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Dal Corpo al Cuore Fan art di MaryUsa a cui
vanno i miei più grandi ringraziamenti
CAP.1
UN
LETTO E UN RAGGIO DI SOLE
Le
persiane
semichiuse lasciavano entrare i raggi di un sole ancora non desideroso
di
andare a dormire.
L’afa
di
un’estate troppo lunga si mischiava al sudore dei due corpi
adagiati sulle
lenzuola umide.
Perle
di
sudore scendevano sul dolce pendio della schiena di lei
mentre le dita di
lui le seguivano come si segue il proprio signore, a testa bassa, con
rispetto
e devozione.
Lei
aveva il
viso girato dalla parte contraria a quello di lui. La sua pelle resa
ambrata
dal sole era perfetta. Liscia, soda e profumata. Gli occhi chiusi in un
espressione di piacere, le labbra rosse e morbide semi aperte ancora
non
stanche, ancora non sazie.
Lui,
chino
su un fianco, imprimeva nella sua testa ogni centimetro della pelle di
quella donna,
del suo corpo. Quando sarebbero stati lontani gli sarebbe bastato
chiudere gli
occhi per vederla in tutta la sua bellezza, li, nuda accanto a lui come
era
adesso.
Faceva
scorta di immagini mentali, scorta di prospettive, scorta di deliziosi
punti di
vista.
Lei
lo
sapeva e lo lasciava fare. Sapeva che da li a poco lui
l’avrebbe voluta ancora,
l’avrebbe toccata, l’avrebbe chiamata a se.
I
capelli
biondi sciolti ricadevano giù dal letto. Erano
così diversi e così uguali
quell’uomo e quella donna. Non un nome, non un indirizzo, non
un numero
di telefono… solo due chiavi di un appartamento e un
appuntamento: ogni tre
giorni al tramonto lei avrebbe aspettato lui e lui avrebbe aspettato
lei per
spegnere la mente e accendere il corpo, per dimenticare il mondo e
ricordarsi
di loro, solo di loro, con un letto e un raggio di sole.
Lei
lo sapeva,
non poteva più sbagliare. Oramai conosceva il ritmo del suo
respiro, anche solo
da quello avrebbe potuto riconoscerlo fra mille.
Ogni
volta
non era come la prima, ogni volta era un’esperienza unica,
totale,
inconfondibile e indimenticabile, come indimenticabile è la
sensazione della
completezza quando è fisica e mentale insieme.
Lei
lo
sapeva e non si era sbagliata. Le mani di lui non potevano smettere di
accarezzarla.
Come per segnare il confine tra loro e gli altri, tra quello che era
suo e
quello che avrebbe concesso di lei al resto del mondo.
Quando
erano in quella stanza, in quel letto, lui si sentiva il suo padrone e
insieme
il suo servo. Pendeva dalle labbra di lei, pregava che lei lo
desiderasse
almeno una una goccia di quanto lui desiderava lei.
Era
così
da mesi, sarebbe stato così per mesi, anni, forse per sempre.
Lei
non si muoveva sotto le sue carezze, respirava sinuosamente e quel
respiro
bastava ad accendere in lui la passione, il desiderio, la bramosia di
possederla ancora.
Con
impeto
la girò verso di se, assaporò il sapore delle sue
labbra e le fece sentire
tutto il desiderio che gli pulsava nelle vene, che lo rendeva virile,
che lo
infuocava dentro.
Anche
lei
lo desiderava ma non gli avrebbe permesso di avere il sopravvento, non
questa
volta.
Ora
era
lei sopra di lui, teneva le redini del gioco con tutta la sua grazia e
con
tutta la sua voglia.
I
capelli
biondi accarezzavano il corpo dell’uomo già rigido
nel suo desiderio. Era una
tortura, una tortura meravigliosa.
Lei
gli bloccava le mani con una forza inesistente, a cui lui
però non poteva
ribellarsi, e con un sorriso malizioso che gli diceva che stavano per
tornare
in paradiso insieme.
Lei
era
sopra di lui e danzava sul suo corpo la danza della passione. Lui
godeva nel vederla
perdersi in mille sensazioni che come mille farfalle
l’avvolgevano.
Il
respiro
più irregolare, le labbra dischiuse, venivano e andavano
come due viaggiatori
ciechi per il mondo che con gli occhi chiusi apprezzavano bellezze a
loro
invisibili ma reali.
Il
tempo era
tiranno, sempre lo era stato e sempre lo sarebbe stato.
Lei
scese
dal letto ancora nuda, senza pudori, senza imbarazzi. Si
vestì in un istante,
facile quando si indossa solo un vestitino nero. Niente biancheria.
Solo un
vestitino nero abbastanza lungo e coprente e un paio di sandali bianchi
che
facevano risaltare le gambe abbronzate.
Lui
la
guardava, sapeva che stava per andare via, sapeva che avrebbe potuto
rivederla
e riaverla solo trascorsi altri tre giorni. Tre giorni e tre notti
senza quella
pelle, tre giorni e tre notti di desideri repressi.
Lui
era
così, passionale dentro quanto glaciale fuori.
Nessuno
di
quelli che lo conosceva fuori da quell’appartamento, oltre
quel letto, avrebbe
mai pensato che Mamoru Chiba era vittima di una dipendenza, una
dipendenza da
lei, quella donna, quella ragazza di nemmeno vent’ anni,
fresca come un
bocciolo umido di rugiada e calda come un dolce appena sfornato che
assaggi anche
se sai ti brucerà la lingua.
Per
tutti
lui era il dott. Chiba, serio, freddo, razionale, inarrivabile e
giovane
primario del più importante ospedale di Tokio.
Il
saluto di
lei prima di chiudere la porta, un semplice sorriso, era il loro
linguaggio in
codice.
Sarebbe tornata, non sarebbe mancata al prossimo appuntamento.
Ogni
volta
che andava via lui aveva la tentazione di chiamarla ma sapeva che in
quel modo
l’avrebbe persa. Le loro regole erano poche ma indiscutibili:
niente nomi,
niente contatti, niente complicazioni.
Se
lui
avesse ceduto al desiderio di averla anche fuori dal quel letto
l’avrebbe persa
per sempre e questo non poteva permetterselo. Lei era diventata
necessaria più
dell’aria. Lei era la sua droga.
Non
l’avrebbe
mai pensato la prima volta che la vide, pulcino in camice bianco al
primo
giorno del tirocinio in ospedale. Faceva parte di un gruppo di
tirocinanti alla
loro prima esperienza. Aveva almeno dieci anni meno di lui.
- Mi dica il suo nome signorina
- Usagi Tsukino, dottore
- Lei è tra quelli del primo anno, vero?
- Si, dottore.
Non
era
intimorita, anche se sapeva di parlare con una vera
celebrità nel suo ramo, che
non aveva certo la fama di uno con un buon carattere, anzi, di solito
era
l’incubo dei tirocinanti, mietitore di vittime tra gli
studenti alle prime
esperienze di medicina. Pare che molti avessero cambiato studi dopo
averlo
incontrato. Lui sarebbe stato il suo aguzzino per tre mesi e forse
anche di più
se le cose andavano bene.
- Bene, lei e il sig. Kou mi seguirete
ogni mattina e ogni pomeriggio nel mio giro consueto. La regola
è una sola: “quello
che dico non si obietta”, mai. Una sola trasgressione e siete
fuori.
- Si signore, ehm…dottore!
I
suoi
colleghi non poterono che sorridere di quella gaffe. Ormai erano in
salvo, il
terribile dottore aveva scelto le sue vittime e loro sarebbero stati
affidati
ad altri, magari meno famelici, medici.
Ne era passato di tempo da quel giorno. Ora era lei quella famelica,
lei che
stabiliva le condizioni, lei i cui ordini non si discutevano
mai…pena
l’abbandono.
Ma…in
realtà
non era quella prima volta che l’aveva vista.
Stava
comprando del vino al market sotto casa sua. Avrebbe comprato del rosso
novello
da accompagnare ad una bistecca solitaria. Cenava sempre da solo, lui e
i suoi
obbiettivi che pretendevano concentrazione assoluta. Mamoru Chiba non
aveva
tempo per una relazione sentimentale.
Doveva
solo
pensare alla carriera.
Lei
era al
suo stesso reparto. Passandole accanto sentì il suo profumo,
una fragranza che
lo fece vibrare. Sapeva di rosa.
Per
un
attimo si immaginò di invitarla a cenare con lui e sempre in
un attimo la sua
mente volò oltre la cena immaginando di annusarla e toccarla.
Gli
ci volle
un minuto buono per riprendersi da quell’improvvisa fantasia.
Quando ritornò in
se aveva ancora in mano la bottiglia di vino ma lei era sparita.
Non
avrebbe
certo mai pensato di vederla il girono dopo nei panni di una sua
tirocinante.
Il momento peggiore per Mamoru era la notte, senza di lei nel letto era
un’agonia terribile. Pensare di dipendere dalla sua carne,
sapere di
necessitare di entrare in lei lo faceva impazzire.
Bionda
con
gli occhi del cielo, alta quanto basta per essere slanciata e
armonica
nei movimenti, spirito di indipendenza e nessuna voglia di guardarsi
indietro.
Usagi
come
tutte le mattine si preparava davanti allo specchio spazzolando i suoi
lunghi
capelli d’oro e profumando la sua pelle con petali di rosa.
Nuda,
davanti a quel vetro con i riflessi dell’acqua, accarezzava
il suo corpo con
quei petali immaginando che lui la stesse guardando. Sarebbe impazzito,
non
avrebbe resistito al suo potere di donna.
Si
soffermò
un istante sull’ombelico e chiudendo gli occhi
tornò con la mente al giorno
precedente quando lui la baciava proprio lì, in quel punto
di congiunzione con
il mondo, e disegnava con la lingua cerchi immaginari.
Un piccolo sorriso compiaciuto si dipinse sulle sue labbra.
Chi
parlava
di lei la descriveva come il vento di settembre, frizzante,
piacevole
ma destinato a non durare. Chi l’aveva conosciuta
sapeva che non si
affezionava mai a nessun posto nè a nessuna compagnia.
Espandeva
il
suo profumato sorriso e poi spariva.
Nei
suoi
occhi si poteva intravedere un’innocenza di cristallo che
conquistava chiunque
al primo incontro.
Ma
quando
nessuno poteva vederla, quando era sola
nell’intimità della sua stanza, come in
quel momento, l’innocenza dei suoi occhi andava via e
lasciava spazio al
desiderio, desiderio di quell’uomo che era il suo
tabù e il suo giocattolo
insieme.
Non
era
sempre stata così, o forse si. Vent’anni sono
pochi ma avvolte sono troppi.
Quell’uomo
così glaciale aveva svegliato in lei il desiderio di calore,
quell’uomo che non
poteva avere ma che infondo, sapeva, le apparteneva, le aveva creato
una
sensazione di bisogno che non conosceva.
Ma…
lui non
avrebbe mai potuto stare con lei sotto gli occhi del mondo,
nè lei con lui.
A
dividerli
c’erano tutte le ragioni possibili: lui era un primario e lei
solo una
tirocinante; la sua reputazione sarebbe crollata e lei sarebbe stata
trasferita
ad un ospedale meno prestigioso e meno sottoposto al clamore di uno
scandalo;
c’erano fra loro dieci anni di differenza e poi, il motivo
più importante e,
infondo, l’unico ad avere importanza, lei non aveva un cuore
da dargli.
Usagi
voleva
solo godere del suo potere su quell’uomo. Voleva solo provare
il piacere di
poter possedere.
La
passione
era la sua certezza. L’amore? Una cosa da illusi.
O
almeno
questo si raccontava spazzolandosi i capelli.
Il
tempo
scorre lentamente quando è un tempo fatto di attese.
Quando
la
lancetta compie il suo percorso, quando la vedi toccare il numero che
stavi
aspettando, è come se scattasse qualcosa dentro,
è come se qualcuno avesse
premuto un interruttore dentro di te.
Aveva
sempre
questa impressione Usagi quando arrivava in ospedale, sempre con almeno
quindici
minuti di anticipo, e attendeva l’orario per iniziare il suo
turno di
tirocinante.
Amava
quel
lavoro, per la prima volta nella sua vita aveva la certezza di essere
al posto
giusto. Quel lavoro era il suo modo di sentirsi utile al mondo, il suo
modo di
fare qualcosa per gli altri senza però istaurare rapporti
che avrebbero avuto
un seguito.
Aveva scelto l’università di medicina, quella era
la prima scelta che aveva
potuto compiere in autonomia realizzando un sogno di bambina.
Finalmente aveva
il suo destino in mano. Nessuno avrebbe potuto manipolarla, non di
nuovo.
Il
dott.
Chiba era stranamente in ritardo. Lui, l’icona della
puntualità, era già trenta
minuti che si faceva attendere dai suoi due tirocinanti. Avevano
passato da un
po’ i tre mesi obbligatori eppure lei e Seya continuavano il
tirocinio grazie
ai buoni risultati riportati dal dott. Chiba al consiglio di
facoltà.
Per
Usagi la
cosa più fastidiosa era dover sopportare le avance del suo
collega, Seya Kou,
che dal primo giorno non faceva che invitarla a bere qualcosa, a
mangiare
qualcosa, a vedere qualcosa.
Non
aveva
proprio capito che Usagi non avrebbe mai accettato un invito sottoposta
ad una
continua pressione.
- Usagi, per una volta il dott.
Ghiacciolo ha fallato. Ora smetterà di darsi tutte quelle
arie da superuomo.
-…
- Sig. Kou, mi compiaccio nello scoprire che lei mi ritiene un
superuomo. Peccato
che io non possa dire lo stesso di lei. La informo che mentre lei era
qui a
dire queste stupidaggini alla signorina Tsukino, io ero in sala
operatoria per
un intervento urgente, e certamente la mia priorità non era
preoccuparmi di lei
che mi stava aspettando.
Usagi
rimase
in silenzio, solo un sorriso nascosto. “Stupido quel
Seya…se non fosse il
figlio del Direttore generale dell’ospedale non
l’avrebbero fatto entrare qui
nemmeno come paziente”.
Mamoru
in
testa, i tre entrarono nell’ascensore che li avrebbe portati
al loro piano di
competenza. Cercando di non farsi scoprire il dottore guardava Usagi da
sotto
gli occhiali.
Il
camice
bianco le donava, probabilmente lo avevano inventato perché
un giorno lei
l’avrebbe indossato. Se non ci fosse stato quel Seya di
mezzo, era sicuro,
avrebbe bloccato l’ascensore e l’avrebbe presa
adesso. Riusciva benissimo a
immaginare la sua pelle sotto il camice, i suoi mugolii di piacere, gli
occhi
invasi dal desiderio… - Dott. Chiba, siamo arrivati.
- Ehm…si, si andiamo…
Si
era perso
un’altra volta in quelle fantasie, all’inizio erano
solo notturne ma da qualche
tempo a questa parte bastava guardarla per provare un senso di
eccitazione
crescente.
Si
congedò
per il tempo necessario per bagnarsi il viso e poi tornò dai
suoi allievi.
- Signor Kou, lei oggi si occuperà
di
controllare tutte le cartelle mediche di questo reparto e segnalarmi
eventuali
variazioni nel decorso medico, lei sig.na Tsukino, invece,
dovrà assistermi per
una pratica eccezionale.
- Posso sapere di che si tratta’?
- Se volevo lei lo sapesse le avrei chiesto di assistermi.
Così
dicendo
si voltò di spalle seguito da Usagi.
Percorsero
in silenzio il lungo corridoio, arrivarono all’ufficio di
Mamoru ed entrarono. Fu
più forte di lui. Chiuse la porta a chiave e la raggiunse.
Lei
gli
sorrideva, sapeva cosa voleva e sapeva come reagire.
Lui
la
stringeva e cominciava a baciarle la base del collo mentre con le mani
avidamente ispezionava la pelle bianca e candida sotto il camice color
latte.
Lei
non
rispondeva al suo calore ma lo lasciava fare tenendo gli occhi
socchiusi.
Lui era divorato dall’eccitazione, lei aspettò
pochi istanti, abbastanza per
sentire la sua virilità cominciare a crescere e
poi lo fermò staccandosi
dal suo corpo.
- Lo sa quali sono i patti dottore: gni
tre giorni nell’appartamento al tramonto, fuori da quel letto
caro dottor
Ghiacciolo io sono solo la sua tirocinante.
- Usagi io…non resisto altri due giorni…io ti
voglio ora. - Mi dispiace, le ho ho permesso troppo
oggi. Non si illuda, l’ho fatto solo per ringraziarla di
avermi tolto Seya dai
piedi per tutta la mattina.
- Tu mi farai impazzire. Ora mi dai anche del Lei?
- L’ho già fatta impazzire egregio
primario.
- Non chiamarmi così. Per te, solo per te qui dentro, sono
Mamoru e basta.
- Io invece per lei qui dentro sono la signorina Usagi
Tsukino…niente di più
Usagi aveva un sorriso malizioso sulle labbra, mentre parlava con la
punta
dell’indice disegnava figure immaginarie sul petto di lui. Si
divertiva a
stuzzicarlo, si divertiva incredibilmente.
- Vieni
qui…signorina…vieni da me…
Lui
era
totalmente soggiogato. La prese per un braccio e con impeto la
avvicinò a se.
La guardava negli occhi, navigava nei suoi occhi azzurri.
Usagi
però
non voleva cedere. - No, ho detto di no. Fra due giorni o
niente…
Mamoru
allora si indispose allontanandosi di colpo. - Non so fino a quando riuscirò a
portare
avanti questa situazione. Sono stanco di stare con te senza stare con
te, Usagi
- Queste sono le regole.
- Ma è possibile che tu non abbia voglia di qualcosa di
più? E’ possibile che
ti basti incontrarci ogni tanto per fare l’amore in segreto e
poi fuori dal
letto sei un pezzo di ghiaccio? Con me almeno. Ho visto le occhiate che
ti
scambi con quel buono a nulla di Seya.
Mamoru
si
passò una mano fra i capelli, frustrato per aver proferito
quelle parole. Di
solito erano le donne che frequentava che dicevano a lui frasi simili.
Lui le
cercava solo per qualche incontro e loro si innamoravano perdutamente e
lo
assillavano per mesi.
Ma
ora era
lui quello assillante, lui quello innamorato perso.
Si
era
innamorato, innamorato di quella ragazzina più giovane e
libera come il vento.
Di quella ragazzina che sapeva essere donna come
nessun’altra, di quella
ragazzina che gli aveva rapito il cuore e i sensi senza nemmeno farlo
di
proposito … nel loro rapporto lei lo aveva praticamente
costretto a fare sempre
il primo passo, a esporsi sempre e solo lui.
Lei
non
avrebbe mai detto a Mamoru di avere bisogno di lui.
Lui
lo
sapeva bene, probabilmente era anche vero.
Mamoru
invece aveva un bisogno disperato di saperla sua, dentro e fuori dal
letto.
- Cos’è sei geloso
adesso? Seya? E’ solo
un ragazzino.
Gli
aveva dato del tu mentre si allontanava dalla scrivania dove lui
l’aveva
adagiata. - Rispondimi…come fai a non
desiderare
niente di più?
- Mamoru, non è una questione di
desiderio. Ci sono tante cose che non sai di me e che non saprai mai.
Se non ti
va bene possiamo anche smetterla di vederci. Cedimi ad un altro
primario per il
tirocinio e non mi vedrai più, ne nel tuo letto ne fuori.
Questo
Mamoru non poteva permetterlo. Sarebbe impazzito del tutto nel saperla
tutto il
giorno a contatto con un altro dottore. Se lei faceva
quell’effetto su di lui
di, solito così glaciale, cosa avrebbe provocato in un altro
uomo?
In
un
momento gli venne in mente un suo collega trasferito
nell’ospedale alla
periferia della città perché sorpreso a palpare
una paziente. Immaginò le
luride mani di quell’uomo, che poco aveva di dottore, sulla
pelle di Usagi,
della sua Usagi.
- No, questo no. E’ vero io non
so quasi
niente di te ma, quello che so mi basta. Voglio qualcosa di
più.
- Cosa vuoi allora, dimmelo?
- Voglio che tu dia una possibilità al nostro rapporto.
Anzi, voglio che
cominciamo ad avere un rapporto.
- Cosa pensi di ottenere?
- Voglio che tu mi desideri anche fuori dal letto.
- Sbaglio o parliamo di sentimenti?
- Forse. Dammi un’occasione!
Gli
occhi di
Mamoru fremevano. Sembravano carboni ardenti.
- E sia, ma, non avrai fortuna, te lo dico
in partenza. Facciamo così, ti do due mesi, due mesi in cui
accetterò le tue
condizioni. Se in questi due mesi non riuscirai a farmi innamorare di
te allora
faremo a modo mio.
Mamoru
era
soddisfatto, quasi non credeva di essere riuscito a convincerla. Ora
l’unica
cosa che gli ronzava nella testa era una domanda: e se…?
Pensava
e
ripensava a quello che era successo nel suo ufficio poche ore prima e
si
chiedeva se avesse fatto bene a dare voce a quei pensieri tenuti
nascosti per
mesi.
In
fondo lui
era stato il primo ad essere contento che i loro incontri fossero
segreti, il
primo che aveva sperato che la situazione non uscisse fuori dai confini
che
avevano stabilito per trasformarsi in qualcosa di più oltre
al sesso, eppure … solo
una manciata di ore prima aveva detto a quella ragazza, così
diversa da tutte
quelle che aveva conosciuto, che voleva da lei un’occasione,
un’occasione per
scoprire se fra di loro poteva esserci qualcosa di più.
Mentiva
a se
stesso tutte le volte che tornando a casa dai loro incontri si diceva
“sono un
uomo fortunato, piacere senza dovere!”.
Sapeva
bene
che era qualcosa di più di una continua voglia di possederla
nel corpo.
C’era
qualcosa negli occhi di lei, qualcosa nelle sue carezze che ogni volta
lo
disarmavano. Era come se ci fossero due Usagi nel suo letto: una
affascinante,
focosa e meravigliosamente senza pudori e un’altra dolce,
tenera e ...fragile
Ogni
volta
che faceva l’amore con lei sentiva di non fare solo del
sesso. Quella
ambivalenza fuori dal suo controllo lo faceva letteralmente impazzire.
Quando
era
solo nel suo appartamento si trovava spesso a pensare alla loro prima
volta.
Era
passato
il primo mese di tirocinio. Lui la vedeva tutti i giorni per tutto il
giorno e
ogni volta rimaneva inebriato da quel profumo di rosa misto a pelle di
donna
che lei lasciava dietro di se.
Era
diventata un’ossessione da non dormirci la notte.
Ma
lui era
il serissimo primario dell’ospedale più importante
di Tokio, non poteva certo
concedersi di provarci spudoratamente con una giovane tirocinante.
Questo
lo
frustrava terribilmente.
Aveva
sempre
la sensazione che lei lo guardasse, ovunque...
Aveva
sempre
la sensazione che lei stesse per dirgli qualcosa …
continuament e…
…
ogni volta
però si convinceva di sbagliarsi.
E
poi … un
giorno …
FLASHBACK
- Dott. Chiba, per oggi ho finito, vado a
casa. A domani.
- Signorina Tsukino…ha fatto un buon lavoro oggi.
- Grazie dottore.
- Signorina Tsukino…sto uscendo anche io…vuole,
vuole… un passaggio?
- La ringrazio dottore ma non vorrei disturbarla.
- Non mi disturba affatto anzi, mi farebbe piacere
Lei
lo
guardava con i suoi meravigliosi occhi da gatta. Lui non sapeva come
gli era
venuto in mente di offrirle un passaggio, ma era come se una parte di
lui non
volesse lasciarla andare.
Mamoru
e
Usagi scesero nel parcheggio dell’ospedale ed entrarono nella
spider nera del
dottore.
- Dottore, devo andare a vedere un
appartamento non molto lontano da qui, potrebbe lasciarmi fra quattro
isolati?
- Trasloca?
- Non lo so ancora. Il mio appartamento è un po’
troppo grande. Sto cercando
una sistemazione più intima.
Arrivati
al
palazzo Usagi scese dall’auto.
- Dottore, grazie del passaggio.
- Se vuole la aspetto e poi la riaccompagno a casa. E’ un
po’ tardi per andare
in giro da sola.
- E’ davvero gentile. Magari però potrebbe salire
con me a vedere
l’appartamento. Ho le chiavi, non ci vorrà molto.
Così non dovrà aspettare in
macchina.
Mamoru
contro ogni ragione accettò e scese dall’auto per
seguirla.
Salirono
in
ascensore rimanendo in silenzio.
Il
profumo
di Usagi lo stordiva piacevolmente, non riusciva a pensare a niente di
opportuno da dire
Entrarono.
Era
un
appartamento semplice, luminoso. Un monolocale con un letto in ferro
battuto
sotto un’ampia finestra che dava sul parco. Un angolo cottura
a scomparsa e un
bagno confortevole.
-Le piace?
- E’ molto carino ma…mi sa che è troppo
piccolo. Piuttosto sarebbe l’ideale
per…
- … per?
- Per un uomo e una donna che si ritrovano clandestinamente, mi da
tanto l’idea
di una specie di nido d’amore appartato dal mondo.
Mamoru
non
sapeva proprio come le fosse venuto in mente ma, una cosa era sicura,
aveva
ragione.
Improvvisamente
lo sguardo di lei cambiò. Fece silenzio e
indietreggiò fino a poggiarsi ad un
muro. Piegò il ginocchio appoggiando il piede sulla parete e
lasciando
intravedere un piccolo spiraglio sulla bianca pelle delle sue gambe.
Continuava
a guardarlo con quegli occhi, con quegli occhi capaci di parlare.
Per
Mamoru
fu un canto di sirene. Irresistibile. Si tolse la lunga giacca di pelle
scura e
con lentezza la poggiò sul piccolo tavolo di legno bianco
alle sue spalle. Si
avvicinò a quella sirena bionda e le passò il
pollice destro sulle labbra. Come
erano soffici, come erano rosse. Lei le schiuse e lui
cominciò a sentire il
caldo umido del suo respiro.
Apri
l’altra
mano e la posò sul ventre di lei, era snella e soda.
Cominciò a salire piano.
Lei continuava a guardarlo invogliante.
La
mano di
Mamoru si sposto sulla schiena. In un istante la tirò a se e
pose fine alla
distanza fra le loro bocche, fra i loro fiati.
Tutto
era
confuso nella mente di lui, il suo corpo agiva mosso da
volontà propria. In un
istante lui non era più il primario e lei non era
più la tirocinante. Erano
solo un uomo e una donna che si desideravano.
Lei
cominciò
a rispondere a quell’impeto e lentamente, quasi centellinando
i suoi movimenti,
gli sbottonò la camicia e cominciò a baciargli il
petto tonico.
Anche
lui
allora cominciò a spogliarla.
La
pelle di
Usagi era così vellutata e morbida che ebbe paura di
sgualcirla. La alzò da
terra e, ancora contro il muro, la baciò ovunque
immergendosi in quel profumo
che così a lungo lo aveva tenuto in cattura.
Ogni
tanto
la guardava in viso. Quell’espressione rapita lo affascinava
e lo eccitava
sempre di più.
La
adagiò
sul letto. Lei era completamente svestita. Mai creatura gli
sembrò più bella.
Ora fu lei a spogliarlo. Voleva sentire il contatto del suo corpo con
quello di
quell’uomo così caldo e appassionato nel pieno
della virilità.
Fu
la prima
volta che fecero l’amore, la prima indimenticabile volta.
Mamoru
ricordava sempre quel momento con piacere, chiudendo gli occhi sentiva
la sua
pelle ancora fra le braccia.
Poteva
anche
sentire la sue parole una volta rivestitisi. - Usagi,…non ho
parole,…io…
- Dottore è meglio non dire niente – un sorriso
sulle labbra
- Ma…non voglio finisca così…
- Potrebbe anche non finire. Questo appartamento potrebbe diventare il
nostro
angolino, un rifugio per noi.
- Si, allora
vuoi… ancora
…?
- mmmm…vedremo… Aspettami qui fra tre giorni al
calar del sole …se arriverò
vuol dire che avrò ancora voglia di te.
FINE
FLASHBACK
Come
erano
cambiate le cose.
Lei
non era
mai mancata ad un appuntamento.
In
ospedale
era impeccabile, misurata, distaccata e formale e poi … ogni
tre giorni
diventava un’altra, diventava la sua Usagi. Come faceva
quella donna a essere
così diversa e così uguale a se stessa?
Amici sono
tornata!!!!Grazie a tutti per gli auguri che mi avete fatto per
l’esame. Dedico a voi il mio 30 e lode!!!
Ieri sera mi sono spremuta le meningi e ho
“partorito” questo nuovo capitolo. Dovete scusarmi
se vi ho fatto aspettare un po’ ma ho avuto il cervello in
panne per un discreto lasso di tempo (non che ora vada molto meglio a
dire la verità).
Spero che questo capitolo
vi piaccia. Cominciano a spiegarsi le cause del comportamento di Usagi.
Ringrazio tutti i
fedelissimi lettori e anche i nuovi. Spero davvero di non deludervi.
CAP.
7 FALSE PROMESSE DI SERENITA’
Anche
Usagi era confusa. Mentre si allontanava dall’Ufficio di
Mamoru non faceva che chiedersi come avesse fatto quel dottore ad
abbattere le sue difese e a farsi concedere un’occasione?!
Gli
aveva detto subito di si, le era venuto naturale.
Lei
non era certo il tipo da concedere occasioni. Lei era una che prendeva
quello che voleva e chiudeva la porta in faccia a chi non voleva
ricevere. Era dovuta diventare così e ora non poteva tornare
indietro.
E
invece, … qualcosa in quell’uomo aveva scalfito la
sua armatura.
Non
faceva che ripetersi: *Tanto non riuscirà mai a farmi
cambiare idea…! Non glielo permetterò!*
Che
parola strana “occasione”. Usagi ne aveva avute
poche dalla vita, il suo cammino era stato sempre condizionato e tutte
le verità che credeva di possedere si erano rivelate niente
altro che squallide bugie.
Sapeva
di poter contare solo su se stessa. L’unico che non
l’avrebbe mai tradita ne mentito era il suo corpo,
l’unico di cui poteva disporre era il suo corpo. Era giusto
dare a qualcuno quello che lei non aveva mai potuto avere?
Mentre
si rinfrescava il viso nei bagni dell’ospedale, i suoi
pensieri andavano ben oltre le mura dell’edificio. Tornavano
alla sua infanzia, tornavano nei giardini di quella villa meravigliosa
e orribile insieme.
Si
ricordò dell’altalena dietro il grande albero di
ciliegio. Era lì che i suoi sogni toccavano il cielo, era
lì il che i suoi occhi si riempivano di speranza, ma era
anche lì che le sue orecchie di nascondevano dalle urla di
suo padre e i pianti di sua madre, e che, ancora bambina, curava i
lividi nel suo cuore, ed era sempre lì che già
adolescente lasciava cadere le lacrime della solitudine e del rimorso.
Come
poteva suo padre essere insieme l’uomo che amava e quello che
odiava? Come poteva la persona che avrebbe dovuto amarla di
più, saperle dedicare solo gli ordini più severi,
come poteva riservarle la più fredda indifferenza e disporre
del suo cuore e della sua volontà come meglio preferiva??
E
sua madre?
Soffriva, ma non con lei…con lei era sempre così
distaccata, così assente…perché non
interveniva a lenire la sua sofferenza? Perché non dividere
con lei il dolore che aveva attanagliato il suo cuore?
Perché
le persone che dovevano amarla non l’amavano? Eppure non era
sempre stato così.
Suo
padre aveva deciso già tutto per lei e
lei…avrebbe dovuto solo obbedirgli. Gli studi, la carriera e
anche il suo matrimonio erano già stati decisi da
quell’uomo che si faceva chiamare
“papà”. Non avrebbe mai potuto
disonorare la sua famiglia scegliendo da sola il suo cammino e
disponendo del suo corpo e del suo cuore.
Lui
così sbagliato nel suo modo di amare, lui così
superbo nelle sue decisioni, così violento nelle parole e
così incapace di scaldarle la pelle con le carezze di un
padre.
Lei
era Serenity Tsukino, la figlia di Kenji Tsukino, la
proprietà di Kenji Tsukino, e se voleva continuare a essere
la figlia di suo padre e vivere in quella casa, doveva portare quel
nome e sottostare alle sue regole.
Certo
non furono la casa e il nome le cosa più difficili da
abbandonare.
“Serenity”…di sereno la sua infanzia non
aveva avuto niente a cominciare da
quell’incidente…da quel giorno che
cambiò la sua vita per sempre, che cambiò il
cuore di suo padre e il sorriso di sua madre.
Si
bagnò di nuovo la fronte con l’acqua
fredda…quei ricordi la scuotevano sempre.
Era
tanto che non pensava più alla sua famiglia.
Da quando 3 anni prima era andata via da quella casa non li aveva
più visti.
Disponeva di se stessa e nessuno le imponeva più niente.
Aveva smesso di sentirsi in colpa, ferita.
Era tornata in possesso della sua vita e non avrebbe permesso a nessuno
di rovinare il suo equilibrio con false promesse di
felicità. Ora non era più Serenity, era Usagi e
sapeva che… i dolori più grandi provengono da chi
ami di più.
Non
era facile per Mamoru decidere come cominciare a impostare un rapporto
con Usagi. Non aveva una grande esperienza in frequentazioni. Di solito
si
limitava a incontri sporadici senza conseguenze a lungo termine.
Le aveva strappato due mesi di disponibilità e si sentiva in
debito con lei ma
anche con se stesso. Ora non poteva sbagliare. Desiderava davvero
quella donna,
desiderava davvero averla per lui soltanto. Dentro e fuori dal suo
letto.
Una
parte del suo cuore si sentiva più leggera, era uscito allo
scoperto,
era riuscito a dirle che voleva di più, e lei non lo aveva
rifiutato, non del
tutto almeno.
Non
si ricordava di aver mai avuto con le donne i problemi che stava avendo
adesso con lei.
Più
e più volte gli venne in mente una domanda, una domanda
verso se
stesso: "Come mai non ho provato niente del genere per
nessun’altra? Come
mai in trent’ anni non ho sentito prima battere il mio cuore
così forte per
nessuno?". Era una domanda che sembrava non avere risposta.
Forse
era sempre stato freddo e razionale come tutti lo ritenevano, o forse
no.
Si ricordò di quando a vent’ anni faceva strage di
cuori. Lui, un affascinante
studente di medicina.
Di successo ne aveva eccome con l’altro sesso. Di sicuro non
si era mai
preoccupato di come stessero le ragazze che sistematicamente seduceva e
abbandonava. Perché era cosi? Non se lo ricordava.
Ora però credeva di capire cosa provassero, doveva essere
qualcosa di simile al
sentimento di abbandono che provava lui quando, dopo aver fatto
l’amore, Usagi
si rivestiva e andava via con solo un sorriso per saluto.
Probabilmente
per la prima volta, cercò di usare le conoscenze di
psicologia apprese all’università verso se stesso,
cercò di fare un punto sui
suoi rapporti affettivi durante l’ adolescenza e
l’ infanzia.
Cosa lo aveva portato a diventare così non curante verso
l’altro sesso? Come
era diventato “dott. Ghiacciolo”?
Bhe,
aveva interrotto i rapporti con suo padre da anni. Non erano
mai
andati molto d’accordo dalla morte di sua madre, quando
Mamoru di anni ne aveva
appena cinque. Sempre tanto autoritario, il sig. Chiba era stato
praticamente assente nella sua educazione e aveva cresciuto
Mamoru “a
distanza” affidandolo alle cure di un maggiordomo e di una
cameriera.
Poi, un giorno, quando Mamoru aveva ventiquattro anni, decise di
imporgli un
matrimonio combinato con la figlia di un loro amico e socio
d’affari.
“Come
poteva pensare che mi sarei sposato a comando?!” -
Mamoru se lo
chiedeva fino
all’ossessione – “E poi,
la ragazza in questione aveva ancora quattordici anni, poco
più che una
bambina.”
Mamoru
cercò di ricordare l’ultima conversazione con suo
padre.
Erano passati tanti anni. Erano in una villa, forse proprio la villa
dove
abitava la promessa sposa. Mamoru ricordava una forte luce provenire
dalle grandi
finestre.
FLASHBACK
- Papà,
non so come hai fatto a trascinarmi qui ma scordati che io possa
sposare una
sciocca ragazzina.
- Tu
sei mio figlio è devi rispettare le mie regole. Questo
matrimonio legherà
queste famiglie per sempre. E’ un’ottima cosa per
la nostra famiglia. Vedrai
che mi ringrazierai.
- Forse è un'ottima cosa per te! Devi smetterla di decidere
al posto mio. Non
acconsentirò mai a sposarmi in questo modo.
I
toni si erano fatti accesi. I due uomini sembravano non curanti di
trovarsi in casa d’altri.
- Quello che tu dici o pensi non ha importanza. Il vostro
matrimonio è stato
già deciso da mesi, la famiglia della tua futura moglie ha
già la mia parola.
Lei è d’accordo, i tuoi suoceri sono
d’accordo, io sono d’accordo. fra un paio
d'anni vi sposerete. Non puoi certo ribellarti, disonorare la mia
parola e poi
continuare ad essere mio figlio!
Ci
fu un istante di silenzio. Mamoru cambiò la sua espressione.
Da furioso
sembrò tornare il ragazzo controllato di sempre.
Allentò la tensione dei pugni
che aveva serrato durante la discussione. Si sistemò il
collo della giacca.
Qualcosa dentro di lui si era spezzato, o forse si era compattato per
la prima
volta. Era il suo orgoglio. Capì che per
quell’uomo lui era niente altro che
una merce di scambio.
- Se essere tuo figlio significa essere un tuo strumento
d’affari preferisco
restare solo al mondo.
La
voce netta, lo sguardo deciso. Senza nemmeno aspettare una risposta
Mamoru si girò e prese l’uscita di quella villa.
FINE
FLASHBACK
“Io
sposato? Che sciocchezza! Non riesco nemmeno a frequentare una ragazza
che mi piace, figuriamoci se riuscirei a reggere un matrimonio!
Però … chissà,
Usagi in grembiulino ad aspettarmi a casa la sera non sarebbe poi tanto
male.
Ma che sto pensando!?
… mio padre … chissà come sta?
Chissà se è ancora quel freddo calcolatore di
una volta? Chissà se sa che sono diventato un chirurgo di
fama nazionale, solo
con le mie forze?
Ahhhh … basta!
La psicologia non fa per me! Piuttosto dovrei concentrarmi su cosa fare
con lei
adesso e poi lavorare. Sto perdendo un sacco di tempo.
Vediamo … forse
potrei invitarla a fare una passeggiata. Infondo non siamo mai stati
insieme
fuori dall’ospedale o fuori dal nostro
appartamento”.
Era
strano pensare a quell’appartamento come suo e di Usagi.
Avere qualcosa
in condivisione era un’esperienza nuova. Da quando era andato
via da casa era
stato l’unico proprietario delle sue cose.
Si, aveva preteso di pagare lui l’affitto di quella casa, ma
era sempre Usagi a
tenerla in ordine, a renderla confortevole per i loro momenti
lì. Era lei che
ogni volta gli faceva trovare qualcosa in frigo. Sapeva che spesso lui
andava
in quell’appartamento anche quando non dovevano vedersi.
“Ah,
basta!! Devo decidermi! Vada per una passeggiata. Magari potremmo
andare al laghetto in foresta. E’ lontano da occhi indiscreti
ed è all’aperto.
Potremmo cenare in quel ristorantino tra i pini e parlare un
po’. Si, è la
massa giusta per un primo incontro senza pretese.
Mamoru
guidava nervosamente sotto la pioggia, imprecando per le ferie prese
dalla sua buona stella. Aveva organizzato tutto. Aveva
prenotato il
ristorante, aveva preso delle coperte per potersi stendere
sull’erba del bosco
con lei a guardare le stelle, aveva comprato una bottiglia di prosecco
per
l’occasione e si era pure vestito versione boscaiolo per
sembrare adeguato per
una cena agreste.
Adesso, conciato così, sotto la pioggia, nella sua
bellissima spider nera,
sembrava solo un imbecille.
Non
era stato difficile alla fine invitare Usagi. Poche semplici parole in
un messaggino:
“Vengo a prenderti alle
19:00 a casa
tua. Vestiti comoda e indossa scarpe da ginnastica”.
Gli era sembrato adeguato come invito mentre lo digitava sul suo
palmare. Ora
riflettendoci era una vera cavolata. Quale donna si sarebbe fatta
affascinare
da un invito del genere? Di certo non Usagi.
Comunque
era arrivato. La pioggia scrosciante si infrangeva sul cristallo
dell’auto. Mamoru estrasse il palmare dalla tasca e compose
il numero di lei.
Era
stata una buona idea rubare il suo indirizzo e il suo numero
personale dall’archivio. Mentalmente ringraziò
l’obbligo di essere sempre
reperibili dall’ ospedale, legame che tante volte aveva
invece maledetto. Ora,
con quei numeri in suo possesso, almeno poteva contattarla quando
voleva.
- Tu-tu,
Tu-tu
- Pronto,…
Mamoru sei tu?
- Si, sono io. Sono
giù in macchina.
- Mi ci vuole ancora un pochino.
- Ehm…se
vuoi posso salire e ti aspetto.
- Vuoi
salire?...veramente non mi sembra
il caso...
- Usagi! Devo
ricordarti il patto??
- No, no. Ok sali
ma…insomma…niente,
Sali e basta.
Aveva ancora i capelli bagnati. Era uscita solo qualche minuto prima
dalla
doccia. Aveva dovuto fare un’ora extra in ospedale per
sostituire una sua
collega tirocinante e non era riuscita a rispettare la sua solita
puntualità.
Questo le dava fastidio.
Ma
ancora più fastidio le dava l’idea che per due
mesi sarebbe dovuta
essere accondiscendente con Mamoru Chiba, il suo primario, il suo
amante. Non
che lui l’avrebbe forzata nel caso di un
“no” detto con convinzione
però… si
sentiva legata dalla parola data e la sua rabbia maggiore dipendeva dal
fatto
che era stata lei ad accettare la proposta di quell’uomo, non
l’avevano certo
costretta.
*Vuole
convincermi, chi si crede di essere per riuscirci? Usagi Tsukino non
è una che si fa “convincere”.
Però…non avrei creduto mai che sarebbe arrivato a
questo punto. Pensavo gli bastasse, pensavo fosse un tipo da
“sesso e basta”.
Com’è strana la vita. Chissà se ora
direbbe ancora che sono solo una sciocca
ragazzina?*
* Meglio farle a piedi le scale, mi aiuterà a rilassarmi.
Sto per salire a casa
sua. E’ la prima volta in tutti questi mesi. Mi fa un certo
effetto pensare di
entrare nel suo mondo. Sono abituato ad entrare ben altri universi
quando si
parla di lei. Non mi sembrava contenta però della mia
richiesta di salire.
Perché glie l’ho chiesto? Forse solo
curiosità. Forse capirò qualcosa di
più di
lei vedendo dove abita. Mio Dio, sono nervoso. Mamoru Chiba calmati.
Infondo
sei un uomo, non più un ragazzino!
Cavolo però… ho un po’ di fiatone.
Bhè, quattro piani a piedi non sono uno
scherzo per uno che ha il cuore in gola come ce l’ho io
adesso.*
- DLIN
DLON
- Entra pure, la porta è aperta, sono in
bagno esco subito!
La voce di Usagi
veniva da una stanza poco lontana dall’ingresso.
*Che fortuna, almeno mi risparmio l’imbarazzo della faccia da
ebete che mi
sento addosso adesso! Forse la mia buona stella è tornata
dalle ferie. Ehi, ma
questa casa è grandissima!*
Davanti agli occhi di Mamoru si presentava un appartamento spazioso e
luminoso.
Tutto nei toni del bianco. Mobili moderni e praticamente nessun
soprammobile.
Era una casa di pregio ma, assolutamente impersonale. O almeno era
così che la
vedeva Mamoru. C’era una porta semiaperta. Il legno bianco
dell’infisso
divideva a metà la visuale della camera. Era la stanza da
letto di Usagi.
Anche qui molto bianco alternato con un rosso carminio per le coperte e
i
tendaggi. Non una foto, non un peluche, non un capo di abbigliamento in
disordine.
- Mi sono
trasferita qui da poco. Era già ammobiliata. Non pensare che
questo sia il mio
gusto in fatto di arredamento.Preferisco
colori più caldi.
Lei era dietro di lui. Mamoru si sentì come un bambino
beccato con la mano
nella scatole dei biscotti.
- Scusami se sono entrato, l’ho
fatto
senza pensarci.
- Non ti preoccupare, non ho niente da nascondere.
Era
ancora in accappatoio. I lunghi capelli dorati e bagnati scendevano
sulle spalle coperte di spugna. Ancora qualche gocciolina
d’acqua le bagnava il
viso. Mamoru la trovò incredibilmente sexy.
Non aveva lo sguardo
solito di quando era in ospedale e nemmeno quello dei loro incontri
privati
eppure, per Mamoru nessuna visione sembrò più
piacevole di quella che aveva
davanti.
Con la salivazione a zero si avvicinò. Come faceva quella
donna ad azzerargli
in quel mondo il cervello? Era come se un interruttore fosse stato
premuto.
- Sei
bellissima.
- Non posso dire lo stesso di te dottor Boscaiolo.
- Vieni qua.
- Ehi, non mi sembra di trovarci nel nostro
appartamento.
- Non ha importanza dove siamo vieni qua.
Gli
occhi di lui erano invasi dal desiderio. Dove erano finiti tutti i
propositi per una serata romantica? Mamoru non lo sapeva. La
tirò verso
di se. La strinse e con una mano cominciò ad esplorare la
pelle ancora umida di
lei. Quel corpo così sodo lo faceva impazzire. Lei aveva uno
sguardo malizioso.
Gli piaceva quando lui faceva l’irruento. Prese a baciarla
sul collo
inebriandosi di quell’odore misto tra bagnoschiuma e pelle.
Stava completamente
per perdere il controllo.
La
avvicinò contro la parete, proprio come la prima volta.
Lei
si faceva travolgere. Infondo anche lei aveva voglia di lui.
Era
completamente preso dall’eccitazione del momento. Stava per
togliersi i
pantaloni per entrare in lei, quando, con la coda dell’occhio
vide lo sguardo
di lei, era presa ma presente a se stessa allo stesso tempo. In un
istante
ripensò al vuoto che provava ogni volta, quando finito di
fare l’amore lei lo
lasciava solo. Fu abbastanza per farlo fermare di colpo. Aveva deciso
di volere
di più. Cosa avrebbe concluso possedendola di nuovo
così, in un sublime slancio
di passione?
Capitolo 10 *** L’ALTRA DENTRO TE – prima parte ***
Usagi
aveva ancora gli occhi socchiusi. Non si aspettava che il bel dottore
avrebbe
fermato la corsa verso di lei proprio ad un passo dal traguardo.
Fu
una specie di risveglio aprire gli occhi per rendersi conto di cosa
fosse
successo.
Mamoru
era a pochi centimetri da lei ma aveva smesso di toccarla. Le mani
appoggiate
al muro e lo sguardo fisso sul suo. -Ma-Mamoru cosa ti è
preso?
Lui
abbassò lo sguardo e in uno scatto si allontanò
dal profumo della pelle di lei.
Aveva paura di perdere di nuovo il controllo e di non riuscire
più a mantenere
il suo proposito.
-Usagi io voglio di
più…te l’ho già detto.
-Mamoru certo che sei un tipo strano. Fai
tutto
tu. Prima mi tiri a te e poi mi respingi.
Usagi
era visibilmente contrariata. Lo si poteva ben capire dal tono
d’un tratto
glaciale della sua voce. Mamoru dal canto suo era in evidente imbarazzo. -Perdonami Usagi, io,
io…sto cercando di
migliorare. Voglio offrirti qualcosa di più che il sesso.
-E perché tutto questo
sforzo? Non mi sembra di
averti mai chiesto niente di più.
La
ragazza si era ricomposta nel suo accappatoio e aveva smesso di
guardarlo
mentre gli aveva fatto la domanda. Con fare indifferente
cominciò a districarsi
i lunghi capelli con le mani.
-
Io…non
lo so. Non mi era mai successo prima
ma…insomma…voglio provarci, sempre che tu
sia
d’accordo naturalmente.
-Ascolta Mamoru, io non so cosa tu voglia
dimostrare a me o a te stesso. Ti ho promesso che starò al
tuo gioco per due
mesi ma ti ho anche già detto che non avrai nessun risultato
dalla sottoscritta.
Il
moro non riusciva a capire il distacco che Usagi riusciva a mettere fra
di
loro.
*Certo non è il corpo la sua preoccupazione –
pensò - Ho come la sensazione che
Usagi voglia proteggere il suo cuore da me. Non lo so, forse mi
sbaglio.*
-Usagi io ho la certezza che
potremmo stare bene
insieme, anche fuori dal letto. Stasera per esempio … volevo
portarti a cena
fuori. Sono sicuro sarebbe stato piacevole.
-Perché …
non mi porti più?
-Bhè …
avevo pensato di cenare al ristorantino
sul lago ma … sta diluviando. Dal parcheggio al portico del
locale ci inzupperemmo
di fango e acqua.
-E qual è il problema?
-Dici davvero?!
-Si, adoro la pioggia e adoro il
lago. Se l’invito
è ancora valido fra un momento sarò pronta.
Come
aveva fatto a spostare il discorso dai sentimenti al ristorante non lo
sapeva. Mamoru
era basito ma allo stesso tempo sollevato. Il discorso si stava facendo
troppo
difficile da sostenere. Infondo era un innamorato alle prime armi. Non
aveva
troppa esperienza in dichiarazioni d’amore o promesse di
felicità.
Si
sedette su uno dei morbidi e bianche divani di pelle del soggiorno e
aspettò la
sua bella in religioso silenzio.
Nella
sua camera Usagi si stava vestendo con cura ma velocemente. Voleva
uscire da li
il prima possibile. Era troppo strano pensare di avere Mamoru Chiba a
casa sua.
Stavano anche per fare l’amore. Non doveva succedere. Si
tirò su i jeans scuri
che aveva scelto e si infilò velocemente una camicetta
bianca di cotone con dei
ricci di stoffa che seguivano i bottoni. I capelli erano ancora
bagnati. Decise
di fare una coda di cavallo alta, tanto con quella pioggia si sarebbero
bagnati
ancora di più. Un paio di scarpe da ginnastica ed era pronta. -Andiamo? -Emmm, si, si
Il
viaggio in macchina fu silenzioso per la prima metà del
tragitto, nonostante Mamoru
stesse torturando il suo povero cervello alla ricerca di qualche
argomento
interessante di cui parlare. Gli venivano in mente solo due argomenti:
Quello
che provava per lei e le avances che le faceva Seya. Di entrambe le
cose non
gli sembrava il caso di parlare. Era troppo presto per farle una
scenata di
gelosia per quel bamboccio dal portafoglio gonfio. -Mamoru cosa facciamo se ci
incontra qualcuno
dell’ospedale?
Ecco
un argomento valido. Naturalmente non era stata una sua idea proporlo.
-Bhè, fingiamo non ci sia niente di
strano. O
meglio: non c’è niente di strano. Senti, io ci ho
pensato bene. In fondo tu sei
maggiorenne e io non sono sposato. Avremo pure diritto ad una vita
fuori dall’ospedale.
-Si ma…non vorrei si pensasse che
io vengo a
letto con te per ottenere i casi medici migliori per la mia formazione.
-Ho pensato anche a questo. Da domani ti
cambio
reparto. Ti affido alla signorina Setsuna di ginecologia. Tu volevi
specializzarti in pediatria vero? Un po’ di tempo con la
dottoressa Setsuna
sarà una buona cosa. - …credo di
si…
-Così nessuno
potrà pensare male di te.
-E Seya?
*Perché
mi chiede di lui?* Mamoru si irritò a sentirlo nominare da
lei.
-Cosa centra Seya?
Il
tono era decisamente contrariato.
-Bhè, si
insospettirà del mio “spostamento”.
-Quel cetriolo? Non credo.
Piuttosto non è che a
te dispiace separarti dal tuo spasimante?
*Cavolo!
Perché l’ho detto!* -Sbaglio o questa è
gelosia dott. Chiba?! -No, no. Io geloso di quel
ragazzino? Tze! Deve nascere
un’altra volta per arrivare al mio livello.
-Quante arie ci diamo dottore!
-Usa, non chiamarmi dottore fuori
dall’ospedale…ti
prego!
-Comunque è vero che Seya mi fa la
corte.
-Vuoi farmi scattare i nervi?!
-… Si! diciamo che la nuova veste
“dottor
Gelosone” mi piace.
Mamoru
non ebbe il tempo di replicare. Erano arrivati. Tra gli alberi della
foresta si
intravedevano le luci del ristorante. Pioveva a dirotto.
Mamoru
uscì per primo e andò a prendere Usagi con un
ombrello. Era troppo piccolo e
non avrebbe riparato molto, comunque era meglio di niente.
Le
scarpe sprofondavano nel fango. A Usagi non sembrava comunque dare
fastidio.
Anzi, sembrava trovarlo divertente.
Mamoru
non potè non notare un sorriso divertito tra le labbra di
lei.
Entrarono
nel ristorante. -Signori Buonasera e ben venuti.
-Buonasera, dovrebbe esserci un
tavolo riservato
a nome Chiba.
-Si, accomodatevi. Pensavamo avreste disdetto
dato il tempo. Siete i nostri unici ospiti stasera.
-Bhè, vorrà dire che
avremo un servizio esclusivo,
no?
-Ma certo signore.
Si
accomodarono. Il locale era rustico e il tavolo era apparecchiato con
la
classica tovaglia a quadri rossi e una candela sgocciolata molto
d’atmosfera. -Sono felice tu mi abbia portata
qui. Mi piace.
-Non pensi sia poco chic?
-Altro che! Preferisco le cose informali e
“comode”.
Era
bellissima. La luce della candela la faceva apparire ancora
più bella. Mamoru era
felice di aver fatto una buona scelta con il ristorante e fu un piacere
sentirla dire che preferiva le cose informali. Infondo il loro lavoro
di
formale aveva quasi tutto per cui staccare la spina da divise, moduli
da
compilare e protocolli da seguire non poteva che essere una cosa
piacevole per
entrambi.
Senza
pensarci le prese la mano. Solo la candela li divideva.
Lui
non se lo aspettava ma le guance di Usagi cominciarono a imporporarsi.
Non
aveva rifiutato il suo tocco. Sembrava a suo agio e nello stesso tempo
emozionata.
Con
grande sorpresa di Mamoru lei da sotto il tavolo avvicinò
anche i piedi a
quelli di lui, come per amplificare il contatto.
Aveva
gli occhi felici.
Che
fine aveva fatto la ragazza che poco prima a casa sua gli era sembrata
così
fredda e distaccata?
Non
lo sapeva. Non importava. Quel piccolo gesto gli aveva fatto prendere
coraggio.
-Signori cosa vi porto?
Ecco
un disturbatore.
-Emmm…Per me va bene
il menù della casa. L’ho già
apprezzato una volta e vado sul sicuro.
-Bhè…allora
mi fido e lo prendo anche io.
-Bene signori, ottima scelta. Fra cinque minuti arrivo con
gli antipasti.
Intanto
Usagi, come spaventata dall’intrusione del cameriere, si era
staccata da Mamoru
con mani e piedi. Girò il volto e si mise a guardare il
panorama che si poteva
ammirare dalla finestra proprio alla sua destra.
Pioveva
forte. Si vedeva l’acqua infrangesi sul lago. Non era ancora
notte ma il cielo
era scuro. Un temporale in piena regola.
Mamoru
guardava lei che guardava fuori. Aveva uno sguardo così
assente.
-Ehi signorina, mi lascia da solo
a questo
tavolo?§
-Mamoru scusami,mi ero incantata a guardare fuori. E’
così bello!
-Pensavo tu fossi tipo da
giornate di sole e non
da temporali estivi
-Ci sono tante cose che non sia
di me…
Lo
sguardo si era improvvisamente intristito. Mamoru se ne accorse e
capì che non
era ancora il momento di indagare.
Metà capitolo finito.
Spero di riuscire a pubblicare presto anche l'altra metà.
Scusatemi tutti, cari lettori, se ultimamente sono più lenta
a pubblicare e mi faccio sentire anche meno con le recensioni
ma...è un periodo particolare in cui ho la mente presa da
altro. Cmq ci tengo a dire che continuo a seguirvi tutte e che appena
"torno in me" riprenderò anche a commentare come mio solito.
Spero che questo nuovo cappy vi sia piaciuto. Sto cercando anche di
migliorar eun pochino il layout. Non so se ci sono riuscita. Spero di
si.
Vi ringrazio per il solito supporto e vi mando un bacione immendo.
Chichilina
Capitolo 11 *** L'ALTRA DENTRO TE - seconda parte ***
CAP. 11 – L’ALTRA DENTRO TE
– seconda parte
Per
tutta la cena i pensieri di Usagi sembravano andare ben oltre
l’immagine di lei
seduta in quel ristorantino rustico con quell’uomo che si era
messo in testa di
conquistarla. I suoi occhi chiari sembravano percorrere sentieri
temporali
segreti che la portavano indietro negli anni e poi, improvvisamente, di
nuovo
lì, seduta e presente a se stessa, ogni qual volta che
Mamoru cercava di
coinvolgerla in un qualsiasi discorso.
Lui
non riusciva a darsi pace, malediceva l’interruzione del
cameriere che aveva
spezzato l’incanto che si era creato tra di loro, occhi negli
occhi, mani nelle
mani, con solo una candela a dividerli da un bacio.
Mamoru
continuava a tormentarsi, assolutamente allo scuro dei meccanismi che
facevano
cambiare l’umore di quella ragazza così misteriosa
nei pensieri e così
trasparente nei modi di fare allo stesso tempo. -Mamoru,…scusami…credo
di non essere una grande
compagnia questa sera. -Usa, sei assente, me ne sono
accorto. Ho fatto
qualcosa per farti allontanare così? -No, non dipende da te, o
almeno…non del tutto. -E allora? Non ti piace il cibo,
non ti senti a
tuo agio?
Mamoru
non sapeva più cosa pensare. Gli dava un senso di tristezza
profonda vedere quella
ragazza così forte e determinata, capace in altri momenti di
farlo impazzire
letteralmente, starsene lì davanti a lui a perdere il suo
sguardo tra i vetri
della finestra alla sua destra o tra i riflessi di un bicchiere di vino
rosso. -Mamoru, scusami. E’
solo che… -Solo che… -E’ la prima volta da
tanto tempo che non ceno da
sola e, invece di godermi il piacere di avere compagnia, mi sento
stranamente
triste.
Ecco,
l’aveva detto! *Come mi è venuto in mente di
dirgli una cosa del genere?
Penserà che sono una pazza. Però è la
verità*. Usagi
si era già pentita di quella striminzita
confessione ma sapeva di avergli detto la verità: in questo
momento sentiva
addosso tutta la tristezza di anni di cene solitarie.
-Non importa, sapevo che eri un
tipo complicato
quando ti ho invitato ad uscire, vorrà dire che mi
basterà il piacere di
poterti osservare fino a quando non avrai voglia di parlarmi e tornare
qui, con
me, ovunque tu vada con i pensieri. Anche io ceno sempre da solo. Mi sa
che
abbiamo più cose in comune di quelle che pensiamo.
Usagi
arrossì.
-Gr-grazie Dottore. -Solo Mamoru. -Si, Grazie Mamoru.
La
cena era stata squisita. Usagi non aveva mangiato moltissimo ma aveva
apprezzato, soprattutto il liquore locale servito con il dessert le
aveva
scaldato decisamente l’umore. -Mamoru guarda…ha
smesso di piovere. -Usa, credo sia solo una piccola
tregua. Le
nuvole sono ancora cariche di pioggia. -Dai, approfittiamone per andare
sulla riva del
lago. -Ma sei sicura? Ci riempiremo di
fango. -Uffa!!! Ti va di fare due passi
con me oppure
no?
Mamoru
notò il nuovo animo della ragazza e non volle essere la
causa di un nuovo
incupimento. Le sorrise, la prese per mano e la condusse fuori dal
ristorante
tirandola leggermente.
I
suoi occhi avevano una luce nuova. Mamoru non voleva perdere
quell’occasione e
non voleva che nessuno li potesse interrompere.
Le
scarpe sprofondavano qualche centimetro nel fango producendo un rumore
buffo per
le orecchie di Usagi. Cominciò a sorridere, anzi a ridere.
Lasciò la mano di Mamoru
e si avvicinò al pontile sullo specchio
d’acqua. -Mamoru vieni, è
bellissimo. -Si, stai attenta
però, è tutto bagnato, potresti
scivolare. -Dai…vieni.
La
raggiunse. Era bellissima. Più bella di sempre mentre un
raggio di luna
sfuggito ad una nuvola le accarezzava il viso. Quella luce delicata
faceva
brillare quegli occhi azzurri come diamanti.
Erano
entrambi sul pontile. La staccionata era bagnata e l’acqua
del laghetto faceva
lievi increspature.
Lui
si mise dietro di lei e l’abbracciò restando in
silenzio.
Lei
glie lo permise.
Lui
si avvicinò morbidamente al suo collo e posò
lì un bacio.
*Com’è
caldo il contatto con le tue labbra. Il tuo respiro è meglio
di una carezza.
Che strano effetto che mi fai Mamoru Chiba*
*
Com’è liscia la tua pelle, sembra una seta
vellutata. E quanto sono incantevoli
i tuoi sorrisi! Mi piaci da impazzire Usagi Tsukino*
Sembrava
si fosse fermato il tempo. Non una parola fra i due, solo pensieri.
Come a non
voler spezzare l’incanto.
Ci
pensò il cielo però a interromperli. -O mio Dio, ha ripreso a
piovere. -Questo è il diluvio,
te lo dico io.
All’improvviso
il cielo si era aperto e una cascata di pioggia li aveva sorpresi nel
loro
abbraccio. Usagi cominciò a ridere forte divertita da quella
situazione. Mamoru
si fece contagiare e cominciò a ridere di gusto anche lui.
Ad un tratto la
ragazza si liberò dalla dolce prigione delle braccia del
ragazzo e cominciò a
ruotare su se stessa con le braccia aperte. Mamoru la guardava
incantato e
divertito insieme.
Quella
ragazza era così imprevedibile. Era come se ci fosse
un’altra donna dentro lei
che ogni tanto appariva. Non sapeva mai quando l’Usagi
“sole d’estate” prendeva
il sopravvento sull’Usagi “luna d'inverno”. Si, erano dei paragoni mentali
appropriati. Lei cambiava come il giorno e la notte, come l'estate e l'inverno. Le stagioni del suo umore, della dolcezza e della freddezza che alternava, mutavano con meccanismi segreti. Era affascinante
vederla trasformarsi senza capire cosa avesse provocato quel
cambiamento.
Ad
un tratto, mentre Mamoru era preso da questi pensieri lei smise di
ruotare e,
con ancora un sorriso sulle labbra si avvicinò a lui.
Lo
prese per mano e lo guardò profondamente. -Mamoru, vieni…
Continuava
a diluviare. Lei lo condusse sotto un grande albero poco distante.
Per
la prima volta prese l’iniziativa, si
sollevò sulle punte e lo baciò con
trasporto.
Lui
era estasiato. Completamente rapito dai suoi gesti, dal suo fare.
Lei,
completamente fradicia si stringeva a lui e cominciava a baciarlo con
più
impeto. -Fa l’amore con me
Mamoru Chiba.
Era
troppo, non poteva resisterle. Nessun buon proposito ora sarebbe
riuscito a
fargli dire di no a quella donna, a quella ragazza irresistibile.
Si
inginocchiò davanti a lei, le alzò la camicetta
tirandola fuori dai jeans. Posò
le sue labbra sul piccolo ombelico e con la lingua cominciò
ad esplorare e
accarezzare quella piccola cavità. Lei reclinò la
testa chiaramente
compiaciuta. Lui allora le
sbottonò i jeans e cominciò a scendere
più in basso con quei lenti e brucianti baci.
Usagi
apprezzava. Aveva cominciato il viaggio verso il paradiso.
Ma, … non voleva
partire da sola. Si inginocchiò fino ad incontrare lo
sguardo di lui. Ora era
lei che cominciava a sbottonargli i pantaloni. Le sue mani vagavano
sul corpo di Mamoru come alla ricerca di chissà quale tesoro.
Sotto
di loro l’erba bagnata era diventata un’insolito
lenzuolo. Senza sapere come, si
ritrovarono l’uno sopra l’altra. I capelli biondi
di lei, bagnati, si
mischiavano ai fili d’erba. Gli occhi continuavano a
brillare. Mamoru la tirò a
se. Si capovolsero. Ora era lei sopra di lui. Il dorso tonico
dell’uomo era
così invitante per Usagi che non potè fare a meno
di stendersi sopra per
sentire la sua pelle aderire a quella di lui.
Lui
era nel pieno del desiderio. La sua virilità urlava il
bisogno di entrare in
lei.
Lei
lo aveva capito, voleva averlo nel suo corpo di nuovo, come le altre
volte, più
delle altre volte.
Cominciò
la sua danza pemettendogli di entrare in lei.
Tutte le stelle del firmamento parvero poche ai due amanti che in quel
momento
si trovavano in universo parallelo.
Scusatemi!!!
E' tanto che vi faccio aspettare per questo aggiornamento. Non
è che non avessi l'ispirazione , ma... ho avuto un mese particolare
dove ben altri pensieri mi hanno coinvolta.
Spero
di non avervi deluso con questo aggironamento e di riprendere
a pubblicare con la mia solità velocità di
aggiornamento. Entro fine settimana cercherò di aggironare
anche le altre storie.
Grazie
a tutti quelli che stanno seguendo questa storia e in particolare ci
tengo a ringraziare Neptune87, SilviaSilvia, luciadom,
luisina e Dragon85 che sono diventate amiche preziose anche
oltre questo fantastico sito che adoro. Ringrazio tutti i miei lettori
fedeli e tutti coloro che hanno messo qusta storia tra i preferiti. VI
voglio bene. E' grazie a voi che ho sempre la voglia di scrivere.
Le
gocce di pioggia filtravano tra i rami del grande albero di aleppo
caricandosi
del suo profumo naturalmente pungente; l’erba verde, che
aveva accolto i due
amanti come novella federa, era fradicia e intrisa dello stesso
profumo.
L’aria era temperata nonostante l’acquazzone, il rumore della pioggia, che
si infrangeva
sull’acqua del lago, era l’unico suono che arrivava
alle orecchie di Usagi e Mamoru.
Erano
lì, lei in braccio a lui. Bagnati. Silenziosi. Appagati.
Mamoru
non sentiva nemmeno la stoffa bagnata dei jeans che aderiva alla sua
pelle.
Tutto di lui era concentrato nel tentativo di tenere legato al cuore
quel
momento perfetto.
Usagi
avvertiva da sopra la camicia il battere regolare del cuore nel petto
di Mamoru.
Tum –tum
Tum
– tum
Teneva gli occhi chiusi. Non voleva pensare. Sapeva che nel momento
stesso in
cui avrebbe aperto gli occhi l’incanto di quel momento
sarebbe finito.
Si,
sarebbe finito. Al suo posto sarebbero tornati i pensieri di sempre, i
ricordi
di sempre, le decisioni di sempre. Voleva concedersi ancora qualche
minuto di
benessere.
5
minuti, poi 10, poi venti. Almeno un’ora era passata.
Il
temporale era finito, il cielo si era aperto e decine di stelle
facevano
capolino tra i nuvoloni neri che ancora coprivano una luna che doveva
essere
piena.
*Cosa
mi sta succedendo? Cosa mi hai fatto? E’ come se il petto
scoppiasse
sopraffatto da un ritmo e da una forza nuova. Sembri così
piccola e indifesa
tra le mie braccia. Se non ti conoscessi un pochino crederei tu sia
sempre
così. Perché nascondi questa dolcezza
così spesso? Perché non possiamo stare
sempre così? Vorrei dirti tante cose adesso piccola Usagi.
Vorrei dirti che non
ho mai desiderato nessuna come desidero te, vorrei dirti che credo di
non aver
mai fatto l’amore davvero prima di stasera, con te, ed…è
stato meraviglioso. Non è stato come le
altre volte. Non sei andata via. Sei qui con me. Chissà se
mi crederesti se ti
dicessi che…sono felice.*
*Mi
stringi così forte Mamoru. E’ caldo il tuo
abbraccio. Sembra quasi tu voglia
dirmi qualcosa con questo modo di tenermi stretta. Non lo so. Quanto
vorrei
fosse tutto vero. No, non è un sogno, ma non è
nemmeno la realtà.
Non mi vorresti così tanto se io non fossi sempre
così sfuggente; non mi vorresti
davvero se io ti mostrassi chi sono in realtà.
Non avrei nessun valore per te se capissi quanto in realtà
sono fragile e
spaventata nell’affrontare la vita che ho scelto.
No, tu non mi amerai mai davvero e io non ti darò
l’amore che ora credi di
volere da me.
Ti stai impegnando così tanto nel tentativo di conquistarmi.
E pensare che quando potevi avermi davvero mi hai rifiutata.
Non mi hai dato nemmeno una possibilità quando ero io a
volerla.
Non hai voluto nemmeno conoscermi.
Serenity Tsukino non era abbastanza per te, Serenity Tsukino era solo
una
sciocca ragazzina! E ora…? Ora sei tu a chiedermi
un’occasione?! No, non
illuderti. Anche se sento il cuore impazzire ogni volta che mi sei
accanto non
mi avrai mai veramente. Anche se ti permetto di entrare nel mio letto,
nel mio
corpo, non avrai mai la gioia del mio amore. Dovessi morire nel
tentativo di
nascondertelo. Tra un attimo mi
scosterò dal tuo
abbraccio e tornerò quella di prima. Quella che ti
dirà di no.
Un attimo, ancora un attimo*
E'
un pò breve questo capitolo, lo so. non ve la prendete con
me. I capitolo hanno vita propria, loro decidono come nascere e come e
quando morire. Mi raccomando, aspetto vostro sincero parere anche
questa volta. grazie per la fedeltà con cui mi
state seguendo. Vi voglio bene e spero di non deludervi mai. Bacionissimi Chichilina
C’è
una frase d’amore, di quelle che si trovano scritte sui diari
delle liceali dal
cuore romantico che dice:
“L’UNICA LIBERTA’ CHE
DESIDERO E’ LA
PRIGIONE DELLE TUE BRACCIA”. Mamou stava
seriamente pensando di fare di
quella frase il motto della sua vita.
Cosa era successo a quel ragazzo, a quell’uomo
fin’ora così inarrivabile e
tutto d’un pezzo? Ben poco ne era rimasto. Solo pochi momenti
prima aveva fatto
l’amore con lei, sotto la pioggia, con le ginocchia nude
sull’erba bagnata. Il
freddo non lo aveva sentito, troppo concentrato a divorare ogni
centimetro
della pelle di lei, voluttuosa e fragrante come il pane appena sfornato.
Si
l’aveva divorata e lei aveva divorato lui con la fame di chi
mangia davvero per
la prima volta. Nessun momento, nessun luogo poteva essere
più perfetto per
quel banchetto. Il suo cuore era in pace. Per la prima volta aveva la
sensazione di aver intravisto davvero dell’amore in lei. No,
non era una
sensazione. Era una certezza. Era riuscito a conquistarla. In ben meno
che due
mesi inoltre! Tutto sarebbe cambiato adesso.
il suo orgoglio gratificato, la mente in fremito nell’attesa
di sentirle
pronunciare di nuovo il suo nome, sicuro che lo aspettavano solo parole
di
dolce complicità.
-Andiamo Mamoru, si è
fatto tardi. Non ne posso
più di stare qui a congelarmi. Sono tutta bagnata.
No,
decisamente non erano le parole che Mamoru aspettava da quella bocca di
fragola. Quelle parole pronunciate con freddezza lo spiazzarono. E non
solo
parole e tono.
La
bionda improvvisamente si era scostata dal calore della braccia che
tanto
dolcemente l’avevano avvolta, senza preavviso, senza un
sorriso che indicasse
la sua soddisfazione, senza nemmeno curarsi di fargli male nel
tentativo di
alzarsi.
Mamoru
era incredulo. In un istante tutte le forti sicurezze e il solido
orgoglio di
un momento prima erano crollati come un castello di carte.
Mentre
lei cercava invano si sistemarsi la camicetta irrimediabilmente
corrotta dal
bacio dell’ erba e della terra, Mamoru si fece coraggio e
decise comunque di
tentare.
-Si tesoro mio, hai ragione
è tardi, è meglio
andare.
-Come mi hai chiamata?
-Io?
-Vedi qual’un altro?
Il
tono acido di Usagi non faceva che peggiorare la sensazione di distacco
che Mamoru
aveva avvertito. Eppure il moro non volle tirarsi indietro di nuovo.
-Ti ho chiamata “
tesoro”.
Gli
occhi di lui la guardavano senza esitazioni. Era una questione di
resistenza.
Non voleva che lei lo vedesse insicuro nel suo modo si sentirla sua.
Lei
invece non lo guardava nemmeno. Si era girata di scatto.
Era
come una piccola guerra improvvisa.
Una piccola rivolta civile scoppiata dopo un lungo momento di pace.
Inaspettata
e pericolosa.
-Mi sa che ti sei fatto
un’idea sbagliata della
situazione Mamoru.
-Cosa vuoi dire?
-Perché mi costringi
ad essere brutale. Tu lo sai
cosa voglio dirti.
-Usagi, l’unica cosa
che so è che fino ad una
manciata di minuti fa io e te eravamo in paradiso. L’unica
cosa che so è che
questa sera io e te abbiamo fatto l’amore.
Mamoru
aveva alzato il tono della voce non nascondendo la rabbia che cresceva
per l’atteggimamento
di lei.
-“Abbiamo fatto
l’amore”? dici davvero?! Come sei
smielato dott. Chiba!
Usagi
continuava a dargli le spalle. Come in preda ad una
personalità parallela, la
dolce ragazza dagli occhi pieni di malinconia con cui Mamoru aveva
cenato, la
meravigliosa donna che gli teneva le mani e lo guardava tra la luce di
una
candela, la splendida gemma con cui aveva fuso il suo corpo sotto la
pioggia
della foresta era lì, avanti a lui con nella voce la
freddezza dell’impeccabile
tirocinante del suo ospedale.
Era
troppo, era decisamente troppo per Mamoru.
-Hai ragione Usagi, abbiamo fatto
solo del sesso,
semplice e senza ripercussioni. Peccato solo essermi tutto infangato.
-Sono d’accordo. La
prossima volta trova un posto
più comodo e pulito.
Lei
era ancora girata. Atto di non curanza pensava lui ormai in preda alla
rabbia
più nera, disperato tentativo di protezione sperava lei,
impegnata nel
tentativo di nascondere le lacrime e il mento tremulo per lo sforzo di
arroganza
con cui gli aveva parlato.
In
macchina il tragitto silenzioso sembrava dividere i due giovani
più di un muro
di pietra. Era come se mille anni di emozioni li separavano. Era quello
che Usagi
voleva, O forse no. Di certo era quello che Mamoru credeva.
Lo
so, un passo avanti e cento indietro. Vi prego non ammazzatemi per
questa
pagina di storia. Lo so che speravate tutti nell’inizio della
storia d’amore
tra i due protagonisti ma…avevo un altro progetto per questo
capitolo. Cmq, per
evitare il pubblico ludibrio, miei cari lettori, vi informo che nel
prossimo
cappy ci sarà una svolta significativa.
Vi
faccio due domande: cosa sarà successo
nell’infanzia di Usagi/Serenity che l’ha
fatta diventare così ambivalente?
E…riuscirà Mamoru a vedere oltre la maschera
che Usagi si è costruita addosso e rinunciare al suo
orgoglio di uomo che non
deve chiedere mai??
Aspetto
le vostre recensioni dicendovi che prenderò spunto dalle
vostre risposte.
Vi
voglio bene.
Ps.
Ringrazio tutti coloro che leggono e commentano questa storia e in particolare quelli di voi che hanno inserito “dal corpo al cuore“ fra i preferiti. Perdonatemi
per la lentezza degli aggiornamenti, per farmi perdonare
pubblicherò il prox
cappy in max una settimana.
Avevo
promesso
un aggiornamento in meno di una settimana e invece…ho perso
il conto delle
settimane passate. Perdonatemi! Tra lavoro e università di
tempo per le mie
storie non ne sto avendo per nulla! Cmq…dove eravamo
rimasti? A si, sopo un
iniziale avvicinamento la nostra strana protagonista ritorna ad essere
un pezzo
di ghiaccio (altro che il dott. Ghiacciolo di qualche cappy fa!). Vi
avevo
promesso che nel nuovo capitolo ci sarebbe stata una svolta
significativa…bhè
spero di sorprendermi. Aspetto i vostri pareri. Ringrazio tutti quelli
che mi
stanno seguendo in questa nuova avventura, vi voglio bene.
Chichilina
Cap.
14 USAGI & SERENITY TSUKINO
Le foglie tra i capelli, che sensazione
meravigliosa! L’enorme salice piangente di Villa Selene, la
residenza della
famiglia Tsukino, aveva il grande merito di riparare chiunque dal mondo
con un
morbido e frascoso abbraccio. Risatine leggere, frasi sussurrate.
Piccole danze
intorno al tronco maestoso.
La luce filtrava tra le foglie allungate e
giocava con l’ombra delle stesse sdraiandosi poi sulla terra
fresca.
I biondi codini, ancora troppo corti per
svolazzare nel vento, tanto spesso si decoravano con le verdi lacrime
dell’albero
che piangeva senza fine, sul piccolo laghetto artificiale
dell’immenso
giardino.
Non erano ricchi, ma quella villa
meravigliosa era loro, della famiglia Tsukino, ricevuta in
eredità da qualche
parente lontano. Chi fosse non aveva importanza. Quella villa con il
suo
giardino, con quell’albero di ciliegio e
l’altalena, con il salice disteso nel
laghetto, sembravano tanto essere il paradiso.
Dolci mani bianche sistemavano il vestitino
corto. Due donne, o meglio una bambina e una ragazza si rifugiavano
felici tra
l’abbraccio verde.
-Serenity,
Usagi! Dove siete? Su ragazze, è ora di studiare!
Ancora risatine divertite. La voce della
governante da lontano veniva per strapparle al loro paradiso.
La piccola supplicava una proroga alzando lo sguardo verso la ragazza
più
grande.
Com’era bella! Ogni volta che si soffermava a guardarla la
piccola restava
incantata. I capelli lunghissimi di quella giovane ragazza avevano
davvero catturato
il colore del sole. Gli occhi celesti invece sembravano aver dato
origine al
cielo. Un sorriso meraviglioso, meraviglioso come i primi fiori, le
dava assenso.
L’altalena era una tentazione troppo forte.
-E va
bene.
5 minuti. Poi però si va a studiare piccolina.
-Va bene
sorellona!Ora però mi spingi?
Era bellissimo passare dall’ombra
rassicurante del salice alla pioggia di fiori del ciliegio. Tanti
meravigliosi
fiocchi rosa, tanta felicità che veniva incontro ad ogni
spinta.
E poi….all’improvviso tutto
cambia, tutto
finisce. La luce del sole non c’è più,
le risatine allegre sotto il salice sono
svanite. Il vento tra i capelli e solo un ricordo…o forse un
incubo.
Ora ci sono solo le urla, solo una bagnata penombra.
Lei è andata via. Trascinandoci tutti
nella
disperazione. Perché l’ha fatto,
perché?!
Una vita vale forse più di un’altra?
Il cielo non ha più la sua origine, il sole non ha
più il suo colore.
Le
lacrime del salice non sono più sole, ora ci sono anche
quelle della piccola
Serenity che piange il dolore di sua sorella Usagi tra le urla di suo
padre e quelle di sua madre.
Sudata,
spaventata.
Usagi
si svegliò nel suo letto con il cuore in gola.
Un’altra
volta…aveva sognato. Un’altra volta quel ricordo
terribilmente doloroso era tornato
a farle visita.
Perché?!
Perché non poteva dimenticare? Perché doveva
continuare a soffrire?
Si
alzò dal letto. Le lenzuola erano mantide di sudore.
Forse
un bicchiere di latte caldo le avrebbe dato sollievo.
Era
notte fonda. Solo poche ore prima Mamoru l’aveva
riaccompagnata a casa. Non l’aveva
nemmeno salutata mentre scendeva dall’auto. Era furioso.
Si,
le aveva fatto male quel rancore anche se sapeva averlo meritato.
Ma
lui non sapeva…non poteva capire.
Come
poteva raccontargli che la vita le aveva insegnato che era meglio non
amare, come
poteva perdonarlo per non averla amata quando era lei ad avere davvero
bisogno di
lui? Come poteva spiegargli che sebbene l’amasse da sempre
imponeva a se stessa
una vita senza amore?
Che diritto aveva lei di vivere e di gioire le mille sfumature di un
sentimento
d’amore quando per colpa sua sua sorella non le avrebbe mia
conosciute? Era un
lusso troppo grande. Solo il corpo poteva concedere. Non il cuore. E
poi…non a
lui.
Mica
lui sapeva che lei lo conosceva da tanti, troppi anni. Mica Mamoru
sapeva che
lei ogni giorno lo aspettava fuori dalla scuola anche solo per vederlo
da
lontano. Mica il dottor Chiba sapeva quanto lei avesse gioito
dell’imposizione
di suo padre di sposarlo per legare le loro famiglie e di quanto poi
avesse
sofferto per il rifiuto di lui persino di incontrarla.
Troppi motivi,
troppe flagellazioni dell’animo tenevano
ancora legate Serenity e Usagi e lasciavano ancora separati Usagi e
Mamoru.
Finalmente mi è
venuta l'ispirazione. Ecco a voi, carissimi lettori, il quindicesimo
capitolo. Non posso però lasciarvi alla lettura senza
ringraziare:
Maryusa, Romanticgirl, Gaia,
Bella87, Luisina, Neptune87, e Luciadom che hanno commentto il mio
tentativo di fanart. In realtà era uno schizzo fatto a penna
senza possibilità di correzioni ma...ho voluto cmq
condividerlo con voi e ne sono felice. Grazie di cuore per i vostri apprezzamenti. Sono
stati graditissimi. Devo anche ringraziare Veryfiamma/Veronica che mi
ha contattato chiedendomi di aggiornare ( e con cui sto facendo amicizia ^_^)e tutte voi che vi siete
iscritte sul mio gruppo su facebook: I love fanfiction!!! Vi adoro e
adoro la vostra compagnia.
Bene. Dopo questi
ringraziamenti non poteva mancare anche quello per tutti coloro che
leggono soltanto. Spero mi farete sapere presto il vostro parere, la
speranza è l'ultima a morire. Buonalettura. Aspetto
con ansia le vostre recensioni per sapere cosa ne pensate.
bacio a tutti
Chichiilina
CAP.
15 ...E LEI BACIO' LUI
Il tempo non è un
concetto relativo. Un ‘ora è composta da 60
minuti, trecentosessanta battiti
della lancetta dei secondi. Nemmeno uno in meno.
Tic,
tic, tic
Mamoru
aveva perso il conto non solo dei secondi, ma anche
dei giorni ormai trascorsi che lo separavano da quella sera
meravigliosa
all’inizio e orribile alla fine.
Le
prime ore lontano da lei erano passate frenetiche, tra la
corsa senza controllo in auto per allontanarsi dalla sua casa, le tre
birre
gelate al bar di Motoki, il proverbiale amico di sempre proprietario di
un bar,
e la notte passata insieme a Rei.
Si,
Rei. Quella vicina di casa da cui si era ripromesso di
restare lontano. Quella donna bellissima che sapeva perfettamente di
non amare
e che ogni volta soffriva nel rendersi che l’uomo che amava
di lei voleva solo
il corpo.
Quella
sera però Mamoru, non poteva pensare ai sentimentidi Rei, aveva il suo
orgoglio da curare.
-
Usagi, maledetta Usagi -continuava a pensare tra i denti stretti, mentre con le
mani esplorava
le curve accoglienti della sua vicina di casa.
La
pelle sudata si mischiava come gli ingredienti di un
dolce succulento. La bocca rossa e carnosa di Rei ansimava vogliosa
vicino alle
orecchie del giovane medico, ovattate dall’effetto delle
birre.
Gli era bastato
bussare alla sua porta, guardala dritto negli occhi, come solo lui
sapeva fare,
e dirle “Ho voglia di te” per trovare un porto
sereno in cui attraccare se se
stesso.
Tutto
scorreva veloce. In bianco e nero.
In
quel letto la passione sfogata di lui si mischiava
all’avida speranza di lei.
Nemmeno
un bacio però…Mamoru teneva i denti serrati dalla
rabbia, che montava in lui insieme all’eccitazione che quel
corpo di donna
sapeva accendergli.
Fu
un attimo, solo un attimo. Gli occhi neri di Rei gli
sembrarono azzurri, di un azzurro brillante. Anche la vista si prendeva
gioco
di lui. Si, fu un attimo, ma gli bastò per capire che non
era riuscito a
fuggire abbastanza lontano dall’incanto di quel bosco.
Con il corpo stava facendo l’amore con Rei, ma con il cuore
era ancora tra le
braccia di Usagi.
Il rimorso arrivò furioso insieme alla vertigine del piacere.
Quelle
ore passarono veloci. Furono i giorni a seguire a
scorrere lenti come l’angoscia.
Era
stato proprioMamoru a cambiare ad Usagi l’orientamento del
tirocinio, l’aveva fatto
per sentirsi libero di corteggiarla. Era stata una buona idea in quel
momento.
Adesso era il suo inferno.
La
odiava per come l’aveva trattato. Aveva ferito il suo
orgoglio, gli aveva sbattuto in faccia la sua fredda convinzione che
non
sarebbe mai riuscito ad averla davvero.
Però…però l’amava e la
mancanza della
sua pelle stava diventando disperata. Certo sapeva dove trovarla. Gli
bastava
passare “casualmente” per il reparto dove lei si
trovava con una scusa
qualsiasi. Ma…cosa avrebbe fatto una volta avanti a lei?
Cosa le avrebbe detto?
Lei avrebbe capito subito che lui la stava cercando. No, doveva
incontrarla per
caso. Preparandosi per quel momento Mamoru cercava di pensare, di
organizzare
al meglio quelle che sarebbero state le sue prime parole.
“Cia
Usagi, come stai?”, troppo banale. “Mi hai pensato
in
questi giorni?”, era proprio fuori discussione.
“Sai, per curare il mio
orgoglio ferito sono andato a letto con un’altra quella
notte”, era anche
peggio. Forse era meglio rimanere in silenzio.
Desiderio
e Rabbia, orgoglio e rimorso lottavano furiosi
dentro di lui.
Voleva
vederla, ma ne aveva contemporaneamente il
terrore.
Tutto
era in subbuglio. Era come se il mondo per Mamoru
fosse diventato una trincea in cui nascondersi in attesa di incontrare
il suo
amato nemico.
Ogni
sera, finito il suo turno si trascinava a testa bassa
verso l’appartamento che fino a poco prima avevano condiviso.
Quel nido d’amore
che ora sembrava solo un monolocale troppo piccolo.
Mentre camminava, respirando lentamente, Mamoru pregava silenziosamente
un
qualche dio. Voleva aprire al porta e trovarla lì, un letto
e un raggio di
sole. Ma lei non c’era mai.
“Ma
perché? Perché diavolo mi sta accadendo tutto
questo?” .
Ogni
sera la stessa speranza si infrangeva sul muro della
sua assenza. Un giorno, due, cinque, dieci? Di sicuro troppi per Mamoru.
In
lui imperava un dubbio. Più
che un dubbio era una domanda che lo martellava senza soste. Cosa deve
essere
successo nella vita di Usagi per farla diventare così? Cosa
ha portato il suo
cuore a reagire in questo modo?
E poi
una sera accadde. Ormai
non ci sperava quasi più.
La
chiave nella toppa non aveva
bisogno dei consueti primi tre giri a destra. In casa c’era
qualcuno. Poteva
essere solo lei.
-Ciao
-…Ciao
-Sono felice di trovarti qui…
-Scusami, vado via subito…
-No, non devi, questa casa è anche
tua
-Sei tu che paghi l’affitto
-…Sei tu che la rendi una
casa…
In barba a tutte le sue ansie sul non sapere cosa dirle, era riuscito a
non dire
qualcosa di stupido, anzi.
Finalmente
lei era davanti ai
suoi occhi. Era ancora più bella di come la ricordava. Era
passata una manciata
di giorni soltanto. In quel momento ne sentì a pieno il peso.
-Come stai?
Stupita
dalla dolcezza della
voce di Mamoru, anche lei addolcì lo sguardo e il tono
della voce.
-Ora meglio Usagi, ma…ho bisogno di
parlarti
-No, lascia stare. Non ce
n’è bisogno.
-Si, invece. Io ne ho bisogno.
-Ascoltami, finiresti solo per farmi domande a
cui non
posso risponderti. Ti prego!
Mamoru
non la capiva, non poteva
accettare di non parlare della piega che aveva preso quello pseudo
rapporto che
li univa, ma aveva troppa paura che lei se ne andasse per tentare
comunque
un’arringa.
Lei aveva ancora indosso il soprabito bianco. Era sfiancato, le donava
molto.
Improvvisamente il desiderio vinse la sua lotta con la rabbia e
l’amore che
provava per lei, cancellò il rancore che l’aveva reso
schiavo. Mamoru capì cosa
doveva fare. Chiuse per un attimo gl’occhi,
respirò profondamente e poi si
avvicinò a colei che tanto aveva maledetto sentendone
l’assenza.
Aprì
le mani più che poteva per
contenere tutta la bellezza che gli era daventi. Sprofondò
le dita nei suoi
capelli biondi e morbidissimi. La baciò.
Non aggiorno da
un’infinità…lo so. Chiedo perdono.
Avevo
avvisato che non avrei aggiornato prima di settembre causa stress
lavorativo, oggi però…mi è tornata un
po’ di ispirazione è ho scritto questo
capitoletto.
Un po’ cortino forse ma…sentito.
Chiunque di voi abbia vissuto
un periodo di lontananza
forzata dal suo amore potrà probabilmente ritrovarsi nelle
emozioni disperate di Mamoru ( o
almeno spero di essere riuscita a trasferirle come le ho provate io!)
Dedico questo capitolo a tutti
voi che seguite questa
storia.
Cmq…per chi si fosse
perso propongo un piccolo riassunto.
Usagi e Mamoru lavorano nello
stesso ospedale nelle vesti di
tirocinante e primario. Attratti profondamente l’uno
dall’altra condividono un
appartamento dove si incontrano per stare insieme, senza complicazioni
sentimentali. Mamoru però, ad un certo punto, si accorge di
volere di più che
semplici “incontri fisici” e chiede ad Usagi di
costruire un vero rapporto. Usagi,
molto restia, acconsente a 2 mesi di tentativi, sicura che Mamoru non
riuscirà
a farla innamorare. Tra cambiamenti improvvisi di umore e continui
slanci di
passione la storia si evolve restando, sostanzialmente, allo
stesso punto:
Mamoru è innamorato e Usagi non vuole esserlo.
Alle spalle i due hanno due
situazioni familiari poco
felici, soprattutto Usagi la cui infanzia, sicuramente dolorosa,
è avvolta nel
mistero. Che sia proprio il passato che non la lascia libera di essere
felice a
causare la sua freddezza e i suoi continui cambiamenti
d’umore?
Cmq…dopo un
po’ di tempo di lontananza i due si ritrovano
nel loro appartamento. Questo capitolo riguarda il giorno dpo questo
ultimo
incontro.
Chiedo
scusa se ci sono errori. Mi raccomando aiutatemi a
migliorare con le vostre recensioni! Please.
Spero di non aver perso nessun
dei fun di questa strana
storia.
Vi voglio
bene
BISOGNO DISPERATO
Voleva correre, senza
fermarsi mai.
Troppa era
l’energia nelle gambe, nello stomaco, nel cuore,
per pensare che un giorno avrebbe potuto fermarsi. No, non poteva.
Voleva
correre fino alla fine della strada, della città, dello
stato intero.
Era felice, pieno di una
gioia troppo bella per essere vera
ma, allo stesso tempo, troppo intensa per essere solo un sogno.
Gli alberi sembravano
aprirsi al suo passaggio. La luce era
più intensa e tutte le stagioni si confondevano in
quell’unica, meravigliosa giornata.
Il suo orgoglio avrebbe
preferito dare il merito di tutta
quell’energia a qualcosa di diverso da quella che ne era la
causa reale. La sua
coscienza però non aveva dubbi. Era stata lei a renderlo
così felice.
Correva, correva e
pensava. Pensava al profumo di rosa che
aveva la sua pelle, pensava al riflesso dei suoi capellisfiorati dalla luce del
mattino. Pensava a
come erano sensuali le sue labbra socchiuse nel mezzo del sonno.
Sensuale. Si,
lei lo era in tutto ciò che faceva. Niente dei suoi gestinon era assolutamente
affascinante. Era
divina. Si, lo era per forza!
Una notte intera, una vita
intera per fare l’amore con lei
non gli sarebbe bastato. Ne era sicuro.
Correva sempre
più forte e guardava le sue mani. Fino a poco
prima quelle mani erano state baluardo di scoperta. Con quelle mani
l’aveva
conosciuta in tutti i modi in cui si può conoscere qualcuno
nel corpo. Il suo
seno tondo e morbido. Non avrebbe mai potuto cancellarne il ricordo
nemmeno se
l’avesse voluto. Non era la prima volta che la possedeva,
ma…forse per la
lunga, troppo lunga, assenza della sua pelle, forse per quella strana
follia
che era il suo amore per lei, gli sembrava di aver fatto
l’amore con lei per la
prima volta. Quella lunga notte era stata una prima notte. Sentiva di
averla
avuta completamente, come forse gli era sembrato fosse successo anche
nel
bosco, ma…questa volta era stato ancora diverso.
Non si erano detti nemmeno
una parola ma…la bramosia del
volersi possedere nel corpo aveva lasciato spazio al desiderio di
completarsi
l’uno con l’altra, con il cuore. C’era
una sorta di disperazione nella
profondità dei loro amplessi. Non era così
superficiale da non averla
percepita. Quella notte Usagi si era data a lui per la prima volta
senza
difese. Quella notte lei gli aveva detto, senza parlargli,
“TIENIMI CON TE” e
lui, di sicuro, non l’avrebbe fatta mai andare via.
C’era qualcosa nello
sguardo di Usagi. Sembrava una preghiera, una preghiera
d’amore.
Da quando era diventato
così sensibile? Non lo sapeva. Anche
questo era un miracolo di quella ragazza. Forse l’unica al
mondo che poteva
riuscire nell’impresa impossibile di trasformare Mamoru
Chiba, alias Dottor
Ghiacciolo, in una specie di orsacchiotto di pezza.
Correva ancora, la milza
cominciava a dolorare. Non
importava però. Non voleva ancora fermarsi. Correre lo
aiutava a metabolizzare.
Era sabato mattina. Aveva
la giornata libera e l’avrebbe
trascorsa con lei. Doveva essere lucido e schiarirsi le idee. Niente
passi
falsi adesso.
Quel bigliettino ripiegato
e conservato nel portafoglio ne
era irrevocabile monito.
Sono
andata in
ospedale. Ho il turno di mattina oggi.
Mi
libero per pranzo.
A
dopo.
Usagi
“A
dopo”. Mai nessuna promessa gli era sembrata più
felice.
Avrebbe pranzato con lei. Quella era la sua occasione. Erano finiti
i giorni senza di lei. Non ci sarebbero più state
lunghe passeggiate nei corridoi
sperando di incontrarla. Non avrebbe più dovuto cercare nel
corpo di un’altra
quello che solo lei poteva dargli. Avrebbero risolto i loro problemi.
Problemi,
problemi…più che altro misteri. Quella ragazza
era
così oscura nelle sue reazioni.
Quel bacio inaspettato,
meraviglioso, profumato di speranza
gli aveva aperto i cancelli dell’infinito.
Non se lo aspettava
davvero. Ma cosa infondo poteva
aspettarsi da quella strana, incredibile creatura?
L’aveva
spogliata lentamente, trattenendo il respiro per
rallentare la bramosia di entrare di nuovo in lei. Si era controllato.
Non
voleva farla scappare. Non voleva che il bisogno che sentiva di averla
trasformasse quel gesto d’amore in sesso fine a se stesso.
I vestiti sul pavimento,
la luce bassa, gli occhi di Usagi …quegli
occhi di primavera, quegli occhi di lago in cui tuffarsi e lasciarsi
affogare.
Quanto gli erano mancati
quegl’occhi!
Tutto lento, come se il
tempo si fosse fermato. Un lungo,
lunghissimo guardarsi, esplorarsi, immergersi nell’anima
altrui. Carezze leggere
con mani tremolanti, sorrisi accennati prima che gli occhi si
chiudessero
coccolati da una carezza piena di emozione
E poi…
d’un tratto … il corpo cominciò ad
urlare la
disperazione dell’assenza,il suo
bisogno di contatto. Le mani erano diventate voraci.
Lunghe gambe sulla schiena
di lui, che dentro di lei
conosceva l’immensità del paradiso.
Una voglia senza fine. Un
bisogno disperato.
Correva ancora Mamoru,
correva verso il suo tempo con lei senza nessun
intenzione di fermarsi
Non
ho idea di come questa mattina io abbia avuto l’ispirazione
per aggiornare
questa storia. Spero vi piacerà questo aggiornamento
decisamente più lungo del
solito. E’ più di un mese che non ho internet a
casa ed è questa la causa del
mio silenzio e del mio ritardo con le recensioni.
Recuperò…giuro! Auguro a
tutti un felicissimo 2010 e auguro a me stessa di ricevere tante
recensioni…vorrei
sapere cosa ne pensate di questo capitolo ^_^
Grazie
di tutto quello che mia avete dato nell’anno appena
trascorso. E’ stato
meraviglioso dividerlo con voi, miei cari lettori!
Un
abbraccio. Chichilina
(ps.
Il mio nik name si legge KIKILINA)
IL RITORNO
DI SERENITY
“...a
dopo”
Molto,
troppo presto quel “dopo” sarebbe arrivato.
La testa
sembrava
stare per scoppiarle tra le mani. La luce filtrava insidiosa dalla
veneziana di
fronte alla sua scrivania, minacciando pericolosamente la
già scarsa
sopportazione della luce che quel giorno sentiva di avere.
Non era
riuscita a trattenersi da fargli quella piccola promessa e tra poco
l’avrebbe
rivisto. Debole Usagi! Ultimamente era stata debole in molte cose a
dire la
verità.
Le tempie
continuavano a pulsare furiose. Una mano a sostegno di una fronte
troppo
pesante non sembrava abbastanza.
Trovarsi in
quell’appartamento era l’unica cosa alla quale era
riuscita a pensare per
giorni e giorni. Una tentazione estenuante, un bisogno capace di
toglierle il
respiro e diminuire, con la mancanza di ossigeno, la
lucidità che imponeva a se
stessa da tanto tempo.
Usagi non voleva cedere
ma… qualcun altro si, e quell’altra
parte di lei, sedata dentro al suo cuore, aveva avuto il sopravvento e
le aveva
regalato momenti di assoluta, folle pienezza.
Era stato
una specie di sogno, un sogno incredibilmente reale.
Il risveglio
però, come il primo giorno di lavoro dopo le vacanze, sapeva
di aspro disappunto.
Era stata
una sciocca, una sciocca romantica. Non poteva farsi suggestionare
così da una
stupida data…e da un incredibile colore di occhi.
Eppure…non era riuscita a
trattenersi.
Il calendario
appeso alla porta era insindacabile. Erano passati tre anni e un giorno
dal suo
funerale e, insieme,
dal suo nuovo,
solitario battesimo. Tre anni e un giorno da
quando, chiuso l’enorme portone di villa Selene,
con solo una piccola valigia in mano, Serenity era morta e Usagi era
rinata
ufficialmente. Prima di allora a saperlo era solo lei, ora il mondo
intero
avrebbe conosciuto Usagi e non più Serenity.
Avrebbe
vissuto per lei, per quella sorella che non aveva più la
possibilità di farlo,
e avrebbe dimenticato se stessa per sempre. Serenity avrebbe potuto
disporre
solo del suo corpo. Tutto il resto era di Usagi. Nessuno più
avrebbe potuto
possedere il suo cuore perché lei lo aveva donato a sua
sorella e ne era rimasta
priva.
Avrebbe dimenticato quella bambina che piangeva da sola, che non
conosceva più
sorrisi, a cui suo padre si rivolgeva senza mai guardarla negli occhi
con urla
di disprezzo e comandi senza obbiezioni. Non avrebbe più
pensato alle ore di
disperazione davanti agli sguardi assenti di sua madre e alle grida
silenziose
con le quali reclamava il diritto a decidere della sua vita.
Serenity, in realtà, era morta molti anni prima insieme a
sua sorella, e da
quando il sole se ne era andato via la sua volontà era
scomparsa con esso. Non aveva
potuto più sperare, non aveva più meritato di
scegliere per se stessa.
L’emicrania
era insopportabile. Solo un’altra volta aveva sofferto
così tanto. Solo un’
altra volta aveva permesso a Serenity di avere il sopravvento e i
sintomi erano
davvero gli stessi.
Ogni giorno,
dopo la scuola, aspettava per almeno trenta minuti. Il peso della
cartella ancorata
tra le mani era utile a rimanere con i piedi per terra. Lo avrebbe
visto passare
di lì con i suoi coetanei universitari e solo al pensiero
sentiva il cuore
spiccare il volo.
Era
diventata una specie di dipendenza.
Non riusciva
a spiegarsi cos’era quella emozione disordinata che sentiva
dentro di lei. Quella
specie di fame sazia che le divorava lo stomaco. Erano anni ormai che
non
sentiva battere il suo cuore e che era abituata a pensare a se stessa
come il
mero contenitore di una vita che non doveva appartenerle e che per
nessuno,
nella sua casa, aveva grande valore. E invece … era caduta
letteralmente tra le
sue braccia per colpa di uno stupido tacco spezzato
all’uscita da scuola e, da
quel momento, aveva cominciato a sperare in segreto.
Non che
fosse successo granché, era semplicemente caduta tra le
braccia del ragazzo più
bello di tutto il pianeta. Braccia forti e gentili che le avevano
sicuramente
evitato un ginocchio sbucciato. I suoi occhi erano così blu
da poterli
scambiare per un cielo notturno.
“Scu-scusami” era riuscita a dirgli. “Non
ti preoccupare testolina buffa. Sta più
attenta la prossima volta però!” quello che si era
sentita dire.
Aveva una
voce meravigliosa, come tutto il resto d'altronde. Ne era rimasta
completamente
rapita.
Da quel
giorno aveva preso ad adorarlo in silenzio. Lo aspettava
all’uscita solo per
poterlo vedere di nascosto. Era sciocco, lo sapeva. Lei era molto
più piccola
di lui e non sarebbe mai riuscita ad attirare le sue attenzioni. Non
conosceva
nemmeno il suo nome, però…poteva almeno
concedersi di guardarlo mentre
camminava prima di ritornare a casa alla sua vita di triste solitudine.
Passava le
notti a pensare a quegli occhi incredibili e nel suo cuore gli augurava
la
buonanotte stringendosi in un abbraccio che, sognava, fosse il suo. Si
sentiva
meno sola da quando lui era nei suoi pensieri e questo le era di
conforto.
E poi era
successo. Dopo anni di indifferente ostilità suo padre le
aveva rivolto la
parola con meno freddezza del solito. Un giorno l’aveva
chiamata nel suo studio
per parlarle.
-Serenity,
devo darti una notizia importante.
-Si,
…papà
-Ormai non sei
più una bambina, sei
quasi una donna, ma prima ancora sei mia figlia e io solo so quello che
è bene
per te. Tra due anni, quando avrai compiuto sedici anni, ti sposerai
con il
figlio dell’avvocato Chiba unendo così le nostre
due famiglie.
-Devo sposarmi?
Ma…io non conosco
nemmeno il figlio dell’avvocato Chiba e poi…i miei
studi…l’Università di
medicina…?
-Il nome del tuo
futuro sposo è Mamoru
e questa è l’unica informazione che ti serve. Per
il resto non ritengo importante
che tu possa studiare oltre i due anni che ti ho già
indicato. Sarà molto più
utile un matrimonio vantaggioso che un titolo scolastico.
-Ma…
-Non accetto
obbiezioni. Ho già deciso.
E ora lasciami al mio lavoro.
-Papà,
io…
-Serenity, ora
basta!
Non avrebbe
mai potuto dimenticare quella conversazione, ne la corsa in lacrime
verso la
sua stanza che ne seguì. Suo padre aveva già
deciso tutto per lei, avrebbe
sposato un uomo che non conosceva e avrebbe lasciato la sua casa,
l’unico posto
in cui ancora qualcosa parlava di sua sorella. Non avrebbe mai potuto
studiare
medicina come desiderava da sempre e …non avrebbe mai potuto
avere la
possibilità di amare chi il suo cuore già
desiderava. No, quest’ultima consapevolezza
le spezzo definitivamente il cuore. No, non poteva accettarlo. Si mise
le
scarpe di fretta senza asciugarsi le lacrime che continuavano a
scorrere e
cominciò a correre verso la scuola. Era giovedì e
i ragazzi dell’università si
riunivano a giocare a pallacanestro nel campetto della sua scuola.
Doveva
vederlo, doveva rivedere i suoi occhi.
Correva
forte. Le faceva male il fianco e le mancava l’aria ma
continuava a correre.
Presa dallo
slancio quasi si spalmò contro la grata del campo di
pallacanestro e lo vide. Meraviglioso
mentre sorrideva ai suoi amici.
-Mamoru,
dai! Smettila di scherzare e prova a prendermi la palla se ci riesci!
-Sarà
un gioco da ragazzi Motoki.
-Sei troppo sicuro
di te Chiba!
Il suo cuore
già provato manco l’ultimo battito. Lui, il
ragazzo dei suoi sogni, il
destinatario di decine e decine di “buonanotte”
segrete si chiamava Mamoru
Chiba ed era il suo futuro sposo.
Forse era
una scherzo del destino. No, non poteva esserlo. Era un miracolo, la
sua
occasione di felicità.
Da
quell’istante
ricco di stupore Serenity
era tornata ad
essere solo Serenity. Il sentimento strano che provava dentro aveva
magicamente
cancellato anni di sofferenza e solitudine. Anni di annientamento della
propria
personalità. Forse c’era qualcosa più
grande del dolore. Magari lui l’avrebbe
amata e …forse…con Mamoru al suo fianco avrebbe
smesso di sentirsi in colpa per
essere viva al posto di sua sorella. Quell’ultimo pensiero le
faceva comunque
male. Quella voce che le diceva di meritare l’odio della sua
famiglia e di non
avere diritto a godere della vita, dato che per colpa sua Usagi non
avrebbe mai
potuto farlo, non la lasciava mai in pace.
Però…la
sorpresa della sua scoperta era troppo grande e sconvolgente per non
provare
anche una pura, timida felicità. Lo amava e forse anche lui
l’avrebbe amata.
Da quel
momento aveva vissuto in trepidazione. Sapeva che entro poco tempo
Mamoru
sarebbe venuto a casa sua per conoscerla e doveva essere pronta per
quel
giorno.
Quando una
domenica
mattina suo padre le disse di vestirsi elegante sentì che
stava per cambiare la
sua vita. Decise, per la prima volta dopo tanti anni, di disobbedire
alle
indicazioni di suo padre ed, invece di aspettare di essere chiamata, si
nascose
dietro una delle colonne laterali del salone. Sicuramente suo padre
avrebbe
accolto lì i suoi ospiti. Era troppa l’agitazione
per aspettare seduta nella
sua camera. Da quella posizione invece avrebbe potuto ascoltare tutto e
soprattutto vedere Mamoru subito
non
appena fosse arrivato.
Il nascondiglio
era buono. Aveva solo paura che il rumore del battito impazzito del suo
cuore
la tradisse rivelando la sua presenza.
All’improvviso
la porta di ingresso della sala si aprì. La cameriera fece
entrare due uomini. Uno
di loro era Mamoru, l’altro doveva essere suo padre. Erano
rimasti soli.
-
Papà, non so come hai fatto a
trascinarmi qui ma scordati che io possa sposare una sciocca ragazzina.
- Mamoru, tu sei
mio figlio è devi
rispettare le mie regole. Questo matrimonio legherà queste
famiglie per sempre.
E’ un’ottima cosa per la nostra famiglia. Vedrai
che mi ringrazierai.
- Forse
è un'ottima cosa per te! Devi
smetterla di decidere al posto mio. Non acconsentirò mai a
sposarmi in questo
modo.
- Quello che tu
dici o pensi non ha
importanza. Il vostro matrimonio è stato già
deciso da mesi, la famiglia della
tua futura moglie ha già la mia parola. Lei è
d’accordo, i tuoi suoceri sono
d’accordo, io sono d’accordo. Fra un paio d'anni vi
sposerete. Non puoi certo
ribellarti, disonorare la mia parola e poi continuare ad essere mio
figlio!
Il cuore di Serenity aveva smesso di tamburellare dentro al suo petto.
- Se essere tuo figlio significa essere
un tuo strumento d’affari preferisco restare solo al mondo.
La voce netta, lo sguardo
deciso. Senza nemmeno aspettare una risposta Mamoru si girò
e prese l’uscita di
quella villa. Con lui la felicità di Serenity
abbandonò per sempre quella casa.
La luce
della veneziana continuava a batterle sugli occhi. Usagi si
alzò allontanandosi
dalla scrivania. Il viso imperlato di sudore.
Era pasato tanto tempo da quel giorno ma il ricordo del silenzio del
suo cuore
non l’aveva abbandonata. E ora stava per rivederlo. Da quando
l’aveva rivisto
il primo giorno del tirocinio erano trascorsi mesi interi, mesi in
non c’era solo Usagi nei suoi gesti, mesi in cui aveva
concesso, suo malgrado, all’uomo che un
tempo aveva amato il
suo corpo ma anche,
senza rivelarglielo mai, parte del suo cuore.
Al sudore si
aggiunsero le lacrime a bagnarle il viso.
Serenity era tornata
Non ci credo nemmeno io????? HO
AGGIORNATO!!!! Chiedo umilmente perdono per il folle ritardo ma...vi
informo che l'ispirazione mi è tornata a trovare e ho deciso
come continuare e terminare questa storia che, sappiatelo, è
nata da sola e per la quale non avevo mai ideato un finale (e
nemmeno uno sviluppo). Voglio fare tutti i ringraziamenti
all'inizio perchè sono doverosi.
Per prima cosa voglio ringraziare tutti
quelli che seguono fedelmente questa strana storia. Spero di non
perdervi mai come lettori e come amici. Molti di voi scrivono cose
bellissime che leggo con ammirazione e dalle quali traggo ispirazione.
Nello specifico voglio ringraziare per i commenti:
ebbene
si amica mia dolce, sono tornata. naturalmente spero ti piaccia questo
capitolo, ma ancora di più, spero di sentirti presto
perchè mi manchi tantissimo. ti voglio benissimo 8 si
puù dire???!!!) bacione
mako-chan!!!!!!ma quanto mi
manchi?! troppo. spero tu non mi abbia dimenticata. io ti penso
moltissimo. scusami per il ritardo e per l'assenza di questo periodo.
sono tornata!
Che
bello trovare una recensione da un'autrice che ammiro tanto. Spero di
averti sorpreso con questo cappy e mi auguro continuerai a seguirmi!
grazie
Un
ringraziamento va anche a Ellephedre che mi ispira sempre con le sue
opere e a tutti gli auturi di questo fantastico fandom che è
diventato il mio hobby più bello. grazie a tutti e buona
lettura
FOLLIA
Era così diversa dalle
mille volte precedenti in cui l’aveva
notata tra la gente.
I capelli raccolti in due buffi
codini e gli occhi che
diventavano sottili ad ogni risata.
Ma quando aveva imparato a ridere in quel modo, così di
gusto? E perché non era
lui a farla ridere così?
Mangiava con bocconi
sonori. Divertita
da qualche frase che lui non riusciva a comprendere dalla sua distanza.
Lei non
riusciva a trattenere sotto la pelle un’evidente, contagiosa
allegria.
Lui invece non riusciva a smettere di fissarla.
Aveva deciso di fermarsi ad un bar e
comprare un caffè da
bere insieme a lei. L’ospedale non era lontano e aveva corso
abbastanza per
scaricare l’euforia che quel biglietto letto di prima mattina
gli aveva
provocato. Stava per raggiungerla quando la sua immagine lo
anticipò.
Seduta a quel tavolino consumato dal
sole c’era lei,
raggiante nel suo vestitino azzurro.
Si incantò un momento crogiolandosi nella sorpresa. La gioia
primitiva nel
vederla aveva lasciato lo spazio ad un’irruenta sensazione di
disagio.
Sembrava diversa eppure era lei.
Sembrava un’altra eppure nessun’altra avrebbe
potuto essere così bella nel
mondo intero.
Quella era Usagi eppure a Mamoru sembrava un’altra donna.
E poi, improvviso martello pneumatico
sul cuore, chi era
quell’uomo seduto con lei? Chi osava occupare il posto che
lui solo si era
meritato?
Il sudore che gli imperlava la fronte
divenne più freddo in
un istante. Le gambe mosse da un sentimento sconosciuto ma prepotente
lo
avevano condotto verso in suo tavolo in due sole falcate.
-Usagi…
Quello
era il suo nome.
La
bionda si girò di scatto nella sua direzione con chi occhi
coperti da un
evidente sorpresa.
-Scusi,
lei come conosce il mio nome?
-Cosa?
Usagi, non scherzare. Chi è quello?!
-Scusi,
chi è lei che importuna la mia
fidanzata?!!
La
voce di quell’uomo gli sembrò ancora
più odiosa della sua stessa presenza.
-La sua
fidanzata? Questo è uno scherzo.
Questa è la mia Usagi e tu è meglio che sparisci
dalla mia vista.
Il
ragazzo si scattò in piedi come dotato di una molla interna.
Era alto quanto Mamoru
e almeno altrettanto possente. Non aveva nessuna intenzione di seguire
il “suggerimento”
del dottore.
-Takashi,
non so chi sia questo qui…ahia!! Ehi,
lasciami!
Mamoru
le aveva preso un polso e aveva cominciato a trascinarla obbligandole
un’innaturale
alzata dalla sua sedia.
Tutto
si svolse così in fretta per Mamoru che quasi non si accorse
di aver ricevuto
una spinta fino al momento in cui lo spostamento delle sue gambe non
l’aveva
fatto cadere per terra lasciando la presa sul polso di Usagi.
Era fatta. Del dottor Chiba in quell’istante non
c’era più traccia.
Furioso come mai lo era stato si rialzò da terra con il
preciso intento di dare
un pugno a quello che in pochi minuti era diventato l’uomo
che più detestava
nel mondo intero.
E
lo diede quel pugno. Con tutta la forza che non sapeva nemmeno di avere.
-O mio
Dio! Takashi!!!!! Chiamate un
ambulanza, chiamate la polizia!!!
La
gente seduta ai tavoli vicini si precipitò a soccorrere il
giovane a terra con un
rivolo di sangue che gli colava dal naso. Mamoru in disparte e lontano
solo una
manciata di metri si sentì come se fosse uscito fuori dal
suo corpo, come se la
sua pelle fosse diventata troppo larga per la sua anima piccola e
misera. Era
la prima volta che picchiava qualcuno. Era la prima volta che ricorreva
alla
violenza.
-Amore
sto bene. Lascia stare. Ce la faccio.
-Dobbiamo
andare in ospedale e alla polizia
a denunciare questo pazzo.
Lacrime
bagnavano il viso della bionda. Vederle scivolare giù da
quelle guance di pesca
fu il colpo di grazia per Mamoru
-Ma si
può sapere che ti prende? Perché diavolo
mi hai assalito in questa maniera? Non ti conosco!
Fu
dopo che maturò la vergogna. Dopo che era lontano
chilometri, dopo che aveva
smesso di scappare da quel luogo, da quelle persone estranee che lo
guardavano
con disprezzo, dalle lacrime della sua donna che
all’improvviso non gli
apparteneva, e si
era rifugiato nell’appartamento
che poche ore prima lo aveva visto felice come mai prima.
Fu dopo che lo sgomento per quello che aveva fatto si
tramuto’ in follia.
La follia di credere che la sua Usagi si era presa gioco di lui fino a
portarlo
alla pazzia e rinnegare se stesso.
L’orologio
non avrebbe retto. Come i suoi nervi d'altronde.
Ogni singolo spostamento della lancetta dei secondi sembrava soffrire
la
gravità come una malattia.
Una malattia contagiosa.
Il tempo che passava le pesava sulla gola e su quel tremolio nervoso
del labbro
che non voleva sapere di fermarsi.
Aveva
cominciato a fissare quell’orologio, bianco con i
numeri colorati di blu e le lancette rosse, ben dieci minuti prima
dell’inizio
della pausa pranzo, l’ora dell’appuntamento, se
così si poteva chiamare, e non
aveva smesso nemmeno dopo che l’ultimo secondo
dell’ultimo minuto libero era
trascorso.
Se avesse
potuto l’avrebbe staccato dal muro lei stessa
quell’orologio, e se lo sarebbe portarlo con sé
per tutto il pomeriggio, per
tutto il tragitto che avrebbe fatto a piedi verso casa.
Non aveva
potuto però, naturalmente, e aveva dovuto
continuare a contare i secondi in silenzio nella sua mente.
Il marciapiede
non era affollato. Probabilmente la maggior
parte delle persone a quell’ora erano a casa a pranzare con
la loro famiglia. Lei
invece era sola.
Le
sembrò quasi un vantaggio. Avrebbe potuto continuare a
contare i secondi senza interruzioni. Non voleva concentrarsi su
null’altro.
Voleva solo contare quei dannati secondi ed evitare di chiedersi il
perché, il perché
di quell’assenza, il perché della sua delusionenel non vederlo arrivare puntuale, il perché
dell’essere tornata a
sentirsi se stessa, Serenity, per colpa sua.
Lui non era
venuto. “Avrà avuto di meglio da fare”
si disse.
“E se invece non avesse trovato il biglietto?”.
L’immagine di un soffio di
vento che trasportava lontano dal comodino, dove lo aveva lasciato, il
biglietto che aveva scritto a Mamoru, le accarezzò per un
istante il cuore.
Sarebbe stata una buona motivazione. Migliore di un mancato interesse.
Le faceva
ancora male la testa. La lotta che aveva fatto
contro se stessa richiedeva riposo e rilassamento. Serenity era tornata
ma
Usagi non voleva andarsene del tutto.
Decise di
andare nel loro appartamento. Era vicino
all’ospedale e li avrebbe potuto riposarsi.
Scuse di poca
convinzione. La verità era che voleva vedere
se lui c’era, se lui aveva lettoil suo
biglietto.
Decise di fare
le scale, continuando ancora a contare in
secondi concentrandosi al massimo. Non era facile contare e insieme
sperare,
immaginare, desiderare.
Il mal di testa
non aiutava di certo.
Chiave nella
toppa.
Nessuna mandata.
Lui
c’era.
Un sorriso
involontario tra le labbra che continuavano a
contare.
Incomprensione.
Mamoru era
seduto per terra con la testa tra le gambe.
-Ma…Mamoru?
Quando
l’uomo sentì chiamare il suo nome
sembrò uscire da uno stato di trance e, per
la seconda volta in quella giornata perse completamente la ragione.
-Cosa vuoi? Sei venuta a denunciarmi?
-Che cosa??!
-Ti sei divertita vero?!
Con
una velocità che la bionda proprio non si aspettava, Mamoru
l’aveva raggiunta e
la teneva imprigionata fra la porta di ingresso e le sue braccia.
Negl’occhi
una rabbia e una frustrazione che non gli aveva mai visto.
-Mamoru, non ti capisco… mi stai
spaventando!
-Fai bene ad avere paura. Mi hai fatto
impazzire ed ora è giusto che ne paghi le conseguenze!
-Ma si può sapere cosa stai dicendo? Ma
tu…tu hai bevuto?
Aveva
davvero paura. Non per se stessa ma per Mamoru. Decisamente non stava
bene. Non
sapeva più cosa pensare.
-Perché hai bevuto?
Cercò
di addolcire la voce per calmarlo.
-Che fai, fingi di preoccuparti per me? E
dove l’hai lasciato il tuo fidanzato? O forse è
solo un altro poveretto che ti
porti a letto e che illudi come hai fatto con me??
Si
era girato di spalle, l’aveva liberata, ma continuava a
gridare furiosamente.
-Tu sei pazzo! Non c’e altra spiegazione.
Si
stava alterando preda dell’incomprensione.
-Io pazzo? Io pazzo?! Ti ho vista con questi occhi
Usagi. Ma a che gioco stai giocando. Vuoi farmi davvero impazzire!!!
Non te lo
permetterò, hai capito!
-No che non ho capito! Io so solo che ti ho
aspettato inutilmente tutta la mattinata in ospedale e che ora ti ho
trovato
qui ubriaco e farneticante!
-Bugiarda! Ma se nemmeno un’ora fa volevi
chiamare la polizia perché ho dato un pugno al tuo prezioso
fidanzatino??!
Non
c’erano altre spiegazioni. Mamoru era impazzito.
-Io non ho nessun fidanzato e non ti ho mai
visto picchiare nessuno!!
-Smettila, smettila!! Hai capito??! Lui ti
chiamava Usagi, lei aveva la tua faccia, i tuoi occhi, i tuoi capelli,
e mi
odiava per quello che avevo fatto. Cosa vorresti dirmi adesso? Che si
tratta di
una tua sosia che ha pure il tuo stesso nome?! Smettilaaaaaaaaaaaaaa!!
La
voce di Mamoru si era trasformata ancora una volta. Sembrava
ringhiasse. La
guardava con uno sguardo truce e disperato insieme. Era visibilmente
fuori di
sé.
E
fu in quel momento che accadde. Di tutte le reazioni che Mamoru si
aspettava di
vedere sul volto della donna che aveva di fronte, quella che lei ebbe
fu
l’unica a cui non avrebbe mai pensato.
Piangeva.
Piangeva
silenziosamente ma piangeva.
Sembrò
non reggere il suo stesso peso e si raggomitolò sul
pavimento.
Ora
era lei quella disperata.
Fu
abbastanza per ricordare a Mamoru di avere un cuore e di averlo
definitivamente
regalato a lei.
Si
avvicinò e si inginocchiò alla sua altezza.
-U-Usagi, …io…
Solo singhiozzi.
- Non piangere… ti prego…
Lei
alzò il viso nella sua direzione e lui, come se nulla fosse
mai accaduto, si
ritrovò a pensare che anche con le lacrime era bella da
togliere il respiro,
abbastanza bella da fargli dimenticare il suo stesso nome. Vederla
piangere gli
faceva piùmale
che piangere lui stesso.
Fu una consapevolezza amara.
-Non chiamarmi Usagi.
-Non capisco…
-Io non sono Usagi e quello che mi hai
raccontato è la cosa più bella che poteva mai
succedere nel mondo intero.
Si
tuffò letteralmente tra le braccia di Mamoru e
continuò a piangere con un
sentimento tale da spingere Mamoru al silenzio. Non aveva capito niente
ma lei
era con lui. Lei che solo pochi minuti prima sembrava prenderlo in giro
negando
l’evidenza, lei che poco tempo prima diceva di non conoscerlo
e di essere la
donna di un altro, lei che quella mattina gli aveva fatto credere che
era
iniziato davvero qualcosa fra di loro. Lei che ora piangeva tra le sue
braccia
senza nemmeno un nome.
Il
tempo si fermò e tra le braccia di Mamoru per Serenity i
secondi smisero di esistere.
Carissimi,
come vi avevo detto ho in mente lo
sviluppo della storia e, quasi, quasi, posso promettervi aggiornamenti
costanti.
Mako-chan,
tesoro!!! Vorrei vedere la tua accia alla fine di questo cappy. Spero
di averti sorpresa e appassionata. grazie mille, il fatto di sapere che
tu leggi le mie storie mi rende felice. Aspetto il tuo parere. ti
voglio bene
Carissima,
allora??? che de pensa la tua testolina da psicologa??? Sono
curiosissima di leggere un tuo parere. Grazie del sostegno. E' molto
importante per me. ps. Adoro le recensioni lunghette ^_^
Spero
di non averti fatto penare molto. QUesto capitolo dovrebbe averti fatto
capire qualcosina. Spero ti sia piaciuto. fammi sapere cosa ne pensi.
bacione.
Mamoru
ripeteva nella sua mente queste parole come una cantilena, unica
spiegazione per
una serie di eventi inattesi e del tutto sconvolgenti.
Aggrapparsi a quell’unica frase senza senso era quanto di
meglio poteva
permettersi.
Confidare in quelle sei parole misteriose era tutto quello che gli era
rimasto.
Ed era
davvero poco.
"Io
non sono Usagi …".
Cosa poteva mai significare? Di certo le avrebbe chiesto una
spiegazione, anzi
l’avrebbe pretesa. Ne aveva diritto. O forse no.
Infondo al
suo cuore Mamoru sapeva bene di non avere diritti con lei se non
l’orgoglio di
un sentimento che rubava spazio alla ragione.
Forse era
stata quella consapevolezzaa
renderlo
incapace di porle alcuna domanda quando lei gli era vicino.
L’abbraccio umido di lacrime che Usagi gli aveva riservato
gli era bastato.
La dolce consistenza del suo corpo profumato aveva guarito ogni ferita
e spento
ogni focolare di rabbia.
Per il
tempo di un abbraccio tutto gli era apparso giusto e in ordine. La luce
aveva
fatto pace con il buio. Non c’era traccia del fuoco che
incendiava le vene in
quell’abbraccio. Era piuttosto acqua che dava sollievo,
profumo che rilassava i
sensi. Come faceva quella donna ad essere acqua e fuoco insieme era un
altro
dei tanti misteri.
Con
quell’abbraccio aveva anche dimenticato, per un colpevole
momento, di aver
picchiato un altro uomo.
Si, aveva
picchiato un uomo, uno sconosciuto che non aveva mai visto prima e che
non gli
aveva fatto assolutamente niente, se si esclude chiamare
“fidanzata” la sua
Usagi.
Sentiva viscida la vergogna scivolare sulla sua schiena. Era ricorso
alla
violenza, proprio lui che la detestava, e lo aveva fatto per lei.
No, non era
vero, sapeva di averlo fatto per lui, lui soltanto.
Aveva
rinnegato se stesso e i suoi principi
accecato da una gelosia senza tempo ne frontiere e lo aveva fatto in
nome di un
qualcosa che aveva a che non aveva a che fare con
quell’amore che sentiva strabordare dal
cuore ogni volta che solo pronunciava il suo nome. Piuttosto aveva a
che fare
con l’orgoglio di chi non sa cedere ad altri ciò
che desidera con tutto se
stesso anche a costo di non rispettare le regole e i sentimenti degli
altri.
Sentimento meschino. Lo sapeva.
"Usagi,
Usagi…".
Quel nome
era lei eppure lei stessa lo rinnegava. Non capiva.
L’amore,
sentimento nuovo e fino a poco tempo prima sconosciuto, aveva portato
nella sua
vita confusione, violenza e sconforto.
Ne valeva
la pena?
Eppure era certo, non poteva
mentire a se stesso, per
lei avrebbe ruicominciato tutto
dall’inizio e di fronte alla medesima situazione avrebbe
reagito allo stesso
sbagliato modo.
Sentiva
ancora gli occhi bruciargli dalla rabbia. Averla vista con un altro che
non era
lui continuava a dargli il tormento.
La donna che aveva visto era davvero identica alla persona che lui
amava e
sulla quale non aveva, suo malgrado, diritti.
Come poteva non essere lei?
Come poteva Usagi avergli detto la verità negando tutto?
Non
riusciva a spiegarlo nemmeno a se stesso ma le aveva creduto, stordito
e reso
indifeso da quelle lacrime di gioia.
Gioia. Perché?
Un’altra
domanda senza risposta. Lei non c’era, era fuggita via. Non
aveva a chi porre
le sue domande. Non gli restava che continuare a cantilenare il suo
nome
stringendo la testa tra le ginocchia.
_____________________________________
Non si stupì nel costatareche nulla era
cambiato. Gli anni
non avevano
cancellato il grigiore delle persiane e di quello stesso giardino
incupito da
giorni di tristezza senza fine.
Il fianco
le doleva per la corsa forsennata ma era il cuore quello che faceva
più male.
Aveva
corso per arrivare. Più veloce che
poteva. Nemmeno l’intuizione di prendere un taxi.
Aveva
desiderato con tutta se stessa di non rivedere mai più
quella casa. Luogo di
dolore per quello che non era più. Non avrebbe voluto
vederla nemmeno
dall’esterno, nemmeno di passaggio. Nessun
motivo sarebbe stato abbastanza
valido.Sbagliava.
C’era qualcosa per
cui valeva la pena di tornare, ed era lì per quello..
Mamoru
l’aveva
vista. Lei c’era.
Lui non
poteva essersi sbagliato. Aveva visto Usagi. La sua Usagi. Chi altro
avrebbe
potuto assomigliarle così tanto da far si che nemmeno
l’uomo che conosceva di
lei ogni centimetro si accorgesse della differenza?
Gocce di
sudore freddo accompagnavano ogni lettera di quel nome che non era
più il suo.
Ancora
nessuno le apriva il cancello nonostante il lungo pigiare sul
campanello.
Si, si
sarebbero meravigliati nel vederla, probabilmente nonl’avrebbero nemmeno fatta entrare
ma…lei doveva
tentare.
Doveva
sapere.
Le emozioni
giocavano a spremerle il cuore con un ritmo sincopato. Ricordi,
speranze e
preghiere nascoste in fondo all’anima rivedevano una luce
capace di ferire gli
occhi.
Strinse le
palpebre più forte che poteva. Raccolse i pensieri in una
supplica che aveva
due sole parole “ti prego!”. Aprire gli occhi le
avrebbe fatto male.
Ma ne sarebbe valsa la pena e quell’istante non
l’avrebbe più dimenticato.
L’oro
aveva
ridato colore al giorno e il cielo si era ripreso il suo azzurro. Tutto
in un
solo momento.
Un miracolo
non avrebbe potuto avere colori o tempi diversi.
Mai istante sembrò più perfetto.
Una voce al
di là del cancello a confermare che non era
l’illusione di un cuore ferito. Una
voce di sgomento e commozione. - Serenity?!
Ma…sei proprio tu?
Le parole le
morirono in gola. Non riuscì proprio a
risponderle.
Si aggrappò invece al cancello per arrivare prima a toccare
la pelle di quello
stesso sangue che la vita le avevaportato via ingiustamente.
Il cuore sciolto in fiumi di lacrime.
Quello che mai
avrebbe creduto possibile si materializzò fra
le sue braccia.
Una sorella
persa nell’oblio di un dolore senza redenzione la
stava stringendo come nessun altro avrebbe potuto. Piena di vita.
Come era possibile? Da quando era possibile? Nemmeno il cancello
sembrava più
un impedimento. C’erano solo loro due. Serenity e Usagi. Sole
e Luna di una
famiglia che un tempo era felice.
Lei si era
risvegliata. Lei non era più morta. Pallida figura
senza luce in un letto per anni senza fine.
Il coma gliel’aveva restituita.
A lei e al mondo.
Avrebbe smesso
di pensare a sua sorella come ad un sonno
senza risveglio, avrebbe smesso di odiare il suo stesso nome per un
diritto
alla vita che non sentiva più di avere e, tra le sue braccia
di sorella, in
quel momento, sentì
di nuovo, dopo tanto
tempo, l’odore della felicità.
Cari,
non sono per nulla contenta di
come ho scritto questo capitolo. Mi sembra freddo e distaccato.
E’ tanto che
l’ho scritto ma…vi giuro, che non sono ancora
riuscita a trovare il tempo per
sistemarlo (tra ufficio, casa da ristrutturare e impegni familiari
impazzisco!)
.
Non volendoaspettare
ancora oltre con
l’aggiornamento, ho deciso di pubblicare il capitolo lo
stesso sperando nella
vostra clemenza.
Perdonatemi
se vi deludo.
Sono
dispiaciuta, ve lo confesso, perché
in questo cappy svelo il mistero e non lo faccio come vorrei. Non era
come
sembrava. Usagi non era morta, era in coma, anche se per Serenity era
come se
fosse morta.
Nel
prossimo cappy svelerò la seconda
parte del mistero: da quando Usagi si è svegliata?
perché Serenity non lo
sapeva? come mai i
rapporti con la sua
famiglia erano così infelici?
Naturalmente
c’è ancora da vedere come
si svilupperà il rapporto con Mamoru e…
…un ulteriore colpo di scena.
Ho
deciso che non appena finirò questa
storia la rivedrò completamente nello stile e nella tecnica
rifacendomi ai
meravigliosi modi di scrivere di molti di voi che con le vostre storie
mi avete
fatto riflettere sul mio modo di scrivere. Concludo postando il
bellissimo
disegno di maryUsa, copertina ufficiale di questa storia. Inserisco
questa
immagine sia in questo cappy (così la vedete tutti) che
nella prima pagina del
primo capitolo). I ringraziamenti a MaryUsa sono d’obbligo.
Con il suo lavoro
meraviglioso ha reso più belle le mie umili storie. Non
smetterò mai di
ringraziarti cara!!!!!
Un
salutone a tutti. Spero vogliate
farmi sapere cosa ne pensate comunque, tutti i vostri pareri sono
importanti.
Preferisco una critica all’indifferenza! Vi abbraccio. Grazie
di continuare a
seguirmi!
Ringrazio
in particolare per le recensioni del precedente cappy:
Bhè…sullo
sdoppiamento della personalità non ci hai propro azzeccato
tesora. Spero comunque di non averti delusa troppo. Ho cercato in tutti
i modi di convincere del fatto che la sorella di Serenity fosse morta
anche se in realtà era in coma. Grazie infinitamente per i
tuoi meravigliosi lavori che impreziosiscono le mie storie. Ti voglio
tanto tanto bene!
Grazie
mille! Sapere che per qualcuno le mie storie dovrebbero andare nelle
“scelte” mi onora e mi fa gongolare (anche
se,sinceramente non credo di avere uno stile degno). CVhe ne pensi
dello sviluppo di questa storia? Come pensi proseguirà?
Aspetto il tuo importante parere. grazie
Mako-chan!!!
Che te ne pare!?!?!? Vorrei vedere anche adesso la tua faccina
8sperando non sia disgustata).Aspetto
di sentire (ehm… leggere) cosa ne pensi. Ti voglio
tantissimo bene.
Cara,
scusami se ti ho fatto aspettare troppo. Sono davvero incasinata! Che
ne pensi? Immaginavi che l’incontro tra le due sorelle
arrivasse così presto? Ho tanto ancora da dire ma spero di
non perderti come lettrice a causa di questo aggiornamento poco di mio
gusto. Aspetto il tuo parere!
Sono
onorata della tua lunga recensione e ancora di più
perché hai detto che questa è la tua storia
preferita. E’ un privilegio avere una lettrice/autrice come
te tra i fun di questa storia. Spero davvero di non averti delusa con
questo aggiornamento di cui non sono per nulla soddisfatta. Ho
pubblicato perché mi dispiaceva farvi aspettare ancora. Ho
tanta voglia di sentire il tuo parere. Anche se fosse negativo non
farti problemi. Le critiche aiutano a migliorarsi e le tue saranno
sicuramente costruttive e utili. Sono felice di averti conosciuta su
questo meraviglioso sito. Grazie di tutto!