Chilling Pills

di Evilcassy
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Tell me something of You ***
Capitolo 2: *** Christmas with the Yours... ***
Capitolo 3: *** New York, New York. ***
Capitolo 4: *** Just a little bit of Love. ***
Capitolo 5: *** Kazakistan ***
Capitolo 6: *** London Falling ***
Capitolo 7: *** Die Another Day! ***
Capitolo 8: *** Purple Shades of Victory ***



Capitolo 1
*** Tell me something of You ***


Chilling Pills.

Perché scrivere una storia intera e di senso compiuto comporta troppa fatica.

 

1-Tell me something of you. (DraNina)

 

Nina bevve un’altro sorso di Guinness. Precisamente, dalla sua terza pinta di Guinness.

“Ok, siamo arrivati al momento delle verità.” Annunciò, leccandosi la schiuma corposa via dalle labbra. Sergei le restituì il suo solito sguardo vago, apparentemente privo di interesse, mentre la imitava, sorseggiando la sua seconda pinta di birra.

“Dunque: ora ti dirò una verità sconvolgente su di me. E tu ne dirai una sconvolgente su di te.”

“E tutto questo perché?”

Nina alzò le spalle. “Boh. Così. Giusto per fare conversazione. In questo pub siamo gli unici a tacere. E visto che ci terrei a passare inosservata, è meglio mimetizzarci tra gli avventori del locale.” Accennò con un movimento del capo il resto degli avventori di quel locale di Dublino dove era stato trascinato suo malgrado – Dannazione, quei quattro giorni in Irlanda era una specie di viaggio di nozze posticipato di quasi un anno e lei lo costringeva ad uscire dalla loro camera d’albergo con la scusa di un non ben precisato patrono irlandese. Almeno la birra era ottima. La seconda irlandese estremamente piacevole che gli era capitato di trovarsi tra le labbra.

“Allora, vediamo.” Le labbra di Nina si incresparono mentre cercava tra i ricordi qualcosa di eclatante su di sé. “Ho perso la verginità con un metallaro. Questa cosa me la ricordo…

Dragunov mantenne il suo sguardo fisso su di lei. “Credo che ti espelleranno dall’esercito per il tuo losco passato.” commentò ironico. “Sinceramente, da te mi aspettavo qualcosa di meglio.”

“Oh, suvvia: avevo 16anni, credo. Tocca a te.”

“...”

“Ok, chiedo io. Come ti sei fatto la cicatrice sul labbro?”

“…?!”

“Si, esatto, quella che mi piace così tanto…

Con le sue dita affusolate che gli sfioravano il labbro, Sergei Dragunov si trovò davanti a tre opzioni.

A-    Dire la verità –lo scopo del gioco era quello, no?- ovvero che a 3anni, mentre correva per casa era caduto contro lo spigolo del tavolo, rompendosi labbro, denti da latte e mezzo naso. Poco onorevole, per un soldato. E anche se ormai Nina Williams era sua moglie da quasi un anno ci teneva alla sua solita figura stoica di soldato imbattibile, reduce da mille battaglie.

B-    Mentire spudoratamente. Inventarsi un non ben specificato sanguinoso combattimento corpo a corpo in una qualche missione all’estero. Sennonché Nina possedeva una specie di radar per le bugie, e l’ultima volta che ne aveva snocciolato una – aveva effettivamente rotto il suo visore notturno -  si era ritrovato a testa in giù in un bidone della spazzatura, con le stringe delle scarpe legate tra di loro

C-    Essere vago. La sua opzione preferita.

Alzò quindi le spalle.

“Cioè?” incalzò la donna, giocherellando con il bicchiere.

“Cioè sono affari miei.”

Nina aggrottò le sopracciglia. Dal modo in cui sbatteva le ciglia si denotava una certa ubriachezza. “Non sarà mica stata una donna, vero?”

L’uomo le lanciò uno sguardo orripilato.

“Non sono mica gelosa, veh!”

“Davvero? E la mia costola fratturata quando pensavi stessi guardando un tabellone pubblicitario con una modella?”

“Incomprensioni. Capitano nelle coppie.” La terza pinta di Nina era finita, e iniziava a svbattere troppo gli occhi, che si facevano troppo pesanti. “Quindi: come ti sei fatto quella cicatrice?”

La seconda pinta di Guinness stava dando fastidio anche a lui. Non era tarato per la birra irlandese. “… lo spazzolino da denti.” Bofonchiò senza pensarci troppo.

“Ci avevi montato una baionetta?”

Doveva ricordarselo. Nina ebbra perdeva lucidità. Tutto ciò poteva giocare a suo favore.  “Eh già.”

“Che idiota.” Le palpebre della donna sembrava più pesanti del normale. “Uhn. Sergei… comincio a sentirmi un po’… come dire… fuori. Meglio se rientriamo in hotel, che ne dici?”

Poteva giocare DECISAMENTE a suo favore.

 

 

Che la Vostra EvilCassy fosse egocentrica, immagino l’abbiate già capito.

Così come è palese che io sia a corto di idee/voglia/tempo per scrivere Ff intere, di senso compiuto.

Perciò, se vi può bastare, al momento, giusto per ravvivare la sezione, questa accozzaglia di flashfic dedicate alla mia saga (beh, si diamoci pure tutte ‘ste arie.), che mi dispiacerebbe abbandonare…  

Embè. Fatemi sapere se devo continuare o meno….

Saluti e baci

EC.

 

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Capitolo 2
*** Christmas with the Yours... ***


Chilling Pills.

Perché scrivere una storia intera e di senso compiuto comporta troppa fatica.

 

2- Christmas with the yours.

 

Quali erano state le parole di Sergei giusto sulla scaletta dell’aereo?

Uhmph. Prevedo una tragedia.”

Profetico. Forse il soprannome Rasputin datogli da Steve calzava più che a pennello.

Eppure non era iniziato tutto così male.

La sua proposta indecente era stata quella di partire per un breve viaggio.

A New York.

Per Natale.

Con la Sacra Famiglia Chaolan e i piccioncini Julia e Steve.

Una proposta fatta un militare russo, nostalgico sovietico, ateo e asociale che aveva (debolmente) annuito.

La riprova che un mitra puntato alla nuca poteva convincere chiunque.

 

Certo, ovviamente poi la situazione era degenerata in breve tempo.

Raccattati dei simil regali di Natale in un grande magazzino, si erano voltati giusto in tempo per ritrovarsi davanti ai tre Chaolan in tenuta natalizia, con tanto di cappello in testa.

E si erano trovati loro volta addobbati con copricapi a tema in men che non si dica.

Un’aureola, per Nina.

Curiose corna da Renna per Sergei.

Nina aveva ringraziato qualsiasi nume presente nell’aldilà (celtico, cattolico, protestante o islamico che fosse) per averle dato l’idea di non portar armi con loro.

Si sarebbe potuta compiere una strage.

E siccome ormai conosceva anche Sergei, aveva fatto bene pure a sequestrargli il cellulare. Per comporre il numero del Colonnello Volkov e richiedere rinforzi aerei ci metteva sempre pochissimi secondi.

 

La cena della vigilia di per sé non era stata neppure così tragica.

Certo, Steve e Julia erano stucchevoli. Però la collana che gli aveva regalato suo figlio era splendida.

E Jamie era veramente fenomenale. Trotterellando sulle gambette paffute, bighellonava attorno al tavolo del ristorante, sorridendo a chiunque gli passasse vicino.

Aveva conquistato tutto lo staff femminile, con sommo orgoglio di Lee, commosso dal vedere il suo erede seguire precocemente le sue orme di playboy. Periodo che Anna ricordò con una smorfia di finta insofferenza, scuotendo la testa sospirando.

Sua sorella aveva cercato persino di scambiare un paio di parole con Sergei. Tutto inutile, visto che suo marito sembrava aver premuto il tasto muto e si era isolato dal mondo. Sospettava che le due capatine in bagno gli fossero serviti per rifornirsi di vodka dalla sua fiaschetta, giusto per sopportare meglio la situazione.

Infine, giusto al dolce, Jamie le si era arrampicato in grembo e si era abbandonato ad un sonno ristoratore. Così profondo e pacifico che Anna si era rifiutata di toglierglielo dalle braccia.

Nina si era sentita avvampare, accorgendosi di essere al centro dell’attenzione: a distanza di un anno e mezzo da quello che si rifiutava di chiamare con un nome diverso da ‘brutta situazione’, Anna aveva colto l’occasione al volo per un altro bieco tentativo di risvegliare in lei un pseudo istinto materno. Sicura che, in fondo, Nina soffrisse per quella mancanza.

Stronza. Aveva sussurrato, quasi ringhiando all’indirizzo della faccia sogghignante della sorella, senza riuscire a smettere di cullare il nipote.

 

Un’ora dopo, nel corridoio deserto dell’Hotel, la serata aveva preso una piega del tutto imprevista. Aveva giusto trovato la chiave della camera nella borsetta, leggermente alterata dal drink che Lee aveva offerto prima nel bar della hall, quando si era ritrovata con le spalle al muro e le labbra di Sergei ad un millimetro dalle sue.

“Ne vuoi uno, uhn?”

“di cosa?”

“Non fare la finta tonta. ”

“…?”

“Non eri male con tuo nipote, prima.”

Nina alzò gli occhi al cielo. Movimento insignificante che le fece girare lievemente la testa.

“Senti, se ne vuoi uno, ti conviene approfittarne di stasera che sono abbastanza ubriaco.”

“Ma da ubriaco non sei granché.”

“…!?”

“… Quella volta in Siberia ti sei addormentato nel mentre.

“Sono meno ubriaco di allora.” Con un movimento fluido, Sergei se l’era caricata in spalla, era riuscito ad aprire la porta e ne aveva varcato la soglia, ignorando i suoi deboli lamenti.

 

Tre minuti dopo Nina si abbandonò contro la testiera del letto sbuffando.

Non si riusciva a combinare nulla.

Per mancanza di concentrazione.

Al suo fianco l’uomo aveva un’espressione più terrea e seccata di lei.

Nel silenzio della loro stanza, il pianto isterico del bambino nella camera di fianco rimbombava come un’eco insopportabile.

“Ma è tuo nipote questo?”

“Già. Confiniamo con la suite dei Chaolan…” sospirò, aggiustandosi le coperte. “C’è da dire che ha un futuro da tenore.”

“Un minuto fa dormiva, dannazione!” ringhiò l’uomo, aggiustandosi il cuscino e sprofondandoci la faccia.

“Prendi la pillola.” Le ricordò con voce afona.

Nina alzò un sopracciglio, uno scatto nervoso: “L’idea più breve che tu abbia mai avuto…” Commentò ironica, una nota acida nella voce. “Per fortuna che ho insistito per i preliminari…

“Per fortuna che sono abbastanza sobrio da riuscire a capire il pericolo imminente, altrimenti saremmo già in guai seri.” Borbottò di rimando lui, allungando la mano verso l’abat-jour e spegnendo le luci.

Al pianto incessante e penetrante di Jamie si aggiunse anche la voce cantilenante del padre, nel tentativo disperato di farlo calmare. Stonato come una campana, peggiorava la situazione. A Nina sfuggì un ringhio, mentre l’emicrania già le lambiva le tempie.

Già, Sergei aveva ragione. Per fortuna che si erano fermati in tempo.

Eppure la cosa le aveva lasciato l’amaro in bocca.

Si coricò, voltando le spalle all’uomo, lasciando che le loro schiene si toccassero. Rimase qualche minuto in silenzio, mentre il bambino nella stanza a fianco si calmava e la sua voce non trapassava più le pareti.

Chiuse gli occhi cercando di scivolare invano nel sonno. Sospirò voltandosi nel letto, cercando un’altra posizione, più e più volte.

Alla fine capì il problema.

Tra lei e Sergei non correvano troppe parole. Si capivano e si completavano abbastanza così, tanto erano simili. Bastava uno sguardo, un gesto, una lieve espressione sul viso per comunicare con l’altro.

Eppure c’erano casi –rari- in cui le parole servivano e valeva la pena spenderne giusto un paio.

Anche tra loro due.

Quello era uno di quei casi. Perché era una situazione mai vissuta, o almeno, vissuta solamente in parte e in una occasione iniziata e finita in una maniera diversa.

“Sei sveglio?”

“… aspettiamo un altro po’, va bene?”

Giusto poche parole. Bastava una frase: la prontezza con cui aveva risposto, il tono in cui l’aveva pronunciata

Nel buio, a Nina scappò un sorriso. “Volevo solo darti la buona notte…” sussurrò morbida, appoggiando le labbra sul collo dell’uomo.

Uhmph. E allora buona notte e smettila di rigirarti come se fossi un’anguilla.”

 

 

 

NOTA dell’Autrice: “Christmas with the yours” è il titolo di una canzone di Natale di Radio Deejay, cantato dal ‘Complesso Misterioso’ ovvero Elio e le Storie Tese e Graziano Romani.  A mio parere, è una canzone a dir poco esilarante, a iniziare dal titolo (traduzione letterale di Natale con i tuoi ) alla bellissima frase “Panettone is on the table, and everybody is drinkin Moscheito”. Mi è sembrata adatta, come frase, alla situazione…

Questa parte è effettivamente molto legata a ‘Chilling Eyes’, anzi, a dire il vero era stata pensata per farne parte. Spero che sia congruente alla storia e attinente al carattere dei personaggi, che ho sempre cercato (con difficoltà e spesso senza grandissimo successo) di non mandare a ramengo. E se pensate che Sergei che vola negli States per Natale è una cosa fuori dal mondo… pensate che, davvero, un mitra alla testa può convincere chiunque. Soprattutto se a puntare il mitra è Nina Williams.

 

Piccolo Angolo dei Ringraziamenti Commossi:

Miss Trent: mia paziente uditrice e lettrice di sproloqui e ca22ate, di mezze idee e boiate pazzesche, spero di essere all’altezza delle tue aspettative… (Che ansia…!)

Krisalia: Ohllellè! Contenta di sopperire alle tue necessità! Uno stralcio di Jamie? Come questo?? non preoccuparti, il piccolo James Patrick Chaolan Williams ricomparirà ancora…

Bloody Road: Oddio, mi fai arrossire! Immagino che perderò molti punti con questo capitolo, però… Per quanto riguarda il libro… beh, è un mio sogno nel cassetto da quando ho iniziato ad imparare a scrivere il mio nome… e temo che rimarrà tale. E’ un sogno così grande che, nel caso non troppo remoto di un fallimento, mi devasterebbe. Anche perché mi manca il tempo, la voglia e l’inventiva per comporlo. Un conto sono storielle qua e là su qualche personaggio inventato da terzi. Un conto è creare e far crescere un personaggio.

E questo è il difficile…

Grazie davvero a tutte quante! Ce la si seeente, donzelle!

EC

 

 

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Capitolo 3
*** New York, New York. ***


Chilling Pills.

Perché scrivere una storia intera e di senso compiuto comporta troppa fatica.

 

 

3 – New York, New York.

 

“”Jamie! Jamie! Amore, aspetta la mamma!”

Sulle sue corte ma robuste gambette, Jamie si era lanciato in una folle corsa nel corridoio dell’albergo, diretto verso l’ascensore che, era abbastanza furbo per saperlo, portava diretto alla stanza della colazione.

Anna aveva cercato di raggiungerlo, correndo sui tacchi vertiginosi delle sue Manolo Blahnik.

Evidentemente corse e salti su tacchi alti non erano più il suo forte: inciampando, si era distesa nella porta aperta dell’ascensore.

Ascensore che conteneva suo figlio, l’usciere e sua sorella Nina, scoppiata immediatamente in una fragorosa e spontanea risata da stronza qual’era. “Questa vista non ha prezzo!”

“Si, e per tutto il resto ci sono le carte di credito.” Rispose l’altra piccata, rialzandosi come se avesse avuto una molla e riassettandosi il costoso cappotto orlato di pelliccia cercando di recuperare contegno, quanto bastava almeno per rimproverare delicatamente il figlio per esserle scappato di mano.

“Colazione da sola?” cinguettò poi ignorando i singhiozzi ilari della sorella.

“Già. E volevo addirittura saltarla… pensa cosa mi sarei persa!”

Ma Anna evidentemente si era data alla meditazione tibetana o aveva smesso di sentirci da quell’orecchio, dato che aveva ignorato di nuovo il commento. “Al momento anche noi. Jamie era intrattenibile questa mattina, e Lee voleva fare le cose con un po’ più di calma. Inutile dirlo, quella che è stata costretta ad alzarsi presto dal letto e a prepararsi per la colazione sono stata io.”

Nina squadrò la mise della sorella: tacchi alti, trucco perfetto e cappotto coordinato con il vestito. “…un’ora fa?”

“Quaranta minuti, il tempo minimo per una rinfrescata veloce.”

 

I negozi di New York avevano riaperto subito il giorno dopo Natale. E Nina era stata convinta, per non dire trascinata, ad un giro di shopping da sua sorella, dato che il suo aereo sarebbe partito nel tardo pomeriggio.

Inizialmente aveva cercato qualche scusa, come il freddo polare di quei giorni, ma Anna non si era lasciata abbindolare: “Nina, vivi a Mosca, trova una scusa migliore” aveva commentato con un sopracciglio alzato.

E lei, che di fantasia ne aveva assai poca, non aveva trovato nessuna scusa migliore.

Con il giro di negozi che sua sorella frequentava, di certo era molto difficile trattenersi dal comprare tutto. Soprattutto con la compagnia che si era ritrovata: la carta di credito di Anna aveva iniziato a fumare, da tanto che era stata usata nell’ultima ora.

Aveva provato un moto d’invidia talmente potente, davanti ad una splendida Louis Vuitton che sembrava uscita da Sex and The City, da maledire quella volta, vent’anni prima, che aveva rifiutato sdegnosamente un drink di Mr Chaolan: se avesse giocato meglio le sue carte, invece da fare l’idiota asociale, le cinghie di quella borsetta sarebbero state appoggiate alla sua spalla.

Che diamine, valeva ben la pena essere sposata con quel cretino!

Mentre Anna decideva di prendere anche il portafogli e la cintura intonati con la borsetta, Nina provò un odio feroce verso tutta quanta madre Russia.

Così, per scrollarsi di dosso quella fastidiosa sensazione di frustrazione, si era messa a giocare il ruolo che Anna aveva ricoperto per tanti anni, tra loro due – la seccante rompiballe blaterante.

 

Lee Chaolan aveva deciso di vestire pesantemente suo figlio e di fare quattro passi: era curioso di vedere la sua reazione di fronte alla neve di Central Park. 

Così imbottito Jamie assomigliava all’omino della Michelin, ma era meglio evitare che si prendesse un accidente: chi l’avrebbe sentita poi sua moglie?

Il bambino se l’era spassata un sacco: vivendo alle Bahamas, la neve e il freddo per lui erano due cose assolutamente nuove; e Jamie adorava le novità e le scoperte. Lanciava gridolini estasiati pasticciando la neve con le manine guantate, imparando a farne palline da lanciare al genitore e assaggiandone anche un po’.

“E’ buona, piccolo?” gli aveva chiesto Lee, immortalando il tutto con la Reflex, compresa la sua espressione stupita nel vedere due scoiattoli attraversare il prato a pochi metri da lui.

Accorgendosi che era quasi ora di pranzo, e che Anna sarebbe tornata a momenti, se l’era caricato sulle spalle e si era diretto verso l’Hotel canticchiando canzoni natalizie. Chissà perché Jamie, ogni volta che apriva la bocca per cantare cercava di riempirlo di botte. Era l’unico momento in cui sui figlio dimostrava aggressività. BAH! Probabilmente non aveva grandi affinità con la musica…

Si era ritrovato nell’ascensore con Steve e Julia, che avevano fatto un giro a Broadway e comprato due biglietti per la rappresentazione de ‘Il Fantasma dell’Opera’ di quel pomeriggio.

Arrivato al suo piano, il tableau luminoso che annunciava l’arrivo dell’altro ascensore gli fece scintillare un certo sesto senso. “E se su questo ascensore ci fosse la mamma, eh Jamie? Che facciamo, l’aspettiamo?”

Il piccolo si dimenò, alzando per aria le braccine imbottite: “Ciii!” gridò.

“Bene! Allora facciamole una sorpresona” decise l’uomo, piazzandosi davanti alle porte di metallo lucido.

Quanto si aprirono, però, Lee Chaolan si ritrovò davanti ad una scena che sperava proprio di non rivedere, soprattutto in quella ricorrenza: Nina Williams era attaccata alla parete in radica dell’ascensore, bloccata da un gomito di Anna, scarmigliata e con un tacco delle Manolo Blahnik rotto. Borse e scatole di svariate marche erano sparse per tutto lo spazio, e l’uscire osservava la scena, terrorizzato, seduto in un angolino.

“Allora, brutta stronza che non sei altro. Volevi farmi incazzare? Bene, ci sei riuscita. CONTENTA?” Ringhiò Anna, resistendo alle mani di Nina intorno al collo.

Ed in quel momento, probabilmente sentendo il richiamo irresistibile della battaglia per mezzo di chissà quale sesto senso, Sergei Dragunov aveva fatto la sua comparsa (dal nulla, manco fosse stato il  fantasma che il suo colorito suggeriva fosse).

Senza di nulla (e questa non era una novità) si era messo a fissare la scena incrociando le braccia al petto, con l’espressione del volto che suggeriva quanto trovasse patetica quella zuffa.

Nina era riuscita a voltarsi appena per accorgersi di loro e domandare l’ausilio di un lanciafiamme.

“Me l’hai fatto lasciare a casa” borbottò lui, alzando gli occhi glaciali al cielo. “E se ce l’avessi qui in questo momento, di certo lo userei contro tutte e due.”

Riavendosi dal suo stato di furia, Anna si era accorta degli spettatori. Togliendo il gomito dalla gola della sorella, l’additò di scatto: “Ha iniziato lei!”

“TSK! Ma se sei stata tu a perdere le staffe!”

“Tu mi hai aizzato!”

“Non è colpa mia se ti scaldi per niente.”

“Scaldarmi per niente?” Lo sguardo di Anna si stava incendiando di nuovo.

Togliendosi Jamie dalle spalle, lanciandolo a Dragunov – che l’aveva afferrato al volo di riflesso ma lo fissava come se fosse una bomba con il timer prossimo allo 0 – si era frapposto quasi eroicamente tra le due, sfoderando il suo miglior sorriso calmo e rassicurante. “Oh, suvvia, signore, niente che si possa risolvere davanti ad una tazza fumante di Thè… nevvero Dragunov? Dragunov, hey, Dragunov???”

“Eh? … DaSergei sembrava molto in difficoltà a maneggiare Jamie.

Mentre le due contendenti recuperavano borse e dignità, camminando impettite fuori dall’ascensore con un muso lungo tre chilometri, Lee recuperò il piccolo: “Jamie, tesoro, ti ricordi quella canzoncina sul Natale festa di pace e serenità?”

…Ci.”

“Bene, dimenticala.”

 

Svoltato l’angolo, Nina aveva gettato un’occhiata al marito. “Non eri male con mio nipote, prima.”

“Nina?”

“….?”

TRACHNITJE ETO.”

“Eh?”

 

Di certo in questa famiglia non ci si annoia….

E poi ora abbiamo capito come si dice Vaffa in russo… :P

 

Piccolo angolo dei ringraziamenti sentiti:

Miss Trent: Tessora mia milioni di ThankYou - Io inizio a farti presssssioni per la tua prossima Opera… Allora, quando la pubblichi???? DAAI!

Nefari: Mi mandi in brodo di giuggiole, graazie! Beh, evidentemente Serghino aveva esagerato con la vodka, quella volta… non oso pensare cosa gli abbia combinato Nina per vendetta….!

 

Bestitos a Todos

EC.

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Capitolo 4
*** Just a little bit of Love. ***


Chilling Pills.

Perché scrivere una storia intera e di senso compiuto comporta troppa fatica.

 

4- Just a little bit of love. (AnnaLee)

 

Anna Williams non si sarebbe mai scordata il momento in cui la sua vita era cambiata radicalmente.

Quanto pesava quella borsa che portava in spalla mentre si affrettava ad uscire dall’edificio della Mishima Zaibatsu. Si ricordava perfettamente il rimbombo della battaglia sulla sua testa e i vetri che si staccavano dalle finestre del grattacielo e si schiantavano in strada.

Aveva varcato la soglia dell’uscita principale nell’esatto momento in cui il grattacielo aveva iniziato a tremare.

Subito dopo aveva sentito il rombo potente di una Ferrari che svoltava l’angolo e inchiodava, a pochi metri da lei.

“Posso offrirti un passaggio?” Lee vestiva ancora gli abiti dell’incontro che aveva disputato poche ore prima, un taglio sulla fronte medicato e dei Rayban scuri. E il suo sorriso smagliante, provocatore e irresistibile.

Aveva intenzione di sembrare inizialmente diffidente, di fare la preziosa, ma un boato proveniente alle sue spalle l’aveva convinta a gettarsi all’interno dell’abitacolo dell’auto con una certa fretta.

Sgommando, Lee era partito a tutta velocità. “Destinazione?”

Uhn… non ne ho una in particolare… vediamo, dove potrei andare…?”

“Io sto andando all’aeroporto, prima che scoppi il caos e che chiuda. Il mio jet privato mi attende in pista. Posso invitarti?”

“Dipende dalla destinazione.”

“Nassau, Bahamas. Ovviamente. Con sosta necessaria per il rifornimento a Honlululu e Miami. Posso contare sulla tua compagnia per tutto il viaggio?”

“Le Bahamas devono essere un bel posto per una vacanza rigeneratrice.”

“Assolutamente. Posso chiederti cosa hai portato in quel tuo voluminoso bagaglio? Sei l’unica che è riuscita a fare le valigie, a quanto vedo!”

La donna tamburellò sulla superficie di camoscio della borsa: “Honey qui dentro c’è la mia liquidazione da Bodyguard di Kazuya…!”

“La cassaforte del ventisettesimo piano?”

“Oh no, no. Quella del centovettisettesimo: La personale del tuo adorato nipotino”

Il Jet di Lee era l’apoteosi del lusso. Sedici comodi posti a sedere, un salottino e una piccola camera da letto completa di  bagno con doccia. “Sei incorreggibile!” rise di gusto lei, alla vista del letto rotondo.

Il viaggio verso Nassau era stato lungo quanto piacevole. Alternavano gli atterraggi e i decolli seduti sulle poltroncine ai brividi ad alta quota del letto rotondo. Tutto questo finché, mentre facevano un giro nell’aeroporto di Miami durante il rifornimento, sulle televisioni avevano mostrato chiaramente la distruzione della Mishima Zaibatsu, i cadaveri estratti dalle macerie dei Mishima e l’elenco dei dispersi, tra cui figurava anche Nina. La borsetta di Gucci che si era appena comprata le era sfuggita di mano ed era caduta per terra, mentre il cuore le mancava di battito.

“Andiamo, Anna… sai quanto è brava tua sorella a nascondersi.” Aveva detto Lee, raccogliendogliela con un gesto cavalleresco. “Per quanto riguarda i Mishima… non potrei essere più sollevato di così. E’ grave?”

…cosa?” aveva domandato lei assente, lontana.

Lee le aveva rivolto uno sguardo sorpreso: “Forse è meglio che torniamo sull’aereo. Sei un po’ scombussolata, non è vero?”

Ah-ha…

Erano passati mesi interi in cui lei si sentiva completamente vuota, apatica e incompleta. Conosceva bene quella sensazione, l’aveva provata più e più volte nella sua vita. Niente la scuoteva, neppure notare come le calzassero a pennello i vestiti che Lee le regalava per tirarle su il morale.

Anzi, la compiacenza dell’uomo le dava fastidio, la innervosiva l’averlo vicino, accondiscendente senza capire che cosa le stesse succedendo.

Si sentiva un’ingrata, ma non riusciva ad evitarlo.

Così aveva deciso che l’unico modo per star meglio era di farla finita. In una sera in cui Lee era fuori casa si era immersa nella superba e gigantesca Jacuzzi di marmo con un bicchiere di vino rosso in mano. Dopo aver svuotato il calice, l’aveva spaccato contro il bordo e si era piantata un coccio acuminato nel polso. Stava ammirando il sangue così scarlatto che ne sgorgava, prendendo coraggio per terminare la sua opera, quando la porta si era improvvisamente aperta e si era ritrovata davanti uno sbalordito e terrorizzato Lee.

E la consapevolezza di aver sbagliato di nuovo tutto l’aveva colpita come uno schiaffo.

Quando si tocca il fondo, si possono fare soltanto due cose: O restare li ed annegare o darsi una bella spinta e risalire.

Con Lee che teneva la ferita avvolta nel suo fazzoletto di seta e l’accompagnava in ospedale, incurante della camicia candida che si macchiava di sangue, Anna concluse che aveva una buona ragione per risalire.

Qualche mesi dopo si rigirava il test di gravidanza positivo tra le dita.

Era entrata nell’ufficio di Lee e glielo aveva detto tutto d’un fiato. “Guarda che non è un problema per me crescere il bambino da sola, se tu non lo vuoi.” Aggiunse, vedendolo impallidire.

Sembrava che Lee stesse per avere un infarto, mentre quasi la implorava di farsi vedere da un medico.

Per averne la certezza.

La cena della serata, in un raffinato ristorante, l’aveva angosciata. Lee non aveva spiaccicato parola per tutta la durata del pasto, rifiutandosi di rispondere alle sue domande e alle sue richieste.

E quando lei stava per sbottare e innaffiarlo con il contenuto incredibilmente analcolico del bicchiere, ecco che tirava fuori imprevedibilmente una scatolina di velluto blu dalla tasca interna della giacca.

Una scatolina cosi piccola che conteneva il più grosso solitario che Anna Williams avesse mai visto.

“Direi che è l’occasione giusta per chiederti di sposarmi”

Tre mesi dopo si erano sposati sulla spiaggia, davanti ad un tramonto mozzafiato. Loro due da soli e la sua pancia che iniziava a spuntarle.

E da allora la vita era stata di gran lunga più rosea. La perfezione che aveva tanto invidiato, agognato, cercato sembrava tenerle la mano. Probabilmente erano gli ormoni, che calmavano il suo animo irrequieto.

Eppure non si sentiva ancora completa, nonostante la vita che stava crescendo dentro di sé le regalava una serenità di cui mai avrebbe potuto crederne l’esistenza.

Così, dopo averne parlato con Lee, aveva deciso di cercare Nina, cogliendo l’occasione dell’annuncio del Settimo Torneo del Pugno d’Acciaio.

Quanto c’era rimasta male davanti all’iniziale astio che continuava a covare sua sorella! Ma poi Nina era con lei, al momento del bisogno, in mezzo a quella città distrutta mentre aveva deciso di ‘scodellare il primo figlio’.

Jamie era la cosa migliore che la vita potesse darle.

Eppure, nonostante il suo bambino, nonostante il suo matrimonio perfetto e la sua famiglia d’origine ritrovata in parte, ad Anna mancava qualcosa.

Nel corso degli anni la ricerca della perfezione era stata il ritornello delle sue mille peripezie, diventando un’ossessione da cui non riusciva ancora a liberarsi.

Non riusciva a far pace con sé stessa. C’era sempre qualche ombra sui suoi passi.

E quello che stava capitando ora era il capitolo successivo della sua inquietudine.

 

Lee si infilò il suo nuovo Rolex, regalo di Anna del loro secondo anniversario di matrimonio, aggiustandosi poi il polsino della camicia e della giacca. Elegante, impeccabile, anche quando doveva andare ad una banale cena con dei fornitori della Violet System. La classe non era acqua, amava precisare.

“Anna, tesoro, sto andando.” Fece appena in tempo ad annunciare la sua partenza che la porta del loro bagno en suite si spalancò immediatamente. “TU non vai da nessuna parte!” Anna si lanciò tra le sue braccia, facendolo cadere all’indietro sul tappeto, fissandolo implorante a cavalcioni su di lui, mentre gli guidava con forza le mani sui suoi seni. “Non adesso, almeno. Lee, io sto ovulando.

“… Anna…

“… e la temperatura basale è ottima!”

…Amore, io…

Jamie è impegnato in salotto a guardarsi Cars. Questa volta ci siamo, me lo sento!”

Lee sospirò, roteando gli occhi grigi. “Anna… per favore…

“Solo un po’ di zucchero

Anna…

“Un pochiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiino…

“NO.” era giunto il momento di prendere una posizione decisa in merito. Ormai quella situazione stava sfociando nel ridicolo. Riuscì a sfuggire dalla stretta della moglie, facendola rotolare di lato, e ad alzarsi sistemandosi la giacca. Poi le porse una mano, dispiaciuto della sua espressione abbattuta. Se pensava di intenerirlo così però si sbagliava di grosso: Era ora di parlarsi chiaro.

“Principessa, ascoltami: così non funziona. Stiamo cercando un altro bambino, questo è vero, ma non mi pare il caso di buttar il tutto in una mera ginnastica, non sei d’accordo? Non mi piace che quando tento un approccio tu prima scappi in bagno a controllare il test della fertilità, per poi informarmi che è inutile farlo in quel momento. Così come non mi piace che tu mi salti addosso nei momenti più improbabili giusto perché stai ovulando. Mi rifiuto di essere il tuo gingillo di riproduzione.”

Anna si era appoggiata alla parete, lo sguardo –adirato ed innervosito – che saettava sulla sua faccia. “Stiamo cercando di avere un bambino, è questo il metodo, no?”

“Oh, Anna, per avere Jamie ci è bastato…

“Non so se l’hai notato, ma pare che ora sia un po’ più difficile. Lee, è da più di un anno che si stiamo provando senza risultati. Senza contare il periodo del se arriva arriva. Siamo stati sull’isoletta dove abbiamo concepito Jamie per ben quattro volte. Ho modificato per tre volte la nostra dieta, ti ho proibito di fumare e mi metto sempre a testa in giù dopo che abbiamo fatto. Nulla. Direi che è il caso di farlo solo al momento giusto, non trovi?”

Il marito incrociò le braccia, fissandola serio. “No. Non stiamo facendo ginnastica per dimagrire, Anna. Stiamo cercando di concepire un figlio.”

“Una figlia” lo corresse distrattamente la donna, giocherellando nervosamente con le dita.

“Giusto. Ma evidentemente neppure questo funziona. E sinceramente non mi stupisco. Non credi che ci voglia un pochino di amore, un pochino di tranquillità? Non credi che senza ansia si possano migliorare le cose? Per Dio, Anna, ne stai diventando ossessionata!”

“Io voglio solo…

“… ed è quello che voglio anche io, Principessa. Ma non posso permettere che questa ricerca diventi una malattia. Non voglio che tu…

“… io… non riesco a capire che cosa non funzioni… ed è una cosa che... non mi va giù.”

L’uomo le cinse la vita sottile, stampandole un bacio sulle labbra. “Forse è arrivato il momento di rivolgerci ad uno specialista.”

“E’… come una sconfitta.”

“Mi avevi detto che avevi imparato ad accettarle, le sconfitte. E poi questa non la è proprio: dobbiamo capire cosa non va: vogliamo dare a Jamie un fratellino e…

“Sorellina”

“Noi vogliamo dare a Jamie una sorellina e cerchiamo solo di capire bene cosa dobbiamo fare per farla arrivare.”

“L’altra volta era stato così facile…” Anna sospirò sfregandosi gli occhi, improvvisamente stanca. “Hai ragione, Lee. Ti ho trattato come gingillo sessuale.”

“Non è quello che mi ha dato fastidio. Adoro essere il tuo gingillo sessuale. E’ il fine della riproduzione e basta che mi sconvolge. Ultimamente non c’era più… passione, calore. Insomma, le nostre solite cose. Domani contatteremo la migliore clinica di Nassau e andremo a farci visitare entrambi. Vedrai che in men che non si dica troveremo la soluzione. Nessuno può mettere Baby in un angolo.”(*)

Anna sorrise conciliante alla citazione cinematografica del marito. “Va bene ha ragione.” Gli sistemò il bavero della giacca e il nodo della cravatta. “Ecco, così sei perfetto. Buona cena, tesoro.”

Dopo un bacio a stampo Lee scese al piano di sotto.

Anna sentì Jamie ridere ad un saluto dispettoso, rispondendogli con una pernacchia e facendosi promettere un pomeriggio sulla spiaggia insieme.

Sospirò, guardandosi allo specchio, gettando l’ennesimo ed inutile stick di ovulazione nel cestino, a far compagnia ad altri sei uguali.

Si, tutto ciò stava divento un’ossessione pericolosa. Come la era stata quella di battere e umiliare sua sorella e  quella, più recente, di fare l’impossibile pur di mantenere un fisico perfetto per paura che Lee cominciasse a rivolgere le sue attenzioni a qualcun’altra.

Pareva che la sua vita gravitasse sempre attorno ad uno stato ossessivo. Ciò in cui non riusciva diventava per lei un’ossessione, quasi una malattia.

“Mamma?” una vocetta sulla soglia della porta le fece voltare la testa di scatto. Jamie, il suo cucciolo dagli occhioni blu e i capelli argentati la fissava stringendo tra le mani il suo modellino di Saetta McQueen preferito. “… tuo.” Decise, porgendogli la macchinina.

Anna si chinò di fronte al figlio, prendendo Saetta delicatamente. Era raro che Jamie la facesse utilizzare a qualcuno, era molto geloso dei suoi giocattoli preferiti. “E’ per me? Davvero?”

Il piccolo annuì, dondolandosi da un piede all’altro. “E tu cosa usi, amore mio?”

“Sally” rispose, porgendole la mano. “…giochi?”

Eccola lì, la perfezione. Lei, che l’aveva cercata così tanto, alfine l’aveva creata. Con quella faccia da furbetto – tutto suo padre, e i suoi occhioni azzurri e limpidi. Il vero uomo della sua vita, quello che non l’avrebbe lasciata neppure nell’improbabile ipotesi che diventasse vecchia, brutta e grassa.

“Certo tesoro, andiamo giù di sotto?”

Jamie annuì. “Andiamo Madame!” esclamò ad alta voce, imitando suo padre, strappandole una sonora risata.

 

 

 

 

Ragazze!

I vostri commenti positivi mi stravolgono!!!

Spero di non deludervi con questo (improbabile, noioso, assurdo e non richiesto) spaccato della vita quotidiana di un’altra coppia…

E spero di riuscire ben presto a scrivere del ----  Kazakistan!!!----

(*) La citazione viene da Dirty Dancing Non so se vi ricordate, ma (stando alle mie Ff) ad Anna piaceva Patrick Swayze.

Una buona serata a tutti, vado a mettere le birre in fresco per Italia – Paraguay.

Un beso!

EC.

 

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Capitolo 5
*** Kazakistan ***


Chilling Pills.

Perché scrivere una storia intera e di senso compiuto comporta troppa fatica.

 

5 - Kazakistan

 

SBAM!

La Jeep color verde militare ondeggiò alla furiosa chiusura della portiera, mentre l’occupante che ne era scesa, livida in volto dalla rabbia, si allontanava percorrendo a passo svelto il cortile infangato del campo base.

Il cielo plumbeo aveva iniziato a scaricare le prime gocce di pioggia gelida direttamente sulla sua testa bionda, ma lei, Nina Williams, quasi non se ne accorgeva tanto era arrabbiata.

Entrando dentro una delle baracche, chiudendo la porta con un calcio, lasciò cadere a terra il pesante zaino per poi sedersi su una sgangherata sedia che scricchiolò in maniera inquietante.

Un paio di minuti dopo la porta si riapriva, e Nina rivolgeva il suo sguardo gelido e sprezzante verso l’uomo comparso sulla soglia.

Non che Sergei Dragunov si aspettasse realmente un saluto migliore, ma l’espressione di Nina aveva avuto il potere di guastargli la giornata. Giornata che, dopo un bombardamento ben riuscito, era stata dal suo punto di vista radiosa. “Ben arrivata.” Disse, gustandosi il suo classico sigaro post combattimento. “Fatto buon viaggio?”

Nina voltò lo sguardo da un’altra parte, fuori dai vetri rigati di pioggia della finestra, verso il cortile dove un mezzo blindato stava transitando.

“Volkov ti vuole vedere per fare il punto della situazione e per darti ragguagli sulla missione. Hai tempo mezz’ora.” Spiegò, cercando di non mostrarle quanto fosse realmente infastidito dal suo muso lungo. Non ottenendo reazione, con una leggera smorfia di insofferenza Dragunov richiuse la porta della baracca, per poi avvicinarsi di più alla donna, chinandosi per averla ad altezza del viso. “Quattro mesi senza vederci e questo è il tuo saluto?”

L’espressione che gli rivolse Nina avrebbe potuto far congelare un vulcano in eruzione: “Quattro mesi? Così pochi in confronto a quelli che ho speso cercando il mio obbiettivo, facendogli piazza pulita intorno e trovando il modo di eliminarlo senza attirare troppo l’attenzione generale. E quando sono ad un passo – ma che dico, a tre centimetri! – dal completare la mia missione… tu che fai? Mi fai trascinare in questa landa fangosa a cercare quattro mentecatti di merda nostalgici Mishima  e con deliri di onnipotenza? E ti aspetti che faccia persino i salti di gioia nel rivederti!”

“Guarda che non è stata una mia idea… so benissimo che prediligi le missioni pulite da agente snob quale sei.”

Agente snob? Razza d’un cretino, è quello il mio RUOLO! Come il tuo è quello di andare a combattere a destra e a manca puzzando come una capra.”

“Sono un soldato, sono addestrato a ciò ed eseguo gli ordini senza far tanto il difficile, al contrario di te.”

“Se sono qui, significa che anche io ho eseguito gli ordini – di certo non sono arrivata a casa di Borat per vederti. Stavo benissimo a Londra, in quello splendido sushi bar pronta ad avvelenare la spia nemica.”

Il soldato scattò in piedi, allontanandosi come se avesse preso la scossa: “TSK! Sushi bar… tu e la tua stupida ossessione per il pesce crudo. Ne vuoi un po’? Beh, c’è un fiume a tre chilometri, prendi una rete e vattelo a pescare il tuo cazzo di sushi!”

“Imbecille”

“Stronza”

Seguì qualche minuto di silenzio, in cui Dragunov cercava di smaltire la furia guardando anche lui il cortile, prima che Nina si alzasse dalla sedia e gli chiedesse dove si trovasse il colonnello Volkov.

“La casupola in fondo a destra è il suo ufficio” rispose l’uomo stancamente, avvicinandosi. In fondo Nina non aveva tutti i torti ad essere furibonda: era stata appena costretta a buttare alle ortiche il lavoro di quasi un anno. Il più era convincerla che non c’entrava nulla, e che per quanto non vedesse l’ora di ritrovarsela davanti, l’idea di chiamarla in Kazakistan tra i rinforzi gli aveva fatto storcere il naso. Le appoggiò una mano sul braccio, attirandola appena a sé. Riuscì a catturare il suo sguardo, avvicinando le labbra alle sue.

Con un colpo secco in pieno petto, Nina Williams lo spedì sulla sedia, che rovinò a terra sotto il peso dell’uomo. Senza indugiare oltre la donna uscì lasciandolo gambe all’aria sul pavimento.

Imprecando sonoramente, Dragunov si rialzò scivolando sui pezzi frantumati della sedia.

Doveva ammetterlo: adorava quando faceva così. Già pregustava la lotta per infilarsi nel suo stesso letto…

 

Alle h.23 della stessa notte, montando di vedetta al campo base, Sergei Dragunov si era ritrovato a pensare con nostalgia al bromuro che gli rifilavano nella minestra in Accademia. Ma perché diavolo era diventato illegale? Neppure il diluvio sotto cui faceva la guardia gli faceva passare il nervoso al pensiero di Nina a pochi metri da sé, in branda, algida ed intoccabile.

Ne era uscita dal colloquio con Volkov guardandolo con sufficienza, sibilandogli di starle alla larga, perché c’era in gioco una sua promozione e non ne aveva la minima intenzione di lasciarsela sfuggire a causa di una qualche distrazione assolutamente irregolare.

Aveva dissimulato il tutto con una smorfia ovvia: e che pensava quella, un trattamento di favore solo perché era sua moglie? Erano in missione, non in luna di miele!

Fanculo a Volkov…

 

Alle 5 di mattina rientrò nel suo alloggio – la casupola  dalla sedia distrutta in cui aveva avuto il primo incontro con Nina, il giorno precedente- completamente zuppo d’acqua, assonnato – non dormiva da quasi ventiquattro ore  - innervosito ed imprecante.

E con sommo stupore si ritrovò davanti a Nina che si allacciava la tuta militare. “Che ci fai qui?”

Senza voltarsi, annodandosi i lacci degli anfibi, la donna gli aveva spiegato che non c’era posto nell’accampamento femminile, e così aveva avuto il permesso di dormire, per quella notte, nell’alloggio del Sergente, dato che era di guardia. “Ti ho lasciato il letto caldo, tesoro” aggiunse poi, con una smorfia irrisoria.

“E tu ora dove vai?”

“In perlustrazione: mi hanno affidato alla squadra di Pavlov.”

Per sua fortuna la dissimulazione era il suo forte. Dopo aver augurato buona fortuna alla moglie – e una morte lenta e dolorosa a Pavlov - si era gettato sul letto, accontentandosi di avere fra le sue lenzuola solo il profumo di Nina.

 

Poche ore dopo era stato svegliato di botto da un soldato semplice, con la comunicazione di una convocazione urgente da parte di Volkov.

Dopo  neppure un quarto d’ora aveva assunto il comando della sua squadra e si era lanciato sulla scia della squadra di perlustrazione di Pavlov: doveva aspettarselo che quel coglione si sarebbe esposto al fuoco nemico.

Come mandare a puttane un’intera operazione. Con Nina appresso, poi!

Sbuffando, controllò di nuovo il suo equipaggiamento, intimando all’autista del mezzo blindato di accelerare.

 

Sotto la pioggia battente, con la luce del giorno che si affievoliva di minuto in minuto, il fitto bosco dove avevano perso il segnale dei compagni cominciava a somigliare all’Amazzonia.

Si erano divisi, restando in contatto via radio. Un paio dei suoi avevano ritrovato un cadavere di un commilitone. Un altro era riuscito ad avvistare Pavlov ferito, e stava prodigandosi per andare a soccorrerlo. Vincendo il desiderio di ordinargli di lasciarlo crepare in quel bosco, Dragunov aveva acconsentito.

All’appello mancavano ancora tre membri della squadra, compresa Nina.

Dragunov avanzava lentamente, facendo il meno rumore possibile, mimetizzandosi nella vegetazione, mentre gli occhi iniziavano a bruciarsi per lo sforzo di restare vigili nella semioscurità.

Uno strattone alla schiena lo fece cadere all’indietro, mentre il fischio di un proiettile gli passava a pochissimi millimetri dal volto andando a conficcarsi nel tronco di un albero e gli occhi celesti di sua moglie gli si piantavano in faccia. “C’è un cecchino appostato sull’albero di fronte. E’ tutto il pomeriggio che cerco di colpirlo: sei fatto apposta per rovinare i piani alla gente tu, eh?” sibilò. Dragunov calcolò la traiettoria del proiettile che stava per colpirlo, poi caricò il fucile e si alzò in piedi.

“Che stai facendo, creti….!”

PUM!

Un urlo soffocato e un tonfo.

Voltandosi nuovamente verso la donna, non riuscì a trattenere un sorrisetto compiaciuto “C’era un cecchino. Ma grazie a me abbiamo un problema in meno.”

“E grazie a me non hai la testa aperta in due come un melone. Chissà quanta segatura ne sarebbe uscita.” Rispose Nina accettando la mano che l’uomo le stava porgendo. Notando una grossa macchia di sangue sulla casacca, l’uomo le domandò se fosse ferita.

“Oh, tesoro, non far finta di non conoscermi. Sai benissimo che questo sangue non è mio!”

….Quando si parlava di dolce metà, eh!

“Andiamo, immagino non ti garbi campeggiare in questo posto, vero?”

“Puoi giurarci. Non vedo l’ora di farmi una doccia calda!” Pigolò la donna, stropicciandosi le membra fradice.

“TSK! Doccia calda al campo base? Ma dove pensi di essere, in villeggiatura?”

Nina stava per aprire la bocca per insultare pesantemente lui e tutto l’esercito, quando la voce di Volkov alla radio gli aveva richiamati all’ordine per dargli le ultime direttive.

 

La notte era scesa senza che la pioggia smettesse di scrosciare. “E’ difficile sentire i rumori così.” Borbottò Nina, guardandosi attorno nella semioscurità che avvolgeva la casupola semidiroccata che era diventata loro rifugio per quella notte.

Con l’oscurità che avanzava e il nemico in agguato, Volkov aveva deciso di mandare rinforzi nel bosco, sicuro di aver individuato la base nemica. Aveva comunque ordinato a Dragunov di mantenere la posizione, essendo meno rischioso che tornare indietro, e aveva individuato una vecchia catapecchia abbandonata dove si sarebbero potuti rifugiare in attesa delle prime luci del mattino, in cui avrebbero sferrato l’attacco decisivo.

Aiutandosi con il suo visore notturno, decidendo fosse meglio evitare di accendere luci che gli avrebbero fatti individuare, Dragunov aveva trovato una scala che conduceva ad un piccolo scantinato. “Vieni di sotto, saremo più riparati.”

Intirizzita dal freddo, Nina lo seguì, invocando un clemente fuocherello per riscaldarsi. “Non sono abituata come te a questo genere di missioni” borbottò rabbrividendo.

L’unico mobilio presente nello scantinato erano due panche rovesciate e zoppe, che Dragunov rialzò e assicurò con qualche pezzo di legno sotto i piedi irregolari, per poi unirle contro la parete dello scantinato. “Niente fuoco, ci individuerebbero.” Spiegò brevemente, mentre la donna si sedeva e si raggomitolava su sé stessa per preservare un po’ di calore. “Turni di guardia?”

“Direi di si. Inizio io.” Si sedette al suo fianco, cingendole la vita e facendole appoggiare la testa su di sé. “Andiamo Williams, sei sopravvissuta alla Kamkatcha!”

“Avevamo delle coperte e un fuoco per scaldarci là.” Brontolò di rimando, avvicinandosi di più, passando un braccio attorno alle spalle, aderendo ulteriormente.

“Dovresti toglierti quei vestiti bagnati” consigliò l’uomo, aprendosi il giubbotto e sfilandoselo dalle spalle. “Credimi, è meglio.” Aggiunse, indovinando lo sguardo perplesso della donna. Frugò poi alla cieca nel suo zaino d’equipaggiamento, trovando un paio di barrette energetiche.

“Uh, che gentile che sei ad offrirmi una cena…” commentò ironica Nina, prendendone una e divorandola.

Rimasero per un po’ in silenzio, le orecchie tese che cercavano di captare qualche altro rumore oltre a quello della pioggia che ticchettava sulle tegole rotte e sulle foglie degli alberi.

Nina sembrava essersi assopita, il respiro regolare che tremava e la pelle d’oca lungo le braccia nude. L’uomo se la portò in grembo, abbracciandola meglio per cercare di scaldarla. Abituato com’era al freddo e al dormire all’addiaccio, reputava quella debolezza di Nina una lacuna enorme cui sopperire il prima possibile. Eppure non riusciva a scrollarsela di dosso.

Con un sospiro Nina sembrò risvegliarsi. “Stavo pensando una cosa.”

“…?”

“Domani potremmo morire.”

“…!”

“Uau. Morire insieme. L’apoteosi del romanticismo”

“Uhn…”

Con un movimento fluido, Nina si mise a cavalcioni su di lui, passandogli le braccia attorno al collo. Individuò il suo fiato caldo e appoggiò le labbra sulle sue. Ne stuzzicò la lingua, aderendo al suo petto. Dragunov non la fermò, rispondendo al bacio, cercando la pelle sotto la maglietta bagnata. La casacca bagnata scivolò sul pavimento, la ricetrasmittente cadde sul pulsante d’accensione, ma loro non sentirono il lieve brusio che emise.

 “…un po’ pericoloso non trovi?”

Nina si fermò, pensierosa. La intravide mentre sembrava contare qualcosa con le dita, pensando. “Beh, in effetti… però…” Le sue labbra tornarono sul collo. “In fondo, è un rischio che vale la pena correre, no?”

“Terrò il fucile a portata di mano…”

“…?”

“Beh, insomma, per ogni evenienza e…”

“Oh, Sergei, ma ‘sta zitto un buona volta!”

 

 

“Colonnello Volkov, stiamo ricevendo una comunicazione dal Sergente Dragunov, signore!”

“Ah-ha! Sono sicuro che è andato in perlustrazione notturna e ha trovato qualcosa di interessante: Soldato, metti in viva voce, voglio sentire i dettagli delle informazioni.”

“Sissignore!”

“… Terrò il fucile a portata di mano…”

“…?”

“Beh, insomma, per ogni evenienza e…”

“Oh, Sergei, ma ‘sta zitto un buona volta!”

“…?”

“….!!”

Senza dire una parola, qualcuno sopprimendo una risatina qualcun altro alzando la fiaschetta di Vodka, l’intera base stava fissando l’altoparlante della radio.

“Co-colonnello… ehm… che faccio, chiudo la comunicazione?”

 

 

 

Signore, a voi il famoso capitolo del Kazakistan! E voi sapete cosa ne viene fuori!

Sono es-ta-sia-ta dai vostri commenti! Resto senza parole!

Miss Trent, visto che ho seguito il tuo consiglio?

Spero che anche questa Pill vi scivoli in gola senza intoppi!!  Una buona giornata da

EC

 

 

 

 

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Capitolo 6
*** London Falling ***


 

Chilling Pills.

Perché scrivere una storia intera e di senso compiuto comporta troppa fatica.

 

6 – London Falling.

 

Allora… Mini ricetrasmittente … c’è. Pistola con silenziatore – ah, la mia cara Beretta 92, anche. Colt di riserva… ecco qui. Orologio multiuso… al proprio posto. Uhn…. Si, il filo nylon ogni tanto si inceppa, devo ricordarmi di farlo controllare. Rossetto- bomba, ecco qui il mio tocco di classe. Infine: latrotossina, ottimo veleno: la vedova nera non sbaglia mai. Prendo su anche lo spray al peperoncino? Ma si, tanto tiene poco spazio.”

Con movimenti fluidi e calmi, come se stesse preparando il beauty case per un weekend fuori città, Nina Williams faceva la cernita di tutto quello che le serviva, nascondendo sapientemente le varie armi nella borsetta e nelle tasche. Si ravvivò i capelli avendo ben cura di raccoglierli con un sottile ma appuntito spillone, e si legò al collo una luccicante e robusta collana.

Ogni singolo accessorio del suo guardaroba doveva poter essere utilizzato per raggiungere lo scopo, niente veniva lasciato al caso.

Canticchiò un motivetto mentre si ritoccava il trucco allo specchio: con dei cerchi scuri attorno agli occhi, gli occhiali da sole non erano solo una formalità del suo ruolo.

Guardò il risultato allo specchio con un sorrisetto compiaciuto, lisciandosi la camicetta di seta verde lungo le curve perfette dei fianchi.

E’ tutto a posto. Cercò di convincersi.

No che non lo è.  Ribatté un’odiosa vocina dentro di sé.  Non lo è affatto.

Era di una settimana in ritardo.

Aveva la nausea da quattro giorni.

L’odore del the era diverso.

E lei conosceva troppo bene quegli indizi.

Tanto più che, proprio accanto al silenziatore faceva bella mostra un test di gravidanza ancora impacchettato, acquistato un paio d’ore prima.

Ed ora tamburellava le dita sulla superficie di marmo del mobile, indecisa se farlo subito o meno.

Se è positivo dovrei mandare all’aria la missione. Pensò. Aveva già sperimentato cosa succedeva a portare a termine un compito del genere in quello stato.

Ma se non lo faccio, non so se è positivo o meno e ho la coscienza a posto. No?

No.

Nina Williams focalizzò la sua attenzione sulla sua immagine riflessa, mentre apriva meccanicamente la confezione del test.

Dannato Kazakistan.

Dannato Dragunov.

E dannata soprattutto la voglia costante che aveva di lui.

 

Camminava spedita lungo il Millennium Bridge avvolta in un sottile impermeabile scuro, gli occhi gelidi e nervosi nascosti dietro a degli occhiali di Gucci del medesimo colore.

Per passanti era un’elegante donna d’affari, indaffarata e frettolosa, che gettava un’occhiata fugace alla facciata della Tate Modern Gallery con l’aria di chi dovrebbe decidersi prima o poi a prendersi un pomeriggio libero per visitarla per poi girare per Canvey Street. Al civico 4 voltava quasi inconsapevolmente il viso verso la vetrina del ristorante giapponese Tsuru, fermandosi come se si ricordasse di non aver ancora pranzato e occhieggiando al menu in esposizione con l’acquolina in bocca.

Ma si, un veloce sushi ci può stare. Ne ho sentito parlare così bene di questo posto! Sembrava suggerire la sua espressione. Dopo di che controllava nuovamente l’orologio Basta che sia veloce, però! Ed entrava.

 

Il bersaglio di Nina, Vladimir Neitchenko, era seduto lungo il bancone, e si stava giusto infilando un maki in bocca. Alla vista del piatto lo stomaco le si attorcigliò improvvisamente, e fu davvero difficile dissimulare la nausea che le era salita, mentre il cameriere le si avvicinava per ricevere l’ordinazione.

La donna aveva già aperto bocca per ordinare una porzione di sushi misto, quando la vocetta fastidiosa dentro di sé iniziò a pigolare: Ma non puoi mangiar pesce crudo!

Rimase un istante con le labbra schiuse, a formulare questo pensiero con una nausea crescente. E non dovresti neppure essere qui.

“U- una bottiglia d’acqua. Naturale, grazie.” Biascicò, aggiustandosi nervosamente gli occhiali da sole. Neitchenko, al suo fianco, la stava osservando con la coda dell’occhio. Merda. Si è insospettito. Meglio battere in ritirata. Prese la bottiglietta d’acqua, la pagò ed uscì con un sorriso tirato, bevendone un sorso e avviandosi sempre a passo svelto dalla direzione opposta al suo arrivo.

 

Ecco che si era impantanata. La sortita della sua coscienza infame l’aveva portata a commettere un errore. Neitchenko era una ex spia, certi particolari non passavano osservati: Ora probabilmente le stava dando sua volta la caccia, ed ora era costretta ad anticipare le sue mosse, ad attirarlo in trappola.

Ma prima doveva depistare un suo eventuale inseguimento.

Riattraversò il Tamigi sul Southwark Bridge e proseguì sino alla City, dove per giustificare la fretta in caso il suo bersaglio la seguisse davvero, individuò una banca di cui era correntista e vi entrò per una banale operazione di prelievo allo sportello, prolungata con domande e richieste di informazioni inutili all’impiegata.

Uscita, cercò di sembrare più rilassata e passeggiò con più calma, come se avesse fatto tutte le cose importanti.

Comprò in edicola il nuovo numero di Cosmopolitan, si soffermò a guardare una vetrina e a provare un paio di scarpe, dopodiché riprese la metropolitana a Mansion House e tornò in albergo facendo un giro più lungo e tortuoso del solito, cercando di far perdere le sue tracce nel dedalo di vie di Soho.

Appena entrò nella camera, gettò impermeabile e occhiali sul letto, e si sedette stancamente. Doveva trovare un piano che non la coinvolgesse troppo a livello fisico, e alla svelta.

Ma soprattutto, doveva riflettere.

 

Incinta di quattro settimane e due giorni.

Da quell’incontro avventuroso e pericoloso (sotto molti aspetti) con Sergei in quella catapecchia del Kazakistan. Avrebbe dovuto resistere, avrebbe dovuto starci lontana, no?  Era la cosa più logica da fare quando ci si ritrovava a migliaia di chilometri di distanza da una farmacia e con il blister della pillola contraccettiva sul comodino del suo appartamento a Mosca.

E invece, complice la prolungata lontananza e l’eccitazione per il pericolo, gli si era lanciata tra le braccia.

Nina, che idiota che sei stata. E adesso?

E adesso avrebbe dovuto per prima cosa completare la missione. E poi affrontare tutto il resto. Non ne avevano più parlato della possibilità di aver figli, e vista la disastrosa esperienza precedente, era stata ben attenta a non farne capitare più.

Una cosa era certa: questa volta Sergei l’avrebbe saputo da lei, a viva voce e a quattrocchi.

E poi cosa succederà?

“Valuteremo insieme il da farsi.” Si rispose, sospirando. Affondò la testa nel cuscino: non riusciva ad immaginarsi madre, per quanto realmente già lo fosse, tanto quanto non riusciva a prendere in considerazione l’idea di non tenerlo.

Sfilò dalla borsetta il cellulare e cercò sulla rubrica il numero di Steve, sentendo la sua voce si sarebbe schiarita le idee.

 

Sergei la chiamò dopo pochi minuti che aveva riattaccato con suo figlio. 

“’Sera Williams, tutto bene?”

“Ciao. Si, si, va tutto bene.” Mormorò con un filo di voce, trattenendosi dal parlare oltre.

…Fatto?”

“Non ancora. C’è stato un inconveniente, non ho potuto finire. Ma è questione di ore.”

“Niente di grave, spero.”

Dipendeva dai punti di vista… “Oh, no. solo un contrattempo.”

“C’è qualcosa che non va? Sei strana.”

Nina prese un respiro. Valutò bene prima di parlare, ma l’importanza del discorso richiedeva che lui fosse davanti a lei. Voleva vederne l’espressione, voleva capire realmente cosa pensasse. Non poteva dirglielo per telefono. “Dobbiamo parlare.”

La voce di Sergei si era fatta improvvisamente più bassa, iniziando a parlare inglese. “Cosa è successo?”

“Voglio parlartene dal vivo al tuo ritorno.”

“La settimana prossima torno a Mosca, avrò un paio di giorni di licenza. Se non avrai ancora finito potrò raggiungerti a Londra.”

“Va bene.”

“Williams, sei sicura di star bene?”

Nina sorrise. Sbagliava o quella era una punta di preoccupazione? Magari anche di gelosia. Qualsiasi cosa fosse, proveniva da suo marito ed era indirizzata a lei. Una cosa più unica che rara, parlando di Sergei Dragunov.

“Si. Sto bene.”

 

La stazione della metropolitana di Leichester Square all’ora di punta era affollata come al solito. Nel suo cappotto Burberry in tartan beige, dietro ai soliti occhiali scuri, Nina Williams attendeva il treno cercando di farsi venire in mente un’idea su come risolvere la situazione. Il suo orgoglio e gli ordini del comando le impedivano di lasciare libero un bersaglio senza neppure tentare realmente di farlo fuori.

Ma la sua lista delle priorità ora era cambiata.

Lascia stare, sai come è finita la volta scorsa in cui hai deciso di portare a termine una missione. Sospirò stancamente la solita voce interiore.

 

Aveva sognato tutta notte quella goccia rubino che cadeva sul pavimento, tra i suoi piedi, e che segnava il suo primo fallimento, la prima volta in cui aveva pagato cara la sua attitudine omicida.

Si sfiorò la tempia, colta da un lieve capogiro, poi si sforzò di prestare attenzione all’annuncio dell’altoparlante. La donna vicino a lei spinse il passeggino un po’ avanti, preparandosi ad entrare nel convoglio in arrivo. Dentro, un batuffolo avvolto in una coperta rosa dormiva beatamente. Si ritrovò a sorridere lievemente, decidendo all’improvviso sul da farsi.

Sarebbe rientrata a Mosca, avrebbe fatto certificare il suo stato e si sarebbe ritirata dalle missioni. Non per sempre, solo il tempo necessario.

 

Si mosse verso il limite della banchina con la sensazione di essere osservata. Il suo sesto senso, il suo istinto affinato da anni di clandestinità e di vita mercenaria, l’avvertivano del pericolo. Si voltò lentamente, pronta a tutto, mostrando quasi indifferenza.

A tre metri di distanza, al di là della madre con la carrozzina e altre persone, c’era Neitchenko.

Il mondo è fottutamente piccolo. Pensò, restando immobile.

Bluffa! Le impose il suo istinto.

Mentre l’uomo rimaneva immobile a studiarne la prossima mossa, le labbra di Nina si incurvarono nel suo piccolo sorriso sadico. Si alzò gli occhiali con studiata calma, ipnotizzandolo con i suoi occhi di ghiaccio, mentre la mano le scorreva all’interno del cappotto. L’uomo ebbe un moto di sorpresa, si mosse appena dalla sua posa, sorpassò la linea gialla del bordo con un piede, mentre la folla si accalcava.

Una distrazione fatale: scivolò quasi comicamente dalla banchina.

La folla fece appena in tempo ad urlare all’unisono che la metropolitana lo travolse.

 

Nina arretrò di un passo, in una mossa inorridita, imponendosi di non guardare il sangue, di non controllare ulteriormente.

Non l’aveva toccato con un dito. Non l’aveva ucciso. Neitchenko era caduto vittima della sua distrazione.

Ora capisco perché lo volevano far fuori. Altro che ex spia con informazioni strettamente riservate. Questo era un idiota bello buono!

Mentre fingeva sgomento ed orrore lasciando la stazione, Nina sorrise dietro alla mano che si teneva premuta contro le labbra.

Questo si che era salvare capra e cavoli.

Luck of the Irish.

 

Agente Williams. Proprio lei desideravo vedere.”

Porc…!!  “Colonnello, agli ordini.” Salutò, mettendosi sull’attenti, stringendo convulsamente tra lin una mano la busta con il certificato medico, quasi nascondendolo tra le dita.

“Riposo, agente. Volevo solamente complimentarmi con lei per come ha risolto la questione Neitchenko. Ottima idea, quella di simulare un incidente in metropolitana. Molto discreto e al di sopra di ogni sospetto. Anche dalle telecamere di sorveglianza la Polizia londinese non ha trovato nessuna anomalia, e l’episodio non è stato neppure sottoposto ad indagine. Non c’è che dire, Williams, lei ha stile.”

“La ringrazio, Colonnello.”

“Alla luce di questo successo la sua promozione è praticamente assicurata, non possiamo fare a meno dei suoi servizi: abbiamo altre missioni per lei.”

Nina rimase un attimo interdetta. “Io...”

Prima che potesse proseguire, lo sguardo del Colonnello Volkov si era già posato sul cerotto bianco nell’avambraccio, indizio del prelievo di sangue. “Controllo annuale? Non l’aveva già fatto prima di Londra?”

“Si, signore.” Sospirò la donna. Oh, al diavolo. Non è una cosa che si può nascondere a lungo, no? Lentamente, vedendo la promozione volare lontano lontano da lei, Nina porse la busta bianca al Colonnello, che la aprì.

“Ah.” Disse, una volta letto il certificato, restituendole il foglio. “Questo cambia le cose.”

La donna non poté fare a meno di sospirare con un moto di  delusione: “Già.”

“… ed è di…?”

“Beh, certo!” rispose piccata. Si accorse di dovere ulteriori spiegazioni circa la propria condotta – anche uno stupido ci sarebbe potuto arrivare che il bambino era stato concepito durante un’operazione militare - ma Volkov non domandò ulteriori spiegazioni.

“Il Sergente Dragunov farà di ritorno questa sera dal Kazakistan. Credo sperasse di passare diversamente i due giorni di licenza.”

“Beh, io…

“Non occorrono spiegazioni, Williams. Ad ogni modo, in bocca al lupo. Con il figlio di Dragunov ne avrà bisogno.”

Gr… grazie signore. Crepi. Il Lupo.”

 

Mentre il colonnello si allontanava dalla direzione opposta alla sua, Nina pensò di fortuna gliene serviva più di quanto fosse normalmente a disposizione di un’irlandese.

 

 

Buonasera ragasse!

Allora, premetto che NON sono MAI stata a Londra…

Perciò, ringrazio prima di tutto Mr Google Maps per il suo splendido servizio di mappe della città e di cartine della metropolitana! Le stazioni, le vie e soprattutto il ristorante giapponese esistono! (e quest’ultimo ha 5 stelle come recensione su Google)

Detto ciò, ora Nina è davvero nei guai…  J

Oltre a Mr Google Maps ringrazio calorosamente:

Miss Trent, i cui pareri/elucubrazioni/ipotesi sono sempre ben accetti, ricercati e agognati.

Nefari, puntuale ed entusiasta con l’immaginazione moooolto ampia e la bocca piena di muesli dietetico.

Miss Rose, new, graditissima entry che mi ha fatto andare ancora di più in brodo di giuggiole

Whisper Of The Wind altra new entry fanwriter, gentilissima e ‘Annista’: Per quanto riguarda la morte del papa di Anna e Nina, mi sono basata sulla storia di Tekken, in cui la morte avveniva dopo il primo torneo per circostanze mai chiarite, e non su Death By Degrees. Mi piaceva di più cosi…. Abbi pietà di una povera pazza!

Bloody Road, che mi fa emozionare ed intrigare con la sua Cyanide…!

 

A presto…!

EC

 

 

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Capitolo 7
*** Die Another Day! ***


Chilling Pills.

Perché scrivere una storia intera e di senso compiuto comporta troppa fatica.

 

 

7 – Die Another Day!

 

Mentre estraeva le chiavi di casa dallo zaino militare tutto ciò a cui riusciva a pensare Sergei Dragunov era gettarsi sul divano. Sino a quel momento non poteva dirsi ufficialmente in licenza.

Dopo quei cinque mesi infernali passati in Kazakistan, di cui l’ultimo a schivare raffiche di pallottole praticamente ventiquattrore al giorno, ogni singola cellula del suo corpo reclamava il meritato riposo, il premio dell’eroe: Divano, TV e birra fresca portata da una bionda discinta.

E se riusciva a trovare le chiavi di casa, poteva star certo di veder realizzate tutte le sue necessità.

Soprattutto quella della bionda discinta.

Aprì la porta sul salotto incredibilmente ordinato dell’appartamento. Rimase inizialmente un po’ perplesso a riguardo: Nina era tutto fuorché una donna di casa decente. Era raro non trovare borse, vestiti e armi sparsi in giro per la casa.

Ma era davvero troppo stanco per mettersi solamente a sospettare. Tanto più che Nina era comparsa – Jeans attillati a vita bassa e canotta – dal corridoio. Nessuno sguardo minaccioso, nessun sorrisetto sadico.

“Bentornato, eh!” l’aveva salutato appoggiandosi alla parete, le mani infilate – chissà come – nelle tasche degli striminziti jeans.

Forse si aspettava di certo un saluto migliore da parte sua. Ma no, non ce la poteva fare. Il richiamo del divano era troppo forte. Ci si schiantò sopra a peso morto, facendo appena in tempo a mollare per terra lo zaino.

Stranamente, ma era sempre troppo stanco per sprecare energie sospettando, Nina l’aveva osservato alzando un sopracciglio quasi divertita. “Comodo, uh? Devi proprio essere sfinito…”

“Se continuo così ai trent’anni non ci arrivo vivo.” Bofonchiò l’uomo, accomodandosi meglio tra i cuscini e sfilandosi scarpe e giacca senza rialzarsi.

“Ti conviene arrivarci.” Eccolo lì, il temuto sorrisetto Williams: una piegolina del labbro a metà tra il sadico e l’irrisorio, da cui ci si poteva aspettare una notte di sesso sfrenato come una pallottola in mezzo agli occhi.

Sperando nella prima possibilità, l’uomo si sforzò di guardarla: “Perché, mi hai già preso il regalo?”

Nina prese un bel respiro scuotendo la chioma bionda e disse, con la stessa tranquillità con cui di solito gli annunciava di aver comprato un paio di scarpe con la sua carta di credito : “No, sono incinta.”

Lì per lì non capì immediatamente: l’accento irlandese di Nina, nonostante i tanti anni trascorsi a Mosca, non voleva proprio saperne di andarsene e spesso storpiava le parole.

Poi però comprese. Non appieno. “AH.” Non riusciva a rendere tangibile quello che Nina aveva appena detto. Da tanto era stanco, poteva anche esserselo sognato. Forse. “… e quando?”

Le mani di Nina si posarono sui fianchi, mentre la sua voce prendeva una nota sarcastica: “Dunque,  facendo un paio di calcoli direi durante la missione in Kazakistan, ricordi? Quando ci siamo nascosti nello scantinato… in attesa dell’alba per attaccare…? Effettivamente avevi detto che poteva essere pericoloso.”

“Intendevo che potevano spararci.”

“Oh, beh. Invece quello che ha fatto centro sei stato proprio tu. Complimenti. Una sola botta in cinque mesi, colpita e affondata! Che mira…”

“AH” La faccenda continuava a suonargli abbastanza confusa. Meglio dormirci su. “Svegliami per cena.”

L’ultima cosa che vide, prima di chiudere gli occhi, era la bocca di sua moglie che si apriva sdegnata.

 

 

 

Si svegliò a notte inoltrata, rimanendo per qualche istante incredulo nel constatare che il salotto era avvolto nel buio e non si sentiva all’interno dell’appartamento alcun rumore.

Uhn…

C’era qualcosa che non andava.

Uhn…

Il divano c’era, ma la Tv era spenta e nessuna traccia della birra portata dalla bionda discinta.

A proposito, la bionda discinta non doveva svegliarlo per la cena?

Bah.

Valle a capire le donne. Probabilmente era uscita, o si era scordata, o era a dieta, o chissà che.

Si alzò grattandosi la testa e prendendo contro a tutti gli spigoli dei mobili della casa, prima di entrare in cucina. Nel frigo c’era solo un solitario toast con un foglietto dalla eloquente didascalia “La cena dello stronzo”.

Uhn….

Cosa doveva tanto onore?

Bah.

Valle a capire le donne.

Trangugiò il toast congelato accompagnandolo da un pacchetto di patatine come contorno e una birra. Dopo essersi lavato i denti e aver deciso di rimandare a domani la rasatura della barba si era avviato verso la camera

Aprì la porta piano, illuminando con il fascio di luce la figura femminile avvolta nelle coperte. Di Nina si intravedeva una ciocca bionda sul cuscino e un braccio che sporgeva dal piumone.

Un braccio solo, già abbastanza invitante.

Di certo il riposo aveva giovato ad un suo certo tipo di appetito. Si infilò sotto le coperte, cercando il suo corpo. La sentì mugolare morbida mentre le accarezzava le gambe, i fianchi, sino ad arrivare al collo da cigno, respirare il suo profumo, accarezzarle la guancia e…

“AH!”

Ricevere un morso.

“Che cazzo…?”

Nina era balzata in piedi sul materasso, gli occhi furenti quasi fuori dalle orbite, i capelli gonfi e scarmigliati.

“comeosipezzodimerda!!”

“…?”

“Dopo che prima ti sei addormentato, come se quello che ti ho detto non fosse affar tuo, chiedendo mi svegliarti per cena… cosa pensi che sia, la tua cameriera personale?”

“…aspetta…”

“Certo, non mi sarei mai aspettata che tu facessi i salti di gioia, ma questo tuo menefreghismo nei miei confronti, anzi, nei nostri confronti, è disgustoso! E io ho ammazzato per MOLTO MENO.

“… Nina io…”

“TU COSA?”

“… non ricordo quello che mi hai detto.” Era una mezza verità. Qualcosa gli suggeriva che Nina, qualche ora prima, gli avesse riferito una notizia sconvolgente, ma, davvero, il tutto era avvolto in una fitta nebbia.

… e tra poco, a giudicare dallo sguardo assassino della donna, sarebbe stato anche macchiato di sangue.

“COME FAI AD ESSERTI SCORDATO CHE TI HO DETTO CHE SONO INCINTA?”

 Dopo un istante di disorientato silenzio, mentre la memoria gli faceva il favore di ritornate, l’uomo deglutì faticosamente. “AH.” Deglutì di nuovo. “… e lo vuoi tenere?”

Si ritrovò schiantato contro la parete di fronte, con Nina che scendeva, con studiata calma felina, dal letto e si avvicinava, gli occhi brillanti nel buio.

“Ho deciso che non avrei più ucciso nessuno finché il bambino non fosse nato. Ma per te farò volentieri un’eccezione.”

“ASPETTA!”

“…hai un ultimo desiderio da esprimere?”

“Ho una considerazione da fare che…”

“RISPARMIA IL FIATO!”

Solo gli incredibili riflessi del soldato lo salvarono dal calcio di Nina, che colpì la parete facendo cadere il poster del film ‘Scarface’ appeso di fianco e tremare pericolosamente l’armadio. Nina si rimise in posizione, pronta ad attaccare di nuovo. “Nina, è sleale, non posso combattere contro di te!”

“Oooh. Ma che dolce. Così mi rendi tutto più facile.” Sembrava sul punto di spiccare un balzo, quando si fermò, una gamba a mezz’aria e l’espressione disgustata. Premendosi una mano sulla bocca, corse in bagno, gettandosi sulla tazza.

Ne uscì qualche istante dopo, la faccia stravolta.

“…hai vomitato?”

Nina annuì, sedendosi sul materasso. “Ho la nausea in continuazione. Facciamo che ti uccido un altro giorno.” Disse, coricandosi stancamente e riavvolgendosi nel piumone.

“Meglio, grazie.” Sospirò Sergei, coricandosi a sua volta. Rimasero un istante in silenzio, entrambi svegli, senza guardarsi.

Eccezionalmente, il primo a parlare fu proprio l’uomo: “Ma quindi sto per diventare padre?”

“Complimenti per l’intuito, Capitan Ovvio!” Nina lo fissò, studiandone l’espressione. Impassibile, come al solito. “Tu non lo vuoi, vero?”

Dragunov rimase un attimo in silenzio. Si aggiustò il cuscino più volte. “Non è questo. E’ che non me l’aspettavo. Mi hai colto di sorpresa.”

“Se è per questo ha colto di sorpresa anche me. Però… non so. Sento che è una cosa positiva. Forse sono gli ormoni, non lo so. Ho fatto la prima settimana completamente scombussolata, ma poi… Credo che sia dall’altra volta che aspetto questo momento.”

“… Forse quella volta mi hai colto ancora di più di sorpresa.”

Nina si sorprese ad accarezzarsi il ventre ancora piatto. Lo sarebbe stato ancora per poco, forse era solo una sua impressione, ma poteva notare un piccolo rigonfiamento spuntare. “Dovrebbe nascere i primi di maggio.”

“Ah. Come me.”

“Ma non eri nato a luglio?”

“No, quella sei tu.”

“Ah, già, è vero.”  Nina sospirò, aggiustandosi il copripiumone. “Dovranno cambiare un po’ di cose, qua dentro.”

“Già. Dovremo nascondere le armi.”

“E’ vero. Dove le mettiamo? Non abbiamo di certo tutto questo spazio…”

“Uhn…”

“Forse dovremmo cambiare casa, che dici?”

“… che quasi quasi mi faccio trasferire in Afghanistan.”

“Provaci, e scateno l’inferno in terra.”

“… come se fosse una novità.”

 

 

Finalmente, dopo lungo rimandare, riesco a postare in questa torrida domenica di metà luglio!

Die Another Day è una canzone di MADONNA…

Ragazze, sono rimasta senza parole dalla rapidità delle vostre recensioni!!! E’ RECORD!!

XD

BLOODY ROAD: Aiuto, ragazza mia! Che adulazione! Tu sei già bravissima di tuo, io non mi trovo così eccezionale!

MISS TRENT: Probabilmente cercherai di strozzarmi dopo la storia della data di compleanno di Sergei… ;) grazie tesoro per l’infinita pazienza con cui mi sopporti, e grazie grazie grazie grazie per la FF che mi hai dedicato!  Non vedo l’ora di leggere la tua nuova produzione.

WISHPER OF THE WIND: Grazie!!! Diciamo che il matrimonio di questi due lo vedo come una semplice firma in comune, tra una missione e l’altra… (forse perché è questo il mio matrimonio ideale…)

NEFARI: mmmmm…. Mi fa troppo gola quel muesli….Volkov è come il grande fratello… non te lo puoi scollare dai maroni maiiii!!!

 

Sperando che vi gusti anche questa…

Ancora troppissime grazie… alla prossima!!!

EC

 

 

 

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Capitolo 8
*** Purple Shades of Victory ***


 

Chilling Pills.

Perché scrivere una storia intera e di senso compiuto comporta troppa fatica.

 

8- Purple Shades of Victory.

 

Il lavanda era stato un colore facile da stendere sulle pareti della stanzetta. Appoggiando il rullo ancora imbibito di pittura nel secchio, Nina guardò soddisfatta il risultato del suo lavoro. Ora doveva montare il lettino, il fasciatoio e l’armadio. Il regalo di Steve avrebbe fatto bella mostra di sé da qualche parte –se solo sapesse che diamine aveva intenzione di regalarle quell’invasato del suo figlio maggiore.

Certo, sarebbe stato ancora più facile se non avesse avuto quella pancia enorme ad impedirle i movimenti.

Beh, colpa sua che aveva atteso l’ultimo momento prima di dipingere la cameretta della bambina in arrivo.

Colpa sua che aveva cercato di convincere Sergei a farlo. Era incredibilmente bravo a fare orecchie da mercante tanto quanto approfittarne del suo stato interessante e di incredibile serenità ormonale.

Intanto i nove mesi stavano per scadere. Si sarebbe potuta vendicare con comodo DOPO. Nina Williams non perdona né dimentica.

Si accarezzò la pancia, la stoffa della vecchia salopette blu che aderiva. “Allora, piccola, ti piace il tuo nido?” domandò, non aspettandosi realmente nessun segno di risposta. La marmocchia iniziava ad essere piuttosto strettina là dentro, ed aveva iniziato a limitare i movimenti a quelli essenziali. Probabilmente non vedeva l’ora di venirsene fuori. Tanto meglio, ormai il mal di schiena iniziava a farsi sentire e lei non era di certo come sua sorella che sosteneva di sentirsi in sintonia con l’intero universo durante la gravidanza e pervasa da una pace cosmica. Fosse stato per lei, Jamie ci sarebbe rimasto per altri tre - quattro anni. Per Nina, sarebbe bastato che suo nipote non avesse tutta quella fretta di nascere, visto dove si trovavano quando aveva deciso di fare il suo ingresso trionfale nel mondo.

Sperava invero che la piccola decidesse di seguire le orme del cuginetto e di presentarsi all’appello con discreto anticipo.

Il rumore della porta d’ingresso che si apriva la distrasse dalla sua contemplazione. “Toh, vuoi dire che papà è tornato in anticipo?”

Il tempo di togliersi la pittura dalla faccia che Sergei le era comparso alle spalle. Guardò il risultato del lavoro con occhio critico e la solita espressione impassibile.

“Visto? Non è così terribile come dicevi, no?” commentò Nina. “Ora, visto il tuo efficientissimo buon orario, ti va di aiutarmi a montare i mobili?”

Momento di silenzio. Qualcosa non andava: stava fissando il soffitto e non incrociava il suo sguardo. “Uhn. Temo di non poterlo fare.”

…ma che strano…

“Ho due ore per preparare l’equipaggiamento. Devo partire per…

 

Sintonia con l’Universo?

Pace Cosmica?

Incredibile Serenità Ormonale?

L’ematoma sul sopracciglio sinistro di Dragunov, corredato da un taglio dicevano l’esatto contrario, mentre usciva – abbastanza di fretta - con lo zaino militare sulle spalle e il ghiaccio sulla ferita.

 

Si sentiva abbastanza abbattuta mentre si lasciava cadere stancamente sul divano. Dopo quarantacinque minuti di tentativi vani per montare il mobilio della cameretta – le istruzioni non mentivano quando segnavano che bisogna essere in due per il montaggio, aveva mandato tutto al diavolo ed aveva rimandato a data da destinarsi.

Accese il pc portatile per distrarsi un po’, scoprendo un messaggio di Steve sulla sua casella di posta elettronica.

Le domandava se stesse bene, come stava procedendo e le raccomandava di Chiamarlo nel caso avesse bisogno.

Lo sguardo azzurro di Nina si posò sui vari pezzi di mobilio sparsi per terra.

Tra dieci giorni sarebbe scaduto il termine della gravidanza.

A volte anche i lupi solitari dovevano arrendersi all’evidenza che il gioco di squadra era necessario in alcune situazioni. Prese in mano il cellulare e cercò in rubrica il numero di suo figlio.

 

Alle 11 e 30 del mattino seguente Nina Williams fu svegliata da un insistente scampanellio della porta d’ingresso.

Si alzò imprecando contro il postino, sicura che fosse quel dannato ad aver interrotto il suo sonno ristoratore.

Con sua somma sorpresa, al di là della porta si era presentato un noto ragazzo dai capelli biondo platino, gli occhioni azzurri e una giacca a vento aperta sopra ad una camicia hawaiana a sua volta completamente sbottonata.

“Sarei arrivato prima… ma Julia mi ha fatto comprare la giacca.”

“… e poi ti ha spedito con FedEx?” Nina si spostò per farlo entrare nell’appartamento. “E poi siamo a fine Aprile, neppure qui fa più così freddo."

“Infatti sto facendo la sauna.”

…te non sei normale…

Steve si era messo a guardarsi intorno, sbirciando tra le porte “Carina la casa nuova.” Commentò. “Un po’ più grande di quella prima. Anche se ormai sono abituato alle case americane…

“Uh, già. Dimenticavo che mio figlio è diventato uno yankee. Il che, per una madre irlandese, è meglio di un figlio dannatamente inglese.”

“Per il mio patrigno no, o sbaglio?”

“Deve essere ancora inventato qualcosa che vada a genio al tuo patrigno. A parte il suo AKS-74.”

Con fare conciliante e con un sorriso da orecchio a orecchio, il ragazzo appoggiò le mani sul pancione di Nina. “Sono sicurissimo che ci sia un’altra cosa che gli va a genio…

“Evidentemente non hai visto la sua espressione quando ha scoperto che è femmina.”

“Vammi indovinare: la solita?”

“La faccia di Dragunov ha diversi tipi di impassibilità. Quella era la stessa impassibilità che utilizza anche nei post sbronza.”

…Colorito verdognolo?”

“Precisamente.”

“Oh, beh. Poteva andar peggio, no?”

“Certo, poteva assumere l’impassibilità di quando si ritrova davanti Raven. Hai fame? Vuoi qualcosa da mangiare?” quasi cinguettò, facendo cenno di seguirla nella cucina.

 

Il cellulare di Nina squillò quando l’ultimo lato di sbarre di legno del lettino bianco era stato messo al proprio posto.

Senza guardare il display, la donna chiese quasi cortesemente al ragazzo dei rispondere in sua vece.

Lui provò a protestare, ovviamente senza risultato.

Stevie, sei qui per aiutarmi, giusto?”

Con un sospiro il ragazzo si portò l’apparecchio al telefono. “Pronto? E’ Dragunov, vuole parlare con te.”

Dragunov… Dragunov… mi pare di aver già sentito questo nome da qualche parte… dev’essere il mio coinquilino saltuario, si, quello che canta le canzoni delle t.A.T.u sotto la doccia.”

Steve soffocò una risata, mentre dall’altro capo del telefono proveniva un silenzio a dir poco inquietante. Poi un sibilo, che Steve interpretò con un: “Credo voglia il divorzio…

“Rispondigli TRACHNITJE ETO.”

Dopo aver ripetuto le parole della madre, Steve guardò angustiato il telefono: “…temo mi abbia minacciato di morte, prima di riattaccare.”

“Oh, non preoccuparti. Lo fa con tutti.”

“Riattaccare o minacciare di morte?”

“Entrambe le cose. Sai, non è molto loquace. E va direttamente al sodo.”

 

La contrazione era stata inaspettata quanto forte, e l’aveva fatta svegliare di scatto. Con qualche difficoltà si rizzò a sedere, la fronte imperlata di sudore. Si appoggiò alla testiera del letto, cercando di focalizzare il dolore e di concentrarsi sul tempo che trascorreva. Faticava a rimanere in quella posizione a causa della sciatalgia: l’effetto collaterale della gravidanza più odioso che potesse venirle, e ormai la tormentava da un paio di giorni pieni. Restò vigile per qualche minuto, gli occhi aperti nel buio, per poi piano piano assopirsi lentamente.

“AH!” Un’altra. Dannazione. Le contrazioni sono molto comuni al nono mese. Specie con un caldo come questo. Un paio di contrazioni non volevano di certo dire che…

“AH!” Beh, non c’era il due senza il tre e… “AGH!!”

Era come se le avessero vuotato un secchio d’acqua in mezzo alle gambe. Il che era una prova abbastanza inconfutabile.

“STEVE!”

 

“Ok, Ok, devi fare dei respiri profondi. Reeeeespiri profondi. Reeeespiri profondi.”

“Steve, sto già respirando profondamente. Non c’è bisogno che me lo ripeti ogni trenta secondi.”

Dalle gambe di Nina, aperte, sul lettino della sala da parto, arrivò la voce della dottoressa: “Lo so che è seccante, Signora, ma la prego di lasciarlo fare. Gli uomini hanno spesso attacchi di panico di fronte al parto della propria compagna…

“…!”

“Ehm, veramente, dottoressa, questa è mia madre. Giuro, non sono stato io a fare un simile casino.”

L’ostetrica era rimasta a bocca aperta, riemergendo dalle gambe in cui stava controllando la situazione. “…Sta scherzando, vero?”  Recuperò velocemente la cartella clinica di Nina, e la aprì a controllare la data di nascita. Poi la guardò di nuovo, ancora più basita. “Mi può lasciare il nome del suo antirughe, per favore?”

“Dottoressa, la smetta di dire stronzate e faccia in modo di far finire questo momento al più presto.”

“Signora, purtroppo la dilatazione non è ancora sufficiente.”

Nina imprecò nuovamente, gettando all’indietro la testa sudata, con Steve che le tergeva solerte la fronte. “E allora mi dia qualcosa, cazzo! Mi sto aprendo in due!”

“Posso procedere con l’epidurale, se preferisce…

Ma Steve le toccò la spalla leggermente. “Mamma, so che non è il momento, ma tu mi avevi chiesto di ricordarti una cosa, nel caso tu fossi piuttosto sconvolta dal parto…

“…?”

Steve prese un bel respiro, indietreggiando a distanza di sicurezza e disse tutto d’un fiato: “Zia Anna ha partorito in un hotel semidistrutto, in una città completamente rasa al suolo, senza alcuna assistenza medica e nessuna pratica contro il dolore. Ci tenevi che ti ricordassi questo, per non farti fare una magra figura a confronto.”

Nina lo fissò mentre cercava riparo dietro all’ecografo. Rimase un attimo interdetta. Poi annuì, imprecando immediatamente dal dolore. “Dottoressa, si levi dalle palle. Qui CI PENSO IO.”

L’ostetrica fu lieta di accontentarla, scivolando velocemente fuori dalla stanza.

 

“Mamma, forse non è il caso di imprecare… sai, non vorrei che mia sorella iniziasse subito a percepire il mondo esterno come un posto ostile… capisci… già le scoccerà uscire di li…

“CHE CAZZO STAI DICENDO, RAZZA DI IDIOTA! E’ ora che tua sorella sloggi, e alla svelta. E se non si muove a farlo, andrò io personalmente a prenderla. Sono ormai VENTISETTE ORE che agonizzo su questo dannato letto.”

“In effetti…

“Steve, ho bisogno di imprecare da sola. Levati pure tu dalle Palle, dai. Vatti a prendere un caffè. Sparisci. Eclissati.”

E giusto per rimarcare la questione, il telefono cellulare, che aveva iniziato a squillare, fu scagliato nel bel mezzo del corridoio.

 

“Pronto?”

“…. Dunque?”

“E’ ancora in travaglio!”

“Ah. E’ in travaglio?”

“E già da un po’. Ora la situazione sta degenerando. Senti, non credi sia meglio rientrare e fare il tuo dovere di quasi padre?”

“…?”

“Voglio dire sopportare tu le sue urla al mio posto.”

“Dovrei essere a Mosca tra cinque ore circa. Devo prendere l’ultimo aereo.”

“Beh, fallo. Che aspetti? Non ci sarà mica sciopero dei controllori oggi, no?”

“….”

“No. Mi rifiuto di crederlo. Non può essere vero! Diamine, sei un sergente, no? Chiama l’aviazione, o noleggia un blindato, fai qualcosa!”

…TSK! Gli eserciti non si mobilitano perché una donna è in travaglio!”

Ehm… Sergei, ti rinfresco la memoria. La donna in questione, oltre ad essere una certa Nina Williams, di professione Killer, è anche tua moglie, nonché mia madre. E la bambina che sta per venire alla luce si tratta di tua figlia.”

“…”

“…”

“…”

…non oso immaginare la tua faccia in questo momento.” Commentò ironico, voltandosi verso la sala parto, giusto in tempo per vedere quattro medici attorno ad una barella. Una barella su cui era sdraiata una Nina Williams piuttosto furente e al limite della sopportazione umana. “Hey, ma…!”

“Questi luminari della medici vogliono portarmi in sala operatoria! Non capiscono che posso farcela DA SOOOLAAAA!”

“Che diavolo sta succedendo?”

 “Scusa tipo, ma devo proprio andare…” Gemette, chiudendo la conversazione, prima di rincorrere la barella. “Mammmaaaaa! Era Dragunov al telefono…

“Che diavolo vuole da me ancora? Ha combinato abbastanza guai!”

“Sta arrivando. Controllori di volo permettendo. Ma ha detto che, se necessario, si paracaduterà sull’ospedale.” Mentì.

“TSK!”

“E ha anche aggiunto che stai facendo un ottimo lavoro, che è tanto tanto fiero di te e che non vede l’ora di vederti, e che è tanto tanto tanto dispiaciuto di non esserci e che…

Steve… ti ringrazio, ma non me la bevo.”

…ha anche detto che anche se farai il cesareo, non significa che tu sia inferiore a zia Anna.”

Nina fece segno al barelliere più vicino a sé di fermarsi: “…davvero?”

“Si. Per lui sei la migliore comunque. E anche per me, ovvio.”

L’espressione della donna cambio, sotto il casco di capelli madidi di sudore. Sembrava svuotata da qualsiasi furia, più tranquilla, mentre appoggiava le mani al ventre gonfio e dolorante. “Mi dispiace se ho dato in escandescenze, Steve. Credo siano gli ormoni.” La fronte si aggrottò di nuovo, mentre si gettava all’indietro sulla barella. “No, ormoni un cazzo! Sono le contrazioni! Forza, che state aspettando? TIRATELA FUORI DI QUA!”

 

“Ciao Victoria, amore del tuo fratellone…!”

Viktorija” corresse appena la pronuncia, mentre la piccola era morbidamente attaccata al suo seno, gli occhietti chiusi. Un batuffolo rosa attaccato al suo petto, fotografato costantemente da Steve. Una cosa inaspettata, splendida, meravigliosa e completa.

Un cucciolo perfetto in ogni sua forma. E le ventisette ore di dolori e l’operazione erano solo un vago ricordo.

“E’ un nome valido sia in inglese che in russo. E la vittoria è una delle cose che noi amiamo tanto.”

“L’altra è il famoso AKS-74?”

L’espressione di Nina era assolutamente nuova, assorta, serena. Sospirò sorridendo, incapace di staccare gli occhi dalla figlia: “Oh, no… è l’AK-47. Un kalashnikov in dotazione sia all’esercito russo che all’IRA. Una delle tante cose che ci accomunano…

…voi non siete normali…

 

Il silenzio del corridoio bianco e verde era rotto dai suoi passi. L’infermiera alla guardiola alzò gli occhi dalla sua rivista e gli fece segno fare piano.

Rallentò l’andatura senza degnarla di uno sguardo, anche se sembrò fare più attenzione a non far troppo rumore. Individuò la camera dall’altra parte del corridoio e lo attraversò.

La stanza era buia, poteva sentire solo il suo respiro regolare. Era ovvio che dopo una giornata del genere stesse dormendo, sarebbe stato meglio tornare al mattino. Stava per tornare sui suoi passi, quando la lampadina del letto si accese. Alla luce bianca del piccolo neon Nina aveva un aspetto spettrale: Più pallida del solito, gli occhi segnati da occhiaie profonde, i capelli sciolti in disordine sulle spalle e una flebo infilata nel braccio. “Alla buon ora!” esclamò debolmente, mettendosi a sedere con fatica. “Pensavo non arrivassi più.”

“C’è stato un ulteriore imprevisto.” Si avvicinò, dando un’ulteriore occhiata alla stanza.

“Non è qui.” Nina sbadigliò, alzandosi con una piccola smorfia sul viso. Chiuse la valvola della flebo e staccò il tubicino dall’ago per infilarsi la manica della vestaglia, e poi rimise tutto a posto. “E’ antidolorifico. Per stanotte mi servirà” sbadigliò. “Ho fatto il cesareo.” Aggiunse. “Dopo ventisette ore di travaglio non ne voleva sapere di uscire, il medico ha pensato che era giunto il momento di sfrattarla con la forza”

“Capisco.” Era anormale parlare così della nascita della propria figlia, anche se i genitori erano loro due, la coppia meno comune che si potesse mai immaginare. Gli parve all’improvviso che fosse del tutto ingiusto non aver saputo prima di come fosse avvenuta la nascita, delle complicazioni e del tempo impiegato. Pensandoci, non sapeva neppure quanto pesasse la bambina.

Un gigantesco mazzo di fiori appoggiato sul comodino attirò la sua attenzione. Chiese a Nina chi glieli avesse mandati.

“Steve” rispose con voce ovvia, mentre si allacciava la vestaglia. “E’ stato qui per tutto il tempo. Un angelo, davvero: mi ha tenuto compagnia, mi ha aiutato molto. Non so come avrei fatto senza di lui. L’ho mandato a casa un’oretta fa, si era addormentato in piedi con la testa fuori dalla finestra.”

La frecciatina della moglie lo infastidì ulteriormente, insieme al sapere che il suo figliastro aveva preso egregiamente il suo posto. “Lo sai che non potevo…

“Si, lo so, lo so. Vieni, non sei curioso di vederla?”

L’aveva seguita sino alla nursery, studiando il suo volto che sembrava riprendere colore e la sua espressione, che da stanca era diventata impaziente. Un accenno di sorriso stendeva le labbra pallide.

Arrivati davanti all’ampia vetrata della stanza, gli aveva indicato un fagottino rosa nella seconda fila.

Vedere la bambina era stato come un click: solo in quel momento era riuscito davvero a realizzare che lei esisteva davvero, che nulla sarebbe stato più lo stesso.

C’era il suo nome scritto in rosa sulla culla di plexiglass. C’era la tutina bianca e rosa che aveva visto in mano a Nina prima di partire per la missione e la copertina ricamata, regalo di Anna. Vedendoli, l’infermiera prese in braccio la bambina, avvicinandosi alla vetrata per mostrarla meglio.

“Sembra una scimmietta, non è vero?” constatò Nina con un piccolo sorriso, appoggiando la mano sul vetro.

C’era un casco di capelli neri spettinati, una boccuccia a forma di cuore e un nasino piccolo e delicato. “Credo sia la cosa più perfetta che abbia visto nella mia vita.” Sussurrò la donna. “Non è incredibile che siamo stati noi a crearla? Più la guardo e più mi chiedo come sia stato possibile. Voglio dire, io sono bella, certo. Ma tu… con quel naso…

“Non si può vedere da più vicino?”

L’infermiera gliel’aveva portata fuori dalla nursery, proprio mentre la piccola scimmietta aveva aperto gli occhi azzurrissimi, esibendosi poi in uno sbadiglio gigantesco per le sue piccole dimensioni. “Approfittane ora per presentarti, perché tra un po’ avrà voglia di mangiare e non vorrà sentire ragioni.” Consigliò Nina, infilandogliela in braccio, raccomandandosi di tenere la testina sorretta. “Ciao Viktorija, questo è tuo papà…So che in questi ultimi giorni l’hai sentito chiamare con vari epiteti poco carini. Però il suo nome è Sergei.” aveva sussurrato con un piccolo bacio sulla microscopica fronte. “Non ti aspettare che sia così loquace come il tuo fratellone…

Lo sguardo della piccola era un po’ vago, un po’ incuriosito. Apriva e chiudeva le piccole manine, e con una catturò un suo dito, stringendolo. “E’ forzuta.” Constatò Dragunov. E la piccola, incredibilmente, sorrise.

 “E ha già capito con chi dovrà fare la smorfiosa.”

 

Ed Eccomi!!! Finalmente di ritorno dopo la luuuuunghissima pausa estiva!

Per me quest’anno c’è stata una splendida settimana in Irlanda! …e quanti appunti che ho preso! ;)

Bene, vi somministro anche questa PILL, sperando riscuota il vostro gradimento!

Arrivederci a PRESTO (spero!)

PS: AKS-74 e AK-47 sono fucili Kalashnikov da assalto davvero in forza all’esercito russo. In particolare il tanto amato AKS-74 è utilizzato dalle forze speciali SPETSNAZ. (Grazie Mr Wikipedia di esistere!)

PPS: Si, a Mosca fa caldo in estate. Quest’anno hanno pure avuto qualche problema di incendi (… dite che SErgei si è acceso una sigaretta a modo suo?)

Mille grazie!

EC

 

 

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