Alba

di Shainareth
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** 00. Athrun Zala ***
Capitolo 2: *** 01. Junius Seven ***
Capitolo 3: *** 02. Yzak Joule ***
Capitolo 4: *** 03. Lacus Clyne ***
Capitolo 5: *** 04. Miguel Ayman ***
Capitolo 6: *** 05. Heliopolis ***
Capitolo 7: *** 06. Kira Yamato ***
Capitolo 8: *** 07. Cagalli Yula Athha ***
Capitolo 9: *** 08. Orb ***
Capitolo 10: *** 09. Nicol Amarfi ***
Capitolo 11: *** 10. GAT-X303 Aegis ***
Capitolo 12: *** 11. Sopravvivere ***
Capitolo 13: *** 12. Lucidità ***
Capitolo 14: *** 13. Amicizia ***
Capitolo 15: *** 14. Dearka Elthman ***
Capitolo 16: *** 15. Kira e Cagalli ***
Capitolo 17: *** 16. Padre ***
Capitolo 18: *** 17. Crisi ***
Capitolo 19: *** 18. ZGMF-X09A Justice ***
Capitolo 20: *** 19. Alex Dino ***
Capitolo 21: *** 20. Armory One ***
Capitolo 22: *** 21. Minerva ***
Capitolo 23: *** 22. Ciclo ***
Capitolo 24: *** 23. Promessa ***
Capitolo 25: *** 24. FAITH ***
Capitolo 26: *** 25. Shinn Asuka ***



Capitolo 1
*** 00. Athrun Zala ***





Athrun Zala




Nacqui a December City, su PLANT, il 29 ottobre del cinquantacinquesimo anno della Cosmic Era. Unico erede di Patrick e Lenore Zala, fui figlio devoto e obbediente fino a che il destino non dispose diversamente. Ricevetti un’ottima educazione, propria della mia classe sociale, e fui istruito nelle migliori scuole. Mi furono concesse enormi opportunità per divenire qualcuno nel mio Paese. Eppure, fra le svariate possibilità che mi si presentarono nel corso degli anni, ebbi sempre la sconcertante abilità di scegliere quella sbagliata, prima che qualcosa di tragico mi schiaffeggiasse per farmi rinsavire e portarmi finalmente a comprendere quale fosse la giusta via da seguire.

   Per quanto intelligente io possa apparire agli occhi degli altri, molto spesso mi sono dovuto piegare a dare ragione alla mia compagna di vita, ostinata com’è a sottolineare le mie carenze cerebrali. Adorabile, davvero.

   Di indole buona, suppongo, e soprattutto retta, ho sempre messo la coscienza ed il senso di giustizia su tutto il resto, benché a volte io abbia deviato dalla mia strada a causa dei fantasmi che mi annebbiavano la mente e che cercavo di allontanare ad ogni costo dal mio passato.

   Se non ci fossero stati i miei amici, che mai, neanche per attimo, dubitarono di me e della mia lealtà, probabilmente sarei morto già da molto tempo.

   Kira Yamato, Cagalli Yula Athha, Lacus Clyne. I nomi dei miei tre salvatori, fragili esistenze per le quali darei tutto, poiché è a loro che devo ciò che sono oggi: un uomo.






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Capitolo 2
*** 01. Junius Seven ***





Anzitutto lasciatemi dire che non mi aspettavo affatto tante recensioni per poche righe: grazie. Confesso però che ora mi sento fortemente a disagio per tutti gli occhi che ho puntati addosso. XD
Spero di non deludervi.
Quello che segue è un altro capitolo introduttivo, ma giuro che dal prossimo ci sarà qualche piccola novità.







PARTE PRIMA




Junius Seven




Da tempo l’Alleanza Terrestre pretendeva da noi una produzione maggiore, sfruttandoci il più possibile e minacciando un blocco economico. In più, una larga falda di gente ci squadrava come se fossimo degli insulti con sembianze umane, degli esseri immorali, perché nati per mezzo della manipolazione genetica: risultavamo così dotati di un fisico più resistente e di una memoria più vasta.

   Fra questioni politiche ed etiche, insomma, le tensioni fra i Naturals che abitavano la vecchia Terra e noi Coordinators che vivevamo invece su PLANT si facevano sempre più aspre, fino a che non sfociarono in un conflitto armato. I nostri avversari erano decisamente più numerosi di noi ed era su questo che facevano arrogantemente affidamento. Ben presto, dimostrammo loro che ZAFT, l’Esercito di PLANT, aveva dalla sua soldati migliori e tecnologie più avanzate.

   Rendendosi conto che la superiorità numerica non bastava, l’Alleanza Terrestre tentò di metterci in ginocchio con la più sporca e vile azione che potesse commettere.

 

Era il 14 febbraio dell’anno 70 della Cosmic Era.

   Junius Seven, colonia di PLANT, subì un attacco nucleare ad opera dell’Alleanza Terrestre e quasi duecentocinquantamila persone, tutti Coordinators come me, furono spazzati via nel nulla.

   Lì c’era mia madre. Non l’avrei più rivista.

   Fu, quello, un episodio che segnò nel profondo la vita di molti, compresa la mia. Come accadde a tanta altra gente, la disperazione si impadronì di me, covai rancore e, nell’impulso nato da quell’opprimente dolore che per più di un anno mi avrebbe offuscato la ragione, meditai vendetta.

   Quando dissi a mio padre che volevo arruolarmi nell’esercito e combattere i Naturals che avevano commesso quella carneficina, lui fu d’accordo. Non poteva non esserlo, era a capo del Comitato di Difesa Nazionale e aveva sofferto forse più di me per la perdita subita.

   Quanto, però, lo avrei capito soltanto dopo, quando ormai non c’era più nulla ch’io potessi fare per lui.

   Senza che me ne rendessi conto, l’esplosione di Junius Seven non aveva portato via soltanto mia madre: aveva annientato la mia famiglia, rischiando di trascinare anche me in quel vortice di distruzione.






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Capitolo 3
*** 02. Yzak Joule ***





Yzak Joule




La prima persona che conobbi all’accademia militare fu Yzak. Era figlio della rappresentante di Martius al Consiglio di PLANT, tale Ezalia Joule, stretta collaboratrice di mio padre. Capii subito la loro parentela per via dello stesso, insolito colore di capelli, candidi come la neve, e della grande somiglianza fisica. Yzak era però più alto, e la sua bella figura non passava affatto inosservata quando si trovava a sfilare nei corridoi. E se pure qualcuno poteva non interessarsi a lui e al suo fisico prestante, di certo non poteva non notare quell’albino dallo sguardo gelido e dall’imprecazione facile. A pensarci bene, solo ora mi rendo conto di come, Kira Yamato a parte, le persone a cui tutt’oggi sono maggiormente legato siano soggette, nei momenti di rabbia, a ringhiare parole poco gentili quasi ad ogni respiro.

   Yzak ed io non potevamo essere più diversi. E, al contempo, tanto simili.

   Mi bastò pochissimo per capire che dietro quegli occhi di ghiaccio si nascondeva invece uno di quei fuochi che difficilmente si sarebbero estinti. Metteva se stesso in tutto quello che faceva, e questo era un bel problema, perché io lo superavo quasi in ogni campo senza grandi difficoltà. L’unica volta che mi ritrovai dietro di lui, fu perché svolsi l’esame di abilità di tiro con la febbre. La cosa lo mandò ancora più in bestia. Non mi piaceva vantarmi dei punteggi che ottenevo, e a dirla tutta a volte nemmeno mi curavo di annotarli, perché sapevo che prima o poi Yzak sarebbe venuto a rinfacciarmeli.

   Eravamo bravi nelle stesse discipline, e questo lui lo vedeva come un affronto, soprattutto perché io ero più giovane di lui. Urlava ai quattro venti che mi detestava. Sapevo che non era vero. Lo sapeva anche lui, e negli anni a venire sarebbe stato costretto a dimostrarlo in più di un’occasione, un grande smacco al suo incrollabile orgoglio. Quanto a me, non avevo alcuna ragione per odiarlo.

   «Yzak, cerca di metterci più impegno», lo riprese una volta uno dei nostri istruttori. Già questo era bastato ad innervosirlo, ma fu quando si sentì dire che avrebbe dovuto prendere me come esempio che mi ritrovai nei guai.

   Quella sera venne a cercarmi e, sebbene un mio compagno di stanza provò a dividerci, iniziammo a picchiarci come bambini, attorniati da altri ragazzi che assistevano allo scontro. Dopo quella volta, ci intendemmo alla perfezione: lui rimase irascibile e mal disposto nei miei riguardi, io imparai a raccogliere le sue violente lamentele come una dimostrazione della mia superiorità. Non ricorremmo più alle mani, perché il nostro campo di battaglia era tornato ad essere l’addestramento, ed entrambi ci ammazzavamo di fatica per avere la meglio sull’altro.

   Alla fine dei corsi, sette mesi dopo, Yzak risultò il secondo cadetto dell’accademia, uno dei migliori che fossero mai usciti da lì, tanto che gli fu consegnata un’uniforme rossa, ambito premio che spettava unicamente ai soldati scelti. Fu una magra consolazione per lui: il primo in graduatoria, l’unico che era riuscito a batterlo, fui io.

   Alla cerimonia di diploma, gli offrii la mano, e lui mi voltò le spalle e se ne andò senza stringerla.






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Capitolo 4
*** 03. Lacus Clyne ***





Comincio col ringraziare chi mi lascia le proprie impressioni su questa lunga riflessione. Riguardo al rapporto fra Athrun e Yzak, anch'io l'ho sempre trovato bellissimo, e per certi tratti più interessante di quello fra Athrun e Kira.
Vi lascio a Lacus e a quello che - così mi pare di aver capito - Athrun provava per lei all'inizio di questa storia.





Lacus Clyne




Benché il mondo intero sia stato sempre convinto del contrario, non ho mai avuto un buon rapporto con le donne. Le uniche che io sia riuscito ad accettare per davvero nella mia vita erano – e sono – mia madre e Cagalli.
   Finita l’accademia militare, ero ormai diventato un soldato di ZAFT a tutti gli effetti. Perciò, prima di affrontare la vita in caserma, ritenni opportuno incontrare la mia fidanzata. Si trattava di un matrimonio combinato dalle nostre famiglie ed entrambi non ci eravamo posti più di tanto il problema dell’onestà di quell’accordo, perché su PLANT, e in special modo tra gli esponenti dell’alta società, era così che funzionava, poiché il numero delle nascite fra Coordinator di terza generazione andava diminuendo a vista d’occhio e si sperava così di fronteggiare questa imminente crisi.
   A parte la sorpresa iniziale, io e Lacus non avevamo in realtà molte lamentele da muovere al riguardo e, anzi, ci ritenevamo piuttosto fortunati. Lei era la figlia dell’allora Presidente Siegel Clyne e, se pure a prima vista poteva sembrare fin troppo spensierata, aveva dalla sua tutto ciò che un uomo sano di mente potrebbe desiderare in una donna. Evidentemente, però, all’epoca io non ero ancora abbastanza sveglio da accorgermi che il mio vago disinteresse nei suoi confronti avrebbe dovuto suonare piuttosto come un campanello d’allarme che mi avvertiva che nella mia testa c’era qualcosa che non andava. Lacus mi piaceva. Piaceva a tutti. Eppure mi sembrava che le mancasse un qualcosa in grado di coinvolgermi al punto da indurre me stesso a rispondere con sicurezza a chi mi avesse chiesto se ne ero o meno innamorato: se provavo a domandarlo alla mia coscienza, dentro di me sentivo riecheggiare soltanto un fastidioso non lo so.
   Mio padre voleva che la sposassi ed io, abituato com’ero a sottostare ai suoi ordini, avrei senz’altro obbedito. Di tanto in tanto, quindi, mi trascinavo per inerzia fino a casa sua, portandole dei fiori o qualche altro regalo che potesse farla felice – il suo sorriso era infatti una delle cose più belle che mi fosse capitato di vedere fino a quel momento. A dire il vero, fra i miei impegni accademici ed il suo lavoro di idol apprezzata e adorata da chiunque su PLANT, non ci capitava spesso di passare del tempo insieme, e pertanto il nostro rapporto continuava a svilupparsi sulla via dell’amicizia piuttosto che su quella dell’amore. Ovviamente anche dal punto di vista fisico era tutto immobile, vuoi per la nostra giovane età, vuoi per la buona educazione ricevuta che ci imponeva di portarci il massimo rispetto, vuoi, infine, per lo scarso coinvolgimento emotivo. Convinti perciò che avremmo comunque avuto tutta la vita per lavorarci su, le uniche manifestazioni d’affetto che ci scambiavamo sporadicamente non andavano mai oltre una gentile carezza o una passeggiata a braccetto. Dopotutto, eravamo ancora dei bambini.
   La guerra ci avrebbe cambiati. Se non nella sostanza, avrebbe per lo meno sconvolto le nostre esistenze al punto da portarci lontani e, soprattutto, da renderci adulti anzitempo. Saremmo quindi ben presto riusciti a trovare, di comune accordo, strade diverse da imboccare almeno sul piano sentimentale. Affiancati entrambi da quelle due persone che hanno cambiato in meglio la nostra vita, facendoci scoprire finalmente l’amore con tutte le sue gioie e le sue sofferenze, e riuscendo lì dove io e Lacus avevamo fallito.






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Capitolo 5
*** 04. Miguel Ayman ***





Miguel Ayman




La vita in caserma non si dimostrò poi troppo dissimile da quella in accademia, anche perché mi ritrovai nella squadra La Klueze, la stessa di miei quattro vecchi compagni, Yzak compreso. Le cose fra di noi non erano certo migliorate. O forse sì, perché più passava il tempo, più ci sembrava di capirci. Ovviamente, però, entrambi fingevamo di non esserci accorti di nulla, continuando a gettare benzina sul fuoco del nostro spirito competitivo.
   Mi ritrovai a condividere la stanza con un mio amico, Nicol Amarfi, e con due Verdi, vale a dire due soldati ordinari, uno dei quali era il nostro responsabile. Miguel Ayman si era diplomato due anni prima di noi ed era davvero in gamba con i Mobile Suits. Fin dal primo incontro apparve chiaro che si trattava di un tipo capace di lagnarsi per tutto. In realtà era allegro ed incline agli scherzi, ma senza malizia, tanto che si prese subito gioco di me e Nicol. Noi due, comunque, non eravamo le sue uniche vittime, anzi. Probabilmente Miguel si divertiva molto di più a torturare i nervi di Yzak perché quest’ultimo se la prendeva molto più degli altri, rimanendo poi di cattivo umore per buona parte della giornata. Neanche a dirlo, a scontare poi le sue crisi isteriche eravamo io e, a sentire il suo amico Dearka Elthman, la loro camera, che subiva atti di vandalismo ogni volta che a Yzak non andava giù qualcosa.
   Ciononostante, dotato di un incredibile carisma, Miguel riusciva sempre a tenere alto il morale del gruppo e noi gli eravamo sinceramente affezionati. Dopo ogni lamentela, sapeva prendere molte cose con filosofia, atteggiamento che con il tempo avrei fatto mio per sopravvivere accanto a determinate persone, tra le quali proprio Yzak e, per quanto possa sembrare un controsenso, la donna che di lì a qualche mese avrebbe condizionato positivamente il resto dei miei giorni.
   Miguel pilotava uno ZGMT-1017 GINN. Distintosi nelle battaglie svoltesi fino ad allora contro l’Alleanza Terrestre, gli era stato consentito di personalizzare il suo Mobile Suit con un’accesa tinta color arancio ed un jolly roger pirata sulla spalla destra. Nicol adorava quel GINN e non vedeva l’ora che anche a lui fosse concessa un’unità da poter elaborare a suo piacimento. Miguel riusciva a prendersi gioco di noi anche su questo, arrivando ad insinuare con grande serietà che il Mobile Suit che più mi si addiceva avrebbe dovuto essere rosa. Non v’era alcun dubbio, pensai quella volta, che a Lacus sarebbe piaciuto. Non a me, comunque.
   Fummo separati da Miguel durante la battaglia su Heliopolis, colonia spaziale di Orb dove diversi soldati della nostra squadra persero la vita. Fra questi, c’era anche lui.













Ringrazio di cuore quanti proseguono nella lettura, NicoDevil e kari16 che sono così gentili da lasciarmi due righe, e Atlantislux che, oltre ai commenti pubblici, continua a farmi da beta e mi incoraggia ad andare avanti. ♥
Shainareth





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Capitolo 6
*** 05. Heliopolis ***





Heliopolis




L’ultima missione in cui accompagnammo Miguel risultò essere poi una delle più importanti ai fini della guerra, almeno per noi di ZAFT. Alla squadra La Klueze era stato assegnato il compito più arduo: rubare cinque Mobile Suits di ultima generazione sviluppati a Morgenroete, centro scientifico e bellico che tutto il mondo invidiava a Orb. Situata in Polinesia e non alleata di PLANT né facente parte dell’Alleanza Terrestre, questa Nazione aveva però progettato e venduto di nascosto quelle unità alla Federazione Atlantica sulla colonia di Heliopolis. Fu lì che ci recammo. E fu sempre lì che il mio animo subì un nuovo, duro colpo, non dovuto soltanto alla morte di alcuni dei miei compagni, quanto alla vita che vi trovai.

   Una nostra spia era riuscita ad infiltrarsi per ottenere informazioni al riguardo, e anche per noi non fu difficile penetrare all’interno di Heliopolis, soprattutto perché ci avvalemmo dell’effetto sorpresa dovuto alle bombe piazzate in punti strategici. Io operavo in coppia con Rusty Mackenzie. Noi due, insieme a Yzak, Dearka e Nicol, eravamo stati scelti come i piloti di quei nuovi Mobile Suits. In seguito, scoprimmo che il loro sistema operativo era sorprendente almeno quanto i loro armamenti, perché, se pure Orb si trovava sulla Terra, risultava essere forse l’unico Stato in cui Naturals e Coordinators erano in grado di convivere senza che l’odio razziale potesse intaccare la serenità di quel posto. Dunque non era difficile intuire che quei gioielli creati a Morgenroete fossero nati dalle abili menti di altri Coordinators come noi, e la cosa aggravò la posizione di Orb ai nostri occhi, colpevole com’era di averci messo contro i nostri stessi fratelli.

   Come c’era da aspettarsi, ci fu una violenta battaglia in cui trovarono la morte in molti, compreso Rusty. Noialtri Rossi, invece, riuscimmo a cavarcela senza grossi problemi, con l’unica differenza che, rispetto a quanto accadde a Yzak, Dearka e Nicol che portarono subito a termine la missione, il destino decise di mettere alla prova la mia debolezza di soldato e la mia condizione di essere umano.

   Heliopolis era stata evacuata, a parte uno sparuto gruppo di civili ed i membri della Federazione che cercavano di ostacolarci. Fu nel tentativo di assalire uno di loro, in procinto di salire a bordo dello X105 Strike, che qualcosa mi turbò: in compagnia della donna che mi stava sparando addosso, ritrovai una delle due persone che ancora oggi costituiscono il fulcro della mia esistenza. Fu Kira a riconoscermi. Come abbia fatto, attraverso il mio casco da pilota ed in mezzo a tanta confusione, me lo sto ancora chiedendo. Ad ogni modo, rivederlo lì mi sorprese al punto che esitai a colpire l’ufficiale che gli stava accanto, Murrue Ramius, e lei tornò a puntarmi l’arma contro. Fui costretto alla fuga e, non riuscendo più a concentrarmi su nulla, presi lo X303 Aegis e raggiunsi i miei compagni.

   Nello scontro fra Mobile Suits che ne seguì, Miguel perse la vita per mano dello stesso Kira, salito a bordo dello Strike per motivi all’epoca a me ignoti, e l’intera Heliopolis collassò, creando un nuovo, grave incidente diplomatico fra Orb e PLANT che avrebbe potuto inasprire ulteriormente la tensione fra le due Nazioni.













Ara, ara. Finalmente dal prossimo capitolo Athrun comincerà a parlare di cose davvero interessanti, a cominciare da Kira (per poi proseguire con Cagalli).
Intanto, invito chi ancora si stesse chiedendo chi sia Miguel Ayman, e perché io ne sia tanto affezionata, a dare un'occhiata a questo indirizzo, dove potrete trovare quattro one-shot ambientate prima che Athrun, Dearka, Yzak e Nicol venissero schierati in prima linea durante la prima guerra: http://itascanlation.altervista.org/index.php?cod=schede&id=drama
Quanto al resto, ringrazio come sempre i lettori, NicoDevil, Atlantislux e kari16 che sono sempre deliziosamente gentili a lasciarmi la loro opinione. ♥
Shainareth





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Capitolo 7
*** 06. Kira Yamato ***





Kira Yamato




Kira ed io ci conoscemmo a Copernicus City, sulla Luna, dove mio padre mi aveva mandato temendo per la mia incolumità dopo che si erano verificati alcuni attentati terroristici su PLANT ad opera dei Blue Cosmos, un’organizzazione anti-Coordinators. Le nostre madri erano molto amiche, per cui ci iscrissero alla stessa scuola. Kira era timido, impacciato nelle relazioni sociali e persino un po’ tonto. Aveva buon cuore e piangeva spesso, e questo finiva sempre per portarmi ad assumere un atteggiamento protettivo nei suoi confronti. Lo aiutavo di frequente con i compiti e, sebbene dotati di temperamenti differenti, divenimmo subito inseparabili, al punto che, essendo entrambi senza fratelli, ci venne spontaneo arrivare a considerarci come tali.

   Passammo insieme la bellezza di sette anni, fino a che i rapporti fra la Terra e PLANT non cominciarono a farsi tesi e mio padre preferì riportare me e la mamma a casa. Io non mi preoccupavo molto della situazione mondiale: ero convinto che fosse improbabile lo scoppio di una guerra. Inoltre, anche se i genitori di Kira erano Naturals, avevano la cittadinanza di Orb, forse l’unico Stato esistente dove i sentimenti di odio razziale fra Naturals e Coordinators erano messi al bando. Lì, mi illudevo, sarebbero stati al sicuro.

   Prima di separarci, comunque, volli costruire un uccellino robot per Kira. Mi aveva parlato di un’idea del genere qualche tempo prima, ma lui era più bravo a programmare che con le mani. Per cui decisi che quello fosse il regalo ideale per dirsi addio, o magari solo arrivederci. Speravo davvero che prima o poi Kira mi avrebbe raggiunto su PLANT.

   Bastarono un paio d’anni, invece, per rovesciare la situazione, e prima che io e lui potessimo rendercene conto, ci ritrovammo tragicamente l’uno contro l’altro.

   Quando accadde, nessuno di noi ebbe il coraggio di premere il grilletto. E come potevamo farlo? Kira mi rimproverava di essermi arruolato nonostante odiassi le guerre, io cercavo di convincerlo che lui dovesse stare dalla nostra parte, perché Coordinator come noi di ZAFT. Oltretutto, nel mio affetto per lui, mi ero convinto che le forze terrestri lo stessero usando per le sue capacità, facendo leva sul suo buon cuore. Mai, comunque, sospettai di Kira e della sua amicizia. Anzi, una volta di più mi dimostrò di non essere mai cambiato da quell’ultimo addio a Copernicus City.

   L’anniversario della strage di Junius Seven si avvicinava, e in quanto rappresentante della Delegazione Commemorativa delle vittime della guerra, Lacus aveva lasciato PLANT per raggiungere il luogo in cui rimanevano soltanto i miseri resti di quella colonia e dei suoi sfortunati abitanti, mia madre compresa. Quanto a me, ero stato costretto a rientrare ad Aprilius City insieme al Capitano La Klueze per spiegare davanti al Presidente Clyne, mio padre ed il resto del Consiglio cos’era accaduto a Heliopolis ed illustrare le potenzialità dei Mobile Suits di cui eravamo entrati in possesso. Fu al mio ritorno in caserma che raccolsi la notizia dell’abbattimento della nave civile su cui viaggiava Lacus.

   La partenza per tornare al fronte fu anticipata, e mio padre, prima che tornassi in battaglia, si raccomandò due cose: la prima me l’aveva detta prima ch’io mi presentassi davanti al Consiglio, e cioè che dovevo tacere sulla natura del pilota dello Strike; la seconda, invece, era che dovevo necessariamente recuperare Lacus, viva o morta che fosse. Era in momenti come questi che cominciavo a pormi i primi dubbi sull’operato di mio padre. Tuttavia, credendo di essere ancora un ragazzino, mi limitavo a chinare il capo e ad obbedire.

   Quando, approfittando del fatto di aver casualmente recuperato la capsula di salvataggio in cui Lacus vagava nei pressi della nave abbattuta, i membri dell’Archangel – quella su cui viaggiava Kira – annunciarono di averla presa in ostaggio per indurci a sospendere il fuoco su di loro, il mio vecchio compagno di giochi agì così come mi sarei dovuto aspettare sin dal principio: disobbedendo agli ordini dei suoi superiori, mi riportò Lacus, sana e salva. Fu, quella, la prima volta che ci capitò di parlare faccia a faccia senza ritrovarci necessariamente in mezzo ad una battaglia. Di nuovo gli chiesi di venire via con me, e di nuovo lui rifiutò, perché, disse, sull’Archangel c’erano i suoi amici, salvati su Helipolis dall’equipaggio, e lui voleva proteggerli ad ogni costo. Ma non ero anch’io suo amico? Non ero forse suo fratello? Non volevo accettarlo, e mi convinsi più di prima che Kira fosse un burattino nelle mani dell’Alleanza Terrestre.

   In seguito, ci scontrammo un’ultima volta nello spazio, ma in quell’occasione non combattemmo l’uno contro l’altro: mentre portavo Lacus al sicuro, c’era stato un altro attacco di ZAFT, e Yzak aveva avuto la peggio contro lo Strike, rimanendo lievemente ferito e rimediando un vistoso sfregio sul volto, in prossimità dell’occhio destro. Il suo orgoglio gridava vendetta, e fu lui, quindi, a precipitarsi contro Kira frattanto che noialtri eravamo alle prese con l’Ottava Flotta della Federazione Atlantica, la quale si era fatta carico di scortare l’Archangel durante la sua discesa sulla Terra. Nella foga della battaglia, anche il Duel di Yzak e il Buster di Dearka furono attirati dalla forza di gravità perché troppo vicini all’atmosfera terrestre.

   Dopo quella volta, passò qualche tempo prima che io e Kira potessimo incontrarci di nuovo.













Davvero grazie infinite per tutte le belle parole che avete per questo diario. Due o tre giorni fa ho finito di scrivere la parte inerente alla prima guerra e adesso che ho iniziato quella sulla seconda... Cielo, se è difficile! XD O meglio, per me è facile capire le ragioni per cui Athrun è tornato in ZAFT, ma metterle nero su bianco, cercando di immedesimarsi in lui, è un'autentica sofferenza. Stessa cosa dicasi per le ultime fasi della prima guerra: il rapporto fra Athrun e suo padre è straordinario. Non certo in bene, ma rimane comunque tale e mi affascina da morire.
Intanto proseguo per la mia crociata a condanna e difesa del protagonista di questa long (dopotutto, nessuno è perfetto, cara NicoDevil), e ringrazio i lettori e quest'ultima, Lil_Meyer, kari16 e Lightning_ per avermi lasciato due righe. ^^
Shainareth





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Capitolo 8
*** 07. Cagalli Yula Athha ***





Cagalli Yula Athha




La prima cosa che pensai di Cagalli fu che fosse un maschio. La seconda, che fosse matta. Infine, stufo di essere smentito ogni volta che ci avevo a che fare, mi arresi e mi innamorai di lei.

   A dirla tutta, avrei dovuto capire sin dall’inizio a cosa stavo andando incontro, da ciò che accadde ancora prima di conoscerla.

   Dopo un breve congedo, in cui mi disposi a far visita a Lacus verso la quale ero colpevole di aver mancato di tatto perché troppo in pena per Kira per pensare a lei, ero stato mandato sulla Terra con Nicol affinché ci ricongiungessimo a Dearka e Yzak, atterrati alla base di Gibilterra senza grosse difficoltà. Con sommo scorno del mio rivale dei tempi dell’accademia, il Capitano La Klueze ci raggruppò tutti e quattro in una nuova squadra, ponendo me a capo di essa: era a conoscenza del fatto che a pilotare lo Strike ci fosse un mio amico d’infanzia e, suppongo, il suo fu un invito a prendermi una volta per tutte le mie responsabilità. Il Team Zala, quindi, si sarebbe messo da solo all’inseguimento dell’Archangel, in seguito alla sconfitta che questa aveva inflitto ai BuCUE del Comandante Waltfeld in Libia.

   Durante il nostro trasferimento verso Carpentaria, base di ZAFT situata in Oceania, ci fu un problema nel trasporto del mio Mobile Suit, e pertanto la mia partenza fu ritardata rispetto a quella dei miei compagni. Lì per lì non diedi peso a quell’incidente, ma col senno di poi dovetti riconoscere che il destino, per quanto avverso potesse sembrare sulle prime, aveva invece deciso di donarmi la cosa più preziosa ch’io possegga tutt’ora, vita a parte.

   Non fu un incontro romantico, affatto. A ben pensarci, temo che durante tutti questi anni non ci sia mai stato niente di simile fra noi. Non come lo intende la gente comune, per lo meno. Questo perché Cagalli non è una persona qualunque.

   Ci conoscemmo perché ebbe il coraggio o comunque l’incoscienza, a bordo di un caccia in fiamme, di scagliarsi contro il mezzo su cui viaggiavo, riuscendo quasi ad abbatterlo. Fui costretto ad abbandonarlo e a provare un atterraggio di fortuna, ritrovandomi con lei naufrago su di una piccola isola sperduta nel bel mezzo dell’Oceano Indiano. Non paga di quanto già fatto, mi puntò la pistola contro e sparò, ferendomi di striscio ad un braccio. Nonostante questo, ebbi la meglio nel combattimento ravvicinato, riuscendo a disarmarla. Fu allora che, trovandosi il suo corpo sotto al mio, e sentendola urlare a pieni polmoni, mi accorsi che quella con cui avevo a che fare era una donna. Una ragazza della mia età, oltretutto. Non riuscii ad ucciderla. La feci invece prigioniera, fra molte proteste da parte sua, e cercai, senza successo, di contattare i miei compagni. Dopo di che, sotto la pioggia scrosciante che si era abbattuta spietatamente su di noi, mi soffermai ad osservare la mia assalitrice con morbosa curiosità: era la prima Natural con cui avevo a che fare da quando avevo lasciato Copernicus City. La cosa più sconcertante, però, fu che, nonostante la sua lingua lunga e affilata, ed il suo modo di fare indomito e autoritario, la trovai divertente.

   La liberai. Non avevo motivo di tenerla legata dopo averle sottratto le armi, poiché sapevo che nella lotta non avrebbe potuto nulla contro di me. Non mi ringraziò, né io mi aspettai che lo facesse. Le offrii una coperta, dell’acqua e del cibo, e sebbene sulle prime fu restia ad accettare la mia gentilezza per partito preso, alla fine il suo orgoglio dovette cedere il passo ai morsi della fame. Mi raccontò di essersi trovata a Heliopolis proprio quando noi di ZAFT l’attaccavamo. Iniziammo a discutere animatamente della guerra, e sapendo che nessuno dei due avrebbe convinto l’altro con le proprie ragioni, troncammo il discorso e rimanemmo entrambi di malumore.

   Nonostante la mia disponibilità nei suoi riguardi, non mi illudevo di averla domata. Parlava ancora di volermi rubare la pistola e di spararmi alla prima distrazione. Era dannatamente seria, mentre lo diceva, eppure io continuavo a trovarla divertente, al punto che mi riscoprii ancora capace di ridere di cuore, cosa che non facevo così spesso da almeno un anno.

   Poco dopo, avvinto dalla stanchezza accumulata durante il viaggio e dalle selvagge novità che avevo trovato sulla Terra – era, quella, la prima volta che vi mettevo piede – e che mi avevano riempito gli occhi e la mente di immagini straordinarie, mi appisolai. Cagalli fu di parola: mi sottrasse la pistola e me la puntò contro. Tornammo a litigare, questa volta con le armi in pugno. Io deciso a non avere pietà se avesse sparato, lei con le lacrime agli occhi perché combattuta fra il suo senso di giustizia che le impediva di lasciare in vita uno di quei maledetti soldati che faceva strage di terrestri, e l’onore: mi era riconoscente per ciò che avevo fatto, ma non poteva sopportare ch’io pilotassi ancora l’Aegis. Sembrava conoscere bene la mia unità, e questo mi lasciò credere di essere davvero alle prese con il nemico. Non era così.

   La sua coscienza uscì vittoriosa da quello scontro interiore. Capendo di non essere in grado di uccidermi, Cagalli lanciò incautamente via la pistola e per poco non ci ammazzò entrambi. Rimasi nuovamente ferito in modo lieve perché le avevo fatto da scudo col mio corpo, e questa volta fu lei stessa ad insistere per prendersi cura di me. La lasciai fare. Non parlammo più della guerra, ci limitammo ad aspettare che le ore trascorressero, ormai decisi a difenderci l’un l’altra in un tacito accordo che stipulammo con noi stessi.

   All’alba arrivarono i soccorsi. All’alba conobbi il suo nome e lei conobbe il mio. All’alba ci salutammo.

   Ormai non credo più nelle coincidenze. Perché il mio nome vuol dire alba. Perché Cagalli proviene dal posto in cui il sole sorge prima che in ogni altra parte del mondo.













Ed ecco svelato in parte il motivo che mi ha spinto ad intitolare questa longfic Alba. A dire il vero ce ne sono molti altri e, se ci pensate, riconducono tutti al sole e all'alba. Tra quelli che ho letto online e che ho individuato da sola, faccio notare che:
- il nome di Athrun significa alba;
- Orb è situata in Oceania, dove sorge il giorno nuovo;
- Morgenroete viene dal tedesco e vuol dire alba;
- il gruppo della resistenza di cui faceva parte Cagalli in Africa si chiama Desert Dawn ovvero Alba del Deserto;
- il nome del Mobile Suit che Uzumi fa costruire per Cagalli, e che lei poi affida a Neo/Mwu, è Akatsuki, che in giapponese significa alba;
- la canzone che fa da sottofondo alla scena dello scontro fra Athrun e Cagalli nella grotta in cui hanno trovato rifugio sull'isola in cui si sono conosciuti è Akatsuki no Kuruma, vale a dire La Ruota dell'Alba, ed è stata usata per un AMC (Anime Music Clip) su Cagalli - e Athrun - diretto da Mistuo Fukuda, regista di Gundam SEED e Gundam SEED Destiny;
- il simbolo presente sul braccio sinistro delle uniformi di Orb è un sole che nasce;
- Heliopolis, colonia di Orb, richiama il nome del sole;
- il nome della stessa Sunrise, casa produttrice della serie, parla da sé.
Per tutte le ragioni appena citate, e visto che comunque, almeno fino ad un'eventuale smentita nel più che atteso movie, Athrun alla fine rimane a Orb per tenere fede ai propri ideali e per stare vicino a Cagalli (il cui nome vuol dire falò e che comunque potrebbe anche essere vagamente collegato al sole, così come il colore dei suoi capelli e dei suoi occhi), ho pensato che questo titolo fosse adatto al diario che sto scrivendo. Spero di non essere rimproverata per questo. ^^;
Ho notato, comunque, che oltre a quella finale da me raccontata in questo capitolo, molte altre scene importanti sono ambientate al sorgere del sole, come ad esempio il secondo incontro fra Kira e Cagalli, la partenza della Minerva da Orb e il momento in cui Kira, dopo due anni di inattività, torna a pilotare il Freedom. Penso quindi che l'alba sia significativa per l'intera trama, dove magari la nascita del giorno nuovo viene vista come un segno positivo e di speranza per il futuro. Me lo auguro davvero per i protagonisti della Cosmic Era, perché, nonostante io abbia visto anche altre due serie Gundam, sono quelli a cui sono maggiormente legata.
Chiarito questo, passo a salutare e a ringraziare tutti i lettori, soprattutto chi, come NicoDevil (che te possino... XD), Lightning_, Atlantislux, Kira Yamato e kari16, ha avuto il gentile pensiero di lasciarmi un commento d'incoraggiamento. ^^
Shainareth




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Capitolo 9
*** 08. Orb ***





Orb




Durante lo scontro successivo fra noi e l’Archangel scoprii due cose: che a bordo di quella nave c’era la ragazza da cui mi ero separato da poco, e, come se questo non fosse bastato, che Cagalli era nientemeno che la figlia di Uzumi Nara Athha, Delegato di Orb, il quale aveva ceduto i propri poteri al fratello, facendosi ingiustamente carico dell’infamante accusa di aver aiutato la Federazione Atlantica con la costruzione delle unità che avevamo rubato a Heliopolis. Nonostante questo, continuava di fatto ad essere considerato l’Emiro più importante della Nazione, ponendo come perno della sua politica l’ideale di uno Stato libero, tollerante, neutrale. Conosciuta anche con il nome di Terra di Pace, Orb non interveniva nei conflitti esterni, né aveva mire espansionistiche: tutto ciò che chiedeva, era di rimanere fedele a se stessa, integra nella sua moralità. Si faticava a credere, perciò, che davvero Heliopolis potesse aver appoggiato la Federazione Atlantica, sebbene in realtà Morgenroete fosse un’organizzazione semi-nazionale, per metà autonoma, e pertanto gli scienziati che vi lavoravano potessero benissimo essersi sentiti autorizzati a collaborare segretamente con le forze terrestri senza informare il Governo dello Stato che li ospitava.

   Quando scoprii la verità su Cagalli, comunque, rimasi sorpreso: tutto mi sarei aspettato, da lei, tranne che fosse una principessa. E benché i miei compagni si lamentassero della protezione che ancora una volta Orb aveva concesso all’Archangel quando giungemmo ai limiti delle sue acque territoriali, provai un senso di sollievo. Cagalli era tornata a casa sana e salva, e, per di più, non mi aveva mentito quando, durante il nostro primo incontro, mi aveva giurato di non appartenere all’Esercito Terrestre. All’epoca non ero ancora innamorato di lei; di sicuro, però, le ero già affezionato, anche perché Cagalli rimane ancora la cosa più sorprendente che mi sia mai capitata di vedere.

   In seguito mi sarebbe stato spiegato che in quell’occasione Orb aveva dato appoggio all’Archangel, assicurandone le riparazioni di cui necessitava, in cambio dei dati relativi allo Strike e al suo pilota, Kira Yamato, forse una sorta di rivincita per i guai combinati dalla sede di Morgenroete a Heliopolis. In più, se Cagalli viaggiava a bordo di quella nave, era perché vi si era imbattuta accidentalmente in Libia dove, dopo essere scappata di casa in seguito ad una brutta litigata con suo padre, accusato da lei di tradimento agli ideali che invece le aveva sempre insegnato, si era avventatamente unita ad un gruppo di resistenza con l’intento di conoscere il mondo e, armatasi di tutto punto, si era persino messa a combattere contro gli uomini agli ordini del Comandante Waltfeld.

   Ad ogni modo, non potendo fare altrimenti, aspettammo l’evolversi della situazione nei pressi della vicina Carpentaria. Orb continuava a negare di aver dato rifugio al Bipede che ci era sfuggito più volte, né noi potevamo infrangere gli accordi di pace come avevamo già fatto a Heliopolis per mezzo di un attacco diretto. Inoltre, le strutture militari del posto erano tutte situate sull’isola di Onogoro, una delle maggiori che costituivano l’arcipelago degli Emirati Uniti di Orb, e schermate da un sofisticato sistema di sicurezza che neanche i satelliti potevano sperare di penetrare. Non ci rimaneva altro da fare che escogitare un piano che ci permettesse di scoprire come stavano le cose senza necessariamente compromettere i delicati rapporti fra quella Nazione e la nostra. A me spettava la decisione, per cui risolsi di infiltrarmi insieme alla mia squadra, grazie anche all’appoggio di alcune spie interne al Paese.

   Ciò che vedemmo, una volta sbarcati a Orb, fu incredibile: era vero, lì Naturals e Coordinators coabitavano senza che, come accadeva in quasi tutto il resto del mondo, quel posto fosse sfiorato dalla guerra anche solo per mezzo del pensiero. Tutti conducevano un’esistenza pacifica e serena, collaborando con l’ideologia nazionale affinché nessuno di loro potesse conoscere la sofferenza che devastava gli altri popoli. Sebbene continuassimo a ripeterci che quello Stato era continua fonte di guai, rimasi affascinato e, nel mio piccolo, sperai che un giorno quel modello di vita fosse esportato oltre i confini di quel luogo immacolato. Mi sentii sporco, perché, come soldato, pur non volendo creare problemi a quella gente, sapevo di dover comunque portare a termine la mia missione.

   Setacciammo l’isola, ma non trovammo prove che testimoniassero la presenza dell’Esercito della Federazione Atlantica. Infine, proprio quando stavamo per rinunciare, un richiamo familiare mi indusse ad alzare gli occhi al cielo: Tori, l’uccellino robot che avevo costruito per Kira tre anni prima. Dopo aver librato in aria per alcuni istanti, si posò sulla mia mano e, dall’altra parte della strada, oltre la rete che delimitava una base militare, scorsi la figura del mio vecchio compagno di giochi. Silenziosamente, sotto gli sguardi per nulla sospettosi dei miei compagni, gli andai incontro. Parlammo come se quella fosse stata la prima volta. Gli chiesi se l’uccello meccanico era suo e lui mi ringraziò, aggiungendo che a regalarglielo era stato il suo migliore amico. Quella frase mi colpì dritto al cuore: Kira, mio fratello, non mi aveva dimenticato.

   Qualcuno lo chiamò e vedemmo Cagalli correre nella nostra direzione, probabilmente perché mi aveva riconosciuto e temeva per lui. Mi affrettai a tornare dagli altri per paura che potesse tradirmi. Non lo fece. Lei, Kira ed io, pur sapendo la verità, ci fingemmo tre sconosciuti, dimostrando tutta la lealtà che avevamo gli uni verso gli altri.













Non avete la più pallida idea di quanto mi abbiate resa felice con le vostre ultime recensioni. *arrossisce* Davvero, mi auguro di non deludervi neanche in seguito e, anzi, mi piacerebbe riuscire sempre meglio con questa fanfiction e con le prossime che scriverò.
Lasciate perciò che vi ringrazi dal più profondo del cuore.
Shainareth
P.S. Gufo_Tave, dal momento che questa è una panoramica introspettiva del personaggio di Athrun, temo che per l'azione ci sia ben poco spazio, anche perché ritengo che diventerei davvero ripetitiva, visto che la storia la conosciamo già tutti, soprattutto nelle sue spettacolari battaglie. Probabilmente, comunque, mi terrò quel genere per la prossima long a cui sto già pensando. ^^





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Capitolo 10
*** 09. Nicol Amarfi ***





Nicol Amarfi




Avevo trovato la prova che l’Archangel si nascondeva a Orb. Avrei potuto andare via con gli altri non appena visto Kira in lontananza, ma se avessi agito in questo modo non me lo sarei perdonato: se davvero dovevo combattere una guerra contro di lui, volevo farlo onestamente. Fu anche per questo che mi feci avanti e andai a parlargli.
   Due giorni dopo, come avevo detto ai miei compagni che invece rimanevano scettici, il Bipede lasciò le acque territoriali di Orb e noi ci scagliammo contro di esso. Fu una battaglia devastante. Per tutti.
   Nicol Amarfi risultò essere il terzo miglior Rosso dell’accademia militare. Ovviamente, Yzak fingeva di detestare anche lui. Tuttavia, a differenza di me, Nicol era dolce e difficilmente rispondeva a tono alle provocazioni di quell’invasato dai capelli candidi come la neve. Era il più giovane del gruppo, e mostrava la propria natura gentile suonando il pianoforte. Inizialmente mi chiesi per quale ragione lui mi girasse sempre intorno, ma col tempo compresi: eravamo forse gli unici due che, pur sapendo quel che facevamo, cercavamo di trarne il minor dolore possibile per noi e per gli altri. Inoltre, credo che Nicol mi ammirasse, e questo, se da un lato alimentava la mia competizione con Yzak, dall’altro mi imbarazzava e, a volte, mi infastidiva. Ad ogni modo, egli rimaneva il solo abbastanza sensibile da capire l’orribile stato d’animo in cui mi trovavo ogni volta che scendevo sul campo di battaglia, e tutto senza ch’io gli avessi accennato qualcosa al riguardo. Gli ero grato per le sue attenzioni, e anche per il modo in cui prendeva puntualmente le mie difese contro i soliti litigi con Yzak e Dearka che sorgevano tutte le volte che esitavo a colpire lo Strike. Eppure, a modo suo, anche Nicol mi rimproverava, dimostrando di preoccuparsi per me, dimostrandosi l’amico di cui avevo bisogno, un sostegno, forse l’unico, che mi trattenesse dal perdermi dietro a tutte le incertezze che mi assalivano quando mi ritrovavo a dover affrontare Kira con le armi in pugno.
   Sono sicuro che avrebbe meritato molta più fiducia da parte mia, ma al tempo ero molto più introverso di quanto io non lo sia oggi. Se gli avessi raccontato tutto ciò che mi tormentava, lui di certo mi avrebbe capito. Scioccamente, però, mi resi conto di quanto la sua esistenza fosse importante per me soltanto quando essa giunse al termine. Per mano di quello stesso amico ch’io mi rifiutavo di uccidere.
   La superiorità dello Strike, e soprattutto del suo pilota, quando li affrontammo al largo di Orb si dimostrarono ancor più schiaccianti di prima. In pochi minuti appena, Kira riuscì a mettere fuori gioco il Buster e il Duel, e a costringere me e Nicol a riparare su un isolotto brullo e privo di quella vita che invece animava i nostri corpi di spirito combattivo, di rabbia, di disperazione. Lì ci affrontammo con i nostri Mobile Suits, lì spronai Kira a far fuoco contro di me, forse perché lo desideravo davvero, forse perché volevo che fosse lui, la persona che ancora mi considerava il suo migliore amico, a mettere fine ai miei tormenti, perché da solo sapevo che non ce l’avrei fatta, non contro di lui.
   Improvvisamente, l’energia dell’Aegis si esaurì, ed io rimasi alla mercé del mio avversario. Una parte di me sperava che l’affondo finale arrivasse una volta per tutte, e invece, proprio quando il colpo di grazia stava per liberarmi dagli affanni di quella guerra che ormai mi dilaniava l’anima, accadde qualcosa d’imprevisto. Qualcosa che pose fine all’amicizia fraterna che da due mesi mi impediva di combattere seriamente: il Blitz si lanciò contro lo Strike, e la spada che avrebbe dovuto uccidere me saettò nell’aria, tagliando di netto il Mobile Suit nemico, proprio all’altezza dell’abitacolo. Proprio dal posto in cui Nicol mi urlava di mettermi in salvo.
   Il Blitz esplose, e con esso anche i sogni di un ragazzino di quindici anni, gentile come pochi altri, eppure abbastanza determinato da risultare un soldato migliore di me.













Quando vidi la morte di Nicol, ci rimasi non male: di più. Non so se sono stata in grado di rendere con le parole adatte il dolore di Athrun, me lo direte voi nel prossimo capitolo.
Ringrazio tutti coloro che hanno letto e/o commentato la mia ultima shot: ogni tanto ho bisogno di staccare dal cervello di Athrun o rischio di andare in tilt anch'io come lui. E non ho la minima intenzione di diventare così! O_O
Al momento sono impegnata con la stesura della seconda parte di questa long, quella inerente a Destiny, e devo dire che ci sto prendendo gusto a vivisezionare la materia grigia di questo scemotto di cui mi sto occupando. Solo... mi sono resa conto che mi risulterà tremendamente difficile mettere ordine fra i suoi pensieri durante e dopo l'incontro con Kira, Cagalli e Miriallia a cavallo fra gli episodi 24 e 25: eppure, in barba a tutti gli insulti che gli gridai contro la prima volta che vidi la serie, oggi mi sono resa conto che invece il suo ragionamento non fa una piega, e anzi le azioni più insensate sembrano quasi essere quelle intraprese da Kira e Cagalli. Porgo quindi le mie scuse ad Athrun per averlo definito, oltre che deficiente, anche un c******e fatto e finito. (E dire che lo adoro! XD) La sua unica colpa, invece, è l'essere stato ingenuo a fidarsi di Dullidal che, invece, ha giocato abilmente le sue carte, facendo leva sul senso di giustizia del nostro eroe.
Basta, mi sono dilungata troppo.
Grazie ancora per l'appoggio. ^^
Shainareth





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Capitolo 11
*** 10. GAT-X303 Aegis ***





GAT-X303 Aegis




Per la prima volta in vita mia, sentii di odiare qualcuno. Sentii di odiare Kira.

   In realtà, me ne rendevo conto, odiavo me stesso: era colpa mia se Nicol era morto. Se io fossi stato più deciso, se io avessi mostrato la mia vera forza, avrei potuto evitare quella tragedia. Additato da Yzak come l’assassino di un nostro compagno e stringendo l’uniforme del mio unico amico in ZAFT, giurai a me stesso che avrei espiato le mie colpe uccidendo la fonte di tutta quella sofferenza. E, nella completa mancanza di lucidità che seguì, non mi resi minimamente conto che, perdendo anche Kira, avrei raddoppiato il mio dolore.

   Durante lo scontro successivo, per la prima volta non ebbi la minima esitazione e mi scagliai con violenza inaudita contro colui che, invece, fino a poco tempo prima avevo cercato, in qualche contorto modo, di difendere. La rabbia e il rancore generati dalla sofferenza che io, Dearka e Yzak provavamo non avrebbero potuto alleviarsi se non quando quel dannato Strike e la nave a cui ormai da troppo tempo stavamo alle costole non fossero andati distrutti.

   Poco prima che la morte scendesse sulla nostra squadra, mentre rimuginavo sulle parole che Kira mi aveva detto a Orb e su quella ragazza dai capelli biondi che avevo rivisto lì e che non riuscivo a togliermi dalla testa, Nicol mi aveva raggiunto sul ponte del sottomarino su cui avremmo teso l’imboscata, entusiasta delle novità che Madre Natura offriva sulla Terra a noi che non ne avevamo mai calcato il suolo. Non avevo molta voglia di perdermi a guardare il mare, eppure i miei occhi rimanevano incollati su quella linea impercettibile che separa l’azzurro del cielo da quello più scuro dell’oceano. Nicol non aveva dato peso al mio umore capriccioso e, forse sperando di distrarmi dai miei tetri pensieri, si era seduto con me a godersi il sole e l’aria pulita. D’un tratto gli avevo chiesto del perché si fosse arruolato, e lui mi aveva risposto con un sorriso: com’era stato per me, anche lui aveva sentito il bisogno di fare qualcosa per PLANT.

   Quel qualcosa, alla fine, si era rivelato essere il sacrificio supremo. Per salvare me.

   Urlai con tutte le mie forze, durante il mio ultimo combattimento contro lo Strike, come se i miei furiosi ruggiti potessero dare maggior vigore ai miei colpi. Non mi risparmiai, lo dovevo a Nicol e ai miei compagni, lo dovevo a chi ancora aveva fiducia nel soldato Zala. Lo dovevo a me stesso e al mio bisogno insensato di sfogarmi: avrei preferito essere in grado di piangere, ma non ci riuscivo. Kira ne pagò le conseguenze, prima psicologiche e poi fisiche.

   Senza che potessi evitarlo, uccisi un suo amico. In realtà non ne avevo l’intenzione, così come probabilmente Kira non voleva uccidere Nicol. Eppure, entrambi ci ferimmo nello stesso modo ed entrambi fummo accecati dai medesimi, maledetti sentimenti negativi che ci portarono ad un punto di non ritorno.

   Entrambi raggiungemmo uno stato mentale di totale annebbiamento: l’unica cosa che volevamo, era distruggerci a vicenda, mettendo la parola fine a quella nostra guerra personale.

   Una delle particolarità dell’Aegis era costituita dal suo potersi trasformare, agganciando e bloccando l’avversario. Impossibilitato a muoversi, quest’ultimo poteva essere finito dal cannone Scylla posizionato al centro di questa trappola mortale.

   Fu così che cercai di distruggere lo Strike, ma l’energia del mio Mobile Suit si esaurì del tutto: il Cielo aveva deciso di darmi un’altra possibilità, speranzoso forse ch’io rinsavissi e cambiassi idea. Non lo feci. Anzi, risolsi subito di azionare il meccanismo di detonazione; quindi, evitando di perdere tempo, abbandonai codardamente l’abitacolo dell’Aegis e, senza neanche un addio al mio amico di un tempo o alla mia unità, voltai loro le spalle e volai via per mezzo dei propulsori che avevo sulle spalle.

   Le ultime cose che vidi e che sentii mentre libravo in aria, prima di perdere a lungo i sensi, furono una luce incandescente ed un enorme boato. Dopo, il buio più totale.













Spero di cuore di essere riuscita a descrivere in modo adeguato lo stato d'animo di Athrun in quello che, credo, sia stato uno dei suoi momenti più difficili durante la Prima Guerra del Bloody Valentine. Nel qual caso avessi fallito, chiedo perdono ai lettori e, anzi, li invito a farmi notare i miei errori.
Grazie a tutti voi che continuate a seguire questa storia.
Shainareth





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Capitolo 12
*** 11. Sopravvivere ***





Sopravvivere




Quando ripresi conoscenza, i miei occhi furono investiti della luce del sole al tramonto. Nel torpore del momento, però, mi convinsi che fosse quella dell’alba e non appena mi misi a sedere sul letto su cui avevo passato chissà quante ore, col braccio sinistro appeso al collo e poche altre contusioni, compresi il perché: con me c’era la Principessa di Orb, Cagalli Yula Athha. Il suo sguardo era a metà fra l’odio ed il dolore. Mi rivolse contro una pistola ed io non ne capii il motivo. Anzi, non capivo neanche dove mi trovassi. Restando a debita distanza, lei mi spiegò che ero stato soccorso da Orb e che ora, non potendomi far entrare nel loro territorio, mi trovavo a bordo di uno dei loro apparecchi in mezzo all’oceano. Domandai a me stesso perché fossi vivo e, fissando la canna dell’arma che Cagalli stringeva nel pugno quasi con un morboso desiderio di morire, lo domandai anche a lei. Pretese di sapere dove fosse Kira. Fu allora che la realtà tornò ad investirmi con prepotenza, illuminandomi finalmente circa quel vago senso di smarrimento che mi dilaniava l’anima e che, sulle prime, non ero riuscito ad attribuire a niente di definito.

   Avevo ucciso Kira.

   Glielo ripetei due volte, forse per convincere me stesso di quello che avevo fatto. Cagalli si avventò su di me, intenzionata a non abbassare la pistola e, anzi, puntandomela sempre più vicino. Gridava e piangeva. Lo stato confusionale in cui versavo in quel momento mi impedisce di ricordare nel dettaglio quanto dissi o feci. Quasi certamente le raccontai della mia amicizia con Kira, dell’affetto che mi aveva legato a lui per così tanti anni. Due cose sole, tuttavia, non potrò mai dimenticare: il dolore che mi distruggeva il cuore e le parole che la mia salvatrice mi urlò contro, disperata quasi quanto me. Quando motivai le mie ragioni, a giustificazione dell’atrocità che avevo commesso, mi sentii quasi un bambino, vulnerabile allo stesso modo. Cagalli mi ingiuriò e mi aprì gli occhi dinanzi ad una solenne verità. Kira aveva ucciso Nicol, io avevo ucciso un amico di Kira; infine, pieno di astio verso il mondo, avevo riversato le mie sofferenze su Kira, ammazzando anche lui.

   Perché doveva essere ucciso anche Kira? Perché, se era una persona meravigliosa? Perché, soprattutto, doveva essere ucciso da un suo amico? Uccidere qualcuno perché ha ucciso… Non era forse così che si veniva a creare quella maledetta catena che alimentava giorno dopo giorno la guerra che tutti noi odiavamo?

   Mi ritrovai col volto fradicio di lacrime, riscoprendomi finalmente ancora capace di piangere. Di piangere le morti di Nicol e di Kira, di piangere per lo stato miserabile in cui mi trovavo, detestando me stesso più di ogni altra cosa. Probabilmente, se non mi tolsi la vita dopo quanto avevo fatto, lo devo a Cagalli, meravigliosa contraddizione della natura che giurava di voler mettere fine a quel circolo vizioso di uccisioni minacciandomi con la sua pistola e dimostrandosi umana esattamente come lo ero io. Alla fine, quando non fui più in grado di parlare perché distrutto nel corpo, nel cuore e nella mente, Cagalli abbassò l’arma e, tenendomi ancora stretto, più per la necessità di un sostegno che per impedirmi la fuga, iniziò a singhiozzare insieme a me, contro la mia spalla, condividendo buona parte del mio stato d’animo.

   Non ho idea di quanto tempo passò prima che i miei compagni venissero a prendermi. Quando successe, comunque, mi resi conto di essere esausto più di prima: la testa mi scoppiava ed ogni mio muscolo sembrava voler gridare. Un intontimento generale mi confondeva le idee ed io mi sentivo completamente smarrito. Non riuscivo a pensare a niente. Ebbi la vaga sensazione che Cagalli mi stesse chiamando, ma fu solo quando le sue mani mi aiutarono a mettermi in piedi che riuscii di nuovo a guardarla negli occhi: non vi era più traccia di odio, solo una profonda tristezza, la stessa che lei poteva leggere nei miei. Non fui in grado di ringraziarla, non ero del tutto convinto che avesse fatto la cosa migliore a lasciarmi in vita. E lei, forse per ripicca o forse per estrema bontà, al momento dell’addio mi sorprese per l’ennesima volta da che ci eravamo conosciuti, mettendomi al collo una pietra, un amuleto sacro alla dea Haumea, molto cara al suo popolo.

   «Ti proteggerà», fu questo che mi disse per spiegare il suo gesto.

   «Anche se ho ucciso Kira?»

   «Io voglio che non muoia più nessuno.»

   Dentro di me si accese una tenue luce: dovevo sopravvivere.

 

Ci pensò Yzak a venirmi a prendere. Non appena mi vide, mi insultò e stavolta non ebbi niente da obiettare. Gli dissi subito che avevo distrutto lo Strike, vendicando così Nicol e la cicatrice che ancora gli sfregiava il volto. Per la prima volta, Yzak mi rivolse un sorriso. Sincero.

   Mi portarono a Carpentaria e mi tennero in ospedale per un po’, benché non ve ne fosse reale bisogno. Nella solitudine della degenza, con gli occhi della mente continuavo a ripercorrere gli ultimi avvenimenti che mi avevano trascinato in quello stato di apatia: non ero altro che un guscio vuoto e ammaccato. Eppure quel poco che era rimasto di me continuava insistentemente a girare attorno a due sole figure: Kira e Cagalli, colpevoli di aver messo di colpo in discussione ogni mia certezza. Riguardo la guerra, riguardo la vita, riguardo me stesso.

   Rividi il Capitano La Klueze. Venne a trovarmi e mi portò due notizie: la prima, che mio padre, Patrick Zala, era stato eletto come nuovo Presidente di PLANT; la seconda, che, grazie alla mia ultima, eroica impresa, mi avevano insignito dell’Ordine della Nebulosa. Il Capitano si congratulò con me e si disse dispiaciuto per aver perso la mia collaborazione, perché ormai anch’io ero diventato un pezzo grosso all’interno dell’Esercito e lui non poteva più avvalersi del diritto di avermi sotto ai suoi ordini. Accolsi le sue chiacchiere senza provare reale interesse: avevo ammazzato il mio migliore amico, e loro mi premiavano con una medaglia. Avrei davvero potuto esserne fiero?

   Una volta dimesso, mi fu concesso di tornare a casa. Mentre ero sullo shuttle, aprii la valigia in cui avevo sepolto quel macabro premio, simbolo d’orgoglio per chiunque meno che per me. La sua vista quasi mi ripugnava. Volsi la mia attenzione al finestrino ed il mio sguardo si perse nel buio dello spazio aperto finché quello che credetti un lampo mi risvegliò dagli incubi: un Mobile Suit che non avevo mai visto prima, di una velocità inaudita, si dirigeva verso la Terra.

   Si trattava di una stella cadente portatrice di speranza, ma questo lo avrei saputo soltanto dopo.













Questa dello scontro fra Athrun e Cagalli trovo che sia una delle scene più belle e toccanti di tutta la serie. Adoro Athrun che si danna per ciò che ha fatto e adoro Cagalli che vorrebbe vendicare Kira ma sa che non è giusto farlo e che, anche se fosse, non può perché capisce che la persona che le sta di fronte è come se fosse morto col suo amico. Stupenda davvero. E non solo perché tratta di due dei miei personaggi preferiti.
Mi permetto due righe per prendere in considerazione la recensione di NicoDevil: ma sul serio sei convinta di ciò che hai scritto? Non sarò io a risponderti, ma la Cagalli dell'ultimo episodio di Gundam SEED, quando ha fermato il suicidio di Athrun: «Non scappare! La vita è una battaglia!» Vale a dire che, come lei, trovo che ci voglia molto più coraggio nel continuare a vivere in quelle condizioni che nel cercare la morte per porre fine alle proprie sofferenze.
Grazie come sempre a tutti i lettori e a chi mi lascia due parole di critica o di incoraggiamento. ^^
Shainareth





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Capitolo 13
*** 12. Lucidità ***





Lucidità




Quando giunsi a destinazione, mi diressi subito al palazzo del Consiglio dove avrei potuto incontrare mio padre. Prima che potessi farlo, però, uno dei miei istruttori dell’accademia, l’Ufficiale Ray Yuki, mi informò di qualcosa che mi strappò bruscamente dallo stato catatonico in cui ero crollato: Lacus Clyne aveva tradito la Nazione. Lì per lì fui quasi certo di aver capito male.

   Il pensiero di Lacus, che probabilmente avrebbe dovuto essermi di conforto durante le ultime, terribili ore da me vissute, al contrario non mi aveva sfiorato nemmeno una volta. Attribuii questa mia ennesima indelicatezza nei suoi riguardi alla consapevolezza che su PLANT non avrebbe corso rischi, che lei e la guerra non si sarebbero incontrate ancora. Ovviamente mi sbagliavo. Su tutto.

   Quando vidi mio padre, stava discutendo animatamente con alcuni dei suoi stretti collaboratori a proposito del fallimento dell’Operation Spit Break, e cioè quella che avrebbe dovuto essere la mossa vincente del suo nuovo Governo e che invece si era dimostrata un totale disastro a causa di un doppio gioco da parte delle spie terrestri e di quelle delle colonie. Mentre io facevo ritorno su PLANT, il nostro Esercito si era deciso a dispiegare il maggior numero delle forze in un attacco a sorpresa contro il Quartier Generale di Josh-A, in Alaska, perché sapevamo che l’Alleanza si aspettava un assalto a Panama e pertanto la gran parte delle loro unità si sarebbe posizionata lì, a inutile difesa di un qualcosa che non sarebbe mai stato preso d’assalto. Credevamo perciò che avremmo conseguito una vittoria schiacciante. Tuttavia, accade l’imprevedibile: in Alaska erano state stanziate unicamente le forze dell’Eurasia e quelle navi e quei soldati che alla Federazione Atlantica non servivano più. Tutti gli altri erano fuggiti, mettendo in atto uno dei più simbolici e spietati genocidi di quella guerra: sotto il Quartier Generale era stato allestito un Cyclops System, capace di polverizzare tutto ciò che si trovava lì nel raggio di circa dieci chilometri. Attivandolo, la Federazione sperava di metterci in ginocchio e, avvalendosi al contempo della collaborazione dei Blue Cosmos, di eliminare chiunque osasse contrastarla anche all’interno della stessa Alleanza Terrestre. Tanta fredda, impassibile spietatezza mi lasciò allibito.

   Rimasti soli, mio padre mi comunicò che il mio fidanzamento con Lacus Clyne era stato rotto, poiché lei e la sua famiglia avevano voltato le spalle a tutti: non c’era alcun dubbio, mi disse, che i traditori che avevano mandato a monte l’operazione in Alaska fossero loro. Andavano perciò arrestati insieme alle persone che li appoggiavano, a cominciare da Eileen Canaver, membro moderato di spicco del Consiglio. Mi azzardai a chiedere spiegazioni riguardo a Lacus e mio padre mi mostrò la prova oculare di quanto era accaduto: avvalendosi della propria posizione, si era introdotta con un giovane in uniforme nelle aree militari segrete dell’industria bellica di ZAFT, e lì aveva consegnato allo sconosciuto una delle due nuove armi che avrebbero dovuto mettere fine con la forza a quella dannata guerra. Si trattava di un Mobile Suit costruito sulla base degli X-numbers che avevamo trafugato a Heliopolis, con la differenza che questo, lo ZGMF-X10A Freedom, era alimentato ad energia nucleare e, pertanto, superava di gran lunga le unità costruite a Morgenroete. Quella notizia risultò essere l’ennesimo campanello d’allarme che da giorni tentava disperatamente di avvisarmi della grave situazione di pericolo in cui ci trovavamo. Tutti, nessuno escluso.

   Mi era perciò stata affidata una nuova missione: recuperare il Freedom ed uccidere chiunque fosse venuto in contatto con esso. Mi parve una follia, eppure, nella confusione del momento, accettai. Il padre di Nicol, che si era occupato della progettazione di quell’unità, mi assegnò la seconda arma munita di Neutron Jammer: lo ZGMF-X09A Justice. Parlare con quell’uomo si rivelò straziante, perché mi ritenevo ancora responsabile della morte di suo figlio. Ad ogni modo, lui non me ne fece mai una colpa: eravamo in guerra, dopotutto, e Nicol sapeva bene a cosa sarebbe andato incontro quando aveva messo piede in accademia.

   Avendo ricevuto qualche ora di respiro prima di gettarmi di nuovo in quell’insensata carneficina che andava avanti da più di un anno, decisi di recarmi a casa di Lacus. Com’era prevedibile, la trovai deserta: gli uomini di mio padre avevano messo ogni cosa a soqquadro nel tentativo di capire come diavolo avessero fatto, lei e la sua famiglia, a fuggire. Dentro di me, seppur con imperdonabile ritardo, cominciai finalmente a sentire quell’affetto che avrebbe dovuto nascere molto tempo prima, e non certo a causa della nostalgia, del rimpianto e del disordine mentale: volevo bene a Lacus, molto. Il solo pensiero che lei potesse aver tradito così impunemente la nostra patria, e ancor più quello che avrebbero potuto ucciderla per questo, si rivelò inaccettabile. Lacus Clyne era una delle persone migliori ch’io avessi mai conosciuto, e sebbene il nostro fidanzamento per certi versi mi sembrasse più una prigione che un premio, mai avevo dubitato che, sposando lei, avrei condotto comunque un’esistenza felice.

   Conoscendola di certo meglio di chi le stava dando la caccia, mi sovvenne di cercarla nel teatro in cui lei aveva cantato all’esordio della sua carriera di idol, primo e dolce ricordo di una serenità passata che non riuscivo in alcun modo a vedere più nel nostro futuro. La trovai lì per davvero, bella come non lo era mai stata prima di allora. Mi accolse intonando una melodia di pace e fratellanza, che così tanto strideva con quello che stava accadendo al di fuori di quelle mura. Risoluto nel chiederle spiegazioni, la affrontai. Confessò ogni cosa, e senza smettere di sorridere. Come soldato, fui costretto a puntarle la pistola contro, ma la mia mano tremava visibilmente perché sapevo in partenza che non avrei premuto il grilletto: tutto ciò che stavo facendo, era ripararmi dietro quell’arma perché capivo che in quel momento Lacus era più forte di me.

   Le domandai il motivo per cui aveva rubato il Freedom, e lei mi rispose che lo aveva fatto affinché Kira potesse avere una nuova spada per combattere. Sentii il cuore mancare un battito: Kira Yamato, il fratello che credevo di aver ucciso, era miracolosamente riuscito a sopravvivere.

   E mentre la mia mente piombava di nuovo nel caos più completo, Lacus decise di darmi il colpo di grazia, chiedendomi la vera ragione per cui stavo combattendo: per la medaglia che avevo ricevuto?, per gli ordini di mio padre? Possibile, insistette, che non mi fossi accorto di nulla, che non avessi capito che l’uomo che adesso guidava la nostra Nazione era diventato un guerrafondaio che avrebbe spremuto l’Esercito fino a che l’Alleanza Terrestre non si fosse arresa o, in alternativa, non fosse stata annientata? Forse un tempo PLANT aveva avuto le sue buone motivazioni per cominciare quella guerra. Ora non ne aveva nessuna per continuarla.

   Prima che i suoi fedeli seguaci venissero a portarla via, Lacus mi avvertì di un’ultima cosa: se avessi scelto di rimanere dov’ero, avrei dovuto combattere nuovamente contro Kira, e questa volta uno di noi due sarebbe morto di sicuro. Inoltre, lui non sarebbe stato il mio unico nemico, perché anche quella che ormai era diventata la mia ex-fidanzata si sarebbe schierata dalla sua parte.













Per quanto io sia fangirl, rivedendo la serie di recente, mi sono resa conto che, effettivamente, Athrun forse stava cominciando a provare qualcosa per Lacus. Tuttavia, credo che si trattasse di un sentimento ormai inutile, perché non nasceva dalle motivazioni giuste e, soprattutto, non poteva essere più ricambiato.
Intanto proseguo con la mia battaglia contro Destiny: già la prima volta che lo vidi non mi parve affatto brutto come descrivevano i fan, ma col tempo mi feci influenzare dalle idee altrui e mi convinsi che si trattasse di un prodotto inferiore alla serie che lo aveva preceduta. Rivedendolo ora, mi rendo conto che la prima impressione da me avuta era vera, e cioé che Destiny vale molto. Potrà sembrare "più brutto" unicamente perché fa vivere emozioni meno forti rispetto a quelle di SEED, ma la storia merita comunque moltissimo, specie ora che sto comprendendo meglio il personaggio di Athrun e che posso del tutto scagionarlo da tutte le accuse che gli avevo mosso contro mesi fa (ero troppo condizionata dal mio essere fangirl di Cagalli, sigh!).
Grazie come sempre a chi legge, a chi recensisce e a chi mi lascia un'opinione in privato. ^^
Shainareth
P.S. NicoDevil, scusa se te lo faccio notare, ma il tuo discorso è alquanto incoerente: sei contro il suicidio, ma dici che Athrun è un vigliacco perché non si è ucciso con Kira? XD Va beh, lasciamo perdere. Avremo modo di picchiarci meglio la prossima volta che ci vedremo. XD





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Capitolo 14
*** 13. Amicizia ***





Amicizia




Mentre le idee, pur confuse, alla notizia che Kira era ancora vivo e che si trovava sulla Terra, cominciavano lentamente a cercare un modo per sposarsi le une con le altre, smettendola così di farmi impazzire, tornai ad indossare la mia tuta da pilota e misi per la prima volta piede all’interno del Justice, la mia nuova unità. Non riuscivo a capire cosa avesse in mente di fare Kira, sapevo solo che, dopo la mia discussione con Lacus, avevo bisogno di verificare come stavano le cose con i miei stessi occhi. Non dubitavo del fatto che, sentendomi sempre più calmo ad ogni respiro, avrei potuto in futuro prendere la decisione migliore, ma al momento dovevo soltanto stare fermo ad osservare per comprendere Kira. E me stesso.

   Partii da solo, gettando nel fondo di un cassetto quella fastidiosa medaglia che adesso non aveva certo più valore di una patacca tirata a lucido, e mi diressi verso la Terra esattamente come aveva fatto il Freedom che avevo visto dallo shuttle quando ero tornato su PLANT. Mi era stato ordinato di riportarlo indietro, ma nell’incertezza che ancora mi teneva prigioniero, preferii rimandare ed entrai nell’atmosfera nella zona dell’Alaska, lì dove una grossa parte del nostro Esercito aveva perso ingiustamente la vita. Non trovai nulla. Nulla che testimoniasse la presenza dell’uomo. Al posto del Quartier Generale di Josh-A vi era la conca di un enorme cratere sul cui fondo giaceva un lago tondeggiante di nuova formazione. Dinanzi a quella desolazione, mi venne spontaneo chiedermi se per me fosse possibile comprendere la contorta logica della Federazione Atlantica: non volevano che noi Coordinators prendessimo possesso dei loro territori – cosa che difficilmente avremmo fatto, dato che PLANT non aveva mire espansionistiche – eppure non si facevano scrupoli a distruggere con le proprie mani la Terra che tanto dicevano di amare. Ad ogni modo, sapevo che Kira non era lì. Avrei cercato altrove.

   Attraversai ad elevata quota l’Oceano Pacifico senza intoppi, dal momento che le forze dell’Eurasia erano state decimate, e puntai al largo di Orb, esattamente lì dove credevo di aver commesso la mia ultima gloriosa, quanto poco geniale, azione di guerra a bordo del mio vecchio Mobile Suit. Non feci fatica per ritrovare l’isolotto su cui lo avevo fatto saltare in aria, e subito atterrai. Scesi dal mio nuovo mezzo e con estrema solitudine mi aggirai fra i resti scoloriti e bruciacchiati dell’Aegis, ridotto in pezzi a causa della detonazione. Dello Strike, invece, non vi era alcuna traccia.

   Camminando in quel cimitero di acciaio e di antichi, inutili rancori, trovai dei bambini: erano gli orfani di cui si prendeva cura il Reverendo Malchio, ambasciatore di PLANT sulla Terra, molto vicino alla famiglia Clyne. Mi accolse nel posto in cui viveva e mi raccontò di come aveva trovato Kira svenuto davanti casa, probabilmente sbalzato lì a causa dell’esplosione. Sullo schermo del televisore che non poteva vedere perché cieco, stavano scorrendo delle immagini che mi lasciarono sconvolto: l’Alleanza Terrestre aveva dichiarato guerra a Orb perché era convinta che quest’ultima fosse in combutta con ZAFT. Non era vero, ma alla Federazione serviva un pretesto per impadronirsi del loro Mass Driver poiché quello di Panama era stato straordinariamente distrutto dal nostro Esercito per impedirle di tornare nello spazio.

    Non potei trattenermi oltre e mi affrettai a raggiungere il campo di battaglia: Orb, nazione neutrale, finiva immancabilmente per essere accusata da una fazione o dall’altra di collaborare con il nemico. Sorvolai l’area circostante e quel che vidi mi fece male. Tornai preda dei ricordi più tristi e significativi degli ultimi giorni e presi la mia decisione: mi gettai nella mischia, a difesa di Orb. Ulteriore motivo che mi spinse a questo gesto fu la vista del Freedom che stava combattendo contro l’Alleanza. Ne dedussi che, almeno in quel frangente, Kira non era mio nemico.

   Quando gli feci da scudo contro tre nuovi Mobile Suits di ultima generazione dispiegati dalla Federazione, mi palesai a lui e gli chiesi di confermarmi la sua identità. Mi rispose domandandomi cosa diavolo significasse la mia presenza lì, se ZAFT aveva intenzione di prendere parte a quel combattimento o meno. Lo rassicurai: non avevo ricevuto disposizioni al riguardo, ero intervenuto solo perché, per una volta, ero stato io a volerlo. Da quel momento in poi, mi riscoprii capace di usare la testa per conto mio. E la cosa mi creava persino un certo senso di soddisfazione.

   Poco dopo il mio arrivo, le navi dell’Alleanza lanciarono il segnale di ritirata ai tre Mobile Suits, e noi tirammo un sospiro di sollievo. Comunicai a Kira la verità: mi era stato dato ordine di recuperare o, in alternativa, distruggere il Freedom. Tuttavia, non avevo alcuna intenzione di farlo. Tutto ciò che volevo era seguire l’ultimo consiglio che mi aveva dato Lacus prima di salutarmi, e cioè parlare con lui. Accettò.

   Atterrammo, e mentre ci calavamo giù dalle nostre unità, un nugolo di soldati di Orb – tra i quali spiccava la figura di Cagalli – ci circondò e mi puntò le armi contro. Non potevo biasimarli. Kira assicurò loro che non ero un nemico. Gliene fui grato. Di certo, non perché così mi toglieva dai guai, quanto per quella sua semplice convinzione. Avanzammo lentamente l’uno verso l’alto, gli occhi negli occhi, decisi a chiarire ogni cosa una volta per tutte. Ci fermammo a pochi passi di distanza e per un attimo mi sembrò che, nonostante tutto, tra di noi non fosse cambiato nulla, che fossimo ancora gli stessi ragazzini che si erano salutati a Copernicus City tre anni prima. Sbucato dal nulla esattamente come aveva fatto durante il nostro ultimo, pacifico incontro, Tori spiegò le sue ali e si poggiò sulla spalla del suo padrone. Quest’ultimo mi sorrise, e quando udii Cagalli urlarci che eravamo dei deficienti, mentre slogava il collo di entrambi nel tentativo di racchiuderci in un unico abbraccio, non potei fare a meno di impedire alle mie labbra di ricambiare quella semplice, tenera manifestazione d’affetto: quell’amicizia che credevo ormai finita sarebbe invece durata in eterno.













Vi informo che sono arrivata a scrivere la parte più difficile in assoluto: l'incontro a Creta, nella seconda serie, fra Athrun, Kira e Cagalli. Quello è il punto in cui, durante la prima visione, diedi addosso da morire ad Athrun, ed è anche lo stesso in cui, dopo la seconda visione, posso dichiararlo del tutto innocente. Mi picchierei da sola, perché, per quanto sappia che quello che segue la ragione è lui, mi lascio sempre vincere dai sentimenti e fatico a delineare in modo esatto i suoi pensieri. Se dovessi sbagliare quel capitolo, vi autorizzo a bacchettarmi. Ma so già che non lo posterò se prima non lo avrò visto, rivisto e stracorretto un miliardo di volte. Odio essere pignola, sigh! E se ripenso a tutte le imprecisioni commesse nelle altre ottanta e passa storie da me scritte sulla serie, mi metto le mani nei capelli perché non ho idea da quale cominciare a correggere.
Grazie a chi legge e a chi commenta questa long e le shot che, di tanto in tanto, mi diverto a scrivere per prendere in giro i miei personaggi preferiti.
Shainareth





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Capitolo 15
*** 14. Dearka Elthman ***





Dearka Elthman




Kira ed io parlammo a lungo in presenza di Cagalli e sotto gli sguardi attenti dei membri dell’Archangel, tra i quali c’erano Murrue Ramius, la donna che avevo incontrato insieme a Kira su Heliopolis e che aveva la carica di Comandante della nave, ed il Maggiore Mwu La Fllaga, asso dell’aviazione ed eccellente pilota di Mobile Armor. Si trovavano lì perché anche loro avrebbero dovuto essere spazzati via insieme alle forze dell’Eurasia a Josh-A. Perciò, avvertiti in tempo dal Maggiore che aveva avuto la casuale fortuna di scoprire l’esistenza del Cyclops System, erano fuggiti, diventando disertori, e si erano rifugiati a Orb dove, disgustati, avevano deciso di non schierarsi più con l’Alleanza Terrestre.

   Dopo lo scontro in cui distrussi diligentemente l’Aegis e lo Strike – quest’ultimo, invero, era stato recuperato e riparato a Morgenroete, e ora era stato affidato al Maggiore La Fllaga dopo che vi era stato installato un sistema operativo creato da Kira e capace di essere utilizzato anche dai Naturals – non ero stato il solo a non tornare subito a Carpentaria: Dearka Elthman era stato costretto alla resa ed era stato fatto prigioniero all’interno del Bipede. Liberato in seguito all’ammutinamento della nave, Dearka aveva scelto di allearsi momentaneamente con loro per la difesa di Orb: dopotutto, che fosse o meno ancora un soldato di ZAFT poco importava, visto che i suoi nemici non erano cambiati.

   Se devo essere sincero, mi sorprese. Avevo conosciuto Dearka in accademia, e sebbene era risultato essere un Rosso come me, Yzak e Nicol, non aveva mai brillato particolarmente. Beh, non quanto noi tre, per lo meno. Visto il suo carattere allegro e spensierato, mi ero spesso chiesto come diavolo facesse ad essere molto amico di Yak che, a prima vista, sembrava il suo esatto opposto. Con me, comunque, non si era mai comportato troppo male, salvo qualche sarcastica battuta che a volte non risparmiava neanche a Yzak. Di sicuro, fra loro due era lui quello più ragionevole, tanto che mi era possibile parlarci senza litigare. A testimonianza della sua indole tranquilla, oltretutto, c’era il fatto che aveva deciso di scendere in campo per proteggere chi, pur nella prigionia, lo aveva trattato con un certo riguardo.

   Si trattava di una ragazza, Miriallia Haww, addetta al CIC – Combat Information Control – dell’Archangel. L’amico di Kira che io avevo ucciso durante il mio ultimo scontro con il Bipede era il suo innamorato. Miriallia, non sapendolo, si era inizialmente scagliata contro Dearka, credendolo colpevole, ma poi, svanita la rabbia, aveva finito per difenderlo da una sua compagna che invece aveva davvero avuto intenzione di ammazzarlo: come Cagalli, anche lei era convinta che la vendetta non portasse a nulla di buono e che, anzi, finisse soltanto col peggiorare le cose. Infine, esattamente come la Principessa di Orb aveva fatto con me, Miriallia si era presa in qualche modo cura di lui, e Dearka, commosso dalla sua sensibilità e dalla disperata situazione in cui ormai si trovava tutto l’equipaggio, aveva deciso di dare un colpo di spugna ai vecchi dissapori, perché aveva compreso una fondamentale verità che purtroppo ancora in troppi, su PLANT e sulla Terra, si rifiutavano di ammettere: fra Naturals e Coordinators non vi era alcuna differenza, poiché tutti eravamo capaci di ridere e di piangere, di amare e di odiare nello stesso, identico modo.

   Colpito dall’esempio suo e da quello di Kira, nonché dalle parole di Uzumi Nara Athha che auspicava un mondo libero da quei folli pregiudizi di disuguaglianza in cui invece credeva il mio povero padre, accettai di sposare la loro causa. Avrei combattuto al loro fianco. Lo dovevo a Kira, a Orb, e alla ragazza di nome Cagalli che, lasciandomi in vita, mi aveva concesso quella possibilità di riscatto.

   Vedendola gironzolare sempre intorno a me, ne approfittai finalmente per ringraziarla. Mi rispose che non era necessario, perché in un certo qual modo avevo già espresso la mia gratitudine. Lì per lì non capii se a causa della confusione del nostro ultimo incontro avevo rimosso dalla memoria quel momento o se lei si stesse piuttosto riferendo alla mia decisione di schierarmi dalla loro parte. Si disse inoltre contenta, perché Kira era vivo ed io non avevo più alcuna ragione per odiare me stesso.

   Dopo averci dato un ultimatum che non potevamo accettare – l’alternativa era siglare un accordo con lei ed inimicarci ZAFT – l’Alleanza Terrestre sferrò infine il suo ultimo attacco, ma non ci colse impreparati. Prima che potesse fare qualcosa di concreto, l’Archangel salpò verso lo spazio, seguita dalla Kusanagi, una nave che un tempo fungeva da collegamento fra Orb e la colonia di Heliopolis, dal Freedom e dal Justice: Orb, destinata a crollare, dopo essere stata evacuata veniva ora abbandonata dal grosso delle sue forze militari, mentre il Delegato Athha, salutata per sempre l’adorata figlia, decideva di morire insieme ai segreti di Morgenroete e al Mass Driver che tanto facevano gola a quei farabutti che li avevano costretti a quel gesto estremo.













E credo, con Dearka, di aver presentato tutte le persone che, almeno nella prima serie, hanno avuto importanza nella vita di Athrun. Se doveste accogervi che ho dimenticato qualcuno, o se dovessi aver omesso qualcosa riguardo a ciò che ha vissuto il protagonista di questa storia, vi prego di farmelo sapere così ch'io possa porvi rimedio. ^^
Ringrazio i lettori e tutti quelli che mi lasciano due righe, che sia qui o in merito alle altre shot che scrivo di tanto in tanto. ♥
Shainareth





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Capitolo 16
*** 15. Kira e Cagalli ***





Kira e Cagalli




Una volta fuori dall'atmosfera terrestre, quando ormai eravamo sicuri che l’Alleanza non ci avrebbe inseguiti fin lì per la mancanza di un Mass Driver, io e Kira rientrammo con i nostri Mobile Suits all'interno della Kusanagi e ci dirigemmo di gran carriera da Cagalli. Se ne stava chiusa nella sua cabina, sola con il suo dolore. Quando Kira aprì il portello automatico che ci separava da lei, la trovammo seduta sul letto, con le lacrime agli occhi ed in volto un’espressione distrutta. Mi si strinse il cuore. Ebbi l’impressione che ora guardasse Kira come se non lo avesse mai visto prima. Infine, non riuscendo a trattenersi oltre, si buttò fra le sue braccia, cominciando a singhiozzare forte e a lungo, come probabilmente aveva fatto in solitudine fino a quel momento. Mi sentii di troppo, perché, nonostante tutto, io e Cagalli non eravamo in confidenza quanto entrambi potevamo esserlo con Kira e, anzi, a ben pensarci potevamo considerarci poco più che estranei. Eppure, umanamente parlando, riuscivo a sentire la sua sofferenza come se fosse stata mia: avevo già visto Cagalli piangere, ed ogni volta mi sembrava di ricevere un pugno alla bocca dello stomaco. Avrei voluto fare qualcosa per lei, foss’anche sostenerla fisicamente come stava facendo Kira o come io stesso avevo fatto durante il nostro ultimo incontro. Invece ero impotente, e la cosa mi mortificava non poco: lei aveva fatto tanto per me, ed io non potevo contraccambiare la sua semplice bontà d’animo.

   Le ci volle un po’ per calmarsi, ma alla fine ci riuscì. Quando si fu sciacquata il viso e si fu cambiata gli abiti, raggiungemmo gli altri che, nel frattempo, discutevano il da farsi. Avevamo bisogno di un posto a cui appoggiarci. Alla mente mi sovvenne il ricordo della Colonia Mendel del gruppo L4. Alcuni soldati di ZAFT ci erano stati tempo prima, e benché quel luogo fosse stato abbandonato circa tre anni addietro a causa di un disastro biologico, sapevo che quel complesso era ancora funzionante.

   In quel momento, il Maggiore La Fllaga mi rivolse una domanda che avrei dovuto attendermi, prima o poi: essendo figlio dell’uomo che ora ordinava all’Esercito di PLANT di combattere per distruggere i Naturals, sarei riuscito a schierarmi contro di lui? Quasi non aprii bocca che già Cagalli mi precedette, prendendo le mie difese. Gliene fui grato e, con lucidità e coscienza, affermai che l’unica certezza che avevo, alla luce degli ultimi avvenimenti, era che condividevo il loro sogno di un mondo pacifico, senza distinzioni di sorta fra Coordinators come me, Kira e Dearka, e Naturals come Cagalli, il Maggiore e gli altri membri dell’equipaggio dell’Archangel. Athrun di ZAFT non esisteva più. Ormai ero divenuto un disertore, e, come tale, me ne sarei assunto ogni responsabilità. Le mie parole furono accolte con fiducia ed entusiasmo, ed in quel frangente sorpresi Cagalli a fissarmi con aria assorta. Quando i nostri sguardi si incrociarono, lei distolse il suo ed io rimasi fermo a chiedermene scioccamente la ragione. Fui riportato alla realtà dai discorsi degli altri e mi ritrovai a confessare che fortunatamente non tutti, su PLANT, la pensavano come mio padre riguardo alla guerra. Ero infatti convinto che, fruttando la propria notorietà, Lacus fosse a capo di quella che sarebbe divenuta la fazione ribelle più forte e consistente, speranza di pace per il futuro delle nostre colonie.

   Alla fine di quel colloquio, mentre Kira si era disposto a dare una mano ai tecnici di Orb, mi soffermai ad osservare lui e gli altri da dietro le vetrate di una camera attigua agli hangar, cercando di rimettere un po’ in ordine le idee. Invano, perché in un attimo tutto ripiombò nel caos.

   Kira mi raggiunse e mi comunicò che avremmo fatto meglio a trasferire le nostre unità sull’Archangel così che a difesa di essa non rimanessero soltanto lo Strike del Maggiore e il Buster di Dearka; la Kusanagi, dopotutto, era già ben protetta dagli MBF-M1 Astrays di Orb. La porta si aprì e Cagalli entrò nella stanza col solito viso pallido che così poco le si addiceva. Chiese di poter parlare con Kira, per cui mi apprestai ad uscire per lasciarli da soli. Subito lei mi fermò, afferrandomi per un braccio e balbettando che potevo rimanere. Quindi, cacciò dalla tasca del suo giubbino arancione una foto e ce la mostrò: ritraeva una donna sorridente che reggeva fra le braccia due neonati, un maschio ed una femmina a giudicare dal colore delle copertine in cui erano avvolti. Confuso, Kira domandò spiegazioni e Cagalli, il capo chino, usò un filo di voce per dirgli di guardare il retro della foto, dove qualcuno aveva scritto in caratteri corsivi due nomi: Kira e Cagalli.

   Rimanemmo senza parole. Cagalli, allora, con tono malfermo, ci spiegò che quel ricordo glielo aveva dato Uzumi-sama un attimo prima della nostra partenza, e anche che lui si era detto tranquillo di vederla partire perché la lasciava in buone mani: con lei ci sarebbe stato suo fratello. Un brivido mi percorse il corpo e, mentre gli altri due cercavano di raccapezzarsi sull’assurdità di quella situazione e sull’identità della donna che sorrideva ai neonati, non potei fare a meno di notare finalmente quella vaga somiglianza che, in effetti, si scorgeva sui volti del mio migliore amico e della Principessa di Orb. Gli stessi occhi... di colori molto diversi, certo, ma la forma... quella era innegabilmente la stessa. E se a questo si univano anche quei piccoli dettagli a cui non avevo mai fatto caso e che ora invece mi sembravano tanto evidenti...!

   Non potevamo avere conferme da una singola foto, eppure tutti e tre sapevamo che non era del tutto impossibile che Kira e Cagalli fossero fratelli. Gemelli, per di più, poiché scoprirono persino di essere nati nello stesso giorno. Cagalli tremava, e non riuscendo probabilmente a toccare Kira come aveva sempre fatto, cercò sostegno in me, aggrappandosi di nuovo al mio braccio. Mi sembrò tremendamente fragile, anche più di quanto l’avevo vista in lacrime nella sua cabina, al punto che sentii istintivamente nascere dentro di me un forte desiderio di protezione nei suoi confronti: Cagalli non meritava di stare così male, non volevo più vederla in quelle condizioni.

   Discutere della cosa così su due piedi, tirando in ballo le ipotesi più azzardate, non ci avrebbe portato a niente, anche perché nessuno di noi aveva idea di come fossero andate davvero le cose sedici anni prima. Dei due, Kira sembrava il più calmo, come se avesse deciso di non preoccuparsi anzitempo per un qualcosa che non poteva essere ancora confermata – o smentita. Rimandò tutto ad un secondo momento. Cercammo perciò di far forza alla nostra amica – avevo ora ben ragione di credere che Cagalli fosse diventata tale anche per me – e quando ci fummo assicurati che lei aveva smesso di piangere, tornammo ai nostri doveri, trasferendo il Freedom e il Justice sull’Archangel. Durante l’operazione, comunque, ripensando al racconto di Cagalli, al suo dolore, e alle parole del Maggiore La Fllaga, presi la mia decisione: dovevo parlare con mio padre un’ultima volta.













Capitolo che avrà fatto venire una crisi isterica a NicoDevil, penso... XD
Ringraziando lei, kari16, Kira Yamato, Atlantislux e quanti continuano a seguire questa fanfiction, vi rimando al prossimo aggiornamento.
Shainareth





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Capitolo 17
*** 16. Padre ***





Padre




Mi fu accordato il permesso di usare un caccia dell’Archangel, per cui mi preparai alla partenza. Poco prima che potessi entrare nel mezzo, Cagalli mi piombò addosso, arrabbiata: era preoccupata per me, perché tornare a PLANT senza il Justice, che avevo deciso di lasciare a loro per evitare che mio padre ne riprendesse possesso, significava sfidare la sorte. Per quanto stupido possa sembrare, non riuscii a far altro che chiederle scusa, cosa che ovviamente non servì a tranquillizzarla, anzi. Ci pensò Kira a convincerla che era giusto così, che io mi rendessi conto di persona di cosa avesse in mente il nuovo Presidente.

   Fu lui a scortarmi fino a che gli fu possibile. Dopo di che, quando stavamo per dividerci, mi raccomandò di tornare e, soprattutto, mi ricordò che per me non era ancora giunto il momento di morire. Lo sapevo, non sarei morto. Non potevo morire. Le dita della mia mano scivolarono all’altezza del petto, lì dove, attraverso il tessuto pesante della tuta da pilota, riuscivo a sentire la forma tondeggiante della pietra di Haumea che mi aveva regalato Cagalli e che ancora portavo con me.

   Vedendomi arrivare a bordo di un mezzo militare terrestre, fui trattenuto da due soldati prima che mi fosse concesso di incontrare il Presidente. Infine, fui introdotto in una stanza quasi buia, scarsamente illuminata soltanto da dei pilastri che emanavano una luce azzurrognola, lo stesso luogo in cui mio padre mi aveva comunicato del tradimento di Lacus. Non si disturbò neanche a chiedermi come stessi, troppo preso com’era dall’idea che potessi avere abbandonato il Justice, e di conseguenza il Freedom, chissà dove. Non gli risposi. Non mi piaceva l’espressione del suo viso, non mi piaceva il suo sguardo.

   Mi feci coraggio e, riuscendo finalmente ad avere un’idea mia riguardo a quella guerra, gli domandai quali fossero le sue intenzioni. Finimmo per litigare per la prima volta da che ero nato. La cosa che mi fece più male fu che non si trattò di una discussione costruttiva, tutt’altro. Mi afferrò per la divisa e mi scrollò, furioso, fissando nei miei occhi quelli di un pazzo: quello non era mio padre. Farneticava cocciutamente sullo sterminio dei Naturals per mano nostra, era quello l’obiettivo dell’insensata guerra che voleva concludere a tutti i costi con la repressione più violenta. Rimasi sconvolto. Gli urlai contro che continuare ad attaccare perché si era stati attaccati non portava a niente di niente, solo a peggiorare le cose. Mi accusò di essere stato abbindolato da Lacus, mentre quelle che io avevo appena pronunciato, senza rendermene conto, erano invece le stesse parole che Cagalli mi aveva detto tempo prima.

   Mi gettò a terra, chiamò la sorveglianza e, cosa peggiore fra tutte, mi puntò contro una pistola. Sentendo ancora i suoi deliri sull’onnipotenza di noi Coordinators e sull’inferiorità della razza da cui provenivamo, non riuscii più a trattenermi: volevo fermarlo. No, dovevo farlo. Benché fossi attorniato da uomini che imbracciavano mitra ed avessi l’arma di mio padre addosso, fui annebbiato dalla rabbia e mi scagliai contro l’uomo che mi aveva messo al mondo. Ebbe il coraggio di spararmi. Quando ricaddi sul pavimento con una ferita alla spalla, ebbe almeno la decenza di ordinare ai suoi scagnozzi di non ammazzarmi. Prima che mi portassero via per rinchiudermi in prigione affinché mi interrogassero su dove avessi lasciato il Justice, mi rivolse per l’ultima volta la parola.

   «Mi hai deluso.»

   «Anche tu.»

   Non saremmo mai più riusciti a ricucire quello strappo. Non avrei più avuto modo di affrontarlo per distoglierlo dai suoi immondi propositi. Ero distrutto, e sapevo che lo era anche lui: la nostra famiglia era morta con mia madre.

   Per quanto dura fosse la situazione in cui mi trovavo, non potevo permettere che si servissero di me, né potevo rompere la promessa fatta a Kira e Cagalli: dovevo tornare, a qualunque costo.

   Col senno di poi, io stesso mi sarei definito folle, e tale dovetti sembrare agli occhi degli agenti di scorta, perché di colpo, prima che potessero portarmi via, mi ribellai, atterrando due di loro nonostante avessi le mani legate dietro la schiena. Provai la fuga e mi ritrovai inseguito da una scarica di proiettili che fortunatamente non mi raggiunse. Qualcun altro sparava, ma per difendermi: non tutto era perduto.

   Ad aiutarmi c’erano alcuni uomini della fazione Clyne, quelli che, facendo il doppio gioco e vedendomi arrivare su PLANT, erano accorsi a proteggermi. Fra loro vi era Martin DaCosta, il secondo del Comandante Andrew Waltfeld che in un primo momento avevamo creduto caduto in Libia, contro lo Strike e l’Archangel. Mi portarono in salvo, mi medicarono e subito mi caricarono su un apparecchio che mi avrebbe concesso la libertà. Mentre DaCosta si occupava di tutto, lo sguardo mi cadde sulla divisa aperta sul davanti e mi sembrò che la pietra di Haumea brillasse: mi aveva protetto come aveva detto Cagalli.

   Ci mettemmo in contatto con una nuova nave di ZAFT che non conoscevo, l’Eternal, costruita apposta per ospitare i due Mobile Suit ad energia nucleare ed affidata proprio al Comandante Waltfeld. Quel che però il Governo non sapeva, era che quest’ultimo era in combutta con Lacus. Fu a bordo dell’Eternal che la rincontrai. Mi accolse con un sorriso e mi assicurò il suo appoggio: saremmo tornati insieme sulla Colonia Mendel e insieme avremmo combattuto per difendere PLANT e la Terra dalle idee estremiste di Patrick Zala e dei Blue Cosmos.

 

Quando raggiungemmo gli altri, Lacus rimase a lungo a parlare con Kira e a piangere sulla sua spalla per l’uccisione di suo padre Siegel Clyne, ex-Presidente di PLANT, ad opera del mio. A farmi compagnia rimase Cagalli, preoccupata per il mio braccio destro. Le spiegai che il suo amuleto mi aveva protetto e la vidi sorridere, finalmente. Mostrò curiosità nei confronti di Lacus, ma non ricevendo risposte esaurienti da me, mi domandò come mai non mi interessasse. Le dissi la verità, e cioè che ormai Lacus non era più la mia fidanzata. E non solo per via delle disposizioni dei nostri genitori, ma anche e soprattutto perché col mio comportamento avevo finito per allontanarla. Mi sentivo uno stupido. Dandomi ragione, Cagalli non mi consolò granché, tuttavia il modo in cui lo fece mi divertì: era così ogni volta che parlavamo fra noi, perché, pur non volendo, finiva sempre per risollevarmi il morale.

   Dopo quell’avvenimento, mi chiusi di nuovo in me stesso, isolandomi e rimuginando sullo scontro avuto con mio padre. Una volta, mentre tutti gli altri cercavano di fare il punto della situazione per decidere come regolarsi per il futuro e quali fossero le mosse migliori da fare per fermare la guerra, Cagalli interruppe la mia solitudine, rimproverandomi: non dovevo stare in disparte, dovevo partecipare alle loro riunioni, altrimenti, a furia di ripensare sempre alle stesse cose, avrei finito per impazzire. Non aveva tutti i torti, ma il sentire paragonare il mio cervello ad un topo in trappola che girava in tondo, mi lasciò fortemente perplesso. Cagalli era – ed è – una di quelle persone che, senza farsi scrupoli, dice la prima cosa che le salta in testa, anche la più assurda, non curandosi minimamente di sembrare matta.

   Mi chiese se la ferita mi faceva ancora male. Le risposi di no e lei non mi credette: dopotutto, era stato il mio stesso padre a spararmi. Non potei più mentire, stavo da schifo. Mi disse che non dovevo preoccuparmi, perché era sicura che, parlando ancora con lui, tutto si sarebbe risolto per il meglio. Non poteva non essere così, eravamo padre e figlio, dovevamo volerci bene, trovare un punto di incontro.

   Rividi nei suoi occhi, velati di lacrime che non aveva il coraggio di far scivolare giù, lo stesso dolore che provavo anch’io e che lei aveva già vissuto quando era stata strappata dalle braccia di Uzumi-sama. Il suo sguardo era però raddolcito da una luce di speranza per me, una speranza che nessuno di noi doveva abbandonare per nulla al mondo. Il sorriso che mi rivolse mi riempì di tenerezza. Non resistetti oltre a quel richiamo d’amore, e mi protesi verso di lei, fino a che non riuscii a stringerla a me con il braccio buono. Avvertii il suo corpo irrigidirsi all’istante contro il mio, agitarsi e infine rimanere immobile, come rassegnato a dover subire quel contatto tanto intimo. Mi scusai per il mio comportamento – quello di poco prima, non certo per l’abbraccio – e le fui grato perché, nonostante l’imbarazzo che l’aveva sopraffatta a causa mia, non cercò di divincolarsi, accettando quel mio gesto senza neanche essere sfiorata dall’idea di potermi rifiutare. Fu quello, credo, l’istante in cui cominciai a rendermi conto di provare qualcosa per lei. Ne fui felice.













E fu così che Shainareth andò in brodo di giuggiole. XD
A differenza di altri, sapevo sin da prima di vedere l'anime che Athrun e Cagalli avrebbero finito con l'innamorarsi l'uno dell'altra per via di alcune bellissime fanart in cui mi ero imbattuta accidentalmente; eppure, guardando la serie, ero lì a rimuginare sul fatto che lei sarebbe stata meglio con Kira. Poi mi sono spoilerata (sempre accidentalmente) che quest'ultimo e la biondina sono fratelli, per cui rimasi ancor più con un palmo di naso. Quando, comunque, Athrun e Cagalli si sono incontrati e hanno iniziato a conoscersi meglio, sono impazzita del tutto. Il resto lo sapete, potete leggerlo su questo sito. Una cosa è certa: ora come ora non vedo legame più tenero di quello che unisce Kira e Cagalli (come fratelli).
Parlando di cose più intelligenti, ho sempre adorato il rapporto fra Athrun e suo padre, e per quanto sia struggente, amo il modo in cui è stato tratteggiato all'interno della storia. Certo, è anche per colpa di questo che in Destiny Athrun torna ad indossare la divisa di ZAFT, ma credo che nessuno possa rimproverargli niente. *fa le carezzine al suo tesorino complessato*
Basta, vi libero della mia nefasta presenza. Anzi, non dovrei neanche farlo: la colpa è vostra che continuate a leggere quello che scrivo. è_é
Grazie come sempre a chi legge e chi commenta! ^*^
Shainareth





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Capitolo 18
*** 17. Crisi ***





Crisi




Accadde all’improvviso: l’Alleanza Terrestre riuscì a riprendere il controllo del porto spaziale di Victoria, in Africa, che ZAFT le aveva sottratto alcuni mesi prima, riguadagnando così una via per raggiungere le colonie. Da qualche tempo noi ci stavamo appoggiando alla Mendel, e da lì cercavamo di seguire le mosse dei due schieramenti nemici, ma la tregua non durò a lungo e fummo presto costretti a scendere nuovamente sul campo di battaglia. Le forze in gioco, questa volta, erano ben tre: oltre a noi, vi erano tre navi di classe Nazca appartenenti a PLANT, tra cui la Vesalius su cui viaggiava da sempre il Capitano La Klueze e su cui io avevo iniziato quella guerra, e la seconda nave della classe Archangel, la Dominion, della Federazione Atlantica. Al comando di quest’ultima, mi dissero, vi era il Tenente Natarle Badgiruel, che prima dell’incidente in Alaska aveva prestato servizio come secondo del Comandante Ramius. Adesso era stata promossa al grado di Maggiore, e accompagnava in quella crociata nientemeno che Muruta Azrael, Direttore della Conglomerazione Nazionale della Difesa Atlantica, nonché pericolosissimo leader dei Blue Cosmos.
   Fummo costretti ad uscire allo scoperto, e mentre Kira, il Maggiore La Fllaga, Dearka ed io ci scontravamo con i Mobile Suit che già a Orb avevano creato parecchio fastidio e con i GINN di ZAFT che approfittavano delle debolezze nostre e degli altri, a complicare le cose ci pensarono un cavo della colonia che in cui finì intrappolata la Kusanagi, e la presenza del Duel di Yzak e dell’unità del Capitano La Klueze. Lo Strike ed il Buster si lanciarono al loro inseguimento, seppur con intenti diversi, e mentre il Freedom e l’Archangel cercavano in ogni modo di fermare quanti più avversari possibili, io mi precipitai a protezione della Kusanagi di Orb, indifesa. In realtà gli M1 cercavano di fare di tutto per difenderla, ma i loro piloti erano senza dubbio meno esperti di quelli di ZAFT. Quando riuscì a raggiungerci anche l’Eternal, che in un primo momento era rimasta bloccata all’interno della Colonia perché impossibilitata subito al decollo, anche la Kusanagi fu liberata ed insieme passarono al contrattacco. Si decise una tregua.
   Rientrammo, ma di Dearka e del Maggiore La Fllaga non vi era alcuna traccia. Kira si propose di andarli a cercare ed io mi offrii di accompagnarlo. Lacus però me lo vietò: almeno uno di noi doveva rimanere nel qual caso ZAFT o la Federazione avesse deciso di ricominciare l’offensiva. Mi rassegnai a rimanere dov’ero, dando almeno una mano con le riparazioni e la riorganizzazione generale.
   Passò diverso tempo prima che Kira e Dearka rientrassero reggendo fra le braccia del Freedom lo Strike, ridotto piuttosto male: il Maggiore era rimasto ferito, ma le sue condizioni non erano gravi come potevano sembrare. Anche i nemici erano però tornati alla carica, ed io e Kira ci rimboccammo le maniche per fare il possibile per difendere i nostri compagni.
   Durante quella battaglia, comunque, accadde qualcosa che rovesciò inaspettatamente le sorti della guerra. Dalle navi di ZAFT fu rilasciato un pod di salvataggio dentro il quale, dissero, vi era un prigioniero che il Capitano La Klueze desiderava restituire all’Esercito Terrestre. E mentre sulla Dominion si decideva il da farsi, le comunicazioni con l’interno della capsula lasciata alla deriva in mezzo al fuoco della battaglia furono aperte, e noi fummo in grado di sentire la voce di una donna, una ragazza di nome Fllay che io non conoscevo. L’equipaggio dell’Archangel sì, però, talmente bene che tutti entrarono in agitazione. Kira perse il controllo delle proprie emozioni, cedendo il passo alla stanchezza: non potevo saperlo, ma quando si era lanciato all’inseguimento dello Strike e del Buster all’interno della Colonia Mendel, aveva ricevuto uno degli shock peggiori della sua vita, del quale riuscì a parlarci soltanto dopo qualche tempo, ed unicamente perché riguardava anche sua sorella Cagalli.
   Ci volle un miracolo per tirarci fuori dai guai, quella volta, perché senza l’aiuto di Kira che, anzi, dovevo proteggere dagli attacchi nemici, sembravamo davvero spacciati. Ce la cavammo comunque, superando la linea difensiva di ZAFT e assistendo alla distruzione della Vesalius – io e Dearka le rendemmo omaggio in memoria dell’inizio della nostra carriera militare – sulla quale per fortuna in quel momento non si trovava Yzak. E nemmeno il Capitano La Klueze. Quanto al pod, fu recuperato dalla Dominion.
   Potendo tirare un sospiro di sollievo, rientrai con il Justice, trascinandomi dietro anche l’unità di Kira. Fui persino costretto a sorreggerlo quando uscì dall’abitacolo. Era esausto nel corpo e nella mente, non lo avevo mai visto così. Quando Lacus ci raggiunse, preoccupata, lui crollò perdendo i sensi. Avvisata della cosa, anche Cagalli si precipitò sull’Eternal per sapere delle sue condizioni. La tranquillizzai, dicendole che Kira aveva solo bisogno di riposare. I suoi occhi però si posarono su una foto che Kira aveva portato con sé dallo scontro con il Capitano La Klueze: era identica a quella che lei aveva ricevuto da Uzumi-sama. Kira riprese i sensi proprio in quell’istante e, fissando Cagalli e ciò che lei reggeva fra le dita, ebbe una nuova crisi. Accanto a lui, Lacus cercò di calmarlo, ma anche la sua presenza pareva turbarlo in qualche modo. Non dubitavo, comunque, che sarebbe riuscita a farlo stare meglio, per cui presi Cagalli per mano e la accompagnai fuori dalla stanza. Capivo anche il suo stato d’animo, ossessionata com’era dal voler conoscere la verità circa il loro passato, ma viste le condizioni in cui si trovava Kira, le consigliai di attendere un momento migliore per parlargli della foto da lui recuperata. Riuscii a dissuaderla e allora le domandai di Fllay. Mi disse che si trattava di un’amica di Kira e degli altri ragazzi dell’Archangel. Immaginai che vi fosse dell’altro, perché Kira aveva balbettato qualcosa mentre lo riportavo sull’Eternal, spiegandomi confusamente che Fllay era una persona a cui lui aveva fatto del male. Capendo che si trattava di una questione delicata e che Cagalli non potesse parlarmene apertamente, non approfondii e rimasi con lei nei pressi della cabina che avevamo appena lasciato, in attesa di novità. Poco dopo udimmo dei singhiozzi ed entrambi ci costringemmo a rimanere dov’eravamo per non spezzare l’equilibrio creato da Lacus: piangere avrebbe senz’altro fatto bene al nostro amico. Anzi, a nostro fratello.
   Cagalli si appoggiò a me cercando conforto e dandomene a sua volta; e come accadeva anche al di là della porta che ci eravamo lasciati alle spalle, dove Kira si tranquillizzava grazie al calore che Lacus gli stava offrendo, anche noi rimanemmo vicini, l’una aggrappata all’altro. Aspettando.













Spero di non aver narrato gli avvenimenti in modo troppo confuso... In caso contrario, mi scuso con i lettori. Sfortunatamente non sono una cima nel descrivere le scene d'azione e, anzi, meno male che qui mi limito ad un riassunto.
Grazie a chi legge e chi commenta. :)
Shainareth





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Capitolo 19
*** 18. ZGMF-X09A Justice ***





ZGMF-X09A Justice




Cademmo dalle nuvole quando venimmo a sapere che l’Alleanza era riuscita a trovare un modo per produrre nuovamente armi nucleari, sebbene, in seguito all’esplosione di Junius Seven, ZAFT avesse impiantato nelle profondità terrestri dei dispositivi ad onde elettromagnetiche chiamati Neutron Jammer Canceller. Ciò che temevamo di più, quindi, si era verificato. Pur nella follia della guerra PLANT si era rifiutata di usare contro la Terra le armi atomiche dopo il dolore che questa le aveva inflitto un anno e mezzo prima, per cui aveva sempre combattuto le sue battaglie in modo onesto. La Federazione, però, aveva deciso di ricambiare quella premura tornando a lavorare sulla fissione nucleare e produrre in gran quantità quei missili che subito dopo scagliò contro la fortezza spaziale di Boaz. PLANT non sarebbe stata a guardare, e nemmeno noi.

   Sapevo che mio padre non avrebbe mai fatto uso di armi di distruzione di massa a mente lucida, ma mi rendevo perfettamente conto che quell’attacco doveva aver risvegliato il nostro dramma anche per lui, che aveva amato mio madre più di ogni altra cosa, persino più di me che ero la dimostrazione della loro tenera unione. Non ero quindi più tanto sicuro che avrebbe continuato a rispettare gli accordi presi, e non escludevo affatto l’ipotesi che potesse compiere qualche gesto sconsiderato.

   Di lì a poco scoprimmo che un’intera flotta terrestre stava andando all’assalto di PLANT, pronta a lanciare centinaia di testate nucleari, e mentre con incredibile sforzo io e Kira ci impegnavamo con tutte le nostre forze a distruggere queste ultime prima che potessero giungere a destinazione, ZAFT spazzò via buona parte delle forze nemiche con un enorme fascio di luce: ormai la guerra era arrivata al suo culmine di devastazione.

   Il GENESIS era stato costruito per ordine di mio padre, dotato di Mirage Colloid che lo nascondeva agli occhi degli altri quando era inattivo, e di Phase Shift, un’armatura che era stata sperimentata già sugli ormai obsoleti X-numbers. In origine, con il suo cannone a raggi gamma, avrebbe dovuto essere di supporto alle navi spaziali che intendevano intraprendere delle ricerche nello spazio al di fuori del Sistema Solare. Ora, invece, era diventata forse l’arma più terribile che fosse esistita, il cui potere distruttivo era potente anche più delle atomiche dei Terrestri.

   Se ci fu concesso del tempo per riorganizzarci, fu dovuto unicamente al fatto che per sparare i suoi raggi, il GENESIS aveva bisogno di un sofisticato sistema di specchi che andavano sostituiti dopo ogni utilizzo. Fu una fortuna, nonostante il suo secondo colpo che di lì a poco avrebbe polverizzato la base lunare dell’Alleanza.

   Decidemmo di uscire e di prevenire l’attacco più catastrofico, quello che si sarebbe senza dubbio abbattuto contro la Terra. Sapevamo che quella che stavamo per combattere a Jachin Due sarebbe stata l’ultima battaglia, ed improvvisamente ci sentimmo tutti schiacciati dalle nostre debolezze umane. Lacus trattenne Kira prima che lui potesse tornare in mezzo al fuoco nemico e il Comandante Ramius fermò il Maggiore La Fllaga: anche se non volevano dirsi addio, avevano comunque bisogno di salutarsi a dovere. Per quella stessa ragione, Cagalli mi accompagnò fin quasi al Justice, ma prima ancora di arrivarci, mi comunicò che in quell’ultimo scontro sarebbe uscita anche lei a bordo di un Mobile Suit, quello che chiamavano MBF-02 Strike Rouge e che lo staff tecnico di Orb era riuscito ad assemblare appena in tempo. Ero consapevole del fatto che lei fosse più brava dei piloti schierati in guerra fino a quel momento a bordo degli M1, le sue ammirabili prestazioni in simulazione parlavano chiaro; tuttavia, quella notizia mi riempì d’ansia. Si accomiatò da me con un cenno della mano, e fui costretto ad afferrarla per il polso nel tentativo di dissuaderla. Non ci fu verso. Mi disse che era suo dovere combattere al nostro fianco, perché la posta in gioco era troppo alta e lei, per quanto minime rispetto a quelle mie e di Kira, aveva comunque delle discrete capacità nonché la ferrea intenzione di fermare quella guerra, a qualunque costo. Inoltre, confessò, ci avrebbe accompagnato per proteggere me e suo fratello: non avrebbe lasciato assolutamente che qualcuno potesse abbatterci. Le sue parole mi infusero coraggio, ed i miei sentimenti per lei ebbero un’impennata incontrollabile. La strattonai nella mia direzione e la strinsi in un abbraccio: paradossalmente, mi ritenevo l’uomo più fortunato del mondo ad averla incontrata quel giorno, su quell’isola deserta, quando aveva cercato di crivellarmi di proiettili. Guardandola negli occhi le giurai che l’avrei protetta. Infine, feci qualcosa che per un soldato che aveva rischiato così tante volte la vita in battaglia avrebbe dovuto essere una bazzecola, ma che per me, ragazzino di sedici anni non ancora compiuti ed abituato da troppo tempo ad uccidere più che ad amare, rappresentava una delle più incredibili prove di coraggio: la baciai. A dire il vero avevo già baciato Lacus durante il nostro ultimo appuntamento su PLANT; in quell’occasione, però, mi ero limitato a sfiorarle la pelle del viso con le labbra, e già mi era parso sufficiente a dimostrare le mie serie intenzioni nei suoi confronti. Questa volta, invece, non vi era nulla di forzato: tutto ciò che con Lacus mi sembrava un dovere, con Cagalli mi veniva spontaneo e, anzi, non mi bastava mai.

   Con quell’amore nel cuore, ed intenzionato a mantener fede alla promessa appena fatta, mi apprestai alla battaglia. Fu impressionante. Nel caos più totale dovevamo far attenzione a non colpire i nostri alleati né ad uccidere i nostri avversari: io, Kira e Cagalli, per lo meno, cercammo di fare il possibile per disarmare i Mobile Suit che ci venivano addosso, lasciando intatti gli abitacoli per evitare di accrescere ancora il numero delle vittime. Non fu facile, per nessuno.

   Ci ritrovammo contro anche il Duel di Yzak e le tre unità della Federazione Atlantica che ci inseguivano da Orb, e, quando meno ce l’aspettavamo, lo Strike Rouge fu preso d’assalto proprio da uno di questi: Cagalli non avrebbe fatto in tempo a spostarsi né noi a proteggerla. A farle da scudo ci pensò il Duel. Lì per lì non capii la ragione per cui d’improvviso Yzak avesse deciso di schierarsi al nostro fianco, ma ne dedussi che il merito doveva essere stato di Dearka. Forse in seguito al loro ultimo incontro alla Colonia Mendel, il nostro vecchio compagno d’armi doveva aver riflettuto meglio sui propositi del Governo di PLANT, e se a questo si aggiungevano le carneficine fatte da ZAFT e dall’Alleanza, la sua coscienza ed il suo senso dell’onore non avrebbero davvero potuto accettare quello status di cose. Yzak ci fu di grande aiuto sconfiggendo ben due di quei maledetti, incontrollabili Mobile Suit – il terzo venne distrutto per mano mia – e fu costretto a prendere il posto del Maggiore La Fllaga, caduto nell’eroico tentativo di proteggere l’Archangel, sotto l’attacco più feroce della Dominion. L’equipaggio del Bipede non si lasciò scoraggiare e, forte del proprio dolore, fece fuoco per l’ultima volta, mettendo la parola fine al suo duello personale con la nave gemella.

   Fermati loro, e scongiurata una nuova strage atomica, Kira, Cagalli ed io ci dirigemmo senza più esitare contro il GENESIS, fortemente intenzionati a distruggerlo. Tuttavia, le nostre armi non riuscivano a scalfirlo. Decidemmo di penetrare all’interno della struttura, così da manometterne i comandi, ma un Mobile Suit che non avevamo mai visto, e che solo in seguito venni a scoprire che era pilotato dal Capitano La Klueze, si mise in mezzo, cercando di impedirci il cammino. Kira si offrì di affrontarlo, coprendoci così le spalle, ed io e Cagalli, accompagnati da un paio di M1, perseverammo nel nostro proposito.

   Quel che vedemmo una volta arrivati, mi strinse il cuore in una morsa che mai riuscirò a dimenticare e che, probabilmente, sarebbe stata la causa scatenante delle mie ingenue azioni future, quando, nel corso della Seconda Guerra del Bloody Valentine, avrei ferito, pur senza averne l’intenzione, i sentimenti e la fiducia delle persone che amavo di più.

   Mio padre era appena stato colpito da alcuni proiettili in diversi punti vitali, tradito dai suoi stessi uomini. Mi precipitai al suo fianco, spaventato dall’idea di perderlo definitivamente, mentre tutti i soldati presenti nella sala comandi abbandonarono le proprie postazioni, forse consapevoli che, finendo l’era di Patrick Zala, anche la guerra sarebbe giunta al termine. Appoggiato da Cagalli, assistetti alle ultime, deliranti parole di quell’uomo: bisognava azionare ancora una volta il GENESIS per distruggere i Naturals e rendere PLANT un posto sicuro. Fu solo allora che mi resi realmente conto di quanto egli aveva sofferto e di quanto, ancora, doveva segretamente piangere dentro di sé la perdita di mia madre. Spirò sotto ai miei occhi. Non versai una lacrima, non ne avevo il tempo. Preda di emozioni contrastanti, mi affrettai a cancellare le disposizioni date ai computer che azionavano quella dannata macchina assassina, e scoprii tragicamente che il dispositivo di autodistruzione avrebbe attivato per l’ultima volta il fascio di luce, non certo portatrice di vita.

   Dovevamo andarcene da lì. Tornammo a bordo dei nostri Mobile Suit, e quando Cagalli mi domandò cosa avessi intenzione di fare, le risposi la verità: sarei entrato nel nucleo di quell’affare ed avrei detonato il Justice, causando così un’esplosione atomica grazie al sistema di alimentazione della mia unità. Era l’unica speranza che mi era rimasta per spezzare quella catena, l’unico modo che avevo per cancellare le colpe di mio padre, l’unico che mi avrebbe concesso di salvare i miei compagni e di mantenere la promessa fatta a Cagalli: proteggerla.

   Le intimai di non seguirmi, ma non volle darmi ascolto, decisa com’era a fermare quel mio gesto estremo. Fui costretto a sbarrarle la strada e finalmente potei proseguire da solo. Giunto a destinazione, azionai il dispositivo di detonazione, e proprio in quel momento la voce di Cagalli mi raggiunse, chiamando il mio nome. Lo Strike Rouge era riuscito a liberarsi ed era venuto a prendermi per fuggire insieme a me o, nel peggiore dei casi, a morire con me. Non potevo permetterlo. Ordinai ancora una volta a Cagalli di tornare indietro, e lei di nuovo non volle ascoltarmi. Infine, mi urlò contro qualcosa che avrebbe lasciato per sempre il segno nel mio animo: non dovevo scappare, poiché anche la vita è una battaglia.

   Se l’esplosione del GENESIS non ci uccise, lo devo solo a lei, alla persona che mi aveva salvato la vita per ben due volte e alla quale ormai avevo deciso di dedicare il resto della mia esistenza.

 

La guerra ebbe fine. PLANT e la Terra cessarono ogni attività bellica e di lì a poco avrebbero firmato un accordo di pace a Junius Seven, luogo di una tragedia che nessuno avrebbe mai dovuto dimenticare.













E con questo capitolo si conclude la prima parte della fanfiction. Non so se sono davvero stata capace di delineare bene la psicologia, le emozioni e i sentimenti di Athrun quindicenne (quasi sedicenne, va'), nonché le sue interazioni con gli altri personaggi, ma confido di potermi migliorare in futuro.
Mi scuso per eventuali sviste: Atlantislux mi ha betato tutto, ma è capitato che talvolta cambiassi o aggiungessi qualcosina, quindi se doveste trovare degli errori, siate clementi e ricordatevi che ho la febbre. XD
Prima di postare il primo capitolo della seconda parte mi piacerebbe andare un pochino avanti, dato che da un paio di settimane mi sono fermata per cause esterne al mio volere. Intanto colgo l'occasione per ringraziare quanti mi hanno lasciato due righe sino ad ora, e cioé (in ordine alfabetico): Atlantislux, Gufo_Tave, Justice Gundam, kari16, Kira Yamato, Lil_Meyer, Lightning_ e NicoDevil. Se ho dimenticato qualcuno, vi chiedo umilmente perdono. ç_ç
A presto,
Shainareth





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Capitolo 20
*** 19. Alex Dino ***





PARTE SECONDA




Alex Dino




Al termine della guerra, ognuno di noi cercò di tornare alla vita quotidiana. Non era facile, specialmente per Kira che cambiò radicalmente. Nel profondo rimase sempre lo stesso, ma ormai aveva perso l’aria smarrita e fanciullesca per acquisire espressioni più adulte, specie quando si soffermava a guardare lontano, attraverso il cielo, domandandosi perché mai fosse ancora vivo, perché fosse sopravvissuto a tutto quello che ci era successo. Per quanto mi era possibile, cercavo di tirarlo su, di scuoterlo in qualche modo, riportandolo al presente e al futuro che avevamo voluto con tutte le nostre forze. E allora, grazie anche alla vivacità di Cagalli e all’allegria dei bambini di cui adesso si prendeva cura insieme a Lacus e al Reverendo Malchio, tornava a sorridere.

   Sopravvissuto al duello con il Capitano La Klueze che invece era stato spazzato via dal breve, debole raggio che il GENESIS aveva sparato prima di esplodere, si premurò di raccontarci quel che aveva scoperto nei laboratori della Colonia Mendel in cui si era intrufolato nel tentativo di aiutare il Maggiore La Fllaga nella sua infinita, tragica giostra armata contro La Klueze: quello era il luogo in cui lui e Cagalli erano venuti al mondo. I loro veri genitori, scienziati di grande fama, erano morti in seguito ad un attentato dei Blue Cosmos il giorno della loro nascita. La donna della foto si chiama Via Hibiki, ed era stata lei a concepirli. Tuttavia, le era stato concesso di partorire soltanto la bambina, perché l’altro gemello era stato scelto da suo marito, il dottor Ulen Hibiki, per divenire la più perfetta delle creature esistenti, il Coordinator Definitivo – ragion per cui, pur non essendo stato addestrato alla guerra come me e gli altri, Kira risultava essere al nostro stesso livello in battaglia, se non addirittura superiore. Era quindi stato prelevato in fase embrionale dal ventre della donna e trasferito in un utero artificiale che avrebbe dovuto sopperire a tutte le mancanze di quello naturale. Quell’orribile operazione era già stata ripetuta svariate volte, portando al decesso di tutti gli altri feti, probabilmente i fratelli maggiori di Kira e Cagalli. A spiegarci ulteriori dettagli, ci pensarono, con grande sofferenza, i signori Yamato, gli zii che avevano cresciuto Kira con quell’amore che i suoi veri genitori non avevano saputo o potuto dare a lui e a tutti gli altri figli a cui avevano tentato di dare la vita, seppur in modo discutibile. Il loro lavoro, quello del dottor Hibiki e sua moglie, vittima dell’uomo che aveva sposato, aveva provocato parecchio scompiglio nell’etica professionale di biologi e genetisti, e di conseguenza aveva scatenato devastanti e sproporzionate reazioni fra le file dei Blue Cosmos. Non potendo fare altrimenti, per garantire almeno la sopravvivenza dei due gemelli, i signori Yamato erano stati costretti a dividerli, tenendo con loro il maschio, più a rischio e pertanto più bisognoso d’amore, e affidando la femmina alle mani di un uomo potente, il Delegato di Orb, pronto a tutto per difenderla. Kira e Cagalli avevano dunque vissuto i primi quindici anni della loro vita ignorando l’uno l’esistenza dell’altra, e se si erano incontrati su Heliopolis poco prima che questa venisse distrutta, lo dovevano unicamente ad un colpo di fortuna, lo stesso che li aveva fatti riunire anche in Libia. Temendo perciò che il loro rapporto di amicizia potesse evolversi in modo sbagliato per due fratelli, prima di morire Uzumi-sama aveva ritenuto opportuno avvertire della cosa almeno sua figlia – poiché tale era Cagalli ai suoi occhi – senza però poter scendere nei particolari.

   Riflettendoci su, Cagalli sorrise: era vero, quando ancora non conosceva la verità, per un attimo aveva temuto di innamorarsi di Kira. Se non lo aveva fatto, era stato unicamente perché all’epoca lui aveva già una ragazza – Fllay Allster, rimasta uccisa durante l’ultima battaglia a Jachin Due – e anche perché proprio in quel periodo aveva conosciuto me. Mi ringraziò per aver contribuito a scongiurare quel tragico sentimento. Nessuno di noi due sapeva se anche per Kira era stato lo stesso, né preferimmo indagare. Il vederli molto uniti, a dirla tutta, mi aveva inizialmente portato a credere che l’interesse fosse reciproco. Quel dubbio, comunque, lo tenni per me solo, in quanto ritenevo inutile rimuginare su un assunto che non aveva ragione di esistere e che, per fortuna, non era riuscito a compromettere nulla fra loro.

   Non conosco i dettagli, ma so che Fllay Allster aveva segnato indelebilmente Kira, nel bene e nel male. Se fosse sopravvissuta, immagino che avrebbe potuto creare diversi problemi alla nascente relazione fra lui e Lacus, considerato anche il fatto che, forse, Kira ne era ancora in qualche modo innamorato. Vedendolo insieme a Lacus, infatti, mi domandavo spesso se formassero davvero una coppia o meno. Dopotutto, a furia di guardare altrove, avevo perso la mia promessa sposa perché lei aveva preferito Kira. Non me lo aveva mai tenuto nascosto: non credo che dimenticherò mai il pomeriggio in cui, sorridendo, mi disse che lui le piaceva molto. Avrei potuto intendere quelle parole come un apprezzamento alla personalità del mio migliore amico, e invece, forse a causa della coscienza sporca, interpretai in modo affrettato, eppure esatto, i sentimenti che Lacus aveva iniziato a provare per lui. Confesso con una certa vergogna che, pur non provando reale gelosia, quella volta la baciai proprio nel goffo tentativo di ristabilire ordine in quel caos che rischiava di compromettere il mio futuro con lei – all’epoca comunque, non avevo ancora conosciuto Cagalli, altrimenti avrei forse dato meno importanza alle sue parole. Quando poi avevo visto Lacus parlare insieme a Kira sulla Kusanagi, dopo un certo smarrimento iniziale perché non abituato all’idea, mi ero persino scoperto contento per loro.

   Ad ogni modo, oltre al pensiero costante a mio padre e alla guerra, credo che il vero motivo per cui non entrai in crisi avesse i capelli biondi e gli occhi dorati, nonché un cervellino niente male: non potevo immaginare se ci fossero o no progressi fra Kira e Lacus, ma io ero felice con Cagalli, perché finalmente mi era concesso di amare la persona che io avevo scelto e che a sua volta aveva scelto me. La sola idea di poterla stringere o baciare, o anche solo il vederla appena sveglio, mi riempiva di vita. Logicamente fra noi non era tutto rose e fiori. Testardi, gelosi e dotati entrambi di un pessimo carattere, a volte ci beccavamo su piccole cose, ma fortunatamente eravamo abbastanza intelligenti da non darvi mai troppo peso, risollevando poi la situazione con un sorriso o una battuta, in nome di quella serenità che avevamo conquistato con grande fatica e di quell’amore che ci aveva dato la forza e la speranza necessarie per ricominciare tutto da capo. Insieme.

   Quanto agli altri nostri compagni, Yzak e Dearka erano stati reintegrati in ZAFT, mentre i membri dell’Archangel e buona parte di quelli dell’Eternal, compresi il Comandante Waltfeld ed il suo braccio destro Martin DaCosta, avevano deciso di rimanere a Orb, quasi tutti sotto falso nome per questioni ovvie. Stesso destino era toccato a me: esule volontario di PLANT, grazie ad un accordo con Eileen Canaver, la donna che era succeduta a mio padre alla presidenza delle nostre colonie, lasciai l’Esercito, tornando ad essere un semplice civile, ed assunsi la nuova identità di Alex Dino. Mi trasferii nel palazzo degli Athha con l’intenzione di fare da guardia del corpo alla Principessa, unica erede, e lei mi concesse generosamente l’accesso alla sua nobile casata. Vista la mia adorazione per lei, vivere con Cagalli mi piaceva, per cui non avevo la minima ragione per poter essere scontento dei due anni che trascorsi con lei.













E quindi giustamente uno si chiede: e allora perché se n'è andato? *___*
Spero di spiegarlo in modo coerente e sensato nei prossimi capitoli. Per cui, se dovessi toppare su qualche passaggio, non abbiate timore di farmelo notare. Anzi, non abbiate pietà. è_é
Grazie a chi segue ancora questa storia e a chi è così gentile da lasciarmi due righe. ^^
Shainareth





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Capitolo 21
*** 20. Armory One ***





Armory One




Benché nessuno di noi ci avrebbe scommesso su un soldo bucato, me compreso, a diciotto anni compiuti, Cagalli Yula Athha vene acclamata dal popolo come nuovo Delegato degli Emirati Uniti di Orb, uno dei pochi Paesi, insieme al Regno di Scandinavia e all’Unione Equatoriale, decisi a non schierarsi mai né con PLANT né con l’Alleanza Terrestre. Non che non avessimo fiducia nelle capacità della nostra compagna o nelle sue idee, tuttavia eravamo convinti che, visti i precedenti, l’azione facesse molto più per lei rispetto alla politica e, soprattutto, alla diplomazia. Cagalli ci smentì prontamente dal primo all’ultimo, dimostrando, pur con qualche piccola pecca dovuta all’inesperienza, di essere adatta a ricoprire quel ruolo prestigioso. Nel giro di pochissimi mesi, infatti, fu in grado di risolvere diverse questioni spinose per Orb, lasciandoci a bocca aperta e spingendoci sempre più a credere che fosse partita col piede giusto affinché un giorno potesse eguagliare il suo amato padre. Visti il grande carisma di cui era dotata e la sua ferrea forza di volontà, sarebbe stato davvero così, negli anni a venire, sebbene a causa della giovanissima età, ed attorniata da un Parlamento che le remava contro, per un maledetto attimo fu costretta ad abbassare incautamente il capo, finendo così per cedere alle pressioni degli altri Emiri e mettendo, pur senza averne reale intenzione, me, se stessa e l’intera Nazione in guai seri.

   Più volte Cagalli aveva intavolato discussioni con gli altri Stati circa il disarmo, ed in particolare aveva pregato PLANT di abbandonare una buona volta le tecnologie di Orb delle quali aveva iniziato ad usufruire dopo che un cospicuo numero di profughi della Prima Guerra, tra i quali figuravano diversi Coordinators, si era rifugiato lì. Il nuovo Presidente, Gilbert Dullindal, non aveva però mai risposto in modo esauriente alla sua richiesta, fingendo di non sapere che la Federazione Atlantica premesse su Orb al riguardo. Per questa ragione, stanca di essere ignorata, Cagalli decise di muoversi in prima persona per verificare esattamente come stessero le cose.

   Mi trascinò con sé fino ad Armory One, PLANT di recente costruzione facente parte del complesso di colonie L4, adibito come arsenale militare per ZAFT. Fu lì che il Presidente Dullindal ci aveva concesso udienza, e mentre ci accompagnava egli stesso fra i vari hangar zeppi della nuova produzione di massa di Mobile Suits dell’industria bellica nazionale, gli ZGMF-1000 ZAKU Warrior, cercò di dimostrarci che il potere era importante anche in tempi di pace. Cagalli non era d’accordo, e anche a me la storia non piaceva, non dopo aver dato uno sguardo d’insieme a ciò che ci circondava.

   D’un tratto vi fu un’esplosione, cui fecero seguito altri boati e l’assordante suono dell’allarme: qualcuno si era introdotto nella base e, a quanto pareva, si era impadronito di ben tre unità. Durante la fuga in cui avremmo dovuto essere scortati dagli uomini di Dullindal, io e Cagalli cercammo riparo fra le macerie di ciò che era appena andato distrutto. Infine, non trovando vie sicure, fui costretto a prendere in prestito uno degli ZAKU abbandonati, portando la mia protetta con me nell’abitacolo: non avevo la minima intenzione di rimanere ucciso in quel posto, né di lasciar morire Cagalli. Provammo la fuga, ma finimmo coinvolti in uno scontro con uno dei Mobile Suits rubati. Si trattava di un modello di ultima generazione, lo ZGMF-X88S Gaia, sviluppato insieme allo ZGMF-X24S Chaos e allo ZGMF-X31S Abyss, trafugati anch’essi poco prima. A darci man forte, arrivò un’unità aerea assemblabile in un altro MS, le cui strabilianti capacità mi lasciarono a bocca aperta. Durante la battaglia, comunque, mi feci trascinare imprudentemente dall’azione e Cagalli ne pagò le conseguenze: non essendo assicurata con delle cinture come me, quando fummo colpiti perse l’equilibrio e venne sbalzata in avanti, battendo il capo e finendomi addosso. Quando mi accorsi che aveva perso i sensi a causa di una ferita alla testa dalla quale fuoriusciva parecchio sangue, mi sentii gelare. Fui tranquillizzato dal suo respiro regolare e dal fatto che si risvegliò pochi minuti dopo, fra le mie braccia, quando ormai le acque si erano calmate. Mi disse di star bene, a parte la botta ricevuta, ed io mi affrettai a cercare un luogo tranquillo per farla scendere. Invano, perché vi fu un nuovo scontro e, nella confusione di quei concitati momenti, l’unico posto in cui credetti di poter essere al sicuro fu l’interno di una nave spaziale non ancora varata: la Minerva.

   Quando uscimmo dallo ZAKU, fummo attorniati da diversi membri dell’equipaggio, ed una ragazza dai capelli corti e l’uniforme rossa, come quella che anch’io avevo indossato fino a due anni prima, ci puntò contro una pistola intimandoci di rendere note le nostre generalità. Le spiegai la situazione e la pregai di accompagnarci in ambulatorio poiché Cagalli era ferita. Non potendo avvalersi della consulenza del Comandante della nave, impegnato con tutto quel trambusto, lei ci accordò il permesso di raggiungere l’infermeria sotto la sua supervisione e quella di pochi altri soldati, senza sapere che, di lì a poco, le cose si sarebbero complicate parecchio per noi tutti. Per me e Cagalli soprattutto.













Chiedo scusa per l'assurdo ritardo, ma valgono anche per questa long le stesse cose che ho spiegato in calce alla shot Famiglia, l'ultima che ho postato.
La cosa più comica di tutte, scrivendo della seconda serie, sapete qual è? Che dopo aver concluso la parte che ritenevo più complicata da rielaborare dal punto di vista di Athrun, mi sono bloccata proprio quando le cose dovrebbero invece semplificarsi. XD Va beh, stessa cosa era successa anche all'inizio, quando dovevo scrivere i capitoli su Kira e Cagalli (i più facili, poiché avevo un sacco di cose da dire) e non riuscivo minimamente a mettere due parole in fila. Bah. Speriamo di sbloccarci presto.
Ringrazio Lyl_Meyer, Atlantislux e kari16 per i commenti allo scorso capitolo, Gufo_Tave per quello alla shot su Kira e Athrun, e Kira Yamato per aver inserito quest'ultima fra le storie preferite. Un grazie va ancora a tutti i lettori di cui non conosco il nome. :)
Shainareth





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Capitolo 22
*** 21. Minerva ***





Minerva




«Il potere è necessario perché le guerre non cesseranno mai di esistere.» Furono queste le parole che il Presidente Dullindal aveva usato per ribattere all’obiezione di Cagalli circa la necessità di continuare ad incrementare il potenziale bellico di ZAFT e lo spropositato numero di armamenti che trovammo ad Armory One. E, c’era da starne certi, ne avevano di così avanzati da far gola a chiunque, visto com’era andata a finire.

   Durante lo scontro con il Chaos, l’Abyss ed il Gaia, la colonia venne danneggiata, fortunatamente non in modo irreparabile com’era invece stato per Heliopolis. Senza neanche essere stata varata, la Minerva, uno dei pezzi più importanti e prestigiosi della collezione di Dullindal, fu quindi costretta ad inseguire i terroristi nello spazio, ed io e Cagalli ci trovammo bloccati lì dentro. La ragazza che si era presa la responsabilità della nostra presenza a bordo, e che ci aveva concesso le cure mediche necessarie, fu sorpresa almeno quanto noi di sentir dare l’allarme: la nave stava entrando in assetto da battaglia. Spaventata, Cagalli si lasciò sfuggire a mezza voce il mio nome, quello vero, davanti a diverse persone, eppure, dopo uno smarrimento iniziale, nessuno ci fece domande.

   Non appena i terroristi, il cui mezzo era stato provvisoriamente chiamato Boogey-1 dall’equipaggio di ZAFT, riuscirono a seminarci, il Comandante Talia Gladys ed il Presidente Dullindal – anche lui aveva trovato riparo lì come noi – furono in grado di prestarci le dovute attenzioni, scusandosi sia per l’incidente, di cui comunque non erano responsabili, sia perché al momento non potevano permetterci di sbarcare: la Minerva era ancora sulle tracce dei tre Mobile Suits rubati ad Armory One, poiché non poteva permettere che degli sconosciuti facessero chissà quale uso di quelle preziose e potenti armi. Rassegnati perciò ad essere loro ospiti, il Presidente si offrì di farci da cicerone a bordo della nave. Ci spiegò che non poteva svelare molto di quello che ci apprestavamo a vedere per via del segreto militare. Ci disse anche che al momento, oltre allo ZAKU portato da me, vi erano imbarcate altre tre unità, le stesse che avevamo visto combattere sulla colonia contro quelle trafugate. Si trattava di uno ZGMF-1000/A1 Gunner ZAKU Warrior, assegnato alla ragazza che ci aveva accolti, di uno ZGMF-1001/M Blaze ZAKU Phantom, affidato al soldato scelto Rey Za Burrel, che affiancava Dullindal in quella visita guidata, ed un’unità speciale e componibile, dotata di un sofisticato sistema di armamento, lo ZGMF-X56S Impulse, il cui perno era costituito da un caccia, il Core Splendor, al cui interno si trovava il pilota. Quest’ultimo si chiamava Shinn Asuka, l’unico dei tre Rossi dell’equipaggio che ancora non ci era stato presentato, e l’unico, oltretutto, che ci avrebbe dato non pochi problemi.

   Sempre più contrariata da tutto quel potere, Cagalli ricominciò con la sua protesta sulla pericolosità della cosa: era davvero necessario? Non sarebbe stato più semplice evitare che tutti si armassero, in modo da scongiurare il rischio di altre guerre, specie se disastrose come l’ultima? A risponderle a gran voce ci pensò proprio Shinn che, ascoltato in disparte il suo discorso, le urlò contro di piantarla con tutte quelle frasi insignificanti: «Parlar bene è tipico degli Athha.» Quello che ci lasciò più di stucco, però, non fu tanto quel che disse, quanto lo sguardo pieno di rancore che rivolse a Cagalli. Lei non lo aveva mai visto prima, per cui non riuscì a spiegarsi il perché di quella reazione. Così, mentre Rey cercava di far tacere il suo compagno, il Presidente ci informò che Shinn era originario di Orb e che la sua famiglia era morta due anni prima, durante l’attacco ad Onogoro.

   L’allarme suonò di nuovo e non ci fu tempo per altre chiacchiere. L’equipaggio fu richiamato ai propri doveri e Dullindal ci guidò sul ponte dove, ricevuto il permesso dal Comandante Gladys, ci consentì di assistere alle operazioni da lì, in virtù del fatto che durante le battaglie precedenti quella di Jachin Due, Cagalli era stata a capo di una nave da guerra nonostante la giovanissima età.

   Lo scontro non portò a nulla neanche questa volta e, anzi, rischiammo grosso a causa di una trappola tesaci da Boogey-1. D’un colpo, comunque, nel parlare di quest’ultima nel bel mezzo del combattimento, il Presidente decise di intavolare un discorso filosofico ben mirato a farmi aprire gli occhi su di una questione di fondamentale importanza che mi riguardava personalmente. Si domandò infatti quale fosse il vero nome della nave avversaria, poiché, sapendolo, avremmo potuto conoscerne la reale potenza. «Se un nome è falso, allora anche l’esistenza della cosa che esso identifica risulterà falsa.» Dunque, seguendo il suo ragionamento, la mia esistenza non era autentica? Avevo vissuto inutilmente gli ultimi due anni della mia vita? No, sapevo che non era così. Tuttavia, quando Dullindal pronunciò il mio vero nome, qualcosa dentro di me cominciò ad agitarsi. Aveva capito chi fossi realmente sin dal primo istante, da quando mi ero presentato a lui e agli altri come la guardia del corpo del Delegato Athha, Alex Dino.

   Persa nuovamente di vista Boogey-1, a me e Cagalli fu concessa una cabina per poter riposare. Non riuscii a chiudere occhio e, suppongo, non lo fece neanche la mia compagna. Non parlammo di quanto aveva appena detto il Presidente, anche perché, accompagnandoci al nostro alloggio, egli si premurò di scusarsi con me per aver fatto cenno ad un qualcosa in cui non avrebbe dovuto immischiarsi. Dopotutto, nessuno sapeva ciò che aveva davvero passato o ciò che ancora provava quello che, con mio grande fastidio, ormai nell’Esercito di ZAFT veniva considerato addirittura una leggenda: Athrun Zala.













Se da un lato avrei voluto uccidere di botte Gilbert perché colpevole di aver cominciato a mandare in confusione Athrun, dall'altra bisogna ringraziarlo: sono convinta che gli avvenimenti della seconda guerra, compresi gli errori di ogni singolo personaggio, fossero necessari affinché tutti ritrovassero la propria strada. Se Athrun fosse rimasto a Orb come Alex Dino, non avrebbe vissuto appieno la felicità che invece lo aspetta ora che a Orb viene chiamato Athrun Zala. Avrò modo di approfondire le cose proprio per bocca sua, quindi non mi dilungo oltre e mi scuso, invece, per la lentezza dei miei aggiornamenti, ma è da un pezzo che ormai sono ferma al capitolo ventotto. Spero di riprendere a scrivere quanto prima, visto che la parte più difficile è alle spalle.
Quanto al resto, ringrazio di cuore chi legge, nonché Atlantislux, kari16 e Kourin per aver lasciato una recensione allo scorso capitolo.
Un bacio e alla prossima.
Shainareth





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Capitolo 23
*** 22. Ciclo ***





Ciclo




Fu come un fulmine a ciel sereno.

   Dopo essere stato attirato dall’atmosfera terrestre nella Debrits Belt, la Fascia dei Detriti, durante l’ultima guerra, Junius Seven aveva improvvisamente ed inspiegabilmente cambiato la sua orbita, scegliendo la più pericolosa che potesse esserci. Il Presidente Dullindal non ci nascose nulla e, anzi, si affrettò a comunicarci che allo stato attuale delle cose non poteva ancora permetterci di sbarcare. La Minerva, infatti, insieme ad altri supporti provenienti da PLANT, si sarebbe prodigata per evitare che quella colonia in rovina precipitasse sulla Terra: un impatto di quella portata sarebbe stato devastante, e per gli abitanti dell’intero pianeta non ci sarebbe stato nulla da fare.

   Mentre ne discutevo con Cagalli, mi venne in mente un’unica soluzione, e cioè distruggere Junius Seven. Non avevo certo dimenticato cosa simboleggiassero i resti di quel PLANT, né soprattutto che lì si trovavano ancora i corpi senza vita delle persone uccise nel corso dell’attacco nucleare di quel maledetto 14 febbraio, compreso quello di mia madre. Però che altro si poteva fare? Per preservare quel mausoleo di dolorosi ricordi, avremmo forse dovuto lasciare che la Terra venisse travolta, così che si ripetesse la stessa tragedia? Non potevamo permetterlo nella maniera più assoluta, e PLANT, in barba agli antichi rancori, si sarebbe adoperata per scongiurare l’imminente pericolo.

   Proprio in quel momento, anche i membri più giovani dell’equipaggio si trovarono a parlare della medesima cosa, ed io e Cagalli li sentimmo passando davanti alla sala in cui si erano riuniti, sconvolti quanto noi. Uno di loro fu sorpreso stoltamente a dire, forse per scherzo, che se non c’era nulla da fare per quella situazione, se la Terra era spacciata, bisognava rassegnarsi. Cagalli vide rosso e si fece avanti, pronta a dare una brusca lavata di capo a tutti. Non potevo biasimarla, anzi, ma bisognava anche tenere a mente che lì noi eravamo soltanto degli ospiti. Provai a fermarla per farla ragionare, senza successo perché lei aveva già iniziato ad urlare, fuori di sé per la rabbia. Di nuovo, Shinn fu abbastanza irrispettoso da ribattere in modo aspro e offensivo. Non faccio mistero del fatto che mi sarebbe davvero piaciuto picchiarlo: nessuno poteva permettersi di trattare in quel modo Cagalli, a maggior ragione se ingiustamente. Non indossando l’uniforme – ero ormai un semplice civile – dovetti trattenermi dal colpirlo, ma a quel punto mi parai davanti alla mia protetta e affrontai quel ragazzino irriverente armato almeno di parole. Gli intimai di smetterla di aggredire senza motivo il Delegato di Orb, altrimenti avrei dovuto ricorrere alle maniere forti. Mi sentii rispondere, senza che lui abbassasse il tono, che invece era Cagalli ad essere nel torto: la sua famiglia era morta proprio a causa degli Athha e dei loro utopici ed inutili ideali.

   Quando tornammo in cabina, tentai di spiegare a Cagalli che Shinn stava sfogando la propria rabbia ed il proprio dolore, anche se in modo errato, e che difficilmente saremmo stati in grado di fargli cambiare idea su quelle sue assurde convinzioni. Lo capivo bene. Anch’io mi ero sentito come lui dopo l’attacco a Junius Seven e la conseguente morte di mia madre. Cagalli mi guardò con due occhi che non scorderò mai: vi era di nuovo impressa tutta la tristezza che vi avevo letto due anni prima, quando suo padre, prendendo la decisione più sofferta, aveva dovuto dirle addio pur di non consegnare la Nazione alla Federazione Atlantica. Un attimo dopo, la mia principessa piangeva a dirotto, scossa da singhiozzi infiniti che mi spezzavano il cuore. Tutto ciò che potei fare, in quel momento, fu stringerla a me, aspettando che si calmasse. Non appena accadde, vinta dal sonno perso e dalla stanchezza dovuta alle lacrime, si appisolò. Rimasi con lei per qualche minuto, accarezzandola e pensando a quale fosse la cosa migliore da fare.

   Quindi, la lasciai riposare e mi diressi sul ponte, domandando al Comandante Gladys, senza tanti giri di parole, un’unità per poter dare una mano durante le operazioni che avrebbero salvato il pianeta. Dopo un iniziale smarrimento dovuto a quella mia sfrontata richiesta, grazie alle pressioni del Presidente Dullindal che dimostrò subito di volermi dare fiducia, lei cedette e mi affidò lo ZAKU con cui ero arrivato.

   Uscii insieme agli altri tre piloti. Il nostro compito era quello di dare supporto alla squadra già presente sul posto, il Team Joule, capeggiato da Yzak. Quando lo seppi, provai quasi nostalgia. Mi era stato detto che adesso lui era stato promosso al grado di Capitano di Vascello e che aveva smesso la divisa rossa per indossarne una bianca, come quella che aveva portato Raww La Klueze. Ai suoi ordini c’era Dearka, divenuto ora soldato ordinario. Saremmo tornati tutti e tre insieme, anche se solo per una missione.

   Missione che avrebbe dovuto risultare molto meno complicata di quello che fu in realtà, perché sul posto trovammo già dei Mobile Suits di ZAFT. Non erano venuti a darci una mano. Anzi, si presentarono orgogliosamente come coloro che avevano deviato l’orbita del PLANT che ora minacciava i Terrestri. Non riuscivamo a capacitarci della cosa... Possibile che ci fossero ancora dei Coordinators che odiavano i Naturals al punto da volerne l’estinzione? Non avevano imparato nulla dall’ultima guerra?

   Fummo costretti ad ingaggiare battaglia, resa ancora più difficile dall’arrivo dell’Abyss, del Chaos e del Gaia, forse giunti lì con le nostre stesse intenzioni. Ci mettemmo un po’ per far capire loro che tutto ciò che ci premeva in quel momento era salvare la Terra. E mentre tentavo di difendermi da uno dei terroristi di ZAFT, questi mi gridò che stavamo sbagliando tutto: Junius Seven era la tomba di sua figlia, e lui avrebbe dato la vita pur di far provare ai Naturals lo stesso dolore che lo aveva ridotto in quello stato. Il cammino più giusto, aggiunse, era quello intrapreso da Patrick Zala.

   Rimasi sgomento. La storia si ripeteva, e l’ombra di mio padre, ormai morto da tempo, si allungava su di me, rischiando di soffocarmi.













Mi rendo conto che non è proprio un capitolo allegro per augurarvi buon Natale, ma abbiate pazienza. ^^;
Non so quanto io sia riuscita a renderla, ma trovo questa prima parte di Destiny molto interessante per capire come, dopo due anni, Athrun non sia ruscito a superare per nulla il conflitto mai chiarito con suo padre. Anzi. Questa però è solo una delle motivazioni che lo hanno spinto ad indossare di nuovo la divisa di ZAFT, e francamente non riesco a rimproverargliene neanche una: sul piano umano, ogni sua singola azione è comprensibilissima, così come lo sono quelle di quasi tutti i personaggi della Cosmic Era (meno che una, secondo me, e cioé la decisione finale di Talia... ho ancora voglia di prenderla a sberle e di portarla lontano da Gilbert e Rey).
Rispondendo alle vostre recensioni, anzitutto chiedo scusa a kari16 per la mail che le ho inviato qualche giorno fa (non so se ti è arrivata), ma quando mi si parla del finale della serie mi si accartocciano le budella e sfodero immediatamente la spada per difendere la mia crociata in onore della logica. XD (Oltre che del mio fangirlismo. ^^)
Quanto alle parole di Atlantislux e Kourin su Dullindal, non mi si può trovare più d'accordo: un uomo idealista quanto Cagalli, e al contempo più realista di lei (almeno riguardo alle guerre), ma pure fuori come un balcone. Per lui non ho mai saputo che tipo di sentimenti provare... Non mi garba moltissimo, però, appunto, come dite anche voi, è stato grazie a lui e alle sue parole se molte cose si sono evolute per il meglio, a cominciare dai problemi interiori di Athrun per finire all'accettazione, da parte dell'umanità, della coesistenza e della convivenza fra Naturals e Coordinators (quanto meno in generale, poiché dubito che non esistano più gruppi di Blue Cosmos o seguaci di Patrick Zala nascosti qua e là).
Ringrazio quindi loro tre e tutti i lettori di questa long che spero di portare a termine quanto prima (sono finalmente riuscita a sbloccarmi).
Buon Natale,
Shainareth





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Capitolo 24
*** 23. Promessa ***





Promessa




Per poco non finii ammazzato. Ci pensò Shinn a salvarmi, ma a causa di questo ritardo fummo tutti e due risucchiati dall’atmosfera terrestre, e la Minerva fu costretta a seguirci nella discesa. Quanto a Junius Seven, eravamo riusciti a spaccarne la superficie per mezzo di alcune bombe inserite nelle profondità del terreno. Non potemmo fare di più, eppure i suoi frammenti, incendiandosi, caddero come una pioggia di fuoco su tutto il pianeta, causando stragi a ripetizione. La zona più colpita risultò essere la fascia equatoriale, e ciò non fu certo fonte di sollievo, anzi. Dovunque qualcuno piangeva i morti dovuti a quel maledetto attacco terroristico, e sapevamo che la colpa sarebbe stata senza dubbio attribuita all’intera PLANT.

   Rientrati nella Minerva, quando scesi dallo ZAKU fortemente danneggiato, Cagalli mi corse incontro, preoccupata per le mie condizioni. Durante le operazioni, il Presidente Dullindal si era trasferito sulla nave di Yzak per la propria incolumità; lei, invece, non aveva voluto seguirlo, preferendo rischiare insieme a me. Le chiesi scusa per l’essermi avventurato su un Mobile Suit senza averle detto nulla, e lei mi sorrise: era contenta che fossi uscito anch’io, perché era sicura che ce l’avrei fatta e, soprattutto, fu d’accordo con me nel riconoscere che in quella situazione non c’era altro da fare se non rimboccarci tutti le maniche. La Terra era salva. Alla luce di quelle parole, Shinn fu nuovamente duro con lei, tornando ad offenderla e ad insinuare che non capisse nulla, perché la Terra non era affatto salva, era stata comunque danneggiata. L’accusò anche di mancanza di tatto nei miei riguardi, e le spiegò bruscamente che i terroristi avevano fatto il nome di mio padre. Toccare quel tasto mi faceva male, molto. Non rimproverai Cagalli come fece Shinn, lei non poteva sapere quel che era successo sul campo di battaglia. Tuttavia, ce ne rendemmo conto entrambi, a causa di tutto quello, qualcosa fra di noi aveva cominciato a cambiare contro la nostra volontà.

   Essendo atterrati nell’Oceano Pacifico, la Minerva ci scortò fino ad Orb, pronta poi a dirigersi verso la base di Carpentaria. Cagalli si offrì di accollarsi le riparazioni necessarie: era il minimo che potesse fare per ricambiare quanto l’intero equipaggio aveva fatto per noi e per la sicurezza del pianeta. Fummo accolti dal corpo degli Emiri al completo. Fra tutti, spiccava Yuna Roma Seiran. Detestavo quell’uomo. Tanto per cominciare perché la prima cosa che fece non appena Cagalli toccò terra, fu di correre ad abbracciarla. Lei provò a divincolarsi come ogni volta, pur non potendo respingerlo apertamente davanti a tutti: esattamente come io lo ero stato per Lacus anni prima, Yuna Roma era il fidanzato di Cagalli. Mi rodeva non poco. Lei non me lo aveva mai tenuto nascosto, ed io avevo accettato di rassegnarmi al ruolo di amante. Non ne andavo fiero, ma che altro potevo fare? Di sicuro non era mia intenzione lasciarla a quel bell’imbusto che, sospettando della nostra relazione, approfittava della sua posizione per allungare le mani sulla mia donna sotto ai miei occhi, lanciandomi eloquenti sguardi di sfida. Non mi era concesso prenderlo a pugni, altrimenti credo che lo avrei fatto sin dal primo momento. Ci avrebbe comunque pensato la stessa Cagalli, in seguito, a vendicare entrambi.

   Dal momento che la Principessa era tornata a casa, non c’era più bisogno che io le stessi vicino tutto il tempo, per cui mi fu concesso il resto della giornata di riposo. Mi sentivo inquieto. Prima di approdare a Orb, dimostrandosi fortemente contrariato, Shinn mi aveva chiesto cosa ci facesse lì uno come me. Non gli avevo risposto, perché dopo quanto accaduto nemmeno io ero più tanto sicuro di dover rimanere in quel posto. Amavo Orb, era una bella Nazione, mi piaceva viverci insieme a Cagalli e ai miei amici. Tuttavia, da quando dei perfetti sconosciuti erano piombati su di noi, facendo il nome di mio padre e glorificandolo come un eroe, il mio animo era come dilaniato dall’incertezza.

   Quel pomeriggio rividi Kira. La casa in cui viveva poco lontano da Orb con Lacus, sua madre e i bambini del Reverendo Malchio era stata distrutta dallo tsunami provocato dalla caduta di uno dei frammenti di Junius Seven, e loro erano riusciti a salvarsi perché avevano trovato riparo in un rifugio antibombardamento. Adesso si erano trasferiti tutti nello stesso posto in cui abitavano il Comandante Ramius ed il Comandante Waltfeld, di guardia al Freedom che avevamo deciso di nascondere lì. Sentii il bisogno di parlare con il mio antico amico d’infanzia di tutto ciò che mi turbava, e lo feci come un fiume in piena per via delle troppe le cose che avevo dentro e non potevo confidare a nessun altro. Ero sicuro che lui mi avrebbe compreso, e non mi deluse. Mi ricordai di quella volta, quando, poco prima di lasciare Orb per lo spazio aperto, due anni prima gli avevo chiesto il motivo per cui dovevamo combattere; lui mi aveva assicurato che insieme avremmo senz’altro trovato la risposta. Tuttavia, io non ero ancora riuscito a farlo.

   La Federazione Atlantica aveva delle prove concrete ed inconfutabili sulla colpevolezza di alcuni soldati di ZAFT, responsabili della pioggia di fuoco caduta sulla Terra, e per quanto PLANT assicurasse il proprio supporto alle popolazioni piegate da quella catastrofe, offrendo il suo più disinteressato aiuto ai Naturals che quell’attacco avrebbe invece dovuto annientare, l’Alleanza Terrestre non pareva affatto intenzionata a trattare, e la spaventosa prospettiva di una nuova guerra ci investì in pieno. Cagalli, poverina, passava intere giornate in riunione con gli altri membri del Parlamento, tutti propensi a firmare un accordo con la Federazione che minacciava di attaccare chiunque non avesse accettato di entrare a far parte dell’Alleanza, perché sicuramente colpevoli di essere dalla parte di PLANT e di cospirare insieme ai Coordinators.

   Alla luce degli ultimi avvenimenti, non potevo rimanermene con le mani in mano: dovevo accertarmi della situazione sulle colonie e delle vere intenzioni del Presidente Dullindal. Ne parlai con Cagalli e, pur preoccupata per me, non ebbe nulla da obiettare sulla mia decisione. Capiva che si trattava di un qualcosa che mi riguardava personalmente, che non potevo tirarmi indietro. Mi lasciò partire. L’avevo già salutata quando, esitando per un istante, tornai indietro. Presi coraggio e, senza dirle nulla o aspettare una parola da parte sua, le infilai un anello a dito. Lo feci per uno svariato numero di ragioni che andavano ben oltre il mio amore per lei. In realtà quel gesto significava principalmente due cose: la prima, che me ne infischiavo delle convenzioni sociali e che non avevo la minima voglia di lasciarla a qualcun altro, poiché lei apparteneva a me soltanto; la seconda, la promessa di tornare al suo fianco, qualunque fosse stata la risposta ch’io avrei trovato su PLANT.

   A tutt’oggi, in effetti, ancora non mi spiego come abbia fatto, Cagalli, a non strapparsi quell’anello dal dito e a non lanciarmelo contro, magari centrandomi in un occhio come invece avrei meritato. E non solo per il modo arrogante con cui mi presi il suo consenso al nostro fidanzamento, quanto per tutto quello che dovette sopportare per colpa mia nei mesi a seguire.













Ma sarà poi stata davvero tutta colpa di Athrun? Secondo me no, e proverò a dare un senso al suo punto di vista proprio nel prossimo capitolo.
Per rispondere ad Atlantislux e a kari16 che gongolano alla sola idea di vedere Shinn preso a randellate da Athrun (Poverooo! Cioé, se le meritava tutte, eh! Anzi, troppo poche quelle che si è preso! >_< Però mi dispiace lo stesso! XD), vedrò di accontentarvi nei prossimi capitoli, ché tanto devo per forza parlarne. XD Ho già scritto degli schiaffi, e tra non molto ricamerò anche sul pugno. Contente? ^___^
Ma che bello finire l'anno in cattiveria! XD
Un bacio a tutti voi che leggete e commentate, ed i miei più sinceri auguri per un 2010 ricco di serenità e di belle sorprese. ^^
Shainareth





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Capitolo 25
*** 24. FAITH ***





FAITH




Quello che volevo fare… Quello che ero in grado di fare… La decisione spettava unicamente a me.

 

La guerra scoppiò mentre ero su PLANT. Rifiutando ogni trattativa che potesse scongiurarla, l’Alleanza Terrestre sferrò un attacco nucleare contro le colonie che tanto odiava, e se esse non vennero distrutte fu soltanto grazie ad un’arma di ultima generazione installata su di una delle navi che si prodigarono a fronteggiare quella situazione disastrosa. L’esercito nemico fu costretto a ripiegare e ZAFT poté tirare il fiato per qualche tempo.

   Gli ambasciatori di Orb mi avevano fissato un incontro con il Presidente, ma quest’ultimo era ovviamente impegnato con il Consiglio Supremo per via dei recenti avvenimenti di cui ero ancora all’oscuro. Nell’attesa, mi capitò un fatto assai curioso: incontrai Lacus. Come se questo non fosse bastato a sorprendermi, poiché sapevo che si trovava sulla Terra insieme a Kira, lei mi gettò le braccia al collo, dichiarandosi felice di vedermi. Non credo di averle donato una delle mie espressioni più intelligenti, in quell’occasione; d’altra parte, chiunque al mio posto si sarebbe chiesto cosa diamine ci facesse lì. Inoltre, non nascondo di aver sudato freddo al pensiero che avesse potuto avere un ripensamento sulla rottura del nostro fidanzamento, decisione presa di comune accordo due anni prima. Non feci in tempo a porle domande che fuggì via perché, disse, aveva un impegno inderogabile. Un attimo dopo, il Presidente mi venne incontro, scusandosi per il ritardo.

   Quando mi comunicò dell’attacco nucleare appena sventato, mi resi finalmente conto di quanto l’incidente di Junius Seven che lo aveva preceduto mi avesse segnato profondamente, facendomi di nuovo crollare in quel tunnel buio e senza vie d’uscita costruito da mio padre e dal quale non avevo idea di come uscire. Il suo nome, da me ereditato, pesava enormemente sulle mie spalle e ancora più sulla mia coscienza. Avevamo lottato tanto per la pace, e ora era stato tutto distrutto di nuovo: il nostro castello di vetro, bellissimo ed intriso di amore e di speranza per il futuro, era stato spazzato via dall’odio e dalla follia, e ancora una volta Naturals e Coordinators si trovavano a dover combattere una guerra insensata che avrebbe causato soltanto morte e dolore. Tutto quello che avevo perso per inseguire la pace e la giustizia rischiava davvero di risultare inutile. Non bisognava lasciarsi vincere dai sentimenti negativi, non dovevamo tornare in quella spirale di sangue, non avrei permesso assolutamente che altri amici, fratelli, amanti, padri e figli tornassero a combattersi com’era successo a me, non avrei rese vane le morti di Rusty, di Miguel, di Nicol e di tutti gli altri, non potevo. Se davvero, come avevano detto quei terroristi, c’era ancora gente convinta che il cammino intrapreso da mio padre fosse quello giusto, non potevo lasciare le cose così come stavano, dovevo accollarmi delle responsabilità che, insieme al nome, avevo ereditato dall’uomo che mi aveva messo al mondo.

   Ci pensò il Presidente Dullindal a calmarmi e a farmi ragionare: Patrick Zala era Patrick Zala, io ero io. Non dovevo lasciarmi abbattere da colpe non mie, dovevo solo prendere quanto costruito da mio padre e farne un esempio, purificandolo dagli errori da lui commessi per il troppo amore per la patria. Se mi fossi lasciato vincere dal dolore com’era successo a lui, avrei finito per sbagliare anch’io senza concludere niente. Mi accorsi che quel discorso aveva senso. Forse per farmi capire che tutti gli esseri umani erano soggetti a debolezze, o forse perché non poteva fare altrimenti, mi spiegò che era dovuto ricorrere ad un banale trucco per placare la popolazione che rischiava di insorgere di fronte al recentissimo attacco subito: consapevole del grande carisma che Lacus Clyne aveva esercitato su molti già all’epoca della Prima Guerra, il Presidente aveva preso sotto la propria ala protettiva una ragazza, Meer Campbell, che le assomigliava in tutto e per tutto, e che si concedeva ad apparizioni televisive con l’unico scopo di incitare la gente a non lasciasi vincere dall’odio e a cercare piuttosto una via pacifica per risolvere quelle incomprensioni.

   Pur rendendomi conto che quello che poteva sembrare un gesto disperato per scongiurare una nuova guerra rimaneva comunque una menzogna, la mia fragile stabilità psicologica ed emotiva aveva trovato un nuovo equilibrio grazie alle parole di conforto del Presidente. Dopotutto, se fossi tornato a Orb senza aver concluso nulla, sarei stato di nuovo Alex Dino, un civile senza alcun potere. Io invece volevo rendermi utile. Non intendevo dare peso alle accuse di Shinn, che mi aveva chiesto che senso avesse la mia presenza a Orb: ero stato io a scegliere di rimanere lì, perché temevo che PLANT mi rifiutasse a causa di mio padre, perché volevo vivere in un posto in cui tutti condividevano i miei ideali, perché volevo stare vicino alla donna che volevo sposare e proteggere a qualunque costo. Cagalli, però, non era l’unica persona verso la quale dovevo manifestare quel sentimento di protezione. Se solo mi fosse stato concesso, mi sarei messo a difesa di chiunque, colpevoli ed incolpevoli, perché nessuno meritava di perdere di nuovo ogni cosa. Dopo la Prima Guerra, a me erano rimasti solo Kira e sua sorella. Non avevo più una patria, non mi era neanche concessa di rendere pubblica la mia identità e dovevo vivere la mia storia d’amore nell’ombra. Lo avevo scelto io, e ne sarei stato contento finché fossi stato in grado di ridere o anche solo di respirare. Eppure adesso che la situazione era precipitata una seconda volta nel caos insieme alle mie paure più terribili, capivo che tutto quello non mi bastava più.

   Avevo bisogno di riprendere il mio nome e di riscattarlo. Avevo bisogno di agire in prima persona per scongiurare quanto già successo in passato. Gilbert Dullindal aveva bisogno del mio potere, al punto che si disse disposto ad affidarmi un Mobile Suit sviluppato insieme ai tre che erano stati rubati ad Armory One. Mi assicurò anche che non mi voleva necessariamente reintegrare in ZAFT, ma solo regalare quell’unità perché era certo ch’io ne avrei fatto l’uso più corretto, guidato com’ero dal mio grande senso di giustizia. Aveva fiducia in me.

   Mi presi del tempo per riflettere.

   Il giorno dopo incontrai Dearka e Yzak, e benché quest’ultimo mi saltò al collo non appena mi vide, pronto a farmela pagare perché costretto ad abbassarsi a farmi da guardia del corpo lì su PLANT, fu lieto di essere trascinato da me fino al cimitero: non mi capitava spesso di tornare sulle colonie, pertanto volevo approfittarne per salutare i nostri compagni caduti in battaglia. Fu davanti alla tomba di Nicol che Yzak mi parlò forse per la prima volta con il cuore in mano, pregandomi di unirmi di nuovo a loro. Dopo che avevo lasciato Carpentaria con la convinzione di aver ucciso Kira, mi aveva stretto la mano, rimediando a quanto mi aveva negato alla cerimonia di diploma dell’accademia: era stato così che mi aveva dimostrato la propria amicizia allora e adesso stava facendo la medesima cosa, mettendo da parte l’orgoglio e l’antica competizione perché mi voleva ancora al suo fianco. Il Presidente Dullidal, mi disse, era una persona onesta e, visti tutti i suoi discorsi sulla pace ed il suo concreto impegno nel tentativo di portare avanti le trattative con l’Alleanza senza dover necessariamente ricorrere alle armi, io stesso non stentavo a crederlo. Aveva persino fatto sì che nessuno dei soldati macchiatisi di colpe a causa del Governo Zala venisse punito e, anzi, aveva voluto dar loro la possibilità di rimediare agli errori commessi.

   Dopo aver parlato anche con quella ragazza, Meer Campbell, mi resi conto che, per quanto fosse diversa da Lacus nel carattere ed in moltissimi suoi atteggiamenti, non lo era invece nelle idee: voleva davvero aiutare PLANT e la Terra, e quello di sostituirsi a lei agli occhi della gente comune era il solo mezzo che aveva per servire la Nazione.

   Tutti si stavano dando da fare, compresa Cagalli che, ne ero certo, stava cercando in tutti i modi di far ragionare gli altri Emiri per respingere di petto le pretese della Federazione Atlantica. Fu stringendo nel palmo della mano la pietra di Haumea che lei mi aveva donato tempo prima che presi la mia decisione.

   Il Presidente Dullindal mi affidò lo ZGMF-X23S Saviour, raccomandandosi unicamente di non considerarmi soggetto all’Esercito benché io indossassi di nuovo la divisa di ZAFT. Quell’uniforme rossa, infatti, era soltanto simbolica, e a dimostrazione della piena autonomia che mi concedeva, egli mi fece dono del FAITH, il Fast Acting Integrate Tactical Headquarters, distintivo che veniva assegnato ai soldati autorizzati ad agire di propria iniziativa, senza essere tenuti a sottostare ad ordini che non venissero dal Presidente in persona.

   Con il mio nuovo Mobile Suit e la spilla che sfoggiavo sul bavero della giacca, adesso sentivo di poter fare qualcosa di reale per contribuire a garantire la stabilità mondiale, e di nuovo privo di quelle incertezze che mi avevano fatto vacillare nelle ultime interminabili ore, lasciai PLANT pronto a tener fede alla promessa fatta a Cagalli.













Nota: La scena di Athrun che stringe l'amuleto di Cagalli, di cui parlo in questo capitolo, è stata inserita nella Special Edition.





Chiedo immensamente scusa per il ritardo con cui aggiorno. Sebbene abbia questo ed un altra manciata di capitoli pronti da mesi, sono completamente bloccata sia con questa long che con la raccolta, e tutto a causa di Gilbert Dullindal. Vorrei ammazzarlo, giuro. Di nuovo, si intende.
'Sto maledetto mi ha uccisa l'ispirazione, facendo entrare Lanfranco in letargo. Adesso il mio neurone si è un po' svegliato, tanto che ha ricominciato a scrivere (su un altro fandom, però). Confido quindi che, una volta sbloccato il capitolo sul Papy (alias Gilbert), io riesca a mettere giù anche la shot su lui e Miriallia (della quale ho da tempo una mezza idea) per la raccolta.
Pregate per me.
Intanto voglio ringraziare kari16, Atlantislux e Kourin per le loro recensioni, sperando di poter fornire a queste belle e care fanciulle, e a tutti gli altri lettori, molto altro materiale in futuro.
Shainareth
P.S. Se qualcuno non lo avesse già letto sul mio blog, pare che, durante un'intervista radiofonica, a proposito di una domanda su Cagalli, Akira Ishida (doppiatore di Athrun in Giappone) abbia detto che Athrun in realtà è uno stalker, e onestamente non mi sento di dargli torto! XD Per riderci su, comunque, la Sunrise ci ha anche fatto un disegno in SD per il SEED Club Mobile: http://www.gundam.info/topic/3703





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Capitolo 26
*** 25. Shinn Asuka ***





Shinn Asuka




La prima cosa che feci una volta lasciata PLANT, dunque, fu fare ritorno a Orb, anche perché lì vi era ancora ormeggiata la Minerva alla quale, secondo gli ordini del Presidente, avrei dovuto far sapere la mia nuova posizione.

   È piuttosto umiliante, oggi, rendersi conto di come, pretendendo la botte piena e la moglie ubriaca, all’epoca mi illudessi di poter indossare di nuovo l’uniforme di ZAFT e, al contempo, di stare con Cagalli: se le cose fossero andate davvero così, avrei rischiato di comprometterla agli occhi del mondo intero, fingendo di non sapere che, in tempi di guerra, il Capo di una Nazione neutrale come Orb non potesse nella maniera più assoluta mostrare preferenze per PLANT o per l’Alleanza Terrestre. Ad ogni modo, mi fu risparmiata questa pubblica manifestazione di stupidità, poiché quando varcai lo spazio aereo di Orb mi trovai contro due MVF-M11C Murasame, Mobile Suits che, come il mio Saviour, potevano avvalersi della simultanea trasformazione in caccia per guadagnare velocità in volo. Quelle unità mi misero in guardia: se avessi continuato ad avanzare, avrebbero aperto il fuoco. Era giusto, a nessuno era concesso varcare i confini senza autorizzazione. Mi affrettai a rilasciare loro il mio codice di riconoscimento, specificando anche di essere Alex Dino, della casata degli Athha. Tuttavia, quello su cui viaggiavo era un mezzo di ZAFT e i due piloti, nonostante le mie insistenze, mi attaccarono. Dovetti perciò concludere che Cagalli avesse perso la sua battaglia contro il Parlamento, abbassandosi a firmare l’accordo con la Federazione Atlantica. Fui costretto alla fuga, cercando di raggiungere la Minerva che, a quanto mi era appena stato detto da chi mi aveva respinto, aveva lasciato Orb per dirigersi probabilmente a Carpentaria.

   Ero inquieto. Sapevo che non potevo rimproverare nulla a Cagalli. La conoscevo ed ero sicuro che avesse provato qualunque espediente per evitare tutto ciò. Eppure adesso ci trovavamo nei guai: con lei dalla parte dell’Alleanza ed io da quella di PLANT, eravamo costretti a considerarci nemici. Almeno sulla carta, perché certo non erano tali le nostre intenzioni. Tutto ciò che volevamo, in realtà, era trovare la strada giusta per risolvere quella dannata situazione. Ovviamente, seppur in buona fede, entrambi avevamo imboccato quella sbagliata. Ora come ora, infatti, penso che, visto il modo in cui sono andate le cose, sarebbe stato di gran lunga meglio essere preso a schiaffi da Cagalli per via della mia stupidità di tornare addosso con l’uniforme di un’altra Nazione. Invece, senza che io potessi immaginarlo, a Orb stava succedendo molto più di quanto mi era stato comunicato dai piloti dei Murasame.

   Quando arrivai sulla Minerva, fui accolto dai meccanici e da alcuni ufficiali. La ragazza coi capelli corti che si era già occupata di me e Cagalli la prima volta che avevo messo piede lì dentro, si offrì subito di accompagnarmi dal Comandante Gladys. Si chiamava Lunamaria Hawke e aveva pressappoco la mia età. Non smetteva un attimo di parlare, stupita ch’io mi fossi riarruolato, cosa che cercai di smentire: non ero propriamente tornato in ZAFT, a ben guardare. Ad ogni modo, in quel momento, il suo continuo cicaleccio non faceva altro che peggiorare il mio umore. Infine, come a volermi dare il colpo di grazia, fra una chiacchiera e l’altra mi disse che era rimasta fortemente delusa dal comportamento del Delegato Athha: la credeva in gamba, e invece Cagalli aveva preferito schierarsi con l’Alleanza e subito dopo, senza perdere tempo, era convolata a nozze.

   Non ho idea di cosa potesse aver balbettato Lunamaria vedendo lo stato in cui mi aveva ridotto quella sua ultima notizia, però so per certo che quello fu l’istante in cui mi resi conto di quanto sia doloroso avere un principio di infarto a soli diciotto anni. Cercai di apparire indifferente alla cosa e mi dimostrai un pessimo attore. Sentii Luna dire qualcosa a proposito del fatto che Cagalli era stata rapita – durante o dopo il matrimonio, non ne era sicura – ed io fui costretto ad afferrare per i capelli la mia lucidità mentale prima che essa potesse sfuggirmi del tutto: che avesse sposato un altro o meno, mi dicevo, non aveva importanza, perché quello che mi interessava davvero era sapere se Cagalli stava bene.

   Vidi il Comandante Gladys, e nel mio stato di totale annebbiamento mentale le consegnai il distintivo del FAITH che il Presidente mi aveva affidato per lei insieme a dei documenti di cui ignoravo il contenuto. Quindi, prima di accomiatarmi, le domandai se sapesse qualcosa riguardo a quanto era successo a Orb. Confermò quanto già detto da Lunamaria, aggiungendo però un dettaglio che riuscì a tranquillizzarmi: girava voce che dietro al rapimento del Delegato ci fosse lo zampino del Freedom e dell’Archangel. Non avevo nulla di cui preoccuparmi, la mia Cagalli era con Kira.

 

Lasciata Carpentaria, mentre procedevamo lungo l’Oceano Indiano, subimmo un attacco da parte dei Mobile Suits del vascello spaziale che ci aveva già dato del filo da torcere ad Armory One. Mi sarebbe stato detto in seguito che quel corpo speciale aveva il nome di Phantom Pain. Non avendo l’autorizzazione per impormi nulla, il Comandante Gladys volle sapere come mi sarei comportato in quell’occasione, ed io, in quanto membro dell’equipaggio della Minerva, decisi di combattere. Lei mi affidò allora il comando delle nostre unità, per cui diedi istruzioni agli altri tre Rossi di seguirmi e di non commettere alcuna imprudenza. Shinn mi disobbedì.

   Durante il combattimento, infatti, aveva scoperto una base militare dell’Alleanza, nascosta alla vista, nella quale aveva potuto notare qualcosa che gli fece perdere la testa: i soldati presenti non si facevano scrupoli nell’opprimere la popolazione locale. Phantom Pain si stava ritirando, per cui ordinai ai miei sottoposti di rientrare alla nave. Shinn non mi ascoltò e si buttò a capofitto sull’insediamento appena trovato, accanendosi contro gli ufficiali dell’Esercito terrestre e distruggendo ogni cosa, affinché la povera gente potesse tornare a respirare la libertà che gli era stata negata per chissà quanto. Fu acclamato come un eroe.

   Lo schiaffeggiai non appena tornammo sulla Minerva. Ebbe il coraggio di rispondere in modo arrogante come al solito, e allora non mi lasciai pregare e gli assestai un altro ceffone. Disobbedire agli ordini di un superiore non era la cosa più furba da fare, e per quanto bravo lui potesse essere, doveva togliersi dalla testa di poter agire secondo quello che gli balzava di colpo alla mente. Non c’era nulla di più sbagliato, gli dissi, nel voler fare l’eroe a tutti i costi. Ciò che contava davvero, aggiunsi, era imparare ad usare il proprio potere.

   Nel giro di poco tempo, arrivammo alla base di Mahamul, dove, insieme al Comandante Gladys e al suo vice, Arthur Tryne, incontrai il Luogotenente Joachim Ruddle per discutere della nostra missione. Ci fu spiegata la situazione attuale di quella zona: la Minerva doveva raggiungere Gibilterra, ma per farlo avrebbe dovuto passare per Suez e la cosa non era facile. PLANT non ambiva a nuovi territori, per cui non potevamo attaccare e annientare la base terrestre presente lì, anche perché un’azione del genere avrebbe smentito il diritto alla difesa attiva appena proclamato dal Presidente Dullindal. Probabilmente, però, l’Alleanza avrebbe approfittato della sua posizione a Suez per attaccare Mahamul e poi Gibilterra, cosa che al momento non poteva fare perché non aveva pieno controllo dell’area dell’Eurasia occidentale. Per evitare di isolare Suez, allora, l’Alleanza Terrestre si era impossessata dei pozzi geotermici di Gulnahan, dove aveva impiantato una nuova base, della quale avvalersi anche per sedare le rivolte della popolazione. Tuttavia la situazione non era rosea per i militari terrestri, poiché la resistenza nell’Eurasia centrale era massiccia e loro non potevano spingersi più a sud. Valutando tutti quei dati, conclusi che non ci restava altro da fare che conquistare la base di Gulnahan, appoggiando la popolazione ed isolando così Suez. Per farlo, però, avremmo dovuto accedere tramite un passo, unico passaggio che ci avrebbe condotti lì, dove l’Alleanza aveva pensato bene di costruire un cannone a positroni per evitare che le truppe di ZAFT potessero entrarvi. Queste ultime avevano già provato l’attacco, ma senza ricavarne altro che una disfatta, per via anche del supporto al cannone da parte di Mobile Suits dotati di scudi riflettenti. Alla Minerva, dunque, spettava il compito di sfondare quella linea di difesa.

   D’improvviso, mi tornarono alla mente le figure di Cagalli, di Kira e di Lacus: mi trovavo di nuovo a combattere senza di loro. Cercai di scacciare ogni ripensamento e mi concentrai invece sui miei doveri di soldato. Anzitutto, decisi di risolvere la questione lasciata in sospeso con Shinn. Da che lo avevo redarguito duramente davanti a tutti non ci eravamo più rivolti la parola e, anzi, per tutto il lasso di tempo passato fra lo scontro nell’Oceano Indiano e l’attracco a Mahamul, non aveva fatto altro che girarmi intorno con l’espressione imbronciata di un bambino ripreso dalla mamma.

   Lo trovai da solo sul ponte della Minerva, e notando come i suoi modi, seppur più calmi, rimanessero gli stessi, gli chiesi per quale ragione gli desse così tanto fastidio il fatto ch’io fossi tornato e che lo avessi giustamente schiaffeggiato – a lui non potevo certo dirlo, ma ammetto, senza vergogna, di aver impresso in quei colpi anche il mio rancore per i suoi continui insulti a Cagalli. Shinn mi rispose di nuovo con fare indisponente: non aveva intenzione di chinare il capo davanti ad uno che era stato la guardia del corpo del Delegato Athha e che, tutt’a un tratto, era stato nominato FAITH e alto ufficiale. Dal suo punto di vista, quel che stavo facendo non aveva alcun senso. Non potevo dargli torto, poiché lui non conosceva cosa c’era dietro quella decisione presa in comune da me e dal Presidente. Gli domandai anche perché tutto ciò che lui non accettava doveva necessariamente essere sbagliato, e lui negò che fosse così, pur non volendo riconoscere di aver commesso un errore disobbedendo agli ordini durante lo scontro nell’Oceano Indiano.

   «Hai detto di aver perso i tuoi familiari nella baia di Onogoro, a Orb.»

   «Ho detto che sono stati uccisi… dagli Athha.»

   «È da allora che ragioni così?»

   Se avessi avuto la forza, se solo avessi avuto il potere… Capivo perfettamente come si sentiva Shinn, perché anch’io avevo vissuto tragedie simili, come la morte inaspettata di mia madre o quella di Nicol. Gli errori del passato, però, mi avevano insegnato che quando finalmente saremmo riusciti a far nostra quella forza, saremmo stati noi a far piangere gli altri. Gli raccomandai di tenerlo a mente, poiché se si fosse fatto prendere ancora una volta dal suo egoistico senso di giustizia, avrebbe finito soltanto per fare danni. Mi dichiarai pronto a dargli ancora fiducia e volli dimostrarglielo proprio durante la nuova missione che ci era stata affidata.

   Nonostante le sue immancabili rispostacce e le sue reazioni poco gentili nei confronti di una ragazzina della resistenza dell’Eurasia che cercava disperatamente il nostro aiuto, non deluse nessuna delle nostre aspettative: Shinn era davvero in gamba, uno dei migliori piloti di Mobile Suit che mi fosse mai capitato di vedere. In quei giorni, riuscimmo finalmente a trovare un punto d’incontro su cui lavorare senza necessariamente trovarci ancora a litigare.













No, Lanfranco non ha ancora superato il suo dilemma interiore con la figura di Gilbert Dullindal. Non perché gli risulti difficile scrivere di lui, ma perché non gli va. La nausea per quell'elemento è indicibile (anche se mai quanto quella per Azrael). Uff.
Finché ne ho la possibilità, comunque, aggiorno con ciò che ho già pronto. Sperando di svegliarmi e di riuscire a buttare giù i rimanenti capitoli, che ormai sono davvero pochi. Un ultimo sforzo, Lanfranco, su!
Un bacio a tutti i lettori, ed in particolare ad Atlantislux, kari16 e Kourin per le loro recensioni. :)
Grazie e perdonate l'incostanza dei miei aggiornamenti.
Shainareth





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