con una punta di malignità nel tono di voce, scoccandole uno sguardo talmente enigmatico da lasciare spazio alle più differenti interpretazioni.

Era buio là fuori: una notte perfetta per mettere in atto losche macchinazioni come quella che la guerriera viola si stava accingendo a compiere senza che alcun senso di colpa o gioia le gravasse sulla coscienza.

D’altronde era capitata in quello strano pianeta solo per un tiro mancino del caso.

“Che questi draghi combattano pure le loro scaramucce: la cosa non mi tange, tanto tra breve sarò fuori di qua…”

Considerò lei, eseguendo una brusca cabrata per sfuggire ad un ingannevole mulinello d’aria.

“… mi farò “teletrasportare” e qui una smorfia di tra il disgusto e lo scetticismo le distorse le labbra “in una stazione di lancio interplanetare, là troverò un’altra nave e potrò così continuare il mio viaggio fino...”

-Pharnasius, credo di aver trovato un possibile accesso-

Era stata Belta a parlarle, il sistema operativo della sua nave ormai distrutta, il quale cervello era stato trasferito in un dispositivo compatto che la guerriera teneva ancorato ai foderi delle pistole.

La manta olografica si discostò da lei per gettarsi in picchiata verso il terreno sottostante e librarsi nei pressi di una grata di sbarre di ferro che consentiva l’accesso delle acque di un piccolo ruscello all’interno delle mura.

Pharnasius atterrò a ridosso della barriera, si guardò fugacemente attorno ed estrasse una delle sue lame laser dal suo bracciale destro.

Un sol colpo ben assestato bastò a mandare in frantumi quella ridicola barriera.

“Dovrebbe sicuramente trattarsi del sistema di approvvigionamento idrico del tempio” considerò la guerriera, intrufolandosi nel tunnel e divaricando gli arti in maniera tale da poter procedere per contrasto lungo le pareti, senza la noia di dover sguazzare nell’acqua.

Nonostante il liquido che le scorreva sotto il ventre fosse fresco e pulito, anni ed anni di umidità e scarsa circolazione d’aria avevano creato una cappa quasi soffocante di sentori muschiati che subito fecero bruciare la gola a Pharnasius, la quale non osò pensare a cosa avrebbe dovuto sopportare se si fosse intrufolata in un fetido canale di scolo.

Non fece molta strada che subito il condotto si diramò in diverse direzioni.

La dragonessa si lasciò sfuggire una imprecazioni a denti stretti, sentendo i propri arti indebolire sempre di più la presa sulle scivolose pietre; quale sarebbe stata la strada giusta?

Quel dubbio l’agitò a tal punto che poteva avvertire delle gocce di sudore rigarle il dorso: stava per imboccare un labirinto, ed ora? Cosa avrebbe mai fatto?

La risposta fu semplice: calmarsi.

Esalando un sospiro pieno di tensione, Pharnasius realizzò che stava stupidamente cadendo nel panico per una questione di così poca rilevanza e questo era un errore assai grave per un guerriero come lei.

Così imboccò con decisione il tunnel che si apriva proprio di fronte a lei, considerando che, trattandosi del ruscello che alimentava le scorte d’acqua del tempio, qualsiasi direzione avesse scelto l’avrebbe sicuramente condotta da qualche cisterna comunicante con una sala dell’edificio.

Brancolò a lungo nella semioscurità rischiarata dalla tenue luce delle sue lame fino a  che un brusco allargarsi delle pareti la colse impreparata e lei, priva ormai di un qualche punto d’appoggio, si ritrovò di punto in bianco a piombare a peso morto nelle acque sottostanti.

 L’impatto con l’acqua gelida le tolse il fiato, ma fortuna volle che il livello delle acquee fosse poco profondo, tanto che la guerriera potette poggiare comodamente le zampe sul fondo, evitando così di annaspare ed aggiungere altro rumore al tonfo che aveva provocato con la caduta.

Purtroppo, o per fortuna, un sistema di sicurezza incorporato ai suoi bracciali, fece disattivare i laser per evitare il possibile verificarsi di disastrosi cortocircuiti, lasciando però Pharnasius nell’oscurità più totale.

Ripresasi dalla momentanea sorpresa, Pharnasius si immobilizzò, cercando di affinare il proprio udito per assicurarsi che nessuno si fosse accorto dei suoi movimenti nei sotterranei.

Rassicurata da nessun rumore di passi affrettati o di alcun segnale d’allarme, la dragonessa rivolse l’attenzione all’ambiente che la circondava.

Nonostante le tenebre l’accerchiassero, dopo i primi istanti di totale cecità, i suoi occhi riuscirono a fornirle le immagini di ciò che la circondava, per quanto queste risultassero completamente in bianco e nero e leggermente sfocate in lontananza.

Si trovava in una cisterna: un ampio camerone circolare in mattoni, le cui pareti si alzavano fino a formare una sorta di cupola.

Dalla parte opposta da dove si trovava la dragonessa, il canale continuava la sua corsa chissà dove, tuffandosi nuovamente nel buio, impenetrabile persino per i suoi sensibili occhi.

Generazioni e generazioni vissute nelle profondità della terra, avevano fatto sviluppare un’efficiente vista notturna tra la gente di Pharnasius.

Le pupille della dragonessa potevano infatti espandersi a dismisura, fino ad occupare l’intero bulbo oculare visibile, trasformando i suoi occhi in un inquietante paio di perle nere traslucide.

Affinché questa capacità potesse funzionare, abbisognava però che nell’ambiente vi fosse dispersa una minima quantità di radiazione luminosa, per quanto debole.

Pharnasius si guardò attorno alla ricerca dell’esiguo spiraglio di luce, in quanto luce significava uscita.

Alzando lo sguardo, la guerriera trovò subito quel che cercava.

Si trattava di un ridicolo filo, sottile come una ragnatela, che disegnava una circonferenza piuttosto ampia.

La sensibilità acuta delle sue pupille, le mostrarono la possibile via come un sole nero i cui raggi fuggissero dal disco centrale disegnando un tessuto sfilacciato.

“Sembra quasi si sia verificata un’eclissi totale”

Considerò distrattamente Pharnasius, contemplando il soffitto della volta.

Ricordava la prima ed unica volta che aveva assistito ad una vera e propria eclissi totale.

Quel giorno, Loki aveva insistito affinché abbandonassero i sotterranei per recarsi nel deserto.

I radar non segnalavano alcuna presenza delle temibili macchine comandate da Oscar e Pharnasius non riusciva a spiegarsi la fretta che animava l’emaciato drago d’oro.

Una volta fuori nel deserto ebbe la propria risposta.

Impercettibilmente, la torrida temperatura che infuocava ogni cosa aveva iniziato a vacillare, cedendo il passo ad un gelo intenso e pungente che si era steso come una coperta sul mondo circostante.

Allarmata, la guerriera si era guardata attorno con frenesia, incapace di immaginare quale terribile nemico potesse mai divorare la luce ed il calore in quella maniera.

Gentilmente, Loki prese il suo muso tra le zampe, puntandolo verso lo spettacolare anello di luce che si era dipinto sulla nera calotta di un cielo di ossidiana.

Mai Pharnasius avrebbe dimenticato la sua meraviglia, e mentre se ne stava con le zampe a mollo, sentendo il gelo dell’acqua risalirle fino alla cresta dorsale, la dragonessa rivide l’espressione gioiosa e soddisfatta di Loki, mentre la stringeva a sé per proteggerla da quel freddo innaturale.

Subito però, quella piega gentile sul muso dorato di lui si distorse, e Pharnasius si ritrovò ad osservare un paio di occhi estranei che cercavano in ogni maniera di fuggire intimoriti il suo sguardo.

Questo ultimo ricordo le fece male, così come una lama rigirata nella ferita appena inferta.

Un cupo rombo le salì alla gola mentre con un balzo si proiettò in aria, battendo un paio di volte le ali per raggiungere il cerchio di luce.

Il volto di Loki scomparve e nella sua mente rimase soltanto la preoccupazione di non scivolate, mentre tendeva ogni fibra del suo possente corpo per tenersi a ridosso della grata, aggrappandosi agli interstizi tra un mattone all’altro con gli artigli delle zampe e della sommità delle sue particolari ali.

Quando finalmente ebbe trovato una certa stabilità, fece saettare la coda verso il disco metallico che occludeva l’uscita, spostandolo a poco a poco dalla propria sede, quanto era pesante.

Appena possibile, Pharnasius effettuò un piccolo balzo, afferrando con le zampe anteriori i bordi dell’apertura per poi issarsi su a forza di braccia.

Le sue pupille ebbero una dolosa contrazione, mentre in tutta fretta cercavano di ridurre il proprio diametro per adattarsi al tenue bagliore ambrato che accarezzava tutto ciò che si trovava nella sala.

La luminescenza proveniva da enormi cristalli incastonati alla parete.

Pharansius non aveva la benché minima idea di come ciò fosse possibile, inizialmente pensò ad una sorta di luce chimica od ad una qualche coltura di batteri, ma subito scartò queste ipotesi, considerando la ridicola tecnologia dei draghi di quel pianeta.

La parola magia le fluttuò nella mente, facendole rizzare le scaglie violacee dal disagio.

Subito cessò le inopportune divagazioni per concentrarsi sul motivo della sua presenza nel Tempio.

Le mani artigliate sfiorarono una tasca della cintura dove aveva riposto quattro grosse gemme, limpide e pure come il diamante, che costituivano il fulcro della missione.

Malefor le aveva fatte comparire sul palmo della propria zampa, per farle poi fluttuare sopra quegli artigli spropositati, così come un prestigiatore avrebbe potuto far spuntare dal nulla delle carte da gioco.

-Il tempio è la dimora dei quattro Guardiano degli Elementi-

Aveva poi iniziato a spiegarle, contemplando quasi ipnotizzato lo scintillante sfavillio dei cristalli che gli orbitavano attorno alla zampa come i cavallini di una giostra.

-L’energia propria del fuoco, del fulmine, del ghiaccio e della terra scorre nelle vene di quei vecchi pazzi…-

E qui un sorriso sarcastico svelò parzialmente una letale chiostra di denti aguzzi

-… ho bisogno di quell’energia! Certamente potrei fornirla io stesso in quanto, come mi auguro tu già sappia, noi draghi viola siamo l’unica varietà che racchiude in sé tutte le energia fondamentali del cosmo; ma avrei assolutamente bisogno di tutte le mie forze per portare a termine il compito e non vorrei sprecarle per qualche cosa che posso comodamente carpire altrove … tieni-

 Il girotondo di gemme si era così rotto per tuffarsi nella sua direzione.

Pharnasius provava una certa repulsione per quegli strani oggetti, ma l’istinto fece muovere la sua zampa che con una fulminea mossa afferrò i gioielli, intercettando il loro volo.

Il freddo di quelle stupende superfici contro le proprie scaglie le metteva a disagio, così si affrettò a deporre i manufatti in una delle tante tasche che costellavano la cintura delle pistole.

-Trattali bene: sono cristalli purissimi, gli unici capaci di assorbire l’energia e di trasferirla altrove senza alterarla o disperderla-

-Tutto quello che dovrai fare è di deporre un cristallo sopra la fronte di ciascun guardiano e sgattaiolare fuori dal Tempio-

La guerriera aggrottò le sopracciglia dubbiosa: che razza di compito era mai quello, non aveva senso! Ma esaminando la questione con un pizzico di pazienza in più, Pharnasius considerò che nulla aveva poi tanta logica da un bel po’ di tempo.

Era così assorta nelle proprie considerazioni che sobbalzò leggermente dalla sorpresa quando si era ritrovata lo sguardo di Malefor a poca distanza dal suo.

L’antico drago stette qualche attimo immobile fissandola in muso con fare pensoso ed insistente, quasi avrebbe voluto fotografarla con i raggi x.

Pharnasius sostenne quel muto esame senza battere ciglio, approfittando dell’occasione per considerare ulteriormente la figura che torreggiava su di lei.

Confermò a se stessa che Malefor era il drago dall’aspetto più inquietante che avesse mai visto; ma, nonostante tutto, dovette ammettere che avesse un certo fascino e che, a suo modo, poteva considerarsi persino bello.

-Cerca di stare allerta e di non farti acciuffare, non che questo mi importi … ma trovo sempre un certo fastidio nel non rispettare i patti-

Detto questo, le poggiò la zampa sulla spalla mentre il mondo iniziò a trasformarsi in una oscura trottola impazzita.

Quando ogni cosa tornò finalmente al suo posto, la volta rocciosa era stata sostituita da innumerevoli cappelli di fungo gigante.

 

La prima parte della missione era stata portata a termine con successo: Pharnasius era riuscita ad entrare furtivamente del tempio, ora non rimaneva che trovare quei maledetti guardiani.

Belta la raggiunse, spuntando dal buco del pavimento e dichiarando con la sua vocetta metallica

-Potrei attivare i miei sensori temici, così potremo rintracciare i guardiani tramite il calore dei loro corpi  e -

-Schhhhhhhhhhh!-

La interruppe bruscamente la dragonessa viola, portandosi un dito alle labbra.

-Tieni bassa la tua vocina artificiale e dai un’occhiata attorno… umph! Sensori termici.-

Dopo aver bisbigliato la sua risposta in tono sgarbato, la guerriera fece un eloquente gesto volto ad invitare la manta olografica a rivolgere l’attenzione al pavimento.

Erano state fortunate.

Quattro vecchi draghi se ne stavano sdraiati sui mosaici, assopiti in un profondo e tranquillo sonno, inconsapevolmente serviti su un piatto d’argento.

-Ok, Belta… diamoci da fare e facciamola finita-

Con passo felpato, si avvicinò al primo anziano disponibile.

Si trattava di un robusto drago dalle scaglie verde bosco, così massiccio da sembrare una statua scolpita nella roccia che era stata poi ricoperta dai muschi con il passare degli anni.

Con delicatezza, la dragonessa viola poggiò il diamante sulla fronte di lui e subito balzò indietro trattenendo a stento una esclamazione di spavento.

Il cristallo, grande come una mela, aveva iniziato a colorarsi di verde.

Pharnasius non aveva mai visto un verde di quella tonalità, esso non era semplicemente colore ma qualche cosa di vivo, che serpeggiava danzando all’interno del cristallo, come intricate volute d’incenso, per poi fluire all’esterno, convogliandosi in un'unica colonna di energia elementare che si innalzava verso l’alto per pochi metri, prima di scomparire.

Man mano che il cristallo trasferiva l’energia rubata, questi sublimava, riducendo sempre di più le proprie dimensioni per poi svanire.

Lo stesso meraviglioso fenomeno si verificò per tutti gli altri gioielli, che si colorarono diversamente a seconda dell’energia con cui avevano a che fare.

Il cristallo divenne rosso fuoco presso un drago dal muso simile a quello di un vecchio gufo, si tinse dell’azzurro dei ghiacciai presso un esile guardiano che, persino mentre dormiva, conservava una fastidiosa espressione altezzosa.

Infine divenne oro incandescente presso il drago dorato, che durante il sonno aveva l’abitudine di girarsi e rigirarsi in continuazione, borbottando frasi sconnesse e rendendo particolarmente difficile il compito della guerriera.

Dopo svariati tentativi andati a vuoto, la dragonessa viola ce la fece, ma sfortuna volle che il guardiano dell’elettricità le cingesse una zampa anteriore, stringendosela al petto come un cucciolo avrebbe potuto fare con il proprio animaletto di pezza preferito.

Pharnasius si immobilizzò dall’orrore, sentendo il sudore freddo che le bagnava la fronte ed il dorso.

Questa complicazione proprio non ci voleva, ed ora cosa mai avrebbe potuto fare?

La risposta fu aspettare, forse nel sonno quel dannato vecchio l’avrebbe lasciata andare… ma il tempo passava ed il guardiano non accennava minimamente ad allentare la presa, così Pharnasius cominciò pian piano a sfilare la zampa dalle grinfie di lui.

Fu un lavoro stremante, soprattutto per la grande concentrazione che richiese, ma infine ce la fece con successo.

Con un sorrisetto soddisfatto tutto zanne, la dragonessa si era girata sui tacchi apprestandosi a raggiungere il foro che l’avrebbe ricondotta all’acquedotto quando sentì qualche cosa che la tratteneva.

Una colorita imprecazione le sfuggì quando si accorse che il guardiano l’aveva nuovamente afferrata nel sonno, questa volta però per la coda.

-Non mollare la presa o la balena non potrà mai entrare nella cruna dell’ago…-

Stava borbottando il drago dorato tra un sospiro e l’altro.

-Molla la mia coda o non so dove te la ficco la balena…-

Rispose l’esasperata Pharnasius, ringhiando sommessamente.

Tentò nuovamente di liberarsi, ma la frustrazione ed il fastidio le rese impossibile ricorrere alle precedenti maniere vellutate, tanto che ora lei stava letteralmente tirando la propria coda con forti strattoni, ma l’altro non accennava a mollare né, fortunatamente, a svegliarsi.

Di punto in bianco, il guardiano sciolse la stretta di ferro, cogliendo la guerriera di sorpresa e mandandola rovinosamente a capitombolare contro il coperchio metallico del foro.

Ci fu un gran baccano.

Mezza stordita dalla capocciata che aveva dato contro il disco in ghisa, Pharnasius se ne restò immobile, stesa sul mosaico, convinta che il rumore avesse destato i guardiani e che ora stessero per balzarle addosso per acciuffarla.

Ma ciò non accadde.

La dragonessa osò una speranzosa sbirciata ed un’ondata di sollievo la travolse quando si accorse che nessuno si era accorto di nulla.

Sarebbe stato facile uscire da lì, un balzo nel foro e via… ma il destino ci mise lo zampino.

 

Sparx non riusciva a prender sonno.

Da ore e ore era alla ricerca di una posizione comoda, giacendo nell’incavo creato dalla zampa flessa del suo fratellone … per quanto possa sembrare bizzarro il fatto che una libellula abbia un cucciolo di drago viola come fratello.

Si stese sul fianco, poi si mise supino o ancora semi seduto, appoggiando la schiena alata al collo di Spyro per poi abbandonare quei futili tentativi e rivolgere l’attenzione al vero motivo della sua insonnia, per l’ennesima volta.

Cinerea riposava quasi addossata alla parete opposta della sala, dando loro le spalle.

Sparx la osservò con cupo sospetto: la dragonessa nera sembrava dormire profondamente ma la libellula sospettava che stesse fingendo, elaborando chissà quale meschino piano da mettere in atto una volta che lui avesse cessato di sorvegliarla con insistenza.

Erano notti che andava avanti questa storia, con il risultato che Sparx quasi stentava a mantenersi in volo durante il giorno, a causa del sonno perduto fissando un indistinto ammasso scuro di scaglie che non accennava a muoversi.

-Spyro, dovrebbe starsene dietro le sbarre di una gabbia o incatenata al muro … è una follia lasciarla libera di muoversi a suo piacimento per il tempio, chissà cosa potrebbe combinare, cosa potrebbe farci!-

E qui ebbe un sobbalzo, come se potesse avvertire gli affilati artigli di lei che lo dilaniavano.

-Ricorda solo questo fratellone: ha tentato di ucciderci! Cosa le vieterebbe di provarci un’altra volta? Spyro, Spyro… mi stai ascoltando?-

Il cucciolo di drago viola sollevò appena il mento dalle zampe anteriori, guardando senza vederla quella sfera luminosa che gli ronzava avanti alle iridi offuscate dalle nebbie del sogno che non accennavano a diradarsi.

Sparx guardò con una pungente irritazione l’amico che girava la testa dall’altra parte, bofonchiando suoni inarticolati prima di scivolare nuovamente nel sonno più profondo.

Così strinse i pugni con fare indignato: la mancanza di sonno lo aveva reso particolarmente suscettibile.

-Ok, fai come vuoi, vado a dormire fuori io … credi mi possa importare il fatto che un idiota come te si faccia squartare così facilmente? Benissimo, come vuoi tu allora … e non dire che non ti avevo avvertito!-

Di tutta risposta, il drago si limitò a grugnire, coprendosi il capo cornuto con le zampe; mentre la libellula ronzava tutta impettita fuori dalla stanza.

Aveva assolutamente bisogno di calmarsi ed una salutare boccata d’aria, presa dal balcone affacciato sulla foresta di funghi, non avrebbe fatto altro che giovargli.

Aveva trascorso tutta la sua vita nella tranquillità della palude in cui era nato, sentendosi circondato e protetto da quella lussureggiante ed impenetrabile vegetazione costellata di acquitrini, ed ora si era ritrovato, di punto in bianco, ad essere travolto da un gioco dove le sorti del mondo venivano contese, e questo lo stava schiacciando.

Per accedere al balcone, Sparx dovette attraversare la sala dove i guardiani erano soliti riposare.

Udì un clangore metallico, unito ad un pesante tonfo ed ad un semi soffocato gemito di dolore, che lo indusse ad affrettarsi per verificare cosa stesse succedendo.

Sarà forse perché solitamente si tende a concentrare la propria attenzione su ciò che si avvicini il più possibile alle nostre proporzioni, o semplicemente il fatto che ore di insonnia avevano annebbiato la sua mente acuendo però la fame, o per altri motivazioni ancora; tutto sta che la prima ed unica anomalia che Sparx notò non era la dragonessa viola che stava rimettendosi sulle zampe, ma un esserino che fluttuava lì vicino, simile ad una farfalla.

Il suo stomaco borbottò di desiderio, mentre lui si gettava su quella appetitosa farfalla lapislazzuli.

Le sue mani ghermirono l’aria, attraversando il corpo della preda come se fosse fatto di aria.

La cosa lo pietrificò dall’orrore, ed il panico in lui crebbe quando quell’essere etereo si voltò, fissandolo direttamente negli occhi con le sue pupille luminose, prima di dissolversi nel nulla e scomparire.

Sparx cacciò un urlo spropositato per le sue esigue dimensioni, mentre si precipitava da dove era venuto blaterando riguardo ad uno spettro di farfalla che era giunto per tormentarlo.

A quelle acute urla, che trapanarono dolorosamente i timpani di Pharnasius, i guardiani si destarono di colpo.

Lo stupore da parte di entrambe le fazioni sembrò alitare sulla stanza, congelando la scena: gli attori di quella tragico-comica commedia restarono infatti immobili, fissandosi per qualche secondo prima che il tempo riprendesse a scorrere, quasi accelerando il suo corso per recuperare.

La guerriera viola scattò come un fulmine verso l’apertura nel pavimento, ma il massiccio drago verde si mosse assai più velocemente di lei, sbarrandole il passaggio con la sua ragguardevole mole e gettandosi al contempo in avanti per ghermirla.

Furono i riflessi pronti a salvarla, facendola buttare a terra e rotolare di lato con consumata abilità.

Immediatamente, si ritrovò a dover far fronte agli attacchi degli altri guardiani che, per quanto fossero avanti con gli anni, si dimostrarono degli avversari valenti ed abili, la quale rapidità di movimenti non le diede modo di ricorrere alle armi di cui era equipaggiata.

Non trovando altra alternativa, Pharnasius spiccò un balzo verso l’alto, utilizzando le ali come perno per rigirarsi a mezz’aria ed atterrare con leggerezza alla spalle dei suoi avversari.

-Presto! Da questa parte!-

Belta le si era materializzata al fianco, avviandosi verso la direzione da cui era giunta la libellula responsabile di quel disastro.

Immediatamente, Pharnasius si affrettò verso l’uscita quando due cuccioli di drago comparvero nel vano della porta.

Nei loro musetti, ancora lontane dallo sbocciare in quello di un adulto, era dipinta la medesima espressione di stupore dei guardiani, unita però ad una cupa determinazione che divertì particolarmente la guerriera.

Quei due la stavano aspettando, con gli acerbi corpicini pronti all’azione, come se credessero di essere in grado di fermarla.

Pharnasius non accennò minimamente a rallentare la propria corsa: non era il momento di giocare e se qui cuccioli non si fossero spostati di loro spontanea volontà, li avrebbe spintonati di lato senza indugio … troppo tardi si rese conto di aver nettamente sottovalutato quei due avversari in miniatura.

Un ruggente torrente infuocato per poco non la investì.

La guerriera scartò di lato appena in tempo e rimase terrorizzata a fissare quell’inferno che scaturiva direttamente dalle fauci spalancate del cucciolo che aveva il suo stesso colore delle scaglie.

Ne aveva viste di stranezze, ma questa superava nettamente ogni più perversa immaginazione: draghi che emettevano fuoco dalla bocca!

Era rimasta talmente interdetta che non si accorse di una massa ombrosa che stava caricando verso di lei, piombandole addosso e trasformando ogni cosa attorno a lei in una realtà fumosa colma delle dolorose sferzate di artigli e coda che le arrivavano da ogni dove.

Colta da un bruciante senso di impotenza, Pharnasius tentò di sottrarsi all’ombra che la martoriava, solo per ritrovarsi avvinghiata da innumerevoli liane che le si erano avvolte attorno, letteralmente spuntando dal nulla!

Il serio pericolo in cui ora si trovava, fece riacquistare alla guerriera il controllo delle proprie azioni.

Attivò le lame dei suoi bracciali e manovrando con esse, nel limite del possibile, cominciò a recidere i legacci che la imprigionavano.

Non terminò mai la sua opera in quanto il cucciolo viola balzò su di lei, rigirandosi agilmente in aria e sferrandole una micidiale frustata di coda in pieno muso.

Innumerevoli stelle le esplosero nel campo visivo, mentre cadeva a peso morto all’indietro, rimanendo poi stordita a fissare il soffitto, con la vista che andava annebbiandosi sempre di più.

Un paio di zampe adulte l’afferrarono rudemente, costringendola ad assumere una posizione seduta, con la schiena addossata alla fredda parete.

Per qualche istante il mondo prese a vorticare innanzi a lei, così velocemente che Pharnasius ebbe l’ardente desiderio di rigurgitare.

Poi la testa cessò di pulsarle così ferocemente e lei potette finalmente mettere a fuoco gli sguardi seriosi che la circondavano: era nei guai.

 

Ignitus era confuso e sbigottito, mentre osservava con angoscia la dragonessa intrappolata dalle liane, che spostava freneticamente lo sguardo su ognuno di loro, palesando una disperata ricerca di un’idea che però non voleva prender forma nella mente in tumulto, confusa come lo erano quelle dei suoi aguzzini.

I guardiani non riuscivano a credere ai propri occhi, mentre fissavano con orrore il colore delle scaglie dell’intrusa: viola.

La cosa non aveva senso, quella leggendaria e rarissima razza di drago compariva una volta ogni dieci generazioni, influenzando il mondo sia per il bene che per il male, e mai si sarebbe sospettata l’esistenza di un altro esemplare di drago viola oltre a Spyro e Malefor.

Come se la cosa non bastasse, la struttura fisica di lei aveva qualcosa di inusuale, per non parlare delle ali e degli strani aggeggi che erano ancorati alla sua persona.

Sembrava quasi che la prigioniera provenisse da un altro mondo.

-Chi sei? E cosa ci fai qui?-

Dovettero ripetere la domanda una seconda volta prima che una scintilla di vitalità tornasse nei nerissimi occhi della dragonessa, lavando via lo smarrimento e la paura.

Lei rivolse loro uno sguardo colmo di dignità e fierezza.

-          Il mio nome è Pharnasius e sono venuta per conto di Malefor-

Pharnasius avvertì con sgomento la propria bocca pronunciare le ultime parole della risposta contro la sua volontà.

Avrebbe voluto tacere il movente della sua incursione, ma per qualche spaventoso motivo non riuscì a frenare la lingua, per quanto cercasse di opporsi all’inspiegabile forza che la comandava come una marionetta.

Ignitus sorrise soddisfatto, inarcando il collo e notando con piacere che il suo semplice incantesimo della verità stava facendo effetto.

Ma il piccolo momento di esultanza venne prontamente celato sul nascere quando in nome di Malefor venne pronunciato.

-Malefor ha una nuova pedina da giocare, un nuovo pezzo sulla sua subdola scacchiera intrisa di piani oscuri e nefasti … a quanto pare ha trovato qualcun altro che obbedisca ai suoi ordini al posto di Cinerea (ora che non è più sotto la sua influenza, intendo dire)… ma la cosa più allarmante, pericolosa, disorientante ed incredibile è che abbia trovato un altro leggendario drago viola per questo…. Ora la questione è scottante, pericolosa, precaria…-

-Non credo che questo ci abbia portato troppe difficoltà…-

Tagliò Spyro, troncando il logorroico torrente di eloquenza che sempre si riversava fuori ogni volta che Volter, il guardiano dell’elettricità, proferiva parola.

A quanto pare quel dannatissimo drago d’oro era solito parlare molto anche quando non era immerso dal sonno, considerò Pharanasius tra sé, con una bruciante punta d’acido.

-… come poteri non è proprio un gran che, considerando la facilità con cui l’abbiamo battuta-

Offesa, la dragonessa rivolse un piccolo ringhio di avvertimento al cucciolo.

Di contro, Spyro le rivolse uno sguardo che esprimeva una ferrea sicurezza nelle capacità personali, frutto di innumerevoli battaglie.

Pharnasius si prese del tempo per scrutare i due cuccioli e dovette ammettere che si trovava di fronte a dei guerrieri navigati, nonostante la loro giovane età.

Guardò i loro corpi precocemente privi delle mollezze della fanciullezza, mentre rivedeva il fuoco fuoriuscire da quella boccuccia piegata in un sorriso di sfida … ed ebbe un fremito di repulsione: in che razza di spaventoso mondo era capitata?

-Come sei finita al suo servizio? E qual’era esattamente la tua missione nel Tempio?-

Aveva aggiunto Ciryl, il guardiano del ghiaccio, esibendo una voce acuta da primadonna.

Sospinta dall’incantesimo come un veliero dal vento, la guerriera si ritrovò a narrare la propria vicenda, incapace di trattenere le parole e sentendole con sgomento sfuggirle tra gli artigli serrati della propria volontà.

Parlò dell’esilio, della sua fuga dai pirati, di come fosse precipitata dentro la sua navicella in fiamme e del proprio incontro con Malefor.

-Non ho mai sentito una storia più bizzarra di questa…-

Proferì cinerea, non curando di nascondere il piacere che le dava ascoltare quel racconto colmo di assurdità e cose incredibili.

-… certo che ne hai di fantasia!-

-Sicuro che il tuo incantesimo stia funzionando Ignitus?-

Chiese la voce tonante di Terrador, guardiano della terra, con un timbro “roccioso” che rendeva onore alla sua carica.

-Sì, l’incantesimo è attivo, non ci sono dubbi… forse tutto questo è realmente accaduto.-

La cosa avrebbe spiegato il bizzarro aspetto di Pharasius, ma l’idea che vi fossero altre civiltà di draghi oltre alla loro, sparse chissà dove, era un qualche cosa di troppo grande da afferrare, meraviglioso e disarmante allo stesso tempo.

Quando poi la dragonessa narrò dell’accordo pattuito con Malefor, e di come avesse appena barattato le loro energie elementari con la possibilità di fuggire dal pianeta, ogni immagine del mondo tecnologico dipinto da Pharansius svanì, lasciando il posto ad una dolorosa consapevolezza.

Il destino del mondo stava precipitando!

-Infine Malefor è riuscito ad avere le nostre energie elementari… ciò significa che ora è perfettamente in grado di risvegliare il Distruttore…-

-Non posso crederci, se dovesse riuscirci tutto sarà perduto! Dobbiamo assolutamente agire!-

-Forse è già troppo tardi… forse lui sta già eseguendo i riti necessari ad evocare quella bestia …-

Pharanasius poteva avvertire l’odore della loro angoscia e paura, mentre i guardiani confabulavano tra di loro, in preda ad un palese tormento.

Cosa mai stava succedendo?

-Scusate ragazzi…-

Pharnasius si era infine decisa ad intrufolarsi nel colloquio, esigendo spiegazioni.

-… sareste così gentile di spiegarmi cosa cavolo sta succedendo e perché vi state improvvisamente agitando come polli impazziti? Cos’è questo dannato Distruttore che temete tanto?-

-Come, non lo sai? Tu hai distrutto anni ed anni di lotta e non sai minimamente a cosa sta portando il tuo stupido patto?!-

Le urlò praticamente contro Ciryl con gli occhi lampeggianti di furia assassina.

Pharnasius resistette imperturbabile alla sua rabbia, così come uno scoglio nel mezzo della mareggiata, scuotendo con calma il capo in senso di diniego.

Ciryl ringhiò esasperato, palesemente pronto a gettarsi su di lei per dilaniarla, quando Ignitus esalò un sospiro colmo di stanchezza prima di calmarlo, poggiandogli una zampa sulla spalla.

-Se quel che racconti corrisponde a verità, non vedo proprio come tu possa saperlo… la leggenda del Distruttore è antica, vecchia quanto la nostra civiltà… si tratta di una bestia mastodontica, il cui risveglio segnerà la fine del nostro mondo e la distruzione completa di quel che conosciamo.-

Qui fece una pausa, abbassò la testa e puntò i suoi saggi occhi da gufo nelle polle d’inchiostro di lei, quando parlò di nuovo, nella sua voce si potevano avvertire tutti gli anni che gravavano sulle sue vecchie ali.

-Malefor sta tentando in tutte le maniere di scatenare la distruzione, servendosi di questa antica creatura che dorme nelle viscere della terra… se ci riuscirà, ogni cosa diverrà tenebra e freddo.-

Occorse qualche secondo prima che la guerriera potesse afferrare pienamente la gravità di quelle parole.

Il suo corpo iniziò a tremare mentre rivedeva tutta la verde esplosione di vita della Valle di Avalar tramutarsi nello sterile deserto che dominava il suo pianeta d’origine.

Con orrore realizzò che Malefor stesse tentando in tutti i modi di perseguire i medesimi piani di distruzione di Oscar.

Ora quel paradiso aveva accelerato il passo verso la propria fine ed il pensiero che lei fosse la causa di tutto ciò le lacerava l’anima in minuscoli brandelli sanguinanti.

Quello non era il suo mondo, non era la sua casa, ma qualche cosa dentro di lei stava urlando dalla disperazione: doveva porre rimedio ai propri errori.

-Liberatemi!-

Urlò con rabbia, iniziando a strattonare le liane.

-Liberatemi! Forse posso avere qualche possibilità di fermarlo.-

-Come potremmo mai fidarci di te!-

Le sputò Ciryl sul muso.

-Hai già combinato abbastanza guai.-

Pharnasius era furiosa, arrabbiata per la cecità e l’ottusità dei guardiani.

Iniziò a divincolarsi con ferocia, strattonando le liane resistenti come cavi d’acciaio.

-Lascia perdere, è inutile. Stai sprecando solo energia-

Con un ruggito di rabbia, Pharnasius attivò le lame laser dei bracciali, premendole furiosamente contro le corde, mentre la preoccupazione e l’urgenza di agire le davano la forza necessaria a recidere i sui legami in un sol colpo.

Subito Ignitus le si parò davanti, tentando di trattenerla; ma la guerriera lo colse in contropiede, sfoderando un colpo che mai sarebbe stato concepibile per lo stile di combattimento della sua civiltà.

Il guardiano la vide sgomento alzarsi sui posteriori e correre verso di lui con un equilibrio impossibile per un drago; poi Pharnasius saltò e nel pieno del balzo gli afferrò la testa, mandandola a sbattere contro il ginocchio che stava alzando in contemporanea.

Si sentì il rumore nauseabondo di ossa e denti fracassati, mentre Ignitus cadeva a terra incosciente con il muso tramutato in una maschera sanguinolenta, e la dragonessa viola svaniva oltre il buco nel pavimento.

 

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Capitolo 9
*** Pharnasius si ribella ***


pharnasius si ribella

Pharnasius si ribella

-Concentrati cucciolo! Cerca di non farti distrarre e ascolta il tuo corpo, afferra l’energia che fluisce nelle tue vene e lanciala, in questa maniera…-

Il giovane drago osservò quasi ipnotizzato il corpo del guardiano risplendere come una stella, mentre le arcane forze che stava richiamando lo sollevavano da terra.

Il ragazzo non mosse un muscolo, né osò batter ciglio, quanto era affascinato da quella manifestazione di potenza… il potere era tutto ciò che bramava e che avrebbe inseguito negli anni a venire.

Poi, quando gli occhi serrati dell’adulto si spalancarono, un’energia immensa esplose nella forma di un’onda elettrica che dal suo corpo fuggì verso l’esterno.

-Vieni pure avanti ragazzo, ora tocca a te-

Lui saltò giù dalla sporgenza di roccia contro la quale l’onda elettrica era andata ad infrangersi, per poi raggiungere il centro dell’arena d’allenamento.

Allievo e maestro si trovavano all’interno di una gigantesca caverna, una mastodontica sacca d’aria che si sviluppava sotto le fondamenta della città pullulante di bianchi palazzi e attività.

La frenesia che riempiva gli ampi viali alberati di Belligera era così intensa che a stento le pareti della caverna riuscivano ad arginarla, facendo giungere i suoni come un brusio ovattato di sottofondo.

“Dannazione! Smettila di ascoltare questo starnazzo e concentrati!”

Mortificato da quel rimprovero così aspro, il cucciolo si affrettò a chiudere gli occhi, isolando la mente dall’ambiente circostante.

Non era stato il guardiano dell’elettricità a parlargli, ma una misteriosa presenza che ricordava bisbigliargli nei pensieri fin dal giorno in cui era uscito dal guscio dell’uovo.

La voce era indefinibile: era sia maschile che femminile allo stesso tempo, come se provenisse da una folla che parlasse all’unisono.

Il giovane drago non aveva mai esternato il suo segreto, nessuno gli aveva mai spiegato cosa significasse, eppure lui conosceva benissimo chi gli stava bisbigliando all’orecchio.

La voce della sua antica stirpe, i ricordi di tutti coloro che lo avevano proceduto, lo colmarono con le loro esperienze, raccontandogli gli errori ed i successi, mostrandogli così come scatenare la tempesta di fulmini che il guardiano si stava inutilmente accingendo ad insegnarli: lui sapeva già come fare … lo aveva già fatto innumerevoli altre volte nei millenni precedenti.

L’intera caverna venne fagocitata da una vivida luce bianca, mentre spropositate energie si stavano raccogliendo in lui.

Il cucciolo temette di esplodere, ma all’ultimo momento la voce diede il suo segnale d’assenso.

L’onda che scaturì dal suo corpo fu devastante.

Fracassò il mosaico sottostante e distrusse le rocce dove il guardiano dell’elettricità si era andato a riparare, trascinando lo sfortunato anziano per svariate decine di metri.

L’allievo aveva superato il maestro.

Quando la sua furia si era ormai dileguata, il cucciolo riusciva malapena a reggersi sulle zampe, la stanchezza gli annebbiava la vista mentre della schiumosa bava gli colava dalle fauci spalancate per respirare.

Tremiti convulsi gli attraversavano la spina dorsale, facendogli fremere il dorso irto di aculei… si sentiva svenire da un momento all’altro, ma la voce gli carezzò la mente, alleviando le sue sofferenze come un balsamo.

“Benfatto”

 

Millenni dopo, quello che era stato un cucciolo smanioso di imparare era ora diventato un potente drago, esperto nella magia e nelle arti arcane, temuto e odiato da tutti quelli della sua razza.

“Bene, bene, bene… hai tutto quello che ti serve, ora scatena il Distruttore… fai compiere il nostro destino.”

Un ghigno colmo di feroce soddisfazione deformò il muso di Malefor mentre i suoi occhi felini brillarono di vittoria, divorando il lucente globo di quarzo che si stava riempiendo con l’ultima energia dei quattro elementi.

A quanto pareva, quella bizzarra dragonessa ce l’aveva fatta.

Che Pharnasius fosse riuscita a tornare indenne dalla missione oppure fosse stata catturata, per lui non c’era alcuna differenza: Malefor stringeva tra le grinfie i poteri dei guardiani del tempio, questa era l’unica cosa che ormai aveva importanza.

L’antico drago spostò lo sguardo dal globo al cielo, mal trattenendo uno sbuffo di impazienza.

Non era ancora il momento di completare la sua vittoria, doveva ancora aspettare che le energie cosmiche si equilibrassero, garantendo così alcuna interferenza negativa durante il rituale di evocazione.

Passarono le ore, che videro il Maestro delle Ombre percorrere impazientemente più volte la circonferenza del cono vulcanico in cui si trovava, mentre i suoi artigli picchiettavano sullo strato di magma solidificato che lo separava dall’incandescente mondo sottostante, dove il Distruttore stava riposando.

Un lieve ronzio nelle orecchie, che subito si era diffuso in tutto il suo antico corpo, gli fece nuovamente alzare gli occhi verso il cielo.

“È giunto il momento, ragazzo”

Malefor raggiunse il foro posto al centro della distesa di roccia basaltica, oltre il quale si sprigionava la luce rossastra del magma sottostante.

Con solennità, il drago viola sollevò le zampe anteriori sopra la testa cornuta, reggendo il globo di quarzo tra gli artigli.

Serrò con forza gli occhi e si concentrò.

Un buio permeato di vita trasudò dalle sue scaglie, braccando e divorando la poca luce all’interno del cono vulcanico, così come avrebbe potuto fare l’inchiostro spruzzato da un’enorme seppia.

Gli unici sprazzi di colore provenivano dal foro del pavimento e dal globo, dentro il quale le energie elementari avevano iniziato a vorticare così velocemente che i loro distinti colori si erano fusi, tramutandosi in bianco.

Malefor si sentì impregnato dal potere come una spugna gettata in acqua, temeva di disintegrarsi da un momento all’altro, ma si obbligò a richiamare a sé altre energie cosmiche fino a quando la voce dei suoi predecessori non gli avesse comandato di gettare il globo nel cratere… ma gli spiriti che affollavano la sua testa aspettarono un momento di troppo.

Un fascio di luce azzurrognola squarciò il velo d’oscurità, volando verso il globo e colpendolo in pieno.

Sia Malefor che gli spiriti guardarono attoniti ed increduli il globo che esplodeva tra le sue grinfie contratte, frantumandosi in una miriade di granelli luccicanti, praticamente inutili.

Il drago viola non ebbe tempo di riprendesi dallo shock, che un tremendo pugno lo raggiunse in pieno muso, facendolo cadere all’indietro come un sacco di patate.

L’impatto con la dura roccia gli svuotò i polmoni dall’aria, rendendo impossibile muoversi per qualche istante.

Quando Malefor potette rimettersi sulle zampe, la tenebra si era ormai dileguata del tutto, mostrandogli come una quinta scenica l’immagine di un altro drago viola, dalle bianche ali d’aquilone spalancate, che ringhiava con evidente ferocia nella sua direzione in senso di sfida.

-Pharnasius!-

Malefor pronunciò il nome di lei con voce resa bruciante da una velenosa furia che stava colorando di rosso il suo campo visivo.

Avrebbe dovuto ucciderla quando ancora era ridotta ad un ammasso di scaglie sanguinanti invece di curarla con la speranza di potersi servire di lei, avrebbe dovuto soggiogarla al suo potere invece di temere di toccarle la mente per paura delle sconvolgenti verità che vi avrebbe trovato, avrebbe dovuto inviare le sue fidate scimmie a rubare i poteri dei guardiani… quanti grossolani errori aveva commesso!

Malefor poteva avvertire la delusione e la dolorosa disapprovazione degli spiriti degli altri draghi viola gravare su di lui come un masso pronto a schiacciarlo.

Pharnasius avrebbe pagato con la vita il suo sconsiderato gesto d’eroismo!

Giurò questo a se stesso ed all’oscurità che serviva, mentre snudava gli artigli e le zanne e si gettava su di lei, pronto a distruggerla.

Pharnasius non avvertiva minimamente la fatica per aver volato al limite delle sue capacità per centinaia di chilometri, guidata da Belta che grazie al suo cervello elettronico era riuscita ad individuare la posizione del vulcano, nonostante si fossero spostati da lì percorrendo le vie della magia.

Sentiva solamente l’adrenalina che attraversava le sue membra con scariche di ghiaccio e fuoco, mentre saliva in lei una rabbia indescrivibile e le fattezze di Malefor assumevano le odiate sembianze di Oscar.

Le identità dei due draghi si fusero e la dragonessa si accinse a combattere ed a distruggere tutto ciò che per lei incarnava il male, contro cui aveva agito una vita.

Il desiderio di uccidere invase le menti di entrambi i combattenti, cancellando il ricordo delle discipline marziali apprese e degradando il loro essere a poco più di animali assetati di sangue.

Entrambi si gettarono l’uno sull’altra, trasformandosi in un agitato groviglio di scaglie viola, artigli e denti, mentre si azzannavano a vicenda, lacerando la carne e tracciando solchi sul corpo del nemico.

Il dolore fece ritornare a Pharnasius un barlume di coscienza.

Rendendosi conto che continuando in questa maniera non avrebbero ottenuto altro che eliminarsi penosamente a vicenda, la dragonessa scostò Malefor cacciandogli le zampe posteriori sotto il ventre per poi assestare un energico spintone che interruppe il feroce assalto.

L’improvvisa mossa sembrò schiarire le idee del Maestro delle Ombre.

Già, Pharnasius era una guerriera assai valente; talmente abile e forte da riuscire a tenergli testa in un corpo a corpo, ma lui aveva qualche cosa che l’altra non possedeva: la magia, e lui decise di fare perno su questo per far pendere a suo favore i piatti della bilancia.

Malefor trasse un profondo respiro e spalancò le fauci, scatenando un torrente di fuoco bluastro costeggiato da coaguli di potere simili a massi.

Pharnasius si scostò di lato, schivando il colpo: era spaventata da quella abilità tipica dei draghi di questo mondo, tuttavia era fermamente decisa a non far mostra della sua debolezza.

Una volta sollevatasi nuovamente sulle zampe, attivò le lame dei bracciali, pronta al contrattacco; ma non fece in tempo a muovere un passo che un sibilo attirò la sua attenzione.

L’orrore per poco non la immobilizzò: i due massi d’energia avevano deviato dal flusso delle fiamme ed ora si stavano scagliando su di lei!

Malefor sogghignò dalla soddisfazione.

Aveva diretto in maniera strategica la sua arma a soffio, guidando la dragonessa verso una piccola depressione tra le pareti del vulcano, intrappolandola.

Tuttavia, ancora una volta Pharnasius lo sorprese con una nuova risorsa.

Incalzata dai macigni, la guerriera corse verso la parete, utilizzando lo slancio per muovere qualche falcata su di essa, mentre la magia andava ad infrangersi dove lei si era trovata qualche momento prima.

Quando la forza di gravità stava ormai iniziando ad avere la meglio sulle sue zampe, Pharnasius si spinse all’infuori, eseguendo una capovolta mentre estraeva le pistole dai foderi ed apriva il fuoco con entrambe.

Colto del tutto alla sprovvista, Malefor ruggì di dolore quando un laser gli aprì un profondo squarcio alla sommità della spalla.

Pharnasius atterrò avanti a lui, ammortizzando il proprio peso sui posteriori e rimanendo in equilibrio su di essi, le pistole ancora puntate su di lui, mentre il respiro accelerato le faceva alzare ed abbassare la cassa toracica.

Ci fu un attimo di tregua, i loro occhi si incontrarono eppure stranamente il loro messaggio non era soltanto odio ma anche sorpresa: una tacita ammissione di ammirazione, priva però di perdono o pietà.

La guerriera ruppe quel contatto, ripose le pistole e sfoderò le lame lucenti dei bracciali per gettarsi contro di lui urlando la sua sfida come un’amazzone.

Lo scontro tra i due fu meno feroce del primo, ma assai più terribile in quanto ognuno sfoderò il meglio delle proprie abilità in quello strano duello dove agilità, magia e tecnologia aliena stavano tirando di scherma, confrontandosi senza un attimo di tregua.

Spazientita da quello stallo interminabile, Pharnasius  si erse sui posteriori, alzando le zampe anteriori mentre congiungeva gli avambracci, formando un gigantesco cuneo con le proprie lame; poi diresse il colpo su Malefor, fornendo la forza necessaria con ogni fibra del suo corpo.

Il drago anziano aveva però un’altra carta da giocare: si acciambellò così su se stesso e richiamò i suoi oscuri poteri.

Le lame si infransero su una barriera magica, dove vortici azzurri si contorcevano incontrollati sulla superficie, come chiazze d’olio sul pelo dell’acqua.

La violenza dell’impatto fu tale che la barriera si infranse, esplodendo come una palla di vetro caduta sul pavimento.

Pharnasiu avvertì una scarica di brucianti punture agli avambracci, mentre il sistema di generazione delle sue lame si disintegrava, incapace di reggere le forze che si erano sprigionate.

I suoi bracciali presero fuoco, costringendola ad abbassare momentaneamente la guardia per liberarsene.

Malefor colse l’occasione al volo e ne approfittò.

Si gettò su di lei con la furia di una tempesta, gli artigli avvolti da un fuoco magico mentre le infieriva sul ventre ed il petto, dove persino le durissime placche che li ricoprivano non erano abbastanza per proteggerli dagli artigli magicamente potenziati.

Udì il suono umidiccio della carne che si lacerava e l’acuto latrato di dolore di lei, mentre cadeva di schiena sulla dura roccia con un tonfo, rimanendo inchiodata al suolo, boccheggiando nel tentativo di attenuare quelle scariche brucianti che le attraversavano il corpo scaglioso dalla coda fino alla punta delle corna.

Lui aprì al massimo le fauci irte di zanne, facendo scattare in avanti il robusto collo per straziarle la gola e porre la parola fine a quella dura lotta; ma Pharnasius era assai più coriacea e imprevedibile di quanto avesse mai supposto.

La vide sollevare le zampe posteriori con un colpo di reni e subito la sua testa venne saldamente afferrata dai piedi di lei.

Poi avvertì il proprio moto rettilineo mutare traiettoria, tramutandosi in un arco, mentre Pharnasius prendeva la sua forza per gettarsi all’indietro, puntando a terra le zampe anteriori per alzarsi in una verticale, prima di saltare all’indietro e sbattere la testa dell’avversario al suolo.

Tutto accadde così velocemente che Malefor non potette far altro che osservare incredulo la superficie basaltica venirgli incontro prima che ogni cosa esplodesse attorno a sé e lui venisse inghiottito dal nulla più totale.

 

Ansimando pesantemente per lo sforzo, il dolore e la perdita di sangue che la stava inevitabilmente indebolendo, la guerriera vincitrice si avvicinò all’inerme corpo del vecchio drago, barcollando malamente sulle quattro zampe.

Lo guardò con freddezza, considerando con calma glaciale la figura scomposta del Maestro delle Ombre, sulla cui fronte stava spuntando un brutto gonfiore nerastro.

Era giunto il momento di porre fine a quella follia… di abbattere Oscar.

Con calma, la guerriera estrasse la pistola dal fodero e la puntò contro il cranio di Malefor, fissando intensamente le palpebre di lui calate sugli occhi privi di alcuna consapevolezza.

Stava quasi per premere il grilletto quando il pensiero che non avrebbe più rivisto quegli inquietanti occhi da felino, incandescenti come il sole, la fece desistere.

Ringhiando di esasperazione contro la sua mancanza di determinazione, Pharnasius strinse con maggior forza l’impugnatura dell’arma.

Osservò nuovamente il muso di lui e le mani le tremarono: era privo di malizia e malvagità… ora che la febbricitante mente di Malefor si era momentaneamente spenta nell’incoscienza, i lineamenti di lui erano pervasi di una serenità che mai aveva visto.

Il suo sguardo indugiò sugli zigomi alti, sulle protuberanze cornee che ne incorniciavano il volto; meravigliandosi di quanto lui fosse affascinante, nonostante il brutto livido che gli copriva la fronte.

Pharnasius stava per premere il grilletto…. Solamente una lieve pressione delle sue dita artigliate e tutto si sarebbe concluso in una esplosione di ossa, sangue e cervella.

Poi realizzò: non era Oscar che giaceva lì a terra ma un altro drago.

Di punto in bianco, l’idea di uccidere le diede la nausea, facendole contorcere le budella.

Emise un profondo sospiro e rinfoderò le pistole.

-Hai un debito con me-

Disse semplicemente alle orecchie sorde del Maestro delle Ombre, prima di balzare in aria e volare verso il cratere del vulcano, svariate centinaia di metri più in alto.

 

 

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Capitolo 10
*** sei fregato, ragazzo ***


sei fregato, ragazzo

Sei fregato, ragazzo

Una nuvoletta di fini polveri vulcaniche si intrufolò nelle narici di Malefor, solleticandogli le mucose e facendolo rinvenire con un violento starnuto che subito riecheggiò da una parete all’altra del cono magmatico.

Lui aprì gli occhi felini, cercando disperatamente di dare un significato alla gelida roccia sulla quale giaceva e che sembrava avesse avidamente prosciugato tutto il calore del suo corpo.

Era semplicemente confuso: non riconosceva il posto in cui si trovava né il perché ora provasse un pesante giramento di testa misto a nausea; un po’ come se si fosse svegliato dopo una sbornia colossale.

Avvertiva un sordo pulsare permeargli la fronte e d’istinto si portò le zampe artigliate al brutto livido tumefatto per sfiorarlo.

Un dolore lancinante gli trapanò il cranio, facendogli di colpo tornare ogni ricordo della notte precedente.

Dapprima Malefor sibilò con ferocia per poi gemere con una nota patetica nella sua cavernosa voce.

-Fottuta stronza…-

Eppure, mentre bisbigliava tali imprecazioni, non potette impedirsi di provare una bruciante ammirazione nei confronti di Pharnasius e, cosa che lo sorprese più di tutte, rispetto.

Ma anche una profonda rabbia, rivolta più a se stesso che a lei.

Si rimise lentamente sulle zampe, muovendo qualche passo per far luce su quei pensieri così nuovi per lui.

Un leggero tintinnio attirò la sua attenzione facendogli abbassare lo sguardo su un frammento di quarzo che gli ridiede una minuscola parte della sua figura riflessa.

Il Maestro delle Ombre si sentiva infranto e diviso proprio come il globo che aveva contenuto l’energie elementari dei guardiani.

Aveva tutti i motivi per odiare mortalmente quella ingrata straniera, eppure non ci riusciva: come poteva disprezzare la prima creatura in assoluto che era stata in grado di sconfiggerlo, restituendogli in qualche maniera un briciolo di normalità che lui aveva sempre inconsciamente desiderato; come poteva considerare meschino ed inferiore un altro esponete della sua rara e gloriosa razza?

Le voci nella sua testa tacevano, ma lui sapeva comunque che stavano assistendo imperterrite alla catena di pensieri che assemblava pescando qua e là nei suoi ricordi.

“Cosa hai intenzione di fare ora?”

-Devo parlare con lei-

Rispose semplicemente Malefor, mentre passava la zampa artigliata sulla fronte, eseguendo un incantesimo di guarigione che gli cancellò via l’ematoma così come avrebbe fatto un panno bagnato sulla lavagna.

Il dolore cessò e lui non potette trattenersi dal tirare un sospiro di sollievo.

“A quale scopo, ragazzo?”

-Risposte…. Ho bisogno di risposte-

Detto questo, si lanciò in aria spingendo con i poderosi muscoli dei posteriori, volando verso il cerchio infuocato che descriveva la cima del vulcano.

Stava nuovamente calando la sera e lui non potette fare a meno di domandarsi quanti tramonti si fossero affacciati nel cratere mentre giaceva sul fondo, imprigionato in una sorta di momentanea morte.

 

Pharnasius si stava categoricamente impedendo di pensare: la ferita che le sfigurava il petto le provocava già abbastanza dolore a cui badare.

Dopo lo scontro con il vecchio imbecille, era tornata sui verdi e soffici declivi della collina che sovrastava la Valle di Avalar e lì si era distesa supina, spaparanzandosi senza alcun ritegno e lasciando che le ore le scivolassero addosso senza che lei facesse un bel niente.

La dragonessa si limitava soltanto ad osservare le nuvole che si contorcevano in cielo, divertendosi come una cucciola nel riconoscere le sagome più svariate.

Un motore, una lampada, un computer da polso, un bollitore…. Nel cielo vorticava un ribattino di oggetti inutili e lontani, danzando secondo la melodia di archi e clavicembali che un paio di cuffie le stava sparando nelle orecchie.

Erano brani vecchi di secoli, appartenuti ad un’epoca che ormai non era più, eppure il tempo non era riuscito a stemperare la loro forza e capacità di parlare al cuore dell’ascoltatore, facendone galoppare il sentimento in alto, laddove correvano quei giganteschi banchi di vapore acqueo.

Il bianco delle nubi si era tramutato in oro fuso quando Pharnasius avvertì il tonfo di quattro zampe che atterravano vicino a lei; tuttavia decise di non badarvi e di continuare a prestare attenzione alla musica.

-Sapevo che ti avrei trovata qui… -

 

La luce morente del sole faceva brillare di rosso le scaglie di lei, mentre lo squarcio sul petto non era altro che una pesante riga di pece.

Malefor non potette impedirsi di provare un indesiderato rimorso a quella vista, mosse qualche passo confuso, palesemente indeciso sul da farsi, prima di sedersi accanto a lei con una scrollata di spalle e poggiarle una zampa artigliata sulla ferita.

Subito tessuti, pelle e scaglie cominciarono a ricostruirsi mentre Pharnasius rimaneva impassibile.

La mente del Maestro delle Ombre era troppo in disordine per accorgersi della totale indifferenza dell’altra, aveva bisogno di porre un freno alla sua confusione, così l’antico drago iniziò a parlarle ma le sue frasi erano più un monologo rivolto verso se stesso che alle chiuse orecchie di una stizzita Pharansius che voleva solo essere lasciata da sola.

-          Cosa diavolo sto facendo? Dovrei lasciarti crepare dissanguata per quello che hai combinato … e invece no, ti sto curando… devo essere completamente impazzito…-

E qui si lasciò sfuggire un pesante sospiro.

-… ma è da un po’ di tempo che non mi riconosco più… prima sapevo esattamente quello che volevo e cosa fare… ma ora… arg! Come posso esprimere a parole ciò che non riesco a capire? Cosa c’è che non va?-

“Forse non ho mai saputo cosa volevo io… ma soltanto cosa volevano loro

Considerò tra sé Malefor, prima di rimanere sbigottito per ciò che aveva pensato e chiudere subito ermeticamente la porta che aveva accidentalmente spalancato.

La ferita di lei si era ora rimarginata e la pelle era nuovamente ricoperta da squame compatte e sane.

-Io sono un drago viola, proprio come te ed in quanto tale la mia esistenza ha come solo scopo la distruzione del mondo… questa è la nostra natura, il nostro ruolo… a quanto pare sono l’unico a capirlo mentre tu e quel dannato cucciolo vi ostinate a far finta di essere quello che in realtà non siete…-

Malefor soffocò in gola il resto delle sue parole quando si accorse che due polle nere d’inchiostro lo stavano osservando con disapprovazione da sotto un paio di sopracciglia aggrottate.

Senza dire nulla, la dragonessa si limitò a girarsi su un fianco, dandogli sgarbatamente le spalle; ma Malefor non si fece scoraggiare da quel silenzioso invito ad andarsene.

-… come fate ad ignorare il nostro impulso a distruggere…-

-Vattene-

Deciso a non mollare, il Maestro delle Ombre si portò dal lato dove la guerriera teneva rivolto lo sguardo stizzito.

-… come puoi continuare a mentire …-

Sbuffando rumorosamente, Pharnasius si girò dall’altro lato

Malefor si spostò nuovamente, fermamente deciso a non interrompere la sua ramanzina così che la dragonessa si rivide costretta a riassumere la posizione supina di partenza.

Avvertì nuovamente l’altro drago spostarsi e sedersi dietro il suo capo.

Poi sentì le sue cuffie venire afferrate e divaricate.

Infuriata, Pharnasius riafferrò le due appendici olografiche solide per serrarle con forza sui propri canali uditivi; ma nel farlo si ritrovò le zampe di lui sotto le proprie dita artigliate.

Colta alla sprovvista, la guerriera aprì di colpo gli occhi solo per ritrovare il proprio campo visivo colmato dalla figura rovesciata di Malefor che faceva capolino da sopra il suo muso.

-          … non mi stai ascoltando-

-          Non ascolto gli idioti-

-          Dannazione! Perché non vuoi capire?!-

Un ringhio esasperato le fuoriuscì dalle zanne serrate, mentre la dragonessa si alzava così improvvisamente che per poco non tranciò il muso dell’inopportuno e insistente interlocutore.

Ora Pharnasius era seduta sui posteriori, le ali da farfalla serrate lungo il corpo come una sorta di mantello, mentre fissava l’altro con uno sguardo più duro e freddo dell’acciaio.

-Perché TU non vuoi capire?!-

Malefor fece per rispondere, ma lei fece scattare in avanti la zampa artigliata, serrandogli le mascelle nel palmo prima ancora che un singolo suono potesse essere pronunciato.

-Ascoltami molto bene ora… tu non hai mai visto una reale distruzione, io sì … tu hai vissuto in un mondo pieno di vita mentre io sono cresciuta tra la sabbia e le rocce di un pianeta morto da tempo: semplicemente non sai cosa sia la vera distruzione e non è quella che la tua perversa mente idealizza con tanta facilità.-

-Ho intenzione di farti toccare con mano quello che ho vissuto… so che puoi leggere nella mente degli altri e frugare nei loro ricordi… ebbene, se questo dovesse essere l’unico modo per mettere un po’ di sale nella tua zuccaccia vuota, sono disposta a farti vagare liberamente nella mia testa-

Malefor desistette, lo sguardo stupito.

-Ebbene, cosa aspetti? Hai paura della verità, forse?-

Il tono canzonatorio con cui Pharnasius pronunciò le ultime parole, furono per il Mastro delle Ombre come una secchiata di acqua gelata.

Indignato per la strafottenza della giovane, Malefor entrò nella sua testa con feroce brutalità, come un esercito che si riversi entro le porte divelte di una cittadina assediata.

Un gemito sfuggì dalle labbra di Pharnasius, ma lei resistette comunque a quella presenza aliena che voltava con foga le pagine dei suoi ricordi, prima con rabbia, come se volesse farle male per vendicarsi, poi man mano lo avvertì soffermarsi sulle immagini che scorrevano, ponderandole, meditandoci sopra con …. Sorpresa? Delusione o forse orrore.

Incuriosita da quelle emozioni altrui, che poteva solamente avvertire come indistinti echi lontani, Pharnasius provò a concentrarsi su quella remota parte della sua psiche fino a quando non ricorse accidentalmente ad un’altra delle leggendarie abilità che il suo sangue di dragonessa viola racchiudeva.

Di punto in bianco, la guerriera si ritrovò catapultata nella mente di lui.

Malefor non era altro che un cucciolo, accerchiato da una folla innumerevole di draghi viola che gli bisbigliavano all’orecchio senza sosta.

Assistette impotente all’assurda scena nella quale quell’iniziale anima pura veniva corrotta da quella folla di vecchi sbavosi e decrepiti.

Vide il cucciolo crescere sotto la tutela dei guardiani degli e elementi, ribellarsi, venire scacciato, rifugiarsi tra le vette più alte delle montagne per creare un esercito di scimmie e attaccare il Tempio.

Lacrime di orrore le riempirono gli occhi, mentre decine di uova venivano infrante come se fossero palloncini colorati da far esplodere ad una festa di compleanno.

Sopraffatta dallo spettacolo grottesco, Pharnasius indietreggiò di un passo e qualche cosa si ruppe sotto le sue zampe, producendo un secco schiocco che si propagò in ogni dove come il frastuono di una valanga.

Di colpo i vecchi draghi smisero di sussurrare solo per rivolgere gli sguardi severi e lattiginosi su di lei.

Anche il cucciolo si era accorto della sua presenza.

I suoi occhi grandi e luminosi la catturarono, chiedendo tregua e aiuto, stanchi di tutte quelle pretese, di quella folla che lo racchiudeva come una prigione inespugnabile.

-BASTA!-

Malefor tagliò di netto il loro contatto mentale.

Ansimava pesantemente e grosse gocce di sudore gli scorrevano sulla fronte.

Era sconvolto, Pharnasius non dovette faticare molto per capirlo da come si era raggomitolato su se stesso, fissandola con occhi sbarrati.

Quel durissimo blocco di granito con il quale si era confrontata fin da subito dopo il naufragio si era infine sgretolato, come la sabbia si un castello che si era asciugata al sole.

Conscia di aver disseppellito un segreto fin troppo intimo, Pharnasius si sentiva troppo imbarazzata per non limitarsi a tornare semplicemente ad ignorare l’altro per distendersi nuovamente sulla folta erba, annegando il proprio senso di colpa tra i lontani punti luminosi delle prime stelle della sera.

Quanto desiderava rifugiarsi nelle profondità del cosmo in quel momento!

Malefor avrebbe voluto fuggire via da quella creatura aliena e tremenda, bramava dolorosamente di mettere chilometri e chilometri di distanza tra lui e lei ma uno strano terrore gli bloccava le membra e la mente.

Aveva visto una terra infuocata dove mastodontici mostri di metallo vagavano senza sosta, aveva camminato tra labirintiche gallerie, scavate nelle viscere della terra per infiniti chilometri e aveva osservato da vicino la gente di Pharnasius mentre dominava il mondo fisico con la sua strabiliante tecnologia… l’unica cosa che riuscisse minimamente a sopperire la mancanza di magia nel sangue dei draghi di quel mondo disgraziato.

Il Maestro delle Ombre ne era rimasto disgustato: cos’era un drago privo dei propri poteri arcani se no una lucertola troppo cresciuta?

Poi lei si era furtivamente intrufolata nella sua testa e gli aveva mostrato ciò che effettivamente era stato da sempre: una misera e meschina marionetta di legno!

Aprire gli occhi dopo una intera vita di cecità era veramente straziante.

Ogni cosa attorno a lui si era fatta di cartone colorato, come una fondale teatrale pronto ad essere ridotto in poltiglia alla prima pioggia.

L’unica cosa di reale era solamente Pharnasius, che giaceva sulle striscioline di carta verde con il nero sguardo puntato verso un cielo scarabocchiato in blu.

Era immensamente bella, con il forte corpo snello che disegnava fluide onde con le sue curve definite.

Qualche cosa in lei lo stregò e lui si guardò sgomento avvicinarsi a lei e poggiare con timidezza le labbra su quelle della dragonessa che mai avevano eruttato fiamme.

Due mani artigliate gli afferrarono le spalle e in pochi secondi Malefor si ritrovò sbattuto a terra, con Pharnasius che incombeva su di lui, trafiggendolo con sguardo minaccioso.

Malefor capì di aver commesso un grave errore, irrigidendosi per prepararsi a difendersi da un più che sicuro attacco; ma Pharnasius si rivelò imprevedibile come al solito.

-E quello lo chiameresti un bacio?-

Non ebbe il tempo di dare un senso a queste parole che Pharnasius lo baciò a sua volta con un ardore che mai avrebbe immaginato.

Lei aveva un buon sapore ed il suo odore era a dir poco inebriante… Malefor si fece trasportare da quelle nuove sensazioni e non ci volle molto prima che corrispondesse la dragonessa aliena con altri famelici baci, cingendole il torace ed attirandola a sé.

Sei fregato, ragazzo”

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Capitolo 11
*** la mente di Oscar ***


la mente di Oscar

La mente di Oscar

Incapace di pensare, ignaro di essere stato ad un passo dalla distruzione, il pianeta aveva continuato la sua abituale rotazione, permettendo ai primi pallidi raggi del sole di scacciare la notte e invadere la Valle di Avalar con un’alba perlacea.

Il bagliore diede una forma indistinta alle cose, trasformando erba ed alberi in gioielli d’argento, dove grosse gocce di diamante andavano man mano evaporando con l’aumentare della temperatura, divenendo nebbia, inghiottendo ogni cosa in un’atmosfera irreale, dove la luce si diffondeva in maniera amorfa o si condensava in lame affilate.

La collina erbosa sembrava un’isola che spuntasse nel bel mezzo di un mare tumultuoso, che si contorceva in spirali ed innalzava evanescenti pinnacoli di vapore.

Due draghi viola stavano dormendo profondamente alla sommità della modesta altura, accucciati l’uno accanto all’altra e cingendosi a vicenda con le ali per tener lontano il freddo della notte.

Di colpo il respiro regolare di Pharnasius ebbe un impercettibile sussulto, mentre le pozze nere dei suoi occhi iniziarono inquietamente a muoversi da sotto le palpebre chiuse.

La dragonessa si svegliò e con sua immensa sorpresa e confusione si ritrovò distesa su un morbido ed elegante divanetto, foderato di broccato rosso, dove una leggera fantasia di rose si susseguiva tra le pieghe del tessuto.

Pharnasius fissò sgomenta i lunghi guanti di lucida seta nera che le cingevano gli avambracci ed i gioielli che le adornavano in collo, gli arti e la coda.

Brillavano come oro colato alla luce del caminetto, con la loro opulenza di linee che appartenevano ad un’epoca passata da secoli, come d’altronde era ogni cosa che adornava la stanza che la circondava, dal servizio da tè in porcellana dipinta d’azzurro, alle tende e le librerie colme di vecchi tomi.

Un profumo intenso di ginepro, con una lieve punta di rosa, le invase le narici, minacciandola di stordirla, mentre un panico bruciante trafiggeva Pharnasius con ondate alternate di gelo, che la fecero rabbrividire nonostante la cappa di calore che aleggiava nella stanza.

No…. Non poteva essere vero! Era soltanto un sogno, un brutto, bruttissimo incubo dal quale si sarebbe potuta svegliare con un pizzicotto…

-Oh Pharnasius, Pharnasius…. Non posso credere che tu sia caduta così in basso…-

Quella voce modulata e melodiosa sembrò rimbombare nel piccolo salotto, facendo sobbalzare la dragonessa viola, che girò di scatto il capo verso il vano della porta, dove la sagoma aggraziata di Oscar aveva fatto la sua comparsa.

-… amoreggiare con un individuo così gretto e rozzo… sinceramente credevo che i tuoi gusti fossero assai più raffinati…-

-TU!-

Colta da uno strano miscuglio di paura, odio e rabbia esplosiva, Pharnasius snudò gli affilati artigli con l’intento di gettarsi a capofitto sul l’altro, per cancellargli una volta per tutte quel sorrisetto strafottente dal muso; ma appena tentò di alzarsi, dal divano fuoriuscirono nastri di broccato, che le cinsero gli arti ed il corpo, scaraventandola sulla morbida imbottitura e tenendola lì, completamente immobilizzata.

Lei tentò furiosamente di divincolarsi, ma senza successo e non potette far altro che soffiare verso il Burattinaio che entrava nella stanza, mostrando il suo arsenale di bianche zanne come un misero riflesso di ciò che avrebbe voluto fare.

-Faresti meglio a calmarti, mia cara… in questo luogo è la mia volontà che controlla ogni cosa-

-No, no… non può essere… è solo un sogno!-

Oscar si avviò con passo armonioso verso una poltroncina posta di fianco al divano dove lei era distesa.

-Per certi versi sì, visto che tutto questo sta avvenendo solamente all’interno della tua testa; ma considerando quanto le tue percezioni siano vivide, potremmo tranquillamente affermare che tutto ciò stia accadendo realmente…-

Con immensa calma, il drago viola si accomodò nella poltrona, allungando le mani verso il tavolinetto lì vicino per versarsi una tazza di tè, ogni sua movenza era il frutto di un perfetto controllo sul proprio corpo, una sorta di perpetua coreografia che andava a completare l’insieme dell’ambiente, in una continua ed ossessiva ricerca edonistica.

-oh, che sgarbato… gradiresti una tazza di tè!-

-No-

-Come vuoi…-

E qui prese un cubetto di zucchero e lo tuffò nella propria tazza, mescolandone oziosamente il contenuto con un cucchiaio d’argento, dove erano state rappresentate minuscole figure di draghi e fiori.

-Tè nero al bergamotto: è considerato lo champagne dei tè…-

Si portò la porcellana alle sottili labbra scagliose e ne bevve un sorso.

-… perché sto sprecando il nostro tempo con queste osservazioni oziose? Credo che tu preferisca di gran lunga una qualche spiegazione riguardante la tua presenza nella mia dimora, non è così?-

Pharnasius non rispose, limitandosi solamente a fissare l’altro drago con l’inespressività di una sfinge.

-Diciamo che sono riuscito a collegare i nostri rispettivi neuroni, utilizzando il mio programma di realtà virtuale come piattaforma comune-

-Ma come diavolo è possibile! Visto che nessun dannato ripetitore è collegato alla mia testa!?-

Oscar la guardò con perplessità, per poi scuotere il capo con disappunto, facendo oscillare i fini barbigli che si curvarono le volute che decoravano la tazza che teneva sospesa tra gli artigli.

-Ti ho già detto di calmarti… la rabbia non ti servirà a nulla, mia cara, tranne che a renderti così spiacevolmente volgare-

Appoggiò la tazza sul tavolinetto, facendola leggermente tintinnare sul piattino, per poi concentrare la sua attenzione sul rigoglioso vaso di fiori che stava creando meravigliosi giochi di riflessi pastello, catturando le pozze di luce che filtravano dagli ampi finestroni.

-Devi sapere che sto semplicemente utilizzando come ripetitore il ragazzotto che ti dorme al fianco..-

-Cosa?!-

-Sai che i draghi di questo mondo sono capaci di fare cose incredibili, utilizzando i loro poteri magici?-

-Sì, l’ho scoperto… e devo dire che è una questione che mi fa rizzare le scaglie…-

Oscar perse interesse per i petali di asfodelo che stava accarezzando, solo per catturarle lo sguardo nelle profondità delle sue fredde iridi verdi.

-Quella che loro chiamano magia non sono altro che comunissime onde elettromagnetiche, la stessa energia ed il medesimo principio che alimentano la nostra tecnologia…-

-La biologia del pianeta dove ti trovi è estremamente affascinante: ogni essere vivente emette onde elettromagnetiche, ma quei draghi sono capaci di creare onde di incredibile potenza e la cosa più sorprendente sta nel fatto che loro siano capaci di controllarle, manipolandole a seconda dell’evenienza … ed ecco qua la magia! Null’altro che un mero fenomeno fisico-

-Ora sto semplicemente sfruttando l’energia emanata da quell’orso viola per stabilire un contatto tra di noi-

Pharnasius avrebbe dovuto rimanere stupita, ma quella rivelazione aveva cancellato ogni suo ribrezzo nei confronti delle abilità dei draghi di quel mondo alieno, ora che finalmente sapeva una spiegazione razionale si celava dietro tutte quelle assurdità che le erano accadute.

-Ma guarda che bel sereno abbiamo oggi! Perché non scendiamo in giardino per fare quattro chiacchiere?-

Agile ed aggraziato, il Burattinaio si alzò dalla poltrona, flettendo leggermente le ali ed invitando l’altra a seguirlo con un lieve cenno del muso delicato.

Senza volerlo, Pharnasius sentì con orrore il proprio corpo che si muoveva contro la sua volontà, imprigionato come una marionetta ai fili che l’altro drago viola stava ora tirando a suo piacimento, facendola alzare e camminare al suo fianco.

Come comandato dal galateo della vecchia società borghese, Oscar le porse lo snodo delle falangi dell’ala affinché Pharnasius vi potesse appoggiare il proprio, e con quell’atto di galanteria, che vista la paradossale situazione era più una crudele derisione che un atto di cortesia, accompagnò la rivale al di fuori della villetta stile neogotico.

L’immenso giardino che cingeva la residenza virtuale di Oscar, era semplicemente stupendo: un’opera d’arte.

La calda luce mattutina danzava sulla folta erba curata dei vialetti, trasformandola in smeraldo.

Rocce ricoperte di muschi spuntavano dalle sponde di limpidi ruscelletti, armoniose statue di draghi fiabeschi stavano a guardia di scroscianti cascate e piccole grotte artificiali, mentre ovunque danzava la dolce fragranza di migliaia di fiori, dalle varietà più esotiche.

Passeggiando tra l’ombra delle latifoglie ed il caldo dorato del sole, rapita da tanta bellezza, Pharnasius non riusciva a dare un senso a tutto quello che vedeva.

Stranamente, tutta quella vegetazione somigliava in maniera inquietante ad…

-I paesaggi alieni del pianeta dove ti sei schiantata-

Concluse per lei l’odiato accompagnatore, concretizzando in parole i pensieri di lei.

- Ti stai domandando il perché della somiglianza di questo luogo con l’altro pianeta, vero?-

Pharnasius annuì.

-La spiegazione è semplice: secoli fa il nostro pianeta era tale e quale a quello in cui sei ora intrappolata-

La sconcertante notizia raggelò la guerriera viola, tanto che avrebbe smesso all’istante di camminare se solo la volontà dell’altro drago non le imponesse dio continuare la loro oziosa passeggiata.

-So che sei estremamente confusa, che ti stai domandando il perché io abbia ridotto il nostro mondo in una distesa desertica mentre il mio amore per le bellezze naturali hanno creato questo piccolo paradiso… oh, sediamoci pure qui…-

I due avevano raggiunto un salice piangente, le cui lunghe fronde, simili ai capelli di una dama, scendevano mollemente fino ad increspare la superficie di uno stagno tappezzato da ninfee.

Oscar scelse di sistemarsi all’ombra del salice, laddove si poteva godere della deliziosa vista della pozza luccicante, prima di continuare il discorso con quel suo consueto tono garbato che tanto urtava i nervi già tesi di Pharnasius.

-Vorrei raccontarti una storia, mia cara…-

Si lisciò con noncuranza un’ala, prima di puntare gli occhi smeraldini in quelli di lei, enfatizzando l’importanza delle parole che da lì in poi si sarebbero susseguite.

-… una storia veramente lunga, che ha inizio centinaia di anni fa, quanto il nostro mondo era come questo giardino.-

-Sono nato in una famiglia borghese benestante, che aveva fondato la sua fortuna tramite il commercio…-

-…mio padre si adoperò in ogni maniera affinché io ricevessi un’educazione degna di tale nome. Dalle lettere classiche alla scienza, dalla filosofia all’educazione artistica, passai la mia fanciullezza studiando sotto la guida che migliori mentori che si potessero trovare.-

-Quanto finalmente divenni un giovane adulto, iniziò per me il piacere della vita di società: ricevimenti, teatro, gite all’aperto, dove la gente trasformava il mondo in un universo idilliaco, cercando la perfezione e l’appagamento estetico dei sensi in ogni azione, parola, attimo… facendo della propria esistenza un’opera d’arte!-

Il ricordo di quei tempi lontani, rapirono Oscar, cancellando il giardino e Pharnasius mentre rivedeva i luoghi e le persone della sua giovinezza.

-Poi però mi accorsi che una tremenda maledizione scorreva nelle mie vene: l’immortalità-

-Gradualmente, vidi le persone a me care invecchiare mentre io rimanevo immutato, come se avessero scolpito le mie fattezze nel marmo-

-Non ci volle molto prima che gli altri draghi scoprissero l’innaturale perdurare della mia giovinezza, rimanendone spaventati…. Venni allontanato e perfino la mia famiglia mi rinnegò-

Oscar afflosciò le spalle, fissando senza vederla l’erba.

Il dolore di lui era così evidente che Pharnasius provò una punta di pietà nei suoi confronti, ora che quella sua costante malizia si era momentaneamente dileguata, come rugiada al sole.

-Divenni un reietto, l’ombra di me stesso mentre il mondo cambiava, si trasformava ed io non ero altro che un patetico scarafaggio che ne elemosinava le briciole, sperando in una morte che mai arrivava, maledicendo la mia giovinezza eterna…-

-… poi fecero la loro comparsa i primi congegni elettronici, con le loro inesplorate potenzialità che non tardarono a catturare il mio interesse…-

-Cercai, da autodidatta, di studiarli e di capirne il meccanismo, sperimentando nuovi meccanismi con quello che riuscivo a raffazzonare… fortuna volle che un famoso ingegnere elettronico si smarrisse un bel giorno nei sobborghi della città dove momentaneamente mi trovavo, e che cercando una via d’uscita da quello squallido susseguirsi di baracche, mi notasse, intento com’ero a sperimentare…-

-… quel generoso drago capì il mio talento e divenne il mio mecenate: mi tolse dalla strada e pagò i miei studi fino a quando non entrai a far parte del suo team di ricerca, distinguendomi ben presto dal resto dei ricercatori e superando in bravura il mio maestro… fui io ad inventare la tecnologia della realtà virtuale e fin da subito capii che avevo tra gli artigli gli strumenti giusti per riavere indietro ciò che avevo perso…-

-… tra anni di incessante lavoro, convegni, conferenze e lezioni tenute in tutto il mondo… la mia creazione andava man mano perfezionandosi fino a soppiantare perfettamente la realtà fisica…-

-.... creai questa villa e questo meraviglioso giardino, dove sempre più spesso mi ritiravo per riposare l’anima e godere della perfezione assoluta che solamente qui potevo trovare… pian piano capii che non vi era alcuna differenza tra la vita reale e quella virtuale, tranne solo che un piccolo particolare: la vita virtuale aveva il pregio di poter essere modellata a piacimento, eliminando così tutto ciò che era spiacevole … cancellando per sempre il dolore!-

Pharnasius ascoltava la storia di Oscar un’espressione sconcertata man mano che i vaneggiamenti del drago viola ne tinsero la voce di un pericoloso tono acuto, che lo faceva somigliare ad un fanatico religioso che proclamasse il proprio credo nella piazza del mercato.

-… Ho trovato la chiave della Felicità! Ti rendi conto della portata della mia scoperta? Perché continuare a vivere in un mondo spietato quando sarebbe stato semplicemente possibile crearsi il proprio paradiso in terra?... Gli altri draghi, stupidi come non mai, ovviamente non capirono ed inorridirono alla mia proposta, così decisi che era giusto che l’intera nostra razza vivesse senza gli affanni del mondo e che, se gli altri non mi avessero seguito di loro spontanea volontà, li avrei semplicemente costretti… facendo del mondo fisico un luogo infernale ed invivibile…-

L’orrore stappò un gemito allarmato dalle fauci spalancate di Pharnasius.

-Tu cosa?!-

Boccheggiò la guerriera.

Era pazzo, folle, completamente fuori di testa, ormai Pharnasius non ne aveva più il minimo dubbio al riguardo.

La disgrazia stava semplicemente del fatto che una mente così distorta, martoriata da una innumerevole serie di traumi, celasse una genialità incredibile, che gli aveva permesso di realizzare quei suoi sogni perversi, nell’assurda e pericolosa convinzione di agire per il giusto, per il bene di tutta la sua razza.

Oscar la squadrò con occhi tristi, prima che la collera gli fece snudare le zanne.

-Anche tu non capisci?!-

Le ruggì contro con veemenza, abbandonando ogni suo contegno per svelare tutta l’aggressività che nascondeva in una parte remota del suo essere.

Poi, veloce come si era scatenato, il suo uragano interiore si calmò.

Oscar si ricompose con estrema dignità, lasciando vagare lo sguardo verso il lontano orizzonte celestino del parco.

-Non importa… vorrei solamente averti sempre al mio fianco e condividere con te questo tesoro… tutto qui… non so perché, ma gradisco particolarmente la tua compagnia-

Pharnasius imprecò tra sé e sé: ora sapeva perfettamente come si sentivano i polli in gabbia che attendevano di essere cucinati nello spiedo che girava nel forno.

Oscar si era nuovamente girato a fissarla, con quelle sue sembianze meravigliose che nascondevano le tumefatte bruttezze della sua assoluta follia.

Un accenno di sorriso gli modellò le labbra in una curva armoniosa mentre le si avvicinava con esasperante lentezza.

-Ci vedremo presto, Pharnasius-

Il Burattinaio le prese con delicatezza la zampa, e con un atto di antiquata galanteria si portò il dorso della sua mano alle labbra.

Con quel bacio, Oscar la restituì alla realtà.

 

La dragonessa viola si svegliò di soprassalto con un urlo che scaricò tutta la tensione che aveva accumulato; poi si guardò febbrilmente attorno, temendo di veder spuntar fuori dal nulla l’odiato nemico, ma non vide altro che foreste, prati e la massa violacea di Malefor al suo fianco.

Il Maestro delle ombre si stava scrollando di dosso il torpore del sonno, guardandola con estrema confusione.

-Pharnasius… tutto bene?-

Lei riuscì a stento a reprimere un attacco isterico, raggomitolandosi su se stessa e nascondendosi il muso tra le grinfie contratte, tremando come una foglia.

Ali e braccia premurose la cinsero…. quell’atteggiamento le ricordò Loki.

-Ehi! Pharny, che ti prende?-

-M-mi ha trovata!-

Riuscì soltanto a farfugliare con voce rotta.

-Lui è qui! È qui!-

Il solo rievocare a parole la dura realtà, le diedero la sensazione che il suolo si stesse sgretolando da sotto le sue zampe.

Temendo di precipitare nel vuoto, Pharnasius si aggrappò a Malefor così come un naufrago tenta di ancorarsi allo scoglio per sottrarsi alle onde della tempesta.

Poteva avvertire il vigoroso battito cardiaco rimbombare nell’ampio petto di lui e questo le bastò ad acquietare le acquee tumultuose della paura che aveva lasciato che avesse la meglio su di lei.

Cosa stava mai facendo?! Lei era una guerriera, mica una cucciola piagnucolosa!

-Pharnasius! Pharnasius! è urgente! Ho rilevato una massa gigantesca che sta entrando nell’atmosfera del pianeta…-

L’evanescente sagoma di Belta si era materializzata , tradendo un piccolo sussulto di sorpresa alla vista dell’aspetto scosso e sconvolto della sua padrona.

-Maledetto figlio di puttana! Così quel damerino vorrebbe rovinare anche questo mondo… no, non glielo permetterò… -

Pharnasius pronunciò le sue parole con una tale ferocia sanguinaria che perfino Malefor ne rimase sconcertato.

-Belta, fammi da guida-

Lei si divincolò con gentilezza dal suo abbraccio, spiccando immediatamente un balzo che la portò a librarsi nel cielo e lasciando il confuso Maestro delle Ombre a cercare di dare un senso a quel che stava accadendo… senza  però avere successo.

 

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