Forces of Nature

di mamogirl
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** - Prologo - ***
Capitolo 2: *** - Primo Capitolo - ***
Capitolo 3: *** - Secondo Capitolo - ***
Capitolo 4: *** - Terzo Capitolo - ***
Capitolo 5: *** - Quarto Capitolo - ***
Capitolo 6: *** - Quinto Capitolo - ***
Capitolo 7: *** - Sesto Capitolo - ***
Capitolo 8: *** - Settimo Capitolo - ***
Capitolo 9: *** - Ottavo Capitolo - ***
Capitolo 10: *** - Nono Capitolo - ***
Capitolo 11: *** - Decimo Capitolo - ***
Capitolo 12: *** - Undicesimo Capitolo 1ma Parte - ***
Capitolo 13: *** - Undicesimo Capitolo 2nda Parte - ***
Capitolo 14: *** - Dodicesimo Capitolo - ***
Capitolo 15: *** - Tredicesimo Capitolo - ***
Capitolo 16: *** - Quattordicesimo Capitolo - ***
Capitolo 17: *** - Quindicesimo Capitolo - ***
Capitolo 18: *** - Sedicesimo Capitolo - ***
Capitolo 19: *** - Diciassettesimo Capitolo - ***
Capitolo 20: *** - Diciottesimo Capitolo - ***
Capitolo 21: *** - Diciannovesimo Capitolo - ***
Capitolo 22: *** - Ventesimo Capitolo - ***
Capitolo 23: *** - Ventunesimo Capitolo - ***
Capitolo 24: *** - Ventiduesimo Capitolo - ***
Capitolo 25: *** - Ventitreesimo Capitolo - ***



Capitolo 1
*** - Prologo - ***


Prologo

 

 

 

Scrollandosi l’acqua piovana dall’impermeabile, l’uomo rientrò in quella che per qualche mese era diventata la sua umile casa: un vecchio casale abbandonato, quasi al limite della distruzione per pericolo di cedimento ma abbastanza nascosto affinché nessuno potesse pensare che qualcuno vi abitasse. Era una sistemazione ridicola, di questo ne era perfettamente a conoscenza considerato che, con il suo patrimonio, avrebbe potuto permettersi qualcosa di meglio; ma, per adesso, ciò faceva al suo caso.
Si ritirò nelle uniche stanze ancora utilizzabili, le quali si trovavano nel lato ovest ed al piano superiore, appoggiando distrattamente la giacca sulla prima sedia che incontrò; dopo di che si sedette sul divano che occupava quasi interamente il centro della stanza. Amava le comodità, poter dimostrare attraverso semplici oggetti le sue reali condizioni per mettere in soggezione i propri interlocutori: quel divano gli era costato più di uno stipendio mensile di un semplice impiegato e ne andava fiero, tenendo conto che, in passato, per molto tempo si era dovuto accontentare di trascorrere le ore su una brandina mezza rotta.
Accese la televisione, come sempre sintonizzata su un canale musicale: le note di una famosa canzone incominciarono a risuonare nella stanza, attirando immediatamente la sua attenzione.

 


 You are my fire
The one desire
Believe when I say
I want it that way

 

 

Quella voce, chiara, pulita ed angelica lo aveva tormentato negli ultimi anni, dolci incubi di un passato che ora voleva far ritornare a galla.
Si sdraiò completamente sul divano, togliendosi le scarpe infangate e lasciando che le immagini del video musicale lo ipnotizzassero.
Dieci anni.
Erano trascorsi esattamente centoventi mesi dall’ultima volta che lo aveva visto ed a quell’epoca il biondino che stava osservando era solamente un ragazzino, capelli a spazzola e quell’azzurro negli occhi simile al cielo della Florida. Si ricordava ancora che cosa indossava, una maglietta del Kentucky Team, la sua squadra preferita a basket, ed un semplice paio di pantaloni lunghi fino alle ginocchia.  
Prima che potesse immergersi completamente nei ricordi, lo squillo del cellulare lo ridestò.
“Sono arrivati in città.” Esordì l’interlocutore, sapendo che non c’erano bisogno di presentazioni. Poche persone fidate conoscevano quel numero.
“Ottimo. Hai scoperto in che albergo risiedono?” Anche l'uomo andò subito al sodo, convenevoli e preamboli non erano mai stati il suo must.
“Sì. Hanno deciso di non dare troppo nell’occhio e ne hanno scelto uno di poche pretese.”
“Si fidano ciecamente della loro sicurezza.” Commentò sarcasticamente. 
“Abbastanza.”
“Che altro hai scoperto?”
“Il mio informatore mi ha detto che stasera usciranno per una serata brava in un locale in periferia. Solitamente lui non segue gli altri quattro quindi potrebbe essere l’ennesimo buco nell’acqua.” Rispose l’uomo, chiedendosi per l’ennesima volta per quale motivo doveva perdere tempo e denaro per un qualcosa che aveva poche probabilità di accadere. Quella storia stava andando avanti da circa un mese, periodo durante il quale non aveva fatto altro che seguire quella band buona solo per le ragazzine ed i loro ormoni in mezza America senza mai concludere nulla.
Lui aveva provato a proporre al suo capo differenti modi per approcciare la sua vittima, d’altronde lui era uno dei migliori in quel campo ma non c’era stato verso di smuovere il proprietario dalla sua idea: il piano che aveva ideato era complesso, richiedeva un’organizzazione perfetta al dettaglio ed un mucchio di denaro per finanziarla. Anche se quest’ultimo elemento sembrava non essere il problema.
“Non importa. Prosegui come d’abitudine. Prima o poi riusciranno a convincerlo, non ci vuole molto. - La voce dall’altra parte del telefono era un tono sicuro di quello che affermava, cosa che non sorprendeva il secondo uomo: per architettare una vendetta così macchinosa, il biondino doveva averla combinata abbastanza grossa. Quasi si sentiva impietosito pensando al giorno in cui sarebbe arrivato al confronto finale. - Non capisco perché ti voglia mettere nei casini. Sono ancora sotto l’occhio mediatico, qualsiasi cosa succeda verrà amplificata in un nano secondo...”
“Non sono affari che ti riguardano. - Lo interruppe immediatamente. - Ti pago profumatamente per lavorare e tenere la bocca chiusa.” E con quell’ultima affermazione, chiuse la telefonata.
Lui voleva solo vendetta, non chiedeva altro che un risarcimento per quei sette anni persi della sua vita. Aveva pagato una colpa che non aveva, sempre che amare una persona si potesse considerare un atto da condannare.
La sua attenzione ritornò verso le immagini patinate della televisione, il primo piano di un ragazzo dai capelli color miele sorrideva ingenuamente alla telecamera. Nonostante tutto, quel sorriso non si era mai spento ed aveva fatto sciogliere orde di ragazzine per tutto il globo terrestre.
Ma questa volta non si sarebbe lasciato travolgere dalle emozioni.
Quel sorriso sarebbe ben presto scomparso ed avrebbe lasciato spazio alla disperazione più totale.
Voleva vendetta e tutti sapevano che la migliore era quella servita fredda.

 

 

 

*********

 

 

 

 

Bene.
Come introduzione, é giusto che sappiate che questa é la mia prima slash ed ancora mi sto chiedendo come e dove abbia trovato l'ispirazione per scriverla *chiude immediatamente i mille link di video riguardanti Frick&Frack* 
Sappiate che, comunque, non mi addentrerò in scene ad alto tasso erotico, é qualcosa che non fa parte del mio essere. 
Ho già pronti i due capitoli seguenti, quindi spero di non lasciarla in sospeso. Anche perché a questa storia ci tengo molto, tenuto conto di tutte le ore di sonno perse a causa delle mie idee (se qualcuno sa come si spegne il cervello durante le ore notturne, é il benvenuto!)
Come ultimo, il prologo (e tutta la storia) é dedicata a Kia85, mia beatreader, compagna di scleri su quei due ed unica recensitrice!
Cinzia

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Capitolo 2
*** - Primo Capitolo - ***


Primo Capitolo

 

 

 

 

 

Pioveva.
Osservava distrattamente le piccole gocce d’acqua cadere dal plumbeo cielo per infrangersi contro la fredda superficie del vetro, lasciando una semplice scia mentre scivolavano poi oltre la sua vista. Un lampo illuminò per qualche secondo la stanza, riportandola poi nell’oscurità mentre il rombo del tuono gli rammentava ancora una volta quanto odiasse i temporali.
Nonostante ne fosse totalmente impaurito, fatto che faceva ridere a crepapelle i suoi amici, ne era anche altamente affascinato: osservare come qualcosa di calmo e tranquillo come la natura potesse trasformarsi in meno di cinque secondi in qualcosa di furioso sembrava avere su di lui un effetto quasi calmante.
La sua anima era inquieta, il demone di un passato che voleva cancellare dalla sua mente si era materializzato davanti ai suoi occhi e gli sorrideva beffardo, ricordandogli quanto ancora avesse potere su di lui.
Sulle sue decisioni.
Sulla sua vita.
La stretta delle mani attorno alla tazza divenne più forte, quasi come se quel semplice gesto potesse dargli la forza per scacciare via le sue nubi.
Tutti lo conoscevano come il ragazzo sempre allegro, senza alcuna preoccupazione dipinta sul volto sorridente o in grado di oscurare quella luce che rendeva ancor più azzurri i suoi occhi; lui, il clown del gruppo, con la battuta sempre pronta ed una risata che riusciva a coinvolgere anche la persona più seria.
Con gli anni aveva imparato a mascherare qualsiasi emozione che non rientrasse nell’etichetta che gli era stata affibbiata il giorno in cui erano apparsi sulle scene musicali. Ed era diventato un così gran esperto da riuscire ad ingannare anche i suoi migliori amici.
“Hey.” Una voce alle sue spalle sembrò riuscire a scacciare via quel fantasma. Voltò lo sguardo ed i suoi occhi riuscirono ad individuare la figura che si stagliava nell’ombra della stanza: i capelli color platino ritagliavano nel nero, gli occhi del suo stesso azzurro risplendevano assieme al sorriso disegnato sul volto ormai adulto.
Nick.
Il suo migliore amico.
Il suo compagno di avventure e di scherzi.
Il suo Frack.
L’uomo che amava.
L’uomo che non avrebbe mai conosciuto la profondità dei suoi sentimenti; il motivo per cui il suo cuore incominciava a battere all’impazzata non appena entrava in una stanza; la causa delle sue notti insonni, trascorse ad osservare quel ragazzo che dormiva beatamente e lottando contro se stesso per non accarezzarlo.
Quante erano state le volte in cui si era trovato sulla punta della lingua le parole “ti amo”, lì pronte ad uscire ma la paura che la loro amicizia ne potesse risultare rovinata lo aveva sempre trattenuto?
In qualche modo, sarebbe stato sempre presente nella sua vita.
Forse non come amante.
Forse non come compagno.
Ma, certamente, essere suo amico risultava essere una scelta migliore rispetto ad essere totalmente un estraneo. 
“Hey.” Rispose a bassa voce, cercando di recuperare una parvenza di controllo.
Nick aveva compreso il motivo per cui Brian si era ritirato nella sua camera e gli aveva lasciato tutto il tempo che gli necessitava: se una cosa aveva imparato non appena aveva conosciuto il ragazzo era che Brian non abbassava mai la guardia in pubblico, anche se questi era composto solamente da Nick. Mostrarsi debole, vulnerabile e fragile non rientrava nell’elenco di cose preferite da Brian.
Si avvicinò lentamente e poi si sedette accanto a lui sul divano, le ginocchia a soli pochi centimetri dai suoi piedi dato che Brian era seduto con le ginocchia strette al petto.
“Siete pronti per uscire?” Chiese Brian, prendendo nota dell’abbigliamento di Nick: jeans stretti neri, maglietta grigia attillata sotto una semplice giacca di pelle. Erano decisamente passati i tempi in cui Howie, A.J. e Kevin uscivano per conto loro lasciando il piccolo Nick nelle cure di Brian; ora era il ragazzo maggiore a rimanere confinato in una camera d’albergo completamente solo, poco avvezzo alle serate di baldorie trascorse in luoghi soffocanti e rumorosi.
“Sì, stiamo aspettando che Howie si decida a staccarsi dallo specchio. Così ho pensato di venire a recuperare il vecchietto.” spiegò Nick, l'inconfondibile sorriso da mattacchione dipinto sul volto.
“Non ci pensare.”
“Oh ma dai! Che cosa ti costa almeno per una sera uscire e divertirti?”
“Chi ti dice che io non mi diverta?” Domandò di rimando brian, il piglio accigliato.
“Oh certo. Tazza di caffè e qualche stupido telefilm in una lingua incomprensibile. Questo sì che è divertente! Quasi quasi rinuncio ad uscire e rimango qui con te.”
“Potresti scoprire un mondo totalmente nuovo. Magari così non rischi di addormentarti davanti ad un microfono.”
“Buona questa. - Commentò Nick, fingendo una fragorosa risata.  - Per favore?” Lo supplicò poi, l’espressione da piccolo cucciolo in cerca di amore . Brian sospirò, sapendo benissimo di non poter controbattere se lui utilizzava quella carta.
“Nick, ho bisogno di dormire.”
“Non è vero.”
“Da quando sai di che cosa ho bisogno?”
“Da sempre. Qualsiasi cosa ti abbia fatto scappare in camera potrà aspettare qualche ora. Hai bisogno di rilassarti e di svagarti.”
“Troppo rumore. Tornerò a casa con un’emicrania.”
“Mi prenderò cura di te.”
“Voglio proprio vedere come, normalmente ti ubriachi tanto da non riconoscere la porta del bagno dal muro.”
“E’ successo solo una volta. Quante volte la devi riportare a galla?”
“Ogni qualvolta tu ti offri di prenderti cura di qualcuno quando non sei nelle condizioni migliori per farlo.”
Nick e Brian si trovavano ormai a pochi centimetri l’uno dall’altro, Brian poteva sentire il caldo respiro del ragazzo e sapeva che le sue difese sarebbero crollate in meno di un secondo.
“Prometto di comportarmi bene.” Gli sussurrò Nick, spostando, con un leggero gesto della mano, un ciuffo di capelli dagli occhi.
“Non promettere ciò che non puoi mantenere.” Rispose Brian con voce roca.
Occhi negli occhi, azzurro che si perdeva in un’altra tonalità ancora più chiara, l’unico suono udibile era il doppio respiro dei ragazzi, persi entrambi nella ragnatela dei loro sentimenti e nel dubbio se fosse giusto avanzare di un passo la loro relazione. In entrambi, la convinzione che l’altro non avrebbe mai ricambiato quel sentimento così profondo e nello stesso tempo così pericoloso.
“Ti ho convinto, allora?” Fu Nick ad interrompere quel momento.
“Forse.” Rispose Brian, alzandosi da quella posizione così compromettente. E non fidandosi del suo auto controllo. Appoggiò la tazza sul comodino, dando le spalle all’amico e riflettendo sul da farsi.
Due erano le opzioni: trascorrere un’altra notte insonne, tormentato dal passato e dal pensiero fisso del suo migliore amico oppure uscire con lui, dimenticare i suoi problemi e forse avere una serata da ricordare nei momenti nostalgici.
“Ho il tempo di farmi una doccia?” Chiese dopo qualche secondo, voltandosi e sorridendo all’amico.
“Certo! Hai tutto il tempo che vuoi, non credo che D abbia già terminato di pettinarsi!” Esclamò estasiato Nick, saltando su in piedi ed iniziando a frugare nella valigia di Brian.
“Che cosa stai facendo, Frack?” Chiese dubbioso Brian, notando come i suoi vestiti perfettamente stirati stessero coprendo tutto il pavimento circostante.
“Ti sto cercando qualcosa di decente da indossare. Almeno per una sera puoi lasciare a casa l’immagine da bravo ragazzo.”
“Perché mi inquieta tutto ciò?”
“Senti, se A.J. avesse deciso di scegliere il tuo abbigliamento, allora sì che ti saresti dovuto spaventare! Con me... qualche dubbio okay ma con ciò che ti porti dietro non è che possa fare miracoli!”
“O disastri!” Esclamò Brian prima di chiudersi dietro le spalle la porta del bagno.

 

 

 

**************

 


“Sogno o son desto? - Esclamò Aj, abbassando le lenti degli occhiali per poter osservare meglio. - Ditemi che non è un sogno oppure un incubo. Forse è un segno dell’apocalisse, Santo Brian che decide di aggiungersi a noi per una serata di baldoria!”
“Molto divertente.” Commentò Brian, lasciando trasparire il nervosismo nel gesto ormai automatico di chiudere l’ultimo bottone della camicia. Prontamente Nick gli scacciò via la mano, dopo aver passato quasi mezz’ora a convincerlo che nessuno avrebbe fatto attenzione alla sua cicatrice.
“No, sul serio. Ti sei anche vestito tutto figo pronto per fare stragi di cuori!” Continuò imperterrito Aj, osservando l’abbigliamento di Brian: pantaloni neri, una semplice maglietta nera sotto una camicia bianca e tra le mani una giacca leggera nera.
"Te l’avevo detto che non andava, Nick, lasciami andare a cambiare...” Cercò di dire Brian, voltandosi di scatto per rifare la strada appena fatta per scendere ma Nick lo prese per un braccio e lo trascinò fuori dall’albergo.

"
Tu non ti cambi. Nel suo strano modo, Aj. voleva dire che sei...”
“Irriconoscibile!” Terminò Howie, scoppiando a ridere mentre tutti e cinque salivano sul piccolo van che gli accompagnava nei loro spostamenti cittadini.
Brian si sedette dietro insieme a Nick, lanciandogli un’occhiata tra il malefico ed il “te lo avevo detto che non era una buona idea.” Ma Nick sembrava fare orecchie da mercante, ignorando completamente ogni sua obiezione.
“Stai calmo. Andiamo a divertirci!”
“Può succedere di tutto.”
“Sei un menagramo lo sai?”
“No, sono realista.”
“Uccellaccio del malaugurio.”
“Obiettivo.”
“Porta sfortuna”
“Previdente.”
“Ammazza divertimento.”
“Quello è Kevin.”
“Hey! Lasciatemi fuori dai vostri battibecchi amorosi!” Esclamò il maggiore dei cinque sentendosi chiamato in causa dal cugino.
“Hai ragione. Scusami.” Ricominciò Nick non appena Kevin ritornò a tenere lo sguardo oltre il finestrino, sapendo benissimo che ora sarebbe incominciata la seconda parte della finta lite.
“Mi hai offeso.”
“Non volevo.”
“Come no. Il fatto che siamo cugini è solo una pura questione di sangue.”
“Lo so, lo so. Perdono?”
“Non lo so... mi hai paragonato a Kevin, è una cosa brutta detta dal proprio migliore amico.” Rispose Brian, cercando di trattenere la risata che gli stava salendo per la gola.
“La smettete di tubare?” Chiese uno spazientito Aj.
“Non stiamo tubando!” Esclamarono all’unisono i due ragazzi.
“Su bambini,  non litigate!” Intervenne Howie, il mediatore ufficiale in ogni conversazione.
La risposta di Brian e Nick non si fece aspettare molto: entrambi rivolsero al latino una pernacchia prima di scoppiare a ridere come dei matti.
Dopo qualche minuto di viaggio arrivarono finalmente al locale dove avevano deciso di trascorrere la serata.
Non era la discoteca più in voga del momento, altrimenti per loro sarebbe stato impossibile riuscire a divertirsi senza essere riconosciuti da schiere di ragazzine in preda agli ormoni. Si trovava in periferia, nella zona nord della città e per dare meno sospetti avevano deciso di viaggiare senza sicurezza, anche se per Kevin era sembrata una mossa un po’ troppo azzardata. Era vero che il tipo di club in cui si stavano dirigendo aveva poco a che fare con la loro musica, quindi sarebbero stati pressoché degli sconosciuti ma non si poteva mai sottovalutare il potere della fama: bastava che qualcuno li riconoscesse, anche per aver visto la loro foto in un poster o in un giornale, ed addio alla loro copertura.
Se già aveva la sensazione che quella non sarebbe stata la sua serata, questa venne amplificata non appena Brian mise piede all’interno del locale: la maggior parte delle persone al suo interno erano di sesso maschile, equamente divisi tra rockettari e metallari mentre le uniche ragazze presenti non erano certo del tipo che avrebbe presentato alla sua famiglia durante il Ringraziamento.

Davanti a lui, Aj sembrava non stare nella pelle mentre il suo lato ribelle veniva alla superficie, finalmente libero di comportarsi come meglio voleva senza avere il timore che potesse venir interpretato in malo modo dalle ragazzine; Howie si era subito buttato nella mischia, riuscendo ad adattare i suoi famosi movimenti di bacino al tempo martellante della musica rock di sottofondo. Nick, al suo fianco, si stava guardando in giro cercando di adocchiare la sua preda serale mentre Kevin lo stava spingendo verso l’aria lounge, alla ricerca di un divanetto dove potersi sedere e rilassarsi. Solo lui poteva riuscire a stare tranquillo in un posto del genere!

“Io vado al bar a prendere qualcosa.” Gli urlò in un orecchio nel vano tentativo di farsi sentire.
Ricevette semplicemente uno sguardo d’assenso, probabilmente Kevin aveva sentito poco o niente di quello che gli aveva gridato e, in tutta sincerità, non gli importava molto che non lo seguisse.
Arrancò tra la folla di corpi che si muovevano, ballavano oppure sembravano essere sul punto di concedere uno spettacolo privato e si sedette sulla prima sedia disponibile.
Ordinò una semplice birra e poi rimase ad osservare la sua immagine riflessa nello specchio davanti a lui. La domanda su che cosa ci facesse lui in quel posto continuava a tornare a galla ma era altrettanto vero che non poteva rifiutare un’uscita con Nick. L’unico neo a quella che poteva essere una serata di divertimento era il fatto che Nick se ne stava appiccicato addosso ad una biondona, con quasi il doppio dei suoi anni e, di certo, con una professione che niente aveva a che fare con l’essere una semplice impiegata.
Lui sapeva che poteva aspirare a molto di più ed a volte avrebbe voluto prenderlo a testate per fargli entrare quell’idea in testa.
Si sentiva un totale fallimento, accettare di uscire sapendo benissimo che non sarebbe mai successo niente e che per Nick, ai suoi occhi, sarebbe stato solamente un amico. Chi poteva prendere in giro?
Nick era famoso per la sua fama da sciupa femmine, ascoltare i suoi racconti perfettamente dettagliati era un incubo per il suo cuore ma che altro poteva fare? La sua amicizia era troppo importante per poter essere distrutta in un nanosecondo da una dichiarazione che l’avrebbe esposto ai suoi demoni.
Non sapeva come avrebbe reagito, quel suo segreto avrebbe sgretolato per sempre l’immagine che Nick si era creato di lui e rimanere da solo era davvero l’unica cosa che non poteva sopportare.
Anni trascorsi nel fare sempre la cosa giusta, a seguire i valori morali di una famiglia radicata nella religione e certi tabù non potevano essere nemmeno portati alla luce, a riflettere sempre prima di agire in modo da non far pagare agli altri le conseguenze delle sue azioni.
Ogni sorso dalla bottiglia lasciava scivolare via una paura: la solitudine, la vergogna, la desolazione, l’abbandono, il desiderio, il proibito. Ma nessun liquore, alcool o qualsiasi altra cosa poteva scacciare dalla sua mente: il viso angelico di Nick.
“Hey, Rok, vacci piano con questa roba che non sei abituato.”
“Bone, per favore, non ho certo bisogno di prediche! Specialmente da te.”
“Ti lascio passare quest’ultima frase solo perché sei mezzo ubriaco.”
“Che cosa vuoi?”
“Evitare che ti ubriachi completamente.”
“Ti prego, non dire che non mi fa bene perché potrei urlare.” Commentò Brian sconsolato e con il viso a pochi centimetri dal bancone. Da quando aveva avuto un pericoloso incontro con il destino, gli altri quattro si erano improvvisamente trasformati in vigili controllori manco fosse un bambino dell’asilo incapace di prendersi cura di se stesso.
Aj si rimangiò immediatamente il discorsetto su come l’alcool, effettivamente, non fosse un ottimo medicinale ma sapeva anche che, detto da lui, poteva sembrare abbastanza da ipocriti.
“Touche. - Disse sedendosi accanto a lui. - Ma sai anche te che queste... - Aggiunse indicando le tre bottiglie vuote - ... non risolveranno i problemi. Dopo la sbronza saranno ancora lì a tormentarmi.”
“Almeno per qualche ora potrò stare tranquillo.”
“Brian, hai quattro persone che sarebbero più che felici che aiutarti. Comprendo e capisco che Kevin sia famiglia, Howie abbastanza preso dal suo nuovo business ed io abbia lasciato che i miei problemi prendessero il sopravvento, ma Nick...”
“Lasciamo perdere, okay? Non ho problemi, volevo solo divertirmi. - Brian si alzò di scatto, aspettando che il mondo attorno a lui smettesse di girare prima di lasciare una copiosa mancia per le birre bevute. - Vado a prendermi una boccata d’aria, sempre se questo è di tuo gradimento.” Aggiunse poi, lasciando il suo posto e facendosi strada verso l’uscita.
Preso com’era dal cercare di non finire addosso alle persone, non fece caso al ragazzo biondo che lo teneva d’occhio. E nemmeno al fatto che, dopo qualche secondi, lo seguì fuori dal locale.
 

********

 

 

 

 

 

 

 

 

Eccomi di nuovo con il primo capitolo! Pensavate che vi lasciavo così, con il fiato sospeso?
Che cosa nasconde Brian? E Nick ricambierà i suoi sentimenti? E chi é il biondino che l'ha seguito? To be continued!
Ringrazio coloro che hanno usato un briciolo del loro tempo per leggere il prologo, se anche volete lasciare una recensione, io non mangio nessuno! Il cannibalismo non é nel mio carattere!
Ad una settimana, spero, con il prossimo aggiornamento!
Cinzia

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Capitolo 3
*** - Secondo Capitolo - ***


Secondo Capitolo




 


 

Finalmente aveva smesso di piovere.
Fu questa la prima cosa che il suo cervello registrò non appena si ritrovò al di fuori del locale. Attorno a lui, gruppetti e coppiette se ne stavano negli angoli a chiacchierare, flirtare e fumarsi qualche sigaretta; qualcuno, decisamente ubriaco, saltellava nelle pozzanghere ridendo come un pazzo.
Brian sorrise pensando che a lui non serviva l’alcool per comportarsi come un perfetto idiota, specialmente se c’era con lui Nick: insieme avevano  messo in atto tanti di quelli scherzi da essere annoverati in molti annali, anche se molte delle loro vittime avrebbero preferito non parteciparvi.
L’aria frizzantina della sera riportò ossigeno al suo cervello, liberandolo dalla tenue nebbia alcolica che l’aveva avvolta: grazie al cielo, sapeva quali erano i suoi limiti e non si era mai spinto al punto da essere completamente distaccato dalla realtà o a trascorrere la metà della nottata accanto al wc rimettendo l’anima.
No, per lui era solo un modo per mettere in pausa la mente, un rifugio dai problemi e dai troppi pensieri, una specie di lido paradisiaco dove niente poteva tormentarlo.
E sapeva che Aj aveva ragione, l’indomani tutto ciò da cui stava scappando sarebbe ritornato al suo posto.
“Ehi, biondino, hai da accendere?” Brian si voltò solo dopo qualche minuto, quando finalmente la sua mente registrò che la domanda era stata rivolta direttamente a lui.
Era un ragazzo, forse più giovane di lui ma non ne poteva essere certo visto che l’unica cosa che riusciva a mettere fuoco era il biondo platino dei suoi capelli. Un ridicolo scherzo del destino, visto che la fonte dei suoi problemi era esattamente un ragazzo biondo.
Un pensiero incominciò a farsi strada nella mente, forse poteva lasciarsi tutto alle spalle per una notte facendo finta che le braccia di quel ragazzo fossero in realtà quelle di Nick; lo scacciò immediatamente, scrollando la testa come se quel gesto potesse finalizzare quel pensiero. Era disperato, vero, ma non sarebbe mai arrivato ad usare un perfetto estraneo per la salvezza della sua sanità mentale.
“Mi spiace. - Rispose educatamente Brian. - Non fumo.”
“Sei qui da solo?” Il ragazzo continuò a far conversazione, uscendo un poco dall’ombra in cui se ne stava nascosto in modo da riuscire ad afferrare il suo braccio.
“I miei amici sono ancora dentro. Ed ora credo che rientrerò anch’io.” Rispose Brian, cercando di liberarsi dalla stretta sul suo polso. Ci riuscì ed iniziò ad aumentare il passo, in modo da allontanarsi il più possibile da una situazione che poteva trasformarsi solamente in un disastro completo.
“Sai, sei proprio carino. - Commentò il ragazzo, velocizzando anche lui la sua andatura e riuscendo a riafferrare il polso di Brian. - Ed è regola che il più carino di questo locale sia destinato a me.” Non fu il tono arrogante con cui pronunciò quella frase o il sorriso beffardo in cui si erano curvate le sue labbra al fine delle parole a raggelargli il sangue nelle vene, paralizzandolo nella posizione in cui si trovava. No, non era stato tutto ciò ma lo sguardo, un’espressione negli occhi colmi di cattiveria e di determinazione, che riportava a galla solamente incubi.
“Non sono il tipo che cerchi.” Brian cercò di uscire da quella situazione ma la stretta attorno al suo polso si fece più forte, facendogli capire immediatamente che non avrebbe accettato un no come risposta.   
“Quanta fretta... Perché non ce ne andiamo in qualche posto isolato, dove poterci conoscere meglio?” Aggiunse poi il ragazzo mentre, facendo leva sulla stretta, incominciava a spingerlo in un vincolo proprio dietro il locale.
“Lasciami!” Urlò Brian ma si ritrovò sbattuto contro il muro, il colpo ricevuto alla schiena gli mozzò il fiato rendendolo quasi inerme nel difendersi contro il suo aggressore. “Per favore...” cercò di dire ma le sue proteste vennero presto rese mute dalle labbra premute con forza contro le sue mentre sentiva le sue mani incominciare a slacciargli i bottoni della camicia.
Invano, con la mano non tenuta prigioniera, Brian aveva cercato di allontanare il ragazzo il più lontano possibile dal suo corpo ma era più forte di lui. I suoi tentativi, però, avevano comunque ottenuto un risultato, quello di far arrabbiare ancora di più il suo aggressore: le dita della mano che tenevano fermo il suo viso sembravano ormai quasi penetrare nella sua pelle, il suo polso era ormai sul punto di spezzarsi dalla presa con cui veniva stretto e sapeva che l’indomani lividi vari sarebbero apparsi sul suo corpo.
Le labbra del suo aggressore lasciarono momentaneamente le sue e si spostarono più in basso, verso il collo, lasciando una striscia di saliva lungo la pelle. Brian cercò di urlare ma la sua voce si bloccò a mezza gola non appena la sua mente comprese che non aveva via di scampo.
Doveva lottare, non poteva farsi aggredire in quel modo senza ribattere. Incominciò a muovere la testa in modo da allentare la presa ma ciò non fece altro che peggiorare la situazione, costringendo il suo aggressore a sbattergliela contro il muro, lasciandolo quasi mezzo stordito. Ed inerme nel reagire al proseguire delle mani dell'aggressore oltre alla camicia, giungendo ai bottoni ed alla cerniera dei suoi pantaloni.
Brian incominciò a fare l’unica cosa che potesse veramente aiutarlo, ovvero pregare mentre silenziose lacrime gli rigavano il volto, la sua mente che cercava di sfuggire dalla realtà di quel momento: non poteva succedere una seconda volta, non era più un ragazzino indifeso.
“No... ti prego... lasciami andare...” Continuava a mormorare con voce ormai roca, privo di qualsiasi energia per anche solamente alzare il tono.
Improvvisamente, sentì il peso opprimente sollevarsi dal suo corpo e si lasciò scivolare a terra, allontanandosi prima che qualcuno potesse riprenderlo. Si strinse le ginocchia al petto e vi nascose la testa, cercando di difendere se stesso dal mondo attorno. In sottofondo sentiva delle urla, una voce conosciuta che lo stava difendendo, allontanando il pericolo da lui.
“Brian??”
Come aveva fatto a conoscere il suo nomignolo? Il panico incominciò a prendere sempre di più il controllo, una voce dentro di lui continuava a ripetergli che nessuno sarebbe venuto in suo soccorso ma la mano che ora si era appoggiata sulla sua era calma in confronto alla stretta frenetica e possessiva.
“Bri, sono io. Aj.”
Al sentire pronunciare quel nome, i suoi occhi si aprirono di scatto e, nonostante la vista annebbiata dalle lacrime ed a causa del buio, riuscì a mettere a fuoco il viso dell’amico. Era lui, indubbiamente: chi altri poteva andarsene in giro con metà capelli blu elettrico e l’altra nero corvino? O chi altri indossava un paio di occhiali da sole in piena notte?
 “Alex? - Era più che un sussurro ma il breve cenno di assenso che ricevette gli fece capire che il ragazzo lo aveva sentito. - Voglio andare via.” Pronunciò poi prima che il groppo in gola gli impedisse di parlare. Non voleva crollare così, non in mezzo alla strada dove chiunque poteva vederlo.
“Sì, ora ce ne andiamo.” Lo confortò Aj, sapendo che doveva rimanere tranquillo mentre in realtà voleva solamente continuare a picchiare quel figlio di puttana. Che, da codardo e vigliacco quale era, era scappato non appena aveva voltato lo sguardo per accertarsi delle condizioni del suo amico.
Aj si sedette accanto a lui, non badando al fatto che il cemento fosse bagnato o su che cosa si stava sedendo, e, mentre stringeva il ragazzo in un abbraccio, recuperò dalla tasca il suo telefonino. Digitò velocemente il primo numero che gli venne in mente, ovvero quello di Nick e sperò che riuscisse a sentirlo in mezzo al baccano.
“Nick, recupera gli altri due e venite fuori.” Urlò non appena Nick rispose al telefono.
“Cosa?-  Il suono potente dei bassi impediva una perfetta comprensione di quello che gli stava dicendo per cui Nick si spostò verso una zona più tranquilla. - Ora ti sento. Ripeti.”
“Ho detto: recupera Howie e Kevin e venite fuori.” Ripeté Aj, l’altra mano che accarezzava lentamente la schiena di Brian in un vano tentativo di confortarlo.
“Che cosa è successo? Hai fatto a botte con qualcuno?”
“Sì ma... per proteggere Brian.”
“Oh cristo santo! Li recupero subito! Sta bene?”
“Non lo so. - Rispose onestamente. Era certo di aver scongiurato che gli facesse veramente del male ma non sapeva che cosa gli aveva fatto nei momenti precedenti al suo arrivo. - Sbrigati.” Disse poi semplicemente chiudendo la telefonata.
Dopo nemmeno due minuti dalla telefonata, sentì il rumore di passi concitati avvicinarsi sempre di più mischiati al suono di voci preoccupate.
“Non ti ha detto nient’altro?” La voce era quella di Howie.
“No.”
“Nemmeno quello che è successo?” La seconda era quella di Kevin.
“Ancora no. Ha solo detto che si trovava dietro l’angolo.” L’ultima era quella di Nick. Aj si alzò, sostenendo per buona parte il peso di Brian ed incontrò a metà strada i ragazzi.
“Alex!” esclamarono all’unisono i tre ragazzi, Nick il più veloce a raggiungerli. Ma poi si dovette fermarsi di colpo non appena i due ragazzi uscirono dal cono d’ombra.
“Oh santa madonna.” Si lasciò sfuggire quando i suoi occhi incontrarono la figura tremante di Brian e poté giurare di aver sentito il suo cuore bloccarsi per un lungo ed infinito minuto. I ciuffi scompigliati nascondevano buona parte del suo viso ma non potevano far sparire il livido che si stava formando sul suo mento. Si avvicinò lentamente, non volendo spaventare più di quanto lo fosse già. “Frick?”
Brian si ritrovò ben presto stretto in altre braccia ed il primo istinto fu quello di scappare via ma la voce che gli parlava non era quella di un estraneo. “N...Nick?” chiese con lo stesso tono di un bambino impaurito.
“Sì.” Rispose semplicemente, incerto su che cosa fare o dire.
La risposta di Brian non si fece attendere, si gettò completamente tra le sue braccia, non importandosi di come poteva essere letto quel comportamento. Nick non rispose né pronunciò alcuna parola di conforto, semplicemente strinse forte le braccia attorno alla vita del ragazzo maggiore, sperando che almeno per quel momento potesse essere abbastanza.
“Qualcuno... - Incominciò a dire Kevin, lo sguardo sempre rivolto al cugino mentre cercava di valutare le sue condizioni, ma la domanda era indirizzata ad Aj “... può spiegare che cosa è successo?”
 “Ti basta sapere che ho impedito che succedesse qualcosa di veramente spiacevole.” Rispose Aj, del tutto convinto che quel discorso lo si sarebbe potuto affrontare in seguito, quando Brian non poteva riascoltare e rivivere quello che gli era capitato.
Kevin annuì, avendo intuito quello che aveva in mente l’amico, mentre tutti insieme si dirigevano verso il luogo dove avevano lasciato parcheggiato il van. La sua mente stava viaggiando rapidamente a quello che dovevano fare, a come comportarsi, cercando di bloccare l’unico pensiero sul quale continuava a fermarsi.
“Stavolta è differente.” Continuava a ripetersi ma era una magra consolazione. Ancora una volta aveva fallito nel proteggere suo cugino e poteva solamente ringraziare Dio che qualcuno era intervenuto prima che fosse tardi.
Prima che tutto si ripetesse una seconda volta.

 

 

*******

 

 

Il ragazzo biondo era riuscito a sfuggire all’attacco di Aj, corso a salvare il suo amico, nascondendosi in un piccolo vicolo non lontano dal luogo dell’aggressione. Controllò velocemente le sue ferite, grato del fatto che nessuna sembrasse veramente grave da richiedere l’utilizzo di un dottore, il che era ovviamente fuori questione: avrebbe di sicuro fatto domande a cui le sue risposte non potevano non destare sospetto. E poi, non rientrava nel piano.
Piano che non era riuscito totalmente a portare a compimento ma sperò che il suo capo non facesse storie.
Mentre aspettava l’arrivo del suo complice, ripensò al ragazzo che aveva appena aggredito: gli dispiaceva che fossero stati interrotti sul più bello perché, doveva proprio ammetterlo, quel ragazzo era davvero un bel tipo. Quegli occhi azzurri così intensi e cristallini, il biondo quasi miele dei capelli, con quei riccioli alla base della nuca così invitanti che aveva dovuto combattere contro se stesso per non strapparne uno da tenere sempre con sé. E poi, fisicamente, non era messo male nonostante non fosse altissimo. Sì, avrebbe decisamente voluto continuare ciò che era stato interrotto.
I suoi pensieri vennero interrotti dall’arrivo, mezzo trafelato, del suo complice.
“Io sono sempre convinto che dovremmo noi spedire queste foto e prenderci il compenso.” Annunciò il tizio, mostrandogli orgoglioso la sua macchina fotografica.
“Non giochiamo con il fuoco. Sono d’accordo con te ma la persona che ci paga non è certo il tipo con cui scherzare.” Rispose il biondino, prendendo la fotocamera ed osservando estasiato le foto fatte. Si appuntò mentalmente di chiedere una copia di quelle immagini.
Dopo di che, estrasse dalla tasca dei pantaloni un piccolo cellulare. Digitò velocemente un numero.
“Prima parte completata.” Annunciò non appena l’interlocutore rispose. Fu tutto quello che disse prima di uscire dal vicolo e dirigersi verso la macchina.
Lui aveva terminato ma era curioso ed impaziente di vedere gli sviluppi di quella storia.

 

 

******

 

 

 

 

 

 

 

 

Avevo sperato di riuscire a completare tutto il capitolo come lo avevo in mente ma, essendo ancora oggi arenata, ho deciso di suddividerlo in due parti. Anche perché settimana prossima non ci sarà nessun aggiornamento, tenuto conto che mi troverò in terra spagnola! 
Questa parte é stata abbastanza difficile da descrivere, specialmente la scena dell'aggressione... povero Bri, cosa gli combino! Meglio che non legga mai le mie fanfiction...
Ringrazio come sempre la mia commentatrice ufficiale, ovvero Kia85: mh, ovvio che Nick ricambia! Altrimenti questa storia diventerebbe un Arok invece che una Frick&Frack! 
Ringrazio anche tutti coloro che leggono senza lasciare un commento, anche se sarebbe molto gradito visto che i giudizi, sia positivi sia negativo, mi aiuterebbero a migliorarmi!
Prossimo aggiornamento: fra due settimane!
Cinzia

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Capitolo 4
*** - Terzo Capitolo - ***


Terzo Capitolo

 

Brian si svegliò di soprassalto, il cuore che gli batteva all’impazzata contro il petto e respirando con veloci respiri. Per un lungo momento non riuscì a capire dove si trovasse, tanto era l’oscurità attorno ai suoi occhi e le uniche immagini che riusciva a captare erano scene confuse, ombre oscure che lo terrorizzavano più di quanto non lo fosse già.

La voce.

Continuava a sentire nelle sue orecchie la voce, roca dalla libido e dall'eccitazione, dell’uomo che lo aveva aggredito; a percepire una mano stretta attorno alla sua quasi come a tenerlo prigioniera in quella posizione da cui non poteva sfuggire né liberarsi.

La sua mente incominciò ad entrare nel panico, ordinando al suo corpo di allontanarsi immediatamente dalla fonte di pericolo accanto a lui.

Brian incominciò a farlo, rischiando di intrappolarsi le gambe nelle lenzuola nella sua foga di scappare via dal suo aggressore.

Nonostante la stanza fosse oscurata, senza alcuna luce che potesse illuminare il volto dell’uomo, Brian riusciva distintamente a mettere a fuoco il color platino dei capelli.

Come poteva averlo raggiunto? Come poteva averlo seguito fin dentro all’albergo, dentro la sua camera, senza che nessuno se ne fosse accorto?

Dov’era Nick quando aveva bisogno di lui? Glielo aveva promesso, gli aveva assicurato che se gli fosse successo qualcosa si sarebbe preso cura di lui. Ed invece lo stava lasciando alla mercé di colui che lo aveva già ferito, incapace di potersi difendere con le sue stesse forze. 

“Per favore, lasciami andare.” Incominciò a gemere Brian, le lacrime avevano ricominciato a solcargli il viso e tutto quello che desiderava era riuscire a sfuggire da quell’incubo. In qualche modo riuscì a scendere dal letto, ignorando le fitte acute di dolore provenienti dalla botta alla schiena che per qualche ora era stata completamente dimenticata.

Brian si era raggomitolato in un angolo della stanza, le mani a coprirsi il volto mentre continuava a ripetere la solita litania, sperando di poter essere risparmiato almeno per quella volta.

Nick non sapeva davvero che cosa fare, era totalmente inebetito da quello che stava succedendo di fronte ai suoi occhi e senza una spiegazione plausibile e logica.

Durante il tragitto dal locale all’albergo, Brian si era addormentato fra le sue braccia e nessuno dei quattro ragazzi aveva avuto il coraggio di svegliarlo una volta arrivati al parcheggio dell’hotel. Egoisticamente, la consideravano la scelta migliore non sapendo come consolare il loro amico evitando tutte i cliché e le frasi retoriche.

Così Nick lo aveva sollevato e trasportato nella camera d’albergo e, cercando di non svegliarlo, lo aveva appoggiato delicatamente sul letto e poi si era seduto accanto a lui, le loro dita intrecciate come se da quel semplice contatto Brian ne potesse trarre conforto e protezione.

Ed erano poche le volte che ciò era successo perché Brian non si metteva mai nella posizione di dover dipendere da qualcun altro, il suo lato debole e fragile lo rivelava solamente a se stesso, al sicuro da occhi indiscreti nonostante fosse semplicemente circondato dai suoi amici più stretti.

Nick allungò una mano per scostare un semplice ciuffo dalla fronte e Brian, anche incosciente, si ritrasse immediatamente, mormorando qualche parola incomprensibile. “Shh, Frick, sono io.” Gli sussurrò mentre continuò a passargli ritmicamente la mano fra i capelli. Brian sembrò calmarsi non appena udì quel semplice mormorio, rassicurato dal fatto che non fosse un estraneo colui che lo stava toccando.

Per le ore successive Nick non si mosse dalla sua posizione, variando ogni tanto quando sentiva una delle gambe addormentarsi sotto il peso del suo corpo, troppo sveglio per poter anche pensare di addormentarsi mentre accudiva il suo migliore amico: gli aveva promesso che si sarebbe preso cura di lui e non avrebbe infranto la parola data.

All’improvviso, però, Brian si era svegliato di scatto, urlando disperato e Nick fu quasi certo che quel grido avesse di certo svegliato chiunque sul loro piano.

Si alzò dalla sua poltrona e si sedette sul bordo del letto, cercando di avvicinarsi il più possibile all’amico per consolarlo ma questi, con uno scatto improvviso, si allontanò quasi come se il suo tocco fosse infettivo, non smettendo mai, nemmeno per un secondo di urlare.

Ma quello che lo shockava maggiormente era l’espressione sul viso pallido di Brian, un assoluto sguardo di terrore come se si trovasse di fronte al suo peggiore nemico.

E Nick si trovò completamente paralizzato dal senso di inutilità che provava nel vedere il suo migliore amico disperato e bisognoso di aiuto ma incapace nel dargli quello di cui aveva bisogno. 

“NICK!” La porta di ingresso della camera si era spalancata all’improvviso, un cono di luce proveniente dal corridoio illuminava finalmente la stanza ed i passi concitati di Kevin si unirono al suono della sua voce. “Che cosa succede? Ho sentito Brian urlare e...” Kevin non riuscì a terminare la frase perché la scena davanti ai suoi occhi lo lasciò completamente senza parole.

“Io... non ne ho la più pallida idea! Non riesco ad avvicinarmi a lui e continua a mormorare parole senza senso...” rispose un impaurito Nick, cercando di scacciare dal suo corpo la sensazione che il problema, in quel momento, fosse proprio lui.

Kevin lo osservò attentamente, chiedendosi che cosa fosse successo per spaventare Brian fino a ridurlo in quello stato; lo sapeva che non era stata una buona idea lasciarlo da solo con Nick e non perché non si fidasse del ragazzo o perché avesse il pensiero che potesse fargli del male ma semplicemente perché non aveva la più pallida idea di come comportarsi in una situazione del genere.

“Nick, forse è meglio che raggiungi gli altri.” Disse con tono calmo, riportando la sua attenzione verso il cugino: sembrava essersi calmato anche se continuava a singhiozzare ed a tenere il volto nascosto fra le gambe.

“No, no, no!” esclamò Nick. Non voleva andarsene. Non poteva lasciare Brian in quello stato.

“Nick, ascolta. In questo momento non sei di aiuto; non voglio dire che è colpa tua ciò che è successo ma, ora, Brian non è nello stato mentale per rendersi conto della realtà.” Gli disse Kevin, appoggiando le mani sulle spalle di Nick e costringendolo a guardarlo negli occhi. “Appena riesco a calmarlo, ti chiamo, okay?”

Nick annuì con un cenno del capo, mordicchiandosi il labbro inferiore per impedire di lasciare libere le lacrime che stavano minacciando di uscire. “Volevo semplicemente confortarlo.” Disse sospirando.

“Lo so e, credimi, una parte di Brian lo sa.” Lo rassicurò Kevin, prima di accompagnarlo verso la porta ancora spalancata e sulla cui soglia se ne stavano fermi impalati Howie ed A.J., insicuri su come comportarsi. Non avevano mai visto Brian ridotto in quello stato e la cosa li sconvolgeva totalmente.

Kevin aspettò che il trio ritornasse nell’altra camera prima di tornare ad occuparsi di suo cugino.

Gli si avvicinò lentamente, timoroso di spaventarlo maggiormente, e poi si sedette accanto a lui.

“Bri, calmati, è tutto finito.” Gli sussurrò in un orecchio, tenendo sempre una certa distanza per paura di spaventarlo.

“Era qui, Kev, era qui. E voleva finire quello che aveva incominciato.” Incominciò a mormorare Brian tra i singhiozzi, il panico ed il terrore gli impedivano di fare lunghi respiri e Kevin incominciò a preoccuparsi che potesse finire in iperventilazione.

“Bri, no. Non c’era nessuno.” disse in tono fermo e deciso, diminuendo la distanza fra di loro. Ora Kevin si trovava solamente a qualche centimetro da suo cugino.

“Perché non mi credi? L’ho visto con i miei occhi, continuava a toccarmi e... non mi lasciava andare...”

Kevin rimase per qualche secondo interdetto dalla feroce convinzione di Brian.

“Brian, guardami.” Lo intimò, cercando con delicatezza di costringere il ragazzo a guardarlo in faccia. “C’era solo Nick qui con te.” Gli disse con fermezza. Al sentire il nome di Nick, Brian alzò improvvisamente il volto anche se dai suoi occhi, ancora annebbiati da un sottile velo di shock, Kevin comprese che non si era ancora reso conto di quello che era successo, intrappolato nell’incubo da cui sembrava non riuscire a svegliarsi.

“No, ti sbagli... Nick non c’era... non mi ha protetto...”  singhiozzò Brian, fermamente convinto di quello che stava affermando e Kevin non sapeva più che cosa inventarsi per convincerlo del contrario.

“Brian, ti assicuro che il tuo aggressore non c’era in questa stanza. Eri da solo insieme a Nick, molto probabilmente, nella foga dell’incubo, lo hai scambiato per lui ma sei al sicuro. Credimi.”

Brian smise di piangere e, per un lungo momento, guardò sbigottito Kevin mentre le sue parole incominciavano ad acquistare significato una volta arrivate al cervello. Se non c’era stato nessuno nella camera, questo significava che... Brian scosse la testa, cercando con quel gesto di scrollare quel pensiero.

"No... no... Non posso averlo fatto.” Ammise poi al cugino in un tono così dimesso e triste che a Kevin portò solamente altra tristezza, insieme alla più crescente rabbia per chiunque aveva ridotto il ragazzo in quello stato.

“Non colpevolizzarti. Non lo hai fatto intenzionalmente.” Cercò di rassicurarlo Kevin, passando un braccio attorno alle spalle del ragazzo, soddisfatto anche del solo fatto che non avesse cercato di allontanarsi. Brian appoggiò la testa sulla sua spalla, passandosi velocemente una mano sugli occhi per cancellare parte delle lacrime che continuavano a scendere.

“Mi starà odiando in questo momento.” Ammise dopo qualche secondo di silenzio. “Voleva solo aiutarmi ed io l’ho accusato di essere il mio aggressore.”

“Ehi, tranquillo, non se l’è presa.”

Brian aggrottò le sopracciglia. “Stiamo sempre parlando di Nick, vero? Quando mai non se l’è presa per qualcosa?”

“Beh, spero che sia maturato ed abbia compreso la situazione.” Rifletté Kevin.

“Che cosa mi sta succedendo?” chiese all’improvviso Brian, alzando lo sguardo e con un tono di voce spaventato. “Mi invento cose che non stanno succedendo...”

“Bri, stasera non è stata di certo una serata molto tranquilla per te. Dopo quello che hai passato, è più che normale tutto ciò....”

“... è successo anche... ?” chiese titubante Brian, ben sapendo che Kevin avrebbe capito a che cosa si stava riferendo. Kevin era l’unico che ne era a conoscenza ed era l’unico a cui poter chiedere informazioni tenendo conto che lui aveva completamente bloccato qualsiasi ricordo di quella serata.

“No. Non hai parlato per una settimana ma non sei impazzito tutto ad un tratto.” Rispose Kevin, cercando di buttare la risposta sul ridere.

Brian si avvicinò ancora di più nell’abbraccio di Kevin, cercando conforto nelle forti braccia del cugino anche se l’unica cosa che voleva in quel momento era starsene stretto a Nick. solo lui riusciva a farlo sentire al sicuro, nonostante la situazione di prima gli dicesse totalmente il contrario.

“Ho voglia di bruciare i vestiti che indosso.”

Kevin scoppiò a ridere, sollevato da un lato che Brian si fosse relativamente calmato ma preoccupato dall’altro che fosse solamente un modo per non far vedere quanto fosse ancora destabilizzato da tutta la situazione.

“Non c’è da ridere. Adoro questa maglietta: è la mia preferita.”

“Non è mica quella che ti ha regalato Nick?” chiese Kevin, osservando meglio la maglietta che indossava.

“Esatto.” Rispose semplicemente. “Ma non è solo perché me l’ha regalata lui. E’ la mia preferita semplicemente perché non me l’ha comprata per un compleanno o una celebrazione particolare ma di impulso, l’ha vista e ha pensato che a me sarebbe piaciuto perché era molto da Rok. È stato un bel gesto e...” Brian tralasciò il finale di frase, bloccandosi prima che potesse ammettere con suo cugino il reale significato che aveva per lui quel semplice gesto.

“Non c’è bisogno che la bruci.”

“Non la metterei più, mi ricorderebbe troppo quello che è successo.” Rispose Brian, abbassando lo sguardo verso il pavimento. Kevin si sentì spiazzato, per una volta senza una risposta di conforto pronta e senza una valida motivazione per non fare quel gesto.

“Ci ho pensato molte volte, sai?” gli chiese dopo qualche minuto di silenzio. “Mi ripromettevo che se avessi potuto tornare indietro, avrei reagito. Non mi sarei lasciato trattare come una marionetta, non gli avrei mai permesso di...” Brian si fermò, a distanza di anni era ancora difficile pronunciare quella parola che identificava in modo chiaro e conciso quello che gli era successo. “...farmi del male.” Terminò così la frase, alzando lo sguardo per incontrare quello di Kevin, sul suo volto un debole sorriso cercava di annullare la tristezza nei suoi occhi. “Sono rimasto fermo. Non ho fatto niente, mi sono fatto prendere dal panico. Ho lasciato che mi spingesse in quel vicolo, che mi baciasse... Mio Dio, se Alex non fosse intervenuto...” Brian lasciò morire il finale di frase, lasciandosi poi circondare ancora di più nello stretto abbraccio di Kevin.

“Dimmi che cosa posso fare per aiutarti.” Gli sussurrò in un orecchio Kevin, il cuore stretto in una morsa pur di rivedere il sorriso scanzonato del cugino.

“Qualsiasi cosa?”

“Beh, dipende da quel qualsiasi. Potrei cantarti qualcosa per farti addormentare!”

“Non sono così disperato!” esclamò Brian, ridacchiando in quella che voleva essere una delle sue famose risate ma che ora sembrava solamente una mera copia. Ma Kevin lo considerò un ottimo auspicio per i giorni seguenti.

“Devo chiedere scusa a Nick.” affermò Brian dopo qualche secondo.

“Nick può anche aspettare. Perché non riposi un po’?” rispose Kevin, alzandosi in piedi; allungò poi una mano per aiutare il cugino a fare altrettanto.

“Tutto bene?” gli chiese notando il lieve gemito di dolore che invano Brian aveva cercato di trattenere mentre si alzava. 

“Sì...” rispose Brian, non del tutto sicuro ma non volendo preoccupare ulteriormente suo cugino. A dir la verità, la botta che aveva ricevuto alla schiena faceva così male da costringerlo spesso a mordicchiarsi il labbro interiore per trattenere i gemiti, insieme ad altre varie parti del suo corpo ma fino a quel momento il dolore mentale era stato nettamente superiore a quello fisico, quasi anestetizzandolo completamente. Inoltre, conosceva la mente di suo cugino ed ogni minimo suo malanno o malessere fisico sarebbe coinciso con un attacco di panico al pensiero che potesse essere qualcosa di più grave di quello che era in realtà. Lo avrebbe immediatamente portato al primo ospedale nel raggio di dieci km e una visita ospedaliera era l’ultima cosa che volesse affrontare in quel momento.

Voleva semplicemente andare nell’altra stanza, chiedere scusa a Nick e ritornare a dormire nell’unico posto dove sapeva che niente potesse più spaventarlo.

Lentamente, Brian incominciò ad incamminarsi verso la porta, evitando di dar peso al sospiro di rassegnazione di Kevin.

“Cugino, sai che a volte sai essere più testardo di un mulo?” esclamò Kevin, alzando le braccia in un gesto esasperato.

“Credo sia un vizio di famiglia.” Rispose ironicamente Brian prima di aprire la porta ed incominciando a dirigersi verso la stanza adiacente.

 

********

 

No, non sono stata rapita dalla Spagna ma eccomi qua con il nuovo capitolo. Su cui ci ho lavorato davvero molto e spero che possa piacere.

Il prossimo sarà anche molto più interessante, il confronto tra Brian e Nick: quest'ultimo se la sarà presa oppure cercherà di mettere da parte il suo orgoglio per il bene dell'amico Frick?

@Kia: lo so, a sto povero ragazzo gliene faccio combinare di tutti i colori. Ma per qualche capitolo me ne starò tranquilla. Prometto!

Ringrazio ancora chi legge in fantasmino mode e ricordo che non mangio se lasciate un commento!

Cinzia

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Capitolo 5
*** - Quarto Capitolo - ***


Quarto Capitolo

 

In the end no matter what I do

There’s nowhere, nowhere to go

Nowhere to go but you

 

Un vecchio detto afferma che “tra il dire ed il fare c’è di mezzo il mare”.

In quel momento, Brian aveva appena modificato quel proverbio sostituendo al mare una più azzeccata distesa d’acqua, ovvero l’oceano. Perché ora, trovandosi di fronte alla porta della camera dove si era rifugiato Nick, si sentiva improvvisamente nervoso ed incerto sulla sua decisione di risolvere al più presto il “piccolo” malinteso intercorso fra loro.

Per prima cosa, non aveva la benché minima idea dell’umore in cui si trovava l’amico, e ciò dipendeva da quanto si fosse sentito offeso e ferito dal suo comportamento: se se l’era presa in modo personale, allora non gli avrebbe nemmeno concesso un secondo per spiegarsi, utilizzando la carta del “faccio finta di ignorarti” fino a quando non avesse sbollito la rabbia e non avesse compreso che la sua reazione era stata esagerata; altrimenti, si sarebbe trovato di fronte ad un Nick arrabbiato, il viso rosso dalla rabbia e la tendenza a drammatizzare il confronto con urla e scatti d’ira.

Ed in quella particolare circostanza, Brian era disposto solamente a sopportare di essere ignorato da Nick perché non era nelle condizioni mentali adatte per sentirlo urlare e gridare a meno di cinque metri dal suo viso.

Si passò una mano fra i capelli, notando in quel gesto quanto ancora il suo corpo fosse sotto shock, il tremore non accennava a diminuire e non lo aiutava certamente il fatto che si stesse preoccupando per come Nick lo avesse accolto, sempre ammesso che riuscisse a trovare il coraggio di bussare alla porta.

Forse Kevin aveva ragione, avrebbe dovuto pensare a se stesso e a riposare invece che a Nick ma era altrettanto vero che non sarebbe riuscito a dormire, un miraggio in quel momento, senza averci almeno provato.

Ora o mai più. Si incoraggiò mentalmente mentre bussava con un lieve tocco di mano sulla superficie legnosa della porta.

Dopo qualche secondo, questa si aprì e rivelò la figura di Howie, alquanto sorpreso nel trovarsi di fronte Brian: il ragazzo se ne stava nervosamente in piedi sulla soglia della porta, i capelli scompigliati, gli occhi arrossati dalle lacrime ed i lividi ben visibili in contrasto con il pallore della pelle. Sembrava un bambino impaurito e che si era appena svegliato da un terribile incubo e tutto quello che cercava era conforto.

Howie sentì un sentimento simile alla rabbia incominciare a risvegliarsi nelle sue vene nel vedere un ragazzo forte e sempre sorridente ridotto in quello stato: invidiava A.J. che aveva avuto la possibilità di divertirsi con quella specie di individuo e sperò che almeno gli avesse lasciato evidenti e dolorosi segni.

“Brian!” esclamò Howie, incerto se avvicinarsi ed abbracciarlo oppure se semplicemente rimanere in quella posizione. Ma fu lo stesso Brian a risolvere la questione, abbracciandolo per qualche secondo e traendone conforto; in quel momento sentiva di avere bisogno di tutto l’aiuto possibile.

“Nick è qui da voi?” gli chiese poi, non appena terminarono l’abbraccio.

Howie annuì con un cenno del capo, lasciando aperta la porta in modo da far entrare l’amico.

La stanza era pressoché uguale alla sua, solo molto più incasinata tenendo conto che il suo proprietario era Nick, che ora si trovava seduto su una sedia di fronte alla finestra, il viso appoggiato al vetro e sembrava non essersi accorto della sua presenza.

Bene, aveva deciso di attuare la tattica dell’ignoranza. Era già un punto di partenza perché anche il semplice niente poteva significare qualcosa.

“Ehi Rok, mi fa piacere vederti in piedi!” esclamò A.J., alzandosi dalla poltrona ed avvicinandosi per accogliere l’amico con un abbraccio energico. Nonostante non avesse voluto ammetterlo con gli altri, specialmente con Howie che aveva cercato invano di fargli raccontare che cosa era successo nei minimi dettagli, era ancora sconvolto e impaurito per quello di cui era stato testimone. Sapeva che non sarebbe stato totalmente tranquillo fin quando non avrebbe visto il Brian tutto sorrisi e linguacce, anche se sapeva che sarebbe passato molto tempo prima che ciò accadesse.

“Tutto okay?” aggiunse poi, notando i suoi lenti movimenti. “Come stai?” gli chiese preoccupato.

“Sono stato peggio, sono stato meglio.” Rispose Brian in tono sommesso. “Non preoccupatevi.” Aggiunse dopo qualche secondo

“Hey, noi ci preoccupiamo sempre.” Rispose A.J., sfoderando un genuino sorriso, carico di sincero affetto per l’amico in difficoltà. Brian abbassò lo sguardo, in parte imbarazzato di essere la causa indiretta di tante tribolazioni per quella nottata. Se fosse rimasto nella sua stanza come aveva programmato inizialmente, niente di quello sarebbe successo ed ora tutti se ne sarebbero stati sotto il caldo conforto delle coperte e non sballottati da una stanza all’altra. 

“Potete lasciarci da soli?” chiese poi il ragazzo, incominciando a mangiucchiarsi le unghia, una brutta abitudine che non era mai riuscito a sconfiggere. Era nervoso e i suoi nervi non accennarono a diminuire nemmeno dopo che il suo sguardo si soffermò sulla figura di Nick, il quale non si era mosso nemmeno per un minuto dalla sua posizione.

“Certamente.” Rispose A.J., dando una lieve pacca sulla spalla all’amico ed incontrando l’occhiata di assenso lanciatogliela da Howie che già si trovava vicino alla porta.  

“Alex... grazie.” Sussurrò Brian prima che il ragazzo si allontanasse per uscire dalla stanza. “Non so in che stato sarei se non fosse stato per il tuo intervento. Ti devo la vita.”

“Ehi, non esagerare! Mi fai sembrare un eroe quando ho solamente aiutato un amico in difficoltà. A parti rovesciate, ti saresti comportato nello stesso modo.” Rispose sorridendo A.J. “Però, se proprio vuoi ricompensarmi, un mese di pranzi gratis al McDonald sarebbero davvero graditi!” aggiunse, sperando di poter far sorridere il suo amico.

“Se potessi, ti compreresti un fast food e lo collocheresti nel cortile di casa!” ribatté Brian, sperando che il suo mezzo sorriso potesse placare la preoccupazione degli amici.

“Uhm... sai Rok che mi hai appena dato un’idea? Quasi quasi domani mattina m’informo per sapere se questa cosa è fattibile. “McLeanFood” non suona male, no?”

“E’ orribile, Alex!” esclamò Brian.

“Vorrà dire che impiegherò queste ultime ore di sonno cercando il nome perfetto per il mio McDonald personale!” commentò A.J. e con quell’ultima battuta si congedò insieme a Howie, lasciando completamente soli Brian e Nick e non fu una cosa fatta a cuor leggero. In una situazione normale, nessuno di loro si sarebbe preoccupato a lasciare in una stanza da soli Brian e Nick ma niente di quella sera poteva essere catalogata sotto l’aggettivo normale e Nick era una persona che si lasciava molto spesso controllare dalle sue emozioni, specialmente quelle forti come la rabbia. E Brian, che solitamente era l'unico in grado di sopportare i suoi scatti d'ira e riuscire nell'impresa di farlo ragionare e calmare, era troppo fragile per non lasciarsi condizionare dal suo atteggiamento.

 

* * * * * *

 

Dopo l’uscita di A.J. e Howie, nella stanza cadde un silenzio carico di tensione e di nervosismo.

Nessuno dei due ragazzi si sentiva pronto per fare la prima mossa, entrambi presi dal flusso dei loro pensieri e delle spiegazioni, più o meno logiche e coerenti, che avrebbero potuto dare significato alle loro azioni.

Quando era stata l’ultima volta che si erano trovati impacciati l’uno di fronte all’altro? Si chiedeva Brian, cercando di decifrare quale sua mossa avrebbe potuto palesare all’amico la sua presenza.

Ma non era necessario, giacché Nick si era accorto di lui, il riflesso nel vetro lo aveva aiutato a non estraniarsi da ciò che lo circondava e lo aveva reso spettatore dell’incontro fra Brian ed il suo salvatore.

Uno strano sentimento incominciò a svegliarsi dentro di lui, qualcosa che assomigliava alla gelosia. O forse l’invidia?

Quanto avrebbe voluto essere al posto di A.J., essere l’eroe agli occhi di Brian, vedere la riconoscenza riflettersi nelle azzurre iridi e sapere che, in qualsiasi altra situazione di pericolo, lui sarebbe stata la prima persona a cui si sarebbe rivolto per avere protezione.

Invece no. Lui sarebbe rimasto l’amico che lo aveva convinto ad uscire quando non aveva voglia e poi lo aveva abbandonato per andare a fare il cascamorto con donne di cui non si sarebbe mai ricordato il nome. Come avrebbe potuto Brian fidarsi ancora di lui?

Così era meglio far finta di ignorarlo e sperare che Brian fosse ancora sconvolto per iniziare un discorso incentrato su quello che era successo nella stanza adiacente.

Da quando Howie ed A.J. lo avevano accompagnato nella sua stanza, Nick non aveva fatto altro che pensare e ripensare a quei momenti, nelle orecchie ancora le urla disperate di Brian che lo scongiurava di lasciarlo andare e di non fargli del male. Per quanto avesse cercato di scacciarle dalla sua mente, le immagini del terrore e della paura dipinta sul volto di Brian non lo avevano lasciato nemmeno per un secondo, insieme alla consapevolezza che era lui ciò che aveva causato in Brian quella reazione.

Come poteva Brian aver pensato che lui fosse in grado anche solo fargli del male?

E quindi un’unica domanda continuava a ronzargli per la testa: Perché?

Era stata una reazione involontaria, causata dallo shock, oppure, una parte della mente di Brian credeva che in lui ci fosse un lato violento che potesse esplodere da un momento all’altro?

Nick continuava a riflettere, cercando di capire dove avesse sbagliato, ma sembrava solamente ingarbugliarsi ancora di più nella rete di dubbi e teorie che lui stesso aveva creato nella sua testa.

“Perché sei qui?” domandò Nick a Brian, all’improvviso, senza nemmeno voltarsi o alzare lo sguardo per incontrare il suo tramite il riflesso del vetro.

“Dobbiamo parlare.” Rispose Brian, non accennando neanche un solo passo per diminuire la distanza tra di loro. Per quanto Brian volesse, anzi, avesse bisogno di Nick, nello stesso tempo era ancora troppo impaurito ad avvicinarsi: nella chiara luce delle lampade, la somiglianza fra Nick ed il suo aggressore era ancora più pronunciata, dai lineamenti ancora infantili del viso in contrasto con i primi accenni di barba, allo sguardo profondo degli occhi, entrambi somiglianti al color del mare nei giorni di tempesta fino ad arrivare ai capelli, dello stesso medesimo colore.

Erano state quelle somiglianze a farlo interessare inizialmente allo sconosciuto, così simile alla persona che amava segretamente da molto tempo ed ora... ora l’ironia della sorte voleva che fosse il contrario, in quei splendidi lineamenti rivedeva semplicemente chi era stato sul punto di rovinare, per una seconda volta, la sua vita.

Brian strinse fortemente i pugni, le unghie quasi conficcate nella pelle ed accettando volentieri il dolore che da quel gesto ne derivava: gli serviva come memore a non riaprire vecchi cassetti, sigillati da anni e che non aveva intenzione di affrontare.

“Non c’è niente di cui discutere.” Fu il commento secco di Nick, il tono duro con cui aveva pronunciato quelle parole fece rabbrividire Brian, risvegliandolo dai suoi ricordi.

“Nick... ” lo richiamò Brian dubbioso. Forse doveva semplicemente lasciar correre e rintanarsi nella sua stanza a leccarsi le ferite. Ma si riprese immediatamente, non aveva intenzione di lasciarsi distruggere da un semplice atto di violenza. Il vero Brian avrebbe affrontato duramente l’infantile ostilità di Nick e quello era proprio ciò che avrebbe fatto. “Invece sì. Voglio che tu comprenda perché mi sono comportato in quel modo.”

Tutto quello che Brian ottenne, come risposta, fu un unico sospiro ed una passata di mano fra i capelli; Nick lo faceva sempre quando era nervoso ed in bilico su quello che doveva fare.

Dopo la rabbia, Nick stava di nuovo utilizzando l’ignoranza. Ma almeno questo lo spronava a continuare il suo discorso.

“So che ti ho spaventato, credo che questa sera ti abbia dato più preoccupazioni di quelle che tu mi abbia dato negli ultimi cinque anni, ma non volevo che arrivasse fino a questo punto.” Brian ricominciò a parlare e questa volta non sentì alcuna paura nell’avvicinarsi di qualche metro a Nick. “Quello che è successo prima in quella stanza non è colpa tua. Ma nemmeno mia.”

Nick si risvegliò dal suo stordimento, non capendo che razza di scuse fossero quelle che Brian stava blaterando.

“Non posso scusarmi per un qualcosa che ho fatto o detto in un momento di shock.” Come sempre, sembrava quasi che Brian gli avesse letto nella mente, rispondendo apertamente alla domanda che Nick si era posto senza pronunciarla ad alta voce. “Nick, per l’amor del Cielo, ma credi davvero che io sia in grado di pensare anche solamente per un secondo che tu possa farmi del male in quel modo?” Brian non voleva alzare la voce ma quello sembrava essere l’unico modo per infrangere il muro che Nick aveva alzato.

Silenzio. Sembrava che niente di quello che Brian dicesse riuscisse a provocare una qualche minima reazione nell’espressione facciale di Nick.

“Perché?” sussurrò Nick quasi improvvisamente, nemmeno lui era sicuro di averlo pronunciato ad alta voce oppure se lo aveva ripetuto per l’ennesima volta nella sua mente.

“Ho avuto un incubo, era come se stessi rivivendo quello che era successo. Ed anche se il mio corpo era sveglio, la mia mente era ancora intrappolata nei ricordi e la tua mano stretta attorno alla mia non ha fatto altro che confermare ciò. Era come se l’incubo si fosse trasformato in realtà e lui fosse riuscito a seguirmi fin dentro la camera, per terminare quello che aveva incominciato.” Brian aveva sentito la domanda che Nick aveva solamente sussurrato e lo aveva preso come un segno del fatto che, forse, si stava rendendo conto di quanto infantile fosse il suo comportamento. Ma spiegare a voce alta e ad una seconda persona che non fosse se stesso quei momenti lo stava destabilizzando, quel poco controllo delle sue emozioni che era riuscito a recuperare si stava lentamente sgretolando senza che lui potesse fare niente per raccoglierlo.

“Lui... lui assomigliava a te.” Mormorò Brian con voce tremante, abbassando lo sguardo per timore della reazione di Nick. “Aveva il tuo stesso viso, lo stesso colore di occhi e capelli... ti ho confuso con lui solo per questo motivo ma non intenzionalmente.” Aggiunse poi, finalmente cancellando la distanza fisica fra loro.

Per un lungo momento fu come se il tempo, all’interno di quell’ambiente, si fosse immobilizzato in attesa che uno o l’altro facesse una mossa per creare un contatto fisico.

Nick stava combattendo dentro di sé una lotta tra il continuare a rimanere lì, in quella posizione senza dire o fare niente oppure mandare al diavolo il suo stupido orgoglio e prendere fra le braccia Brian, cercando di rassicurarlo. Ma... c’era quel piccolo pensiero che ora lo stava tormentando e che era diventato più insistente dopo la confessione di Brian: chi gli assicurava che non avrebbe reagito nello stesso modo se si fosse azzardato ad avvicinarsi a lui o, semplicemente, a sfiorare la mano con la sua? Come poteva rimanere lì fermo ad osservare un ragazzo che non avrebbe fatto altro che ricordargli che cosa gli era successo? E se avesse incominciato ad odiarlo per quello? No, Nick non poteva permettere che ciò accadesse, anche se ciò significava dover rinunciare a star vicino a Brian come un migliore amico avrebbe dovuto fare.

Nick si alzò di scatto ed ancora più improvvisamente si sistemò davanti a Brian, il quale, a causa di quel repentino cambiamento nel suo comportamento si ritrasse automaticamente.

Era stata una risposta automatica della mente, l’istinto di difendersi più forte che qualsiasi controllo che la forza di volontà di Brian potesse arginare, ma Nick non lesse tutto ciò in quella reazione; per lui era stata la semplice e chiara conferma di quello che preventivato che potesse succedere.

“Non dire cazzate, Brian! Hai paura di me proprio perché ti ricordo lui!” esclamò Nick, riuscendo in qualche modo a tenere fermo il tono di voce. Ma in qualche modo doveva dar adito alla cocente rabbia che gli faceva brillare gli occhi e, prima che potesse rendersi conto di ciò che stava facendo, le sue mani si stringevano attorno ad un vaso di fiori sistemato sul tavolino. Dopo qualche secondo, il suono di qualcosa che s’infrangeva contro la parete opposta risuonò nella stanza e Nick e Brian rimasero ad osservare i cocci di ceramica volare fino a terminare contro il pavimento.

“Hai paura a starmi vicino! Hai paura che ti possa aggredire! Quindi, ripeto, perché diavolo sei venuto qui?” questa volta il tono di Nick rifletteva il fuoco che lo stava alterando, rendendolo impassibile alla sofferenza ben visibile sul volto di Brian.

“Forse ho sbagliato a venire qui. Pensavo che potessimo ragionare da persone adulte ma vedo che in questa stanza c’è solo un bambino immaturo.” Esclamò irritato Brian, sulla difensiva e completamente spiazzato dal repentino cambiamento in Nick. E sì, in quel momento stava incominciando sul serio ad avere paura di quello che potesse fargli. Ed era per questo che voleva uscire velocemente da lì. Se Nick voleva comportarsi da bastardo, non sarebbe certamente rimasto per soddisfare la sua voglia di sfogarsi su chiunque gli capitasse a tiro. “Per una volta, puoi almeno far finta che non tutto il mondo gira intorno a te?” gli urlò dietro, seccato dal fatto che non riuscisse a vedere un po’ più in là del suo naso ed a capire che in quel momento aveva un disperato bisogno di lui e del suo conforto, non di dover difendersi da una reazione avuta quando non era lucido.

Perché non vedeva quanto fosse vicino a crollare davanti ai suoi occhi?

Brian si voltò ed incominciò a dirigersi verso la porta ma la mano di Nick lo bloccò all’improvviso, stringendo forte il polso fra le sue dita.

“Bri...” lo supplicò Nick, la rabbia di prima improvvisamente scomparsa non appena aveva visto Brian voltargli la schiena per andarsene. Ma non era stato il gesto in sé ad averlo risvegliato ma l’aver visto, per la prima volta da quando Brian aveva messo piede in quella stanza, in che stato fosse ridotto: tremava così tanto che i suoi passi erano incerti, gli occhi lucidi gli suggerivano che Brian fosse sul punto di crollare, nonostante potesse leggergli sul volto quanto cercasse di resistere, non volendo dargli la soddisfazione nell’assistere ad un evento che raramente accadeva.

E fu in quel momento che Nick capì quello che non era riuscito a comprendere per tutto quel tempo: Brian non era venuto da lui per rimediare e pulirsi la coscienza ma semmai perché aveva bisogno di lui, necessitava sapere che non si era arrabbiato con lui per un qualcosa che non aveva potuto prevedere né controllare. Era corso dall’unica persona che poteva farlo sentire sicuro e protetto ed invece Nick aveva semplicemente rigirato il coltello nella ferita, aggiungendo altre pugnalate con le sue parole ed i suoi gesti.

“Nick! Lasciami!” urlò Brian liberandosi dalla stretta e rimanendo ad osservare Nick con gli occhi colmi di paura, il respiro affannoso ed il desiderio di sfuggire da quella stanza. Per due volte si era lasciato sopraffare dalla violenza ma si sarebbe maledetto se avrebbe permesso a se stesso di subirla una terza volta.

“Brian, scusami.” Incominciò a mormore Nick. “Complimenti Nick, se prima non era impaurito da te ora gli hai dato il motivo per esserlo.” Pensò fra sé mentre cercava di avvicinarsi a Brian. Ma il ragazzo continuava ad allontanarsi, spaventato da quelle che potevano essere le motivazioni di Nick per venire vicino a lui.

Sfortunatamente, non poté andare troppo lontano quando la sua schiena entrò in contatto con la superficie dura della parete, andandovi a sbatterci contro proprio nel punto in cui già gli faceva male. Brian si lasciò scivolare fin quando non fu completamente seduto sul pavimento.

“Frick, sono un’idiota, lo ammetto.” Confessò Nick, cercando di avvicinarsi senza spaventarlo. O meglio, senza aumentare la sua paura. “Guardami, Bri, non sono lui, non voglio farti del male.” Continuò a mormorare mentre si sedeva accanto a lui.

Brian alzò il volto nel sentire quelle semplici parole e Nick poté solamente maledirsi per come l’aveva trattato: aveva ragione lui, non importava quanto lui fosse ferito dal semplice accostamento Nick – aggressore, Brian aveva la priorità su qualsiasi altra cosa. Era lui che aveva rischiato di subire una violenza e tutto quello che gli chiedeva era semplicemente conforto, non accuse o urla.

“Mi spiace, Brian.” Per quanto le parole e le scuse ora potessero sembrare solamente banali, era l’unico modo che conosceva per farsi perdonare. “Sono un vero bastardo, egocentrico ed egoista.”

“Avevo bisogno di te.” Furono le prime parole che Brian pronunciò dopo qualche secondo di silenzio.

“Lo so ed io mi sono comportato da perfetto idiota.” Commentò Nick.

“Oserei dire anche uno stronzo.” Aggiunse Brian mentre gli angoli della bocca si curvavano in un debole sorriso. Ricacciando indietro la paura, si avvicinò a Nick fino a quando i loro corpi non si sfiorarono attraverso la stoffa dei vestiti che indossavano. Bastò quel semplice contatto indiretto ad infiammare la pelle di Nick anche se questi non riuscì a spiegarsi per quale motivo la vicinanza di Brian lo mandasse completamente fuori controllo e fremente di maggior vicinanza. Scuotendo la testa come per scacciare via quel pensiero, adducendo come spiegazione il fatto che quella nottata stava rendendo pazzi tutti, Nick aprì semplicemente le braccia, accogliendo nell’abbraccio il corpo di Brian che, finalmente, lasciava uscire tutta la sua agonia.

E, per le ore successive, l’unico suono in quella stanza furono i singhiozzi del ragazzo maggiore mentre il più giovane aumentava la stretta dell’abbraccio, portando conforto ad entrambi.

 

 ***********


*lyrics from “Nowhere to go”, Backstreet Boys, Unbreakable.

Finalmente anche questo capitolo è stato portato a termine! Ci ho lottato un po’, specialmente perché Nick si ostinava a non voler fare ciò che gli dicevo, abbiamo discusso un po’ ma, come vedete, alla fine si è arreso. (*cough* sotto la minaccia di sostituirlo con A.J. *cough*). Ma, tutto bene ciò che finisce bene, sono soddisfatta di come è venuto fuori questo capitolo.

Quindi, miei piccoli fantasmini che leggete, vi sarei grata se lasciaste un piccolo commento perché la piccola scrittrice che vive dentro di me ha bisogno di sapere se ha scritto qualcosa di decente oppure solamente un’insieme di parole messe lì in ordine corretto e logico. ^__^

@kia: questo capitolo, in parte, è merito tuo che mi hai aiutato a tirare fuori le scene dalla mia mente e mi hai spronato a non mollare! E così hai una petizione “anti maltrattamenti” pronta nel cassetto? Beh, per un po’ potrai lasciarcela, a Brian non succederà niente e nemmeno a Nicky!

@sakura: grazie mille! So che non sei molto interessata a questo fandom, né specialmente al pairing, e quindi sono molto più onorata che abbia preso qualche minuto per leggere questa mia pazzia! 

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Capitolo 6
*** - Quinto Capitolo - ***


Quinto Capitolo

 

Il tempo, in quella particolare stanza, sembrava essersi fermato e solo il lento battere delle lancette di un orologio posto sul comodino ne segnava lo scorrere, ricordando ai due occupanti che era ormai notte inoltrata e presto l’alba avrebbe colorato di rosso e d’arancione quelle pareti.

Nick era seduto con la schiena appoggiata contro la parete della stanza, le braccia strette attorno ad un Brian completamente distrutto. Il pianto nel quale si era abbandonato qualche ora prima si era finalmente calmato, a parte per qualche singhiozzo che ogni tanto rompeva il silenzio che aveva avvolto la stanza.

E permetteva a Nick ed alla sua mente di ritornare indietro nel tempo, a tutte quelle volte che era stato lui ad essere consolato invece che il contrario; quella particolare posizione in cui si trovavano in quel momento gli aveva riportato alla mente una notte simile, accaduta ormai sette anni prima, anche se le parti erano invertite: Brian che teneva abbracciato una versione più piccola di Nick, in una minuscola stanza d’albergo in chissà quale parte della Germania. Il loro primo viaggio al di fuori dell’America ed il suo primo senza la madre o il padre al suo fianco, a proteggerlo ed a prendersi cura di lui; di giorno riusciva anche a tenere a freno la malinconia e la nostalgia ma le notti... no, durante quelle ore non riusciva a non pensare di non essere nel caldo conforto del suo letto, i suoi genitori a soli due passi da lui invece che a kilometri e kilometri di distanza. Con anche un oceano di mezzo!

“Sai a cosa sto pensando?” chiese a Brian.

“Sono così stanco che non so nemmeno a che cosa io stia pensando, ergo... no!” scherzò il ragazzo.

“Due indizi: Germania e 1993. Che cosa ti ricordano?”

Brian scoppiò a ridere, gli occhi gli si erano subito illuminati non appena aveva compreso di che cosa Nick stava parlando.

“Oddio, come potrei dimenticarlo? È stato il primo di una lunga serie!” commentò poi, provocando la conseguente risata di Nick, il quale si ritrovò soddisfatto nell’essere riuscito a liberargli la mente dai cattivi pensieri.

“Oltre che la prima ramanzina di un’altrettanto lunga serie!” aggiunse Nick, rievocando nella sua mente quella serata particolare.

Gli altri tre avevano abbandonato il compito di consolare Nick da un bel po’, niente di quello che avevano detto o fatto sembrava essere sufficiente per interrompere la cascata di lacrime; solo Brian, stoicamente e pazientemente, aveva continuato nell’impresa, ormai definita impossibile, di calmare il biondino. E, mentre se ne stavano seduti sul pavimento, Nick piangente fra le sue braccia, il suo viso si era illuminato da un’improvvisa idea: fare uno scherzo a Kevin!

La lista degli scherzi che vedevano come vittima preferita suo cugino maggiore era ricca e variegata, anni di esperienza alle spalle e l’idea di essere partecipe di quel segreto aveva ridestato il ragazzino dal pianto. E così, approfittando di un momento in cui nessuno badava a loro due, si erano nascosti in bagno ed avevano manomesso il boccione della doccia, riempiendolo di caffè solubile per trasformare Kevin in un “mokaccino vivente”, così lo aveva soprannominato Brian mentre spiegava lo scherzo al suo nuovo braccio destro.

Le urla di Kevin si erano sentite per tutto il corridoio e l’occhiata da furia aveva fatto comprendere ai due ragazzi che avevano oltrepassato il limite. Ma quante risate si erano fatti nel frattempo, alla vista di un Kevin con i capelli impregnati di caffè!

“Ti ho mai raccontato il primo scherzo che ho fatto a Kevin?” chiese Brian, il ricordo di quello attuato insieme al suo complice preferito gli aveva fatto ricordare quelli che aveva messo in atto lui da piccolo.

“Non credo ma potrei anche non ricordarmelo!” rispose Nick.

“Credo che fosse qualche settimana dopo il mio ritorno dall’ospedale, mia madre mi teneva ancora bloccato in stanza perché aveva paura che potessi cadere e prendermi qualche altra infezione; Kevin era venuto a trovarmi e mi aveva portato come regalo una scatola di pennarelli, pensando che potessero essere utili nell’ingannare il tempo a letto. Non so per quale motivo ma, mentre io ero pieno d’energie ed attivo, Kevin si addormentò sulla poltrona; io mi annoiavo così...”

“Così cosa? Che gli hai fatto?”

“Ho preso il pennarello nero e ho finalmente unito i due sopraccigli!” rispose Brian, con la conseguente risata di Nick ormai isterica mentre si immaginava la scena.

“Oddio, avrei voluto esserci!”

“Il bello è che non se n’è accorto immediatamente ma solamente dopo che Harry glielo ha fatto notare.” Concluse Brian, cancellando alcune lacrime, questa volta per il troppo ridere, con le mani.

“Solo qualche anno dopo, ho compreso il motivo per cui l’avevi fatto.” Disse dopo poco Nick, ritornando allo scherzo fatto in Germania, il tono abbastanza serio mentre la sua mano non aveva mai smesso per un attimo di accarezzare la schiena di Brian.

“Non sopportavo vederti piangere, Nick; sapevo che avevi nostalgia della tua famiglia, d’altronde eri solamente un ragazzino! Quando sorridi, ti si illumina completamente il volto ed è impossibile non rimanere allegri.” Confessò Brian, il suo sguardo si era fatto quasi sognante ma riuscì a ritornare normale prima che Nick se ne accorgesse. “E poi... Nick, quando sei nervoso o arrabbiato, sei veramente insopportabile!” commentò infine, ricevendo una lieve pacca sulla spalla.

“Non è vero!” si difese Nick.

“Sembri una femminuccia alle prese con il ciclo!” continuò a scherzare Brian, liberandosi un po’ del pesante fardello che sentiva sulle spalle.

“Ma sentitelo! Da che pulpito viene, poi! Parla proprio colui che tratta in malo modo chiunque abbia il coraggio di incrociare la sua strada nei tuoi giorni no!”

“Non è vero!” questa volta fu Brian a doversi difendere.

“Oh... proviamo a chiederlo a Kevin e poi vediamo che cosa risponde.”

Dopo quest’ultima battuta, nella stanza ricadde un tranquillo silenzio, entrambi i ragazzi a proprio agio in quell’intima posizione: Nick non riusciva a spiegarsi come mai sentire il battito regolare di Brian battere contro il suo petto fosse il suono più armonioso ma sentiva che era così che doveva essere, loro due insieme nei momenti più delicati.

“Ho paura a sapere che razza di ore possano essere.” Commentò a voce alta Brian, interrompendo quel momento. Non che volesse terminarlo, anzi, ma stare fra le braccia di Nick era qualcosa che aveva solamente sognato e la paura che potesse essere solo quello, un sogno, non riusciva a far tacere la voce nella sua mente.  

Nick allungò una mano per prendere la sveglia appoggiata sul comodino e si lasciò scappare un gemito di sconforto, vedendo la posizione delle lancette. “Le quattro.” Mormorò, chiedendosi come avrebbero fatto ad essere pimpanti ed attivi per il concerto della sera se non riuscivano ad infilare qualche ora di sonno.

“Argh.” Fu l’unico commento di Brian, avvicinando ancora di più la testa al corpo di Nick, fin quando non trovò la posizione perfetta, nell’incavo fra il suo collo e la spalla.

“Forse è meglio se mettiamo in cantiere qualche ora di sonno, Frick.” commentò Nick, anche se non accennò ad una qualche forma di protesta per quella posizione, il caldo respiro di Brian sul suo collo mandava segnali contrastanti al suo corpo ed al suo cervello: la sua mente cercava di avvisarlo che non era normale stare così tranquilli con un altro uomo fra le braccia ma il suo cuore, invece, con l’aumentare dei suoi battiti, lo rincuorava.

“Io... Nick...” incominciò a balbettare timidamente Brian, pensando che Nick volesse fargli intendere che ora per lui di ritornare nella sua camera. E lui non voleva dirgli esplicitamente che rimanere da solo era l’ultimo dei suoi desideri.

“Che cosa c’è?” chiese preoccupato Nick.

“So che prima... beh... ecco... non è andata a buon fine ma...” rispose nervosamente Brian.

“Mi stai chiedendo se puoi rimanere, non è così?” rispose Nick per lui, avendo compreso dove volesse andare a parare Brian. E non poté nascondere che il modo con cui Brian era arrossito dopo che lui aveva pronunciato il suo desiderio lo aveva intenerito. “Ti avrei seguito in camera, Frick. Non ti lascio da solo.” Aggiunse, non notando come il suo tono s’era abbassato e sembrasse quasi roco.

Brian lasciò libero il respiro che aveva trattenuto in attesa della risposta di Nick.

“Grazie.” Mormorò Brian, alzando il volto per poter incrociare lo sguardo di Nick.

“E di cosa?” rispose Nick.

“Di... non prendermi in giro per il fatto che non voglia star solo.” Rispose Brian, sentendosi infantile per quell’atteggiamento. Infondo, aveva quasi un quarto di secolo sulle spalle ed affrontato momenti ben peggiori, come un’operazione al cuore.

“Ma stai scherzando?” esclamò Nick,

Brian non voleva ammetterlo ma l’idea di ritornare a dormire lo stava impaurendo, nonostante il suo corpo necessitasse di riposare. Era esausto ma temeva che non appena avesse chiuso gli occhi, l’incubo sarebbe ritornato più forte di prima.

“Che cosa c’è adesso, Bri?” chiese Nick preoccupato, l’intima vicinanza gli aveva permesso di prender nota dell’aumento del tremolio nel corpo di Brian.

“Non voglio dormire.” Rispose questi, sentendosi come un bambino di cinque anni. “Ho paura.” Aggiunse poi. “Lui è ancora qui, nella mia mente e... ho paura che se... chiuderò gli occhi, lui sarà lì, pronto a finire quello che ha iniziato...” continuò ansimando mentre il flusso delle lacrime aveva ricominciato a scendergli dagli occhi. Quanto odiava sentirsi così fragile e senza nessun controllo sulle sue emozioni!

“Shh... ci sono qua io... andrà tutto bene ma hai bisogno di dormire.” Nick cercò di rincuorarlo nel migliore dei modi che conosceva.

“Ho paura che possa... succedere di nuovo...” singhiozzò Brian, riferendosi implicitamente all’evento che aveva portato i due amici a confrontarsi solo qualche ora prima.

“Non importa, Bri. Io non me ne vado anche se mi dovessi urlare dietro di tutto e di più.” Lo rincuorò Nick,  cercando di farlo ragionare ma sembrava che niente riuscisse a far breccia in Brian; doveva trovare un modo per calmarlo, sarebbe bastato poco per farlo cadere in un più che meritato sonno.

“Ho trovato!” esclamò Nick. “Che ne dici di un bel bagno caldo con l’aggiunta di tante bolle?”

Brian lo aveva fatto tante volte per lui, specialmente quando si faceva trovare davanti alla sua porta completamente distrutto dopo l’ennesima storia andata male con una ragazza. E che Nick aveva cercato di annegare in fiumi di alcool.

“Non ce n’è bisogno, Nick.” Rispose Brian, rendendosi conto che non solo lui aveva bisogno di dormire ma anche Nick.

“Smettila, okay? Lasciami prendere cura di te.” Gli sussurrò in un orecchio e, per la prima volta in quella serata, il brivido che Brian percepì lungo la sua schiena non era di terrore o di dolore ma gli dava una sensazione molto più calda, quasi confortevole.

Non fidandosi della sua voce, Brian rispose con un semplice cenno del capo. “Ci siamo finalmente intesi.” Commentò infine Nick, sollevando entrambi e, tenendo sempre un braccio attorno alla vita di Brian, lo portò verso il letto. “Tu aspettami qua mentre faccio scendere l’acqua, okay?” disse Nick, allentando la presa di Brian per potersi dirigere verso il bagno. Ma Brian non accennò a lasciarlo andare, negli occhi uno sguardo quasi di paura al pensiero di staccarsi dall’unica sicurezza che aveva in quel momento.

Nick sembrò leggergli negli occhi quel pensiero perché si riavvicinò a lui, la fronte solamente a qualche centimetro di distanza. “Non scappo, tranquillo! D’altronde, siamo troppo in alto perché io possa darmela a gambe saltando dalla finestra!” lo rassicurò Nick, scostando un ciuffo di capelli dagli occhi di Brian e lasciando che le sue dita sfiorassero poi la sua guancia.

Brian sembrò finalmente credere alle sue parole e lasciò la mano di Nick, permettendogli così di allontanarsi per qualche minuto.

Nonostante sapesse che si trovasse solamente a pochi metri da lui, Brian non poté non sentirsi in qualche modo indifeso e cercò di stringersi ancora di più sotto la coperta, sperando di poter nascondere la sua fragilità. Non azzardò nemmeno a chiudere gli occhi, sapendo perfettamente che ad aspettarlo, nell’oscurità, c’erano solo dolore e violenza, agonia e paura.

 

And if you take away the loving arms that surround me

Then I might break down and cry just like a child.

 

Era strano che, proprio in quel momento, quelle parole di una loro vecchia canzone gli fossero tornate in mente ma era esattamente così che si sentiva; le lacrime erano una costante minaccia e gli occhi ormai gli bruciavano per la forza con la quale continuava a ricacciarle indietro. Da quando si era trasformato in una mini copia delle cascate del Niagara? Credeva di aver esaurito qualsiasi fonte di acqua nel crollo di prima ma no, le lacrime erano ancora lì, come se niente fosse successo.

Ma non c’erano solo quelle... c’era anche il freddo che, partendo dal centro, non accennava a diminuire, lanciandoli continui brividi e non accennando a far diminuire il tremore nelle sue membra.

Forse un bagno caldo era l’idea migliore in quel momento.

 

*******

 

“Lo sai che sei un pessimo paziente?” scherzò Nick.

Nick era inginocchiato vicino alla vasca da bagno, il mento appoggiato sui gomiti sul bordo mentre osservava Brian rilassarsi nell’acqua calda, la schiuma e le bolle provvedevano a quella privacy che rendeva meno imbarazzante la situazione in cui si trovavano. 

“Lo diceva anche Leighanne.” Rispose Brian, dopo una veloce risata. “Si lamentava sempre che ero impossibile perché volevo fare tutto da solo.” Brian non notò il veloce lampo che passò negli occhi di Nick al sentire nominare la sua ex-fidanzata: non che non le fosse simpatica, anzi era stata l’unica a far ragionare Brian per quanto riguardava la sua operazione ma... anche se non ne capiva il motivo, sentiva dentro di sé un pizzico di gelosia.

O forse lo confondeva con l’invidia per quello che i due ragazzi avevano avuto e per il fatto che, nonostante ormai le loro strade si fossero divise, non sembravano esserci rancori e rimorsi tra di loro.

“... dovevi sentire le sue urla quando non mi trovava in camera ma fuori in giardino a fare qualche canestro!” Brian aveva continuato a raccontare diversi aneddoti e Nick riuscì solamente a captare l’ultimo, una volta ripresosi dai suoi pensieri.

“Perché non ne sono minimamente sorpreso?” commentò poi, alzando il sopracciglio. “Non mi hai mai raccontato il motivo per cui vi siete lasciati. Io già mi aspettavo le partecipazioni di nozze!”

Brian non rispose immediatamente, intento ad osservare una bolla che era riuscito a prendere in mano senza farla scoppiare. “Un giorno abbiamo capito che stavamo semplicemente sprecando tempo e che era meglio per entrambi rimanere ottimi amici piuttosto che ingarbugliarci in un rapporto che ci avrebbe reso infelici.”

Alzò il volto e Nick poté osservare come nei suoi occhi ci fosse qualcosa che non riusciva a spiegarsi, sembrava malinconia o forse nostalgia di un periodo in cui aveva avuto qualcuno al suo fianco su cui affidarsi. Nick doveva ammettere con se stesso che non sempre era stato il migliore degli amici, troppo spesso la paura di perdere quell’amicizia così importante l’aveva portato a nascondersi ed a non offrire una mano a Brian.

“Per quel che possa valere ora, eravate una bella coppia.” Commentò Nick.

“Grazie.” Rispose Brian, non sapendo esattamente che cosa dire.

“E mi spiace di essermi comportato come un bambino viziato.” Aggiunse Nick. “Ero invidioso ed arrabbiato perché avevo paura che lei prendesse il mio posto.”

“Come mai me lo stai confessando proprio ora?” chiese Brian, stupido da quell’affermazione. Certo, aveva compreso molto tempo prima la motivazione dietro l’improvviso allontanamento del suo migliore amico ma sentirlo ammettere dalla voce di Nick faceva un tutt’altro effetto.

“Mi sembrava il momento adatto.” Rispose Nick scrollando le spalle.

“Il momento del bagno diventa improvvisamente l’angolo delle confessioni.” Commentò Brian. “Vedrai che, quando meno te l’aspetti, anche tu troverai qualcuno che ti possa amare per la bella persona che sei e non per l’immagine da rockstar che i media ti affibbiano sempre.” Aggiunse poi, la sua mano che sfiorava i capelli biondi di Nick per poi terminare sulla pelle liscia della guancia. Nick non fece nessun gesto per allontanare la mano di Brian anzi, involontariamente spinse il viso contro il suo palmo, assaporando il calore che derivava da quel contatto così intimo.

“F...forse è ora che mi alzi, prima che mi trasformi in un prugna raggrinzita!” esclamò imbarazzato Brian, allontanando la mano dal viso di Nick e lasciando lo sguardo puntato sulle bolle che, a pelo d’acqua, terminavano la loro brevissima vita trasformandosi prima in schiuma bianca e poi scomparire nell’acqua.

“H...hai ragione.” Rispose un altrettanto imbarazzato Nick, alzandosi di scatto dalla sua posizione e volgendo le spalle a Brian, sperando in quel modo che non notasse il rossore delle sue guance: sapeva di essere arrossato, percepiva il calore improvviso che esse irradiavano, specialmente quella su cui Brian aveva appoggiato la sua mano. Era una sensazione piacevole, brividi di piacere risalivano su tutto il corpo, portando fremiti e svegliando un sentimento che non pensava di poter provare nei riguardi del suo migliore amico. “Ti aspetto di là.” Aggiunse Nick, uscendo velocemente dal bagno per poter dare a Brian un momento di privacy per alzarsi dalla vasca e rivestirsi. 

Una volta rimasto da solo nel bagno, Brian si maledisse silenziosamente per essersi lasciato trasportare così dalle sue emozioni e sperò che Nick non avesse travisato quel gesto.

Va beh, ora era meglio non perdere tempo a rifletterci sopra visto che il bagno caldo aveva adempito alla sua missione: finalmente tutta la stanchezza, fisica e mentale, era uscita e rendeva anche difficile tenere le palpebre aperte.

Lentamente, Brian si alzò dalla vasca e, dopo aver preso in mano l’asciugamano, incominciò ad asciugarsi, facendo attenzione quando il tessuto spugnoso si avvicinava al punto in cui aveva sbattuto la schiena e che stava evitando accuratamente di osservare nel riflesso dello specchio: non serviva vederlo per sapere che si stava formando un orribile livido dalle sfumature blu - violacee. Se ne sarebbe preoccupato non appena sveglio, tanto Kevin non avrebbe mollato la presa fin quando non si fosse fatto controllare almeno dal dottore che li seguiva in tour.

Quando finì di asciugarsi, raccolse dal pavimento i vestiti che Nick gli aveva recuperato, una semplice maglietta bianca ed un paio di calzoncini. Non c’era dubbio che appartenevano a Nick, tant’è che una volta indossati, Brian si sentì ancora più piccolo di quanto già non fosse e una veloce occhiata allo specchio non fece altro che confermare la sua ipotesi: la maglietta era enorme, quasi ci navigava dentro mentre quelli che in teoria avrebbero dovuto essere dei semplici pantaloncini corti, a lui arrivavano quasi alle ginocchia.

Ora comprendeva perché le fans spesso lo soprannominavano “gnometto”!

Nick, nel frattempo, aspettava nervosamente nell’altra stanza, facendo avanti ed indietro davanti al letto, chiedendosi per quale motivo un semplice gesto sembrava averlo turbato così tanto. Oppure domandarsi perché il suo cuore stava battendo all’impazzata.

La porta del bagno era rimasta leggermente aperta, solamente uno spiraglio ma da quella piccola fessura Nick poteva osservare, nel riflesso dello specchio, il suo amico: le ampie spalle, sulle quali molto spesso aveva appoggiato la testa prima di addormentarsi, le perfette linee della schiena, i cui muscoli risaltavano dietro i movimenti fatti per potersi asciugarsi ed il suo sguardo stava per abbassarsi oltre alla schiena ma, con una presa di controllo rapida, Nick riuscì a volgere lo sguardo nella parte opposta.

Che cosa gli stava succedendo?

Il cuore batteva ancora più forte, aveva la bocca completamente asciutta ed ogni volta che ripensava a quello che aveva appena visto, poteva giurare di sentire mancare un palpito.

“Sono completamente morto!” la voce, finalmente allegra, di Brian lo ridestò da quello stato catatonico in cui Nick sembrava essere caduto e sorrise quando vide l’amico apparire sulla soglia che divideva il bagno dalla camera.

“Te l’avevo detto che un bagno caldo ti avrebbe rilassato.” Commentò Nick mentre aiutava Brian a sdraiarsi sul letto, avendo notato i suoi movimenti lenti ma pensando che fosse solamente a causa della stanchezza.

“Per una volta, hai ragione!” affermò Brian mentre si sistemava alla ricerca della posizione migliore per la sua schiena.

“Guarda che ho delle ottime idee!” ribatté Nick mentre anche lui si sdraiava sul letto.

“Contaci!” scherzò Brian.

“Intanto, ti sei o non ti sei rilassato?”

“E che c’entra questo? Hai azzeccato una volta, può succedere a tutti! Anche Howie ogni tanto ha un’uscita felice prima di ritornare nel suo mondo fatato!”  

“Mi stai paragonando a D?”

“Non ho detto questo!”

“A me è sembrato di sì!”

“Se vuoi, te lo scrivo su un foglio così lo leggi e rileggi fin quando non lo comprendi bene!”

“Ma sentitelo! Io lo coccolo per tutta sera e questo è il modo con cui vengo trattato?” sbottò Nick, incrociando le braccia sul petto scocciato, anche se in realtà era più che sollevato nel sentire Brian partecipare attivamente ai loro finti bisticci.

“Scusa.” Mormorò Brian, avvicinandosi e dando il meglio nella sua imitazione da cucciolo intenerito, il labbro tremolante e gli occhioni spalancati.

“Non funziona.” Commentò Nick.

“Beh, allora dovrò rimediare con un altro metodo...” incominciò a dire Brian prima di iniziare a fargli il solletico.

“Okay... okay... mi arrendo! Ti perdono!” esclamò ansimante Nick, tra una risate e l’altra e con i lacrimoni che gli scendevano dagli occhi socchiusi.

“Grazie Nick.” aggiunse Brian dopo qualche minuto di silenzio mentre Nick riprendeva il fiato.

“Di niente.” Rispose Nick, voltando lo sguardo per osservare Brian al suo fianco, la testa appoggiata sul cuscino.

“Notte...” mormorò Brian, ormai sul punto di addormentarsi.

“Buonanotte Frick.” mormorò Nick, allungandosi per lasciare un veloce bacio sulla fronte di Brian e poi chiudendo anch’egli gli occhi, aspettando che il sonno lo circondasse completamente.

 

*******

 

Il ragazzo si girava e rigirava nel letto, cercando un modo per risvegliarsi da quell’incubo in cui era intrappolato.

Le immagini di quella serata avevano preso vita nella sua mente, costringendolo ad osservare come se fosse un estraneo un film di cui sapeva già il finale.

Ma, nonostante sapesse che era un lieto fine quello che lo aspettava, l’angoscia non accennava a diminuire anzi, era come se fosse una figura vicina a lui, una compagna in quel viaggio.

Era seduto su uno dei tanti divanetti che facevano lato alla pista da ballo, ormai gremita di corpi che si muovevano a tempo di musica, cercando di intavolare un semi discorso con una ragazza che si era avvicinata. Complice il buio o il fatto che fosse appassionata di tutt’altra musica, la ragazza non lo aveva riconosciuto e per lui, in quel momento, era come una boccata d’aria fresca: amava i loro fans ma la maggior parte di questa era composta da ragazzine al di sotto della maggiore età e in piena crisi ormonale. Nel primo caso, sarebbe finito in galera con l’accusa di violenza su minori, nel secondo sarebbe stato lui la vittima di un’aggressione.

Parlare con una ragazza che non conoscesse già tutto di lui era una sensazione così liberatoria che non vi avrebbe mai rinunciato, specialmente in quel periodo che Kristin, la sua fidanzata da secoli ormai, aveva definito “di riflessione”. Ormai lui aveva abbandonato l’idea che sarebbero tornati insieme, quella pausa era solamente un’anticamera della parola fine su quella relazione a cui entrambi avevano dedicato sei anni della loro vita.

Ad ogni modo, stava ancora cercando di  capire come si chiamava quella ragazza quando la sua attenzione venne catturata da un biondino che si stava sbracciando mentre correva verso di lui; ed il biondino in questione era Nick.

“Adesso mi sente. Chissà che cosa ha combinato!” pensò mentre si alzava, scusandosi con la ragazza per l’interruzione e promettendole che sarebbe tornato non appena risolto il problema.

“Spero che sia una questione di vita o di morte.” Kevin lo minacciò non appena lo raggiunse. Nick non perse tempo e, prendendolo per il polso, incominciò a spingerlo verso l’uscita del locale.

“Vuoi dirmi che cosa ti è saltato in mente?” urlò Kevin, non così tanto da farsi sentire dalle persone che li circondavano ma abbastanza per far comprendere al ragazzino che era infastidito dal quel suo comportamento.

“Dobbiamo uscire.” Gli rispose Nick, non accennando a rallentare il passo e continuando a guardarsi in giro alla ricerca di qualcuno.

Lui si bloccò all’improvviso. “Esigo una spiegazione, Nick.” lo minacciò, la sua brusca fermata aveva costretto anche il ragazzo a fermarsi in mezzo alla pista.

“Mi ha chiamato Bone. Mi ha chiesto di recuperarvi e di raggiungerlo fuori.” Spiegò brevemente Nick. “E’ successo qualcosa a Brian.” Aggiunse poi a bassa voce.

Bastarono quelle cinque parole per mandare la sua mente nel più completo panico, mille scenari si stavano formando e nessuno di questi sembrava essere positivo, soprattutto quando si trattava di suo cugino.

Sì, i ragazzi gli avevano già ripetuto mille volte che era troppo protettivo nei suoi confronti e che Brian non era più il bambino fragile con il quale era cresciuto.

Ma loro non sapevano.

Con uno scatto, riprese a correre fin quando non si trovò fuori dal locale e l’aria frizzantina della serata lo colpì in pieno viso.

“Dove hai detto che sono?” chiese a Nick, che si trovava dietro di lui, mentre guardava a destra ed a sinistra nel tentativo di scorgere un ragazzo dai capelli blu.

“Non me l’ha detto!”

“Almeno ha detto che è successo?” continuò a chiedere a Nick.

“NON LO SO!” urlò questi, scocciato da quel terzo grado quando l’unica preoccupazione in mente era scoprire che cosa era successo.

“Li ho trovati!” l’urlo di Howie spezzò la tensione fra lui ed il ragazzo più giovane ed entrambi incominciarono a correre verso l’amico, in piedi all’angolo del locale che conduceva ad un minuscolo vicolo senza uscita.

Ma più Kevin correva verso quel punto, più questo sembrava allontanarsi, fin quando Kevin non si ritrovò in un luogo che non sembrava essere un vicolo, quattro erano le pareti attorno a lui, uno spazio minuscolo che lo rendeva leggermente claustrofobico.

Era una stanza completamente nera, anche se forse il colore era dovuto principalmente dalla mancanza di luce: non c’erano finestre, né spiragli né lampade o candele che potessero provvedere a quel problema.

Un silenzio quasi innaturale circondava quel luogo, tutto quello che riusciva a percepire con l’udito era il battere sempre più forte del suo stesso cuore, sangue e paura pulsavano insieme nelle sue vene e Kevin dovette ordinare ai suoi stessi polmoni di respirare più lentamente, prima di causarsi un attacco di panico.

Fu un sussurro, un bisbiglio... no, un lamento così tenue che per un solo momento pensò di esserselo immaginato, a risvegliare in lui l’ansia. I suoi occhi incominciarono a controllare ogni angolo, sforzandosi per individuare sagome e figure nel buio: da un lato, una serie di attrezzi ed un bancone; alla sua sinistra, un insieme disordinato di pezzi ormai arrugginiti di giostre rotte.

Fu quest’ultimo l’indizio vincente per comprendere dove si trovava: era in uno dei piccoli magazzini distribuiti in tutto il parco dove lavorava (o meglio dire aveva lavorato): Disneyland. Il sogno di ogni bambino, il luogo dove fantasia, sogno e realtà si intrecciavano per regalare un’esperienza indimenticabile a chiunque ne varcasse la soglia.

E poi, davanti a lui, buttato sul pavimento come se fosse una bambola rotta, si stagliava la figura di un ragazzo, i cui lineamenti erano fin troppo familiari.

Con passi lenti, quasi avesse paura di scoprire che quella persona fosse proprio chi pensava che fosse, Kevin si diresse verso il muro.

Ma più osservava il ragazzo e più era convinto della sua identità ed il nodo nel quale il suo stomaco si era attorcigliato sembrava stringersi ancora di più.

Ma era lui, nonostante i capelli biondo miele fossero tutti scompigliati, alcuni ciuffi erano caduti davanti agli occhi, le palpebre socchiuse a nascondere gli occhi azzurri.

La prima cosa che la sua mente registrò fu che c’era troppo sangue, il liquido rossastro era attorno alla figura e la maglietta che copriva il corpo lo stava lentamente assorbendo, trasformando l’azzurro in un malinconico color indaco.

Con dita tremanti, Kevin recuperò il suo cellulare, un congegno elettronico che assomigliava ad un citofono, e poi digitò tre semplici numeri; non sapeva che cosa dire loro quindi pregò l’operatore che rispose alla sua chiamata di mandare al più presto dei soccorritori. Diede loro le coordinate per trovare al primo colpo il piccolo ripostiglio, non togliendo mai lo sguardo dal cugino e dall’impercettibile movimento del suo petto, segno che almeno respirava ancora.

Si inginocchiò accanto a lui, la sua mano trovò immediatamente quella di Brian e le dita si allacciarono a quelle del ragazzo, rabbrividendo nel sentire quanto fredda fosse la sua pelle.

Un singhiozzo, carico di senso di colpa, riuscì a sfuggire dall’argine di controllo che aveva eretto ma non era quello il momento per lasciarsi andare alla disperazione ed al dramma. Ricacciò così indietro le lacrime e si focalizzò solamente sulla figura incosciente del cugino.

Da quanto tempo era rimasto lì, da solo, fin quando il dolore era diventato troppo da sopportare?

Lo immaginò mentre urlava per richiamare l’attenzione di qualcuno, con la consapevolezza che nessuno di sua spontanea volontà sarebbe giunto in quel magazzino disperso all’interno del parco di divertimenti.

“Bri, per favore...” mormorò, spezzando il silenzio e, nonostante lo avesse semplicemente sussurrato, quella flebile preghiera rimbombò nella stanza. “Bri... andiamo... non farmi scherzi...” continuò, scoraggiato nel non avere ricevuto un’immediata risposta, gli sarebbe bastato anche una semplice e flebile parola; cercando di non fargli del male, appoggiò due dita sul collo e con sollievo constatò che il suo cuore batteva ancora: era ancora vivo e questa era la cosa più importante.

Un movimento improvviso riportò la sua attenzione al viso del cugino, giusto in tempo per vedere le palpebre sollevarsi e mostrare i suoi occhi azzurri.

“Bri... non devi preoccuparti, okay? Ho chiamato il 911 e saranno qui a momenti.” Era più una frase che confortava lui piuttosto che il ragazzo ferito, dubitava che potesse sentirlo né tantomeno comprendere quello che gli stava dicendo.

Per qualche minuto, Kevin continuò a mormorare parole e frasi al cugino mentre mentalmente chiedeva l’aiuto di qualche angelo. Un improvviso movimento, forse immaginato o forse solamente sperato, gli bloccò il respiro, aria che tenne dentro di sé anche quando osservò le palpebre di Brian sollevarsi lentamente, rivelandogli uno sguardo che mai avrebbe voluto vedere nei suoi occhi: dolore, sofferenza, paura, angoscia avevano reso il celeste delle iridi un grigio scuro, completamente spento.

“Kevy?” mormorò Brian dopo qualche secondo, anche se la domanda sembrò essere più un sussurro a causa della voce roca.

“Shh... sta calmo. Andrà tutto bene, okay?” continuò Kevin, rilasciando finalmente il respiro che aveva trattenuto fino a quel momento e bloccando Brian che stava cercando di rialzarsi. Il ragazzo richiuse gli occhi e fino a quando Kevin non li rivide aprirsi temette che avesse perso di nuovo conoscenza.

“Kevy... è stato... mi ha...” le parole di Brian sembravano sempre più lontani, Kevin riusciva solo a percepirne alcuni frammenti fino a quando...

… si svegliò di soprassalto, il cuore in petto che batteva furiosamente tanto che, per qualche momento, era l’unico suono che riuscisse a distinguere nella stanza.

Era completamente madido di sudore, le lenzuola erano attaccate al suo corpo come una seconda pelle provocandogli sempre di più un senso di soffocamento.

Erano anni che non aveva più quell’incubo ma, ogni volta che succedeva, non riusciva a sfuggire all’enorme senso di colpa per non essere riuscito a prevenire tutto, oltre al fatto che era stato lui a far conoscere Brian al suo aguzzino.

Incubo.

In realtà, sapeva che non era stato un brutto sogno ma era tutto frutto del suo inconscio, che gli aveva fatto rivivere quello che era successo dieci anni prima; gli avvenimenti della serata avevano risvegliato ricordi ormai assopiti , riportando a galla anche i vecchi sentimenti di colpa e di fallimento.

Si girò su un fianco e l’occhio gli cadde sul suo orologio da polso, appoggiato prima di andare a letto sul comodino: le sue lancette brillavano nel buio, annunciando al suo proprietario che le sei sarebbero giunte in meno di cinque minuti. Kevin si passò una mano fra i capelli, stropicciandosi gli occhi per cancellare gli ultimi rimasugli di sonno e decise di alzarsi, tanto non sarebbe stato capace di riaddormentarsi con tranquillità.

Sapeva che cosa doveva fare per calmare le sue paure, sarebbero bastati anche pochi secondi ma aveva bisogno di rassicurazione, vedere con i propri occhi che il finale di quella serata non aveva niente a che fare con quella giornata ormai passata.

Accese la luce e poi entrò nel piccolo bagno adiacente alla sua stanza e quasi si spaventò quando il suo sguardo incrociò il suo riflesso nello specchio posto sopra il lavandino. Profonde occhiaie gli scavano il volto, aggiungendo altri dieci anni a quelli che già si sentiva sulle spalle, assieme al peso delle responsabilità che si era preso da quando aveva deciso di invitare suo cugino in quella avventura. Non era solo perché era più grande di lui, la distanza fra loro non era così grande come, ad esempio, tra lui e Nick ma Brian era sempre stato il sorvegliato speciale della famiglia, nonostante avesse sempre dimostrato loro di non essere così debole come tutti lo consideravano.

Aprì il rubinetto dell’acqua fredda e se ne gettò qualche spruzzo sulla faccia, sperando di sciacquare via i segni di quella nottata ma sapeva che sarebbe servito a poco: la loro truccatrice quel giorno prima del concerto avrebbe dovuto fare gli straordinari per nascondere alle fans quei segni.

Chiuse il rubinetto, si asciugò le mani nell’asciugamano bianco ma il suo sguardo continuava a rimanere fisso nello specchio, i suoi lineamenti si confondevano con quello dell’unica persona che non avrebbe mai più voluto vedere: capelli castano scuro, occhi smeraldo esattamente come i suoi e le sottili labbra curvate in un ghigno malefico.

In un impeto di rabbia, Kevin sfogò il suo odio e la sua rabbia contro colui che aveva rovinato le loro vite, il rumore sordo del vetro che si spezzava sotto il suo pugno risuonò nel bagno, alcuni frammenti volarono in giro, sfiorandolo senza però lasciare traccia del loro passaggio sulla pelle.

Il dolore si fece subito sentire, lanciando brucianti fitte che partivano dalle nocche e risalivano fin tutto il braccio: Kevin abbassò lo sguardo sul pugno, il sangue scendeva da piccoli tagli in rivoletti finendo nel lavandino e per qualche secondo rimase ipnotizzato da quel rosso prima di riprendere il controllo: lavò la ferita e poi la bendò alla meglio con della carta igienica, avrebbe dovuto aspettare la mattina per chiedere della garza.

Uscì dal bagno e recuperò la chiave passpartout che si faceva sempre consegnare ogni qualvolta si registravano in qualche albergo: a volte, essere il maggiore aveva anche i suoi vantaggi!

Quella seconda chiave era sempre stata utile, in differenti momenti della loro carriera: l’aveva usata le prime volta con Nick, un bambino invece di un ragazzino ma che voleva dimostrare a tutti di essere abbastanza grande per poter dormire da solo, ringraziando però con un sorriso se qualcuno decideva di trascorrere con lui la notte; poi era stato il turno di Brian, nei mesi successivi alla sua operazione al cuore, quando tutti e tre preferivano controllare almeno una ventina di volte se stesse davvero riposando o, nelle peggiori delle loro paure, se il cuore continuasse a battere. Il passpartout si era rivelato utile nel periodo nero di A.J., quando alcool e droga avevano assunto il controllo sul ragazzo ed ogni volta che non rispondeva alle loro chiamate, il brutto pensiero che si fosse fatto male veniva subito alla mente; con Howie l’aveva usata pochissime volte, forse perché lo vedeva come un suo coetaneo, anche se in realtà avevano pochissimi anni di differenza. 

Kevin dedusse che Brian fosse rimasto in camera con Nick ma, giusto per precauzione e per mettersi l’anima in pace, controllò come prima la sua stanza: come immaginato, essa era vuota, le coperte ancora sparse attorno al pavimento esattamente come l’avevano lasciate qualche ora prima.

Richiuse la porta dietro le sue spalle e si diresse verso la camera adiacente: facendo attenzione a non far rumore, per non disturbare nel caso stessero dormendo, entrò nella stanza. Una piccola lampada, appoggiata sul pavimento, era stata lasciata accesa e la luce fioca che emanava gli permetteva di potersi guardare in giro senza sforzare troppo la vista.

Un sorriso gli illuminò il volto quando il suo sguardo si posò sulle due figure sul letto matrimoniale: entrambi stavano dormendo pacificamente e Brian si era accoccolato stretto nell’abbraccio di Nick, la testa appoggiata al petto e le dita della mano destra strette attorno a quelle dell’amico.

Se non avesse saputo che fra di loro ci sarebbe stata sempre e solo una meravigliosa amicizia, Kevin avrebbe incominciato a dubitare di fronte a quella posizione troppo intima ed a pensare che fra i due amici potesse esserci qualcosa di più profondo e di differente.      

 

******

 

 

Ed anche questo capitolo è terminato, mi dispiace solamente di aver fatto aspettare così tanto per questo aggiornamento. Ma, per la prima volta, posso dire di essere pienamente soddisfatta di come è venuto, credo che sia il migliore fino adesso.

Soprattutto la scena di Kevin è un mio piccolo orgoglio, ed è stato proprio lì che mi sono accorta di essere sadica.

Abbiamo avuto un piccolo flash su quello che successe dieci anni prima... chissà cosa centrerà?

Nick sta finalmente capendo che prova qualcosa in più nei confronti di Brian ma quanto ci metterà a rendersene conto e ad ammetterlo non solo con se stesso ma anche, e soprattutto, al soggetto delle sue attenzioni?

La canzone citata è “Like A Child”, dell’album Backstreet’s Back e consiglio vivamente di ascoltare la bellissima versione acustica di “A Night Out”. Da brividi!

 

@kia85: ti avevo promesso la scena della doccia, in realtà è una vasca da bagno ma credo che non faccia molta differenza, vero? Ehhhhh, essere al posto di Nick in quel momento non sarebbe stato male, ho sbavato un pochino mentre descrivevo la scena.

Riguardo al capitolo precedente, la scelta di “Nowhere to go” è stata quasi casuale. O meglio, all’improvviso. Non avevo programmato di inserire quella citazione ma la stavo ascoltando mentre terminavo il capitolo e bum! Era perfetta. “there’s nowhere to go but you”, esattamente quando Brian si rendeva conto che nonostante tutto, l’unica persona che poteva “salvarlo” era proprio Nick.

Come sempre, ringrazio tutte coloro che leggono senza lasciare traccia. Già che perdete qualche minuto del vostro tempo per me é un piccolo traguardo, riusciremo ad avere una seconda recensitrice che non sia la mia fedele Kia?

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Capitolo 7
*** - Sesto Capitolo - ***


Sesto Capitolo


Una caffetteria del centro.

Il cliché, in quasi tutti i film gialli o nei thriller, era che la coppia di criminali si incontrasse in un bar malfamato, possibilmente lontano dalle vie centrali e da probabili testimoni, soprattutto evitando anche le ore di luce.

Invece, l’uomo seduto su una divanetto di stoffa verde, tra le mani una fumante tazza di caffè, osservava distratto dalla finestra file e file di estranei che camminavano sul marciapiede.

Colui che stava aspettando era in ritardo.

E se c’era una cosa che odiava più di qualsiasi altra cosa era dover aspettare. Il che, in realtà, contraddiceva tutto quello che stava facendo, tenendo conto che aveva programmato quella vendetta per un intero anno e sarebbero passati mesi prima che potesse scriverci la parola fine su di essa.  

E, certe volte, era arrivato a tanto così dal gettare in fumo mesi di organizzazione scrupolosa pur di riavere quel ragazzo fra le braccia.

No, non era solo puro desiderio erotico il suo.

Era qualcosa di più profondo, un bisogno quasi primario della sua anima di sentire quella candida pelle sotto le sue mani, le labbra che ne esploravano ogni centimetro e ne marchiavano il suo possesso.

Doveva essere suo, nessun altro avrebbe dovuto avvicinarsi oppure toccarlo.

E presto anche lui l’avrebbe compreso, una volta che si fosse completamente dimenticato quello che era successo dieci anni prima o, che almeno, avesse considerato la sua posizione.

Lui non avrebbe voluto fargli del male, quelle accuse infamanti che gli aveva lanciato addosso erano state solamente delle pure esagerazioni, dettate dalla paura di qualcosa di nuovo e sconosciuto.

L’avevano ferito.

Il suo migliore amico lo aveva tradito, nel modo più subdolo che conoscesse ma chi aveva dovuto pagare le conseguenze era stato lui, rinchiuso in una cella, depredato non solo dell’opportunità di poter rimanere al fianco di quel ragazzo, ma di qualsiasi sogno o desiderio.

Ed una volta uscito... amici li chiamano!

Nessuno si era fatto più sentire, né una lettera, né un messaggio per fargli sentire che gli erano vicini e che gli offrivano il loro conforto. 

E ora... ora avrebbero pagato tutti per quello che gli era successo.

Non sarebbero riusciti a prevedere quello che stava per crollare sopra di loro, solamente all’atto finale del suo piano si sarebbero finalmente accorti di chi aveva manovrato i fili.

“Mi scuso per il ritardo.” Una voce lo riportò indietro dai suoi ricordi e si ritrovò catapultato nella caotica atmosfera dello Starbucks, le chiacchiere delle persone che gli stavano accanto si confondevano con gli ordini urlati dei commessi. Aveva scelto l’ora di punta proprio per quel motivo: il caos ed il rumore avrebbe attutito la loro conversazione, creando attorno a loro una sorta di bolla impermeabile.

L’uomo voltò lo sguardo verso la persona che aveva richiamato la sua attenzione e che ancora stava in piedi, di fronte al tavolino, ad aspettare un suo cenno.

Il potere dei soldi, bastava sventolare davanti qualche bigliettone e potevi avere chiunque ai tuoi piedi, lecchini pronti a soddisfare ogni tua richiesta. Per questo si era affidato al migliore, il prezzo alto dei suoi servigi era dovuto alla serietà ed alla professionalità che metteva nel suo lavoro, non facendo mai domande estranee a quello che era il suo compito.

Non aveva nemmeno battuto ciglio quando gli aveva spiegato qual era il suo piano e si era accontentato della sua motivazione quando gli aveva chiesto per quale motivo voleva fare tutto ciò.

Per riprendermi qualcosa che era mio e che mi è stato tolto ingiustamente.

L’unica perplessità che aveva esposto riguardava chi sarebbe andato a colpire, dover lavorare quando celebrità erano coinvolti complicava enormemente il suo lavoro, specialmente se, almeno all’inizio, i media non avrebbero dovuto essere avvisati.

“Deduco che tu mi abbia portato qualcosa a cui bramo.” Rispose l’uomo, facendo gesto al suo interlocutore di sedersi.

Ryan O’Malley era un uomo alto ma differiva dagli altri colleghi per quanto riguardava l’aspetto fisico: ci si sarebbe aspettato da lui un fisico possente, muscoli che ricoprivano ogni centimetro del corpo ed uno sguardo da duro, di quelli che preferiresti non incontrare di notte in un vicolo buio e cieco. Invece era un uomo dal corpo esile, quasi fin troppo magro e fragile almeno all’apparenza, e i vispi occhi neri osservavano attentamente ciò che lo circondava: conoscere il proprio contesto di lavoro aumentava le possibilità di successo, era questo che il suo maestro gli aveva insegnato e, in tutti quegli anni di onorata carriera, alla voce fallimenti aveva sempre orgogliosamente tracciato un rassicurante zero.

Dalla giacca nera, Ryan estrasse una semplice busta bianca, rigonfia al centro a causa del suo contenuto, che lanciò distrattamente sul tavolino.

“I miei collaboratori si sono dimostrati all’altezza e, dopo aver preso visione delle foto, posso capire alcune delle motivazioni che lo hanno spinto ad architettare tutto ciò.” Esclamò mentre l’uomo di fronte a lui prendeva in mano il pacchetto e lo rigirava attentamente fra le mani, come se stesso maneggiando un oggetto prezioso e di valore estimabile.

In effetti, se quelle immagini potessero essere valutate, il loro prezzo sarebbe stato altissimo. Pensò Ryan.

“Non ne avevo dubbi.” Commentò l’uomo, aprendo con cautela ed estraendo il plico di foto; le ammirò una ad una, captandone ogni semplice dettaglio, le variegate sfumature di terrore dipinte sul volto della vittima in contrasto con l’evidente lussuria ed eccitazione che brillava negli occhi azzurro ghiaccio dell’aggressore. “Avete fatto un ottimo lavoro nello scegliere il ragazzo.” 

“Avevate chiesto un tipo preciso, totalmente somigliante al migliore amico.” Rispose Ryan. “E’ stata comunque una ricerca abbastanza complessa, per quanto metà mondo abbia deciso che Nick Carter sia l’esempio migliore a cui assomigliare. Mancavano tratti e fisionomie che in foto sarebbero apparse lampanti e ciò non era accettabile.”

L’interlocutore, il suo capo, accennò un semplice gesto di assenso, troppo preso nell’osservare la storia che le foto gli stavano raccontando.

Non era stato un caso aver scelto un sosia di Nick Carter, il suo nome non era stato pescato in un’anfora con i nomi degli altri ragazzi e, magari, anche di sconosciuti.

No, la scelta era stata voluta e non era difficile comprenderne il motivo: il legame che univa i due ragazzi era sotto gli occhi di tutti, non servivano certo foto ed articoli per spiegare che cosa univa, apparentemente, quei due caratteri così differenti. Ma lui... lui aveva intravisto qualcosa che lo aveva shockato inizialmente, non pensava che fosse possibile per Brian provare determinati sentimenti; poi era subentrato il tradimento e la gelosia.

Frick e Frack non erano solamente una coppia di amici, quasi fratelli come amavano raccontare in ogni intervista; no, nei loro sguardi, nei loro gesti c’era qualcosa altro, qualcosa che nemmeno loro erano ancora riusciti a comprendere appieno. Vi giravano attorno, un passo in avanti prima di ribattere in ritirata per paura che qualcun altro potesse accorgersi di quei sentimenti, troppo difficile da spiegare ad un mondo che ancora non capiva che non c’era differenza nell’amare un uomo o una donna.

Ma nemmeno loro si erano accorti di quello che provavano l’uno per l’altro, la paura di una delusione o di rovinare quell’amicizia era troppo grande per poter uscire dalla propria ombra.

Era una debolezza che lui avrebbe usato a suo piacimento.

Presto quel dolce sentimento che Brian sentiva per l’amico si sarebbe trasformato nella più cieca delle paure.

“Purtroppo, devo avvisarla che c’è stato un intoppo nel programma.” La voce di Ryan non cambiò nemmeno per un secondo, era suo compito avvisare se qualcosa non era andato secondo i piani ma era anche più che capace di riconoscere se era un semplice contrattempo oppure un vero e proprio fallimento. E, in quel caso, lui optava per la prima opzione.

“Quale?”

“Uno dei suoi compagni, tale Alexander James McLean, è intervenuto ed ha messo fine all’aggressione.”

“Non ha importanza. Non desideravo che andasse fino in fondo. Mi basta questa...” disse l’uomo, indicando con il dito una particolare foto in cui il viso di Brian era stato ripreso in modo quasi subliminale. “espressione per considerare più che soddisfacente il vostro compito.”

Sì, anche quei pochi minuti erano sufficienti per riportare tutto indietro, per fargli comprendere che non avrebbe mai potuto liberarsi di quella loro memoria.

“Procedo con il piano?” domandò Ryan, che da un’altra tasca del giubbotto aveva estratto un piccolo palmare.

“Aspetta un mese prima di inviare le copie.”

“Come mai aspettare?”

“Voglio che si rilassi e che pensi che sia solamente un tragico scherzo del destino, una coincidenza. E, quando meno se l’aspetta, arriverà la batosta che lo farà crollare.” Spiegò il capo, giostrando in una mano due delle fotografie. “Voglio vederlo perdere tutto quello che ha, e non parlo solo del lavoro e della reputazione.”

 

Sì, quando avrebbe toccato il fondo, Brian si sarebbe finalmente reso conto che l’unico che poteva salvarlo era proprio lui.    

 

*********

 

Note dell'Autrice:

Questo é un piccolo capitolo di transizione, per iniziare a comprendere un po' che cosa ci sia attorno a quel misterioso uomo che ho introdotto nel prologo e che per un po' é rimasto nell'ombra. Aveva i suoi motivi per farlo ed ecco una piccola spiegazione! 

Nel prossimo capitolo, ritorneremo dai nostri amati (va beh, io ne amo solo uno! L'altro dipende dal contesto... hihi, tutto dipende dal contesto! Scusate, sclero dovuto agli anni di studi antropologici!) ed inizieremo a vedere se la storia evolve, ovvero se Nick riuscirà a mettere insieme i pezzi del puzzle (e speriamo in modo corretto!).

I know, I know... sono sadica fino al midollo... e pensare che Brian é anche il mio preferito, ergo non oso immaginare che cosa potrei fargli se non lo fosse! 

State in allerta che, forse, tra poco, salterà fuori una mia nuova creatura. E' ancora in fase sperimentale, appena riesco ad elaborare almeno i primi capitoli, potrei farla venire alla luce. Ovviamente, sarà drammatica e, piccolo indizio, ruoterà attorno ad un triangolo! ^__^ 

@Kia85: eh eh eh, ci credi che ho riso per mezz'ora dopo aver letto la min...ehm la cavolata della bolla funzione privacy? Però, magari, che so... in futuro potrei finalmente far scoppiare la bolla ed allora la doccia potrà essere funzionalmente funzionante!! E... potrei rimanere offesa per la sottile frecciatina che mi hai lanciato, ovvero che Kevin mi ispirerebbe di più... NO!!! Rotolo ogni volta che lo vedo però... anche lui é un personaggio molto interessante, e la sua parentela diretta con Brian gioca a suo favore perché mi permette di usarlo in differenti modi. La sua storia, qui, si intreccia molto con quella di Brian e, nei capitoli successivi, si capirà che il loro é un legame molto forte anche a causa di quello che é successo in passato. Ma non posso dirti di più altrimenti rovinerei tutta la suspence della storia.

In ultimo, ringrazio Kia85 che ha inserito la mia storia tra i preferiti, tra le storie seguite e tra quelle da ricordare!! 

Ringrazio anche ArwenBlack che l'ha inserita tra le storie da ricordare!

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Capitolo 8
*** - Settimo Capitolo - ***


Settimo Capitolo

  

Il primo dei tre occupanti nella stanza a svegliarsi fu il maggiore, non appena il sole fu alto abbastanza nel cielo per risplendere in tutta la sua maestosità.

Oltre a quello, anche la posizione non propriamente comoda in cui si era addormentato.

Uno scricchiolio ben udibile eruppe dalla sua schiena nel momento in cui incominciò a stiracchiarsi.

“Sto diventando vecchio.” Mormorò Kevin a bassa voce, mettendosi seduto ed osservando la coppia che ancora dormiva profondamente nel letto.

“Sei più vicino alla trentina che alla ventina.” La voce ancora assonnata di Nick gli disse che solo un mezzo della coppia stava ancora dormendo.

“Molto divertente!” commentò Kevin.

"Che cosa ci fai qui?” chiese Nick mentre cercava di sedersi senza che i suoi movimenti svegliassero Brian. Preferiva farlo dormire, pacificamente come lo era in quel momento, che sveglio ed intento a ricordare ciò che gli era accaduto.

“Mi sono addormentato.”

“Questo l’ho notato.”

“Volevo solo assicurarmi che stesse bene,”

Dopo quella risposta, entrambi rimasero in silenzio.

“Nick...” “Kevin...” dissero entrambi contemporaneamente. Nick abbassò lo sguardo e gli fece segno di continuare.

“Nick, so che non sono affari miei ma...”

“,, vuoi sapere che cosa è successo dopo che Aj ed Howie se ne sono andati?”

Kevin annuì.

“Abbiamo litigato.” Rispose Nick, la sua mano inconsciamente si era appoggiata sulla testa di Brian e ne accarezzava ritmicamente i capelli. “Lo so, non c’è bisogno che tu mi faccia la predica. Mi sono comportato da egoista, pensavo solamente al fatto che mi aveva ferito, non rendendomi conto che quello che stava più soffrendo era lui e non io. E, nonostante quello che stava passando, era lì lo stesso a chiedere scusa e a chiedere il mio aiuto.”

“Nick...”

“Lo so, Brian è fatto così.”

Un altro momento di silenzio, interrotto solamente dal suono tranquillizzante del sonno di Brian, “Doveva essere esausto.” Commentò Kevin, dando voce al filo dei suoi pensieri.

“Non l’ho mai visto piangere così tanto.” Rispose Nick. “Doveva aveva una qualche riserva idrica nascosta da qualche parte.” Cercò di scherzare.

“Nick!”

“Scusa ma pensavo che ci fosse un po’ troppo dramma in questa nostra conversazione!”

“Beh, non è una giornata come le altre.”

“Lo so.” Rispose Nick sbuffando. “Vorrei solo che non fosse successo.” In realtà, Nick non riusciva a spiegarsi come mai una parte di sé fosse felice che fosse accaduto... anche se detto così sembrava una frase delirante. Essere felice che il suo migliore amico fosse stato aggredito, quasi violentato; sì, era una cosa veramente brutta anche solo da pensare ma... Ma tutta quella serata aveva lacerato un velo e lasciato uscire pensieri e sensazioni che non avrebbe mai pensato di contenere dentro di sé. E tutti ruotavano attorno al ragazzo che teneva stretto tra le braccia.

Quel senso di protezione che provava, così atipico visto che solamente erano gli altri, anzi Brian, che si preoccupavano di proteggerlo. Anche ora che aveva vent'anni! 

Quella tristezza che aveva provato nel vederlo piangere mentre lottava per non soccombere alle sue fragilità.

“A chi lo dici.” Rispose Kevin, risvegliandolo dai suoi pensieri. Anche se quelle sue parole, per Kevin, sottintendevano ben altro.  

“Che cosa succede ora?” chiese Nick, cercando di scacciare via certi pensieri e focalizzando la sua attenzione su altre problematiche.

“In che senso?”

“Non sarebbe meglio farlo parlare con qualcuno?”

“Pensi che ne abbia bisogno?”

“Non lo so!” sbottò Nick ed il suo brusco movimento costrinse Brian ad aprire gli occhi ed affrontare la realtà.

“Perché state parlando di me come se io non avessi voce in capitolo?” domandò il ragazzo, alzando il volto e scoprendo che non era frutto della sua fervida immaginazione. Era davvero stretto tra le braccia di Nick, qualcosa che aveva solamente osato sognare nei momenti peggiori.

Si era svegliato quando aveva sentito Nick muoversi per il letto e, continuando a tenere chiusi gli occhi, Brian aveva ascoltato tutta la conversazione, sapendo alla perfezione come far finta di dormire per ingannare gli altri. Era quello l’unico modo per avere un momento per sé, senza sentire costantemente qualcuno chiederti se andava tutto bene o se aveva bisogno di parlare. Peggio era quando le domande incominciava a divergere sul suo stato di salute e se non fosse il caso di vedere un dottore. Andavano da un estremo all’altro: prima lo abbandonavano ed ora, per rifarsi, non lo lasciavano tranquillo nemmeno un momento.

Ma ovviamente preferiva questo secondo comportamento rispetto al primo.

L’unica cosa che non sopportava era quando i ragazzi, capitanati da Kevin, prendevano decisioni per conto suo. Capiva il concerno e l’affetto, e se fosse stato al loro posto si sarebbe comportato esattamente nello stesso modo, ma esserne il diretto soggetto di tutto non lo faceva stare meglio.

Essere trattato come un fragile vaso di cristallo era una delle cose che odiava di più.

“Bri! Pensavamo che stessi dormendo!” esclamò Nick, togliendo le mani dai suoi capelli. 

“Come posso dormire quando voi fate così tanto casino?” sbottò Brian, alzandosi e staccandosi, a malincuore, dalle braccia di Nick.

“Qualcuno si è alzato con il piede sbagliato?” commentò Nick, infastidito da come l’amico si era allontanato da lui non appena sveglio.

L’unica risposta di Brian fu un’occhiataccia prima di rinchiudersi dentro in bagno.

Doveva fare assolutamente una doccia, sentiva ancora l’odore di quel ragazzo sulla sua pelle nonostante non indossasse più i vestiti dell’altra notte. Ricacciò indietro la bile che tentava di salire oltre il suo stomaco ed incominciò a far scendere l’acqua dalla doccia, aspettando che diventasse calda abbastanza per poter scrollarsi via i rimasugli di un incubo che purtroppo era realtà.

 

 

********

 

“Sei un’idiota, lo sai?” commentò acido Kevin; aveva previsto che si sarebbe svegliato in quel modo, arrabbiato e pieno di rancore. Ma come poteva Nick sapere quello a cui stava andando contro? Lui non c'era stato, lui non aveva visto lo stato in cui Brian era ridotto dopo...

Basta! Si rimproverò mentalmente. 

Era passato ed entrambi se lo erano lasciato alle spalle.

Nick voleva tirarsi uno schiaffo non appena le parole gli erano uscite dalla bocca.

“Per quale motivo...”

“Non lo so!” rispose Nick esasperato senza lasciare finire il maggiore.

Kevin si alzò dalla sedia e si avvicinò a Nick, fermo davanti alla porta del bagno da quando Brian l’aveva richiusa con un sonoro tonfo. “Non lasciarti condizionare dal suo umore, in questi giorni farà più alti e bassi che una montagna russa!”

“E’ un ipotesi la tua?”

“No.” Rispose secco Kevin, lasciando intendere che non avrebbe risposto a nessun’altra domanda. “Quindi, non prenderla troppo personalmente se lascia andare la sua rabbia su di te.” Brian era passato direttamente alla fase due e Kevin ne era quasi sollevato: meglio la rabbia che la totale apatia della fase uno.

Nick annuì, chiedendosi che cosa Kevin sapesse perché aveva proprio la sensazione che ci fosse come un segreto, una nube grigia sopra di lui ed avrebbe scommesso tutto quello che possedeva sul fatto che centrava con Brian.

Kevin, nel frattempo, aveva finalmente notato il piccolo frigo in un angolo e vi si era diretto senza dire una parola di spiegazione.

“Maledizione!” esclamò quando si rese conto che conteneva solamente bottigliette di ogni tipo ma non quello che cercava lui.

“Che cosa c’è?” chiese perplesso Nick.

“Speravo che ci fosse del ghiaccio da qualche parte.”

“Ghiaccio?”

“Sì.” Rispose Kevin. “Oh fantastico, deduco che non ti abbia detto niente della sua schiena?”

“Schiena?” domandò Nick. “Intendi Brian?”

“E chi altri se no?”

“Non ho ancora preso la mia razione di caffeina quindi devi darmi un po’ di spiegazioni altrimenti non capisco nulla!”

Kevin chiuse lo sportello del minibar più forte di quanto avrebbe voluto, tutta quella situazione lo rendeva più nervoso del solito.

“Credo che lo abbia spinto contro il muro e Brian ieri sera si lamentava di una botta alla schiena. Ma non mi ha lasciato controllare e, da quello che mi dici, nemmeno a te quindi posso concludere tranquillamente che la botta si sarà gonfiata.” Spiegò brevemente Kevin. “Ecco perché stavo cercando del ghiaccio.”

“Vuoi che vada giù al bar a chiedere se mi possono dare dei cubetti di ghiaccio?” propose Nick grattandosi la testa. Voleva rendersi utile e sapeva che ora era meglio se usciva altrimenti avrebbe semplicemente peggiorato la situazione.

“Ottima idea, Nick.” commentò entusiasta Kevin. Forse con un po’ troppo di entusiasmo ma quello derivava semplicemente dal fatto che voleva avere qualche minuto da solo con il cugino per parlare con lui. E non poteva di certo fare certe domande con Nick presente.

“Okay. Ne approfitto anche per prendermi una tazza di caffè.” Rispose Nick mentre recuperava un semplice paio di pantaloni della tuta ed una maglietta. Era sul punto di uscire quando si ricordò di recuperare almeno gli occhiali da sole, per evitare di mostrare al mondo quante poche ore di sonno avesse messo in conto quella notte.

Conoscendo la sua fortuna, non appena fosse uscito dall’ascensore, un fotografo sarebbe saltato fuori da un angolo pronto a fotografare l’ennesima nottata brava del biondino.

E quello non era certo il momento di attirare troppa attenzione su quello che era successo la notte precedente.

 

********


“Desidera solamente questo, mister Carter?” chiese la barista al ragazzo, mettendogli fra le mani un sacchetto colmo di cubetti di ghiaccio.

Nick rispose solamente con un cenno del capo e poi incominciò a ritornare da dove era giunto.

Camminare avrebbe fatto bene alla sua povera testa ed ai pensieri che continuavano a richiedere la sua attenzione.

Non era bravo a resistere quando c’era troppa pressione, troppa tensione e troppe domande senza risposta. E, a dire la verità, non era riuscito ancora a registrare bene che cosa era successo la sera precedente, specialmente tutto il suo discorso con Brian e…

E la sua attrazione verso il suo migliore amico.

Cercare di trovare un nesso logico nel turbinio di sentimenti che erano emersi era una missione quasi impossibile ma Nick sapeva che doveva almeno provarci. Aveva promesso a Brian che sarebbe stato al suo fianco, esattamente come lui aveva fatto un migliaio di volte prima.

Non era quello il momento per prendere tutto e scappare via solamente perché aveva paura di quello che lo aspettava in quella camera.

Il primo sentimento che provava era rabbia, cieca furia per colui che aveva deciso di divertirsi senza consenso con Brian. Oh sì, durante le poche ore di sonno, i suoi sogni erano stati un susseguirsi di differenti modi in cui lui picchiava o ammazzava quel figlio di puttana.

Il problema era che ogni sogno terminava con Brian che gli si gettava fra le braccia e lo baciava come ringraziamento.

Un bacio vero sulle labbra.

E questo portava al suo secondo sentimento preminente: l’attrazione per Brian.

Okay, per adesso era solamente attrazione.

Ma... lui sapeva la differenza tra attrazione pura e semplice, quella stessa che gli permetteva di saltare su una donna senza avere rimorsi se la mattina seguente non si ricordava come si chiamava o dove l’aveva conosciuta e l’attrazione che era solo l’antipasto per qualcosa di molto più profondo ed appagante.

Ed era quello che lo terrorizzava maggiormente.

Non voleva che accadesse ciò, non voleva la sua amicizia appena ritrovato con Brian distrutta per una semplice confusione.

Perché per lui ora era solo quella.

Semplice confusione dettata dalla paura di perdere Brian.

Nick inspirò a fondo e premette il pulsante per chiamare l’ascensore. Ora che aveva risolto il suo conflitto inferiore, poteva ritornare ad occuparsi di Brian come se niente fosse successo.


********


Brian uscì dalla doccia dopo quasi mezz’ora, il vapore dell’acqua bollente usata si librava attorno alla stanza in piccole nuvolette, rendendogli quasi impossibile riuscire ad asciugarsi.

In un angolo, vicino alla vasca, c’erano ancora i vestiti della sera precedente; con tutto il trambusto, si era dimenticato di portarli con sé in camera.

Stando attendo a non provocare altre fitte provenienti dalla sua schiena, Brian si abbassò quel tanto che bastava per poterli prendere in mano: per prima, gli capitò tra le mani la maglietta, quella di cui non voleva comunque staccarsi. A Kevin aveva raccontato che era stato un regalo ed in quella affermazione c’era un fondo di verità. Era stato un regalo ma in un’occasione speciale, anche se non di quelle convenzionali come poteva essere un compleanno o una festività. Nick gliela aveva mandata durante il suo ricovero in ospedale dopo l’operazione, con un biglietto di scuse per non essere stato presente come un migliore amico avrebbe dovuto.

Ciò che Nick e Kevin non sapevano era che aveva indossato quella maglietta per quasi tutto il periodo della riabilitazione e l’aveva portata con sé in camerino la prima sera dopo il suo ritorno.

Gli aveva dato forza e quel sostegno che Nick in persona non aveva voluto o potuto dargli.

Sospirando melanconicamente, Brian piegò la maglietta e l’appoggiò su un piccolo ripiano. Non aveva il coraggio di buttarla via ma sarebbe trascorso molto tempo prima di poterla indossare liberamente.

Dopo di che, prese la camicia bianca, notando che aveva degli strappi all’altezza del colletto ed alcuni bottoni, i primi, sembravano essere sul punto di staccarsi definitivamente...

... impotente mentre le dita del biondo furiosamente giocavano con i bottoni della camicia, cercando di slacciarli nel minor tempo possibile.

“Questa sera abbiamo deciso di vestirci a strati.” Sussurrò maliziosamente al suo orecchio. “Non preoccuparti, riuscirò a svestirti prima che tu possa anche solo accorgertene.” Concluse mordicchiandogli il lobo.

Brian lasciò cadere la camicia come se fosse improvvisamente diventata incandescente e fece appena in tempo a voltarsi e raggiungere il water, rilasciando quel poco che rimaneva nel suo stomaco. Quando anche gli ultimi conati si calmarono, lasciandolo tremante, Brian appoggiò la fronte sulla ceramica cercando di riprendere fiato.

Nonostante avesse cercato di bloccare qualsiasi ricordo, frammenti continuavano ad illuminarsi non appena qualcosa vi entrava in contatto.

Perché?

Era una semplice domanda ma non aveva una risposta. E sapeva che nemmeno Kevin, colui che sembrava essere in possesso di tutte le conoscenze del mondo, sarebbe riuscito a dargli una benché minima spiegazione. Non ci era riuscito dieci anni prima e, nonostante il suo bagaglio di esperienze si fosse moltiplicato con il passare del tempo, sapeva che nemmeno ora sarebbe stato in grado di alleviare la sua angoscia.

Brian strinse le ginocchia al petto, cullandosi lentamente, inspirando ed espirando lentamente prima di farsi venire un attacco d’ansia. Dopo averne sofferto per qualche anno, sapeva bene come prevenirle.

Non poteva crollare adesso, con tutta una serie di concerti quasi sold out in programma che poco probabilmente potevano essere cancellati senza ripercussioni sulla loro carriera.

Doveva solamente stringere i denti.

 

********

Kevin era ancora nella stanza quando Brian uscì dal bagno, i capelli ancora umidi e con indosso ancora i vestiti che Nick gli aveva recuperato la sera precedente.

Lì per lì, non si accorse che Nick era scomparso.

“Nick è andato a recuperare del ghiaccio.” Fu la spiegazione di Kevin, nemmeno richiesta, all’espressione perplessa del ragazzo quando finalmente si era accorto che Kevin era l'unica persona, oltre a lui, nella camera.

Brian scrollò semplicemente le spalle, non sapendo che cosa rispondergli.

“Nick mi ha detto di ieri sera.”

“Oh.”

“Già. Qualunque cosa fossa successa, potevi aspettare questa mattina per parlarne. Non eri nelle condizioni...”

“Kevin, non incominciare, per favore!” sbottò Brian. “Era qualcosa che dovevo fare altrimenti avrei sempre avuto paura di lui...”

“In che senso?”

Brian era davanti alla finestra, osservando il panorama sottostante risplendere grazie ai raggi del sole.

Dopo la tempesta, veniva sempre il sereno e quello era quello che voleva per la sua vita.

Ieri notte era stata la tempesta che con i suoi tuoni aveva sconvolto il pacifico caos ma ora Brian era ansioso di vedere il sole illuminarsi, facendo capolino da quelle grigi nubi che ancora rimanevano nei paraggi minacciosamente.

Nel riflesso del vetro notò che Kevin lo stava guardando con una strana espressione, forse preoccupazione o forse semplicemente confusione derivante dal suo comportamento. “Il motivo per cui ho dato di matto quando Nick ha cercato di confortarmi è perché lui... il mio aggressore... ne era la sua copia.”

Kevin si lasciò sfuggire solamente un borbottio. “Ora comprendo.” Ammise, quasi in colpa ad avergli urlato dietro per non essersi subito preso cura di sé stesso. Riflesso nel vetro, vide finalmente un sorriso spuntare sul viso ancora stanco del cugino.

“Bri...” incominciò a dire Kevin, non sapendo come iniziare il discorso. Mentre Brian stava nascosto in bagno, alla ricerca di anche un solo grammo di autocontrollo, e dopo che Nick lo aveva lasciato solo per recuperare del ghiaccio per la schiena di Brian, Kevin aveva riflettuto a lungo se parlare o meno del suo incubo. Non voleva far riaprire vecchie cicatrici, anche se aveva una mezz’idea su come quell’aggressione avrebbe potuto scatenare una reazione a catena, risvegliando in Brian ciò che aveva bloccato da anni. “... mi spiace.”

Brian si girò di scatto. “Perché ti stai scusando?”

Kevin si passò una mano fra i capelli, gesto che faceva solamente quando era nervoso. “Perché te lo avevo promesso. Ricordi?”

Brian per un attimo non sembrò comprendere di che cosa il cugino stesse parlando. Poi, un’immagine si formò nella sua mente.

“Bri, mi dispiace tanto...” il tone di voce del ragazzo maggiore era colma di disperazione e senso di colpa mentre stringeva la sua mano destra, l’unica senza aghi o ferite.

“Non è colpa tua.”

“Era il mio migliore amico... se solo non te l’avessi presentato, niente di tutto ciò sarebbe accaduto!” Brian non aveva mai visto Kevin scoppiare a piangere, né senza quella forza ed autocontrollo che lo aveva sempre contraddistinto. Si stava torturando per qualcosa che non aveva potuto prevedere.

Nessuno avrebbe potuto immaginare.

“Kevy... non è colpa tua.” Cercò di rincuorarlo, nonostante le parole uscirono in poco più di un semplice sussurro.

Osservò Kevin alzare finalmente lo sguardo per incontrare il suo e, sotto il lucido velo delle lacrime, poté vedere una luce diversa nei suoi occhi. “Te lo prometto, Bri.” Disse deciso. “Non permetterò che ti succeda un’altra volta.”

“In ospedale.” Mormorò Brian, ritornando con i sensi alla realtà. “Ti stavi tormentando...”

Kevin annuì.

“Ma Kevy – disse Brian, Kevin sorrise sentendo quel nomignolo a cui non era abituato da secoli ormai – l’hai mantenuta. Non è come la scorsa volta.”

“Se non fosse intervenuto Aj, forse...”

“Kevin, no! Con i se e con i ma non si va avanti, guardiamo il lato positivo, okay? Sto bene...”

Kevin accigliò il sopracciglio.

“Fisicamente sto bene!” si corresse allora Brian. “Meglio?” Kevin annuì, anche se era incerto. “E’ uno stupido livido, per l’amor del cielo!” sbottò Brian. Quando ci si metteva, Kevin sapeva come esasperare una persona con il suo protezionismo elevato all’infinito. “Starò più tranquillo quando ti farai vedere da un dottore.”

Brian si lasciò sfuggire un brontolio di insopportazione.

“Puoi fare tutte le espressioni che vuoi ma non cederò nemmeno di un millimetro.”

“Ti odio, lo sai?” sospirò Brian, ritornando velocemente in bagno e riapparendo con in mano dei vestiti.

“Anch’io ti voglio bene, cugino!” scherzò Kevin, ritornando però subito serio. “La proposta di Nick... forse non ha tutti i torti, lo sai?”

“Mh?” chiese Brian, continuando ad osservare gli indumenti che aveva in mano.

“Di parlare con qualcuno.”

“Sto parlando con te, non è abbastanza?” rispose Brian. “Ho parlato anche con Nick, se vuoi faccio una chiacchierata cuore a cuore con Howie ed Aj così sei più tranquillo.”

“Intendevo qualcuno che possa aiutarti.” Kevin non si mosse nemmeno di un millimetro, scegliendo con cautela le parole da usare. “Devo ancora avere il numero della tua terapista, posso fare una telefonata..”

“NO!” urlò Brian seccato.

“Brian...”

“Kevin, non ho bisogno di uno strizzacervelli questa volta!”

“Lo sai che non è una strizzacervelli.”

Brian sospirò. “Lo so ma... mi vorrà far ricordare quello che è già successo e questa è l’ultima cosa di cui ho bisogno. Guardami, dieci anni dopo sono forte abbastanza per uscire da questa storia.” Rispose poi. “E questa volta posso anche contare su altre tre persone, non solamente su di te.” Per quanto lui fosse stato quello ferito maggiormente, anche Kevin aveva avuto i suoi demoni da sconfiggere, in primis un senso di colpa che ancora adesso, ogni tanto, prendeva il sopravvento.

Kevin non rispose immediatamente ma si avvicinò al ragazzo, appoggiando le mani su entrambe le spalle. “Sono solo preoccupato, Brian. Ti ho già visto una volta completamente distrutto e non starò fermo a guardare che accada una seconda volta.” Gli disse con tono fermo, sperando che lui alzasse lo sguardo e lo fissasse ma Brian continuò a tenere gli occhi incollati sul paio di jeans che stringeva tra le mani.  

“Riesci a recuperarmi dell’alcool?” chiese Brian con nonchalance, dopo qualche secondo di silenzio.

Ed era come se il discorso di prima fosse definitivamente concluso.

“Ti vuoi ubriacare a quest’ora?” chiese Kevin, guardandolo stranito e non capendo che cosa centrasse in quel momento. “Non è nemmeno mezzogiorno!”

“Ma... Kevin, lo sai che l’alcool non è solamente qualcosa da bere?” rispose Brian mentre gettava il paio di jeans e la camicia in un angolo. “Aj avrà di sicuro un accendino, quindi mi manca solamente un po’ di alcool per il falò.” Aggiunse, indicando con il dito la pila dei vestiti.

Kevin ricordò immediatamente quello che gli aveva detto solamente la sera precendete.

“Scordati che ti faccio avvicinare a del fuoco! L’ultima volta hai quasi rischiato di diventare una torcia umana!”

“E’ successo tanto tempo fa!”

“Se non ricordo male, era solamente il mese scorso!”

“Dettagli insignificanti!” scherzò Brian.

Kevin si avvicinò al cugino e prese i vestiti. “Di questi me ne occupo io, tu rimettiti a riposare che stasera abbiamo un concerto.”

“Cosa? Mi lasci fare il concerto?” esclamò stupito Brian. Si era aspettato di doverci litigare, chiedere magari il supporto di Nick, Aj ed Howie.

“Cos’è, non ti va?”

“No ma... pensavo che...”

“Che non te lo avrei permesso?”

Brian annuì con un cenno del capo.

“Sarebbe stato solamente fiato sprecato.” Rispose Kevin. “E non ho nessuna voglia di farti litigare.”

“Quanto sei magnanimo.” Fu il commento ironico di Brian. “Avanti, quali sono le tue condizioni?”

“Perché dovrei avere delle condizioni?”

“Perché sei Kevin.”

“E questo dovrebbe spiegare tutto?”

“Esatto. Ah, e sei anche mio cugino, ciò significa che ti conosco da tutta la mia vita ormai!” continuò ironicamente Brian.

“Tu mi farai diventare pazzo prima del tempo!”

“Kevin, la verità è che tu sei già pazzo!” esclamò Nick, entrando nella stanza interrompendo così il dialogo incalzante dei due cugini. Ma, da una parte, era contento di vedere Brian nel suo normale umore, ovvero ironico e pronto alla battuta.

“Ah ah ah. Molto divertente.” Rispose sarcastico Kevin. “L’unica condizione che pongo è che tu ti riposa. Ciò significa niente partite a basket insieme a Nick.”

Brian utilizzò la sua carta preferita, l’espressione da cucciolo tenero, il labbro tremolante al punto giusto e gli occhioni intristiti.

“Non funziona.” Affermò deciso Kevin, voltando la schiena per non dover sostenere quell’espressione. Dannazione a suo cugino che conosceva così bene che pulsanti schiacciare per ottenere quello che voleva.

“Ah! E prima del concerto, ti farai controllare dal dottore.”

“Ma non è giusto! Hai detto solo una condizione!”

“Bleffavo.”

“Nick, salvami tu!”

Nick alzò le mani, in una delle quali teneva un sacchetto colmo di cubetti di ghiaccio, in segno di arresa. “Contro sergente Kevin non ho armi a disposizione. Mi spiace Frick.”

“Sono completamente solo.” Ammise Brian. “Hai vinto. Dormirò quanto vuoi e mi farò controllare.” Aggiunse poi in tono arrendevole.

La verità... non aveva la forza di litigare con Kevin, voleva semplicemente dimenticare il motivo per cui, improvvisamente, Kevin e Nick lo proteggevano come se fosse un fragile oggetto.

O una bomba pronta ad esplodere.

“Grazie Nick.” disse poi, notando come il ragazzo continuasse a tenere in mano il ghiaccio.

Kevin aveva abbandonato la stanza qualche secondo prima, mormorando un semplice “ho un impegno” e scambiando un’occhiata con Nick, della serie “mi fido di te, ora è il tuo turno.”, sguardo che Brian decise di ignorare completamente.

Si sdraiò sul letto a pancia in giù, l’unica posizione possibile per evitare il dolore, anche se ormai era un costante compagno e costante memore.

Nick si avvicinò e si sedette sul letto.

“Posso alzare la maglietta?” gli chiese Nick, non volendo spaventarlo più di quanto già lo fosse.

Brian annuì semplicemente.

Nick alzò la maglietta e non riuscì a trattenere un gemito non appena scoprì il brutto livido, dalle colorazioni tra il nero ed il violaceo e che sembrava davvero doloroso.

“Se prima Kevin voleva farti vedere da un dottore non avendolo visto, Brian, mi sa che appena vedrà questo livido ti porterà diretto in ospedale.” Cercò di scherzare su Nick.

“E’ così brutto?” chiese Brian, rabbrividendo non appena Nick appoggiò il ghiaccio sulla sua pelle.

“Diciamo che è perfettamente in tema con il nostro album, “Black&Blue”!”

“Fa un male della miseria.” Commentò Brian.

“Perché non hai detto niente?”

Brian rimase in silenzio per qualche secondo, cercando le parole esatte. “Non volevo farvi preoccupare. Ancora.” Disse poi. “E’ solo un livido.”

“Dopo averlo visto, non ne sarei così tanto sicuro.”

L’unica risposta di Brian fu un mugugno. Nick si alzò ed incominciò a frugare nella sua valigia. “Ahah! Sapevo di averne ancora da qualche parte!” esclamò prendendo fra le mani una bottiglietta bianca.

“Devo aver paura a sapere che cosa tu hai trovato nella tua valigia?” chiese Brian. Dalla sua posizione, riusciva solamente a vedere Nick inginocchiato per terra, rivolgendogli la schiena.

“Mi ringrazierai per questo.” Rispose Nick, alzandosi in piedi e, dopo essere ritornato al suo posto vicino a Brian, gli mostrò la sua sorpresa.

Antidolorifici.

“Sia ringraziato il cielo!” commentò Brian. “Ed anche Nick, ovviamente!”

“Quindi ora la smetterai di fare lo stoico martire?”

“Dammi subito quelle pillole!”

“Sembri un assatanato!”

“Nick!”

“Okay, scusa!” rispose Nick, passandogli un bicchiere d’acqua e due pillole.

“Grazie.” Lo ringraziò Brian. Nick sorrise.

“Nick, non c’è bisogno che tu rimanga qui con me.” Disse Brian, dopo qualche minuto di silenzio “Perché non vai fuori per un po’, scendi a fare colazione!”

La verità era che voleva rimanere da solo, possibilmente dormire fino a quando fosse possibile.

“Non ho molta fame.” Rispose Nick, prontamente però smentito dal brontolio del suo stomaco.

“Davvero?”

“Forse un po’ di fame.”

“Vai! Non voglio essere il responsabile del tuo deperimento!”

Nick lo guardò perplesso. “Depe...che?”

“Dimmi che stai scherzando!” esclamò Brian, trattenendo a stento le risate.

“Ovvio che sto scherzando! So che cosa significa!”

“Ah sì? E cosa significa?”

Nick rimase in silenzio, sperando in qualche modo che la soluzione gli saltasse in mente all’improvviso. Quando capì che aveva bisogno del dizionario, o almeno di un computer e google, decise che doveva bleffare.

Ed in quello, era un superbo maestro!

“Non devo per forza dimostrarti la mia conoscenza, mio caro Frick!” ribatté mentre si alzava dal letto. “Passo tra qualche ora con dell’altro ghiaccio, okay?”

“’Kay.” Rispose semplicemente Brian, pronto ad evadere dalla realtà per rintanarsi nei sogni.

“Vuoi che ti porto qualcosa?”

“No.”

“Sicuro?”

“Sì.”

“Sicuro che non vuoi qualcosa oppure sì, voglio qualcosa?”

“Nick!”

“Scusa! Mi stavo accertando di aver capito bene!”

Nick era già di fronte alla pronta, mano sulla maniglia per aprirla, quando Brian lo richiamò.

“Non dire niente a Kevin.” Gli chiese. “Probabilmente, incomincerà a pensare che possa entrare in qualche circolo vizioso quando in realtà ho semplicemente mancanza d’appetito!”

“Tranquillo, non glielo avrei detto comunque!” rispose Nick. “Tra di noi dobbiamo darci una mano e sappiamo quanto paranoico il sergente maggiore possa diventare.”

Nick uscì dalla stanza e Brian, prima di addormentarsi, pensò con tristezza che questa volta non c’era stato nessun bacio sulla fronte come augurio di un pacifico sonno.

Tutto tra loro era tornato come prima.

Sfortunatamente.

 

********


E dopo tanto penare, ecco il tanto sospirato settimo capitolo!

Ho avuto qualche problemino, la mia ispirazione sembrava essersi addormentata (in realtà, aveva deciso di occuparsi di altre idee) e non sapeva che cosa infilarsi in questo capitolo. Ed invece eccolo qua, quasi otto pagine! Certo che é proprio strana ^__^

Ad ogni modo, spero di non lasciarvi per troppo tempo con il prossimo capitolo. A differenza di questo, so già come elaborarlo quindi devo solo lasciare spazio all'ispirazione. E, grazie al cielo, sarò lontana km perché, piccolo indizio per il prossimo, Nick non si comporterà da angioletto! 

Ma ci stiamo avvicinando ad un punto importante quindi un po' di tensione é quello che ci vuole!

@Kia85: aspettati ben altro che una bolla che scoppia! Mwahahahahahahahah! Scherzi a parte, io so che cosa quel pazzo ha in mente e, ti assicuro, che questa é solamente la punta dell'iceberg! Già tremo un po' per quando finalmente si scoprirà che cosa é successo dieci anni prima...

Cinzia

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Capitolo 9
*** - Ottavo Capitolo - ***


Ottavo Capitolo


“E’ la prima volta che vieni qui?” la domanda riuscì in qualche modo a sovrastare il sordo brusio causato dalla miriade di persone che li circondavano.

“Sì.” Rispose Brian, gli occhi strabuzzanti si muovevano a destra ed a sinistra, incredulo che si trovasse davvero in quel fantastico luogo.

E tutto grazie a Kevin.

Fosse stato per i suoi genitori, non si sarebbe nemmeno mosso da Lexington ed avrebbe trascorso l’ennesima estate tra lavoretti e partite di basket. Non che quest’ultima attività lo annoiasse, anzi! Ma era bello, almeno per una volta, allargare i propri confini e rendersi finalmente conto che il mondo andava oltre la propria piccola realtà cittadina.

Avere il proprio cugino che lavorava a Disneyland era davvero un colpo di fortuna.

“Wow!” quell’esclamazione ormai Brian l’aveva utilizzata per ogni attrazione a cui erano passati di fronte. “Guarda, Mickey Mouse!” esclamò tutto eccitato, indicando con la mano il famoso personaggio, circondato da un folto numero di bambini e ragazzini che sgomitavano per avere un autografo o per farsi fare una foto con lui. Brian avrebbe voluto andare anche lui, già si immaginava tornare a casa e mostrare ai suoi genitori ed a suo fratello Harry tutte le foto che avrebbe fatto ma decise di contenere l’eccitazione. Il suo accompagnatore non sembrava molto estasiato dall’idea di trascorrere la giornata in quel luogo, nonostante avesse accettato volentieri di accompagnare il ragazzino visto che Kevin doveva lavorare tutto il giorno.

“Che ne dici di andare in un posto che non conosce nessuno?” gli chiese il ragazzo, prendendolo per mano. “E’ un luogo segreto, me lo ha mostrato Kevin ma mi ha anche promesso di non portarci nessuno.”

“Ed allora perché mi ci porti?” chiese ingenuamente Brian.

L’accompagnatore si fermò e si voltò verso di lui, facendogli segno di avvicinarsi in modo che gli potesse parlare in un orecchio.

“E’ un posto in cui possono entrare solamente poche persone speciali. E credo proprio che tu sia una di queste.”

Gli occhi di Brian si illuminarono mentre osservava con attenzione il ragazzo per capire se stava mentendo o meno. Gli amici di Harry lo avevano sempre trattato come se fosse stato un bambino dell’asilo, escludendolo sempre da ogni loro gioco.

“Davvero?”

“Parola di boy scout.” Rispose il ragazzo, alzando la mano ed appoggiando l’altra sul petto, all’altezza del cuore, come per dimostrare la solennità del suo giuramento.

La bocca di Brian era ancora semiaperta, le labbra curvate formavano una O tanto era l’esaltazione del momento, l’essere finalmente entrato a far parte di una cerchia segreta.

Il suo accompagnatore si rimise al suo fianco e riprese a camminare, allontanandosi dalle maggiori attrazioni e dirigendosi verso una zona vietata, il cui accesso era solamente per gli addetti del parco.

Brian si bloccò di colpo, non voleva entrare in una zona proibita e voleva decisamente evitare di mettersi nei guai. O mettere nei casini Kevin.

“Che cosa c’è?” chiese spazientito il ragazzo.

“Non credo sia... una buona idea.” Rispose Brian titubante, indicando il cartello con iscritto il divieto di accesso.

“Non ti preoccupare, ragazzino.”

“E se ci scopre qualcuno?”

“Nessuno ci scoprirà, tranquillo.”

“Continuo a pensare che sia meglio non entrare.”

“Chi ti ha detto di pensare?”

Brian si sentì ferito non solo dal commento ma dal tono duro con cui lo aveva fatto. Ed anche se gli avevano sempre insegnato a dare ascolto alle persone più grandi di lui - ma solitamente ciò era per evitare di finire nei guai -  una vocina gli stava dicendo di scappare via.   

“Andiamo.” Gli ordinò, stringendo le sue mani attorno al polso del ragazzino ed ignorando i suoi lamenti sul fatto che gli stesse facendo del male.

Mentre apriva il cancello e spingeva dentro l’area privata Brian, una strana luce illuminò lo smeraldo dei suoi occhi: prima che il sole tramontasse, il dolore ai polsi sarebbe stato l’ultimo dei problemi.

 

****************

 

Era solo un incubo.

Era stato solamente un brutto sogno, tutto causato dallo stress.

Cazzate.

Brian sapeva benissimo che ciò che lo aveva appena fatto svegliare con il cuore in gola nel bel mezzo della notte non era stato frutto della sua mente, la quale aveva rielaborato quello che gli era successo in un modo totalmente strano e differente.

Sapeva che quello era un frammento di una realtà che, anche se passata, continuava a tormentarlo.

Brian era più che consapevole che quello non sarebbe stato l’ultimo incubo che avrebbe avuto da lì in avanti; anzi, quello era stato solamente l’antipasto. O meglio, l’aperitivo.

D’impulso, si alzò dal letto ed incominciò ad accendere tutte le luci: non voleva rimanere al buio, dove ombre malefiche potevano attaccarlo in qualsiasi momento, approfittando del suo essere totalmente indifeso.

E, giusto per scrupolo, tirò completamente le tende.

Per dieci anni, era riuscito a bloccare tutto in un angolo della sua mente ed il fatto che poche persone ne fossero a conoscenza lo aveva aiutato a non pensarci più di quanto odiasse doverlo fare. Ricordava a spizzichi quel periodo della sua vita, i giorni precedenti all’evento e qualcosa di quelli immediatamente successivi.

Si lasciò scivolare contro la parete opposta alla finestra, appoggiando il mento sulle ginocchia.

Ricordava quello che gli aveva detto la sua terapista, bloccare tutto non era il modo migliore per affrontare il suo “problema” e che prima o poi si sarebbe ritrovato faccia a faccia con i suoi demoni. Sarebbe bastato anche un solo particolare, un odore, una frase o una situazione simile a quella vissuta, per innescare la reazione a catena.

Aveva sempre pensato che ritornare a Disneyland avrebbe riportato tutto a galla invece, quando Lou aveva organizzato loro una gita al parco per permettere loro di rafforzare e creare il gruppo, non era successo niente.

Kevin lo aveva seguito come un’ombra, nel suo sguardo c’era sempre la domanda se stava bene e se se la sentiva di continuare con la giornata ma mai si era trovato nella situazione che stava vivendo ora. Anzi, si era anche divertito e tutto grazie a quella peste bionda che era Nick.

Semplicemente, non voleva ricordare.

Aveva già abbastanza problemi a cui dover far fronte, non ce ne voleva un altro a peggiorare la situazione.

E se uno di quei ricordi fosse sorto a galla mentre era sul palco?

Come avrebbe potuto spiegarlo agli altri?

Come avrebbe potuto spiegarlo a Nick, soprattutto?

Avrebbe rovinato tutto, Nick non avrebbe più potuto guardarlo come lo stesso Brian compagno di giochi e scherzi. E questo era una cosa che lo impauriva, il rifiuto e lo sdegno di Nick lo avrebbe totalmente distrutto.

Specie dopo il modo con cui si stava comportando nei suoi confronti in quei ultimi giorni.

Nick era stato un angelo, il suo angelo custode: non era ossessivamente preoccupato come lo era Kevin, capiva quando lui aveva bisogno dei suoi spazi. Un abbraccio era più che sufficiente a rincuorarlo di cento parole.

Ma... Brian era anche altrettanto convinto che, in quel caso, non sarebbe riuscito a confortarlo.

Appoggiandosi al muro, Brian si rialzò e decise di andare a svegliare Kevin. Era l’unico con cui poteva parlare e, una volta che gli avrebbe raccontato il motivo della sua visita, non avrebbe avuto il coraggio di ucciderlo per averlo svegliato nel cuore della notte.

Aprì la porta della sua camera e, dopo aver controllato alla sua destra e sinistra che non ci fosse qualche maniaco nascosto dietro una pianta – o una delle loro fan, in che poteva essere l’equivalente femminile di un criminale – Brian incominciò ad avviarsi verso la camera di Kevin. Nonostante non si ricordasse quale fosse il suo numero, Kevin era abitudinario e prendeva sempre la terza camera dagli ascensori: le loro guardie del corpo prendevano sempre le prime due, ragioni di sicurezza era sempre la motivazione che davano quando qualcuno chiedeva loro la spiegazione.

Bussò lievemente alla porta, non volendo svegliare nessun altro sul loro piano.

“Kev?” lo richiamò, sempre sussurrando dopo la terza volta che il suo bussare non aveva avuto risposta.

Il panico incominciò a salire lievemente di livello, superando agilmente gli argini di calma che Brian aveva cercato di costruirsi addosso in quei minuti. Perché non rispondeva? Solitamente, Kevin aveva il sonno leggero, sempre preoccupato che potesse succedere qualcosa che richiedesse il suo intervento.

Perché proprio quella sera aveva deciso di unirsi alla congrega del “non svegliatemi nemmeno se l’hotel è in fiamme”?

“Kev, per favore...” la voce si era fatta più forte, tanto quanto la supplica nel suo tono.

Ma nessun rumore dall’altra parte della porta.

Brian ci rinunciò, d’altronde anche Kevin aveva bisogno di dormire tenuto conto che la notte precedente era rimasto alzato tutto il tempo insieme a lui. Non che lui glielo avesse chiesto ma Kevin aveva semplicemente scrollato le spalle ed era rimasto con lui a vedere qualche vecchio film mentre il tourbus li accompagnava verso la loro nuova destinazione.

Stava per riaprire la porta della sua stanza quando una mano gli si posò sulla spalla.

Non ebbe il coraggio di voltarsi, troppo occupato a ricordare al suo corpo di inspirare ed espirare.

“Brian?” la voce apparteneva a Nick quindi Brian dedusse che anche la mano lo fosse.

“Frack, che ci fai ancora sveglio?” gli chiese Brian, voltandosi verso di lui.

“Le nostre camere sono adiacenti.” Rispose Nick, infilando le mani nelle tasche dei jeans. “Ti ho sentito muoverti, uscire e... beh, ho pensato che avessi bisogno di aiuto.”

“Scusami se ti ho svegliato.” Disse Brian imbarazzato. “Puoi tornare a dormire, sto bene.”

“Non stai bene se vai di tua spontanea volontà a svegliare Kevin nel bel mezzo della notte.” Scherzò Nick.

“Dovevo dirgli una cosa.”

“E non poteva aspettare?”

“E’ il terzo grado per caso?” domandò Brian mettendosi sulla difensiva.

“No.” Rispose Nick. “Ma se hai bisogno, puoi sempre venire da me.”

Come se Brian non volesse rifugiarsi in una camera insieme a Nick. Ma che cosa avrebbe potuto dirgli?

No, Nick non poteva scoprire il suo segreto.

“Va tutto bene, Nick.” disse Brian a bassa voce.

“Ne sei sicuro?”

“Considerata la situazione, sì.”

“Frick...” incominciò a dire Nick. “... voglio solo aiutarti.”

Brian ebbe la tentazione di sbattere forte la testa contro lo stipite della porta; ecco davanti a lui un’occasione che non gli si sarebbe ripresentata per molto altro tempo, forse mai, e lui doveva rinunciarci.

“So che non posso sapere quello che stai passando e non voglio nemmeno pretendere di farlo. Ma odio vederti così.”

“Te ne sono grato, Nick, davvero ma... questa volta non puoi far niente per me.”

“Se non mi dici quello che ti passa per la testa, ovvio che non posso far niente!” sbottò Nick, irritato per la testardaggine dell’amico.

“Credimi, è meglio che tu non sappia niente dei miei pensieri.” Cercò di scherzare Brian.

“Mettimi alla prova. Ho uno stomaco a prova d’urto e... beh, la mia mente è già contorta di suo quindi non credo che si spaventerà nel vedere la tua.”

E poi era lui il testardo! Pensò Brian mentre la sua resistenza diminuiva sempre di più. Sapeva che, una volta rientrato in camera, non sarebbe riuscito a riabbracciare il sonno e la tentazione del caldo abbraccio di Nick era così dolce e così impossibile da non tener conto.

Mentre Brian era alle prese con la sua coscienza, Nick si era avvicinato ancora di più ed aveva appoggiato una mano sulla sua guancia. All’improvviso contatto, Brian strabuzzò gli occhi ma non si mosse né scansò la mano. “Voglio solo rivederti sorridere. Quando tu sei triste, lo siamo tutti.”

“Nick...” mormorò Brian, mordicchiando un labbro nervosamente.

“Non puoi continuare così. Quante ore sei riuscito a dormire in questi ultimi due giorni?” la domanda di Nick era retorica, la risposta era ben visibile nelle occhiaie e nelle borse sotto gli occhi di Brian.

“Ci sono abituato.”

“Anche a svegliarti nel bel mezzo della notte urlando?”

Sfortunatamente la risposta era sì ma Brian preferì non dirla ad alta voce. Nick non doveva sapere perché ne era abituato.

La mano di Nick non si era ancora spostata dalla sua guancia ma, con un dito, aveva incominciato a giocare con un ciuffo dei suoi capelli. Brian avrebbe voluto rimanere in quella posizione per sempre ma si trovavano pur sempre in mezzo ad un corridoio di un hotel, dove chiunque poteva vederli.

Riluttante, staccò la mano di Nick. “Ti ringrazio Nick e... appena avrò fatto pulizia nei miei pensieri, sarai il primo con cui mi confiderò. Ma ora devo risolvere tutto questo...” disse Brian indicando una delle sue tempie. “... da solo.”

Senza aspettare la risposta di Nick, Brian aprì la porta della sua stanza e vi entrò, chiudendo fuori Nick e parte del suo cuore.

Ma era solo per il suo bene...

 

**********

 

La mattina seguente, tutto il gruppo si ritrovò come al solito per la colazione in una delle camere. Quel giorno, era il turno di quella di Kevin. Era un’abitudine che avevano preso sin dall’inizi, quando non avevano abbastanza soldi per permettersi una stanza per ciascuno.

Nonostante ora potessero permettersi alberghi decisamente più all’altezza e con un più che dignitoso servizio di igiene, non avevano abbandonato quella semplice abitudine di riunirsi per colazione.

Così si trovavano tutti seduti al tavolo rotondo imbandito di qualsiasi leccornia immaginabile: bricchi di caffè, latte e caffelatte, una teiera con acqua calda e tutti i gusti esistenti di the sistemati a ventaglio su un piattino, fette biscottate, pancake caldi con salsa di cioccolato, mirtillo e miele, brioches, bacon e frutta fresca.

Nick ed Aj stavano litigando sul numero di pancake che ognuno aveva deciso di prendersi, Howie cercava di non ascoltare, sorseggiando la sua tazza di caffè ed osservando preoccupato colui che occupava il posto di fronte a lui e che ancora non aveva nemmeno assaggiato il pancake che Kevin gli aveva messo nel piatto prima che lui arrivasse. Il maggiore se ne stava seduto alla sua destra, una gamba accavallata sull’altra ed il giornale del mattino aperto davanti a lui.

“Brian, devi mangiare qualcosa.” Kevin non aveva nemmeno alzato gli occhi dall’articolo che stava leggendo.

“Sto mangiando.” Borbottò Brian, rigirando la forchetta nel suo pancake e torturandolo come se fosse una bambola vodoo. E si chiese per l’ennesima volta come Kevin avesse fatto a vedere che non stava mangiando se era così intento a leggere il risultato della borsa americana. Aveva dei superpoteri, per caso?

“Giocare con il tuo pancake non significa mangiare.” Rispose Kevin, continuando a leggere il giornale.

“Frick, guarda, c’è anche la salsa di cioccolato che ti piace!” cercò di intervenire Nick, posandogli davanti al piatto la ciotola contente la salsa marrone. Il suo stomaco si improvvisò circense dopo averne dato un minimo sguardo. Ugualmente, Brian sfoderò il suo migliore dei sorrisi. “Grazie Nick ma non ho fame.” Rispose all’indirizzo di suo cugino.

Kevin aprì la bocca per ribattere ma Brian lo bloccò subito. “So già che cosa stai per dirmi, evita di sprecare fiato.”

“Nick mi ha detto che stanotte mi stavi cercando.”

Brian lanciò un’occhiataccia all’indirizzo del migliore amico, improvvisamente interessato nell’articolo che Kevin stava leggendo.

“Sì ma non ti ho trovato.” Rispose Brian, cercando di contenere l’irritazione. Per quale motivo, quando si trattava di lui, tutti si prendevano il diritto di sparlare di lui alle sue spalle?

“Possiamo parlarne ora.”

“No.” Rispose seccamente Brian. Non voleva rivivere l’incubo e nemmeno rovinare la giornata a Kevin.

“Brian...”

“Ho detto di no. Perché non ti impicci negli affari di qualcun altro?”

“Perché tu sei mio cugino.”

“Che fortuna.” Commentò sarcastico Brian.

Gli altri tre ragazzi guardarono lo scambio di battute tra i due cugini senza battere ciglio o emettere un unico suono che potesse interromperlo. Mettersi in mezzo in una discussione fra i due cugini era come mettersi in mezzo ad un’autostrada trafficata; rischiavi la morte.

“Brian, tanto sai bene che non mollo facilmente. O mangi qualcosa o parli con me.”

“Opto per la terza via.”

“Ovvero?”

“Uscire da questa stanza.” Rispose Brian, alzandosi di scatto e facendo cadere la sua sedia. Incominciò ad incamminarsi a passi veloci verso la porta ma Kevin fu più veloce – anche perché era più vicino alla porta rispetto al cugino – e si posizionò davanti a lui.

“Dove pensi di andare?”

“Kevin, spostati.”

“Non prima che tu mi risponda.”

“Non sono minorenne, posso uscire quando voglio.” Rispose Brian, senza mai perdere la determinazione nel tono di voce. “Ed io voglio uscire adesso.”

“Non quando sei in queste condizioni.”

“Non ricominciare!”

“Oh, ma non ho ancora incominciato!”

“Bene, quindi posso evitare di ascoltare la solita solfa!”

Brian riuscì a superare la figura del cugino ed uscire dalla stanza, con un sordo tonfo della porta.

Kevin non perse tempo, riaprì la porta ed uscì in corridoio.

“Non ho terminato con te!” si sentì urlare dalla camera, la cui porta era rimasta spalancata.

Un lungo momento di silenzio aleggiò in quell’ampio locale, in sottofondo il rumore di passi e di persone, molto probabilmente altri ospiti di quel piano che chiedevano che cosa fosse appena successo.

Fu Nick ad interrompere quel silenzio. “Beh, non credo che a Frick dispiacerà se mi pappo il suo pancake.”

Disse mentre scambiava il suo piatto vuoto con quello ancora intatto di Brian.

Howie ed Aj rimasero fissi ad osservarlo allibiti mentre, come se nulla fosse successo, Nick addentava un pezzo del pancake ampiamente ricoperto di salsa di cioccolato. Sentendosi osservato, Nick alzò gli occhi dal piatto. “Che cosa c’è?”

“Nick...” incominciò a dire Howie, cercando nel suo ampio vocabolario le parole giuste per verbalizzare il suo stupore. Ma non esistevano termini adatti, solamente che... Nick era Nick. E quello spiegava alla perfezione tutto.

“Ma sono squisiti!” si difese il biondino. “E poi Bone ha mangiato tutto il resto ed io ho ancora fame!” aggiunse puntando la forchetta contro l’amico.

Mentre Aj ribatteva prontamente all’accusa infondata di Nick, Howie si mise la testa fra le mani chiedendosi per l’ennesima volta per quale motivo due ventenni, grandi e vaccinati, si comportassero come due bambini dell’asilo.

 

*********

 

Uscire.

Doveva uscire, confondersi tra folle di sconosciuti di cui non importava un fico secco se lui dormisse di notte o se avesse fatto colazione.

Dire che Brian, in quel momento, fosse furioso era un lieve eufemismo: i lunghi respiri che cercava di tirare potevano far ben poco per tranquillizzare il suo corpo, infiammato dalla rabbia che in quel momento era l’unica riserva di energia da cui attingere per non crollare.

Maledizione, non era un bambino che Kevin dovesse accudire ventiquattro ore su ventiquattro, l’ultima volta che Brian aveva controllato aver venticinque anni sulla propria carta d’identità gli garantiva il diritto di prendere decisioni sulla sua vita, come quella se mangiare o meno un dannato pancake.

Kevin doveva sapere quando spingerlo e quando lasciarlo in pace: era nervoso, non dormiva da due giorni e aveva dovuto dipingersi sul volto un sorriso smagliante per non allarmare le frotte di fans che ogni sera venivano ai loro concerti.

Se Nick era nella sua giornata no, nessuno osava avvicinarsi a lui.

Se Howie era più silenzioso del solito, nessuno lo tempestava di domande sul suo malessere.

Se Aj aveva voglia di spaccare qualcosa, maledicendo il mondo intero, nessuno lo inseguiva per corridoi urlandogli di fermarsi.

Ma se era lui a non sorridere, scherzare o complottare qualche scherzo con Nick, allora apriti cielo ed incominciava l’interrogatorio da parte di Kevin.

Perché a lui non era concesso di essere di malumore?

Mentre Brian raggiungeva le porte girevoli che lo avrebbero catapultato fuori dall’hotel e lontano dalle manie di protezione di suo cugino, la sua mente era divisa dai ragionamenti irrazionali dettati dalle sue emozioni e dalle parole sincere e logiche della ragione. Sono preoccupati per te – continuava questa a ripetergli come un dolce mantra – hai appena subito un evento drammatico, è logico che siano preoccupati.

Doveva solamente prendere una boccata d’aria, avrebbe sicuramente servito a rinfrescargli le idee, a calmarlo prima di rientrare ed affrontare gli impegni della giornata: incontri con la stampa, set fotografici, prove ed il concerto quella stessa sera.

Si sarebbe anche scusato con Kevin e con gli altri per come aveva reagito quella mattina.

Ma prima doveva calmarsi.

Brian stava per mettere piede fuori dall’hotel quando si bloccò all’improvviso.

“Ehi, biondino, hai da accendere?”

Il respiro di Brian si fece più affannato mentre la sua parte razionale gli urlava che era solamente frutto della sua mente.

“Sai, sei proprio carino.” Commentò il ragazzo, velocizzando anche lui la sua andatura e riuscendo a riafferrare il polso di Brian. “Ed è regola che il più carino di questo locale sia destinato a me.”

No, non poteva essere... non lo poteva averlo seguito fino a lì.

Stava incominciando a sudare, sentiva le mani bagnate dal liquido prodotto dalle sue stesse ghiandole ma nello stesso tempo aveva iniziato a tremare mentre la sensazione che le pareti dell’albergo si stessero richiudendo su di lui gli stava impedendo di respirare.

Brian non sentiva le persone che gli urlavano di spostarsi perché stava impedendo il passaggio né gli spintoni per muoverlo dalla sua posizione.

“Brian!”

Era Kevin, lui lo avrebbe protetto.

“Brian, che succede?” il tono frenetico del cugino riuscì a ridargli un attimo di concentrazione per mettere a fuoco la sua figura posizionata davanti a lui. Tutta la rabbia per la discussione avvenuta qualche minuto prima si era dissolta non appena aveva visto in che condizioni era il cugino.

Nel pieno di un attacco di panico.

Guidandolo come se fosse un bambino, Kevin accompagnò Brian verso il primo divanetto che vide. Non era il massimo, tenendo conto che si trovavano nella hall concitata dell’albergo ma prima doveva calmarlo. Per fortuna, fra le persone che affollavano il primo piano non sembravano esserci reporter o fans, solamente gente che li guardava con sguardo curioso ma che poi riprendeva a camminare come se nulla fosse successo..

Lo fece sedere e gli si inginocchiò vicino al cugino. “Bri, calmati. Va tutto bene.” lo rincuorò Kevin, massaggiandogli una mano. Era uno di quei gesti che sapeva lo avrebbe rilassato.

“Volevo uscire.” Pronunciò Brian con tono completamente piatto. “Volevo prendere un po’ d’aria ma... poi ho pensato che l’ultima volta che l’ho fatto, mi sono ritrovato sbattuto contro un muro.”

“Vuoi che ti accompagno?”

Brian scosse la testa in segno di rifiuto.

“Vuoi che ti recupero un bicchiere d’acqua?”

Ancora una volta Brian fece di no con il capo.

Kevin sospirò, non sapendo che cosa potesse fare per aiutare suo cugino.

“Voglio che tutto torni come prima.” Sussurro Brian, incrociando finalmente lo sguardo di Kevin. “Voglio riuscire ad uscire da un dannato hotel senza avere una crisi di panico!”

Kevin si alzò e si sedette accanto a lui, mettendogli un braccio attorno alle spalle. “Succederà, Brian.”

Brian si lasciò scappare una risata amara. “No, non succederà. Non può tornare come prima.”

“Ma io so che riuscirai a metterti tutto alle spalle.” Lo rincuorò Kevin. “Lo hai già fatto una volta e la situazione era ben peggiore di questa.”

“Ieri sera, quando sono venuto a cercarti... mi è successa una cosa.”

“Vuoi andare in un posto più tranquillo invece che una hall piena di orecchie indiscrete?” gli domandò Kevin, intuendo che qualunque cosa Brian dovesse dirgli, era meglio che si trovassero faccia a faccia senza nessuno che potesse sentirli. Il cugino minore annuì e lentamente si avviarono verso l’ascensore.

Silenziosamente, salirono fino al piano in cui stavano e si incamminarono verso le stanze.

“Tua o mia?” chiese distrattamente Kevin. Brian scrollò le spalle, l’una o l’altra andava perfettamente bene.

Entrarono nella stanza di Kevin, perfettamente immacolata, i vestiti che sarebbero serviti per la conferenza stampa erano appesi all’anta di un armadio e la sua valigia ancora intatta in un angolo del pavimento. Kevin e Howie erano maniacali quando si trattava di ordine e non c’era giorno che i due riprendessero i tre più giovani per lo stato delle loro camere.

Brian e Kevin si sedettero sul bordo del letto e l’ultimo aspettò pazientemente che il cugino incominciasse a parlare.

“Ricordi quello che mi disse la mia terapista?”

Kevin si ritrovò preso in contropiede da quella domanda, era insolito per Brian riportare alla galla quei tipi di discorsi, visto che solitamente era lui, Kevin, a parlargliene. E, improvvisamente, aveva una brutta sensazione sulla direzione verso cui quella chiacchierata stava prendendo.

“Che per la tua pazzia non poteva fare niente?” Kevin cercò di buttarla sul ridere, allentando un po’ la tensione.

Brian gli lanciò un’occhiata fulminante ma si sorprese di se stesso quando una piccola risata sfuggì dalle sue labbra. “Perché nessuno riesce a stare serio quando io lo sono?” chiese retoricamente.

“Perché tu e la serietà siete un po’ incompatibili.”

“Comunque.” Intervenne Brian, lasciando perdere quell’ultimo commento. In altra situazione, molto più normale e meno tesa, non gliela avrebbe fatta passare liscia. “Credo fosse una delle ultime sessioni e mi sembra che anche tu fossi presente.”

Kevin annuì, per la maggior parte degli appuntamenti di Brian era stato presente anche lui, a volte come semplice accompagnatore e a volte come paziente lui stesso. Ma era qualcosa che si era ripromesso, mai lasciarlo più solo.

“E mi disse che non le piaceva il modo con cui stavo gestendo tutto e che un giorno avrei dovuto comunque far conto con ciò.” Brian aveva ripreso a parlare dopo aver preso coscienza del cenno del cugino.

“Non capisco dove tu voglia andare a parare.” Intervenne Kevin, confuso da quel discorso.

Brian abbassò lo sguardo, lasciando il cugino sulle spine per un minuto, combattuto se confessare oppure inventarsi qualche scusa per il suo comportamento da pazzo nervoso. Ma, purtroppo, Kevin era l’unico a cui poter chiedere appoggio e Brian era certo che episodi di quel genere lo aspettavano con tutta la pazienza di questo mondo dietro l’angolo.

“Ieri sera... ho incominciato a ricordare quello che mi è successo.” 

 

***********

Okay, lo ammetto. Sono troppo cattiva con Brian ma é altrettanto vero che non potevo lasciarlo tranquillo e calmo dopo tutto quello che gli era successo. Non sarebbe stato comunque realistico!

Questo capitolo l'ho scritto in due giorni, una volta aver trovato come iniziare, tutto il resto é venuto di seguito ed ammetto che mi sto divertendo a fare le scene di Nick, come quella dei pancake. (oddio, ho scritto che mi diverto a scrivere di Nick? Sto male!)

@Laphy: posso essere sincera e dirti che la tua recensione mi ha commosso? Solitamente, sono io quella che si rifugia nelle fanfiction e mai nessuno mi aveva detto di aver letto in un'unica notte la mia storia. Sono davvero contenta che ti stia piacendo e che la mia versione di Brian e Nick ti abbia fatto considerare possibile una storia romantica tra loro due. Diciamo che il materiale a cui attingere é molto e ben spalmato in 17 anni di onorata carriera! 

@kia85: Kevin é Kevin, non ha bisogno di spiegazioni! In parte, credo che la sua assenza ora abbia portato molta più allegria nel gruppo (pensa a PDE: se ci fosse ancora Kevin, dubito che quel video sarebbe esistito o sarebbe bastata un'occhiata per far dire a Nick: "Erection? No, ti sbagli, io ho detto Affection!" mentre Brian si sarebbe nascosto per il gesto). 

Allora, non so che idee abbia la mia ispirazione quindi potrei aggiornare questa storia oppure "Unsuspecting", dipende da come si sveglia la mattina! 

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Capitolo 10
*** - Nono Capitolo - ***


Nono Capitolo

 

“Ho incominciato a ricordare.”

Passarono alcuni secondi prima che le parole di Brian acquisissero senso logico nella mente di Kevin.

Ora capiva il comportamento di Brian quella mattina o il motivo per cui era venuto a cercarlo la notte precedente. Ma era esausto e così aveva preso un sonnifero per essere sicuro di riuscire a dormire per tutta la notte. Giusto l’unica sera in cui Brian aveva deciso di non fare tutto da solo e chiedere aiuto.

Lo aveva lasciato solo per l’ennesima volta.

“Tutto?” fu l’unica parola che riuscì a chiedergli.

“Fortunatamente no, sarei in condizioni peggiori altrimenti!”tentò di scherzare Brian ma lo sguardo serio tradì la sua tensione. Oltre al fatto che, mentre aspettava che Kevin commentasse la sua affermazione, aveva incominciato a mangiucchiarsi le unghia. “Solo quando mi ha portato nell’area riservata agli addetti al lavoro.”

“Non devi raccontarmi tutto, se non te la senti.”

Brian sospirò. “Non è che non me la senta, è che... non c’è molto da raccontare. Non... lui non era nemmeno riconoscibile, era come se non potessi – o non volessi – vederlo in faccia.”

Kevin aveva temuto quel giorno, e sapeva che anche Brian lo aveva fatto, e  che fosse successo nel bel mezzo di un tour non era altro che una complicazione; non c’era tempo per rilassarsi o per prendere una pausa per rimettere insieme i pezzi.

Bisognava continuare senza mai fermarsi. Anche se poteva rivelarsi un errore.

“Ho paura.” Il debole mormorio di Brian riportò Kevin nella camera in cui si trovavano. Kevin fece l’unica cosa che potesse davvero fare per aiutare suo cugino: allargò le braccia per permettere a Brian di rifugiarsi nel suo abbraccio. In quel momento, sembrava essere ringiovanito di dieci anni ed essere ritornato al ragazzino impaurito che aveva cullato notte dopo notte una volta uscito dall’ospedale.

“Andrà tutto bene” continuò a ripetergli Kevin fino a quando non sentì Brian rilassarsi.

“E se mi dovesse succedere sul palco?” gli chiese dopo qualche minuto di silenzio.

“Se e quando succederà ci penseremo, okay?”

Brian annuì ma l’espressione sul suo volto gli fece intendere che non era ancora sicuro di quella soluzione. Con tutta l’incertezza subita in quei giorni, Brian aveva un disperato bisogno di punti fermi, di risposte concrete ai suoi dubbi ed alle sue paure.

“Brian... non sarebbe meglio parlarne con i ragazzi?” chiese Kevin titubante. Non spettava a lui prendere l’iniziativa di informare i loro tre compagni di quello che era successo, toccava a Brian decidere se fosse venuto il momento di far sapere agli altri che cosa era accaduto nel suo passato.

“No.” La risposta era stata secca, concisa e non ammetteva repliche.

Ma Kevin pensò che tanto valeva provarci fintanto che Brian sembrava essere disponibile a parlare di quell’argomento scottante

“Perché no?”

“Non sono affari loro.”

“Davvero?”

“Certo.”

“E se io non ci fossi?”

“Mi pare improbabile questo scenario. Sei come la mia seconda ombra.”

Kevin incominciò a diventare impaziente, cosa che succedeva solamente con due persone: una era seduta di fronte a lui, l’altra aveva il nome di Nick Carter.

“Okay ma mettiamo, per puro caso, che io non ci sia e ti succeda qualcosa, come un sogno..”

“...io non lo chiamerei sogno. Più che altro incubo.”

“...okay, incubo. Che cosa dirai loro?”

“Niente.”

“Brian!”

“No, non dirò niente esattamente come farai anche tu.”

“Prima o poi lo scopriranno.”

“Solo se qualcuno apre la bocca.”

Kevin capì che non sarebbe arrivato da nessuna parte, suo cugino era testardo tanto quanto lo era lui.

“Nemmeno con Nick?”

Nick.

Brian si era chiesto tante volte se fosse il caso o meno di parlarne con lui, era il suo migliore amico d’altronde e si erano promessi di non nascondere niente all’altro, non importava quanto fosse brutto o stupido il segreto.

Ma quello che teneva nascosto lo avrebbe sconvolto, non era nemmeno sicuro che potesse comprendere che cosa aveva significato per lui. Ed in qualche modo, lui lo voleva proteggere.

Nick aveva già visto troppo in quegli anni eclettici, cose che un ragazzino non avrebbe ancora dovuto sapere o scoprire. Certo, gli ostacoli che avevano affrontato nella loro carriera lo avevano fatto maturare ma se Brian poteva risparmiargli altro dolore, allora era suo dovere farlo.

Inoltre, conservava in cuor suo la speranza che un giorno il ragazzo potesse ricambiare i suoi sentimenti e Brian era certo che non sarebbe mai successo se avesse raccontato quello che gli era successo.

Chi poteva mai volere qualcosa che era stato usato e gettato via come se fosse un rifiuto?

No, Nick meritava di meglio. Meritava molto di più di quello che lui sarebbe stato capace di dargli.

Ecco perché Nick era l’ultima persona che doveva venire a conoscenza di quello scheletro.

“Soprattutto Nick.” mormorò Brian. “Per favore, Kev, non dire niente.” Lo pregò.

Kevin sapeva che non poteva sottrarsi a quella richiesta. Ma sapeva anche che Brian aveva bisogno del supporto di tutti per poter affrontare con serenità le settimane seguenti..

“Ti prego.” Riprese Brian, temendo che il silenzio di Kevin significasse solamente un no.

“Va bene. Anche se non lo condivido, è una tua decisione.” Rispose il maggiore, non riuscendo a sopportare il tono supplichevole di Brian. Involontariamente, il ragazzo stava giocando con il suo senso di colpa. “Ma dovrai parlarne. Se non con una persona esterna, almeno con me, okay? Non voglio che ti tieni tutto dentro se dovesse succedere un’altra volta!”

Brian annuì, sollevato che Kevin avesse acconsentito e non gli avesse voltato la schiena.

“Sei pronto per tornare di là o vuoi riposare un po’ prima di iniziare gli impegni della giornata?”

“Torniamo di là. Non voglio rimanere solo.”

“Prometti che mangerai qualcosa?”

“Kevin! Sei peggio di una suocera!”

“Che cosa ti costa farmi un piccolo favore?”

“Il fatto che il mio stomaco stia facendo le montagne russe?” domandò sarcastico Brian, inarcando il sopracciglio.

“Questo perché sei nervoso e stressato.” Rispose prontamente Kevin. “Non ti chiedo molto, solo un po’ di frutta. Quella non dovrebbe farti male!”

“Non rinuncerai, vero?”

Kevin scosse la testa.

Brian sospirò. “Va bene. Ma se poi sto male durante l’intervista, sarà solo colpa tua!”

Kevin gli mise attorno alle spalle un braccio, non prima di avergli scompigliato i capelli. “Mi sto solo prendendo cura del mio cuginetto preferito!”

“Fino a qualche anno fa, era Harry il tuo preferito!”

“Questo perché tu eri un rompiscatole!”

Brian e Kevin si alzarono dal letto ed incominciarono ad avviarsi verso la stanza dove avevano lasciato il resto della banda. “Kevin, non smettere mai di prenderti cura di me.” Sussurrò Brian, provocando un sorriso sul volto del cugino. 

 

********

 

“Okay, è trascorsa una buona mezz’ora e non sono ancora tornati.” Esclamò Nick, stiracchiandosi sulla poltrona visibilmente annoiato.

“Scommetto che staranno dando spettacolo per chiunque stia assistendo alla loro discussione!” commentò Aj, seduto a gambe incrociate davanti allo schermo della televisione ed intento a fare zapping alla ricerca di qualcosa di interessante. Giusto per passare il tempo ma di mattina, oltre a pubblicità di utensili domestici alquanto strani, non c’era niente che catturasse la sua attenzione.

“Okay, Bone, secondo te chi vincerà questa volta?”

“Brian.”

“Davvero?”

“Hai visto i suoi occhi quando è uscito dalla stanza? Credimi, avrebbe incenerito chiunque!”

Nick si grattò il mento pensieroso. “Potresti aver ragione ma Kevin metterebbe paura anche al diavolo in persona.”

“Ragazzi, vi sembra il caso?” sbottò Howie, chiudendo il giornale che aveva appena terminato di leggere.

Sia Aj sia Nick scrollarono le spalle.

“Ehi! Ho trovato un porno!” esclamò tutto eccitato Aj. Nick quasi cadde dalla poltrona mentre Howie sembrava voler scomparire.

“Non fate quella faccia, sono un mago in queste cose!”

“Perché non ne sono sorpreso?” mormorò Howie sconsolato. “Almeno abbassa il volume!”

“Tanto in questi film, non è l’audio che conta.” Commentò Aj, togliendo completamente il sonoro.

Nick aveva lasciato il duo Aj e Howie e s’era ritirato in un angolo, lo sguardo perso ad osservare ciò che si trovava oltre la finestra mentre la sua mente rielaborava gli avvenimenti della mattina e della nottata. Oltre che a cercare di sbrigliare la matassa dei suoi sentimenti, ancora troppo confusi attorno a Brian.

Dopo lo sfortunato incidente con Brian la sera stessa dell’aggressione, Nick aveva deciso che avrebbe fatto di tutto per aiutarlo a riprendersi. Era diventata così la sua ombra, attento a captare qualsiasi cosa che fosse fuoriposto, una smorfia di dolore, un’espressione di insofferenza, un momento di silenzio. E quando lui non poteva stare dietro al ragazzo, la consapevolezza che c’era comunque Kevin a sostituirlo lo faceva stare meglio.

Si comportava in quel modo perché era preoccupato, vero. Ma anche per annullare il senso di colpa che lo attanagliava: mai Brian aveva detto una parola o lasciato intendere che lo ritenesse responsabile per averlo portato fuori quando non voleva e poi averlo lasciato solo. L’aggressione era solamente la logica conseguenza di quel gesto. Era tutto collegato, almeno nella sua mente.

Così si era ripromesso di non commettere più lo stesso errore.

Ma ora era Brian che voleva essere lasciato solo.

E Nick sentiva di provare un altro sentimento, qualcosa che mai avrebbe potuto pensare essere causato dal suo migliore amico.

Si sentiva tradito. E ferito.

Fra tutte le persone, Brian era sempre stato l’unico che non l’aveva mai guardato dall’alto in basso – cosa che fisicamente sarebbe stata impossibile, data la differenza di centimetri tra di loro – con aria di supponenza, ritenendolo nient’altro che un bambino cresciuto e viziato. Per quanto molto spesso si era ritrovato a commettere una miriade d’errori, uno più stupido dell’altro, Brian non lo aveva mai giudicato male, sempre paziente nel cercare di capire – e fargli capire – dove e perché avesse sbagliato.

Ora, invece, era come se non si fidasse più di lui e delle sue capacità.

Sospirando, Nick appoggiò il mento su una mano mentre con l’altra disegnava immagini sul vetro. Lui voleva aiutarlo, esattamente come Brian aveva fatto con lui, ma non poteva. E non perché non ne avesse le capacità ma perché il suo migliore amico non pensava che ne fosse capace.

E’ vero, non sapeva che cosa stesse attraversando ed era altrettanto vero che non sapeva come fare per cancellare via quel brutto ricordo.

Ma poteva tentarci.

Ed era quello che aveva fatto, giorno dopo giorno, notte dopo notte, incubo dopo incubo.

Invece, ogni suo tentativo era stato dismesso con un sorriso e la promessa che, non appena possibile, lui sarebbe stato il primo a cui si sarebbe rivolto in caso di bisogno. E Nick sapeva anche quando sarebbe successo, ovvero quando tutto era ormai già alle spalle ed il suo aiuto non serviva più a niente.

La cruda realtà era che Brian non lo riteneva maturo per accettare di condividere quel fardello che si portava sulle spalle.

Ecco perché si sentiva ferito perché anche l’unica persona che aveva sempre creduto in lui lo riteneva inutile, un bamboccione, un immaturo.

Nick chiuse gli occhi, impedendo così ad una lacrima di uscire e rivelare il suo sentimento.

Si sentiva maledettamente inutile. Forse Brian aveva ragione, forse lui non era in grado di sopportare entrambi i pesi. A malapena, riusciva a sopravvivere nei suoi drammi, come poteva anche solo pensare di poter resistere assistendo a quello di qualcun altro?

Riassumendo, era ferito e tradito da Brian, quindi era furioso ed arrabbiato.

Si sentiva inutile ed insicuro sulle sue capacità da amico.

Ma la cosa che non riusciva a comprendere era l’attrazione che provava da quella famosa sera. Dall’incidente del bagno.

Ora, non era la prima volta che capitava che ci si ritrovasse nudi alla presenza di altri. I primi anni avevano condiviso un unico bus, un’unica stanza d’albergo ed un unico camerino. Fare la doccia insieme dopo un concerto era una sorta di rituale nel quale ci si scambiava elogi e complimenti per la perfomance appena esibita. Oltre che ad essere un utile metodo per diminuire i tempi.

Quindi, Nick non capiva per quale motivo quella sera doveva essere differente dalle altre.

Non comprendeva perché osservare Brian che si asciugava lo avesse fatto eccitare.

Lui non era gay, la sua fedina amorosa ne era una prova lampante.

Eppure... non riusciva a spiegarsi il crescente desiderio del suo corpo di sentire, toccare e provare il corpo di Brian. Anche un solo tocco, le dita che si sfioravano, bastava a mandare in corto circuito i suoi nervi ed a bloccargli il respiro per il desiderio impellente.

Ma non era solamente un desiderio fisiologico e corporeo. Per la prima volta, non era attratto da una persona, per quanto questa fosse un uomo, solamente per il suo aspetto fisico; Nick adorava tutto di Brian, il suo senso dell’umorismo, la sua inesauribile voglia di fare il pagliaccio per far sorridere qualcun altro. A Brian bastava poco per essere accontentato, stare insieme ai suoi amici ed alla sua famiglia e rendersi utile. Ed ora che era lui ad essere in difficoltà, Nick voleva solamente essere al suo fianco ed a promettergli che avrebbe riportato il suo mondo alla normalità.

Voleva proteggerlo, voleva essere il suo eroe.

Voleva dimostrargli quanto fosse maturato tanto da essere pronto a condividere qualsiasi ostacolo la vita avrebbe posto loro davanti.

E semplicemente lo...

“Nicky, non fare quell’espressione da cucciolo abbandonato.” La voce di Howie lo riportò indietro dai suoi pensieri. Il ragazzo si era seduto accanto a lui non appena aveva notato lo sguardo triste e malinconico sul suo volto.

La situazione che si era venuta a creare era stata difficile per tutti ma soprattutto per lui, il più piccolo che mai come quella volta si era ritrovato senza il suo costante punto di riferimento, ovvero Brian.

E Howie sapeva che in quel momento Nick non sapeva che cosa fare e come gestire tutto ciò.

“Mi sento inutile.”

“Nel senso?”

“Brian.”

“Oh.” Howie rimase zitto per qualche secondo, intuendo immediatamente quale fosse il dilemma che stava tormentando l’amico. “Stai facendo il possibile e Brian apprezza ogni tuo tentativo.”

“Ma non è abbastanza! Che tentativi sono se lui comunque continua a non accettare il mio aiuto?”

“Quando mai Brian ha ammesso di aver bisogno di aiuto?”

“Dovrebbe imparare a farlo, prima che la sua testardaggine lo porti direttamente in ospedale.”

“Nick, calmati, okay?” lo esortò Howie, appoggiandogli una mano sul ginocchio.

“Come faccio a calmarmi? Lo hai visto prima, non ha mangiato nemmeno un pezzo del suo pancake! E non lo hai visto ieri notte...”

“Nick.” lo richiamò Aj, cercando di interrompere quell’insieme confuso di frasi che uscivano dalla bocca dell’amico.

“... ogni notte lo sento urlare ma quando vado da lui mi risponde che sta bene! Uno che sta bene come dice di essere non si comporta in questo modo!”

“Nick, ascolta. L’unica cosa che puoi fare ora per Brian è trattarlo normalmente.”

“Non posso far finta che niente sia successo.”

“Non sto dicendo questo.”

“Non riesco a seguirti, Howie.”

Howie si lasciò scappare un lungo respiro. “Ti ricordi quello che è successo quando Bri è ritornato dopo la sua operazione?” chiese a Nick, sapendo per certo che quel ricordo non si era cancellato dalla memoria del biondino.

Ed in effetti, Nick non poteva dimenticare quei giorni. Era il primo giorno in cui si sarebbero rincontrati dopo i due mesi di recupero e Nick era stranamente impaurito mentre, insieme agli altri, aspettavano l’arrivo di Brian. Nick aveva avuto paura non appena lo aveva visto varcare la porta della palestra, pallido e così magro ed emaciato che quasi si vedevano solamente le ossa e nient’altro. Non sembrava nemmeno un ventitreenne ma dimostrava più o meno quindici anni. Aveva avuto paura che, se solo lo avesse toccato con un po’ più di forza del solito, si sarebbe rotto in mille pezzi.

Così lo aveva ignorato per tutto il giorno, rifiutato ogni sua proposta – era pazzo a voler giocare a basket quando a malapena riusciva a stare in piedi dopo le prove – e lo aveva osservato da lontano mentre, in una delle pause del primo concerto, veniva circondato da paramedici e si serviva di bombole d’ossigeno. Non doveva essere lì, doveva trovarsi a casa, a riprendersi, non lì con loro.

Dopo due giorni di quel suo comportamento, Brian lo aveva bloccato in un angolo e gli aveva chiesto, con lo stesso tono di un bambino a cui avevano appena rubato il suo giocattolo preferito, per quale motivo lo odiasse e perché lo stesse ignorando in quel modo. Dopo lacrime, spiegazioni e battute, Brian gli aveva chiesto di comportarsi semplicemente da Frack.

“Ma non lo sto ignorando.” Dichiarò Nick, ancora confuso da quel discorso.

“No, stai facendo esattamente l’opposto: ti comporti da madre chioccia ma sempre per lo stesso motivo. Perché hai paura di vederlo crollare.”

Howie aveva centrato il punto, come sempre. “Non so come comportarmi, Howie.”

“Comportati come sempre. Sfidalo a basket, al Nintendo. Trascorrete ore a vedere film e cartoni animati. Fai con lui tutto quello che avresti fatto se non fosse successo niente. È l’unico modo che hai per aiutarlo veramente. Quando si sentirà pronto, sarai il primo a cui chiederà aiuto.”

“Non capisco come comportarmi normalmente possa aiutarlo con gli incubi o con il digiunare!”

“Oh, andiamo! Non è la prima volta che uno di noi salta la colazione! Solo che, mettendo questo suo comportamento nel contesto dell’aggressione, diviene più lampante e lo prendiamo come sintomo di qualche malessere.”

“Quello che Howie sta cercando di dirti è che se lo spingi ad aprirsi otterrai solamente l’esatto contrario, tenderà a chiudersi sempre di più perché si rende conto che vi sta facendo preoccupare.” Intervenne Aj, cercando di tradurre i paroloni di Howie. Persino lui aveva fatto fatica a comprendere quello che stava blaterando.

“Mh, in effetti è tipico di Bri nascondere le cose per non diventare un problema altrui.” Commentò Nick.

“Devi dare tempo al tempo, che può davvero sembrare una banalità ma è la verità.” Aggiunse Howie.

“Ehi, hai fatto rima, D!”

Howie lo fulminò con sguardo.

“Ad ogni modo, anche facendo la rima, D ha ragione. Faccio fatica io a prendere sonno che ho visto solamente una parte dell’aggressione, non oso nemmeno pensare come possa prendere sonno tranquillamente Brian avendolo vissuto in prima persona.”

“Quindi è per questo motivo che ti agiti e scalpiti peggio di un cavallo di notte?” chiese Howie, visto che lui ed Aj condividevano la stanza in quei giorni a causa di un disguido nelle prenotazioni.

Aj annuì. “Non sono immagini che puoi cancellare dalla mente in poco tempo.” Rispose poi, cambiando tono e diventando serio.

Non sapendoselo spiegare, Nick provò una punta d’invidia e di gelosia verso Aj. Sapeva esattamente che cosa stava provando Brian, anche in misura ridotta mentre lui no, lui doveva andare a tentativi, i quali molto spesso risultavano essere solamente dei buchi nell’acqua.

Basta recriminazioni, però.

Come poteva aiutare il suo amico se tutto quello che faceva era piangersi addosso per non essere capace a farlo?

Sì, avrebbe seguito il consiglio di Howie e si sarebbe comportato normalmente. Se e quando Brian avesse deciso di confidarsi con lui, si sarebbe fatto trovare pronto e le parole di conforto sarebbero sicuramente arrivate.

Mentre stava per ringraziare gli amici per i consigli decisamente ottimi, Brian e Kevin rientrarono nella stanza.

Brian si schiarì la voce, riportando all’attenzione i ragazzi. “Volevo semplicemente chiedervi scusa per il mio comportamento.” Disse, tenendo però lo sguardo fisso su Nick. C’era qualcosa che non andava, pensò Brian mentre notava gli occhi insolitamente arrossati.

Fu Howie però a rispondere. “Non ti preoccupare.” Disse con tono sincero.

“Siamo sempre pronti ad assistere ad un cuginocidio!” esclamò Aj, provocando una risata generale.

Kevin rimase fermo allibito nel constatare che cosa stava guardando Aj alla televisione.

“Bone... dimmi che non è quello che penso che sia!” riuscì a formulare mentre anche Brian dava uno sguardo allo schermo.

“Che cosa vuoi che sia? Un documentario?” scherzò Brian.

“Beh, tecnicamente possiamo considerarlo come un documentario sulla riproduzione umana.” Dichiarò Aj, sorridendo beffardo.

Kevin si passò una mano sugli occhi. “Non voglio nemmeno sapere come tu sia riuscito a trovarlo.”

“Non è stato molto difficile, in realtà. È un giochetto da ragazzi una volta che scopri il codice segreto per sbloccare i...”

Kevin alzò la mano. “Ho detto che non voglio sentire!”

“Orsù, papà orso! Tanto lo sappiamo che anche tu sei un’amante...”

Questa volta fu Brian ad interrompere quella frase. “Alex, per favore! E’ mio cugino!”

A Brian si aggiunse anche Nick. “Ha ragione... è come scoprire che i tuoi genitori fanno ancora sesso!” Entrambi i ragazzi strabuzzarono gli occhi, le labbra contorte in una smorfia di disgusto.

Kevin si stava trasformando in un peperone bollente, tanto era rosso in viso. “La smettiamo, per favore?”

Sbottò all’indirizzo dei due ragazzi; poi si voltò verso Aj. “E tu vedi di spegnere quella cosa!”

Nick e Brian scoppiarono a ridere, con il primo soddisfatto nel vedere l’amico partecipare finalmente alle battute ed alle risate generali.

Sì, quella sera avrebbe incominciato a comportarsi da vero amico.

 

**********

 

Nick bussò impaziente alla porta di Brian, quella sera erano gli unici due che erano rimasti in albergo ed avevano saltato la consueta nottata di festeggiamenti in un locale: Brian per ovvi motivi e Nick perché, dopo aver saputo che l’amico sarebbe rimasto solo, aveva deciso di rimanere e fargli compagnia.

Questo se Brian era dell’idea.

“Nick?” Brian aveva aperto la porta proprio nel momento in cui il pugno di Nick stava per finire contro il legno; fortunatamente grazie alla differenza di altezza, il colpo era rimasto nell’aria e non aveva avuto effetti sul ragazzo.

Nonostante ciò, entrambi scoppiarono a ridere dopo un momento di sguardo fisso.

“Ehi, sono solo passato per sapere se volevi un po’ di compagnia.”

Il momento di allegria svanì subito dal volto di Brian.

“Sono esausto. Stavo per andare a letto.” Si scusò Brian, anche se era una parziale bugia. Realmente stava per crogiolarsi sotto le coperte ma non credeva possibile addormentarsi. Non dopo quella giornata.

“Solo due chiacchiere.” Tentò Nick, deciso a non fallire nel suo piano.

Brian tentennò.

Non aveva la forza per tenere fronte a lungo a Nick.

“E se non hai voglia di parlare, possiamo guardare un film.” Continuò Nick, alzando l’altra mano per mostrargli una videocassetta. “Ace Ventura” era uno dei loro film preferiti, forse perché metà del divertimento stava nell’imitazione perfetta di Jim Carrey da parte di Brian.

“Entra.” Gli disse Brian, sorprendendo Nick.

In silenzio, entrambi si diressero verso il grande letto. Nick vi si sedette mentre Brian rimase in piede, lo sguardo fisso sul pavimento.

“Frick, che c’è?” chiese preoccupato Nick.

“Volevo chiederti scusa. Per il mio comportamento in questi due giorni.”

“Non devi farlo.”

“Lo so ma voglio farlo.” Rispose immediatamente Brian. “Tu ti sei dato fare per aiutarmi ed io ti ho trattato male.”

Nick si alzò, girò attorno al letto, e si posizionò di fronte a Brian. Senza dire una parola, circondò la minuta figura del ragazzo in un caldo abbraccio. Dopo qualche secondo, anche se di controvoglia, sciolse l’abbraccio ma le mani scesero lungo tutto il braccio fino ad intrecciarsi in quelle di Brian.

Ancora una volta, Nick non riusciva a spiegarsi per quale motivo anelava a sentire ed avere un contatto fisico con lui.

“E l’abbraccio per che cosa era?” chiese Brian, nemmeno lui voleva staccare le proprie dita da quelle di Nick.

“Ne avevi bisogno.” Fu la risposta di Nick.

“Grazie.” Il rossore incominciò ad infiammare le guance di Brian ed abbassò velocemente gli occhi, era difficile riuscire a sostenere lo sguardo di Nick quando lo guardava in quel modo, come se lui fosse la persona più importante della sua esistenza.

“Frick... mi ero preparato tutto un discorsone ma, beh, la conosci la mia memoria, ha qualche buco qua e là e credo che vi sia finito dentro.” Nick non si mosse, anche se dovette lottare contro la tentazione di staccare una mano ed alzare il viso di Brian. “E’ assurda questa situazione ma... dopo lungo riflettere e qualche buona soffiata da parte di Howie, ho capito che stavo sbagliando a trattarti come se stessi sul punto di crollare. Non hai bisogno di qualcuno che ti ricordi costantemente quello che ti è successo ma hai bisogno di dimenticartene, di riprendere la tua vita esattamente dove è stata interrotta.” Nick si fermò un attimo, impossibilitato nell’evitare il lieve tremore nella sua voce. “Inoltre, penso che Kevin faccia già il lavoro di cinque persone nel chiederti come tu stia o ricordarti di dormire e di mangiare! Quindi, per quanto mi sarà possibile, cercherò di essere al tuo fianco come lo sono sempre stato. Quando hai bisogno di mettere in stop i pensieri nella tua testa, sai dove andare e chi cercare.”

Dire che Brian era sorpreso di quel discorso era dir poco. Per la prima volta, davanti a lui non c’era il ragazzino a cui aveva sempre dovuto spiegare come ci si comporta in determinate situazioni o a cui aveva dovuto fare da amico, fratello maggiore ed a volte padre un sacco di volte ma un Nick maturo, capace di comprendere il problema e di trovare una soluzione da solo.

Era orgoglioso di quel cambiamento avvenuto in Nick, anche se faceva male sapere che tutto era successo a causa sua.

“Non so cosa dire.” Fu tutto quello che poté dire Brian.

“Questa sì che è una novità.”

Brian ridacchiò. “Già, solitamente ho sempre qualcosa da dire.”

“Solitamente tu fai il commento del commento al commento ad una domanda che nemmeno ti era stata posta!” scherzò Nick. “Se avrai voglia di confidarti, sono più che disponibile ad ascoltarti ma non premerò più. Parlare di quello che ti è successo, di come ti senti o della tua voglia di bruciare qualcuno, deve essere una tua decisione, non mia o di Kevin.” Riprese Nick, tornando serio.

Brian aggrottò la fronte, ripensando alla discussione che lui e Kevin avevano avuto quella mattina. Sapeva che Nick si stava riferendo semplicemente all’aggressione dell’altra sera ma la mente di Brian aveva subito fatto il collegamento ad altro, prendendo quella dichiarazione di Nick come un naturale assenso alla sua decisione di non parlarne.

“Ehi, basta con quello sguardo serio... non sono venuto qui per rattristarti.”

“Allora smettiamola di parlare e guardiamo il film!” acconsentì Brian.

Nessuno dei due, però, staccò la mano da quella dell’altro.

“Ehm... credo che dovremmo...” incominciò a dire Brian, lo sguardo puntato sull’intreccio delle loro dita.

“Già. Tu prendi posizione sul letto, io preparo il film.” Disse Nick, staccando riluttante la propria mano.

Brian si lasciò cadere sul soffice materasso e chiuse gli occhi. Aveva la sensazione di potersi addormentare in qualsiasi momento, tanto era stanchezza non solo fisica ma soprattutto mentale. Nick aveva ragione, non poteva continuare a pensare, doveva dare alla sua mente uno spiraglio di pace se voleva dormire almeno per una notte.

Sentì il lato del letto abbassarsi sotto il peso di Nick e dopo qualche secondo percepì la sua presenza accanto a lui.

“Se vuoi dormire, posso andare...” incominciò a dire Nick, notando gli occhi chiusi di Brian.

“No, no... stavo solo aspettando...” rispose Brian, aprendo gli occhi.

“Ad ogni modo, non farti pregare. Quando senti di non farcela più, me lo dici così ti lascio riposare.”

Brian non voleva rimanere solo. Non quella sera. Non quella notte.

Piuttosto avrebbe tenuto testa al sonno se questo significava non lasciare andare via Nick. Certo, poteva sempre chiedergli di rimanere ma, stranamente, non riusciva a trovare il coraggio di formulare quella semplice domanda.

Nick non avrebbe rifiutato, lo sapeva.

E forse era proprio questa certezza che lo fermava. Non poteva continuare ad illudere se stesso, avrebbe solamente peggiorato la situazione. La sua, in primis. Era in uno stato fragile ed avrebbe frainteso qualsiasi atteggiamento di Nick se non avesse alzato qualche barriera.

Perché la triste verità era che Nick si comportava in quel modo solamente per puro spirito di compassione.

Le immagini sullo schermo continuavano a scorrere, senza accorgersene il film era quasi a metà e lui non aveva seguito nemmeno mezzo dialogo, che non era una grandissima perdita dato che li conosceva a memoria.

Come aveva fatto a ridursi in quelle condizioni? Perché stava lasciando che i suoi sentimenti verso il ragazzo sdraiato accanto prendessero il sopravvento?

L’unico che ne sarebbe uscito con il cuore spezzato sarebbe stato lui e non poteva nemmeno dare la colpa a Nick, ignaro di quello che gli stava accadendo.

“Frick, tutto bene? Se non volevi vedere questo film, possiamo sempre cambiarlo.”

Brian alzò il viso quel tanto che bastava per poter guardare Nick. Perfetto, stava rovinando la serata anche a Nick!

“Scusami.” Fu tutto quello che riuscì a dire Brian. “Il film va benissimo.”

“Ne sei sicuro?”

Brian annuì, non fidandosi della sua voce.

“Se lo dici te.” Lasciò stare Nick, mordendosi la lingua per bloccare il fiume di domande che aveva voglia di fargli. Solo che avrebbe contraddetto tutto quello che aveva promesso prima.

Entrambi ritornarono in silenzio, gli occhi sullo schermo ma l’attenzione rivolta all’altro.

Quel silenzio forzato sembrava essere più rumoroso di una folla durante i saldi di fine stagione, era come avere una terza persona tra di loro.

“Okay, lo sai che sono incapace di tener fede alle promesse.” Interruppe Nick. “Qualsiasi cosa sia, puoi dirmela.” Lo pregò Nick. “Sai bene che non ti giudicherò e che non uscirà da queste mura.”

“Dimmi che cosa devo fare, Nick.” sussurrò Brian in tono arrendevole, troppo stanco per continuare a difendersi.

Nick scivolò in modo da essere faccia a faccia con il ragazzo e le sue dita si trovarono a contatto con la sua fronte, seguendo le linee corrucciate che si erano formate. “Smettila di pensare.”

Gli angoli della bocca di Brian si curvarono leggermente in un sorriso. “Tu la fai semplice.”

“No, metto semplicemente in pausa.”

“Allora significa che il giorno in cui davano via quel pulsante, io ero ancora in fila per avere qualche centimetro in più in altezza!” scherzò Brian. “E sono rimasto fregato in entrambe le situazioni!”

“Io invece credo che tu sia perfetto così come sei.”

“Smettila di prendermi in giro.”

“Non sto scherzando! E’ vero, non sei l’uomo più alto del mondo ma non sei né mingherlino né una botte, nonostante tutto quel Mac&Cheese che ingurgiti!”

“Ho un metabolismo molto veloce!”

“Ti trasformerai in un maccherone vivente grondante di formaggio fuso.” Scherzò Nick. Nella sua mente si era incominciata a formare quell’immagine ma Nick non riusciva a comprendere per quale motivo, invece che essere qualcosa di disgustoso, era... eccitante? Nick scrollò la testa, cercando di scacciare via per prima cosa quei pensieri e poi quell’immagine.

“Voglio solo dormire.” Mormorò Brian, inconsciamente si era stretto vicino a Nick, il quale, come se fosse il gesto più naturale di questo mondo, gli strinse il braccio attorno alle spalle. Brian appoggiò il capo sul petto di Nick, il battito lento e stabile del cuore di Nick sembrava avere un effetto calmante sul suo, così rapido che lo sentiva pulsare veemente e riempire la stanza con il suo suono. “Voglio solo chiudere gli occhi e non avere quelle immagini lì pronte ad aspettarmi per torturare il mio sonno.”

Nick si ritrovò a sorridere, aspettare che Brian si aprisse era stata la mossa più giusta, senza pressioni e senza obblighi. Così rimase in silenzio, non voleva interromperlo proprio ora che Brian aveva deciso di buttare fuori quello che lo stava tormentando, abbassando quel muro che si era costruito attorno alla sua fragilità.

“Continuo a pensare a quello che é successo e a tutto ciò che avrei potuto fare per impedirlo.” Continuò Brian, rimanendo sul neutrale, in modo che Nick potesse pensare solamente all’aggressione di qualche giorno prima mentre lui poteva sfogarsi su entrambi i suoi drammi. “Se non avessi accettato quella proposta... se fossi stato più forte... ” una solitaria lacrima incominciò a scendergli dagli occhi ma nessuno dei due si mosse per asciugarla. “Ci sono mille se, mille cose che avrei potuto fare per evitare tutto.”

“Frick, so che è brutto dirlo ma ormai quello che è successo è successo, non possiamo tornare indietro nonostante lo farei se potessi.” Rispose Nick. “Ma continuare a rimurginarci sopra finirà solo per rovinarti o spedirti in ospedale.”

“Non è una cosa che posso risolvere dall’oggi al domani.”

“Lo so ma... prendi la vita giorno per giorno.” Rispose Nick. “Ci saranno giornate no ed altre invece dove finalmente potrai svegliarti e comportarti normalmente, come se niente fosse successo.” Le sue dita erano ancora appoggiate sulla sua fronte ma in un gesto di conforto incominciarono a risalire verso i capelli, spostandoli con dolci carezze. “Ora le giornate no sono decisamente di più rispetto a quelle positive ma presto sarà il contrario.”

“Da dove spunta tutta questa saggezza?”

Nick alzò le spalle. “Non lo so, forse tutte le prediche che mi avete fatto sorbire in questi anni si stanno rivelando utili!”

“Il mio Nick che diventa grande.” Sospirò Brian. Nick si sentì, invece, riempire il cuore all’aggettivo possessivo che Brian aveva usato.

“Comunque, so come possiamo risolvere il tuo problema.” Disse Nick, finalmente ottimista nel poter aiutare il suo amico.

“In che modo?” chiese Brian, aprendo di scatto gli occhi ed alzando il volto in modo da poter osservare il viso dell’amico.

“Devi dormire.” Rispose Nick, come se quella fosse la risposta più semplice del mondo.

“Oh genio, secondo te non ci ho già pensato a questa soluzione?” ribatté sarcasticamente Brian. Era quello che aveva cercato di fare, inutilmente, in quei giorni ma i troppi pensieri e gli incubi gli avevano impedito di lasciarsi andare tra le braccia invitanti di Morfeo.

“A quanto pare con scarsi risultati!” ribatté prontamente Nick. “Ora rilassati.”

“Lo dici come se fosse una cosa semplice!”

“Lo è!” scherzò Nick. “Il problema è che tu pensi troppo.”

“Non posso fare altro...” rispose Brian.

“Sh... stanotte ci sono io e proteggerò il tuo sonno, okay?”

“Non so se esserne contento o spaventato!”

“Un po’ di fiducia sarebbe gradita, lo sai?”

“Io mi fido di te.” Rispose onestamente Brian. “E’ del mio subconscio che non mi fido.”

Nick si lasciò sfuggire una piccola risata, il suo orgoglio galvanizzata dall’affermazione di Brian. “Ehi, subconscio di Frick, stasera niente scherzi e stattene tranquillo!” esclamò dopo qualche secondo.

Brian lo fissò dubbioso. “Cosa stai dicendo?”

“Stavo semplicemente facendo una piccola chiacchierata con il tuo subconscio!”

Brian continuò a fissarlo. “Tu non sei normale.”

“La normalità è ormai superata.” Commentò Nick. “Ora chiudi gli occhi e dormi altrimenti chiamo Kevin e gli faccio cantare una ninna nanna!”

Brian chiuse immediatamente gli occhi. Conoscendo Nick, era certo che sarebbe stato in grado di mettere in atto quella minaccia. Nick riuscì a recuperare la coperta che avevano buttato ai piedi del letto e se la mise attorno, cercando di non coprire completamente Brian visto che Brian era ancora accoccolato accanto a lui.

Dopo qualche minuto, il respiro lento e regolare di Brian gli fece capire che si era addormentato e così Nick poté rimanere tranquillo a pensare, ancora una volta, a quanto naturale e confortevole fosse avere Brian tra le sue braccia.

Non c’era niente di sbagliato nel modo in cui il capo biondo miele di Brian rimaneva appoggiato al suo petto o al braccio che circondava la sua vita, le dita strette attorno alla maglietta come se Brian avesse paura che, da un momento all’altro, potesse allontanarsi.

Era più che naturale il modo in cui la sua mano saliva e scendeva sulla schiena di Brian o come l’altra mano si fosse persa tra i suoi riccioli scombinati.

Se niente in tutti quei suoi comportamenti era sbagliato, perché allora Nick si sentiva come se stesse commettendo qualcosa di irreparabile?

Per l’amor di Dio, era il suo migliore amico quello che teneva fra le braccia!

Era la persona che considerava come un fratello colui che stava al centro dei suoi pensieri, non sempre propriamente casti.

Che cosa gli stava succedendo?

Una piccola vocina nella sua mente portò alla luce una risposta sconvolgente “ti stai innamorando di lui” ma la scacciò via.

Era impossibile.

Nick incominciò a passare la punta della dita sulle tracce di lacrime ormai asciugate sulle sue guancie, in lenti movimenti che servivano più a calmare se stesso che Brian.

Le sue labbra presero il posto della dita.

Incominciò a lasciare piccoli baci, una striscia di candide carezze contro quella pelle liscia.

Non aveva ancora deciso che cosa provava per quel ragazzo ma, qualunque cosa fosse, lo faceva stare meglio ed ora voleva semplicemente stare bene.

E se questo faceva sentire meglio Brian, beh, non avrebbe di certo smesso.

Poi... l’inaspettato.

Il viso di Brian che si spostava, impercettibilmente da non notarlo fino a quando le sue labbra non si trovarono più sulla sua guancia ma sulla bocca.

Lui.

E Brian.

Si stavano baciando.

Il primo istinto di Nick fu quello di staccarsi completamente, non stava succedendo sul serio.

Ma era troppo reale per essere solamente un sogno.

Non lo fece, però.

Perché, signore e signori, era uno dei migliori baci che avesse mai provato: le loro labbra si cercavano e si incontravano come se non avessero fatto altro per tutta la loro vita.

Dopo qualche minuto, Nick si staccò per poter riprendere aria. Gli girava la testa, si sentiva come se si trovasse su un altro pianeta – doveva esserlo visto chi aveva appena baciato.

Con il respiro affannato, Nick abbassò lo sguardo verso Brian che continuava a tenere gli occhi chiusi ma sul volto aveva un sorriso beato, angelico che gli fece sciogliere qualsiasi dubbio. 

“Ti amo.” Era un sussurro quello di Brian, niente di più di un bisbiglio, ma nel silenzio della stanza sembrò risuonare più forte di un urlo. 

 

*********

Ci stiamo avvicinando... già già. Ma non credete che nel prossimo sti due si mettano insieme... non sarei sadica, altrimenti! Diciamo che i prossimi due capitoli saranno fondamentali per il proseguo. Quindi vi lascio al prossimo aggiornamento, settimana prossima (credo, l'undicesimo é già pronto, devo solo scrivere il decimo che é abbastanza importante perché Nick, che qui ha dimostrato un bricciolo di maturità, farà un passone indietro!). Sto cercando anche di inserire di più gli altri ragazzi, quello che mi riesce più difficile é Howie, forse perché lo considero poco. E sto cercando di bilanciare il mio lato drammatico con un po' di sano umorismo!

@Kia85: ho pensato a te quando ho scritto l'ultima scena, mi immaginavo la tua espressione mentre leggevi del bacio! 

@Laphia: questa elettricità che se ne va sul più bello! Spero che il tuo desiderio di vederli insieme sia stato esaudito, Brian questa volta non gli ha risposto picche. E' pur sempre il suo Frack, non può sempre dirgli di no, diavolo! Per la storia delle foto, mi sa che dovrai aspettare un po' per vedere se hai indovinato o meno. Anche se quella scena ce l'ho in mente da quando ho iniziato a progettare questa storia ma mi serve che Brian e Nick stiano insieme!

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Capitolo 11
*** - Decimo Capitolo - ***


Decimo Capitolo

  

“Buongiorno Nick.” disse Brian, slacciandosi dall’abbraccio di Nick. Incominciò a stiracchiarsi, allungandosi come felino; era da giorni che non dormiva così profondamente come aveva fatto quella notte, un sonno condito da dolci sogni e non da acri incubi.

E Brian sapeva anche il motivo di ciò, una ragione che aveva le sembianze e le fattezze di Nick Carter, sdraiato accanto a lui.

La sera precedente era stato un punto di svolta: per la prima volta aveva parlato apertamente delle sue paure e si era affidato completamente ad un altro.

Mentre Brian osservava Nick borbottare un “buongiorno” prima di alzarsi e di dirigersi verso il bagno, la sua mente ritornò al sogno di quella notte.

Era stato così reale, così vivido che quasi poteva sentire ancora le labbra di Nick sulle sue.

Brian sospirò, passandosi una mano fra i capelli. Non sarebbe mai successo quindi era inutile perdersi in sogni impossibili, anche se così appaganti.

Doveva mettersi il cuore in pace ed apprezzare quel poco che poteva prendere da Nick.

Un’amicizia, nient’altro che quello.

Anche se il comportamento di Nick in quei giorni gli aveva lanciato messaggi abbastanza contrastanti o forse era lui che leggeva troppo nel modo in cui voleva sempre stare al suo fianco?

Andiamo Brian, vuole solo aiutarti!

Già, era quella l’unica soluzione possibile. Non era nemmeno lontanamente possibile che Nick provasse qualcosa per lui.

Nick, rinchiuso in bagno, stava combattendo contro se stesso e contro la voglia ed il desiderio di uscire in quella stanza e chiedere a Brian se quello che aveva detto fosse vero.

Se quelle due parole fossero vere.

A differenza dell’amico che, a giudicare dal viso rilassato e, per la prima volta in due giorni, senza occhiaie né borse, aveva goduto di una bella dormita, lui non era riuscito a chiudere occhio. Nelle orecchie continuavano a rimbombare le parole di Brian.

Brian lo amava.

No, non era possibile.

Per prima cosa, Brian non era gay.

E’ vero, da quando si era lasciato con Leighanne non era uscito più con nessuna donna, nemmeno per una botta e via. Ma era vero che la storia con la ragazza era stata una cosa seria, se non si fossero lasciati Nick era sicuro che sarebbero convolati a nozze.

E prima di lei c’era stata Samantha, anche quella una storia durata anni.

Non è che uno si sveglia la mattina e si dice: “Oh, oggi sono gay.”

A meno che non glielo avesse tenuto segreto.

No, Brian non lo avrebbe mai fatto. Non si era mai tenuto per sé segreti di quel genere, aveva condiviso con lui qualsiasi cosa.

Però... se quello che aveva detto fosse stato vero, aveva una motivazione più che giustificabile nel voler tenere all’oscuro tutti, soprattutto lui.

E poi... che cosa ci vedeva in lui?

Era ancora un ragazzino.

Nick si sciacquò velocemente il volto con l’acqua fredda, sperando di cancellare tutti quei pensieri.

In un modo o nell’altro, doveva affrontarlo, stare rinchiuso in bagno non era la soluzione ai suoi problemi.

Uscì quindi dal bagno e si ritrovò Brian a nemmeno cinque centimetri dal viso, rischiando lo scontro frontale se non si fossero bloccati entrambi.

“Scusa!” esclamarono contemporaneamente, un filo di rossore ad illuminare il volto per l’imbarazzo.

“Dovrei... ecco... usare il bagno.” balbettò Brian, cercando di non rimanere totalmente ipnotizzato dagli occhi di Nick.

“Oh, scusa!” esclamò Nick, spostandosi di lato per farlo passare. “Hai bisogno di qualcosa?” gli domandò a bruciapelo.

Brian, che aveva già un piede sul pavimento del bagno, si voltò di scatto. “In...in che senso?” chiese incespicando Brian.

“Nel senso... sto uscendo... sai, dovrei andare a cambiarmi e pensavo, cioè, che visto che sto già uscendo... potevo recuperarti qualcosa... avrei dovuto spiegarmi meglio...” Nick terminò con uno sbuffo, stava combinando un disastro dietro l’altro.

Brian si maledisse per aver sottointeso ben altro in quella domanda quando Nick stava solamente cercando di essere gentile. “Niente. Voglio solo farmi una bella doccia.”

Fredda. Decisamente fredda doveva essere l’acqua.

“Okay.”

Nick incominciò a dirigersi verso la porta quando Brian lo richiamò. “Nick?”

“Sì?”

“Grazie.” Mormorò semplicemente. “So di essere testardo ed ostinato e di voler fare tutto contando sulle mie forze... quindi grazie per non esserti arreso e per avermi fatto capire che appoggiarsi agli amici ed ammettere di avere bisogno di conforto non significa essere deboli.”

“Non c’è di che, Brian.” rispose Nick, sorpreso da quella confessione. “Certo che se anche tu te ne accorgevi prima non saremmo arrivati a questo punto, non credi?” aggiunse con un sorrisino.

Anche Brian sorrise. “Mi conosci, ci devo sbattere la testa prima di accorgermene.”

“Ora si spiegano tante cose.”

Nick aprì la porta ma le successive parole di Brian lo bloccarono.

“Non so che cosa farei se non avessi te, Nick.” disse Brian. Sapeva che Nick non avrebbe inteso la reale profondità di quella frase che, sì, poteva davvero sembrare melensa ed appena uscita da un Harmony ma, nonostante tutto, era quello che provava. Certe mattine era solamente il pensiero di poter stare al suo fianco che lo faceva alzare dal letto ed andare avanti come se nulla fosse.

“Non ti abbandonerò, Bri. Siamo Frick e Frack, ricordi?” disse Nick, lottando contro la voglia di diminuire la distanza fra loro due ed abbracciarlo.

“Già.”

E sarebbero rimasti solo quello, due amici. 

 

*********

 If you only knew

 

Nick si era ormai convinto che Brian non si ricordasse niente della sera precedente.

Al risveglio, non aveva detto niente riguardo al bacio o all’avergli detto “ti amo”; nemmeno durante la giornata aveva accennato a quei due episodi.

Anzi, sembrava quasi che tutto quello che fosse successo in quegli ultimi giorni si fosse cancellato completamente dalla memoria di Brian.

E ciò lo rendeva un eroe agli occhi di tutti.

Kevin si era complimentato con lui, chiedendo quale miracolo avesse compiuto per aver riportato il vecchio Brian.

Oh, la voglia di dirgli che era stato tutto merito di un bacio era stata tanta ma poi si sarebbe dovuto nascondere in qualche zona remota dell’Australia per scappare dall’ira di Kevin.

Però era la verità.

Brian sembrava davvero essere lo stesso ragazzo di qualche settimana fa, prima dell’aggressione.

Il sorriso sornione sul viso non lo aveva abbandonato nemmeno per un secondo, aveva continuato a far battute con chiunque gli capitasse a tiro ed ora era sul palco che intratteneva i tecnici con uno dei suoi soliti spettacoli.

Nick doveva esserne contento.

E doveva essere compiaciuto di se stesso per essere riuscito in quell’impresa.

Ma sentiva che stava tradendo il suo amico tenendogli nascosto quello che era successo.

Che cosa doveva fare?

Continuare a mentirgli? Oppure dirgli la verità e rischiare così di riportarlo indietro nell’angolo in cui si era nascosto in quei giorni?

Doveva chiedere a consiglio a qualcuno.

Cosa semplice ma la domanda ora era: a chi?

Brian, il suo consigliere, era escluso per ovvi motivi. Kevin... non solo perché era suo cugino ma sarebbe stato strano chiedergli consigli amorosi.

Rimanevano Aj e Howie.

Scrutò il palco e notò solamente il primo, Howie come al solito si era nascosto da qualche parte a telefonare a sua sorella. O sua madre. O chiunque.

Beh, tanto valeva provarci con Aj, al massimo non avrebbe attuato il suo consiglio.

Così si avvicinò a lui, battendogli una pacca sulla spalla per richiamare la sua attenzione.

“Jay, posso parlarti?”

Aj alzò gli occhi incredulo. “Con me? Non è Brian il tuo confidente?”

Nick sembrò a disagio a rispondere. “Si tratta di Brian.”

“Oh.” Mormorò Aj. “Non è meglio allora se ne parli con Howie o con Kevin?”

“No, decisamente no!” rispose fermamente Nick. “Specialmente con Kevin. Mi ucciderebbe!”

“Che cosa hai combinato?” chiese Aj, gli occhi rivolti al cielo. “Il cervello non è un accessorio, serve per essere usato!”

Nick gli mostrò la lingua prima di ritornare serio. “E’... è successa una cosa l’altra sera.”

“Qualsiasi cosa sia successa, sei riuscito a riportare indietro il vecchio Brian.” rispose Aj mentre il suo sguardo andava a cercare l’amico: era sul palco insieme alla band e rideva e scherzava come se niente fosse successo. Sembrava davvero essere ritornato quello di sempre.

Invece di sembrare orgoglioso di quel traguardo raggiunto, Nick sembrava essere a disagio. “Io... io l’ho baciato.”

Aj si voltò di scatto, gli occhiali quasi caddero sul pavimento. “COSA?”

Nick lo prese per un braccio e lo trascinò fino alla prima stanza libera; lo buttò dentro, chiuse la porta a chiave e poi vi si appoggiò contro con la schiena.

“Non ci starai provando anche con me, vero?” domandò titubante Aj, anche se il suo era solamente un modo per portare leggerezza.

“Molto divertente!”

“Scusa, devo fare il serio dopo che tu lanci una bomba del genere?”

“Ho... ho bisogno di un consiglio.”

“Hai bisogno di uno psicologo!”

“Grazie mille!” esclamò Nick, alzando in cielo le braccia frustato.

“Scusa... racconta tutto e vediamo di capirci qualcosa.” Aj provò pena per l’amico, erano poche le volte in cui vedeva Nick senza il suo sorriso da “io non devo dare spiegazioni a nessuno.”

Nick sospirò. “Quando siete usciti, l’altra sera, sono andato da lui. Abbiamo iniziato a guardare un film ma lui... sembrava essere con la mente in un altro posto, continuava ad avere quello sguardo totalmente vuoto come se niente potesse più risvegliare il suo interesse. Mi sono spaventato... abbiamo parlato e... è successo qualcosa in lui, non so spiegarlo ma... si è lasciato aiutare.”

“Ed il tuo aiuto consisteva nel baciarlo?” domandò Aj.

“No!” rispose Nick urlando. “E’ stata una coincidenza... no, nemmeno quella. Non so che cosa sia stato... so solo che un minuto avevo le labbra sulla sua guancia ed il secondo dopo, ci stavamo baciando.” Spiegò Nick, voltando la schiena per non vedere l’espressione dell’amico.

“Vorrei chiederti che cosa ci facevano le tue labbra sulla sua guancia ma non voglio entrare nel vostro strano rapporto intimo d’amicizia.” Fu il commento sottile di Aj.

Nick non notò quella frecciatina, aveva smesso di dare importanza a quelle battute quando riguardavano il suo rapporto con Brian. “Brian stava dormendo. Era letteralmente esausto. Non si è accorto di quello che stava succedendo...”

“Ti sei approfittato di lui?” domando esterrefatto Aj. Diavolo, Brian aveva per caso un cartello sulla schiena che diceva “prendetemi” con effetto glitter?

“NO!” urlò Nick, voltandosi di scatto rabbioso. Come poteva pensare una cosa del genere? Non lo avrebbe mai fatto e soprattutto non da quando Brian era stato quasi violentato. “Lui era più che consenziente. Ma credo che lui pensasse che fosse un sogno.”

“Un sogno...” ripeté Aj.

“Quando ci siamo staccati, aveva questo sorriso beato sul volto. Sembrava finalmente in pace, sicuro.”

“E tu hai paura di quello che possa significare.”

“Mi ha detto che mi ama.”

Questa volta, gli occhiali caddero realmente, rimbalzando qualche volta prima di finire appoggiati contro la poltrona su cui era seduto Aj.

“Stamane non si ricordava nulla.”

“Oh.”

“Non sono riuscito a dirlo.”

“Oh.”

“Mi ha anche ringraziato.”

“Wow.”

“Riuscirai a dire qualcosa che non sia un’esclamazione?”

“Quando i miei neuroni si riprenderanno dallo shock.”

Nick sbatté la fronte contro il muro. “Che cosa faccio?”

Aj si alzò ed andò verso il suo amico, preventivandolo nel continuare a tirare testate contro la parete. Già aveva a disposizione pochi neuroni, se uccideva anche questi ultimi rimasti...

“Per prima cosa, devi parlarne con Brian.”

“No, no, no...” fu la risposta di Nick, scuotendo veemente la testa.

“Nick, ascolta, non puoi far finta che non sia successo. E non puoi continuare a far credere a Brian che sia stato solamente un sogno!”

“Perché no? E’ felice! Perché devo distruggere questo piccolo equilibrio che è riuscito a crearsi?”

“Perché è un illusione!”

Nick sospirò. Sapeva che Aj aveva ragione. “E se... e se fosse vero? Intendo... quello che mi ha detto. Se fosse vero? Se fosse veramente quello che prova?”

“Dove sarebbe il problema? Insomma, non ci vuole un genio per vedere quanto tu sia importante per lui. E la differenza tra il voler bene e l’amore per una persona è talmente sottile che, a volte, è difficile rendersi conto di quale sia la vera natura dei propri sentimenti.”

“Non lo amo, se è questo che stai cercando di dirmi.”

Aj si accigliò. “Mentire a me ed a te stesso non sarà di grande utilità.”

“Non lo amo. Non posso!”

“Non puoi o non vuoi?

Nick rimase in silenzio, nemmeno lui sapeva la risposta.

“Perché?” incalzò Aj. “Perché no?”

“Perché è Brian! Perché è il mio migliore amico!”

“Queste, invece, mi sembrano ottime motivazione per amarlo.”

“Non mi confondere.”

“Quello lo stai facendo già da solo.”

Nick voleva urlare, qualsiasi cosa pur di non dover pensare a quell’intrigo di sentimenti.

“Nick, ti abbiamo visto in questi giorni... cercavi sempre un contatto fisico con lui.”

“L’ho sempre fatto.” Si difese Nick, nonostante fosse una difesa debole.

“Ma sai anche tu che queste volte erano differenti.”

Oh certo che era differente. Pensò Nick mentre ripensava alla sensazione di avere Brian fra le braccia, il sentire la pelle sotto le sue mani, accarezzarlo... ma una cosa era il piacere, l’eccitazione. Un’altra erano i sentimenti veri.

Quelli che Brian sembrava provare per lui.

E quelli che lui stava iniziando a provare per l’amico.

Nick rimase in silenzio per qualche minuto. “Proverò a parlarci... magari era solo un sogno e stava sognando di lui e Leighanne.”

Aj lo guardò in malo modo. “Si sono lasciati l’anno scorso e, a parte un piccolo periodo di depressione, credo che quella donna ormai sia fuori dalla sua vita.”

Nick sperava, da una parte, che non fosse così ma un’altra, quella più vicina al suo cuore, pregava che non fosse così, che il soggetto di quella dichiarazione fosse veramente lui.

“Però, Nick... devi fare prima un po’ di chiarezza dentro la tua testa, altrimenti rischi di rovinare qualcosa che può trasformarsi in una cosa meravigliosa per te.” Lo avvisò Aj prima di uscire dalla stanza.

 

*********

 Why not me?

 

Nick aspettò una giornata prima di andare a parlare con Brian.

Per mille e più motivi, il più importante era che aveva paura; non sapeva che cosa dirgli essenzialmente e non voleva rovinare quella che il giorno precedente sembrava essere stata una giornata sì.

Stargli lontano, poi, era stata una tortura ma non voleva combinare altri disastri.

Era mattina, tra poco avrebbero dovuto lasciare l’hotel per andare a fare un’intervista radiofonica. Non era di certo il momento migliore per parlargli ma era l’unico disponibile, la loro agenda per quel giorno era piena fino all’ultima mezz’ora e non poteva aspettare ancora altre ventiquattro ore.

Doveva sapere.

Anche se non aveva idea di come avrebbe reagito.

Bussò e quando la porta si aprì fu sorpreso nel vedere Kevin.

“Ho sbagliato stanza?” domandò dubbioso.

“Dipende da chi stavi cercando.”

“Brian.”

“Non hai sbagliato, allora.” Il maggiore aprì la porta facendogli segno di entrare. “Entra. Brian sta facendo una doccia ma dovrebbe uscire tra poco.”

“Okay...” acconsentì Nick, dubbioso. Il fatto che Kevin fosse lì sottintendeva molte cose, tra cui l’eventualità che Brian avesse avuto un problema e, piuttosto che venire da lui, si fosse rivolto al cugino. Ma Nick non poteva nemmeno dar libero sfogo alla sua delusione, molto probabilmente Brian era rimasto male del fatto che per tutto il giorno precedente non aveva fatto altro che scappare da lui, evitare anche la minima conversazione.

“Nick, giusto per avvisarti, oggi non è una buona giornata.” Lo avvisò Kevin mentre recuperava qualcosa dal comodino. Non era stata nemmeno una buona notte, visto che Brian lo aveva svegliato nel bel mezzo della notte a causa di un incubo. O, come Brian lo aveva rinominato immediatamente, la seconda puntata di “rivivi il passato”. Il fatto che ci riuscisse, comunque, a scherzarci sopra, era un sollievo per il ragazzo ed ancora una dimostrazione di quanta forza suo cugino nascondesse dentro di sé.

“Oh.” Commentò Nick, desiderando improvvisamente di non essere andato dall’amico; era davvero un genio nel beccare il momento sbagliato per una conversazione difficile.

“Qualunque cosa tu abbia fatto l’altro giorno...” iniziò a dire Kevin, guardandosi dietro le spalle per vedere se Brian rientrava dal bagno. “... riprovaci. Non possiamo permetterci che oggi crolli, è veramente brutto da dirsi, ma non ne abbiamo il tempo.”

Nick annuì.

“Vado a recuperare del caffè. E qualcosa da mangiare, anche se probabilmente me lo tirerà dietro.” Ridacchiò Kevin, ormai abituato ai continui cambiamenti di umore del cugino.

“Opta per le brioches, allora. Sono morbide, almeno.”

“Grazie del consiglio.” Disse Kevin mentre si dirigeva verso la porta.

Dopo che Kevin scomparve dietro la porta, Nick si sedette sul bordo del letto e si mise la testa fra le mani. Non poteva parlargli adesso. E quindi doveva inventarsi qualche scusa per essere piombato di prima mattina.

“Nick? Che cosa ci fai?”

Nick si voltò e sentì il suo cuore bloccarsi un istante per poi ricominciare a battere sempre più velocemente: Brian stava dall’altra parte del letto, indosso un semplice paio di jeans ed una maglietta nera, i capelli ancora bagnati gli incorniciavano il viso, mettendo in risalto la mascella pronunciata.

Nick scrollò le spalle, non fidandosi della sua voce per rispondere.

“Dimmi che Kevin non ti ha chiamato apposta per rimanere qua con me... non ho bisogno di una costante sorveglianza!” scherzò Brian, aggirando il letto ed avvicinandosi a Nick. “Giuro, ho come la sensazione che pensi sul serio che, se vengo lasciato solo per più di un minuto, potrei suicidarmi!”

“No, tranquillo.”

“Dimmi che è andato a farsi un giro.” Chiese speranzoso Brian. “E che tornerà fra quindici mesi!”

“Un giro al bar.”

Brian si lasciò scappare un urlo strozzato. “Gli avevo detto che non avevo fame.”

“E pensi che ti abbia ascoltato?”

“La speranza è sempre l’ultima a morire.”

“Morirà prima lei che la preoccupazione in Kevin.”

“Hai ragione.” Brian sorrise, contento della presenza di Nick. “Allora, volevi qualcosa?” gli chiese, sedendosi accanto a lui.

“Può anche aspettare...”

Brian alzò gli occhi al cielo. “TI ha detto che non è una buona giornata, vero?”

Nick annuì.

“Nicky, per te non esiste giornata buona o brutta. Avrò sempre tempo per ascoltarti, lo sai?”

Maledizione a Brian ed alla sua disponibilità.

“Dobbiamo parlare.” Esordì Nick con tono serio.

“E’ anche una cosa seria.”

“Già.”

“E riguarda il fatto che ieri mi hai completamente ignorato?”

Dannazione, se n’era accorto?

“Sì.”

“Che cosa ho fatto?” domandò Brian, un lieve tremolio nella voce tradiva l’ansia.

“Non hai fatto proprio niente!” esclamò Nick, in parte mentendo. “Che cosa ti ricordi dell’altra sera?”

Una brutta sensazione incominciò a farsi strada partendo dallo stomaco mentre Brian ripensava a quello che era successo. Ma... lui stava sognando...

“Vuoi dire che non era un sogno?” rispose Brian con una domanda. Si era addormentato, quello se lo ricordava visto che era stato il sonno che non aveva mai avuto dalla sera dell’aggressione. Ed il trovarsi fra le braccia di Nick non aveva fatto altro che mandargli sogni riguardanti l’oggetto dei suoi sentimenti.  

I sogni non sono altro che rappresentazioni di ciò che vuole il tuo inconscio, una serie di immagini che ti rivelano come potrebbe essere la tua vita se avessi preso quell’altra decisione oppure se ti fossi comportato in un determinato modo.

Come sempre, i suoi sogni, quando non si trasformavano in incubi o rivisitazioni del passato, ruotavano attorno un’unica persona. In quel particolare, Nick lo consolava baciando via le sue lacrime.

E finiva con... un loro bacio.

Che ora Nick gli stava dicendo che non aveva sognato.

E quindi nemmeno... oh santa, aveva davvero detto quelle due parole ad alta voce?

“Brian, devo chiedertelo... è vero?”

Brian non sapeva che cosa fare. Aveva aspettato quel momento, beh, da una vita ma nei suoi sogni era stato sempre diverso. Nick non aveva quell’espressione tra lo stupore e l’incredulità. No, il suo viso rispecchiava sempre il suo, ovvero l’immagine della felicità per essere riusciti a confessarsi reciprocamente ciò che provavano.

Infastidito dal fatto che Brian non gli rispondeva, Nick lo prese per le spalle. “Allora?”

Brian deglutì, non gli piaceva quando Nick si arrabbiava perché tendeva ad essere violento. A volte troppo violento. “Sì.” Ammise, abbassando lo sguardo. Mentire non serviva a niente.

“Sì, sei innamorato di me?” insistette Nick, stringendo la presa sulle spalle. Tutte le sue buone intenzioni di comportarsi da persona matura erano volate direttamente fuori dalla finestra.

La confessione di Brian, spontanea e semplice, lo aveva preso alla sprovvista; per tutto il tempo, aveva sperato con tutto il cuore che gli dicesse che stava sognando e quelle due parole non erano riferite a lui. Invece... e non aveva la più pallida idea di che cosa dirgli, non sapeva nemmeno che cosa provava!

“Sì.”

“Da quanto?”

“Ha importanza?”

“Diavolo sì!”

Brian cercò di sfuggire dalla presa di Nick, gli stava incominciando a far male e stava iniziando ad avere paura. No, non era così che si era immaginato il momento in cui si sarebbe confessato a Nick.

“Nick... ne possiamo parlare con calma?” chiese impaurito.

“Con calma? E di che cosa vuoi che parliamo? Di come mi hai mentito ed ingannato in tutti questi anni?”

“Ingannato? Io non ti ho mai mentito!” si difese Brian. Aveva semplicemente omesso qualcosa ma non gli aveva mai detto cose che non erano vere.

“Sì, mi hai nascosto che...” incominciò a dire Nick, la rabbia che continuava a bollirgli nelle vene. Se c’era una cosa che non sopportava era quando gli si teneva nascosto qualcosa e non poteva accettare questo comportamento da Brian.

“Che ti amo! Se vuoi posso anche ripetertelo all’infinito. Ti amo, maledizione!”

“Perché non me lo hai mai detto?”

Brian sospirò sollevato sentendo le mani di Nick lasciare il suo corpo. Non appena fu sicuro della distanza di queste, si alzò di scatto e si allontanò, posizionandosi dall’altra parte del letto. “Avevo paura.”

“Paura di me?”

“Della tua reazione. E poi... fino ad ora, fino a quel bacio, non ho mai dubitato nemmeno per un attimo delle tue preferenze sessuali. Che buono ne sarebbe uscito se ti avessi detto: ah, Nick, sai che ti amo?” Brian scosse la testa. “Non sarebbe servito a niente, mi avresti solamente allontanato, ti avrei disgustato... mi avresti odiato.” Abbassò il volto, non riuscendo a sostenere lo sguardo su Nick. “Non potevo perdere la tua amicizia e mi sono detto che, anche se non avessi potuto averti come fidanzato, almeno ti avrei potuto avere come amico.”

“Ci sarei rimasto, è vero. Ma odiarti? Davvero hai seriamente preso in considerazione che sarei arrivato fino a quel punto?”

Nick non sapeva che cosa dire, sapeva solo di essere ferito. Come poteva Brian amarlo e, nonostante ciò, pensare così negativamente della sua reazione?

“Mi reputi davvero così chiuso di mente?”

“Ti reputo una persona meravigliosa. Il fatto che ti amo da cinque anni...”

“Cinque anni?”

Brian capì di essersi tradito. E quell’ultima informazione avrebbe solamente peggiorato la situazione.

“Sì.”

Nick incominciò a camminare avanti ed indietro, scatti nervosi  mentre i pensieri si arrovellavano fra di loro impedendogli di fare chiarezza.

“Me lo hai tenuto nascosto per cinque anni.”

“Non... non avresti mai dovuto saperlo.”

“COSA?”

“Sì, Nick! non dovevi saperlo! Non dovevi sapere niente! Avresti dovuto continuare a considerarmi come un amico, trovarti una ragazza con la quale sposarti e che ti possa rendere felice!” le lacrime gli scorrevano liberamente sul viso. “Tu meriti molto di più di quello che io ti possa offrire.”

“Quindi tu hai deciso per me?” esclamò Nick, non badando a quell’ultima frase.

“No, ho deciso per me stesso.” Rispose Brian.

“Ma è una decisione che involve anche me.”

“Perché devi sempre metterti al centro di ogni discorso?”

“E tu perché devi sempre pensare che io non sia capace di prendere una decisione?”

“Beh, questa reazione sta dimostrando quanto tu sia ancora infantile!” sbottò Brian. “E non so come farti capire che tu qui non centravi proprio nulla! Riguarda la mia vita!” Brian si mosse impercettibilmente verso Nick. “Dimmi sinceramente... se non ci fosse stato quel bacio, se non ti avessi detto che ti amo... ti saresti mai accorto dei miei sentimenti?”

Nick non rispose. In meno di un secondo, aveva cancellato la distanza che volutamente Brian aveva messo fra di loro e prima che la sua mente potesse fermare le sue braccia, queste avevano preso la figura del suo amico e lo avevano sbattuto contro il muro.

Non pensava, reagiva di istinto e spinto dalla rabbia, dall’essere stato ferito dalla persona più importante della sua vita. Nemmeno si rendeva conto di come si stava comportando o di quello che stava facendo, l’unica cosa che sapeva era che voleva far provare a Brian lo stesso tipo di dolore che stava provando.

“Nick... per favore...” lo pregò Brian, chiudendo gli occhi e cercando di divincolarsi. Ma Nick era più forte di lui. Era incredulo, allibito, attonito, non avrebbe mai pensato che Nick potesse... no, no, no.. non stava succedendo...

“Che cosa... non dirmi che non ti piace...” incominciò a mormorargli in un orecchio mentre gli teneva le braccia bloccate sopra la testa, impendendogli di liberarsi.

“Nick...”

“Chissà quante volte avrai mormorato il mio nome nei tuoi sogni. Chissà quante volte avrai sognato di stringermi fra le tue braccia ed avere i miei baci, no?”

“Nick... non fare così...”

“Così come? Ti sto dando quello che hai sempre sognato di avere.”

Brian sperò con tutto se stesso che quella parte facesse ancora parte del suo sogno. E che si stava tramutando in un incubo. “Nick...”

“Vedo che ti piace pronunciare il mio nome.”

“Smettila!” incominciò ad urlare Brian, gli occhi chiusi e, nonostante quello, le lacrime scendevano liberamente.

“E perché dovrei fermarmi? Ti piace.” Ed era vero, purtroppo. Nonostante il modo con cui Nick lo stava toccando, il suo corpo stava reagendo alla sua roca voce.

“Non mi piace, Nick. Non così!” urlò Brian, al colmo della disperazione. Gli occhi di Nick finalmente si liberarono da quella nebbia rabbiosa e vide, per la prima volta, l’espressione di terrore sul volto di Brian. Quello stesso terrore che gli aveva visto quando lo avevano recuperato in quel vicolo solamente qualche giorno prima.

E lui si stava comportando nello stesso modo.

Che razza di persona era diventata?

Nick sembrò risvegliarsi ed accorgersi finalmente che cosa stava facendo. Liberò le mani di Brian e rimase inerte ad osservarlo mentre questi scivolava per terra, senza forze che lo sorreggessero. Nick si accovacciò di fronte a lui ma non fece niente per avvicinarsi o per toccarlo. Aveva già combinato troppi danni per quella mattina.

“Brian, mi dispiace.” Mormorò, sapendo bene però che nessuna scusa avrebbe potuto cancellare quello che aveva appena fatto.

“Perché?” era stato solo un sussurro ma il dolore era lì, più vivido che mai.

“Non lo so... mi ha dato rabbia pensare che tu non ti sia fidato di me nel confessarmi quello che provavi. E quando lo hai fatto... Mi sono sentito usato.”

La testa di Brian scattò in avanti, shockato. “U...usato?”

“Questi giorni... non lo so, non so cosa pensare.”

Brian lasciò che sue parole arrivassero al cervello e che questi traducesse i suoni in un significato concreto. “Usato? Sai qual è il motivo per cui ti ho allontanato in questi giorni? Lo sai?” urlò Brian, trasformando la paura di quei secondi in rabbia.

“Non volevi che ti aiutassi.” Affermò con semplicità Nick.

“No, Nick. E’ totalmente l’opposto. Non sai quanto avrei voluto nascondermi dentro i tuoi abbracci, cullarmi delle tue promesse che tutto sarebbe andato per il meglio.” Brian scoppiò a ridere, nonostante fosse una risata acida, colma di risentimento. “Ma non potevo. Perché sapevo che quello sarebbe stato usarti, avrei usato il tuo semplice desiderio di aiutarmi per appagare, almeno per una volta, il mio bisogno di te. Non potevo tradire così la tua fiducia.”

Nick si sentì il più grande idiota di tutto l’universo.

Aveva frainteso tutto.

Ed ora aveva rovinato tutto.

“Ho cercato di resistere, te lo giuro, ma... tu eri così dannatamente disponibile e volenteroso ad aiutarmi... forse hai ragione, forse ti ho usato. Ma le uniche due volte in cui mi sono sentito tranquillo, protetto ed ho potuto dormire senza incubi... sono state quando ero tra le tue braccia.”

“Brian, io...”

“Devo sapere... quel bacio, che cosa significava?”

Nick chiuse gli occhi, rivivendo quei momenti. Era stato il momento migliore ma era servito solamente a confonderlo ancora di più. E fin quando non faceva chiarezza nella sua mente, non poteva illudere il ragazzo. Non dopo averlo ferito in quel modo. “Io non sono gay, Brian.”

“Perché mi hai baciato, allora?” era una domanda più che legittima ma Nick non sapeva ancora perché lo aveva baciato.

“Non lo so. Non ci ho pensato, ho solamente agito.”

Brian si lasciò scappare un singhiozzo. “Sono stato uno stupido... quando mi sono reso conto che il bacio era successo davvero, ho pensato che tu... tu potessi davvero ricambiare i miei sentimenti.” Nascose il viso fra le ginocchia, voleva nascondersi da tutto e da tutti. Aveva messo a nudo la sua anima e Nick gliela aveva trafitta senza mezzi pensieri.

“Ascoltami, Brian...” Nick voleva rimediare, sapeva di aver commesso un errore ed ora voleva rimettere a posto le cose. Anche se non sapeva come.

“Vattene.” Mitigata ed affossata dal tessuto premuto contro, la voce di Brian risuonò comunque fortemente nella stanza. Atona, senza espressione o sentimento. Niente di più che un semplice imperativo ma Nick non voleva, non poteva lasciarlo lì, senza almeno avergli chiesto scusa.

“No, devi ascoltarmi...”

“Vattene, Nick. Lasciami solo. Non voglio ascoltare, non peggiorare tutto.” Suppliche, preghiere... Nick poteva etichettarle come meglio voleva ma ognuna di quelle frasi era una stilettata che aumentava il suo senso di colpa.

Nick sentì le sue stesse lacrime cercare di scendere ma le ricacciò indietro. Se Brian si ostinava a non voler ascoltare i suoi dubbi, lui non poteva fare altro che adempiere al suo desiderio. Glielo doveva, almeno quello. “L’ho già fatto.” Mormorò alzandosi in piedi, imponendo al suo corpo di allontanarsi invece che assecondare il desiderio della sua anima, prendere Brian fra le braccia e supplicare il suo perdono. “Ho già rovinato tutto.”

Un’ultima occhiata dietro di sé, pregando che Brian lo richiamasse, ma l’unica cosa che vide fu una scena che rimase con lui per tutta la giornata. “Sono solo un bastardo.”

 

*********

 Escaping nights without you with shadows on the wall

My mind is running wild trying hard not to fall

Da quel giorno, né Brian né Nick fecero alcun tentativo per parlarsi o per chiarirsi.

Entrambi era rinchiusi nel loro dolore e nel loro senso di colpa, il che non faceva altro che aumentare la distanza che si era creata fra di loro.

E, per quanto si sforzassero di sorridere quando erano in gruppo, gli altri tre avevano notato questo cambiamento e ne erano preoccupati. Soprattutto perché non avevano la più pallida idea di che cosa fosse successo fra i due amici.

O meglio... Aj ne aveva una mezza idea ma voleva esserne sicuro.

Ed era per questo che si trovava davanti alla porta di Brian.

Nick era fuori questione per differenti motivi, il primo fra tutti il fatto che in quel momento si trovasse in un bar, già mezzo ubriaco, ed alle prese con una o più ragazza da portarsi poi a letto. Il copione era sempre lo stesso, sera dopo sera, città dopo città.

Il che lo portava a pensare che il discorso chiarificatore con Brian non doveva essere andato a buon fine ma quello che Aj si chiedeva era che cosa poteva aver spinto Nick a cadere in quel circolo vizioso ed autodistruttivo.

C’era passato anche lui e ne sapeva riconoscere i sintomi.

Brian, invece, s’era rifugiato in se stesso esattamente come aveva fatto i primi giorni dopo l’aggressione, anche se non era propriamente esatta quella descrizione; no, Brian stava portando all’estremo il suo lato giocoso, sperando così di poter ingannare chiunque. Ma non poteva farlo quando si richiudeva in camera senza parlare con nessuno oppure quando si metteva in un angolo ad osservare Nick senza farsi notare, lo sguardo carico di una sofferenza che faceva stare male al solo osservarla.

Non sapeva per quale motivo ma Aj si sentiva come se dovesse proteggerlo, il che era anche abbastanza ironico visto e considerato che Brian era più grande di lui e sapeva come proteggersi. Ma in quel momento non vedeva il Brian che aveva sempre conosciuto ed imparato a rispettare ma solamente un ragazzo fragile, ferito dal mondo esteriore e da quello che considerava il suo migliore amico.

E la persona che amava.

Una persona può essere forte e sopportare qualsiasi cosa ma, prima o poi, arriva il punto di rottura ed Aj aveva paura che Brian fosse pericolosamente vicino al crollare.

Così eccolo lì a bussare impaziente. La prima volta non aveva ricevuto risposta ma si era detto che forse aveva battuto alla porta troppo debolmente e magari Brian non l’aveva sentito.

Aj bussò una seconda volta, più forte rispetto a prima, ed aspettò che qualcuno gli aprisse. Sapeva che Brian era da solo, dopo aver assistito alla sua magnifica perfomance da premio Oscar quando aveva convinto suo cugino ad uscire insieme a Howie assicurando che stava bene, che avrebbe mangiato e che non avrebbe tentato di uccidersi, se quella era la sua unica preoccupazione.

Sì, Aj era fermamente convinto che Kevin esagerasse con le paranoie e che prendesse troppo sul serio il fattore età – sono il maggiore, mi devo prendere cura di voi – ed il fattore famiglia – è mio cugino, ho promesso a sua mamma che me ne sarei occupato io.

Il che era anche lodevole, considerato che erano lontani dalla famiglia trecentoventi giorni all’anno e che trascorrevano ventiquattrore su ventiquattro insieme; ma, a volte, Kevin prendeva con troppa diligenza quel compito che si era prefissato e mandava tutti fuori di testa.

Nessuno rispondeva ancora alla porta.

Ora poteva iniziare a preoccuparsi.

“Rok? Sono solo le nove di sera, non dirmi che stai già dormendo!” urlò Aj, bussando una terza volta, ancora più fortemente. Di quel passo, anche quelli al primo piano lo avrebbero sentito.

“Alex, per l’amor del cielo, che cos’è questo baccano?” esclamò Brian quando finalmente aprì la porta. Se non stava dormendo, ne aveva comunque tutto l’aspetto.

A parte le profonde occhiaie.

“Sai che il look da panda non ti si addice proprio per niente?” ironizzò Aj.

“Se mi lasciassi dormire, forse non lo avrei.”

“Volevo solamente farti compagnia.”

“Lasciarmi solo non è mai una possibilità?”

“Può essere un’utopia, se proprio devi dargli un nome.”

Brian sbuffò insoddisfatto. “Ma non hai nient’altro da fare che voler passare il tempo con me?”

“Potrebbe stupirti ma sì, non ho niente di più interessante.” Commentò Aj. “Ultimamente la tua vita assomiglia a quella di una soap-opera. Beautiful a te fa un baffo!”

“Oh, sono onorato che almeno qualcuno sembri apprezzare il caos che è diventato la mia vita.” Brian stava per far cenno al ragazzo di entrare in camera quando qualcosa lo bloccò sui suoi piedi. Dietro ad Aj, era apparso Nick, il braccio stretto attorno ad una biondona, i cui vestiti avevano dovuto avere qualche problema in lavatrice vista la dimensione, anzi, la minima lunghezza. Dalla grossa risata, si poteva capire che avevano bevuto molto prima di ritornare in albergo.

Brian deglutì, chiedendosi se aveva la forza necessaria per sopportare le immagini che da lì a poco avrebbero invaso la sua mente, tenendo conto che, come se volesse crudelmente sbatterglielo sotto gli occhi, Nick aveva la camera adiacente alla sua.

Nick quando era furioso possedeva una crudeltà incredibile e quella era la terza volta che si faceva beccare da lui in compagnia di qualche “donna da facili costumi”.

Al diavolo l’educazione, quella era una puttana fatta e finita.

E con quella avrebbe fatto sei ragazze in sei notti.

Esattamente dal giorno in cui Nick lo aveva baciato e lui gli aveva detto di amarlo.

“Alex, possiamo andare da te, per favore?” pregò l’amico, sperando che Nick non sentisse la sua richiesta.

 Aj annuì, resistendo alla voglia di prendere a cazzotti Nick. A volte, la differenza tra lui ed un bambino viziato era solamente l’età scritta sulla carta d’identità.

“Oh, ma chi abbiamo qui? Il mio caro amico Bri!” esclamò un po’ alticcio Nick. “Immagino che ti piacerebbe essere nei suoi panni, vero?”

“Carter...” lo avvisò Aj, sperando così di troncare sul nascere la serie di battute che di sicuro Nick aveva in serbo.

“Oh oh oh, abbiamo già trovato qualcuno che possa colmare la mia assenza, a quanto pare!”

Brian sentì qualcosa esplodere dentro di lui, era stanco di subire quelle frecciatine da Nick. Certo, continuava ad amarlo ma un conto era amare una persona ed un conto era continuare a lasciare che gli passasse sopra come se fosse uno zerbino.

“Sai una cosa, Nick? Sono stanco di queste battute! Sono stanco di provare dolore a causa tua, solamente perché tu non hai la più pallida idea di quello che vuoi o non vuoi!” urlò Brian, shockando tutti i presenti. “Scappare da qualcosa solamente perché non ti piace come sta andando è un comportamento infantile.” Nick continuava a rimanere in silenzio. “Perché è questo che fai, non è vero? Hai paura di buttarti in qualche cosa che potrebbe essere serio e meraviglioso e cosa fai? Tiri fuori le unghia ed aggredisci chiunque perché hai paura. Hai paura di qualcosa di diverso, di qualcosa in cui ti devi per forza spogliare da quella armatura che ti sei creato intorno.” Brian si era ormai avvicinato a Nick ma era rimasto di fianco a lui. “Ed io a volte mi chiedo per quale motivo mi sia innamorato di una persona che non fa altro che aggiungere dolore e lacrime.” Mormorò con un filo di voce in modo che solo lui potesse sentirlo.

 

my heart is broken up into pieces

 

Nel corridoio rimase solamente il silenzio mentre Brian si allontanava da Nick; doveva andarsene prima che le lacrime tradissero quanto ogni parola da lui pronunciata aveva richiesto uno sforzo enorme. E dopo quella sfuriata, non gli era rimasto più niente, né odio, né amore; solo un vuoto che rischiava di inghiottirlo con le sue fredde tenaglie.

Non si accorgeva di niente, nemmeno del fatto che Nick era rimasto immobile come un’ebete senza battere ciglio, ignaro delle mani della ragazza che volevano spingerlo dentro la camera; non si accorgeva nemmeno delle stesse mani che si erano posate sulle sue spalle.

Aj avrebbe voluto unirsi alle urla di Brian ma era un ruolo che non spettava a lui, lui che era solamente un mediatore anche se in quel momento di sentiva in parte colpevole di quel casino. Se non avesse consigliato a Nick di parlare con Brian, forse non si sarebbe arrivati a questo punto di rottura.

“Scusami.” Bisbigliò Brian una volta che si ritrovarono da soli in camera. “Non avrei dovuto arrabbiarmi in quel modo.” Si infilò le mani in tasca e continuò ad osservare la punta dei piedi: con tutto il trambusto era uscito dalla camera senza nemmeno un paio di scarpe, pantofole o calze. Probabilmente s’era anche dimenticato la chiave ma a quello poteva sempre rimediare la mattina seguente.

“Ehi, ero pronto ad ucciderlo per te!” cercò di scherzare Aj.

“Apprezzo il pensiero.”

“La proposta è valida eternamente, giusto che tu lo sappia.”

Brian abbozzò un sorriso. “Ho paura che le nostre fans abbiano qualcosa da ridire sull’uccisione di Nick.”

“Se ne faranno una ragione. Sono giovani, ne troveranno un altro.”

“Alex, hai bevuto qualcosa?” chiese Brian accigliandosi.

“No ma mi hai dato un’ottima idea.” Rispose Aj, dirigendosi verso il minibar e tirando fuori da questo due piccole bottigliette. Ne lanciò una a Brian. “Whiskey?” domandò questi scettico

“Non è forte abbastanza?” domandò curioso Aj ma anche altrettanto serio. “Se vuoi c’è della vodka, dello scotch di non so quale anno ma dubito che possa essere di buona annata. Sambuca...”

“Il whiskey andrà più che bene. – lo fermò Brian, appoggiando la bottiglietta sul tavolino – Anche se ricordo che una certa persona mi disse che non dovevo affogare i miei problemi nell’alcool perché tanto poi dopo sarebbero stati lì ad aspettarmi.”

“Quella persona era saggia ma... – Aj alzò l’indice – ogni tanto si può fare un’eccezione.”

“Non credo che l’alcool possa aiutarmi.”

“Hai avuto una settimana da incubo, ti sarà di molto aiuto, credimi.”

Brian osservò l’amico scolarsi in un sol sorso la sua mini bottiglia. “Da quanto lo sapevi?” domandò a bruciapelo.

“Che lo ami o che lui è un coglione? Credo da sempre. Entrambe le cose.”

“Sono serio.”

“Anch’io.” Rispose Aj. “E non puoi darmi torto, visto come si sta comportando.”

Brian si lasciò cadere sulla poltrona. “E’... l’ho messo in una brutta posizione.” Ammise, passandosi una mano sugli occhi.

“No, qui non ci siamo. Okay che sei molto vicino ad ottenere la santità ma giustificare il suo comportamento non è da santi. E’ da masochisti.”

“Forse lo sono.”

“No, Bri. Tu sei tutto fuorché masochista.”

“Già. Sono un idiota. Amo una persona che non sa nemmeno che cosa vuole e che piuttosto che rifletterci sopra, ferisce e distrugge tutto ciò che gli sta attorno.”

“Lui è l’idiota. Tu sei solo innamorato. E quindi cieco.” Aj si sedette sull’altra poltrona. “Non ti chiedo che cosa è successo perché... beh...”

“Te l’ha detto Nick.” terminò Brian per lui.

“E’ così evidente?”

“Beh, io non ne ho parlato e, fin quando Nick non è venuto a dirmelo, continuavo a pensare che fosse stato un meraviglioso sonno. E forse era così che doveva andare.”

Aj voleva intervenire ma capì che Brian si era interrotto solamente per mettere insieme i suoi pensieri.

“Non me l’ha detto esplicitamente ma per lui è stato solo un errore. Non sa nemmeno perché lo ha fatto... e poi... poi si è arrabbiato perché gli tengo nascosta questa cosa da cinque anni.”

Aj incominciò a giocare nervosamente con un filo della sua maglietta. “Ecco... credo che sia mia la colpa...”

Brian non disse niente ma il suo sguardo si fece più attento.

“Nick è venuto da me per un consiglio. Non sapeva che cosa fare ed io gli ho consigliato di dirti che il bacio non era un sogno.”

Brian rimase in silenzio.

“Non pensavo che fosse...”

Brian si alzò di scatto. “E’ qui il punto, Aj. Non pensavi.” Disse, richiudendo ed aprendo gli occhi. “Mio Dio, ma esiste qualcuno che non si intrometta nella mia vita? Perché lo hai fatto? Non ti sembra che ultimamente avessi già troppe cose a cui dover pensare senza che ci fosse anche questa? Io ho bisogno di avere Nick al mio fianco non contro di me!” continuò, andando avanti ed indietro per il perimetro della stanza.

“Bri, io...”

Brian si era fermato di fronte alla finestra, gli occhi chiusi mentre riviveva tutto quello che era successo solamente sei giorni prima. “Sai... quando Nick mi ha detto del bacio, per un momento ho pensato che davvero il mio sogno si stesse realizzando. Ho davvero pensato che il motivo per cui mi dovesse parlare fosse perché anche lui provava qualcosa per me, qualcosa che mi aveva già dimostrato nei giorni precedenti senza bisogno di parole. E poi, in un solo istante, quel castello è crollato. Ed io... io non ho più forze per ricostruirlo. Non ho le forze per ricostruire la mia vita, non ho più controllo su niente e... tutti sembrano decidere che cosa sia meglio o peggio per me. Nick era il mio punto fermo, con lui sapevo che cosa aspettarmi, sapevo che cosa mi avrebbe offerto e... ora non ho più niente, Alex. Non ho nemmeno la speranza che un giorno possa ricambiare quello che provo. Non so nemmeno se, dopo tutto questo, io possa davvero volerlo ancora.” Brian si voltò, gli occhi arrossati, ormai ci era abituato. “Non è colpa tua, Alex. Prima o poi sarebbe successo. Non me lo aspettavo ora. Fosse stata un’altra circostanza, avrei reagito con più forza ma ora... è stato solo una disastrosa coincidenza.” Il tono era quello di qualcuno che aveva ormai preso coscienza della sua sconfitta.

Aj notò qualcosa negli occhi di Brian, qualcosa che aveva visto solo un’altra volta. Si avvicinò così all’amico, con gentilezza appoggiò le mani sulle spalle e lo guardò dritto negli occhi: quel velo era lì, offuscava l’azzurro solitamente sempre acceso.

“Voglio che tu sia onesto.” Esordì Aj cautamente. “Ti ha fatto del male?”

Brian abbassò il volto, non voleva che si sapesse.

“Brian, lo ha fatto?” pressò Aj.

“Non voleva.” Brian rispose a bassa voce, una solitaria lacrima a testimonianza di quello che aveva appena detto. “Non è quello che pensi, Alex.” Man mano che continuava, il tono di voce si faceva più forte. “Si è fermato prima di commettere qualcosa di irreparabile. Non voleva farmi del male.” Brian poteva vedere chiaramente la rabbia nel volto dell’amico, se fosse stato un cartone animato sarebbe stato circondato da fiamme rosse ed arancioni alte quanto quella stanza. “L’ho già perdonato.”

“Tu sei incredibile.” Commentò Aj, spostando le braccia per poter abbracciare l’amico. “E stupidamente innamorato.”

“Che ci posso fare? Sono dello vecchio stampo!” chiarì Brian sorridendo.

“E ti arrendi?” chiese Aj, staccandosi da Brian.

“Cosa?” ribatté perplesso il ragazzo, non capendo di che cosa stesse parlando Aj.

“E’ un idiota, su questo non si transige. Ma tu lo ami nonostante questo, nonostante la sua infantilità perché sai bene che oltre quella scorza da finto duro c’è molto di più. E tu sei l’unico ad aver visto la sua vera essenza.” Spiegò il ragazzo. “Anche se ti ha fatto del male, dimostragli che quello che provi è più forte di qualsiasi altra cosa.”

“Si vede lontano un miglio?” domandò Brian, alzando il sopracciglio.

“Una volta avuta la dritta, basta fare più attenzione. Non solo a come tu ti comporti con lui ma anche viceversa. E, okay, non sarò il maggior esperto in relazioni amorose ma so riconoscere quando c’è qualcosa di profondo e vero. E Nick, anche se è troppo spaventato nell’ammetterlo, ti ama.”

“Non darmi illusioni, Alex. In questo momento crederei a tutto.” Lo pregò Brian, mettendosi la testa fra le mani.

“Non voglio fare questo. Voglio solo aiutarti a stare meglio.”

“E lo fai illudendomi?”

“No. Il Brian che conosco e stimo non si arrenderebbe così, alla prima difficoltà. Combatterebbe fino a quando non porta a casa il risultato.”

“E se fossi stanco di lottare?”

“Ti prenderei e ti porterei in ospedale. Perché Brian Littrell che smette di lottare non è umanamente possibile da concepire.”

“Tu hai troppa fiducia in me.”

“No. Ti ammiro, questo sì.”

“Non lo dici sul serio. Non ho proprio niente per cui farmi ammirare.”

“Siamo un po’ sul depresso andante o sbaglio?”

“Dammi un mese senza sfortune, aggressioni e migliori amici che si trasformano in nemici e poi potrei non essere depresso.”

“Senti, hai due possibilità: o lo dimentichi oppure ci provi.”

“Dimenticarlo? Non so nemmeno come iniziare a farlo! L’unico modo possibile sarebbe lasciare il gruppo, lasciare la Terra e stabilirmi su Marte o qualche altro pianeta lontano in modo che non mi arrivi nessuna notizia su di lui. E forse nemmeno quello sarebbe una soluzione...”

“Quindi datti da fare.”

“E come? Se non te ne sei accorto non mi parla, se lo fa mi lancia battutine e, se non bastasse, mi sbatte sotto il naso il fatto che si stia scopando metà cittadinanza americana femminile.”

“Nel modo migliore. Con la musica.”

Brian sembrava titubante.

“Che cosa hai da perdere? Niente. Ma hai tutto da guadagnarci.”

“Tu credi che possa funzionare?” chiese speranzoso Brian.

“Rok, qui lo dico e qui lo nego, tu riusciresti a vendere condizionatori ai pinguini cantando.”

Per la prima volta, da molto tempo, Brian si sentì rincuorato. Aj aveva ragione, non aveva niente da perdere.

Ci avrebbe provato e, se anche quel suo tentativo fosse andato male, almeno non avrebbe avuto rimpianti né rimorsi.

“Alex ho bisogno però del tuo aiuto.” Esordì Brian, la sua mente già febbrilmente al lavoro per scegliere la canzone perfetta da cantare ed il momento migliore per farlo.

 

I wanna love you

 

Nick era sveglio.

Un fatto insolito, considerata la quantità di alcool che navigava nelle sue vene ed il fatto di aver appena finito di fare sesso.

Ma per quanto cercasse di allontanarlo dalla sua mente, con metodi sempre meno ortodossi, Brian era sempre lì, che lo torturava con quel sorriso beato, quello speciale che gli riservava solamente a lui.

Lo aveva sempre fatto sentire speciale.

Non meritava tutte quelle attenzioni, no.

Non meritava essere l’oggetto di desideri e di quell’amore che Brian sembrava provare verso di lui.

Non dopo quello che gli aveva fatto.

Che differenza c’era fra lui e colui che lo aveva aggredito?

Nessuna. E se prima fra i due c’erano solamente una somiglianza fisica, ora anche quella comportamentale era stata colmata.

Era per questo che Brian doveva odiarlo. Non amarlo.

No, lui non meritava quel tipo di sentimento.

Sapeva che Brian lo avrebbe perdonato, era il suo punto debole e nello stesso tempo la sua forza maggiore.

Ma lui, Nick, non poteva perdonare se stesso.

Nick si voltò sul fianco e per un secondo rimase sorpreso nel vedere qualcuno nel suo letto. Non si ricordava nemmeno come si chiamava la ragazza che dormiva accanto a lui né quanti anni avesse.

Di certo, era più grande di lui ed anche molto più esperta.

In quella settimana si era buttato su chiunque gli desse un appiglio per dimenticare, scordare l’immagine di lui che bloccava Brian in un angolo e lo forzava. Cosa lo aveva spinto a comportarsi così?

Quando era uscito dalla stanza era rimasto lì, sulla soglia della porta, una mano e la fronte appoggiata sulla superficie legnosa mentre ascoltava distintamente le urla di dolore che provenivano dall’interno.

Sofferenza che lui aveva causato, con ogni singolo gesto e singola parola che era uscita dalla sua bocca. Quanto avrebbe voluto rientrare e chiedergli perdono, pregarlo affinché dimenticasse la sua crudeltà ma non lo aveva fatto.

Gli era mancato il coraggio, così era rimasto lì, inerme mentre sprofondava sempre di più nel suo senso di colpa.

Nick si alzò dal letto, recuperò i suoi pantaloni e si allontanò, uscendo fuori sulla terrazza; si sedette sulla sedia e cercò di annullare i suoi pensieri osservando le mille luci sfavillanti della città.

La crudele ironia in tutta quella situazione era che, proprio dopo quello scontro, Nick si era accorto di amare Brian.

Voleva Brian.

Voleva lui nel suo letto.

Voleva che lo abbracciasse e gli dicesse che tutto sarebbe andato per il meglio.

Voleva sentire il battito lento e regolare del suo cuore contro il petto, era un suono così calmante e rassicurante. Si ricordava com’era prima dell’operazione: un battito, pausa, pausa, un battito; a volte, fra la pausa ed il secondo battito trascorreva troppo tempo per i suoi gusti e si diceva fra sé e sé: ecco, ora non batterà più. Si ricordava ancora la prima volta che aveva ascoltato il suo battito: era stato quando Brian gli aveva raccontato del suo problema, lui ovviamente non voleva nemmeno crederci, pensava che fosse un brutto scherzo. Così gli aveva detto: fammelo sentire, non può essere differente dal mio. Invece lo era e la cosa lo aveva spaventato così tanto che per settimane, di notte, si svegliava ed andava a controllarlo. Brian dormiva sempre profondamente che non si accorgeva mai della sua testa che si appoggiava al petto e rimaneva lì, a sentire quel battito irregolare.

Nick voleva tutte quelle cose ma non poteva averle.

Lui aveva spezzato quel cuore che un dottore aveva curato e rimesso in sesto.

Ma Brian sarebbe stato meglio senza di lui.

Doveva continuare con la sua recita fin quando non fosse sicuro che Brian non lo amasse più.

E, forse, solamente a quel punto, avrebbe potuto incominciare a chiedergli scusa per come si stava comportando.

E mentre Nick dava finalmente libero sfogo alle lacrime, in cuor suo si accorse che il vero errore che aveva commesso era stato quando gli aveva detto che non aveva voluto baciarlo.

E Nick avrebbe dato qualsiasi cosa per far ritornare indietro le lancette, questa volta si sarebbe comportato in maniera differente; sì, avrebbe ammesso che lo aveva baciato perché voleva farlo, che la sua dichiarazione era stata la cosa migliore che qualcuno gli avesse mai detto e che voleva ricambiare con altrettanto amore.

Ma ormai era troppo tardi.

 

You won’t ever know

 

 

 *********

 

Lo so, so che cosa state pensando: dove si prende il numerino per uccidere Nick?

E’ stato questo il problema del mio blocco, il personaggio di Nick; abituata all’altro, a quello spavaldo di Unsuspecting, non riuscivo a far trapelare la confusione che regnava nella sua testa (credetemi, era molta!): in poco tempo deve ritrovarsi a fare i conti con: il fatto che si sente attratto verso gli uomini, il fatto che sente qualcosa per il suo migliore amico, il quale gli confessa di amarlo da cinque anni.

E questo Nick poteva reagire solamente in un modo, con la rabbia e l’istinto.

Spero di esserci riuscita a far capire ciò!

E Brian sa tutto ciò, comprende quello che passa Nick ma nello stesso tempo deve fare i conti con il suo di cuore spezzato proprio da chi amava di più.

E lasciatemi dire quanto so amando questo Aj, cucciolo amoroso!

Questo capitolo è stato letteralmente un parto ma è quello in cui ci ho passato più tempo a rifinirlo, ad aggiungere dettagli o modificare qualcosa.

Il prossimo capitolo è quasi pronto ma, finalmente, posso promettervi che i due amanti si uniranno! ^__^

E non siamo nemmeno a metà storia...

Le frasi in inglese presenti sono dei versi tratti dalla canzone “Why not me?” di Enrique Iglesias (Euphoria, 2010).

@Kia85: Kevin non ha avuto ruolo in quello che è successo a Brian, diciamo che è stata solamente una brutta coincidenza astrale.

Tu che mi conosci bene hai subito intuito che non sarebbe durata a lungo la felicità di Brian, nemmeno un giorno. Povero amorino trottoloso... ma ho una bella sorpresa per lui prossimamente!

@Laphy: il mio Brian fa tenerezza perché ha un’autrice sadica che si diverte a torturarlo (no, non mi diverto. Ma devo farlo!). però dimostra la sua tenacia a non lasciarsi abbattere da niente e nessuno, questo è uno dei suoi punti di forza.

Nick... ha fatto un ruzzolone indietro, ora vediamo come cercherà di riparare i danni!

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Capitolo 12
*** - Undicesimo Capitolo 1ma Parte - ***


Undicesimo Capitolo

1ma Parte

 

 

Era il suo momento, era sempre stato lui il primo ad avere i cinque minuti di discorso per permettere ai suoi compagni di cambiarsi velocemente d’abito.

Nessuno sapeva che cosa era sul punto di fare, tranne Alex.

L’idea era stata sua e, una volta riflettutoci su, Brian era arrivato alla stessa conclusione: quello era l’unico momento in cui avrebbe potuto esibirsi cogliendo tutti di sorpresa. E quello era l'unico modo per parlare e far riflettere Nick.

Le luci erano abbassate, la band stava riposando ed il pubblico osannava la ripresa dello spettacolo.

Inspirò a fondo, la mano destra impugnò con stretta decisa la chitarra. Lanciò un’occhiata di assenso al pianista, quel pomeriggio gli aveva consegnato lo spartito e, dopo un momento di confusione, aveva deciso di sostenerlo in quella pazzia.

Era la sua ultima possibilità per dimostrare a Nick la vera natura dei suoi sentimenti.

Il resto sarebbe stato nelle sue mani.

Il che era abbastanza pauroso ma Brian sperava che il ragazzo facesse parlare il suo cuore invece che la sua rabbia e la sua mente.

Quando il riflettore illuminò la sua figura, al centro del palco, le fans scoppiarono nel delirio più totale.

Brian aspettò qualche secondo, sperando che il volume delle urla diminuisse in modo da permettergli di parlare senza urlare nel microfono.

“Solitamente, questi minuti sono dedicati a ringraziarvi per tutto il sostegno che ci date ogni giorno. E penso che i miei compagni saranno molto più bravi di me nel farlo più tardi.” Si schiarì la voce. “Questa sera voglio fare qualcosa di diverso e spero che voi tutti capiate per quale motivo.”

Brian lanciò un sguardo veloce dietro di sé, immaginandosi lo sguardo allibito di suo cugino mentre chiedeva ad alta voce a chiunque se sapeva che cosa lui avesse in mente di fare.

“Vorrei cantarvi una canzone. Mi piacerebbe avere l’onore di averla scritta ma non sono ancora così bravo a scrivere certi capolavori. Forse molte di voi non erano nemmeno nate quando divenne famosa questa canzone o forse avevate poco più di un anno. Ma è una delle canzoni più romantiche che esistano e...” Brian si fermò, sfoderando il suo sorriso. “... so che vi chiederete che cosa sia questo preambolo. Beh, c’è una persona molto importante per me a cui vorrei dedicare questa canzone. Sperando che possa finalmente aprire gli occhi.”

Il tastierista incominciò a suonare le prime note.

“Abbiamo avuto incomprensioni, frasi mal dette o mal interpretate. Ma io sono pronto a tutto pur di non perderti.” Brian fissò a lungo una delle telecamere, rivolgendo la sua attenzione a Nick, come se lui fosse lì davanti ad ascoltarlo.

“La canzone in questione è Hello di Lionel Ritchie.”

Le luci si abbassarono, solamente due riflettori rimasero puntati su Brian ed il tastierista.

 

I’ve been alone with you inside my mind

And in my dreams I kissed your lips

A thousand times

 

Non appena Aj gli aveva proposto di mettere in musica i suoi sentimenti, Brian aveva subito pensato a quella canzone.

Era perfetta nella sua semplicità.

E racchiudeva tutto quello che aveva provato, sentito in quegli anni. Quando quei sentimenti avevano incominciato ad emergere e lui combatteva per soffocarli perché Nick era solo un ragazzino e lui era un giovane; il mondo è strano, non si scandalizza se un cinquantenne ama una ventenne ma quei cinque anni di differenza tra loro sembravano un oceano.

Gli era rimasto solamente il mondo dei sogni dove poter cercare consolo, in quel universo creato nella sua mente non c’erano discriminazioni o pregiudizi, solamente lui e quel ragazzino di cui si era follemente innamorato.

Un “ti amo” aveva causato tutto e sarebbero state quelle due parole a far ricominciare tutto.

 

I sometimes see you pass outside my door

Hello!, is it me you’re looking for?

 

Quanto tempo lo aveva osservato?

Quante volte aveva sperato che entrasse nella sua camera, nel suo tourbus, cercando proprio lui?

Volendo solo e solamente lui?

Invece, aveva dovuto ascoltare nei minimi dettagli le reminescenze dei suoi appuntamenti, fingere interesse in quello che adorava di quella ragazza o di un’altra, profondere consiglio dopo consiglio mentre tutto quello che avrebbe voluto farle era urlargli dietro che lui era lì e l’avrebbe trattato meglio di qualsiasi altri.

Così si accontentava di quel poco che riusciva ad avere, momenti preziosi a cui aggrapparsi.

 

 

I can see it in your eyes

I can see it in your smile

You’re all I’ve ever wanted

 

Non sapeva nemmeno da dove iniziare nell’elencare ciò che amava di Nick.

Aveva cercato di scacciare quel ragazzino dalla sua mente.

Non era moralmente giusto desiderare di baciare un ragazzo minore di lui di cinque anni.

Non era approvato dalla sua religione provare eccitazione o amare qualcuno del suo stesso sesso.

Aveva avuto una ragazza stupenda al suo fianco, una donna che non lo aveva abbandonato nel momento più difficile, ed allora perché quando era fra le sue braccia non faceva altro che immaginarsi di essere fra quelle di Nick?

La risposta era semplice, Nick era il suo Frack.

I suoi capelli biondi, quella zazzera cui amava scompigliare ogni qualvolta ne poteva.

I suoi occhi azzurri, quell’oceano in cui si perdeva ogni volta ed il modo in cui si illuminavano quando qualcosa captava la sua attenzione o quando gli veniva in mente qualche scherzo da mettere in atto.

Amava anche quella buffa danza che faceva ogni volta che vinceva a qualche gioco con il Nintendo.

E la sua risata?

La sua risata era unica, era speciale; il modo con cui le sue labbra si curvavano, gli occhi che si socchiudevano in piccole fessure.

Adorava farlo ridere, solamente per avere l’opportunità di vedere, sentire e percepire quelle risa.

 

 

And my arms are open wide

 

 

Nick gli aveva fatto del male.

Ma doveva perdonarlo.

Voleva farlo.

Perché anche quello faceva parte dell’amore, perdonare quando qualcuno sbagliava.

E lo avrebbe accolto a braccia aperte.

 

 

Cause you know just what to say

And you know just what to do

 

Perché nonostante gli avesse spezzato il cuore, nonostante si fosse comportato come un idiota patentato, Nick era l’unico che poteva salvarlo.

L'unico che poteva, a conti fatti, guarire definitivamente il suo cuore spezzato.

L’unico le cui parole avrebbero potuto cancellare antichi incubi e cicatrizzare le ferite lasciate ancora aperte.

L’unico porto sicuro in cui dimenticare ed incominciare, finalmente, una nuova strada, senza paure, senza dolore, senza paranoie.

Non servivano parole fra di loro, a volte era un gesto, un sorriso, una pacca sulla spalla.

Quante volte era stato sul punto di dirgli che lo amava?

Tante, troppe e mai abbastanza.

Si ricordava ancora la prima volta, tanti anni prima, quando aveva dovuto operarsi. Aveva paura di non sopravvivere fino al giorno successivo, nonostante gli avessero assicurato che sarebbe stata un’operazione semplice. Ma lui era terrorizzato così tanto che aveva preso il telefono e digitato quei numeri incisi sul suo cuore, nella sua anima... per poi rimettere a posto la cornetta non appena aveva sentito la sua voce rispondere.

Che senso aveva dirglielo, in quel momento? Se fosse vissuto, avrebbe reso difficoltosa la loro amicizia e l’equilibrio del gruppo; se fosse morto, avrebbe costretto Nick a sopravvivere con quella consapevolezza. O con il rimorso per non averlo compreso prima, per non averlo fermato prima.

 

 

And I want to tell you so much

I love you

 

 

“Io ti amo.”

Quanto semplici erano quelle tre parole?

E quanto estremamente potenti?

Potevano sollevarti ad altezze paradisiache, renderti l’uomo più felice dell’universo e riscaldarti anche dal peggiore freddo.

Ma altrettanto potevano distruggerti, riempire il tuo animo con un vuoto incolmabile se non venivano percepite.

Se non venivano ricambiate.

Nick lo aveva portato lì, in quel limbo tra sogno ed incubo, prigioniero dei suoi stessi sentimenti. E solo lui possedeva la chiave per liberarlo.

Lui poteva solamente ripetergli “Ti amo” fin quando ne avesse avuto voce.

E pregare.

E sperare.

 

I long to see the sunlight in your hair

 

 

Voleva essere al suo fianco quando si svegliava, vedere i raggi del sole dorare ancor di più il biondo dei suoi capelli.

Sentire il suo profumo sul cuscino, il suo sorriso illuminare ancora di più la stanza e le sue braccia attorno a lui, la protezione che ne traeva.

Non voleva più nascondersi mentre lo osservava dormire, in quel modo unico che solo Nick poteva avere: la sua lunga figura occupava sempre tutto il posto, le gambe che a volte penzolavano dai lati del letto, il cuscino stretto attorno al petto e le labbra lievemente socchiuse.

Aveva trascorso notti insonni solamente ad osservarlo, desideroso di essere quel cuscino e maledicendosi per quei pensieri impuri sul suo migliore amico. 

 

And tell you time and time again

How much I care

 

Nick era la persona più insicura che avesse mai conosciuto, il che stonava con l’immagine e l’apparenza percepita dal mondo esterno. Le fans, i media lo vedevano come il ragazzino sfrontato e desideroso di essere sempre e comunque al centro dell’attenzione, incurante di come veniva giudicato.

Oh, quanto si sbagliavano.

Nick agiva in quel modo dettato dall’insicurezza e dal desiderio bruciante di essere accettato, di non essere lasciato in un angolo senza attenzioni, senza amore.

Era stato il figlio preferito fin quando aveva portato successo e soldi a sua madre, per poi essere abbandonato nel momento in cui il fratellino aveva incominciato a librare le sue ali.

Quante volte aveva dovuto consolarlo perché sua madre non si era presentata ad un incontro o non gli aveva nemmeno fatto una telefonata per complimentarsi dei successi raggiunti?

Lui non si sarebbe mai comportato così, avrebbe riempito di attenzioni il ragazzo dimostrandogli che lui era così speciale, era così impossibile da non amare.

E perché prendersi cura di lui era come prendersi cura del suo cuore.

Ed il suo cuore era Nick.

 

Sometimes I feel my heart 

Will overflow

 

Doveva essere un bravo attore se era riuscito a non far mai trapelare niente dei suoi sentimenti per tutti quegli anni.

A volte, era stato così difficile... sentiva il cuore quasi esplodere sotto la potenza del suo amore per Nick.

 

Hello!

I’ve just got to let you know

 

No, non era stato giusto nei suoi confronti.

Continuare a mentirgli, ad assicurargli che era solamente un amico quando lui era qualcosa di più.

Continuare a mentire a se stesso che poteva farcela, che poteva vivere anche senza il suo amore.

Non poteva, ora lo aveva capito.

Aveva cercato di sostituirlo e c’era quasi riuscito. Leighanne era stata la persona perfetta per aiutarlo ma nemmeno lei era riuscita in quella missione impossibile.

Nessuno era come lui, nessuno riusciva a calmare le sue paure senza nemmeno saperlo; nessuno sapeva meglio quando doveva lasciarlo in pace, in preda ai suoi demoni, e quando allungare una mano per racchiuderlo in un abbraccio e sussurrargli che il sole sarebbe tornato a splendere dopo il temporale.

Ci aveva provato, Dio gli era testimone.

Ma aveva fallito.

Ed ora... ora non c’è più ritorno, nessun passo indietro.

Doveva solo dirgli che cosa sentiva.

 

Because I wonder where you are

And I wonder what you do

 

 

Nick, mi stai ascoltando?

Stai osservando come mi sto rendendo ridicolo davanti a milioni di ragazzine e alle loro madri?

Stai provando anche tu la sensazione di essere solo, anche se circondato da una folla, e di aver di fronte solamente colui che più desideri?

Non ascoltare con il tuo udito; senti, invece, percepisci con il tuo cuore, con quel sesto senso che solo tu possiedi quando si tratta di me e dei miei sentimenti.

Oppure sei corso via, ti sei nascosto in camerino o nel bagno come fai di solito, maledicendoti per avermi mostrato il tuo lato sensibile?

Ti ho imbarazzato con quella confessione?

Ma tu mi avevi baciato, come posso dimenticare quel momento?

Era un sogno, il più bello che abbia mai avuto proprio perché era così reale, così vivido e così... così perfetto; ricordo tutto di quel momento: di come mi hai consolato, di come mi hai cullato fin quando non mi sono addormentato, protetto nel tuo abbraccio.

Non posso essermi immaginato l’affetto che traspariva dai tuoi gesti, dalle tue labbra che cercavano di asciugare quelle lacrime; non posso aver ricreato, nella mia mente, il battito del tuo cuore che aumentava sempre di più mentre le nostre labbra si incontravano, si cercavano ed infine si amavano.

Ci hai mai pensato, in questi giorni?

Hai mai riflettuto sulla magia di quell’istante, su come ogni pezzo stesse andando, finalmente, al posto giusto?

 

 

Are you somewhere feeling lonely?

 

Mi hai abbandonato.

Mi hai allontanato, isolato, gettato in un angolo.

E tutto perché avevo detto tre parole che mai avresti immaginato potessi udire provenire dalla mia bocca?

Avevi paura di quello che significava?

Anche tu, come me, volevi cancellare quegli insulti che ci siamo tirati dietro e ricominciare da capo?

Potevi cercarmi, lo sai.

Sarebbe bastato un sorriso, uno di quei tuoi che fai quando sei desolato ed addolorato perché sai di aver sbagliato ma non lo vuoi ammettere.

Perché sei orgoglioso.

Perché non ti piace essere in errore, con la consapevolezza di aver ferito qualcuno.

Ma non lo hai fatto.

No, hai scelto la strada della crudeltà, della ripicca e della vendetta, non accorgendoti che in quel modo ferivi anche te stesso.

Ci hai condannato alla solitudine.

Ti guardavo, in disparte, e mi chiedevo se anche tu stavi soffrendo quanto me. Se provavi vergogna per quello che mi avevi fatto, per avermi sbattuto contro un muro e cercato di eccitarmi quando sapevi che sarebbe successo, quando sapevi che il mio corpo avrebbe reagito al tuo tocco.

Non è stato quel gesto a farmi penare di più, no.

Perché sapevo che non eri in te in quel momento, nei tuoi occhi c’era una luce diversa, che avevo visto solo poche volte e mai diretto a me.

Non c’era il mio Nick davanti a me ma quello sconosciuto che mi aveva aggredito.

Non ti ho odiato in quel momento.

Non potevo.

Ma ti ho odiato quando te ne sei andato, quando hai preso il mio cuore e lo hai gettato via come se fosse un pezzo di carta stracciato.

Ti ho odiato quando hai ammesso di non sapere perché mi avevi baciato.

Ti ho odiato quando mi hai accusato di averti usato, di aver cercato volontariamente il tuo sostegno per soddisfare un desiderio.

Anche il solo fatto che tu l’abbia pensato... quando mai ti ho usato? Sai che non ne sono capace, specialmente quando ti ho di fronte.

Non intenzionalmente, almeno.

So che vorresti entrare nella mia mente, sapere che cosa sta succedendo dentro di me per aiutarmi ma non te lo posso permettere.

Non posso fartelo vedere perché lì sì che scapperesti.

Non voglio farti passare l’orrore che io do dovuto passare tanti anni fa, quando tu ti divertivi nella tua infanzia sui palchi.

Io ci ho convissuto per tanto tempo che so cosa aspettarmi, so come controbattere alle ondate di dolore. 

Tu no, Nick, tu non hai mai visto quel genere di orrore e non voglio essere io a farti conoscere quanto malata e perversa possa essere la natura umana.

Tu non sai come bloccare i brutti ricordi e sarei più preoccupato a far sì che tu non soffra per il mio passato piuttosto che preoccuparmi dei tuoi reali problemi.

Voglio che tu conosca la parte migliore di questo tipo di amore.       

 

Or is someone loving you?

 

Ti ho odiato tutte queste sere in cui tu portavi qualche ragazza nella tua camera.

Credi che non ti sentissi?

Credi che non sperassi che fosse un film di quart’ordine, di quelli che solo Aj riesce a trovare su qualche canale sconosciuto?

Ogni tuo gemito di piacere era una coltellata.

Dritta, precisa e mirata al cuore.

Pensavo che me lo avessero sistemato qualche anno fa ma credo che abbiano commesso qualche errore visto che lo sento ancora perdere sangue.

So che quelle donne erano solo palliativi, anestetici per fermare il dolore e bloccare il senso di colpa.

E ti ho odiato.

Perché tu sei migliore di quello che hai lasciato intendere in questi giorni.

E meriti di meglio.

Non so se io sia il meglio per te, non con il mio passato.

 

Tell me how to win your heart

For I haven’t got a clue.

 

 

Dimmi come posso dimostrarti che non è sbagliato provare questo sentimento.

Dimmi come posso farti capire che non ti ho mentito, che ti ho protetto dai miei stessi sentimenti.

Ma ora... ora che tutto è allo scoperto, ora che sai, voglio provarci.

Voglio solo amarti.

Voglio solo sentire quelle tre parole pronunciate da te.

Ti chiedo troppo?

 

But let me start by saying

I Love You

 

 

Nick, Nicky...

Quando scenderò da questo palco e ti incontrerò, lì, in mezzo al corridoio, ti ripeterò queste tre parole.

E’ l’unica cosa che possa dirti, è l’unica prova che posso darti.

Poi ti lascerò riflettere, ti lascerò parlare, urlare, gridare... qualsiasi cosa tu voglia fare.

Anche spingermi contro un muro.

Ma poi... quando la confusione lascerà finalmente la tua mente, quando riuscirai a guardarmi negli occhi senza provare ribrezzo o disprezzo; quando sorriderai fra le lacrime... io sarò lì, come sempre.

Non ti racconterò che sarà semplice.

Non ti illuderò dicendoti che sarà una fiaba ma ci proveremo.

Lo so che insieme possiamo farcela.

Io e te, Nick.

Frick e Frack.

Insieme, nel bene e nel male.

E’ così che deve essere.

Ma affinché accada, solo tu puoi permetterlo.

Basta che ti fidi quando ti dico...

 

But let me start by saying

I Love You

 

“Ti amo.”

 

 

*********

 

Prima che mi uccidiate, ribadisco che questa é solamente la prima parte del capitolo! E' stata una scelta obbligata da come é risultato poi essere questo capitolo, con Brian che parlava direttamente a quel idiota patentato di Nick. 

Quindi la seconda parte, che vi prometto arriverà al più presto già questa settimana, sarà invece dal punto di vista di Nick e poi... sì, ci saranno lacrime, confessioni e ciò che voi tutte mie care lettrici state aspettando da secoli e secoli! ^__^

Una menzione speciale per la canzone scelta: all'inizio, doveva essere "Forces Of Nature", in modo da dare un filo logico al titolo della storia. Ma poi... poi mi sono innamorata di "Hello" e dovevo a tutti i costi usarla perché era perfetta per la situazione che si era venuta a creare. Tutti i guai erano nati da un "I Love You" ed era giusto che tutto potesse ripartire da quelle stesse tre parole! Vi consiglio quindi di leggere il capitolo con la canzone in sottofondo e, se me lo permettete, vi consiglio la versione rifatta da "Glee" (forse perché amo la voce di Jessie *__*).

Ringraziamenti.

Ringrazio le anime pie che leggono, anche se non commentano!

Ringrazio quella santa donna di Kia, oh mia beta, che si sorbisce tutte le mie paturnie e mi offre preziosi consigli!

Ad egual modo, ringrazio quell'altra santa che sopporta le mie crisi d'autrice, Sakura. Se non fosse per voi, avrei abbandonato questa storia tanto tempo fa, alla prima crisi. Inutile dire che vi lovvo!

 

Risposte.

@Kia85: No, non devi preoccuparti. Stavolta é davvero una bella sorpresa, povero il mio cucciolo non posso sempre torturarlo senza dargli qualcosa in cambio, non trovi? 

@Laphy: la citazione "pinguino" era dovuta perché io adoro i pinguini! Lo so, odiate tutte Nick per come si é comportato ma spero di essere riuscita a far capire per quale motivo agiva così.

@Sakura: mettiti in fila, là in fondo ci sono i numerini da prendere per poter martellare ed uccidere Nick! So che ami Homer e so il motivo intrinseco di questo amore... l'amico metallaro! XD

 

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Capitolo 13
*** - Undicesimo Capitolo 2nda Parte - ***


Undicesimo Capitolo

2nda Parte

 

C’era il trambusto, la confusione generata da gente che andava e veniva velocemente per preparare il numero successivo; nonostante il rumore assordante della folla, Nick riuscì a percepire la coltre di silenzio che scese nel camerino non appena sentirono le prime parole di Brian.

“Qualcuno sa quello che sta facendo?” domandò Kevin ad alta voce, una gamba già infilata nei pantaloni e l’altra ferma prima che potesse compiere quell’azione.

“A quanto pare, ha deciso di fare una serenata.” Commentò distrattamente Aj, posando il suo sguardo sul volto incredulo di Nick.

Lui sapeva quindi. Pensò il ragazzo.

“Perché?” domandò Kevin.

Aj non distolse lo sguardo da Nick. “Forse era stanco di essere trattato come un manichino.”

“Di che cosa stai parlando?” domandò l'interessato, sentendosi messo in mezzo. Non che ignorasse il fatto che Brian stava cantando proprio per lui ma il fatto che anche Aj ne fosse a conoscenza di come si era comportato lo infastidiva. 

Aj scrollò le spalle ed uscì fuori dalla stanza; Nick lo seguì immediatamente.

“Jay!” 

“Che cosa vuoi?” domandò questi, bloccandosi in mezzo al corridoio. 

“Cosa sai?” gli chiese Nick sottovoce.

“Non so niente.” mentì Aj.

“Sei un bugiardo!”

“Io? Io?” Aj scattò immediatamente verso di lui. “Chi sta mentendo a se stesso ed al ragazzo che ora, sul palco, sta mettendo tutta la sua anima, non sono io.”

Nick sapeva che l’amico aveva ragione ma, ugualmente, si sentì punto nell’orgoglio, complice il fatto che quasi tutti sembravano sapere quello che era successo fra lui e Brian.

“Nick, svegliati, per l’amor di Dio! Non sei più un bambino! Sii uomo per una volta ed affronta i problemi!”

“Proprio da te mi devo sorbire questo tipo di predica?” puntualizzò Nick, accigliandosi. 

“Sì, proprio da me! Perché, guarda caso, sono io quello che ha spinto Brian su quel palco a dimostrare il suo amore per te! Perché sono così idiota da pensare che tu, nonostante tutto quello che gli hai combinato ed il comportamento veramente disgustoso che hai tenuto in questa settimana, sia la persona giusta per Brian." gridò Aj, incapace di trattenere ancora per molto la sua rabbia. Poi abbassò la voce. "Ha bisogno di te, Nick. E, per quanto tu non voglia ancora ammetterlo, é palese che anche tu hai bisogno di lui.”

Nick ascoltò in silenzio ogni parola di Aj. “Come può volermi dopo...?” non terminò la domanda, rivivere anche solamente pronunciando quello che aveva fatto lo riempiva di senso di colpa e vergogna.

“E’ uno dei misteri di questo mondo.” Commentò sarcastico Aj. Nemmeno lui riusciva a capire come ci riuscisse Brian e l’unica risposta che si era dato era che Brian fosse cotto ormai perso di Nick. “Il punto, Nick, è che lo ha fatto. Ti ha perdonato.”

Nick voltò lo sguardo per poter osservare il piccolo monitor appeso sul muro del corridoio, il quale stava mostrando quello che stava succedendo sul palco.

“E’ tutto nelle tue mani, Nick. Vedi di non far altri pasticci.” Lo avvertì Aj prima di scomparire dalla sua vista.  

Osservando il ragazzo cantare la sua anima immerso nell'oscurità, Nick si ritrovò riportato indietro ad una settimana prima, a quella fatidica notte dove tutto era cambiato.

Ricordava la sensazione di stringere quell’uomo tra le braccia, le sue mani attorno al suo corpo producevano brividi improvvisi.

Ricordava il battito del suo cuore che aumentava sempre di più mentre le sue labbra scendevano su quelle di Brian.

Quel bacio era un dolce incubo. Aveva cercato di scacciarlo via dandosi da fare con donne di cui non gli importava niente ma era stato impossibile.

Non appena chiudeva gli occhi, c’era lui ad aspettarlo.

Lui, che ora era sul quel palco a cantargli quanto l’amava, nonostante tutto.

Dio se amava la sua voce; ne era sicuro, una volta morto e raggiunto il paradiso, sapeva che gli angeli avrebbero cantato con quella stessa voce limpida, chiara, ipnotizzante; quando lui cantava, era come se tutto il mondo si fermasse per ascoltarlo e quando incominciava a salire, quegli acuti lo mandavano in visibilio, era come essere portati direttamente in un altro mondo.

Brian era seduto su un semplice sgabello, gli occhi chiusi ed una mano appoggiata sul petto, lì dove batteva il suo cuore.

Lì dove pulsava, con ogni battito e con ogni respiro, il suo amore per lui.

 

Let me start by saying

 

Era strano, non era come se Brian stesse semplicemente cantando ma era come se gli stesse parlando, come se si trovassero l’uno di fronte all’altro, senza fans deliranti o gente estranea.

Dietro ogni parola, ce ne erano altre mille non pronunciate ma bisbigliate, solamente per il suo orecchio.

Solo per il suo cuore.

E lui decise di rispondergli, di aprire la sua anima e permettergli di entrarvi e di constatare che quell’amore era corrisposto.

Sì, Frack amava Frick

 

I Love You

 

 

Oh sì, ti amo, Brian.

Con ogni fibra del mio essere, con ogni respiro e con ogni battito.

Ma...

Brian, non merito tutto ciò.

Non merito nemmeno un grammo di quello che stai dicendo e di quello che mi vuoi promettere.

So... so benissimo che tu saresti pronto a darmi tutto, a darmi il sole, la luna, le stelle e qualsiasi cosa che mi possa rendere felice. Lo hai fatto per anni, senza che io te lo chiedessi perché tu, in qualche modo, sapevi già di che cosa avessi bisogno. Ti bastava guardarmi per capire se ero triste, se mi sentivo solo, se ero arrabbiato con il mondo intero o volevo affogare Kevin.

Ed ora capisco, adesso finalmente comprendo che non mi hai davvero mentito, perché quei sentimenti non si possono cancellare con una semplice bugia. Li hai semplicemente coperti, nascosti sotto il velo di un’amicizia e di una fratellanza che andava ben oltre a quello che ci si aspetterebbe da due persone che appena si sono conosciute.

Io, vigliaccamente, li ho nascosti nel modo peggiore perché non volevo ammettere a me stesso la verità; non volevo prendere coscienza che qualcosa era cambiato.

No, non è giusto nemmeno questo: niente è cambiato perché il mio amore per te c’era già, raccolto in un punto del mio cuore che io non ero ancora pronto a scoprire.

È nato piano questo sentimento, una più che naturale estensione di ciò che già ci legava, è fiorito dall’ammirazione che ho sempre avuto nei tuoi confronti.

Perché tu, per me, eri una persona speciale; eri il mio eroe, il mio supereroe che scacciava via qualsiasi cattivo, che aveva sempre la soluzione pronta per ogni problema e che mai si rendeva conto di quanto fosse speciale.

Ti guardavo con gli occhi di chi voleva essere come te, raggiungere quella sicurezza sulle proprie forze e sulle proprie debolezze.

E tu lo sapevi, tu eri consapevole che non ero ancora pronto, per questo non mi hai mai detto niente; per questo hai messo da parte i tuoi sentimenti e ti sei comportato semplicemente da amico, anche se doveva farti star male non potermi avere al tuo fianco.

Oh, quanto vorrei cancellare l’ultima settimana, vorrei ritornare indietro e so, ora, che mi comporterei diversamente perché so quello che provo per te.

In realtà, me ne sono accorto quella stessa mattina quando, dal nulla, ti ho chiesto se quelle tre parole erano vere.

Se era vero e reale che tu mi amavi.

Mi ha destabilizzato saperlo.

E a causa di ciò, sono stato sul punto di gettare via la cosa più bella che mi sia mai capitata.

Per cosa, poi?

Per incoscienza?

Per paura?

Sì, Brian, ho avuto paura ed è per questo che mi sono comportato così vigliaccamente. Come te, ho avuto paura che fosse solamente un sogno, il più bello di tutti, e che una volta svegliatomi, tutto sarebbe scomparso.

Tutto sarebbe tornato esattamente come il giorno precedente.

Io e te semplicemente amici.

Non amanti.

Così sono scappato.

Corso via da qualcosa che sarebbe stato troppo grande per me; perché non posso giocare con te, Brian. Non posso e non voglio accontentarmi di un’avventura o di una sveltina quando nessuno ci presta attenzione.

Non sarebbe giusto nei tuoi confronti.

Una relazione seria, non sono mai stato pronto per una cosa del genere.

Così ho coperto la paura con la rabbia, ho finto di sentirmi tradito, pugnalato alle spalle perché tu non mi avevi mai tenuto segreti.

Ho voluto ripagarti con la stessa moneta.

Ma ho sbagliato.

Tu non mi hai mai pugnalato in quel modo, tu non hai mai giocato con i miei stessi sentimenti, con le mie emozioni che sembrano librarsi ogni qualvolta tu entri in una stanza.

Io invece l’ho fatto e non riesco a spiegarmi come tu possa continuare ad amarmi dopo ciò.

Sei una persona speciale ed il fatto che tu mi reputi degno del tuo amore mi rende altrettanto speciale.

Qui, ora, te lo prometto.

Farò di tutto per rimediare, per cancellare dalla tua voce quei tremoli di sofferenza e dolore che io ti ho causato.

Sarò tutto quello di cui hai bisogno, un compagno, un amico, una spalla sui cui piangere durante uno dei di quei film romantici che adori, il tuo fidato partner durante una partita basket e qualsiasi altra cosa tu voglia che io sia.

Quando scenderai da quel palco ed apparirai all’inizio del corridoio, sarò lì ad aspettarti.

Dovremo parlare, sì.

Ho intenzione di inginocchiarmi e supplicare il tuo perdono.

Ma prima di tutto ciò, prima che anche tu possa solamente aprire bocca per chiedere “che cosa..?”, ti dirò quelle tre parole che hanno causato tutto ciò.

 

I Love You

 

Nick percorse velocemente i pochi metri del corridoio che portavano all’uscita del palco; le ultime note della canzone riecheggiavano ancora insieme all’applauso – meglio dire standing ovation – tributato a Brian dall’intero pubblico.

Non era stata solamente la bellezza della canzone ad emozionare tutti ma soprattutto l’intensità e la passione con la quale era stata cantata, poche volte quelle ragazzine avevano potuto assistere ad una dedica così personale, tanto che la domanda che girava fra tutte era chi poteva essere la fortunata a ricevere quel regalo.

Nick era impaziente, sapeva che avrebbe avuto a disposizione pochissimo tempo per dire tutto quello che sentiva e provava a Brian.

Vide passargli accanto Aj, era il suo turno di intrattenere il pubblico. “Jay, ho bisogno di un favore!” gli intimò bloccandolo per un braccio.

“Che vuoi?” domandò questi con fare scocciato.

“Ho bisogno che tu sia molto lento sul palco. Devo parlare a Brian e...”

“Sapete che se mai avrete un figlio dovrete chiamarlo con il mio nome visto tutto quello che ho fatto per la vostra storia?” sbottò Aj, segretamente però sollevato che Nick avesse aperto gli occhi.

“Tranquillo, ti saremo debitori per il resto delle nostre vite.” Commentò Nick. “Sempre che Brian mi ascolti e mi dia una seconda possibilità.”

“Nick, se non avesse voluto dartela, non avrebbe fatto quella dedica.” Lo rincuorò Aj. “Ma stavolta non fartelo scappare, mi raccomando.”

“Non preoccuparti.” Rispose Nick, allungando il collo nella speranza di individuare Brian. “Non lo farò.” La sua stessa determinazione, più che visibile nel tono di voce, rinforzò ancora di più la sua decisione di far di tutto affinché il dubbio che stava attanagliando Brian potesse scomparire in un mero momento.

Nell’istante in cui gli avrebbe detto che lo amava, che ricambiava i suoi sentimenti in egual se non maggior modo.

Poi lo vide... lo vide apparire dalle scale, scenderle velocemente, al testa china, le labbra aggrottate. Si fece avanti, il suo stesso cuore che segnava il ritmo dei suoi passi e lo aspettò, le braccia strette attorno a se stesso come per proteggersi da qualsiasi cosa sarebbe successa.

Brian si bloccò in mezzo al corridoio, esattamente come il suo respiro rimase bloccato in mezzo alla gola: Nick era lì, davanti ai suoi occhi, un’espressione imperturbabile sul volto. O meglio, aveva un’aria preoccupata, affranta e nello stesso tempo rilassata, distesa.

Tutto intorno a loro aveva smesso di girare, di far rumore o di esistere: era come se entrambi fossero entrati in una bolla che li separava dal resto del mondo esterno.

Esistevano solo loro due.

Brian non riusciva nemmeno a muovere un singolo muscolo, letteralmente pietrificato dalla paura che quel suo ultimo disperato tentativo fosse stato l’ennesimo buco nell’acqua.

Forse Nick era arrabbiato, non avrebbe dovuto mettere così in piazza quello che era successo tra loro; forse non era servito a niente, se non aumentare la fossa che aveva incominciato a scavare; forse...

“Ti amo.”

Nonostante il trambusto, nonostante le urla dei tecnici e degli assistenti, Brian percepì solamente quelle due parole sorrette dal silenzio.

Stava accadendo sul serio?

Non si stava immaginando tutto ciò, no, la sua mente non poteva essere così crudele con lui.

Ma non voleva credere che, forse, anche per lui, c’era un lieto fine. 

Nick si avvicinò a Brian, il cuore che gli gonfiava il petto. “Ti amo.” Gli ripeté, vedendo l’incredulità nei suoi occhi. Voleva dirglielo fin alla noia, fino a quando non fosse sicuro che Brian non lo dubitasse.

“Non...non...” con la voce strozzata Brian osservava Nick venire sempre più vicino. “Non dirlo se non lo pensi.” Riuscì a dire, sottotono, quando Nick fu finalmente di fronte a lui.

“So che fai fatica a crederlo ed è solo ed esclusivamente colpa mia.” ammise Nick. “Dobbiamo parlare ma volevo che tu lo sapessi.”

Brian annuì, non si fidava della sua voce in quel momento.

“Lasciami incominciare col dirti che ti amo.” Recitò Nick, riprendendo l’ultimo verso della canzone che Brian aveva appena terminato di cantare. “Mai parole furono più perfette per questo.”

Brian appoggiò la fronte sul petto di Nick e dopo qualche secondo sentì le sue braccia allacciarsi dietro la schiena e stringerlo sempre di più verso sé.

“Quindici secondi!” annunciò un assistente correndo senza nemmeno fermarsi ad osservare la scena insolita fra i due ragazzi.

C’era pur sempre uno show da mandare avanti.

“Devo cambiarmi.” bisbigliò Brian. “Ma non voglio staccarmi. Ho paura che se ti lascio andare ora, scomparirai un’altra volta.”

Nick alzò il viso del ragazzo. “Credi che possa sfuggire dopo quella dichiarazione? Sarei un pazzo!”

Sul volto di Brian rimase lo scetticismo. “Dai, ti accompagno.” Consigliò Nick, anche perché il ragazzo tra le sue braccia non dava segno di staccarsi. 

Riluttante, Brian si allontanò da Nick.

Nick intrecciò le dita attorno al suo polso. “Ti amo, Brian.”

“Anch’io.” Rispose Brian mentre insieme ritornavano nei camerini.

 

*********

 

Il concerto era stato un successone, anche se tutte le fans stava impazzendo dall’ansia di sapere con esattezza chi era la ragazza che aveva fatto breccia nel cuore di uno dei loro cantanti preferiti.

“Oh, quanto darei per poter essere io quella persona!” commentò con voce sognante una fan.

“Già. Dannazione a lei! Chissà poi che cosa avrà di speciale!” si aggiunse la voce di una seconda ragazza, una punta di acidità a storpiare la sua domanda.

Nick e Brian se ne stavano tranquillamente appoggiati dietro ad un pilone, mascherati quel che bastava per non essere riconosciuti, ed a stento trattenevano le risate nell’ascoltare quei commenti.

“Se sapessero la verità...” incominciò a dire Brian ma una risata lo bloccò prima di poter terminare la frase.

“Già. Però potrebbero stupirci e fare il tifo per noi!” commentò Nick, stringendo ancor di più la sua stretta attorno alla vita del ragazzo. “Siamo Frick e Frack, abbiam sempre dato loro motivo per dubitare della nostra semplice amicizia.”

“Della serie che tutti sapevano quello che c’era fra noi e gli unici ciechi eravamo noi?” gli domandò Brian.

“Una cosa del genere.”

“Quanto scommetti che domani “Hello” rientrerà in classifica?”

“Credo che nelle prossime settimane, la domanda che ti verrà chiesta maggiormente sarà di inciderla.”

“Potrei anche farlo... d’altronde è una canzone così speciale. Mi ha portato qualcosa di speciale.”

“Io non sono speciale, Brian.”

“Non ti permetto di dire queste brutte cose sull’uomo che amo!” lo rimproverò scherzosamente Brian. “Non riesco ancora a credere che possa dirlo ad alta voce.” Aggiunse poi sospirando, appoggiandosi al corpo di Nick, sicuro che l’avrebbe sorretto.

“Ho avvertito Kevin che saremmo partiti con un po’ di ritardo.”

“E lo ha accettato senza polemizzare?”

“Sì, lo ha fatto. Ma quando gli ho detto che dovevo implorare il tuo perdono per quello che è successo  in questi ultimi sette giorni mi ha risposto che era meglio se lo facessi altrimenti mi sarei ritrovato l’orma del suo piede sul mio sedere!”

“Non possiamo permettere ciò.” rispose Brian ridacchiando all'immagine di suo cugino che rincorreva Nick per prenderlo a calci.

“Decisamente no.” Anche Nick si unì alla risata, per poi staccare le braccia e, prima che Brian potesse sentire l’assenza di contatto fisico, lo prese per mano. Era determinato ad ogni costo a dimostrargli che stava facendo sul serio e percepiva la sua insicurezza, per cui pensava che il contatto fisico costante, anche tramite una semplice stretta di mano, potesse infondergli quella sicurezza che gli mancava. “Andiamo da qualche parte a parlare?”

“Certo.” Rispose Brian.

“Conosco un posticino abbastanza nascosto proprio qui dietro. A quest’ora sarà probabilmente vuoto e nessuno ci disturberà con autografi o foto.” Spiegò Nick mentre dirigeva i due verso una stradina secondaria a lato dell’arena dove avevano appena terminato di suonare. Nonostante non ci fosse in giro quasi nessuno in quell’angolo, Brian non poté fare a meno di sentirsi sempre più nervoso ed agitato, il suo sguardo scattava in continuazione in direzione di rumori sospetti, suono di passi dietro le loro spalle per poi scoprire che si trattava solamente di un gatto o di una coppietta che passeggiava tranquillamente. La sua stretta attorno le dita di Nick si fece più forte, dove diavolo lo stava portando? E perché non potevano parlare in uno dei loro bus?

“Non lascerò che ti accada qualcosa.” La voce di Nick era rassicurante ma non annullava di certo la sensazione che, da un momento all’altro, qualcuno potesse attaccarli alle spalle, sbatterli contro un muro ed... Brian strinse ancora di più la mano di Nick, ordinando alla sua mente di smetterla di ripensare sempre a quell’avvenimento ma di gustarsi quel momento solitario con Nick.

“Siamo arrivati.”

Brian alzò lo sguardo e vide che si trovavano di fronte ad una piccola caffetteria, impossibile da trovare se non si sapeva che era lì, tra un negozio abbandonato con le assi di legno a protezione ed una cinta di mura rosse che dovevano fare da divisorio con la il quartiere residenziale. Non aveva nemmeno un’insegna luminosa, un simbolo che potesse richiamare l’attenzione per attrarre clienti; la porta d’entrata era di pesante legno d’acero, consumato dal tempo e dalle intemperie e su di essa una semplice targhetta argentata avvisava che il locale sarebbe rimasto aperto fino al mattino seguente.

“Ho trovato questo posto qualche anno fa, durante una pausa dal soundcheck per un concerto. Volevo starmene solo e bermi un caffè; all’inizio non pensavo nemmeno che fosse aperto o ancora funzionante ma non appena sono entrato... poca confusione, quiete e ottimo caffè.” Spiegò Nick mentre apriva la porta, facendo suonare all’interno un trillo.

Non appena Brian mise piede all’interno, come prima cosa diede un’occhiata in giro: il bancone era stato disposto proprio di fronte all’entrata e prendeva tutta la lunghezza della stanza; quadri con le offerte del giorno, ormai cancellati a metà, riempivano la parete, alternati a mensole con tazze di diverse e differenti dimensioni e colori. La parete alla destra era ricoperta da specchi, non perfettamente puliti ma che riflettevano la moltitudine di quadri francesi appesi dall’altra parte; sotto gli specchi, cinque o sei tavolini con attorno delle semplici e consumate sedie, la seduta di un verde smeraldo ormai sbiadito. Altri tavoli era raggruppati alla rinfusa nel centro mentre alla sinistra c’era un’area un po’ più privata, soppalcata dove, al posto delle sedie, c’erano due divani.

Il caffè era piccolo ma aveva un’aria familiare, come se fosse la cucina della casa della nonna preferita, colei che ti prepara sempre i biscotti al cioccolato o la tua torta preferita.

“Nick, da quanto tempo! Sei tornato in città, quindi?” ad accoglierli ci pensò una vecchia signora, i capelli grigi raccolti in una crocchia dietro la nuca e con indosso un grembiule bianco sopra il vestito nero. Brian osservò come il suo viso, raggrinzito dalle rughe, si era illuminato vedendo entrare Nick nel suo locale, immergendolo subito in un abbraccio forte e caloroso.

“Solo per la serata. Abbiamo avuto un concerto e ho pensato di fermarmi per un caffè prima di ripartire per la prossima tappa.” Rispose Nick, staccandosi dall’abbraccio.

“Fatti vedere un po’, ragazzino.” La donna continuò a tenere le mani ben ferme sulle spalle di Nick mentre l’occhio attento squadrava la figura del ragazzo come solo una vecchia nonna poteva fare. “Qualcuno ha perso qualche chilo, no? Ti danno da mangiare?”

Nick scoppiò a ridere. “E’ tutta l’attività fisica che facciamo sul palco.”

“Per me, mangi poco.”

Nick le scoccò un bacio sulla fronte e poi si voltò verso Brian. “Ruthie, questo è Brian.”

“Brian? Il famoso Brian?”

“L’unico ed inimitabile.”

E così fu il turno di Brian a ricevere l’abbraccio stritolatore della donna, sorprendentemente felice di conoscerlo. “Piacere di conoscerla, signora.” Disse educatamente Brian.

“Vedo che ti hanno insegnato le buone maniere...” commentò Ruthie, piegando la testa verso Nick. “... a differenza di qualcuno.”

Nick arrossì per l’imbarazzo. “Non è colpa mia!”

“Giovanotti, andate a sedervi che vi porto il meglio della casa.” La donna spinse i due ragazzi verso il soppalco. “E tu, Brian, non chiamarmi signora. Mi fa sentire vecchia.”

“Va bene, sig... ehm, Ruthie.”

“Per lui una tazza enorme. È drogato di caffè.”  Esclamò Nick indicando Brian.

“La caffeina non è una droga.” Puntualizzò il ragazzo mentre si sedevano su uno dei divanetti.   

“Dovrebbe esserlo visto gli effetti che ha su di te.” Poi Nick fece un’espressione fintamente sconvolta. “Oddio, forse è meglio se dico a Ruthie di portarti una tazza decaffeinata visto che starai sul mio bus!”

Fu il turno di Brian di arrossire. “Davvero? Io ne ero a conoscenza?”

“Ora sì.”

“Ma non ho niente!”

“Mentre ti facevi la doccia, ho preparato il tuo borsone e l’ho fatto mettere sul mio bus. Poi ho detto a Dirk – che nome strano che ha il tuo autista, tra l’altro – di incominciare a partire che noi avremmo raggiunto tutti domani mattina.”

Brian rimase senza parlare per ben due minuti. “Sono davvero impressionato.”

Sapevano entrambi che stavano girando attorno all’argomento deliberatamente, schivandolo, buttandolo in un angolo almeno fin quando Ruthie non avrebbe portato loro i caffè. Ma entrambi palpavano la tensione fra loro, quella stessa tensione che li aveva costretti a sedersi ai lati del divano, lontani da qualsiasi contatto fisico se non uno sfiorare il dorso della mano, facendo finta che fosse per sbaglio.

“Eccovi qua due belle tazze di caffè, il migliore che ci sia visto che lo faccio venire direttamente dall’Italia. E, per assaporarlo meglio, vi ho portato anche due meravigliose fette di torta. a qualcuno piace il cioccolato, se non mi ricordo male.” Ruthie era apparsa davanti a loro senza farse sentire ed aveva posizionato sul tavolino due tazze e due piatti di torta.

“Nick, da quanto tempo vieni qua?” domandò Brian.

“Abbastanza da essere diventato come un secondo figlio per Ruthie. È una donna eccezionale, Frick. Suo marito è morto qualche anno fa e lei ha deciso di aprire questo piccolo caffè per permettere ai suoi figli di andare al college e trovare la loro carriera. Non l’ho mai vista senza un sorriso sul volto, mi ha sempre ricordato te in qualche modo.”

Brian aggrottò le sopracciglia. “Questo è un complimento?”

“So che può sembrare strano ma sì, è un complimento. Ruthie è una roccia, ha avuto i suoi alti e bassi nella vita e non si è mai lasciata travolgere. E’ rimasta in piedi, anche quando tutto intorno a lei stava crollando. Esattamente come te.”

“Beh... wow... ma... non sono così speciale!”

“Ehi, ora sei tu che stai offendo l’uomo che amo!” scherzò Nick, utilizzando la stessa battuta usata da Brian qualche minuto prima. Si aspettava una risposta altrettanto arguta da Brian o una risatina invece quando Nick alzò gli occhi dal suo piatto, vide Brian con la forchetta a mezz’aria, la bocca aperta e gli occhi che quasi gli stavano uscendo dalle orbite.

Nick appoggiò il suo piatto sul tavolo, si avvicinò al ragazzo e cautamente prese dalle sue mani il piatto e la forchetta, per paura che li facesse cadere per terra. Ma dopo due secondi incominciò a preoccuparsi del fatto che Brian stesse diventando sempre più pallido. “Ehi, Bri, respira!” lo incoraggiò mentre gli prendeva il volto fra le mani.

“Lo dici sul serio?” fu tutto quello che riuscì a domandargli, una volta ripreso controllo sulla sua respirazione.

Non doveva essere una cosa difficile, semplicemente inspirare ed espirare.

“Sì.” Rispose Nick, non distogliendo nemmeno per un secondo lo sguardo dagli occhi di Brian. “Sì, sono serio quando dico che ti amo.” Lo rassicurò. “Anche se non so che cosa sia l’amore, so solo che è più profondo di una semplice scopata. Sì, non so che cosa sia il vero amore ma so che ti amo.”

“Beh, questo è un buon inizio.” Cercò di scherzare Brian, appoggiando la guancia nella mano calda di Nick. “Che cosa ti ha fatto cambiare idea?”

“Non ho mai cambiato idea. Prima non lo sapevo ed avevo paura di quello che stava succedendo dentro di me, ero impaurito del motivo per cui volevo sempre essere al tuo fianco. Inizialmente, mi sono spiegato ciò come una conseguenza di quello che ti era successo. Mi sentivo in colpa, in parte colpevole perché se non ti avessi obbligato ad uscire con noi, non ti saresti trovato in quella situazione. Lo so, lo so, non dovevo sentirmi in quel modo perché non é che fossi stato io a dire a quel ragazzo di aggredirti ma... se non ti avessi lasciato solo al bancone, se avessi trascorso il tempo con te invece con quella ragazza che nemmeno mi interessava, forse..." Nick lasciò scendere la mano dal viso di Brian fino ad incontrare le sue poste sul grembo. "Volevo aiutarti, volevo proteggerti ed odiavo vederti in quelle condizioni. Non eri il Brian che conoscevo; il Brian che amavo non era quel ragazzo fragile, che aveva paura di tutto e di tutti, che si nascondeva ogni notte dentro la sua camera d'albergo e cercava di combattere i suoi demoni. Volevo rivedere il tuo sorriso, volevo rivedere quella luce unica che hai e più cercavo di comprendere questi miei desideri, più mi chiedevo che cosa erano quei sentimenti che stavano prendendo sempre più forma."

"Non é una cosa facile scoprire di essere innamorati del proprio migliore amico." commentò Brian, sorseggiando il caffé.

"Già. All’inizio, pensavo che fosse solamente un’estensione della nostra amicizia: per la prima volta, tu eri nella mia posizione, mi chiedevi aiuto, cosa che prima mai era successa. E... e questo ha rivelato una parte di me che non sapevo di avere: volevo solamente proteggerti, cancellare le nubi attorno a te e riportare il sole. Volevo essere quello a cui ti saresti rivolto nei momenti peggiori, colui che avrebbe cancellato le tue lacrime e... colui che ti avrebbe fatto capire che il mondo non è pieno di uomini che si prendono quello che vogliono senza permesso.” Nick aveva abbassato gli occhi ma ora alzò il volto, mostrando apertamente il velo lucido che rendeva più azzurre le sue iridi. “Era una sensazione meravigliosa, mi faceva sentire una persona migliore. Mi faceva desiderare di essere forte per sostenere sia te sia me stesso. Ed è un qualcosa che non avevo mai provato. Così mi sono spaventato e ho incominciato a chiedermi se ne fossi all’altezza, se fossi degno di quell’amore così incondizionato che tu provavi nei miei confronti. E dopo quei minuti di follia, mi sono risposto di no, che non ne ero degno. Come potevo meritare il tuo amore quando mi ero comportato esattamente come chi ti aveva aggredito?”

“Ma ti sei fermato.” Sussurrò Brian.

“Sì ma in quel momento non aveva senso per me. Potevo essermi fermato in quel momento ma... chi mi avrebbe detto che non sarebbe potuto succedere un’altra volta? Potevo davvero metterti in una situazione d’incertezza quando già ne avevi troppe? Non potevo e non volevo ammettere con me stesso che non amarti non fosse una tortura ma una liberazione. E tu dovevi renderti conto di quanto bastardo fossi... solo così avresti dimenticato di amarti, mi avresti odiato e, forse, fra qualche anno, avresti trovato qualcuno migliore di me.”

Brian sorrise, pensando che quella fatidica mattina, quando tutto era cambiato, lui gli aveva detto quelle stesse parole.

“Dovresti odiarmi.” mormorò Nick. “Dopo quello che ti ho detto. Dopo quello che ti ho fatto.”

Brian incominciò a giocare con la bustina ormai rotta del suo zucchero. “Ci ho tentato. Non hai idea di quanto avrei voluto odiarti.” Brian alzò improvvisamente lo sguardo. “Ma non posso. Non posso odiarti. È come chiedermi di non cantare o di non respirare. Amarti, per me, è come respirare, senza non posso vivere.”

“Mi dispiace, Brian. Mi dispiace di averti aggredito, mi dispiace di averti urlato dietro di tutto e mi dispiace di essermi comportato come un idiota.” Nick si grattò la testa. “Ed é proprio qui il problema: ho paura di combinare qualche altro pasticcio e ferirti. E questa è l’ultima cosa che voglio che succeda.”

“Anche se lo hai già fatto.” Mormorò Brian a bassa voce. Non voleva ricordarglielo ma non poteva dimenticare come si era comportato quando lui si era lasciato scappare le parole ti amo.

Lo aveva perdonato, sì.

Ma dimenticare sarebbe stato più difficile.

“E ti chiederò perdono fino a quando campo ed anche in paradiso, ammesso che mi lascino entrare.” Commentò Nick. “Non volevo reagire così, in quei minuti è come se la mia mente fosse andata in tilt, non ero in me, non sapevo che cosa stessi facendo.”

“E’ per questo che l’amore è il sentimento più forte e potente che esista. Ti può rendere la persona più felice al mondo ma anche infliggerti il peggiore dei dolori.” Rispose Brian. “Tu, Nick, hai questo potere in questo momento.”

“Non voglio averlo. È una responsabilità troppo grande.” Commentò Nick.

“Guarda che funziona anche all’inverso ed anch’io ho la tua stessa paura, Nick. Paura di non essere in grado di darti ciò di cui hai bisogno, paura che un giorno incontrerai qualcuno senza paranoie e conflitti e ti accorgerai che ti ho solo complicato la vita. O peggio, che te l’abbia rovinata. Ma poi penso a come tu mi fai stare e sono pronto tutto pur di provarci.”

“Tu mi conosci meglio di qualunque altra persona.” Nick incominciò a far tamburellare il cucchiaio contro la superficie del tavolo. “Sai i miei punti deboli, le mie insicurezze, le mie paure. E, nonostante tutto, mi ami?”

Brian annuì con un cenno del capo. “Sei così insicuro di te stesso che non riesci a vedere quanto bella sia la tua anima. Quando ti apri con qualcuno, non solo dai tutto quello che hai ma vai oltre... pensi così poco di te stesso che non riesci a capire come qualcuno possa amarti una volta aver visto il vero Nick. Ed è impossibile non innamorarsene.”

Nick si ritrovò a lottare contro il groppo che gli si stava formando in gola. Ecco il motivo per cui amava Brian o, almeno, uno dei tanti.

Ma c’era un’altra cosa che doveva sapere.

“Bri, perché non me lo hai mai detto?” gli domandò con calma, in un tono totalmente differente da come l’aveva affrontato solo una settimana prima: lì si era sentito ferito, tradito e dai quei sentimenti si era fatto prendere la mano senza ascoltare le motivazioni di Brian.

“All’inizio, avevo paura. Avevo solamente vent’anni e tu quindici, era moralmente sbagliato che io provassi quei sentimenti nei tuoi confronti. Eri solo un ragazzino...” - esattamente come lo era stato lui dieci anni prima. Avrebbe rovinato la sua crescita, lo avrebbe riempito di dubbi e paure sulla sua sessualità e lui non si sarebbe sentito differente dall’amico di Kevin. Anzi, forse era proprio quello che lo aveva bloccato maggiormente: i pensieri che aveva su Nick non erano molto differenti da quelli del suo aguzzino, anche se lui non sarebbe mai stato in grado di rovinargli la vita come era stato fatto a lui. -  “... no, non potevo nemmeno ammetterlo con me stesso, tanto meno all’oggetto del mio desiderio. Così ho cercato di sopprimerli, spiegando a me stesso che era solamente perché mi sentivo solo, non avevo nessuno che mi amasse o che tenesse a me. E poi è arrivata Leighanne. Ci siamo innamorati e per un po’ quei sentimenti per te si sono affievoliti; avevo qualcun altro a cui dedicarmi, totalmente e completamente.” Brian si bloccò per un secondo, ripensando a quegli anni: sì, una parte di lui aveva amato la donna ma non era mai stato forte quel sentimento, non come quello che provava per Nick. “Per un po’ ha funzionato ma poi... sono tornati e non potevo più mentire a me stesso. Ero totalmente innamorato di te. Ma come potevo dirtelo? Tu stavi scoprendo te stesso, ti divertivi uscendo con ragazze e... potevo davvero mettere a rischio il mio cuore e la nostra amicizia per qualcosa che sapevo non poteva avere un futuro?”

“Quindi Leighanne è diventata solo una copertura?” domandò Nick. Capiva questa prima motivazione, era più che naturale ed istintiva, soprattutto per un ragazzo religioso come Brian.

“No. Quando mi sono reso conto che i miei sentimenti per te non svanivano ma, anzi, aumentavano di intensità, ho chiuso con lei. Non potevo ingannarla. Ma siamo rimasti ottimi amici, lei è l’unica che ne era a conoscenza e... beh, diciamo che ha sempre tifato per noi.”

“Penso che... dovrei esserne lusingato, giusto?”

Brian sorrise. “Penso che qualche giorno tu e Leigh dovreste farvi una bella chiacchierata.”

“Magari potrà darmi qualche buon consiglio...” commentò Nick.

“A patto che non vi divertiate a sparlare di me alle mie spalle!”

Entrambi i ragazzi scoppiarono a ridere. Alleggerendo così la tensione. Finalmente tutto era stato messo alla luce del sole – o delle lampade al neon visto dove si trovavano – ed entrambi erano decisi a mettersi tutto alle spalle per incominciare, questa volta sicuri e determinati, un cammino insieme.

Nick passò un braccio attorno alle spalle di Brian, il quale appoggiò la testa sulla sua spalla chiudendo gli occhi ed assaporando quella situazione, meravigliosa, quasi troppo simile ad un sogno.

Ma era finalmente realtà, il che rendeva ancora tutto più magico.

E Nick, sì Nick sarebbe riuscito a farlo stare meglio, a cancellare finalmente il suo passato.

“Non esiste, Nick.” incominciò a dire Brian, rispondendo alla domanda implicita che Nick gli aveva posto solamente qualche momento prima. Sentiva la sua insicurezza per quel ruolo e voleva rassicurarlo sul fatto che per lui non c’era nessun altro migliore di Nick. “Non c’è nessuno là fuori che mi renda completo come quando sono con te. Quando ero tra le tue braccia, tutto il dolore, le paure venivano cancellate.”

“Anche se ho fatto di tutto per farti del male?”

“Sì.” Fu l’onesta e sincera risposta di Brian. “So che me lo hai già ripetuto ma...  devo sapere che cosa provi. Ora che siamo solo noi, che non c’è stato nessun bacio e che tu sai esattamente come stanno le cose.”

Nick non tentennò nemmeno per un secondo. “Ti amo.”

Brian avrebbe voluto baciarlo lì, in mezzo al locale, anche fra occhi indiscreti. Non gli importava che sapessero, non gli importava nulla se non quelle due parole.

Sognate, bramate, anelate... ora che le aveva sentite pronunciare... sì, erano state il suono più armonioso che avesse mai udito.

“Nick...” La voce era roca, desiderio, emozione e amore si erano mescolati insieme e tentavano di sopraffarlo. Perché non solo con la voce gli aveva detto che lo amava, ma poteva leggere quel sentimento nei suoi occhi.

“Forse è meglio che continuiamo questo discorso in privato.” Gli sussurrò Nick, scostando velocemente un ciuffo dalla sua fronte ed appoggiandovi dolcemente le labbra. “Altrimenti Ruthie ci butterà fuori per atti moralmente sconsiderati in pubblico.”

Si alzarono e si diressero verso il bancone, dove Ruthie stava parlando con un vecchio signore.

“Se vuoi, puoi aspettarmi fuori mentre la saluto.” Disse Nick all’indirizzo di Brian, sapendo perfettamente che ci sarebbe voluti altri dieci minuti prima che Ruthie terminasse di chiacchierare.

“No, no. Preferisco rimanere qui.” Rispose Brian velocemente. Fuori da solo? Non sarebbe successo nemmeno fra mille anni!

“Che idiota che sono!” esclamò Nick, rendendosi conto del suo errore. Era logico che Brian non volesse starsene da solo in un vicolo buio e solitario. “Avrei dovuto riflettere prima di farti quella proposta.”

“Tranquillo. Ricordati solamente che non voglio rimanere solo, specialmente in luoghi dove non c’è un faro di enormi dimensioni che li illumini completamente.”

“Come desidera.” Acconsentì Nick, annuendo con il capo.

“Allora ragazzi, era tutto di vostro gradimento?” domandò loro Ruthie, allontanandosi un attimo dal vecchio amico per salutarli.

“Come sempre.” Fu la risposta di Nick.

“Uno dei migliori caffè che abbia mai assaggiato.” Fu invece quello di Brian.

“Wow, poche volte gliel’ho sentito dire. Dovresti sentirti onorata, Ruthie. Fa tanto il bravo ragazzo ma scommetto che non appena si conclude la nostra carriera – il più lontano possibile nel tempo – si darà al mondo della degustazione di caffè.” Commentò Nick, provocando l’imbarazzo in Brian.

“Non gli dia ascolto, e poi dice a me degli strani effetti della caffeina!”

“Tu sei spaventosamente intrattabile quando ne sei in astinenza!”

“E tu diventi troppo energico quando ne bevi anche una sola goccia.”

“Non ci sono abituato.”

“Seh, seh...”

“Nelle tue vene scorre caffeina, altro che sangue!”

Il battibecco fra i due venne interrotto dalla sonora risata di Ruthie. “Siete troppo carini insieme!” commentò provocando un rossore su entrambi i volti.

“Dobbiamo andare, Ruthie.”

“Promettetemi che la prossima volta che siete di passaggio, verrete a trovare questa vecchia vostra fan.”

“Non si preoccupi.” La rassicurò Brian, stringendole la mano.

“Niente voi, per favore! Mi fai sentire troppo vecchia!”

“O...okay.”

“Lo devi scusare ma gli hanno inculcato in testa, credo attraverso lavaggi di cervello, une ferrea educazione.” Si intrufolò nel discorso Nick, appoggiando il braccio sulla spalla di Brian.

“Compenso la sua mancanza di buone maniere!” commentò Brian, spingendo un gomito contro la pancia di Nick.

I ragazzi abbracciarono la donna e poi uscirono fuori dal locale. Non c’era più nessuno in giro per le strade così Brian si strinse fra le braccia di Nick.

Arrivati al bus, Nick fece salire Brian mentre lui andava dal lato del guidatore per avvisare l’autista che potevano partire.

Quando entrò nella area lounge, sorrise vedendo Brian con in mano una scatola di biscotti al cioccolato, i suoi preferiti.

“Da dove spuntano quelli?” gli domandò sedendosi sul divano; allungò le gambe per tutta la lunghezza, togliendosi le scarpe contemporaneamente.

“Quando sei andato in bagno, sono corso da Ruthie e me li sono fatti dare.” Rispose Brian, aprendo la scatola e passandoglieli. “Sono per te, ovviamente.”

“Ed il motivo sarebbe...?” chiese Nick, accigliandosi.

“Non si va a casa di qualcuno senza un pensiero.” Rispose Brian con tutta tranquillità, come se fosse la cosa più normale di questo mondo.

“Ma questa non è casa mia. Tantomeno la si può considerare una casa!”

Brian abbandonò la ricerca di tovaglioli di carte, appuntandosi mentalmente di farne una scorta alla prima fermata, e si diresse verso il frigorifero, cercando un po’ di latte da scaldare. “Andiamo, questi pullman sono delle specie di case ambulanti. E ci passiamo metà dell’anno quindi può essere considerata a tutti gli effetti una casa.”

Il ragionamento di Brian non faceva una piega. “E questa teoria si applica anche ai fidanzati?”

Brian fece quasi cadere il cartone di latte. “I-intendi dire che... cioè, insomma, ne sei sicuro? Non... non voglio costringerti... se non sei ancora sicuro... io capisco però...” incominciò a balbettare Brian. Nick si alzò, si avvicinò a lui e gli posò un dito sulle labbra. “Non lo avrei detto se non ne fossi sicuro.”

“Non dire cose di cui potresti pentirti.”

“Bri, Bri, Bri.” Mormorò Nick. “Ti amo. Ed è qualcosa di cui non mi pentirò mai più.”

Brian chiuse gli occhi e quando gli riaprì Nick notò che erano lucidi. “Non piangere, okay?” gli disse, prendendo dalle sue mani il latte ed appoggiandolo sul bancone.

“Come faccio a non piangere se mi dici queste cose?” rispose Brian. “E’ una vita che aspetto di sentirle.”

Nick abbracciò il ragazzo. “Le sentirai così tanto che mi pregherai di smettere.” Gli mormorò in un orecchio.

“Mai, mai...” Brian si staccò un attimo, Nick continuò a tenere le mani appoggiate sui suoi fianchi. “Quindi ora siamo fidanzati?” gli chiese tentennando.

Nick si lasciò sfuggire una risatina e poi si abbassò per baciare il ragazzo sulle labbra. “Questo risponde alla tua domanda?”

“Mi hai già baciato una volta...”

“Vuoi quindi che te lo chieda?”

“Non sei costretto.”

“Ma ti farebbe piacere.”

“Non voglio obbligarti.”

“Brian Thomas Littrell, vuoi farmi l’onore di diventare il mio fidanzato?”

Ora fu il momento di Brian di scoppiare a ridere. “Ti stai preparando per la richiesta di matrimonio?”

“Può essere.”

“Prima dovrò insegnarti come curare la casa, altrimenti rischio di non ritrovare più la casa ogni qualvolta che ti lascio solo!”

“Non mi hai risposto, però.” Nick smise il tono irrisorio e tornò serio.

“Devo pensarci...” Brian cercò di rimanere serio ma il sorriso beffardo sul volto lo tradì.

“Ti stai burlando di me?” domandò Nick.

“Non potrei mai.” Rispose Brian. “Certo che voglio essere il tuo fidanzato.”

“Ed in questi momenti, solitamente in tutte le storie d’amore che si rispettano, dovrebbe scoccare il bacio perfetto.” Commentò Nick, rischiando di perdersi nell’azzurro degli occhi di Brian che in quel momento risplendevano di pura felicità.

Nel sentire quelle parole, un brivido corse lungo tutta la schiena di Brian mentre una strana sensazione, calda e piacevole, si impossessava di lui. Non riusciva a parlare, nemmeno ad emettere un’insieme di suoni che potevano passare per una frase, non di senso compiuto o men che meno logica, mentre osservava il viso di Nick farsi sempre più vicino, fin quando non distavano pochi centimetri l’uno dall’altro. I loro nasi si sfioravano mentre, prima timidamente e poi sempre più febbrilmente, le loro labbra si cercavano, si schiudevano per permettere all’altra di entrare, regalando ad entrambi uno scorcio di paradiso.

Una mano di Nick era immersa piacevolmente nei riccioli ribelli di Brian mentre l’altra saliva e scendeva lungo la schiena, aggiungendo brividi e miagolii di piacere nel ragazzo.

Quando si staccarono, dopo qualche minuto bisognosi di aria e di respirare, rimasero abbracciati per un lungo momento, appagati di sentire solamente il battito dei loro cuori risuonare all’unisono.

“Era più che perfetto.” Mormorò Brian, ancora ansimante. “Tutto questo è assolutamente perfetto.”

 

********

Finalmente!! Finalmente i nostri due eroi stanno insieme!!

Siete già lì pronte con le trombette per festeggiare? ^__^

Il prossimo capitolo sarà leggero, non dovrei far succedere niente a quel povero ragazzo, lasciamogli qualche ora di pura felicità con il suo biondino. 

Ci stiamo avvicinando al giro di boa, ovvero a metà della storia. C'é ancora tanto da scoprire ma essere arrivata a questo punto, fatidico e molto importante, é già un traguardo! 

@Laphy: già, Brian é stato molto dolce. Un po' mi sono commossa mentre rileggevo la sua parte che, ammetto, non é stata così difficile da scrivere. Forse perché riesco ad entrare più nella sua mente che in quella di Nick. Infatti, le maggiori difficoltà le ho incontrate scrivendo la parte in prima persona di Nick: c'era così tanta confusione che riuscire a trovare un filo logico era impossibile. Spero di esserci riuscita! (già, parlo con i miei protagonisti, é un segno di pazzia!)

@Kia: Tranquilla, so il motivo per cui non l'hai controllato e non mi sono strappata i capelli. Io amo profondamente quella canzone, ogni volta che l'ascoltavo mi dicevo: "é lei, parla di loro due." così l'ho usata. Ed il cambiamento in prima persona é stato non voluto all'inizio ma ha avuto i suoi frutti. Come ti ho spiegato, la canzone é come se fosse un link empatico fra i due, permettendo ad entrambi di dire tutto quello che provano. 

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Capitolo 14
*** - Dodicesimo Capitolo - ***


Capitolo Dodicesimo


 

 

 



 

 

La mattina arrivò anche troppo presto e non si poteva nemmeno dire che il suo risveglio fosse stato causato dai raggi del sole, visto che la giornata si preannunciava essere grigia e plumbea. Era stato il picchettare insistente delle gocce di pioggia a svegliarlo e quel suono che tanto odiava era amplificato dall’eco metallica quando queste cadevano sul tetto del bus.
Aprì lentamente gli occhi mentre un senso di deja vu incominciava a titillare la sua mente, immagini confuse continuavano a sfrecciare via, l’unica costante era il viso di Nick che gli ripeteva, come un mantra, che lo amava. Ricordava di essersi addormentato fra le sue braccia e, in quel limbo tra incoscienza e sonno, l’aver ringraziato Dio per aver fatto aprire gli occhi a Nick.
Allungò un braccio verso l'altra metà del letto ma tutto ciò che incontrò fu un gomitolo di coperte ed un cuscino.
Era da solo nel letto.
Non poteva succedere una seconda volta, era davvero così sfortunato?
No, quella volta doveva essere reale.
Prese il cuscino fra le mani e lo annusò, l'inimitabile odore di Nick fu subito una dolce rassicurazione. Perché quello non poteva immaginarselo, non così pungentemente reale. 
“Buongiorno. - Disse Nick entrando nella stanza, un sorriso beato dipinto sul volto. - Puoi dormire qualche altra ora, non siamo ancora arrivati.” Annunciò a Brian, vedendolo sveglio.
Brian non rispose, osservò semplicemente il ragazzo mentre trafficava nei borsoni cercando dei vestiti, fischiettando una canzoncina tutto contento.
“Che cosa c’è?” Gli domandò dopo qualche secondo, era difficile ignorare qualcuno che continuava a fissarti silenziosamente.
“E’ successo sul serio, vero?” Ribatté Brian. Nick annuì, sedendosi accanto a lui.
“Io ti ho cantato Hello.” Annunciò Brian, puntando il gomito nel suo cuscino ed appoggiandovisi sopra.
“Sì.”
“Tu mi hai detto che mi ami.”
“Oh, certo che sì.” Rispose Nick, illuminandosi al ricordo.
“Dopo il concerto, mi hai portato da Ruthie.”
“L’hai conquistata.” Commentò Nick.
“Siamo venuti sul bus, il tuo, e ci siamo baciati.”
“Hai sintetizzato alla perfezione la nostra serata.”
“E non me lo sono sognato.” Puntualizzò Brian, ancora incerto nel decidere se fosse ancora un sogno. 
“A meno che tu sia riuscito a trasmettermi il tuo stesso sogno, no. È tutto reale.” Lo rassicurò Nick. sapendo che avrebbe dovuto farlo più di una volta ma non gli dispiaceva, almeno per una volta, essere dall’altra parte ed essere lui colui a cui aggrapparsi nei momenti difficili.
"Quindi tu ora non mi dirai che rimpiangi tutto o che non era tua intenzione illudermi?" Chiese Brian.
 "No. - Fu la risposta secca e decisa di Nick. - Fatti un po’ più in là che mi sdraio con te.” Lo esortò, sdraiandosi. Brian si spostò fin quando la schiena non toccò il muro, il viso di Nick nemmeno a due centimetri dal suo.
“Buongiorno.” Ripeté Nick, questa volta a bassa voce.
“Buongiorno.” Rispose Brian.
“Hai dormito bene?”
“Divinamente.”
“Anch’io.”
“Perché allora ti sei svegliato prima di me?" Chiese Brian mentre con la punta dell’indice sfiorava la pelle di Nick, seguendo la linea della mascella per poi risalire verso la fronte. 
Era davvero tutto reale. Lui e Nick insieme. Innamorati.
Le labbra di Nick si curvarono in un sorriso. “Avevo fame.”
“A che ora ti sei svegliato?” Domandò Brian, accorgendosi di aver dormito profondamente se non aveva sentito il ragazzo alzarsi. 
“Credo fossero le cinque.”
“Ed avevi fame?” Il ciglio di Brian si curvò, indagatore. L'improvvisa fame di Nick, che poteva colpire in qualsiasi momento della giornata e della nottata, era uno dei tanti misteri che sarebbero rimasti irrisolti nell'universo.
“Mi sono stupito che il mio stomaco non ti abbia svegliato.”
“Poteva esserci una guerra atomica in questo bus e non mi sarei svegliato. Ho molte ore di sonno da recuperare.” Uno sbadiglio interruppe Brian e dimostrò che quanto stava dicendo era a verità.
“C’erano solo i biscotti.” Proseguì nel suo racconto Nick.
Brian lo guardò sbalordito. “Dimmi che non li hai finiti tutti!”
“Ehm... potrei... dipende da ciò che consideri come tutto.” Nick tentennò, optando per omettergli il fatto che aveva terminato anche tutto il latte. 
Brian ridacchiò. “E poi hanno anche il coraggio di dirti che non mangi abbastanza!”
“Sto crescendo.” Si difese Nick.
“Non solo in altezza, a quanto pare.” Continuò a scherzarlo bonariamente Brian, colpendo con colpetti di mano il suo stomaco.
“Ma sentilo!” Nick si scaldò, anche lui ironicamente, allontanando con uno schiaffo la mano di Brian. 
“Chi?” 
“Non incominciare!” Lo ammonì Nick.
“Incominciare che cosa?”
“Il tuo solito giochetto.”
“Non so di che cosa tu stia parlando.” Si difese Brian, cercando di nascondere il sorrisino che stava per nascere sulle sue labbra: adorava prendere in giro l'amico. Anzi, il suo ragazzo ora. 
“Sì che lo sai. Il solito trucchetto di questionare ogni mia singola frase!”
“Diffido da ciò che tu stai affermando sul mio conto!”
“Vediamo come diffidi questo...” Pronunciò Nick prima di incominciare a fargli il solletico.
“Smettila... smettila... mi arrendo...” Esclamò Brian fra le risate. Cercò di sfuggirgli ma la sua posizione, ovvero l'essere stato confinato contro la parte di letto che confinava con la parete non gli permetteva moltissime vie d'uscite. Era alla mercé di Nick e delle sue mani.
“Non prima che tu chieda scusa per quello che hai detto.”
“Scusa... scusa...” Cercò di dire Brian, gli occhi chiusi, le lacrime che scendevano dal viso completamente rosso per le risate. 
“Dì le paroline magiche.”
“Sei il mio unico amore... ti prego...”
“Così va decisamente meglio.” Magicamente, le mani di Nick smisero di torturarlo, anche se doveva ammettere che era stata una piacevole tortura. Specialmente considerato il fatto che subito dopo, quelle stesse dita che lo avevano solleticato, stavano risalendo sulle sue braccia, provocando una piacevole reazione nel suo corpo.
Se anche fosse stato un sogno, Brian non voleva certo che finisse.
“Nick, sai quante volte ho sognato tutto ciò? Svegliarmi tra le tue braccia?” Gli confidò  Brian all'improvviso, guardandolo dritto negli occhi.
“Ora non dovrai più sognarlo.”
“Me lo prometti?” La mano di Brian era risalita fino a perdersi nei capelli di Nick, giocando con una ciocca.
“Qualsiasi cosa, Brian.”
Poteva farlo, si rassicurò mentre si avvicinava ancora di più al ragazzo. Poteva baciarlo senza troppi pensieri, senza discorsi logici ed obiezioni da parte della sua coscienza. E come poteva non volerlo baciare? Quelle labbra rosee dovevano essere giudicate illegali, visto il potere che avevano su di lui. Ed erano soffici, oh sì, sarebbe potuto morirci su quelle labbra. E poi... 
E poi la sua mente cessava di funzionare nel momento in cui Nick incominciava a rispondergli, socchiudendogli la bocca, un misto di cioccolato e menta affievoliva i suoi sensi, lasciando l’attenzione tutta sulle mani che lo accarezzavano. Sembravano essere ovunque, prima fra i suoi capelli, poi sul viso, sul collo... Ovunque passassero, lasciavano brucianti ma piacevoli impronte e lui cercava di fare altrettanto, di infondergli lo stesso piacere che stava ricevendo.
“Brian...” Un mormorio, un bisbiglio seguito da un gemito di piacere quando le sue labbra scesero sul collo, le corde vocali che vibravano sotto il suo tocco.
Entrambi tremavano, entrambi fremevano.
Entrambi si trovavano in un paradisiaco limbo, un universo, una galassia dove esistevano solamente quelle sensazioni di erotico piacere, i centimetri di pelle che venivano scoperti e marchiati. E la consapevolezza che erano soli, c’erano solamente loro due e nessuno che potesse interromperli.
A parte la mancanza di aria.
“Wow.” Era l’unica parola che Nick potesse emettere senza dover disturbare i suoi neuroni, che in quel momento erano decisamente sommersi dal visibilio di emozioni che turbinavano dentro di sé. Brian teneva appoggiata la testa sul suo petto, sembrava così perfetta quella posizione.
“Già.”
“Dovremo farlo più spesso.”
“Baciarci?”
“Perché non l’abbiamo mai provato prima?” Domandò Nick, cercando ancora di riprendersi.
“Io avevo paura, tu non sapevi da che parte stare.” Le dita di Brian salivano e scendevano sul petto di Nick, seguendo linee immaginarie, disegnando forme.
“Eravamo proprio complessati.” Commentò Nick.
“Decisamente.”
“Ed abbiamo perso così tanto tempo!”
“Ora possiamo recuperare.”
“Vediamo... abbiamo circa...” 
“Cinque anni. Cinque lunghissimi anni.” Ammise tristemente Brian, tanto era il periodo in cui aveva dovuto solamente accontentarsi di fugaci baci sulla guancia, troppo amichevoli per confortare il suo bisogno di qualcosa di più profondo. Di più intimo.
“Un’eternità. Non riesco a capire come tu sia riuscito a resistere.”
“Non lo so nemmeno io. Anche perché tu non sei proprio capace a non essere dannatamente sexy!”
“Fa parte del mio fascino.”
“Insieme alla modestia.”
“Mode... che?”
“Stupido! - Esclamò Brian, tirandogli un lieve pugnetto sul petto. - Spostati che devo andare a bagno.”
Nick chiuse gli occhi e si allungò ancora di più, bloccandogli qualsiasi uscita. “Ho sonno.”
“Non avrai sonno se te la faccio addosso.”
“Che schifo.” Non solo il tono, ma anche l'espressione di Nick era schifata al pensiero. Ma quel gioco era troppo divertente.
“Quindi ti conviene spostarti.” Ragionò Brian, sperando che quel giochetto durasse poco. 
"Sono stanco.”
“Vecchietto!”
“Troppo movimento.”
“Pigro.”
“Non devo spostarmi per forza, potresti passare sopra di me.”
“E’ un tentativo di abbordaggio?”
“Perché dovrei abbordarti se ti ho già conquistato?”
“Mi perderai se non mi fai andare in bagno.”
Nick fece l’espressione distrutta e ferita. “Preferisci un bagno, squallido e freddo, rispetto a me?”
“Oddio, dimmi che almeno ogni tanto lo pulisci!” Esclamò Brian, improvvisamente il bisogno di andare in bagno si stava ridimensionando. Avrebbe anche potuto aspettare fino all'arrivo a New York, la loro prossima tappa.
“Pulire? Ma non lo fa già da solo?” Chiese Nick ingenuamente.
“Oddio... vado a dire al tuo autista di fermarsi al primo autogrill così posso comprare una scorta di disinfettante, alcool e chissà quant’altro.”
“Dovremo anche fare un po’ di spesa.” Aggiunse Nick, ricordandosi che non c'era più niente nella dispensa.
“Non hai niente?” Domandò Brian, non nemmeno sorpreso di questo fatto. A volte si era chiesto in che modo Nick sopravvivesse da solo in un bus. 
“Beh... ultimamente l’unica cosa che ingurgitavo era alcool.”
Brian si alzò, per quanto gli fosse possibile senza rischiare una commozione cerebrale picchiando la testa contro il tetto, lasciando da parte ogni scherzo o divertimento. “Nick, voglio che mi prometti una cosa.”
Nick percepì che stava per fargli una richiesta seria, così si alzò anche lui, appoggiando la schiena contro i cuscini. “Qualsiasi cosa, lo sai.” Disse mentre Brian prendeva le sue mani e le stringeva.
“Non voglio più vederti in quelle condizioni. - Gli disse. - Promettimi che non ti ubriacherai per sfuggire ai problemi.”
“Non sfuggivo ai problemi, volevo solo cancellare il dolore. - Puntualizzò Nick. - Ma mi limiterò.”
Brian inarcò il sopracciglio, non soddisfatto propriamente di quella risposta. “Non basta. Nick, so che ti chiedo molto ma...”
“Ehi, tranquillo.” Nick voleva rassicurarlo, in parte voleva farlo anche per se stesso. 
“Prima lo facevi perché non potevi venire da me. Se mai dovesse succedere qualcosa tra noi, un litigio, qualsiasi cosa, promettimi che non cadrai nel brutto vizio di Aj.”
I problemi, ormai passati per fortuna, del loro compagno aveva lasciato cicatrici su tutti, forse perché li aveva portati alla realizzazione che non erano invincibili e che, forse, non erano nemmeno così uniti come credevano di esserlo. Non avevano visto i sintomi o forse non avevano voluto vederli, ognuno presi dai propri pensieri. E quando l’apocalisse aveva bussato alla loro porta, si erano trovati impreparati, completamente inermi nel constatare quanto la fama potesse essere distruttiva. E Brian non voleva rivivere quello che era successo in quei giorni, quando Nick si era lasciato andare all’alcool. E sì, aveva anche paura di quello che potesse fargli Nick senza le restrizioni e le redini di un logico raziocinio. Aveva già subito troppe violenze ed avrebbe lottato con tutto se stesso prima di ricaderci per un’ennesima volta.
“Bri, ehi, guardami. - Lo esortò Nick, Brian aveva voltato lo sguardo focalizzandolo su un punto imprecisato del muro opposto. - Non ti farò del male.”
“Promettimelo.”
“Te lo prometto. Non ho bisogno di alcool se ti ho al mio fianco.”
“Oh... questa dove l’hai letta?”
“Credo in uno di quei libri che tuo cugino legge.”
“Devo preoccuparmi del fatto che sai cosa legge Kevin o del fatto che anche tu li legga?”
Nick rispose dandogli una pacca sul sedere. “Non dovevi andare in bagno?”
“Non ci troverò un animale, vero?”
“No.”
“E nemmeno qualche altra forma di vita?”
“Ehm... non so che cosa intendi...”
“Oddio... Nick!” esclamò Brian, scendendo dal letto e dirigendosi, intimorito, verso il bagno. Sperò che Nick lo stesse prendendo in giro, anche se dubitava molto del suo senso di igiene.
“Ti preparo il caffè nel frattempo!” Urlò Nick, alzandosi anche lui e spostandosi nella zona living, fischiettando contento.
Era bello avere Brian lì con lui, vivere la quotidianità insieme; il fatto era che si conoscevano ormai da troppo tempo per poter vivere distinti l’uno dall’altro, quello sì che sarebbe stato strano.
Aprì il primo cassetto e recuperò un filtro, lo riempì della dose giusta di caffè – quando c’era Brian doveva sempre raddoppiare, se non triplicare la dose – e poi lo introdusse nel vano apposito della macchina, la riempì d’acqua e premette il bottone per accenderla; quasi immediatamente la stanza venne riempita dal rumore dell’acqua che, bollendo, risaliva, impregnando il filtro, per poi ricadere nella brocca di vetro mostrando un colorito nerastro.
Mentre il caffè continuava a salire, o scendere a seconda delle opinioni, Nick recuperò due tazze, facendo la cernita fra le poche rimaste ma inutilizzabili. Sì, doveva fare qualche pulizia, era stata una mansione che aveva avuto fra le cose da fare per molti giorni ma non aveva ai ritagliato lo spazio temporale per farlo. Perché la vita in giro per il paese su una casa ambulante significa anche questo, pulire nei momenti liberi, fare la spesa, o ricordarsi di farla, cucinare; tutte cose semplici e comuni, che milioni di persone fanno ogni giorno senza che venga considerata come un qualcosa di eccezionale. Ma non era molto fico per le loro fan vederli impegnati nel pulire un bancone oppure il bagno.
Oddio, qualcuna lo avrebbe anche considerato sexy. Sexy? No, sexy era lo sguardo di Brian qualche minuto prima...
“Tu devi prendere serie lezioni di pulizia!” Ad interromperlo da pensieri che si stavano per trasformare in "vietati ai minori" ci pensò l’oggetto di questi. Aveva in mano una spugna e nell’altra un detersivo, che lui di sicuro non sapeva nemmeno di avere in giro.
“Che cosa c’era che non andava nel mio bagno?” Domandò Nick innocentemente.
“Faccio prima a dirti quello che andava, l’acqua corrente e la luce.”
“Solo quello?”
“Okay, anche lo sciacquone.”
“Così mi sento meglio. Fin quando quello funziona, sono più che soddisfatto.” Commentò soddisfatto Nick.
“Nick, lì dentro è un covo di germi. Ora capisco perché ti ammali sempre!”
Nick spense la macchina del caffè, estrasse la brocca e fece segno a Brian di sedersi. Brian osservò attentamente la superficie del tavolo, poi il suo occhio cadde sulle due tazze. “Dimmi che sono pulite.”
“Sono le ultime rimaste.”
Brian si lasciò cadere sul divano, appoggiò spugna e Lysoform vicino a lui e si prese la testa fra le mani. “Abbiamo molto da fare, allora.”
“Beh, quando questo bus sarà inutilizzabile, potremo sempre usare il tuo.”
“Sì e nel frattempo facciamo sterilizzare questo.”
Nick versò la maggior parte della caraffa nella tazza di Brian e poi gliela passò. “E’ anche per questo che ti amo.” Gli disse, sfiorandogli la guancia con le labbra.
“Perché sai che avrai bus e vestiti puliti?” domandò Brian aggrottando la fronte.
“Anche.” Rispose Nick sornione, sedendosi sul divano dall’altra parte del tavolo. Osservò come Brian mescolava il suo caffè, due giri in senso orario e due in senso antiorario; poi appoggiò il cucchiaio di lato, perpendicolare e perfettamente dritto prima di prendere in mano la tazza e soffiarci sopra tre volte. Era meticoloso, a volte al limite del maniacale, ed era in queste piccole cose che si vedeva il legame di sangue tra lui e Kevin. Con l’unica differenza che il maggiore non era capace di lasciare andare le redini dell’autocontrollo – o, come diceva finemente Aj, non si toglieva il bastone infilato nel didietro – avere il controllo, per Kevin, era qualcosa di sostanziale importanza per la sua stessa sopravvivenza. Per Brian, invece, era una forma di terapia, come se controllando minime cose come il livello di pulizia di una stanza potesse allentare, alleviare, il tumulto di pensieri che albergava in lui. Nick lo aveva osservato da tempo, per anni, e non era stato difficile fare il collegamento, ovvero capire quando quei gesti metodici diventavano più predominanti.
Più visibili.
“Aj saprà di noi.” Commentò Brian, interrompendo il silenzio.
“Beh, è grazie a lui se ci siamo svegliati entrambi.”
“Dovremo ringraziarlo.”
“Lui ha proposto che, se mai avessimo un figlio, dovrà avere il suo nome.”
Brian rischiò di ingozzarsi con il sorso di caffè che stava bevendo. “Non è un po’ affrettato?” Chiese dopo aver tossito per una decina di minuti.
“Decisamente. Era un’ipotesi.”
“Ad ogni modo, lui sa.”
“Non credo che andrà a raccontarlo in giro. Specialmente se gli chiediamo di fare discrezione.”
“Howie lo saprà.”
Nick gli lanciò uno sguardo interrogatorio.
“Andiamo, lui è come una di quelle vicine di quartiere. Sa tutto di tutti!” Spiegò Brian.
“In effetti... quindi dovremo dirglielo?” Domandò Nick.
“Se non glielo diciamo, lo scoprirà comunque da solo.”
“Io non ho problemi nel far sapere al mondo intero della nostra storia. Ma se tu hai qualche pensamento o...”
“No, no... vorrei farlo anch’io. Ma non sarebbe una decisione arguta da parte nostra. Non subito, almeno. Potremo aspettare per vedere quanto resistiamo. - Brian sorrise, nonostante la serietà del discorso. - L’unico a cui sono sicuro di non volerlo dire è Kevin.”
“Credi che non ci accetterebbe?” Gli domandò Nick.
Brian non alzò lo sguardo, lo tenne fisso sul liquido all’interno della sua tazza. “No, non per quello.”
“Allora per che cosa?”
“Non capirebbe.” Fu la risposta secca di Brian.
“Che cosa?”
“I motivi per cui ho deciso di star con te.”
“Non capirebbe che mi ami ed io ti amo?” Chiese dubbioso Nick. Okay, capiva che Kevin non sarebbe stato entusiasta della scelta del cugino e che era ultra protettivo nei suoi confronti, ma lui non era un sadico pazzo! Forse era giovane ed un po' immaturo ma amava seriamente Brian.
“No... è complicato.”
“Se me lo spieghi, magari diviene più semplice.” Tentò Nick, sperando che Brian si aprisse un po' di più con lui. Il che era come cercare di forzare una cassaforte con una forchetta di plastica.
“No... no... no... ci sono cose che non posso dirti.” Esclamò Brian, combattendo duramente contro il panico che stava lentamente prendendo possesso della sua mente. 
Nick non poteva capire.
Nick non poteva sapere.
Nick si spostò accanto al ragazzo, ignorando il fatto che Brian si fosse spostato leggermente, quasi impercettibilmente, non appena lui si era avvicinato. “Pensavo che avessimo deciso che non ci dovevano essere segreti fra di noi.” Nel suo tono di voce c’era una punta di dolore, di tradimento nel sapere di non avere la sua totale fiducia. Fantastico, nemmeno un giorno di fidanzamento e già stavano litigando.
“Non è un segreto.” Puntualizzò Brian. 
“Se non me lo puoi dire.”
“Non ne voglio parlare.” Fu la risposta secca di Brian, maledicendosi per aver affrontato il discorso. Si era messo lui stesso nei guai. Sentiva lo sguardo di Nick, carico di apprensione, preoccupazione e... sofferenza, puntato dritto su di lui. Aspettava una spiegazione, un chiarimento... quando sarebbe stato pronto per rivelargli tutto?
Non poteva permettergli di sapere, di sapere quanto debole e... e...
“Brian.” Lo richiamò Nick, la mano appoggiata sul dorso della sua. 
“No, Nick. Non ne voglio parlare e non lo vorrò per molto tempo. Forse per sempre. Ci sono cose che è meglio che tu non sappia altrimenti scapperai via a gambe levate.”
“Brian, non c’è niente che tu possa aver fatto o aver detto che mi farà scappare via da te. Non c’è nemmeno un’onta di cattiveria dentro di te, quindi non posso nemmeno immaginare che tu abbia commesso qualcosa di così crudele.”
“Non é... non è qualcosa di cui mi piace parlare.”
“Sappi solamente che io sarò qui, pronto ad ascoltarti. Non ti giudicherò, esattamente come tu non l’hai fatto con me.”
Brian lasciò finalmente che le braccia di Nick lo avvolgessero in un caldo abbraccio, come una coperta. Un giorno, forse, sarebbe riuscito a confidargli i suoi demoni.
Un giorno lontano.
“Voglio solo dimenticare, Nick.” Ammise Brian.
“Farò tutto quello che vuoi, tutto ciò che è nelle mie facoltà per far sì che accada.”
“Grazie. Non sai quanto sia importante per me il fatto che ti fidi abbastanza da non indugiare in domande indiscrete.”
“Perché so che lo fai per proteggermi. - Rispose sinceramente Nick. - Come sempre, come per ogni cosa.”
Sì, lo stava facendo per lui, si disse Brian. Ma anche per proteggere se stesso.
Rimasero abbracciati ancora per qualche minuto fin quando Brian non si alzò, recuperando le due tazze ed andando verso il lavandino.
“Bri, non c’è bisogno che lo faccia...”
“Oh certo, contribuiamo pure alla sporcizia... ma che è? Stai tentando di stabilire un record?”
“Stavo solo aspettando il mio principe senza macchia.”
“Se sono senza macchia, ci sarà un perché. Ed è nel fatto che sapone, spugna e detersivi sono diventati i miei alleati.” Esclamò Brian.
“Oh mio eroe, salvami da questa terribile fine che mi aspetta!” Urlò drammaticamente Nick, buttandosi davanti a lui ed aggrappandosi alle sue ginocchia.
“Smettila o me ne ritorno nel mio bus!”
“Okay, okay... vado a cambiarmi!” Disse Nick rialzandosi.
“Già che ci sei, perché non rifai il letto?” Gli urlò Brian mentre cercava il detersivo per i piatti fra il casino, meglio dire sporcizia, che era il bancone cucina. Era quasi tentato di gettar via tutto e ricomprare piatti, bicchieri, tazze e posate ma di carta questa volta. Almeno non ci sarebbero stati di questi problemi.
“Ma se stasera ci fermiamo in hotel!” Fu la risposta di Nick.
“E con questo? Tra due giorni saremo ancora in viaggio, non voglio dormire su pieghe e pieghine!”
“Sei malato, lo sai? - Ribatté Nick. - E' una malattia la tua. E credo che viaggi fra geni, visto che anche tuo cugino ne soffre."
“Lo sarò se non mettiamo a fuoco questo covo di germi!”
Nick si affacciò sulla porta per fargli la linguaccia.
In risposta, si ritrovò uno strofinaccio in faccia.
“Fila a cambiarti e a rifare il letto!” Gli ordinò Brian.
“Cosa ricevo in cambio?” Domandò Nick.
“La soddisfazione di aver fatto qualcosa per il tuo ragazzo?”
“Solo?”
“Mh... - Brian si avvicinò al suo ragazzo, una sguardo malizioso sul volto. - La mia gratitudine. - Gli sussurrò in un orecchio con tono roco. - Eterna.” Aggiunse poi, provocando un brivido lungo tutto il corpo di Nick.
Nick deglutì. “Se è così che mi mostrerai gratitudine, farò qualsiasi cosa tu mi chieda.”
“Davvero?” Continuò Brian, torturandolo con un semplice tono di voce.
“Certo.” Assentì Nick, sentendo improvvisamente caldo e chiedendosi dove Brian avesse tenuto nascosto quel suo lato così maliziosamente erotico.
Non che lui se ne stesse lamentando, chiaro che no!
“Lo terrò in mente allora.” E, senza aggiungere altro, diede un lieve tocco di labbra alla base del collo, in quel punto così sensibile in cui nuca ed orecchio si univano. Dopo aver appurato di aver sovraeccitato i neuroni e gli ormoni di Nick, si girò e ritornò verso il bancone, lasciando il ragazzo impietrito – o meglio sul punto di sciogliersi come una candela che bruciava velocemente – sullo stipite della porta.
“V-va-do.” Balbettò Nick. Se non usciva da quella stanza, avrebbe di sicuro raggiunto Brian e niente di quello che aveva in mente di fargli in quel momento aveva a che fare con pulire o riassettare. L’immagine che cercava di scacciare dalla sua mente raffiguravano lui che sbatteva con forza Brian addosso al lavabo, le sue labbra che ne divoravano ogni centimetro di pelle che riuscisse a raggiungere mentre le sue mani... per la sua sanità mentale era meglio evitare di pensare a dove si erano infilate le sue mani e che cosa stavano accarezzando.
Lo avrebbe fatto diventare matto, se aveva intenzione di lanciargli quei messaggi.
“Niiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiick!” Lo strillo lo interruppe mentre stava indossando la maglietta, bloccandosi con una mano infilata nell’apposito foro e la testa incastrata in qualche modo.
“Nah... è uno dei suoi soliti scherzi.” Si disse Nick, ritornando tranquillo a mettersi a posto la maglia; Brian lo aveva abituato a quelli urletti, imitazioni di quelli che le fans giapponesi regalavano solamente al biondino.
“Niiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiick!”
“Non ci casco.” Si ripeté, anche se una piccola parte di sé voleva correre e sapere il motivo per cui Brian stava urlando così acutamente.
Ed era una ragione più che valida, il che stava facendo infuriare Brian.
Non appena Nick era scomparso in quella che poteva essere considerata la camera da letto, si era armato di tanta buona lena ed aveva iniziato a cercare un detersivo per piatti, sperando che quello più olio di gomito avrebbe potuto cancellare la montagna di stoviglie che Nick era riuscito ad accumulare in quei pochi giorni di viaggio.
Come gli aveva insegnato sua madre, iniziò a far scorrere l’acqua aspettando che si scaldasse, appoggiando i gomiti sul lavabo. Mentre aspettava, un movimento veloce attirò la sua attenzione.
Per un momento, pensò di esserselo immaginato.
Appoggiò la mano e testò l’acqua, calda abbastanza per incominciare a sciogliere un po’ di grasso dai piatti incrostati di... pizza? Sapeva solo che era una cosa rossa, grumosa.
Per la seconda volta, un movimento sulle piastrelle lo distolse dal suo compito.
La cosa che si muoveva era un animale. Peloso. Con sei zampette che picchettavano contro la ceramica.E due antennine.
Uno scarafaggio.
Uno scarafaggio nero che zampettava beato in una cucina. Davanti ai suoi occhi.
Urlò una volta.
Poi una seconda. Ed una terza fin quando, finalmente, Nick apparve.
“Se è uno dei tuoi scherzi...” Cercò di dire ma Brian lo silenziò immediatamente con uno sguardo assassino.
“Che... cos’è quella cosa che cammina sul muro?” Gli domandò, indicando con il dito un punto imprecisato delle piastrelle della cucina. 
Nick si avvicinò per guardare meglio il punto che Brian indicava. “E... eh... non vedo niente, Bri.” In effetti, a parte qualche piccola macchina, le piastrelle erano stranamente pulite.
“C’era... uno... scarafaggio.” Affermò Brian con una punta di isterismo nella sua esclamazione. Come se si fosse sentito tirato in causa, l'animaletto fece la sua comparsa zampettando velocemente sul lavabo, prima di scomparire dietro ad una pentola. 
“Ah, stai parlando di John!” Esclamò Nick.
Se avessero potuto, gli occhi di Brian sarebbero rimbalzati fuori dalle orbite. “John? Ha anche un nome?”
“Sì. - Rispose con nonchalance Nick. - E’ da qualche mese che zampetta qui in giro. Ho pensato quindi di dargli un nome.”
Brian aprì la bocca per rispondere, obiettare ma non sapeva che cosa dire. Era attonito.
“John. John Lennon. Scarafaggio, Beatles.” Spiegò Nick, pensando che fosse per quel motivo che Brian non spiccicava parola.
“Tu hai dato un nome ad uno scarafaggio?” Domandò Brian, sperando di aver capito male.
“Che cosa c’è di male?”
“Che è un animale schifido che zompetta in giro portando malattie?”
“Non offenderlo!”
“Mi stai davvero dicendo di non insultare uno scarafaggio?”
“Sì! John è sensibile!” Rispose Nick, spostando la pentola per vedere dove si era infilato John.
Brian scosse la testa, incredulo da quello che stava sentendo.
“Non mi importa che sia uno scarafaggio sensibile. Lui se ne deve andare. Vivo o morto.” Disse perentorio, le braccia incrociate sul petto a sottolineare la serietà e la durezza di quella sua affermazione.
“Ma... mi ha tenuto compagnia in questi mesi!” Piagnucolò Nick, sperando di intenerire Brian.
“Non m’interessa. Io non sto dove c’è anche uno scarafaggio.”
“Ma se ne starà buono nella sua scatolina...” Brian si coprì gli occhi con una mano. Era un incubo, decisamente. Quando avrebbe riaperto gli occhi, si sarebbe trovato ancora a letto, stretto fra le braccia di Nick, un Nick che non difendeva l’onore di uno scarafaggio a cui aveva anche dato il nome di un musicista. Era surreale tutto ciò. Ma quando si tolse la mano dagli occhi, si ritrovò ancora in cucina.
“John farà il bravo.” Promise Nick.
“John lo farà fuori da questo bus.” Fu la battuta di Brian.
“Non puoi cacciarlo via!”
“Nick, non stiamo parlando di un cane! Uno scarafaggio! A me fanno schifo!”
“Ma perché ce l’hai tanto con lui?”
“Io non ce l’ho con lui... con esso... con quel coso...”
“Esso ha un nome, John.” Fu il turno di Nick nel puntualizzare.
“Scegli... o resta lui o resto io. Non entrambi.”
“Ma sei cattivo!”
“No, ho un senso di igiene molto più alto del tuo a quanto pare.”
“Ma non farà niente...”
“Non m’importa. Il fatto che vive insieme a noi...”
“Bri... - Lo supplicò Nick, facendo anche tremare il labbro inferiore. - ... non puoi chiedermi di scegliere fra te e John.”
Se non fosse stato che stava vivendo quella situazione, Brian avrebbe trovato comico tutto quel discorso! “Nick, sul serio... non esiste che tu ti sia affezionato ad uno scarafaggio!”
“Era rassicurante sapere che c’era qualcun altro insieme a me su questo bus.” Si scusò Nick.
“Bene, ora ci sarò io. E voglio ben sperare che la mia presenza sia più rassicurante di quella di... John.”
“Sì, certo! Ma non posso abbandonarlo!”
“Nick, è uno scarafaggio!”
“E’ sempre un essere vivente!”
“Animale. È un essere animale.”
“Okay... ma ha sempre dei sentimenti!”
“Ed allora, con molto tatto, gli dirai che è giunto il momento che le vostre strade si separino.”
Nick sospirò deluso ed affranto. “Va bene.”
Brian si alzò in punta di piede e gli scoccò un bacio sulla fronte. “Grazie, mio eroe.”
“Non posso avere un altro tipo di bacio? - Gli richiese Nick. - D’altronde, sto scegliendo te.”
Brian aggrottò la fronte. “Stai cercando di dirmi che hai anche preso in considerazione l’opzione di tenerti uno scarafaggio al posto mio?”
Nick fischiettò.
“Lo hai fatto sul serio?”
“Per un secondo.”
“Nick!”
“Scusa!”
“Scusa? Stavi preferendo uno scarafaggio!”
“Ho precisato per un secondo! Un attimo!”
Brian si era allontanato, dal bancone della cucina e da John, soprattutto aveva messo una distanza di sicurezza da Nick.
“Dai Bri... non possiamo litigare per uno scarafaggio!”
“Non si chiamava mica John?” Ribatté acidamente sarcastico Brian.
Nick non sembrò cogliere quell’intonazione, preso com’era dal fatto che, in meno di mezz’ora, avesse fatto arrabbiare il suo ragazzo. Certo che anche lui, Brian, ci aveva messo del suo, però! “Per favore, Bri... non voglio litigare!”
“Non stiamo litigando.”
“Che cosa stiamo facendo allora?”
“Discutendo delle tue preferenze?”
“Okay, scusa, ho sbagliato.” Gli disse, cingendo il ragazzo da dietro. Sfiorò con le labbra il lobo dell’orecchio, per poi lasciare una serie di baci lungo tutto il collo.
“Ti sbarazzerai di John?”
Nick fece voltare Brian, in modo da essere faccia a faccia e rispose con un bacio, più in alto, ad altezza del pomo d’Adamo.
“E pulirai la cucina?”
Anche a quella domanda, la risposta consistette in un bacio, un po’ più in su, sul mento.
“E...” Brian non poté terminare ciò che voleva chiedergli perché le labbra di Nick, senza preavviso, trovarono posto sulle sue. A differenza di quella mattina, il bacio questa volta fu dolce e meno lungo. Ciò nonostante, riuscì a cancellare qualsiasi pensiero.
“Che cosa stavi dicendo?” Gli domandò Nick, un piglio sicuro sul viso.
“Che sei un idiota! - Rispose Brian, ridendo. - Il mio idiota."  Aggiunse poi, prima di rispondere al bacio di Nick con uno altrettanto tenero.

 

 

 

*********

 

 

 

 

 

 

Capitolo molto leggero, almeno per questa volta. E menzione speciale per John... scusate ma stavo rotolando mentre scrivevo quel dialogo!
Il prossimo capitolo sarà su questo tono, leggero, con Brian e Nick che esplorano la loro relazione. Solamente il finale sarà un po'... il mio sadismo non é scomparso, se ne sentivate la mancanza sta per tornare!
Ringrazio ovviamente chi continua a seguirmi in quest'avventura pazzoide, anche i fantasmini che leggono! 
@Aire93: innanzittutto ti do il benvenuto in questa mia pazzia! Sono contenta che ti abbia stuzzicato l'interesse, già, quei cinque sono dei pazzi! Spero che continuerai a seguirmi! 
@Laphy: tutto é bene ciò che finisce bene... ah già, non abbiamo ancora concluso! Ma mi faceva star male lasciarli separati, poveri cuccioli! E poi Brian ha davvero bisogno di sostegno per quello che gli aspetta in futuro...
@Sakura: lo so, lo so, dovrei aggiornarti Unsuspecting ma non potevo non scrivere questo capitolo! Ora hai capito perché avevo chiesto il vostro consenso... Pensa che ogni volta che dovevo scrivere il nome John, scrivevo automaticamente Josh! 
@Kia85: hai visto, ogni tanto il mio lato folle, romantico e leggero esce finalmente allo scoperto. Il fatto é che mi sto davvero divertendo a descrivere Brian e Nick in versione fidanzati, tutti cuccioli cucciolosi... ma ahimé, non durerà per molto...

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Capitolo 15
*** - Tredicesimo Capitolo - ***


Tredicesimo Capitolo

 

 




“Io inizio ad avvisare che siamo arrivati, tu ti occupi di John.” Disse Brian mentre recuperava i loro borsoni; controllò che ci fosse tutto il necessario per quei due giorni, spostando i documenti nel suo di borsone altrimenti Nick li avrebbe persi di sicuro! Guardandosi in giro per vedere se aveva dimenticato qualcosa, Brian sapeva che stava indugiando, non volendo abbandonare quel piccolo angolo di paradiso – sebbene a rischio di formazione di un nuovo ecosistema – per affrontare la realtà.

“Devo proprio?” domandò Nick, appoggiato al bancone e con un’espressione triste dipinta sul volto mentre si mangiucchiava una pellicina dell’indice.

“Se vuoi che rimanga su questo bus...” tralasciò Brian, nascondendo un sorriso malizioso.

“Lo so, lo so! Devo dirgli addio!” interruppe Nick, sospirando con fare melodrammatico. “Non ti facevo così crudele verso un povero insetto indifeso.”

Brian scoppiò a ridere, per nulla toccato dalle parole del ragazzo. “Eh... sono i traumi della vita!” commentò ironicamente.

“Però, merito una ricompensa!” puntualizzò Nick. “Una ricompensa degna per l’aver abbandonato il mio compagno di viaggio al suo triste destino!”

Brian scoccò un bacio sulla guancia di Nick, prima di aprire la porta del bus.

“Hey! Solo questo?”

Brian voltò leggermente il viso. “Il resto quando saremo da soli.” E con quell’ultima frase, scese gli scalini e si diresse verso l’entrata del Plaza dove, ad aspettarli, quasi fosse un caporal maggiore in attesa di nuove reclute, c’era Kevin.

“Alla buon’ora.” Commentò il maggiore.

“C’era traffico.”

“Se foste partiti in orario...”

“Nessuno ci ucciderà per questi minuti.”

“Sai che a Johnny non piacciono i ritardi.”

Brian scrollò le spalle, non indugiando troppo nel cadere in quel tipo di provocazioni. Era felice, come mai non lo era stato nell’ultimo periodo, e non avrebbe permesso a niente e nessuno di rovinargli quell’umore tanto agognato.

“Come stai?” domandò Kevin; fino a qualche settimana prima, quella domanda non avrebbe racchiuso così tanti significati, né avrebbe infastidito Brian in quel modo, come si sentiva in quel momento. Ma, ora, c’era molto di più che una semplice richiesta di informazioni sul suo stato di salute.

“Meglio.”

“Hai avuto qualche incubo?” gli domandò in un orecchio. Brian scosse la testa.

Fra i due calò un momento di silenzio

“Tu e Nick... avete risolto, dunque?”

“Sì. E’ tutto a posto fra noi.”

“Bene.”

C’erano tante cose che Brian avrebbe voluto dire a Kevin: condividere con lui la sua gioia, la felicità per essere riuscito finalmente ad uscire dal suo guscio ed accettato di mettere il suo cuore nella mani di un altro; avrebbe voluto confidargli i suoi dubbi e le sue paure, quel piccolo fantasma di cui solo loro due ne erano a conoscenza e che lo tratteneva dall’essere al cento per cento se stesso.

Ma Brian era altrettanto certo che Kevin non avrebbe capito il perché di quella scelta, di quella decisione proprio in quel momento, dove tutto intorno a lui sembrava essere stato risucchiato in un vortice. Nick era il suo punto fermo, ora. Fin quanto lui sarebbe stato al suo fianco, fin quanto lo avrebbe amato senza se e senza ma, Brian sapeva che avrebbe potuto superare qualsiasi ostacolo.

“Hai... hai mai pensato a... lui?” domandò all’improvviso Brian, sorprendendo se stesso a quella domanda.

Kevin lo guardò stupito; lo prese per mano e lo accompagnò in un luogo più nascosto rispetto all’atrio di un hotel.

Soprattutto lontano da orecchie indiscrete.

“Lo so, sembra strano che proprio io ti faccia questa domanda ma... non so, con tutto quello che è successo in quest’ultima settimana e gli incubi che sono tornati, non posso fare a meno di pensare a lui.” Spiegò Brian, giocando distrattamente con un sassolino. “Nei miei incubi... non lo vedo. Oh, rivivo esattamente quell’esperienza ma non vedo mai il suo volto.”

“Mentirei se dicessi che l’ho completamente cancellato dalla mia vita.” Rispose Kevin, non incrociando lo sguardo del cugino ma tenendo fisso i suoi occhi verso un punto imprecisato all’orizzonte. “Era il mio migliore amico, mi fidavo di lui. Ma tutto il bene che potevo provare per lui, ora si è trasformato in odio nel momento in cui.. in cui ho visto che cosa ti aveva fatto.”

“Lo odi ancora?”

Kevin si voltò a fissare Brian. “Che razza di domanda è?”

Brian alzò le spalle, voltando il corpo verso il piccolo parcheggio davanti a loro. L’aveva provato quel sentimento, aveva trascorso ore, settimane, mesi ed anni ad odiare il ragazzo che gli aveva rovinato la vita e lo aveva privato di un’esperienza preziosa. “Odiare non serve a nulla. Soprattutto ad andare avanti.”

“Vuoi dirmi che non lo odi?”

“Non é di certo la persona che inviterei al mio matrimonio ma non posso disperdere preziose energie nell’odiarlo.” Rispose Brian. “Voglio solo concentrarmi sulla mia vita e... riuscire finalmente ad aprirmi e fidarmi di qualcuno.”

Kevin rimase, per qualche secondo, sorpreso dalla maturità che traspariva dalle parole di suo cugino; ma non poteva dimenticarsi quanto quella faccenda lo avesse stravolto completamente dalla semplice vita da quindicenne; nonostante ciò, si era ricostruito una parvenza di normalità e, a parte per quella parentesi di quell’ultima settimana, era come se niente fosse successo.

Sotto l’ammirazione, provava una punta d’invidia, conscio del fatto che lui non sarebbe mai stato in grado di possedere quella forza innata nel cugino.

“Non lasciare che l’odio ti consumi, Kev. Così gliela darai vinta.”

Kevin continuò a fissarlo, incapace di trovare una parola di risposta.

“Perché mi fissi?”

“Sono semplicemente... dovrei essere io a darti forza, non il contrario.”

Brian scosse le spalle, il suo sguardo aveva scorto la figura di Nick, inginocchiato vicino ad un cespuglio – molto probabilmente stava dando l’addio a John – e, immediatamente, sentì un caldo tepore invadergli il corpo. Ecco dove prendeva la sua forza, Nick in quel momento era la sua roccia. “Non è niente di eccezionale, Kevin. Solo che ora... ora ho qualcuno per cui lottare, qualcuno per cui vale la pena cercare di buttarsi, davvero, tutto alle spalle.”

Kevin stava per chiedere a Brian a chi si riferisse quando Howie li interruppe.

“Johnny ci vuole parlare.” Esordì il ragazzo.

“E’ successo qualcosa?” domandò Kevin.

“Non so ma aveva l’aria abbastanza seria.”

“Andiamo.”

Il trio si diresse, quindi, all’interno dell’atrio, dove il restante gruppo li attendeva in un angolo appartato: nonostante tutte le precauzioni prese, come quella di prenotare più alberghi, un drappello folto di fans aspettava impaziente al di fuori dell’entrata, urlando i nomi dei ragazzi a gran voce.

“A volte mi domando se non facciano parte della CIA.” Commentò Brian, salutando con la mano alcune di loro. “Sanno dove siamo ancor prima che lo sappiamo noi.”

Superate le guardie di sicurezza, raggiunsero la cerchia dei loro amici: Nick era stravaccato su un divanetto, l’espressione triste che gli dava l’aspetto da cucciolo abbandonato; Aj, appoggiato sul bracciolo di una poltrona, fischiettava invece allegro. Davanti a loro, con le braccia incrociate sul petto, il loro manager discuteva con un addetto dell’hotel.

“Eccoci.” Annunciò Howie. Brian si sedette accanto a Nick ed entrambi si ritrovarono, però, impossibilitati nell’intrecciare le proprie mani: nascondersi sarebbe stato quasi impossibile ma assolutamente necessario, almeno fin quando non fossero stati pronti ad uscire allo scoperto.

“Bene. Ora che ci siamo tutti, possiamo incominciare.” esordì Johnny Wright, il loro manager. “Il programma per i prossimi giorni è lievemente cambiato. Rimeneremo a New York per più tempo rispetto a quello previsto.”

“Sperare per una vacanza è troppo ardito?” scherzò Aj e, in risposta, ottenne solamente uno sguardo torvo.

“Vista la richiesta, abbiamo aggiunto una nuova data a quelle due già esistenti. Inoltre, abbiamo ricevuto un’offerta molto interessante. Che ne direste di esibirsi al Radio City Hall?”

“Wow.” Fu l’esclamazione generale.

“Vista la struttura, dovremo fare qualche cambiamento all’abituale concerto: le due piattaforme unite dal ponte sono impossibili da montare all’interno della sala quindi dobbiamo pensare a qualcosa di diverso e di interessante allo stesso tempo.”

“Io avrei un’idea.” Propose Brian, catturando l’attenzione di tutti. “Potremo fare un concerto acustico.”

Era da anni, dall’ultimo ed unico concerto di quel tipo che avevano fatto, che desiderava rifarlo: oh certo, ballare era divertente, creare scenette ironiche con Nick ed anche le urla delle fans. Ma era un cantante e, molto spesso, sapeva che non era la voce la prima cosa che veniva notata ed adulata dalle ragazzine.

E loro... loro avevano un dono così speciale, mai avrebbe immaginato che cinque voci potessero fondersi insieme come se quello fosse sempre stato il loro destino.

“Spiegati meglio.”

“Il nostro punto di forza è la voce, giusto? Fare un concerto acustico è un’ottima mossa per rispondere ai critici che ci vogliono vedere solamente come belle faccine. Diamo loro quello che vogliono, togliamo gli effetti speciali, i bassi ed i costumi di scena.”

“Interessante.”

“E se lo facessimo solamente per le fans?” domandò Nick. “Una sorta di ringraziamento per non averci abbandonato durante quest’ultimo anno.”

Leigh, che non solo era la fidanzata di Howie ma anche la responsabile del fan club ufficiale del gruppo, si unì alla discussione. “Credo sia un’ottima idea. C’è poco tempo ma si potrebbe organizzare un contest sul sito ufficiale per la vendita dei biglietti.”

“Potremo anche far sceglier loro le canzoni.” Propose Kevin.

“Nel senso di proporre noi dei titoli che loro possano scegliere o lasciare carta libera?” domandò Howie.

“La prima. Noi proponiamo una lista di dieci, quindici canzoni e le cinque più votate faranno parte della scaletta. A quelle, vi aggiungiamo noi i singoli e magari qualche cover.”

“Mi piace.” Esclamò Aj.

“Può funzionare.” Mormorò Johnny mentre rifletteva su quella proposta: avrebbe attirato l’attenzione dei media, che in quel periodo era maggiormente interessata ad altri artisti. “Okay, faccio un giro di telefonate e vi faccio sapere il responso. Voi iniziate a pensare all’arrangiamento delle canzoni; Leigh, tu ti occupi del fan club.”

Tutti gli interessati annuirono con un cenno del capo.

“Ora, per la sistemazione in albergo. Abbiamo la Penthouse che si trova, ovviamente, all’ultimo piano. Vi si accede solamente tramite ascensore, per il quale bisogna utilizzare la chiave della stanza stessa. Bodyguards, pr e tutto lo staff, me compreso, si trovano al piano immediatamente inferiore. L’unico problema sta nel fatto che, nella Penthouse, ci sono solo quattro stanze quindi, due di voi devono condividerne una.”

“Io e Nick.” affermò immediatamente Brian, ricevendo uno sguardo beato da parte di Nick ed uno guardingo e preoccupato da parte di Kevin.

“Bene. Visto che anche questa formalità è stata sistemata, non mi resta che ricordarvi che oggi pomeriggio avete la conferenza stampa, seguita da una sessione di autografi con un gruppo di fans. Stasera, party nell’hotel organizzata dai nostri sponsor.”

“Dobbiamo per forza esserci tutti quanti?” domandò Brian: l’idea di trascorrere ore in una grande sala pullulata di persone che a malapena conosceva non era molto allettante, nonostante l’immagine di un Nick tirato a lucido lo attraesse molto. Ricordava ancora la copertina che avevano fatto per “Rolling Stone” e di quanto Nick fosse affascinante in quel semplice – per quanto costoso e di marca – vestito nero e di come la camicia bianca, attillata, lo rendeva simile ad un modello. Per notti aveva sognato di poter sfilare ogni singolo centimetro di pelle, sentendosi sempre in colpa per avere così perversi pensieri sul suo migliore amico, su qualcuno che non avrebbe mai ricambiato i suoi sentimenti.

Ma quell’immagine sexy non riusciva, comunque, a calmare le sue paure.

“Bri – bear?” lo richiamò Nick, utilizzando quel buffissimo nomignolo che gli aveva affibbiato quando erano più piccoli, prima che Nick si trasformasse, dalla notte al mattino, in un gigante alto il doppio di lui.

Guardandosi in giro, Brian si accorse che erano rimasti solo loro due, gli altri avevano già lasciato la hall per salire e sistemarsi nelle proprie camere.

“A che cosa stavi pensando, così assorto?”

Assicurandosi che nessuno li stesse osservando, Brian si avvicinò al ragazzo fino a quando non li separavano se non pochi millimetri; il suo cuore batteva all’impazzata, in parte per l’intima vicinanza ma parte era a causa della paura che qualcosa potesse succedere: rifiuto, insulti, recriminazioni. Era difficile non sentire quella vocina che lo aveva accompagnato per anni! “A quanto vorrei vederti in un tight.”

“Davvero?” rispose Nick, guardandolo negli occhi con una luce di misto amore e attrazione.

“Certo.” Asserì Brian, abbassando lievemente lo sguardo. Nick sembrava sempre essere a suo agio in quel tipo di situazione, anche in ciò che per lui era nuovo: si era adattato tranquillamente al fatto che il suo nuovo amore fosse un uomo; lui, invece, per quanto avesse avuto più tempo a disposizione per accettare se stesso, si sentiva ancora un pesce fuor d’acqua.

“Posso dirti che anch’io vorrei vederti in un tight? Sei così dannatamente sexy, soprattutto con quell’espressione seria, da “non osare rovinarmi i piani, non vuoi vedermi arrabbiato”.”

“Nick!” lo rimproverò Brian, sentendosi avvampare il viso.

Ora capiva come si sentivano quelle povere ragazzine che diventavano il mirino delle attenzioni sexy di Nick!

“E’ vero! Tu non ti rendi nemmeno conto di quanto tu sia sexy e attraente.” Rispose Nick. “Uno dei miei compiti, in quanto tuo fidanzato, è quello di rammentartelo.”

Fidanzato.

Quell’unica parola lo stava rendendo più euforico di un concerto davanti a milioni e milioni di fans.

Riempiva un vuoto che aveva sempre rischiato di inghiottirlo, allontanava da lui nubi tetre albergate da antiche paure. Lo faceva sentire vivo ma, soprattutto, pronto a vivere senza redini che lo controllassero.

Solo quando sentì la punta di un dito sopra la sua guancia, Brian si accorse che una solitaria lacrima era riuscita a sfuggir via. “Non piangere, Bri – bear.”

“Non lo sto facendo.” Rispose lui. “Mi sarà entrato qualcosa nell’occhio.” Addusse poi come scusa.

Nick inclinò leggermente la testa, osservando il ragazzo ricomporsi velocemente. Non riusciva ancora a spiegarsi quei cambiamenti di umore così repentini. Sapeva che lui stava ancora lottando con quello che gli era successo solo una settimana prima e non poteva biasimarlo per avere qualche diffidenza sulle sue reali intenzioni dopo quello che gli aveva combinato. E per la prima volta, Nick vedeva tutte le insicurezze di Brian chiare e limpide riflesse nei suoi occhi, paure che, in parte, erano le sue medesime ed era ben conscio del fatto che, se non fosse stato per quell’incidente, avrebbe trovato in Brian una roccia solida a cui aggrapparsi.

“Ehi piccioncini!”

Fu Aj ad interromperli, un sorrisetto dipinto sul volto mentre li osservava. Si notava lontano un miglio che qualcosa era cambiato fra loro ma, per fortuna, solo lui sembrava aver compreso l’intensità di quel cambiamento.

E ne era felice.

“Mister Generale vuole sapere che fine avete fatto.”

“Arriviamo.” Disse Nick, alzandosi in piedi.

“Quindi... a quando le partecipazioni di nozze?”

Un color cremisi colorò entrambi i volti dei ragazzi, facendo esplodere Aj in una sonora risata. “Quindi ormai è ufficiale?” riuscì a domandare fra le risa.

“Sì.” Risposero entrambi, scambiandosi uno sguardo.

“Possiamo festeggiarvi?”

Nick lo guardò di traverso. “Chi è quel “vi”?”

“Carter, pensi davvero che io sia l’unico che mi sia accorto dei vostri teatrini?” lo prese in giro Aj. Sì, lui era l’unico che sapeva ma Howie, il pettegolo del gruppo, aveva già lanciato qualche frecciatina. Tempo qualche ora e sarebbe giunto, anche lui, a quella conclusione.

Brian impallidì di fronte a quell’ammissione. Se quello che Aj diceva era vero, ovvero che tutti ormai sapevano di loro, ciò significava che anche Kevin poteva esserne al corrente. Il che poteva spiegare l’occhiataccia che gli aveva lanciato quando aveva detto che sarebbero stati lui e Nick a condividere la stanza. Incominciò a sudare freddo pensando a quello che l’avrebbe aspettato una volta che fosse rimasto solo con lui... e gli aveva anche fatto quel discorso sull’aver trovato la persona giusta!

Che idiota che era stato!

Nick sentì Brian irrigidirsi, la stretta attorno alle sue mani sembrava essere quella di una tenaglia. “Jay, chi altri sa?” domandò quindi una seconda volta, con tono serio e duro.

“Howie e Leigh.”

“Kevin non lo sa, quindi?”

“Che io sappia no.” Rispose sinceramente Aj. “Ma, da come vi comportate, non ci metterà molto a scoprirlo.”

“Non deve saperlo.” Mormorò Brian. “Non può saperlo.”

Aj si inginocchiò davanti a lui. “Bri, una volta che vedrà quanto vi amate, non potrà arrabbiarsi con voi.”

Brian non rispose, impegnato in una dura lotta fra il ricordarsi di respirare ed il trovare una scusa sensata che avrebbe potuto placare la curiosità di Aj.

Per una volta, Brian sentì il fremito invitante di raccontare tutto, di togliersi quella maschera e potersi appoggiare a qualcuno.

Ma, veloce com’era arrivato, se ne andò altrettanto velocemente.

Le implicazioni della sua confessione avrebbero sconvolto il gruppo, modificandone rapporti, legami ed atteggiamenti. Non poteva permettere ciò, non poteva lasciare che una stupida paura potesse sconvolgere in quel modo altre tre vite.

Ma il suo unico pensiero era Nick. Kevin non sarebbe stato gentile con lui, con la più che nobile intenzione di accertarsi che suo cugino fosse al sicuro. A parti invertite, Brian era certo che si sarebbe comportato esattamente nel medesimo modo ma... no, purtroppo le cose, nella realtà, non erano così e lui doveva proteggere Nick.

Da se stesso, dai suoi demoni e da Kevin.

Fu con quella risolutezza di mente che alzò lo sguardo ed incrociò quello di Aj. “Gliene parlerò ma, per ora, non voglio che sappia. Non mi piace dovermi nascondere, io e Nick non stiamo facendo nulla di male ma ho bisogno di tempo e calma per spiegarglielo bene.” annunciò con tono determinato.

Basta, non avrebbe più permesso alle sue debolezze di prendere il controllo.

Aj annuì mentre Nick si sporgeva per un veloce bacio sulla guancia. “Qualsiasi cosa, noi saremo al tuo fianco. Io sarò al tuo fianco.”

“Okay, piccioncini! Ora andiamo!”

Brian e Nick seguirono l’amico verso la zona degli ascensori; un addetto, con l’abitudinale uniforme rossa, pigiò, per loro, il pulsante di chiamata e, mentre aspettavano che le porte si aprissero, andò a recuperare un carrello per i borsoni dei due ragazzi.

Il ding metallico annunciò loro l’arrivo dell’ascensore; vi entrarono ed Aj infilò nell’apposita fessura la sua tessera, facendo così subito partire la cabina: la Royal Suite si trovava all’ultimo piano, accessibile solamente tramite carta magnetica. Una volta giunti, infatti, l’ascensore si apriva direttamente all’interno del salotto centrale: la stanza era immersa nella luce del sole che entrava direttamente dalle ampie vetrate sulla parete frontale, nel quale una porta – finestra dava accesso al terrazzo con una vista mozzafiato su Central Park. La luminosità era però aiutata anche dal color panna delle pareti e dai tessuti dei divanetti, tre per la precisione, disposti a semicerchio attorno a due tavolini di mogano chiaro con vetro perfettamente lucido come superficie. In un angolo, sormontato da due floride palme, faceva la sua bella presenza un pianoforte a coda nero. Alle due pareti, si trovavano le due porte che davano accesso alle stanze: sulla parte destra, fra di esse, si trovava un semplice scrittoio, una poltrona in stile impero ad accompagnarlo, ed un cesto di frutta come benvenuto faceva suo sfoggio sul tavolino. Dall’altra parte, invece, fra le due porte vi era un caminetto, in quel momento spento, dello stesso colore delle pareti; sulla sua mensola, fiori colorati in leggiadri vasi di vetro ed un pendolo d’epoca che scandiva il passare delle ore.

Lo stile era di un’opulenza ricercata, un modo sottile di ricordare a chi poteva permettersi quella suite il suo status, con tutte le comodità che esso richiedeva.

Sul sofà principale vi era seduto Kevin, il quale alzò lo sguardo non appena udì il scampanellio dell’ascensore. “Ho paura nel chiedervi che cosa stavate facendo giù.” Commentò ridendo.

“Nick stava dando l’addio a John.” Mentì Brian. O, meglio, omettendo qualche particolare.

Sia Aj sia Kevin lanciarono uno sguardo stranito verso il biondino. “Chi è John?”

Nick lanciò un’occhiata maligna a Brian prima di dedicarsi ai due interlocutori. “E’ solamente un amico di cui non volevo separarmi.”

“Spiega esattamente chi, o meglio, che cos’era John.” Rincarò Brian, sottolineando il cosa.

“Non voglio saperlo.” Obiettò Aj, alzando le braccia in segno di arresa. “Tu hai gusti strani in fatto di amicizia.”

“Parlò l’uomo che parlava e riteneva il suo migliore amico un coniglietto di stoffa.”

“Almeno il coniglietto non zampettava.” Mormorò a denti stretti Brian, facendosi sentire solamente da Nick che, in risposta, gli tirò una gomitata al fianco.

“Ahio.” Si lamentò Brian, massaggiandosi la parte ferita.

“Ma se ti ho appena sfiorato!”

“Sono più fragile di te, io non ho la ciccia che mi protegge!”

“Ciccia? Chiediamo a qualche fans e ti diranno che non è ciccia ma muscoli!”

“Contaci!”

“Metti in dubbio ciò su cui ogni ragazzina fantastica ogni notte?”

“Loro non ti vedono come ti vediamo noi!”

Durante quello scambio rapido di battute, Brian e Nick si erano quasi dimenticati che ci fosse qualcun altro, al di fuori di loro, in quella stanza.

“Prima che questa diventi una discussione non adatta ai minorenni...”

“Ma se siamo tutti maggiorenni qui dentro.” Bisbigliò Nick nell’orecchio di Brian, provocando nel ragazzo una risatina, seguita da un gesto per farlo stare in silenzio.

“... vi consiglio di andare nella vostra stanza e sistemarvi. Abbiamo solo un’ora di tempo prima di andare alla conferenza stampa ed all’incontro con le fans.”

A quell’ultima frase, Brian drizzò le orecchie. Erano trascorsi dieci giorni da quella fatidica notte e, nonostante fosse riuscito, bene o male, a reagire – e questo anche grazie a Nick – rimaneva ancora la paura di trovarsi attorno a persone che, potenzialmente, potevano attaccarlo in qualsiasi momento. Durante i concerti non aveva di questi problemi, c’era sì la folla ma il palco e l’imponente servizio di sicurezza preveniva qualsiasi attacco improvviso da fan psicopatiche o stalker o killer. Ma, in situazioni meno controllate, come una sessione di autografi o un meet&greet, la paura e l’ansia tornavano d’assalto prepotentemente.

Proprio come in quel momento.

“Bri, c’è qualche problema?” domandò Kevin, notando l’espressione corrucciata del cugino.

“Eh?” chiese lui, ritornando alla realtà. “Sì, scusa, tutto bene. Qual è la nostra camera?”

“Aj e Howie hanno preso le due a sinistra. Quindi rimangono quelle a destra, ditemi voi quale preferite.”

Nick scrollò le spalle. “E’ indifferente. Basta che ci sia un letto ed io sono accontentato!”

“Anche per me.” Concordò Brian. “Ti lasciamo l’onere delle scelta. Prima gli anziani, dopotutto.” Terminò con un sorriso. Nick cercò di tenere a freno la risata che si stava creando in gola, causata soprattutto dall’espressione stupita di Kevin.

“Preferisco diversamente giovane.” Rispose, senza battere ciglio, Kevin. “Prendo quella a destra, in modo da essere vicino all’ascensore in caso di emergenza.”

Brian e Nick si scambiarono uno sguardo d’intesa: erano sicuri che il maggiore avrebbe scelto proprio quella, era troppo prevedibile.

“Okay, queste sono le vostre chiavi.” Kevin mise nelle mani di Brian due tessere. “Servono solamente per l’ascensore, quindi non perdetele.”

“Ed ecco perché le ha messe in mano a me e non a te, Nick.”

Nick incrociò le braccia sul petto, sbuffando. “E’ successo solo una volta.”

“Una? Io mi ricordo telefonate disperate alle tre di notte perché eri sicuro che qualcuna delle ragazze con cui eri uscito te le avesse rubate!”

“Quindi io non le avevo perse. Hai corr... hai dimostrato che stavo dicendo la verità!”

“Corroborare, Nick. Si dice corroborare.”

“Beh, il senso era il medesimo, no?”

“Ma certo.”

Kevin si ritrovò, suo malgrado, a sorridere di fronte a quella scena, grato che, qualunque fosse stato il malinteso fra i due amici, si fosse risolto. Comprendeva, ora, in parte il motivo per cui Brian era così ostinato nel non voler dire nulla, per poter vivere come un normale – se mai lo fosse stato - ragazzo.

“Okay, bambini, andate nella vostra stanza!” esclamò Kevin, spingendo i due ragazzi nella loro camera. “E, mi raccomando, puntuali.” Detto ciò, chiuse la porta dietro di sé, lasciando soli Brian e Nick.

I due si rivolsero uno sguardo complice mentre Brian, a fil di labbra, contava fino al tre; giunto al numero, la porta si riaprì e riapparve la testa di Kevin.

“E preparate già i vestiti per il party perché non so a che ora torneremo dalla conferenza!”

Con quell’ultima rassicurazione, Kevin riscomparì dietro la porta.

Nick appoggiò i due borsoni, che teneva ancora in mano, ai piedi dell’enorme letto a baldacchino: quello era uno dei motivi per cui amava soggiornare al Plaza, avere a disposizione un quasi tre piazze dove poter allungare le sue già lunghe gambe. Così, non avrebbe costretto Brian a dormire rannicchiato in un angolo!

Brian, nel frattempo, si era avvicinato, cautamente, alla grande finestra proprio di fronte al letto e si accorse, con somma gioia, che erano stati fortunati nella scelta visto che la loro camera aveva la migliore vista su Central Park: sotto di loro, infatti, si estendeva quel polmone ormai celebre in tutto il mondo ed il fiume azzurro che rifletteva i raggi del sole in dorati luccichii. Immerso com’era nell’assorbire la pace e tranquillità derivata dalla vista, si ritrovò sorpreso di trovare Nick dietro di lui, due braccia cinte attorno alla sua vita ed il suo mento appoggiato alla spalla.

“Un giorno, vorrei poter passeggiare in quel parco insieme a te, stringendoti la mano e potendoti baciare senza che nessun reporter o fan possa interromperci.” Sospirò Brian, appoggiando il corpo accanto a quello di Nick.

“Succederà. Te lo prometto.”

“Ciò implica che staremo insieme per molto tempo?” domandò Brian, alquanto speranzoso di sapere quanta fiducia Nick riponeva in loro. O mezzo spaventato che, dopo aver sopportato le sue paranoie per qualche tempo, lo avrebbe lasciato per qualcuno meno “complicato” di lui.

Nel riflesso del vetro, Nick notò le differenti espressioni cambiare negli occhi del suo amato così, dopo averlo fatto voltare, gli prese la mano e lo guidò verso il letto.

“Perché ho l’impressione che sia una chiacchierata seria?” commentò Brian mentre si sedevano sul bordo.

“Perché lo é.” Asserì Nick, il sorriso però voleva alleggerire quella serietà. “Stai tranquillo, non è niente di brutto!”

“Mi fido.”

“Okay.” Nick si lasciò sfuggire un lungo sospiro, utilizzando quel momento per rimettere in ordine i suoi pensieri e quello che voleva dire. “So che ti eri immaginato questo momento in modo molto differente e, se devo essere sincero, anch’io. Non avrei mai potuto pensare i nostri ruoli scambiati, tu che sei davvero stato una roccia in questi anni ed io che ti seguivo attorno come un cagnolino. So che sei spaventato ed impaurito che questo momento di crisi possa mettere in difficoltà il nostro rapporto o, peggio, che mi spinga a fuggire lontano perché non in grado di sopportare il peso delle responsabilità. Io... voglio solo assicurarti che non succederà, ormai siamo legati per tutta la vita e tu dovrai sorbirmi fin quando saremo vecchi e decrepiti.”

Brian si lasciò sfuggire una piccola risata.

“Sei forte, sei la persona più forte che abbia mai conosciuto. Ma non sei più da solo, sono qui apposta per aiutarti, per dividere e condividere con te i buoni ed i brutti momenti.”

Le loro mani si incontrarono, un gesto che oramai, in pochissimo tempo, era diventato quasi automatico. “Ho l’impressione che ora ci saranno solo quelli brutti.” Ammise stancamente Brian.

Nick appoggiò la fronte su quella di Brian. “Non mi spaventa, Bri. Non so che cosa tieni nascosto e, prometto, non ti premerò mai nel dirmelo se non te la senti. Ma voglio aiutarti, okay? Per quel che posso e per quel che mi lascerai fare.”

Perso nell’azzurro degli occhi di Nick, Brian si trovò sommerso da un amore che non aveva mai provato e nemmeno lontanamente immaginato.

Davvero, solo qualche giorno prima, Nick lo feriva con il suo comportamento?

Ed ora, invece, era lì a sorreggerlo, fidandosi completamente di lui, lasciandogli spazi e libertà di agire.

Con la punta dell’indice, sfiorò la pelle del viso di Nick

“Sei così diverso da ciò che la gente pensa su di te, sai? Ti ritengono ancora immaturo, irresponsabile e solamente con la voglia di divertirsi senza creare legami ed invece... invece sei solamente impaurito che ti possano usare per il tuo nome. Ed io... Dio, sono così fortunato ad averti trovato! E ho paura, sai? Ho paura che tu possa stancarti di me e di dover sempre stare attento o prenderti cura di me...”

“Ti svelo un segreto, Bri: muoio dalla voglia di poter prendermi cura di te. Per tutta la vita, mi avete sempre trattato come un bambino, quasi come se fossi vostro figlio e non un vostro collega o fratello. Ho imparato tutto da voi, lasciami metterlo in pratica.”

“Non sarà facile, questo lo sai? Sono ostinato, testardo...”

“Beh, ho qualche asso nella manica da poter utilizzare, ora che sono il tuo fidanzato.”

Invece di protestare o recriminare o commentare, Brian poggiò semplicemente le labbra su quelle di Nick, socchiudendole in un puro bacio.

“Se questo è il premio che riceverò ogni qualvolta faccio il serio...” incominciò a dire Nick, scoppiando però alla fine a ridere.

Una risata cristallina si unì alla sua e, per qualche secondo, fu per entrambi come se fossero due semplici innamorati, senza ansie o problemi se non quelli di scoprire dove quel viaggio li avrebbe portati.

Il tempo smise di avere importanza, era come se loro due si fossero nascosti in una bolla dove i minuti si allungavano fino ad essere ore e l’unico suono udibili i loro respiri sincronizzati intramezzati dal battito calmo e rilassato dei loro cuori.

“Vorrei rimanere così per sempre.” Commentò Nick, ancora stupito di quanto fosse naturale l’intimità che si era creata immediatamente fra lui e Brian.

“Anch’io.” Rispose Brian, sistemandosi meglio nell’abbraccio di Nick.

“Dobbiamo andare, lo sai?” ricordò Nick mentre cullava entrambi.

“Non possiamo nasconderci?”

“Qui c’è qualcosa che non va. Tu dovresti essere quello che ci ricorda che abbiamo degli impegni lavorativi mentre io dovrei essere quello che ti devia sulla brutta strada!”

“Magari ci saremo scambiati personalità con uno dei nostri baci.”

“Tu credi?”

Brian non rispose, voltò solamente il viso in modo da poter baciare Nick.

“Okay, giovanotto! È ora dei nostri impegni!” esclamò Brian, cercando di imitare il più perfettamente possibile il tono del cugino quando doveva rimproverarli perché in ritardo. Nonostante ciò, non fece nessun movimento per alzarsi.

“Sfortunatamente sì.” Rispose scocciato Nick, alzando entrambi in piedi. Poi incominciò a dirigersi verso la porta.

Brian rimase seduto per qualche secondo, in gola pronta una domanda da porre a Nick ma non sapeva se aveva il coraggio per lasciarla libera. Se gliel’avesse posta, tutto sarebbe cambiato; quella richiesta avrebbe demolito tutte le mura che aveva eretto attorno a lui e spostato il controllo nelle mani di Nick. Ma voleva fidarsi, voleva finalmente smettere di nascondersi e leccarsi le ferite, voleva guarire.

In realtà, la domanda era molto più infida: poteva fidarsi di Nick? Non era una questione di volontà, quella era infinitesimale proprio quanto il suo amore ma, spogliarsi della sua armatura rimanendo così vestito solo delle sue paure e fragilità, era un passo davvero grande da fare.

Si alzò in piedi, le parole che aveva detto solo qualche ora prima a Kevin lo spinsero in una direzione, sperando di essere su quella giusta. Per buttarsi tutto alle spalle, doveva potersi fidare.

“Nick?” lo richiamò Brian, il tono quasi incerto.

“Sì?” Nick si voltò, incuriosito. Brian era in piedi, le mani che giochicchiavano nervosamente con un laccetto della felpa che indossava. Aveva la stessa espressione di un bambino che aveva quasi timore a chiedere un favore al proprio genitore o fratello. 

“Po... potresti starmi accanto durante l’incontro con le fans?” chiese Brian timidamente, abbassando lo sguardo per l’imbarazzo. “Non mi sento ancora a mio agio in mezzo alle folle.” Addusse poi a spiegazione.

Nick non riuscì a nascondere il sorriso compiaciuto a sentire quella richiesta: era un passo in avanti nella loro relazione, un cambio di equilibrio che poteva far crollare il castello se non fossero stati attenti. Ma, per Brian, ammettere quella sua debolezza doveva aver significato molto mentre per lui era quasi un onore nel ricevere quel tipo di fiducia.

Ritornò sui suoi passi, riavvicinandosi a Brian; prese le mani fra le sue e baciò ad una ad una le nocche delle dita.

“Sarà un piacere.”  

 

 

*********

 

 

Stare all’ultimo piano di uno dei più lussuosi alberghi newyorkesi aveva i suoi vantaggi, indubbiamente, fra cui quello di avere una stupenda vista da mozzare il fiato. Il sole stava sorgendo lentamente, colorando il cielo di un roseo color pesca, mentre i suoi raggi si riflettevano come narcisi sui vetri dei grattacieli.

New York non perdeva mai la sua magia, nemmeno quando le sue mille luci notturne si spegnevano e lasciavano ampio spazio ai colori stagionali.

Howie era seduto sulla poltrona, che aveva spostato di fronte alla finestra, ed osservava distratto, sorseggiando lentamente del caffè dalla tazza che stringeva fra le mani, i primi segni di risveglio della città; era strano ritrovarsi sveglio a quell’ora della mattina, visto l’orario improponibile in cui era andato a letto la notte precedente ma un pensiero non gli aveva permesso di addormentarsi, costringendolo a girarsi e rigirarsi fra le lenzuola. Esausto, aveva quindi optato per rinunciare al sonno.

Qualcosa, dal giorno precedente, lo aveva turbato e sapeva che, fin quando non avesse scoperto che cosa fosse, non sarebbe riuscito a riposare.

E tutto il suo tormento e preoccupazione erano concentrate su un’unica persona, Brian.

Aj, la sera prima durante il party, lo aveva preso da parte e gli aveva detto che, almeno per il momento, il fatto che Brian e Nick si erano messi insieme doveva essere tenuto segreto visto che Kevin ancora lo ignorava. A precisa domanda, Aj aveva inoltre detto che era Brian ad essere spaventato dalla reazione del maggiore, anche se né lui né Nick riuscivano a spiegarsi quel terrore nel giovane. E ciò riportava, nella mente di Howie, a quelle poche parole che aveva sentito intercorrere tra i due cugini quando era andato a richiamarli per il meeting.

Ora, spiare non era stata sua intenzione ma non era riuscito a farne a meno, interromperli gli sembrava davvero scortese visto che la discussione pareva essere abbastanza seria. Talmente seria che, per una volta, aveva visto il maggiore perdere il controllo su emozioni che solitamente riusciva a tenere a bada. Non erano state le parole ma il tono duro, quasi rabbioso, che lo aveva messo in allerta.

Che gli aveva messo il tarlo sull’idea che i due cugini tenessero nascosto un brutto segreto.

Ma come scoprirlo?

Non poteva andare in giro a fare domande, Kevin e Brian avrebbero, di certo, negato che ci fosse qualcosa che non andava.

No, doveva arginare quel problema.

Guardandosi in giro alla ricerca di qualcosa che potesse aiutarlo, i suoi occhi caddero sul portatile appoggiato allo scrittoio.

Certo, poteva cercare su internet, anche se non sapeva che cosa.

Recuperato il portatile, Howie lo aprì e lo accese, insicuro su come avrebbe potuto trovare informazioni utile. Una vocina nella sua mente gli rammentava che non erano affari suoi e che c’era un motivo per cui Brian e Kevin avevano taciuto tutto quel tempo ma... erano una famiglia ed una famiglia doveva farsi forza a vicenda. Aiutarsi e Brian aveva bisogno di quell’aiuto, glielo si leggeva ancora negli occhi.

Dopo qualche lento minuto, Howie poté entrare in internet, la pagina del motore di ricerca luccicava davanti ai suoi occhi.

Non sapeva da dove iniziare, però.

Sapeva solo che, qualsiasi cosa fosse, doveva essere accaduta quando Kevin si era già trasferito ad Orlando. E questa considerazione lo portò a digitare la parola “Disneyland” nella stringa di ricerca.

Aggiunse i due nomi, Brian Littrell e Kevin Richardson e poi cliccò il pulsante invio.

Come preventivato, i primi risultati erano schede prese dai siti delle fans, articoli dei giornali di Lexington sui due cugini che avevano trovato il successo nel mondo della musica.

Era inutile, era come cercare un ago in un immenso pagliaio, si disse Howie mentre si massaggiava le tempie.

“Kev, hai mai portato Brian a Disneyland?” la domanda l’aveva posta Nick, prendendo le ultime patatine rimaste.

“Mh?” aveva chiesto Kevin, assorto in un libro.

“Quando lavoravi a Disneyland, hai mai invitato Brian?”

“Una volta.” Fu la risposta piatta del maggiore. “L’anno prima che papà morisse.”

Bingo!

Quel ricordo era dei primi giorni nell’appartamento che lui, Brian e Kevin avevano condiviso: quando le prove duravano fino a tardi, capitava spesso che Aj e Nick si fermassero a dormire da loro, per evitare alle loro madri di fare avanti ed indietro.

A mente lucida, mentre riviveva quel momento, Howie focalizzò la sua attenzione sull’espressioni del viso di Kevin. Non aveva mai fatto caso al fatto che sembrava essere quasi impallidito di fronte a quella domanda o di come poi avesse cambiato immediatamente discorso.

E se quel qualcosa fosse successo durante proprio quel periodo?

Tentare non costava nulla, al massimo avrebbe fatto un buco nell’acqua ma, dall’altra mano, poteva rivelarsi essere l’esatta deduzione.

Con quel satori improvviso, Howie aggiunse alle sue parole chiavi la data 1990, ricordandosi che il padre di Kevin era morto l’anno successivo.

Ricevette pochi risultati, il primo era un post in un blog che ripercorreva cronologicamente tutti i loro eventi più importanti – lo salvò per poi controllare se almeno in quelli veniva citato – e passò al successivo, cestinandolo immediatamente quando si accorse che era solamente una foto di Kevin con il costume di scena. Ne aveva viste anche troppe di quel tipo!

Con il mouse, scrollò velocemente gli altri risultati, picchettando nervosamente le dita sui tasti del computer  fin quando la sua attenzione venne catturata dall’ultimo link visibile. Vi cliccò sopra e venne reindirizzato in quello che sembrava essere un archivio di un giornale locale di Orlando.

Il risultato trovato era un articolo dell’epoca, nemmeno troppo lungo.

 

 

 

4 Aprile 1990

DISNEYLAND: MAGICO SOGNO o SPAVENTOSO INCUBO?

 

Immaginatevi quindicenni, provenienti da un piccolo paesino nel sud dell’America, dove ancora si può odorare il profumo delle vecchie origini del nostro paese. Immaginate di non essere mai usciti dai quartieri residenziali e vi si presenta l’occasione, unica, di visitare uno dei posti più desiderati da ogni fanciullo.

Cogliete questa possibilità e, in men che non si dica, vi ritrovate davanti a quel castello che avevate sempre visto all’inizio del vostro film preferito; ad ogni angolo, un personaggio saluta con grandi cenni ed immensi sorrisi mentre viene sorretto da bambini estasiati che chiedono un autografo o una foto.

E voi siete lì, ammirate il tutto con occhi sgranati e sognatori, chiedendovi se non sia solamente un bel sogno, e se, all’improvviso, vostra madre non vi scuota perché siete in ritardo per andare a scuola.

Non sapete esattamente quale attrazione scegliere, è tutto così scintillante, così magico, e voi vi lasciate solamente trascinare dalla corrente di gente, riponendo la vostra fiducia nelle mani che vi accompagnano in questo viaggio.

Non è vostro cugino colui che vi ha portato a Disneyland quel giorno ma vi fidate lo stesso, è il suo migliore amico e se siete stati affidati a lui, significa che non dovete aver paura.

Così, non dite niente quando vi trascina fuori dalla massa, lontano dalle telecamere di sicurezza o dalle guardie che, in borghese e non, pattugliano le zone di maggior influenza.

Ma avete paura, soprattutto quando vi spinge all’interno di una vecchia rimessa, disusata da anni, ormai. Lì nessuno potrà sentire le vostra grida d’aiuto né chiedersi per quale motivo siate spariti.

Nessun supereroe potrà accorrere per salvarvi e questo lo realizzate non appena le porte, cigolanti ed ormai a pezzi, si chiudono dietro di voi, lasciandovi al buio ed in balia del mostro.

Purtroppo, questa non è una storia creata ad hoc per mettere in guardia i giovani a non fidarsi. Per un ragazzino, B.L., originario di Lexington, Kentucky, una gita a Disneyland si è trasformata in un vero e proprio incubo. Per quanto non siano possibili diffondere informazioni più dettagliate, in quanto le indagini sono ancora in corso, la polizia del distretto di Orlando ha divulgato, solamente, il nome del violentatore, Tyler McReid, figlio del più noto Henry McReid, proprietario di una delle più importanti catene di industria farmaceutica del Sud degli Stati Uniti. Tyler McReid si trovava nel parco divertimenti invitato dal cugino dell’adolescente, K.R., che lavorava all’interno di Disneyland. (...)

 

Howie non terminò nemmeno l’articolo e chiuse con uno scatto nervoso il portatile, non volendo più avere sotto gli occhi quelle lettere nere. Era però un tentativo inutile, sapeva che le parole lette sarebbero state incancellabili nella sua mente.

Mio Dio, che storia orribile! Crimini di quel genere erano inconcepibili, non esisteva nessuna giustificazione o alibi, solamente una mente malata e perversa poteva abbassarsi a questo livello.

Il nome di quel mostro, però, non gli estraneo, lo conosceva... aveva la sensazione di averlo già sentito. Il punto focale era quando e dove.

Bingo! Tyler era il migliore amico di Kevin, quello con cui era partito da Lexington per andare a cercare fortuna ad Orlando. Ricordava piccoli commenti ma aveva sempre avuto la sensazione che, qualcosa, nel rapporto fra i due amici si fosse spezzato; inoltre, Kevin era peggio di una statua di granito di sale quando si trattava di rivelare qualcosa di cui non gli andava di parlare.

Gli tornarono in mente le parole che aveva sentito il giorno prima:

“Era il mio migliore amico, mi fidavo di lui. Ma tutto il bene che potevo provare per lui, ora si è trasformato in odio nel momento in cui.. in cui ho visto che cosa ti aveva fatto.”

L’acido odore della bile ricominciò a risalire in bocca mentre il suo cervello metteva insieme i pezzi: Tyler era il violentatore, migliore amico di Kevin e, a meno che questi avesse un altro cugino al di fuori di Brian con le stesse iniziali, Brian era quel ragazzino.

Barcollando, Howie riuscì a raggiungere il bagno e la tazza del water ma tutto quello che uscì furono, solamente, residui di quel poco caffè che aveva sorseggiato poco prima.

Mio Dio, come avevano fatto a non accorgersi di niente? Quando avevano conosciuto Brian, erano trascorsi solamente tre anni dal fattaccio e, a parte un’estrema timidezza nel ragazzo, niente aveva lasciato supporre che qualcosa di così spaventoso e terrificante fosse successo.

Ma, più ripensava e rivedeva il comportamento di Brian, più captava indizi di un malessere... no, non poteva nemmeno definirlo come tale: il senso di disagio che appariva sempre sul volto del ragazzo ogni qualvolta Aj si spingeva oltre con domande sulla sua vita sessuale – era un tarlo fisso per il ragazzo! – o il modo con cui, a volte, si isolava da tutti e da tutto.

E poi c’era Nick.

Il ragazzino era stato il primo a legarsi con Brian, a sciogliere quella timidezza come se fosse neve a sole; senza saperlo, Nick lo aveva aiutato a fidarsi di nuovo, a non avere più paura di qualcuno nella cerchia degli amici di Kevin; in cambio, Brian lo aveva preso sotto la sua ala, assicurandosi sempre che qualcuno fosse al suo fianco.

Assicurandosi che nessuno potesse fargli del male.

Ed ora Nick era diventato il suo compagno, non solo di scherzi. Doveva essere stato un grande passo per Brian e capiva per quale motivo fosse sul chi va là nel raccontarlo a Kevin.

Quando fu sicuro che il suo stomaco potesse rimanere tranquillo per più di qualche minuto, Howie si rialzò e si avvicinò al lavandino, spruzzandosi addosso acqua gelata per riprendersi; avrebbe di certo dovuto inventarsi qualche scusa per il suo aspetto, considerato anche che tutti sapevano quanto prezioso e sacro fosse per lui il sonno. Ma, fatto ancor più importante, doveva decidere come comportarsi con i due ragazzi.

Comportarsi normalmente?

Certo, quella sarebbe stata la cosa più logica da fare ma Howie rifletté che sarebbe stato impossibile, non con quella spada di Damocle sopra la sua testa.

Doveva sapere se le sue erano solamente le supposizioni di una mente privata da sonno e dalla mancanza della sua fidanzata, oppure se qualcosa in quel contorto disegno fosse vero.

Rientrando in camera, lo sguardo gli cadde sull’orologio: erano già le nove, qualcuno di sicuro era già nella sala comune a far colazione. Kevin di sicuro, Aj molto probabilmente stava ancora dormendo con chiunque si fosse portato in camera la sera precedente; Nick e Brian erano un punto di domanda ma, almeno, avrebbe potuto discuterne con il maggiore.

Risoluto nella sua decisione, si vestì velocemente e poi uscì dalla camera.

Al tavolo, già apparecchiato per la colazione, vi erano solamente due persone: Brian e Kevin. Il maggiore era, come sempre, assorto nel giornale del giorno, un piatto di pancake e frutta davanti a lui; il minore, invece, teneva lo sguardo basso e giocherellava, o meglio trafiggeva, una fragola solitaria.

“Bri, non farmi passare sempre per la matrigna cattiva.”

Anche senza sapere l’inizio della discussione, Howie sapeva benissimo a che cosa si riferisse Kevin: da buon maggiore, si assicurava sempre che tutti loro mangiassero ad ogni pasto e dormissero il giusto numero di ore. Ma ora, con quelle nuove notizie in suo possesso, poteva vedere che c’era una sottile e più profonda preoccupazione nelle sue parole.

Come se fosse impaurito che Brian potesse cadere in qualche sorta di circolo vizioso.

“Kevin, per favore, ho assistito Nick che rimetteva quello che aveva digerito nelle ultime settimane tutta notte! Solo il pensiero mi dà la nausea.” Fu la risposta di Brian, accompagnata da una più che significativa espressione di disgusto.

“Ciò non toglie che devi mangiare qualcosa. Abbiamo una giornata piena di impegni, hai bisogno di energie, soprattutto visto che non hai dormito molto.”

Prima che Brian potesse strozzare Kevin, evento che aveva molte probabilità di succedere con un Brian privo di sonno e nervoso, Howie annunciò la sua presenza schiarendosi la voce.

“Buongiorno ragazzi.” Disse prendendo posto accanto a Kevin. “Bri, hai una faccia!”

“Grazie... prova te a stare alzato tutta notte mentre Nick sta male! Gli ho detto di non mangiare tutte quelle ostriche e lui mi ha ascoltato? No, ovviamente! Così all’una, o forse erano le due, mi sveglia perché gli fa male la pancia e ha la nausea. L’inizio dell’incubo.”

“Ora come sta?”

“Sta dormendo, ha smesso di fare l’imitazione dell’esorcista verso le sei, credo.”

Kevin interruppe il discorso portando via la povera fragola che stava subendo la tortura da parte di Brian. “Ehi!”

“Non si gioca – o tortura – il cibo.”

Brian alzò gli occhi al cielo sconsolato. Howie approfittò di quel momento per chiedersi come avrebbe potuto parlare di ciò che aveva letto. E se si stesse sbagliando?

“Howie, sei un po’ pallido... sei stato male anche tu?”

Howie alzò lo sguardo, incontrando quello preoccupato di Brian. “Non ho dormito molto.” Ammise. “E ho avuto la bella idea di ammazzare il tempo navigando un po’ su internet.”

“Ora si spiega perché sei pallido!”

“Trovato qualche gossip interessante?”

“Qualcosa sì, anche se non lo chiamerei gossip.”

“Che cos’era allora?”

“Un articolo su un brutto caso di violenza, accaduto dieci anni fa. A Disneyland.” Howie aveva scelto accuratamente le parole, preferendo iniziare al largo. Magari stava solamente prendendo una cantonata e quel B.L. era un Brandon, Blake o qualsiasi altro nome che non fosse Brian.

“Oh.” L’unico a commentare era stato Kevin, un’espressione intellegibile sul volto.

“Già, una brutta storia.” Scosse la testa, cercando di scacciare via quelle immagini. “Un abuso su un quindicenne. Suo cugino lavorava nel parco divertimenti ed era riuscito a farlo entrare insieme al suo migliore amico.”

Howie fece una pausa, intenzionalmente.

“Che cosa gli è successo?” domandò Brian, in un flebile sussurro. Non osava, però, alzare lo sguardo, per paura che i suoi occhi potessero tradirlo.

La domanda spiazzò completamente Howie, non si era aspettato che proprio Brian gli chiedesse ciò, quando lui avrebbe desiderato di sorvolare sui sordidi dettagli.

Si schiarì la voce, forse così le parole avrebbero trovato la strada per uscire.

“Non credo che siano discorsi da affrontare di prima mattina.” Interruppe però Kevin. Si sentiva a disagio mentre mille domande tempestavano la sua mente: come poteva sapere? Quanto sapeva? E dove aveva trovato quell’articolo?

In un certo senso, Howie fu riconoscente di quell’interruzione. “Hai ragione. Magari, però, tu puoi averne sentito parlare. Lavoravi ancora a Disneyland, giusto?”

“Sì, sentito sì. Ma non è che conoscessi tutti i miei colleghi.” Rispose Kevin in una finta tranquillità di spirito.

“Io non ho mai detto che si trattasse di qualcuno che lavorava all’interno di Disneyland. Ho solo detto che il cugino ci lavorava.”

“Oh.” Commentò Kevin, maledicendosi per l’errore commesso. “Ho pensato che, con la tua domanda, ti riferissi a qualcuno di specifico.”

“Beh, magari sai a chi appartengono le iniziali B.L. e K.R..”

“Dovrei?” ribatté Kevin, inarcando il sopracciglio come sempre quando era sofferente su una questione. Il che faceva intendere a Howie che aveva centrato l’obiettivo. Alzò le spalle, come se la risposta fosse irrilevante. “Fu un caso che fece abbastanza scalpore: un bambino violentato in uno dei più magici parchi di divertimento. Luogo in cui tu lavoravi. Mi pare un po’ improbabile che tu non lo sappia o...”

“Dove vuoi andare a parare, Howie? Pensi che sia stato io?” interruppe Kevin, il tono di voce lievemente adirato.

“No, ovviamente no!” esclamò lui. “Non intendevo questo!”

“Cosa intendevi, quindi.” Ribadì Kevin, ritrovando un tono calmo.

“Intendevo... non so quante persone ci possano essere con quelle iniziali, Kevin. Non lo trovi un po’ strano per essere semplicemente una coincidenza? Ed il tuo amico, quello di cui non vuoi mai parlare...”

“Scusate... vado a controllare Nick.” balbettò Brian, alzandosi di scatto.

Kevin aspettò di sentire il tonfo della porta che sbatteva chiudendosi, assicurandosi così che Brian fosse a distanza di sicurezza per non sentire ciò che stava per dire. Ma, prima che potesse pronunciare una sola sillaba, Howie lo precedette. “E’ vero, quindi? È Brian quel bambino?”

“Non so di che cosa tu stia parlando.” Evitò di rispondere Kevin.

“Cazzate! Per quale motivo, allora, Brian è impallidito tutto ad un tratto nel sentire ciò?”

“Howie.” Pronunciò Kevin, una freddezza che nascondeva una rabbia furiosa. “Non immischiarti in faccende che non ti riguardano, okay?”

Howie comprese di aver fatto centro, non era un’ammissione, certo, ma nemmeno una negazione. “Se temi che possa raccontarlo in giro, stai prendendo un granchio. Ma... mettiti nei miei panni, leggo una cosa di quella portata, voi vi comportate in questo modo...”

Kevin non sapeva come uscire da quell’impasse, Howie non avrebbe mollato l’osso fin quando non avrebbe scoperto la verità. “Howie...”

“Kevin, so benissimo che non sono affari che mi riguardano, anzi no, ci riguardano perché tutti noi vi vogliamo bene, ma... se ciò fosse vero...” Howie rabbrividì a quel pensiero. Per quanto volesse scoprire la verità, ne era altrettanto spaventato.

“Non cambierebbe nulla, okay? Se e mai fosse vero, è qualcosa successo nel passato.”

“Ma...”

“Ma un corno, okay?” gridò in tono perentorio Kevin. “Vedi di farti gli affari e non fare nessuna domanda a Brian.” ordinò poi, prima di alzarsi. Non furono le parole e nemmeno il tono di voce, di un freddo glaciale, ad impaurire Howie fin nel profondo. No, fu lo sguardo, riflesso in quegli occhi verde smeraldo, a renderlo totalmente prigioniero di una paura sconosciuta: era un’espressione di lucido odio, una folle rabbia di cui aveva letto solamente le descrizioni in libri, mai vista dal vivo.

Mentre inerme osservava l’amico che si chiudeva nella sua stanza, Howie lasciò libero il respiro che gli si era bloccato in gola.

Aveva scoperto il vaso di Pandora.

 

 

*********

 

“Cambiamento di programma: rimarranno a New York fino alla fine delle settimana.”

Come sempre, non erano serviti convenevoli, saluti o la banale domanda su com’era il tempo; quando si trattava di lavoro,  Ryan andava dritto al sodo, senza girarci attorno.

Tyler, dall’altra parte del telefono, si tirò su di scatto dalla poltrona sulla quale sedeva, spegnendo velocemente la televisione accesa in lontananza. E sì, lo schermo di quel vecchio televisore era ancora sintonizzato sulla rete musicale, mandando in onda le immagini che alimentavano, di minuto in minuto, la sua ossessione.

Lo strano scherzo del destino aveva voluto che lui scegliesse proprio la Grande Mela come suo rifugio: lontano da Orlando e lontano da quel ragazzino che gli aveva rovinato la vita. Ma ora... ora, sapere che lui era così vicino faceva aumentare rapidamente i battiti del suo cuore mentre il suo sangue ribolliva al pensiero di quello che avrebbe potuto fargli.

Aveva bisogno di toccarlo.

Sfiorare la sua pelle, rassicurarsi che il tempo non avesse lasciato segno su di essa. Poter sentire, da intima vicinanza, la sua voce librarsi fra le note acute...

“Faranno un concerto acustico sabato alla Radio City Hall, solamente per le fans. I biglietti verranno messi in vendita domani.” La voce di Ryan lo riportò alla realtà, strappandolo dalle sue fantasie.

Ecco la sua occasione.

“Procurarmi un biglietto.”

“Cosa?” fu la domanda sconcertata che ricevette in risposta. “Ne è sicuro? Questo non era...”

“... Non era previsto nel piano. Lo so, Ryan.” Sibilò Tyler nella cornetta. “Sono io che ti pago. Quindi ubbidisci ai miei ordini.”

“Potrebbe essere rischioso. Potrebbe essere riconosciuto.” Obiettò Ryan, fatto che nei lunghi anni di carriera era accaduto rare volte. I ruoli, in quei casi, erano sempre ben definiti: lui era un semplice subordinato, veniva pagato per precisi servizi e non importava ciò che pensasse o meno.

Ma quel lavoro era così differente da quelli che aveva accettato in passato: era occorso quasi un anno solamente per la preparazione, per costruire una rete di informatori in grado di seguire una stupida boyband in giro per gli Stati Uniti.

E l’ossessione del suo capo per uno di quei cantanti era così potente da spingerlo a buttare alle ortiche un piano pianificato nel minimo dettaglio.

Esattamente come in quel momento.

“Non m’importa. Anzi, se lui mi nota...”

L’idea era nata all’improvviso ma poteva funzionare.

“Lui e... come diavolo si chiama ancora?” domandò Tyler all’improvviso.

“Si riferisce a Carter?”

“Già. Lui.” Rispose l’uomo con amare parole. Lui che poteva stare con Brian e non sapeva quanto era fortunato di ciò; lui che non avrebbe mai amato quel ragazzo come faceva lui. “Sono ancora divisi?”

Uno dei compiti di Ryan era quello di tenerlo informato su tutti gli sviluppi, grazie ad un informatore infiltrato fra la cerchia di assistenti e tecnici che seguivano il gruppo.

“Fino all’altro giorno, sì.”

“Dovrebbe avere paura di Carter.”

“Oserei dire che siano diventati molto più intimi.”

La rivelazione fu una docciata d’acqua gelata per l’uomo, riscaldato immediatamente dopo dal bruciante fuoco della gelosia: come osava? Aveva fatto tutto affinché si accorgesse di quanto pericoloso potesse essere il biondino e lui, lui che cosa faceva? Andava con lui?

Doveva salvarlo.

“Non va bene. Cristo!”

L’uomo incominciò a camminare nervosamente avanti ed indietro, segnando un cerchio attorno al divano. Il suo piano gli si stava rivoltando contro e non poteva permettere ciò! Doveva avere la sua vendetta, doveva far loro pagare quegli anni di isolamento, di torture – e non solo mentali – che aveva dovuto subire per quell’accusa che pendeva sulla sua testa.

Si bloccò di fronte alla finestra, imponendo a se stesso di calmarsi. Non tutto era perduto.

Riflettere.

Non gli importava di stare tenendo ancora in linea Ryan, sapeva che non si sarebbe mai azzardato a chiudere quella conversazione fin tanto che non gli avrebbe dato precisi ordini.

Conosceva la mente di Brian, sapeva come funzionava: voleva dimostrare al mondo intero che quel piccolo incidente accadutogli non lo aveva scombussolato ma lo aveva reso, invece, più forte.

Non aveva ancora collegato la sua aggressione a lui... e come poteva, del resto?

Ciò gli dava spazio per agire, indisturbato.

“Ryan. Procurarmi un biglietto, non nelle prime file. Deve essere un posto abbastanza appartato, in modo che non mi si possa vedere bene.” ordinò con tono deciso all’indirizzo di Ryan. Ma la sua mente continuava a macinare le idee, creare scenari possibili e non. Show acustico. Ripensò all’unico che avevano fatto, le immagini di quei video erano stampate nitidamente nella sua mente: Brian era seduto in mezzo, Kevin alla sua destra. Ma quella volta avrebbe cambiato posizione, ne era sicuro; era ancora fragile, spaventato di poter essere al centro dell’attenzione quindi avrebbe scelto un posto più defilato, quasi all’ombra. “Solo Brian mi deve vedere.”

“Ne è sicuro?”

“Sì. Deve pensare di non essere più al sicuro, che il “fantomatico” mostro è tornato per riprendere da dove era stato interrotto. Ma nessuno gli crederà, suo cugino penserà che è solamente una reazione del suo subconscio e non credo che gli altri idioti ne siano a conoscenza.”

Ryan evitò di commentare la crudeltà del suo capo, così mormorò semplicemente un assenso.

“Inoltre, voglio che richiami il tuo biondino. Potremo avere ancora bisogno di lui.”

Senza saluto o congedo, Tyler chiuse la telefonata e lanciò il telefonino sul divano. Raggiunse la piccola scrivania ed aprì uno dei cassetti, tirando fuori con assoluta cautela ed attenzione un plico marrone. Con altrettanta cura, aprì la busta e prese solamente la prima foto, quella che osservava abitualmente ogni giorno.

Per lui, era la migliore, catturava in modo subliminale la bellezza angelica di Brian.

Con un polpastrello, accarezzò i lineamenti del viso, soffermandosi sulle labbra, socchiuse mentre stava per urlare un grido d’aiuto.

Presto... sì, presto quelle labbra sarebbero state sue e, da quei soffici lembi di pelle, sarebbe uscito solamente il suo nome. 

 

 

 

 

 

*********

 

Satori: il satori è il momento dell'illuminazione nella pratica del Buddismo Zen.

 

Sì, lo so! Pensate che sia un'illusione, vero? Invece no! E' proprio un nuovo capitolo! Abbastanza corposo, oserei dire, visto che succede molto, soprattutto ai fini della trama. Habemus nomen! Ora al pazzo potete dare un nome e sapete, a grandi linee, che cosa é accaduto al nostro povero Bri! (anzi, Bri - bear!). Che cosa succederà, ora? Boh, nemmeno io lo so! lol

In parte, il prossimo capitolo é già pronto, quindi potrei aggiornare più velocemente!

Ringrazio tutti quelli che seguono ed un ringraziamento particolare a coloro che mi sostengono, leggono, correggono! Love you girls!

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Capitolo 16
*** - Quattordicesimo Capitolo - ***


Quattordicesimo Capitolo

 

 

 

 

 

 

 

Tante cose erano successe in quel breve ma intenso lasso di tempo.
Quanto era trascorso?
Dieci giorni?
    Brian non riusciva a ricordarsi esattamente quanti fossero – o, forse, non voleva dare importanza a ciò che aveva dato inizio a tutto – ma sapeva che non erano molti. E, dopo tutto quello che era successo, dopo tutti i cambiamenti che erano avvenuti nella sua vita, era strano ritrovarsi nella stessa posizione in cui tutto era incominciato, anche se a chilometri e chilometri di distanza: la pioggia che picchettava contro il vetro della finestra, il cielo ingrigito da nubi che non promettevano nulla se non un bel temporale e le fronde degli alberi scosse da un vento che aumentava in intensità di minuto in minuto..
    Quella sera, quella lontana sera, le forze della natura avevano ascoltato la sua anima e deciso di suonare una sinfonia dalla stessa melanconica melodia. Li ricordava ancora quei pensieri, ricordava esattamente come si era sentito, quasi come se quel temporale che sbraitava fuori dalla finestra fosse la perfetta rappresentazione di quello che cercava di venire allo scoperto dentro di lui. A volte, il passato tornava così ferocemente che tutto quello che lui riusciva a fare era mettersi in un angolo e lasciarlo urlare, conscio che una volta terminato, il mostro sarebbe stato più debole e per lui sarebbe stato più semplice riprendere in mano le redini e ritornare ad essere ciò che era e, soprattutto, la persona che era diventato.  
    E ora, in un imprecisato tempo successivo, si ritrovava a cercare di fare la medesima cosa. Si ritrovava, ancora una volta, a trovare un equilibrio prima che qualcuno si accorgesse di quanto fosse alla deriva, trascinato al largo dai demoni del passato senza niente a cui aggrapparsi. Quante notti aveva trascorso insonne, gli occhi spalancati mentre attorno a lui danzavano ombre sinistre, cercando di trattenere i singhiozzi che avrebbero attirato attenzione su di lui? Quante volte si era nascosto ed aveva usato il sorriso come lasciapassare per le domande scomode, sperando che qualcun altro intervenisse e prendesse lui il posto sotto i riflettori? Quanti momenti erano stati quasi decisivi, quante volte era stato sul punto di lasciarsi andare solo per aver, finalmente, qualcuno a cui urlare tutta quella rabbia che cullava dentro di sé? Invece, puntualmente, l’orgoglio e la testardaggine lo obbligavano a ributtare giù quel boccone e a nascondere quel bagaglio ingombrante in qualche meandro, sperando, illudendosi, che un giorno potesse scomparire, esattamente come era apparso dal nulla.
    Per qualche anno, ci era riuscito.
    Fingere era diventato quasi una perfetta recita e lui conosceva il suo ruolo: sorridere, giocare, scherzare, questo era tutto ciò che richiedevano da lui. Fintanto che nessuno sapeva, fintanto che nessuno nemmeno sospettava ciò che era successo, anche lui poteva comportarsi come se niente fosse accaduto, quasi come l’anno dei suoi quindici fosse solamente un enorme buco nero in cui tutti i ricordi erano stati risucchiati. Quasi come se non fosse stato lui quel bambino che aveva dovuto lasciare quel paradiso per bambini su una barella. In un certo senso quella era la verità: il Brian quindicenne era morto quel giorno, l’innocenza rubata in un battito d’ali spezzate per sempre. Da quelle ceneri ne era sorto un altro, forse non completamente guarito, forse non completamente differente da chi era stato precedentemente, ma con la forza e la voglia di non lasciarsi abbattere così facilmente. Ma da qualche parte, nascosto dentro la sua anima, c’era un vuoto che a volte prendeva il sopravvento: era il desiderio di essere sorretto da delle braccia attorno a lui, la rassicurazione che niente avrebbe potuto modificare o cambiare i rapporti creatosi negli anni, la sicurezza di una protezione che non era mai riuscito a crearsi e, più semplicemente, la voglia di essere esattamente come gli altri e buttarsi in quell’amore che aveva solamente sognato e a cui si era aggrappato quando i momenti bui superavano quelli positivi. 
    C’era quasi riuscito, si stava lentamente spogliando di quel pesante drappeggio quando era arrivata quella fatidica serata. Non poteva dimenticarla, nemmeno se dava fondo a tutte le sue energie pur di cancellare quei minuti. Ricordava ogni attimo, rivedeva le immagini come se stesse guardando un film ma senza la possibilità di interromperlo quando arrivava una scena troppo cruda o troppo spaventosa. Ricordava l’alito, un misto tra fumo ed alcohol; ricordava l’aria pungente di pioggia, la brezza che aveva contribuito ad abbassare ancor di più la temperatura del suo corpo... poteva continuare con quell’elenco ma non avrebbe cambiato il fatto che era successo e che aveva riportato tutto a galla. Da quella notte lui era ritornato ad essere quel bambino, indifeso contro il senso di impotenza che era ritornato ad avvolgerlo, insieme a tutte quelle ansie e paure che lo riducevano sempre in preda al panico durante il giorno e prigioniero degli incubi durante la notte. E più il tempo passava, più trovava difficile nascondere a tutti il suo malessere. Era questo che non capiva, come mai non riusciva più a comportarsi come se niente fosse successo? Ci era sempre riuscito ma, ora, sembrava quasi che ogni suo asso fosse stato smascherato e lui non aveva più la forza e l’energia per creare nuove maschere.
    Forse, per la prima volta, non sentiva più quel bisogno quasi primordiale di cercare un angolo e lasciare che il mondo continuasse la sua rotazione mentre lui cercava di riprendersi. Era un pensiero simile ad una lama a doppio taglio: da un lato, era quasi un sollievo non doversi sempre nascondere, lasciare che gli altri capissero quel suo bisogno di riprendere fiato e farsi aiutare, anche se non ne era abituato; dall’altro, aveva sempre cercato di nascondere le sue fragilità e mostrarsi così debole, così esposto all’occhio giudice degli altri lo spaventava ancora di più. Che cosa avrebbero pensato i suoi amici? Che cosa avrebbe pensato Nick?
    Era tutto quello a cui riusciva a pensare, la reazione di Nick. Ed era stata quella a bloccarlo ogni volta perché tutto poteva sopportare tranne che perdere il ragazzo che, senza nemmeno saperlo, era stato l’unico punto fisso nel suo cielo. Ogni volta che era stato sul punto di arrendersi, ogni volta che stava per lasciarsi catturare dai suoi demoni o che perdeva la speranza di essere finalmente una persona completa, e non solamente un corpo che camminava privato della sua anima, Nick lo aveva riportato sulla retta via. A volte, semplicemente con la sua presenza: gli bastava guardarlo per convincersi di nuovo che nel mondo esistevano ancora persone speciali, persone che non gli avrebbero fatto del male alla prima occasione. Osservarlo mentre rideva, osservarlo assorto in un videogioco o mentre leggeva un fumetto, era una ventata di aria fresca: gli dava la possibilità di ricordarsi che il mondo ancora girava, che cose belle nascevano ogni giorno e non c’era bisogno di ritornare sempre in quell’angolo oscuro che occupava gran parte della sua mente. In Nick risiedevano tutte le sue speranze, in Nick aveva concentrato ogni sua energia in modo da avere sempre un appiglio a cui aggrapparsi per non cadere.
    I sogni, le sue speranze di un giorno poter stare insieme, non erano mai stati così reali se non da quella terribile notte. Era strano, come poteva qualcosa di così bello essere nato da un avvenimento così pregno di negatività? Eppure era proprio così, perché già da quelle ore che era nato quel vitale e fondamentale cambiamento nel loro rapporto. La litigata, le urla, le recriminazioni e le paure li avevano uniti mentre la sua stessa ammissione di aver bisogno di stare con Nick per sentirsi meglio aveva abbattuto una difesa e, come tessere di un intricato domino, anche tutte le altre erano cadute una dietro l’altra. Quella sera, erano state le braccia di Nick a tener lontano ogni fantasma del passato ed impedirgli di incontrare il nuovo incubo; era stato il respiro ed il battito del suo cuore a tener calmi i suoi, cullandolo lontano dal panico e dal terrore e dal pensiero che era stato ancora sul punto di cadere nel vuoto ma, almeno questa volta, qualcuno lo aveva salvato. 
    Era stata quella notte, quel particolare momento in cui lui era crollato nell’abbraccio di Nick, che aveva stravolto tutto: ruoli invertiti, sentimenti che non erano più riusciti a rimanere confinati in quel piccolo spazio dove entrambi, consciamente e non, li avevano relegati. E quel momento che avevano scambiato in bagno? Ricordava di essersi perso, come sempre, negli occhi azzurri di Nick, pronunciare frasi su una fantomatica ragazza quando, in realtà, stava parlando di lui come la persona che lo avrebbe amato per tutto quello che era, pregi e difetti compresi. Oh, lo amava, certo, lo amava così totalmente da aver abbandonato qualsiasi altra ricerca e semplicemente messo in stand – by la sua vita perché, almeno, poteva essere suo amico e sperare in qualcosa di più, un giorno. Ma era proprio grazie a quel sentimento che aveva accettato anche gli aspetti non molto positivi del ragazzo, come il suo ricercare sempre l’attenzione perché era così che era stato cresciuto e perché, per molti anni, aveva dovuto sgomitare per essere accettato così com’era. Brian era abituato a non aspettarsi niente da lui, a dover mettere da parte le sue preoccupazioni per occuparsi e risolvere quelle del suo miglior amico. E l’aveva sempre fatto senza mai avere remore o noie perché era così liberatorio potersi sentire in grado di occuparsi di qualcuno invece che focalizzare ogni energia mentale sui suoi traumi. 
    E proprio per questo, si era aspettato le urla e la confusione una volta che Nick si era reso conto che anche lui provava qualcosa, un sentimento molto più forte della semplice amicizia. Perché Nick era così, all’inizio si spaventava sempre, specialmente quando entravano in gioco le emozioni e mettere a nudo la propria anima; si richiudeva a riccio, armi ben alzate per ferire chiunque stesse cercando di avvicinarsi e ferirlo lì dove avrebbe fatto più male. Tanti avevano tentato di farlo, soprattutto chi avrebbe dovuto amarlo ed invece lo aveva semplicemente usato per quello che era diventato e tutti i benefici che derivavano dalla sua posizione. Ma una volta superato quell'ostacolo, una volta messo a riposo le armi e la paura, Nick era in grado di donare anche il suo cuore se fosse stato necessario.
    Brian appoggiò il mento sulle ginocchia e la fronte sulla superficie fredda del vetro: nonostante il cielo grigio, nonostante le luci ad intermittenza dei lampi, New York non perdeva nemmeno un grammo del suo fascino. Adorava quella città, adorava come il verde e la natura si immergeva così perfettamente con i grattacieli e la caotica vita di una metropoli come quella.  Ma quella mattina, nemmeno lo spettacolo newyorkese riusciva a distoglierlo dai suoi pensieri. Anche se non voleva, anche se tutto quello che voleva fare era dimenticare, svegliarsi ed accorgersi che niente gli era successo, se non quella non minima differenza di avere Nick accanto a lui.
    Nick.
    Non voleva ripensare a come Nick si era comportato dopo quel bacio, esattamente per lo stesso motivo per cui non voleva ripensare ai giorni successivi e a quanto fosse stato sul punto di arrendersi. Eppure, anche quello era stato un momento di svolta, come se qualcuno avesse preso il mondo e l’avesse fatto girare fino a che tutto tornasse alla normalità. E lì, nell’attimo più duro, ecco che Nick aveva ripreso la lucidità. Non poteva certo dire di aver completamente dimenticato ciò che gli aveva fatto o di come lo aveva fatto sentire ancor così debole. E sapeva che il ragazzo ancor si torturava per come si era comportato, già lo immaginava a domandarsi come lui aveva fatto a metter da parte tutto ed accettarlo nella sua vita.
    Era contorto anche per lui quel ragionamento, eppure, Nick era la sua speranza, la sua unica opportunità per essere veramente felice e sentirsi un ragazzo normale, il Brian che avrebbe sempre dovuto essere e che, invece, non aveva mai avuto la sua possibilità di volare. Nonostante l’aver cercato di dimenticare tutto, comportarsi come se niente fosse successo, non era mai riuscito ad essere completamente se stesso. Fidarsi di qualcuno, sperimentare, lasciarsi guidare dalla curiosità, erano tutte cose che non aveva mai nemmeno tentato di provare. Riportavano a galla solo brutti ricordi e dolore. 
    Eppure, con Nick, tutto era diverso. Forse, perché quel Nick era totalmente differente da quello che aveva sempre conosciuto. Che fosse in parte dettato dal senso di colpa, non aveva importanza, perché in tutto quello che ora faceva Brian vi leggeva un sentimento che aveva sempre sognato e mai pensato realmente che potesse essere una realtà. Non era stato solamente il discorso che gli aveva fatto il giorno prima, no. Brian sapeva, per esperienza, che non doveva quasi mai dar peso a promesse fatte a parole perché spesso erano solamente quello, un’insieme di vocali e consonanti senza peso. Potevi aggrapparti a quelle parole, potevi circondarti di quelle promesse, ma sarebbe stato più doloroso il momento in cui ti saresti voltato e ti saresti accorto che non avevano seguito e che, ancora una volta, la solitudine era l’unica compagna al tuo fianco.
    Ma Nick non si era fermato solo a quello. Non gli aveva solo promesso di aiutarlo e di prendersi parte del suo peso alle spalle. No, lo aveva anche e soprattutto messo in pratica.  Mai Brian aveva assistito ad un Nick così completamente attento a qualcun altro. Non si era comportato come Kevin, tempestandolo di domande su come si sentisse ogni cinque secondi e chiedendogli continuamente se avesse bisogno di qualcosa. Il più delle volte, era quel continuo rimbrotto di domande a renderlo oltremodo ansioso e pronto a uscir fuori dalla sua pelle in modo che la smettesse di prudere in modo così infernale. Oh, sapeva che quello era il suo modo di dimostrare il suo affetto e, molto più spesso di quanto volte avrebbe ammesso, gliene era grato ma a volte voleva solamente essere considerato ancora un ragazzo normale. Nick, invece, aveva fatto tutto l’opposto, sapendo intuire alla perfezione quando lui voleva essere lasciato in pace e l’esatto momento in cui il panico era lì, pronto ad abbattersi su di lui. Dopo anni ed anni ad essere sempre stato l’eroe di qualcuno, ora era lui ad essere salvato da un eroe. E non era così brutto, forse perché Nick lo aveva fatto in modo così silenzioso e per niente appariscente che era stato semplice abituarsi ad avere qualcuno al suo fianco, delle dita che si stringevano attorno alle sue quando l’aria incominciava a diradarsi e sembrava così difficile respirare. 
    Ma sarebbe durato? Sarebbe stato così facile abituarsi a quel tipo di comportamento ma come avrebbe fatto se, dall’oggi al domani, Nick avesse cambiato idea? E lui sapeva che c’era solo una cosa che avrebbe potuto far scappare Nick a gambe levate. Quel segreto che si portava dietro e che lo stava avvelenando da quel lontano giorno. Poteva continuare a definirlo un segreto? Howie ora sapeva, non ci sarebbe voluto molto prima che anche gli altri lo scoprissero.
    A lui interessava solo la reazione di Nick. Se si era arrabbiato così tanto per avergli tenuto nascosto i suoi sentimenti per cinque anni, che cosa avrebbe fatto quando avrebbe scoperto che aveva un segreto ancor più grosso chiuso dentro di sé? Se... oh, era già straziante pensare quelle frasi senza nemmeno terminarle, ma se lo avesse abbandonato? Ed avrebbe avuto tutte le ragioni di questo mondo, giustificazioni che chiunque avrebbe trovato lineari e valide. Chi mai voleva qualcosa che era già stato, non solo usato, ma anche abusato? Non sarebbe mai stato nuovo di zecca, non sarebbe mai stato uno di quei splendidi trofei che chiunque vorrebbe mettere in mostra. E, forse, stava lì, in quei termini ed aggettivi, la differenza fra come era stato e com’era ora che aveva Nick al suo fianco. Erano state poche ore, pochi giorni, ma già era come se fossero legati insieme da sempre. E Nick, oh, Nick non lo faceva sentire come un oggetto, qualcosa per cui valeva la pena dannarsi così tanto ma poi buttare via al primo uso. Era successo con Tyler, anche se quell’esperienza non poteva contare come essere stati corteggiati, no? Oh no, decisamente no. Era successo però con Leighanne, nonostante la donna fosse ora la sua più grande amica. Ma come fidanzati? Lo erano forse mai stati? Un matrimonio non viene considerato tale se non viene consumato, altrettanto forse si poteva dire di un fidanzamento? Lui vi aveva provato, tentativi falliti uno dietro l’altro, ma almeno dietro a quelli c’era stata tanta buona volontà. Forse, era stato ancora troppo giovane, forse il male si era così insediato dentro di lui da essere un veleno ormai in circolo nel suo sangue da troppo tempo per essere risucchiato via così velocemente. O, forse, perché lei non era Nick, l’unico con il quale riusciva a provare qualcosa che, sì, lo spaventava ma lo lasciava anche avvolto in una coperta di desiderio difficile da separarsene. Come poteva farlo ora? Ora che aveva provato che cosa significasse essere il centro del mondo di Nick, ora che aveva provato ad essere preso cura e trattato come se fosse qualcosa di prezioso. Non un trofeo, non un oggetto da poi mostrare con orgoglio nella propria collezione: era, invece, la sensazione di essere un quadro prezioso, non uno di quei capolavori così tanto adorati nel mondo, ma semplicemente qualcosa che andava celato dall’occhio indiscreto. Non fragile, quello no, anche se era così che Brian si sentiva in quell’ultimo periodo.
    Poteva perdere tutto ciò?
    Poteva, senza qualsiasi dubbio, continuare ad illudersi che poteva rimanere solo e, nello stesso tempo, guarire dal suo passato?
    No, non poteva. Perché il rifiuto di Nick lo avrebbe distrutto, lacerato in pezzi che nessuno avrebbe potuto poi ricomporre. Poteva continuare a non dirglielo. Sarebbe stato semplice, si sarebbe nascosto dietro la scusa della passata aggressione e poi avrebbe vissuto giorno per giorno fino a quel miracoloso momento in cui il passato, quell’enorme bagaglio sulle sue spalle, si sarebbe dissolto nell’aria, lasciandolo finalmente libero di essere se stesso. Era impossibile. Non ci sarebbe mai riuscito, sarebbe bastato un minimo segno di cedimento e Nick sarebbe riuscito ad estorcergli qualsiasi verità, anche quella più nascosta sotto strati e strati di bugie e mezze illusioni. E si sarebbe arrabbiato, oh, e più sarebbe trascorso il tempo e più la sua rabbia sarebbe diventata sempre più bruciante.
    Doveva dirglielo, doveva dargli ora la possibilità di scegliere che cosa era più giusto fare, se continuare a restare al suo fianco, conscio che lui non sarebbe mai potuto essere tutto ciò che aveva sempre desiderato, oppure se ammettere la sua sconfitta ed andarsene. Prima l’avrebbe fatto e meno dolorosa sarebbe stata la sua agonia. 
    Però la paura, ancora quel demone, lo bloccava: si piazzava davanti a lui, mostrandogli immagini che non voleva ricordare e che non avrebbe mai voluto vedere. Ma doveva, doveva essere consapevole di ogni minimo scenario in modo da essere preparato. Perché Nick era così, Nick lo sorprendeva sempre con reazioni che lui non era mai riuscito a calcolare, neppure per un singolo frammento. Poteva arrabbiarsi, certo, poteva appigliarsi all’accusa di non essersi mai fidato di lui e di non dargli mai una vera possibilità di dimostrargli che era cambiato. Oppure, poteva più semplicemente, guardarlo con espressione sconvolta. Forse, era quella che lo spaventava maggiormente. Non voleva vedere su quel volto quelle espressioni da cui era sfuggito, il vero motivo per cui aveva sempre pregato e scongiurato il cugino di non dire niente e custodire il suo segreto: la compassione, la pietà, la tristezza che si poggiava su basi di carta visto che nessuno aveva mai dovuto affrontare ciò che era toccato a lui. No, non voleva vedere quei colori mischiarsi con l’azzurro delle iridi di Nick.
    Ma non era più sicuro di quanto potesse andare avanti. Howie sapeva e, per quanto Kevin avesse cercato di non rispondere, lo aveva letto nei suoi occhi che non gli aveva creduto nemmeno per un volatile attimo. E la curiosità non l’avrebbe tenuto lontano. Forse lo avrebbe tenuto a debita distanza dal maggiore, colui che era capace di incenerire qualcuno con un solo sguardo, ma avrebbe scavato e scavato fin quando non avrebbe avuto la sua verità. E quella che avrebbe trovato, fra articoli di giornali e dichiarazioni di persone che nemmeno erano state presenti quel giorno, non sarebbe mai stata la verità ma solamente una narrazione, più o meno inventata, in cui i dettagli più scabrosi erano stati ingigantiti solo per attirare più lettori.
    Era davvero così che lui voleva che Howie scoprisse il suo passato?
Non aveva commesso nessun crimine, non c’era niente che potesse recriminarsi se non quella di essersi fidato: di Kevin, di Tyler, dell’umanità in generale. Si era fidato ed era rimasto ferito, quello era il sunto della sua storia, una trama così tristemente comune a tante altre persone. Non aveva niente di cui vergognarsi se non l’essere stato ingenuo. Per arrivare a quella verità, per arrivare a quel piccolo pensiero, aveva dovuto passare anni ed anni di odio verso se stesso, di odio contro un mondo che non l’aveva protetto. Passato l’odio, passato tutto quel turbinio di emozioni, sentimenti e paure, era quasi arrivato ad una sorta di accettazione, forse perché si era reso conto che continuare a piangere o a provare rancore avrebbe solamente avvelenato la sua vita e lo avrebbe immobilizzato senza nessun’altra speranza per il futuro.
    Quel nuovo Brian, forgiato da quella nuova relazione a cui non avrebbe rinunciato nemmeno se gli fosse rimasto solamente un respiro ancora in corpo, non si sarebbe lasciato rinchiudere in un angolo. Che Howie sapesse o non sapesse non doveva essere uno spauracchio in grado di farlo scappare. A testa alta e sguardo d’orgoglio, lo avrebbe affrontato e gli avrebbe raccontato la verità. O, almeno, quel poco che si ricordava.
    Una forte folata di vento fece sbattere la finestra, lasciandola poi leggermente aperta. A colpire Brian fu prima l’odore della pioggia, di cemento bagnato e alberi, per poi confondersi con quello più pungente e fastidioso del fumo di una sigaretta. Per i primi secondi, il suo cervello riuscì a collegare quell’odore al suo legittimo proprietario, ovvero Aj che era sgaiattolato fuori sul terrazzo per fumare in santa pace ma poi si ritrovò riportato indietro in un luogo che lo aveva seguito sin quel momento: le pareti della camera si erano trasformate in fredde mura scura di un vicolo che non avrebbe mai dimenticato. Le pozzanghere e piastrelle bagnate risuonavano sotto i suoi piedi, fredda umidità che risaliva dalle dita dei piedi fino all’altre estremità, congelandolo in quella posizione che tutto ora sapeva se non di difesa. Una musica si era alzata da chissà dove, rombi sordi di bassi che risuonavano ogni volta che la porta di apriva e chiudeva, mischiandosi con le voci di passanti. E poi c’era quell’altra voce che supplicava qualcuno di lasciarlo andare, mani invisibili che salivano e scendevano lungo la sua pelle, dita che si stringevano attorno al suo mento ed il dolore che subentrava immediatamente come reazione.
    Poi, dal nulla, un respiro calmo e regolare, così poco attinente a quello scenario. Riportò Brian alla realtà, a quella stanza che era calda ed asciutta, a delle pareti che non erano fatte di mattoni ma di un beige chiaro e l’unica acqua che ora lo stava bagnando era quella delle sue stesse lacrime. Trovò la sua bussola, quel nord che lo aveva strappato via dall’incubo, lì sdraiato a letto.
    Nick.
    Osservarlo mentre dormiva pacificamente, senza nessuna preoccupazione, era avvolgente tanto quanto la sicurezza di essere protetto. Lì, in quella stanza, non sarebbe potuto succedergli niente di male. Lì, fintanto che si sarebbe concentrato su quel respiro che era così in contrasto con il suo troppo frenetico e veloce, poteva ricordarsi che tutto era finito. Non solo, poteva riaffermare a se stesso che ne era uscito, che combatteva ogni giorno esattamente come in quel momento, non permettendo al panico di affondare ancora una volta i suoi artigli e trascinarlo là dove non sarebbe mai più tornato. Così, i suoi occhi rimasero fermi su quei capelli biondi che tanto gli ricordavano il suo aggressore. E sì, forse anche i lineamenti del viso combaciavano, quasi come fossero due gocce d’acqua nate dalla stessa sorgente. Ma, ugualmente, si ritrovò ad alzarsi, quel respiro sempre troppo frenetico a sottolineare ogni suo tremante passo fin quando non si ritrovò accanto al bordo del letto. Recuperò il lembo del piumone, alzandolo quei centimetri sufficienti per infilarsi e poi coprirsi il più velocemente possibile. Si sdraiò accanto a Nick, all’inizio tenendo solamente qualche centimetro di distanza fra loro, non fidandosi dei suoi nervi. Il silenzio li avvolgeva, il respiro calmo, lento e regolare del ragazzo accanto a lui era una silenziosa mano che lo accarezzava, calmando il suo così irregolare ed impazzito. Quasi inconsciamente, perché una piccola parte della sua mente se ne stava rendendo conto, ad ogni inspiro di Nick ne seguiva uno da parte dei suoi polmoni e lo stesso avveniva ad ogni espiro. Tenne questo ritmo per qualche minuto, ad ogni aria che rilasciava un pezzo di panico se ne andava naturalmente, nient’altro pensiero se non quello di tenere fisso il suo sguardo sulla schiena di Nick, osservandone e carpendone ogni dettaglio: l’incavo fra le scapole, il modo con cui la maglietta bianca sembrava essere una seconda pelle, un minimo ostacolo fra di loro.
    Brian si avvicinò, quasi fosse stato attratto da quel corpo; le sue braccia si allacciarono attorno alla vita di Nick, le mani si sistemarono sopra le sue, come se fosse sempre stato quello il loro posto. Infine, appoggiò la fronte lì in quell’incavo che aveva osservato fino a qualche secondo prima, meravigliandosi di come i loro corpi combaciassero alla perfezione, quasi come se fossero stati divisi alla loro nascita e solo ora potevano riunirsi così come avrebbe dovuto sempre essere. Aveva sempre pensato di non poter essere capace di sostenere una posizione del genere, di essere consciamente così vicino ad un altro ragazzo senza essere nervoso o senza andare in panico pensando a tutto ciò che gli poteva capitare. Invece, tra le braccia di Nick, si sentiva così tranquillo da poter lasciar scorrere via le ansie e le paure, lasciandosi poi trascinare in quello che non avrebbe mai potuto affrontare se fosse rimasto solo.
    Addormentarsi.
    E così abbracciato a Nick, avvolto nelle coperte del sonno, Brian non si accorse della porta che veniva aperta in un piccolo spiraglio né di Kevin che rimase immobile, sulla soglia, ad osservare per lungo tempo i due ragazzi così stretti l’uno all’altro, prima di richiuderla ed andarsene.


 

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Con uno sbuffo spazientito, Nick chiuse una finestra per ritornare sulla schermata del motore di ricerca; scrollò l’elenco, leggendo velocemente le brevi frasi di descrizione prima di decidere su quale altro link far cliccarci sopra il suo mouse. Le pagine erano girate velocemente mentre le informazioni si sovrapponevano una sull’altra, sfocandosi in un ingarbuglio che lo stava confondendo molto più di quanto già lo fosse: tutti i siti che aveva visitato dicevano più o meno le stesse cose, rimanendo sul vago e senza entrare nello specifico, rimandando per consigli più seri a uno specialista.Era come sbattere la testa contro un muro invisibile, accorgendosi solo all’ultimo momento che vi era una vetrata fra lui e la verità. E quella la conosceva solo Brian ed era qualcosa che custodiva così gelosamente che non sarebbe stato facile fargliela ammettere.
    Con uno scatto, Nick richiuse il portatile e si sporse con la schiena, inclinando all’indietro la sedia. Con le mani incrociate dietro la testa, gli occhi chiusi per farli riposare dopo quei lunghi minuti spesi ad osservare lo schermo senza lenti o occhiali, Nick cercò di riprendere una sorta di controllo mentre aspettava il ritorno di Brian, domandosi chissà che cosa avesse avuto di così importante da discutere con Howie. Il camerino della Radio City Hall era vuota, salvo per la sua presenza, e lui aspettava solamente il ritorno di Brian per poi andare in albergo: le prove erano andate bene, forse troppo lunghe, anche se non ricordava molto, a parte l’aver osservato per tutto il tempo Brian, a volte sono per rassicurarsi che fosse ancora lì, saldo e sotto controllo, e a volte solamente perché ne era semplicemente attratto. O giusto per ricordarsi che quei giorni trascorsi non erano stati solamente un sogno ma una più che piacevole realtà. 
    E forse era stato anche per quello che non aveva potuto rabbuiarsi quando Brian, dopo un veloce tocco sull’angolo della bocca, gli aveva chiesto di aspettarlo in camerino. La punta di gelosia era nata all’improvviso, anche se non era un sentimento così nuovo per lui, soprattutto quando si trattava di Brian. Per anni lo era stato di qualunque persona si avvicinasse al maggiore e rubasse preziosi attimi che potevano essere trascorsi insieme, impaurito che da un momento all’altro Brian si accorgesse di quanto infantile lui fosse. E forse, un pochino lo era stato, specialmente considerato il modo con cui lo seguiva ovunque andasse e le sue espressioni da cucciolo abbandonato quando Brian usciva da solo o con qualche amico che lui non conosceva. Certo, succedeva raramente ed erano molte più le volte in cui il maggiore preferiva rimanere in un angolo da solo, perso ed intrappolato in qualcosa che già allora sembrava essere qualcosa di più grande di quanto lui sarebbe mai stato capace di comprendere. In quei momenti, Nick si era sempre sentito inutile oltre che a sentire in maniera quasi palpabile quella differenza di età che era sempre rimasta invisibile. Non sapeva come aiutare l’amico, non sapeva nemmeno a che cosa attribuire o identificare quell’espressione in uno sguardo che era sempre stato allegro e leggero; così, se ne rimaneva in disparte, ad osservarlo mentre si poneva mille domande che non trovavano mai una risposta. Crescendo, si erano allontanati. Brian, e lui stesso, avevano attribuito quella distanza al più che naturale cerchio della vita: Nick non era più un ragazzino a cui serviva una guida o un mentore; così, mentre Brian cercava di creare qualcosa insieme a Leighanne, lui aveva cercato di trovare una sua identità lontana dall’ombra del maggiore. Eppure, nonostante tutto, continuava sempre a tornare da lui, a valutare le sue opinioni più di qualsiasi altro, a chiudere una nuova amicizia se non incontrava i suoi gusti o se quella persona aveva qualcosa di ridire contro Brian. A volte, si ribellava a quel giudizio che solo a lui era permesso vedere: usciva apposta, combinava apposta qualcosa pur di dimostrare che non era vero che ancora dipendeva dal ragazzo quasi quanto aveva fatto in passato. 
    Solo ora Nick poteva comprendere il filo che aveva sempre legato tutti quei comportamenti, solo ora poteva vedere il nocciolo di un gomito a cui si era annidato negli anni: quella che era nata come amicizia si era dissolta in un oceano molto più profonda, in qualcosa che lo aveva accompagnato silenziosamente per anni ed anni fin quando non si era presentata davanti a lui richiedendo la sua attenzione. Amare Brian, scoprire di farlo e di averlo fatto da sempre, era stato così naturale tanto quanto uno shock, da cui ancora non si era ripreso. Perché non era un sogno, non come comunemente si poteva considerare. Era una realtà che presentava più spine di quanto lui avesse potuto immaginare perché nata da una serata che ancora aleggiava fra di loro come una nube tossica e perché lui aveva reagito come un bambino viziato e aveva quasi distrutto ogni possibilità per costruire quel rapporto con Brian. 
    E la sua gelosia, ora, non era indirizzata verso Howie, per quanto sapesse che non aveva nulla di che temere. No, quell’acida mano che si era impossessata per qualche secondo del suo cuore era più diretta verso quell’aurea di segretezza che aveva avvolto quella semplice informazione. Si era sentito ferito, punto in quell’animo che stava davvero cercando in tutti i modi di farsi vedere all’altezza di quella nuova situazione, di come quei due ruoli così sempre ben definiti ora erano diventati labili. Forse, erano diventati finalmente più maturi, permettendo ad entrambi di prendersi cura l’uno dell’altro senza dover indicare chi fosse il più forte o il più debole: esistevano solamente momenti più duri in cui solo uno poteva prendersi carico delle responsabilità, aspettando che l’altra sua metà si rialzasse e fosse in forze per continuare il loro viaggio.
    Ma come potevano iniziare qualcosa se non vi era fiducia? Se Brian non si fidava di lui nel confidargli ciò che lo tormentava?
    Ancor più frustato di prima, Nick si alzò di scatto dalla sedia, facendola cadere per terra. Un veloce sguardo all’orologio gli annunciò che era trascorso solo un quarto d’ora da quando era entrato in camerino, anche se a lui sembrava un’eternità. Con pochi passi, fu vicino alla finestra e vi si appoggiò contro con la schiena, tenendo lo sguardo fisso sulla porta, quasi come potesse far apparire Brian con la sola forza del pensiero. 
    A volte, c’erano momenti in cui era così semplice illudersi che tutto andasse per il meglio, che niente di quell’incubo fosse davvero reale e che loro due si fossero semplicemente svegliati ed avessero finalmente deciso di provare fino in fondo quei sentimenti che avevano preso albergo nei loro cuori. Erano i momenti come quella mattina, quando era stato il calore attorno al suo corpo a svegliarlo in un modo a cui non era proprio abituato: delle mani strette attorno alle sue, le dita attorcigliate ed intrecciate con le sue, un perfetto incrocio che aveva occupato qualche lungo attimo di osservazione. Era proprio così, le loro dita sembravano essere nate per potersi cercare ed abbracciare, stringersi e allentarsi in perfetta sincronia, come se fosse stato quello ciò per cui avevano sempre vissuto. Il caldo respiro sulla sua schiena era qualcos’altro che non era mai stata un’abitudine per lui; oh, era stato con tante persone, uomini e donne che avevano condiviso il suo letto ma nessuno di loro era mai rimasto per il dopo, per abbracciarsi stretto a lui e farlo entrare in qualcosa che non era solamente sesso. Era anche vero che nemmeno lui aveva mai permesso a qualcun altro di entrare nel suo mondo, convinto che in questo modo avrebbe sofferto molto di meno quando, alla fine dei conti, la solitudine poteva ferire tanto quanto una pugnalata inferta in nome dell’amore. Così vicino a qualcuno, fisicamente e spiritualmente, lui non lo era mai stato e doveva ammettere che non era così pericoloso: quell’inspirare ed espirare che teneva il suo conto sulla sua schiena non era solamente confortante ma era l’ennesima testimonianza di quanto intenso e forte fosse il sentimento che legava quelle due persone. E se Brian era rimasto al suo fianco, se non era sfuggito non appena lo aveva visto piegato in due in bagno e rimettere qualsiasi cosa avesse mangiato negli ultimi mesi, allora qualcosa doveva pur significare. Forse, non per tutti. Forse, per le persone normali, per chiunque che non fosse nei suoi panni, sembrava una cosa così insignificante per determinare se qualcuno era davvero interessato a lui o meno.
    Non per lui.
    Ciò che rendeva così speciale e importante quella mattina era ciò che aveva permesso a Nick di scoprire su Brian. Era una verità che era sempre stata davanti ai suoi ma che lui, volutamente e cocciutamente, non aveva voluto degnare se non di un veloce sguardo. Certo, era stata a causa di quella piccola verità che il giorno prima aveva fatto tutto quel discorso al ragazzo su come volesse prendersi cura di lui ma, almeno fino a quella mattina, non aveva compreso fino in fondo che cosa significassero quelle parole. E, come in quel momento, dubitava ancora di aver preso coscienza su quanto profondi e radicati fossero i problemi a cui far fronte. No, forse problemi non era il termine adatto. Brian non aveva un problema, qualcosa che si poteva cancellare con una semplice passata di gomma; non sapeva nemmeno come ben definirli se non con quel termine indefinito in cui aveva sempre inglobato i suoi stessi dilemmi e conseguenze del rapporto con i suoi genitori. Erano ferite che andavano ben oltre il superficiale strato della pelle e dell’animo, si erano insidiate fino a raggiungere il cuore della loro identità e, ogni giorno, ne determinavano ogni azione e comportamento, come quasi fossero dei vestiti che non riuscivano a togliersi di dosso. Non sapeva tutto quello che costituiva l’indumento stretto attorno a Brian, forse mai ne avrebbe avuta l’opportunità, ma per la prima volta non si sentiva uno sprovveduto né un ragazzino che fingeva di essere grande. 
    Il giorno prima, Nick aveva commesso quell’errore. Aveva preteso di sapere che cosa fare per rendere meno testo Brian, preteso che qualche piccolo gesto potesse cancellare ogni paura ed ogni panico; sì, quello aveva fatto. Aveva semplicemente preteso. E la sua pretesa di sapere gli si era rivoltata contro quella mattina, quando si era voltato, continuando a tenere stretto quell’intreccio di dita, ed aveva notato le tracce di lacrime sul volto di Brian. Alcune, erano tracce ancora liquide, acqua che Nick aveva asciugato con un veloce bacio. Ma anche quello si era rivelato essere controproducente, i tremori che aveva incominciato a percepire sotto le sue labbra non erano di piacere ma erano inconsci segni che lasciavano intendere che nemmeno i suoi sogni erano lidi liberi dalla paura. Era lì, la paura, ben visibile in quelle linee che aggrottavano la fronte, in quelle labbra che stavano tentando di urlare ma la cui voce ancora non usciva. E tutto ciò che Nick aveva potuto fare era sussurrare, per chissà quanto tempo, parole senza senso ma che sembravano riuscire nello scopo di calmare Brian. Eppure, per quanto spaventato fosse, il ragazzo non si era mai staccato da lui: le dita erano rimaste salde nella loro posizione, anzi, semmai la loro stretta si era fatta più intensa – e Nick aveva dovuto ringraziare che le sue unghie non fossero così lunghe da lasciare segni permanenti – mentre il suo corpo si era accoccolato contro di lui, nascondendo il viso lì fra l’incavo del collo. Era come se Brian stesse cercando di proteggersi, nascondersi da quell’incubo che sembrava non allentare le sue catene. E l’unico posto dove sembrava sentirsi al sicuro era lui, erano le sue braccia, il suo respiro ed il battito del suo cuore.
    Tuttavia, quella rivelazione non sembrava sortire alcunché: perche Brian si fidava di lui solamente quando non era cosciente, quando uno dei due non aveva coscienza di quello che stava succedendo. Oh, all’inizio era rimasto ferito da quella realizzazione ed era stato come se qualcuno lo avesse fisicamente fatto a pezzi, anche se la sua pelle non mostrava lividi né sangue si mostrava come testimonianza lasciando solo la rabbia a dar vita dentro di lui. Ma poi non aveva potuto fare altro che dar ragione a Brian ed alla sua mancanza di fiducia: come poteva fidarsi, come poteva appoggiarsi a lui dopo quello che gli aveva fatto? Per quanto il ragazzo continuasse a dirgli che lo aveva perdonato, lui non riusciva a farlo. Per colpa della paura e di chissà quale altro sentimento dentro di lui, aveva rischiato di rovinare tutto. E nemmeno lui si fidava di se stesso, nemmeno lui riusciva ad affermare con certezza quasi scientifica che non si sarebbe mai più comportato in quel modo. Perché era stato istintivo, era stata una rabbia che lo aveva avvolto ed accecato, facendogli commettere l’atto più di spregevole che avrebbe mai potuto compiere; e se ciò era nato da lui senza che potesse mettergli freno, come poteva prevenirlo in futuro? Ed era sicuro che fossero quelle le stesse obiezioni che Brian si dava ogni volta che si domandava se fosse giusto o meno confidargli il suo segreto.
    Sapeva di essere cambiato, sapeva che già quelle poche ore insieme al maggiore lo avevano trasformato in un’altra persona, un altro Nick che mai avrebbe voluto rifare tutti gli errori che aveva commesso in passato; soprattutto, lo avevano spinto ad essere quello che Brian era sempre stato per lui. Una roccia, un supporto a cui aggrapparsi in quel momento in cui forze a sufficienza per andare avanti sembravano essere scomparse ed attorno a lui vi era solamente l’oscurità. Ma doveva dimostrargli che poteva fidarsi, quella era stata la sua conclusione. E per farlo, Nick non poteva andare alla cieca sperando che ciò che stesse facendo fosse abbastanza. Non sapeva niente di quello che Brian stava passando, non sapeva quante profonde fossero le sue paure, quanto paralizzante potesse essere entrare in un locale o stare attorno alla gente. Domandare sembrava quasi un ostacolo troppo grande da superare ma sapeva che doveva farlo, prima o poi. Ma fino a quel momento, avrebbe aspettato che Brian incominciasse ad aprirsi con lui, avendo fiducia per entrambi e non sempre aspettandosi che fosse il maggiore a risolvere tutto.
    Risoluzione e determinatezza erano ciò che lo avevano spinto quel giorno. Osservare più attentamente Brian non era stato difficile, soprattutto dopo che si era reso conto che conosceva già tutti i trucchi che il ragazzo usava per nascondersi agli altri, anche se quel giorno erano molto meno accentuati, quasi ormai anche quella maschera pesasse troppo per lui. Un sorriso lo calmava quando lo sguardo incominciava a guardarsi attorno come se temesse che un pericolo fosse lì ad attenderlo; una stretta di mano, un semplice “ti amo” mormorato a fil di labbra a ricordargli che non era più da solo. Quelli erano tutti gesti che erano nati spontanei, come se la sua anima sapesse già a priori come comportarsi di fronte a quei segnali. Ma c’era tanto altro a cui non aveva pensato, tanti altri piccoli dettagli che lo facevano sentire piccolo e impotente. Ma non poteva arrendersi. Né lo voleva fare. Perché arrendersi significava dimostrare a Brian che aveva sempre avuto ragione a non fidarsi di lui e perché significava ammettere a se stesso che non era in grado di essere ciò che aveva sempre desiderato essere. E perché arrendersi non era qualcosa a cui Nick era abituato: aveva sempre lottato per ciò che più anelava e quel sogno era il più importante di tutti.
    Staccandosi dalla finestra, Nick riprese il suo portatile e si sedette sul divanetto, la schiena appoggiata al bracciolo ed il computer sulle sue gambe. C’era ancora molto che doveva leggere, informazioni che potevano essere chissà dove e che lui, semplicemente, non era ancora riuscito a trovare; aveva anche copiato già quelle che aveva ritenuto più pertinenti ed anche salvato qualche numero in caso di bisogno. Certo, era una decisione che solo Brian poteva prendere ma lui voleva essere preparato ad ogni evenienza. 
    Stava per copiare uno dei consigli trovati su un sito quando la porta del camerino si aprì all’improvviso, sbattendo forte contro la parete. Nick alzò gli occhi di scatto, già pronto a scattare in soccorso di Brian, la preoccupazione ad alimentare il suo battito mentre aumentava di intensità quando invece si ritrovò di fronte la figura di Kevin.
“Dobbiamo parlare.” Pronunciò il ragazzo, guardandolo come se si stesse trovando di fronte al peggiore dei nemici.
“Di che cosa? Che cosa ho fatto?” Si ritrovò Nick a domandare mentre chiudeva il computer.
“Di te e di Brian.”

 

 

 

 

 

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Il lungo corridoio non offriva una bolla di silenzio dalla baraonda che ancora si stava sfogando sul palco: c’erano ancora luci da montare, sistemi ed impianti audio da mettere insieme e poi provare che funzionassero. Per anni, Howie ne era rimasto affascinato: rimaneva sempre in un angolo ad osservare come magicamente le scene su un palco venivano erette e smontate così velocemente, ancora basito di come lui e gli altri ragazzi fossero il fulcro attorno al quale era stato creato lo show. Ora quella magia era scemata, forse si era trasformata in freddo cinismo, ma ogni tanto riappariva ed era come una ventata di aria fresca da quelle ali di divismo e adorazione che li avvolgeva ovunque andassero. Oh, era una sensazione totalmente fantastica ma, a volte, ognuno di loro voleva fermare lo show e ricordare a tutti che erano anche loro persone, esseri umani esattamente come ognuno di loro. E, proprio come ogni persona, avevano i loro momenti tristi, le loro depressioni e i loro segreti.
    Ma anche lui aveva commesso, almeno apparentemente, il loro stesso errore.
    Racchiuso nella bolla di suoni che si infilavano fra le piastrelle e le mura, Howie stava ancora riflettendo su quanto scoperto su Brian. Mai aveva pensato a qualcosa del genere, nemmeno nei suoi peggiori incubi o al suo peggior nemico avrebbe mai voluto desiderare qualcosa di così terribile. E collegare le due cose, quella violenza alla persona che Howie aveva conosciuto durante gli anni era davvero inconcepibile. Oh, la sua mente riusciva logicamente a riportare a galla dettagli che ora assumevano un senso ma era ancora tutto così irreale da poterle dare ragione. Tanto che una parte di lui ancora rifiutava di crederci, aggrappandosi alla flebile speranza che avesse sbagliato e che forse esisteva un altro B.L. che non era il suo migliore amico. D’altronde, nessuno dei due, né Kevin né Brian stesso, aveva confermato; certo, non avevano nemmeno smentito e l’espressione totalmente sconvolta di Brian era già di per sé una prova. Per non parlare di Kevin, il quale non lo aveva degnato di uno sguardo per tutto il giorno, se non per minacciarlo quasi come se fosse convinto che potesse dire al mondo intero che cosa aveva scoperto. Non l’avrebbe mai fatto, certo che non sarebbe mai andato in giro a raccontare una cosa del genere! A che scopo, poi? No, Howie non avrebbe mai raccontato in giro ciò che aveva scoperto. D’altronde, non toccava a lui e dubitava anche che qualcun altro lo avesse creduto. Aj, di sicuro, lo avrebbe guardato dopo essersi tolto gli occhiali da sole – ed ancora non comprendeva perché li indossasse anche in camera – e si sarebbe infervorato su quanto disgustoso fosse inventarsi queste bugie. E quanto voleva che fossero ciò, quando desiderava che tutto quello che aveva letto fossero solamente menzogne narrate da qualche giornalista troppo disperato per uno scoop.
    Non era nemmeno riuscito a guardare Brian negli occhi. Ogni volta che i loro sguardi si incrociavano, il suo si abbassava quasi immediatamente, un rossore di vergogna che gli infiammava le guance ben conscio di quale messaggio stava lanciando all’amico. Ma per quanto si era ripromesso di non farlo al prossimo sguardo, non riusciva a far finta che niente fosse cambiato; perché ora, quando guardava Brian, non vedeva l’amico che aveva sempre conosciuto ma solamente quel ragazzino di quindici anni la cui vita era stata rovinata. E una parte di lui voleva sapere tutto, voleva sapere come era riuscito a rialzarsi e prendere fra le mani ciò che gli era rimasto e crearsi una nuova realtà attorno a lui, riuscendo così perfettamente nel far credere a tutti che quel ragazzino del Kentucky non aveva mai avuto una vita difficile. Le apparenze, persino tra gli amici, erano ingannatrici, ti ammaliavano con mezze verità, forgiando i tuoi pensieri e le tue opinioni.
    E lui era un codardo. Sarebbe bastato poco, sarebbe bastato solo un pizzico di coraggio e andare da Brian. Ma a dirgli cosa? Che comprendeva? Che cosa poteva comprendere lui di quella situazione? Che non lo giudicava? Come se davvero pensasse che fosse stata colpa sua! Quali erano le frasi migliori da usare in quei casi? Howie non lo sapeva e, piuttosto che fare figure o rovinare qualcosa, preferiva la via più facile e meno accidentata.
    Ecco perché aveva aspettato che tutti fossero già uscito dallo stage prima di recarsi anche lui verso il camerino: le probabilità di ritrovarsi da solo con Brian erano ridotte al minimo, soprattutto ora che il ragazzo trascorreva ogni momento libero insieme a Nick. Vederli insieme era stato quasi come una boccata di sollievo, ossigeno che aveva scacciato via alcuni dei nuvoloni che si affollavano attorno alla sua mente, anche se non riusciva a spiegarsi che cosa lo rendesse più leggero: forse era il modo con cui Brian si avvicinava senza darne l’impressione o come bastava una semplice mano sulla schiena per allentare quella tensione che irrigidiva il corpo. E la cosa che più lo sorprendeva era che nessuno sembrava farci caso, tanto naturalmente i due ragazzi si comportavano. Forse, la soluzione più giusta era parlare con Nick, anche se ciò implicava rompere il segreto di Brian. Ma se stavano insieme, Nick doveva sapere. Soprattutto, doveva sapere che con Brian non poteva comportarsi come con tutti gli altri. Ma no, non poteva essere sua quella decisione.
    “Howie? - Una flebile voce, con una nota di determinazione nel tono, gli fece alzare lo sguardo e posarlo sulla persona attorno cui avevano ruotato i suoi pensieri. Brian era fermo davanti a lui, il viso alzato da una sicurezza che era sempre stata lì, assieme a lui nonostante tutto; a contrapporsi a quella c’era l’incertezza e l’ansia che li faceva torturare le mani, attorcigliandole su stesse. – Hai un minuto?”
    Deglutì a fondo prima di riuscire a mormorare un semplice “Certo.”
    Brian si guardò in giro, assicurandosi che non ci fosse nessun altro. Lo era già sicuro di ciò, tenendo conto che nel camerino c’era solo Nick mentre Aj e Kevin erano ancora alle prese con la band per gli ultimi dettagli, ma un’altra occhiata non si sarebbe di certo dimostrata inutile. Quando fu sicuro, si avvicinò all’amico, mostrando sotto la luce arancione del lampadario i segni di una tensione che non ci sarebbe dovuta essere: erano amici, anzi, erano quasi fratelli e proprio lì, forse, risiedeva la sorgente di tutto. “Dobbiamo parlare.”
    Howie annuì con un piccolo cenno di capo. “Credo che la stanza vicina...”
    “Ti spiace se camminiamo? – Lo interruppe Brian, abbassando per qualche secondo il viso prima di rialzarlo. – Tendo a diventare un po’ claustrofobico quando si parla di questo.”
    In silenzio, incominciarono a percorrere il corridoio nella stessa direzione verso la quale Howie era arrivato, ascoltando solamente il rumore dei loro passi attutiti dalla spessa moquette rossa. Nessuno dei due sapeva come incominciare, anche se Brian stava cercando solamente di recuperare da qualche parte tutto il coraggio possibile per affrontare quel discorso. Quella mattina, o meglio dire primo pomeriggio, quando si era svegliato, l’idea sembrava così semplice da attuare nella sua mente: prendere da parte l’amico e dirgli la sua verità, confidando che il legame che li univa non lo avrebbe spinto a reazioni negative. E, alla fine, era quello tutto ciò a cui lui si aggrappava: sapere di avere ancora quell’amicizia, sapere di non aver cambiato drasticamente l’opinione che l’amico aveva di lui. Ma ora che si trovava fisicamente lì, ogni positiva speranza era sfuggita via, sentimento condiviso dal suo animo che voleva farlo fuggire e nascondersi nella protezione dell’abbraccio di Nick. Forse, oh, forse la soluzione migliore sarebbe stata parlarne prima con Nick, in modo da avere un bagaglio di supporto da cui attingere in quel momento. Ma chi lo avrebbe supportato in quel caso? No, parlarne con Howie era la soluzione non solo più semplice ma anche la più ovvia: parte della storia già la sapeva e poteva anche sviare sui dettagli, visto e considerato che nemmeno lui se li ricordava.
    “Puoi chiedermelo.” Mormorò quindi, spezzando il silenzio.
    “Oh... va bene. Cioè, no, non va bene... – Howie si passò una mano fra i capelli, sbuffando. – Scusami, non volevo dire quello. Non so come comportarmi.”
    “Siamo in due, allora.” Ribattè Brian mentre un sottile sorriso allentava la tensione.
    “Quindi... sei tu? Quel bambino?”
    “Sfortunatamente sì.”
    Howie aprì le labbra per dire qualcosa ma niente uscì dalla sua bocca, poiché non vi erano parole adatte per quel contesto. Era stato come ricevere un pugno allo stomaco, forte abbastanza da togliere completamente l’ossigeno ai suoi polmoni, lasciandolo boccheggiante come un pesce fuori dall’acqua. Gli uscì solo una domanda, forse quella più importante in quel momento. “Perché?”
    “Perché è successo a me?” Domandò di rimando Brian, la fronte corrucciata.
    “Perché non hai detto niente? – Lo corresse Howie. – Capisco all’inizio, ma dopo tutti questi anni? Perché?”
    Le braccia andarono a stringersi attorno alla sua vita, una posizione che Brian assumeva ogni volta che si ritrovava a discutere situazioni ed argomenti che lo mettevano a disagio. “Non è questione di fiducia o meno. – Incominciò a rispondere, avendo intuito la velata accusa sotto quelle parole. – Ma per quanto ci si possa fidare di una persona, non saprai mai con certezza quale sarà la sua reazione di fronte a certe notizie. E io non volevo che le cose cambiassero, non volevo vedere nei vostri occhi quelle espressioni di pietà e commiserazione che mi avevano sempre seguito in Kentucky; volevo semplicemente rimanere il ragazzo che avete conosciuto e di cui vi fidavate. Era tutto sotterrato, nessuno poteva avere accesso a quelle informazioni e l’unica persona che poteva decidere se farvi sapere questa cosa ero io, quindi potevo vivere, o almeno provarci, come se non ci fosse nessuna macchia nera nel mio passato.”
    “Capisco.”
    “Davvero?” Domandò sorpreso Brian.
    “Sì. – Affermò convinto Howie, stupito anch’egli di quanto potesse trovare un punto in comune in quella stranezza. – Non è la medesima cosa né voglio equiparare le due situazioni ma mi comportavo allo stesso modo da piccolo: nel nostro quartiere, tutti mi conoscevano ancor prima che potessi dire il mio nome. “Oh, tu sei il fratello? Povera stella.” e gli altri bambini non volevano giocare con me perché pensavano che avessi la stessa malattia di mia sorella. Così, quando sono andato nella nuova scuola, non parlavo mai di lei, condividevo quel segreto solo quando ero sicuro di avere instaurato dei rapporti solamente grazie a ciò che ero e al mio carattere. Quindi, in parte, comprendo il motivo per cui non volevi farne parola.”
    Fu come se un peso si sciogliesse attorno a lui. Brian si ritrovò a sorridere, allentare la stretta attorno al suo stomaco, e avvicinarsi di qualche centimetro all’amico. “Non voglio che questa cosa, quest’aggressione, mi definisca. Una volta lasciata scemare la rabbia, una volta superato il rifiuto più totale, mi sono chiesto se volevo permettere a quel veleno di continuare ad infilarsi nella mia vita o se volevo essere di più, tutto tranne che il ragazzino che era stato sui giornali per mesi. Non è stato semplice, non lo è tutt’ora e non credo che sarà qualcosa che potrà scomparire con il tempo. Ma ogni volta che mi sono ritrovato su un precipizio, ogni volta che volevo arrendermi perché quel demone non se ne voleva andare, mi bastava guardarmi in giro e rendermi conto di ciò che ero riuscito a fare e ottenere nonostante tutto. Quasi sempre, siete voi la boccata d’aria che mi riporta sulla strada. Perché mi trattate normalmente, perché Aj mi prende in giro su qualcosa, Nick che vuole giocare o che ha bisogno di me, tu che vuoi semplicemente chiacchierare e Kevin che si dimentica qualcosa. Non voglio perdere tutto questo, non voglio che ora tutti camminino in punta di piedi perché non sanno come comportarsi o che pensino che sia troppo fragile e che abbia bisogno di protezione. Kevin mi basta e avanza.”
    L’aria era seria attorno a loro ma, dal nulla, Howie si ritrovò a sorridere, contenendo a fatica la risata che gli solleticava la gola. Uscirono in un piccolo terrazzino, ad aprire e tenere socchiusa la pesante porta di sicurezza ci pensò un’enorme e rassicurante bodyguard, a cui diedero un sorriso prima di sedersi sul muretto che circondava i tre lati del perimetro. L’aria risentiva ancora della pioggia mattutina, fresca brezza che cercava di insinuarsi fra gli strati di indumenti che indossavano; guardando il cielo, grigio scuro anche se molto più chiaro rispetto alle prime ore, non si riusciva a capire che era quasi ora del tramonto e che avevano trascorso ore ed ore rinchiusi in quello che sembrava una realtà alternativa, così distante dal mondo esterno.
    “Kevin... credo che voglia uccidermi.” Annunciò Howie, dopo qualche attimo in cui entrambi avevano semplicemente preso a pieni polmoni la calma ed il silenzio, per quanto interrotto dalla confusione che solo New York regalava, attorno a loro.
    Brian voltò lo sguardo verso di lui, prendendo nota del tono semiserio del maggiore, considerato che ciò che aveva detto non si discostava molto dalla verità ma neppure da una bonaria battuta fatta per rompere quell’aria di serietà. E normalità. Perché era normale, per loro, ritrovarsi e prendere in giro il maggiore fra tutti. Ed era quello di cui Brian aveva bisogno, anche se Howie continuava a non riuscire a scacciar via quella mano d’angoscia stretta fredda lì in fondo al suo stomaco. “Tranquillo, non ti ucciderà.”
    “Ah, bene.” Commentò quindi Howie con un sospiro di sollievo.
    “Ma potrebbe tagliarti la lingua.” Aggiunse Brian, spostando di lato il viso e nascondendo un mezzo ghigno divertito.
    “Cosa?” Howie lo guardò di rimando con occhi sgranati, un’espressione totalmente terrorizzata ad accendergli il nero delle iridi.
    Brian scoppiò a ridere e per un momento, un mero attimo a cui si aggrappò fino a poterlo farlo diventare parte di sé, fu come se le ultime settimane non fossero nemmeno passate. Era la prima vera risata che gli nasceva da quella notte ed avrebbe voluto che il mondo si fermasse, così che lui potesse rimanere in quella bolla di normalità. “Stavo scherzando!”
    “Mi hai fatto prendere un colpo.”
    “Ma spero solo che tu non gli abbia confidato qualche segreto, altrimenti potrebbe utilizzarlo come ricatto.”
    “Ora stai scherzando o sei serio?” Domandò Howie titubante.
    “Sono serio. – Affermò Brian. – Se non hai ancora notato, Kevin è affetto da manie da eroe salvatore. Soprattutto e consideratamente nei miei riguardi, quindi credo che stia seriamente pensando che il fatto che tu sai possa destabilizzarmi più di quanto già lo sia. E so che è tutto perché mi ha visto letteralmente nel momento peggiore ma... non sono così fragile da dover essere difeso anche da te.”
    La sicurezza che Brian aveva mostrato prima ora si era disciolta in un mare di incertezza e di paura, mista a triste rabbia. E lì, in quel momento, Howie captò qualcos’altro che non poteva essere espresso a parole; più del discorso che Brian gli aveva fatto, quel momento mise in luce che cosa doveva significare dover vivere ogni giorno con quel peso e perché non voleva che né lui né nessun altro avrebbe dovuto sapere ciò che gli era successo. “Brian, sei tutto fuorché fragile.” Le parole gli uscirono senza nemmeno un pensiero ma, nel momento in cui le sue orecchie le udirono, Howie capì che erano giuste. Che era la verità, perché fragile sarebbe stata una persona che si nascondeva e che lasciava che i demoni avessero il sopravvento, non Brian che lottava ogni giorno per essere normale.
    “Glielo fai capire anche a lui? – Ribattè il ragazzo con un timido sorriso. – So che è il senso di colpa a farlo agire in questo senso, anche se ormai ho perso il conto delle volte in cui gli ho cercato di far capire che non è e non sarà mai colpa sua. Non poteva sapere, non poteva esserci niente che avrebbe potuto prevenire ciò che è successo, se non rimanere a casa. E, forse, per lui è anche peggio perché si fidava di Tyler, era il suo migliore amico e... non so, credo che si senta in colpa perché è tramite lui che io ho conosciuto il mio aggressore.”
    “Quindi è per questo che non gli vuoi dire di te e di Nick?”
    Brian annuì, le dita che nervosamente andavano ad appoggiarsi sulla mano sinistra, lì dove l’orologio copriva il polso. “Nick è la cosa più bella che mi sia capitata e so, oh, sì che lo so che un giorno dovrò parlargliene. Ma per ora voglio solo assaporare questi momenti, questi preziosi attimi in cui siamo solo noi due e quel desiderio di conoscersi senza fretta, solamente tramite gesti e sensazioni. Non è la situazione idilliaca che avrei voluto o l’inizio che sognavo per il nostro rapporto ma ora che c’è, ora che posso toccarlo con mano, non permetterò a niente e nessuno di portarmelo via o distruggerlo. E se Kevin lo sapesse, come prima cosa penserebbe che Nick in qualche modo mi abbia costretto o che abbia approfittato di questo momento in cui sono debole e fragile per raggirarmi in qualcosa che crollerà al primo soffio di vento. Ormai, è così abituato a stare all’attenti, ad aspettarsi sempre la pugnalata alla schiena, che non riesce a concepire che al mondo esistano ancora cose che sono così semplici e belle.”
    “Magari ti può sorprendere.”
    “Kevin?”
    “Andiamo, non puoi seriamente pensare che Kevin possa... no, non Nick! Lo conosce da anni, lo ha praticamente cresciuto.”
    “Conosceva anche Tyler.”
    “Ma è differente!”
    Fu un lampo, veloce come solo la luce può essere, ma il ricordo di quei pazzi e bui momenti in cui Nick si era trasformato in qualcuno che non era e che non doveva essere, lo colpì per poi lasciarsi dietro un amaro retrogusto. “Non potrai mai conoscere qualcuno fino in fondo, ci sarà sempre un iceberg di cui non ti sei mai reso conto perché nascosto. – Si ritrovò a dire, quasi meccanicamente, come se non fosse lui a parlare ma qualcuno che si era impossessato della sua voce e del suo corpo. Corpo che gli faceva stringere le mani in pugni, come se bastasse solo quel gesto a cacciar via ogni pensiero negativo. – Kevin si fidava di Tyler esattamente come ora fa con Nick. E non... non permetterà che succeda una seconda volta.”
    Come presto si era abituato in presenza del minore, Howie si ritrovò a sentirsi completamente inutile, la mente completamente vuota senza nessuna frase di conforto da tirare fuori per cancellare quel tono spento, privo di qualsiasi forma di vita e che così tanto strideva con Brian. Ma c’era qualcosa che poteva fargli cancellare quella paura? Se anche esisteva, e su quello aveva ancora molti dubbi, l’unica persona che poteva riuscire in quell’impresa non era di certo lui ma qualcuno che si trovava a così pochi metri da loro. E lo avrebbe fatto inconsciamente, esattamente come lo aveva visto fare in quelle ore appena trascorse. “Non accadrà. - Mormorò solamente ma pareva così una futile promessa che nemmeno lui credette alle sue stesse parole. – Non accadrà.” Si ritrovò comunque a ripetere, questa volta più convinto. Non sapeva chi dei due stava cercando di convincere maggiormente, forse lui stesso perché si sarebbe dannato prima di permettere che Nick potesse arrivare a tal punto di violenza... oh, solo in quel momento si rese conto che si stava comportando esattamente come Kevin. Howie lasciò fuggire dalle sue labbra un lungo respiro, sperando di rilasciare in quel modo tutti quei pensieri.
    “La decisione di dirglielo è tua, esattamente come quella di raccontare del tuo passato a Nick. E come quella di decidere con chi stare. Kevin può arrabbiarsi, può anche non parlarti per tutto il tempo che vuole ma non cambia di un millimetro la situazione. Se ami Nick, se ti fidi così tanto di lui da provarci, nessun’altro può dirti o costringerti a fare il contrario.”
    “Grazie.” Sussurrò con filo di voce Brian, alzando il volto per incontrare quello di Howie.
    “Però con Nick ti conviene evitare che lo scopra come ho fatto io.”
   “Lo so. E lo farò, anche se non so ancora come. – Rispose Brian, la convinzione che si inframmetteva con l’insicurezza. - Anche se mi domando ancora per quale motivo dovrei farlo. Perché non posso vivere questa storia come qualsiasi altro ragazzo?” Poteva sembrare strano ritrovarsi a confessare quelle paure proprio a Howie, eppure l’amico sembrava essere la persona più perfetta quell’incarico. A chi altro avrebbe potuto rivelare le sue paure? A suo cugino, che nemmeno sapeva di lui e Nick e che avrebbe torturato il ragazzo se saputo delle sue intenzioni? Ad Aj che nemmeno sapeva la situazione? A se stesso? Ma era stanco di parlare sempre e solo con il suo riflesso, sempre a trovare rassicurazioni che avevano perso la loro ragione d’esistere tanto tempo addietro. Era stanco di lottare da solo, era stanco e per un momento voleva essere quel ragazzino fragile che non aveva idea di come rimettere insieme i pezzi e vivere il suo presente.
    “E la vivrai, solo che...”
    “Solo che cosa?”
    “Nick deve saperlo non solo per una mera questione di fiducia.”
    “E per che altro, se no?”
    “Per prendersi cura meglio di te. Per trattarti come meriti, senza spingerti quando ancora non sei pronto. E per evitare che tu ti butti in qualcosa solamente per dimostrare a Nick qualcosa.”
    “Oh. – Le labbra di Brian si curvarono in quell’espressione di sorpresa mentre le parole di Howie assumevano significato dentro la sua testa. - Non... non l’avevo mai pensata in questi termini.”
    “Allora non sono così inutile.” Ribattè Howie in una battuta che conquistò lo scopo desiderato: sentire ancora quella risata provenire dall’amico invece che specchiarsi in un oceano di tristezza. Anche se quella era ancora lì, un velo che si chiariva o scuriva a seconda di quanto controllo Brian riusciva a mantenere.
    “No, non lo sei. – Confermò Brian. – Ci penserò, okay? Nick mi ha promesso di non fare domande ma...”
    “Tranquillo, io non dirò niente.”
    “Grazie. So che non lo avresti fatto, ma la mia parte ansiosa e paranoica aveva bisogno di sentirlo con le sue orecchie.”
    Senza bisogno di dire niente, entrambi si alzarono ed incominciarono ad avviarsi verso il camerino. Era stato Brian a muoversi per primo, non appena aveva notato la prima gradazione di blu tingere il cielo; per  quanto si potesse sentire sicuro con un’altra persona al suo fianco ed un energumeno che pesava il triplo di lui e che vegliava su di loro, l’oscurità continuava a dargli quella sensazione di essere costantemente all’erta, aspettandosi che un’ombra si staccasse dal branco e lo attaccasse senza lasciargli via di scampo. All’apparenza, poteva sembrare forte e pronto ad affrontare qualsiasi cosa ma in realtà, dietro a quei vestiti che ormai parevano troppo stretti per continuare ad indossare, era un accumulo di paure miste a ricordi ed incubi.  Come quel mattino, però, fu il pensiero improvviso di Nick a portare un’ondata di calma e tranquillità sui suoi nervi, permettendogli di respirare a pieni polmoni e a sorridere come niente lo stesse preoccupando.
    La porta nera di sicurezza si chiuse dietro alle loro spalle, mettendo una pesante barriera tra loro ed il mondo esterno. Ed impedì loro, specialmente a Brian, di captare un’ombra che si staccava dalle altre, da quelle più semplici ed elementari degli alberi e cespugli. Quella, invece, apparteneva alla figura di un uomo, le mani infilate nelle tasche dell’impermeabile che aveva addosso, il colletto alto a proteggere il collo, dove una piccola cicatrice comunque riusciva a sfuggire dal quel nascondiglio e che, a causa delle gocce di pioggia che erano scese e scivolate via dalle foglie del cespuglio in cui si era tenuto nascosto, sembrava quasi brillare sotto la luce del lampione. Gli occhi smeraldo continuavano a rimanere fisso sul punto in cui aveva visto scomparire il biondo dei capelli di Brian mentre immagini di quella camminata, che ora chissà dove si stava dirigendo, incominciarono a riempire la sua mente.
    Non avrebbe dovuto trovarsi lì ma la tentazione aveva avuto il sopravvento sul buon senso e sulla logica. Ma era stato cauto, era stato attento, perché tutto quello che desiderava era poter vedere con i suoi occhi quel ragazzo, respirare la stessa aria che i suoi polmoni avevano inspirato e poi espirato. Era stata un’attrazione, un magnete che lo aveva portato fino a quell’angolo ed aspettare, all’inizio senza speranza e poi... poi aveva compreso che era un segno del destino.
    Sì, anche il fato aveva benedetto quell’unione e le stelle indicavano a lui il cammino, un sentiero che lo avrebbe portato ad ottenere ciò che più desiderava ed anelava.
    Perché lui e Brian dovevano stare insieme, in un modo o nell’altro.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

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Non ho scuse nè alibi nè giustificazioni. Chiedo davvero perdono per avervi fatto aspettare così tanto per questo aggiornamento. Purtroppo capita che si perda l'ispirazione o che ci si ritrovi a fissare il documento word zeppo di parole ma senza un filo logico che le colleghi. Ecco quello che è successo con questo capitolo: aveva pezzi di scene buttate qua e là ma non sapevo come legarle. E, sia sempre grazia e lode alla mia beta, che mi ha minacciato per portare a termine questa storia!
Questo capitolo, lo so, è lento. Non succede molto ma era necessario. Uno, per legarsi con i precedenti come una sorta di riassunto. Due, perchè dovevo lasciare spazio a Brian e Nick e spiegare non solo i loro comportamenti ma anche come si bilancerà la loro relazione in futuro. Il prossimo sarà più movimentato ma anche con tanto tanto tanto fluff prima di ritornare nel dramma. Il problema non è sapere come andrà a finire, perchè, credetemi, so perfettamente come sarà l'epilogo e ho già pianificato i punti salienti. Specialmente, i dettagli, che sono fondamentali in una storia di questo genere. Ne sto seminando in giro un po', il che è davvero divertente! XD
Al prossimo capitolo, che prometto non arriverà nel 2013! lol

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Capitolo 17
*** - Quindicesimo Capitolo - ***


Quindicesimo Capitolo

 

 

 

 

 


 

 


 

Si osservavano.
In silenzio, si osservavano e si studiavano, cercando di capire a chi dei due toccasse la prima mossa.
Non era sempre stato così.
Era sempre stato Kevin a tenere il ritmo delle discussioni. In realtà, il più delle volte era stato proprio Kevin l’unico interlocutore, sciorinando tutte le ragioni per cui lui – e non c’erano dubbi che la maggior parte delle volte il lui era Nick – aveva sbagliato e le conseguenze delle sue azioni. Nick, per la maggior parte di quelle prediche, rimaneva in silenzio facendo finta di seguire ciò che il maggiore tentava di inculcargli nella mente.
Poi, erano iniziate i battibecchi.
Nick non era più un ragazzino, non aveva più bisogno di qualcuno che lo controllasse e decidesse per lui ogni minima cosa. Così erano incominciate le discussioni, le liti ad alta voce dove nessuno ne usciva vincitore. Ma esse non iniziavano mai in quel modo, in quell’anormale silenzio. No, esse solitamente incominciavano con una serie di recriminazioni e di urla su quanto il maggiore non avesse nessun diritto di impicciarsi in affari che non riguardavano la sua vita.
Con le giuste proporzioni, era anche quello un caso simile. La voglia di Nick di mandare a quel paese Kevin, senza nemmeno dargli un secondo per parlare, era forte ma avrebbe solamente cementato l’idea che il maggiore si era già fatto. Non era nemmeno difficile intuirlo ed ora comprendeva perché Brian fosse stato restio a parlarne con lui.
Poteva farcela. Avrebbe tenuto testa a Kevin, avrebbe difeso quel rapporto e si sarebbe lasciato scivolare via qualsiasi insulto, offesa e minaccia che gli sarebbero stati tirati contro.
“Che cosa c’è da parlare su me e Brian?”
“Che cosa c’è fra voi?”
“Amicizia? Che razza di domanda è mai questa?”
“Oh, andiamo. Non mi prendere per un idiota. So bene che cosa c’è fra di voi.”
“Beh, se lo sai perché me lo chiedi?”
“Nick.”
“Kevin.”
“Non sono qui per scherzare. Senti, capisco che sei giovane e che hai voglia di sperimentare. Non ho problemi con questo e, a parte assicurarmi che tu sia conscio dei rischi, della tua vita puoi fare ciò che più ti conviene. Ma non posso permetterti di sperimentare con Brian.”
“A parte che nessuno qui ha bisogno del tuo permesso ma ti posso assicurare che non sto sperimentando proprio nulla.”
“Vorresti anche dirmi che è una cosa seria?” Kevin non poté evitare la nota sarcastica nella sua voce.
“Certo. – Rispose con onestà Nick. – Può sembrare tutto affrettato ma non ho intenzione di giocare con i sentimenti di Brian. Né, se per questo, con i miei.”
Kevin si ritrovò ad osservare, o meglio, scrutinare con attenzione il ragazzo. Non c’erano dubbi sull’onestà di quelle parole, sapeva riconoscere quando Nick mentiva e quando invece raccontava la verità. Eppure, non voleva credere a quelle parole né a quella luce di forza e sicurezza negli occhi.
Perché farsi convincere da quella prima e misera affermazione significava abbandonare tutte le recriminazioni che ancora aveva fra le mani.
Perché farsi convincere significava ammettere con se stesso che... no, Kevin cancellò quel pensiero dalla testa, poiché stupido e senza senso. Non era così egoista da voler rifiutare una possibilità di felicità solo perché ancora si sentiva in debito.
“Non sai che cosa significa amare.”
“E’ vero, non lo so. – Ammise Nick, senza mai abbassare lo sguardo. - Ma lo sto imparando da Brian e questo è qualcosa che non ti permetterò di portarci via.”
“E cosa ci sarebbe da portare via? – Domandò Kevin con tono sarcastico. – So che può essere affascinante. Elettrizzante. Frick e Frack, una coppia che sembra essere stata decisa da tempo. Ma l’amore non è solo quello che raccontiamo nelle nostre canzoni.”
“Scusa se ti interrompo ma se mi devi fare una lezione di filosofia morale, preferisco risparmiare tempo. So esattamente qual è il punto a cui vuoi arrivare.”
L’ammissione lasciò interdetto Kevin, prendendolo alla sprovvista. Era diventato così prevedibile? O davvero Brian si era fidato così tanto da raccontare tutto a Nick, quando solo fino a qualche giorno prima la sola proposta era capace di mandarlo in un attacco di panico? “Te ne ha parlato, quindi?”
Un’ombra mascherò per qualche secondo gli occhi di Nick, rivelando un punto di vantaggio per Kevin. “Non esattamente.”
“Come sospettavo. – Commentò Kevin, scuotendo la testa. – E ciò lo chiami amore?”
“Certo. Lo chiamo amore proprio perché amo qualsiasi cosa di Brian, anche quei lati nascosti e oscuri che ancora non mi ha permesso di vedere. Forse non lo farà mai, forse io non mi guadagnerò mai la sua fiducia ma... – Nick si ritrovò a scuotere le spalle, un mezzo sorriso sul volto. - ... lo amo. E per uno strano motivo, anche lui mi ama.”
Un lungo sospiro volò inatteso dalle labbra di Kevin. “Nick, non è di questo che Brian ha bisogno. Ha bisogno di qualcuno che si prenda cura di lui e non il contrario.”
“Non lo conosci. E’ sorprendente quanto tu non conosca il tuo stesso cugino. Continui a considerarlo un vaso fragile, qualcosa che va maneggiato con estrema delicatezza perché c’è il pericolo che si possa frantumare in mille pezzi. Quell’immagine, beh, non è Brian. Non ha bisogno di essere trattato in modo differente solo per qualcosa che gli è successo in passato.”
Quell’ultima parte di frase fu capace di avvolgere Kevin con un mantello di ghiaccio. Era un ghiaccio di fuoco, però, intriso di una rabbia nel sentire ridotto ad un minimo incidente ciò che era successo ad entrambi. Quell’ignoranza... era proprio quello che aveva paura sarebbe successo.
“Gli farai del male. – Incominciò a pronunciare con tono lento, parole calcolate al minimo dettaglio affinché giungessero come coltelli. – Non sai niente, non si fiderà mai nel raccontarti ciò che è successo. E non è qualcosa di così piccolo da poterlo scrollare di dosso come se fosse una fastidiosa mosca. No, non lo è. E’ un fantasma, sarà sempre una presenza fisica fra di voi. E un giorno, senza nemmeno accorgertene, lo ferirai nel modo più doloroso e peggiore che esista, rovinando entrambi. E’ questo che vuoi?”
Colpito. Sì, Nick si sentì colpito da quei pugnali ma non erano state le parole a provocare la peggiore delle ferite. A farlo, era stato il tono, come se Kevin non stesse parlando con qualcuno che aveva visto crescere e, sperava, maturare né qualcuno con cui ormai condivideva la vita da anni. Sembrava che egli stesse parlando con un estraneo, uno sconosciuto di cui conosceva solamente il passato e da cui Brian doveva essere solamente protetto.
“Credi davvero che possa permettere ciò? Credi davvero che non abbia già pensato e ripensato a quante volte potrei far del male a Brian? Eppure lui si fida. Eppure lui mi vuole. E impareremo insieme a prenderci cura uno dell’altro. E’ questo l’amore, no?”
“Non sai nemmeno che cosa è successo.”
“E’ così importante sapere i dettagli? Non ci vuole un genio o Sherlock Holmes per capire che si tratta di qualcosa di davvero brutto.”
“Brutto nemmeno copre metà di ciò che è successo.”
Nick scosse la testa. Poteva sembrare quello un inutile commento ma aveva letto il messaggio sotto quelle parole. Perché Kevin conosceva il suo lato più debole, quella voglia e bisogno di non esser lasciato all’oscuro, di essere messo in un angolo e di non essere incluso nelle discussioni dei grandi perché ancora troppo immaturo.
Aveva già commesso quell’errore. Aveva già strepitato, alzato i pugni e si era già lamentato per quell’aura di oscurità che si era alzata attorno a Brian e le conseguenze... quelle le stava ancora pagando sulla sua pelle e su quell’insicurezza che, ne era certo, lo avrebbe sempre accompagnato.
Non avrebbe sbagliato una seconda volta.
“Non mi tenti. So qual è il tuo piano. Stai cercando di spingermi a chiederti che cosa è successo, ben conscio di come Brian potrà reagire.”
“Non sei curioso?”
Non era una domanda difficile. Non avrebbe dovuto esserlo. E invece lo fu perché, per la prima volta, Nick non sapeva esattamente che cosa rispondere. Era curioso? Sì, lo era. Ma, allo stesso tempo, aveva paura di quella risposta, aveva paura di scoprire quel mistero.
“No. Quando e se vorrà, sarà Brian a dirmelo. E’ un suo diritto e nemmeno te glielo puoi portare via.”
“Non te lo dirà mai. Perché sa che cosa succederà, sa che te ne andrai a gambe levate lasciandolo completamente distrutto.”
“E se non succederà? Che cosa farai, allora? Tenterai un altro modo di dividerci? Troverai un altro modo per tenere legato a te Brian?”
“Non stiamo...”
“Non parliamo mai di te. Eppure, tu ti infili in ogni discorso. In ogni decisione. Quasi come se avessi paura di perdere l’unico filo che ancora ti tiene insieme.”
“Stai vaneggiando! Sto solo difendendo Brian.”
“Ma lui non te l’ha chiesto! E, soprattutto, lui non vuole la tua protezione. Non ne ha bisogno.”
“Perché ha bisogno della tua? Non farmi ridere.”
“Ridi. Piangi. Urla pure quanto vuoi. Ma non cambierà la situazione. Sto con Brian e non ho intenzione di lasciarlo solo per la tua sindrome da eroe mancato.”
“Sindrome...? Non hai idea di che cosa abbiamo passato o quanto abbiamo dovuto lottare per arrivare a questo punto, quindi non osare fare giudizi o commenti.”
“Come fai tu? Non sai niente di me e di Brian, non sai quanto abbiamo parlato. Hai già deciso che questa storia finirà male e non hai intenzione di ripensarci.”
Nick aveva ragione. Kevin non stava veramente ascoltando quelle parole. Le percepiva ma il loro significato si perdeva non appena andavano a sbattere contro le alte mura costruite con mattoni di paure e ricordi. E la paura più grande, quella che aveva preso l’armatura e stava ora combattendo contro Nick, era quella che Brian un giorno non avesse più bisogno di lui. Ecco perché continuava a preoccuparsi, ecco perché non voleva accettare che qualcun altro stesse prendendo il suo posto.
Altrimenti, come avrebbe potuto mettere a tacere il suo senso di colpa?
“Certo che non ho intenzione di ripensarci. So già come finirà. Ripeto: fatti da parte, smettila con questa storia dell’amore prima che uno dei due rimanga scottato per sempre.”
“E se non lo faccio? – Domandò Nick con aria di sfida. – Meglio, perché non ne parli con Brian? Se hai tutte queste preoccupazioni, perché non ne parli direttamente con lui? E’ lui che vuoi proteggere, non di certo me.” L’ultima affermazione uscì con una nota piccata, invidia perché anche lui avrebbe voluto qualcuno che lo difendesse in quel modo, preoccupato che il suo cuore potesse venir spezzato o maltrattato. Nonostante la pazzia di quel cugino, Brian era davvero fortunato ad averlo.
E lui sfortunato ad avercelo contro.
“Sai bene perché non lo affronto direttamente.”
“Perché sai che Brian non ti darà ascolto. Perché sai che farà sempre di testa sua. E perché hai questa insana idea che non possa sopportare un po’ di discussione. E hai paura di come possa reagire e non perché ti preoccupi del suo stato mentale e emotivo. Anche. Ma non è quella la ragione principale.”
Nick vide Kevin impallidire sotto quell’accusa e capì di aver centrato il bersaglio. Fece solo un passo in avanti, il sorriso compiaciuto sul volto osservando finalmente il punto venir segnato dalla sua parte. Era una soddisfazione che poche volte gli era capitato di provare.
Dopo il primo momento di stordimento, Kevin recuperò subito il terreno perduto. Avanzò anche lui di un passo, lo sguardo mascherato dietro un’espressione di durezza e fermezza. “Sentiamo, allora, visto che sembri esserti appena laureato in psicologia. Quale sarebbe la ragione principale?”
“Non vuoi essere messo da parte.”

 

 


****

 

 

 

Le urla si potevano sentire sin dal corridoio ed esse aumentavano di volume e intensità man mano che ci si avvicinava al camerino da cui provenivano. Si faticava a carpire il senso delle parole usate ma era il tono di uno dei due litiganti che lasciò immobile Brian sui suoi passi mentre rami di quello che gli era successo incominciavano a intrecciarsi attorno a lui.
C’erano momenti in cui bastava anche il più piccolo dettaglio per rimettere in moto tutto, ricordi, immagini e sensazioni che se ne erano sempre stati nell’ombra. Quegli attimi erano paralizzanti, era come essere risucchiati via da un vortice che solamente lui poteva vedere e percepire. I suoni arrivavano ovattati, confusi insieme a quelle parole che facevano parte del flashback che ora lo teneva prigioniero. Le pareti del corridoio sembrarono trasformarsi, perdere quel beige opaco e diventare sempre più chiaro, più pallido e sporco; qua e là, pezzi di intonaco che si stavano per staccare o che erano già caduti e che giacevano sul pavimento. Non c’erano più le piastrelle, quadrati perfetti e lucidi sotto la luce delle lampade, ma sotto i loro piedi, i suoi piedi, c’era il terriccio e detriti che scricchiolavano ad ogni passo. Era piccolo e angusto quel capanno, non vi era luce e l’aria era satura di umidità e di chiuso ma c’erano avvolti a loro altri odori e Brian avrebbe potuto elencarli uno alla volta, persino in ordine alfabetico. Ma la sua attenzione era attratta da quelle parole che gli venivano scagliate contro, sillabe colme di una rabbia e una violenza di cui ancora non riusciva a comprende il motivo e che andavano a sottolineare i pugni e calci che gli impedivano di continuare, o almeno provare, a scappare.
Scosse la testa, rammentandosi che non si trovava più in quel capanno e che non vi avrebbe fatto più ritorno. Lentamente tutto ritornò alla normalità, le pareti ritornarono stuccate di bianco panna, con quadri e manifesti dei più gloriosi e importanti concerti tenuti in quell’auditorium, le piastrelle ritornarono ad essere lucenti e gli unici suoni distinguibili erano le voci di Nick e Kevin.
“Bri? Tutto bene?”
La voce di Howie fu un appiglio molto più reale a cui aggrapparsi. Solo allora si accorse di quanto le sue unghie si fossero conficcate nella pelle o dei tremori che facevano vibrare i nervi sotto la pelle.
“Quasi.” Rispose con un respiro affannato, riuscendo in qualche modo a sorridere. Lasciò uscire un respiro, ne espirò un altro e ripetè il tutto per più di una volta, sempre sotto l’attento sguardo di Howie. Attento ma con un velo di preoccupazione, pronto con mille domande sulle lingua ma cercando di trattenersi.
Così, optò per una battuta. “Credo che Kevin abbia fregato tutti.”
Brian alzò lo sguardo, confuso da quelle parole. Solo dopo qualche secondo comprese l’ironia e scoppiò a ridere anche lui. “La mia solita fortuna.”
“Direi che anche Nick è molto fortunato.”
“Meglio andarlo a recuperare o non avrò più un fidanzato.”
“O un cugino.”
La seconda risata arrivò più naturale, meno affannosa e più liberatoria. “Non sarebbe così triste. – Ribattè con ironia Brian. – Anche se la zia non credo che mi farebbe una statua.”
Aperta la porta del camerino, Brian e Howie si ritrovarono di fronte ad una scena insolita. Solitamente, quando Nick e Kevin litigavano, ci voleva sempre qualcuno che si mettesse in mezzo tra i due per evitare che arrivassero a spintoni e schiaffi. Epica era ancora la scena di Nick che mordeva la coscia di Kevin qualche anno prima. Non quella volta, però, dove i due ragazzi si trovavano ai lati opposti della stanza ed un divano a dividere come se ci fossero due fazioni.
“Che cosa sta succedendo?” Domandò Brian, alternando il suo sguardo fra Nick e Kevin.
Per qualche secondo, non volò nessun suono. Kevin mascherò qualsiasi emozione dietro la sua storica espressione fredda, pronto a negare che ci fosse stata la benché minima discussione fra lui e Nick e la ragione era molto semplice: non voleva discuterne con Brian, non solo per quel suo onnipresente senso di protezione verso il minore. In realtà e in completa onestà, non era ancora pronto ad affrontare quel discorso, non senza delle valide motivazioni oltre al “non voglio che ti faccia del male.”
Ma non aveva contato su Nick o, meglio dire, non aveva tenuto conto della sua reazione, credendo che anche lui volesse risparmiare a Brian quell’ulteriore stress.
Nick, infatti, si avvicinò a Brian, circonda dogli la vita con un braccio. “Sa di noi. – Dichiarò senza tanti giri di parole, continuando a mantenere lo sguardo su quello del maggiore. – E non ne è affatto contento.”
“Mi sarei stupito del contrario.” Mormorò Brian, incrociando le braccia sul petto.
“Brian...”
“Sentiamo, quali minacce hai usato questa volta?”
Per un secondo, Kevin si ritrovò sorpreso dalla reazione di Brian. O, forse, non avrebbe dovuto esserlo, conoscendo quanto testardo potesse essere il cugino. Ma rispetto a come lo aveva visto in quelle settimane, era strano e shockante vederlo così combattivo. Avrebbe però dovuto immaginarselo, specialmente dopo quel discorso che gli aveva fatto il giorno prima – possibile che fosse stato solo ventiquattr’ore prima? – e di come voleva lottare per quel nuovo amore.
“Alcune erano alquanto divertenti.” Aggiunse Nick, sorridendo soddisfatto.
“Posso immaginare. - Rispose Brian, facendo un passo in avanti. – Kevin, se hai qualcosa in contrario, è a me che ne devi parlare.”
“Io volevo solo...”
“So benissimo che cosa volevi fare: spaventare Nick in modo che scappasse, così che tu potessi fare l’eroe salvatore un’altra volta.”
“Vuoi davvero fare questa conversazione con lui presente?”
Brian non si scompose, nonostante sapesse che quella domanda non era altro che una provocazione. E anche Nick ne era consapevole, lanciandogli uno sguardo colmo di rassicurazione e di complicità.
 “Ci puoi lasciare da soli?” Gli domandò, cogliendo l’ombra passeggera di preoccupazione nei suoi occhi. Gli angoli della bocca si curvarono in un flebile sorriso, una sottile rassicurazione che sarebbe andato tutto per il meglio.
Poteva farcela.
Doveva farcela.
Voleva farcela.
Nick annuì con un cenno del capo e lanciò un’ultima occhiata torva all’indirizzo di Kevin. “Ti aspetto in macchina.” Sussurrò in un orecchio a Brian prima di uscire dalla stanza.
Per qualche secondo, i due cugini si osservarono senza dire niente. In Brian, per la prima volta, vibrava la rabbia verso il maggiore; fino ad allora, non aveva mai provato a ribellarsi perché, in fondo, sapeva che Kevin lo faceva dettato da senso di colpa e protezione. Ma non era più quel Brian, non era più quel ragazzino che aveva avuto paura di togliersi dall’ombra e iniziare a camminare verso la luce del sole.
“Brian...”
Brian alzò la mano. “No. Niente Brian. Che cosa pensavi di fare? Spaventare Nick così tanto da costringerlo a lasciarmi, in modo da poter recitare ancora una volta la figura dell’eroe? - Domandò con tono sarcastico. – Lascia che ti chiarisca una cosa, sin dal principio. Qualunque tecnica di terrore che tu possa anche solo minimamente pensare di utilizzare non funzionerà questa volta. Non su di me e tantomeno su Nick. Lo conosci, è più testardo e ostinato di me, soprattutto se significa mettersi contro di te e provarti che stai sbagliando.”
“Quindi, è per questo che lo fai? Dimostrarmi che sbaglio nel ritenere questa vostra cosa come qualcosa di passeggero?”
Se ci fosse stato ancora qualcuno in quella stanza, essi si sarebbero sentiti testimoni oculari di un singolare duello durante il quale i due contendenti si osservavano a lungo, pronti a sfoderare una mossa e prevenire quella dell’avversario.
Eppure, non avrebbe dovuto essere così, Brian non avrebbe dovuto difendere le sue decisioni di fronte allo sguardo giudicante del cugino. Era stanco di quel continuo nascondersi, di persone che vedevano solamente tutte le sue debolezze e tralasciavano la forza che lo aveva portato a rinascere da quelle ceneri.
“No. Puoi pensarla come vuoi, non mi interessa. Non voglio di certo sprecare energie inutilmente in continue dimostrazioni. Sono stanco di tutto questo gioco. Perché per anni è tutto ciò che ho fatto, continuare a dimostrare a tutti che potevo farcela, dimostrare ai miei che potevano lasciarmi partire senza avere attacchi di panico, dimostrare al mondo che non ero più quel bambino. Dimostrare che potevo essere un ragazzo normale, nonostante tutto. E ora dovrei dimostrare anche che posso avere una relazione con Nick? No, qui finisce tutto. Non devo dimostrarti niente, Kevin.”
Kevin si lasciò sfuggire un sospiro, sperando di far uscire con esso parte della frustrazione. Non era arrabbiato con Brian, comprendeva in parte il suo punto di vista e più di qualsiasi altro voleva che lui fosse felice.
Ma non così, non gettandosi in qualcosa solamente per sfuggire da ciò che ancora lo tormentava.
Ma non con Nick, che a malapena era in grado di prendersi cura di se stesso. E senza sapere nulla, come poteva Nick proteggere Brian?
“Ancora non capisci, vero? – Mormorò Brian, sottotono e sconfitto da quell’ostinata incomprensione. – Non ho bisogno di protezione, non ho bisogno di essere costantemente messo sotto osservazione perché potrei crollare. Non dico che sono guarito, non lo sarò mai completamente, ma... ho bisogno di vivere. Come qualsiasi altro ragazzo. E’ chiedere troppo?”
Kevin non era pronto ad arrendersi, una parte di lui continuava a credere ed essere fermamente convinto di essere nel giusto e lui sapeva anche l’origine di quella spinta. “Quindi continuerai a fare come hai sempre fatto? Dimenticherai ciò che ti è successo fino alla prossima volta che qualcosa ti ricorderà ciò che è successo?”
“No! – Esclamò Brian, questa volta impossibilitato a trattenere la frustrazione. – No. Mi sono sempre nascosto, questo lo ammetto. Ammetto che non è stata la decisione migliore e ora sto pagando le conseguenze. Ma non voglio più nascondermi né lasciarmi condizionare. Voglio vivere, non semplicemente sopravvivere a pelo dell’acqua.”
“Con Nick? Con Nick che non sa nulla?”
“Lo saprà. Non ora ma lo saprà. Un giorno, glielo dirò.”
“E non hai più paura della sua reazione?”
“Avrò sempre paura. Ma so che, qualunque sarà la sua reazione, non sarà mai contro di me. E l’ho imparato oggi. Howie mi ha ignorato per tutto il giorno ma non perché non voleva avere più niente a che fare con me ma perché non sapeva come affrontare una cosa del genere. Ne abbiamo parlato e, per me, è stato come togliermi un piccolo peso.”
“Quindi lo racconterai anche agli altri?”
“Altri... manca solo Aj. Credo di sì. Con lui sarà un po’ più difficile ma... non è giusto nei loro confronti. Non è giusto nei tuoi confronti.”
“Miei?” Domandò Kevin, gli occhi sgranati per la confusione.
“Sì. In questa storia, non sono l’unica vittima. Forse io ho ancora le cicatrici inscritte sulla pelle ma le tue sono soprattutto nell’anima. Ed è anche colpa mia se non sei mai riuscito a guarirle. Ti ho costretto a essere sempre quello forte, sempre quello che doveva occuparsi di tutto senza mai permetterti di crollare. Il punto non è che io ora stia con Nick o meno, il punto è che arrivato il momento di lasciarci alle spalle questa storia. Non permettere a Tyler di continuare a tormentarci, non dargli anche la soddisfazione di continuare a rovinare la nostra vita.”
Per un momento, Kevin pensò di trovarsi in una realtà parallela a quella che stavano vivendo fino a qualche attimo prima. Perché fino a quel momento, entrambi erano stati arrabbiati e la rabbia di Brian era stata palpabile nel modo in cui aveva tenuto le dita strette nelle pieghe della felpa. Ma ora, invece, il suo sguardo era differente, l’arrabbiatura era scemata via e si era trasformata in una maturità mista a compassione che, come sempre, lasciava interdetto Kevin.
“Non puoi chiedermi di perdonarlo. Forse tu puoi farlo, anche se non riesco nemmeno a concepire come. Ma non puoi chiedermi di...”
“Non te lo sto chiedendo. Ti sto chiedendo di perdonare te stesso.”
“Me?” Urlò Kevin.
E fu di fronte a quella reazione che Brian intuì di averci visto giusto, di aver colpito l’origine di tutta quella rabbia rivolta verso Nick e verso il loro rapporto.  
“Mi hai sempre detto che dimenticare, buttare tutto nel dimenticatoio e non affrontare ciò che era successo, non era la terapia giusta. Ma anche tu hai fatto così, ti sei scordato che Tyler era prima di tutto il tuo migliore amico. E che ti ha tradito. Più di qualsiasi altra persona. E ora hai paura che Nick possa fare lo stesso, temi che ti possa colpire alla schiena esattamente come ha fatto lui...”
Kevin lo interruppe prima di poterlo lasciare finire. “Non stiamo parlando di me.”
“Certo. E’ sempre stato così, d’altronde. Non abbiamo mai parlato di te, abbiamo sempre parlato di me e dei miei attacchi di panico, dei miei tentativi di autodistruzione e degli incubi. Abbiamo parlato di che cosa fare per proteggere questa storia, abbiamo discusso se dirlo o meno ai nostri manager ma mai, mai, mi hai detto qualcosa che riguardava te.”
“Non c’è niente da dire.” Rispose Kevin a denti stretti.
“Non c’è mai niente. Ecco perché ci ritroviamo in questa situazione.”
“Non stavamo parlando di me. Stavamo parlando di te e della tua idea di...”
“Di cosa? Di finalmente tornare a vivere? Ed è questo che ti spaventa. Se io vado avanti, se io finalmente mi libero dalla tua armatura e scudo, non avrai nessun altro che potrà nascondere i tuoi demoni.”
“Non hai idea di che cosa stai parlando. – Ribatté Kevin, anche se la fermezza nella sua voce si stava lentamente sgretolando. – Stai cercando, come sempre, di girare attorno ai problemi.”
“Io o tu? – Non cedeva, Brian. Non voleva, non quando sapeva di essere finalmente allo stesso livello del maggiore e di poter finalmente essere colui che avrebbe offerto aiuto, invece che richiederlo. Sentirsi forte lo faceva sentire forte. – Perché io non lo sto facendo, li sto affrontando giorno dopo giorno.”
Kevin fece scoccare le labbra mentre incrociava le braccia davanti. “Vuoi dirmi che metterti insieme a Nick è il tuo modo di affrontare tutto?”
“No. Mettermi insieme a Nick non ha niente a che vedere con ciò. Ha solo a vedere con me e con il fatto che... – Brian si lasciò sfuggire uno sbuffo. – Sai una cosa? Non devo giustificare proprio niente. Pensala come vuoi, pensa che Nick mi farà del male, pensa che io sia un idiota. Ma non cambierò idea.”
“Sto solo cercando di proteggerti! Santo cielo, perché non lo vuoi capire?”
La rabbia, mista a stanchezza e fastidio, riesplose dentro di Brian. “Proteggermi? Non ce n’è bisogno, non ho bisogno di protezione. Quella... avresti dovuto proteggermi tanti anni fa.”
Le parole colpirono come se fossero pugnali affilati. Brian vide Kevin sussultare fisicamente ad ogni sillaba, impallidire come se lo avesse realmente preso a pugni. “Scusa non... non avrei mai dovuto dirlo.” Si scusò Brian, conscio di aver usato quelle parole solo per lo scopo di far del male, non perché le pensasse veramente.
“No, hai ragione. Ho fallito ed è per questo che non posso più commettere lo stesso errore.”
Una coltre di silenzio cadde fra i due ragazzi. In quell’assenza di parole, Kevin si voltò e si avvicinò all’unica finestra all’interno della stanza. Quando riprese a parlare, la sua voce aveva perso qualsiasi espressione o tono.
“Non posso dirti che cosa fare, Brian. Questo lo so. Ma non puoi chiedermi di smettere di preoccuparmi o di tentare di tenerti al sicuro. Avrei dovuto farlo tanto tempo fa ed è colpa mia se ti trovi in queste condizioni. Il minimo che posso fare è cercare di rimediare.”
Brian non fece un passo in avanti, come se ci fosse una linea invalicabile fra di loro. “Kevin, l’unico modo che hai per rimediare è perdonare te stesso. E riprendere a vivere. Avrò sempre bisogno di te ma... in modo differente. Non posso legarti a me per la vita, di certo Kristen avrebbe da ridire su ciò.”
La battuta non ebbe l’effetto sperato. Solo Brian accennò ad un debole sorriso mentre, da parte di Kevin, non giunse nemmeno il più piccolo sussulto.
“Mi spiace che tu non riesca a vedere ciò. Mi spiace che, per colpa mia, non riesci a scioglierti da quella ragnatela. Ma se non riesci ad accettare il mio rapporto con Nick, allora... - Brian non terminò la frase, per quanto potesse essere arrabbiato con Kevin, non riusciva a pronunciare quelle ultime parole che sapevano di condanna finale. – Un giorno ti accorgerai di quanto tempo hai perso e incolperai chiunque per averti permesso di lasciarti avvelenare da lui.”
Con quelle ultime parole, Brian recuperò il borsone e il computer di Nick prima di uscire. Lanciò un’ultima occhiata dietro di sé, non aspettandosi realmente un repentino cambiamento nel maggiore ma non potendo impedire alla speranza di vivere per qualche secondo.
Inutilmente.

 

 


***

 

 

 

Il viaggio di ritorno in hotel fu avvolto dal completo silenzio e da un’aura di tensione difficile da spezzare con due parole. Nick e Brian erano seduti sui sedili posteriori, l’uno contro il finestrino mentre osservavano il riflesso dell’altro sfrecciare fra le luci dei lampioni che si stavano accedendo.
C’erano tante cose, tante parole, che Brian avrebbe voluto dire ma sapeva che quello non era il momento migliore: i muscoli tesi, il viso contratto e gli occhi che non lasciavano trasparire nessuna emozione. Almeno apparentemente perché Brian sapeva leggere dietro quell’assenza di sentimenti e sapeva che, sotto di essa, c’era un fuoco di rabbia e ira che cercava di sgomitare e di uscire fuori ma Nick non glielo permetteva.
Continuò a non dire niente ma allungò semplicemente la mano, oltre quei pochi centimetri di spazio e distanza che li separavano, e l’appoggiò su quella di Nick, stretta con fermezza attorno ad una piega dei pantaloni. Con dolcezza, sciolse le dita una ad una, per poi intrecciarle con le sue, ricevendo nel riflesso del finestrino un accenno di sorriso. Bastò quel lampo di luce per riassettare l’animo di Brian e rimettere sotto controllo il panico. Certo, Nick era arrabbiato ma quella rabbia non era rivolta a lui o al fatto che, per colpa sua e di quel segreto, Kevin lo aveva scritto sulla sua lista nera.
Ma sapeva, comunque, che era arrabbiato. Poteva immaginare le parole che Kevin poteva avergli urlato contro, i sotterfugi messi in atto con l’unico scopo di farlo scappare e lì, mentre pensava a quelle parole, sentiva ancora la rabbia ricominciare a montare dentro di lui. Era strano, non l’aveva mai accettata così completamente e senza remore: anche quando in passato lo era stato, arrabbiato, c’era sempre stata una punta di senso di colpa a macchiare quell’emozione.
Non ora. Perché ora poteva tornare a comportarsi come sempre, anche se non era più una maschera per nascondere le sue fragilità. Ora poteva tornare a fare ciò in cui riusciva meglio, ovvero prendersi cura di Nick e far scivolare via tutte le sue insicurezze.
Arrivarono all’hotel e alla loro camera rimanendo sempre in silenzio, sempre quella mano stretta l’una nell’altra che parlava per loro. Fino a quando fu Nick a staccarsi da quell’intreccio.
“Vado a farmi una doccia.” Mormorò a Brian, abbassando il viso quel tanto per sfiorare la fronte del ragazzo con un bacio.
“Nick?” Lo richiamò Brian.
Nick si voltò, una mano appoggiata allo stipite. “Sto bene.” Disse semplicemente prima di scomparire dietro quella porta.
Entrambi sapevano che era una bugia.
Brian sapeva che era una bugia, bastava uno sguardo a quei nervi ancora tesi sotto la pelle per capire che no, non stava bene. Ma si stava trattenendo per beneficio suo. O forse per beneficio di se stesso, perché non voleva accettare che le parole di Kevin avevano avuto effetto su di lui e che, silenziose, si stavano costruendo un’abitazione dentro la sua anima.
E ciò non poteva permetterlo.
Aprì la porta del bagno e, per qualche secondo, rimase semplicemente ad osservare Nick. Era ancora vestito, un altro segno che la doccia era solamente la scusa per sfuggire via e nascondersi.
Era qualcosa che avevano in comune.
Silenziosamente, si avvicinò a lui e, come quella mattina – davvero era successo solo qualche ora prima? – coprì la schiena di Nick con il suo corpo, appoggiando la fronte sulla maglietta e circondandogli la vita con le braccia. Per un secondo, i muscoli sotto di lui rimasero tesi; poi, come a comando, seguirono il sospiro che Nick si lasciò sfuggire prima di appoggiare le mani sopra le sue.
“Non sono arrabbiato con te, Bri – bear.”
“Lo so.” Rispose Brian con un bacio nell’incavo delle scapole.
“Non lo sono nemmeno con Kevin.”
“Bugiardo.”
 Un altro lungo respiro ma Nick non disse nulla.
“Kevin non è realmente arrabbiato con te.” Iniziò a dire Brian.
“A me lo sembrava abbastanza.”
“Lo sai che è abbastanza contorto come persona. – La battuta, involontaria, fece sorridere Nick. – Ma non ce l’ha davvero contro di te né è fermamente convinto che tu possa farmi del male. E credo che tu abbia capito che, per male, non intende un tradimento o un cuore spezzato.”
“Questo l’avevo intuito. E’... – Nick si inumidì le labbra prima di continuare la frase. Pur sapendo che stava rischiando, non aveva mai posto domande dirette su quell’argomento e, in un certo, voleva mettere alla prova quella fiducia di cui tanto si era beato contro Kevin. - ... ha a che fare con ciò che ti è successo? Il famoso segreto?”
Fu il turno di Brian di irrigidirsi, un mezzo respiro soffocato dalla maglietta di Nick. Nick reagì in automatico, copiando quel gesto di conforto che lo stesso ragazzo aveva fatto qualche minuto prima in macchina. E sentì, percepì sotto le sue dita, il momento in cui la tensione lasciò quel corpo stretto attorno al suo.
“Sì. – All’inizio fu un sussurro ma che, nel silenzio, risuonò forte. – Sì. Non... non riguarda solo me. Anche se a Kevin piace pensarla in questo modo. Ed ecco perché è furioso. Se c’è qualcun altro a prendersi cura di me, se io mi rivolgo a qualcun altro, lui dovrà vedersela con i suoi demoni.”
“Quindi, è arrabbiato non con me ma per ciò che rappresento?”
Forse era da codardi ma Brian non riusciva a staccarsi dalla protezione offerta dalla maglietta in cui si stava nascondendo, perché solo così poteva riuscire a lasciar parlare un pezzetto di quel vecchio Brian senza sentirsi sprofondare sotto la paura di che cosa Nick avrebbe potuto pensare.
“Era... era il suo migliore amico. Chi mi ha fatto del male, intendo. Si fidava di lui e invece... – Brian scosse la testa, allontanando quelle immagini che stavano ritornando ad inseguirlo. – Ha paura che possa succedere ancora. Ha paura di fallire.”
Nick si voltò, pur lasciando intatto l’intreccio di Brian. Appoggiò le mani sulle braccia del ragazzo, lottando contro l’istinto di alzargli il mento e poter osservare direttamente i suoi occhi, che tanto avrebbero lasciato trasparire più delle semplici parole. E, forse, proprio per quello non lo fece. Perché aveva paura di che cosa si sarebbe ritrovato a fissare.
“Ha paura di poter deludermi ancora. E crede che questo sia l’unico modo che ha per ripagare la sua colpa. E ormai ho abbandonato ogni tentativo per fargli capire che non ce n’è bisogno e che non l’ho mai incolpato.”
“Ora si capiscono molte cose.”
“Già.”
“Anche con Leighanne... anche con lei, si è comportato in questo modo?”
“No. - Ammise Brian. – Ma non perché si fidasse di più o altro. Semplicemente, perché era differente.”
“Lei era una donna.”
“Non solo per quello. Non ero innamorato di lei, non come lo sono di te. Non le ho mai detto niente e quando mi succedeva qualcosa, sia un attacco di panico o qualsiasi altra cosa, andavo sempre da Kevin. Ecco perché questa cosa, la nostra relazione, lo spaventa. Perché se ho bisogno di conforto, vengo da te. Se ho paura, sei tu che cerco. Non più Kevin.”
Per qualche secondo, Nick non rispose, un groppo in gola non permetteva alle parole di formarsi e librarsi lontano dalle sue labbra. Quella fiducia in lui era troppa, lo sopraffaceva in ondate che cancellavano ogni pensiero e dubbio. Come poteva farlo quando Brian lo guardava in quel modo e gli offriva ciò che poteva, anche se faceva male?
“Grazie.” Si ritrovò così solo a mormorare.
Ma fu quell’unica parola a far scattare qualcosa in Brian, allontanare le nubi e fargli alzare il viso. “Di cosa?”
“Di questo. Essere onesto con me.” Spiegò Nick, appoggiando le mani sulle braccia del ragazzo.
“E’ il minimo. – Rispose Brian. – Ti ho promesso che un giorno te ne avrei parlato ma... ciò non significa che debba nasconderti tutto fino a quel giorno.”
“Nonostante ciò che pensa Kevin, non ti costringerò mai a dirti ciò che ti è successo. Tutto ciò che ti chiedo è di dirmi quando ti accade qualcosa, qualsiasi. Magari, anzi, molto probabilmente non potrò aiutarti ma almeno eviterò di fare figure barbare e rovinare ciò che abbiamo.”
“Non è facile.”
“Lo so, non lo è nemmeno per me.”
“Ma hai ragione. – Asserì Brian. – Solo se siamo onesti l’uno con l’altro riusciremo a farcela. Il che vale anche per te, Nick. Non aver paura nel riprendermi quando faccio qualcosa che ti fa soffrire.”
“Oh, non preoccuparti. – Rispose Nick con una mezza risata. – Sai che so essere molto melodrammatico.”
“Lo so. E, a patto che non uscirà mai da questo bagno, è una delle cose che amo più di te.”
“Davvero?”
“Sì. – Rispose Brian. – Ma non puoi usarlo come ricatto.”
Nick finse di mettere il broncio. “Ma così non vale!”
“Ritiro tutto quello che ho detto!”
“No, no. Ora non puoi più farlo!”
Quella volta, fu il turno di Brian di mettere il broncio. “Uffa.”
Una risata solleticò entrambe le gole, uscendo dalle labbra e unendosi in un abbraccio, lo stesso abbraccio che aumentò di intensità fra Brian e Nick. Rimasero in quella posizione per qualche lungo secondo, appagati dal fatto che il silenzio non aveva bisogno di essere annullato con parole e sillabe, sazi di poter lenire le loro emozioni semplicemente con quel gesto che trasmetteva più di quanto avessero mai potuto parlando.
“Va meglio?” Domandò Nick.
“Dovrei essere io a farti questa domanda. – Ribattè Brian. – Stai bene?”
“Con te, sempre. - Disse Nick in un respiro. Le sue mani accarezzarono per un’ultima volta le braccia di Brian, risalendo e ridiscendendo per permettere poi alle loro dita di intrecciarsi. Le sue labbra si posarono sulla fronte del ragazzo, depositandovi un bacio. - Devo proprio fare quella doccia.”
“Sì, decisamente.” Confermò Brian con un sorriso.
“Stai dicendo che puzzo?”
“Non ho detto proprio niente.” Fu la risposta del ragazzo, strofinando poi le due punte del naso.
“Hai confermato la mia affermazione.”
“Potrei...”
Le dita di Nick si slacciarono da quelle di Brian, le mani scivolarono lungo la vita e si incontrarono di nuovo dietro la schiena. Per qualche secondo, aspettò la reazione del ragazzo, pronto a lasciarlo libero al primo segno di ansia ma non accadde nulla e così osò, stringendo a sé Brian. All’inizio, egli tentennò indeciso: non vi era paura, però, nonostante quella posizioni richiedeva un grado di intimità da cui era sempre stato lontano. Ciò che rendeva tutto normale, ciò che lo faceva sentire senza ansia e dubbio, erano le braccia che lo stringevano. Era un gioco, uno scambio di doppi sensi che lasciavano preludere a qualcosa di più intenso e mai prima di allora Brian aveva sentito così forte il desiderio di prendervi parte. Ma quasi immediatamente quello venne spinto via da un’unica realizzazione: non era ancora pronto per quel passo e se voleva intraprendere la strada della normalità, avrebbe dovuto fare un passo dietro l’altro.
Strofinò ancora la punta del naso contro quella di Nick e, alzandosi in punta di piede, accarezzò le labbra con le sue.
“In altre circostanze, ti avrei chiesto di farmi compagnia nella doccia.” Sospirò Nick.
“Lo so. E in altre circostanze, avrei risposto di sì ma...”
Nick non lo fece continuare, la punta del suo indice si appoggiò sulle sue labbra impedendo alle parole di volar fuori. “Non importa, davvero. E non sentirti in colpa.”
Brian fece semplicemente un accenno con la testa. “Un giorno.” Promise solamente.
“Un giorno.” Ripetè Nick, non potendo fare a meno di aggrapparsi a quella promessa.
Sull’onta del momento, Brian appoggiò le labbra su quelle di Nick, accarezzandole dolcemente e rimanendo così stretti per qualche secondo. “Grazie.” Sussurrò su di esse, prima di staccarsi. Non con lo sguardo, però, perché i loro occhi continuarono ad osservarsi, quasi come se fossero intenti a continuare una discussione che non aveva bisogno di parole.
E quando Brian si voltò per tornare in camera, gli occhi di Nick continuarono ad osservare la sua figura, domandandosi ancora quale stella avesse deciso di prenderlo sotto la sua ala protettrice e dargli quella possibilità dopo il modo in cui si era comportato. “Bri?”
Il ragazzo si voltò, un piede ormai già sulla moquette della camera. “Sì?”
Un secondo di silenzio, mille parole che sfrecciarono nella mente di Nick senza che riuscisse a pronunciarne nemmeno una; voleva dirgli che lo amava più di qualsiasi altra cosa o persona, voleva dirgli che era spaventato dalla potenza di quel sentimento e che, allo stesso tempo, lo faceva sentire più coraggioso che mai. Sì, Nick voleva dirgli tante cose, scrivere quelle parole sulla sua pelle così non avrebbe dovuto nemmeno pronunciarle ma, alla fine, si ritrovò a dire la più semplice delle verità. “Sei speciale, lo sai?”
Il flash arrivò senza preavviso.
Un momento Brian si trovava in quel bagno, al sicuro insieme a Nick, e il momento successivo si ritrovava catapultato nel passato mentre veniva trascinato nel capanno, mentre ancora le sue dita cercavano di appigliarsi alla sabbia, alla terra, a qualsiasi cosa che gli permettesse di sfuggire. Risentiva nelle orecchie la sua stessa voce, ormai afona, chiedere e pretendere di sapere perché era accaduto proprio a lui.
“Perché sei una persona speciale. E come tale devo proteggerti.”
Durò solo un attimo, quell’unica immagine veloce di due occhi verde smeraldo, prima di ripiombare nella realtà ma gli effetti non smisero solo perché lui si era reso conto di essere al sicuro.
“Bri?”
Brian sbattè le palpebre più volte, cercando di mantenere stabile il respiro. Il tono preoccupato di Nick era un perfetto catalizzatore e su di esso vi proiettò tutte le sue ansie e trovandovi una sorta di forza. Certo, si erano promessi onestà ma in quel caso sarebbe stato impossibile raccontargli ciò che gli era successo lasciando fuori i dettagli.
E Nick, per fortuna, aveva compreso quella sua ritrosia: non si era avvicinato, era rimasto fermo sui suoi passi ma pronto a scattare in caso di bisogno, in qualsiasi forma richiesta.
“Bri? Tutto bene?”
Qualche giorno prima, sarebbe stato facile mentire. Qualche giorno prima, mentire avrebbe significato non aspettarsi richieste o domande scomode. Ora, invece, mentire avrebbe significato mettere una piega in quel rapporto, nuovo, che si stava creando. E la bellezza di ciò risiedeva in quella fiducia che sempre aveva contraddistinto la loro amicizia, in quel privilegio di non sentirsi in dovere di spiegare il perché di quel malessere.
“No.” Si ritrovò così a sussurrare, abbassando lo sguardo.
Nick, indeciso su che cosa fosse la cosa giusta fare, pronunciò le uniche parole che sapeva non sarebbero risuonate ridicole o futile. “Io sono qui.”
E funzionarono. Un timido accenno di sorriso apparve sul volto di Brian, insieme ad alcune linee di ansia che si assottigliarono fino a quasi scomparire. “Lo so. E...”
Nick non lo fece continuare. Era implicito, non bisognava esplicare, non serviva spiegare. “Lo so.”
“Grazie.”
La porta si chiuse prima che Nick potesse dire o aggiungere altro e solo dietro ad essa Brian si lasciò catturare da quei sentimenti e demoni che la mera presenza del ragazzo erano riusciti a tenere a bada. Non era panico, non era nemmeno ansia mascherata da timore. Era più che altro paura per quella sconosciuta spirale in cui sembrava lui si fosse infilato e di cui sembrava non esserci un modo per fermare la corsa.
Un conto erano gli incubi. Poteva affrontarli, poteva lasciarseli scivolare via con pochi effetti collaterali; non era facile, rivivere quell’esperienza pezzo per pezzo era qualcosa di cui avrebbe fatto a meno ma, almeno, quello veniva circoscritto alla camera d’albergo. Nessun’altro vedeva e da quando lui e Nick stavano insieme, il suo sonno era stato costellato da sogni senza immagini. Poco rassicurante, certo, ma almeno non si era svegliato all’improvviso urlando e cercando di sfuggire dal suo aggressore e lui sapeva che parte di quel successo era solo grazie alla presenza di Nick, come se le sue braccia strette attorno a lui creassero una barriera invalicabile per i suoi demoni.
Ma quello?
Quello era imprevedibile, qualsiasi gesto, parola o situazione poteva scatenare un ricordo, rigettarlo in quell’incubo senza che gli fosse permesso di difendersi. Stava forse diventando pazzo?
Brian si lasciò scivolare per terra, la schiena appoggiata contro lo stipite della porta, e si portò le ginocchia contro il petto. Un passo in avanti, due passi indietro: quando pensava di aver fatto progressi, di essere riuscito a fare qualcosa che lo portasse più lontano da quello che era successo, ecco che subito qualcosa lo riprendeva per le spalle e gli faceva riaffrontare tutto.
Non sapeva che cosa fare. Chiamare Kevin significava rinnegare tutto ciò che gli aveva detto quel pomeriggio ed era ancora troppo orgoglioso per ammettere di avere ancora bisogno del suo aiuto. Una parte di lui voleva semplicemente tornare in quel bagno e accettare l’offerta di Nick mentre l’altra metà voleva cacciare via Nick da quel bagno e rinchiudersi sotto l’acqua, calda o fredda non aveva importanza se non far scivolare via tutti quei rimasugli, gli echi di quella voce che riusciva ancora a fargli venire la pelle d’oca e riprovare la sensazione di totale disperazione mentre non riusciva a liberarsi.
Inspirò a fondo, lasciando uscire lentamente l’aria mischiata all’ansia. Non voleva rovinarsi quella serata, non voleva continuare a rimanere lì, in quella terra di mezzo senza nessuna direzione.
Di istinto, si alzò in piedi e si diresse verso la finestra, aprendola per fare entrare l’aria frizzantina della sera che stava calando. Rimase qualche secondo rapito nell’osservare le luci di New York, piccoli rimembri di ciò che era riuscito ad ottenere, il ragazzo che era diventato e che ancora poteva diventare. Quella vista, in un modo che non riuscì a comprendere, riuscì a infondergli un senso di pace che poche volte, in quei momenti particolari, era riuscito a provare. Non c’era bisogno di lasciarsi prendere dal panico solo per un ricordo e non c’era nemmeno bisogno di far finta che fossero memorie di un’altra persona, non sue. Era stato quello il suo errore e ora ne stava pagando le conseguenze, riavendo quella cicatrice aperta nuovamente all’aria. Doveva solo imparare a conviverci e a combatterla.
E non era più da solo.
Con quel pensiero, Brian si voltò, deciso a sdraiarsi sul letto e ascoltare un po’ di musica mentre aspettava che Nick terminasse la sua doccia. Sul letto, quasi una coincidenza, giaceva abbandonato il computer di Nick: si ricordava di averlo recuperato dal camerino e, a quanto pare, anche Nick si era dimenticato della sua esistenza visto che lo aveva lasciato in standby. Alzando gli occhi verso l’alto sconsolato, recuperò dal borsone il cavo e la batteria, sicuro che una volta aperto il portatile, questo si sarebbe eclissato per un più che meritato riposo. E come si era dimenticato il portatile acceso, così Nick aveva fatto anche con pagine di internet e documenti rimasti aperti, presumibilmente lasciati così quando Kevin era entrato come una furia nel camerino.
Non avrebbe voluto sbirciare ma era difficile chiudere le finestre tenendo gli occhi chiusi. Così, non poté evitare di leggere il nome della pagina aperta e, mentre chiudeva il documento di Word, acchiappare qualche parola qua e là, e bastò tutto ciò per capire che cosa Nick avesse voluto cercare.
Il pensiero dietro quel gesto fu sufficiente per far apparire delle lacrime nei suoi occhi e, per quella volta, le lasciò scivolare via senza sentirsi imbarazzato o vergognarsi di esse. Non era lui l’essere speciale, oh, certamente no. Era Nick la persona speciale fra di loro, così speciale che a stento lui sentiva di meritarlo davvero. Che cosa aveva fatto in quei giorni? Aveva pianto, quasi sempre ormai, e si era aggrappato a Nick risucchiando qualsiasi energia e affetto, senza mai offrire niente in cambio. E no, non voleva che il loro rapporto diventasse così sbilanciato, non voleva dipendere così tanto da Nick.
Sì, per una volta voleva anche lui fare qualcosa per Nick, anche solo una cosa stupida, giusto per fargli capire che non sarebbe sempre stato quello l’ordine naturale della loro relazione e che potevano avere anche loro quella magica prima fase in cui tutto sembrava essere preso da un film.
E Brian voleva quello. Voleva la normalità di un primo appuntamento, la normalità di una cena in cui le parole potevano essere omesse per lasciare ai gesti e agli sguardi il palco per conversare. E se fino a quel momento aveva pensato di non poterle mai avere, di essere per sempre relegato a sognare, illudersi e accontentarsi di quel poco che il suo corpo e la sua mente poteva sopportare, ora poteva finalmente sentire il desiderio librarsi libero, senza secondi pensieri o dubbi impliciti. Ne era ancora spaventato, certo, ma era sicuro che Nick non lo avrebbe costretto a fare o dire cose di cui ancora non era pronto.
Il panico di qualche minuto prima sembrò scomparire mentre Brian si allungava per recuperare il telefono.
“Buonasera, avrei bisogno di un favore...”

 


 

****

 

 

 

Non avrebbe voluto rimanere così tanto tempo sotto la doccia ma i minuti erano sembrati scivolare via insieme ad ogni goccia che cadeva sopra il suo corpo. L’acqua calda, all’inizio, aveva fatto miracoli sui muscoli ancora tesi delle spalle e della schiena: la conversazione avuta qualche momento prima con Brian aveva già fatto sciogliere i nodi più duri, lasciando sul pavimento i rimasugli della rabbia che le parole di Kevin avevano fatto insorgere. Molte delle accuse che gli aveva lanciato il maggiore erano paure e paranoie che avevano albergato nella sua mente da tempo; erano i dubbi che lo avevano portato a comportarsi come un pazzo psicopatico per poi pregare e implorare un perdono che era giunto anche fin troppo facilmente. Ma non poteva deludere tutta quella fiducia che Brian aveva posto in lui ed ecco perché ci stava davvero provando a essere più responsabile, più maturo... più materiale da fidanzato che da fratello minore. Ma il dubbio era sempre lì, insidiato dentro di lui, e quelle parole lo avevano colpito più di quanto avrebbe voluto ammettere.
Come sempre, ci aveva pensato Brian a rimettere in ordine il suo mondo. Anche se, quella, era stata la conversazione più onesta che avevano avuto: per la prima volta, Brian aveva lasciato traspirare quel segreto che si portava dietro, lasciando indizi liberi di essere raccolti e racchiusi in un angolo.
Non aveva compreso molto, ovviamente, ma la verità che lo aveva riportato a sorridere era stata rendersi conto che Brian si fidava di lui, nonostante ciò fosse per lui ancora un territorio totalmente nuovo a esplorare. E ciò... ciò lo rendeva più forte, più sicuro sul legame che ora si era creato fra lui e Brian.
Nick finì di lavarsi i capelli e, dopo essersi concesso qualche secondo in più sotto un getto di acqua fredda, aprì la porta della doccia e recuperò l’asciugamano. Anche per lui si trattava di un nuovo territorio, ancora da esplorare completamente e questo semplicemente perché non aveva mai avuto quel tipo di relazione e di corteggiamento. In passato, se gli piaceva qualcuno o qualcuna, non esistevano mezzi termini o troppe riflessioni: una serata in un locale, qualche ora nella sua camera d’albergo o sul suo tourbus e centinaia e centinai di messaggi dall’alto tono di flirt e malizia. Con Brian, sapeva di non poterlo fare, non almeno ai livelli a cui era abituato.
Eppure, ciò non lo faceva sentire completamente alla deriva. Insieme, lui e Brian avrebbero trovato un modo per incontrarsi a metà strada e trovare, creare, il loro sentiero costellato di prime volte. E, se proprio doveva ammetterlo, quella prospettiva era decisamente più eccitante di quanto mai avesse immaginato.
Si voltò per recuperare i vestiti che prima aveva abbandonato sul pavimento ma trovò le piastrelle completamente vuote; si guardò in giro e il suo sguardo si posò sul water sulla cui superficie vi era una pila di vestiti, Brian doveva averli portati mentre lui era sotto la doccia: una camicia bianca ed un paio di jeans neri. Non poté fare meno di domandarsi che cosa avesse in mente il ragazzo e, soprattutto, non vedeva l’ora di prendervi parte.
Ma niente di ciò che aveva pensato si avvicinò a ciò che Nick trovò una volta riemerso dal bagno. La stanza era avvolta dalla penombra mentre varie candele rilasciavano luce e un profumo di oceano soffuso; la sera era scesa, assieme alla luna e un venticello faceva gonfiare le tende, lasciando intravedere lo sfavillio delle luci newyorkesi. Il tavolino che prima si trovava sul terrazzo era stato portato all’interno, decorato con una tovaglia rossa, dei bicchieri e delle posate. Lì accanto, intento ad accendere le ultime due candele, vi era la persona responsabile di quella sorpresa. Per qualche secondo, appoggiato con la spalla allo stipite della porta, Nick non fece altro che osservare il ragazzo, ammirando come anche una semplice camicia blu scuro riuscisse a far risaltare l’azzurro degli occhi. Ma forse il dettaglio più attraente in quel momento era quel sorriso, naturale e finalmente privo di ogni forzatura, che illuminava il volto di Brian più di quanto potesse fare la luce della candele. Era un sollievo perché sì, doveva ammetterlo, si era preoccupato per quella piccola ombra che aveva oscurato Brian per qualche secondo, nascondendolo quasi come non fosse realmente lì ma ovunque quel segreto che si portava dentro aveva avuto origine. Non lo aveva forzato a dirgli che cosa era successo, consapevole che spettava a Brian decidere se spiegarsi o meno. Era frustante, certo, perché era sempre un gioco di indovinare e sperare di fare la cosa giusta e a volte, quando ci riusciva, non sapeva nemmeno dire o indicare che cosa avesse fatto, in modo da ricordarlo per il futuro. Per cui, vedere Brian come lo aveva sempre ingenuamente idealizzato, ovvero come una persona senza nessun segreto o buco nero, era la visione più attraente e appagante che potesse desiderare e cancellava qualsiasi dubbio riguardo a ciò che era accaduto poco prima.
E quando Brian si accorse della sua presenza, Nick poté giurare che il suo sorriso diventasse ancora più splendente e una sferzata di calor avvolse il petto. “Pensavo di avere ancora un po’ di tempo. Le pizze non sono ancora arrivate.”
“Pizze?”
“Lo so, con quest’atmosfera ti saresti aspettato qualcosa di più elegante e sofisticato ma non so ancora quanto il tuo stomaco possa sopportare dopo l’altra notte. Così ho ordinato, anzi fatto ordinare, due pizze da quella pizzeria che ti piace così tanto.”
“Ma non fanno consegne.”
“So essere molto convincente.”
“Ne so qualcosa. – Rispose Nick, annullando gli ultimi centimetri di distanza fra lui e Brian. – Quante volte mi hai convinto a chiedere scusa a Kevin?”
“Lì non c’entro nulla. Era il tuo senso di colpa.”
“Uhm. Può darsi.”
“E, comunque, non sono l’unico ad avere quel potere. Howie è riuscito a convincere Kevin a seguirlo in un locale.”
“Quindi abbiamo tutto il piano per noi?” Nick non chiese di Aj, non solo perché era cosa ormai nota che la sera il ragazzo la preferiva trascorrere fuori dagli alberghi. Anche se pochi erano a conoscenza che la maggior parte di quelle ore venivano passate in un incontro dell’Alcolisti Anonimi.
“Tutto per noi. Ecco perché ho tenuto la nostra porta aperta, altrimenti non potremo sentire quando arrivano le pizze.”
“E sia mai che ciò accada! – Scherzò Nick, osservando attentamente Brian mentre appoggiava le mani sui fianchi di Brian.  – Anche se mi sento stupido a chiederlo, come mai tutto ciò?”
Invece di spostarle, Brian appoggiò le mani su quelle di Nick. “Non posso organizzare una cenetta?”
“Non ho detto che non puoi. Solo che volevo sapere se c’era un motivo speciale.”
“In realtà, c’è. E... – Brian alzò le spalle, cercando di sottolineare come fosse futile quel pensiero. - ... volevo solo fare qualcosa di speciale per te. Per ringraziarti.”
“Bri...” Incominciò a dire Nick ma Brian lo silenziò appoggiando il pollice sulla sua bocca.
“So che non è facile, Nick. Non lo è per me e posso solo immaginare la tua confusione senza nemmeno sapere con esattezza in che cosa ti sei infilato. Per questo ti ringrazio perché, nonostante tutto, non mi tratti come un vaso pronto a rompersi in mille pezzi se solo viene toccato.”
“Bri, è... mi fai sentire come se stessi facendo chissà che cosa. Fintanto che mi lascerai aiutarti, tutto quello che posso fare è amarti.”
“Lo so. – Rispose Brian. – E a me basta solamente questo.” Dai fianchi, le mani di Brian risalirono fino a stringersi attorno al colletto della camicia di Nick. Per qualche secondo, scomparve il mondo esterno, tutto quello su cui Brian riusciva a concentrarsi era il viso di Nick e quel desiderio di baciarlo. Non ne aveva mai abbastanza, non era mai qualcosa di cui poteva averne paura tanto da sfuggire via. Così, come sempre, si alzò in punta di piedi, pronto a sfiorare le labbra quando qualcuno, bussando alla porta principale, interruppe quel momento.
Nick si ritrovò a sospirare mentre Brian si lasciò sfuggire una risatina. “Non ho mai odiato una pizza così tanto.” Gli sussurrò a fior di fronte.
“Non vado da nessuna parte.”
“Certo. Rimani qui.”
“E chi prende le pizze?”
“Io.”
“No!” Rispose Brian, voltandosi di scatto visto che Nick era riuscito a superarlo e già era diretto verso la porta.
“In che senso?”
“Sono io che ho organizzato l’appuntamento, tocca a me...”
“Oh andiamo! Guarda che cosa hai preparato! E’ il minimo che io possa fare!”
“Ma è un appuntamento!”
Con una scrollata di spalla, Nick scomparve nell’altra stanza, lasciando Brian a scuotere la testa divertito. Con l’eco della risata di Brian alle spalle, Nick si diresse verso la porta di ingresso, dopo aver recuperato velocemente il suo portafoglio. Aprì la porta e si ritrovò di fronte un ragazzo di qualche anno più grande di lui, l’uniforme tipica dei corrieri anche se, fra le mani, non portava solamente le due pizze ma anche un mazzo di fiori azzurri.
“Da quando fate anche consegne di fiori?” Domandò accigliato e confuso.
“Oh no. – Rispose il ragazzo, anche se il suo viso era nascosto dal mazzo. – Ho incontrato un gruppo di vostre fans che mi hanno chiesto di portare su questi fiori.”
“Gentile da parte tua.” Fu il commento di Nick, prendendo le pizze e i fiori dalle mani del ragazzo. Liberato la visuale, si ritrovò di fronte al viso di un uomo, non di un ragazzo: un accenno di barba nera che poco nascondeva una cicatrice sull’angolo destro della mascella. Ma furono gli occhi a catturare la sua attenzione, una variazione più fredda e glaciale di quella tonalità di verde che aveva visto solo negli occhi di Kevin. C’era qualcosa, però, in quello sguardo che lo metteva a disagio così pagò le pizze il più velocemente possibile.
Ma quella sensazione negativa venne subito cancellata non appena rimise piede in camera, nel vedere gli occhi di Brian che si illuminarono di curiosità quando si posarono su quel punto blu che teneva in una mano mentre l’altra reggeva le pizze fumanti.
Non disse niente, alzò semplicemente il sopracciglio mentre Nick gli passava il mazzo.
“Fiori?”
“Cortesia da parte delle fans.”
“Non credo che avessero idea che sarebbero stati usati in un appuntamento.”
“Di certo non lo sapranno mai.”
“Però... strana scelta.” Mormorò Brian, osservando con attenzione i fiori.
“In che senso?”
“Solitamente, ci regalano rose. Sempre rosse, per indicare la passione che provano nei nostri confronti.”
“Qualcuno ha studiato il significato dei fiori?”
“Sono cresciuto in campagna, i fiori sono la prima cose che impari indipendentemente dall’essere maschio o femmina. E ti procurano punti in più con le ragazze.”
“E questi che fiori sono?”
Non Ti Scordar Di Me. Ecco perché sono strani, non sappiamo nemmeno chi siano. Come possiamo ricordarci di loro?”
Nick si avvicinò a Brian, prese i fiori e li confuse insieme agli altri già presenti nell’unico vaso nella stanza. “Tu pensi troppo. – Lo ammonì con un buffetto sulla guancia. – Forse erano gli unici fiori che avevano trovato. E, qualsiasi sia la ragione, non ha importanza. Anche perché hanno ragione, almeno per me.”
“In che senso?”
“Non ti scordar di me. – Rispose Nick. – O della pizza.”
La risata di Brian risuonò di allegria. “Tanto ci penserà il tuo stomaco a ricordarci della pizza.”
Nick lo fulminò con uno sguardo a metà fra l’arrabbiato ed il divertito mentre appoggiava una scatola sul letto e l’altra ai piedi di esso.
“Nick, noi ci dormiamo.”
“Non sopra.”
“E con questo? – Domandò di ribatto Brian. – Non ho fatto preparare il tavolo per niente.”
“Lo so ma... ti fidi?”
“Dipende.”
“Da che cosa?”
“Da ciò che hai in mente.”
“Niente di che. Qualcosa di diverso della solita cenetta. – Rispose Nick, buttandosi su un lato del letto e posizionando poi la pizza in mezzo. – Avanti, vieni.” Aggiunse poi, sbattendo la mano sul piumone.
Brian lo issò ancora indeciso per qualche secondo per poi sbuffare, sospirare e infine prendere posto dalla parte opposta, non prima di aver recuperato da bere e dei tovaglioli.
“Ok, genio del romanticismo, qual è la nostra prossima mossa?”
Gli angoli della bocca di Nick si curvarono in un sorriso, coadiuvato da un tocco di bacio sulla guancia di Brian. “Semplice: mangiamo e parliamo.”
“E di cosa?”
“Di tutto.”
Brian all’inizio pensò che sarebbe stato qualcosa che si sarebbe esaurito nemmeno a metà pizza, visto che non esisteva più nulla che lui e Nick non conoscessero dell’altro; e non era solo un mero fatto di essere l’uno il migliore amico dell’altro ma più il semplice motivo di stare insieme da quasi ormai dieci anni. Che cosa non potevano sapere dell’altro?
Ed invece, fu proprio quello che accade. Tra una fetta e l’altra, Brian e Nick si ritrovarono a spolverare fatti che, in passato, avevano semplicemente accennato o non considerato importanti da raccontare. Brian si ritrovò a domandare a Nick di quei primi anni dell’infanzia trascorsi proprio lì, nello stato di New York e di quanto fosse stato difficile lasciare e poi dover creare nuove amicizie in un luogo totalmente sconosciuto in cui non si conosceva niente e nessuno. In cambio, Brian gli raccontò la versione che non aveva mai raccontato a nessuno di quando Kevin lo aveva chiamato, di come fossero state ore e ore costellate di ansia, litigate e paura che sarebbe bastato ritrovarsi in un luogo più ampio per far accadere tutto di nuovo. Brian disse ciò senza dettagli, ovviamente, ma a Nick non servivano, non almeno in quel momento: la sua curiosità era più attratta da quella velatura di vulnerabilità che prima non aveva mai visto, nascosta dall’eccitazione di che cosa quel giorno avesse portato nelle loro vite. E più Brian raccontava, immagini intrecciate fra loro di quelle prime settimane, e più Nick non poteva fare a meno di sorridere mentre si rendeva conto di quanto fossero sempre stati più simili di quanto immaginato. Perché quel giorno non era stato unicamente lui l’unico che si era sentito, come sempre, messo in disparte. Certo, Howie e Aj cercavano sempre di includerlo nelle loro discussioni e lui e Aj avevano già messo in atto qualche scherzo a danno di Kevin, ma gli mancava qualcuno che fosse solamente il suo migliore amico. O, anche solo suo amico. Fra audizioni, trasferimenti e fratelli impiccioni, non aveva mai avuto la fortuna di avere una persona del genere e Brian... ora Nick sapeva che Brian era stato letteralmente un regalo divino. Ma la differenza ora che Nick poteva vedere che lui era stato l’identica cosa per Brian ed era quella una verità che gli infondeva sicurezza, riassettandolo più in equilibrio con il ragazzo che aveva sempre visto più in alto di lui.  
Fetta dopo fetta, Brian e Nick si riscoprirono e si conobbero in modi sempre più diversi e sempre più profondi, aprendo nuovi spiragli e lasciando intendere che ancora altro c’era da scoprire. C’erano tutti quegli anni in cui non si erano conosciuti, c’erano le infanzie trascorse su qualsiasi campo pur di giocare e quelle trascorse fra canto e danza; c’erano i mesi in cui si erano allontanati, divisi da amicizie e fidanzate. Non c’era più rancore per come certe situazioni erano andate a comporsi, non provavano più il rammarico o il desiderio di tornare indietro e cambiare, stravolgere, quel periodo della loro vita: senza di essi, non sarebbero stati le persone che erano in quel momento, grati di saper riconoscere qualcosa anche, e soprattutto, grazie agli errori che avevano commesso.
“Prima, in bagno. – Disse Brian in un attimo di silenzio, costringendo Nick ad alzare lo sguardo dalla fetta di pizza che stava per prendere. – E’... ho avuto un flashback.” Aveva dibattuto se confidare o meno a Nick quello che era successo poco prima. Una parte di lui avrebbe voluto tenere il segreto il più a lungo possibile ma la parte più razionale sapeva che sarebbe stato solo controproducente. Quegli attacchi sarebbero continuati ancora a lungo ed era meglio che Nick sapesse fin dall’inizio come riconoscerli.
E, ancora una volta, il minore riuscì a sorprendere Brian con una sensibilità che bastava per fargli desiderare di nascondersi lì, in quelle braccia, ed uscire solamente quando tutto sarebbe terminato. Fu un semplice gesto, quella volta, a lasciarlo sorpreso, come quello di appoggiare la mano sopra la sua.
“E’ stato qualcosa che ho detto?”
Nick non gli stava chiedendo di dirgli che cosa era successo o che cosa aveva ricordato. Non come Kevin che, dopo ogni incubo, gli aveva sempre fatto il terzo grado per scoprire esattamente che cosa si era ricordato. No, Nick stava cercando di capire che cosa avesse fatto, in modo da evitare un simile errore in futuro.
“Non sentirti in colpa.”
“Non lo sono.”
Brian alzò il sopracciglio, gesto che faceva sempre quando sapeva che Nick stava mentendo.
“Ok, forse un pochino. – Rispose Nick con un timido sorriso. – Ma non sono arrabbiato. Non ho motivo di esserlo. Sei stato onesto ed è questo che conta, okay?”
Un cenno con la testa rispose a quella domanda. “Quando mi hai detto che ero speciale.”
“Ok. Ok. Ok. – Bofonchiò Nick, grattandosi la testa. – Allora non ripeterò più quella parola.”
“No. Non... non devi censurarti per causa mia.”
“Vorrà solo dire che dovrò trovare nuovi modi per definirti. Unico? Unico va bene?”
“Sì. – Rispose Brian con un sorriso. – Sì, va più che bene.”
“Allora cambieremo quella parola, che mai pronuncerò, con unico. E, in effetti, ti calza più a pennello. Sei davvero unico.”
Spinto da quel momento, Brian allungò la mano e l’appoggiò sulla guancia di Nick. “Anche tu non sei da meno.” Pronunciò in un sussurro. Fu lì che Brian riprovò lo stesso desiderio provato in bagno e anche quella mattina ma, invece di combatterlo e di esserne impaurito, lo accolse senza remore. Per la prima volta, infatti, agì prima di farsi prendere di mira dai dubbi: si allungò con il corpo e avvicinò il viso fin quando fu a pochi centimetri da quello di Nick. Fissò qualche secondo quella luce di confusione passare sopra l’azzurro degli occhi, prima di sciogliersi in comprensione e pazienza. Sì, Nick lasciò completamente le redini a Brian, rimanendo assorto in quel viso che si stava arrossendo e che appariva sempre più bello ai suoi occhi. E non gli chiuse, no. Continuò ad osservare ogni minimo gesto, dal modo con cui il palmo di Brian rimase sempre poggiato sulla sua guancia, accarezzandola con lievi gesti delle dita, fino al primo ed insicuro tocco di labbra sopra le sue.
Si rendeva conto quanto fosse importante quel gesto per Brian e per il loro rapporto: era un passo in avanti, un passo in quella complicata strada per ritrovare e riconquistare quella parte di se stesso che aveva perso. E sapendo la ragione di quella perdita, pur sempre sfocata e per ora solamente un insieme di indizi ma niente di concreto, Nick si era promesso e ripromesso di fare tutto ciò che gli fosse possibile per aiutarlo. Avrebbe commesso errori, lo sapeva ma, per la prima volta, non gli importava così tanto da bloccarlo sui suoi passi perché anche Brian ne era a conoscenza e non sembrava farsene un cruccio. Più di tutto, per la prima volta, in quel terreno ancora sconosciuto per entrambi, erano alla pari: entrambi spaventati, entrambi dubbiosi ma con quell’inarrestabile voglia di rendere tutto perfetto.
Per qualche attimo, lasciò a Brian tutta l’iniziativa, rendendosi una vittima di fronte agli attacchi di quelle labbra: non era, però, un bacio di quelli che toglievano immediatamente l’ossigeno dalla carica passionale che contenevano. In realtà, era il più dolce e tenero bacio che avesse mai ricevuto, cauto nei suoi movimenti ma, allo stesso tempo, sicuro di ciò che voleva trasmettere ovvero una passione che fino a quel momento aveva fatto fatica a superare le barriere postegli davanti. Con il passare dei secondi, la sicurezza di Brian sembrò trovare sempre più fermezza e consapevolezza rendendo impossibile per Nick continuare a non rispondere, non almeno attivamente. Cautamente, incominciò a lasciar scivolare una mano sul braccio di Brian, per poi farla proseguire lungo il petto e appoggiarsi infine sul fianco. Nemmeno lui sapeva che cosa aspettarsi come risposta ma non lasciò spiragli alla paura, continuando a tenere la mano su quel punto di pelle, coperta dalla camicia.. Sorprendentemente, Brian non si ritrasse ma, anzi, si spinse ancora più in avanti, fin quando solamente le leggi fisiche gli impedivano di aderire completamente al corpo di Nick.
Durò un attimo, forse un minuto, ma quando si staccarono, entrambi avevano l’espressione di chi aveva appena fatto un viaggio in un’altra dimensione. Appoggiarono la fronte l’una contro l’altra, respirando i loro respiri e lasciandosi trasportare nelle profondità dell’azzurro in cui si stavano rispecchiando.
Erano quelli i momenti che Brian avrebbe voluto ricordare.
Erano quelli i momenti per cui Brian avrebbe continuato a non arrendersi.
“Sai, ripensando a tutta questa giornata, c’è una buona cosa che si può tirar fuori dalla discussione con Kevin.”
La frase fece alzare il sopracciglio di Brian in un misto di confusione e curiosità. “E cioè?”
“In qualsiasi occasione, per quanto tu possa odiarlo, avrai sempre qualcuno che cercherà di proteggerti. – Rispose Nick, socchiudendo gli occhi. Era l’unica cosa che non aveva detto a Brian, l’unica nota stonata che ancora risuonava ogni tanto dentro di lui. – Sei molto fortunato per questo.”
“Nicky...” Mormorò Brian, appoggiando poi le labbra sulla sua guancia.
“Insomma, è tuo cugino quindi è giusto che si preoccupi di te ma... vorrei anch’io che qualcuno si preoccupasse del mio cuore. E’ come se fosse la norma pensare che sarò io a farti del male, a tradirti o lasciarti.”
Le labbra di Brian lasciarono piccoli baci fino all’angolo della bocca, piccoli tocchi che erano nati spontaneamente dentro di lui nel momento in cui quel tono triste aveva toccato l’aria intorno a loro. “Vale che abbia sprecato cinque anni ripetendomi che ti avrei fatto solo del male se ti avessi confessato i miei sentimenti?”
“Sei l’unica persona che si è sempre preoccupata di me per primo.”
“E sarà sempre così, Nick. – Lo rassicurò Brian. – Prima di qualsiasi altro.”
Nick agì con l’istinto di chi non sapeva esattamente come rispondere a quelle parole, l’istinto di chi sapeva solo ribattere con i gesti. Non fu un bacio ma semplicemente strinse a sé quel ragazzo che fra le sue braccia sembrava essere così piccolo e che, invece, era riuscito a trasformarsi in tutto il suo mondo. Nascose il viso fra i suoi capelli, assaporando quel sapore che era solo di Brian e che lo avrebbe tenuto avvolto anche quando fisicamente non sarebbe più stato presente nell’aria.
E, più tardi, non seppe dire nemmeno quanto tempo fosse trascorso da quel primo momento in cui entrambi si erano nascosti l’uno nell’altro: Brian si era addormentato, il viso appoggiato metà sulla sua spalla e metà sul cuscino, una mano stretta attorno ad una piega della sua maglietta. Era quella la più meravigliosa sensazione che Nick avesse mai provato, saper di poter proteggere la persona che amava dai suoi peggiori incubi.
Ed era quella sicurezza che rendeva meno interessante e attraente il sonno.
E ancor più tardi, quando i primi raggi di luce iniziavano a far capolino dalla finestra, Nick non seppe quante ore avesse trascorso osservando Brian dormire. Ma, con sorpresa, si accorse che poco avevano importanza. 

 

******

 

L’auditorium era affollato di persone, gremito di suoni, di applausi e di canzoni cantate e recitate quasi come esse fossero le parole di una preghiera.
Erano giunti ormai a metà concerto, seguendo la scaletta che avevano fatto e rifatto fino a qualche minuto prima di andare in scena. Per la prima volta, attorno a loro non c’erano palchi che si alzavano o fuochi d’artificio che sottolineavano i momenti più topici delle canzoni o delle coreografie. Quelle ultime non erano nemmeno presenti, accantonate per lasciare tutte le luci alle voci e agli strumenti musicali che accompagnavano le melodie.
Erano soddisfatti. Tutti, dal pubblico fino ad ognuno dei ragazzi, erano soddisfatti di quello spettacolo e, a mano a mano che le ultime battute risuonavano ed echeggiavano fra le mura, si aveva la sensazione che quello non sarebbe stato rilegato ad essere un evento unico.
Come qualcuno aveva predetto, la disposizione dei ragazzi sul palco non era stata predisposta come d’abitudine: al centro, per la prima volta, sedeva Howie, alla sinistra Aj e Kevin mentre alla destra Nick ed infine Brian. Esattamente come previsto, il ragazzo aveva deciso di rimanere nell’angolo più all’ombra, preferendo quasi scomparire pur di non dar nell’occhio. Era sempre rimasto al fianco di Nick, cercando di evitare di incrociare lo sguardo con Kevin, nonostante il desiderio di cancellare quella tensione era sempre lì presente. Ma quella volta non sarebbe stato lui il primo a muoversi, quella volta toccava a Kevin capire dove stava sbagliando e porvi rimedio. Lui aveva ben altro a cui pensare e ben altro su cui voleva canalizzare ogni energia che gli era rimasta in corpo. Ed era ben poca, oramai, soprattutto dopo l’altalenante giornata precedente: ogni nervo risentiva di tutte quelle settimane e, quella mattina, si era risvegliato con l’orribile sensazione che qualcosa sarebbe successo, anche se non riusciva a spiegarsi bene che cosa potesse essere. Erano trascorsi anni dall’ultima volta che si era sentito in quel modo, dubbioso di ogni rumore e di ogni gesto.
Ecco perché se ne rimaneva in quell’angolo, ecco perché cercava il più continuamente possibile un gesto, un tocco o un semplice sguardo di Nick perché era solo il ragazzo che riusciva a riportarlo in una condizione più o meno colma di logica e buon senso.
Non può succederti nulla qui - Continuava Brian a ripetersi durante le pause. – Ci sono i nostri bodyguard. C’è la sicurezza della Radio City Hall. Non può succedere nulla.
Ma, nonostante tutte quelle rassicurazioni, non riusciva a tranquillizzarsi. C’era solo una cosa che voleva fare e non era di certo rimanere al centro dell’attenzione su di un palco, per quanto le luci potessero essere state abbassate o per quanto lui avesse cercato di evitare qualsiasi contatto visivo con il pubblico. Non che quest’ultimo fosse stato difficile, considerato che ormai anche i muri sapevano del suo tic nervoso di socchiudere gli occhi mentre cantava.
Quel giorno, era quasi un miracolo se li avesse tenuti aperti per più di un minuto.
No, non voleva trovarsi lì. Voleva ritornare il più velocemente in albergo, voleva trovare un campo da basket e continuare a rilasciare tutto quello stress fino a quando gli sarebbe stato impossibile pensare a causa della stanchezza.
Non mancava molto, era tutto quello che riusciva a concentrarti. Poche canzoni, qualche domanda a cui avrebbe lasciato agli altri l’onore di rispondere e poi avrebbe potuto togliersi quella pelle che non faceva altro che pizzicare dal tanto che era nervoso.
Fu un attimo. Durò solo un attimo, una semplice non curanza. Alzò lo sguardo, come se questi fosse stata attratto da qualcosa. No, non qualcosa, qualcuno. La sensazione che qualcuno lo stesse fissando lo aveva accompagnato dal primo momento in cui era salito sul palco ma non vi aveva badato, aveva semplicemente ripetuto a se stesso che era frutto della sua paranoia.
Avrebbe dovuto dar ascolto al suo istinto.
Perché quando alzò lo sguardo, posandolo sul pubblico di fronte a lui, si accorse che l’istinto non aveva preso una cantonata. Come non aveva potuto riconoscerlo?
Lì, davanti a lui, con un mezzo sorriso soddisfatto, c’era il ragazzo che qualche settimana prima lo aveva aggredito: gli stessi capelli, gli stessi occhi, la stessa espressione compiaciuta. Fu come essere ancora travolti dai ricordi, fu sentire ancora quel respiro affannato sopra il suo collo, le mani che accarezzavano e gli bloccavano il respiro.
Ma non era il peggio.
Il peggio era ritrovarsi completamente paralizzato, il peggio era non riuscire a sviare gli occhi lontano da quell’individuo che aveva riaperto il vaso di Pandora.
Il peggio fu quando il ragazzo si spostò di qualche centimetro ed un altro viso prese il suo posto, anch’esso così difficile da cancellare dalla sua memoria perché quegli occhi verdi lo avevano sorvegliato per notti e notti, rinchiusi in un angolo d’oscurità di cui erano le stelle più luminosi. E perché avrebbe riconosciuto quella cicatrice, che si stagliava sulla mascella destra, era l’unico segno tangibile della sua lotta.
L’unico sfregio che aveva recato al suo aggressore, a Tyler, prima di soccombere sotto le sue mani.
I suoi due incubi erano lì, di fronte a lui, e lui non riusciva a fare niente, nemmeno muovere le labbra per chiedere aiuto.
I suoi due incubi erano lì presenti ed erano molto reali.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

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Come prima cosa, mi scuso dal più profondo per avervi fatto aspettare così tanto per questo capitolo. Potrei dirvi che non è una storia semplice da preparare, ogni capitolo richiede un livello di concentrazione per i piccoli dettagli ma non sono scuse. Quindi spero che questo capitolo possa ripagare tutta l'attesa. =)
E sono curiosa di sapere i vostri commenti! Stiamo finalmente andando avanti! lol

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Capitolo 18
*** - Sedicesimo Capitolo - ***


Sedicesimo Capitolo
 
 
 
 
 
 
 
 
 





Per un attimo, per un lungo ed interminabile secondo, Brian si ritrovò come se qualcuno lo avesse gettato in una piscina colma di ghiaccio, intrappolato dal suo stesso panico. Poche volte si era ritrovato a dover far i conti con quella particolare angoscia ed esse si potevano contare sulle dita di una mano: vi era stata la prima volta che un dottore gli aveva detto che, se voleva continuare a vivere, doveva sottoporsi ad un’operazione a cuore aperto; vi era stata quella volta in cui Nick era scomparso per qualche giorno, dopo un loro litigio, dimenticandosi il cellulare in albergo. Un’ombra di quella paura era riaffiorata la sera dell’aggressione e lo aveva accompagnato per i giorni seguenti, quando ogni rumore o suono lo aveva fatto sussultare e distrutto un mattone delle sue difese. Ecco perché aveva incominciato a fare quegli incubi, ecco perché, con il passare del tempo, questi si erano trasformati in qualcosa di più reale, non più relegato alle ombre e al buio della notte e del subconscio.

Ma ora quell’angoscia era ritornata con più forza di quanto mai le avesse potuto dar credito. Perché un conto erano gli incubi, un conto erano quei flashback improvvisi che arrivavano sempre senza un avviso: essi erano diversi perché, quando se ne andavano, c’era sempre Nick che gli ricordava che non era prigioniero del passato.
Ma come poteva liberarsi quando il passato si era presentato davanti a lui sorridendo compiaciuto?
Ed ecco che il panico gli stava impendendo di alzarsi e scappare il più lontano possibile, mettersi al sicuro affinché non accadesse tutto un’ennesima volta. Ecco che il panico voleva costringerlo a chiudere gli occhi, rintanarlo nell’oscurità fino a quando quei due incubi si fossero disciolti sotto le luci dei riflettori.
Quella volta, però, il panico non ebbe vittoria.
Da qualche parte dentro di lui, infatti, incominciò a crescere sempre più prepotentemente una fiamma di ribellione.
Era stanco.
Brian era stanco di dover sempre soccombere al panico e alle paure come se fosse un’involontaria vittima di un gioco in cui un altro doveva sempre decidere per lui. Era stanco di dover sempre ricorrere al conforto degli altri per poter recuperare una minima e debole apparenza di normalità. Sapeva che Nick non avrebbe detto niente se, all’improvviso, avrebbe allungato la mano e cercato la sua, per poi poter intrecciare le dita attorno alle sue. Lo sapeva e se da una parte ne era eternamente grato e sollevato, dall’altra era un altro segno di quanto ancora debole fosse, come una di quelle povere donzelle in quei stupidi telefilm.
Ecco da dove nasceva quella fiamma di ribellione. E, più che ribellione, era molto più semplicemente forza. Forza per combattere il panico e rigettarlo indietro agli argine che stava rimettendo in piedi. Forza per non abbassare lo sguardo, né distoglierlo o chiudere gli occhi. Forza per continuare a sostenere lo sguardo su quelle due persone che si erano alleati per portarlo al baratro e per osservarlo cadere nel nulla.
Anche lui, quindi, continuò ad osservarli. Senza perdere una battuta, senza perdere una nota o un verso della canzone. Non voleva cedere né voleva uscire sconfitto da quella strana e silenziosa battaglia: se davvero Tyler si trovava lì di fronte - e su quello ancora aveva qualche dubbio - avrebbe di certo gioito nel vederlo completamente a pezzi e a scappare in ritirata. Non si sarebbe aspettato quella reazione, esattamente come tanti anni prima non aveva preventivato che un ragazzino di quindici anni potesse combattere con mani e piedi pur di sfuggirgli via. Una prova di quei tentativi era lì, in pieno viso, quella cicatrice che sfregiava i lineamenti e che gli avrebbe sempre ricordato che non era stata una vittima impotente: aveva combattuto e lo aveva fatto fino all’ultima energia rimasta.
A quel pensiero, un’altra fiamma incominciò a bruciare insieme alla prima.
Ora, non solo Brian sosteneva lo sguardo di Tyler, ma la sua espressione aveva i contorni e i lineamenti della sfida. Sì, Brian lo stava sfidando come mai aveva fatto prima d’ora, lo stava sfidando a compiere qualsiasi azione, a farsi avanti nella luce dei riflettori invece che rimanere un’ombra oscura del suo subconscio. Forse non era ancora forte per combattere i ricordi e gli incubi ma le ultime ore avevano insegnato a Brian che era forte abbastanza per riprendere controllo della sua vita. Ora, nel presente e non più in quel passato in cui molto spesso si era nascosto, poteva combattere. E lo avrebbe fatto perché la ragione di quella forza risiedeva nella persona accanto a lui, la sua speranza fatta in carne ed ossa. E fu Nick a riprendere la sua concentrazione, spostandola per un secondo su di lui invece che sulla coppia che continuava ad osservarlo. Un accenno di preoccupazione disegnava una linea sulla sua fronte mentre i suoi occhi formulavano la domanda che le sue labbra non potevano pronunciare, impegnate ancora a seguire melodie e note. Un cenno di capo fu la sua risposta. Sì, nonostante tutto, stava bene, il panico continuava a rimanere sotto controllo.
Bastò quell’attimo di distrazione perché quando i suoi occhi ritornarono verso il punto in cui i suoi incubi stavano, essi erano scomparsi lasciando posto ad una madre insieme alla figlia. Fu quella distrazione ad incominciare a creare delle falle nelle barriere che Brian aveva eretto attorno a sé mentre la parte razionale della sua mente lo torturava ripetendogli che si era preso una cantonata, che aveva semplicemente immaginato quelle due figure. Come dargli torto, d’altronde? Uno non sapeva nemmeno chi fosse e l’altro... tecnicamente, l’altro doveva trovarsi a chilometri e chilometri di distanza, rinchiuso in una cella senza la possibilità di poterlo contattare o avvicinare.
Tyler non poteva né doveva trovarsi lì. Eppure, Brian era sicuro di non aver avuto allucinazioni. O, almeno, voleva esserne sicuro, sperare di esserne sicuro anche se non era confortante. Perché se essi erano veri allora significava che lui non era più al sicuro e che ogni momento poteva coincidere con un attacco o con una sconfitta. Più di tutto, ciò significava che la sua speranza, Nick, era in pericolo. Fu quello il primo pensiero di Brian. La sua medesima sopravvivenza impallidiva di fronte alla possibilità che Nick potesse rimetterci per causa sua. E quello non poteva permetterlo, non almeno fin quando ci sarebbe stato una singola cellula ancora sana dentro di lui.
Allungò il collo, cercando di captare ancora quegli occhi verdi e quei capelli biondi. Ma no, essi sembravano essersi dissolti nell’aria, come se fossero sempre stati particelle appartenente ad essa. Non c’era tempo per riflettere su dove fossero finiti né seguire quel flebile istinto che voleva che si alzasse e li andasse a cercare. Per quale scopo, nemmeno Brian stesso lo sapeva. Confrontarli? Forse. Assicurarsi che fossero davvero quello, frammenti della sua pazza e paranoica immaginazione e che non ci fosse nessun pericolo per Nick? Molto più probabile.
E quando il sipario cadde, nascondendo il gruppo nonostante gli applausi e le urla di richiesta per un bis, cadde anche l’ultima resistenza di Brian. Perché quella fiamma di forza e resistenza era ancora troppo flebile per poter continuare a risplendere senza che un vento di panico la spegnesse con facilità. E fu ciò che accadde: in un attimo la risoluzione di non cadere nell’attacco si trasformò in una battaglia per non rimanere soffocato da quelle dita che si stringevano sempre di più attorno al suo collo. Freddo e caldo si mischiarono insieme. Le luci emanavano troppo calore, Brian sentiva quei punti luminosi tutti concentrati sulla sua pelle ma senza che riuscissero a combattere i brividi che stavano risalendo ogni nervo, cercando quasi di spezzare le sue ossa, anche la più piccola e invisibile. Ma era la sua mente, principalmente, ad essere priva di ogni controllo: sfrecciava in ogni direzione, la cambiava non appena lui sembrava essere sul punto di fermarla, bloccarla ed impedirle di sfuggire via. Eppure, tornava sempre a girare attorno ad un unico perno: Nick. Non sapeva dove quei due incubi fossero andati ma aveva paura, no, peggio, era terrorizzato che fossero nascosti da qualche parte, pronti a tender loro una trappola. Pronti a far del male a Nick solamente perché era al suo fianco.
L’istinto, in quel momento di panico, non era verso se stesso. Forse perché la sua stessa sopravvivenza dipendeva da quella molto più importante di Nick. E con quell’unico pensiero nella mente, Brian prese la mano di Nick e incominciò a correre verso i camerini, sperando di poter così mettere in salvo entrambi. Sentiva Nick dietro di lui domandargli che cosa stava succedendo, chiedergli dove stavano andando così di fretta. Ma non c’era tempo per le spiegazioni né aveva l’ossigeno sufficiente per poter formare parole mentre stavano ancora correndo.
Brian vide finalmente la porta del camerino: spinse Nick dentro prima di chiudere la porta dietro di sé, appoggiandovi contro. La sua vista era annebbiata da ciò che solo in quel momento comprese fossero lacrime mentre un’orribile suono annullava qualsiasi altro rumore nella stanza.
“Bri? – La voce di Nick suonava lontana, come se lui fosse stato rinchiuso in una bolla mentre il ragazzo fosse rimasto all’infuori. – Bri? Mi stai spaventando...”
Sì, pensò Nick, Brian lo stava decisamente spaventando. Non era solamente l’attacco di panico in sé ma soprattutto il fatto che fosse nato dal niente: un minuto, Brian sembrava essere a suo agio sul palco ma non appena le luci si erano spente qualcosa era nettamente scattato nel ragazzo. Lo aveva trascinato fino a quel camerino, non una spiegazione, neanche un accenno che stesse ascoltando le sue domande o i suoi richiami. Ecco perché era spaventato: Brian sembrava essere intrappolato in un incubo e lui non aveva idea di come tirarlo fuori.
Si sentiva inutile.
Tutti i discorsi del giorno prima, tutte le belle parole che aveva usato dentro di sé mentre si prometteva che avrebbe fatto qualsiasi cosa pur di aiutare Brian, tutto si stava sciogliendo via più veloce che mai, lasciandolo da solo in un deserto. Nessun appiglio, nessun aiuto. Era come ritrovarsi alla sera dell’aggressione, quando lui aveva cercato di risvegliare Brian dal suo incubo e, invece che aiutarlo, aveva solamente peggiorato la situazione. In quello, Nick doveva ammettere, era piuttosto bravo. Eppure Brian lo aveva perdonato, eppure Brian ancora si fidava di lui.
Anche se si sentiva inutile, Nick si rese conto che non poteva arrendersi ancor prima di aver tentato. E, se alla fine i suoi tentativi avessero peggiorato tutto, avrebbe abbassato il capo e chiesto aiuto a Kevin.
Brian ancora gli stringeva la mano: nonostante tutto, le sue dita ancora erano ben strette attorno al polso e fu su quel contatto che Nick decise di far leva. Girò la mano, in modo che il polso di Brian fosse rivolto verso l’altro mentre, con la punta dell’indice, incominciava a battere in un lento ritmo contro la pelle. Non si ricordava dove l’aveva sentito o letto, forse in una di quelle mille pagine internet che aveva visitato il giorno prima. Non azzardò ad avvicinarsi, per quanto fisicamente facesse male non riuscire a dare conforto nel miglior modo che Nick conoscesse.
“Bri?”
Per qualche secondo sembrò che il ragazzo non avesse udito quel richiamo. Seduto contro la porta, le braccia strette attorno a se stesso come a protezione per qualsiasi pericolo che lo stesse o lo avesse inseguito fino a lì. Poi, lentamente, Brian alzò lo sguardo fino a quando non si trovò a riflettersi negli occhi di Nick.
Nick, sano e salvo.
Nick, senza nessuna ferita e semplicemente spaventato a morte per colpa sua.
E lì Brian comprese che non c’era stato e non c’era nessun pericolo, a parte quello immediato di ritrovarsi senza ossigeno se non si fosse dato una calmata. Come un mantra, incominciò a ripetersi che era al sicuro mentre focalizzava ogni energia su quel ritmo, lento e regolare, che picchiettava lieve contro il suo polso.
Inspira. A fondo. Ora espira.
Inspira. A fondo. Espira.

Il suo mantra si sbiadì in una voce molto più chiara, più lucida di quella debole della sua mente. Nick. “Inspira. Conta fino a dieci. Espira.”
Nessuno dei due seppe dire per quanto tempo rimasero in quella posizione. L’unico senso di una sorta di temporalità venne dato quando, finalmente, Brian si ritrovò liberato da quelle dita invisibili che si erano prima strette attorno al suo collo. Ora, ammise con sollievo, riusciva a respirare con più facilità.
Rabbrividiva, sì, ma perché nella stanza vi era l’aria condizionata a tutta velocità e i suoi vestiti erano diventati appiccicaticci per il sudore. D’istinto, Brian annullò quella poca distanza fra loro due e si nascose fra le braccia di Nick, appoggiando la testa nell’incavo fra il collo e la spalla.
Le labbra di Nick si appoggiarono sui capelli di Brian mentre lo stringeva ancora di più contro il suo corpo, senza mai slacciare l’intreccio di mani. “Stai meglio?”
Bella domanda. E Brian non sapeva che cosa rispondere: si era appena reso ridicolo di fronte agli altri ragazzi e, indirettamente, aveva dato ragione a Kevin su quanto ancora fosse pazzo. Sì, non c’era dubbio su quell’ultimo punto. Stava davvero impazzendo. Era l’unica soluzione per spiegare ciò che era successo prima. Tyler non poteva essere stato presente e, se mai ci fosse stata una possibilità – per quanto minuscola e totalmente minimale – non c’era nessun motivo per cui doveva conoscere l’altro ragazzo. O avevano per caso fondato un club? Quasi senza rendersene conto, si ritrovò a ridere in un singhiozzo.
Sì, doveva di sicuro essere impazzito.
“Brian?” Lo richiamò Nick, la fronte aggrottata in confusione di fronte a quella reazione di lacrime barra risate.
Il ragazzo si passò una mano sugli occhi, asciugando quelle gocce d’acqua che stavano liberamente scendendo. “Sto impazzendo.”
“Mi dispiace deluderti, mio caro, ma non sei mai stato totalmente a posto.” Scherzò Nick, ricevendo in risposta un accenno di risata.
“Questo... questo non è normale.”
“No, hai ragione. Non lo è. Ma non significa che tu sei pazzo.”
Brian incominciò a scuotere la testa, rigettando quell’ammissione. “Non possono essere qui. Non lui, almeno.”
Nick rimase in silenzio per qualche secondo, riflettendo su come agire: era vero, Brian nelle ultime ore si era aperto molto più rispetto al passato ma non era mai stato lui a fare domande o a pressare. Ma ora, ora voleva comprendere. Aveva bisogno, necessitava di sapere che cosa aveva scatenato quell’attacco. Così, Nick osò domandare. “Lui... intendi...?”
“Tyler. Si chiama Tyler. E non può essere là fuori.” Rispose Brian, accennando con la testa la direzione oltre la barriera della porta.
“Se l’hai visto...”
“Allucinazioni. Incubi reali. Uno psichiatra potrebbe elencarti mille ragioni per giustificare e spiegare la loro presenza al concerto.”
“Loro?”
Brian annuì. Stranamente, non sentiva nessuna remora nel parlare con Nick. Forse, era dovuto al fatto che Nick gli credeva, ciecamente. Nel suo tono di voce non c’era quella sfumatura di compiacimento che tante volte aveva udito, come se fosse un povero bambino che andava compatito e rimesso in sesto. “Tyler e il ragazzo che mi... che ha cercato di aggredirmi. Erano lì, entrambi. – Brian alzò di poco il viso, in modo da poter osservare Nick. – Non mi credi pazzo, quindi?”
Con l’indice, Nick spostò un ciuffo di capelli lontano dalla fronte e dagli occhi del ragazzo. “No. Se dici che li hai visti, allora significa che erano lì.”
“Ma non è...”
Nick non lo fece continuare. “Anche se non è possibile, non significa certo che stai impazzendo. E’... è normale, no?”
Una punta di fastidio e frustrazione colpì Brian a pelle. “No. – Rispose a denti stretti e ogni nervo teso. – Non è normale, Nick. Niente di tutto questo è normale. Le persone normali non devono fare i conti con i fantasmi del passato dieci anni dopo. Le persone normali non se li immaginano insieme a prendere un the e domandarsi come possono rovinare una vita l’ennesima volta.”
Nick iniziò a mordicchiarsi il labbro, insicuro su come rispondere a ciò. Era così che Brian si era sentito per anni? No, Nick era sicuro che Brian non avesse mai provato quel senso di totale inutilità che stava provando lui in quel momento. Che cosa poteva dirgli per riprenderlo prima che cadesse da quel fragile confine? Sarebbe stato facile farlo crollare, sarebbe stato facile semplicemente tenerlo stretto e dirgli che tutto sarebbe andato per il meglio. Ma non poteva perché nemmeno lui aveva quel dono, quel prezioso dono di riuscire a rassicurare l’altra parte della sua anima anche con una flebile menzogna. Nick sapeva solo una cosa, ovvero che più di tutto Brian odiava sentirsi e farsi vedere debole. Doveva solo trovare un modo per aprire un varco e lasciargli l’aria per finalmente respirare e riprendere quella forza che lo aveva sempre contraddistinto.
L’illuminazione arrivò senza suoni o luci magiche, lasciando Nick sorpreso per la sua semplicità. “Bri, se fossi io al tuo posto, che cosa mi diresti?”
Occhi azzurri si posarono su di lui in confusione. “In che senso?”
“Cambia la situazione. Se fossi io nelle tue condizioni, che cosa mi diresti per confortarmi?”
Brian aggrottò la fronte, ancor non capendo dove volesse andare a parare Nick. Ma era troppo stanco per indugiare in domande e spiegazioni, così decise che fosse molto più semplice accontentare Nick. “Ti direi di mandare a quel paese ciò che le persone definiscono per normale. Ti direi di non preoccuparti. – A quell’ultima frase, lo stesso Brian si ritrovò a fare una smorfia. – Per prima cosa, cercherei di scoprire se sia davvero possibile che tu lo abbia visto.”
“E ancor prima?”
Finalmente, Brian comprese che cosa Nick stava cercando di fare. “Ti sfiderei ad uno dei tuoi videogiochi. – Affermò con un sorriso. – Ora, che cosa hai intenzione di fare?”
“Vicino al nostro hotel c’è un parchetto con un campo di basket. O, se non te la senti di stare all’aperto, possiamo cercare una palestra a disposizione.”
“Possiamo?” Si ritrovò Brian a domandare mentre ogni suo nervo si riaccendeva grazie ad una miccia di vitalità. Le dita già fremevano per poter stringersi attorno alla palla e sentirla ribattere contro il pavimento di cemento. Non importava che si sentisse come se un camion lo avesse travolto con i suoi pesanti pneumatici: il peso che sentiva sul petto era una questione molto più pressante da dissolvere e solo con sudore e respiro ansimante poteva riuscire a scacciare gli incubi.
“Siamo una squadra, no?”
L’orgoglio nel sentire quelle parole era una calda sensazione che si avvolgeva attorno al cuore di Brian. Non aveva bisogno di nascondersi, non aveva bisogno di mascherare ciò che provava per paura di essere preso per pazzo o bisognoso di cure psichiatriche. E gli era impossibile non fare confronti con Kevin: di certo, il maggiore non avrebbe reagito come Nick, non gli avrebbe creduto immediatamente o cercato di cambiare discorso per farlo allontanare dagli echi dell’attacco di panico.
Brian alzò le mani, sue e di Nick, che ancora erano intrecciate l’una nell’altra e le appoggiò sul petto del ragazzo, vicino a dove poteva sentire il cuore battere.
“Sì, lo siamo.”
Nick strinse ancora di più a sé Brian, lasciando un veloce bacio sulla sua fronte. Lì, protetto ancora da quell’abbraccio da cui ormai sembrava esserne diventato dipendente, Brian chiuse gli occhi e lasciò fuori dalla mente qualsiasi pensiero: quelli potevano aspettare e lo avrebbero fatto, su quello lui non aveva dubbi. Ora, invece, voleva semplicemente sentirsi normale, nonostante sapesse che niente di quella situazione sarebbe potuta essere considerata normale.
Ma, per quel che valeva in quel momento, a Brian non importava nulla.




 
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Brian addormentato e ancora stretto nell’abbraccio di Nick. Fu così che Kevin li trovò, dopo che tutti si erano cambiati ed erano già pronti per poter partire per la prossima tappa. Solo Brian e Nick mancavano all’appello, anche se tutti erano stati testimoni di quanto successo era terminato il concerto e tutto ciò che avevano potuto fare era osservare la scena con preoccupazione.
Il primo istinto di Kevin era stato quello di correre dietro alla coppia, comprendere ciò che aveva spaventato così tanto Brian e cercare di rimettere a posto tutto. Ma non lo aveva fatto. Dopo un primo passo, si era bloccato e aveva continuato a tenere lo sguardo sul punto in cui i due ragazzi si erano allontanati.
Prendersi cura di Brian, quello era stato il suo lavoro. Lo era sempre stato. Solo che ora non lo era più.
Il pensiero lo colpì in pieno petto, rendendogli per un secondo quasi impossibile respirare. Non era perché non si fidasse di Nick, quella era solo una mera bugia che si era e aveva raccontato allo stesso ragazzo e Brian: doveva ammettere che Nick in quegli ultimi giorni era riuscito più di quanto lui avesse mai fatto in dieci anni e non solo per tutti quei piccoli tratti fisici. Era nell’atteggiamento che Nick era riuscito là dove lui aveva sempre fallito: far ammettere a Brian di aver bisogno di aiuto.
Ecco che cos’era quella sensazione pesante come un macigno. Era la realizzazione di aver fallito, di non esser mai stato veramente utile e di non esser mai riuscito a colmare quella mancanza che aveva macchiato le loro vite. Per anni, aveva cercato di compensare in tutti i modi possibili, a volte fidandosi dell’istinto ed altre dannandosi per trovare qualsiasi rimedio che potesse essere d’aiuto. E se all’apparenza potevano aver dato qualche risultato, ora Kevin sapeva che non era mai riuscito a sanare quella ferita. Entrambi, non solo Brian, vi avevano danzato attorno facendo finta di non notare quell’enorme elefante fra loro.
Ma la differenza, ancora una volta, era stato Brian a renderla così vivida e tangibile. Perché, fra i due, colui che stava cercando di trovare un senso di normalità era proprio Brian, era proprio il ragazzo che lui si era promesso e ripromesso di proteggere e tener cura.
Rabbia.
Quell’emozione giunse all’improvviso, inspiegata in quella sorta di circostanza. Era furioso perché era stato messo da parte e, allo stesso tempo, era furioso perché non voleva sentirsi arrabbiato.
Ecco perché era rimasto l’ultimo ad aspettare i due ragazzi.
Ecco perché era stato lui a marciare verso quella stanza.
Ed ecco perché, una volta giunto di fronte alla porta, non era riuscito a fare niente se non rimanere lì, con il pugno mezzo alzato. La rabbia, quell’emozione che lo aveva condotto fino a lì, ora era scomparsa una volta compreso che non aveva diritto di esistere. Forse perché Kevin si era reso conto che, fino a quando avrebbe continuato a ribellarsi contro Brian, avrebbe solamente peggiorato la situazione fino a ritrovarsi completamente abbandonato e in un angolo.
Era così che voleva che andasse a finire?
Nick e Brian avevano avuto ragione, ognuno con il loro punto di vista completamente differente. E, silenziosamente, anche lui si era ritrovato a accettare e condividere quell’opinione. E, insieme a quella, era nata anche la piccola fiamma di speranza che, se ce la faceva Brian, anche lui avrebbe potuto trovare un angolo di respiro e poter incominciare a vivere la sua di vita, lontano dall’ossessione di dover continuare prendersi cura di Brian. O preoccuparsi e mettere in primo piano solamente i suoi bisogni. Non voleva abbandonarlo, no di certo, ma un giorno sarebbe arrivato ad incolparlo di tutto ciò che si era perso perché troppo impegnato a rimettere insieme qualcosa che qualcun altro aveva già riordinato. E se per evitare di giungere a quel punto Kevin avrebbe dovuto abbassare lo sguardo e farsi da parte, allora lo avrebbe fatto. Brian meritava un pizzico di normalità e anche lui. Se lo meritavano, decisamente. Anche se significava dover ammettere di aver sbagliato e chiedere scusa a Nick. 
Finalmente liberato da quel peso di pensieri, Kevin bussò leggermente prima di aprire lentamente la porta. Ad una prima occhiata la stanza sembrava essere completamente deserta, anche se i borsoni di Brian e Nick erano ancora semi aperti quindi difficilmente se ne erano andati.
“Nick?”
Kevin tentò di aprire un po’ di più la porta ma essa andò a sbattere contro qualcosa. O, meglio, contro qualcuno. “Siamo qui dietro. – Rispose Nick in un sussurro. – Fai piano.”
Il motivo era molto semplice e Kevin lo comprese non appena entrò nella stanza e si chiuse dietro di sé la porta; il motivo risiedeva nel semplice fatto che fu così che trovò la coppia, Nick con la schiena appoggiata contro la parete e un Brian addormentato fra le sue braccia.
“Tutto a posto?” Kevin non riuscì a fermarsi dal chiederlo.
Senza nemmeno interrompersi nell’accarezzare la schiena di Brian, Nick alzò lo sguardo, lasciando intravedere i segni della stanchezza per tutta quella situazione. “Sì. Più o meno, credo.” Rispose il ragazzo, sorridendo mentre gli occhi si posavano su Brian.
“Nick... – Incominciò Kevin a dire, giochicchiando nervosamente con le dita. - ... volevo scusarmi con te.”
L’ammissione confuse Nick, che già si era aspettato a dover trovare una giustificazione possibile per il comportamento di Brian, non volendo ancora mettersi in mezzo fra quella lite fra cugini. E mai, in tutta sincerità, si sarebbe mai aspettato di ascoltare quelle parole provenire dal maggiore.
“Non sono stato giusto nei tuoi confronti. In realtà, non ce l’avevo direttamente contro di te e con la tua relazione con Brian. Credo di aver sempre avuto qualcosa contro l’idea di Brian insieme a qualcuno, perché mi avrebbe impedito di fare quello che ho sempre fatto da dieci anni a questa parte. Prendermi cura di lui. Rimediare al mio errore. Ma non posso rimediare impedendo a Brian di vivere, o almeno tentare, una vita normale. Voglio solo che non si ripeta ciò che è già successo.”
Nick aspettò un momento prima di rispondere, primo perché voleva assicurarsi che Brian non si fosse svegliato e, secondo, perché non sapeva esattamente che cosa dire. Accettare le scuse sarebbe stata la cosa più giusta e istintiva e comprendeva le ragioni di Kevin. Soprattutto da quando Brian gli aveva candidamente ammesso di aver bisogno di lui, Nick aveva scoperto dentro di sé una vena protettiva di cui aveva solamente avuto un bagliore con i suoi fratelli minori. Per Brian, ora, sarebbe stato in grado e capace di qualsiasi azione, anche la più deplorevole. Per Brian, per tenerlo al sicuro da ogni male, sarebbe stato capace di combattere contro chiunque, anche i suoi stessi amici. Anche contro Kevin stesso. Quindi sì, comprendeva le sue ragioni, ma non riusciva a lasciarsi scivolare via quelle accuse. Proprio perché considerava Brian come la sua cosa più preziosa, quelle parole che parlavano di fargli del male, di fargli così tanto e volontariamente del male, erano delle ferite difficili da richiudere con una semplice scusa. 
“Come puoi aver pensato che possa fargli del male? Lo so che ci saranno momenti in cui lo deluderò e momenti in cui lui mi deluderà. Ma mai, Kevin, mai potrei arrivare a quel punto. Mi conosci, mi hai visto crescere e davvero pensi che possa essere capace di ciò?” Non aveva urlato, Nick. Non poteva urlare, non quando aveva Brian fra le braccia e sapeva che le sue urla, qualsiasi urla, lo avrebbe svegliato. Ma la sua rabbia e il suo sentirsi ferito venivano comunque narrate dal tono della sua voce.
“Non... – Kevin si interruppe quasi subito però, sapendo che non era quella davvero la ragione di quella domanda. – Non so quanto Brian ti abbia raccontato ma... lui, Tyler, era il mio migliore amico. Quasi un fratello, avevamo condiviso tutto in quei pochi anni da quando mi ero trasferito ad Orlando. E focalizzarmi su Brian mi ha sempre permesso di evitare di pensare al fatto che, esattamente come lui, anch’io ero una vittima. Ma non è stato giusto nei confronti di Brian. O verso di me. Brian deve vivere la sua vita. E mi fido di te, Nick.”
Un brivido percorse il corpo di Brian e Nick non poté non stringerlo ancora più a sé, quasi come se avesse compreso che quella fosse la sua inconscia e naturale reazione al solo anche sentire il nome di quella persona. “Lo tratterò con cura, Kevin. Ma... Brian non ha bisogno di un eroe o supereroe che lo salvi. Non ha bisogno di qualcuno che lo protegga da tutto, anche da quello che potrebbe accadere in un indeterminato futuro. Se riuscirà a rimettersi in piedi sarà solo perché lo ha fatto con le sue sole forze. E non ho dubbi che ce la farà.”
“Siamo in due, allora. Allucinante, dovrei essere io quello a dispensare consigli a voi due...”
“Succede anche ai migliori. – Rise Nick, sollevato che almeno quel problema sembrava essersi risolto. Non lo avrebbe mai ammesso, forse solo a Brian e sotto tortura, ma aveva desiderato ardentemente una sorta di benedizione da parte di colui che aveva sempre visto come un padre. E averla finalmente ricevuta lo inorgogliva e lo faceva sentire ancora più sicuro di tutta quella situazione. Potevano farcela. Poteva farcela. – So di non poter risolvere tutti i problemi di Brian. Da solo, non posso. Ci sono cose che ancora non mi ha detto e che forse non farà mai. E ci sono cose che tu non puoi captare o fare per aiutarlo. Dobbiamo essere una squadra, Kevin.”
Kevin si abbassò, allungando una mano per scompigliare i capelli biondi del ragazzo. “Quando sei diventato così maturo, Nickholas?”
Una luce di dolcezza si appropriò degli occhi di Nick, ancora attratti dalla figura dormiente fra le sue braccia. “E’ tutto merito di Brian. Da quando stiamo insieme, sto scoprendo cose su me stesso che non pensavo di poter possedere. Credo che sia questo l’amore, no?”
Un sorriso, forse il primo vero e naturale di tutti quei giorni, curvò gli angoli del maggiore. Sì, la risposta alla domanda di Nick era solo un sì perché era la stessa sensazione che anche lui aveva provato quando aveva conosciuto Kristin, quando si era accorto di poter essere una persona migliore solamente per lei, solamente per poter avere un’ennesima conferma che meritava di poter essere l’uomo che lei amava e che lo faceva sentire come una persona totalmente nuova. Annuì quindi semplicemente, come uno di quei segreti che padre e figlio si trasmettono di generazione in generazione senza mai usare troppe parole e espressioni.
“Posso far qualcosa?” Si ritrovò Kevin a domandare, non sapendo esattamente ancora che cosa fosse successo. E, forse, era meglio così altrimenti si sarebbe ritrovato a preoccuparsi e cercare di trovare un modo per rimettere in sesto Brian. Un respiro, inspiro ed espiro che servirono a calmarlo e a riprendere quel mantra che si era ripetuto mentre veniva in quella stanza.
Un’espressione pensierosa apparve sul volto di Nick, timoroso quasi a pronunciare quel pensiero che già dalla giornata precedente stava ronzando attorno alla sua mente come una mosca fastidiosa. Ma Kevin era anche l’unica persona a cui avrebbe potuto confidarlo senza esser preso come troppo protettivo o preoccupato. 
“Vorrei portare Brian lontano per qualche giorno. Anche se non l’ammetterà mai, ha bisogno di staccare.” Staccare, in quel momento, era più una metafora, anche se c’era la voglia in Nick di staccare Brian da quel mondo e portarlo in un luogo dove non dovesse sempre guardarsi alle spalle o tenere per tutto il giorno una maschera di forza che si stava già sbriciolando. E, forse, dietro le sue parole c’era una paura che era emersa subito dopo quell’attacco, quando Brian gli aveva raccontato di chi aveva visto fra la folla: se davvero era così, se davvero il suo aggressore e Tyler erano stati lì presenti, Nick voleva portare via Brian e metterlo al sicuro.
“Non so quanto potrà essere fattibile. Ma vedo che cosa possa fare, okay?” Rispose Kevin, condividendo in parte quel pensiero. E, forse, ora che erano in due a lavorare insieme, sarebbero riusciti a convincere Brian a fermarsi e riprendere fiato.
“Grazie. – Disse Nick in un sussurro. – Vi raggiungiamo al più presto.”
“Non preoccuparti. Prenditi cura di lui, okay?”
Nick annuì semplicemente e, poco dopo, la porta si aprì e richiuse, lasciandoli ancora completamente soli.
“Tanto lo so che stai solo facendo finta di dormire.”
Una nuvola di risata si alzò da quelle labbra appoggiate contro il suo collo, accarezzando e solleticando la pelle. Due occhi azzurri, leggermente arrossati e lucidi, si alzarono e poi si soffermarono sul viso di Nick, le labbra finalmente curvate in un timido sorriso. 
“Kevin ti chiede scusa e me lo devo perdere?” Domandò Brian stupito e scherzoso.
“Non credo che lo avrebbe fatto se avesse saputo che tu stavi fingendo.”
“Ed ecco perché non mi sono svegliato.”
Avrebbe voluto farlo, però. Ma erano bastate le prime parole scambiate fra Nick e Kevin a fermarlo: quella non era una conversazione in cui lui aveva da dire o reprimere. Era, finalmente, quel tanto agognato discorso che Brian aveva sperato che potesse accadere tra i due, così che si potesse porre fine a quella faida che stava solamente logorando gli animi. Più di tutto, Brian sapeva quanto Nick avesse bisogno di sentirsi dire, da qualcuno che aveva sempre ammirato e aspirato a poter diventare anche solo un pochino simile.
“Hai sentito tutto, quindi?” Domandò Nick, scostando un ciuffo biondo dalla fronte di Brian.
“Intendi anche l’ultima parte e la tua idea di scappare?”
“Ehi, ehi. Non si tratta di scappare.”
“Posso farcela.”
“Non ne ho dubbi. Ma ammettere di aver bisogno di qualche giorno di respiro non farà esclamare al mondo intero quanto debole tu sia.”
Nick aveva ragione. Brian lo sapeva, la mente di Brian lo sapeva e razionalmente non poteva non ammettere che avrebbe esclamato di gioia se avessero detto loro che i prossimi concerti erano stati cancellati o spostati. Ma c’era la sua anima che, invece, non voleva sentirne di scappare via dai problemi come se fosse un codardo; lei, invece, voleva combattere, voleva dimostrare a tutti che non sarebbero stati un paio di incubi o attacchi di panico a farlo cadere una fragile foglia. A chi doveva dare ascolto?
“Ho paura. – Si ritrovò ad ammettere, nascondendo ancora una volta il viso nel petto di Nick. Solo così riusciva a lasciare fuggire via quelle confessioni senza sentire le guance bruciare per la vergogna. – Ho paura che, se mi fermo, sarò solamente una facile preda per i miei demoni. Ho bisogno di continuare a muovermi, ho bisogno di lottare e cantare.”
“Anche se non hai più energie.”
Era una stilettata ma Brian non poteva controbattere. Perché Nick non gliela aveva lanciata contro come un’accusa e nemmeno come una domanda retorica. Era la verità, nuda e cruda in tutta la sua essenza: era stanco dopo quell’ultimo attacco, era stanco di dover sempre tenere alte le difese e giustificare ogni sua azione a chiunque, come se questi avessero il diritto e il sapere di come doveva comportarsi in situazioni del genere. La proposta di Nick era così allettante che, lo sapeva, gli sarebbe bastato semplicemente uno sguardo per fargli intendere la sua risposta. , gli avrebbe detto. Sì, portami lontano da quel pazzo che sta cercando di rovinarmi ancora una volta la vita. Voglio solo essere normale. Dammi questa possibilità.
Ma dalle sue labbra uscirono altre parole, anche se differenti da quelle che una volta avrebbe usato per mostrare una falsa apparenza di forza. 
“Vediamo come va questa notte, okay? Se... se ci saranno problemi, allora te lo dirò. Va bene?” Brian pronunciò quell’ultima domanda alzando il viso, in modo che Nick potesse vedere nei suoi occhi quanto fosse sincero.
“Promesso?”
Fu Brian quella volta a iniziare il bacio. Semplice, veloce e intriso di dolcezza. Ma era un passo in avanti, soprattutto quel rimanere sempre vicini, fronte contro fronte, naso contro naso. “Promesso.”





 
 
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Seth Connor non aveva avuto una vita facile, costellata da una famiglia disastrata alle spalle e poche speranze di poter aver qualcosa di diverso nel suo futuro. Non era mai stato un brillante studente, forse perché non aveva mai aperto un libro se non costretto da sua madre e forse perché non aveva mai avuto un talento nascosto, qualcosa che lo avrebbe liberato da quella vita di provincia a cui era destinato. Non aveva mai tentato di scappare e cercare di farsi una vita da qualche altra parte, in una di quelle tante metropoli che sembravano narrare di pochi sogni realizzati e tanti altri spezzati sotto la cattiveria della gente. Anche se non era esattamente quella tutta la verità. Il sogno di fuggire aveva accarezzato Seth tante volte: al riparo della sua camera, Seth aveva sognato di rinchiudere in un’unica valigia tutti i suoi pochi averi e prendere il primo treno che lo avrebbe portato via da quella casa, da quel quartiere dove solamente le erbacce crescevano e soffocavano quei piccoli fiori che cercavano di farsi strada per un po’ di sole. Ma, come tutti i suoi sogni, quello venne spezzato via il giorno in cui suo padre decise che ne aveva abbastanza della famiglia, quella famiglia che lui stesso aveva aiutato a creare, e se n’era andato, lasciando sua madre a trovare un modo per mantenere tre figli. Se anche Seth avesse avuto qualche pensiero di continuare gli studi, quell’abbandono li aveva completamente portati alla porta e lasciati fuori a marcire come spazzatura.

Non era stato esattamente quello il suo caso. Per Seth, rinunciare agli studi era stata una liberazione. Senza diploma, senza nessuna vera attitudine o abilità, l’unico vero punto di forza era il suo fisico. Non si vergognava né si imbarazzava quando qualcuno puntava il dito indicandolo e parlottava con il compagno di turno: veniva pagato bene e, con quei soldi, poteva aiutare sua madre a pagare la scuola ai suoi fratelli o far avere loro dei regali per Natale o i loro compleanni. Proprio per quel motivo, quando gli era arrivata quella strana telefonata, Seth non vi aveva riflettuto troppo e aveva accettato immediatamente. I soldi erano molti, più di quello che normalmente prendeva per fare molto meno, e non gli importava sapere per quale motivo qualcuno, quel capo della persona che lo aveva chiamato voleva che qualcuno aggredisse quel ragazzo. Oh, sapeva benissimo di chi si trattava: chiunque, a men che non vivesse in una caverna, sapeva i nomi e i visi di quella boyband. E, se proprio Seth doveva essere sincero, fra tutti e cinque, quel ragazzo era sempre stato quello che lo aveva affascinato maggiormente.
Quell’incarico era stato facile, il compenso era già al sicuro e pronto per essere usato per pagare l’affitto per i prossimi sette mesi e qualsiasi altra emergenza sarebbe sorta in quel periodo, e Seth si era già dimenticato di quelle due strane persone. Non aveva provato nessun e minimo filo di rimorso per le sue azioni, soprattutto perché erano stati interrotti sul più bello da uno degli altri membri del gruppo; forse, l’unica recriminazione che poteva avere era proprio quello, non aver avuto la possibilità di andare fino in fondo, di completare quell’incarico intriso di piacere e soddisfazione.
Poi, era arrivata la seconda chiamata. Sempre un numero anonimo ma, quella volta, a contattarlo era stato direttamente quell’uomo che aveva preferito rimanere nell’ombra. Nessun nome, solo un altro incarico: più semplice, solo qualche ora ma sempre ben pagato. Lì aveva Seth incominciato ad avere qualche obiezioni, quell’uomo sembrava quasi avere un’ossessione per il ragazzo e quel pensiero gli lasciava un sapore amaro in gola, una sorta di coscienza che voleva consigliarlo di lasciare perdere.
Eppure, Seth aveva deciso di accettare. Si trattava solo di assistere ad un concerto e poi aspettare l’uscita del gruppo. Si trattava solo di farsi vedere e consegnare un regalo. Si trattava solo di questo e veniva pure pagato più della prima volta. Perché non avrebbe dovuto accettare?
Per la prima volta, però, Seth aveva visto di prima mano le conseguenze di quello che lui aveva definito semplicemente un incarico. Forse per lui era stato solo quello, un lavoro, ma non per chi si era trovato dall’altro lato, il ricevente di quelle che erano state attenzioni non richieste e mal accettate. Di certo, Seth si sarebbe sempre ricordato l’espressione di totale panico, quella paura nella sua più pura natura, apparso sul viso del ragazzo non appena li aveva intravisti. Sì, loro due perché ad accompagnarlo in quell’incarico era stato chi lo aveva organizzato e commissionato: sempre senza lasciare un nome, si era presentato in una macchina nera parcheggiandola qualche metro prima di casa sua e, per tutto il tragitto, le uniche parole erano state usate per spiegargli nei minimi dettagli – non molti a dire la verità – di ciò che avrebbe dovuto fare e come comportarsi. Il tono che aveva usato, specialmente in quei momenti in cui pronunciava il nome del ragazzo, lo avevano fatto rabbrividire, forse perché, sotto la luce artificiale dei lampioni che sfrecciavano via, quegli occhi e quella cicatrice sul mento lo facevano sembrare un uomo capace di qualsiasi cose pur di avere ciò che desiderava.
Aveva voluto scappare. Davanti a quello sguardo, davanti a quel ragazzo non più grande e di lui e che ora sembrava avere l’aspetto di un bambino impaurito e terrorizzato, Seth aveva voluto abbandonare quell’incarico e tornare a casa. Non voleva far più parte di quel piano maniaco di rovinare una persona solo per il gusto di poterlo fare.
E lo avrebbe fatto. Lo avrebbe di certo fatto, Seth, se non fosse stata per la minaccia non tanto velata di far del male alla sua famiglia. Ecco perché ora si trovava all’esterno della Royal Music Hall ad aspettare l’uscita degli ultimi due cantanti insieme ad uno sparuto gruppo di fans che volevano solo un minimo cenno o un autografo. Fra le mani, Seth stringeva quell’unico oggetto che avrebbe concluso il suo incarico, l’ultimo filo che lo legava a quel maniaco di uomo.
Buffo come un semplice mazzo di fiori poteva cambiare o meno il suo destino.



 
 
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Faceva ancora freddo quando Brian e Nick uscirono per dirigersi al loro tourbus. Una folata di vento si infiltrò nella giacca di Brian, facendolo rabbrividire e, per un istante, il primo pensiero inconscio fu quello di stringersi qualche centimetro in più contro Nick, quasi nascondersi con un braccio avvolto alle sue spalle e quel calore che sembrava mai cessare di bruciare. Ma c’erano delle fans ad aspettarli e, a malincuore, Brian dovette reprimere quell’istinto e semplicemente avvolgersi ancor di più nella giacca. Nonostante fossero entrambi completamente stanchi, nonostante tutto quello che Brian voleva era chiudersi in una stanza e stare con Nick, nonostante tutto quello che Nick voleva era portare via Brian e metterlo al sicuro, entrambi si fermarono a salutare i fans e a firmare qualche autografo. Per quanto strano potesse sembrare, dava loro un piccolo senso di normalità, come se quei momenti di panico fossero stati un incubo difficile da allontanare.
Una stretta di mano. Un sorriso. Una battuta. Fan dopo fan, complimento dopo complimento fino a quando Brian si ritrovò di fronte ad un mazzo di fiori. Il primo pensiero di Brian fu che si trattasse di una strana coincidenza, visto che anche quel mazzo era formato da “non ti scordar di me” più una semplice rosa rossa al centro.
La coincidenza si trasformò prima in terrore poi in panico quando i suoi occhi incontrarono la persona che gli stava allungando quel mazzo: i capelli biondi, gli occhi azzurri, quei tratti che gli ricordavano la persona che ora stava al suo fianco ma che, invece, appartenevano a quell’individuo che aveva riportato a galla tutto ciò che aveva cercato di tenere lontano dalla sua vita e dalla sua sanità.
Brian era completamente paralizzato. Tutto intorno a lui si era fermato, esattamente come qualche ora prima. Non riusciva a pensare, non riusciva quasi a respirare né a sentire ciò che girava attorno a lui. L’unica cosa su cui riusciva a focalizzarsi era quella persona davanti a sé. Perché? Perché continuava a torturarlo in questo modo? Che altro voleva da lui? Il respiro si impennò rapidamente mentre il pensiero che fosse tornato per concludere ciò che aveva dovuto interrompere irruppe in lui come un pugno dritto al petto.
“Sono da parte di una persona che conosci molto bene.” Furono parole che si fecero strada in quella bolla di shock, furono parole che servirono a riscuoterlo, sconvolgerlo come mai nessun altro aveva fatto. No, come solo una persona aveva fatto.
Un battito di ciglia e, quando Brian riaprì gli occhi, tutto ciò che rimaneva era una schiena che stava velocemente scomparendo. Ma prima che potesse fare qualcosa, prima che solo potesse dire qualcosa, al suo fianco Nick aveva già preso la tangente e si era messo a rincorrere il suo aggressore. Non c’era tempo per riflettere sulle sue parole e che cosa significavano, non c’era tempo per leggere quel biglietto: il primo pensiero di Brian fu che quella situazione, Nick che rincorreva il suo aggressore, si potesse trasformare in una ripetizione di quello che era successo a lui qualche settimana prima. Il primo pensiero era sempre quello di proteggere Nick, esattamente come per Nick lo era quello di proteggere Brian.
Quella strana rincorsa ebbe fine quando tutti e tre si ritrovarono in un vicolo. Fu Nick ad agire per primo, lanciandosi contro il suo sosia e bloccandolo contro il muro, esattamente come lui aveva fatto con Brian. Il braccio stretto contro il suo collo impediva al ragazzo di fare qualsiasi mossa per reagire, la stretta e l’intensità erano già in grado di rendergli difficoltoso il respiro. In più, non era mai stato molto abile in quelle situazioni, avendo sempre puntato tutte le sue difese sulla bellezza come lasciapassare per ogni guaio.
Non quella volta.
“Che cosa vuoi fare? Perché diavolo sei tornato?” Urlò Nick, la rabbia che infiammava ogni parte del suo corpo rendendogli quasi impossibile poter resistere alla voglia di prendere a pugni quell’uomo.
“Non è colpa mia!”
Una risata ironica e sarcastica salì in gola a Nick. “Certo! Non eri te ma un altro? Non dire stronzate!”
Il ragazzo stava per ribattere, gli occhi colmi di una luce di paura, quando una voce interruppe la sua risposta. “Nick!”
“Brian, vai sul bus!” Gli ordinò Nick, senza nemmeno distogliere lo sguardo dal ragazzo che teneva prigioniero. L’unico suo pensiero era proteggere Brian, tenerlo lontano da quel ragazzo e, in parte, riuscire finalmente a porre a tacere quel senso di colpa che lo accompagnava da quella maledetta serata: quella volta non avrebbe commesso nessun errore, quella volta sarebbe stato lui l’eroe agli occhi di Brian.
“No.”
Il rifiuto, ostinato e più determinato che mai, di Brian fece scattare la testa di Nick verso di lui. “Brian, non sto scherzando.”
“Neppure io. – Rispose Brian, facendo un passo in avanti. Dentro di sé percepiva il panico e l’ansia cercare in tutti i modi di prevalere e fargli obbedire a quel comando. Ma, all’esterno, c’era una patina di forza che lo teneva in piedi, senza lasciare spazio a qualsiasi segno di insicurezza. – Non voglio scappare.” Aggiunse poi a bassa voce.
Uno sguardo terrorizzato si posò prima su Nick e poi su Brian. “Mi dispiace, davvero. Ma dovevo farlo. Lui...”
Due cose accaddero contemporaneamente: Nick premette il braccio ancor di più contro il collo del ragazzo mentre l’espressione di Brian si faceva più accigliata per la confusione. “Lui?”
“Sì. Lui. L’uomo che mi ha... puoi dire al tuo amico di allentare un po’? Non riesco a respirare!”
“Nick, lascialo.”
“Vuoi davvero ascoltare le sue patetiche bugie?” Domandò Nick sconcertato.
“Sì.”
La fermezza di quella risposta lasciò Nick senza altra scelta che allentare la sua presa sul ragazzo, senza però lasciargli la possibilità di fuggire.
“Chi è lui?” Domandò Brian, avvicinandosi ancora di qualche metro, il cuore che batteva all’impazzata contro il suo sterno.
Seth deglutì una e due volte, finalmente libero di poter respirare ma non alzò mai il viso per incontrare quello di Brian. Era un gesto codardo, lo sapeva, ma non sarebbe riuscito a mantenere il contatto visivo mentre gli raccontava che cosa era stato costretto a fargli. “Non mi ha mai detto il suo nome.”
“Come fai a conoscerlo, allora?” Domandò Nick.
“Qualcuno per lui mi ha contattato qualche settimana fa. Avevo bisogno dei soldi, in famiglia siamo solo io e mia madre a mandare avanti la baracca. Non ci ho visto nulla di male...”
“Niente di male? Niente di male? Non hai trovato niente di male nel violentare un ragazzo?” Esclamò, o meglio urlò, Nick mentre il suo pugno andava a finire contro il muro a pochi centimetri dalla testa di Seth. Il fulmine di dolore che partì dalle nocche fino a risalire per tutto il braccio fu niente, un pallido ostacolo, a quella rabbia che continuava a tuonare dentro di lui. Se solo Brian non fosse stato lì, Nick non avrebbe avuto nessuna remora a usare quel ragazzo come un sacco su cui riversare tutti i suoi pugni. Ma Brian non glielo avrebbe permesso e tutto quello che Nick poteva fare era focalizzare la sua rabbia nella voce.
“Nick! - Lo richiamò Brian. – Lascialo finire.”
“Ha voluto anche che qualcuno facesse delle fotografie mentre... insomma, durante quel momento.”
Brian si sentì fisicamente male a quel pensiero: sentì il suo stomaco stringersi in un crampo mentre quel poco che aveva mangiato quel giorno risaliva velocemente per la gola. Esistevano prove fisiche di quello che gli era successo, Tyler – perché non c’erano dubbi che ci fosse lui dietro quel gioco malato – aveva voluto delle foto e per quale insano motivo? Per quanto, però, Brian avrebbe voluto andarsene via e non ascoltare più niente, doveva rimanere lì.
“Che cosa... che cosa voleva farne di quelle foto?”
“Non lo so. Io dovevo solamente aggredirti. Pensavo fosse finito lì invece qualche giorno fa mi ha chiamato con un nuovo incarico.”
“Quindi eravate veramente lì? Non era una mia allucinazione?”
“Sì. E poi avrei dovuto aspettarti e darti quel mazzo di fiori. – Rispose Seth, sempre con lo sguardo basso. Ma in quel momento decise di alzarlo, sapendo che altrimenti non sarebbe stato creduto. – Stavo per rifiutare. Volevo rifiutare. Ma ha minacciato la mia famiglia e... con tutto quello che ha organizzato contro di te, non ho avuto altra scelta che accettare. Mi spiace, davvero. Non pensavo che potesse arrivare fino a questo punto.”
Brian aspettò qualche secondo prima di fare la domanda più importante. Si inumidì le labbra mentre i brividi causati dal panico riuscivano finalmente a farsi sentire contro il suo corpo. Ma non poteva crollare. Non ora. Doveva sapere. “Lui, l’uomo che ti ha incaricato, ha una cicatrice sul volto?”
Nick non udì quasi il flebile sì mormorato dal ragazzo che teneva imprigionato. La sua mente stava girando attorno ad un unico, orribile, pensiero: il ragazzo delle consegne. Quella cicatrice sul volto. Non potevano essere due coincidenze, non quando sembrava che quest’uomo avesse organizzato tutto pur di vendicarsi di Brian. Ed era riuscito ad avvicinarsi. Era riuscito a superare la loro sicurezza, era riuscito a scoprire dove si trovavano e... no, no, no, non poteva lasciarsi prendere così dal panico. Ma come poteva essere sicuro di sé quando pensava che, se non lo avesse anticipato, sarebbe stato Brian a trovarsi di fronte al suo incubo?
Brian.
La sua mente tornò a lavorare razionalmente, ricordandogli che c’era un’unica persona su cui doveva concentrare la sua attenzione. I suoi occhi, il suo sguardo, si posarono sul ragazzo dietro di lui e, sotto la luce artificiale dei lampioni che si stavano lentamente accendendo, apparve completamente sul punto di crollare sotto il peso di quella rivelazione. Il bisogno, il desiderio di correre da lui e nasconderlo nel suo abbraccia bruciava ora più della rabbia e della voglia di vendicarsi. Ma fu qualcos’altro a bloccarlo: quella luce negli occhi di Brian che raccontava di come non volesse crollare, di come volesse rimanere lì, fermo e determinato, fino a quando non fosse riuscito a scovare un altro bandolo di verità. E, anche se gli costava più di quanto avesse immaginato rimanere fermo, Nick non si precipitò al suo fianco.
Brian colse l’indecisione di Nick e non poté fare altro che ringraziare mentalmente il suo ragazzo e ringraziare ancora chiunque avesse deciso di portarglielo proprio in quel momento. Dal suo sguardo, da quel “ti amo” pronunciato solamente con il movimento delle labbra. Nick aveva capito che aveva bisogno di continuare, di rimanere lì anche se il primo istinto era quello di scappare da quello che sembrava solo essere un incubo.
Bloccò ogni pensiero. Bloccò ogni ansia, panico o terrore. “Come ti chiami?”
“Seth.”
“Seth, ho bisogno del tuo aiuto. Se dovesse richiamarti e proporti qualcos’altro, ho bisogno che tu mi avverta. Non importa quanto ti prometterà, ti pagherò il doppio di qualsiasi cosa ti prometterà. Puoi farlo?”
“Significa che non mi denuncerai?” Domandò Seth. Era stata quella una delle sue paure. Il ragazzo, Brian, ne aveva tutti i diritti. Era un miracolo che ancora non l’aveva fatto e il suo lato egoista stava già festeggiando perché, altrimenti, chi si sarebbe occupato di sua madre?
“Certo che...” Incominciò a dire Nick ma Brian lo interruppe subito.
“No. Non ti denuncerò. Ma devo avere la tua parola che mi aiuterai.”
“Sì. Certo. – Rispose Seth velocemente. – Scusa. Davvero.”
“Nick, lascialo andare.”
“Cosa? No! Brian, ricordi che cosa ti ha fatto?”
“Come potrei dimenticarlo? Ma non lo manderò in galera né sottoporrò entrambi ad un processo. Me ne è bastato uno per tutta la vita. Lascialo andare.”
Fu quell’ammissione di Brian, un altro pezzo di puzzle che andava a ricomporsi, che bloccò Nick dal dire altro. Lasciò andare il ragazzo mentre i suoi occhi continuavano a rimanere fermi su Brian. Come ci riuscisse, come riuscisse a perdonare le persone che lo ferivano così velocemente era un mistero che non credeva sarebbe mai riuscito a scoprire. Così continuò ad osservarlo mentre, con gesti che tradivano la tensione che si stava scatenando dentro di lui, Brian lasciava il suo numero a quel ragazzo per poi non fare niente per fermarlo. Non riusciva ad essere arrabbiato. Non con Brian, non con quegli occhi che ora gli stavano supplicando di essere la sua roccia perché era così vicino a crollare.
Si passò una mano fra i capelli mentre si toglieva la giacca. Poi annullò la distanza fra loro due, avvolgendo Brian nella sua giacca e spingendolo contro il suo fianco. Non si dissero nulla mentre camminavano verso il loro tourbus, ignari che qualcuno potesse vederli o meno. C’erano tante cose che Nick avrebbe voluto chiedere a Brian e tanto altro che avrebbe voluto dirgli, anche se era ancora indeciso se riferirgli che il suo incubo si era avvicinato a loro molto più di quanto avesse potuto immaginare. Ma Brian sembrava essere perso nei suoi incubi ed era quello ciò che lo preoccupava maggiormente. Forse perché, per l’ennesima volta si sentiva completamente inutile.
C’era solo un pensiero che si era preso il palco dentro la mente di Brian: Tyler. Tyler che era fuori di prigione. Tyler che voleva vendicarsi di lui e aveva organizzato tutto quell’incubo in cui lui era sprofondato da quella maledetta notte. Che altro aveva in mente quell’uomo? Fino a dove si sarebbe spinto per ottenere la sua vendetta? Chi altri avrebbe messo in mezzo, quante altre vite avrebbe rovinato? Fino a quel momento, fino a quando Seth gli aveva confermato l’identità di Tyler, una parte di sé aveva fermamente creduto che si fosse immaginato tutto. Era una magra consolazione, era una futile illusione di apparente sicurezza. Ora non lo era più e il panico stava reclamando a gran voce di esser lasciato libero. Le redini che lo tenevano prigioniero si stavano velocemente sciogliendo, come se qualcuno avesse lanciato contro dell’acido: un tocco, lo sapeva, sarebbe bastato solo un tocco per buttarlo per terra sotto quel peso che gli avrebbe impedito di respirare. Ma non voleva arrendersi ma, anche se avrebbe voluto urlare e arrabbiarsi, non c’era niente dentro di lui. Si sentiva letteralmente svuotato, un mero contenitore a cui qualcuno aveva tolto tutto il suo contenuto e poi gettato per terra.
“Bri?”
Fu la voce di Nick a farsi strada per prima fra la nebbia che avvolgeva la sua mente. Fu poi il calore delle sue mani, strette attorno alle sue, a fendere gli ultimi strascichi e solo in quel momento, in quel primo momento di consapevolezza, che Brian si accorse delle lacrime che scendevano silenziose sulle sue guance.
Nick era inginocchiato di fronte a lui, l’espressione così preoccupata che spinse Brian ad allungare le dita e cercare di cancellare quelle linee che non sarebbero mai dovute apparire sulla fronte di Nick. Ma la mano del ragazzo fermò la sua, stringendola stretta  e lasciandola cadere sulla guancia. “Nick...”
“Sh. – Mormorò Nick, prima di avvicinarsi e appoggiare le labbra delicatamente sulle sue. – Andiamo a letto, okay? Parleremo domani.”
Senza dire nient’altro, Brian si lasciò trascinare verso la camera e poi si fece cadere sul letto. Nessuno di loro si preoccupò di svestirsi ma, appena sdraiati, Nick si circondò attorno al corpo di Brian come se volesse fisicamente proteggerlo dalle insidie di quella realtà. Per qualche ora, almeno, voleva tenerlo nascosto da quel terrore che stava contagiando anche lui.
Il viso nascosto nel petto di Nick, le mani strette con forza attorno alla sua maglietta. Quello era il suo rifugio, Nick era la casa che lo avrebbe sempre accolto e protetto. E in quel calore Brian si lasciò sfuggire l’ultima preghiera. “Dimmi che è un incubo.”
Una carezza. Un bacio fra i capelli e quell’abbraccio che diventava ancora più stretto. Non c’era nient’altro che Nick potesse dire se non negare quella preghiera. E, per quello, non ne aveva la forza.
“Doveva essere in prigione. Me lo avevano promesso. – Mormorò una voce che somigliava a quella di un disco rotto. – Dimmi che è un incubo.” Ma la preghiera non venne ascoltata. La preghiera, in un semplice battito di ali, scivolò via da quella stanza, lasciando solo due persone ad aggrapparsi l’uno all’altro.
 
 
 
 




















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Sì. Non è un'allucinazione. Ho davvero aggiornato! lol
Questa storia è un po' strana: possono passare mesi senza che riesca a scrivere qualcosa. Poi, basta un getto d'ispirazione e tiro fuori un capitolo in pochi giorni. Ma è la mia bimba e, questo posso prometterlo, non l'abbandonerò mai e cercherò di terminarla. Anche se dovessi impiegarci anni. =)
Anche perchè è divertente torturare Brian. #Oops #SorryNotSorry
Al prossimo capitolo!
Cinzia

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Capitolo 19
*** - Diciassettesimo Capitolo - ***


 

 

Diciassettesimo Capitolo









 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Era stata una lunga e difficile notte, trascorsa in una silenziosa battaglia contro quei demoni e spettri di un passato che si era prepotentemente trasformato in realtà. Quei fantasmi, quelle invisibili entità, si erano accerchiati attorno al letto, rimanendo in attesa del momento perfetto per attaccare e allungare i propri artigli, affondandoli nella carne per arrivare finalmente alla parte più profonda dell'anima. Era stata, quindi, una notte trascorsa in difesa, i sensi elevati all'ennesima potenza per non lasciare nemmeno il più piccolo e insignificante varco per far entrare i nemici.

Ma non era stata quella l'unica battaglia. Ce n'era stata un'altra, più subdola e meno visibile, ma non per questo più leggera da combattere. La stanchezza aveva quasi vinto, quella notte, trasformandosi in una preziosa alleata per quei demoni che stavano aspettando di uscire da quell'angolo in cui erano stati rinchiusi e reclamare, dopo anni di silenzio, la loro supremazia. Stanchezza fisica, di quella che entrava nelle ossa e incominciava a logorarli lentamente, trasformando ogni nervo in un macigno pesante e trasmettendo il messaggio di lasciarsi finalmente andare, chiudere gli occhi e abbandonarsi in quel nero mare di oblio. Allettante. Attraente. Quasi impossibile da resistere e tener testa.

E Brian era stanco.

Fisicamente, si sentiva come se ogni nervo fosse pronto per distruggersi, spezzarsi sotto quel carico di tensione che aveva accumulato giorno dopo giorno, colpo dopo colpo, incubo dopo incubo. Gli occhi, gonfi e arrossati per quelle lacrime che stoicamente lui rifiutava di far scendere, non si erano mai chiusi: sbattevano le palpebre, si lasciavano tentare dall'oscurità ma poi ritornavano a cercare la luce, sia che fosse quella artificiale dei lampioni che sfrecciavano sia quando i primi raggi del sole avevano iniziato a tinteggiare di arancione il cielo. Mentalmente, però, Brian era totalmente svuotato tanto da sentirsi come un motore che continuava a girare a vuoto, senza mai che nessuno riuscisse a trovare un modo per spegnerlo. Panico, disperazione e puro terrore lo avevano tenuto prigioniero in quelle prime ore baciate dalla luna, pregando e chiedendo a chiunque lo stesse ascoltando di svegliarlo da quell'incubo. Ovunque si girasse, dovunque i suoi occhi si appoggiassero, tutto ciò che riusciva a vedere erano quelle due ombre nere, linee che costruivano i volti di due persone che si erano alleate per poterlo distruggerlo fino a quando non ci fosse stato solamente un cumulo di cenere al suo posto. Li vedeva sorridere, li vedeva ridacchiare mentre si aggiravano attorno a lui, ricordandogli quanto potere avessero su ogni suo pensiero e comportamento.

Dieci anni.

Dieci anni in cui Brian aveva cercato di mettere più distanza possibile da ciò che gli era successo, dieci anni in cui aveva cercato di dimenticare che viso Tyler avesse e quella sensazione che, per mesi, lo aveva portato quasi a scorticarsi via ogni centimetro di pelle. Quella sensazione era tornata, ora, e si era trasformata in un pugno dritto allo stomaco e il cui dolore si stava propagando in tutti gli altri organi e arti. Era tornata e lo aveva fatto con il triplo dell'intensità, perché ora c'erano altre mani che volevano toccarlo e assaporare il suo profumo e tutto ciò che la mente di Brian riusciva a concepire era qualcosa che lo proteggesse, un minimo e debole meccanismo di difesa per trattenerlo lontano da quelle immagini che stavano diventando sempre più grandi e, con la loro forza, cercavano di soffiare via ogni sua resistenza.

Dieci anni che sembravano essere scomparsi, riportando Brian nelle esatte condizioni in cui si era ritrovato una volta terminato quell'incubo. La tentazione di racchiudersi dentro di sé, di escludere qualsiasi cosa di esterno e che avrebbe potuto fargli ancora del male, era troppo forte da poter scacciare via come una mosca fastidiosa. Annullare ogni emozione, mettere un'alta e possente barricata fra la sua anima e quella contorta lucidità sul cui confine i suoi incubi si stavano divertendo a beffeggiarlo e a ricordargli che erano più forti, ora, perché uniti in quella missione. Era tutto ciò che Brian avrebbe voluto fare. Era tutto ciò che aveva fatto per quei centoventi mesi trascorsi da quell’orribile e terribile giornata.  

Dieci anni e, nonostante tutto, bastava qualche secondo di debolezza per ritrovarsi ancora in quel capanno, l'odore di vecchio e di muffa che lo avvolgeva e si insinuava dentro le sue narici, cercando il punto esatto dove incominciare a costruire la propria dimora. Pochi istanti e il silenzio della stanza si riempiva delle urla, le sue, e una voce che continuava a ripetere frasi di cui non avrebbe mai più voluto percepire e carpire il significato, forte e potente abbastanza per ridurlo definitivamente in ginocchio. Pochi attimi e Brian poteva ancora percepire la sensazione del sangue che scivolava via dalle ferite, lividi invisibili che pulsavano urlando il proprio dolore e quel lampo che aveva marchiato e strappato via la sua innocenza per sempre.

Sarebbe bastato poco, pericolosamente poco, per proteggersi senza più soffrire: distaccarsi, allontanarsi dal proprio corpo e portarsi via la propria anima, creando un nuovo abito dove ricominciare una nuova vita. Era così che era riuscito a vivere in tutti quegli anni: Brian aveva preso quel segreto e lo aveva gettato via, ignorandolo volutamente e quasi credendo che non gli fosse mai successo niente. Un anno letteralmente scomparso dalla sua mente e dalla sua storia, una flebile ombra che gli aveva permesso di continuare però a vivere alla luce del sole.

Ma era stanco. Fisicamente e mentalmente. Brian, soprattutto, era stanco di fuggire perché quella fuga non sarebbe mai terminata. In tutti quegli anni, Brian si era solamente illuso di essere finalmente sicuro. Glielo avevano promesso, d'altronde. Gli avevano giurato che non avrebbe più rivisto né sentito anche solo quel nome e che sarebbe stato impossibile, per Tyler, riuscire anche solo a mandargli una lettera.

Una lettera.

Un accenno di sarcastica e isterica risata incominciò a solleticare la gola di Brian, cercando di trovare un modo per uscire. Tyler aveva fatto ben peggio di una lettera: aveva mandato fiori, aveva organizzato un aggressione e sembrava averlo seguito in qualunque posto fossero stati nelle ultime settimane. E chissà quant'altro era riuscito a fare senza che nessuno, senza che lui, potesse saperlo o meno.

Ecco perché non aveva più senso scappare. Ecco perché tutti quegli anni non avevano più senso: a che cosa era servito costruirsi una nuova maschera se poi si era ritrovato allo stesso punto di partenza? A che cosa era servito far finta di essersi messo tutto alle spalle se era bastato un primo soffio di tempesta a farlo cadere? A che cosa, soprattutto, serviva rimettersi in piedi ogni volta se poi c'era sempre qualcosa pronto ad aspettarlo per metterlo con le spalle al muro?

Brian si sentiva svuotato, completamente privato di ogni speranza e forza ma, allo stesso tempo, c'era una fiamma di rossa rabbia che iniziava a nascere e a crescere dentro di lui: quel fuoco lo voleva spingere a reagire, a urlare e gridare con forza tutto il suo dolore, a rompere e spezzare qualsiasi oggetto fino a quando non ci fosse stato sangue a scendere dalle sue dita; quelle fiamme volevano sconfiggere quella sensazione di viscido e fisica sofferenza che incominciava ad aggrovigliarsi attorno al suo stomaco mentre lunghi e affilati artigli cercavano di graffiare e infilzare fino a quando solamente la bile poteva trovare una via d'uscita.

Un passo. Bastava un passo per ritrovarsi in quel vortice distruttivo, un passo per cadere da quel precipizio il cui terreno si stava sgretolando sotto il suo peso. Bastava un passo, sì, ma allo stesso modo bastò una semplice carezza per salvare Brian e farlo aggrappare all'unica vera cosa che segnava un cambiamento netto fra il passato e il presente.

Nick.

Una semplice carezza. Un cerchio tracciato dalla punta dell'indice, un tocco di farfalla che sembrava aver deciso di appoggiarsi sulla sua schiena per ricordargli che c'era ancora speranza e, fin quando essa avesse continuato a sbattere le sue ali, allora aveva senso rialzarsi e continuare a lottare. Quella farfalla, per Brian, era Nick.

Il sollievo, nato da quella carezza, fu un imponente onda da cui Brian si lasciò travolgere senza opporre resistenza. Invece che cercare di obiettarci contro, le sue mani si strinsero, con più forza e intensità, attorno ai lembi della maglietta che Nick ancora indossava, quasi come se volesse annullare ogni centimetro che ancora si intrometteva fra loro. Non era un gesto che racchiudeva connotati sensuali, era semplicemente il bisogno fisico di ricordarsi che non era da solo ad affrontare tutto quell'incubo. Era, in tutta la sua purezza e chiarezza, una silenziosa richiesta di aiuto e protezione.

E, in quella richiesta, Brian comprese che non era come dieci anni prima. Lui, in primis, non era più quel ragazzino che aveva dovuto cercare di arrangiarsi con quei pochi mezzi che aveva avuto a disposizione. Forse non erano stati sufficienti a guarirlo, forse non avevano fatto altro che trascinarsi con il trascorrere degli anni ma, per quanto deboli fossero stati, erano comunque riusciti nell'intento di portarlo in quel preciso momento. Aveva ancora molto da risolvere, indipendentemente dal fatto che ci fosse un pazzo psicopatico alle sue calcagna ma ora, finalmente, Brian aveva una ragione fondamentale e necessaria per rimettere in linea la sua vita. Aveva qualcosa, aveva qualcuno che amava così totalmente e completamente da non avere neppur più una remora nel mostragli la sua anima ferita e indebolita. Aveva Nick e quella vita che era riuscito a mettere insieme, un lavoro, una cerchia di amici e una felicità a cui non avrebbe mai rinunciato. Per tutto quello, per Nick, Brian avrebbe sempre trovato la forza per rialzarsi e rigettarsi di nuovo nella mischia. Per tutto quello e per Nick, Brian avrebbe affrontato i ricordi che erano riaffiorati e li avrebbe sconfitti, seppellendoli finalmente con l'etichetta di un passato ormai deceduto e inerme. Per tutto quello e per Nick, soprattutto, Brian avrebbe opposto resistenza a quel piano che Tyler aveva architettato, dimostrandogli che non era più quel ragazzino che era riuscito a sopraffare.

Già.

Era quello l'errore che Tyler non aveva messo in conto. Per quanto avesse progettato quel piano, per quanto tempo avesse trascorso a trovare il modo perfetto per distruggerlo e farlo suo, Tyler non aveva mai preso in considerazione la possibilità di ritrovarsi di fronte ad un nuovo Brian. Non più quel ragazzino ma un uomo che sapeva contare sulla sua forza e, nonostante dopo l'ennesima caduta, sapeva anche dove poterne prendere quando si ritrovava a terra perché aveva una rete di supporto e qualcuno che dipendeva da lui e che non poteva permettersi di lasciare da solo, richiudendosi in se stesso come stava facendo in quel momento.

“Tyler si sbaglia.”

La voce arrivò roca, un debole sussurro come se anch'essa fosse stata vittima del panico e dello shock. Ma era determinata. Era sicura e lasciava intravedere quella forza che, lentamente, si stava rimettendo in carica.

La carezza di Nick non si fermò, continuò a salire e poi ridiscendere sulla schiena, fermandosi poi al centro e racchiudendosi in linee e cerchi. Non azzardò nessuna risposta, consapevole di non avere ancora tutte le risposte che, forse, un giorno Brian gli avrebbe dato. Ma era sollevato, quello sì, perché per tutta la notte Brian non aveva fiatato: c'erano stati respiri rapidi, c'erano stati accenni di singhiozzi ma mai una parola, mai una risposta alle sue domande. E ciò lo aveva spaventato, più di quanto Nick potesse e volesse ammettere con se stesso. Perché con un Brian che si racchiudeva dentro se stesso, Nick non aveva nessun'arma per combatterci contro, non sapeva nemmeno da dove iniziare per riportarlo indietro. E, quando era stato sul punto di chiamare aiuto, chiamare Kevin perché solamente lui avrebbe potuto dirgli che cosa fare, ecco che quella voce si era alzata scacciando via ogni più profonda paura.

“Tyler si sbaglia perché pensa di potermi distruggere. E' convinto che sia ancora quel bambino e pensa di poter far terra bruciata attorno a me, portarmi via ogni sicurezza e consapevolezza fino a quando diventerò così disperato da accettare ogni sua richiesta. Può provarci ma non ci riuscirà.”

Per qualche secondo, Nick si ritrovò completamente preso controvento da quelle parole. Non si era aspettato nulla, non poteva nemmeno incominciare ad avvicinarsi a ciò che Brian potesse o stesse pensando in quelle lunghe ore ma, di certo, l'ultima cosa che avrebbe potuto concepire potesse essere l'ennesima dimostrazione di quella forza che sembrava non avere mai fine. E lo spaventava, allo stesso tempo, perché non voleva nemmeno pensare che cosa sarebbe successo o le conseguenze quando, e se, Brian finalmente avesse lasciato andare quel controllo di ferro attorno alle sue paure.

“E sai perché non mi distruggerà?”

Due occhi azzurri, lucidi nonostante quel rossore che lasciava intendere che nottata era stata, si alzarono e si posarono su quelli di Nick. “La tua immancabile e indistruttibile forza?”

Con un mezzo sorriso, Brian scosse la testa socchiudendo per qualche secondo gli occhi. “No. Non ho nemmeno idea di come sia ancora in piedi dopo tutto quello che è successo. Sono... l'ultima volta, non ho reagito bene. Non sapevo come affrontare ciò che mi era accaduto, non riuscivo a darmi una spiegazione e, più di tutto, non volevo ricordare. Ero letteralmente a pezzi e più mi spingevano a parlarne, più mi nascondevo perché non volevo più sentire il dolore. Non volevo più vedere i miei e Kevin così preoccupati per me. Così... - Brian scrollò le spalle mentre, lentamente, si slacciava dall'abbraccio di Nick e incominciava a mettersi seduto. - Ho semplicemente buttato tutto in un cassetto e fatto finta che niente fosse successo. E fino adesso, aveva anche funzionato. Ma...”

“Ma?”

“Sono al punto di partenza e ho paura. Questa forza, questa cosa che continui ad ammirare, è solamente uno specchio per le allodole.”

“Lascia che ti aiuti. Non devi fare tutto da solo, con me non devi essere sempre la roccia che non si sbriciola nemmeno durante una tempesta.”

“Lo so. - Ammise Brian. - Solo qualche giorno fa, avrei ribattuto e cercato di dimostrarti che ti sbagliavi. Ma ero io dalla parte del torto. Non voglio ritornare a com'ero dieci anni fa. Non voglio più scappare e so che devo affrontare ciò che è successo e ciò che Tyler ha in mente. E non posso farlo se a malapena riesco a respirare o a andare avanti con la vita quotidiana. Ho bisogno di appoggiarmi a qualcuno, ho bisogno di qualcuno a cui poter chiedere di tenere questo peso per qualche minuto, il tempo per fermarmi e riprendere una sorta di equilibrio. Non ho bisogno di sentirmi dire che andrà tutto bene, non ho bisogno di promesse su come sarò salvo e niente potrà succedermi. Ho bisogno di una speranza. Tu, Nick, sei quella speranza.”

Il groppo, quella volta, fu difficile da rimandare indietro come se niente fosse. Nick lasciò scivolare via quelle lacrime, due solitarie gocce d'acqua che caddero sulle dita che si stavano intrecciando in quel piccolo spazio lasciato libero sulle coperte. Non bisognava essere dei geni o possedere una dote empatica per rendersi conto di quanto grande e importante fosse quel momento. Implicitamente, Brian gli stava offrendo una via d'uscita e una sorta di silenzioso ultimatum: questa è la tua ultima possibilità, scappa finché sei in tempo o rimani per sempre al mio fianco. Qualsiasi cosa succeda.

In Nick non c'era nemmeno un'ombra di dubbio. Nemmeno il più piccolo frammento di incertezza. Sapeva che non sarebbe stato facile, sapeva che davanti a loro si estendeva un'alta parete e che la salita sarebbe stata tutto fuorché priva di ostacoli. Aveva paura, certo, perché a malapena riusciva a tenere se stesso in carreggiata e, ora, avrebbe dovuto invece prendersi cura di qualcun altro. E non uno qualunque. Ed era quel particolare, era il piccolo e fondamentale dettaglio che fosse Brian quella persona che lo faceva vibrare con desiderio e voglia di dimostrare, finalmente, che ci si poteva fidare di lui.

“Sei sicuro di volerti fidare di me?” Si ritrovò, quindi, Nick a chiedere mentre azzardava ad alzare la mano e appoggiarla sulla guancia.

“Sì. Devo. Se vogliamo incominciare questo rapporto, se vogliamo costruire qualcosa di serio e di stabile, devo abbattere queste mie difese e lasciare che qualcuno, ogni tanto, si prenda cura di me. E non c'è nessun altro a cui mi affiderei. Nessun altro se non te.”

Ne aveva bisogno. Quella realizzazione era arrivata forse con troppo ritardo, dopo settimane in cui aveva cercato di continuare la sua vita come se niente fosse successo, come se avesse ancora tutte le energie di quel mondo. La realizzazione era che, invece, per combattere aveva bisogno di quel tanto decantato e spaventoso crollo da cui Brian aveva sempre cercato di sfuggire via. Per potersi davvero rialzare, per poter davvero affrontare il suo nemico, doveva lasciare che ogni demone ancora dentro di lui uscisse, liberando la sua anima da incubi e paure che stavano già esaurendo ogni fibra del suo essere. Si fidava già di Nick, lo aveva fatto quando i primi cenni di crollo avevano incominciato a farsi strada e, per una volta, Brian desiderava lasciarsi avvolgere da un abbraccio e chiudere ogni pensiero per qualche ora.

“Quindi hai pensato alla mia proposta?”

“Sì. - Rispose Brian con un cenno del capo. - Ma non solamente per me. Anche tu hai bisogno di riposare e ricaricare le batterie. Questi giorni non sono stati semplici nemmeno per te e, se devi tenerti anche il mio peso, avrai bisogno di tutte le energie possibili.”

D'istinto, Nick si sporse per appoggiare un bacio sulla fronte del compagno. Come sempre, anche nelle sue peggiori condizioni, Brian si ritrovava a pensare anche agli altri e a come prendersi cura di loro. “Mi prenderò cura di te, Bri. E non lascerò che ti venga fatto del male. Non c'ero dieci anni fa e non ho fatto nulla quella famosa sera. Non commetterò più gli stessi errori.”

Era naturale quel comportamento. Era una delle tante espressioni in cui l'amore poteva declinarsi, un semplice e più che necessario bisogno di proteggere l'altra metà della propria anima. Era su quella basilare nozione che Brian aveva sempre costruito il suo rapporto con Nick, proteggerlo da tutto e da tutti. Anche da se stesso. E, in verità, aveva cercato di proteggere tutti da quel segreto che era sempre stato una sorta di veleno dormiente dentro di lui. Aveva pensato, Brian, e ne era stato fermamente convinto, che proteggere significava tenere tutto all'oscuro, in modo che niente potesse davvero far del male le persone che lo circondavano.

“Ne ho commesso uno anch'io. - Mormorò Brian, abbassando lo sguardo su quelle mani che, nonostante tutto, continuavano a cercarsi e a trovarsi. - Avrei dovuto parlarne molto tempo fa. Avrei dovuto raccontarvi, raccontarti, che cosa mi era successo. Ma avevo paura. Ho ancora paura che questo possa cambiare totalmente il modo in cui mi vedi. Ma lasciarvi ora nel buio è solo un'altra arma che consegnerei a Tyler. Non sono io che mi devo vergognare di ciò che è successo. Non voglio più essere una vittima.”

“Bri...”

“E' vero. Nick, per tutto questo tempo mi sono ripetuto che non lo ero, che ero più forte perché non mi lasciavo toccare da quel ricordo. Ma, invece, mi stavo comportando in quel modo perché mi vergognavo di ciò che mi era successo e ho lasciato a Tyler il potere di continuare a condizionare la mia vita anche se lui era dietro le sbarre. O, almeno, avrebbe dovuto esserlo.”

“Sai che non sei costretto a dirmelo.”

“Lo so. Ma devi sapere. Solo così potrai davvero aiutarmi invece che tentare di indovinare.”

C'erano tante obiezioni che Nick avrebbe voluto alzare. La prima era anche la più egoista perché, per quanto volesse sapere, ne era terrorizzato: c'era dolore nascosto in quel segreto, era ancora presente in quelle linee e ombre attorno agli occhi e Nick non sapeva se sarebbe mai riuscito a cancellarle completamente.

Ma Brian aveva ragione. Come sempre, anche quando significava ammettere di aver sbagliato. Aveva ragione perché, se davvero lui doveva e voleva prendersi cura di lui, doveva sapere contro quale mostro doveva proteggerlo.

“Okay. - Rispose Nick, stringendo con un po' più d'intensità le dita intrecciate fra loro. - Qualsiasi cosa sia, non sarà mai forte o grande abbastanza per sciogliere questo intreccio. Capito?”

Brian annuì, riuscendo solamente a fare quel cenno mentre cercava di recuperare le energie necessarie per quel discorso. L'ultima fatica, si ripeté. L'ultimo masso da spostare prima di potersi sdraiare accanto a Nick e riposare. Con Howie non c'era stato il bisogno di raccontare ogni minimo dettaglio, sapendo già la storia. Aveva dribblato il centro del discorso e aveva cercato di consolare l'amico, invece che se stesso. Ma parlarne con Nick avrebbe cambiato tutte le carte sul tavolo, lo avrebbe reso un nervo scoperto e pronto per essere coperto o spezzato a seconda dei casi.

Ma doveva farlo. Per se stesso e per Nick. Per dimostrare a Tyler che non aveva più paura di lui. Così, con lo sguardo basso e la voce poco meno di un sussurro, Brian incominciò a raccontare di quella giornata, di come niente aveva lasciato intendere che la tempesta fosse pronta ad abbattersi su di lui; di come, all'inizio, nessuno aveva sospettato quanto malato e psicopatico fosse quell'amico di Kevin, così gentile da prendere il posto del cugino e accompagnarlo a visitare quel posto così magico e speciale. Brian raccontò a Nick di quel preciso momento in cui si era accorto che tutto stava andando a rotoli, quel sorriso che era diventato all'improvviso diabolico e spaventoso, quella presa che si era fatta più salda attorno al suo polso e quegli strattoni per spingerlo verso il capanno abbandonato. Sottolineò, con più fiato e intensità possibile, di quanto avesse combattuto, di quanto si fosse opposto perché sapeva, anche con l'ingenuità di un ragazzino, che stava andando incontro a qualcosa di brutto e terribile. E mentre narrava, Brian si ritrovò catapultato in quelle memorie, in quei ricordi che stavano riprendendo vita attorno a lui, trasformando la camera del tourbus in un incubo fatto di terra e sporcizia, urla e violenza. Sangue.

Raccontò, Brian, di come aveva lottato, dei graffi che aveva lasciato sulla pelle del suo aggressore, di come aveva tentato di scappare ad ogni occasione possibile fino a quando gli era stato impedito di difendersi e proteggersi. Legato, immobilizzato, aveva continuato a combattere nonostante le urla e quella voce che gli diceva che non gli avrebbe fatto del male mentre le mani annullavano quella promessa. Raccontò tutto questo, Brian, e non lasciò sospeso nessun dettaglio, continuando a puntare su quella importante verità: si era ribellato e Nick doveva comprendere e capire che non si era lasciato sopraffare così facilmente. E fece quel racconto con un tono totalmente distaccato, freddo e distante come se fosse semplicemente un estraneo, un testimone che raccontava e descriveva cercando di non lasciarsi toccare dalla drammaticità della scena che si svolgeva di fronte ai loro occhi. Ma quando arrivò a quell'ultimo attimo, la frazione in cui tutto aveva portato un'agonia che si era assopita poi dentro di lui, Brian non poté usare giri di parole o metafore. Non c'erano altri termini per identificare ciò che gli era stato fatto, non c'era modo per rendere tutto meno terribile o drammatico. E a quella semplice parola, quella “violenza” che uscì come un macigno dalle sue labbra, la voce si ruppe, tremando e ritrovandosi con un solo filo di fiato.

Ci fu solo silenzio dopo quella confessione. Una cappa di pesante assenza di suoni scese su Brian e Nick, rendendo l'aria colma di tensione e di ansia. L'ansia era diventata l'unica compagna di Brian, timoroso nell'alzare il volto e incontrare qualunque espressione fosse dipinta sul viso di Nick. Lo avrebbe lasciato? Sarebbe stata quella l'ultima goccia, quell'unico ostacolo che Nick non sarebbe mai riuscito a superare? Una voce, quella parte che aveva prevalso fino a quel momento e continuava a fidarsi del compagno, cercava di ripetergli che non sarebbe successo, che Nick non avrebbe abbandonato la nave dopo tutti quei discorsi su quanto fosse cambiato e su quanto volesse rimanere al suo fianco.

Fidati, continuava a sussurrare, fidati di Nick.

Ma il silenzio continuava a protrarsi, diluirsi sempre più in attimi che duravano minuti e secondi che sembravano ore. Brian riusciva a sentire il suo cuore battere furiosamente contro lo sterno, urlando perché quelle immagini, diventate realtà, volevano farlo prigioniero e l'unico pensiero era quello di nascondersi e proteggere quell'ultimo brandello di sanità che gli era rimasta.

Stava per farlo. Spinto da quell'inconscio e vitale desiderio di nascondersi, Brian cercò di slacciare le dita da quelle di Nick. Ma inutilmente. Al primo tentativo, le dita di Nick si strinsero ancora di più attorno a quelle di Brian, una stretta che voleva porre una pezza all'assenza di parole. Perché non c'era niente che Nick riuscisse a dire. Non era solamente sconvolto, era come se qualcuno lo avesse preso e lo avesse trasformato in un punching ball, un sacco che la confessione di Brian stava prendendo a calci e pugni. Ne aveva avuto sentore, qualche indizio era riuscito a recuperarlo qua e là ma mai, mai, aveva lasciato che quell'ipotesi crescesse nella sua mente. Era troppo da immaginare, era qualcosa che lo lasciava con un senso di nausea e di rabbia. Oh, se era furioso! La sentiva incominciare a ribollire dentro le vene, la sentiva incominciare a diventare un mostro con artigli e denti pronti per attuare la loro vendetta. Voleva uccidere quell'uomo. E lo voleva fare nel più lento e agonizzante dei modi, anche se sapeva che niente, nemmeno le sue urla di dolore, sarebbero riuscite a lenire e a placare la sua sete di vendetta.

Non riusciva a pensare, Nick. Riusciva solo a stringere le dita di Brian e sperare che fosse solamente una specie di incubo. Sì, si sarebbe svegliato e Brian gli avrebbe detto la verità, non quella storia dell'horror di cui lui non era nemmeno capace di comprenderne i contorni, men che meno afferrare la sua complessità.

Non riusciva a pensare e non voleva nemmeno farlo. Non voleva pensare a tutto quello che Brian gli aveva raccontato, a quei dettagli che avrebbero dovuto far parte di un film poliziesco invece che della loro vita. Tutto ciò che riusciva a pensare era che, in qualche modo, in qualche miracoloso modo, Brian era riuscito a sopravvivere. E ora si stava affidando a lui, cercando di ignorare ogni paura e ansia per ciò che quel segreto avrebbe potuto causare su di lui.

Pensa a Brian. Sì, doveva essere lui l'unico pensiero di Nick. Perché quel momento non doveva essere incentrato attorno a lui e alla sua reazione, quell'attimo doveva essere di Brian. Brian che si era fidato. Brian che aveva tolto anche l'ultimo velo per scoprire la sua anima torturata e rattoppata nel miglior dei modi che un ragazzino di quindici anni poteva conoscere.

Brian tentò una seconda volta di allontanarsi, quel silenzio stava diventando una seconda arma che, lentamente, stava scavando una ferita nell'anima. Non ti vuole. Come può volerti? Sta cercando un modo per dirtelo ma non ci riesce. Quella voce, quella subdola e serpentina voce, continuava a diventare sempre più forte, annullando ogni altro pensiero che la sua coscienza, e la sua anima, potesse usare per controbattere.

Il respiro si fece ancora più rapido, l'unico segnale e reazione a quel panico che urlava di difendersi e proteggersi. Quel contatto, quel semplice gesto che prima aveva portato così tanta forza e calore, ora era un freddo serpente che cercava di trovare il più piccolo pertugio per poter infilarsi nelle vene e trasformare tutto in un nero ghiaccio.

“Ti prego...” Quasi si maledisse Brian per come quello scongiuro uscì fuori, un tono spezzato e che quasi gli ricordava quelle suppliche che erano rimaste inascoltate da dieci anni. Ma fu proprio quel tono a ridestare Nick da quello stato di shock in cui era caduto da quando Brian aveva incominciato il suo racconto.

Non staccò le dita. Non sciolse quell'intreccio. Ma alzò gli occhi e, per la prima volta, osservò Brian. No, non Brian. Davanti a Nick non c'era più il ragazzo che aveva affrontato quelle ultime settimane con forza. Davanti a lui c'era quel ragazzino a cui tutto era stato strappato via e che, in qualche modo, era riuscito a costruirsi un'identità. E quella maschera, ora, si stava velocemente sbriciolando sotto il peso di quei demoni che toccava a lui, ora, combattere al posto di Brian.

“Non ti lascio andare. - C'era sentore di lacrime nella voce di Nick ma non ne diede importanza. - Continuo ad amarti, Brian.”

“Non sei... non sei disgustato?” Si ritrovò Brian a domandare, lo sguardo sempre abbassato e la vergogna che continuava a farlo prigioniero delle sue grinfie.

“No.”

Quell’unica sillaba bastò a far rialzare il volto di Brian mentre tutta una serie di parole rimanevano impliciti ma così ben visibili negli occhi di Nick.

No, non potrei mai essere disgustato da te.

Non c’è niente che mi potrebbe tenere lontano da te, niente che mi possa impedire di continuare ad amarti così tanto da voler metter freno al mondo in modo che smetta di girare e permettere a te di guarire.

Non potrei mai desiderare di non toccarti, non stringerti né sperare che le mie carezze possano, in qualche modo, lenire il tuo dolore.

Quelle frasi giunsero fino a Brian, anche se non fu una voce a sussurrarle. Ma ottennero l’effetto di riscaldarlo, sciogliere via un po’ di quella coltre di ghiaccio in cui lui stesso si era avvolto per non sentire, per non provare più quella sensazione di strapparsi la pelle e qualsiasi organo che quell’uomo aveva anche solo sfiorato.

Da che cosa dovrei essere disgustato?

Sembrò quasi Nick chiedergli e domandargli con lo sguardo.

Dal fatto che qualcuno altro mi ha toccato, mi ha accarezzato, spogliato e baciato. Dal fatto che tutto ciò che mi è stato lasciato è un’anima segnata e lacerata. Non capisci? Sono contaminato, non voglio che questo veleno che mi circola nella vene possa contagiare anche te.

Sono impuro, come puoi ancora volermi?

Nick non usò parole per ribattere a quell’ultima e assurda domanda. L’indice fu il primo a muoversi, sfiorando appena il suo compagno; fu seguito dal medio e poi dall’anulare, fino a quando tutte le cinque dita erano adagiate su ciascun’altra, rivestendole come un protettivo e invisibile guanto. Poi rimase in attesa, temendo e sperando in una reazione da parte di Brian.

Vedi? Ti sto toccando e vorrei poter fare di più.

Il respiro di Brian era l’unico suono in una stanza sommersa dal silenzio saturo d’attesa. Al primo tocco, era schizzato veloce come se qualcuno, il panico, lo stesse braccando in una foresta. Aspettava che Nick si ritirasse, resosi finalmente conto di quanta sporcizia si nascondeva sotto quella pelle all’apparenza così normale. Ma le sue dita continuavano a rimanere lì, intricate nelle sue e lasciando affiorare un calore e conforto a cui Brian aveva sempre rinunciato ogni volta che aveva avuto bisogno di conforto. In tutti quegli anni, non aveva mai permesso a se stesso quel conforto, più preoccupato della probabile reazione dell'altro che dei suoi stessi bisogni. Lentamente, il suo respiro si calmò lasciando che quell’intreccio combattesse per lui alcuni demoni. Già, solo una parte anche se questi erano quelli più forti e difficili da distruggere, quelli che si erano cibati durante tutti quegli anni e che ora non volevano andarsene, perché finalmente vicini a poter uscire e sgranchirsi le loro lunghe e sudice braccia.

Aveva bisogno di Nick. Era così pulsante e feroce quel desiderio dentro Brian: aveva bisogno che Nick lo accogliesse nelle sue braccia, in quell'abbraccio che in quei giorni era diventato un rifugio per lui. Qualche ora, sapeva di non poter chiedere di più ai suoi demoni. Ma qualche ora di tregua, qualche ora in cui avrebbe potuto dimenticarsi di quello che gli era successo e di ciò che stava accadendo attorno a lui. E non c'era nessun altro a cui potersi affidare, non c'era nessun altro che lo avrebbe supportato senza esitazioni, anche quando aveva appena scoperto che il Brian che aveva sempre conosciuto era stato un illusione e una maschera creata a arte.

Aveva bisogno di Nick ma, allo stesso tempo, non riusciva a credere che il compagno lo volesse ancora. Nonostante tutto. Nonostante ciò che gli aveva appena raccontato. Che cosa aveva mai fatto per poter essere così fortunato? O forse, finalmente, il fato aveva deciso che aveva avuto già fin troppa sfortuna per non concedergli almeno quell'unico sollievo, quell'unico raggio di speranza. E così quel battibecco continuava all'interno della sua mente e della sua anima, due parti così differenti tra loro che continuava a combattersi lasciando Brian senza una direzione da prendere.

Fu Nick a risolvere quel dilemma. Con una semplice domanda, questa volta pronunciata a fior di labbra, anche se le sue parole echeggiarono nel silenzio come se fossero state urlate. “Posso... posso abbracciarti? Non so come fare, non so che cosa dirti perché so che metà delle cose che mi girano in mente non hanno senso. E mi uscirebbero nel peggior dei modi. E ho solo questo, abbracciarti, per farti capire che non potrei mai lasciarti. E non succederà.”

E fu proprio quell'incertezza e quel velo di sofferenza a far vincere una parte rispetto all’altra in Brian. Poteva ancora farlo, poteva ancora essere l’eroe che Nick aveva visto nei suoi occhi per tutti quegli anni. Così sorprese Nick, annullando timidamente la distanza fra loro e rannicchiandosi contro di lui. Le dita si strinsero attorno ad un lembo di maglietta, entrambe ai lati della testa di Brian che sotto il mento di Nick aveva trovato il suo nascondiglio.

L’istinto vinse sull’incertezza ed insicurezza in Nick. Le braccia circondarono quel corpo stretto contro il suo, avvicinandolo più di quanto la fisica potesse permettere. Una mano si insinuò fra i capelli, accarezzandoli con la tenerezza e dolcezza che solamente una persona amata poteva offrire in un momento del genere; l’altra rimase al centro della schiena di Brian, un costante ricordo che era salvo, che era lui era lì e non gli avrebbe fatto del male né avrebbe permesso a qualcun altro di farlo. Nè avrebbe permesso a Tyler di avvicinarsi ancora e tentare anche solo di sfiorarlo.

Né sorpresa né shock dipinsero il volto di Nick quando nemmeno la più piccola lacrima scese dagli occhi di Brian. Era successo quella notte, era inevitabile che sarebbe successo anche in quel momento. Quella forza, quell'ostinazione nel non crollare, continuava imperterrita a costruire mura e difese, nonostante ora ci fosse qualcuno ad aiutarla a cementare i mattoni. E quella lotta contro le lacrime continuò per le ore successive, quando il sole diventò un fuoco caldo nel cielo e mancava ormai poco a raggiungere il prossimo luogo per il concerto.

Aspettare e sperare.

Ecco ciò che Nick fece in tutto quel tempo, mentre il suo abbraccio non perse nemmeno un battito o un respiro bagnato di lacrime silenziose. Sperò, soprattutto, che quel controllo che per anni aveva invidiato e ammirato sarebbe finalmente sceso e scomparso, lasciando a lui quel peso e tutto ciò che ne comportava mentre Brian si rimetteva in carreggiata. No, non “guarire”. Non era una malattia e lui non doveva nemmeno “curare” Brian perché entrambi quei verbi implicavano che ci fosse, almeno, un medicinale o una cura che potesse far tornare tutta alla normalità. Lui poteva solamente sperare e aspettare, cercando nel frattempo di lenire quelle cicatrici che ormai non potevano più essere cancellate con un colpo di spugna. Ma poteva farle diventare più piccole, farle impallidirle fino a quando solamente un occhio esterno e attento avrebbe potute captarle e conoscerle.

Anche Brian aspettava e sperava. Aspettava che quel turbinio di emozioni la smettessero di prendersi gioco della sua anima e usarla come se fosse una palla da basket; aspettava e temeva il momento in cui Nick lo avrebbe lasciato, rigettandolo in quella ragnatela che stava tendendo i suoi fili attorno a quel letto. Ora che non c'erano più dubbi sul supporto di Nick, Brian non voleva lasciare quel rifugio. Non almeno fino a quando avesse riuscito a trovare una briciola di normalità e equilibrio. Rivoleva la sua vita. Rivoleva essere il pazzo ragazzo che aveva conquistato Nick in chissà quale modo. Rivoleva, o forse voleva, avere la possibilità di vivere quella storia come tutti gli altri innamorati di quel mondo.

Ma non poteva così, per quelle poche ore che rimanevano, Brian poté solamente aggrapparsi ancor di più alla maglietta di Nick, illudendosi che sarebbero bastate le dita fra i capelli e quella carezza stabile e confortante sulla schiena a cancellare quell'incubo.

Aspettarono, Brian e Nick, e sperarono. Ma, fra quei frammenti di attesa e speranza, non potevano non temere quel mostro che, ancora nelle tenebre, stava affilando i suoi artigli.

 

 

 

 

*******

 

 

 

Contrariamente a ciò che si credeva, non era Kevin il primo a svegliarsi e a far sì che tutti gli altri fossero già pronti. Nonostante lui fosse il più grande, o forse proprio per quello, Kevin era sempre l'ultimo a svegliarsi, arrivando sempre quei cinque minuti necessari per non essere mai in ritardo.

Quella mattina non era differente dalle altre, per quanto l'aria e l'atmosfera nel tourbus fosse resa tesa da qualcosa che Aj ancora non riusciva a identificare.

Preoccupazione?

Erano tutti preoccupati. Come potevano non esserlo dopo quello che era successo? Avrebbe mentito, Aj, se non avesse ammesso che ancora rabbrividiva ripensando a quella notte: non erano solo le immagini in sé, quella situazione, a lasciarlo sempre con fin troppi nervi scalpitanti e desiderosi di un calmante, erano tutti quei se e ma che non accennavano ad abbassare la loro voce. Se fosse arrivato in ritardo; se non fosse uscito in quel momento... Voleva mettere a tacere quelle voci, voleva riprendersi quell'apparente calma che, tanto tempo prima, riusciva solamente a trovare in bottiglie e alcohol. D'altronde, chi se ne sarebbe accorto? Tutti erano preoccupati per Brian, tutti lo controllavano come avevano fatto con lui per settimane ed era quella un'occasione troppo perfetta per lasciarsela sfuggire.

Un sorso. Un caldo e bruciante sorso che avrebbe cancellato quelle immagini e quelle voci. Nessuno avrebbe fatto caso a lui, così come nessuno aveva notato le sue dita tremare anche se non faceva freddo. Nervi. Ansia. Stress. Una lista infinita di motivi per cui ora, in quel momento, davanti al reparto alcolici di un Walmart, la sua gola era diventata improvvisamente un deserto arido e in disperato bisogno di uno scorcio di pioggia. Le mani non avevano smesso di tremare, brividi e tremori che quasi gli impedivano di prendere in mano qualcosa senza il rischio di far cadere qualcosa.

Un sorso. Solo un sorso prima di rientrare e di affrontare quel caos. Sì, perché era quello che si era scatenato mentre il mondo li vedeva felici e contenti su un palco. All'esterno, nessuno si rendeva conto di quanto quegli ultimi giorni fossero stati dei giri mortali di una montagna russa su cui nessuno aveva voluto sedersi. Non era solo l'aggressione, non era solo quella silenziosa paura che chiunque avrebbe potuto attaccarli così facilmente. No, Aj aveva la netta sensazione che c'era molto di più nella tensione che aleggiava fra i quattro suoi amici. Avrebbe potuto fare il gioco delle coppie, scambiando nomi e cercando di indovinare per quale motivo essi sembravano camminare con un coltello nascosto nella manica.

Un sorso. Un sorso gli avrebbe fatto dimenticare quel senso di esclusione che quel sapere barra non sapere faceva nascere dentro di lui.

Persino Nick sembrava sapere più di lui!

Per tanto tempo, Aj non aveva badato ai problemi che gli altri potevano avere: immerso e sommerso dai propri, era già quasi un miracolo se si ricordava che c'erano altre persone attorno a lui, perso fra quelle nubi nere che lo facevano sentire come una minuscola e solitaria particella di atomo. Solo quando era tornato dalla riabilitazione, aveva incominciato ad aprire gli occhi e a rendersi conto che anche un sorriso poteva nascondere, dietro di sé, nubi nere e temporali. Ma, ancora, c'era una sorta di implicita preoccupazione ogni volta che succedeva qualcosa, come se i suoi amici lo considerassero ancora così fragile da poter ricadere nelle vecchie abitudini.

E fu proprio per quel motivo che, nonostante la tentazione fosse fin troppo difficile da combattere, Aj si allontanò dal reparto alcolici. Non poteva buttare via tutti quei mesi di sobrietà, non poteva rigettare gli amici e la sua famiglia in quell'incubo quando c'era già fin troppi problemi a cui badare. Soprattutto, per una volta Aj avrebbe voluto essere una di quelle persone a cui gli amici avrebbero potuto appoggiarsi e far affidamento. Avrebbe voluto, più di tutto, ricambiare tutto l'aiuto e il supporto che Brian gli aveva offerto nel suo periodo buio.

Lui e Brian avevano sempre avuto un rapporto un po' complicato: venivano da due mondi completamente differenti, avevano due caratteri agli antipodi e, almeno i primi tempi, l'unico elemento che gli aveva accumunati erano quelle due voci che, insieme, sembrano incastonarsi alla perfezione. Ma, a parte quello, si erano sempre tenuti a distanza, soprattutto perché Brian era il Frick di Nick e Nick sapeva essere estremamente geloso quando si trattava di qualcosa che doveva essere solamente suo. Le cose e il loro rapporto erano cambiate quando Aj aveva toccato il fondo: nonostante Brian fosse il suo bersaglio preferito durante quelle nottate, l'amico non si era mai tirato indietro quando si trattava di dover allungare una mano per aiutarlo a rimettersi in piedi. E non c'era stato giorno o notte in cui non aveva fatto mancare il suo supporto nel periodo di riabilitazione: erano state quelle ore, quelle passeggiate in un parco che Aj aveva preferito pensare come libero invece che confinato in una struttura, in cui la loro amicizia aveva incominciare a nascere, buttandosi alle spalle pregiudizi e preconcetti che l'ignoranza e il non conoscersi completamente avevano costruito in quegli anni.

Ecco perché ora non poteva lasciarsi tentare. Oh, Kevin sarebbe stato furioso e Aj non aspirava certo a rivedere una porta completamente buttata a terra per colpa sua. Howie lo avrebbe di certo guardato con un'aria fra il triste e il deluso, lasciando nell'aria parole che non avrebbe mai espresso ad alta voce perché il suo lato diplomatico non glielo avrebbe permesso. Nick gli avrebbe urlato dietro, arrabbiato perché aveva distolto l'attenzione da un problema molto più grosso della sua debolezza e fragilità. Ma Brian... Brian lo avrebbe semplicemente guardato con quello sguardo di disapprovazione che, Aj lo sapeva, lo avrebbe fatto sentire come il peggior uomo abitante sul quella terra. E non perché avesse sbagliato, non perché avesse commesso qualcosa di totalmente stupido e imperdonabile. No, non per quei motivi. Ma perché lo considerava più forte di quanto lui stesso credeva di essere, perché Brian aveva così tanta fiducia e fede nelle altre persone da non avere mai, poi, abbastanza per se stesso.

Mentre recuperava il giornale del mattino, uno qualsiasi tanto lui non lo leggeva mai, Aj incominciò ad elencare ciò che avrebbe fatto una volta tornato sul bus: per prima cosa, avrebbe cercato di capire perché Kevin ignorasse Howie. Nick? Oh, poteva capire! Il senso di protezione che provava nei confronti di Brian a volte raggiungeva limiti improponibili ed era facile sospettare che il maggiore non fosse molto felice di quella nuova relazione.

Ma Howie?

Quei due andavano d’accordo come se fossero una coppia di genitori, qualcosa di davvero serio doveva essere successo se si ignoravano e si osservavano come se uno fosse il peggior nemico dell’altro.

Pagò velocemente, prese in mano i suoi acquisti e poi Aj fece ritorno al tourbus con passo deciso.

Era ora di avere risposte. E non si sarebbe arreso fino a quando non avesse saputo in che guaio stavano remando.

 

 

 

 

 

 

 


 

*******

 

 

 

 


 

 

Kevin sbatté il telefono contro la superficie del tavolino, maledicendo chiunque gli capitasse a tiro. Era la quarta volta, dalla sera precedente, che cercava di supplicare il loro manager a lasciar loro qualche giorno libero ma l'idea di perdere soldi sembrava essere più importante di qualsiasi altra cosa. Aveva anche tentato la carta della salute ma a meno di un certificato medico, per lui, loro erano più che in grado di salire su un palco e fare il loro lavoro.

Non poteva tradire Brian.

Avrebbe potuto raccontare una versione modificata, lasciar perdere ciò che stava ritornando a galla dopo dieci anni di buio, e semplicemente far leva su una questione di sicurezza. Ma ciò significava, comunque, tradire Brian e il suo desiderio di tenere quell'aggressione nascosta. Ed erano anche trascorsi troppi giorni affinché, nonostante la mancanza di solidi dettagli, la storia apparisse veritiera.

Ci doveva essere un modo. Potevano rifiutarsi di salire sul palco, anche se sapeva che sarebbe stato inutile. Brian era una testa dura quando si metteva in mente qualcosa e, in quel momento, si era fissato nel portare avanti tutto come se niente fosse. Ma doveva trovare una soluzione, fosse solo l’unica cosa che sarebbe riuscito a portare a termine in quei giorni.

“Ci sei riuscito?” Domandò Howie, apparendo dalla porta che divideva la zona notte dal salottino del tourbus.

I rapporti erano ancora tesi, si danzavano attorno in punta di piedi e Kevin sapeva di dover esser il primo a chiedere scusa. Quando si trattava di quella questione spinosa, quando si trattava di dover indossare l'armatura per proteggere suo cugino, Kevin non faceva differenza fra amici e sconosciuti, fra quasi fratelli o probabili nemici. Anche se, solo ora, si ritrovava ad ammettere che aveva sempre reagito in quel modo non solamente come senso del dovere verso Brian. Era la vergogna di non averlo difeso tanti anni prima che lo faceva chiudersi a riccio, rinnegando qualsiasi mano distesa come messaggio di pace. Che cosa avrebbero detto, che cosa avrebbero pensato quando avessero scoperto che era stata solamente colpa sua? Come avrebbero potuto ancora considerarlo quella figura paterna quando avessero saputo che, nei momenti più fragili e difficili, perdeva ogni cognizione e falliva miserabilmente?

Ma doveva. Almeno a qualcuno, Kevin doveva raccontare il suo fardello e la sua lettera scarlatta. Non poteva dirlo a Brian, non poteva aggiungergli quell'altro peso quando aveva già fin troppi bagagli di incubi e cicatrici sulle sue spalle. E, forse, il cugino aveva ragione: era ora di andare avanti, incominciare finalmente una vita normale senza lasciare che lo spettro di Tyler continuasse ad avvelenare ogni loro momento.

“No. - Rispose quindi con un mezzo sospiro, frutto più della frustrazione e della stanchezza. - A meno di un'emergenza con tanto di certificato medico...”

Howie si diresse verso la zona cucina, prendendo il vasetto contenente il caffè ed incominciando a preparare una nuova caraffa. “Basterebbe solo che Johnny vedesse Brian. Non ho idea di come faccia a essere ancora in piedi nonostante tutto.”

“Semplice spirito combattente. - Rispose Kevin. - Ma sta crollando. E vorrei evitare che succedesse circondato da un'onda di fans impazzite.”

Il fischio della macchinetta del caffè interruppe per qualche attimo la conversazione fra i due amici. Due tazze apparvero fra le mani di Howie, caldo vapore annunciava la fumante bevanda al suo interno e l'aroma pungente del caffè servì a risvegliare qualche altro velo di sensi ancora addormentati.

“Howie... - Incominciò a dire Kevin una volta che l'amico si fosse seduto di fronte a lui. - ... Ti devo delle scuse.”

Howie alzò la mano in un gesto che voleva dire che non c'erano problemi. “Comprendo perché ti sei comportato in quel modo.”

“Ma non avrei dovuto.”

“Abbiamo sempre parlato di Brian, di quanto tutto questo sia stato difficile per lui. E non ci sono dubbi che sia stato così. Ma anche per te non deve esser stato facile.”

Gli occhi di Kevin caddero sull'acqua nera dentro la sua tazza, all'improvviso troppo imbarazzato nell'ammettere la verità. “No, non lo è stato.”

“Dovevi essere forte per Brian, dovevi essere la sua roccia.”

Un semplice cenno con la testa, un gesto per confermare quelle parole. “Dovevo essere il suo confidente, non poteva essere il contrario quando ancora non riusciva a comprendere perché gli era successo.”

“E così hai fatto ciò che hai sempre consigliato a Brian di non fare. - Intervenne Howie. - Tenersi tutto dentro.”

“Siamo parte della stessa famiglia, no? - Ribattè Kevin con un piccolo accenno di sorriso. - Ogni tanto con Kristin mi confidavo ma non era lo stesso.”

“Perché non poteva capire?”

“No. Avrebbe capito. Forse anche fin troppo. E avrebbe finito per odiarmi.”

“Credo di aver perso il filo.”

“Quello che è successo è stata tutta colpa mia.”

“Come? A men che tu non abbia detto a Tyler di fare quello che ha fatto, dubito che tu possa essere responsabile di quanto sia successo.”

“Quel giorno avrei dovuto accompagnare io Brian.”

“Ma stavi lavorando.”

“Non avrei dovuto. Era il mio giorno libero, l'avevo preso apposta perché Brian sarebbe venuto quella settimana. Ma poi... erano i primi tempi con Kristin, ero ancora preso dal voler far colpo su di lei e farla innamorare che avrei fatto qualsiasi cosa per lei. Anche cambiare il giorno libero in modo da poterlo trascorrere insieme a lei invece che con Brian.”

“Kevin, non... Da quello che ho letto, Tyler avrebbe comunque trovato un modo per fare quello che ha fatto. Forse non quel giorno ma avrebbe trovato un modo. Non puoi incolparti di qualcosa che non potevi nemmeno sospettare.”

Il pugno si scontrò con il tavolo, facendo sobbalzare i cucchiaini e creando delle piccole onde a pelo del caffè. “Avrei, invece! Ero più preoccupato a trovare un ristorante romantico che scoprire che il mio migliore amico stava...” L'ultima frase si perse nel silenzio mentre Kevin volgeva lo sguardo lontano dall'amico, perdendosi su punti senza vero interesse. Ancora, nonostante gli anni, la rabbia saliva a temperature elevate, incendiando ogni nervo e ogni pensiero razionale.

“Non potevi davvero riuscire ad arrivare a qualcosa del genere. Era il tuo migliore amico. Ti fidavi di lui.”

Tradito. Era quello ciò che lo faceva sentire più ferito: si era fidato, aveva consegnato nelle mani di una persona suo cugino e lo aveva ritrovato ridotto ad un cumulo di cenere. Era un miracolo che Brian fosse riuscito a rialzarsi, era un miracolo che fosse riuscito a costruirsi tutto quello che ora lo stava aiutando a non crollare. Ma Kevin non poteva scacciare via quella mosca che continuava a sussurargli come sarebbe stata differente la loro vita se fosse stato in grado di fermare tutto quel giorno.

“Razionalmente, so che non è colpa mia. Tyler era...decisamente malato. E nessuno se ne sarebbe mai accorto, era il classico bravo ragazzo che voleva qualcosa di più dalla vita. Ed ero giovane, volevo anch'io qualcosa di diverso. Forse avevamo due differenti concezioni su quel punto.”

“Su questo non ci sono dubbi.”

“E non è nemmeno colpa di Brian. Si è sempre sentito in colpa, anche se tutti abbiamo sempre cercato di fargli capire che non era così.”

“Forse dovresti usare quelle frasi nei tuoi confronti.”

Sembrava strano ma fu proprio quella frase ad aprire un varco in quella rete di sensi di colpa e odio verso se stesso: sebbene per due motivi completamente differenti, lui e Brian si erano comportati allo stesso modo, incolpandosi per qualcosa che era sempre stato al di fuori delle loro mani. E, piano piano, un piccolo pezzo di anima incominciò a guarire, lasciando entrare quella voce di sollievo che Kevin aveva sempre tenuto in disparte. Piano piano, Kevin sapeva di aver appena mosso il primo passo verso una sorta di guarigione, un ritornare a prendere controllo della sua vita senza più essere avvelenato dal ricordo di ciò che era successo.

Se poteva farcela Brian, e su quello non c'erano dubbi, poteva farcela anche lui.

Ebbe solo il tempo, Kevin, di mormorare un “grazie” all'indirizzo di Howie quando la porta si aprì con un tonfo sordo, facendo entrare uno spiffero di aria fredda. In quel soffio c'era l'aroma di una giornata che cercava di risvegliarsi dopo la pioggia del giorno prima, ancora con il profumo di erba bagnata ma con il primo caldo di raggi di sole e di fiori.

“Questa storia deve finire.”

A quelle parole, sia Kevin sia Howie osservarono Aj con un'espressione confusa, le sopracciglia inarcate e le labbra serrate in una linea.

“Di che cosa stai parlando?”

Aj si avvicinò, appoggiando il giornale sul tavolo e poi i palmi delle mani. “Del fatto che, come al solito, sono stato lasciato al buio su quanto sta succedendo.”

“Non sta succedendo niente.”

“Certo. Come no. Posso comprendere che tu possa essere arrabbiato con Nick... anzi, in realtà no perché è comunque una decisione che spetta solo a Brian. Ma con Howie?”

“Non sono affari che ti riguardano.”

“Invece mi riguardano. Perché anch'io faccio parte del gruppo e se c'è una lotta intestina devo sapere da che parte stare.”

“Credimi, non c'è nessuna fazione da scegliere. - Intervenne Howie. - Si è trattato solo di un malinteso. Ci siamo chiariti.”

Aj osservò a lungo sia Kevin sia Howie, sicuro che ancora un'altra bugia fosse stata decorata di verità solamente per lasciarlo, ancora, da parte.

“So bene che non sono la persona più affidabile di questo mondo ma c'è qualcosa di molto più grande che un semplice fraintendimento fra amici.”

Kevin sospirò, rimbrottandosi per esser stato, almeno inizialmente, così duro con Aj. Non era giusto che rimanesse l'unico ancora al buio, specialmente se lui fosse riuscito a trovare una giustificazione abbastanza valida per cancellare almeno i prossimi due concerti.

“Scusa. Hai ragione. - Si affrettò quindi a dire. - Non sono stati giorni molto facili.”

“Giorni? Diciamo pure settimane. Da quando...” Aj non concluse la frase, sperando così di non ripescare immagini che avrebbe voluto dimenticare. Ma era inutile girarci in giro: quella notte aveva cambiato tutto, sembrava quasi avesse scatenato l'inizio di una tempesta che, però, se ne stava ancora lontano da loro. Seppur ne potevano sentire i rombi dei tuoni e potevano iniziare a veder avvicinarsi delle nubi nere.

“Già. - Rispose Kevin mentre Howie accennava solamente un cenno d'assenso con il capo. - E' compito di Brian dirti che cosa sta succedendo visto che riguarda principalmente lui. Ma... diciamo che quella notte ha risvegliato qualcosa che sia io sia lui pensavamo di esserci buttati alle spalle.”

Era un enigma, Aj sapeva che dentro le parole di Kevin c'era già la soluzione senza dover aspettare o dover interrogare l'amico. Ma non sembrava esserci senso in quella frase o, almeno, un significato di cui non avesse paura a comprendere.

“Tu lo sai, Howie?” Domandò quindi Aj, spostando lo sguardo su di lui.

“Sì. Ma non perché Brian me lo ha detto. L'ho scoperto da solo e, credimi, non ha di certo reso più facile gestirla o venirne a patti.”

“E Nick lo sa?”

“Non ancora. - Si intromise Kevin. - Ma credo che sia più una questione di tempo che altro. Jay, conosci Brian. Se si mette in testa qualcosa, lo porta a compimento. Te ne vuole parlare, dagli solamente un attimo di respiro, okay?” Non fu pronunciata in tono di minaccia, né con un rimprovero in tono duro e paternale. Era semplicemente un consiglio, di quelli che anche lui stesso avrebbe dato se i ruoli fossero stati capovolti.

Un attimo di silenzio seguì quello scambio di battute, un attimo che venne interrotto dal rumore di una tazza che cadeva e rotolava sul tavolo, fermandosi pericolosamente in bilico prima di cadere per terra. Sorte che era toccata, però, al caffè che ancora si lasciava cadere, goccia dopo goccia.

“Jay? Dove hai preso questo giornale?” Il tono di Howie era allarmante, urlava “attenzione” senza aver bisogno di gridare e spinse entrambi gli altri ragazzi a volgere lo sguardo verso quel giornale fino a quel momento dimenticato.

“L'ho preso alla stazione, perché?” Domandò Aj mentre si avvicinava per dare un'occhiata.

Howie non rispose ma mostrò solamente la prima pagina e l'articolo che aveva così tanto sconvolto e destato la sua attenzione. Non solamente per il titolo, anche se già quello da solo avrebbe fatto accorrere compratori e lettori, per non parlare di quanto se ne sarebbe discusso. Era la foto ad averlo scosso quasi come se avesse visto un fantasma, anche se sembrava apparentemente innocua. Perché l'occhio esterno l’avrebbe semplicemente osservata e dedotto che il titolo era più che perfetto, passando da insulti e commenti osceni a risatine e gridolini di chi aveva sempre saputo la verità. Il loro occhio, invece, sapeva riconoscere e distinguere i tratti di quel ragazzo che avrebbe dovuto essere il loro compagno e fratello e quella consapevolezza lasciava un amaro in bocca che, presto, si sarebbe trasformato in acida bile.

“Oh merda.”

 

 

 

 


*****

 

 

 

 

 

 

 

 

 

“Sono esausto.”

Il sussurro si levò da quel nascondiglio in cui Brian aveva cercato rifugio. Ancora non riusciva ad alzare il volto, imbarazzato per quel crollo e con la sottile paura, seppur senza ragione apparente, di osservare che luce ci fosse negli occhi di Nick.

Così rimase con il viso nascosto nella maglietta, mormorando quelle due semplici parole con una voce ormai priva di qualsiasi forza.

Nick appoggiò le labbra sui capelli di Brian, lasciando un bacio mentre stringeva le braccia attorno al suo corpo.

“Non ti sei mai fermato.” Commentò, omettendo molto di ciò che avrebbe voluto invece dire. Non si era mai fermato solo ora, solo in quella particolare circostanza, ma anche tutti gli anni precedenti, quando si era comportato come il più normale dei ragazzi mentre teneva nascosto quel terribile segreto. Da dove nasceva tutta quella forza?

“C'è ancora molto da fare prima di partire.”

“Sei convinto, quindi?”

“Sì. - Rispose Brian con un cenno del capo. - Per quanto mi costa ammetterlo, ho bisogno di crollare. Ma non qui. Qui sarei sopraffatto dal desiderio di non deludere nessuno, dal senso di colpa a mettere tutto in pausa...”

“Senso di colpa?” Lo interruppe Nick sorpreso e, in parte, confuso.

“Sì. Cancellare concerti, lasciare con l'amaro in bocca tante persone solamente perché non sono capace di gestire tutto quanto.”

“Ehi. Qui non si tratta di esser capaci o meno. Si tratta solo di recuperare le energie. Ti sei sempre preoccupato troppo di ciò che gli altri pensano. Sempre.”

Stancamente, Brian si rimise seduto, passando una mano sul volto e cercando di tenere aperti gli occhi. Avrebbe voluto solo addormentarsi e rimanere così per un giorno intero ma sapeva anche che i suoi incubi non sarebbero stati così gentili e disponibili.

“Devo chiamare la prigione. O il mio vecchio avvocato. Non che ci siano dubbi ormai ma voglio sapere con sicurezza che Tyler è davvero là fuori.”

“Potrai farlo una volta riposato.”

“Kevin. Devo avvisare anche Kevin e pensare a che cosa dire a Johnny per farci dare qualche giorno.” Brian continuò come se Nick neanche avesse parlato, sfruttando quelle ultime forze per affrontare temi e problemi più pratici e facilmente risolvibili. Più tardi, quando tutto quello sarebbe stato messo a posto, si sarebbe preoccupato di Nick e del suo stato d'animo. Sapeva, o almeno aveva intuito, che cosa stava facendo il compagno e gliene era eternamente grato: ma, per esperienza e perché conosceva Nick, sapeva che in quel momento ci doveva essere una tempesta di dimensioni apocalittiche che stava scuotendo la sua anima. Ma una cosa la doveva sapere subito, altrimenti l'ansia lo avrebbe divorato fino a far rimanere poche ossa.

“Sei arrabbiato?” Domandò, azzardando ad alzare il volto per osservare l'espressione di Nick. C'erano linee di preoccupazione che prima non c'erano mai state sulla fronte del ragazzo, un'espressione che ancora non riusciva a decifrare ma, notò con sollievo e quasi sorpresa, solamente amore e supporto negli occhi.

Nick aspettò qualche secondo prima di rispondere. Non sapeva quale era la risposta giusta, la risposta che non avrebbe dato dubbi o ansie a Brian. Ma non poteva mentirgli, soprattutto quando sarebbe bastato un minimo sbaglio nella scelta delle parole per smascherare la sua bugia.

“Non con te.”

“Perché no?”

Nick diresse a Brian un'espressione shockata. “Non me lo stai chiedendo veramente.”

“Sarebbe normale...” Rispose Brian, tralasciando il resto della frase quando notò l'espressione di Nick diventare più dura.

“Pensi davvero che potrei incazzarmi con te? Per quale assurdo motivo? Bri, non è colpa tua!”

“Ogni tanto credo ancora che lo sia... - Per un attimo, Brian si fermò, sorpreso da quelle parole che involontariamente erano sfuggite via. Non lo aveva mai confessato a nessuno, nemmeno alla sua terapista o a sua madre. O a Kevin. - Ci deve essere una ragione per cui ha scelto proprio me. Perché?” Quell'ultima parola, quel perché, uscì in un singhiozzo rotto, come se avesse dovuto farsi strada con le unghia per poter trovare quell'attimo di libertà.

“Oh Brian. - Si lasciò sfuggire Nick, agendo d'istinto e allungandosi in modo da poter abbracciare il ragazzo. Brian si irrigidì per un secondo, un brivido si perse fra i nervi prima di rilassarsi. - Non è colpa tua. Avevi solo quindici anni! L'unico colpevole è quel bastardo, stronzo... è con lui che ce l'ho a morte, è lui che vorrei prendere a pugni e... Dio! Non ho mai odiato nessuno così tanto! Vorrei fargli del male, vorrei fargli patire le peggiori sofferenze e non so nemmeno se sia sufficiente.”

Brian non seppe dire per quale motivo quelle parole riuscirono a farlo sentire meglio, facendo svanire parte di quella colpa che si era sempre tenuto dentro e che, forse, avrebbe comunque tenuto in minima parte. Non era quello un altro indizio di ciò che, invece, lui continuava a credere che non sarebbe mai potuto succedere? Non era quella un'altra prova sul fatto che Nick sarebbe rimasto al suo fianco, nonostante tutto?

“Nick...”

“Nick un bel corno! - Cercava di trattenere quella rabbia, cercava di riprenderla e di rimetterla sotto controllo ma era più forte e veloce. Sfuggiva via, facendolo tremare e facendogli uscire parole che sperava, almeno, che Brian capisse che non erano rivolte contro di lui. - E dire che ne ho avuto la possibilità! Se solo...” La voce si perse mentre la mano, racchiusa in uno stretto e serrato pugno, andava a sbattere volontariamente contro la parete, un rumore sordo che riecheggiò nella camera.

Brian si scostò quel tanto che bastava per poter osservare Nick faccia a faccia.

“Che significa che ne hai avuto la possibilità?” Nel suo tono di voce c'era una venatura di paura mentre la mente già creava scenari e immagini di incontri. E nessuno di quelli andava sempre a finire bene.

“All'inizio non sapevo che fosse lui. Ma ieri, quando hai chiesto a Seth se il suo capo avesse una cicatrice, ho collegato le due cose.”

“Quali?”

“Tyler. E il fattorino che l'altra sera ci ha portato la pizza. E i fiori. E non credo che questi fossero da parte di un gruppo di fan.”

Per un frangente, l'aria sembrò diventare incandescente, troppo calda per poter essere respirata e incamerata dai polmoni di Brian. Era troppo. Era fin troppo per quel giorno. Non ne aveva già avute abbastanza? Incontrare il suo aggressore, scoprire che c'era un piano malato contro di lui e tutto organizzato da Tyler. Dover raccontare a Nick ciò che gli era successo. E ora questo. E ora sapere che Tyler era già riuscito ad avvicinarsi a lui, era già riuscito a superare ogni sicurezza e...

“Ne sei sicuro?” Domandò Brian con un filo di voce.

“Cicatrice sul volto. Nell'esatta posizione in cui l'hai mostrata a Seth. E' una coincidenza troppo grande per non pensare che fosse lui.”

Lo sguardo di Brian cadde su quei fiori che, la sera precedente, aveva lasciato su un tavolino. Si alzò senza dire niente, passi tremanti e pesanti sotto il macigno di quella notte. Alcuni fiori erano già appassiti, il gambo mangiato via dall'acqua che non era stata asciugata prima di formare quell'amaro mazzo: Brian li buttò immediatamente via, il solo profumo capace di scombussolare il suo stomaco e far riemergere quel senso di nausea che nasceva ogni volta che pensava a Tyler. Fra le dita rimase solamente un biglietto, un semplice biglietto bianco inciso dalla punta di una penna, lettere nere che andavano a formare una frase così potente da riuscire a prendere Brian e rigettarlo in quel panico che lo aveva tenuto ostaggio tutta notte.

 

Ricordati. Sei mio.

Non lo scordare.

 

Come avrebbe potuto scordarlo? Ci aveva provato, aveva tentato di cancellare quelle parole ma, in qualche modo, la sua mente aveva deciso di tenerle e rinchiuderlo in un cassetto che ora si era definitivamente rotto, lasciando fuoriuscire tutti i suoi oscuri segreti.

E lì la rabbia tornò prepotentemente. Avrebbe voluto crollare ma, in realtà, tutto ciò che Brian fece fu lasciare aperto ogni atrio per far sfuggire via quella rabbia: era un fuoco da cui poteva prendere energie, erano fiamme che urlavano la sua voglia di combattere contro quelle ingiustizie.

“Bri?”

Con un cinismo freddo, una maschera sotto la quale vibrava quella rabbia, Brian si girò lentamente ma dalle sue labbra non uscì nessun suono. C'erano solo urla e non voleva sprecare quelle poche energie urlando inutilmente. Perchè urla e lacrime non avrebbero risolto nulla, non almeno nell'immediato.

“Bri? Te ne avrei parlato. Volevo solo risparmiarti qualche ora di ansia. Ma lo avrei fatto.”

Le parole di Nick arrivarono soffuse, quasi ovattate mentre il desiderio di riprendere nascondiglio nelle sue braccia incominciava a diventare come uno di quei pizzichi difficili da scacciare via. Senza rendersene conto, Brian si ritrovò ad avvicinarsi al letto, rimanendo però a distanza da Nick. Allungò semplicemente una mano e la strinse attorno al polso del ragazzo, osservando il pugno che teneva ancora ben stretto.

“Si sta gonfiando.”

“Non fa male.”

“Meglio metterci del ghiaccio.”

“Sono serio. Te ne avrei parlato.”

Brian non rispose. Si alzò e andò in bagno, aprendo l'acqua del rubinetto e inzuppando l'asciugamano una volta che essa si trasformò in un getto ghiacciato. Quando ritornò, lo sguardo di Nick continuò a seguirlo con una luce di preoccupazione. Era per quel motivo che Brian si ripromise di calmarsi. E ripetersi, come una mantra, che non c'era più bisogno di continuare a far finta che non stesse letteralmente distruggendosi dietro a quell'impassibile facciata.

“Lo so. - Rispose quindi mentre metteva l'asciugamano attorno alla mano di Nick. - Ma è colpa mia.”

“E come?”

“Sai perché non ne volevo parlare? Perché ho tenuto questo segreto per tutti questi anni?”

“Me lo hai spiegato. Per proteggere te stesso e noi.”

“Sì. Ma non solo. Ho sempre temuto che, un giorno, Tyler sarebbe tornato. Per la maggior parte del tempo, non ci facevo nemmeno caso a quel pensiero, non riuscivo a farlo diventare reale con tutto quello che avevo di reale nella mia vita. Ma c'erano giorni in cui era quasi impossibile non pensarci e avevo paura di quello che avrebbe potuto farvi. Così stavo in silenzio sperando che, ignorandolo, quel pensiero ritornasse a non esistere. - Brian alzò il viso, la stanchezza e il peso di tutti quei giorni ben visibili ma smorzati da quel sorriso che non accennava mai a spegnersi. - Se solo avessi detto qualcosa, se solo non fossi stato così testardo, forse tutto questo non sarebbe successo.”

Nick appoggiò la mano, quella non ferita, sopra il dorso di Brian. “Tyler non si sarebbe di certo fermato. Non puoi incolparti per qualcosa su cui non hai controllo.”

“Avremmo potuto intensificare la sicurezza. Se avessi detto qualcosa dell'aggressione, forse... odio pensare a che cosa Tyler avrebbe potuto farti quella sera.”

Era quello il centro delle sue preoccupazioni, ora. Non era più la sua sicurezza a essere in pericolo ma anche quella della persona che più contava nella sua vita. Se Tyler avesse pensato che Nick fosse un ostacolo, Brian era certo che non si sarebbe fatto scrupoli a metterlo fuori gara. Forse per sempre. Un brivido risalì lungo la schiena, un attimo in cui gli occhi si chiusero sperando di cancellare via quelle immagini e un respiro lasciato uscire così com'era, pieno di ansia e dubbi.

“Odio pensare a che cosa sarebbe successo se non avessi insistito ad andare al tuo posto.”

Anche Nick aveva paura. Per la sua incolumità, perché era fin troppo chiaro che quell'uomo non si sarebbe di certo fermato al primo ostacolo. Ma, più di tutto, la paura più grande era nei confronti di Brian: era già stato distrutto una volta da quel psicopatico, aveva già dovuto rinascere dalle sue ceneri come un fenice ma dubitava, Nick, che avesse ancora la forza di rifare tutto una seconda volta. E forse non ci sarebbe stata un'altra volta, forse quello era il duello finale in cui solamente uno dei due combattenti sarebbe uscito vivo da quella battaglia. E non voleva perdere Brian. Non ora, non ora che finalmente avevano messo da parte paure e codardia e volevano provare a costruire qualcosa. La sua unica possibilità per avere ciò che aveva sempre desiderato: una famiglia, una persona che sarebbe sempre stata al suo fianco anche quando la marea si faceva troppo alta e le energie erano troppo basse per continuare a nuotare verso riva.

“Non voglio pensarci nemmeno io.” Fu un'unica frase, buttata fuori il più velocemente possibile perché la nausea e la bile sembrano essere tornate più forti, più invincibili. Brian non voleva pensarci eppure la sua mente non riusciva a tenere lontane ricordi di mani e di dita, sguardi e labbra che si erano posate sulla sua pelle e quel ghigno, quel sorriso che ora progettava diaboliche sceneggiature contro Nick.

Fra quelle nebbie, Brian si ritrovò in bagno, la schiena curva e conati che non riuscivano a portare in superficie niente perché non c'era niente, se non disperazione e stanchezza, nel suo stomaco.

Quante volte era successo?

Quante volte si erano dovuto nascondere in bagno, prigioniero di quei ricordi e con solo quegli scheletri a fargli compagnia?

Una mano, la mano di Nick, si posò sulla sua fronte mentre l'altra accarezzava la schiena, confortanti tocchi che sottolineavano un messaggio che non aveva bisogno di voce o parole.

Sono qui. Mi prendo io cura di te.

“Andiamocene. Ti prego.” Rauca e ormai provata da quella giornata, la voce di Brian riecheggiò in quel piccolo spazio che a malapena riusciva a contenere entrambi. Ogni ultima obiezione, ogni ultima resistenza si era persa in quell'attacco, portandosi via l'ultimo sprazzo di energia. Anche volendo, anche avendo un'unghia di quella tempra che lo aveva sempre spinto a rialzarsi e continuare a lavorare come se niente fosse, Brian sapeva che quella volta non ce l'avrebbe fatta.

Un bacio si appoggiò sul collo, la pelle madida di sudore e brividi di freddo e fatica. “Ovunque vuoi.”

“Devo chiamare Kevin. E parlare con Aj.”

“Aj?” Domandò Nick in confusione.

“Howie già lo sa. Con una semplice ricerca su internet.”

“Dovrebbe pensare ad aprire un'agenzia investigativa come hobby.”

La battuta riuscì a far nascere un sorriso sul volto di Brian, riuscendo anche a lasciar sfuggire via parte di quella paura di non potercela fare. Sentiva ancora parte della sue pelle voler quasi strapparsi da sola, voleva ancora allontanarsi da Nick in modo che non fosse contaminato da quel segreto ma più di tutto, ora, prendeva sempre più forma la ferma convinzione che non era solo. Poteva farcela perchè c'erano altre due braccia che lo avrebbero sostenuto.

“Grazie.” Mormorò, girandosi in modo da poter lasciare un bacio sulla guancia di Nick.

Nick allungò semplicemente la mano, recuperando un ciuffo di capelli e facendolo scomparire dietro l'orecchio di Brian. “Vorrei far ben altro. Vorrei fare di più. - Ammise in quello che sembrava esser diventato il loro personale confessionale. Non c'erano preti o sacerdoti, c'erano solamente due anime che cercavano un punto di incontro, una congiunzione dove fermarsi e potersi aiutare a vicenda. - Non so come aiutarti.”

“Già che sei qui, già che non sei scappato a gambe levate, è il miglior aiuto che avessi mai potuto darmi.”

“Ti accontenti di poco.” Scherzò Nick, sorridendo.

Non ci fu tempo per altre parole, rassicurazioni o progetti per le prossime ore. La porta d'ingresso del bus si aprì e chiuse con un sordo rumore, la voce di Kevin che risuonava mentre si avvicinava alla camera.

Fu Nick il primo ad alzarsi e a raggiungere il maggiore, lasciando così a Brian qualche minuto per riprendersi. Kevin si sarebbe preoccupato nonostante tutto, bastava uno sguardo per non provare immediatamente l'istinto di prenderlo e portarlo al primo ospedale più vicino. Una volta lontani da quel casino, Nick si promise, si sarebbe assicurato che Brian non saltasse più nessun pranzo o cena e che, almeno, quelle occhiaie diventassero meno profonde.

Ed era quello un elemento che i due cugini condividevano perché nemmeno il viso di Kevin sembrava voler rappresentare l'essere, qualche modo, normale. Ma fu l'espressione, una tonalità di shock che poco si addiceva a quella calma e freddezza che Kevin aveva sempre portato con orgoglio e stoicismo.

Non era portatore di buone notizie e, per un attimo, Nick provò il desiderio di buttarlo fuori, lui e la sua brutta notizia, perché dubitava che sarebbero stati capaci di sopportare un ennesimo colpo. Il peso della rivelazione di Brian ancora si faceva sentire sulle sue spalle, un macigno che aumentava ad ogni secondo e un mostro che voleva uscire da quella ragnatela in cui stava cercando di tenerlo nascosto.

“Che succede?” Domandò, socchiudendo la porta del bagno.

“Brian?” Domandò Kevin, implicando un più complicato “come sta?”-

Nick si ritrovò a sospirare, passandosi una mano fra i capelli. Kevin ancora non sapeva nulla e ciò avrebbe reso quella mattina più dura di quanto fosse già in realtà.

“Arriva. E’ in bagno a rinfrescarsi. - Rispose, decidendo che sarebbe stato meglio lasciare parlare Brian su tutto quanto era successo. - E' stata una notte abbastanza lunga.”

Kevin sembrò quasi non ascoltarlo, gettando sul letto il giornale che teneva fra le mani. “Abbiamo un grosso problema.”

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 


 

 

 

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Come ho già detto, mi sono presa l'impegno di terminare le vecchie storie ancora incomplete. E la prima della lista è sicuramente "Forces". Siamo ormai a metà storia e va avanti da troppi anni e merita una degna conclusione. Il bello è che, nella mia testa (e nel mio quaderno fidato degli appunti) è già tutta decisa fino alla fine. Il brutto è che, per scrivere un capitolo, ci impiego un sacco di tempo perchè tratta argomenti molto delicati e, credo si sia capito, non sono il tipo che lascia le cose in sospeso.

Ho dibattuto a lungo se fosse giusto o meno far "confessare" Brian proprio ora. Spero che si sia compreso il motivo, soprattutto perchè questi Brian e Nick sanno che l'onestà e la fiducia sono alla base di ogni rapporto. E, d'altronde, il punto della storia sono loro due che affrontano "le forse della natura", ovvero ciò che faccio capitare loro, insieme. Credetemi, Nick ancora deve subire il contraccolpo di ciò che Brian gli ha detto e non sarà tutto rose e fiori.

Prossimo capitolo, più o meno fra due settimane.

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Capitolo 20
*** - Diciottesimo Capitolo - ***


 Diciottesimo Capitolo

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Lo spruzzo di acqua fredda sembrò riportare in vita qualche senso, nonostante quella sensazione durò poco meno di un secondo. L'acqua continuava a scendere, si scontrava con la parete di ceramica e, in un rivolo circolare, scendeva poi nello scarico. Brian si sentiva come se fosse stato preso prigioniero in quell'acqua cristallina, all'apparenza calma e limpida ma proprio per quel motivo ancor più infida nel bloccarlo nella sua corrente e in quel vortice che lo stava risucchiando via.
La parete che divideva il bagno dalla camera era così sottile che ogni suono passava con anche fin troppa facilità, consegnandogli la voce e il tono preoccupato di Kevin. Era successo qualcos'altro e, con una punta di codardia e vigliaccheria, Brian avrebbe preferito continuare a rimanere nascosto in quel loculo invece che uscire e affrontare quel nuovo ostacolo.
Non aveva diritto ad una pausa?
Ancora doveva assimilare ciò che era successo il giorno precedente, ancora doveva fare i conti con tutto ciò che era emerso in quelle brevi ore della notte. Non aveva energie per affrontare una nuova battaglia, voleva semplicemente appendere un biglietto alla porta e chiedere al mondo di lasciarlo in pace.
Da fredda, l'acqua si era trasformata in ghiaccio liquido ma nemmeno quella temperatura polare fu sufficiente a svegliare Brian e riportare lucentezza e lucidità alla sua mente. Solitamente, gli bastava formulare una lista di ciò che doveva fare, questioni e affari pratici, per poter mettere in pausa tutti i pensieri e lasciare quelle ansie e paranoie lontane almeno fino a quando la sera sarebbe scesa.
Kevin. L'avvocato. Aj. Tre questioni, tre problemi facilmente risolvibili, nonostante tutti e tre avrebbero messo altre sale sulle sue cicatrici. Solo quelle e poi avrebbe potuto andare ovunque Nick avesse deciso di portarlo. Era stato onesto con lui, gli aveva detto la verità quando lo aveva praticamente supplicato di nasconderlo dal mondo; eppure, una parte di lui continuava a cercare un ultimo strato di forza per continuare a stare in piedi e far finta che niente fosse cambiato.
La mano tremava ancora quando si avvolse attorno al rubinetto e lo ruotò completamente per spegnere l'acqua. I fremiti non erano solamente per la stanchezza ma anche per quella rabbia che non aveva ancora iniziato a scemare via: quel fuoco sussurrava ancora a bassa voce, era l'istinto di prendere il bicchiere che usavano per lavarsi i denti e lanciarlo contro la parete, osservandolo poi frantumarsi in mille e più infiniti pezzettini. Sì, distruggere sembrava essere così allettante, specialmente se immaginava il viso di Tyler al posto di quel vetro. La soddisfazione, anche se solo illusoria e immaginaria, fluì all'interno delle sue vene, riportando a nuova linfa energie che sembravano essersi disperse. La rabbia era tutto ciò che aveva, Brian, in quel momento. Era l'unico modo per riuscire a stare ancora in piede, era l'unica soluzione per non dare di matto e spaventare ancora di più Nick.
Nonostante la stanchezza, nonostante i pensieri non di certo leggeri e solari, un mezzo sorriso incominciò a farsi strada fra linee di preoccupazione e paura. Dire a Nick ciò che gli era successo era stato come liberarsi, finalmente, di pesanti catene che lo avevano sempre tenuto incatenato al suo passato. Una volta che tutto quel casino e manicomio sarebbe finito, Brian avrebbe finalmente avuto la possibilità di chiudere per sempre quel capitolo e incominciare a vivere la sua vita, lasciando a Nick il compito di curare le sue ferite. Sembrava anche fin troppo bello per essere reale, sembrava davvero un sogno che aveva lasciato da parte la connotazione immaginaria e si era dipinta di verità, una speranza che ora lui poteva toccare e stringere fra le mani. Non poteva non ammettere che la reazione di Nick aveva superato ogni sua aspettativa: esse erano sempre state basse, non si era mai lasciato accarezzare dalla possibilità, concreta, che Nick potesse guardare oltre quell'orribile verità e continuare a trattarlo come il Brian di sempre. Non c'era stata vergogna nei suoi occhi, non c'era stato disgusto né voglia di allontanarsi da lui e da ciò che lo aveva segnato così pesantemente. C'era stato solo amore, puro e così inebriante che, per un secondo, Brian si era lasciato avvolgere da esso e gli aveva lasciato cancellare ogni paura e paranoia, ogni dubbio e timore. Soprattutto, quella reazione aveva messo in luce quanto Nick fosse cambiato in quel breve lasso di tempo: solamente due settimane prima, il solo sapere dei suoi sentimenti verso di lui lo avevano portato a comportarsi come uno stronzo, concentrato solamente sulla sua reazione senza riuscire a guardare oltre e preoccuparsi delle conseguenze delle sue parole e azioni. Ora, invece, era successo tutto l'esatto opposto e, a esser onesto, Brian ne era spaventato. Nick aveva messo da parte i suoi sentimenti, aveva messo da parte la sua rabbia e qualsiasi altro pensiero solamente per potersi focalizzare su di lui e su come meglio rassicurarlo che niente, nemmeno quella passata violenza, sarebbe stato in grado di separarli.
Ma non sarebbe durato a molto. Una confessione di quel genere non poteva essere messa da parte così facilmente, non poteva andarsene via senza lasciare strascichi e echi dietro le sue spalle. E Brian aveva paura di quando quel momento sarebbe arrivato: temeva la reazione di Nick, tenuta segregata fino a quel futuro momento; temeva di non essere in grado di sopportarlo e confortarlo, come poteva d'altronde quando era lui stesso il centro di quel problema?
Un passo alla volta.
Ma quali erano quei passi? Non c'erano dubbi che quello, quella relazione, era tutto ciò che stava tenendo Brian in piedi in quel vortice e tempesta. Ma era ciò che Nick voleva veramente? Il dubbio era nato all'improvviso, facendosi strada fra meandri di riconoscenza e corridoi di desiderio: avevano discusso, certo. Quella notte al bar, ormai lontana anni luce, Brian aveva chiesto con precisione a Nick se era quello che voleva: non avrebbe accettato un forse, non avrebbe accettato un “vediamo come va”. Ma era stato lui ad omettere un fattore importante, era stato lui a credere che potesse continuare a illudere tutti e se stesso facendo finta di essere un ragazzo normale. Ecco dove, quindi, nasceva il dubbio: ora che sapeva, ora che aveva chiara la situazione e consapevole che le cose non sarebbero mai state come in un'altra e più normale relazione, Nick avrebbe comunque continuato a voler star con lui? Lo avrebbe compreso se avesse deciso di andarsene, avrebbe capito se avesse deciso di trovare qualcun altro, qualcuno meno complicato e senza un pesante fardello sulle spalle. Avrebbe capito, sì, ma si sarebbe anche ritrovato completamente distrutto, svuotato dell'unico sentimento che riusciva a farlo sentire vivo e quasi normale.
Non dire sciocchezze, sussurrò la sua coscienza, Nick ha detto che ti ama e che non ti lascerà. Non farti prendere ostaggio dai dubbi.
Era quella la più credule delle ferite che Tyler gli aveva inflitto: con un solo colpo, con un lento e agonizzante colpo, gli aveva portato via la sicurezza di poter esser abbastanza e speciale per qualcun altro. Quell'insicurezza, quella sua fragilità, non sarebbe mai scomparsa ma sarebbe stata un'ombra in qualsiasi rapporto. E, proprio per questo, Brian si ritrovò con la consapevolezza di non voler lasciarsi prendere ostaggio dai dubbi. Tyler aveva già vinto su ben troppe cose nella sua vita, l'aveva manipolata e controllata anche quando non era stato fisicamente presente. No, non gli avrebbe lasciato anche quell'ultimo tassello perché, per quello, Brian era disposto a lottare fino all'ultima unghia.
Risolvere quel nuovo problema.
Parlare con Kevin.
Parlare con Aj.
Poteva farcela. Doveva solamente focalizzarsi su quello che doveva fare, trattenere ancora per poco il respiro e le lacrime e aspettare di essere solo.
No.
Di essere soli.
Gli era ancora difficile quel passaggio, così abituato a dover contare solamente sulle sue forze e cercare di rimettersi in piedi senza che nessuno si accorgesse che qualcosa non andava.
Con gesti quanto mai automatici, Brian si sciacquò per una seconda e terza volta, lasciando che l'acqua fresca gli portasse un minimo di sollievo. Una volta asciugato il viso, fu quasi inevitabile osservarsi allo specchio e Brian non riuscì a contenere una smorfia nell'osservare il suo riflesso. Non sembrava nemmeno lui, così pallido e quasi cadaverico e con quegli occhi gonfi e arrossati. Sarebbe stato impossibile andare in scena quella sera, nemmeno il più pesante dei trucchi avrebbe potuto compiere un miracolo e farlo sembrare vagamente normale. I capelli sparavano da ogni lato, alcune ciocche si erano trasformate in riccioli impazziti così Brian recuperò il pettine e incominciò a dar loro, almeno, un aspetto vagamente simile all'ordine. Una doccia sarebbe stato l'ideale, non solamente per scacciare via i residui fisici di quella nottata, ma non voleva rimandare ancora ciò che lo aspettava nell'altra camera. Brian aveva imparato sulla sua pelle che nascondersi o sperare non serviva a far scomparire le brutte sorprese: meglio togliersele via il più in fretta possibile, esattamente come un cerotto, e poi pensare a rimettere insieme qualsiasi caos e disordine avrebbero causato.
Un ultimo respiro, un'ultima rassicurazione su come avrebbe potuto farcela e su come quella fosse solamente l'ultimo di un infinito numero di tasselli.
Poteva farcela.  

 

 

 

 

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Nick non sapeva spiegarsi da dove quella sensazione fosse nata. Non aveva senso, non aveva nessun appiglio a qualche verità o realtà e Nick sapeva che era solamente frutto di una reazione emotiva alle confessioni di quella notte. Eppure, non riusciva a buttare via quei pensieri, a scacciarli via come se fossero delle silenziose ma rumorose mosche.
In fin dei conti, con qualcuno doveva pur sfogare la sua rabbia. E non poteva, non avrebbe mai potuto farlo con Brian: era ancora convinto, lo sarebbe stato fino al suo ultimo respiro, che non poteva essere responsabile di ciò che gli era successo. Era Tyler l’unico colpevole ma, anche lì, Nick ancora non poteva riversare la sua rabbia su quel bastardo, nonostante la voglia di uscire da quel bus e dargli la caccia faceva alzare e gonfiare il petto con strepiti e artigli ben affilati. E quella rabbia aveva bisogno di uscire, quella rabbia stava lentamente assaporando ogni piccolo tessuto all'interno di Nick e sarebbe stato impossibile, fra poco tempo, riuscire a concentrarsi su Brian e su come prendersi cura di lui.
Era ingiusto, lo sapeva. Era ingiusta quella rabbia che ora trovava il suo bersaglio in Kevin, perché Nick poteva solamente immaginare quanto già in colpa il maggiore si fosse sentito in tutti quegli anni. Era ingiusta, sì, ma Nick non riusciva a far tacere quella vocina che continuava a domandare dove fosse stato Kevin quel giorno o per quale motivo non si fosse mai accorto di quanto malato fosse il suo migliore amico.
Perché non aveva protetto Brian?
Perché aveva permesso che gli accadesse qualcosa del genere?
E, in quel circolo vizioso di sensi di colpa e responsabilità, Nick non poteva non includere se stesso. Non aveva protetto Brian, l'unica volta che avrebbe potuto dimostrargli quanto valesse quella dichiarazione tardiva di protezione, lo aveva lasciato da solo perché incapace di prendere coscienza dei suoi sentimenti. Non lo aveva protetto e, nonostante tutto il male che gli aveva fatto, Brian era ancor più convinto a continuare quella storia.
Non solo con lui.
Santo cielo, si ritrovò Nick a sospirare mentalmente, se una cosa del genere fosse successa lui, difficilmente sarebbe stato ancora lucido dopo tutti quegli anni. Anzi, forse non sarebbe nemmeno arrivato lì dove invece Brian era riuscito a giungere. E si odiava, oh sì, Nick si odiava per tutte quelle volte che aveva urlato contro Brian, tutte quelle volte in cui gli aveva rinfacciato una vita normale che solo ora comprendeva era stata una mera chimera. 

E' passato. Non lasciare che quelle parole intacchino questo presente. Lascia il passato dove dovrebbe stare. Dietro di te. 

Quelle parole, quelle frase che Brian gli aveva detto in un tentativo di conforto qualche mese o anno prima, ora assumevano contorni e punti differenti. Non era stato un consiglio solo verso di lui, non erano state frasi adite solo per aiutarlo in un momento di crisi e di debolezza; Brian le aveva rivolte anche a se stesso, come a volersi ricordare che non doveva e non poteva lasciare che Tyler avvelenasse quella vita costruita a fatica.
Da quelle parole, in quel momento, Nick trasse una linfa nuova, rigettando all'indietro tutti quei pensieri che stavano alimentando la sua rabbia. Ingiustificata, almeno nei confronti di Kevin: non aveva potuto fare niente quel giorno, per quanto sarebbe stato così facile trovare elementi di mancanza e di carenza, ma negli anni avvenire e in quel momento aveva e stava facendo ancora tutto il possibile per proteggere Brian e mettere una pezza a quella sua passata mancanza.
Non era colpa sua se si ritrovavano a dover combattere contro un pazzo, sì, ma con a disposizione mezzi abbastanza per creare quel malato piano.
Gli occhi di Nick si posarono, così, su quel giornale che Kevin aveva gettato sul letto. Che cosa avrebbe potuto ottenere, Tyler, facendo pubblicare quelle foto? Distruggere la reputazione di Brian? Scatenare un caos fra le fans? Sembrava tutto senza senso, almeno per lui che non andava in giro a tormentare una persona solo per passati rancori.
La rabbia tornò, potente come non mai, quando la sua mente registrò l'espressione dipinta sul volto di Brian in quella foto. Paura. Terrore. Era impercettibile per chi non conosceva bene Brian, era imperscrutabile per chi non aveva mai dato importanza a che cosa si nascondeva dietro il suo sorriso. Il mondo, le fans, la gente comune, avrebbe semplicemente visto ciò che quel giornale e Tyler volevano mostrare loro: sesso, estasi. Scandalo. Avevano abboccato quell'amo lanciato loro e avrebbero continuato a cercare per un nuovo pezzo di informazione, senza mai dubitare che le immagini di fronte ai loro occhi fossero falsate, lontane dalla verità.
Ma la realtà era dolorosa. Lo era per lui, per Nick, che non poteva fare a meno di ricreare quelle espressioni su un viso più giovane, dieci anni più giovane, e tutto ciò non faceva altro che aumentare la sua rabbia e quel desiderio, insano e completamente normale, di rompere qualcosa in mille pezzi. Solo per non sentire più quella stretta attorno al suo stomaco e cuore ogni volta che ripensava a quanto, troppo, era stato vicino a non aver mai la possibilità di conoscere Brian.
Brian.
Come un mantra, Nick si ripetè che doveva essere lui l'unico suo pensiero. Perché già il maggiore si sarebbe preoccupato per lui, di come lui aveva preso quelle foto e, sì, si sarebbe sentito terribilmente in colpa che la sua reputazione fosse messa così in pericolo da quelle foto. Un pensiero così lontano dalla realtà perché a Nick, in tutta onestà e così naturale come respirare, non importava che cosa il mondo pensasse. Non gli importava che milioni di fans smettessero di pensare a lui come futuro marito, non gli importava se avrebbero accettato o meno quel rapporto: con il cuore gonfio d'amore, Nick voleva far sapere a tutti quanto essere amato da Brian, anche se solo per pochi giorni, lo avessero già trasformato in un uomo migliore. Ma, allo stesso tempo, sapeva che le peggiori conseguenze sarebbero ricadute su Brian e su quella fede che sarebbe risultata essere una lama a doppio taglio.
Stava correndo con i pensieri. Per prima cosa dovevano affrontare quelle foto e Nick era sicuro che Brian non le avrebbe prese bene. Chiunque, nei suoi panni, si sarebbe ritrovato catapultato in quei ricordi che aveva tanto cercato di cancellare.
“So che non posso proteggerlo da tutto... - La voce di Kevin recuperò Nick dai suoi pensieri, lo sguardo che andò a spostarsi dalle foto al maggiore. - So che è abbastanza forte da sopportare qualsiasi cosa ma ho come l'impressione che questa sia l'ultima goccia.”
“Non hai tutti i torti. - Nick si ritrovò a dar ragione a Kevin, memore di quella notte appena trascorsa. - Ma ci ucciderebbe se sapesse che gli abbiamo tenuto nascosto qualcosa.”
Kevin non ebbe tempo di rispondere perché Brian scelse quel preciso momento per uscire dal bagno, richiudendosi la porta dietro alle spalle con un sordo colpo.
“Che cosa volevate tenermi nascosto?”
La voce era stanca, in perfetta linea con l'espressione esausta del volto; eppure, l'atteggiamento era quello che aveva sempre contraddistinto il cugino, quella determinazione a non crollare nemmeno sotto il più pesante dei colpi.
“Niente. - Si affrettò a rispondere Nick. - Non vogliamo nasconderti niente.”
“Non sono un fragile vaso.”
“Lo sappiamo. - Intervenne Kevin. - Ma non puoi farci una colpa se ci preoccupiamo.”
L'espressione dura della mascella si rilassò,lasciando apparire un altrettanto stanco sorriso. “Lo so. Ma non posso combattere se non so che cosa sta succedendo.”
Nick recuperò il giornale con le foto, un misto di apprensione e ansia nel non sapere come Brian avrebbe reagito di fronte a quelle immagini.
“Ecco il perché delle foto dell'aggressione.”
Per un momento, Brian pensò che fosse ancora un incubo. Con ogni fibra del suo essere, Brian pensò che doveva essere crollato, troppo esausto e provato da quella notte e incapace di potersi svegliare da quelle immagini. Invece non lo era. Un incubo. Perché l'incubo non poteva, non era in grado di riportare su per la gola la bile mentre risentiva quelle labbra sulla sua mascella, sul suo collo, sulle sue labbra. Non doveva e non poteva fargli ancora sentire l'odore di alcohol e di fumo, l'umidità di una serata in cui la pioggia aveva cessato di scendere. Non poteva riportare a galla quella paura che lo aveva reso ancora una volta una vittima, incapace di controbattere e agire e salvarsi, almeno per una volta.
Poteva scappare. Poteva raccontarsi belle parole su come quella volta fosse tutto differente quando, invece, il suo fallimento era ora stato stampato per tutto il mondo.
“Bri?”
La voce di Nick arrivò soffusa, offuscata dai suoi stessi flebili e patetici gemiti di protesta. Si scostò da quelle mani che volevano toccarlo, stringerlo e, ancora una volta, renderlo prigioniero di un incubo senza fine. Ma quel no, quel rifiuto pronunciato con un fiato e un respiro veloce e pesante, non si riferiva solo agli echi del passato: era la voce della rabbia, era la voce dell'unica energia e arma che gli era rimasta per evitare di crollare.
Poteva subire qualsiasi attacco. Poteva affrontare e scrollarsi qualsiasi cosa Tyler avrebbe tirato contro di lui ma non avrebbe mai potuto perdonarsi se, per colpa sua, Nick ne avrebbe subito anche un bricciolo di conseguenze. Non era giusto, non era maledettamente giusto che, per qualcosa che c'entrava solo ed esclusivamente lui, Nick si ritrovava al centro di uno scandalo.
“No.”
Non sapeva nemmeno che altro pensare, Brian, se non che Tyler aveva superato ogni limite. Sapeva solo, Brian, che la rabbia dentro di lui continuava a sgorgare come se essa fosse un fiume troppo agitato per poter rimanere tranquillo all'interno delle rive.
Lasciò cadere il giornale, lasciando morire per un attimo la voglia di prendere quei fogli e strapparli fino a ridurli a microscopici punti di colore e di bianco e nero. Lasciò cadere quelle parole e quell'infamia e, prima ancora che qualcuno potesse dire o cercare di fare qualcosa, i suoi piedi incominciarono a muoverlo verso l'uscita dal tourbus. Era una cieca furia ciò che lo avvolgeva, come una nube rossa i cui fumi erano così troppo densi per poter vedere oltre a quei pensieri.
Era ora di finirla.
Era ora di smetterla con quella pantomina, con quella guerra che tutto faceva se non far del male alle persone che gli stavano accanto. E Tyler aveva oltrepassato una linea sacra per Brian, aveva preso e messo in mezzo Nick.
Mancavano pochi centimetri, già la mano di Brian si stava posando attorno alla maniglia della porta quando un'altra mano si circondò attorno al suo polso, bloccando letteralmente i suoi movimenti.
“Dove stai andando? Brian!”
“Lasciami!” Si ritrovò Brian ad urlare, strattonando con quel poco di forza rimasta chiunque lo stesse trattenendo.
“No!”
Brian si voltò di scatto, ritrovandosi di fronte ad un Nick con un'espressione quasi più determinata della sua.
“Lasciami andare.” Sibilò a denti stretti. Per un secondo, un veloce e frangente attimo, Nick e Seth si erano confusi in un'unica persona e il suo cuore aveva fatto quasi un salto all'indietro, impaurito che tutto stesse per riaccadere ancora una volta. C'era voluto un respiro, un piccolo mantra che la persona davanti a lui era Nick e che non gli avrebbe fatto del male, prima che Brian potesse ritrovare una parvenza di calma.
“Lo faccio se ti calmi. Che cosa credi di fare?”
“Secondo te? E' là fuori, lo sai. Non so bene dove ma è qui, attorno, a ridere di quello che ha appena fatto succedere.”
“E quindi? Che cosa credi di risolvere uscendo come un pazzo?”
“Non sono pazzo! - Esclamò Brian esasperato. - Vuole me, okay? Non posso permettergli che faccia altri casini mettendo in mezzo persone che non c'entrano nulla! Vuole me e solo me.”
“Bel piano. Consegnarti come un martire.”
“Hai un'altra idea? Hai un piano contro una persona che nemmeno conosci e che non sai nemmeno di che cosa sia capace?”
“Posso anche non conoscerla ma credo di aver compreso che cosa possa o non possa fare. E stai sicuro che non ti permetterò di andare da lui come una pecora da macello.”
Brian aprì le labbra per rispondere ma non uscì nessun suono, solamente un gemito che si trasformò quasi subito in un singhiozzo; esausto e sconfitto, si lasciò cadere sul pavimento, la schiena e la nuca appoggiata contro la porta.
“Dimmi che cosa devo fare. Dimmi come dovrei reagire perché non... - Gli occhi di Brian si riaprirono, lasciando apparire quelle lacrime che stavano diventando sempre più difficili da tenere a bada. - ... voglio solo che tutto ciò finisca.”
Quasi come se entrambi si fossero dimenticati della presenza di Kevin, Nick si inginocchiò di fronte a Brian, provando ancora quel senso di inutilità e di totale fallimento.
“Se vai fuori, se vai e ti fai prendere da lui, tutto questo non finirà. E lo sai.”
“Lo so. Ma mi fa rabbia. Mi fa rabbia che ti abbia messo in mezzo.”
“Siamo in due, allora.”
“In realtà, tre.- Si intromise Kevin, facendo apparire un timido sorriso sui volti dei due ragazzi. - Anche se vorrei sapere contro chi me la devo prendere.”
“Tyler. Chi altri?”
La rivelazione lasciò Kevin completamente sconvolto, niente parole o frasi da usare come risposte. Non voleva e non poteva crederci perché avrebbe significato un suo nuovo fallimento, l'ennesima promessa che non era riuscito a mantenere perché aveva lasciato che quell'uomo si rintrufolasse nelle loro vite. Nella vita di Brian.
“Non... non è possibile...” Mormorò Kevin, facendo un passo indietro come se metaforicamente volesse allontanarsi da quell'alternativa. Ma lo sguardo di Brian, quegli occhi che raccontavano di quell'incubo diventato reale, non mentivano. Non avrebbe mai potuto mentire su qualcosa di così difficile per entrambi.
“Doveva essere in prigione.” La frase uscì in un sussurro, esattamente come era uscita qualche ora prima, quando quella verità era riuscita a creare una sorta di cava dolorosa dentro l'anima di Brian.
Kevin strinse la mano in un pugno, le unghia quasi conficcate nella pelle per usare quella dolorosa sensazione come segno che non stava sognando qualcosa di orribile. E ancora non sapeva come doveva comportarsi, perché sembrava così inutile nascondere il cugino in un abbraccio e dirgli che sarebbe andato tutto bene.
C'era una sorta di strano e teso silenzio, tre figure bloccate in quell'impasse in cui non sapevano come fare per uscire. E Kevin sapeva che toccava a lui risolverlo, sapeva che era suo il compito riprendere in mano il controllo della situazione. Anche se ancora non sapeva esattamente quale fosse quella circostanza.
Con una freddezza e un controllo che, anche ammettendo a se stesso, Kevin non sapeva da dove nascessero, si avvicinò alla coppia inginocchiata per terra.
“Sei sicuro che sia lui?”
“Sì. Ieri non ho avuto nessuna allucinazione. Era lì. E ha organizzato tutto questo.”
L'ansia incominciò a riprendere vigore dentro Kevin ma, in qualche modo, riuscì a rimetterla sotto pesanti restrizioni. Mille e più ipotesi incominciarono a formarsi dentro la sua mente, immagini che lo avevano tormentato per settimane e che lo avevano costretto a chiedere asilo ai genitori di Brian in modo da poter esser sicuro che no, Tyler non era riapparso all'improvviso e lo avesse preso ancora prigioniero.
“Come lo sai?”
Brian e Nick si scambiarono uno sguardo, un breve cenno del capo da parte del cugino prima che Nick si voltasse verso Kevin.
“Quando siamo usciti ieri sera, fra la folla di fans c'era anche Seth. Il ragazzo che ha aggredito Brian. Lo abbiamo seguito e lo abbiamo costretto a darci delle spiegazioni. E' saltato fuori che qualcuno lo ha pagato per aggredire Brian e ieri per farsi trovare al concerto di ieri.”
“Come sapete che si tratta di Tyler?”
“Non sapeva il nome. Gli ho chiesto se aveva una cicatrice in viso e lui ha detto di sì.”
“Molte persone possono averla.” Obiettò Kevin, cercando di trovare un senso logico per poter spiegare come non poteva e non doveva trattarsi di Tyler.
“Oh andiamo! - Esclamò Nick. - Quante probabilità ci possono essere? Due bastardi con la stessa cicatrice che ce l'hanno contro Brian?”
“Aspetta un attimo. - Disse Kevin, alzando una mano. - Tu sai di Tyler?” Domandò all'indirizzo di Nick.
Ma fu Brian a rispondergli, lo sguardo colorato di un'espressione decisa e determinata.
“Dovevo. E volevo farlo.”
La risposta lasciò interdetto Kevin, memore di tutte quelle battaglie per lasciare al sole quel segreto. In poco tempo, in meno di due giorni, Brian era totalmente cambiato davanti ai suoi occhi, quasi come se finalmente avesse compreso che mostrarsi le proprie debolezze non significava, necessariamente, dichiararsi deboli e senza forze. Era quasi impossibile collegare quei termini e quelle caratterizzazioni a Brian, anche se era sempre questi il primo a dubitarne e a non crederci mai. Ma con Nick, con Nick Kevin non poteva non ammettere che qualcosa era cambiato e in meglio. Quella situazione avrebbe potuto condannare quella storia ad un inferno e un inevitabile tonfo nel nulla, lasciandoli dividere quando avrebbero dovuto essere forti e compatti per affrontare quell'incubo. Molte coppie, con ben più anni di legame alle spalle, si sarebbero ritrovati sconfitti di fronte a quell'ostacolo ma non loro. Forse perché erano entrambi più testardi di qualsiasi altra persona che avesse mai conosciuto, forse perché essere all'inizio li rendeva più coraggiosi e incoscienti, ma Kevin si sentiva più rassicurato e quasi tranquillizzato nel sapere che suo cugino aveva trovato qualcuno a cui affidarsi, senza remore e senza paura.
O, almeno, apparente.
“Sono contento che tu l'abbia fatto.” Disse Kevin con una punta di onestà nella voce.
Brian annuì con un cenno del capo. “Avevi sempre avuto ragione. Ho sprecato fin troppe energie ad odiarmi per qualcosa di cui non avevo nessuna colpa. E non avrei mai dovuto aver paura della loro reazione. Ma non riuscivo a concepire come qualcuno potesse vedermi diversamente da come facevo.”
“Ti vogliamo bene nonostante tutto, Brian. - Mormorò Nick, riuscendo ad allungare un braccio e circondare così il ragazzo, il suo ragazzo, in un abbraccio. - Anzi, é un motivo in più per amarti.”
“Ne avrei fatto a meno.” Si ritrovò a Brian a commentare mentre appoggiava la testa sulla spalla di Nick. In quel momento, Brian si rese conto di non aver più niente a cui aggrapparsi per poter andare avanti: la rabbia era scemata via nel momento in cui si era reso conto che non c'era via d'uscita, che anche andare a cercare Tyler personalmente non avrebbe risolto i problemi che dovevano affrontare. Scappare non era più la risposta. E nemmeno far finta di avere una roccia di granito a cui poter attingere infinitamente.
“Tutti vorremmo farne a meno.” Rispose Nick in un sussurro, appoggiando le labbra sulla tempia di Brian. A quel scocco, gli occhi si chiusero, lasciandosi sfuggire un sospiro di stanchezza.
Era palese, agli occhi di chiunque, che Brian era alla fine della corda che lo aveva tenuto in piedi fino a quel momento. Kevin incominciava a vedere i segni dei primi cedimenti ed era arrivato il momento di farsi avanti e prendere, almeno per qualche ora, controllo su quella barca quasi alla deriva.
Si avvicinò fino a giungere di fronte alla coppia, inginocchiandosi e appoggiando la mano sopra il ginocchio di Brian.
“Andate a dormire. Quale ora, non chiedo molto. Possiamo sistemare questa situazione quando non sarai completamente esaurito ed esausto.” Kevin parlò con tono sincero, senza lasciar sfuggire nessuna nota di predica o di accondiscendenza. Sapeva che poche ore era il massimo che poteva chiedere a Brian in quel momento e, forse, solamente una settimana prima gli avrebbe impedito di continuare ad occuparsi di quella faccenda. Sì, solamente qualche giorno prima Kevin avrebbe continuato a tirar fuori dall'armadio la veste di supereroe e cercato di rimettere tutto a posto senza che Brian ne prendesse parte, spinto dal senso di protezione e di colpa. Quei giorni, quelle poche ore trascorse, gli avevano insegnato che poteva continuare a prendersi cura di suo cugino senza dover per forza escluderlo e proteggerlo come un bambino senza forze e inutile.
Per un attimo, Brian si ritrovò quasi sul punto di protestare. E l'avrebbe fatto, in una situazione temporale differente da quella. Non sarebbe riuscito a focalizzarsi su tutto ciò che bisognava fare quando tutto ciò che la sua mente richiedeva era un momento di buio e di riposo.
Fu solo un attimo prima di accennare una risposta positiva con il capo. “Non credo di riuscire a mettere insieme molto ma qualche ora sarebbe l'ideale.”
“Io intanto m'informo per sapere se davvero quel bastardo è fuori di prigione. Nel frattempo, spegnete qualsiasi cellulare e dirò a Q e Drew di non lasciare entrare nessuno nel bus, a parte noi.”
“Nemmeno Johnny?”
“Soprattutto lui. Qualsiasi decisione dovrà venire da te, okay?”
“Grazie. - Mormorò Brian, gli occhi ormai lucidi e non solo per la stanchezza. - So che vorresti rimettere a posto tutto senza che io me ne accorga ma...”
“Lo so. - Rispose Kevin. - In questi anni abbiamo sbagliato entrambi.”
“L'importante è rendersene conto e andare avanti. - Dopo quelle parole, Brian si staccò dall'abbraccio di Nick e circondò le braccia attorno al corpo del cugino. - Grazie di esserti preso cura di me.”
Kevin si ritrovò a dover cacciare indietro un groppo di emozioni e commozione. “Grazie a te per non avermi mai odiato.”
“Non potrei mai. - Lo rassicurò Brian. - Non è mai stata colpa tua.”
Quel poco di rabbia che era rimasto in Nick scivolò via a quelle parole. Brian aveva ragione, per quanto quella parte irrazionale di sé voleva e continuava a desiderare di avere qualcuno con cui prendersela nell'immediato. Ma prendersela con Kevin avrebbe solamente utilizzato energie che sarebbero state più utili per dare la caccia a chi davvero meritava tutta la sua rabbia e tutto il suo odio. Prendersela con Kevin significava mettere Brian in mezzo ad una battaglia di cui avrebbe dovuto farne a meno e avrebbe tolto l'attenzione su ciò che era nettamente più importante, ovvero rimettersi in piedi. E Brian, ora, era la sua unica priorità.
“Andiamo. - Disse Nick, interrompendo quel breve ma importante attimo fra i due cugini. - Deduco che non sarà semplice farti addormentare.”
“Non sono mica un neonato! - Ribattè Brian con tono ironico e una punta di sorriso. - E il problema non è addormentarmi ma riuscire a mettere insieme più di qualche minuto senza incubi.”
“Troveremo un modo.” Lo rassicurò Nick.
Ancora Brian non si capacitava del cambiamento in Nick. O in lui, se proprio doveva essere onesto. O di quel rapporto che era nato sotto mille stelle sbagliate e, nonostante tutto, stava combattendo per uscirne sempre più splendente. E sapeva che, più presto che poi, sarebbe arrivato il contraccolpo di tutta quella situazione. Sperava, Brian, e si fidava che entrambi sarebbero stati forti abbastanza per evitarlo o affrontarlo ma c'era una piccola punta di paura dentro di lui, il terrore che quel castello in cui si stava nascondendo sarebbe crollato e lo avrebbe lasciato senza difese e senza nessuna torre a cui appoggiarsi.
“Non incominciare a pensare al peggio. - Tentò di rassicurarlo la sua coscienza. - Non sarà sempre facile ma Nick lo ha promesso e lui mantiene la parola data.”
Giorno per giorno. Così ora doveva Brian affrontare quella situazione. Così si ritrovò semplicemente ad annuire e accettare quella mano che Nick gli stava offrendo, ennesimo simbolo di quel desiderio e di quella volontà di aiutarlo anche per quel minimo gesto si rimettersi fisicamente in piedi e trasferirsi nella camera accanto.
La finestra era stata lasciata aperta, un filo di aria che aveva quasi portato via quella satura degli incubi della notte. Nick fece per chiuderla ma Brian lo bloccò, preferendo quell'ennesimo appiglio alla realtà nel caso i demoni e i ricordi si fossero presentati durante il riposo. I vestiti del giorno prima furono lasciati cadere per terra, poi piegati alla perfezione anche se aspettava loro solamente il sacco con gli indumenti da lavare. Una vecchia felpa e un paio di pantaloni comodi divennero il pigiama per quella notte travestita da giorno e l'abbraccio di Nick fu il rifugio perfetto dove adagiarsi e cercare conforto in qualche ora di oblio. Eppure, la mente di Brian non riusciva a spegnersi ma, anzi, continuava a cercare un filo logico in tutto quello che era successo. Perché pubblicare le foto? Perché far credere al mondo che quelle immagini fossero il ritratto di una relazione invece che qualcosa di molto più subdolo e deplorevole? Che cosa ne avrebbe tratto Tyler in quel piano malefico? E qual era, soprattutto, quel piano?
“Shh... - Il bisbiglio accarezzò le orecchie mentre una mano passava fra i capelli, quasi come se stesse cercando di acquietare quella tempesta di pensieri dentro la sua mente. - Cerca di riposarti ora.”
“Ma...” Tentò Brian di obiettare ma quelle dita trovarono un punto perfetto dove incominciare a massaggiare e qualsiasi domanda si perse in onde di calma e pace.
“Ne parliamo dopo. Purtroppo i problemi continueranno ad aspettarci, non scapperanno.”
Nick aveva ragione. Continuare a ruotare attorno allo stesso perno quando era completamente esausto sarebbe stato inutile, oltre al fatto che Brian sapeva che stava semplicemente cercando e aggrappandosi a qualsiasi fattore pur di sfuggire ai suoi incubi.
Così, cullato dal respiro regolare di Nick e da quella sicurezza derivante dal suo abbraccio, Brian chiuse gli occhi, aspettando e all'erta per quei demoni che sarebbero giunti senza scrupoli.

 

 

 


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L'urlo si bloccò in gola, protetto da una determinazione quasi disumana e silenziato dal desiderio di non far accorrere tutti in quella camera. Per qualche secondo, le palpebre chiuse continuarono a essere prese ostaggio dalle immagini che quell'incubo avevano creato senza remora né rimorso. Si era ritrovato là in quel vicolo, si era ritrovato ancora bloccato da braccia e mani che volevano solamente assaggiarlo e assaporarlo, il tutto mentre volevano impedirgli di scappare via e rendere nulli i loro tentativi. Aveva risentito la sua voce pregare e scongiurare, si era risentito ridotto ad una semplice vittima invece che fare uso di quella forza di cui tutti continuavano a parlare e ammirare.
E poi aveva sentito la sua voce. Aveva sentito quella promessa, quella minaccia, sussurrata così vicino alle sue orecchie ed era stato in quel momento che l'urlo aveva incominciato a nascere e crescere: quella voce era vicina perché il proprietario era di fronte a lui, quasi come se un colpo di vento lo avesse sostituito a quella copia di Nick che aveva dato inizio agli approcci.
Come era arrivato fino a lì?
Come era riuscito a trovarlo, a seguirlo e avvicinarlo senza che nessuno potesse scorgerlo? Nessuno sapeva, ecco l'amara verità. Nessuno sapeva di quel mostro, tenuto sempre nascosto nell'angolo più buio e remoto della sua mente. Come potevano proteggerlo se non sapevano nemmeno chi dovevano combattere?

«Nessuno può salvarti. Come quel giorno, nessuno verrà a salvarti.»

Delle labbra, quelle labbra, si erano avvicinate e si erano appoggiate sulla guancia. Fu quello il momento in cui, finalmente, Brian si risvegliò con quella voglia di urlare fino a quando le sue corde vocali non potessero più emettere neanche il più piccolo suono. L'aria fresca sapeva di mattina, non più di notte. Il messaggio arrivò a fatica fino al cervello di Brian, ancora incatenato nei meandri del passato e presente legati insieme. Quell'informazione si scontrò contro il dettaglio, fisico e sempre presente, di quelle braccia strette attorno al suo corpo e che gli rendevano impossibile ogni via di fuga o di liberazione. Il subconscio sapeva che si trattava di Nick, sapeva che non c'era bisogno di impaurirsi o temere il peggio ma l'inconscio era nettamente più forte da controbattere in quel momento, arrotolato in un tentativo quasi primitivo di autodifesa.
Inspirò a fondo. Lasciò uscire quell'aria, sperando di potersi liberare anche del panico. Si trovava sul bus, avvolto attorno a lui c'era il ragazzo che aveva promesso di proteggerlo e niente avrebbe potuto avvicinarsi ancora così vicino a lui. Eppure il battito del cuore andava ancora troppo velocemente, il respiro era ancora troppo rapido e ansioso e tutto ciò che davvero Brian desiderava era potersi liberare.
Anche se si trattava solamente di Nick.
Ma Nick dormiva, per fortuna almeno uno di loro due riusciva a recuperare qualche ora e Brian si sarebbe dannato se lo avesse svegliato e avesse aggiunto un ennesimo motivo per sentirsi in colpa e inutile sulle spalle di Nick. Lentamente, così, Brian incominciò a slacciare le dita che lo tenevano circondato; una per una fino a quando riuscì a posare la mano di Nick sopra la sua coscia. Attese qualche secondo, temendo qualsiasi movimento o suono che proveniva dal corpo dietro di lui ma Nick continuò a dormire, lasciandosi sfuggire solamente un debole gemito di protesta. Cautamente, si lasciò quindi scivolare verso il fondo del letto, per poi muoversi fino a rimanere seduto sul ciglio del bordo. Automaticamente, di istinto, lo sguardo andò a cercare la piccola sveglia che teneva sempre sul comodino e che si era portato dietro quando il bus di Nick era diventato anche il suo: le linee rosse formavano un'ora che, amaramente, informava Brian che non era trascorso così tanto tempo da quando si erano ritirati in camera.
E lo sentiva.
Quel mezzo riposo, quel sonno interrotto da incubi e da panico avevano lasciato Brian ancor più stanco ed esausto di prima, un accenno di mal di testa che batteva contro le tempie e la sensazione che, presto, anche il suo stomaco si sarebbe aggiunto a quel singolare e doloroso concerto. Non c'era nemmeno una mezza idea di provare a tornare a dormire, avrebbe semplicemente peggiorato la situazione e speso fin troppe energie a scappare dai suoi demoni invece che riposare.
E, esattamente come qualche ora prima, la tentazione di rinchiudersi in se stesso e lasciare fuori il mondo diventò troppo grande per poter essere ignorata. Sarebbe stato tutto più semplice, non ci sarebbe più stata quella costante e sempre più crescente sensazione di volersi strappare ogni centimetro della propria pelle, quasi come se essa potesse essere un vestito che bastava togliere e cambiare per non sentirsi più in quel modo.
Sarebbe stato facile. Non avrebbe più sofferto.
Nick si mosse dietro di lui, spostando le coperte mentre si accoccolava lì dove vi era ancora il suo profumo e il suo calore. Brian si ritrovò a sorridere, nonostante tutto.
Glielo aveva promesso. Forse non a parole, forse Nick non lo avrebbe mai sentito pronunciare quelle parole ma gli aveva fatto quella promessa quando si era detto che non sarebbe caduto in quel vecchio e così attraente vortice di autodistruzione. Quella volta avrebbe combattuto, non sarebbe rimasto inerme come era accaduto qualche settimana prima o come succedeva sempre nei suoi sogni. Avrebbe lottato e lo avrebbe fatto senza ridursi a un cumulo di cenere e detriti che poi nessuno, nemmeno Nick, sarebbe riuscito a rimettere insieme.
E ciò significava e implicava comprendere per quale motivo Tyler stesse facendo tutto ciò.
Perché tutto quello? Perché non semplicemente farsi avanti in prima persona, invece che organizzare quel piano senza apparente senso logico?
C'era un filo, però. Un'unica linea rossa che voleva collegarli, lui e Tyler, come se fossero due estremi che dovevano essere riuniti a qualsiasi costo. Quel filo era quella malsana ossessione che Tyler aveva creato attorno a lui, resa assettata negli anni dal rancore e dalla rabbia per quell'ingiusta, a suo avviso, condanna.
Che cosa voleva esattamente da lui? Distruggerlo? Riprenderlo come se fosse un giocattolo che qualcuno gli aveva portato via all'improvviso? O entrambe?
O entrambe. 

«Perché stai raccontando tutte queste bugie su di noi? Su di me? Perché non dici la verità, Brian? Perché stai rovinando la mia reputazione?» 

Era quello dunque? Una sorta di vendetta, un tentativo di fargli provare ciò che lui aveva subito sulla sua pelle dieci anni prima? E fino a che punto sarebbe arrivato pur di cancellare quel debito che aveva nei suoi confronti? Aveva già distrutto la sua sicurezza, quella parvenza di normalità che si era creato; ora voleva distruggere tutto ciò per cui aveva lavorato in quegli anni, quel gruppo che rappresentava il tutto non solo per loro ma anche per centinaia e migliaia di persone nel mondo. Più di tutto, Brian non voleva far passare quelle immagini come qualcosa di romantico o passionale quando erano solamente un vile e deplorevole atto di violenza.
Un brivido salì lungo la schiena, cercando di riportare in vita quelle immagini anche nella sua mente. Lucido, seppur esausto, Brian le combatté e le riportò in quell'angolo dove aveva sempre tenuto chiuso ogni minimo accenno di temporale, affinché al mondo esterno apparisse solamente un sorriso e una vita totalmente normale. Non poteva più fare affidamento su quella maschera, Brian sapeva che gli avrebbe costato troppe energie ma poteva almeno usarla per contenere quei fulmini e saette, almeno fino a quando sarebbe stato in un posto lontano da tutto quel marasma.
Questioni pratiche. Ecco su che cosa doveva focalizzarsi in quel momento. Per quanto la sola idea aumentasse quel senso di nausea e emicrania, doveva mettere qualcosa sotto i denti o non sarebbe riuscito a fare nient'altro che avvicinarsi sempre di più a quel vortice da cui voleva allontanarsi.
Mangiare qualcosa. Farsi una doccia. Sistemare quella questione delle immagini. E poi, finalmente, andarsene via per qualche giorno e mandare tutti, specialmente Tyler, a quel paese. Elencandole così, non sembrava niente di che, sembrava una semplice lista di cose da fare come poteva capire ogni giorno.
Era sempre stato quello il suo trucco.
Una volta giunto nell'area giorno del bus, Brian si accorse che era praticamente vuoto eccezion fatta per Aj che, seduto sul divanetto, faceva zapping sulla televisione.
«Dove sono gli altri?»
La domanda prese l'amico all'improvviso, facendolo quasi cadere mentre cercava di recuperare il telecomando.
«Hai un aspetto terribile, lo sai?» Domandò Aj con tono ironico, non appena lo sguardo trovò la persona che era apparsa dalla porta.
«Grazie, Aj. - Ribattè Brian, alzando gli occhi al cielo e incominciando a dirigersi verso la zona cucina. - Sei sempre molto gentile.»
«No, sono realista. E' compito del tuo fidanzato mentire spudoratamente quando hai l'aspetto di un calzino dimenticato nella centrifuga da qualche mese.»
Per un secondo, Brian non ebbe la più pallida idea di come rispondere. Era così normale quella battuta, era quasi come se niente fosse davvero successo ed erano semplicemente loro, due amici che si prendevano in giro. E dopo quel secondo di indecisione, una prima risata incominciò a solleticare la sua gola fino a quando Brian non fu costretto a lasciarla uscire dalle labbra.
«Solo tu, Aj. Solo tu.» Si ritrovò a commentare, aprendo il frigorifero e sperando che qualcuno avesse fatto un po' di spesa. Ricerca inutile, il vuoto che stava osservando sembrava quasi richiamare quello che aveva preso trono nel suo stomaco.
«Howie è andato a prendere un po' di cibo. Kevin doveva fare delle telefonate.»
Brian annuì con un cenno del capo, incominciando a preparare almeno una tazza di caffè. Non avrebbe di certo aiutato a calmare i suoi nervi ma, almeno, sarebbe stato una fonte di energie nell'attesa. Rimasero in silenzio, i due amici, interrotto solamente da quando la caffettiera annunciò sbuffando e fischiando che il caffè era ormai pronto per essere versato e bevuto.
Un'altra faccenda da sistemare. Parlare con Aj. E quale momento migliore di quello, in cui erano da soli e Nick dormiva nell'altra stanza? Se anche Aj avesse reagito in malo modo, se anche sarebbero volate parole grosse e voci urlate, Brian avrebbe potuto tornare velocemente dall'unico rifugio che nessuno gli avrebbe mai portato via.
Così Brian si sedette davanti all'amico, passandogli una tazza di caffè fumante e stringendo con intensa stretta le dita attorno alla sua, quasi ignaro dell'alta temperatura della ceramica.
«Ti devo delle scuse, Alex.»
«Di che diavolo stai parlando?»
«Di non averti detto nulla. - Rispose Brian, lasciando uscire un sospiro colmo di stanchezza. - Non solo in questi giorni. Ma anche in tutti questi anni.»
Aj osservò l'amico con attenzione, cercando di captare qualsiasi indizio per captare quel segreto senza costringere Brian a dirlo ad alta voce. Ma Brian non era lui, lui che era sfuggito da ogni verità pur di non affrontarle ed ammettere quanti problemi galleggiassero insieme a quelle bottiglie. E Brian non era decisamente come lui, Brian era esattamente come suo cugino e quasi inscrutabile quando decideva che nessuno doveva essere in grado a leggere la sua anima.
«Kevin ha detto... - Aj si schiarì la voce, abbassando lo sguardo in un gesto che lasciava scappare via quanto fosse nervoso. - Ha detto che tutta questa storia ha a che fare con qualcosa accaduto in passato.»
«Sì. - E ancora eccolo lì, il momento in cui ogni parola e frase scompariva lasciando Brian senza niente da utilizzare. Odiava dover ammettere ad alta voce ciò che gli era successo ma non c'era altro modo per raccontarlo, nessun altro termine per descriverlo. - Sono sicuro che comprenderai il motivo per cui non ti racconterò i dettagli ma... - Ancora un'incertezza, ancora quella flebile vocina che voleva interromperlo prima che il suo segreto venisse esposto senza più possibilità di riportarlo nell'oscurità. - Dieci anni fa, sono stato vittima di una violenza. Sessuale. Lui era il miglior amico di Kevin.» Brian continuò a tenere lo sguardo fisso sulla superficie del tavolo, la mascella così stretta e tesa da quasi sentirne lo sforzo di quella tensione.
«Gesù.» Fu tutto quello che Aj riuscì a dire, in un unico e quasi tremolante e spezzato respiro. Oh, spezzato era davvero il termine esatto perché era in quel modo che si sentiva, totalmente convinto di non aver sentito ciò che Brian gli aveva appena detto.
Non poteva essere reale.
Non poteva essere successo a Brian. Fra tutte le persone di quel mondo, non Brian.
«Doveva essere in prigione. Ma, a quanto pare, si trova da qualche parte là fuori e ha messo in funzione questo piano per distruggermi.»
«Le foto?» Chiese Aj confuso e decisamente sconcertato da quella notizia. Sembrava di essere finiti in una puntata di un telefilm poliziesco, cose di quel genere non dovevano accadere nella vita reale.
«E l'aggressione. E chissà quanto altro.»
Doveva alzarsi. Aj si alzò di scatto, facendo cadere all'indietro la sieda con un suono sordo ma che riecheggiò con risonante terrore dentro Brian. Fu quel suono a fargli alzare lo sguardo, fu quella reazione a impedirgli di fare altro se non continuare a osservare Aj camminare avanti e indietro come se fosse un animale alla ricerca di una fuga. E voleva dirglielo, voleva dirgli di scappare lontano da quel casino e da quell'incubi e, allo stesso tempo, voleva che rimanesse lì, a fare battute come se niente fosse cambiato.
Poi, all'improvviso, Aj si fermò e si voltò, lo sguardo precisamente diretto sul viso di Brian.
«Ma dove diavolo è andato a trovarlo un amico del genere?» Esclamò, alzando le braccia al cielo.
Fu naturale per Brian lasciar sfuggire una risata, sommessa e triste per quel tono che tutto sapeva tranne di confidenze scambiate con uno dei suoi migliori amici. Ma era servita, era stata necessaria per stemperare quella tensione che ancora teneva Brian prigioniero.
«Ce lo siamo chiesti tutti. All'apparenza, lui sembrava un ragazzo fin troppo normale.» Non solo, si ritrovò Brian a pensare mentre ritornava a quei primi momenti, a quei primi giorni in cui far parte della cerchia di suo cugino sembrava la cosa più divertente e fantastica a quel mondo. Ma ora, con il senno di poi e l'esperienza ancora così pesante sulle sue spalle, Brian riusciva a riportare alla memoria e all'attenzione dettagli e particolari che avrebbero dovuto metterlo all'erta. Se solo li avesse captati quel giorno, se solo non fosse stato così ingenuo come bambino, forse tutto quello non sarebbe mai successo.

Era inutile pensare in quel modo. Era inutile domandarsi che cosa avrebbe potuto fare in passato quando non avrebbe comunque avuto modo di tornare indietro e rifare tutto. Poteva solo fare in modo che non accadesse ancora una volta. Non a lui. E a nessuno delle persone a cui voleva più bene.
«Perché?»
Fu l'unica domanda che Aj pronunciò una volta sedutosi di fronte a Brian e dopo un interminabile attimo di silenzio. Ce n'erano tante altre, di domande, che ruotavano attorno alla sua mente ma Aj non voleva rifletterci sopra, non voleva dar importanza a qualcosa che lo avrebbe fatto impazzire. Perché continuava a pensare che fosse tutto solamente uno scherzo, o un incubo perché Brian non sarebbe mai stato capace di escogitare uno scherzo di così cattivo gusto. E non avrebbe mai mentito, ecco perché non voleva affondare il colpo finale raccontando i dettagli.
Voleva solo una spiegazione. Voleva semplicemente sapere per quale motivo Brian non aveva mai detto niente, per quale motivo far finta di essere una persona che non era e, santo cielo se lui si sentiva in colpa di tutte quelle volte in cui lo aveva insultato, in cui lo aveva odiato per quella vita praticamente perfetta e rosea.
«Perché ha scelto me? - Ribattè Brian confuso. - Continuo a chiedermelo da dieci anni e non ho ancora trovato una risposta...»
«No. - Lo interruppe Aj. - Perché lo hai tenuto nascosto.»
Di tutte le domande che avrebbe potuto fargli, Aj aveva scelto quella più difficile da rispondere. Perché ora le ragioni sembravano tutte così stupide e senza senso, dettate semplicemente dalla paura e dal terrore di essere per sempre marchiato e identificato con ciò che gli era successo e non per la persona che era. A dispetto di tutto.
«Potrei raccontarti un milione di ragioni. Per qualche tempo, sembravano essere così inattaccabili che non avrei esitato ad usarle. Non volevo essere quello. Non volevo essere il ragazzo con il passato difficile, non volevo essere trattato con i guanti. Volevo essere me stesso, anche se ancora non sapevo esattamente chi era quel Brian. Ma sapevo chi non volevo essere, ovvero quel ragazzino con cui, all'improvviso, nessuno voleva più giocare o uscire perché non sapevano come trattarlo. Non volevo essere l'oggetto di conversazioni e di sussurri, non volevo più ricevere quegli sguardi di pietà e di compassione. E anche di disgusto. E, in ultimo, odiavo così tanto quella parte di me che temevo che anche voi sareste finiti a fare lo stesso.»
«Mi ricorda qualcuno.»
«Lo so.» Disse Brian, alzando finalmente lo sguardo e incrociando quello dell'amico. Quante volte aveva dovuto sentire Aj prendersela così duramente con se stesso? Quante volte era stato capace di dargli consiglio e conforto quando non era mai riuscito a trovarli per se stesso?
«Mi sento uno stronzo. Un bastardo con la b maiuscola. Tutte quelle volte che ti ho odiato, tutte quelle volte che invidiavo la tua vita da quadro perfetto mentre io non facevo altro che ridurmi in condizioni peggiori.»
«Alex, non funziona in questo modo. Non puoi comparare o paragonare i problemi delle persone e ignorare così ciò che ti sta facendo sentire male. Credimi, ignorare è sempre una pessima idea. L'ho imparato a mie spese.»
«Dio, non so che cosa dire... - Si ritrovò Aj a mormorare, picchiettando l'indice contro la tazza. Come ci si comportava in quei momenti? Che cosa si diceva quando si scopriva una cosa del genere? - Tu... come stai ora?»
Brian rimase per qualche secondo preso in contropiede da quella domanda. Kevin solitamente gliela poneva con quel suo tono da chioccia materna che lo faceva sempre ribattere piccato, soffocato da tutte quelle ansie che alimentavano anche le sue; Nick non glielo domandava mai, come se quasi avesse imparato a leggere le sue espressioni e i suoi comportamenti in una notte. O, forse, era semplicemente spaventato da quella che avrebbe potuto essere la sua risposta, spaventato che non avrebbe potuto aiutarlo o trovare le parole giuste per confortarlo. Nonostante tutti i passi in avanti che avevano fatto, lui e Nick si trovavano ancora a dover gestire quel precario equilibrio che avevano trovato: il fatto che avesse promesso di lasciarsi aiutare non significava che ci sarebbe riuscito in un battito di ciglia, così come non era detto che Nick sarebbe riuscito a mantenere entrambi sopra il pelo dell'acqua. C'era tanto che Brian non poteva dire a Nick, tante ansie e tante immagini che lo avrebbero allontanato definitivamente, oltre che preoccuparlo. Più di quanto già stava facendo in quel periodo. E sapeva con assoluta certezza che anche lui avrebbe lasciato da parte i suoi stessi problemi se Nick gli avesse mai confidato le sue di paure e ansie.
«A parte l'ovvio? - Ribattè Brian con un sorriso stanco. - Terrorizzato. E senza niente a cui aggrapparmi. E'... è troppo.»
«Oh, direi che posso comprenderti su questo.»
«Mi sembra di continuare a girare attorno come una trottola impazzita. Ciò che è successo dieci anni fa, l'aggressione e ora Tyler. So che dovrei combattere, so che dovrei prendere e usare quella forza di cui tutti continuano ad ammirarmi. Dall'altra, non... non so se ne ho abbastanza per continuare. Vorrei solamente chiudermi da qualche parte e uscirne solo quando tutto questo sarà finito.»
«Questa volta non devi fare tutto da solo. Hai Nick, appoggiati a lui, per quanto ciò possa sembrare traumatico.»
«Non è così male, dai. - Rispose Brian alla battuta, passandosi la mano dietro al collo e incominciando a massaggiare quel punto. - Ma... sono sempre stato da solo. Ho sempre contato sulle mie forze e voglio ancora farlo, voglio ancor di più di allora dimostrare a Tyler che non avrà mai più controllo sulla mia vita. Ma mi rendo conto che non sarei ancora in piedi, adesso, se non fosse per Nick. E ciò... ciò mi spaventa.»
«Perché? - Domandò Aj. - Oltre al fatto che stiamo parlando di Nick, ovviamente.»
«E se un giorno decidesse che tutto questo è troppo per lui? Ancora non mi capacito di come abbia reagito dopo che gli ho confessato ciò che mi è successo ma... è solo la punta dell'iceberg.»
«Non succederà. Nick ha tanti difetti ma quando si mette in testa qualcosa, lo sai, non rallenta o cambia improvvisamente la direzione. E, anche ammettendo che dovesse succedere, ci sono qua tre persone pronte a prenderlo a calci nel sedere e riportarlo sulla retta via. E vale anche il contrario, Brian.»
«Non credi che sia già stato abusato fin troppo? - Doveva essere una battuta, un tentativo per mettere sull'ironia quell'argomento che Aj stava cercando di dribblare in tutti i modi possibili. Ma la battuta non venne colta perché l'amico quasi sbiancò dal senso di colpa, come se quel tentativo di minaccia potesse anche solo essere messo in confronto con ciò che il suo corpo aveva subito per mano di Tyler. - Aj, era solo una battuta.»
«Beh, vedi di non farle. Non sono divertenti.»
«Scusa.»
«No. E'... non so davvero come puoi essere qui e fare battute. Non so nemmeno come tu possa essere il ragazzo normale e allegro visto... visto quello che ti è successo. Anche se, ora, certi consigli che mi hai dato assumono un differente significato.»
«Te li ricordi ancora?»
«Ammetto che sono un po' annebbiati dall'alcohol ma... sì, le ricordo ancora. Anche se fino ad ora le ritenevo semplicemente parole vuote, prese da una persona che non poteva sapere veramente che cosa significava doversi rimettere in piede e non lasciare che gli altri, e la loro opinione, avessero così tanta importanza per me. - L'espressione di Aj si fece più decisa, accarezzata da quella consapevolezza di aver messo insieme tutti i pezzi. - Parlavi per esperienza.»
Aveva parlato per esperienza, Brian, eppure in quel momento era come se i ruoli si fossero scambiati perché era lui che sentiva quelle parole vuote e prive di reale significato. In parte, sapeva che era tutto frutto della stanchezza e dei contraccolpi che tutta quella situazione gli aveva sbattuto davanti alla faccia in dolorosi schiaffi. Era esausto, era un vaso colmo di rabbia da un lato e disperazione dall'altro e più si sforzava di far uscire qualche goccia, cercando conforto e logica in chi lo circondava, e più si ritrovava sempre più tirato in mille direzioni.
«Diciamo che anch'io ho avuto la mia parte di autodistruzione. Non bevendo fino a quando non ricordavo nulla, anche se ci ho provato ma con me non ha funzionato. Ricordavo fin troppo bene. - Un triste sorriso apparve per un secondo sul volto di Brian, prima di scomparire dietro al peso dei ricordi. - Niente droghe, ne avevo avute abbastanza in ospedale e, chissà come mai, tutti i peggiori effetti collaterali. Ma volevo smettere di sentire, volevo che il dolore e la vergogna la smettessero di prendermi come ostaggio. Così... ho smesso di vivere.» Brian abbassò lo sguardo verso la tazza che aveva in mano, ormai fredda.
«In che senso?» Domandò Aj, non riuscendo a nascondere quella nota di paura e di timore nella sua voce. Non poteva pensare al significato più immediato di quelle parole, non voleva nemmeno incominciare a creare uno scenario in cui il Brian che aveva conosciuto, seppur più giovane, avesse anche potuto pensare che il suicidio potesse essere la soluzione migliore.
«Non quello. - Ribattè prontamente Brian, decisione e sicurezza nel tono e nello sguardo, alzato apposta per quelle parole. - Semplicemente mi ero così perso in me stesso da non esistere più. Non uscivo, non mangiavo, non parlavo con nessuno. Niente di quello che mi era successo aveva senso e non... non credevo di aver ancora io stesso un senso.»
Era strano come ora, dopo quella mattinata con Nick e quella sua ammissione di aver bisogno di aiuto e di crollare, per Brian fosse quasi più semplice lasciar all'aperto ciò che era successo.
In parte, era così. In parte, Brian sapeva che l'unico modo per ricominciare davvero, per guarire finalmente, era mettere tutto sotto la luce del sole e lasciare che finalmente la sua anima potesse riempirsi solo di amore e di liberazione. Ed era più facile parlare di quelle cose con Aj invece che con Nick: c'era ancora quella sottile paura che qualsiasi parola potesse essere l'ultima goccia del vaso, quella piccola particella che avrebbe rotto l'equilibrio e costretto Nick ad andarsene. E non voleva spaventarlo più di quanto avesse già fatto.
«Ecco perché Kevin ha la mania di preoccuparsi che tu mangi o meno.»
«Già. - Rispose Brian, lasciandosi sfuggire una risata. - Mi ha visto entrare e uscire da fin troppi ospedali. Credo che tema che possa ritornare a quello stato. E non è il solo.»
Aj non rispose immediatamente, allungò semplicemente la mano e la appoggiò sopra quella di Brian, quelle dita che ancora stringevano una tazza fredda ed ancora pericolosamente piena.
«Non sei da solo. Né tu né Nick. Ma devi lasciarci aiutarti.»
«Ci sto arrivando.» Era tutto ciò che Brian poteva promettere, era ancora qualcosa su cui avrebbe dovuto lavorarci e, forse, era qualcosa che ancora era troppo fuori dalla sua portata.
Ma ci avrebbe provato.
Aj era sul punto di ribattere, seppur le parole ancora non avevano deciso di uscire nè di formarsi sulla punta della lingua, quando una suoneria incominciò a distruggere quel silenzio creatosi fra loro due. Aj si alzò e andò a recuperare il telefonino, lasciandosi sfuggire una maledizione quando si accorse di chi lo stava chiamando.
Per l'ennesima volta.
«E' Johnny.» Disse all'indirizzo di Brian.
«Passamelo.» Ribattè questi, proprio mentre l'amico stava per ributtare il telefonino dove lo aveva lasciato prima.
«Sei sicuro di voler fare questo discorso ora?» Domandò Aj, mezzo preoccupato ma avanzando con il telefono.
«Sì. - Rispose Brian, allungando la mano per prendere l'oggetto. - Almeno con qualcuno potrò sfogare la mia rabbia.» Aggiunse con un sorriso prima di rispondere a quella chiamata.

 

 

 

 

 

************

 

 

 

Furono le urla a svegliare Nick di soprassalto. No, più specificatamente, fu la voce di Brian che urlava a prenderlo di sorpresa nelle maglie del sonno e riportarlo in quel mondo reale da cui entrambi avevano cercato di fuggire via per qualche ora. Era ormai istinto ciò che lo aveva messo in allarme, era ormai il desiderio di assicurarsi che Brian fosse sano e salvo, protetto al suo fianco invece che chissà dove e chissà con chi. E ora c'era un pericolo in più, ora c'era quella costante paura che da un momento all'altro quel pazzo maniaco sarebbe uscito dal suo nascondiglio per portare a termine quell'insano e malato piano il cui unico scopo era quello di distruggere Brian. Quel senso di protezione, quel desiderio bruciante di difendere Brian, era sempre stato presente in lui, anche se forse pochi o nessuno avevano mai fatto caso. Alcune volte, persino Nick stesso non vi aveva dato il benché minimo sguardo, forse perché ancora non riusciva a trovare il modo e i mezzi per poter mettere in pratica quelle parole e quegli istinti che lo prendevano in controllo quando c'era il maggiore di mezzo.
Ma ora lo era. Anche se Nick stava ancora imparando, anche se sapeva che doveva ancora farne di strada prima di poter anche solo essere in pari con Brian, Nick sapeva come reagire e come prendere in mano la situazione anche quando stava per infilarsi in una delle peggiori tempeste mai viste.
Ed ecco perché le urla lo avevano svegliato. Ecco perché il braccio era andato subito a cercare il corpo del compagno ed ecco perché, quando si era ritrovato a sfiorare solamente le lenzuola vuote, Nick si era alzato di scatto. Il cuore batteva all'impazzata contro lo sterno, un ritmo impazzito che riecheggiava nelle orecchie insieme a quelle grida, impedendo a Nick e alla sua mente di comprendere ciò che stava succedendo. Perché il primo pensiero, il primo dubbio e la prima paura erano che avesse fallito. Si era addormentato, stupido che non era stato altro, e aveva lasciato campo libero a Tyler per entrare e prendersi ciò che Nick aveva più di prezioso, colui per cui aveva promesso e giurato di diventare una persona migliore. Colui a cui aveva promesso che non ci sarebbero più stati attacchi o colpi, né dolore o ferite. Ovviamente Nick era consapevole che era più una chimera che una promessa, era quasi impossibile escludere ogni tipo di sofferenza dalla vita, per quanto uno potesse provarci e combattere fino all'ultimo respiro. Ma poteva lenirla, poteva far sì che solamente gli ultimi deboli raggi potessero sfiorare il compagno.
Ritrovando un filo di controllo, Nick affilò l'udito per cercare di captare ciò che Brian stava urlando. Non era un incubo, dubbio facilmente risolvibile dal mero fatto che lui era l'unico ad essere ancora sul letto. Quel pensiero, però, lasciò un amaro sapore in bocca. Un sapore che sapeva di fallimento. Non era lui che avrebbe dovuto essere ancora addormentato, non era lui che a malapena riusciva a stare in piedi e non era lui che avrebbe avuto bisogno di chiudere il mondo fuori dal suo inconscio.
Come sempre.
Non era cambiato nulla. Ancora Nick non riusciva a mettere in pratica ciò che le sue parole avevano promesso con una sicurezza e confidenza che, ora, sapeva solo di stantio e di falso. Certo, non poteva aspettarsi di poter riuscirci al primo tentativo e Brian sapeva essere testardo anche quando ammetteva di essere in errore, eppure Nick non riusciva a lasciar fuggire via quel sentimento. Quante altre volte avrebbe fallito prima che Brian decidesse di averne abbastanza? Quante altre volte avrebbe fallito prima di distruggere quel poco che era rimasto nel compagno?
Smettila - Si rimproverò Nick mentalmente mentre si alzava dal letto. - Se incominci a pensare in questo modo, tutto andrà male.
Doveva credere in se stesso. Non lo aveva mai fatto, aveva sempre finto confidenza davanti a tutte quelle urla e occhi sognanti. Ma Brian si fidava di lui, Brian credeva che lui, un ragazzino che aveva collezionato disastri uno dietro l'altro, fosse l'unico davvero in grado di aiutarlo a rimettersi in piedi dopo quello che aveva passato. E se Brian riusciva o era riuscito a vedere tutto quello in lui, il minimo che Nick poteva fare era non lasciarsi prendere dalla disperazione e continuare a tentare all'infinito.
Con quella convinzione, più auto illusione che altro, Nick andò nell'altra stanza, là da dove continuavano a provenire le urla. Brian. E Kevin. Fu il riconoscere la seconda voce che spinse Nick a camminare più velocemente, aprire la porta con uno scatto e richiuderla con un eco abbastanza forte da mettere in pausa qualsiasi discussione stesse avvenendo di fronte a lui.
Già.
Solamente il tavolo e il divanetto dividevano i due cugini. Gli occhi di Nick si posarono immediatamente su Brian, uno sguardo attento a studiare e captare qualsiasi segno sul ragazzo. Le braccia erano tese lungo il corpo, i palmi appoggiati e stretti attorno al bordo del tavolo e persino dalla sua posizione Nick poteva notare quanto tesi fossero i muscoli di Brian. Così tesi da lasciar spazio a piccoli tremiti, l'unico indizio che lasciava trapelare quanto fosse solamente la rabbia a tener in piedi corpo e mente. Il primo istinto, in Nick, era quello di avvicinarsi e staccare Brian via da tutti e da tutto; urlare contro Kevin, insultarlo perché non riusciva a vedere ciò che stava di fronte ai suoi occhi. Eppure, sapeva di non poterlo fare. Perché mettersi in mezzo, proteggere Brian dal suo stesso cugino, era qualcosa che andava contro tutti quei discorsi che lui e Brian avevano scambiato in quei giorni.

«Non ho bisogno di essere protetto come se fossi un fiore delicato. Ho bisogno solo di una spalla a cui appoggiarmi, un aiuto nelle battaglie.»

E quello fu ciò che Nick fece in quel momento. Andò semplicemente verso Brian e rimase al suo fianco, appoggiando la sua mano sopra quella del ragazzo.
«Che diavolo sta succedendo?»
Il cambiamento, in Brian, fu quasi impercettibile ad occhio nudo o alle altre persone che stavano attorno a loro. Non per Nick. Nick percepì quell'attimo in cui le dita del ragazzo si strinsero per qualche secondo attorno alle sue, una stretta che sapeva e voleva semplicemente ringraziarlo per non essere entrato come il suo supereroe ma come il suo compagno, una fonte di supporto invece che una tenda in cui nascondersi per non affrontare quella discussione.
«Dì al tuo fidanzato che è uscito completamente di senno!» Fu Kevin a rispondere, il tono esasperato di chi non sapeva più a quale santo aggrapparsi per far comprendere le sue ragioni. E, nonostante la situazione e l'aria carica e densa di tensione, Nick si ritrovò a sorridere a quella semplice etichetta, a quel «fidanzato» che chiariva, senza ombra di dubbio, qual era d'ora in poi il suo ruolo.
«Non sono impazzito! - Urlò di rimando Brian, senza mai staccare la mano dall'intreccio con Nick. - E' l'unica soluzione possibile. Ti brucia solo perché non sei stato tu l'artefice.»
«L'unica...? E ci credi davvero? E' una mossa suicida!»
«No! Suicidio sarebbe lasciare che Tyler faccia qualsiasi cosa abbia in mente senza rispondere. E non permetterò a nessuno di trattarmi e farmi diventare ancora una vittima.»
Il tono era determinato, di quelli che mai Nick avrebbe pensato di mettere replica. E, anche se sapeva che molta di quella forza derivava solo dalla rabbia, era un sollievo vedere Brian così combattivo.
«Nessuno ti sta trattando come tale, Brian. Sto solo dicendo che...»
Brian non diede tempo a Kevin di terminare la frase. «Stai solo dicendo che dovrei rimanermene tranquillo mentre quel bastardo si diverte a rovinare la mia vita e quella delle persone che amo. E non lo permetterò.»
«Okay, qualcuno mi può spiegare che cosa sta succedendo?»
Brian usò quella pausa per riprendere fiato, inspirare calma e tranquillità e lasciando uscire quella voglia di spaccare qualcosa. Comprendeva da dove arrivava tutta quella ritrosia e quella risoluzione ad obbiettarsi di fronte alla sua scelta, capiva che era in parte una maglia di difesa e di protezione ma perché, come sempre, il cugino non riusciva mai a comprendere anche il suo di punto di vista?
Nick, invece, avrebbe compreso. Forse non avrebbe condiviso la sua scelta, forse anche lui avrebbe prima pensato alla sua salvaguardia e poi a che cosa davvero significava quella decisione ma, almeno di quello ne era sicuro, lo avrebbe sostenuto perché sapeva quanto per lui fosse importante combattere invece che solamente subire.
«Il motivo per cui Tyler ha fatto pubblicare quelle foto è perché vuole distruggere la mia reputazione, esattamente come lui pensa che io abbia fatto raccontando a tutti che mi aveva violentato. - Incominciò quindi Brian a spiegare, riprendendo quel tono freddo e distaccato ogni volta che si ritrovava a dover raccontare o usare quelle parole. - Pensa che. piuttosto che ammettere ciò che mi è successo, mi nasconderei dietro allo scandalo della mia relazione con te. Così ho cambiato le carte sul tavolo.»
«Ovvero?»
«Farò sapere al mondo che quel biondino non è Nick Carter ma solamente un nessun nome che qualcuno ha assunto per farmi crollare. E quel qualcuno è la stessa persona che mi ha rovinato la vita dieci anni fa.»
«Sei sicuro? Sei sicuro di voler che il mondo sappia?»
«Non particolarmente. Ma è su questo che lui conta, è su questo che si basa tutto questo piano diabolico. Lui è il capo che muove tutti i fili, io la povera vittima che subisce. Non più. Una volta che il mondo saprà di che pasta è fatto Tyler, con chi proverà più compassione? A chi crederà e tenterà di difendere?»
Nick sembrò rifletterci per qualche secondo, cercando di mettere in silenzio quella vocina che urlava che tutto quello avrebbe semplicemente fatto infuriare maggiormente quel pazzo psicopatico e che, in ultimo, avrebbe fatto rischiare ancor di più l'uomo che amava. Ma, di sicuro, era su quello che ruotava attorno tutta quella discussione con Kevin. E per quanto preoccupato, Nick non poteva non condividere il pensiero che fosse, comunque, la decisione migliore.
«Brian non ha tutti i torti. - Quella risposta provocò Kevin, lo sguardo accusatore ne era una prova più che tangibile, ma Nick non diede a vedere se la cosa lo toccasse o meno. Forse, qualche anno prima, avrebbe semplicemente abbassato la testa o se ne sarebbe andato sbattendo la porta. Ora, invece, aveva qualcun altro, aveva un compagno con cui alleare le forze e presentare forte comune. Lui e Brian. Una cosa sola. - Aspetta. Lo sai anche te che Brian ha ragione. Continuare a non rispondere, continuare solamente a curare le ferite non risolverà nulla. E' su questo che Tyler conta, sul fatto che Brian sia ancora quel bambino indifeso che ha potuto soccombere facilmente.»
Faceva strano, per Brian, sentir Nick parlare di lui in quei termini. Non era una sensazione piacevole, mai avrebbe voluto che il ragazzo sapesse di quel suo momento di così grande debolezza e ne parlasse poi con così tanta semplicità e facilità. E, allo stesso tempo, era proprio quel fatto a dargli un'ulteriore spinta a tener dritta la schiena e non abbassarsi di fronte a quell'ennesimo ostacolo.
Nonostante tutto, Nick continuava a rimanere al suo fianco.
«Kevin, pensaci bene. Una cosa del genere lo porterà in un angolo.»
«No, sei tu che non ci hai riflettuto. Uno, non sappiamo nemmeno se sia lui realmente.»
«Andiamo! E' lui, l'ho visto con i miei occhi!»
«Non mi hanno ancora confermato che sia effettivamente uscito dalla prigione.»
«E' lui. Kevin, per l'amor di Dio, è lui! Credi che mi possa inventare una cosa di questo genere?»
«No, ovvio che no.»
«Senti, anch'io preferirei che Tyler fosse ancora rinchiuso in una cella. Anzi, credo di essere il fan numero uno di questa opzione. Ma non lo è. Per chissà quale astruso motivo, quell'uomo è fuori e sta pensando di rovinarmi completamente la vita. E non glielo permetterò. E non permetterò nemmeno a te di fermarmi.»
«Brian, non voglio ostacolarti. Voglio solo che comprendi anche le conseguenze delle tue azioni.»
«Quali conseguenze? Sentiamo. Perché qualsiasi cosa tu abbia in mente, beh, di certo è migliore che ritrovarsi ancora distrutto da Tyler.»
«Come credi che reagirà Tyler? Se davvero è lui l'artefice di tutto ciò, credi che se ne resterà tranquillo? Vuoi che ti faccia ancora del male?»
«Più di quanto mi abbia già fatto?»
A quell'obiezione, Kevin non poté che arrendersi di fronte all'assoluta veridicità di quelle parole. Peggio di quello, peggio di quella lenta tortura che era durata ormai dieci anni, solo la morte poteva equipararsi in quanto tale.
«Può fare del male agli altri. A Nick. A questo non ci hai pensato?»
«Ci ho pensato. - Rispose Brian, abbassando il tono della voce mentre la rabbia scemava via, lasciandogli solo la mano di Nick a cui aggrapparsi per non crollare. - Ci ho pensato. Ora che tutti sapranno, ora che tutti sapranno che c'è un pazzo là fuori che sta tentando di distruggermi, Nick e tutti gli altri saranno al più sicuro. Rafforzeremo la sicurezza, ognuno saprà com'è fatto Tyler e di che cosa è capace.»
No, non sarebbe successo una seconda volta. Non avrebbe permesso a Tyler di avvicinarsi una seconda volta a Nick e, questa volta, fargli del male.
«Avresti almeno potuto avvertirmi prima di decidere da solo. Non sei l'unico...»
La rabbia, in Brian, si riaccese senza nemmeno lasciare tempo a Kevin di terminare la sua frase. Come osava? Come osava anche solo pensare di essere lui al centro di quella situazione?
«L'ultima volta che ho controllato, l'unico che è finito in ospedale ero io. Quindi no, Kevin, non dovevo proprio avvertiti di niente. Quando anche tu verrai aggredito o peggio, allora, forse, condividerò i miei pensieri con te.»
Non c'era più niente da dire. O, almeno, Brian non aveva più niente da dire contro Kevin o con Aj o con chiunque altro. Non aveva più niente, l'ultima oncia di energia se n'era andata con quell'ultima, ennesima, inutile discussione. Non sarebbe mai cambiato nulla, Kevin avrebbe continuato a vederlo come qualcosa da proteggere e difendere senza mai dargli la possibilità di dimostrare quanto fosse cambiato.
Ed era stanco.
Era letteralmente, totalmente e completamente esaurito.
Non diede ascolto ai richiami, non badò nemmeno a sentire se qualcuno, Aj e Howie, si alzassero in piedi a prendere le sue difese. Non aveva importanza, non ne avrebbe avuta perché Brian non aveva più forza per concentrarsi su qualcosa al di fuori di se stesso. Camminò semplicemente fuori da quella stanza, consapevole di avere lo sguardo di Nick fisso sulla sua schiena e la domanda se dovesse seguirlo espressa in quella preoccupazione. Ma nemmeno Brian sapeva come rispondergli, nemmeno lui stesso sapeva se aveva bisogno o meno del supporto di Nick. Più di tutto, Brian voleva cessare di esistere per qualche ora.

Ma puoi farlo. Sai come farlo.

Oh sì, sapeva benissimo come farlo. Sarebbero bastati pochi secondi e tutto sarebbe scomparso. Persino lui. Non ci sarebbe stato nessun altro a cui pensare, nessuno che gli avrebbe detto come doveva reagire e come avrebbe dovuto combattere quel mostro. Niente più dolore. Niente più continui pensieri a ruotargli attorno alla mente come delle schegge impazzite.
La tentazione era forte. E la tentazione spinse Brian a sdraiarsi sul letto, raggomitolandosi come se effettivamente avesse potuto chiudersi in se stesso senza che niente potesse più toccarlo o che niente potesse uscire da quel cumulo di rovine in cui la sua anima si era ormai trasformata. A malapena si accorse dell'istante in cui un peso si aggiunse sul materasso, facendolo abbassare e portandosi dietro una coperta; a malapena si accorse di quando questa venne appoggiata sopra di lui o di quando un braccio si avvolse attorno alla sua vita, sospingendolo contro il corpo di Nick.
«Sono qui. Non sei solo. Appoggiati a me.»
Le parole di Nick arrivarono in un sussurro, pronunciato con le labbra a fior di orecchio. In qualche modo, Nick era riuscito a comprendere che cosa stava per accadere. Come, Brian non ne aveva idea. Ed era la sua voce, era quella lieve ma potente supplica, a controbattere la tentazione e a farla arretrare.
«Kevin ha ragione- - La voce spezzata di Brian si udiva a malapena, nemmeno le sue stesse orecchie riuscivano a captare quei deboli suoni. - Ti ho messo in pericolo. Puoi... puoi andartene. Se vuoi. Cioè... capirò. Capirò se preferisci metterti in salvo...»
Non riuscì a continuare. Il primo singhiozzo spezzò ogni lascito di quei pensieri, troppo crudeli per poter davvero credere che Nick, il Nick che si era rivelato in quei giorni, potesse davvero prenderli seriamente in considerazione. E la verità, la dolorosa e più che mai tangibile verità, si arricciava e intrecciava con quelle confessioni condivise e narrate nella luce del primo sole, quando lucidamente Brian aveva ammesso a Nick di aver bisogno di lui per non cadere ancora nel vuoto.
Un bacio lasciò il suo segno sulla spalla, quel lembo di pelle lasciato nudo dalla maglietta; le mani si mossero e, come se stessero muovendo un semplice manichino, fecero voltare Brian. Quasi immediatamente, Brian si strinse contro il corpo del compagno, alla ricerca di tutto il conforto possibile e di quell'ancora che, come la sera precedente, sarebbe riuscita nell'intento di non farlo sprofondare.
«Non mi importa, Brian. Non mi importa se mi hai messo in pericolo. Lo hai detto anche te, significa che intensificheremo la sicurezza. E ce ne andiamo via. Lontano, al sicuro. Nessuno saprà dove siamo. Nessuno potrà farci del male.»
Le parole arrivarono come carezze, tocchi carichi di dolcezza e tenerezza che lenirono quelle ferite che erano ritornate a pulsare dentro Brian. E le mani di Nick non fecero altro che accompagnare quei tocchi, perdendosi fra i capelli di Brian e scivolando poi sulla schiena.
Brian provò ad aprire la bocca per ribattere, la battuta si era già formata nella sua mente e aspettava solamente di esser pronunciata dalla voce ma, invece, ad uscire fu un singhiozzo. Il primo, il più coraggioso, colui che lasciò poi la strada aperta ai fratelli, ignari che finalmente potevano fuggire via da quelle catene in cui Brian li aveva tenuti legati per così tanto tempo. E a quel primo singhiozzo si aggiunsero le lacrime, senza che lui potesse anche solo pensare qualche ostacolo pur di fermarle.
Le braccia di Nick si strinsero ancor più intensamente attorno al corpo del compagno, le labbra appoggiate sulla testa e semplicemente intente a lasciare baci, l'unico conforto che potesse esser recepito senza nessun alone di bugia o illusione. E, seppur con una punta di senso di colpo, Nick si ritrovò a ringraziare quel crollo che aveva tanto sperato.
E temuto.

 

 

 

************

 

 

 

Il comunicato era giunto ancor prima che media e stampa ne dessero parola.
Non chiese come fosse possibile, non domandò in quali modi e con quali minacce quel semplice foglio di carta arrivò sulla sua scrivania quando ancora il resto del mondo. Lo prese semplicemente fra le mani, un foglio bianco con punti e linee che creavano parole e frasi. Frasi che stavano accendendo una rabbia, dentro di lui, che aveva pensato di essere riuscito a tenere a bada in quegli anni di prigione. Una rabbia che, all'improvviso, spinse la mano ad arrotolarsi attorno quel pezzo di carta fino a quando esso non fu ridotto in una semplice palla.
Come osava?
Come osava ripetere al mondo intero quell'insulsa bugia? 

Le foto oggi pubblicate non fanno riferimento ad un eventuale mia relazione con Nick. In realtà, esse si riferiscono ad un'aggressione che ho subito qualche settimana fa, una sera in cui tutto il gruppo aveva deciso di uscire per festeggiare l'ottima ricezione sia dell'album che del tour da parte delle fans.

 
Aggressione? Era davvero innamorato di quel termine! Lo usava sempre, quasi come se esso potesse davvero identificare ciò che era successo. Non era stata un'aggressione, quante volte avrebbe dovuto ripeterglielo? Da una parte, aveva semplicemente voluto ricordargli ciò che c'era stato fra loro, quel legame che il ragazzo era stato così impulsivo da scordare e gettare nel dimenticatoio; dall'altra, invece, voleva dargli una chiara dimostrazione di ciò che individui come Nickholas Carter erano capaci di comportarsi. Lo avrebbe distrutto, lo avrebbe usato come un giocattolo e poi buttato in un angolo per passare a qualcosa di nuovo e più interessante.
Non lui.
Lui non lo avrebbe trattato in quel modo. Non lo avrebbe mai buttato nel dimenticatoio, dieci anni erano stati un periodo abbastanza lungo per dimostrare ciò.
Perchè non lo capiva? 

Non avrei mai voluto raccontare quest'episodio del mio passato ma mi vedo costretto a ritornare sui miei passi in modo che il mondo, che voi fans, sappiate esattamente come stanno le cose. L'aggressione non è stata semplicemente un atto causale di violenza ma un deliberato attacco di... 

Con un urlo, Tyler fece volare tutti gli oggetti che si trovavano sulla sua scrivania.
Come osava?
Lo aveva descritto come un pazzo psicopatico, un individuo incapace di andare oltre alla sua ossessione. E quella descrizione non combaciava con lui, certo che no!
«Dove si trova?»
Nel riflesso del vetro, fra il buio della notte e le luci della città che tardavano a spegnersi, comparve la figura dell'uomo che lo stava aiutando in quella missione.
«Lui e Carter hanno preso una macchina e si sono allontanati dal gruppo.»
«Qualcuno li sta seguendo?»
«Affermativo. Appena saprò dove sono diretti...»
«Sono stanco di questi giochetti. Brian pensa di potermi rifiutare un'altra volta? - La domanda era retorica e l'altro uomo non osò nemmeno ribattere. - Incomincia con la seconda parte del piano. Finalmente anche lui comprenderà come ci si sente ad essere accusati ingiustamente di aver commesso un crimine contro qualcuno che ama.»

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

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Finalmente!!!! *__*
Mi scuso per il ritardo. A parte problemi tecnici con il portatile, una settimana di vacanza senza computer e internet, ho avuto qualche lotta con questo capitolo, tanto da esser stata sul punto di cancellarlo tutto. Non ne sono ancora soddisfatta ma non è una schifezza come pensavo qualche settimana fa. ^_^ Di carne al fuoco ce n'è abbastanza e, man mano che ci avviciniamo alla fine, ce ne sarà sempre di più. E mi diverto a scrivere Tyler! LOL Come ho detto a qualcuna "che mondo sarebbe senza un pazzo psicopatico che vuole torturare Brian"? XD
Ringrazio come sempre chi mi segue dall'inizio con questa storia, chi legge e le due anime pie che commentano sempre. <3
Al prossimo capitolo, anche se prima ci sarà un'altra storia un po' fluff. =)

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Capitolo 21
*** - Diciannovesimo Capitolo - ***


*Diciannovesimo Capitolo*

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Fu con un'ombra di confusione che Brian accolse il risveglio quella mattina. Per quei primi attimi di coscienza, infatti, non trovò nessun appiglio che lo riconducesse a dove si trovasse o perché: la sua mente ancora era presa prigioniera e avvolta da un mantello di nebbia che offuscava ogni ricordo, quasi come se quelle maglie pesanti volessero trattenere ancora immagini e sensazioni della giornata precedente. Uno strano torpore cingeva il suo corpo, una sensazione quasi nuova dopo notti e notti trascorse a pizzichi e bocconi, rubando qualche attimo di sonno prima di essere attaccato, ancora, dai mostri e demoni di ciò che gli era successo.

Riposo.

Finalmente.

Il tanto agognato e desiderato riposo.

Non sapeva esattamente, Brian, quante ore avesse dormito ma sentì nascere un germoglio di soddisfazione e vittoria dentro di sé, per anche solo aver resistito e sconfitto gli incubi per più di qualche ora consecutiva. Una conquista quasi impossibile da raggiungere se non fosse stato per ciò che aveva distrutto e ridotto a macerie gli ultimi avamposti di un'ostinazione di cui, ora, riusciva solo a toccare gli ultimi filamenti.

I secondi erano scivolati via fino a quando, raccolti in un minuto, avevano lasciato entrare i ricordi che tanto faticosamente erano stati trattenuti dietro ad alte barricate. Nonostante le ore di riposo, sembrava comunque non esserci pace per muscoli e ossa che ancora sembravano e volevano apparire più pesanti e men che mai silenziosi. Per quante altre ore Brian avrebbe dovuto dormire prima di risentirsi come quei giorni prima dell'apocalisse, prima che quel suo piccolo ma confortevole mondo si ritrovasse preso in una centrifuga e scosso fino alle sue più basilari e necessarie fondamenta? Rivoleva, Brian, la fatica che aveva avuto origine da una notte di concerto e di corsa da una parte all'altra del palco, da quell'adrenalina che lasciava sempre i nervi frementi di estasi e di più che guadagnata soddisfazione; era la fatica che ti permetteva di buttarti sul letto e di immediatamente cadere fra le braccia di Morfeo, un sonno che avrebbe restituito forze e energie necessarie per affrontare il giorno successivo. La fatica che ora Brian sentiva, la fatica che gravava sul suo corpo come un pesante e invisibile macigno, altro non era che milioni di granelli di disperazione e di autodistruzione, di agonia e di continua e incessante lotta contro non solo i fantasmi del passato ma anche di quelle nere ombre che erano sempre più reali e pericolose. La fatica di quei momenti, nonostante il sonno, era la vittima di una mente che non aveva mai smesso di rimuginare e riflettere su ogni minimo e più piccolo problema, la stessa che si era ritrovata con ipotetiche spalle al muro mentre doveva schivare e ribattere a colpi quasi mortali. E la fatica, quella mattina, sapeva anche di lacrime finalmente lasciate scivolare, di singhiozzi che avevano dovuto graffiare per poter finalmente lasciar sentire e udire la loro voce e di un dolore che, finalmente, aveva chiuso quel nido che aveva creato dentro la sua anima. Perché quella mattina, oltre e vicino a quella fatica, Brian provava un senso di liberazione, di vuoto e di pace. Pace con il passato, pace con le cicatrici che avevano dato un ultimo grido di agonia prima di essersi mostrate pronte per esser lenite e guarite.

Era stato come se una potente e immensa onda si fosse scontrata contro di lui, una tempesta che aveva seminato il suo vortice al centro della sua anima e, con forza e intensità sempre più maggiore, aveva preso dentro di sé tutto ciò che aveva trovato sul suo cammino. Quell'onda aveva avuto un nome, l'etichetta di quel crollo che tanti avevano sperato e spinto affinché accadesse; Brian lo aveva temuto, lo aveva osteggiato e opposto ogni obiezione che riuscisse a trovare fra le sue maniche. Alla fine, si era arreso; alla fine aveva aperto i cancelli e lasciato che tutto e niente si scambiassero di posto, portandosi dietro con sé anni di illusoria tranquillità e quelle ultime settimane di incertezza e di capovolgimento di ogni sua più piccola convinzione.

Brian aveva temuto quel momento; stupidamente aveva creduto che piangere per tutto ciò che aveva perso e per tutto ciò che ancora lo affliggeva, non avrebbe portato nulla se non stanchezza e perdita di tempo e energie. C'era un nemico da combattere ma, scioccamente e ciecamente, non aveva mai visto che il più temibile e più facile da distruggere era il mostro che si portava dentro di sé.

La vergogna.

Il dolore.

Quei due sentimenti erano le braccia del mostro, erano gli artigli che avevano preso e disseminato veleno in ogni angolo di anima che erano riusciti a raggiungere. Si era cibato dell'oscurità in cui Brian lo aveva chiuso dentro, aveva affilato le ossa con le bugie e le dimenticanze, con l'ostentazione di chi voleva mostrarsi e essere forte, senza badare a quella piccola guerra che stava avvenendo proprio dietro ai suoi occhi.

Silenziosamente Brian aveva chiesto perdono con le sue lacrime, aveva abbracciato entrambi e aveva sentito il mostro sciogliersi come neve al sole, pura e limpida perché il nero era stato semplicemente il colore che lui stesso aveva voluto usare per colorare e dipingere ciò che aveva sempre considerato un incubo. E, quando gli ultimi singhiozzi avevano messo fine a quella sorta di Hiroshima emozionale, Brian si era ritrovato avvolto da un senso di sollievo e di completo vuoto. Non c'era più niente dentro di lui, non c'era più quel vaso sbeccato che aveva faticato a tenere insieme i cocci: c'era una nuova brocca, molto più imponente e pronta per essere riempita da amore e accettazione.

Prima di tutto, verso se stesso.

Se lo meritava, oltretutto. Meritava, finalmente, di osservarsi allo specchio e finalmente amare ciò che vi vedeva riflesso. Non solo fisicamente parlando ma anche orgoglioso di quell'anima che, finalmente, aveva la possibilità di poter uscire e mostrarsi. E anche se forse non sarebbe andato in giro a mostrarle, anche se forse avrebbe continuato a mascherarle sotto strati di vestiti, Brian avrebbe incominciato ad amare quelle cicatrici che quel passato aveva lasciato sulla sua pelle e sulla sua anima. Meritava di ripensare a quegli anni e a sentirsi orgoglioso dell'uomo che quel ragazzino era diventato, nonostante le cadute e l'odio che si era lanciato addosso perché era più facile così, era più semplice odiare il proprio riflesso così debole invece che tener conto delle conquiste. Non sarebbe stato facile, non sarebbe stato come aprire gli occhi e trovarsi ogni risposta di fronte a lui, pronta per esser raccolta e fatta propria. Era un piccolo passo, il primo gradino di un sentiero che sapeva, Brian, non sarebbe stato sempre completamente in discesa e senza ostacolo.

Con un piccolo sbadiglio, Brian aprì gli occhi e si ritrovò ad osservare la prima ragione per cui quel miracolo era potuto accadere. I capelli biondi sparpagliati sul cuscino bianco, le lunghe ciglia che sembravano stessero accarezzando la pelle e le labbra leggermente socchiuse. I raggi del sole, la luce dorata di una mattina che si era svegliata ben molto prima di loro, aveva scelto come sua tavola il corpo del compagno regalando così a Brian la bellezza di un'immagine che aveva sempre osato sognare fino a quel momento. Era stato proprio quell'immaginario disegno, quello scorcio di una quotidianità a cui lui poteva solamente aspirare, a fargli decidere di comprare immediatamente quella casa mesi e mesi prima: non appena era stato accompagnato nella stanza e aveva visto quell'enorme vetrata che, come uno specchio, rifletteva direttamente sul letto la perfetta combinazioni di azzurri fra mare e cielo, nei suoi occhi si era raffigurata quella scena che ora stava respirando e vivendo. Sì, scioccamente e ancor romanticamente senza speranza, Brian quel lontano giorno si era immaginato di potersi svegliare una mattina di fronte a quel reale e vivente dipinto, stretto e abbracciato fra le braccia dell'unica persona che aveva sempre preso parte e costruito ogni suo sogno e fantasia.

Aveva sognato, Brian.

Aveva fantasticato quel risveglio, conscio che se anche Nick avesse miracolosamente condiviso i suoi stessi sentimenti, lui non sarebbe mai stato capace di cercare e trovare una così intensa, profonda e naturale intimità.

E ora, invece, l'aveva.

Viso contro viso, pochi centimetri di distanza in cui poter sentire il respiro dell'altro contro la propria pelle; la mano sinistra di Nick rimaneva ed era rimasta appoggiata per tutta notte sul fianco di Brian, come se volesse impedire al compagno di scomparire e volatizzarsi via lontano da lui; una gamba di Brian, allo stesso modo, era intrecciata sopra la coscia di Nick, come se anch'egli avesse bisogno di quel contatto fisico per potersi ancorare e non perdersi negli incubi. Eppure, nel corpo e nell'anima di Brian, non c'era né tremore né paura. Quella posizione, quell'intimità, si era rivelata essere così naturale e confortante esattamente come aveva sempre letto, visto e immaginato; avrebbe voluto e avrebbe potuto rimanere così per ore, perso e intento a catalogare ogni piccolo dettaglio di quel corpo mentre aspettava, forse con un pizzico di trepidazione e ansia, che quelle lunghe ciglia lasciassero intravedere l'azzurro degli occhi.

Non c'erano più dubbi in Brian. Non c'era più, a scorrere insieme al sangue, la paura che Nick se ne andasse vedendolo crollare e apparire, di fronte a lui, senza più nessuna armatura o difesa. Era stata quella una delle obiezioni che lo avevano sempre portato a nascondersi, piuttosto che lasciare uscire tutto: una volta distrutto il primo mattone, sarebbe rimasto scoperto, un'anima vulnerabile e indifesa da cui tutti avrebbero potuto captare qualsiasi pensiero o emozione. Nick, soprattutto, avrebbe visto ogni suo singolo difetto e crepa e non ci sarebbe più stato demone o incubo che Brian avrebbe potuto ancora far finta che non esistesse.

Ma Nick era rimasto. Nick lo aveva stretto, lo aveva tenuto fra le braccia fino a quando anche l'ultima lacrima era scivolata via; aveva ascoltato ogni suo singhiozzo, lo aveva accarezzato e confortato con il tocco e la sensibilità di chi sapeva che non c'erano parole per far scomparire il dolore. Ciò che aveva, però, sconfitto ogni remora erano state quelle lacrime che il compagno aveva condiviso insieme a lui, quel dolore per ciò che era successo e che non aveva potuto ostacolare, quel sentimento di agonia per quel Brian che non avrebbe mai potuto conoscere e quella paura per ciò che, forse, era stato tolto loro in futuro. Come poteva, dunque, Brian aver dubbi su Nick? Come poteva anche solo lontanamente immaginare che, un giorno, Nick se ne sarebbe andato lasciandolo completamente senza appoggio e supporto?

Piangere non era bello. Piangere, crollare letteralmente come aveva fatto lui poche ore prima, non era qualcosa di attraente o romantico come poteva esserlo in un film o in un romanzo. Piangere era l'ultimo baluardo del proprio orgoglio, era un qualcosa che non sarebbe mai dovuto accadere di fronte alla persona a cui si era sempre promesso e giurato di essere guida e mentore, eroe e protettore. Piangere, Brian lo sapeva, lo aveva lasciato con due occhi ancora gonfi e umidi, come se ancora la sua anima stesse cercando di lasciar sfuggire via nuove gocce di disperazione e di sollievo; c'era una pressione che batteva contro le sue tempie, un assordante e costante battito che sembrava volesse richiamare la nausea, quasi come se ci fosse ancora qualcosa da poter riportare in superficie. C'erano ancora singhiozzi, ultimi singulti di un'anima che aveva perso la voce e che ora voleva solamente riposare e guarire.

Nick non avrebbe dovuto essere lì. Non con lui, non in quella situazione che ancora Brian faticava nel comprendere che fosse davvero reale. Ma lo era ed ancor più vero era quel contatto che sapeva di caldo e di amore, un costante memo che non ci sarebbero state obiezioni e ostacoli a farli ancora allontanare.

Poteva abituarsi, Brian. Non era forse quello parte del processo di guarigione? Abituarsi a quella sempre più crescente intimità, abituarsi ad aver qualcuno su cui potersi fidare ciecamente; qualcuno su cui poter crollare e sapere, con assoluta certezza, che non avrebbe trovato rivoltante svegliarsi e trovarsi di fronte un viso ancora segnato dalle lacrime. Sì, poteva abituarsi ad imparare ad avere fiducia in Nick, a testare i propri limiti e cercare sempre di renderli più ampi, fino a quando avrebbe finalmente raggiunto quella tanto agognata e desiderata normalità. E anche se, forse, non sarebbe mai stato in grado di donarsi completamente a Nick, Brian sapeva che insieme sarebbero riusciti a trovare compromessi e equilibri. Non era quello l'amore, d'altronde? L'amore quello vero, quello pratico e non solo abbellito di grosse promesse e parole che sembravano essere uscite da libri di poesia. L'amore pratico, l'amore quotidiano che si dipanava nei momenti buoni e cattivi, che cercava di scavalcare i problemi e di trarre il meglio da ogni situazione. Era a quello che, ora, Brian si stava aggrappando per incominciare a rinascere da nuove spoglie. Era a quel momento, a quel risveglio così naturale e semplice, che Brian stava stringendo attorno ogni sua speranza. Non importavano e non avrebbero avuto importanza e attenzione, almeno quel giorno, i motivi per cui entrambi si trovavano in quel luogo che solo Brian conosceva; per un giorno, anche solo per misere ventiquattr'ore, tutto ciò che avrebbe avuto rilevanza nella mente di Brian sarebbe stato riprendere in mano i cocci e i cardini della sua vita, incominciando a gettare delle fondamenta per quella che sarebbe stata l'unica vera ragione per cui valeva la pena combattere con la testa e l'orgoglio così altri che chiunque avrebbe potuto notarli.

Come se fosse il gesto più naturale e istintivo al mondo, come se fosse qualcosa a cui lui fosse abituato a fare ogni giorno, Brian si sporse con il viso abbastanza per poter appoggiare le labbra sulla fronte di Nick, lì in quel punto dove la pelle si lasciava imbellire e proteggere dai capelli. Il sorriso nacque naturalmente, una curva su quella linea che era sempre stata dritta e piegata da una disperazione che ora vibrava lentamente in sottofondo, come se essa avesse compreso di esser stata sconfitta e messa in secondo piano.

«Bri?»

Il richiamo arrivò da un lieve sussurro, la voce ancora imprigionata nel sonno e sottolineata da un'espressione aggrottata mentre Nick tentava, quasi stoicamente, di svegliarsi e comprendere che cosa avesse svegliato il compagno.

«Sh. - Ribatté Brian, posando l'indice sulle labbra di Nick. - Torna a dormire.»

Nick rispose con un mugugno, più simile ad un grugnito, prima di voltarsi e rimanere supino; il braccio non perse il contatto con il corpo di Brian, stringendolo ancora più a sé e quasi costringendo il ragazzo a riaggiustarsi in modo da essere più comodo.

«Anche tu, vero?»

Il sorriso continuò a rimanere sul volto di Brian. Come poteva non sorridere quando, finalmente, non c'era nessun filo di paura o di panico dentro di lui? Sapeva che gli incubi e tutto quel dramma lo avrebbe aspettato non appena messo piede fuori da quella casa e da quel paesino che era diventato il suo rifugio. Ma ora, mentre appoggiava la testa sul petto di Nick e la mano andava a tener conto dei battiti del suo cuore, non c'era niente che poteva farlo tornare in quell'angolo buio in cui si era rintanato per dieci anni.

«Sì.»

 

 

 

 

 

********

 

 

 

 

 

Poche ore più tardi, fu un urlo a ridestare Brian. Non apparteneva a lui quel grido, non era l'effetto e conseguenza di un incubo capace di sfuggire al suo controllo e di riprendersi palco e attenzione in un battito di ciglia. Non poteva essere suo quell'urlo poiché, quella notte, non c'era stato nessun demone né fantasma o frammento del passato: Brian si era semplicemente ritrovato immerso in un universo completamente buio, un nero imperscrutabile e un mare così calmo e placido che, per qualche secondo, aveva pensato Brian che non appartenesse nemmeno alla sua mente. Invece lo era perché anch'essa era così esausta fino all'ultima cellula, fin all'ultimo nervo, da non poter più essere in grado di lanciare le sue reti intrise di veleno e renderlo prigioniero di tutto ciò che avrebbe preferito non ricordare mai più.

No, quell'urlo apparteneva ad un'altra voce. Quel grido apparteneva a qualcuno che aveva promesso, si era ripromesso e aveva giurato ad ogni lacrima, che avrebbe protetto più della sua stessa vita e sanità mentale. La voce era quella di Nick e bastò quella semplice constatazione per far rinascere il panico dentro Brian.

Stupido! Stupido! Stupido!

L'attacco arrivò senza bisogno di avvertimenti o segni premonitori. Arrivò e colpì Brian in pieno petto, portandosi via la capacità effettiva e pratica di respirare, incamerare aria e ossigeno vitale affinché i propri polmoni potessero assolvere la loro primaria funzione. Nelle orecchio, nell'udito, l'unico suono era quel grido che continuava a venir ripetuto come se fosse una traccia ormai bloccata, rovinata dal pensiero di ciò che poteva essere successo.

Come aveva potuto pensare di essere al sicuro?

Come aveva potuto pensare di proteggere Nick quando non era mai riuscito a proteggere se stesso?

Stupido, stupido, stupido!

Avrebbe dovuto tenere in conto quell'ipotesi. Perché non ci aveva pensato? Oh, già! Troppo occupato a piangere, troppo occupato a commiserarsi e a provare pietà per quel destino e, nel frattempo, nessuno si era accorto che erano stati seguiti. Nessuno si era reso conto che Tyler li aveva seguiti. Lo avrebbe sempre fatto, d'altronde. Era come una mosca di cui non ti riesci a liberare, era un invisibile segugio che non avrebbe mai perso il passo. Un’ombra che si sarebbe sempre nascosta nel buio, in un angolo così piccolo e innocuo da farci caso solamente quando era troppo tardi per combattere o difendersi.

Una vocina, una flebile candela che ancora cercava di resistere in quella tempesta di panico e ansia, stava tentando di dirgli qualcosa: era la voce della ragione, dell'essere obiettivi e pratici, e cercava di mettere un puntino su quella frase. Potevano esserci mille motivi per quel grido. Poteva, e doveva esserci, una ragione molto più semplice e innocua. Ma quelle parole non arrivarono mai ad essere ascoltate.

Agendo solo sotto la spinta dell'istinto, Brian si ritrovò a camminare verso il luogo da cui Nick aveva urlato. La cucina. L'unica altra stanza, dopo il salotto, che aveva accesso diretto sulla spiaggia. Che cosa gli era venuto in mente di comprare quella casa in cui chiunque avrebbe potuto entrare? Un rifugio, lo aveva sempre considerato. Un rifugio che ora sembrava essere una fortezza senza più mura o barricate che potessero trattenere e respingere i nemici.

Stupido, stupido, stupido!

Brian attraversò il corridoio, maledicendosi mentalmente per l'improvvisa lunghezza e quasi irraggiungibile distanza dalla camera da letto. Il silenzio della mattina era soppresso e soffocato da un costante ronzio nelle orecchie di Brian, un suono che si alternava a quel battito impazzito e troppo veloce, troppo rapido per essere fermato e riportato alla normalità. Non sapeva nemmeno che cosa avrebbe fatto una volta giunto alla sua destinazione anche se ciò che più lo terrorizzava, e aumentava il suo panico, era non sapere ciò che avrebbe trovato di fronte a suoi occhi. Per un istante, si ritrovò fermo a pochi passi dalla stanza: il terrore aveva immobilizzato ogni muscolo, l'ansia aveva preso in ostaggio i nervi e li stava letteralmente torturando con le più fervide e angoscianti immagini, tratteggiate in schizzi rossi e pallidi contorni di qualcosa che avrebbe dovuto rimanere lontano da quell'angolo sicuro.

Pochi passi. Pochi passi e quella minima distanza fu sufficiente a dare una sferzata al panico, facendo provare a Brian la netta sensazione che quella casa, già di per sé piccola, si stesse rimpicciolendo e chiudendosi attorno a lui.

Pochi passi. Eppure, con uno sforzo dettato solo da quell'orgoglio che non avrebbe mai accennato a scomparire nei momenti peggiori, Brian si ritrovò a compierli uno dopo l'altro. Se anche Tyler fosse stato lì. O peggio, se anche Tyler fosse ancora presente in quella casa, scappare e fuggire non sarebbe servito a nulla, se non a prolungare quell'agonia e quel continuo e incessante terrore. Ora, più di qualsiasi altro, era il momento per tirare fuori quella forza e quel coraggio di cui tutti si complimentavano e gli invidiavano.

Ora, più di qualsiasi altro attimo, era giunto il momento di affrontare il suo nemico e metter fine a quell’incubo.

Pochi passi e Brian si ritrovò sulla soglia, quella linea di confine fra realtà e incubo, fra terrore e... sollievo. Sì, sollievo. Perché ecco che cosa erano stati quei minuti, quei lunghi e quasi interminabili attimi. Erano stati frammenti di un incubo che, anche se sfuggito via dalla sua naturale ambientazione onirica, si era scontrato ed era stato sconfitto dalla più semplice realtà. E il sollievo, in quel momento, fu così potente da lasciare Brian senza nessun supporto, un colpo secco allo stomaco e un'ondata capace di portare via ogni energia mentale. Non c'era stato nessun attacco, non c'era sangue da cancellare via e nessuna situazione estrema a cui dover far fronte. Nella luce della cucina, in quel luminoso raggio che arrivava direttamente dalla finestra e riscaldava piastrelle e mura, Nick si trovava sano e salvo. Maledicendo una padella e insultando delle povere uova che avevano avuto l'ardire di cadere e rompersi sul pavimento. Ma, a parte ciò, Nick stava bene.

Brian si lasciò scivolare contro lo stipite della porta, raccogliendosi poi in una sorta di protettivo guscio. Nonostante l'essersi reso conto che non c'era e non c'era mai stato un effettivo pericolo, li echi del panico continuavano ad essere delle reti strette attorno a lui. In quel frangente, Brian sapeva che sarebbe bastato poco per mandare al diavolo quel patto di risoluzione che aveva stretto con se stesso durante quelle ore antecedenti al suo risveglio; l'orlo del precipizio si stava sgretolando sotto le sue gambe e, con una tentatrice voce, sussurri cercavano di portarlo là dove Brian si era ripromesso non sarebbe mai più tornato. Era forse quello il test più importante, uno snodo fra il lasciare che ci fossero solo parole e intenti invece che prendere quelle promesse e trasformarle in azione.

E l'avrebbe fatto, Brian.

Attacco dopo attacco, giorno dopo giorno. Non sarebbe stato facile, sapeva Brian che sarebbe stata forse una delle cose più difficili da affrontare ma piangere, ora, su ciò che era stato non avrebbe portato via nemmeno un'ombra di panico.

Chiuse gli occhi, appoggiando la fronte contro le ginocchia. Intimò al suo cuore di smetterla di battere così velocemente, quasi come se esso stesse cercando di sfuggire via dalla gabbia toracica che lo teneva prigioniero. E, senza esser in grado di dire quanto tempo trascorse, lentamente il suo respiro incominciò a tornare normale, portandosi dietro quella sensazione di esser sul punto di svenire per la mancanza di ossigeno. Solo i suoi nervi continuarono a tremarono, dando l'aspetto a Brian di una foglia alle prese con le folate di vento. Ma, al contrario di essa, Brian si rialzò e combatté contro quella corrente.

Combattere il negativo con il positivo, era quella una delle prime frasi che la sua terapista aveva cercato di consigliargli. Consiglio che Brian a malapena aveva captato, men che meno ascoltato, compreso o fatto proprio. Ancora rinchiuso nella sua bolla di autodistruzione, ricordava che avrebbe voluto urlare contro quella donna e domandarle come diavolo avrebbe potuto trovare anche un solo filo di positività in quello che gli era successo. Ora, invece, non solo Brian sapeva dove trovare quei fili ma essi erano riuniti in quel ragazzo che aveva di fronte agli occhi.

Lentamente, Brian si avvicinò a lui e mise in atto un'altra immagine che lo aveva avvolto e spinto a comprare quella casa. In quella cucina così luminosa, in quella stanza dove il sole giocava a riflettersi sulle piastrelle e sul pavimento e l'aria del mare dava un buongiorno tutto speciale, Brian si era sempre immaginato una scena del genere, una mattina sorniona in cui abbracciare il proprio compagno mentre intenti a preparare la colazione. Il suo cuore fece un salto all'indietro di fronte a quell'intento, spinto più che altro da quella primitiva difesa attorno ad un'anima che era ormai stata lasciata completamente scoperta.

Una volta scomparsa la distanza fra di loro, una volta raggiunto il compagno in piedi di fronte ai fornelli, Brian prese un profondo respiro e, socchiudendo gli occhi, cinse le braccia attorno alla vita di Nick. Si alzò in punta di piedi e, a tempo di quel battito all'improvviso sempre più forte e veloce, appoggiò le labbra sulla base della nuca e vi lasciò un bacio.

Un sorriso apparve sul volto di Nick, un volo di speranza batté contro il cuore mentre le sue mani andavano a coprire ed intrecciarsi insieme alle dita di Brian.

«Ehi.»

«Buongiorno.»

L'augurio uscì in un suono un po' strozzato, la gola ancora resa un arido deserto dopo essersi prosciugata durante la notte. Ma c'era un punto di solarità in quella semplice parola, una positività che si unì a quei raggi di sole che scaldavano la stanza. Senza nemmeno bisogno di chiederlo, Nick allungò la mano verso dove aveva scoperto venivano tenuti i bicchieri e, dopo averne preso uno, lo riempì con dell'acqua fresca. Doveva sembrare sciocca quella scena, se qualcuno mai sarebbe stato lì presente, vedendo loro due muoversi sincronizzati e senza mai staccarsi l'uno dall'altro. Ma non durò a lungo perché, in qualche modo, Nick fu costretto ad interrompere quell'abbraccio per passare il bicchiere nelle mani del compagno.

«Dormivi così profondamente che ho preferito non svegliarti.» Commentò mentre, con l'indice, accarezzava dolcemente la linea della mascella. C'erano segni che non poteva non notare, li indizi che parlavano di un risveglio non certo dettato dall'aver finalmente esaurito il bisogno di dormire. Ma li lasciò perdere, li lasciò sfuggire via perché quel sorriso era qualcosa di molto più importante e soddisfacente. Era qualcosa che augurava il miglior risveglio e buongiorno che avessero loro mai avuto nelle ultime settimane. Era qualcosa che batteva, profumava e sapeva di speranza.

«E hai deciso di tentare di avvelenare chiunque nel raggio di cinque chilometri?»

L'umorismo, la battuta, non erano mai mancati nemmeno nei momenti peggiori. Eppure, in quella cucina lontano da tutti e da tutto, sembrava essere quella uno scorcio di normalità troppo bella per non poterla afferrare senza rischiare di rovinarla.

«In che senso? - Domandò Nick con la fronte aggrottata. - E' solo una frittata, sono ben capace a farla.»

Lo sguardo di Brian, a quelle parole, cadde se quelle macchie che ancora erano sfuggire alla pulizia di Nick.

«Okay, okay. Ho fatto un piccolo errore ma... - Nick alzò la padella con una mano e, con l'altra, semplicemente l'indice. - ... sono capace di cucinare.»

«Oh, non metto in dubbio le tue capacità. Ma quelle uova sono rimaste in quel frigorifero dall'ultima volta che sono stato qui. Ovvero prima del tour.»

«E' già tanto che ci sia elettricità in questo posto dimenticato da Dio. - Ridacchiò Nick. - Seriamente, come diavolo sei finito qui? Nemmeno mi ricordo il nome! Gou qualcosa... nel Maine.»

«Gouldsboro.»

«Appunto. Quanti abitanti ci sono?»

«Pochi. Ecco perché me ne sono innamorato.»

«Nessuno sapeva che avevi questa casa. Pensavo che avessi tenuto la casa di Atlanta.»

Brian scosse la testa. «L'avevamo comprata perché Leighanne voleva stare vicino ai suoi genitori. Una volta che ci siamo lasciati, mi è sembrato giusto che fosse lei a tenerla, visto come l'ho presa in giro per tutti questi anni.»

Nick non commentò quell'ultima frase, non solo perché vi era un lieve fondo di verità in quelle parole ma perché sapeva che Brian avrebbe opposto resistenza ad ogni sua obiezione. Non era quello il momento per ritrovarsi a discutere su cose così futili e inutili, considerato che tutto voleva Nick tranne che parlare della ex fidanzata del suo compagno. Così Nick lasciò scivolare via le risposte e le obiezioni, facendo proprio quel nuovo pezzo di informazione.

«E quindi sei finito qui?»

«Avevo bisogno di un posto tutto mio, un angolo in cui non sarebbe mai arrivata la fama e dove avrei potuto essere solamente Brian. Anche se ancora dovevo capire chi fosse quel Brian. Così, nei momenti di pausa, prendevo la macchina e semplicemente guidavo, fermandomi in piccoli paesini per riposare: se il luogo mi piaceva, rimanevo in una locanda e giravo attorno, cercando la casa perfetta.»

«E così sei finito qui.»

«Più o meno, sì. - Ribatté Brian con un velo di risata rauca. - Mi sono innamorato di questa casa non appena l'ho vista. Ha una vista stupenda e... mi sembrava il luogo perfetto dove incominciare a cercare e costruire una sorta di vita. Credo.» A quell'ultimo tono di indecisione, Brian abbassò gli occhi e puntò la sua attenzione su quel poco di acqua rimasta nel bicchiere.

Nick rimase qualche secondo in silenzio, completamente portato via da quanto il ragazzo di fronte fosse differente da quello che aveva tenuto stretto fra le braccia solamente qualche ora prima. Dove prima Brian avrebbe cercato di nascondere ogni croce, ogni titubanza o insicurezza, ora non aveva più remore nel mostrarle e lasciare che chiunque potesse vederle.

Soprattutto a lui.

«Ti assomiglia, lo sai? Questa casa, intendo. E' molto Brian.»

Era stata una sorpresa quando, il giorno prima, Brian aveva mormorato il nome di quel paesino. «Portami a casa.» gli aveva semplicemente scongiurato e come non avrebbe potuto Nick cercare di esaudire almeno quella preghiera? Così aveva guidato fino a quel paesino dimenticato da chiunque, in quella casa che sapeva di Brian in ogni angolo e che lasciava, a chi oltrepassava la soglia, la sensazione di essere in un posto caldo e confortevole. Non era, quella casa, la stessa mansione di Atlanta dove quasi serviva una mappa per non perdersi fra i corridoi e quell'immenso parco attorno; era, invece, un piccolo cottage che bastava appena per loro, costringendo la loro guardia del corpo a dormicchiare sul divano. Costruita su un unico piano, quella casetta era l’unica costruzione all’interno di una delle tante insenature che caratterizzavano quella parte di costa del Maine; se da una parte si affacciava sulla spiaggia e, quindi, poi sul mare, dall’altra invece era circondato da un giardino che consentiva e regalava privacy e tranquillità. Era da esso che, per mezzo di un sentiero in ciottoli, ci si addentrava prima in un patio, adornato con vasi di fiori e piante aromatiche, per poi entrare nella casa: il salotto dava il benvenuto in quelle mura, accompagnando poi il visitatore nell’open space che univa sala da pranzo e cucina; in fondo al corridoio, dall’altra parte, bagno e camera completavano quel piccolo rifugio. Eppure, Nick riusciva a comprendere come mai Brian si fosse innamorato di quel luogo: non solo per lo spettacolo di spiaggia e mare a portata di pochi passi ma quelle enormi vetrate che lasciavano entrare i raggi e la luce del sole, inondando le pareti e le piastrelle di un immenso oceano dorato. Entravi in quelle stanze e avevi subito la sensazione di esser immerso in un abbraccio, un calore che si avvolgeva attorno al corpo come una coperta e che ti sussurrava che sarebbe bastato un respiro profondo per poter ritrovare se stessi.

Esattamente come Nick si sentiva, ogni volta, quando aveva o si trovava fra le braccia del maggiore.

«Davvero? - Domandò Brian con un'espressione sorpresa ad ingrandirgli gli occhi. - Non è nemmeno terminata.» Terminò poi, guardandosi in giro e cogliendo quegli angoli che si era ripromesso di completare il più velocemente possibile.

«Non si nota nemmeno. - Lo rincuorò Nick. - Sì, ti assomiglia. E non solo perché è piccola. Ma perché ti dà l'impressione di essere davvero a casa, un luogo in cui poter esser se stessi, in cui sentirsi protetti. In cui essere normali persone invece che cantanti superstar.»

«La casa di Atlanta era bella, perfetta come luogo dove incominciare la propria famiglia e passarsela di generazione in generazione. Ma era troppo grande. E anche se volevo stare da solo, anche se stavo cercando un posto dove potermi nascondere da tutti e da tutto, allo stesso tempo non volevo essere schiacciato dalla solitudine. E qui... - Brian volse lo sguardo verso la finestra, piccola rispetto all'enorme vetrata che si apriva e dava accesso al terrazzo, posta sopra il lavandino. - ... ti basta aprire le finestre per avere i suoni della spiaggia e della gente che si incontra e chiacchiera. Posso accendere lo stereo in sala e poterlo sentire fino in camera. Non sono costretto a vivere nel silenzio. Non sono costretto a sentirmi solo quando non ho nessuno attorno.»

Nick allungò la mano, appoggiandola sopra il dorso di quella di Brian. Impegnati a chiacchierare e senza rendersene conto, si erano spostati sulle sedie bianche che circondavano il grande tavolo. Eccoli lì, seduti, l'uno di fronte all'altro e più vicini di quanto lo fossero mai stati, non solo fisicamente parlando.

«Ora non sarai più solo. - Il tono di voce di Nick si addolcì, rivelando una tenerezza che sempre e solo con Brian riusciva a manifestarsi in modo così naturale e puro. - E la casa sarà di certo meno silenziosa con me in giro.»

Brian si ritrovò semplicemente a sorridere; il suo sorriso rispose all'accenno di risata che sfuggì via dalle labbra di Nick, il cuore un po' più gonfio e caldo per quell'implicita promessa che rendeva ancora più tangibile e reale quel giuramento che Brian aveva stretto con se stesso quella mattina. Più di tutto, e forse a discapito di tutto, era a quel futuro che ora Brian si affidava e per il quale avrebbe affrontato a testa alta anche il più minuscolo dei problemi e ostacoli. Così si ritrovò a piegarsi in avanti, annullando quel poco di aria e spazio rimasto fra lui e Nick, e appoggiare le labbra su quelle del compagno. L'inizio di quel bacio fu titubante, incerto fra quelle striature che ancora volevano ricordare a Brian che cosa era stato scritto e inciso sulla sua pelle. Ma ogni tocco era un ricordo che veniva cancellato, ogni carezza di labbra era un brutto pensiero che veniva sostituito da quelle sensazioni che nascevano e diventavano sempre più intense e assordanti. Non c'era spazio per i dubbi, non c'era un attimo in cui entrambi avrebbero potuto dedicare a obiezioni o rimorsi. Era quello come il loro primo bacio, il primo dove finalmente c'era una sorta di verità in entrambi: niente bugie, niente fughe dal passato o cercare di nascondere qualcosa che non era ancora reale.

Semplicemente loro.

«Wow.»

Fu un respiro a sfuggire via a Brian mentre appoggiava la mano sulla guancia di Nick e le sue labbra, ancora, cercavano le ultime carezze sulla bocca di Nick.

Per tutto il tempo del bacio, Nick aveva osservato attentamente Brian. Il primo tocco era arrivato sì all'improvviso, cogliendolo impreparato e così di sorpresa perché tutto si era aspettato ma non quello.

Non quel Brian.

Avrebbe dovuto saperlo. Avrebbe dovuto, Nick, pensare e prepararsi ad un'apparizione di quella forza che nemmeno sotto le ultime ondate di tempesta si era lasciata spezzare e distruggere. Era lì, invece, in tutta la sua più fiera lucentezza, mostrando piccoli scorci di ciò che sarebbe diventato il loro futuro. Ma non era quella maschera dietro cui Brian si era nascosto fino a quel momento, non era quel continuo illudersi di non aver nessuna macchia o ferita: davanti a lui, davanti ai suoi occhi, Brian si stava mostrando senza più remore o paure. C’era il sorriso, c’era la speranza e la voglia di incominciare a vivere nel presente, invece di fuggire solo dal passato; allo stesso tempo, però, c’erano in primo piano tutte le sue debolezze, tutta la stanchezza e il dolore.

«Sei differente. - Si ritrovò Nick a pronunciare, appoggiando anch'egli la mano sulla guancia di Brian. - I giorni precedenti, anche quando cercavi di sorridere per rassicurarmi e rassicurare tutti, c'era quell'espressione negli occhi di chi è tormentato, di chi non riesce a sfuggire ai propri problemi. Ora quell'espressione è scomparsa. Ora sei davvero Brian, forte e allo stesso tempo non imbarazzato delle tue debolezze.»

«Avevate ragione. Avevo... avevo bisogno di quel crollo. Non l'ho mai fatto, lo sai? Ero sempre pieno di rabbia, ero sempre convinto che piangere su ciò che mi era successo non avrebbe cambiato nulla. E, per qualche tempo, non avevo nemmeno la forza di piangere. E poi... - Brian scrollò le spalle, appoggiando la schiena contro lo schienale della sedia. - ... beh, lo sai. Ho cercato di dimenticare tutto. In questi dieci anni non mi sono mai reso conto che quel Brian era solamente un bambino che aveva solamente bisogno di essere abbracciato, di essere confortato perché non aveva onestamente idea di dove sbattere la testa. Ho sempre pensato a tutto quello che avevo perso, a tutto quello che mi era stato portato via e a come ancora ne ero segnato e di quanto ancora me ne vergognassi. Questi due giorni mi hanno aperto gli occhi. Non posso dire di aver fatto completamente pace con il mio passato ma... diciamo che siamo riusciti a trovare un giusto compromesso. E anche se Tyler è ancora là fuori a rendere la mia vita ancor più complicata, ho una ragione in più per non lasciarlo vincere ancora una volta.»

«E quale sarebbe?»

«Mattine come queste. Addormentarmi e svegliarmi accanto a te, scoprire ogni giorno fino a quanto posso spingermi e imparare un nuovo modo per starti e averti accanto. Ho sempre pensato di non poter mai avere tutto questo, una vera relazione e un amore capace di vedere oltre ciò che mi è successo.

Eppure sei qui.

Mi hai visto crollare, mi hai sentito urlare e piangere e hai visto la parte che credevo più brutta e orribile della mia anima. E, questa mattina, mi sono svegliato con un braccio stretto attorno, come se avessi avuto paura che potessi sgaiattolare via nella notte.»

«Nessuna parte della tua anima potrà mai essere brutta. Orribile è ciò che Tyler ti ha fatto. Deplorevole è il suo comportamento e questa sua ossessione per te. Ma tu e la tua anima? Mai, non potranno mai esserlo.»

Brian si lasciò accarezzare da quelle parole, le prese e le mise in un angolo dove sapeva avrebbe potuto sempre guardare nei momenti di maggior dubbio e insicurezza. Dove prima avrebbe semplicemente abbassato lo sguardo e trovato ogni scusa possibile come obiezione, in quel momento invece Brian accettò quel complimento con un solo sprizzo di rossore sulle guance.

«Anche con gli occhi gonfi e l'aspetto di un fantasma?» Scherzò, quindi, con una punta di risata bagnata da quelle lacrime che ancora inumidivano e rendevano lucidi gli occhi.

«Credimi, mi sono svegliato accanto a persone che avevano un viso molto più orribile del tuo! E non avevano di certo trascorso ore a piangere.»

La risata aumentò di volume e intensità, spezzando via una parte di serietà in cui quella discussione e conversazione si era appena dipinta. Non voleva, Brian, già spezzare quel desiderio che aveva creato quella mattina, quella voglia di trascorrere almeno un giorno senza parlare di mostri e demoni, di come imbarcarsi in quella relazione già difficoltosa come ogni storia d'amore. Ma alcuni punti dovevano essere messi in chiaro, c'erano alcune certezze e decisioni di cui Nick doveva essere messo al corrente: niente più ombre, niente più segreti pronti a sgretolare qualsiasi sicurezza erano riusciti a costruire.

«So che non sarà facile. So che ci saranno giorni in cui tener fede alla mia promessa sarà di per sé un peso e una missione difficile. Ma ora più che mai voglio tutto questo: voglio queste mattine, voglio una vita normale. E, chissà, magari amandoti riuscirò ad imparare ad amare me stesso.»

 

 

 

 

 

********

 

 

 

 

Gouldsboro era un villaggio della costa del Maine, una landa divisa fra cottage isolati e caratteristici per chiunque avesse voluto trascorrere una vacanza accerchiato da silenzio e natura. Il centro vero e proprio, il cuore di quella piccola cittadina quasi sconosciuta alla maggior parte delle persone, si estendeva con vie sempre perfettamente curate, edifici storici di cui la popolazione ne andava oltremodo fiera e orgogliosa e quelle spiagge che la rendevano un posto perfetto per nascondersi o fuggire via dalla caotica vita di città. Ogni famiglia si conosceva da generazione a generazioni, secoli in cui i rami si erano allungati e intrecciati fra loro; pur essendo una comunità molto intima e stretta, però, i forestieri che venivano e finivano per vivere lì venivano accettati e accolti senza remora o diffidenza.

Come tutti i piccoli paesi americani, anche Gouldsboro era stato colpito dalla crisi che aveva quasi messo in ginocchio la propria economia, basata principalmente sulla pesca e su quel turismo che veniva sempre abbandonato per far fronte a bisogni più necessari e primari. Così, la piccola locanda cittadina, costruita quasi un secolo prima e passata nelle mani della stessa famiglia, era diventata il centro di ritrovo per chi ormai non aveva più un lavoro con cui trascorrere tutto il tempo. Molti di essi erano pescatori, schiacciati dal tempo che continuava sempre a peggiorare e dall'inquinamento che distruggeva quei pochi pesci che ancora nuotavano in quelle acque. Molti di essi erano padri di famiglia, ingarbugliati in una situazione in cui non sembrava esserci fine e il cui peso del fallimento gravava sulle loro spalle ogni giorno di più. Molti di essi erano uomini senza più speranza, se non quella dell'oblio promessa da pinte di birra e qualsiasi altro tipo di alcohol disponibile. E, fra questi uomini e in passato lavoratori, vi era qualcuno che non avrebbe di certo rifiutato a sporcarsi le mani e invischiarsi in affari rischiosi se significava poter avere la possibilità di tirare un attimo di respiro e mettere a tacere debiti che rischiavano di soffocarli.

Anthony Rhodes aveva sempre desiderato di poter fuggire via da quel piccolo punto su una cartina. La vista di quell'esteso color azzurro lo aveva sempre attratto e, come una sirena incantatrice, lo aveva richiamato a aprire le sue ali e volare via per trovare nuove avventure. La fortuna, però, aveva un differente disegno per il suo futuro: un incontro, una notte romantica e annegata in stelle e alcohol, e ogni sogno di una vita nuova e avventurosa era stato cancellato da un vagito nove mesi più tardi. L'onore e il senso del dovere erano stati valori così inculcati dentro di lui sin da piccolo che, fuggire, non era nemmeno passato per un brivido o un attimo di paura: nascosti i propri sogni in un cassetto e gettato quest'ultimo in un angolo così lontano e appartato da non esser mai più disponibile a esser recuperato, Anthony aveva accettato qualsiasi tipo di lavoretto che gli permettesse di mantenere e dare ai propri figli tutto ciò che lui aveva sempre desiderato per se stesso. C'erano state notti in cui, con le braccia strette attorno alla moglie e gli occhi chiusi ingannando il sonno, Anthony si lasciava prendere per mano da come sarebbe potuta essere stata la sua vita se fosse partito, se si fosse lasciato dietro tutta quella miseria e, come tanti emigranti prima di lui, ritornare una volta diventato ricco e famoso.

Il mattino, dopo quelle fantasie notturne, era sempre più pesante e difficile da affrontare, soprattutto in quegli ultimi mesi dove il lavoro era diventato sempre più scarno e scarso che la speranza era solo un piccolo punto pronto per essere schiacciato. Invece di trascorrere ore al largo, su una minuscola barca e tornare con le reti pietosamente vuote, i pomeriggi venivano trascorsi ad un tavolo della locanda, il boccale di birra sempre pieno e il pericoloso passatempo di giocare a poker quando nemmeno sapeva a memoria le regole.

Quel giorno, una giornata in cui il sole batteva e sapeva di estate anticipata, Anthony si trovava come al solito alla locanda. In passato, nei primi momenti dopo la sua costruzione, quell'edificio era stato utilizzato come cantina per gli appartamenti che si trovavano ai piani superiori. Casse e casse di vini venivano stipate in quei locali fino a quando arrivò l'idea di trasformare quella collezione in un'attività che avrebbe permesso ai proprietari di guadagnare. Così, enormi e piccoli tavoli di quercia vennero disposti in tutta l'aerea, un bancone venne posizionato su lungo tutta una parete e, in poco tempo, essa divenne il punto e luogo d'incontro per la maggior parte degli uomini di quel piccolo paesino.

Come tutti i giorni, Anthony sedeva in un tavolo all'angolo, nella zona più addietro della locanda e dalla quale si doveva per forza transitare per poter raggiungere il bagno; il continuo andirivieni di persone non gli aveva mai dato fastidio e, in un certo senso, lo aveva sempre fatto sentire meno solo. Quasi tutti condividevano i suoi stessi problemi e dubbi, righe e solchi di preoccupazione che si potevano notare nelle fronti corrugate, negli occhi già annebbiati da fumo e alcohol, da droghe e sogni che richiamavano vecchie glorie e futuri in cui ancora si poteva sperare. Ripensandoci, a mente fredda e con il senno di poi, l'uomo si ritrovò a domandarsi per quale motivo era stato scelto proprio lui per quel lavoro. Era stato l'ammontare di tutti i suoi debiti? O il fatto, il piccolo e misero dettaglio, che nessuno in famiglia sapesse della sua situazione? O erano stati tutti i soldi persi al gioco, quelli spesi per una bottiglia di birra di troppo o per un effimero tentativo di distrarsi e allontanarsi da quel luogo tetro e buio in cui era caduto?

Non lo avrebbe mai saputo.

Anthony non avrebbe mai saputo perché, proprio al suo tavolo, in quel pomeriggio che solo annunciava una serata ancor più anonima e annoiata, si sarebbe fermato quell'uomo con il potere di cambiare, stravolgere e distruggere, infine, la sua vita.

Non riuscì mai a vederlo. Non riuscì mai a descriverlo perché non solo quel locale era sempre buio ma anche perché il suo interlocutore era sempre rimasto controluce. Interlocutore. Non esattamente, considerato che non avevano mai scambiato parola. Quello strano individuo aveva semplicemente lasciato cadere un telefonino e una busta prima di scomparire così come, improvvisamente, era comparso davanti a lui.

Nemmeno il tempo di stupirsi, nemmeno il tempo sufficiente per domandarsi e chiedere che cosa stava succedendo che il telefono, lasciato così casualmente sul tavolo, incominciò a squillare. Anthony si guardò attorno, dubbioso se dovesse rispondere o meno. La curiosità era tanta, fremeva dentro di lui per cercare di comprendere e di discernere quel mistero.

Era davvero per lui quella chiamata?

Se non era, invece, avrebbe dovuto o meno rispondere?

Lo squillo terminò nel mentre della sua indecisione e, proprio quando Anthony stava per allungare la mano e recuperare la busta che giaceva sotto il telefono, ecco che questo riprese a squillare.

Si guardò in giro, sperando di poter ritrovare l'uomo misterioso che aveva abbandonato quell'altrettanto e più sconosciuto pacchetto, ma non vi era traccia di quell'individuo. A quel punto, vi era un'unica cosa da fare.

Le dita si strinsero attorno al cellulare, l'indice schiacciò il pulsante per dare inizio alla comunicazione e, con un respiro tremolante e carico di ansia e trepidazione, Anthony rispose a chiunque fosse dall'altra parte della cornetta.

«Pronto?»

«Finalmente ha risposto, Anthony! Iniziavo a dubitare che il mio amico fosse riuscito nel suo intento.»

«Con chi sto parlando?»

«Non è importante sapere il mio nome. La domanda più importante è sapere se la somma è abbastanza per lei.»

«Somma?»

«Non mi dica che non ha nemmeno aperto la busta. Su, su, lo faccia! Controlli!»

Spinto da quella voce così autoritaria, Anthony si ritrovò a tendere la mano e soppesare quella busta bianca. Solo al tatto, solo a prenderla sul palmo, essa sembrava contenere abbastanza denaro per poter realizzare, finalmente, quel sogno che lo inseguiva sin da piccolo.

«Dovrebbe esserci abbastanza per poter pagare i suoi debiti e magari fare qualche piccolo regalo a sua moglie. Non si sa mai che cosa potrebbe sapere, no?»

Vi era una lieve, sottilissima e velata minaccia in quelle parole. Sua moglie, quella santa donna che ogni giorno lo rincuorava dicendo che un giorno sarebbero riusciti ad andarsene, non poteva sapere che oramai lui non aveva più lavori da più di un mese e che quasi tutti i loro risparmi era stati spesi per i suoi capricci.

«Che cosa vuole da me?»

Una risata si allungò nell'etere, arrivando a tratti quasi malefica.

«Un solo piccolo favore. Che cosa può essere un piccolo lavoretto fra amici?»

«Non siamo amici. Non so nemmeno il suo nome.»

«Oh, invece credo proprio che siamo amici. Gli amici si aiutano, giusto? E io sto aiutando lei con quella busta e salvare la sua famiglia. Oltre a far sì che niente possa accadere loro. Sarebbe davvero un terribile destino se qualcosa succedesse a sua moglie, vero? O a suo figlio. Quanti anni ha? Abbastanza per guidare, no?»

La rabbia si mischiò con la disperazione ed un accenno di sconfitta incominciò a farsi strada dentro Anthony: di fronte a quella minaccia non poteva sottrarsi. Per un qualche sconosciuto motivo, il suo istinto gli stava urlando che con quel tizio, con quella voce quasi metallica al telefono, c'era poco da scherzare o giocare.

«Chi mi dice che non è solo un bluff?»

«Caro Anthony, il mero fatto che io sappia ogni minimo movimento o spostamento di tutta la sua famiglia dovrebbe già dirgli che un bluff non è nemmeno lontanamente vicino a questo posto.»

«Che cosa vuole?» Domandò Anthony, la voce ormai sconfitta e le dita della mano strette con spasmodica intensità attorno al bordo del tavolo.

«Ora incominciano a ragionare. Come le ho detto, si tratta semplicemente di uno scambio di favori. Io la aiuto con il suo problema di liquidità mentre lei mi aiuta per una questione un po' più... personale.»

«In che senso?»

«Come si sentirebbe se qualcuno si intromettesse fra lei e sua moglie? Come si sentirebbe se qualcuno cercasse di portargliela via e far passare lei come il cattivo della situazione?»

«Tradito. Furioso.»

«E cercherebbe di farla pagare a questo terzo incomodo, vero?»

«Sì.»

«Ecco. Questo è il piccolo favore che le sto chiedendo, Anthony. Impartire una piccola lezione.»

«La aiuterò. Anche perché ha reso quasi impossibile rifiutare. Le domando solo una cosa in cambio.»

«Più di quello che già le ho offerto? - Una risata interruppe quel momento carico di tensione. - Non riesco a capire come mai non riesca mai vincere a carte.»

«Il suo nome. Mi sembra congruo sapere il suo nome, visto che lei conosce così tanto e tutto su di me.»

«Ha ragione. Ha ragione.» Rispose la voce dopo un attimo di silenzio.

«Quindi mi darà con chi sto parlando da più di dieci minuti?»

Un altro attimo di silenzio.

Anthony poteva sentire il rumore statico della conversazione, il battito sempre più rapido del suo cuore e il vociare del locale era diventato un ovattato sottofondo.

«Brian. Brian Littrell. Questo è il mio nome.»

 

 

 

 

 

 

***********

 

 

 

 

 

C'era qualcosa di speciale in quel luogo e Nick stava incominciando a comprendere la ragione per cui Brian se ne era innamorato a tal punto da comprare una casa e considerare di viverci. Forse era la vista che si godeva da quella terrazza: un dipinto con tutte le sfumature dell'azzurro, indistinto fra cielo e mare, che si allungava e allargava fino all'infinito, regalando la sensazione che bastasse semplicemente lanciare i propri problemi in un punto per vederli scomparire.

Con i gomiti appoggiati sulla ringhiera, le dita intrecciate l'una nell'altra mentre il pollice destro giocava con una vecchia cicatrice lasciata sul polso sinistro, Nick osservava il punto più lontano della costa, quella punta sulla cui estremità si ergeva un faro e, dietro di esso, l’inizio di una tempesta che si stava avvicinando verso quel piccolo paesino. Nubi grigie incominciavano a diventare sempre più nere, ingrossandosi e allargandosi con fare minaccioso mentre, ogni tanto, un bagliore dorato lasciava presagire il rombo di tuoni e fulmini.

La mente di Nick si stava agitando esattamente come quella tempesta; per giorni era stata calma, impossibilitata da pesanti corde nell’essere lasciata libera e rincorrere tutti i pensieri che si stavano formando. Non c’era tempo per fermarsi, non c’era nemmeno uno spiraglio per poter lasciare adito a quelle immagini che volevano prendere vita, volevano lasciar sprigionare tutta la loro voce.

Ma non poteva.

Non aveva potuto.

Era stato semplice, in quei giorni, sviare l’attenzione e le energie su ben altri pensieri e problemi. Brian era stato il suo centro, e non solo da un punto di vista strettamente romantico. Su di lui, attorno a lui, erano state concentrate tutte le sue attenzioni, anche se Nick dubitava che avessero avuto un qualche minimo effetto. Dal giorno in cui si erano messi insieme, la promessa che aveva stretto con se stesso era sempre e solo vissuta in parole e mai concretizzata realmente in fatti. La realtà, nella sua più dolorosa delle accezioni, era solo una: per quanto potesse dire e dirsi di essere in grado di sopportare il peso di qualcun altro, il fallimento era tutto ciò che lo avrebbe abbracciato nel momento in cui avrebbe iniziato a mettere fede e pratica a quelle parole.

Che aiuto aveva portato a Brian?

Nessuno, era quella la più cruda verità.

Non sapeva, Nick, come reagire o comportarsi con il maggiore. Soprattutto alla luce di ciò che gli aveva raccontato. Un brivido si fece strada lungo la schiena, facendolo rabbrividire nonostante i caldi raggi di sole che stavano usando la sua pelle come letto su cui addormentarsi. Ancora non riusciva bene a collegare quella violenza al ragazzo che aveva conosciuto e che era diventato parte di sé in tutti quegli anni. Era impossibile, era illogicamente impossibile che lo stesso Brian di cui si era innamorato per quell’ottimismo e solarità infinità fosse lo stesso a cui era stata rubata buona parte della sua adolescenza.

Eppure, era vero.

E Nick non aveva idea di come comportarsi. Era vero, i sentimenti per Brian non erano cambiati ma, anzi, si erano all’improvviso ingigantiti e aumentati di intensità, assieme a quell’ammirazione che mai aveva pensato potesse raggiungere nuovi livelli. Ma, nonostante le belle parole, quel segreto aveva cambiato radicalmente le carte in tavola e lo aveva messo in una posizione scomoda e quanto mai fragile.

Come poteva far finta di niente?

Non poteva dimenticare ciò che era stato fatto, non poteva scordare che, forse, lui e Brian non sarebbero mai riusciti a essere una coppia totalmente normale. Eppure, non era la probabile mancanza del sesso ciò che lo impauriva: in confronto a ciò che aveva guadagnato, rispetto a quell’intimità che andava oltre quella meramente fisica, il dubbio se mai Brian fosse riuscito a mettersi tutto alle spalle non lo spaventava come avrebbe dovuto in teoria.

Ciò che lo terrorizzava, ciò che ora lo lasciava impietrito di fronte all’ennesima dimostrazione di forza, era la consapevolezza che avrebbe, di certo, combinato qualche disastro. Un passo falso, un gesto che sarebbe potuto essere confuso e si sarebbe ritrovato a ferire, ancora, la persona che più amava nella sua vita.

Lo aveva già fatto, no?

Non importava che Brian avesse dimenticato, non importava che Brian avesse perdonato quel suo momento di pazzia. Nick non riusciva a dimenticare quegli attimi, non riusciva a perdonare di essersi comportato esattamente come quel pazzo e psicopatico da cui stavano cercando di liberarsi.

Ma era il senso di inutilità la stella di quello spettacolo, era quell’amico che si era preso un posto in prima fila e difficilmente Nick sarebbe riuscito a scrollarselo di dosso. E quella mattina ne era stata un’ennesima dimostrazione, l’ennesima prova che, in realtà, Brian non avrebbe mai lasciato controllo e potere nelle sue mani.

Quella mattina. Nemmeno poche ore prima. Una manciata di minuti prima.

Perché mai Brian avrebbe dovuto farlo?

Il cambiamento nel ragazzo era straordinario. Per giorni, per settimane, Nick si era trovato di fronte l’ombra e il fantasma del Brian che gli era stato prima amico e poi amante e compagno. Sorrideva, continuava a tenere in piedi la facciata che si era costruito negli anni ma, poco sotto la superficie, era così palese e apparente che stava velocemente crollando: lo si vedeva negli occhi, in quella luce che qualcuno aveva spento e portato via, lasciando in cambio l’immagine e i filamenti di un incubo e di uno spettro. Poi era arrivato, finalmente, il momento in cui nessuna forza o energia era stata in grado di trattenere le lacrime e la disperazione che tempestava dentro quell’anima, nubi e chicchi di gradine che erano stati coltivati e alimentati da quell’incubo che sembrava non avere fine. Nick si era trovato spiazzato, incapace di trovare parole o frasi per confortare quell’anima che era rimasta segregata per anni e anni, impossibilitata a chiedere e ottenere quell’abbraccio che avrebbe potuto rimetterla in sesto. E mentre i minuti si trasformavano in lunghe e interminabili ore, anche lui si era ritrovato a piangere, a condividere lacrime silenziose che si mischiavano e perdevano con quelle di Brian. In quelle gocce, in quell’acqua salata raccolta in un’unica particella, vi era raccolto non solo una sofferenza empatica per quel bambino che non aveva conosciuto, per quel Brian che non aveva mai potuto sfiorare se non nei racconti di Kevin o nelle immagini di infanzia dipinte per caso. No, Nick si era ritrovato a lasciarsi fuggire via quel sentimento di oppressione che lo stava tenendo prigioniero, quella rabbia e odio verso la consapevolezza che non sarebbe mai riuscito ad aiutare il compagno. Come poteva? Come poteva mettere una pezza quando nemmeno era stato in grado di aiutare e salvare se stesso?

Un sospiro. Un tremolante sospiro, intrecciato e infarcito di lacrime che chiedevano di uscire, fu l’unica risposta. Era tutto un controsenso, come sempre quando di mezzo c’era Brian. Era sempre stato così e Nick non era mai riuscito a comprendere come mai, proprio con lui, si ritrovava sempre a non essere in grado di fare ciò che era sempre stato naturale e implicito in lui: per anni si era preso cura dei suoi fratelli, per anni aveva praticamente mandato avanti lui la sua stessa famiglia e, eppure, quando era Brian a trovarsi nel bisogno, ogni insegnamento e ogni conoscenza se ne andavano via correndo, lasciandolo impietrito e… inutile.

Non era nemmeno riuscito a convincerlo a mangiare o a dormire! Aveva fatto tutto da solo esattamente come, quella mattina, aveva deciso di non lasciarsi più condizionare dal suo passato.

Come ci riusciva?

Dove nasceva quella forza?

Lo ammirava. Oh, più dell’amore, era l’ammirazione che continuava a crescere sempre più d’intensità. Ma, allo stesso tempo, lo odiava. Non era esattamente odio, non era lo stesso bruciante e rosso sentimento che provava per il cattivo e mostro di tutto quella storia; non sapeva, Nick, come ben definirlo ma era una sorta di risentimento che era iniziato a montare e nascere all’alba della rivelazione di Brian. Era, quel sentimento, frutto di anni in cui Nick non aveva fatto altro che prendersela con il maggiore, a prendere un pugnale e infilare la punta dentro una ferita che nemmeno sapeva che esistesse, ungendola con accuse di non saper, di non poter davvero sapere come ci si poteva sentire di fronte ad innumerevoli e continui colpi del fato e del destino. Quante volte lo aveva insultato? Quante volte Nick aveva rifiutato l’aiuto del maggiore perché sicuro che non avrebbe mai potuto capire? Come poteva quel Brian, quel Brian che non aveva mai avuto un problema nella vita, poter comprendere il casino che era e sarebbe sempre stata la sua vita?

Ed ora, ora che sapeva la verità, Nick si odiava per tutto quello. Voleva cancellare tutto, più di tutto voleva poter tornare indietro e riprendere ogni singola parola d’insulto che aveva lanciato come arma.

Ma non poteva.

Doveva fare i conti con tutto quello che aveva fatto in passato, con il suo comportamento da pazzo e bambino viziato e ringraziare ogni santo per il semplice motivo che, nonostante tutto, Brian avesse e continuasse a sceglierlo come compagno di vita.

Era quello il punto e il problema fondamentale. Quella decisione avrebbe dovuto cementare la convinzione di aver fatto almeno una cosa giusta nella vita, avrebbe dovuto aumentare la sua autostima e cercare, in ogni modo, di essere tutto ciò che Brian aveva bisogno in quel momento. E, invece, eccolo lì, tormentato dai dubbi e prigioniero di una rabbia che cercava di mascherare la propria commiserazione.

Eccolo lì a cercare una giustificazione, un alibi per poter abbandonare la nave e scappare prima di combinare disastri.

“Nick? Io sono pronto, possiamo andare…”

La voce di Brian fu il click che riportò Nick alla realtà, accorgendosi per la prima volta di quelle lacrime che erano riuscite a scivolare via a sua insaputa. Con ancora la schiena voltata verso il compagno, si asciugò velocemente le guance sperando che i suoi occhi non fossero rossi abbastanza da contraddire le sue parole.

“Okay. Devo solo…”

Non riuscì a terminare. La voce si interruppe, infrangendosi contro il groppo ruvido e graffiante di tutto quel cumulo di emozioni che avrebbero voluto urlare e prendere a calci qualcosa. O qualcuno. Nick non disse nulla, rimase perfettamente immobile, le braccia perpendicolari al corpo mentre Brian si avvicinava. Chiuse gli occhi nell’esatto attimo in cui percepì il respiro del ragazzo a pochi centimetri dal suo collo, quel profumo di shampoo che Brian si ostinava a non cambiare sin da quando si erano conosciuti.

La prima carezza, un soffio di dolcezza, lo colse di sorpresa. Si era aspettato, Nick, domande e commenti su quel suo momento di debolezza.

Invece.

Niente di tutto quello, quasi come se Brian già sospettasse che quelle lacrime sarebbero arrivate, prima o poi. Il pensiero lasciò un’altra cicatrice, perché era un’altra tacca nella lista di tutte quelle cose che Brian riusciva a fare mentre lui si trovava ad arrancare e cercare di comprendere come lui riuscisse sempre a percepire che cosa stesse passando per la sua testa e anima. Una lacrima scivolò via, il labbro inferiore venne preso prigioniero dai denti per impedire ad un singhiozzo di fuggire via e una seconda carezza si appoggiò sulla guancia, rimanendo lì con quella calda impronta di amore e di comprensione.

«Br..»

«Sh.»

Non disse nient'altro. Brian semplicemente circondò il corpo del ragazzo nell'abbraccio più stretto che potesse riesumare in quel momento. Non importava ciò che il suo corpo potesse pensare o ripescare dal passato; anzi, in quel momento il passato e tutto ciò legato ad esso sembravano solamente degli echi di un incubo che sapeva di infanzia e adolescenza. Si era così tanto perso in se stesso, in tutti i suoi problemi e su come cercare di rimettersi in piedi, che Brian aveva totalmente e completamente trascurato gli effetti e le conseguenze su chi lo circondava.

Su Nick.

Tecnicamente, ci aveva pensato ma sempre e solo in riferimento a come lui avrebbe potuto comportarsi o su come avrebbe reagito di fronte alle sue parole. Il mondo, fino a quella mattina, era ruotato attorno a lui ed era quello un altro cardine che Brian voleva smontare. Così si strinse attorno a Nick, infondendogli tutto quell'amore che stava, lentamente, cancellando gli strascichi di insicurezza e dubbio su quella relazione; strinse le braccia attorno alla vita, appoggiando la testa in quel perfetto incavo fra collo e spalla e lasciando che fossero le sue dita a trasmettere segnali di conforto.

Sfogati. Ecco che cosa volevano dire quelle linee e tocchi. Butta fuori tutto, non avere paura.

Fu come se Nick avesse compreso quei segni. Pur insultandosi mentalmente, pur rifiutandosi di ammettere che era ciò di cui aveva bisogno, Nick abbassò il viso e lo nascose fra i ciuffi e riccioli biondo miele di Brian, lasciando che fossero essi ad assorbire quelle lacrime che finalmente potevano essere libere di fuggire; le dita si strinsero attorno alle pieghe della maglietta che Brian indossava mentre i singhiozzi facevano tremare nervi e muscoli come se fossero foglie fragili vittime del vento.

«Andrà tutto bene. Nick, andrà tutto bene.» Sussurrò Brian, un sospiro intervallato da piccoli tocchi di labbra sulla pelle.

«Come puoi dirlo? Come puoi?»

Le parole vennero inghiottite dai singhiozzi e Nick si ritrovò a staccarsi da quell'abbraccio, il fuoco di rabbia si era ingigantito all'improvviso e aveva aura di poter bruciare chiunque gli stesse vicino.

«Devo pensarla in questo modo. Se penso a tutto ciò che c'è di negativo... sai bene dove e come mi ritroverò.»

«Io... - Nick alzò le braccia al cielo, i pugni ben stretti e le unghia ormai conficcate dentro la pelle. - ... c'è un pazzo che sta facendo terra battuta attorno a te. Un pazzo che dieci anni fa ha distrutto la tua vita e...»

«E cosa? Nick, te l'ho detto, non posso continuare a lasciare che il passato mi condizioni. E non dovresti farlo nemmeno te.»

«Come? Non sono come te! Non ho nemmeno idea da dove riesci a tirare fuori quella forza e... - Le spalle si abbassarono sotto il peso di quel tumulto dentro la sua anima. Non riusciva, Nick, nemmeno a trovare le parole per spiegarsi. Frasi e parole sfuggivano via così rapidamente che rimanevano solamente monconi che non avevano nessun senso o filo logico. - ... perché sono qui, eh? Non ti sono d'aiuto, non sarò mai d'aiuto perché non so nemmeno di che cosa hai bisogno. Non riesco nemmeno a capacitarmi di quello ti è successo e non riuscirò mai a comprendere ciò che tutto questo significa per te.»

«Quando ancora non sapevi, quando ancora ti eri promesso di lasciarmi spazio e fiducia, ricordi che cosa hai fatto? Hai cercato di capire senza nemmeno chiedere, ti sei messo ad indagare per potermi aiutare senza dovermi forzare.»

«Era diverso.»

«Perché?»

«Perché non ho mai messo in pratica niente di tutto quello che ho letto! Non... ho avuto paura. Paura che fosse tutto vero, paura che tu fossi realmente come quelle persone di cui leggevo. E ora che il peggior incubo si è rivelato reale, mi ritrovo al punto di partenza. Vorrei aiutarti. Ma non so come.»

Non era quello il momento, per Brian, di dimostrare insicurezza. Nemmeno lui sapeva di che cosa avesse bisogno, forse una gigantesca spugna che cancellasse tutto e gli permettesse di ricominciare su un nuovo libro, completamente bianco e pulito. Ma per quanti dubbi e incertezze ci fossero, ora doveva riprendere in mano il controllo e dare un senso a Nick. Mettergli di fronte ciò che era davvero e non quel riflesso di odio e vittimismo in cui Nick si lasciava sempre prendere prigioniero. Così era sempre stato. E così doveva essere in un rapporto, dove ci si aiutava e supportava a vicenda, a prescindere da chi avesse più o meno diritto di essere triste o piangere.

«Ho solo bisogno che mi ami. Sapere questo, avere la prova e dimostrazione pratica che non sono solo belle ma illusorie parole, è tutto ciò che mi serve per rialzarmi in piedi ogni volta.»

«Sì ma... come puoi ancora fidarti di me? Come puoi non avere paura che possa farti ancora del male?»

«Non posso. Ma poi come puoi tu sapere che non sarò io a farti del male? Nessuno di noi può saperlo. Amare è un atto di fede, fidarsi e credere di non doversi ritrovare con il cuore spezzato. Ma se continui a pensare a ciò che è stato, se continui a ritornare su quell'errore e a non perdonarti, non riuscirai mai a guardare avanti.»

«Sono stato uno stupido. Ma... ma non riesco a non pensare di poter essere come lui.»

«Con lui intendi Tyler?»

«Sì.»

L'ammissione fu potente quasi come un colpo sferrato dritto allo stomaco. Si attorcigliò attorno ad esso, incominciò a stringere fino a quando un senso di nausea incominciò a risalire su per la gola. In qualche modo, Brian avrebbe dovuto immaginarlo. A ruoli opposti, a posizioni inverse, anche lui avrebbe incominciato a formulare quella paura, rendendola così grande e opprimente da cancellare e impedire di vedere tutto il resto. E, allo stesso ed esatto modo, anche Brian per anni aveva permesso ad un'antica paura di prender così tanto possesso di se stesso da lasciarlo sordo alle parole di chi diceva e affermava il contrario.

«Posso continuare a ripeterti, all'infinito, che tu e lui non sarete mai la stessa persona. Potrei ripeterti, fino all'ultimo respiro, che sono sicuro che non riusciresti mai a ridurmi come lui ha fatto. - Mentre Brian pronunciava quelle parole, in un sussurro che risuonava più deciso e determinato di quanto mai urla e grida avessero potuto ottenere, si avvicinò a Nick appoggiando poi la mano lì dove batteva il suo cuore. - Ma fin quando continuerai a credere ciò, le mie parole saranno solamente buttate al vento. Solo tu puoi convincerti che non siete lo stesso mostro, solo tu puoi incominciare a credere che sì, hai commesso un errore, ma che non lo ripeterai in futuro. Solo tu puoi renderti conto di quanto stai lasciando che problemi e ricordi del passato ti stiano condizionando ora.»

La mano di Nick andò ad appoggiarsi sopra il dorso di quella di Brian. Come sempre, il maggiore era riuscito a infilarsi dentro la sua anima, captando sin dalle prime parole qual era il punto attorno cui stavano ruotando quelle lacrime e quelle urla.

«E' difficile non dare ascolto a tutte quelle voci. E’ difficile non credere a ciò che mi hanno sempre ripetuto, a ciò che io stesso mi sono detto per poter continuare ad andare avanti.»

«Lo so. Sono come piccole zanzare che continuano a ronzarti attorno e, invece di succhiare sangue, si cibano di consapevolezza e sicurezza. Devi solo trovare il modo per schiacciarle.»

«E suppongo che tu non mi possa imprestare il tuo, vero?»

«Vorrei. Esattamente come tu vorresti entrare nella mia testa e cancellare via tutto affinché io sia felice, vorrei poter far lo stesso con te. Ma non posso. Avevi ragione, ho bisogno di essere egoista e pensare solo a me stesso. Non ho le energie per essere anche il tuo supereroe. - Un timido sorriso illuminò entrambi i volti, rischiarendo quella discussione che stava pesando su di loro come pesanti nubi grigie. - E, in realtà, è solo uno spreco di tempo aspettare che qualcuno arrivi e risolva tutti i propri dilemmi. Il tuo supereroe deve essere te stesso. Solo tu puoi davvero salvarti e ricominciare tutto da capo.»

Ci fu un attimo di silenzio, un frangente di tempo in cui Nick lottò, ancora, contro il groppo in gola. Ma, almeno, in quel momento quella bolla era formata da commozione e dal più grande senso di amore mai possibile verso una persona. Perché fu in quel momento che Nick comprese ciò che aveva letto in uno di quei tanti siti che aveva controllato e studiato praticamente a memoria: quella non era la sua battaglia. Non era nemmeno la loro di guerra. Era qualcosa che Brian doveva affrontare con le proprie di armi, anche se a volte avrebbe significato dover abbassare la guardia e cercare un nascondiglio. Esattamente come lui doveva affrontare da solo le sue insicurezze e cercare, per la prima volta, di lenire quelle ferite che il passato, la sua famiglia e se stesso avevano inflitto. Lui e Brian non dovevano essere degli eroi salvatori per l’altro; lo dovevano essere, prima di tutto, per loro stessi.

D'istinto, prima ancora di parlare, si ritrovò ad appoggiare le labbra sulla fronte di Brian e lasciarvi un lungo bacio, un sospiro che sapeva di ringraziamento e di quant'ammirazione e amore potesse convertire in quel gesto. Quando Nick si staccò, ancor prima di poter formulare un suo primo accenno di risposta, Brian prese la sua mano e l'appoggiò su quel punto in cui pelle e capelli si incontravano.

«Qui c'è una piccola cicatrice. E' stato quando mi ha preso, dopo esser scappato la seconda volta, e buttato per terra. C'era un pezzo di legno e ci ho sbattuto contro la tempia.»

Dalla tempia, Brian fece scendere le due mani fino alla spalla.

«Mi stringeva le mani dietro la schiena, in modo da non farmi scappare. E me le ha strette così forte da dislocarmi la scapola.»

Il corpo tremava. Nick percepiva con quanta intensità il ricordo di quei momenti si stava facendo pesare su ogni muscolo e nervo. Avrebbe voluto mettere a tacere quella voce, nonostante tutto senza un filo di fremito o nervosismo, ma intuiva che era quello di cui Brian aveva bisogno in quel momento. Stava tenendo fede a quel giuramento di mostrarsi, invece di nascondere e lasciare che marcisse e avvelenasse tutto il resto dell'anima.

Le dita, intrecciate insieme, scivolarono fino alla vita. I fremiti aumentarono di intensità, ancora incapaci di distinguere da ciò che quei tocchi significavano ora dal ricordo di ciò che era stato in quel passato che era tornato come un mare in burrasca. Ma la voce, la voce non aveva e non tremava neppure per un attimo.

«Lividi. Neri segni delle dita che mi tenevano fermo. - Brian si staccò qualche attimo da Nick, la distanza sufficiente per potersi voltare e alzare la maglietta. - Avevo la schiena piena di graffi e tagli. Alcuni si sono infettati e sono rimaste queste quasi invisibili cicatrici bianche.»

Brian rimise a posto la maglietta, voltandosi una seconda volta per ritornare ad osservare Nick.

«La cosa peggiore sai qual è? E' continuare a sentire le sue mani su di me, il suono della sua voce, il suo respiro. Lui è sempre qui, nella mia testa. Non c'è secondo che passi senza che ricordi qualcosa di quella giornata. E non c'è attimo in cui non voglia fare come ho sempre fatto, dimenticare tutto e far finta che niente sia successo.»

«Ma ti ritroveresti ancora in queste condizioni, prima o poi.»

«Quando dico che tutto ciò che puoi fare è amarmi, non è solo una di quelle belle frasi magiche dei film. Non posso cancellare ciò che è stato ma tu puoi aiutarmi a sostituire quei ricordi con sensazioni ed emozioni molto più positive. E per quanto possa essere spaventato, per quanto ancora ci siano voci e urla che sono sicuro che tenteranno di ostacolarmi, non vedo l'ora di vedere che cosa possiamo diventare. Non vedo l’ora di appoggiare una mano sul fianco e pensare che una tua carezza abbia lasciato un tocco caldo invece di un livido.»

Quell'ottimismo era fin troppo contagioso per non esserne minimamente toccati o influenzati. E la verità era che anche Nick non vedeva l'ora di scoprire che cosa il futuro avrebbe riservato loro ma sapeva che sarebbe stato più difficile se avesse continuato ad aspettarsi il peggio da ogni situazione. O piangersi addosso.

Senza aggiungere nient'altro, Nick abbassò semplicemente il viso in modo da poter essere allo stesso livello di Brian; bastò uno sguardo, un'espressione colma di dolce comprensione, per rimettere a posto quell'improvviso aumento di battito e di calore nel ragazzo. Bastò una semplice carezza labbra contro labbra, naso contro naso, per cementare e sugellare quel nuovo inizio. Non servivano più parole. Non serviva, almeno in quel momento, ripetersi promesse e giuramenti.

Era il momento di mettere in pratica, di incominciare a dare un nuovo senso e direzione alle loro vite. E a quella che volevano che fosse solo loro, vissuta insieme attimo dopo attimo.

«Ora che ne dici di andare a fare colazione?»

Una risatina sfuggì dalle labbra di Nick, prima che esse si riappoggiarono sulla bocca di Brian. «Ormai è ora di pranzo.»

«Anche meglio. Conosco un ristorantino sulla spiaggia che fa dell'ottimo pesce.»

«Finalmente!»

«Finalmente cosa?»

«Finalmente ti sento parlare di cibo.»

Una risata si unì a quella che aveva intrecciato le sue corde attorno all'esclamazione di Nick.

«E non mi hai ancora visto alle prese con la spesa.»

«Non vedo l'ora.»

«Posso chiederti una cosa?»

«Certo.»

«Solo per oggi, possiamo far finta di essere solamente Brian e Nick? Niente altre discussioni, niente altre paure e timori. Niente Tyler. Solo per questo giorno.»

Come poteva, Nick, rifiutargli ciò? Da una parte, la proposta di Brian giungeva con un accenno di sorpresa da parte sua. Avrebbe voluto, Nick, regalargli più di un giorno senza problemi o dubbi; avrebbe voluto, Nick, che quella giornata, fatta solo di primi approcci e prime esperienze insieme, potesse durare fino all'infinito. E un futuro, forse non molto lontano, avrebbe, Nick, potuto donarglielo. Ma ora, anche se solo per un giorno, Nick poteva solamente mettere un braccio attorno alle spalle di Brian e offrirgli, offrire ad entrambi, un piccolo scorcio di normalità.

 

 

 

 

 

*******

 

 

 

 

 

Trovarlo era stato un gioco da ragazzi, in quel paesino così piccolo da essere solamente un buco di case e pochi negozi.

Anche se il piano non era stato, almeno in principio, quello. Quando lo aveva progettato, in una notte quando ancora nascondersi era l'unica soluzione possibile, lo aveva fatto prevedendo di controllare e supervisionare tutto da lontano.

All'ombra. Come un burattinaio si nasconde per non far scovare il trucco.

Al sicuro, in modo da non correre mai più il rischio di essere arrestato di nuovo. Ingiustamente.

In quei piani, però, non aveva tenuto conto dell'attrazione. Avrebbe dovuto, visto che era stata essa la principale cause di tutti i suoi mali. Avevano cercato di fargli comprendere quanto essa fosse sbagliata. Malata. Ma come essa poteva essere qualcosa di così brutto quando, in realtà, era la cosa più bella che gli fosse capitato? Erano gli altri che non capivano, non lui. Erano gli altri ad avere qualcosa di sbagliato e di malato nella loro mente se non riuscivano a vedere quanto lui e Brian fossero destinati a stare insieme. Erano gli altri a leggere qualcosa di ossessivo in un sentimento che era solo la più pura espressione dell'amore.

Come potevano non vederlo?

Come potevano non notare e rendersi conto di quanto potente e incontrollabile fosse quella forza che li attraeva uno con l'altro?

Dovevano stare insieme, maledizione!

Brian doveva stare con lui, non con quel ragazzino biondo che non sapeva nemmeno come prendersi cura di lui! Eppure, i ruoli erano completamente invertiti: a lui era toccato osservare da lontano, ingoiare bile di gelosia e invidia, conati di rabbia, mentre quello stupido ragazzino poteva camminare tranquillamente insieme a Brian. Mentre quell'idiota poteva mettere un braccio attorno alla schiena e comportarsi come se fosse quello un suo diritto.

Dalla tasca della giacca, le sue dita trovarono il cellulare e digitarono un semplice e quanto mai lapidario messaggio.

Un unico ordine.

Non poteva permettere che tutto ciò potesse continuare. Non poteva permettere ancor un minuto di più di quella pantomima e di quella che, oh sì, doveva essere un'agonia per Brian. Lo avrebbe ringraziato per ciò. Forse non immediatamente. Forse, almeno all'inizio, si sarebbe arrabbiato e non avrebbe visto il vero motivo per cui aveva fatto tutto ciò. Ma Brian, alla fine, avrebbe compreso e lo avrebbe ringraziato per avergli dato quella lezione.

Non arrivò nessuna risposta. Non doveva arrivare perché colui a cui aveva mandato quell'ordine non aveva modo per rifiutarsi di farlo.

Poi rimase in attesa.

Nascosto in un angolo, lontano affinché nessuno dei due lo notasse ma abbastanza vicino per avere la prima fila di fronte a ciò che sarebbe stato il più bel spettacolo di quei giorni. Con quel piano, ne era sicuro, sarebbe riuscito a prendere due piccioni con una fava: non solo si sarebbe tolto di mezzo un fastidioso ostacolo per il suo fine ultimo, ma avrebbe impartito un'importante e più che mai meritata lezione a quel ragazzo che, ostinatamente, non voleva rendersi conto della verità. Se solo non avesse fatto quelle dichiarazioni, se solo avesse accettato di venire insieme a lui e ammettere quella verità che entrambi sapevano, forse lui non sarebbe arrivato mai a quel punto.

Ma era tardi per quei ma o forse.

Continuò ad osservare la coppia, la rabbia che aumentava ad ogni stretta e a ogni sorriso. Come poteva Brian sorridere a quel mezzo damerino, quello spilungone che nemmeno si rendeva di quale gemma rara avesse fra le mani? Era lampante che non si era nemmeno accorto della fortuna che era capitata fra i suoi piedi, bastava osservare a come aveva lasciato che Brian deteriorasse in quei pochi giorni. Dimagrito. Pallido. Persino il suo sorriso sembrava più spento del solito, come se anche quel naturale gesto richiedesse più energie di quelle che possedeva.

Poi, finalmente, accadde ciò che stava così tanto aspettando.

Fu un secondo. Un attimo che, agli occhi di qualsiasi mero spettatore, sarebbe parso solamente uno sfortunato caso del destino. Il ragazzo biondo si staccò qualche secondo da Brian, le labbra che si muovevano per mormorare una rassicurazione; a pochi metri, dall'altra parte della strada, c'era parcheggiata la loro macchina ed era lì che Nick si stava dirigendo. Così tranquillo, ancora sorridente per ciò che aveva, forse, detto a Brian, non si accorse di guardare se arrivava o meno una macchina.

L'impatto fu inevitabile.

Per un secondo in tutta la strada cadde un innaturale silenzio. Le poche persone in giro si fermarono ad osservare ciò che era successo, sconvolti e senza sapere che cosa fosse più giusto fare.

L'urlo spezzò quel frangente di immobilità e assenza di rumori. Risuonò contro ogni vetro, si infilò in ogni vicolo e pertugio lasciato aperto. Infine, giunse alle orecchie di chi era stato la mente a causare tutto ciò, colui su cui cadeva la colpa per quel corpo che ora giaceva incosciente in mezzo alla strada.

Ma lui non si sentiva responsabile. C'era un'unica punta di rimorso ma essa nasceva e moriva solamente con la consapevolezza di quell'espressione di dolore su quel volto che amava. Ma era tutto lì, altri sentimenti non trovavano posto fra l'eccitazione e la soddisfazione nel vedere portato a compimento il suo progetto.

E poi tornò quell'attrazione. Poi tornò quella sirena che incominciò a cantare sempre più forte, più alta rispetto alla confusione che si era generata dopo quell'unico urlo.

No, non era stata programmata.

No, quell'idea che stava incominciando a nascere non faceva parte del piano.

Ma come poteva resistere?

Più ci rifletteva, più l'accarezzava, più quell'idea sembrava essere la perfetta occasione per accelerare tutto e giungere al suo scopo finale. Quale miglior modo se non quello? Quale migliore opportunità se non quella di approfittarsi di un momento di totale debolezza, confusione e colpa per riprendersi ciò che era e sarebbe dovuto essere suo sin dal principio?

I piedi incominciarono a muoversi quasi senza bisogno di esser comandati o ricevere un ordine; in pochi secondi, Tyler si ritrovò più vicino a Brian di quanto fosse mai stato in quegli ultimi dieci anni. Il ragazzo che amava era girato di spalle, inchinato e inginocchiato accanto alla figura del biondino a cui stringeva la mano. Fu quel contatto a dare una sferzata ancor più alla sua rabbia e a cancellare ogni remora e obiezione di fronte a quell'improvvisa e impreparata idea. Non poteva più permettere che quel rapporto continuasse, non quando di fronte a lui si alzava la concreta possibilità di recidere ogni legame e di incominciare a far nascere le proprie di radici.

Appoggiò la mano sulla spalla, il brivido di calore per quel fugace contatto fu una scarica di adrenalina e energia che rincuorò Tyler su quella sua decisione. Poco, pochi attimi lo separavano dal mettere finalmente a finire quell'agonia per la distanza.

Si abbassò. In modo da poter avvicinarsi ancor di più e poter solamente sussurrare in un orecchio, invece che catapultare tutta l'attenzione su di lui. Il trucco, in quel frangente, era non rendersi visibile e farsi notare il meno possibile: dovevano scomparire senza che nessuno potesse ricordare o rammentare qualcosa di differente o strano.

Nessuno avrebbe dovuto vedere una coppia scomparire e dissolversi nel nulla.

«Serve aiuto?»

All'inizio, Brian non diede cenno di aver riconosciuto la sua voce. Fu un groppo duro da rimandare indietro, fu una saetta di rabbia che, però, Tyler doveva ricordarsi che non era colpa del ragazzo. Era colpa di chi li aveva tenuti lontani, di tutti quegli anni trascorsi senza che Brian potesse udire la sua voce e discenderla da quei ricordi distorti che gli avevano inculcato da chi non li voleva insieme.

All'inizio, Brian non alzò nemmeno il volto. Continuando a tenere lo sguardo fisso su Nick, balbettò sconvolto una semplice richiesta di chiamare aiuto, chiunque e qualsiasi che potesse aiutare il suo compagno.

Poi si bloccò. Tyler sentì, sotto ancora quella mano che non riusciva a staccare dalla spalla di Brian, il corpo irrigidirsi mentre il volto si girava appena. Quel tanto per ritrovarsi, finalmente, sguardo contro sguardo. Quel tanto per, finalmente, ritrovarsi puntati quegli occhi azzurri che aveva dovuto osservare schermati e filtrati da foto e televisione. Ogni dubbio scivolò via di fronte a quell'azzurro: lì, in quel momento, Tyler si rese conto che niente e nessuno sarebbe riuscito a fargli cambiare idea.

Le dita della mano si strinsero attorno alla maglietta e a quel primo strato di pelle. Vide una reazione incominciare a formarsi sul volto di Brian, un'espressione quasi simile al dolore e qualcos'altro, anche se non poteva o non voleva riconoscerla.

«Dobbiamo andare.»

Brian scosse la testa, cercando di liberarsi da quella stretta. Gli occhi tornarono a fissare la figura stesa di fianco a lui, la testa appoggiata sulle sue ginocchia e quei capelli che accarezzava con infinita tenerezza. Scosse di nuovo la testa in rifiuto, non avrebbe mai abbandonato quel posto e, men che meno, lo avrebbe fatto per allontanarsi con il suo più spaventoso incubo.

La rabbia aumentò in Tyler di fronte a quel rifiuto. Non lo avrebbe accettato, non poteva accettarlo soprattutto se veniva da Brian. Aumentò la stretta, pizzicando e assicurandosi di poter poi ritrovare un segno di quel suo passaggio sulla pelle.

Il primo marchio su qualcosa che sarebbe sempre stato suo.

«Se ti sta davvero a cuore il suo bene, ti conviene venire con me. - Un sibilo, simile a quello di un serpente velenoso mentre stringeva il suo corpo viscido attorno alla sua vittima. - Senza attirare l'attenzione.»

La minaccia sortì l'effetto desiderato. In un battito di ciglia, Brian lasciò perdere ogni obiezione e rifiuto, negli occhi una luce che si poteva solamente definire come paura. Ma Tyler non la vide, accecato dalla consapevolezza che il suo desiderio si stava trasformando in realtà: la mano, stratta attorno alla maglietta di Brian, scivolò dalla spalla fino ad incontrare l'opposta compagna; le dita si strinsero attorno al polso e Tyler non poté fare a meno di notare quanto fragile e piccolo esso fosse.

Oh, con lui le cose sarebbero cambiate!

Oh, con lui Brian sarebbe rinato, avrebbe cercato e fatto fiorire quella bellezza che nessuno ancora era riuscito a far brillare in tutta la sua maestosità.

Scomparirono nel nulla. Due silenziose figure che scivolarono via dal campanello di gente accorsa attorno all'incidente, due ombre che si unirono a quelle degli edifici e delle case, dei lampioni e dei vicoli che si trasformavano in stradine. E da stradine, poi, si dividevano in fitti sentieri di rocce quando portavano verso il mare o alti e sempre più spessi alberi quando portavano verso i boschi.

Scomparirono, Brian e Tyler, senza che nessuno se ne accorse. Senza che nessuno notasse lo sguardo terrorizzato e angosciato di Brian, in netto contrasto con l'espressione più colma di estasi e gioia di Tyler. Senza che nessun'orecchia captasse la flebile e debole preghiera di Brian, parole e frasi mormorate a fior di labbra che chiedevano solamente che almeno una vita fosse risparmiata, in quel disastro. Senza che nessuno notasse quel breve attimo in cui gli occhi di Nick si aprirono, muovendosi nella frenetica ricerca di chi lo aveva sempre consolato in quei momenti. Senza che nessuno ascoltasse quel sussurrato e rauco «Brian», un richiamo che si perse in un cielo azzurro e con il vento che lo disperse fra le rocce e i boschi.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

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Un po' di note riguardo questo capitolo. 
E' stato un parto! lol

A parte gli scherzi, avrei potuto averlo pronto molto prima se solo, dopo quasi 8,000 parole, non mi fossi resa conto che ciò che avevo scritto contraddiceva il capitolo precedente. Quindi ho dovuto riscrivere tutto e, credo, sia stata una benedizione perchè amo come è venuto questo capitolo. 

Amo questi personaggi. Sì, ciò implica che amo questo Nick. XD Ma ho sempre detto che amo molto di più i miei Nick rispetto a quello reale (sono una ragazza complicata, lo so. lol). Amo questi personaggi perchè sono cambiati, pur tenendo quelle caratteristiche che dovrebbero rimandare ai veri e reali Brian e Nick. Soprattutto, spero di poter far giustizia a quello scricciolo di forza che è il vero Brian.

Secondo.

Anche i cattivi hanno il libero arbitrio. lol

Non doveva essere questo il finale. Avevo già programmato come avrebbe dovuto terminare ma Tyler ha deciso di fare ciò che voleva. E, devo dire, che ho subito amato questa sua presa di autonomia e indipendenza. Era la sferzata che mi serviva per non cadere in stallo con questa storia. Ora non vedo l'ora di continuare a scrivere per farvi vedere come andrà a finire.

Al prossimo capitolo!

(e, nel frattempo, io recupero i pop-corn in attesa dei commenti e delle varie ipotesi.)

Cinzia

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Capitolo 22
*** - Ventesimo Capitolo - ***


                                                             * Ventesimo Capitolo *     

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 


 

 

 

Michael Hotch era stato detective sin da quando il vecchio ispettore, un uomo che  aveva sempre rappresentato ogni minimo cliché appartenente al più classico dei romanzi polizieschi, aveva deciso di sfruttare la pensione e trasferirsi in un posto dove non piovesse ogni giorno: il vecchio Pete era stato un mentore, non solamente un capo; era stata la persona che gli aveva insegnato tutti i trucchi del mestieri, insegnamenti che non si potevano trarre da lezioni o libri ma che fiorivano  dalla vita quotidiana, dal più stupido caso fino a quello più complesso che erano caduti fra le scrivanie del suo distretto.

Chiamare il suo posto di lavoro “un distretto” era quasi un insulto, dal tanto piccolo e quasi inutile fosse in quel piccolo paesino. Eppure, il detective non avrebbe mai cambiato il suo lavoro per nessun altro al mondo, e non lo aveva fatto nemmeno quando gli era stato proposto un incarico ben più qualificato e gratificante. Aveva ormai cinquant’anni, qualche filo grigio tendente al bianco si era già infilato fra i capelli e qualcuno aveva deciso di lasciare quella terra che si stava arrendendo al passare del tempo; anche il fisico si era abituato a continue ore davanti a un computer e qualche raro, e quasi eccezionale, giro in pattuglia in una cittadina dove ancora le vecchiette chiamavano allarmate quando non avevano più notizie dei loro gattini.

Eppure Michael adorava quel piccolo paesino e lo aveva adorato sin da quando lo aveva dovuto lasciare per la propria istruzione, per servire il suo paese come ogni cittadino americano e aveva sentito lo stretto nodo di nostalgia e malinconia per quelle casette arroccate e distanti l’una dall’altra, quel cielo malinconico che, all’improvviso, si trasformava in un’immensa distesa di azzurro e di infinite possibilità e speranze. E, ora che era tornato e vi aveva ormai intrecciato le sue radici, lo adorava ancora di più: amava uscire di casa ogni mattina e ritrovarsi a camminare quei pochi metri che lo separavano dal suo luogo di lavoro: saluti cordiali accompagnavano i suoi passi; scherzi bonari sull’ennesima partita della propria squadra di baseball e convenevoli su ciò che stava succedendo in quel momento nella città. Adorava che gli bastava entrare nell’unica caffetteria della cittadina e trovarsi, già pronto, il suo caffè e la sua immancabile  ciambella, nonostante le fosse stata proibita categoricamente da sua moglie; adorava sedersi per quei cinque minuti e ascoltare il chiacchierio della gente che ormai considerava parte allargata della sua famiglia: ognuno si conosceva, ognuno sapeva vita e morte dei propri vicini e i gruppetti di vecchiette si riunivano all’angolo della chiesa, scambiandosi consigli, ricette e pettegolezzi che, giunta la sera, tutta la città avrebbe saputo.

Non quel giorno.

Il detective Michael si ricordava il giorno in cui uno straniero era venuto ed era entrato a far parte di quello strano e chiuso mondo: non si era trattato solamente di un turista, quelli erano così facilmente riconoscibili perché bastava solamente un breve giro per rimettersi in macchina e cercare qualcosa di più interessante nei dintorni. No, quello sconosciuto ragazzo dai capelli biondi aveva camminato per le strade per quasi tutto il giorno, aumentando e aizzando la curiosità di tutti e coltivando la speranza che potesse trattarsi di qualche imprenditore che avrebbe potuto rialzare un’economia ormai scesa sotto i minimi storici. Non c’era mai stata occasione per conoscerlo, sorvolando tutti i pettegolezzi che ogni sera, a cena, sua moglie si premurava di passare quasi fosse l’ora del notiziario locale.

“Ha comprato la casa in fondo al paese. Hai presente? Quella ormai abbandonata e che nessuno pensava potesse essere venduta.”
“Non si fa mai vedere. Jackie dice che è un uomo molto importante. Però è sempre gentile, sai? Quasi quasi gli preparo una torta la prossima volta che torna. Non dovrebbe starsene solo. Ha bisogno di qualcuno che lo faccia sentire parte della comunità.”

Michael non poté fare altro che sorridere sotto i baffi, lo sguardo ancora puntato sull’articolo che stava leggendo ma con quel luccichio di amore e tenerezza che il tempo aveva solamente addolcito verso sua moglie. “Sono sicuro che avrai già una lista di figlie di amiche da fargli conoscere.”

“E dove sarebbe il problema?” Sua moglie aveva ribattuto, le mani sul fianco e un mestolo che gli ricordava quasi bonariamente minacciosamente che su certe questioni era sempre meglio non controbattere ma sorridere.

Con uno sbuffo, potente quasi da far alzare per qualche secondo i fogli davanti a lui, Hotch si ritrovò a pensare che nessuno, nemmeno le più informate ragazzine del villaggio, avessero riconosciuto quanto importante quel forestiero fosse. E, forse, ciò era anche perché quasi più della metà aveva lasciato quelle terre per un mondo pieno di opportunità e di prospettiva, mentre quelle poche rimaste erano quasi sempre occupate a badare a famiglie o attività che erano sul punto di crollare.

Nessuno, però, aveva mai potuto anche solo lentamente pensare quanto quel forestiero potesse essere pericoloso.

L’incidente avvenuto a mezzogiorno contava ormai una dozzina di versioni, nessuna delle quali sembrava avesse un elemento in comune. L’unico fattore cardinale era il ragazzo che era stato portato in ospedale, fortunatamente non in gravi condizioni, e la ragnatela di un intreccio che avrebbe fatto impallidire il vecchio boss di Michael: due pop-star; un cittadino che non aveva mai dato particolari problemi alla comunità e che, in quel momento, si trovava nell’unica cella disponibile accusato di qualcosa che sembrava quasi uno scherzo.

Non c’erano collegamenti. Non c’era un motivo. Non c’era un filo conduttore. Un pugno di mosche, ecco che cosa il detective aveva fra le mani perché l’interrogatorio non aveva portato nessuna informazione. Nessuna spiegazione. Solamente un altro filo intrecciato, nodi di pescatore che difficilmente si sarebbero sciolti senza le capaci dita di un esperto.

“Conoscevi la vittima?”

“No.”

“Nemmeno il suo nome?”

“No.”

“Quindi il nome Nickholas Carter non ti dice nulla?”

“Solo che è uno strano modo di scrivere quel nome.”

“Avevi qualche problema con lui?”

“No.”

“Magari ti ha battuto a poker.” Il vizio di Anthony era uno di quei segreti che venivano trasmessi sotto banco per paura che non arrivassero alle orecchie dei diretti interessati. In realtà, il suo non era altro che conseguenza di quell’economia che aveva decimato la pesca, rendendo virtuosi e gran lavoratori in disperati passatempi alla ricerca del colpo che li avrebbe rimessi sulla giusta direzione.

Era un’ipotesi più che valida: il ragazzo era ricco, la tentazione di poter spennare un forestiero ancor più grande e impossibile da combattere. Qualche mano di sfortuna, qualche goccio di alcool che aveva reso ancor più cocente la sconfitta ed ecco gli ingredienti per un incidente che si sarebbe potuto concludere con una semplice multa.

“Non ci ho mai giocato contro. Fino a oggi non sapevo nemmeno della sua esistenza.”

“Però lo hai investito.” Domandò il detective con espressione confusa.

“Dovevo.”

“In che senso dovevi? – Michael aveva incominciato a sentire la frustrazione incominciare a salire, assieme a quel particolare vizio di accendersi una sigaretta e che quella santa donna di sua moglie stava cercando di fargli smettere. – Anthony, hai appena ammesso di non conoscere la vittima e di non aver avuto nessun contatto, né nessuna ragione per investirlo.”

Le mani di Anthony tremavano, le unghia giocherellavano quasi crudelmente con le pellicine e con antichi graffi che, ora, si erano divertiti a trovare nuovi compagni. Sudava, per quanto la stanza fosse ben più che fresca e la giornata si stesse trasformando in un tipico temporale dal quale era meglio mettersi in guardia e al riparo. Colpevolezza? Imbarazzo? Vergogna?

“Anthony. Aiutami a capire. Hai investito quel ragazzo, ti hanno riconosciuto fin troppe persone affinché possa essere solamente uno sbaglio. E lo hai fatto volutamente, sulla strada non vi erano segni di frenata o sbandata. Perché?”

“Te l’ho detto, Michael! – La frustrazione di Anthony si imbruttì con quella rabbia che nasceva dal senso di colpa, dal senso di responsabilità e dalla consapevolezza di ciò che stava succedendo. Delle conseguenze che, presto, sarebbero cadute sulla sua testa come tante lame affilate. – Ho dovuto farlo. Sono stato costretto!”

Costretto. Era la seconda volta che Anthony lo ripeteva, e non solamente per lavarsi le mani dall’azione, il crimine, compiuto. Non lo aveva negato, non si era nemmeno appellato a qualche scusa o alibi che sarebbero crollati in pochi secondi. Ma c’era qualcosa sotto, l’istinto di Michael continuava a punzecchiare le sue corde vocali per scoprirlo.

“Costretto? Eri da solo nell’abitacolo, non vi era nessuno con una pistola puntata alla tempia. Se vuoi che ti creda, devi essere più convincente. E dirmi tutta la verità.”

Anthony socchiuse gli occhi, le mani strette in pugni così forti che la pelle attorno alle nocche sembrava essere traslucida, come quella di uno spettro o di un cadavere. Mille pensieri continuavano a darsi battaglia e a rubarsi respiro nella sua mente, pensieri che non facevano altro che aumentare quella disperazione che si stava tramutando in una voragine senza fine: che cosa doveva fare? Lo avrebbe creduto? Avrebbe creduto a quella strana e pazza vicenda che gli era piombata addosso senza che lui la chiedesse? E se parlare lo avesse messo ancora più nei guai? Per quanto ne sapesse, colui che lo aveva ingaggiato poteva essere ancora nei paraggi, pronto a porre fine a quella vicenda se i fili fossero stati intrecciati in modo sbagliato.

Ma lui aveva compiuto ciò che gli era stato imposto. E nessuno gli aveva fatto promettere, giurare o firmare di non parlare di quell’accordo una volta concluso. Sì, una piccola fiammella di speranza si stava finalmente alzando in uno spirito che si era sentito abbattuto non appena le manette si erano strette attorno ai suoi polsi: avrebbe detto la verità, avrebbe raccontato ciò che era successo e tutti avrebbero compreso che non era davvero colpa sua.

Soprattutto sua moglie.

La verità raccontata da Anthony poteva sembrare una scena tirata fuori da un romanzo, per quanto surreale e impossibile potesse sembrare. Anche se, in quel momento, Michael stava tenendo fra le mani la prova che confermava quel castello che, da fatto e costruito di aria, si era trasformato in una muraglia ben più possente di quella cinese.

“Sei sicuro di non poter riconoscere chi ti ha lasciato questa busta?”

“No. Mi faccio sempre gli affari miei al pub. E quel giorno non volevo parlare con nessuno.”

“Però qualcuno ti lascia una busta e un telefonino e tu non ti guardi attorno per vedere chi sia?”

“Era buio. Lo conosci anche te quel pub! E l’ho intravisto solo per qualche secondo, un frangente in cui la porta del bagno si era aperta e c’è stata un po’ di luce. Ma non saprei descrivertelo. Era un individuo come tutti gli altri.”

“Intendi come uno del paese?”

Anthony si soffermò su quel punto, socchiudendo e strizzando gli occhi come se stesse cercando in tutti i modi di riportare a galla dettagli, importanti o meno, di quella giornata. “No. I suoi vestiti. Erano di classe. Mi capisci?”

Il detective si ritrovò ad annuire, appuntando quel particolare che poco, però, sarebbe servito alle indagini. Per quanto potevano saperne, quell’individuo poteva già trovarsi miglia e miglia di distanza. Ma l’esperienza gli aveva insegnato a non tralasciare nessun dettaglio, nemmeno quello più insignificante. “Nient’altro?”

“No. Non l’ho visto bene. E quel maledetto telefono continuava a suonare!”

Il detective prese l’altro sacchetto trasparente, sempre piccolo e contenente un semplice telefonino nero. “Questo, intendi?”

“Esatto. Quel telefono continuava a suonare.”

Il telefono non aveva nulla di particolare né di speciale, uno di quei modelli che venivano venduti in ogni supermercato e che non ricollegava a nessuna utenza; un primo controllo aveva confermato ciò che già Michael sospettava sin dall’inizio, ovvero che il numero era già stato scollegato ed era stato impossibile fare ulteriori ricerche.

“E tu hai affermato che è stato lo sconosciuto a lasciarlo sul tuo tavolo. Insieme alla busta.”

“Esatto.”

“E non te ne sei accorto?”

“No, Solo quando ha incominciato a suonare. Non pensavo fosse per me.”

“E che cosa pensavi?”

“Che cosa potevo pensare? Che qualcuno lo avesse perso o lasciato cadere per caso. Mi sono voltato in giro, per capire se qualcuno lo stesse cercando ma tutti continuavano a... fissarmi.”

“Perché pensavano che fosse il tuo di telefono, giusto?”

“Sì. Così ho risposto.”

Era a questo punto che la faccenda si complicava ulteriormente. Il resoconto della telefonata fatto da Anthony non aveva senso, personaggi e intrecci che apparivano essere così lontani da quello che era successo realmente.

“Che cosa potevo fare, Michael? Ha minacciato la mia famiglia.”

“Era solo una tattica per convincerti. Come poteva conoscerti così bene?”

“Come poteva sapere dove mi trovavo? Il mio nome? E i miei problemi? – Un impeto di rabbia e frustrazione spinse Anthony ad alzarsi di scatto, facendo cadere così la sedia all’indietro; incominciò a camminare avanti e indietro, i muscoli tesi e sottosforzo nel tentare di trattenere un minimo e una parvenza di calma. Sapeva che quello che aveva fatto non aveva scusanti; sapeva, con il senno di poi, che era stato un errore lasciarsi convincere così facilmente. Ma la sua famiglia era tutto. – Come faceva a sapere che avevo bisogno proprio di quella somma?”

Michael si ritrovò con un soffio di compassione pronto a uscire in un respiro. Provava davvero pietà per quell’uomo, uno dei tanti concittadini che si era ritrovato senza più un lavoro né un’opportunità per andare a cercare fortuna altrove: ed era stato proprio quello il suo tallone d’Achille, il punto debole che aveva permesso all’esecutore di manipolarlo come meglio credeva, e spingerlo a commettere qualcosa solamente per poi uscirne con le mani pulite.

Ma non poteva dimenticare che aveva commesso un crimine e l’unica soluzione per alleggerire la sua situazione era quella di individuare chi avesse davvero filato e trafilato quella ragnatela.

“Che cosa ti ha detto esattamente? Perché questo sconosciuto voleva pagarti così tanto?”

“Vendetta. Non ho ben capito, il suo discorso assomigliava tanto a quello di un riccone del passato. Un filosofo da quattro soldi. Anzi, se proprio devo essere sincero...”

“Devi esserlo. – Gli ricordò Michael. – Ricordati che questo è pur sempre un interrogatorio, anche se non hai voluto avvalerti di un avvocato.”

“Tutto quello che posso dirti, Michael, è che voleva quel ragazzo morto.”

“Per quale motivo?”

“Perché gli aveva rubato qualcosa che apparteneva a lui. Qualcuno.”

“Chi?”

“Non lo so! Non lo so!” Anthony esclamò frustrato e disperato. Non lo avrebbe ammesso, non di certo di fronte a un detective per quanto amico fidato potesse essere al di fuori di quelle mura; Anthony non lo avrebbe ammesso a nessuno che si era sentito vicino a quella voce sconosciuta, a quella rabbia cocente per aver perso qualcosa di così fondamentale per il proprio essere e per la propria linfa vitale. A un’occasione strappata via dalle propria dita senza poter far nulla per combattere, per lottare per riaverla indietro.

Ma se avesse potuto tornare indietro, ora, Anthony non avrebbe lasciato che quella parte ferita, umiliata e agognante di vendetta, prendesse il sopravvento e lo portasse a compiere l’errore più imperdonabile. No, non si sarebbe lasciato abbindolare, qualsiasi fosse stata poi la sua punizione.

“Non ti ha dato nessun nome? Nessuno?”

“Solo il suo. – Ammise Anthony, riprendendo posto accanto al tavolo e appoggiando le mani sul bordo del tavolo. – Brian Littrell.”

E qui il caso diventava ancor più complesso, uno di quei rompicapi dove non si sapeva nemmeno da dove incominciare a guardare, men che meno se una soluzione esistesse. Il detective recuperò una serie di fogli che avevano tentato di catturare la sua attenzione sin da quando si era seduto alla sua poltrona, esausto dopo l’interrogatorio e diverse ricerche che ancora attendevano di essere incominciate e finalizzate.

Brian Littrell.

Il nome era risultato immediatamente famigliare e non solamente perché era famoso in quasi tutto il mondo, cosa che Michael non aveva neppure sospettato perché non seguiva la musica del momento e preferiva ancora i suoi vecchi e fidati vinili per rilassarsi a fine giornata. Il nome era risultato famigliare perché era lo stesso nome del nuovo arrivato in città, il ragazzo di cui sua moglie aveva sempre parlato così bene e che stava già organizzando incontri e appuntamenti vari perché “non è possibile che un ragazzo così gentile e buono se ne rimanga tutto solo in quella vecchia casa.” 

Brian Littrell non aveva precedenti. Una fedina penale più pulita di un lenzuolo dopo esser uscito da un secchio colmo di candeggina. Brian Littrell aveva fondato una fondazione, proveniva da una famiglia conosciuta e amata dai vicini e non c’era nessun elemento che potesse anche solo indicarlo capace di qualcosa del genere.

Anzi.

Michael prese in mano una foto recuperata da quell’oceano infinito che stava diventando internet. Il viso che stava osservando e, di rimando, gli sorrideva era l’esatto opposto di qualcuno così machiavellico e malvagio da far leva sulla disperazione di una persona per poter eliminare un proprio rivale; quel viso era quello di tanti ragazzi che il detective aveva visto crescere a pochi passi da casa sua, bambini che avevano trascorso le loro giornate rincorrendosi fra le onde e che non si erano mai tirati indietro quando si era trattato di aiutare qualche vecchia signora. Quel viso, quegli occhi azzurri non ispiravano altro che una bontà d’animo che era raro trovare e venature di esperienze che un giovane di quell’età non avrebbe ancora dovuto affrontare o superare.

No, quell’immagine non combaciava con l’identikit che era stato creato in quelle concitate ore di prime indagini e inchieste. Quali potevano esser state le sue motivazioni per un gesto del genere, soprattutto considerata la vittima?

Gelosia? Invidia? Odio? Ripicca? Vendetta?  

Nick Carter, la vittima, era membro dello stesso gruppo musicale e, stando a ciò che si poteva leggere fra siti di fans e interviste, erano anche migliori amici. Frick e Frack, così erano stati soprannominati visto il loro profondo legame.

Perché fare tutto ciò?

“Sei sicuro che abbia detto proprio Brian Littrell?” Michael aveva insistito, recuperando un piccolo registratore e mettendolo di fronte all’indagato.

“Sì. Ne sono sicuro. E non potrei di certo scordarmi il nome di chi mi ha messo in questo guaio.”

“Bene. Allora potrai riconoscere la sua voce, non è vero?”

“Certo.”

Michael aveva fatto partire la registrazione di una delle ultime interviste che aveva trovato del gruppo, risalente solamente a qualche giorno prima nella quale venivano annunciati dei concerti acustici in New York. Anthony era sbiancato, impallidito, gli occhi si erano colmati di una realizzazione che non aveva fatto altro che confermare ciò che già il detective sospettava.

“Allora, è questo il Brian Littrell che ti ha telefonato, minacciato e incaricato di uccidere Nick Carter?”

Anthony aveva nascosto la testa fra le mani, silenziosi sussurri che sapevano di maledizioni e quell’aria di completa desolazione che si era appoggiata sulle sue spalle come un peso.

Che cosa aveva fatto?

In che cosa era stato immischiato?

“Anthony, ho bisogno che tu mi risponda. E’ questa la voce che hai sentito al telefono?”

Anthony aveva potuto solamente scuotere la testa, la disperazione si era trasformata in uno spiritello maligno che si era portato via la sua voce e lo aveva reso incapace di poter anche solo mormorare una sillaba.

Il caso era così lontano dall’esser risolto che, per un momento, il detective Hotch pensò seriamente di chiamare qualcuno molto più importante e con qualche grado in più di lui. D’altronde vi erano immischiate due persone famose, come poteva quel piccolo paese riuscire a contenere l’onta di giornalisti, fans e curiosi che avrebbero conquistato ogni centimetro al fine di avere anche solo un secondo di celebrità? Ma non si era mai tirato indietro, alla fine. Nemmeno di fronte alle più grandi difficoltà, come quella di non poter mai vedere la sua casa piena di figli e nipoti, Michael si era lasciato prendere dallo scoraggiamento e aveva lasciato a qualcun altro il compito di risolvere tutti i suoi problemi. Non era nel suo carattere e, anche in quel guazzabuglio, avrebbe e sarebbe riuscito a trovare un filo che avrebbe permesso di chiudere tutto.

Mentre una mano massaggiava una tempia dolorante, l’altra recuperò l’ultimo file che era stato appoggiato sulla sua scrivania, una ricerca che aveva fatto fare non appena si era reso conto di non sapere praticamente nulla sulla vittima. O sulle vittime, visto e considerato che anche Brian Littrell sembrava essere scomparso e non poteva essere una coincidenza.

Qualcuno aveva voluto far sì che apparisse come una coincidenza, scatenare un putiferio e poter agire indisturbato mentre tutti erano intenti a disperdere il fumo. E non c’erano dubbi su chi fosse il vero bersaglio di tutta quella faccenda, soprattutto leggendo gli ultimi resoconti narrati in quei fogli datati solamente qualche giorno precedente.

“In un’improvvisa e inaspettata mossa, una verità sconcertante e sconvolgente è stata resa pubblica riguardo un membro della boyband più popolare in questo momento. Nessuno avrebbe mai potuto supporre ciò che è stato raccontato e centinaia di ragazzine non possono fare altro che inviare i loro messaggi di supporto per un idolo, per un ragazzo, che ha avuto il coraggio di rivelare un particolare così doloroso del suo passato.
Secondo quanto dichiarato, infatti, Brian Littrell..”

Era da verificare quella teoria, ovviamente. Michael aveva già fatto richiesta di poter avere tutti i documenti riguardanti quel vecchio caso, ancora sigillato e impossibile da trovare pubblicamente a causa dell’entità del crimine e dell’età della vittima. Ci sarebbero volute ore, anzi, giorni, prima che i vari dipartimenti valutassero la sua richiesta ma il suo intuito gli suggeriva che non avevano così’ tanto tempo da sprecare per aspettare.

E c’era solo un altro modo per scoprire se tutte quelle parole, scritte in una dichiarazione che faceva stringere lo stomaco e far scendere un brivido lungo la schiena, fossero davvero una mera punta di un iceberg contro cui quella nave si stava schiantando. Quel modo poteva essere anche obsoleto, ora che anche la polizia cercava mille e più modi per battere meno il terreno e rimanere sicuri nei loro uffici di vetro e cemento, ma era quello che aveva sempre portato il detective a chiudere ogni caso.

Qualcuno poteva dargli delle informazioni e quel qualcuno si trovava ancora all’ospedale più vicino. Ed era lì che il detective decise di dirigersi, chiudendo fogli e cartelle distrattamente e recuperando il proprio impermeabile. Era pur sempre il Maine e, ben presto, un’altra tempesta si sarebbe fatta avanti con pioggia e vento, pronta a portarsi via un’altra ignara e invisibile vittima della sua forza e potenza.

 

 

 

 

 

 


*********

 

 

 

 

Il mare era sempre stato una strana e peculiare creatura, conquistatore di terre e di anime e, allo stesso tempo, era esso stesso la vittima eterna e perenne della luna. Antiche leggende venivano tramandate di generazione in generazione. ed esse erano capaci persino di attraversare quegli stessi oceani di cui narravano per essere mantenute in vita anche se con linguaggi e simbologie differenti; milioni e milioni di persone ogni giorno e notte osservavano quegli specchi di acqua e si domandavano se quelle parole fosse davvero portatrici di una verità nella quale la magia regnava sovrana, una forza inesplicabile che attirava qualsiasi anima cercasse di avvicinarsi troppo alla realtà e la imprigionava fra le sue onde, facendola scomparire e permettendole di diventare parte integrante di quelle storie e leggende che lei stessa aveva ascoltato.

Sin da bambino, Anthony aveva ascoltato quei racconti: prima dalle labbra di un padre che preferiva quelle storie rispetto alle tradizionali fiabe e favole che si raccontavano ai figli per farli addormentare; quelle immagini si erano poi abbellite delle fiamme rosse e arancioni dei falò costruiti sulla spiaggia, il ritrovo abitudinali per i ragazzi di un paesino che conosceva come unico divertimento quel mare che lo isolava e lo faceva sentire abbandonato dal resto del mondo; e, per finire, erano le parole che lo avevano accompagnato le lunghe nottate trascorse al largo, seduti su delle barche e in attesa che quella magia narrata fra i cordoni del tempo potesse aiutarli a portare a casa raccolti preziosi per la loro sopravvivenza. C’era sempre stata una storia che Anthony aveva sempre amato, forse perché in essa il mare era sia vittima ed antagonista, esattamente i due ruoli che aveva rivestito in quella pantomina che la sua vita era stata fino a quel momento: in questa, si narrava che un giorno il mare fece infrangere una barca piena di uomini contro una roccia e la luna, per punirlo, lo inghiottì causando però danni a quei stessi pescatori che, disperati, le chiesero di ripensare alla sua decisione; a quel punto, allora, la luna si offrì di sputare il mare che aveva inghiottito a patto che questo promettesse di essere sempre ai suoi ordini e comandi.

Anche quella notte la luna se ne stava beata sopra la superficie del mare, danzando lentamente e, forse, domandandosi quant’altro avrebbe potuto chiedere a quel suddito che non poteva fare altro che abbassare la sua cresta e seguire i suoi ordini, ritirandosi nei momenti di marea bassa o gonfiandosi e diventando quella minacciosa creatura che teneva sempre in allarme i pescatori e chiunque si avventurava fra le onde in marea. Anthony si era fermato sulla spiaggia, non poco lontano dal piccolo molo dove la sua barca si lasciava cullare dall’acqua e che, metaforicamente, era il simbolo di tutto ciò che gli era accaduto in quei pochi giorni. Sì, forse era da sciocchi delegare ogni causa e responsabilità a un lavoro che lui non aveva mai voluto fare in primo luogo, un dovere che si era dovuto assumere e che lo aveva trascinato sempre più al largo, confinandolo poi in una conca così profonda che non c’era mai stata una possibilità, concreta e reale, di poterne uscire e poter finalmente librare le proprie ali verso altri lidi.

Tranne quel pomeriggio.

Tranne quel tramonto che era stato uno spartiacque così potente da aver effettivamente cambiato e modificato completamente la sua vita. Ma non come aveva desiderato. Oh no, Anthony non aveva mai considerato se stesso così disperato da accettare, dal ridursi ad accettare qualcosa che andava completamente e totalmente contro i suoi valori, quegli stessi valori che aveva cercato di insegnare ai propri figli. Soprattutto il primo fra tutti, quello di non far mai del male a qualcuno perché, prima o poi, esso sarebbe tornato indietro con un conto salato da pagare. Per lui, quel conto non era solamente in una reputazione che era andata a farsi benedire, insieme a quella macchia sulla sua fedina che lo accusava di tentato omicidio. Non importava che la vittima, quel cantante che sua figlia aveva detto di adorare e che, proprio per quel motivo ora lo evitava come se fosse l’uomo più cattivo e crudele al mondo, avesse ritirato qualsiasi denuncia e, anzi, aveva cercato di minimizzare la sua responsabilità: per tutta quella cittadina, ormai, lui sarebbe stato quel povero uomo che si era fatto pagare per commettere un omicidio e che, di conseguenza, aveva perso tutto.

La reputazione, la sua reputazione, era l’ultimo dei suoi problemi anche se nessuno gli avrebbe più allungato una mano per aiutarlo, offrirgli un lavoro per rimettersi in piedi o per tirare avanti la carretta in un periodo di crisi che aveva colpito tutti. Cosa poteva importare tutto ciò quando aveva perso la cosa più importante, ovvero la fiducia e l’amore della sua famiglia? Ancora erano impresse, nella sua mente, le immagini di sua moglie che entrava nella stazione di polizia con un orgoglio che poche volte le aveva visto brillare gli occhi e, molto semplicemente, gli aveva chiesto e posto un’unica domanda.

“Perché?”

Anthony non era riuscito a tenere lo sguardo fisso su di lei, su quei lineamenti che aveva amato e adorato e che avrebbe continuato a fare nonostante tutto. Ma ora la vergogna lo costringeva ad abbassare lo sguardo e fissare un punto sul tavolo, una macchia bianca che sembrava quasi un simbolo di quello che gli era successo: un’unica macchia e tutto era perduto, scivolato via in un torrente che solamente l’oceano sapeva dove portare a destinazione.

“Pensavi di risolvere così i nostri problemi?”

Fu quella domanda a far scattare qualcosa in Anthony. Lo sguardo ritornò a possedere un minimo di sostegno, una forza per scoprire se era solamente un bluff, una mano di poker che sua moglie non era mai stata capace di imparare, o se c’era un pizzico di verità.

Se davvero si era rinchiuso nella convinzione di aver nascosto tutto così bene da aver lasciato indizi e prove dietro il suo passaggio.

“Certo che lo sapevo. O, meglio, lo avevo intuito.” Le dita della moglie ticchettavano nervosamente sul tavolo, le unghie così perfettamente curate che sembravano appena uscite da una rivista di moda. Oh, quanto aveva sempre amato e ammirato quel fuoco di dignità che bruciava inesorabilmente dentro quella donna: non importava se il suo mondo fosse stato ristretto solamente a un paesino, non importava se la gente la osservava di sott’occhio e la giudicava, analizzava ogni minimo dettaglio per sminuirla e sentirsi migliori.

E quella stessa dignità era stata l’unica forza a cui Eileen aveva potuto aggrapparsi quando le bollette da pagare si accumulavano con inquietanti scritte in rosso e l’unica risposta che riceveva da suo marito era solamente un bofonchiato “andrà tutto a posto.” . Sapeva che non sarebbe stato così, forse la cura e l’ossessione, così definita da certa gente nel paese, per tutto ciò che luccicava quasi come se fosse una gazza ladra, avevano tratto in inganno anche quell’uomo, quel ragazzo che l’aveva ascoltata per ore raccontare di sogni costruiti su libri e parole fatte di fantasia e passione, che l’aveva sposata e le aveva promesso una vita al di sopra delle proprie responsabilità. Eileen sapeva che la loro situazione non era diversa da quella di molti altri vicini e amici, di molte altre donne che avevano dovuto rimboccarsi le maniche e cercare di mantenere un’apparenza dignitosa della propria famiglia con quel poco che rimaneva.

“Perché? - Eileen ripeté, questa volta non riuscendo a trattenere una nota di disperazione nella voce. Una nota di dolore, di quel tradimento che si era insidiato nella parte più oscura e nascosta della sua anima e lì si era insidiata, lì aveva incominciato a mettere radici e a crescere man mano che il tempo trascorreva via fra le onde e niente cambiava. Suo marito, l’uomo a cui si era promessa e che le aveva promesso di camminare mano nella mano in quell’avventura che poco aveva a che fare con viaggi in terre lontane o in vite di cui non avevamo mai nemmeno assaggiato un boccone, continuava a nascondersi, a rinchiudersi come uno scricciolo che sente l’inverno avvicinarsi e che non ha altre difese se non quella pelliccia e corazza costruita nel tempo. – Perché non me ne hai parlato?”

“E’ successo tutto così...” Incominciò Anthony a difendersi, anche se non esisteva una scusa o una giustificazione. Ancor in quel momento, nonostante l’aver scoperto che era stato un inganno, Anthony non riusciva a strapparsi via la veste di colpevole.

“Non intendo questo. – Lo fermò e interruppe sua moglie. – Perché non mi hai mai detto che eri indebitato?” Non aggiunse altro. Non aggiunse che sapeva bene dove andava quando, alla mattina, la salutava con un bacio sulla guancia che sapeva sempre più di tradimento e di inganno. Non aggiunse che sapeva da dove tornava ogni sera, l’umore sempre più nero e carico di tempesta e i problemi che si accoccolavano ai piedi del loro letto come se fossero teneri cuccioli.

“Volevo... sapevo che era solo un momento di crisi. Sapevo di poter risolvere. Mi bastava solamente un colpo di fortuna e... – Anthony allungò la mano per appoggiarla sopra il pugno chiuso della moglie: calli e rughe, la pelle di uno che aveva sentito il mare per tutta la sua vita, si allungavano su una pelle che, sotto l’apparenza, portava anche lei i segni di lavori che spesso venivano dati per scontati e quasi annullati, semplicemente perché non pagati o riconosciuti. - ... non volevo preoccuparti. Deluderti.”

Eileen tolse la mano da quell’intreccio come se fosse stata colpita dalla più potente e intensa scarica elettrica. Sarebbe rimasta al fianco di Anthony, come era suo dovere. E perché ancora una parte di lei, quella ragazzina adornata di sole e di sogni, amava quel ragazzino che aveva rinunciato per lei e per la loro famiglia un sogno cullato sin dalla nascita. Eileen sarebbe rimasta lì, fiera e orgogliosa di combattere per la sua famiglia esattamente come avrebbe fatto una leonessa ferita e protettiva.

Ma niente sarebbe stato più lo stesso. Il tradimento era un groppo che non riusciva a mandare indietro, era un odore acido di qualcosa che non si era riusciti a digerire e che ora rimaneva l’eco a ricordarti che qualcosa di marcio e tossico si era introdotto nel tuo sistema e non se ne sarebbe andato via molto facilmente. La delusione era ancora più cocente, era una ferita che sanguinava di lacrime e di quel senso di inadeguatezza che camminava a braccetto e che voleva urlare tutto il suo sdegno: era stata messa in un angolo dall’uomo che le aveva giurato più volte che sarebbero stati l’uno il confidente dell’altro, due pescatori che avrebbero attraversato anche la peggior delle tempeste solamente perché avrebbero guidato la nave insieme.

Erano state solo parole vuote? Era stato tutto così finto, un teatrino da coppia perfetta per non deludere il teatro attorno a loro?

Quello Eileen non avrebbe mai potuto perdonarlo. O dimenticarlo. Avrebbe continuato a comportarsi da moglie, sarebbe uscita da quella stanza e avrebbe cercato un modo per far uscire suo marito e farlo tornare a casa. Ma qualcosa si era spento. Qualcosa era morto fra quelle quattro mura, grigie e monotone come sarebbe diventata la loro vita al di là di esse.

Anthony cacciò via quelle scene dalla sua mente, un gesto di mano come se stesse infrangendo una coltre di nebbia e fumo che si erano magicamente avvolti attorno alla sua mente e ai suoi occhi. Eppure il loro fantasma continuava a rimanere assieme a lui, insieme a lui, camminando fianco a fianco mentre le onde cercavano di far arrivare la loro canzone alle sue orecchie.

Era finita.

La sua vita con Eileen era finita, nonostante la donna fosse ferma e convinta nella sua decisione di non separarsi o di chiedere il divorzio. Non era stato nemmeno ciò che aveva fatto, quel crimine che ancora necessitava di un perché e che non lo avrebbe mai trovato perché semplicemente non esisteva. Era stato usato, né più né meno come qualcuno avrebbe usato un giocattolo e poi lo avrebbe lasciato alla mercé delle intemperie, senza dare molto respiro o secondo pensiero alle conseguenze.

Era finita.

La sua vita in quella cittadina, in quel posto che alla fine aveva finito per amare e considerare come casa, era finita perché nessuno lo avrebbe più guardato allo stesso modo. I gossip avrebbero continuato a susseguirsi, indici puntati lo avrebbero giudicato prima di chiudergli l’ennesima porta in faccia. Senza dignità, senza reputazione, che cosa avrebbe potuto fare?

Come poteva continuare così?

Poteva andarsene. Ora ne aveva la possibilità. Non aveva più nulla, nemmeno la remota speranza di poter mettere a posto le cose con sua moglie. Poteva andarsene, certo, eppure era stanco. Esausto. Anche se fosse partito, sarebbe riuscito a trovare una nuova vita? Non era più giovane, molto di ciò che avrebbe voluto fare vent’anni prima ora apparteneva alle nuove generazioni o, forse, più semplicemente era scomparso come tanto e troppo in quegli anni. Non c’era più posto per lui nel mondo, per quanto questo potesse essere immenso e infinito.

Per lui lo era. Piccolo. Finito. Senza vie d’uscite.

Il mare continuava a sussurrare, impercettibili parole che stavano diventando sempre più forti e sempre più difficili da non captare e ascoltare. Una promessa. Una promessa che non sarebbe stata spezzata perché era di quelle che si incatenava con l’anima, si incideva su di essa e nemmeno il più potente dei sotterfugi o delle pozioni sarebbero state in grado di riportarlo indietro.

La promessa di pace. Infinita pace e tranquillità: non ci sarebbero più stati problemi di debiti e di soldi, Anthony non avrebbe più dovuto preoccuparsi di rovinare il futuro dei suoi figli o di incatenare sua moglie in una relazione che non aveva più amore né rispetto.

Anthony fece un passo verso il mare. Un’onda lo accarezzò, invisibili dita che volevano attorcigliarsi attorno e incominciare a spingerlo verso il loro mondo. Era quello il momento per ritornarsene indietro, chiedere perdono e scongiurare che sarebbe cambiato e che avrebbe rimesso a posto i cocci spezzati.

Era la sua ultima occasione.

Anthony si guardò indietro per un’ultima volta, ammirò quello spettacolo che si stagliava oltre i tetti delle case e i fari che continuavano a gettare una luce di guida per le barche disperse. Si stava formando un’altra tempesta e i venti avrebbero dato ancor più rabbia e potenza alle onde, mentre la pioggia avrebbe cancellato le sue orme e nessuno si sarebbe più ricordato di lui.

Solo un nome. Solo una macchia.

Ecco che cosa Anthony sarebbe diventato: una foglia che si era lasciata prendere possesso dalle acque e si era lasciata trasportare dove niente poteva più farle del male.

Solo un ricordo.

E fu così che Anthony fece un passo. E un altro. E un altro ancora fino a quando ci fu solo silenzio. E un flebile sussurro consegnato al vento. “Mi dispiace.”

 

 

 

 

 

 

 

 

 

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Breve spiegazione:
Mi ero ritrovato completamente bloccata con gli ultimi capitoli di questa storia, nonostanze l'epilogo sia già scritto e scelto da quando inizia questa storia tanti anni fa. Così mi sono ritrovata a rileggerla, riformulare piani e progetti e l'unica soluzione per poter continuare (si spera senza intoppi) era riscrivere questi ultimi capitoli. Così ho preso coraggiosamente questa decisione ed eccoci qua, con scene che forse ricorderete ma che sono totalmente differenti.
Non sarà ragolare ma gli aggiornamenti, ormai, dovrebbero avvenire quasi settimanalmente e ogni domenica (salvo imprevisti di studio. Eh sì, sono tornata a studiare e tedesco è una brutta bestia! lol).

Ringrazio di cuore chi mi segue nonostante tutto, ringrazio quella pia donna di Laura che si è accollata il lavoro di sopportarmi in questo delirio di revisione!

 

Alla prossima!

Cinzia  

 

 

 

 

 

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Capitolo 23
*** - Ventunesimo Capitolo - ***


Ventunesimo Capitolo




 

 

 

 

 

 






Erano tanti i motivi che Brian e Nick avevano in comune: alcuni erano così appariscenti, così luminosi e così limpidi che una delle tante fans sarebbe riuscita a rispondere con la facilità di un bambino; altri erano piccoli segreti che rimanevano nascosti fra il gruppo, piccoli spiritelli che avevano deciso da tempo di legarsi l’uno all’altro e di far sì che anche i propri proprietari potessero fare altrettanto; e, infine, alcuni stavano lentamente venendo a galla, accoccolandosi in un angolo come se volessero dimostrare quanto quelle due anime fossero sempre state destinate a incontrarsi e conoscersi.

Nick odiava gli ospedali come, del resto, anche Brian li mal sopportava: o forse era il contrario, forse era lui che mal li sopportava mentre Brian provava ormai quasi un brivido di terrore ogni qualvolta qualcuno pronunciava anche solo il nome. Eppure vi erano due motivazioni completamente opposte, due ragionamenti che narravano di esperienze e passati che erano sempre stati così differenti e inconciliabili: Brian li odiava perché ne aveva visitati troppi e perché i ricordi, legati semplicemente a quel luogo e a quell’odore, sembravano sempre pronti a spuntare all’improvviso e rovinare l’umore. In un certo egual senso, Nick mal digeriva quel luogo per osmosi e perché gli ricordava quel periodo in cui quelle stanze, metaforiche ovviamente, si erano chiuse attorno all’amico e non avevano promesso di farlo tornare indietro sano e salvo; ovviamente, ad aumentare quel senso di malessere legato a quel ricordo c’era anche il piccolo, ma non per nulla insignificante, dettaglio di come lui e gli altri si erano comportati, nascondendosi dietro l’apparenza di voler mandare avanti il gruppo quando in realtà avrebbero voluto semplicemente rimanere nascosti in una stanza e pregare fino a quando non avrebbero ricevuto buone notizie.

In realtà, però, quell’insofferenza per gli ospedali in Nick era nata molto tempo prima, quando ancora Brian era un ragazzino sconosciuto del Kentucky e gli unici amici che Nick aveva erano dei sogni e desideri di scappare via dalla propria casa; quell’insofferenza era nata ed era stata inculcata da un padre che non aveva mai creduto nella scienza o nella medicina, un uomo che aveva sempre blaterato che pagare un dottore era come buttare via denaro guadagnato duramente e che serviva per far mandare avanti la famiglia.

E ora Nick si trovava proprio in uno di quei posti che suo padre aveva così tanto disprezzato, lividi ed escoriazioni che avrebbero incominciato a farsi sentire solamente fra qualche ora, quando i vari antidolorifici avrebbero compiuto il loro dovere e solamente l’ansia e la paura lo avrebbero tenuto lontano da quel tipo di dolore fisico. Un altro, ancor più infido e molto più subdolo, si era insinuato nelle sue vene e a nulla erano servite o bastate le recriminazioni contro dottori e infermieri che lo obbligavano a rimanere confinato lì: ogni nervo tremava, ogni muscolo era teso fino al punto di spezzarsi perché la sua anima voleva spingerlo fuori da quelle mura, fuori in quel paese che a malapena conosceva e dove sicuramente si sarebbe perso in un nanosecondo.

Non era stata un’allucinazione. Non era stata nemmeno confusione o una conseguenza del colpo preso, quel trauma che continuava a essere palleggiato fra medico e studente, quasi come se le sue parole non potessero avere nessun senso o significato. Nessuno sembrava credergli, nessuno sembrava ascoltarlo anche perché, forse, nessuno sapeva davvero chi fosse.

A parte l’essere vittima di un incidente e in attesa di qualcuno che venisse a parlare con lui.

Eppure Nick era sicuro di quello che aveva visto, era una scena che continuava a ripetersi e riavvolgersi davanti ai suoi occhi anche quando questi erano chiusi, in un flebile e vano tentativo di riposare: aveva cercato immediatamente Brian in quei momenti frenetici, aveva cercato il suo viso e la sua rassicurazione con quelle ultime briciole di lucidità e coscienza che aveva fra le mani. Invece si era ritrovato a dover osservare a una scena, un fotogramma, di un film dell’horror, con lui intrappolato da qualche forza misteriosa e il cattivo che si portava via l’oggetto che aveva sempre bramato e desiderato.

Era rapimento?

Era quello ciò che aveva assistito?

La porta si aprì dietro alle sue spalle, il rumore della serratura riuscì, in qualche modo, a mettere un freno a quei pensieri e a focalizzare la sua attenzione sulla persona appena entrata.

Kevin, ovviamente.

Nick non perse nemmeno fiato o tempo per chiedergli che cosa ci facesse lì o come avesse fatto a scoprire che cosa fosse successo. Una parte di lui era grata della sua presenza, sollevata perché ora sarebbe stato lui a prendersi ogni responsabilità e il controllo della situazione: Nick non doveva più preoccuparsi di moduli da firmare, domande da rispondere o qualsiasi altra faccenda che non avesse a che fare con il scoprire dove fosse Brian.

E con chi.

Una parte di Nick voleva semplicemente abbandonarsi contro il maggiore, quel ragazzo che aveva sempre visto e considerato come una figura paterna, forse l’unica che avesse davvero mai avuto in tutta la sua vita: quel ragazzino, dentro di lui, che stava cercando in tutti i modi di uscire dalla gabbia e lasciare uscire tutta la sua paura, tutta la sua disperazione e la sua incomprensione per ciò che era successo e ciò che non era successo. Ciò che Nick sperava, con tutto il cuore, che non era e che non poteva davvero essere successo.

Ma la voce non usciva. La voce non riusciva a uscire e chiedere quell’unica domanda che avrebbe messo a tacere la tempesta perché bastava osservare il riflesso del viso di Kevin nella finestra per sapere che sarebbe stata una bugia.

“Non hai idea di dove sia Brian, vero?”

Kevin fece qualche passo in avanti, le spalle abbassate sotto un peso che lui aveva pensato di essersi finalmente tolto e dimenticato che potesse esistere.

“Era ciò che volevo chiedere a te.”

“Prima anche di chiedermi come sto?”

“Nick...” Kevin si lasciò sfuggire quel sospiro, la mano fra quella massa di capelli che non aveva nemmeno avuto il tempo di pettinare.

“E’ tuo cugino, lo so.”

“No, no. Cioè, sì, si tratta di Brian. Ma ero preoccupato anche per te. Lo sono sempre stato.”

Nick si rimangiò indietro la battuta che stava per avvelenare la punta della lingua, allentando una catena di rabbia e di frustrazione che si era così stretta attorno al suo sterno: non poteva fare una lotta anche contro Kevin, non quando gli serviva tutta la sua razionalità e lucidità per continuare. Non quando avevano finalmente qualcosa in comune da proteggere e difendere, qualcuno che aveva così importanza per entrambi da renderli ancora più uniti di quanto avrebbero mai potuto essere. In quella giostra di emozioni e di avvenimenti Nick aveva quasi dimenticato che, molto spesso, Kevin aveva fatto ben più di quanto un amico o un collega avrebbero fatto nei suoi confronti: tutte le volte che li aveva offerto protezione dalla sua famiglia; tutte le volte che, ostinatamente, aveva cercato di dargli consigli che lui apparentemente aveva rifiutato con un secco no ma che poi aveva tenuto e custodito per quando sarebbe stato in grado di comprenderli e metterli in atto.

In quella situazione si era sentito messo da parte, Nick. In quella situazione si era lasciato prendere ostaggio da quei sentimenti infantili di voglia e bisogno di essere al centro dell’attenzione, di prendersi la palma di vittima perché era sempre stato così, perché poche volte non era toccato a lui il compito e il ruolo di distruggere la tranquillità e mandare tutti in un circolo vizioso di ansie e preoccupazioni. E, in quel momento, quell’impeto da bambino viziato stava cercando di uscire esattamente come quelle lacrime che sapevano di uno sfogo che era stato trattenuto per troppo tempo; sapevano, esse, di una forza che stava vacillando perché era stato facile fare promesse e giuramenti a Brian con lui presente, un esempio che quasi si rifletteva nello specchio e che gli permetteva di ignorare i propri demoni e di continuare a seguire quella strada lastricata da massi e mattonelle scoscese.

Non più.

Brian non c’era. Brian era con... lui. Quel solo pensiero, quella sola immagine che durò semplicemente per qualche secondo e che poi scomparve in una fumata nera, per riportare la rabbia e la disperazione a un livello ancora più alto: il pugno si strinse ancora di più, le unghie incominciarono a lasciare il loro segno nella pelle e un fremito si impossessò di quei nervi e muscoli ancora tesi, presi in un crocevia fra il crollare e il prendere controllo di quei minuti preziosi.

Doveva salvare Brian, no?

Senza nemmeno accorgersi, così preso da quei pensieri, Nick si ritrovò circondato in un abbraccio che sapeva di... sapeva di famiglia, sapeva di conforto misto a quella preoccupazione che non poteva essere dimenticato. Si ritrovò circondato in quell’abbraccio che sapeva di Brian perché sì, lui e Kevin erano cugini e sembravano condividere quel modo di chiuderti in una bolla e lasciarti liberare da tutto ciò che ti opprimeva, o prendere da loro tutto ciò di cui ti serviva per continuare e andare avanti.

“Perché?”

La domanda si alzò come un lento e agognato mormorio fra quell’inusuale intreccio di braccia, una domanda che era stata portata in superficie così tante volte ma che nessuno era mai riuscito a pronunciare. E quella semplice invocazione ne racchiudeva tante altre, livelli e livelli che si incuneavano in un iceberg del quale nessuno sarebbe mai riuscito a vedere oltre la cima. Nick non voleva sapere solamente perché quell’incidente era accaduto o perché il ruolo di vittima era stato disegnato sopra le sue apparenze: di quella domanda già conosceva la risposta, come poteva non saperla quando era stata scritta così lampante in quegli ultimi secondi prima di perdere conoscenza?

C’erano tanti altri perché di cui Nick necessitava, aveva bisogno di una risposta: perché? Perché? Brian? Perché tutto quello dopo tutti quegli anni? Perché nessuno aveva fermato quell’uomo prima che potesse fare ancora del male? Perché Kevin non si era mai accorto di quanto malvagio il suo amico fosse?

“Perché?” Questa volta la domanda uscì in un primo abbozzo di singhiozzo e, per quanto Nick fosse grato di quelle braccia che lo sorreggevano, esse non facevano altro che ricordargli quelle che mancavano, quell’abbraccio di cui lui sentiva di avere così tanto bisogno nonostante non fosse lui la vera vittima in tutto quella situazione.

“Non sono una vittima, Nick. Non vedermi in quelle vesti. Ho combattuto fino adesso per scrollarmi di dosso quello che mi è successo...”

Un accenno di sorriso cercò di farsi strada sul volto di Nick ma le lacrime, o meglio, lo sforzo per trattenerle riuscì a bloccare quel semplice gesto. Le parole di Brian continuavano a riecheggiare contro il vetro della finestra, lì dove il cielo si stava tramutando e trasformando per affrontare la sua battaglia contro le forze della natura: Brian era là fuori, forse. Chissà in quali condizioni, chissà se ancora fra le mani del suo tormentatore o se, da quella forza della natura che era sempre stato,  fosse riuscito a sfuggire via e stesse cercando un modo per tornare da lui.

Eppure quella domanda, quell’unico interrogativo, non riusciva ad allontanarsi né dalla mente di Nick né da quella di Kevin, combinandosi e avvolgendosi attorno a quesiti che si erano sempre lasciati assopiti con il passare del tempo. Lui era responsabile di molti di quei perché, lui che aveva portato quella figura nera all’interno delle loro vite e lui che non era riuscito nemmeno a sconfiggerlo.

Non era riuscito a proteggerlo. Né dieci anni prima e né...

Perché li aveva lasciati andare da soli? Perché li aveva lasciati venire lì, in quel posto così dimenticato dal mondo che avrebbe dovuto rivelarsi un rifugio e, invece, era quasi sembrato essere una trappola preparata per tempo. Come se Tyler già sapesse... perché Kevin non aveva portato Brian in Kentucky? Perché non avevano avvisato subito la polizia, perché ora se ne rimaneva lì, a cercar di dar conforto a Nick quando si sentiva lui stesso sul punto di crollare sotto il peso di colpe e responsabilità che aumentavano di minuto in minuto?

Perché non poteva tornare indietro e impedire che tutto accadesse?

“Perché?”

Ormai la domanda di Nick aveva assunto i contorni di una flebile preghiera ma non c’era niente che Kevin potesse dire, o fare, per poter rispondere e scacciar via la paura da quell’abbraccio.

No, in realtà c’era una lista lunga di cose che, in quel momento, Kevin poteva fare e che avrebbero potuto tener lontano i cattivi pensieri – No, Brian sarebbe tornato e no, non sarebbe successo quello che era già accaduto dieci anni prima – e ridare almeno qualche ora di riposo e di fiato a Nick. E Nick era proprio il primo punto, la prima priorità di quell’elenco di cui ancora non riusciva a vedere la fine: assicurarsi che stesse bene, assicurarsi che non ci fosse niente di rotto e di grave, altrimenti chi l’avrebbe sentito Brian quando sarebbe tornato?

Così Kevin si distaccò di qualche centimetro, cercando di studiare la fisionomia del ragazzo nel suo riflesso: c’era un livido sulla tempia, qualche escoriazione dovuta all’impatto con la strada ma che cos’altro nascondevano i vestiti? Non aveva trovato nessuno che potesse dirgli più della stanza in cui Nick si trovava, tecnicamente perché erano ancora alla ricerca della persona che Nick aveva dichiarato come contatto di emergenza. Ed era stato in quel momento che il panico si era appropriato anche di quella roccia di sicurezza che Kevin era sempre stato perché chiunque, tutti erano a conoscenza che, nonostante tutto, Nick aveva sempre lasciato un unico nome e quel nome avrebbe già dovuto trovarsi all’interno di quell’ospedale.

“Nick, dov’è Brian?”

La domanda uscì ancor prima di poterla bloccare e dichiararne un’altra. Nel riflesso del vetro Kevin vide Nick semplicemente ammettere un sorriso stanco, una sorta di scusa come se avesse già compreso che prima avrebbe disciolto quel nodo e prima il mondo sarebbe tornato a ruotare attorno normalmente. La delusione ancora era lì, si era mischiata con il sangue, ma quel nuovo legame che si era formato era più profondo e più importante del suo ego e del suo desiderio di essere al centro dell’attenzione: quell’amore, nato misteriosamente come un fiore poteva nascere fra rocce e mancanza di acqua, vibrava fra i nervi e gridava quella stessa domanda che Kevin aveva appena pronunciato.

Dov’era Brian?

Brian avrebbe dovuto essere lì con lui, protestare con gli infermieri e i dottori che stavano impiegando anche fin troppo tempo per visitarlo, discutere con lui su come non se ne sarebbero andati fino a quando non fosse stato sicuro che non c’erano emorragie e che quel livido sul fianco era solo quello. Un livido. Un dolore acuto ogni volta che Nick si muoveva e si ricordava che cosa era successo e perché si trovava in quella stanza.

Ma Brian avrebbe dovuto essere lì con lui. Nick avrebbe dovuto e potuto allungare una mano e stringerla attorno al suo polso, comprendendo al volo che l’unico posto in cui Brian voleva trovarsi in quel momento fosse proprio un ospedale. Sì, Nick avrebbe voluto fare tutti quei gesti che aveva sempre desiderato e sognato aver potuto fare tanti anni prima, quando avrebbe dovuto esserci...

Ma Brian non era lì con lui.

E ciò faceva molto più male di lividi e ferite perché il non sapere, mescolato insieme a tutti quei pensieri su ciò che stava succedendo in quel momento, si era trasformato in un veleno che trasformava in nero tutto ciò che incontrava.

“Non lo so, Kev. -  La voce uscì con un fremito, un sussulto. – Lui era lì.”

Quel semplice pronome. Quel tono pronunciato come se solo Nick provasse ribrezzo e disprezzo nell’usare il nome, lasciò Kevin completamente di sasso. Niente era cambiato. Niente era migliorato. Come dieci anni prima, Kevin aveva fallito e ora sarebbe stato Brian, ancora una volta, a pagarne le conseguenze.

“Ne sei sicuro?”

“Non potrei mai scherzare su qualcosa del genere.” Nick pronunciò a labbra strette, voltandosi e mostrando uno sguardo e un’espressione dura che poche volte il maggiore aveva visto e che servì, ancora, a ricordargli che Nick non era più un ragazzino.

Kevin si ritrovò a sedersi sul bordo del letto, passandosi una mano fra i capelli per poi chiudere gli occhi e cercare di pensare a che cosa dovessero fare mentre il cuore batteva all’impazzata contro il petto. “Hai già parlato con la polizia?”

Non c’era altro che fare che coinvolgere la polizia. Avrebbero dovuto farlo sin dall’inizio, sin da quella maledetta sera che sembrava ora solamente il punto in cui quel vaso di pandora si era rotto: forse non avrebbe fermato quella linea di rottura, forse avrebbe semplicemente peggiorato o accelerato quel piano diabolico ma... ma forse Brian sarebbe stato ancora lì e Nick non si sarebbe trovato in un ospedale, indossando i vestiti di chi voleva essere per una volta l’eroe ma tremando all’idea di poter perdere tutto.

“Non ancora...”

Nick non fece in tempo a terminare la sua frase che la porta della stanza si aprì dopo un timido ma deciso tocco: apparve un uomo sulla cinquantina, i capelli brizzolati e umidi e fu in quel momento che Nick si rese conto che, fino a quel momento, aveva osservato lampi venire e scomparire senza nemmeno rendersene conto.

“Scusate il ritardo. – Si presentò l’uomo, l’impermeabile che lasciava una linea di gocce a ogni passo in avanti. – Stavamo... stavo interrogando il responsabile dell’incidente. Sono venuto non appena possibile. Purtroppo siamo una piccola cittadina quindi anche la polizia non abbonda di forze.”

“Non si preoccupi. – Rispose immediatamente Kevin, alzandosi di scatto quasi come se quella comparsa avesse risvegliato il suo autocontrollo. La situazione non era così senza speranza come lo era sembrata solo fino a qualche secondo prima. – Lei è un ispettore, dunque?”

“Sì. Potrei dire che sono l’ispettore a cui è stato assegnato il caso ma ciò significherebbe che me lo sono assegnato da solo quindi... pessima battuta, me ne rendo conto. – Commentò Hotch, rendendosi conto che le sue parole non erano servite a rompere quel silenzio teso che permeava nella stanza. – Mia moglie dice sempre che dovrei evitare.”

“Non...” Nick cercò qualche battuta da porre in cambio ma ogni energia era già stata consumata via dalla tensione e dall’ansia.

“Non è certo il momento per le battute, mi rendo conto. E non sono nemmeno qui per darvi il benvenuto in questa ridente cittadina. – Il detective si tolse l’impermeabile e recuperò il suo taccuino: erano molte le questioni che andavano chiarite e molti gli enigmi che ancora aspettavano una risposta. E quello era il suo compito, trovare la soluzione e far sì che i colpevoli pagassero per le loro azioni. – E siccome non sono una persona a cui non piace perdersi in discussioni inutili, perché non andiamo direttamente al punto?”

“Avete arrestato il colpevole?”

“Se per colpevole intende chi l’ha investita, signor Carter...”

“Nick, per favore. Signor Carter mi ricorda fin troppo mio padre. Non ne sono abituato.”

“Nick, allora. Andrà più che bene. E visto che ci stiamo presentando, io sono l’ispettore Michael Hotchner, anche se voi potete chiamarmi tranquillamente Michael. Credo che dovrete sopportare la mia presenza per molto tempo.”

“Signor... cioè, Michael, ha trovato il colpevole?”

“Anthony Rhodes si trovava alla guida del mezzo che lo ha investito. Non ha tentato di fuggire né si opposto all’arresto, dichiarandosi colpevole. Nel corso dell’interrogatorio, però, sono sorte alcune informazioni alquanto interessanti.”

“Del tipo?”

“Perché prima non mi racconta, Nick, che cosa è successo? E perché si trovava lì in quel momento? Questo non è un paese molto conosciuto, non di certo da una popstar di fama mondiale come lei.”

Nick si lasciò sfuggire un lungo respiro, cercando di nascondere l’espressione di dolore dagli occhi inquisitori di Kevin. Non era quello un controsenso? Fino a qualche secondo prima Nick aveva desiderato quella preoccupazione così assordante, quell’attenzione e quelle cure che solitamente non ricercava ma a cui ci teneva perché erano un segno tangibile di affetto e di legame fra di loro, anche se era più un capriccio e un vizio remore di altri anni e altre situazioni.

In quel momento, no.

In quel momento Nick voleva evitare che l’attenzione ritornasse su di lui e sulle sue ferite, per quanto potessero dolorose e fastidiose potessero essere. L’attenzione doveva essere su quel poco che ricordava, sul recuperare tutti i dettagli che poteva nel caso uno potesse trasformarsi nella chiave di svolta.

“Detective...” Kevin cercò di intervenire, notando il tentennamento di Nick e considerando che quella domanda implica una risposta molto più lunga e complicata. Implicava dover svelare un segreto che, in quel momento, Kevin ancora non sapeva se era già stato scoperchiato o se ancora dormicchiava latente. Un tempo avrebbe protetto quel segreto in tutti i modi possibili, non solamente perché era sempre stato ciò che Brian voleva e avrebbe voluto, ma anche per nascondere le sue responsabilità e le sue colpe.

La sua vergogna.

“Kevin, giusto? - Il detective rivolse la sua attenzione verso il maggiore, quel ragazzo che aveva gli stessi tratti del cugino, quella mascella così prominente e che dava quasi un’aria da duro, se non fosse stato per quegli occhi verdi che contenevano così tanta tristezza, maturità e ansia. – Abbiamo già alcuni dettagli. Voglio semplicemente verificare che coincidano, nulla più.”

“Non è quello il problema. E’ che... è che per spiegare perché mi trovo qui dovrei iniziare da molto prima. E non so se è mio compito raccontare la storia di Brian.”

“Intende la dichiarazione fatta ai giornali qualche giorno fa?”

“Come...?” Domandò Nick stupito. In parte si era completamente dimenticato di quella follia che Brian aveva fatto; quel suo tentativo di reagire che, a mente lucida e fredda, ora sembrava esser stata la miccia che aveva innescato la bomba; dall’altra sembrava così strano e così improbabile che una notizia del genere potesse essere arrivata in quel piccolo paese sperduto nel nulla.

“Nick, i giornali arrivano anche qui, glielo assicuro. – Rispose il detective, quasi come se avesse intuito la confusione e la domanda che stava per essere formulata. – Inoltre, un altro difetto che mia moglie adora sottolineare è il mio essere anche fin troppo pignolo quindi ho fatto qualche ricerca prima di accettare il caso.”

“Quindi conosce la storia di Brian?” Kevin incalzò immediatamente, quasi sollevato da quel fortunato dettaglio.

“Conosco la sua versione.”

“E’ la verità.”

“E quando avrò tutti i file del suo caso potrò affermarlo anch’io. Per ora, perché non incominciamo dall’inizio e mi spiega, Nick, perché si trovava qui?”

“Brian abita qui. O ha una casa, dubito che possiamo veramente dire di abitare da qualche parte visto tutto il tempo che passiamo su tourbus, aerei o semplicemente sul palco. E questo era l’unico posto dove volesse nascondersi; dove pensava, dove entrambi pensavamo che potessimo rimanere al sicuro e riprendere fiato.”

“Da quanto tempo vi trovavate qui?”

“Qualche giorno. – Nick si grattò la testa, cercando di ricordare esattamente la successione dei giorni. Ma il tempo era sfocato, diluito in una serie di immagini che però non sapeva ricostruire o rimettere in ordine. -  No, questo è il secondo giorno. Siamo arrivati l’altra notte.”

“E Mr. Littrell... posso chiamarlo Brian, vero? Suona un po’ strano usare queste forme quando parlo di ragazzi che potrebbero essere miei figli.”

“Certo.” Rispose Nick distrattamente. E nervosamente. Non gli era mai piaciuto esser interrogato, nemmeno quei pochi anni trascorsi a scuola dove aveva cercato faticosamente di rimanere il più invisibile possibile.

Ma davanti a un poliziotto?

Davanti a un poliziotto le sue mani incominciavano a sudare, il suo cuore incominciava a battere sempre più furiosamente quasi come se quell’uomo, così normale e così uguale a lui, potesse vedere oltre i suoi vestiti e oltre quei lividi e trovare tutto quello che nemmeno Kevin e Brian sapevano: quelle nottate che si erano trascinate di bar in bar, fra compagnie di persone di cui ora Nick nemmeno ricordava il nome o i tratti del viso; scherzi che, molto spesso, si erano quasi tramutati in incidenti perché nessuno di loro, nessuno delle persone a cui Nick si era accerchiato, era in grado di prendere il controllo e mettere un freno. Davanti a un poliziotto, soprattutto qualcuno che aveva l’aspetto di un padre severo ma comprensivo, Nick aveva quasi la sensazione che sarebbe stato in grado di confessare ogni colpa e ogni responsabilità.

Ma non si trattava di lui. Non in quel momento.

“Quindi, Nick, siete arrivati l’altra notte. Nessuno vi ha visto arrivare?”

“Non credo. Ero più occupato a trovare la strada giusta che a controllare se qualcuno stesse osservando dalle finestre. – Nick abbassò lo sguardo, sentendo le guance avvampare per la vergogna. Un’altra mancanza. Un’altra colpa. Se solo avesse prestato più attenzione... no, invece no. Invece aveva voluto fare il supereroe, mostrarsi capace di prendersi cura di Brian solamente dimostrando... già, dimostrando che cosa? – So che avrei dovuto fare più attenzione. So che avrei dovuto farci accompagnare dalla nostra sicurezza o assicurarmi che nessuno ci stesse seguendo ma...”

“A quello ci arriviamo fra poco, Nick.”

Kevin si ritrovò a sbottare con frustrazione, attirando l’attenzione su di lui. “A che cosa servono queste domande, detective?”

“Servono per capire che cosa è successo.”

“Non c’è molto da capire.”

“Allora devo essere molto più lento del solito perché io non riesco ancora a capire la situazione. Magari può spiegarmela lei, Kevin.” C’era un’implicita sfumatura in quel suggerimento, un’implicita richiesta di apertura di quel vaso che era stato lì, in mezzo alla stanza, ma nessuno aveva voluto aprirlo perché sarebbe stato doloroso.

“Che cosa ha detto l’arrestato? Anthony... così si chiama, giusto? Perché lo ha fatto?” Intervenne Nick, sentendo la tensione proveniente da Kevin e non essendo ancora pronto a risentire quella storia che, ancora, faticava a essere masticata e digerita.

E stavano perdendo tempo. Stavano sprecando tempo perché più minuti passavano a riallacciare i nodi fra passato e presente, e più minuti e secondi Brian era costretto a passare insieme a Tyler. E solo quel pensiero bastava per far ritornare la nausea e la bile acida su per la gola.

Per un momento il detective sembrò non accorgersi nemmeno di quella richiesta, ancora ancorato a quella sua strategia di far aprire Kevin su quel vecchio mistero che si stava sgretolando in quella piccola cittadina. Ma l’ansia, nella voce di Nick, fu sufficiente per abbandonare quell’idea e cambiare rotta, consapevole che prima o poi sarebbero arrivati al nodo più intricato di quella faccenda.

“Nessuno di voi, né tu né Brian, lo conoscevate vero?”

“Nemmeno sapevo che questa cittadina esistesse fino all’altro giorno. Brian... Brian non ne ho idea.” Ammise Nick infine, conscio di quanti pochi dettagli sulla vita del suo compagno, del suo migliore amico, fosse in grado di esporre: quante cose non aveva visto? Quante parole non erano mai state pronunciate, forse per paura o semplicemente per mancanza di coraggio o di attenzione? Quanta solitudine doveva aver provato Brian per essersi spinto fino a quel paese, rinchiudersi in una casa che aveva bisogno di essere ricostruita fin dalle sue fondamenta, senza che nessuno, senza che lui, se ne potesse accorgere?

“Glielo posso dire io, Nick. Anthony non conosceva Brian. Né sapeva contro chi, esattamente, stava dirigendo la sua macchina.”

“E allora perché lo ha fatto?”

“Perché qualcuno gli ha detto di farlo. Minacciato. E pagato.”

“Tyler?” Si intromise Kevin.

“Non è quello il nome che è stato fatto.”

Sia Nick sia Kevin si scambiarono uno sguardo disorientato e confuso. Una terza persona? Oppure Tyler aveva usato un pseudonimo?

“In che senso?”

Brevemente, quindi, il detective raccontò ciò che Anthony aveva svelato durante il suo interrogatorio, lasciando per l’ultimo quel dettaglio che aveva cambiato e sconvolto un’indagine che era sembrata immediatamente semplice.

“Brian? Il tizio che lo ha ingaggiato per ciò sarebbe Brian?” Il tono di Nick diventò quasi isterico, grondante di un’incredulità che voleva infilarsi nella stretta via dello scherzo. Ecco che cosa era successo veramente. Ecco che cosa stava succedendo. Era tutto uno scherzo e, presto, Brian sarebbe apparso da quella porta chiedendogli scusa.

“Nick...” Kevin si avvicinò, cercò di appoggiare una mano di conforto sulla spalla dell’amico ma Nick si spostò quasi immediatamente.

“Nick un bel corno. Dobbiamo credere a questa messa in scena? Dobbiamo credere che è stato Brian a ingaggiare qualcuno che mi uccidesse per poi scomparire con Tyler? – Poi, con uno scatto quasi impercettibile, voltò lo sguardo verso il detective, negli occhi una luce di determinazione e di voglia di lottare contro quella bugia. – Non è stato lui. Qualsiasi cosa abbia detto quell’uomo, lo ha fatto solamente per salvarsi la pelle.”

“Nessuno sta accusando Brian, vero detective?”

“Se mi aveste fatto finire, vi avrei comunicato che quest’ipotesi è stata immediatamente smentita. Chiunque abbia organizzato questo finto incidente ha voluto far credere ciò.”

“Non chiunque. Tyler.” Mormorò Kevin con tono sommesso e sul punto di spezzarsi al primo attimo di pausa; lasciò che la gravità di quella situazione si mettesse comoda in fondo allo stomaco e incominciasse a tessere la propria ragnatela. Si sentì mancare il terreno sotto i piedi, come se una buca enorme si fosse aperta all’improvviso e stesse cercando di farlo cadere fra le sue fauci e lingue di fuoco.

Quanto erano stati stupidi!

Non si erano mai spinti fino a quel punto, lui stesso non aveva mai preso in considerazione che Tyler potesse arrivare a compiere qualcosa di così... Kevin scosse la testa, come se potesse bastare quel movimento per schiarire le nubi e portare finalmente un po’ di chiarezza. Ma l’unica cosa che rimaneva era il fatto che avevano sottovalutato Tyler ed ora ne stavano pagando le conseguenze.

Perché?

Era ancora quella la domanda che rimaneva senza una risposta. Perché Tyler stava facendo tutto ciò? Se avesse voluto semplicemente riprendersi Brian, avrebbe potuto farlo sin dall’inizio, invece che organizzare quella caccia all’uomo che sapeva più di vendetta e di ultima rivendicazione.

“Quindi mi confermate che la storia è davvero vera? – Domandò il detective, facendo comparire uno dei tanti giornali che aveva riportato la confessione di Brian qualche giorno prima. – Ciò che è successo dieci anni fa è vero?”

“Sì.” Kevin dovette ammettere con una sillaba che sapeva di acido e di colpa.

E, dopo quell’unica parola di assenso, si ritrovò a raccontare ciò che aveva tenuto segreto per anni, ciò che lo aveva perseguitato ogni volta che si ritrovava di fronte a un ragazzo che poteva assomigliare a quell’amico che aveva distrutto e rovinato per sempre la vita di suo cugino; raccontò senza remore e senza costrizioni, sforzandosi di ignorare la presenza di Nick al suo fianco e sperando, quasi inutilmente, che non lo ritenesse responsabile per ciò che non aveva fatto, per tutto quello che avrebbe potuto fare per impedire che quel terribile ricordo fosse solamente un incubo invece che una triste vicenda che si leggeva distrattamente sul giornale e che si sperava non dovesse mai accadere. Raccontò, Kevin, di come non avesse mai potuto sospettare di quel ragazzo con cui aveva condiviso quell’avventura, quel viaggio nel cercare di sfondare in un mondo che sembrava sempre così sfavillante quando lo si osservava da lontano e con occhi sognanti; raccontò di come si fosse fidato, ciecamente e stupidamente, di Tyler e solamente perché aveva voluto inseguire un battito sfuggente del suo cuore invece che preoccuparsi di evitare che il lupo entrasse così prepotentemente nelle loro vite; raccontò e descrisse ogni dettaglio di quella giornata, di quella ricerca affannosa quando si era accorto che qualcosa era successo, qualcosa di irrimediabile e così definitivo. Raccontò, Kevin, anche ciò che Brian non aveva mai saputo, ciò che non gli era mai stato raccontato perché erano sempre stati tutti più preoccupati a rimetterlo in piedi, ad assecondarlo in quella smania di dimenticare e ignorare ciò che gli era successo invece che lottare avendo fra le proprie mani il quadro completo della verità: non era stato un caso la cattura di Tyler, non era stato un successo della polizia che, immediatamente, si era messa alla ricerca di quell’individuo. Perché Tyler non era nemmeno scappato, Tyler non aveva nemmeno cercato di nascondersi o allontanarsi da quel luogo dove aveva portato sangue e violenza: Tyler era ritornato nel loro appartamento, quelle quattro stanze in cui segreti e confessioni erano state condivise e taciute, e lì si era cambiato e comportato come se niente fosse successo, quasi come se la giornata trascorsa e finita nel sangue fosse stato solo frutto di un sogno fin troppo vivido.

Fu lì, nel piccolo soggiorno e sul divano dove Brian aveva dormito in quella vacanza, che Kevin si era ritrovato di fronte all’amico che lo aveva osservato e salutato come se fosse trascorsa una notte come tante altre, come se fosse una mattina in cui ci si era svegliati più presto del solito. Lo shock lo aveva immobilizzato, Kevin nemmeno ricordava quale fosse stata la ragione e la motivazione che lo aveva tenuto fermo sulla soglia della porta, incapace di mormorare anche una sola sillaba o muovere un solo muscolo: avrebbe voluto lanciarsi contro quel mostro, avrebbe voluto provocare tutto il dolore che era racchiuso negli occhi vitrei e senza più luce del cugino; ma già allora la violenza non era mai stata la soluzione preferita, già allora Kevin aveva ricacciato indietro quell’istinto e quel desiderio di sangue per una decisione dettata da una calma e da una sicurezza quasi fredda e inspiegabile. Una chiamata. Ecco tutto quello che aveva fatto, una telefonata che anche se aveva permesso di imprigionare quel mostro e impedire che commettesse altre stragi o si lasciasse dietro impronte sanguinanti, non aveva e non avrebbe mai potuto cancellare quel senso di impotenza e di fallimento che Kevin si era portato dietro fino a quel momento. C’era stato solo un momento di soddisfazione, un attimo che era riuscito a gonfiare il petto con un sentimento che era ancora difficile da spiegare e che si avvicinava pericolosamente al gusto freddo e acido della vendetta, ed era stato quando Tyler era stato portato via dalla polizia e aveva incrociato lo sguardo di Kevin con una luce di tradimento e di sgomento, incapace quasi di comprendere e capire perché lui, il suo migliore amico, aveva fatto quella cosa.

Quelle parole uscirono dalla bocca di Kevin come un fiume in piena, come una corrente che era riuscita finalmente a rompere tutti gli argini che la tenevano prigioniera e si era liberata di tutto. Quelle parole si levarono nel silenzio di una stanza di ospedale, alle spalle di un temporale che si stava dando energia e che donava, a quegli spettatori e a quell’interlocutore, l’atmosfera adatta per tirare fuori e mostrare gli scheletri del passato. E fu Nick che, quando finalmente Kevin si ritrovò con la gola prosciugata di parole e di energie, si avvicinò al maggiore e lo chiuse in un abbraccio di conforto che così poche volte era stato offerto dal minore: Kevin vi si nascose quasi imbarazzato, gli occhi chiusi, stretti con così tanta forza e intensità per non lasciare che quelle lacrime potessero tradire il suo autocontrollo. Non era quello il momento per crollare, non era quello il momento adatto per cercare una difesa che sarebbe sembrata vuota perché non proveniva dall’unica persona alla quale, davvero, doveva e voleva consegnare tutti le sue dimenticanze e tutti i suoi fallimenti.

“Non è colpa tua.” Sussurrò Nick all’orecchio del maggiore, in un improvviso e quanto mai sconvolgente rovesciamento e cambiamento di ruoli. Da dove nasceva quella sua consapevolezza? Da dove nasceva quell’empatia? Almeno fino a quel momento, c’era stata una vocina che si era posizionata da qualche parte nella sua anima e che aveva alimentato quella rabbia contro Kevin, quell’accusa di non aver saputo proteggere il suo bene più prezioso. Se Brian fosse stato lì con loro, probabilmente gli avrebbe offerto una spiegazione psicologica che avrebbe avuto senso anche se contornata da parole troppo complicate per lui.

Ma Brian non era lì. E, quell’assenza, era la ragione per cui ora Nick si era sentito quasi in dovere di indossare i suoi vestiti e offrire la sua spalla a Kevin, discolpandolo di qualcosa che nessuno avrebbe mai potuto prevenire.

Qualcosa di cui ancora, nessuno, riusciva a spiegare perché fosse successo.

Tempo e silenzio si abbracciarono fino a quando diventarono una coppia invisibile e impossibile da dividere e misurare. Dall’esterno provenivano solamente i rumori di un ospedale in piena attività, dalla finestra lasciata socchiusa giungeva il sibilo del vento e quello strano sibilo che pareva la voce delle onde che si arrabbiavano dopo ogni lampo. Eppure quei suoni non sembravano bucare quella bolla che si era creata all’interno della stanza, una bolla che nemmeno il detective voleva interrompere: si sentiva quasi un intruso, un involontario spettatore di un momento che avrebbe dovuto essere privato o, al massimo, che avrebbe dovuto svolgersi di fronte ad altri occhi. Avrebbe voluto lasciare quel luogo, dare e consegnare un velo di dignità a ciò che stava accadendo, ma sapeva anche che il tempo era il loro principale nemico in quel momento: dal racconto fatto da Kevin, dai fatti crudi messi in chiaro in quel file che era rimasto sul sedile della sua macchina, emergeva un quadro che sarebbe stato perfetto per un racconto thriller. Gli elementi necessari, gli ingredienti principali erano già stati preparati accuratamente negli anni, su quello non sorgeva più nessun dubbio. E quell’incidente così strano, quel mescolare e nascondere le carte per creare confusione e ritardare i tempi, era semplicemente il campanello d’allarme che andava assolutamente ascoltato e fermato.

Così il detective si vide costretto a schiarirsi la voce e riportare l’attenzione verso di lui. Lo fece quasi con imbarazzo, quasi sentendosi in colpa ma, a volte, il suo lavoro lo costringeva a tenere a bada la sua empatia e compassione. Ed era quello, forse, uno degli aspetti che Michael aveva sempre odiato del suo distintivo.

A quel suono improvviso, dunque, Kevin fu il primo a staccarsi da quell’imbarazzante momento di crisi: inspirò ed espirò a fondo per qualche secondo, la schiena rivolta alle altre due persone presenti nella stanza, e con una mano cercò di cancellare quell’umidità che gli stava pizzicando gli occhi. Aveva un compito da portare a termine: trovare Brian. Il resto avrebbe potuto aspettare. Il resto doveva aspettare, non aveva già imparato ad aspettare per anni e anni?

“Detective...” La sua voce, sul punto quasi di incrinarsi, ritrovò la forza e la controllata sicurezza di sempre e cercò di prodigarsi in una scusa per quel comportamento.

“Non c’è niente di cui scusarsi. – Rispose prontamente Michael, offrendo un tono caldo e rassicurante. Il tono che avrebbe confortato un figlio, se mai avesse avuto la fortuna di averne uno. – Sono io che dovrei scusarmi ma devo mandare avanti le indagini.”

“Ovviamente. Bisogna trovare Brian prima che sia troppo tardi.” Dichiarò Nick, la sua attenzione che ritornò a concentrarsi su quel cuore pulsante dentro di lui.

“Nick, è sicuro di aver visto Brian andarsene via?”

“No. Sono sicuro di aver visto Tyler convincerlo ad andarsene.”

“Ha sentito minacce? Come fa a esserne sicuro?”

“Brian non mi avrebbe abbandonato lì, su quella strada, di sua volontà. – Lo sguardo di Nick si fece più assottigliato, più affilato mentre un pensiero sembrava prendere forma di fronte ai suoi occhi. – Non sta pensando che si siano messi d’accordo, vero?”

“No. Potrei averlo pensato prima, quando non avevo tutte queste informazioni, alcune delle quale dobbiamo assolutamente parlare perché avreste dovuto interpellare la polizia molto prima...”

“Lo sappiamo. – Kevin ammise con un cenno del capo. – Avremmo dovuto farla intervenire dopo il primo incidente ma, allora, nessuno di noi pensava che potesse esserci qualcosa di più. Non volevamo pubblicità, soprattutto Brian non voleva ritornare ad affrontare...” La voce si defilò in un silenzio a cui non serviva aggiungere parole o commento: il significato era chiaro, era intrinseco in una conoscenza che non aveva bisogno di essere espressa.

“E Brian è una persona molto, molto testarda. – Ammise Nick con un curva di voce addolcita da quell’affetto e da quell’amore che si erano sempre incatenati attorno alla figura di Brian. – Tende a ignorare qualsiasi cosa che sposti l’ago di quel controllo che ha sempre mantenuto in tutta la sua vita. Per giorni ha volutamente ignorato ciò che gli era successo, anche se tutti noi potevamo vederne i segni e i pesi che si portava dietro.”

E che lui, Nick, aveva ignorato perché più preoccupato di quel cuore che si stringeva dolorosamente  alla vista del maggiore e di che cosa significava quell’attrazione, e quel desiderio di prendersi cura di lui, che cresceva sempre di più. Giorno dopo giorno. Notte dopo notte. Sbronza dopo sbronza. Ora comprendeva, certo. Ora Nick comprendeva tante cose lasciate inspiegate durante gli anni trascorsi, una consapevolezza avvolta in rimorso e rimpianto perché sì, Nick avrebbe voluto poter tornare indietro e modificare anche solo un piccolo gesto, anche una sola parola che avrebbe potuto cambiare il corso degli eventi.

O, forse, sarebbero comunque arrivati a quel punto. A quel momento. Tyler sembrava aver programmato ogni minima mossa che, anche anticipando o smuovendo le pedine, sarebbe stato impossibile impedirgli di mettere in pratica tutto quello che aveva progettato.

E chissà quant’altro aveva in mente…

“Ormai quel che è fatto è fatto. E’ inutile tornarci sopra. A meno che non abbiate qualche altra informazione che possa ritornarmi utile.”

“Di che genere?” Domandò Kevin, ogni nervo teso e, allo stesso tempo, galvanizzato per potersi finalmente riscuotere da quell’apatia e poter far qualcosa di concreto.

“Qualsiasi cosa vi possa venire in mente. Qualsiasi cosa che abbiate trovato strano e sospetto in queste ultime settimane. – Il detective cercò di chiarire, sperando che qualcosa potesse accendere la discussione perché ancora troppe zone d’ombra rendevano difficile quell’indagine. – Anche prima dell’aggressione.”

Nick si voltò di scatto, quasi come se quell’ultima frase fosse stata un lampo che fosse riuscito a diradare la nebbia in cui la sua mente era stata avvolta. C’era un punto su cui aveva continuato a tornarci sopra, un tarlo che era stato impossibile da mettere a tacere ma che, quasi intenzionalmente, non avesse voluto mostrarsi solo fino a quel momento. “Qualcosa c’è che non torna.”

“Che cosa?” Domandò Kevin.

“L’aggressione.”

“Nick, non riesco a seguirti.”

“Come faceva Tyler a sapere che saremmo andati in quel club?”

“E’ qualcosa che fate spesso? Andare di sera in qualche club, intendo.” Intervenne il detective, intuendo, forse, dove Nick voleva andare a parare. Era un dubbio che era sorto anche a lui quando aveva incominciato a tracciare punti e linee di tutta quella faccenda.

“Sì. Non sempre ma la maggior parte delle volte sì.”

“Quindi l’aggressione sarebbe potuta accadere in qualsiasi di queste volte?”

“No. – Mormorò Nick con un sussulto. – Perché non ci sarebbe stato Brian.”

“In che senso?”

“Brian odia i club. Non gli sono mai piaciuti e ci viene solamente quando è un obbligo della nostra etichetta. Ma quella sera l’ho convito io, all’ultimo minuto, a venire con noi. – Spiegò Nick brevemente, ancora sentendo quella punta di colpevolezza per aver spinto, per aver insistito nonostante Brian avesse continuato a dirgli di no.

Forse...

“Quindi qualcuno deve aver fatto la soffiata. Potrebbe essere uno della vostra crew?”

“No. – Kevin negò con sicurezza e determinazione. – Sono con noi sin dagli inizi, non abbiamo mai cambiato la sicurezza.”

“Però è anche vero che spesso ci sono persone nuove, assistenti vari di cui non mi ricordo mai i nomi.”

“Crede che sia possibile, quindi? - Domandò Kevin all’indirizzo del detective. – E’ possibile che Tyler abbia organizzato tutto ciò da mesi, facendoci seguire per aspettare il momento perfetto per attaccare?”

“A questo punto non lo escluderei. Se quello che desidera è vendetta, gli anni in prigione possono esser serviti per creare e progettare fino al più piccolo particolare questo piano. Sapete nulla dell’aggressore?”

Kevin era sul punto di negare quando Nick lo interruppe ancor prima che potesse emettere un suono o un respiro. “Sì. Si chiama Seth e... aspetti un attimo. – Nick incominciò a guardarsi intorno, sperando di poter recuperare i propri vestiti. No, si ricordò poi all’improvviso, quel biglietto così importante lo aveva lasciato nel borsone che era a casa. Fortunatamente. – Abbiamo il suo numero di telefono. Non qui. In ospedale, intendo.”

“Come siete riusciti?”

“Cosa?” Lo stupore e sgomento di Kevin riuscì a prevalere sulla domanda dettata dal detective. Quante cose quei due, Frick e Frack, gli avevano tenuto nascosto? Quante cose aveva finto di non vedere solamente perché più preoccupato di come Howie potesse reagire e di come controllare e prevenire il suo comportamento.

“Ricordi la sera del concerto acustico? Quando Brian ti ha detto di averli visti, di aver visto Tyler fra il pubblico?”

“Sì. Ricordo.” Rispose Kevin, ricordandosi anche di come si fosse dimenticato di controllare che Tyler fosse stato veramente nel pubblico. Un altro fallimento. Un’altra colpa da aggiungere alla lista e all’elenco di mancanze che avrebbe poi dovuto consegnare a Brian.

“Siamo stati gli ultimi a uscire quella sera. – Nick si rivolse soprattutto al detective, notando che aveva recuperato la sua penna e si stava segnando tutto quelle nuove informazioni. E ciò gli diede più forza, un’iniezione di determinazione perché si sentiva utile, finalmente. Poteva salvare Brian o, almeno, poteva aiutare chi di dovere. – C’era un gruppo di fans e Brian si è voluto fermare nonostante avesse appena avuto un attacco di panico. E, fra quel gruppo, c’era il ragazzo della foto. E’ scappato via, Brian ha voluto inseguirlo non so per quale pazzia ed è riuscito a fargli confessare che era stato Tyler ad ingaggiarlo. Anche se non gli aveva mai dato un nome o altro.”

“E voi non l’avete denunciato?”

“Brian non ha voluto. All’inizio nemmeno io ero convinto di ciò, non riuscivo a capire come potesse lasciarlo andare solamente con un foglietto e una vaga promessa di chiamare nel caso Tyler si fosse fatto vivo con un altro incarico.”

“Che cosa le ha fatto cambiare idea, Nick?”

“La sua espressione. Di Brian. Era totalmente terrorizzato all’idea di dover fare denuncia, di rimettersi ancora in mezzo a qualcosa che aveva cercato di dimenticare. Ovviamente in quel momento non avevo idea del motivo di quello sguardo ma ora... ora ha senso. – Rispose Nick, cercando di trovare le parole adatte per descrivere quella luce, o meglio ombra, che era apparsa negli occhi di Brian. Quella determinazione, che lui aveva scambiato per ostinazione e testardaggine, con la quale la sua voce era uscita senza poter ammettere repliche o ostruzioni. Tutto aveva assunto un senso solamente qualche ora dopo, quando Brian gli aveva mostrato la sua anima ferita e deturpata. – Anche quel ragazzo. Seth. Era terrorizzato. Un’altra vittima di Tyler.”

Il detective rimase in silenzio per qualche motivo, lo sguardo che cercava di trovare un filo che avrebbe potuto legare tutti quegli appunti: c’era uno schema in tutto quel caos, non era solamente una ricerca smodata di vendetta e di impartire chissà quale lezione. Tutte quelle azioni, per quanto lucide e ponderate per mesi e mesi, sottolineavano semplicemente la pazzia di un’ossessione inspiegabile che non si era acquietata o calmata con gli anni.

“Ha un complice. Tyler, intendo. E’ stato quest’uomo ad avvicinare Anthony e consegnargli il telefono con cui Tyler gli ha affidato la sua missione. Ma a questo punto...”

“... a questo punto?” Lo incalzò Kevin, quasi impaurito e già però consapevole di quale sarebbe stata la risposta.

“A questo punto dobbiamo supporre che questo complice abbia fatto tutto il lavoro sporco, come seguirvi tutte le sere in modo da trovare la serata giusta per far partire il piano. E può essere chiunque, qualcuno di così normale da passare inosservato e da non essere in grado di ricordarsi il viso o l’aspetto.”

L’impatto di quelle parole arrivò sulle spalle di Kevin e Nick come se fosse stato lanciato loro un peso, un gigante masso che li avrebbe demoliti e schiacciati; quel peso aveva squarciato una sicurezza di cui erano sempre andati fieri e orgogliosi; quel cordone che era sempre stato in grado di tenere una linea di confine fra di loro e il mondo esterno, quel mondo che a volte, troppo spesso, diventava ossessionato da ciò che doveva essere musica. Erano stati sicuri su quello, non si erano mai fatti domande quando qualche nuova faccia appariva perché era sempre accompagnata da un “è un mio amico, rimane solo per questa sera” e non era quello che loro stessi facevano? Invitare amici, conoscenti, famigliari... persino vecchi nemici, coloro che non avevano mai creduto in loro solo per metter loro di fronte al fatto che ci erano riusciti, dopotutto.

C’era stata una falla in quel sistema. Una prima crepa e ora il muro stava crollando perché Nick già sapeva che Kevin avrebbe fatto tempesta con la loro etichetta per scoprire l’intruso, per individuare quello sconosciuto che era riuscito a intrufolarsi nella loro bolla sicura e protetta e l’aveva fatta esplodere dall’interno. Non si trattava più di ore, giorni o settimane. Non si trattava più di fare mente locale su che cosa fosse stato diverso quella famosa sera di qualche settimana prima: ora erano mesi e mesi che andavano messi sotto l’occhio del microscopio e, forse, non sarebbero nemmeno riusciti a rintracciare l’anello mancante.

Eppure, nonostante quel peso che sentiva sulle sue spalle, Nick riuscì a spostare quel pensiero lontano dalla sua mente. Erano tutte parole. Erano giri panoramici su ipotesi e ipotesi, niente di concreto se non per un unico fatto: Tyler era ancora là fuori, libero di poter concludere il suo piano e beffandosi di tutti coloro che lo avevano dato per matto e psicopatico.

Come poteva importarsi di quelle opinioni quando aveva già finalmente ottenuto il suo scopo? Come poteva lui, Nick, e Kevin e la polizia, concentrarsi sul rintracciare vecchie impronte quando c’era qualcosa di più importante su cui mettere a fuoco le loro energie?

“Detective. Capisco che per lei tutto questo ha importanza, anche noi vogliamo capire che cosa e come è potuto succedere tutto questo. Ma è proprio questo il punto: ormai è successo. Ormai Tyler si è preso Brian ed è su questo che dobbiamo concentrarci.” Un brivido passò lungo la schiena mentre Nick tentava di tenere sotto controllo i propri pensieri ed evitare che finissero imprigionati in reti e ragnatele pericolose.

“Lei è proprio sicuro di aver visto Tyler vicino all’incidente?”

“Assolutamente. – Rispose Nick con determinazione e senza nemmeno battere ciglio. – Era lui. Si è avvicinato a Brian, gli ha mormorato qualcosa e Brian... Brian è impallidito. Irrigidito. E poi è scomparso.”

“Crede che lo abbia minacciato?”

“Ne sono sicuro. Con l’unica arma che aveva a sua disposizione.”

“Lei.” Rispose il detective, offrendo al silenzio ciò che tutti avevano pensato.

Nick annuì, avvolgendo le proprie braccia attorno al corpo come se volesse ritrarsi in se stesso. O come se volesse abbracciare e trattenere quella figura che era solo un’assenza, una mancanza di ossa e di pelle che faceva stringere il suo cuore in una stretta sempre più dolorosa. Ritornò verso la finestra, appoggiò la fronte contro la superficie fredda del vetro e si lasciò ingannare via da quelle gocce che già incominciavano a battere e scivolare via nel temporale.

“Brian è là fuori. Con lui. Dobbiamo trovarlo. Deve trovarlo, detective.”

Non era solamente un’affermazione. Era una richiesta. Una supplica. Una preghiera. Di fronte a quelle parole, di fronte a quel tono e a quell’espressione che era quasi impossibile descrivere perché narrava di una disperazione che solamente pochi avevano avuto la sfortuna di provare sulla propria pelle. Il detective si ritrovò a non poter dire ciò che, effettivamente, avrebbe dovuto: non poté trovare la forza di dir loro, di dire a quel ragazzo che cercava di mostrarsi grande ma che tremava come un bambino impaurito per la sorte del suo compagno, che se Tyler avesse già preso la via del mare, poche sarebbero state le possibilità di trovarlo. Di trovarli. Anche se la tempesta, forse, era venuta in loro soccorso e aveva fatto desistere quella mente arguta, facendogli preferire un’altra via, ovvero quella dei boschi. Anche lì non sarebbe stato facile, soprattutto con quella pioggia che stava già cancellando impronte del loro passaggio.

Ma Michael non disse nulla di tutto ciò a Nick. O a Kevin. Non almeno in quel momento, in cui tutto ciò di cui avevano bisogno era una fiammella di speranza a cui aggrapparsi. E, senza nemmeno sapere il motivo, anche lui cercò  di dimenticarsi di tutti gli ostacoli e le difficoltà di quella ricerca; senza nemmeno cercare di comprendere il perché, il detective si sentiva già attaccato personalmente a quella storia, a quel ragazzo che si era ritrovato in mezzo a una spirale velenosa senza far nulla per meritarselo. Era un errore, lo sapeva. Era il primo errore che ogni detective avrebbe sempre dovuto cercare di evitare, tenersi il più impersonale e oggettivo possibile perché casi come quelli erano difficili, poi, da lavare via quando finivano. In un modo o nell’altro. Eppure anche lui sentiva quel desiderio di ritrovare quel ragazzo, Brian, e lo provava con quell’intensità come se fosse quasi suo figlio.

E aveva l’età per esserlo.

Ecco perché il detective Michael disse semplicemente ciò che sapeva Nick e Kevin si aspettavano che lui dicesse. Rassicurazione. Conforto. Sicurezza. E non lo disse perché voleva convincerli della sua integrità o dell’assoluta fiducia che aveva nella sua squadra: lo disse perché ne era certo, perché anche lui stesso voleva credere ed essere sicuro di poter portare un lieto fine in quella storia. Lo disse alzandosi dalla propria sedia e annullando quella distanza fra poliziotto e interrogato, fra detective e vittima e pedina di un gioco di scacchi. Lo disse avvicinandosi alla figura solitaria di Nick e appoggiando una mano sulla sua spalla, stringendo come se volesse infondergli un po’ di calore e di affetto.

“Lo troveremo, Nick. Troveremo Brian e lo porteremo a casa. Sano e salvo.”

Nick non sorrise. Quasi sembrò che nemmeno avesse sentito quelle parole o quella promessa. Anche se esse arrivarono alle sue orecchie e queste, una volta captate, riuscirono a crearsi un piccolo nido di fiducia e di speranza dentro di lui. Anche se, una volta prese dalle mani del detective, le rigirò e le pronunciò a sottovoce contro il vetro, in direzione di quel buio che stava nascondendo Brian e il suo aguzzino.

“Resisti, Frick. Ti riporteremo a casa.”

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

*****

Promessa mantenuta. 
Ho davvero ripreso entusiasmo per questa storia e, nonostante l'incombere della sessione estiva degli esami, sono ancora più determinata a portare a termine questa storia.
Al prossimo aggiornamento!  



















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Capitolo 24
*** - Ventiduesimo Capitolo - ***


Ventiduesimo Capitolo

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 


Le prime gocce di pioggia avevano incominciato a scendere totalmente inaspettate, invisibili e impercettibili come se fossero tanti e infiniti ladri che dovevano semplicemente mettere a segno il loro colpo e poi scomparire definitivamente; esse si lasciavano cadere gentilmente sulla stoffa dei vestiti, sui capelli e su quei centimetri di pelle che era sempre rimasta nuda; esse si intrufolavano in ogni spazio che poteva rivelarsi essere un’apertura, uno sbocco dove poter scivolare senza che nessuno potesse accorgersene, non fino a quando fosse stato troppo tardi e un brivido avesse già percorso ossa e nervi, scontenti di quel tocco freddo.

Ma quelle prime gocce erano state solamente un avvertimento, il primo squadrone a cui era stato affidato il compito di andare in avanscoperta prima che il vero esercito soffiasse la propria forza e intensità. Ed era arrivato, un esercito composto da fitte gocce che colpivano indistintamente alberi o persone, incuranti se lasciassero un segno o se si portassero dietro con sé foglie troppo deboli per resistere quell’attacco.

Brian non si era nemmeno reso conto di quella battaglia che aveva preso anche il suo corpo come campo di gioco. A malapena riusciva a ricordare o a rendersi conto dove si trovasse, i contorni di ciò che lo circondava si erano mutati in sfumature di grigio e di nero, senza nessun contorno o linea che ne desse una forma: era come un automa, i piedi che si muovevano meccanicamente uno di fronte all’altro mentre la mente era lontana, rimasta vittima e prigioniera là, in quel luogo, dove tutto era incominciato e dove tutto stava anche finendo.

Lo stridore dei pneumatici.

Il colpo.

Quelle immagini a rallentatore che non svanivano se lui chiudeva gli occhi ma, anzi, con il buio sembravano prendere ancora più forma, i contorni diventavano sempre più nitidi esattamente come i colori, brillanti come se stessero riflettendo la luce di centinaia e centinai di riflettori. Nella sua mente quei momenti si dilungavano e si abbellivano con le vesti di un tempo infinito, sembravano non voler mai giungere alla fine e, crudelmente, si ingrandivano per mostrare dettagli e particolari che si trasformavano velocemente in lame appuntite: il sorriso, l’ultimo sorriso che Nick gli aveva rivolto prima di incominciare ad attraversare la strada; lo sguardo atterrito e terrorizzato quando egli si era accorto di quella macchina che non accennava a rallentare e che era diretta contro di lui, in un surreale bowling vivente dove lui era l’ultimo birillo da colpire per poter vincere la partita; il modo in cui il corpo di Nick si era accartocciato su stesso come se fosse un semplice foglio di carta, incapace di proteggersi dai colpi del vento carico di tempesta. Infine quegli ultimi secondi in cui il cuore di Brian aveva smesso letteralmente di battere, dimenticandosi che un’operazione lo aveva rimesso in sesto e scordandosi di riprendere un ritmo regolare. Erano stati gli attimi in cui il suo corpo si era mosso senza che gli fosse stato dato un ordine, avvicinandosi e inginocchiandosi accanto alla figura di Nick e pregando di non doversi trovare di fronte al peggiore dei suoi incubi.

E, per un istante, Brian si era quasi convinto che la realtà non fosse altro che un incubo e che sarebbe bastato riuscire a svegliarsi per ritrovarsi ancora fra le lenzuola, il corpo caldo di Nick accanto al suo e un’espressione accigliata e preoccupata dipinta sul volto; quella convinzione si era rafforzata e radicata ancor di più quando Tyler si era avvicinato a lui, quando aveva percepito la sua presenza che torreggiava su di lui come un avvoltoio avrebbe fatto con la sua prossima vittima: era bastato un sussurro, era servita l’ultima minaccia per affondare ogni resistenza rimasta e ritrovarsi catapultato indietro di dieci anni, quella stessa paura e terrore che aggrovigliava lo stomaco mentre Brian veniva trascinato via.

Ancora una volta.

In tutti quegli anni, in quelle ultime settimane che sembravano esser uscite dalle pagine di un romanzo, Brian si era sempre ripetuto che le cose sarebbe state diverse, se mai si fosse ritrovato davanti a Tyler un’altra volta: si sarebbe comportato diversamente, avrebbe reagito e preso forza da tutto ciò che era riuscito a essere e ad avere nonostante quella cicatrice che si portava dietro.

Invece...

Invece quelle parole, quelle risoluzioni erano crollate come castelli di carta dopo un solo soffio di respiro. Quello stesso respiro che aveva accarezzato con freddezza il suo orecchio, insinuandosi poi lungo il collo e correndo lungo la spina dorsale e portando in superficie battute, parole e frasi che Brian aveva cercato di dimenticare, di cancellare totalmente dalla sua mente. Invece eccole lì, a bussare con insistenza mentre Tyler lo manovrava come la più docile e inerme marionetta e a mescolarsi con quella minaccia che aveva messo a tacere anche quella flebile intenzione di opporsi, di ribellarsi e di rimanere al fianco di Nick.

“Sai di che cosa sono capace. Vieni con me e non succederà più nulla al tuo amico. Rifiutati e quest’incidente sembrerà una passeggiata di fronte a ciò che posso fare al tuo biondino. Che cosa scegli, dunque?”

Brian non era riuscito a dire di no. Si era sentito un traditore, si era sentito come la peggior persona del mondo nel lasciare Nick lì, su quella strada e con la consapevolezza di non poter far nulla per fermarlo o per trattenerlo. Ma non c’era stato nemmeno bisogno di riflettere su quella domanda, non c’era stato nemmeno il più piccolo dubbio sul fatto che Tyler avrebbe trasformato quelle parole in fatti concreti. E più della sua stessa incolumità, più della sua stessa salvezza, Brian aveva giurato di proteggere e di difendere Nick a qualsiasi costi, mettendosi in mezzo e diventando una barriera per impedire che quel serpente potesse mordere e contaminare la sua anima con il suo veleno.

Seguire Tyler, lasciare che lo allontanasse da quella cittadina che si era trasformata in una sorta di porto sicuro, era stata l’unica decisione possibile. Era stato in quel momento, nell’attimo in cui le case avevano incominciato a diradarsi e diventare solamente dei puntini colorati fra alberi e vegetazione sempre più fitta, che la mente di Brian aveva deciso di chiudersi completamente e rifiutarsi di ricevere e comprendere i segnali che giungevano dall’esterno.

Che cosa era cambiato, d’altronde?

Passato e presente incominciarono a intrecciarsi l’uno nell’altro, l’uno attorno all’altro, fino a quando le loro immagini divennero semplicemente un film senza suono e colori: vegetazione e oscurità cedettero il passo agli ultimi raggi di sole di una giornata d’estate e alle grida di bambini che ancora volevano rimanere e provare chissà quante altre attrazioni; il ragazzo che aveva combattuto, che era cresciuto senza una parte di se stesso, si ritrovò faccia a faccia con quel bambino che veniva trascinato via, quella stessa stretta di ferro attorno al polso che Brian riusciva a percepire anche nella realtà.

Fu quell’ultimo dettaglio a squarciare una prima e timida breccia nella nebbia in cui Brian si era nascosto, atterrito dalla preoccupazione per Nick e preda di quelle paure e demoni che si cibavano del buio e della sua inerzia. Quella stretta attorno al polso, quelle dita che premevano e premevano quasi volessero lasciare la loro impronta e marchio sulla pelle, gli ricordarono che, esattamente come in quel lontano giorno, lui non aveva idea di dove Tyler lo stesse portando. Niente era cambiato, dunque. Persino le parole che Tyler stava pronunciando sapevano di già detto, avevano la forma e il sapore di terra e di polvere e sembravano essere dirette a quel ragazzino spaventato di quindici anni invece che a un adulto di venticinque.

Era davvero così, quindi? Era lui ancora quel ragazzino o era quel ragazzo che si era rinchiuso, si era annullato per poi portare con un finto e fragile orgoglio le cicatrici lasciate dal tempo? Ed era Tyler lo stesso demone di cui aveva avuto paura a pronunciare persino il nome, terrorizzato che si potesse materializzare all’improvviso e riportarlo ancora in quel capanno abbandonato?

Con la coda dell’occhio Brian lanciò un’occhiata all’uomo che camminava al suo fianco, a quel vaso di Pandora che non aveva mai voluto ricordare o chiedersi se e quanto fosse cambiato; non si era mai permesso di memorizzare con precisione e perfezione i lineamenti di quel viso che, allo stesso tempo però, avevano continuato a vivere e sopravvivere nei suoi incubi: lì, in quel mondo fra il dormiveglia e il sonno, solamente due dettagli si stagliavano in quello sfondo nero come la pece, come uno di quei cieli in cui nemmeno una stella riusciva a capitolare fuori e farsi ammirare: quegli occhi freddi, quelle due glaciali gemme verdi in cui non era possibile scorgere nemmeno la più piccola emozione, a eccezion fatta per quella luce ossessionata da un pensiero che era diventato un tarlo. E la cicatrice, quel segno bianco che era l’unica testimonianza di come le parole di Brian, urlate e scongiurate quando era stato il momento di donarle a Nick, fossero reali e non un tentativo di minimizzare il suo ruolo di vittima. Quei dettagli erano ancora lì eppure Brian ricacciò indietro il brivido di disgusto e repulsione e si costrinse ad allargare il suo campo d’osservazione, passando al viso che divenne più nitido e lineare e che lasciava intravedere una vecchiaia che non aveva niente a che fare con il tempo o con l’età sulla carta d’identità: la pelle era segnata da segni e piccole cicatrici, la testimonianza che la prigione non perdonava certi crimini; linee e rughe attorno gli occhi rendevano lo sguardo meno terrorizzante e spaventoso di come Brian ricordava. Anzi. C’era un’aria di sofferenza attorno a quel viso, un demone da cui anche quell’essere, quella figura da cui lui aveva sempre cercato di fuggire, veniva tormentato e segnato senza scusanti.

Eppure, nonostante tutto, Tyler rimaneva quell’essere carismatico che era riuscito a tessere reti e piegare menti sotto le sue bugie, menzogne e intenzioni: era un potere che non si riusciva a cogliere di primo acchito, era quasi impossibile rendersi conto di come, in un semplice incontro di sguardi, eri stato trasformato in una pedina qualsiasi, un oggetto che sarebbe stato buttato via non appena si fosse dimostrato inutile. Ma quella consapevolezza arrivava quando ormai tutto era già concluso, quando le ferite erano state aperte e l’unico rimedio era cercare di fermare il sangue che scorreva via. Il potere di Tyler era subdolo, si nascondeva dietro tutte quelle attenzioni che facevano sentire la sua vittima come qualcuno di importante, il centro di un universo dove anche il più insignificante dettaglio o aneddoto diventava un racconto applaudito e racchiuso in uno speciale cofanetto: era quello che era successo a Brian, era in quel modo che lui era caduto nella trappola quasi volontariamente, senza nemmeno accorgersi di tutti quei segnali che avrebbero potuto metterlo in salvo. 

Ed era su quello che Tyler ancora faceva affidamento. Nella sua mente nulla era cambiato. Nella sua mente quel potere non si era affievolito, né la consapevolezza di esser stato scoperto lo aveva minimamente sfiorato. Per Tyler Brian era ancora quel ragazzino che poteva essere manipolato a proprio piacimento, una bambola di pezza che poteva essere piegata ancora una volta e riposta in qualsiasi nascondiglio avesse trovato quella volta.

E Brian, fino a quel momento, non gli aveva dato motivo per pensare il contrario.

Era ora di spezzare quel cerchio e quell’aura di indistruttibile sicurezza.

Ma prima che Brian potesse incominciare a pensare a come fare, successe qualcosa di totalmente imprevedibile e impensabile.

Accadde all’improvviso. Così era Tyler e, se Brian fosse stato più attento e meno perso nei suoi pensieri e in quei ricordi, forse non si sarebbe lasciato prendere così di sorpresa.

Ma successe lo stesso.

Un secondo stavano camminando e, quello successivo, Tyler si fermò come se qualcosa fosse scattato nella sua mente. Si voltò. La pioggia che continuava a scendere fitta, lampi che sempre più spesso si avvicendavano nel donare un po’ di luce in quell’ombra scura e nera. Fu in uno di quegli scorci gialli che Brian riuscì a intravedere lo sguardo di Tyler e bastarono quei pochi secondi per raggelarlo completamente e cancellare tutti i ragionamenti fatti fino a quel momento: perché era quello il potere che il passato aveva ancora su di lui, quell’abilità di distruggere ogni forza e riportarlo indietro, fra quelle catene di paura e terrore che parevano indistruttibili. Bastò quell’espressione, gelida, due punti verdi che lo osservavano come se fosse un gioiello su cui una gazza ladra aveva messo gli occhi sopra.

La stessa che, dieci anni prima, aveva squarciato la sua normalità e realtà.

Preda e predatore, vittima e cacciatore. I ruoli sembravano non essere cambiati, nonostante tutti i discorsi e i ragionamenti che si era fatto fino a quel momento. Avrebbe voluto muoversi. Avrebbe voluto ordinare alle sue gambe di muoversi e di correre via, lontano da quel luogo e verso il suo porto sicuro.

Invece rimase lì.

Atterrito. Spaventato da quei passi che si muovevano verso di lui, terrorizzato da quelle mani che, come tenaglie, si attorcigliarono attorno al suo corpo e gli impedirono ogni altro movimento. Brian chiuse gli occhi nel momento in cui sentì il respiro di Tyler vicino al suo viso, mormorò silenziosamente una preghiera quando percepì delle labbra sopra le sue che non appartenevano a chi lo aveva baciato con amore, dedizione e gentilezza. Non c’era niente di gentile in quel bacio, erano tocchi che cercavano di possederlo come se potesse così appropriarsi della sua anima allo stesso tempo; erano ferite che non si fermavano a morsi e tagli, erano nuovi tagli che si aprivano in quello spirito che aveva cercato di rimediare con ciò che aveva avuto a disposizione. Non c’era niente di gentile in quelle mani che cercavano di possedere ogni centimetro di pelle a disposizione, carezze che non erano carezze ma marchi che, invece di lasciarsi dietro impronte di fuoco, seminavano altro ghiaccio e veleno.

“Glielo lascerai fare, quindi?” La voce di Nick apparve all’improvviso nella mente di Brian, la sua figura si delineò nell’oscurità anche se sfocato.

Una lacrima pizzicò la palpebra ben chiusa, quasi come se stesse battendo la testa per cercare un piccolo, anche minuscolo, pertugio che le permettesse di uscire e mostrare a tutto il mondo il suo dolore e il suo terrore. La bile era lì, un groppo in mezzo alla gola che impediva all’aria e all’ossigeno di passare, costringendo i suoi polmoni a stringersi e costringersi per non soffocare in quell’acido veleno. Echi del passato ritornarono prepotentemente indietro, la loro forza sprigionata in immagini che erano state dimenticate, che erano state lasciate sopite e che ora si erano risvegliate più agguerrite che mai. Era incominciato tutto con un bacio, era finito tutto in sangue e dolore. Sarebbe successo ancora? Il corpo di Brian si irrigidì ancora di più, la mente pronta a nascondersi dietro una corazzata che, almeno, non lo avrebbe lasciato inerme di fronte a ciò che si stava prospettando.

Era l’unico modo per sopravvivere. Era l’unico modo per non lasciarsi sopraffare...

“Non è l’unico modo e lo sai perfettamente. Glielo lascerai fare, quindi? Gli lascerai inquinare e avvelenare ogni nostro futuro bacio? Ogni nostro futuro abbraccio, tocco o carezza? E’ questo che vuoi? Abbandonare quel rapporto che hai sognato e desiderato per così tanto tempo e che finalmente eri riuscito a trasformare in realtà?”

Brian sapeva che non era davvero la voce di Nick a giungergli nelle orecchie. Era la sua stessa coscienza ad aver rubato quella voce, sperando così di poterlo risvegliare e convincerlo ad agire invece che solamente subire come se non avesse più forze. Quella coscienza sapeva che punti colpire, quella voce sapeva quali armi tirare fuori per poter risvegliare una forza che, in quel momento, sembrava essersi nascosto come un gattino terrorizzato.

“Tu non sei mai stato un gattino, Frick. ­ - La voce di Nick arrivò con una risata, quella risata argentata che Brian aveva sempre cercato di far nascere perché lo aveva sempre fatto sentir meglio. – Sei più un leone ferito, in questo momento. Sei qui, a leccarti delle ferite che credi che si siano riaperte ma è solo tutto nella tua mente. Sii davvero quel leone e reagisci. Esci dal tuo nascondiglio e metti fine a questo spettacolo ignobile. Esci e usa quella rabbia che ti sei tenuto dentro fino adesso, quella rabbia che è quasi riuscita a divorarti. Quella rabbia che è quel bambino a cui non hai mai dato modo di sfogarsi e di urlare tutto il suo dolore. Lascialo andare, Bri. Lascialo andare e affronta il tuo nemico a testa alta. Non sei una vittima. Sei un combattente. E so che puoi farcela. So che puoi mettere fine a tutto questo e tornare a casa. ”

Aveva ragione. Nick e la sua coscienza. Avevano ragione. Quante volte Brian si era domandato che cosa sarebbe successo se avesse combattuto con la forza di un uomo invece di un bambino? Quante volte Brian si era promesso che avrebbe lottato, avrebbe tirato fuori gli artigli e sarebbe stato in grado di ribellarsi, di rivoltare la situazione affinché la preda diventasse il predatore, colui che aveva la fortuna di camminare via dal luogo del delitto senza sfregi o perdite.

Una nuova forza incominciò a crescere dentro Brian. Un fuoco incominciò a sprigionarsi da un punto indefinito della sua anima, lingue infuocate che si allungavano come se fossero delle radici che portavano linfa e vita a quei nervi che erano stati imprigionati dal freddo veleno del terrore. Le lacrime scomparvero esattamente come erano apparse, sciolte via da quel coraggio che ora scalpitava a gran voce e che si era impossessato di quella figura per cui tutta quella lotta aveva acquisito maggior senso. Ma sarebbe stata una bugia se Brian si fosse semplicemente lasciato convincere da un fantasma creato dalla sua stessa mente: quella lotta non era solamente per quell’amore che finalmente era diventato realtà; quella lotta non era solamente per dimostrare a Nick tutto ciò che non era e che non era mai stato, nemmeno quando si era trovato con la schiena contro una parete appuntita.

Quella lotta era per lui, per quel Brian bambino che non aveva avuto una vendetta e per quell’anima che voleva finalmente ritornare a vivere all’aria aperta.

A sorprendersi fu Tyler, quella volta. A non aspettarsi quel brusco cambiamento quasi come se qualcuno avesse deciso di scambiare il ragazzo che stava baciando, che stava finalmente possedendo e facendo suo, con un altro di diversa pasta e intenzioni.

Fu un lampo seguito quasi immediatamente da un rombo capace di scuotere gli alberi e far vibrare i nervi. Fu ciò che Tyler non si sarebbe mai aspettato, e che mai avrebbe potuto prevedere. E di fronte a quello che successe, Tyler non sapeva come rispondere.

O come comportarsi.

Brian non sprecò altri secondi preziosi a dialogare con la sua coscienza ma, agendo soprattutto con l’istinto e la forza di chi ormai non ha più nulla da perdere, alzò il ginocchio e colpì Tyler all’inguine, che non poté far altro che lasciare la presa delle mani e inginocchiarsi dolorante per terra.

Era quello il momento migliore per scappare. Brian lo sapeva. Eppure qualcosa lo tenne lì, anche se non era più paura o terrore. Con una freddezza che sorprese persino se stesso, Brian si inginocchiò di fronte alla figura dolorante di Tyler, boccheggiante fra i rantoli di dolore e, negli occhi, la più completa incapacità di credere a quello che era appena successo.

“Perché?” Fu tutto quello che riuscì Tyler a far uscire, piegato in due e la rabbia che stava già incominciando a prendere il posto lasciato dal dolore. Perché Brian aveva fatto quello? Perché lo aveva allontanato con così tanta repulsione e rabbia? Che cosa gli aveva fatto Nick, quello stupido essere, per trasformare Brian in quella persona così carica di rancore? Così carica di odio, quella luce che aveva trasformato quegli occhi azzurri in due nubi grigie e imperscrutabili.

Brian non esitò. Non c’era più spazio per tentennamenti, dubbi o passi indietro. Era quello il momento che aveva aspettato da sempre, l’attimo in cui avrebbe potuto prendere tutte quelle tempeste che si erano date forza dentro di lui. Non c’era nemmeno spazio per quella vecchia e famigliare sensazione che nasceva da quella così intima vicinanza, quel sentirsi come se la sua pelle volesse staccarsi dalle sue ossa e nascondersi in un luogo dove non potesse più essere violata e avvelenata. C’era spazio solamente per un freddo autocontrollo, una spinta e soffio di orgoglio e sicurezza che veniva alimentata da quell’espressione confusa e smarrita che dipingeva il volto di chi, solamente qualche attimo prima, era stato sicuro di sé e del suo potere.

“Non osare mai più toccarmi. – Sibilò in una voce così gelida e fredda, priva di ogni calorosa rotondità com’era solita, che sembrò quasi tagliare il silenzio e superare il fragore dei tuoni e della pioggia battente. – Non sono tuo. Non lo sono mai stato. E non lo sarò.”

“Sei mio! Quanto altro dovrò fare per dimostrarti che ti amo?”

La risata uscì dalla gola ancor prima che Brian potesse percepire quell’aria solleticare le corde vocali e uscire repentina come un serpente, pronto ad attaccare la sua vittima e infondere il suo veleno. Era una risata atona. Sarcastica. Era la risata di chi ormai aveva smesso di considerare quelle parole come una minaccia ma le prendeva per quello che esattamente erano: vuote. Figlie di una pazzia e di un’ossessione malata e perversa.

E non lo toccavano più. Non avevano più effetto.

“Amore? Tu non hai nemmeno idea di che cosa sia l’amore. Tu non mi ami. Tu mi vuoi come un bambino vuole un giocattolo. Ma non lo sono, Tyler. E questa storia finisce qui.” Brian si alzò in piedi, indietreggiando nel momento in cui il suo oppositore incominciò ad alzarsi in piedi.

“Questa storia finisce quando lo dico io. – Tyler sembrò essersi ripreso velocemente da quel primo momento di smarrimento. In un certo senso, quel lato ribelle e combattivo di Brian non faceva altro che riaffermare un’attrazione che non aveva mai subito colpi o fermate; aumentava quella voglia e quell’istinto di addomesticare quel cavallo impazzito, quella forza della natura che all’improvviso si era risvegliata e non aveva intenzione di ritornare là dove era sempre rimasta nascosta. – E tu ora vieni con me.”

“No.”

“Non m’importa ciò che tu vuoi. Tu vieni con me.”

“E dove, sentiamo? Mi vuoi portare in un altro capanno abbandonato?” C’era una punta di sarcasmo nella voce di Brian, come se davvero tutta quella conversazione non fosse altro che una messinscena, un pezzo di copione che qualcuno aveva scritto e che lui si trovava all’improvviso costretto a recitare.

“Non ha importanza dove andiamo. E’ solo una breve sosta, il tempo necessario per far sì che ci lascino in pace. Nessuno potrà trovarci.”

Un pugno di ghiaccio incominciò ad arrotolarsi nello stomaco di Brian mentre l’implicazione sottotesa a quella frase lasciò un gusto amaro e secco nella bocca. Non poteva lasciare che accadesse. Non poteva lasciare che Tyler lo trascinasse in un buco nero, scomparire nel nulla come se non fossero mai esistiti. E non era solamente il pensiero di che cosa Tyler avrebbe potuto fargli in quel buio e in quel dimenticatoio a raggelare il sangue nelle vene, ma era soprattutto quella sua antica paura di essere dimenticato da tutti.

Soprattutto da Nick.

Glielo aveva promesso. Gli aveva promesso che sarebbe tornato da lui, anche se a Nick non aveva mai pronunciato quelle parole perché non c’era mai stata la possibilità. Ma, a se stesso, aveva anche promesso che avrebbe messo fino a quella storia. Ed era proprio quello il motivo per cui, anche se avrebbe potuto voltarsi e andarsene, Brian continuava a rimanere lì: non avrebbe consegnato a Tyler un’altra occasione per scomparire, nascondersi, leccarsi le ferite per poi tornare a tormentarlo come se niente fosse. Come se gli anni non fossero corsi via.

Non gli avrebbe permesso di distruggere la sua vita un’altra volta. E un’altra ancora.

Doveva semplicemente tenere duro. Qualcuno doveva pur aver avvertito la polizia di quello che era successo. Kevin, Howie o Aj si dovevano essere accorti della sua assenza al fianco di Nick e avrebbero di certo collegato i due avvenimenti. O forse era stato Nick stesso ad avvertirli, perché le sue ferite non erano state così gravi come la sua mente continuava a fargli credere. Sì, la polizia doveva essere sulle sue tracce e presto lo avrebbero trovato. Presto li avrebbero trovati e lui avrebbe potuto riprendere a respirare senza doversi continuare a guardare alle spalle.

E lui, nel frattempo, si sarebbe preso con gli artigli quella vendetta che la sua anima agognava da fin troppo tempo.

“Credi davvero che tutto ciò possa funzionare, Tyler? Non sono più quel bambino che hai trascinato con la forza. Posso combatterti. E, credimi, lo farò.”

Quella reazione continuò ad aumentare il desiderio in Tyler: era attraente, davvero non si era mai accorto di come quella luce di ribellione rendesse ancora più magnetici quegli occhi? O di come la mascella tesa sembrava ancor più definita e quasi appartenente a una di quelle statue greche, così perfette?

“E sai benissimo che cosa io farò. La mia minaccia rimane ancora valida, mi basta una sola telefonata per far sì che il tuo caro e amato Nick esali l’ultimo respiro. E’ questo che vuoi? Vuoi essere il responsabile della morte del tuo Nick?”

“E, sentiamo, che cosa pensi che possa succedere dopo? Se io ora ti seguissi, se Nick non facesse più parte della mia vita, cosa credi che possa accadere? Credi che io possa davvero accorgermi di averti sempre amato solo perché sei l’unico rimasto? Credi che ti possa diventare riconoscente di aver ucciso Nick? – La risata risalì velocemente ma Brian la soppresse in un ghigno sarcastico. – Non ti pensavo così illuso e ingenuo.”

“Un giorno lo farai. Un giorno ti renderai conto che io ho sempre avuto ragione. Un giorno ti renderai conto che l’odio era solamente una faccia dell’amore che provi per me. – Dichiarò Tyler, frustrazione e rabbia che si mescolavano insieme. – Ed è per questo che farò di tutto affinché quel giorno arrivi il più in fretta possibile.”

“No. Non importa quanto altro male mi getterai addosso; non importa se farai terra bruciata attorno a me e distruggerai le vite di chi amo. Niente di tutto questo riuscirà mai e poi mai ad avvicinarti al tuo scopo, a quella sporca illusione che ti sei creato durante tutti questi anni. Non sarò mai tuo. Potrai avere il mio corpo, potrai tenermi legato a te e lontano anni luce dalla mia famiglia e dalle persone che amo ma sarebbe solamente come avere una bambola vuota e morta.”

Le mani di Tyler si chiusero in pugni ben stretti, i denti incominciarono a mordere le labbra per impedire alla rabbia di uscire e scatenarsi contro Brian. Inspirò ed espirò a fondo, ricordandosi che quello era il frutto solamente di tutte le bugie che erano state raccontate al ragazzo in tutti quegli anni.

Sin dall’infanzia. Sin da quando... Tyler scosse la testa, la memoria si stava perdendo fra nebbie e nuvole, in quella terra di mezzo dove presente e passato sembravano essere due gemelli, uniti l’uno con l’altro senza possibilità di divisioni.

“Non è lui. – si rimproverò Tyler mentalmente, scuotendo la testa per cancellare via quegli echi che erano tornati a tormentarlo. – Sono due persone diverse.”

“Tu... è colpa loro e nemmeno te ne rendi. Non importa, presto capirai la verità. Presto ti renderai conto che ti hanno sempre raccontato frottole. Sin dall’inizio.”

“E la verità, la tua verità, è che siamo destinati a stare insieme. Che siamo anime gemelle. Solo tu mi ami veramente. Solo tu sai come proteggermi e prenderti cura di me. E’ questa la verità che dovrei comprendere? E’ questo che mi hanno tenuto nascosto per tutti questi anni?” C’era ironia e sarcasmo in quella voce, in quel tono che sembrava così estraneo all’immagine di Brian che Tyler aveva accarezzato per così tanto tempo. E se da una parte questo nuovo lato di Brian non faceva altro che aumentare la voglia di nascondersi e di scoprire nuovi tratti e sfaccettature, dall’altra quelle parole si trasformavano in veleno e, come se fosse stato punto da un’ape, non facevano altro che dar fiamme a un fuoco di rabbia e di frustrazione.

Non era così che sarebbero dovuto andare le cose. Avrebbe dovuto essere un gioco da ragazzi. Avrebbe dovuto esser molto più semplice prendere quel ragazzo e portarlo ovunque avrebbe desiderato, lontano da occhi che non facevano altro che giudicarli e mani che volevano tenerli lontani.

Chi era, davvero, quella persona che aveva davanti? Dov’era il suo Brian?

“Non rimarrò qua a perdere tempo a ripetere ciò che avresti già dovuto capire. Si sta facendo tardi. Dobbiamo andare.”

“No. – Affermò Brian con ancor più determinazione e sicurezza. – Io non vengo da nessuna parte.”

“Tu lo farai. Esattamente come tu scoprirai che ti ho sempre raccontato la verità. Sin dall’inizio. Sin da quel giorno...” Tyler non face in tempo a concludere la sua frase perché Brian lo interruppe quasi immediatamente. E, forse, fu una sorta di fortuna perché ciò che lui ricordava di quel giorno erano cespugli e alberi, un nascondiglio che nessuno aveva mai scoperto e un gioco di cui lui era l’unico custode delle regole.

“... il giorno in cui mi hai trascinato in un capanno e mi hai violentato? – Brian riuscì a pronunciare quella parole senza nessun sussulto. Senza nessun tremore di voce, come se non fosse lui, Brian, il soggetto di quella frase. – Quel giorno? E di quel giorno ricordo ben altro. Di quel giorno ho solamente e semplicemente compreso che non avrei mai potuto avere una parvenza di normalità perché tu l’avevi distrutta. Fatta a pezzi.”

Quasi.

Tyler ci era quasi riuscito perché, alla fine, Brian era lì. A combattere per se stesso e per un amore che non aveva mai pensato potesse avere e custodire fra le dita.

 “No! Menzogne! – Urlò Tyler, avvicinandosi ancor di più e stringendo la mano attorno al braccio di Brian. Stringendo e stringendo fin quando vide Brian sussultare e cercare di svincolarsi da quella stretta d’acciaio. Ma inutilmente. – Sono menzogne! Ti hanno sempre raccontato menzogne per tenerti lontano da me!”

Non era colpa di Brian. Tyler lo sapeva, non era quello che aveva sempre ripetuto per giustificare e spiegare quei comportamenti così strani del ragazzo? Non era colpa sua ma di tutte le persone che lo circondavano, tutti quegli adulti che avevano visto qualcosa di maligno nel loro rapporto e avevano fatto di tutto per separarli. Bugie su bugie, strati e strati che lui non era ancora riuscito a scalfire perché si erano cementati con la lontananza e il trascorrere del tempo. Non era colpa di Brian ma qualcuno doveva pur pagarne le conseguenze.

 “Menzogne sono quelle che hai raccontato e che continui a raccontare per giustificare quello che hai fatto. Parli di amore ma anche quella è una bugia. Se davvero provavi quel sentimento per me, non mi avresti lasciato mezzo morto in quel capanno! Ma è quello che hai fatto, no? Quando hai ottenuto ciò che desideravi, te ne sei andato senza nemmeno un briciolo di rimpianto e di pietà verso di me.”

Era quasi una liberazione, per Brian, poter finalmente sfogare tutta quella rabbia e frustrazione, tutto quel risentimento e confusione che avevano vissuto e si erano nutriti dentro la sua anima come se fossero dei secondi abitanti di quel corpo. Era una liberazione poter finalmente urlare contro all’unica persona che aveva davvero colpe e responsabilità a pesare sopra le sue spalle, l’unica persona a cui poteva riconsegnare quel pesante fardello che Brian si era portato dietro e che lo avevano sempre rallentato e, molto spesso, fermato.

Ma, in quel momento, Brian riuscì a liberarsi anche di un’infantile fantasia che si era portato dietro, una specie di spugna che avrebbe potuto cancellare via rabbia e frustrazione, anni a chiedersi perché proprio lui: Tyler non avrebbe mai ammesso le sue responsabilità né, dalle sue labbra, sarebbero uscite parole di scusa e richieste di perdono.

Le immagini arrivarono all’improvviso e colpirono Tyler come un colpo ben assestato alla tempia, riportandolo indietro a un periodo e un tempo che aveva perso ogni cognizione o etichetta.

“Sei proprio sicuro che funzionerà?”

“Sì, non preoccuparti. Devi solamente rimanere qui per qualche ora. Un giorno al massimo. E poi tornerò. Poi verrò a prenderti e insieme ce ne andremo lontano, dove nessuno potrà separarci.”

“Prometti? Prometti che torni? Non mi piace il buio.”

Occhi verdi incontrarono occhi azzurri, seppur offuscati da nuvole di indecisione e di paura. Una mano si appoggiò sulla guancia, un tocco di carezza in cui il viso cercò calore e rassicurazione.

“Prometto. Tornerò e staremo insieme per sempre.”

Lo aveva fatto. Lo aveva promesso. A Brian. Glielo aveva promesso che sarebbe tornato, perché lui non se ne ricordava? Perché tutti dimenticavano le promesse che gli avevano fatto?

 “Sarei tornato. Su questo devi credermi. Sarei tornato a prenderti e ce ne saremmo andati via. Te lo avevo promesso. Avevo promesso che sarei tornato ma non me l’hanno permesso. Mi hanno tenuto lontano, mi hanno impedito di ritrovarti.” Il tono di Tyler assunse una tinta di disperazione, sconforto per non essere in grado di far capire a Brian quello che realmente era successo. Lui non aveva colpe, come avrebbe potuto mantenere la promessa se lo avevano sempre allontanato da lui? Se li avevano sempre tenuti separati?

No, non questa volta. No, non sarebbe più successo. Tyler non lo avrebbe più permesso, non si sarebbe più dimenticato di quelle parole e avrebbe smosso mare e monti, distrutto chiunque si ponesse come ostacolo, pur di mantenere fede alla parola date.

Tyler strinse ancora di più la mano attorno al braccio di Brian, spingendolo infine contro di lui e appoggiando la fronte contro la sua. A quel contatto Brian cercò di liberarsi, mentre un brivido percorse la spina dorsale e si portò dietro un misto di paura e ribrezzo per ciò che quelle parole facevano intendere. Un altro brivido, questa volta più intenso, lo fece sussultare e, allo stesso tempo, gli diede la forza per liberarsi da quella stretta e da quella distanza fin troppo intima mentre mille pensieri sfrecciavano come giostre impazzite nella sua mente: si era salvato.

Per miracolo.

E tutto grazie a Kevin. Se Kevin non fosse stato lì quel giorno, se non si fosse preoccupato e, preso dall’ansia, non si fosse messo a cercare in ogni angolo di quel parco, forse si sarebbe scritta un’altra storia. Forse Brian non avrebbe nemmeno avuto la possibilità di conoscere Nick o tutto il resto del gruppo, segregato da qualche parte e alla mercé di quella mente psicopatica che aveva deciso che lui gli apparteneva senza se e senza ma.

Ed era quello il destino che gli attendeva se non fosse riuscito a scappare.

“E sai perché ti hanno tenuto lontano?”

“Per cattiveria! Per ignoranza!”

“No! – La voce di Brian uscì in un urlo mezzo strozzato, come se qualcosa di invisibile cercasse comunque di trattenerlo e di continuare a ingrandire quella bolla di rabbia che era sul punto di scoppiare. – Per proteggermi! Da te! Hai idea di come mi hai rovinato? Hai idea di quanto tempo ho dovuto passare in ospedale? Hai idea di quanto tempo mi è servito prima di sentirmi vagamente normale? Prima di poter tornare a scuola? O lasciarmi solamente abbracciare da mia madre? Tu parli di amore ma se davvero mi amassi... ora mi lasceresti andare.”

“Non posso farlo. Lo sai bene. Non posso. - Ripeté Tyler quasi come una nenia, cercando di riavvicinarsi e accusando il colpo ogni volta che Brian gli sfuggiva, un’espressione di disgusto e repulsione sul volto. – Devi venire con me. E’ ciò che avevamo deciso. Non ricordi?”

Per la prima volta Brian lasciò che quelle parole entrassero nella sua mente e incominciassero a seminare un primo seme di dubbio. All’inizio non ci aveva dato peso, aveva semplicemente pensato che fossero parole dettate da quella pazzia di cui Tyler era nettamente portatore. Ma ora, dopo l’ennesimo riferimento a promesse fatte di cui lui non aveva memoria, e che non erano mai accadute nella realtà, Brian incominciò a sospettare che ci fosse qualcosa di più sotto.

O che, forse, aveva preso sottogamba quanto pazzo e psicopatico Tyler fosse.

“Non ricordo perché non ti ho mai promesso niente! – Brian scosse la testa, ormai era inutile continuare quel batti e ribatti che adornava quella situazione con pizzi e merletti di assurdità. – Ho sempre avuto terrore di te. Ho sempre avuto paura. Ma ora non più. Ora non posso odiarti ma... mi fai pena, Tyler. Hai bisogno di aiuto.”

Fu quell’ultima frase a cancellare qualsiasi altro discorso e riportare a galla una vecchia discussione di cui lui era stato un silenzioso e invisibile testimone. Era successo tanto tempo prima eppure quelle parole riuscivano sempre a far male, colpivano il bersaglio lì dove c’erano ancora ferite che si riaprivano così facilmente perché il tempo non le aveva mai guarite o cicatrizzate.

“Ha bisogno di aiuto. Lo sapete benissimo, eppure continuate a nascondervi dietro un’apparente normalità. Ha bisogno di aiuto o ci sarà qualche altro bambino a farne le conseguenze. E non sto parlando di qualche livido come...”

“Ti ho perdonato. – Sibilò Tyler, avvicinandosi lentamente e tenendo la mano appoggiata al fianco. – Ti ho perdonato nonostante ciò che la tua bugia ha fatto. Ti ho perdonato per avermi mandato in prigione, per avermi rubato tutti questi anni e per tutto quello che mi è successo. Non ho bisogno di aiuto. Ho solo bisogno di te.”

“Ma io non ho bisogno di te! – Urlò Brian frustrato. – E non ho bisogno del tuo perdono!”

“E di che cosa hai bisogno, allora? Non certo di quello spilungone che non sa nemmeno attraversare la strada!”

“Ho bisogno che mi lasci in pace! Ho bisogno che tu la smetta con questo ridicolo piano e di questa tua ossessione! Ho bisogno che tu mi dica perché hai fatto tutto questo!”

“Te l’ho detto ma tu non ascolti. Tu non mi ascolti mai, è questo il problema. Dovevo punirti. Non volevo farti male ma dovevo darti una punizione, dovevo far capire a loro quanto si fossero sbagliati su di noi. Dovevo far capire loro che cosa significasse avere la propria reputazione rovinata per una stupida bugia, esser preso e allontanato da ciò e da chi ami di più solamente perché qualcuno crede che tu sia colpevole. Fa male, non è vero?”

Avrebbe avuto voglia di ridere. Brian. Se non fosse per dove si trovavano e che cosa stava succedendo attorno a loro, Brian si sarebbe seduto per terra e avrebbe riso fino a quando non avrebbe avuto più respiro. “Tu non sai nemmeno che cosa stai dicendo. Butti parole così, sperando di potermi far comprendere qualcosa che non ha senso. Sei tu che non comprendi, sei tu che non riesci ad accettare che, nonostante tutto quello che hai architettato e tutto il fango e il dolore che mi hai tirato addosso, io non sarò mai ciò che tu vuoi che io sia. Non ti amo. Non lo farò mai. – Poi, con un’improvvisa e alquanto incomprensibile presa di coraggio, fu lui stesso a eliminare la distanza fra di loro e avvicinarsi fino a quando i due respiri si mescolavano e diventavano un unico soffio di aria. – Tu mi disgusti.” Brian pronunciò quelle parole scandendole lentamente, un sibilò che non poteva non esser captato anche in quella furia di tuoni e fulmini. Brian pronunciò quelle parole senza staccare lo sguardo da quello di Tyler, mostrando una forza che sembrava esser nata all’improvviso; e sapeva che quella stessa forza, ora, era riuscita a cancellare via ogni nebbia e nuvola di paura e disperazione dagli occhi. Brian pronunciò quelle tre semplici parole con un tono freddo, quasi come se volesse uguagliare quello stesso azzurro ghiaccio negli occhi: era la realtà, non poteva essere girata o ritoccata in altro modo.

Ormai era finita. Ormai non ci sarebbero più stati ripensamenti, neppure appelli a una redenzione che, a conti fatti, era solo stata un’infantile fantasia che Brian aveva usato per poter dar senso a quello che gli era successo. Ormai quella battaglia, incominciata dieci anni fa, era finita.

E Brian sapeva di averla vinta. E non era semplicemente una sensazione. La vittoria, in quella battaglia, la vide nello squarcio di dolore impadronirsi degli occhi e del viso di Tyler; la vide nel modo in cui l’uomo si ritrovò boccheggiante per un minuto, come se quelle parole fossero state dei pugni che Brian aveva assestato direttamente nello stomaco; la vide nel passo all’indietro che Tyler fece, incredulo che l’oggetto dei suoi desideri, fantasie e illusioni si fosse ribellato contro di lui, rifiutandosi di far parte dei suoi progetti. Tyler osservava Brian, osservava quel sorriso compiaciuto e pieno di orgoglio che si era disegnato sul volto, un sorriso che ricordava ben altri e che, in quel momento si confusero e divennero un’unica risata che lo beffeggiava e lo faceva sentire inerme e inutile. Tyler osservava Brian come se non riuscisse a riconoscerlo, così diverso dal bambino che aveva amato molto più di se stesso: era quella la sua vera forma? Era quell’espressione di vendetta che era stata tenuta celata dietro ai sorrisi e a quegli occhi azzurri?

Neppure Brian sarebbe riuscito a riconoscersi in quell’essere così carico e vibrante di vendetta, né riusciva a ben masticare quella punta di soddisfazione che nasceva dal vedere Tyler ridotto in quello stato, vittima e prigioniero di un dolore che lui stesso aveva provocato. Eppure una parte di lui, una parte che se ne era stata nascosta per tutto quel tempo, vibrava e si elevava grazie a quella consapevolezza perché Tyler era differente. Tutta quella situazione era totalmente e completamente differente da tutti gli sgarbi e gli errori che erano stati commessi negli anni: c’erano state parole di scusa, gesti e comportamenti forse portati all’esasperazione ma tutti dipinti da buone intenzioni. Con loro, con Nick e con gli altri ragazzi, Brian era riuscito a trovare la forza di perdonare perché ne era valsa la pena.

Non con Tyler.

Ma con Tyler era differente.

Non solo Tyler non aveva mai accennato a un gesto di scusa, anzi, aveva quasi preteso che fosse lui, Brian, colui che doveva abbassare il capo e mormorare una preghiera di perdono; non solo Tyler non aveva mai mostrato di essere consapevole di ciò che aveva fatto e di quali conseguenze erano sorte ma, al contrario, aveva continuato testardamente per la sua strada, come se l’unica cosa che contasse davvero fosse il suo volere. Tyler aveva anche commesso un errore imperdonabile, l’unica vera cosa che Brian non avrebbe mai potuto ricoprire con un telo e dimenticare: aveva cercato e aveva fatto del male alla persona che lui amava, aveva tentato di buttare al rogo una carriera e una reputazione di cui lui andava orgoglioso e fiero. Ed erano quei due sentimenti, ora, a prendersi una rivalsa e assaggiare quel piatto di vendetta offerto nel viso di chi lo aveva sempre terrorizzato e spaventato.

E furono quelle due emozioni a fargli commettere un errore, una piccola e breve distrazione che, però, si rivelò quasi fatale: perso in quel turbinio di pensieri, Brian non tenne conto di come Tyler avrebbe potuto reagire alle sue parole. Non poté nemmeno prevedere ciò che sarebbe successo di lì a pochi secondi perché questa, la reazione di Tyler, arrivò come un silenzioso fulmine. Uno squarcio di luce prima della tempesta, prima del vento che soffiava con forza e della pioggia che avrebbe battuto la terra alla ricerca di qualcosa: la pioggia, in quel caso, furono i pugni di Tyler che incominciarono a colpire ogni centimetro di pelle possibile, incurante di quanti e quanti danni si lasciasse dietro al suo passaggio. Il primo colpo arrivò direttamente all’altezza dello stomaco e si portò via la capacità di incamerare aria e ossigeno per qualche, interminabile e impalpabile, secondo; barcollò all’indietro prima di piegarsi in due, il braccio che andò a coprire quella parte come se potesse cancellare via il dolore. Ma non ci fu tregua perché, quasi subito, arrivò anche il secondo tuono e fu forte abbastanza da far crollare Brian per terra, il tempo necessario per coprirsi e proteggersi prima che si scatenasse quella tempesta di pugni e colpi

Eppure, in quel temporale che si stava scatenando sopra il suo corpo, i cui rombi di tuono erano parole e frasi sconnesse di qualcuno che si era reso conto di quanto la partita fosse stata perduta, Brian sentì una risata sarcastica incominciare a gonfiarsi dentro il petto. Perché, alla fine, Tyler aveva gettato via ogni maschera e si stava rivelando per ciò che Brian aveva sempre saputo che fosse: una persona malata, una persona capace di uccidere anche senza rendersene conto.

Le mani si bloccarono al primo accenno di risata. Due punti di verde pungente si fissarono sul volto di Brian, illuminati da una luce malvagia e intrisa di pazzia.

“Che cosa c’è di tanto divertente?”

Brian lasciò morire le risate ma, nemmeno per un secondo, lasciò che la determinazione sfumasse in un’ombra di paura: la posizione, il percepire il corpo del suo aggressore sopra di lui e quelle mani che già una volta lo avevano violato, erano già riusciti a riportare vividamente a galla i ricordi di un’altra lotta. Si rendeva conto, Brian, di essere sul ciglio di un pericoloso burrone: un solo passo e poteva ritrovarsi a cadere nel vuoto e fra le mani di Tyler, questa volta senza la possibilità di salvarsi o di scappare; dall’altra, c’era la concreta possibilità di lasciarsi tutto alle spalle e di poter finalmente vivere una vita senza quell’ombra a soffiargli sul collo. Poter finalmente vivere una vita assieme e con Nick.

“Tu, Tyler. Tu.”

Le mani di Tyler erano ormai strette attorno al suo collo, le dita pronte a stringere fino a quando avrebbero chiuso ogni entrata e uscita all’aria. La scena, paradossalmente, sembrava essere un flashback, seppur lui non riuscisse a identificare bene se fosse davvero accaduto o se era solamente un’altra di quelle immagini che la sua mente si divertiva a creare: non c’era la pioggia in quel ricordo, anzi, c’era la sensazione del sole che si appoggiava sulla schiena e la scaldava, quasi come volesse dargli il benestare in quello che stava succedendo. Quasi come se volesse rassicurarlo che quella punizione era più che giusta e meritata.

“Che cosa c’è da ridere?” Ripeté Tyler urlando, allentando per qualche secondo la presa. Era più che sufficiente, si disse fra sé e sé. Non voleva davvero fargli del male, non voleva perdere un altro secondo in quella futile discussione. Soprattutto, non voleva sprecare quel momento, quella posizione in cui sarebbe bastato semplicemente abbassarsi di qualche centimetro per sfiorare le labbra di Brian e mettere a tacere quelle parole che sapevano di bugia e di presa in giro.

“Stai semplicemente dando prova di ciò che ho sempre saputo. – Rispose Brian, ignorando ogni brivido e pulsazione di dolore e, soprattutto, quello sguardo che lo osservava come se fosse una preda pronta per essere divorata. – Sei malato e sei pazzo.”

Per un istante, negli occhi di Tyler brillò un bagliore di totale lucidità, come se avesse compreso che le sue parole non sarebbero mai riuscite a far cambiare idea a Brian. Ma essa si sfocò velocemente mentre veniva presa prigioniera da un’altra voce e da un altro volto, molto più adulto e più carico di odio di quello di Brian.

Brian si approfittò di quel secondo, si giocò l’ultima carta per potersi allontanare da quel mostro. Con tutta la forza che riuscì a trovare, alzò il ginocchio e lo fece sbattere contro l’inguine di Tyler, provocando nel ragazzo un rantolo di dolore; quasi immediatamente, le mani scomparvero dalla presa attorno al suo collo e, con esse, anche il peso del suo corpo. Finalmente libero, Brian non aspettò nemmeno una frazione di secondo e rotolò sul fianco che, fortunatamente, non era stato trasformato in un pungiball; si mise in piedi, ignorando tutti le saette di dolore che il suo corpo rivelò tutti all’improvviso. Ma Brian rigettò indietro il gemito di dolore che voleva uscire, accantonò da una parte la preoccupazione e il timore di qualche ferita più grave di quanto apparisse: di quello se ne sarebbe potuto occupare una volta lontano da Tyler e dalla sua pazzia.

Ora, il suo unico obiettivo era riuscire a fuggire via.

E in quel frangente, in quell’attimo dove tutte le energie erano focalizzate su di un unico obiettivo, il pensiero di essere un codardo non sorvolò né atterrò all’interno della mente di Brian. Forse lo era, forse era davvero un codardo se stava scappando via con il cuore che batteva all’impazzata contro lo sterno. O, forse, la sua fuga non era esattamente un segno di codardia ma la vittoria dell’istinto di sopravvivenza sulla paura e il panico, quei due sentimenti che erano stati sempre i controllori di ogni suo pensiero e di ogni sua azione. Quante volte aveva sognato di poter rispondere a tono a Tyler? Quante volte si era torturato con immagini di come avrebbe reagito diversamente se avesse potuto tornare indietro? Persino qualche settimana prima, quando Seth lo aveva aggredito, tutto quello che Brian era riuscito a fare era implorare un senso di pietà e pregare che qualcuno lo potesse salvare in tempo. Non era stato quel Brian, quel indifeso e impietrito Brian, il più codardo fra i due?

La sua, ora, non era codardia.

Era istinto di sopravvivenza. Era mettere come prima priorità se stesso e la sua sanità, invece che rimanere e rischiare di perdere qualcosa di ben più prezioso che un’oncia di orgoglio. E, in realtà, il suo orgoglio ne usciva nettamente rinfrescato e rinvigorito: era riuscito a tener testa a Tyler, era riuscito a impedirgli di portare a termine il suo piano e, nel mentre, era anche riuscito ad assestare un colpo che aveva sancito la disfatta del suo aggressore. Figurativamente e fisicamente.

No, Brian non era un codardo.

Già i suoi polmoni respiravano l’aria di libertà. Nonostante il freddo, nonostante l’essere bagnato fradicio e con un polso rotto, Brian si sentiva come mai prima di allora. La libertà aveva un sapore differente quando ti rendevi conto, con assoluta certezza, di quanto avevi rischiato di essere rinchiuso per sempre in una prigione. Quella libertà non era solamente l’esser sfuggito via a Tyler. Quella libertà sapeva di essersi finalmente tolto le catene che lo avevano tenuto ancorato al passato, che lo avevano bloccato là dove prima si sarebbe buttato senza pensare alle conseguenze.

E, con la sua proverbiale fortuna, quella libertà durò il tempo di un fulmine e di un tuono.

Tyler era riuscito a recuperare il controllo, quello smarrimento che era arrivato nel momento in cui aveva visto Brian allontanarsi e la certezza che lo stava per perdere per sempre, se non avesse agito. E gli era rimasta solamente un’ultima possibilità, quell’arma che si era ripetuto più volte che avrebbe usato solamente in caso di estrema necessità. Non voleva ripetere lo stesso errore una seconda volta, non voleva sporcarsi nuovamente le sue mani con del sangue che, poi, lo avrebbe tormentato ogni volta che avrebbe chiuso gli occhi.

Perché doveva finire sempre così?

Perché lui lo costringeva sempre a usare la violenza?

La mano si infilò dentro la giacca e impugnò la pistola che aveva tenuto nascosto fino a quel momento. La estrasse, nonostante la mano tremasse e tutto il suo corpo stesse cercando di fermarlo, impedirgli di commettere un altro omicidio.

Ma non poteva non farlo. Brian se ne stava andando. Brian avrebbe raccontato altre bugie, esattamente come aveva fatto tanti anni prima. Lo avrebbero costretto a raccontare bugie, si corresse Tyler. Esattamente come la prima volta, esattamente come quando aveva dovuto nascondere quel prezioso amore e rapporto per paura che glielo portassero via.

Doveva farlo.

“Perché mi costringi sempre a fare ciò?”

Brian si fermò all’improvviso, un brivido che gli corse lungo la schiena. Non seppe dire, poi, che cosa lo fece voltare invece di continuare a camminare e dimenticarsi di quelle ore di incubo: forse era stato il tono, così freddo e, allo stesso, con una punta di pazzia e di delirio che era impossibile semplicemente cancellare dalla mente. O, forse, era stato anche quel rumore, quello scatto metallico, che lo aveva raggelato e lo aveva costretto a girarsi per assicurarsi che non fosse ciò che la sua mente e la logica suggerivano.

Invece queste si sbagliavano. Perché quando Brian riuscì a voltarsi, lentamente, si ritrovò di fronte alla figura di Tyler che, tremante, gli stava puntando una pistola contro.

“Perché? Ogni volta. Ogni stupida volta riesci a farmi arrabbiare così tanto. Perché lo fai? Non vedi che cosa mi costringi a fare? Lo hai già fatto una volta e sai che non volevo. E anche adesso non voglio ma tu... tu mi costringi a farlo. Tu mi costringi a ucciderti una seconda volta, Thomas.”

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

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Spero che questo "colpo di scena" abbia incuriosito un po' di più tutti i pii lettori silenziosi. =)
Al prossimo capitolo!
Cinzia 

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Capitolo 25
*** - Ventitreesimo Capitolo - ***


Ventitreesimo Capitolo

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Era bagnato. I suoi capelli erano bagnati, seppur almeno le punte avessero già incominciato ad asciugarsi. I vestiti erano umidi, attaccati e aderenti come se avessero deciso di diventare un secondo strato di pelle: uno strato freddo, quasi ghiacciato, ma non vi erano più forze ed energie che avrebbero potuto cambiare quella situazione.

A che cosa serviva, d’altronde?

Non c’era niente che potesse fare, solamente aspettare. Non c’era niente che potesse fare per cambiare quella situazione, quindi a che cosa serviva cambiarsi e mettere la maschera di chi ancora sperava che le cose potessero migliorare all’improvviso?

Oh, ci aveva provato. Si era aggrappato alla speranza; aveva preso quelle energie e tutta quella rabbia che aveva in corpo e le aveva incanalate in un’unica missione: riportare Brian a casa. Era stato il suo unico pensiero, era stato il desiderio che aveva cancellato il dolore dei lividi, la sofferenza dell’anima, e gli aveva permesso di rimanere lucido e non lasciarsi andare alla disperazione. Perché era quello che anche Brian avrebbe fatto e, più di tutto, era ciò che Brian si sarebbe aspettato da lui.

E Nick non voleva deluderlo.

Più di tutto, Nick avrebbe voluto dimostrargli che non era più il ragazzino irresponsabile e immaturo che si era nascosto dietro una bottiglia, dietro alla sua insicurezza e all’odio verso se stesso, non appena la situazione era sfuggita al suo controllo. I ricordi di quella notte, quella notte che ormai ritornava indietro a due settimane prima, erano sempre presenti nella sua mente: il panico che lo aveva avvolto durante la telefonata di Aj; lo shock quando aveva visto Brian, il suo Brian, ridotto a qualcosa che assomigliava a una bambola a cui erano stati spezzati i fili. Ma più di tutto il senso di inutilità di cui ancora sentiva l’amaro sapore in bocca: si era ritrovato Brian fra le braccia e non c’era stato niente che avesse potuto fare per farlo stare meglio, per confortarlo e promettergli che tutto sarebbe andato per il meglio.

Esattamente come in quel momento.

Esattamente come quelle ore appena scivolate via una dentro l’altra, quando ancora sarebbe stato possibile cercare e trovare Brian e, invece, lui le aveva trascorse semplicemente aspettando.

Sperando.

Nick appoggiò la fronte contro la finestra, non badando ai segni che lasciava sul vetro né a quelle gocce che cercavano quasi di adagiarsi contro la sua pelle e portare un minimo di sollievo. Era tutto l’opposto, quelle gocce erano semplicemente un ennesimo problema a cui far fronte, un altro ostacolo che si era frapposto tra lui e Brian.

Tra lui e quella sua folle idea di cercare l’altra metà della sua anima prima che fosse troppo tardi.

La pioggia, infatti, aveva iniziato a scendere una volta usciti dall’ospedale: all’inizio erano state minuscole e quasi impercettibili gocce d’acqua, così sottili e fragili da morire non appena si poggiavano su qualsiasi superficie che si frapponesse fra loro e il loro mortale cammino. Ma una volta ritornati a casa, le nubi all’orizzonte si erano fatte più minacciose, ingrandendosi e scurendosi fino a rendere il cielo un’infinita tavolozza di ogni gradazione e tonalità di nero; sotto di esso anche il mare sembrava aver deciso di arrabbiarsi, dando forza e intensità alle proprie onde e rendendole così grandi da creare schizzi e fragore ogni volta che andavano a abbracciare gli scogli e la spiaggia.

Otto ore.

Ormai quasi nove.

Erano già trascorse quasi nove ore da quando quella giornata si era trasformata in un incubo.

 L’incidente era ancora una nebbia confusa nella mente di Nick, un’insieme nebuloso di immagini che si susseguivano senza nemmeno un filo logico che li accumunasse. Ricordava vagamente che cosa stesse dicendo o facendo quando l’auto era apparsa all’improvviso; ricordava l’impatto, il fulmine di dolore che prima esploso sul suo fianco e poi nella sua testa, quando questa aveva sbattuto con forza contro il cemento della strada. Ricordava di non aver pensato, nemmeno per un singolo istante, di come quell’incidente potesse essere una sfortunata coincidenza: era troppo illogico, era troppo senza senso e, sfortunatamente, era fin troppo nelle corde della persona che li stava seguendo e torturando da settimane. Ricordava, quindi, di non essere rimasto sorpreso o shockato nel vedere quella figura maschile apparire dietro le spalle di Brian.

Chi, se non Tyler, poteva aver architettato quell’incidente in così poco tempo?

Ed erano in quei successivi attimi che la memoria di Nick si lasciava contorcere e distrarre dalle emozioni e dal dolore fisico: la folla che si era accerchiata attorno a lui; le parole che dovevano portare conforto e rassicurazione e che, all’opposto, erano riuscite a sommergere l’unica voce che Nick aveva voluto sentire e tenere accanto a sé. Il colpo ricevuto aveva incominciato a infliggere le proprie conseguenze, annebbiando la vista e portando punti neri che, più veloce di quanto lui avrebbe voluto, si erano uniti in una nube che lo aveva avvolto e portato nell’oblio. Eppure c’era un’immagine che non era scomparsa, un’immagine che era rimasta anche quando le ultime energie si abbandonavano e preferivano riposare invece che continuare a lottare: era l’immagine del volto di Brian, una maschera di disperazione, rabbia e paura mescolati e mischiati insieme al senso di arresa e di sconfitta. Quello sguardo aveva spaventato Nick e quella sensazione di paura era rimasta al suo fianco anche quando si era risvegliato in ospedale, medici e infermieri attorno a lui come avvoltoi, e nessuno che potesse dirgli dove si trovasse Brian. Non c’erano dubbi che Tyler si fosse servito di quel momento di debolezza, vulnerabilità e fragilità per forzare la mano e costringere Brian a venire con lui, facendolo passare all’apparenza come una scelta voluta e intenzionale del ragazzo. E, sfortunatamente, Nick già poteva immaginare quale fosse stato l’asso che Tyler aveva calato per convincere Brian, ovvero la minaccia di completare quel lavoro che aveva già spedito chi amava in ospedale, anche se con ferite superficiali e non gravi.

Lui, Nick, era il punto debole di Brian.

Il vecchio Nick si sarebbe lasciato demoralizzare da quell’ammissione. Il vecchio Nick, il Nick di solo qualche giorno prima, si sarebbe lasciato prendere prigioniero dai sensi di colpa, sentendosi responsabile per ciò che era accaduto a Brian e considerandosi come, ancora, un fallito. Un seme malridotto che non faceva altro che avvelenare e far marcire qualsiasi cosa bella e positiva riuscisse a trovare nella sua vita. Quel Nick si sarebbe semplicemente rinchiuso in se stesso, sfogando la sua rabbia in abitudini malsane e autodistruttive e trovando in quel circolo la conferma che lui e Brian non avrebbero mai dovuto mettersi insieme. Quel Nick avrebbe ritrovato, in quella situazione, nuove e vecchie conferme di tutto ciò che si era sentito dire per tutta la vita, la consapevolezza di non essere così differente dai suoi genitori se poi si ritrovava sempre a sentirsi in quel modo, colpevole di crimini che nemmeno aveva cercato o desiderato di commettere.

Ed era lì, in quel punto, che l’amore era riuscito a compiere il suo miracolo in un tempo relativamente breve. L’amore di Brian, il loro rapporto, non era un punto debole e non sarebbe mai stato nemmeno l’alibi e la giustificazione per lasciarsi nella speranza di prendere la decisione più giusta. C’era una ragione per cui Brian lo aveva scelto e, anche se lui non riusciva e non sarebbe mai riuscito a comprenderla, doveva semplicemente accettarla così com’era e usarla come punto di forza. Una sorgente da cui attingere per combattere e rimanere in piedi anche quando tutto sembrava essersi messo contro di loro, anche quando sembrava esser sul punto di aver già perso tutto.

Un rombo di tuono squarciò il suo momento di riflessione, riportandolo in quella casa che sembrava e sapeva di vuoto e freddo, nonostante tutto il viavai di persone. Vicini, che Nick nemmeno conosceva, si erano presentati uno dopo l’altro per assicurarsi che stesse bene, per chiedere informazioni e domande su Brian e mai credendo che fosse davvero lui la mente criminale dietro a quell’incidente. Tra una teglia di lasagne, piatti colmi di biscotti e torte, quelle persone gli avevano raccontato di come Brian era riuscito a conquistarli in poco tempo, offrendosi volontario e benefattore per una cittadina che ancora non lo aveva adottato come suo abitante.

Un secondo rombo si scatenò fuori dalla finestra, forte e intenso abbastanza per far vibrare i vetri per qualche secondo. Inconsciamente Nick si ritrovò a rabbrividire mentre la mente, i sensi e il suo cuore andavano per quell’uomo lì fuori, portato chissà dove e senza sapere che lui stava bene.

Lo stava tormentando quel pensiero? Stava portando via energie fisiche e mentali che, invece, avrebbero dovuto essere usate per scappare? Era Brian, la stessa persona che si era sempre preoccupata di come stessero gli altri prima di guardare e cercare di curare le proprie ferite. E questa volta la posta in gioco era nettamente più alta; questa volta la posta in gioco era trovarsi di fronte e a stretto contatto con il passato che lo aveva perseguitato e che solo quella mattina aveva deciso di lasciare marcire lì dove meritava. Ovvero dietro le spalle.

Sarebbe stato in grado, Brian, di tener fede a quelle parole in quella particolare e delicata situazione?

Nick non aveva idea di come lui si sarebbe comportato a ruoli e posizioni invertite. Che cosa avrebbe fatto se si fosse trovato prigioniero della stessa persona che aveva rovinato la sua esistenza? Forse si sarebbe paralizzato, forse si sarebbe nascosto in qualche angolo sperando che il peggio arrivasse e non ci fosse molto dolore.

Ma non Brian.

Di quello Nick ne era sicuro. Perché aveva sempre visto, era sempre stato testimone di quanto Brian non avesse mai permesso a nessuno di camminargli sopra e di calpestarlo. Ora, con il senno di poi, Nick comprendeva da dove era nata quella ritrosia e quel nervo combattivo, quel desiderio di non abbassare mai la testa di fronte a soprusi o a decisioni che lui riteneva ingiusti.

E non solo verso se stesso.

Brian avrebbe combattuto. Di quello ne era certo. Forse all’inizio era rimasto sconvolto, forse all’inizio si era più preoccupato dell’incidente e di che cosa poteva succedergli ora che si trovava ancora fra le grinfie di Tyler ma Nick era certo che Brian non avrebbe permesso a nessuno di ridurlo ancora a pezzi. Non dopo le parole di quella mattina, non dopo quell’ennesima affermazione e conferma di possedere una scorta infinita di energia nascosta da qualche parte dentro di lui.

Ma sarebbe stato abbastanza?

Era stato in quel momento che, forse preso soprattutto da quell’ansia e da quella soffocante paura di non poter far nulla per aiutare Brian, che era sorta l’idea pazza di prendere la giacca, recuperare le chiavi della macchina e guidare verso quel bosco che aveva inghiottito il suo compagno e migliore amico.

“Non cercare di fermarmi.”

La figura di Kevin era apparsa all’improvviso, o forse era sempre rimasta in un angolo a osservare, a curarlo come se avesse temuto che potesse fare una pazzia.

Forse non aveva avuto tutti i torti.

 “E’ una pessima idea.”

“Ne hai una migliore?”

Kevin non poté rispondere, nemmeno una bugia poteva ribattere ad una così chiara e limpida verità.

Nick si voltò per osservarlo, per sostenere il suo sguardo e la sua decisione, ben conscio di essere in minoranza e forse solamente spinto dall’istinto e dalla pazzia.

Ma era sempre meglio che rimanere a casa e fare niente.

“Lo so che è un follia. – Esordì Nick, sperando di recuperare qualche metro di terreno ammettendo la sua pazzia. – Ma non... – Scosse la testa, cercando di trovare le parole esatte per far comprendere ciò che gli stava frullando per la testa. – Stamattina Brian mi ha fatto un discorso su come non dobbiamo sempre aspettare che qualcuno venga a salvarci ma che noi stessi dobbiamo essere i nostri stessi supereroi. E ha ragione. Sono certo che Brian non abbia bisogno di essere salvato, credo in lui e credo che riuscirà a non farsi trattare come l’ultima volta. Ma anche i supereroi hanno bisogno di un aiutante, anche loro hanno bisogno di qualcuno che possa dar loro una mano durante le battaglie più dure. Ed ecco perché devo andare. Non per salvarlo. Solo per aiutarlo.”

La risposta di Kevin non fu immediata. Fra i due calò un velo di silenzio, abbastanza sottile per essere distrutto facilmente ma, allo stesso tempo, abbastanza resistente per farsi sentire e far sentire la propria sostanza e intensità. A Nick non importava, comunque, quale sarebbe stata la risposta di Kevin. Non importava se la accettava o la considerava un altro dei suoi colpi di testa. Non gli importava e, per sottolineare ciò, allacciò i bottoni della giacca e si girò verso il tavolino dove si ricordava perfettamente di aver visto le chiavi della macchina.

“E’ una pazzia. – Dichiarò Kevin, riportando l’attenzione di Nick verso di lui. – Ma sarei ancora più pazzo se ti lasciassi usare la macchina in quelle condizioni.” Concluse, facendo dondolare le chiavi della macchina dalle sue dita.

Nick aggrottò la fronte in confusione.

“Vuoi che cammini sotto la pioggia?”

Kevin si lasciò scappare un’ombra di pura e genuina risata.

“No, significa che guido io.”

La loro missione, quel saltare su un auto e dirigersi verso quel bosco che aveva inghiottito Brian, si era rivelata un fallimento. Un buco nell’acqua. Letteralmente. Non erano nemmeno usciti dal cancello di casa che la pioggia aveva aumentato la sua intensità, battendo così forte sul parabrezza e impedendo di poter anche solo sperare di vedere qualche metro  più in là del loro naso.

Nick avrebbe voluto continuare, nonostante tutto. Non gli importava della pioggia, della tempesta o del temporale. Nick voleva semplicemente arrivare a quel benedetto bosco e trovare Brian e forse allora, solo allora, avrebbe iniziato a preoccuparsi di quella pioggia che scendeva come se non avesse piovuto per settimane. Ma Kevin non aveva voluto sentire nessuna obiezione. Nick aveva scongiurato, pregato, promesso qualsiasi favore pur che il maggiore continuasse invece di far manovra e ritornare indietro.

“Nick, vuoi ammazzarti? Perché è quello che succederà se ora continuiamo. E chi glielo dirà a Brian?”

Nominare Brian non era servito a calmarlo. Non in quel momento, almeno. La frustrazione era l’unica fonte di energia che aveva Nick a disposizione e da essa traeva solamente rabbia: rabbia perché che cosa avrebbe detto Brian quando avesse saputo che lui, Nick, nemmeno si era dato da fare per cercarlo? Rabbia perché Brian si sarebbe sentito tradito, abbandonato da quella persona che, solamente qualche ora prima, gli aveva promesso di lottare sempre per lui.

Nominare Brian non era servito a calmarlo. Anzi. Nick nemmeno aveva lasciato il tempo a Kevin di fermare la macchina che lui era già sceso e si era messo a camminare. Imperterrito, senza nemmeno dar peso alle urla di Kevin che lo richiamava e che voleva, almeno, cercare di farlo ragionare. Nick non aveva nemmeno speso un’oncia di energia per ascoltare quella voce ma, invece, le aveva usate per mettere un piede dietro e l’altro e sperare di poter arrivare il più velocemente possibile al bosco. Anche se non sapeva qual era la strada, anche se non aveva nemmeno idea di dove dovesse andare o per quanto avrebbe dovuto camminare.

La sua missione solitaria non era durata molto. Non per causa sua, non perché Nick si fosse reso conto di quanto pazza e suicida fosse stata la sua decisione; la sua missione era stata messa a termine dall’arrivo di una macchina che si era fermata sul ciglio della strada non appena i fari avevano illuminato la sua figura. Come un bambino, Nick era stato riportato a casa dall’arrivo improvviso di Aj e Howie, che non ne avevano voluto sentire di lasciarlo continuare a camminare e rischiare di perdersi al primo bivio.

Ecco perché ora Nick si trovava seduto contro il letto, i vestiti ancora umidi e i capelli bagnati e lo sguardo fisso sulla finestra che ributtava indietro il buio della notte. Non aveva detto niente da quando era tornato, la speranza distrutta aveva rubato via ogni senso e ogni desiderio di spiegare o di ascoltare spiegazioni.

Che senso aveva? Nessuno poteva riportargli Brian, nessuno poteva assicurargli che lui, il suo compagno anche se solo di qualche giorno, stesse ancora bene o che non gli fosse stato qualcosa di male. Che senso aveva, quindi, rimanere in quel salotto e far finta che presto sarebbero riusciti a portarlo a casa? Che senso aveva rimanere ottimisti quando ogni ora che passava significava solamente un’altra ora di lontananza?

Preferiva rimanere lì, Nick.

Preferiva rimanere in quella stanza al buio, ingannando se stesso con quel profumo che ancora alleggiava nell’aria, quel profumo che sapeva di Brian. Se chiudeva gli occhi poteva ricordare la notte precedente, poteva illudersi che Brian stesse ancora dormendo nel letto dietro di lui, accoccolato e nascosto sotto la coperta. Nick era rimasto sveglio per un po’, non riuscendo a placare quella preoccupazione che si era impossessato della sua mente e che continuava a minacciarlo di come la situazione avrebbe potuto precipitare se solo lui avesse smesso di fare la guardia. Era rimasto lì, Nick, a osservare il compagno e a chiedersi, domandarsi, quale benevola divinità avesse guardato giù e gli avesse regalato quel miracolo che di certo non meritava.

“Smettila con questi pensieri. Ti fanno crescere le rughe e sei ancora troppo giovane per averle.”

Nick girò di scatto il volto, nella direzione dove aveva udito quella voce. La voce di Brian, chiara e limpida come non l’aveva sentita per giorni e giorni. Ma non c’era nessuno. La stanza era completamente vuota, immersa nel silenzio che veniva interrotto solamente dal picchettare della pioggia contro il vetro della finestra.

Non c’era nessuno che potesse mettere freno alle immagini che stavano prendendo vita dentro la sua mente, niente che potesse mettere in silenzio quelle urla che, come un amaro ricordo, si alzavano e riempivano l’aria della stanza. Davanti ai suoi occhi scomparso era il cielo nero o la luce dei lampi; al suo posto, invece, vi ero lo sguardo terrorizzato di Brian poco prima che scomparisse insieme a Tyler. Era un’immagine che Nick non riusciva a scacciare via, assieme a quel senso di colpa per non essere riuscito a fermarlo. Ed era quello un veleno che girovagava indisturbato nelle vene come un lento fiume; un veleno capace di intaccare ogni sicurezza e di avvelenare l’anima, per quanto essa fosse stata nascosta lontano.

Inutilmente.

Perché Brian era riuscito là dove molti non erano mai riusciti ad arrivare; perché Brian aveva preso quell’anima, essiccata e disintegrata da anni aridi in cui l’unico amore era stato quello temporaneo e apparente di persone che nemmeno conosceva e che mai sarebbero ritornate nella sua vita. Brian gli aveva teso una mano e Nick l’aveva aggrappata, l’aveva stretta mentre lasciava finalmente uscire quel bambino, quel ragazzino e quel primo abbozzo di uomo che voleva semplicemente esser amato e imparare ad amare un’altra persona. E semplicemente con prime carezze, con abbracci e parole che sapevano di verità e di un amore che andava al di là di ogni ragionevole dubbio, Brian era riuscito a lenire le ferite dell’anima e a permetterle di crescere, di rinvigorirsi e diventare così grande che, ora, era impossibile riporla in quell’angolo buio e segreto dove era sempre stata relegata.

Brian lo aveva salvato, certo, ma allo stesso tempo lo aveva condannato a sopportare quel dolore ora che si trovavano separati, distaccati da un odio e da una vendetta che non si sarebbe placata se non quando tutto il sangue possibile sarebbe stato messo come prova della propria vittoria. E quella condanna era dolorosa da sopportare, era una morsa d’acciaio in cui il suo cuore era stato preso ostaggio e che rendeva quasi impossibile poter respirare. Non c’era nessuna via di fuga da quell’incubo, nonostante Nick continuasse a ripetersi che esso dovesse, e fosse, ancor più terribile per Brian che ne era il protagonista e vittima. E, in quel circolo vizioso in cui era caduto e da cui non riusciva a trovare nessun appiglio per poterne uscire, Nick sentiva la punta del senso di colpa sprofondare e lacerare ancor di più la pelle: quanto avrebbe dato pur di poter essere al suo fianco! Non c’era niente che non fosse disposto a fare pur di cambiare quella situazione, non c’era nessun azione capace di fermarlo se essa significava poter liberare Brian e sconfiggere finalmente quel mostro che lo aveva rapito e chissà quali atrocità stava commettendo.

Nick, in quel momento, voleva solo dimenticare quel particolare. Voleva gettare via ogni pensiero, ogni immagine e, soprattutto, quel sentimento di agonia che stava macerando l’anima. Lo sguardo si indirizzò verso il borsone, ancora lasciato intatto perché nessuno aveva avuto il tempo per mettere via abiti e varie. Ancor prima di riflettere su ciò che stava facendo, Nick si ritrovò in piedi e a cancellare la distanza fino a quando non si ritrovò piegato sopra il borsone, la mano che tirava la cerniera e poi si buttava al suo interno; magliette e maglioni vennero gettati alla rinfusa mentre le dita affondavano verso il fondo alla ricerca di quel qualcosa che gli avrebbe permesso di dimenticare tutto.

Almeno per qualche ora.

Finalmente le dita toccarono la superficie di vetro, accerchiandosi attorno al collo della bottiglia con la stessa cura che avrebbero avuto se si fossero trovate di fronte a un calice prezioso e raro. Solo un goccio, si ripeté Nick mentre le sue dita tremavano. Solo un goccio. Non era come le altre volte, decisamente no. Non voleva gettarsi ancora in quel baratro, annebbiarsi fino a quando non sarebbe nemmeno riuscito a distinguere la realtà dall’illusione. Non avrebbe permesso a se stesso di toccare quel fondo, non quando c’era qualcuno che dipendeva da lui.

Ma Brian non c’è. Forse non tornerà più.

Un sordo dolore si materializzò all’altezza del petto mentre il cuore si incurvava per sfuggire da quelle parole che sapevano di verità. Le dita scivolarono per un secondo, perdendo la presa e ritrovandosi a contatto con una sciarpa di Brian che, chissà per quale strano motivo, era finita dentro il suo borsone. Un singhiozzo si bloccò in gola e solamente uno sbuffo di aria bagnata riuscì a sfuggire dalle sue labbra, perdendosi di fronte all’immagine di Brian che si infagottava con mille strati di vestiti anche quando la temperatura era tiepida a sufficienza per indossare una leggera felpa.

Che cosa stava facendo? Era davvero così fragile e debole da cadere in quei vizi dopo nemmeno una giornata da quando aveva promesso che avrebbe cercato di superare quelle sue debolezze? Nick chiuse gli occhi, ricadendo all’indietro e lasciando andare la presa della mano all’interno del borsone; lacrime di rabbia e di frustrazione incominciarono a farsi strada, sgomitando in quel buio dove l’immagine di Brian si stava formando e quell’espressione di delusione e di dolore dipinta quasi magistralmente nei suoi lineamenti.

Avrebbe dovuto esser forte. Avrebbe dovuto esser più forte di tutta quella situazione, di quella rabbia e paura che aveva lasciato, e permesso, che diventassero dei mostri così grandi e terrorizzanti da ridurlo a un bambino che si nascondeva in un angolo pur di non essere scoperto dal suo incubo. Avrebbe dovuto essere più forte soprattutto per dimostrare a Brian che poteva e che doveva appoggiarsi su di lui.

Invece.

Invece lo aveva deluso. Invece Nick era ricaduto nelle vecchie abitudini, preferendo scappare e nascondersi invece di rimanere in piedi e affrontare anche ciò che lo spaventava e lo terrorizzava di più.

“Smettila di essere così duro con te stesso.”

Quella volta, quando Nick voltò di scatto il viso verso la direzione di quella voce, non si ritrovò a fissare il vuoto e il buio di quella stanza. Davanti ai suoi occhi, seduto sul letto come se niente fosse o stesse accadendo, c’era la figura di Brian: era un’illusione, persino Nick riusciva ad ammetterlo in quello stato di disperazione e di sentirsi totalmente perso e fuori controllo, non fosse stato per quelle linee sfocate e l’apparenza che avrebbe dovuto avere uno spirito, qualora essi esistessero davvero. Ma era Brian, il suo Brian e, esattamente come quello reale, l’azzurro dei suoi occhi si era trasformato in grigio a causa delle ombre di tristezza e delusione che oscuravano e velano lo sguardo.

“Qualcuno deve pur esserlo, no? Tu non... – La voce si scontrò contro un groppo in gola e Nick scosse la testa, la mano fra i capelli come se bastassero quei gesti per scacciare via il nodo di emozioni. - … tu non sei realmente qui a fermarmi, no?”

“Solo perché non ci sono non significa che tu debba insultarti in questo modo.”

“Che cosa vuoi che faccia, allora? Non mi hanno permesso di cercarti e, francamente, rimanere ad aspettare senza poter far niente non è qualcosa che anelo a fare.”

Lo spirito di Brian, o qualsiasi cosa la mente di Nick avesse deciso di creare, scosse la testa. Esattamente come il vero Brian, in tutte quelle circostanze in cui lui, Nick, diceva qualcosa che per Brian era una semplicemente una sciocchezza.

“A volte si può solo aspettare, Nick. Non è un crimine.”

Una risata amara si impossessò di Nick, le mani abbandonate sulle ginocchia e la bottiglia ormai dimenticata.

“Certo che lo è. A meno che tu non sia apparso per dirmi dove ti trovi.”

“Sono solo la tua coscienza, Nick. Non sono il fantasma del vero Brian, non posso sapere dove si trova in questo momento.”

“Ovvio che dovevi essere la mia coscienza.”

“Ti stupisci pure?”

“No. Ormai, quando si tratta di te, non mi stupisco più di nulla.”

“Però ti stupisci ancora quando ti dico che non devi colpevolizzarti.”

“Perché non ha senso. Stavo per...”

“Stavi. – Lo interruppe lo spirito barra coscienza di Brian. – Ma non l’hai fatto. Perché ti sei reso conto che non è nascondendosi che si risolvono i problemi. Non è nascondendo i tuoi sentimenti, e le tue reazioni emotive, che riuscirai a superare questo momento.”

Con un sospiro Nick si alzò e si avvicinò al letto, sedendosi vicino a quello che era semplicemente frutto della sua disperazione e del suo agognante desiderio di esser rassicurato e confortato dall’unica persona che potesse riuscire a far breccia nell’odio, cocente, che ancora Nick provava verso se stesso. Anche se non era esattamente odio: era più un miscuglio di mortificazione, di delusione e di vergogna, tutti sentimenti che l’incertezza e l’insicurezza avevano armato e lanciato contro come proprio esercito. Era quello il frutto di anni e anni in cui nessuno gli aveva mai detto di poter essere più forte, più grande e differente dalla scia tossica e velenosa della sua famiglia. Tutti tranne Brian che, testardo e ostinato come un mulo, gli aveva sempre ripetuto e gridato contro come e quanto potesse essere altro se solo lo avesse voluto.

E lo voleva.

“Non sono forte come te. Sto crollando solamente perché non so in che condizioni sei. Sto crollando perché vorrei salvarti ma non so come. – Un’altra risata amara si levò dalle labbra di Nick, il quale poi abbassò lo sguardo e lo tenne fisso sulle sue mani. – Chi sto prendendo in giro? A malapena riesco a salvare me stesso. Come posso salvarti?”

“Non è adesso il momento di salvarmi, Nick. Ora non puoi fare niente e non perché sei debole o così perso nei tuoi problemi da non riuscire a trovare una soluzione. Non puoi salvarmi perché devo essere io a farlo. Ma quando tornerò, lì sì che avrò bisogno di te. Dovrai essere forte per tenere a galla entrambi.”

“E se non ne fossi in grado?”

“Devi decidere ora se vuoi esserlo o meno. Ma è una decisione che devi prendere per te stesso, prima di tutto. Non per me, non per dimostrare qualcosa alla tua famiglia o al mondo. Decidi se questo è il Nick che vuoi essere o se preferisci essere un’altra persona.”

Nick rimase in silenzio per qualche attimo, qualche minuto che si allungò e si stiracchiò in qualcosa di più lungo e carico di attesa. La bottiglia, e tutto ciò che rappresentava, era una sirena che cantava soavemente e che cercava di attirarlo ancora nelle sue reti; sarebbe bastato poco per ritornarci ma quale sarebbe stato il prezzo quella volta? Oltre all’odiarsi, oltre al vergognarsi e all’imbarazzo per essere caduto così in basso, come avrebbe potuto anche solo pensare di poter aiutare Brian?

E voleva farlo. Dio, se voleva essere pari, un compagno sul quale Brian avrebbe potuto appoggiarsi invece che doversi sempre preoccupare che qualsiasi situazione diventasse troppo per lui. Strano e contorno quanto poteva essere quel pensiero, era Nick che voleva preoccuparsi per Brian, assicurarsi che uscisse da quella situazione più forte e senza nessun lascito o strascico.

“Voglio esserlo. Una nuova persona, intendo. Il Nick che tu vedi e che credi che possa essere. E, certamente, quel Nick non rimarrebbe a piangersi addosso e a temere ogni singolo istante trascorso senza di te.”

Un sorriso si dipinse sul volto di quell’illusione, un sorriso che fu capace e in grado di sciogliere le tetre e ghiacciate mani della paura e ridare un senso di speranza a Nick. Si ritrovò Nick a sorridere anch’egli, seppur consapevole di quanto sciocco, strano e pazzo avrebbe potuto sembrare se qualcuno avesse deciso di entrare in camera proprio in quel momento.

“Cosa farebbe quel Nick? A parte evitare di ammazzarsi con la tempesta o rischiare di perdersi in un bosco che nemmeno conosce?”

“Recuperare le forze. – Rispose Nick, ricordandosi le parole che erano state scambiate qualche istante prima. – Ne avrò bisogno per quando tornerai. Ne avrò bisogno per tenerti testa.”

“Iniziamo a ragionare. – Ribatté lo spirito di Brian. – Ma prima c’è un’altra cosa che dovresti fare.”

“Una doccia calda, tanto per incominciare. Mettere qualcosa sotto i denti e dormire?” Ipotizzò Nick, anche se su quell’ultima aveva qualche dubbio. I primi avrebbe potuto semplicemente compierli, specialmente perché il suo stesso corpo reclamava a gran voce di esser riscaldato e tolto da quei vestiti umidi e freddi. Ma dormire? Con le immagini che, nonostante tutta la buona volontà di quel mondo, non si sarebbe cancellate né avrebbero discolorato la loro intensità?

“Stai dimenticando qualcosa.” Mormorò Brian, allungando il collo oltre la figura di Nick e posando lo sguardo sul borsone.

Nick intuì immediatamente di che cosa la sua coscienza barra illusione stesse indicando. E aveva ragione, era proprio quello il primo passo da compiere se davvero voleva dimostrare a se stesso prima, e a Brian dopo, che la sua decisione era più che ben ponderata e definitiva. Con un mezzo sorriso, un’espressione di determinazione e di sfida dipinta sul volto, Nick si alzò e riprese in mano quella bottiglia che aveva dato inizio e sfogo a quel turbinio di emozioni e di pensieri che aveva tenuto dentro di sé; quella volta, però, non ci furono esitazioni né tentennamenti e la mano si avvolse attorno al collo di vetro come se stesse impugnando il simbolo di una vittoria e di un nemico con il quale aveva combattuto per fin troppo tempo.

E lo era. Un simbolo. Quella bottiglia, il cui contenuto ora vorticava prima di infilarsi nel tubo di scarico del lavandino, era il simbolo di quanto lui fosse così differente e lontano dalla sua famiglia e dai suoi genitori in primis: non avrebbe permesso a quel veleno di rovinare quella relazione, quel rapporto che rappresentava anche una sorta di rinascita. Una fenice che rinasceva dalle sue ceneri, pronta a volare più in alto di prima.

Quando fu sicuro che nessuna goccia, nemmeno la più piccola, fosse rimasta nascosta in un angolo in fondo, Nick non gettò via la bottiglia ma la portò con sé sul terrazzo: l’aria della notte era fredda e il contatto con gli abiti ancora umidi diede vita a una serie di brividi e fremiti lungo tutta la pelle. L’aria sapeva di pioggia, quell’aroma pungente di sabbia bagnata; di roccia che aveva ed era sopravvissuta ancora alla forza e alla violenza delle onde; di erba che si era lasciata avvolgere da quella doccia improvvisa e di rugiada che ora si stava formando sui ciuffi e sui cespugli. Aveva smesso di piovere e, nonostante in lontananza ancora il cielo lampeggiasse e tuonasse debolmente, un primo accenno di alba stava salendo oltre l’orizzonte.

Era già un nuovo giorno, ed era quasi ironico che Nick avesse scelto proprio quel momento per gettare via gli strascichi del passato e incominciare a togliersi quegli abiti ormai usati e strappati, troppo stretti per quell’anima che l’amore aveva reso ancor più grande e desiderosa di crescere. Non pronunciò nulla, non disse nulla mentre la mano lasciava, finalmente, andare la bottiglia e la lanciava oltre lo sguardo; non rimase nemmeno a osservare dove essa finisse, né a udire se andasse in frantumi scontrandosi contro gli scogli o, semplicemente, una volta raggiunta la spiaggia. Era un simbolico voltare letteralmente le spalle a quel Nick, quel ragazzo che si era sempre nascosto dietro a quell’immagine che altre persone avevano dipinto al posto suo. Non c’era più spazio per quel ritratto, non ora che Nick aveva preso in mano i pennelli e aveva deciso di scegliere lui stesso quali colori e sfumature usare. 

Rientrò quasi subito, quel simbolico gesto era stato in grado di rifocillare il suo animo e rinvigorire energie e forze che sembravano essersi perse in quella nebbia di paura e terrore. C’era molto da fare perché, con l’arrivo del sole e della luce, Nick non si sarebbe lasciato convincere a rimanere chiuso in casa senza fare nulla: sarebbe uscito e avrebbe dato una mano nelle ricerche. Forse sarebbe stato inutile, forse a quell’ora Tyler era già stato in grado di portare Brian il più lontano possibile da lui e dalla sua famiglia. Ma fintanto che la speranza continuava ad albergare, fintanto che ci sarebbe stata anche la più piccola e minima possibilità di trovare Brian, Nick avrebbe continuato a sondare quel bosco centimetro per centimetro.

Nella stanza non vi era più nessuno. O, meglio, non vi era mai stato nessuno ma era quasi come se Nick potesse sentire, ancor più forte e intensa, la presenza di Brian. Non era lì fisicamente ma la sua presenza era lì, in quella camera che il ragazzo aveva decorato e arredato quasi come se fosse un’estensione stessa del suo essere; era nell’aria che sapeva e avrebbe sempre avuto il suo odore, quel profumo che mai aveva cambiato durante gli anni e che spesso Nick aveva rubato quando, molti anni addietro, erano stati costretti a separarsi per tornare dalle rispettive famiglie. Quel profumo sapeva di rassicurazione, di forza e di tenacia ed erano quelle le qualità che avrebbero permesso al maggiore di uscirne ancora una volta vincitore, invece che vittima. Nick inspirò a fondo, sperando che quell’aroma potesse anche trasferire parte di quella forza al suo stesso animo.

“Grazie.” Sussurrò Nick al buio, nonostante lo spirito barra illusione con le sembianze di Brian fosse ormai scomparso e se ne fosse ritornato ovunque fosse stato originato e creato.

La doccia durò molto più di quanto Nick avrebbe voluto e desiderato. Gli sembrava quasi di aver perso tempo prezioso, minuti e secondi che sarebbero potuti servire a chiamare il detective per informarsi se ci fossero novità. Di qualsiasi tipo, perché ormai Nick si era rassegnato anche a sentirsi raccontare la peggiore delle alternative ed era quella uno scenario migliore a quel perpetuo e infinito non sapere. Quel limbo dove non ci si poteva lasciare andare troppo alla speranza, perché se mai essa sarebbe stata schiacciata allora il dolore sarebbe stato in grado di distruggerlo e di ridurlo solamente a un’ombra di se stesso, ma anche solo pensare a una conclusione negativa sembrava, e pulsava, come un tradimento.

“Brian non avrebbe mai perso la speranza così facilmente. Non così velocemente. – Si era ripetuto Nick mentre l’acqua calda, anzi scottante, della doccia si riversava sui muscoli doloranti e si portava via i rimasugli e gli echi dell’incidente e delle ore trascorse in ospedale. – Brian avrebbe continuato a cercare anche quando ogni indizio avrebbe costretto tutti a fermarsi.”

Erano state quelle parole a rinforzare il suo piano, una serie di passi e azioni che avevano solo ed esclusivamente lo scopo di riportare Brian a casa. Ovunque egli fosse, oltre il bosco e l’oceano se sarebbe stato il caso. E quelle parole avevano vorticato attorno alla sua mente anche mentre ritornava in stanza e si rivestiva, rubando una maglietta di Brian solamente per poter sentire ancora la sensazione del suo odore sulla pelle. Anche se quella era troppo piccola per lui, anche se a malapena gli arrivava alla linea dei pantaloni. Ma apparteneva a Brian, quella stessa che Nick gli aveva regalato e che Brian aveva indossato quella sera quando l’incubo aveva riaperto le sue fauci e gli aveva inghiottiti nel suo buio e nella sua gelida oscurità. Era stata una sorpresa rivedere quella maglietta, perché Nick si sarebbe aspettato che l’avesse gettato in un bidone della spazzatura pur non di non dover avere un altro ricordo di quella serata.

Finalmente riuscì a trovare dei vestiti che potessero andargli bene e, lasciandosi sfuggire un ultimo sospiro, Nick si chiuse la porta della camera dietro le spalle sperando che, la prossima volta che l’avrebbe aperta, non sarebbe stato da solo.

 

 

 

 


 

*********

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Il detective entrò come una furia all’interno della casa, portandosi con sé lo stesso sentimento degli elementi della natura che continuavano a darsi battaglia. Nick si ritrovò a rabbrividire per un attimo e non solo per quell’aria gelida e salmastra che si era intrufolata come un ospite inatteso e sgradito, ma soprattutto al pensiero che Brian si trovasse ancora là fuori e che avesse un nemico in più da affrontare.

O forse non più, si disse fra sé e sé, quando finalmente il suo sguardo si posò su colui che era appena entrato: negli occhi marroni del detective c’era una luce che preannunciava qualcosa, uno squarcio di fiducia in quelle ore e ore che erano trascorse in una sempre più crescente preoccupazione.

Forse l’attesa era finalmente giunta al termine. Forse non c’era più ragione per rimanere schiavi di tutte quelle immagini, di tutti quei scenari e quelle possibilità che la mente si divertiva a creare in quei momenti. Forse ora il cuore di Nick poteva smettere di battere con tristezza e paura e, invece, incominciare a galoppare come un cavallo selvaggio a cui era stata finalmente riconsegnata la libertà.

“Brian?” Fu tutto quello che riuscì a mormorare, staccandosi da quella finestra che era diventato il suo mondo in quelle ore e quel divano che aveva accolto confessioni di cui, ora, incominciava a sentirsi lievemente imbarazzato e in colpa.

Un velo di attesa e di tensione calò fra i presenti nella stanza, l’apprensione comune che si allungò e si trasformò in invisibili mani che si stringevano e che pregavano insieme per un miracolo. Doveva accadere, no? Doveva pur accadere qualcosa di buono, una bolla di positività che avrebbe finalmente scalzato via quella nube nera che alleggiava da giorni.

Da settimane.

Durò un attimo quel volo di speranza ed essa cadde colpita nel momento in cui le spalle del detective si abbassarono in un’ammissione di sconfitta. “No, non ancora ma...”

Nick si ritrovò a tremare di nuovo, la rabbia e la frustrazione che aveva cercato di nascondere esplosero come se quel vaso non potesse essere più in grado di contenere tutta quella forza; le mani si chiusero in pugni stretti, le unghia si conficcarono nella pelle e quella saetta di dolore sembrò dare inizio a un temporale che poco aveva a che fare con quello che si dava battaglia fuori. Al diavolo le parole di Kevin, al diavolo persino quei consigli che erano arrivati con una voce che, ora, poteva ammettere che si era solamente trattata di filamenti immaginari della sua coscienza. Al diavolo aspettarsi e aspettare di vedere la figura di Brian apparire sulla soglia, sano e salvo e con il sorriso di chi era riuscito a tornare nonostante tutto.

“Ma cosa?” La voce di Nick riecheggiò e rimbalzò da un presente all’altro fino a raggiungere l’espressione affranta del detective.

“Nick, lo stiamo cercando. Stiamo perlustrando ogni centimetro di quel maledetto bosco ma questa pioggia ci sta rallentando.”

La parte razionale di Nick sapeva che era ingiusto prendersela con quell’uomo, specialmente quando era quasi impossibile riuscire a distinguere le luci delle macchine con quella pioggia battente e fitta; sapeva, anche, che nemmeno lui sarebbe riuscito a fare di meglio se fosse uscito come un pazzo a cercare quell’altra metà di se stesso di cui necessitava. Ma niente di quello che stava provando in quel momento era razionale, la furia cieca del dolore stava conquistando ogni centimetro e spazio, reclamando a gran voce il nome di Brian: lo voleva lì, al sicuro; lo voleva lì, egoisticamente per ricordargli che poteva sbagliare, poteva cadere e rialzarsi senza considerarsi la peggior persona in quel mondo; lo voleva lì, Nick, per ricordare a Brian che niente e nessuno sarebbero più riusciti a separarli e che, da quale spalla che era, lui ci sarebbe stato in quel lungo e faticoso cammino di riabilitazione da quell’incubo.

“Ma avete scoperto qualcosa, comunque.” Kevin si intromise in quello scontro frontale, cercando di riportare un minimo di calma, anche se solo apparente: strinse la mano attorno al polso di Nick, un gesto che aveva visto Brian fare molte volte quando Nick era stato sul punto di scoppiare e far sgorgare fuori tutta la confusione e il caos che si portava dentro. 

“Sì. – Rispose Michael, pulendosi gli occhiali ancora appannati. – Forse abbiamo scoperto perché Tyler ha scelto proprio Brian come sua vittima.”

Per un momento sia Nick sia Kevin osservarono il detective con la fronte corrugata in confusione e incomprensione.

Che cosa significavano quelle parole? Che cosa significava che aveva scoperto il perché, non era già quella malata ossessione un motivo più che sufficiente per spiegare tutto?

No, ovviamente non poteva essere semplicemente quella la ragione perché, anch’essa, doveva esser pur nata da un seme, anche se poi si era allontanata ed era diventata più grande, più soffocante di quanto avrebbe dovuto essere in linea di principio. Ci doveva esser stata una scintilla che aveva dato fiamma e respiro a quel fuoco, che lo aveva alimentato per anni e che ora aveva trovato la sua punta di culminazione totale.

Eppure... eppure Nick si ritrovò comunque ad abbassare le spalle in arresa, come se quella particolare informazione non fosse davvero così importante in quel momento. Lo era, questo lo sapeva e non poteva nemmeno negarlo, ma quanto poteva essere utile ora? Come poteva essere utile per trovare Brian?

“Detective...” Incominciò a dire ma l’uomo lo interruppe quasi subito, forse già intuendo quale sarebbe stata la sua obiezione o, forse, leggendo nei suoi occhi la delusione e la frustrazione per essere rinchiuso lì, invece di esser lasciato libero fuori.

“Nick, i miei migliori uomini stanno battendo ogni centimetro del bosco. Quasi tutta la cittadina si è mobilitata per trovare non solo l’uomo che ha sconvolto la loro tranquillità, ma anche per ritrovare un ragazzo che è entrato a far parte della comunità nonostante il poco tempo trascorso. E loro conoscono queste zone molto meglio di te, loro conoscono tutte le scorciatoie e passaggi di cui nemmeno la polizia è a conoscenza. – Il detective usò quel tono che si acquietava fra le note dell’autorità e dell’essere paternale, quasi come se stesse parlando a un bambino che aveva appena commesso un incidente di poco conto. – So che vorresti essere in prima linea ma saresti solo un intralcio. Nonché una perdita di tempo nel caso ti perdessi. Vuoi davvero ciò? O vuoi trovare Brian?”

Nick si sentì, ancora una volta, punto nel vivo da quella predica. Imbarazzato avrebbe voluto abbassare lo sguardo e far finta di nulla ma la tensione, la stanchezza, l’ansia e la preoccupazione erano ancora delle fiamme impossibili da mettere a tacere quando venivano alimentate così rabbiosamente. Sì, la rabbia prese ancora una volta il sopravvento perché più di tutto Nick non sopportava sentirsi inutile ed era quello che, con quelle parole, il detective aveva rimarcato come se stesse gettando sale su ferite aperte e sanguinanti.

“Forse non stanno facendo il loro meglio se ancora non li hanno trovati.” Ribatté quindi con un sibilo, la cattiveria che era solamente una maschera per nascondere quanto quel non sapere lo stava riducendo a una balla di nervi scoperti, pronti per essere mandati in corto circuito.

Per un secondo, stiracchiato in un’infinità di attimi silenziosi, la tensione in quella stanza divenne una figura immateriale che si mise in mezzo fra quelle due generazioni a confronto, quelle due menti ostinate e testarde che avevano, però, un unico obiettivo comune. Nick non voleva cedere, non voleva dover ammettere di aver superato un limite ben preciso, scavalcato una barriera che era stata messa per proteggere quella tempesta che, fino a qualche momento prima, era quasi stata in grado di distruggere e spezzare le promesse che lui aveva fatto a Brian. Ed era quello che più faceva male, era quello il motivo per cui si ritrovava a dar contro a quella persona che non voleva fare altro che chiudere quella faccenda.

Definitivamente.

Fu Kevin a intervenire, per quanto anch’egli condividesse in parte quell’ultima accusa che Nick aveva lanciato con tono tagliente. Ma non era quello il momento delle recriminazioni; era, invece, quello il momento per unire le forze e sconfiggere quel nemico che, improvvisamente come un temporale d’estate, aveva unito così tante persone estranee uno con l’altro.

Inoltre, voleva sapere quel perché che lo aveva tormentato per ben lunghi dieci anni.

“Detective, che cosa ha scoperto?”

L’uomo sostenne lo sguardo di Nick per un’altra manciata di secondi prima di rivolgersi al maggiore fra i due. Si fece strada fino al tavolo, ormai riempito di mappe, di appunti, di bicchieri di caffè ormai terminati e telefoni che rimanevano silenziosi, e appoggiò la borsa che aveva tenuto stretto a sé fino a quel momento; la aprì e recuperò una cartella di carta gialla, consunta dal tempo e che Kevin riconobbe con una fitta particolarmente dolorosa: sapeva esattamente che cosa conteneva, fogli e fogli che avevano trascritto quelle fatidiche ore di violenza e quel processo che era durato quasi un battito di ciglia. Nessuno di loro, né lui né soprattutto Brian, aveva mai voluto rileggerli o studiarli per trovare un filo logico in quell’assurdità di incubo. Se lo avessero fatto, forse sarebbero riusciti a prevenire quel secondo atto? Kevin si ritrovò a scuotere la testa, consapevole che sarebbe stato impossibile prevenire tutto quello e, allo stesso tempo, portare avanti l’apparenza di una vita normale.

Il detective tirò fuori una foto e la mise di fronte a Kevin. “Riconosce questo bambino?”

“E’ Brian, no?” Rispose Kevin senza nemmeno prendersi qualche secondo per osservare meglio la foto e assicurarsi che la sua risposta fosse giusta. E come poteva essere altrimenti? Quel bambino era Brian, Kevin lo avrebbe riconosciuto anche semplicemente di sfuggita anche se... un piccolo dubbio incominciò a scorgersi oltre quel muro di convinzione e sicurezza: perché mostrargliela, altrimenti? E perché c’era qualcosa di strano in quella foto, un dettaglio che nemmeno lui riusciva però a identificare e spiegare?

“Ne è sicuro?”

“Dovrei essere in grado di riconoscere mio cugino.”

“Ma?” Aggiunse Nick che, incuriosito da quella strana discussione, si era avvicinato e aveva percepito l’insicurezza nella voce dell’amico.

“Non ho mai visto questa foto, per prima cosa. E c’è qualcosa che stona. Qualcosa che... non è Brian.”

Che cos’era che lo rendeva così insicuro? Nick si ritrovò a sporgersi dalle spalle del maggiore e a osservare quella foto: a un primo sguardo chiunque sarebbe giunto alla stessa conclusione, chiunque avrebbe riconosciuto quella zazzera bionda e quei tratti che si potevano riconoscere nel Brian cresciuto che Nick aveva conosciuto.

Ma non era lui. Quel bambino non era Brian, anche se la somiglianza era disarmante. Quel bambino non era Brian perché il sorriso non era lo stesso, gli occhi non avevano quella lieve diseguaglianza che rendeva lo sguardo così magnetico e così irresistibile. Quel bambino non era Brian perché Nick aveva trascorso anni e anni a studiare quel viso da lontano, a cercare di memorizzare ogni singolo dettaglio quasi come se avesse avuto paura che, un giorno, avrebbe potuto non averlo più al suo fianco o nella sua vita.

“Non è Brian.” Affermò Nick, con un tono che non ammetteva nessuna obiezione. E, infatti, non le ricevette né da Kevin, che allineò la sua opinione a quella del minore, né dal detective che, invece, sembrò quasi soddisfatto di quella affermazione.

“No, non è Brian. – Il detective confermò, mostrando un’altra foto dove le differenze erano molto più evidenti, anche se continuava a rimanere quella lieve somiglianza che poteva mettere in dubbio qualcuno. – Il suo nome è Thomas Ridley. Scomparso quando aveva dieci anni e dichiarato morto dopo qualche anno, anche se il suo corpo non è mai stato trovato.”

“E che cosa avrebbe a che fare con Tyler? O con Brian, del resto, a parte il fatto che Thomas è il suo secondo nome.” Commentò Nick, non riuscendo a capire come quel bambino, la sua scomparsa o morte, potesse essere di così fondamentale importanza per quelle indagini. O per non dedicarsi totalmente alle ricerche di Brian prima che facesse la fine di quel bambino. Con un gesto stizzito Nick cercò di annullare quel pensiero, così velenoso e così inopportuno: lo avrebbero impedito, avrebbero cercato in ogni modo possibile e immaginabile di far sì che quell’epilogo non si sarebbe ripetuto e non avrebbe nemmeno sfiorato Brian.

“I Ridley erano vicini di casa della famiglia di Tyler e i due bambini giocavano spesso insieme. Sono riuscito a rintracciare solamente la madre, i genitori si divisero dopo qualche anno e non hanno notizie uno dell’altro da anni. Ma ciò che mi ha detto la madre di Thomas è stato molto interessante e potrebbe spiegare perché Tyler è così ossessionato da Brian.”

“Perché gli ricorda il suo amico?” Provò a suggerire Kevin, anche se dubitava che la risposta potesse essere così semplice e intuitiva. Si trattava di Tyler, dopotutto,  e niente poteva davvero essere così semplice o facilmente spiegabile. Quella, semmai, era solamente la punta dell’iceberg; qualcosa che avrebbe dovuto far scattare un allarme ma di cui nessuno, invece, si era preoccupato di indagare più a fondo.

“Non esattamente. Non solo almeno. – Fu, infatti, la risposta del detective. – Già da piccolo Tyler aveva incominciato mostrare segnali che non sarebbero dovuti essere nascosti o ignorati ed era Thomas la vittima preferita dei suoi “giochi”, così li ha chiamati sua madre. Molto spesso Thomas tornava a casa con lividi oppure piangendo, anche se non voleva mai tradire il suo amico così, un giorno, i suoi genitori decisero di proibirgli di trascorrere ancora del tempo insieme. Due giorni dopo, Thomas scomparve.”

“Tyler?”

“Sarebbe una facile conclusione. Considerato che lui e la sua famiglia si trasferirono poco dopo, in apparenza a causa del lavoro del padre.”

Nick e Kevin rimasero in silenzio, facendo scivolare sulla lingua quelle parole che avevano appena ascoltato. Sembrava di essere davvero all’interno di un film o di un romanzo, loro due pedine che sarebbero servite al lettore di scoprire il movente e sprofondare ancora di più in quell’intricato mistero. Invece era realtà ed entrambi facevano fatica a ricollegare quello scenario con il fatto che lo stavano vivendo in prima persona e che, davvero, il motivo di così tanto odio e violenza potesse essere ritrovato in uno sgarbo infantile.

Ma aveva senso. Soprattutto per Kevin. Ora poteva capire perché, tanti anni prima, Tyler si era ritrovato così ipnotizzato dalle foto della sua infanzia e tutte quelle domande su Brian ora acquistavano un amaro significato.

“Quindi lei sta dicendo che...” Nick abbandonò la frase, incapace di poter formulare il suo pensiero in modo logico e coerente. Non sapeva nemmeno quale fosse il suo pensiero perché tutto quello su cui la sua mente si era fermata e concentrata erano i dettagli più macabri di quella vicenda. Lividi. Lacrime. Scomparsa. Morte. Era quello il destino che attendeva Brian? Brian, trasformatosi in un battito di ciglia in un fantasma del passato, colpevole di chissà quale colpa di cui non ne aveva mai avuto responsabilità. Passato e presente si erano mescolati nella mente di Tyler, Brian avrebbe dovuto pagare per Thomas che era stato allontanato e che poi era scomparso, la cui colpa era caduta implicitamente contro Tyler.

E non era quello che era successo anche dieci anni prima?

“Sto dicendo che la sua ossessione con Brian non ha a che fare solamente con lui. Brian è Thomas, Brian è quell’amico che gli è stato sottratto quando era bambino, dieci anni fa e ora, seppur questa volta è stato Brian stesso a scegliere un nuovo amico. Lei, Nick.”

“Ma l’aggressione?” Domandò Kevin, dubbioso o, forse, semplicemente incapace anche lui di accettare che quella storia potesse avere infiltrazioni che nessuno sarebbe stato in grado di cogliere per poter prevenire il peggio. Soprattutto lui. Lui, che a malapena aveva voluto chiedere a colui che era stato un amico di quei buchi oscuri della sua infanzia, aggrappandosi a una sensibilità che forse avrebbe potuto evitare molti problemi. Se e ma si ingarbugliarono fra loro, tessendo una fitta rete attorno a Kevin: era inevitabile rimanere vittime e prigionieri, nonostante la voce della ragione cercasse di scindere ciò che l’irrazionale voleva far passare come responsabilità e mancanze.

Se solo si fosse informato meglio...

Se solo non avesse cercato di dimenticare come aveva fatto Brian...

Se solo non avesse paura di scoprire...

“Probabilmente era un messaggio che Tyler voleva mandare Brian.”

“Non ti scordar di me.” Mormorò Nick, ricordandosi ora di quei fiori che Tyler aveva mandato a Brian più di una volta. Era quello il messaggio che aveva voluto non solo mandare ma anche rimarcare fino a quando Brian non l’avrebbe compreso fino all’ultima sua conseguenza.

Per un attimo fu come se una buca si fosse all’improvviso aperta sotto i suoi piedi; per un attimo Nick ebbe la sensazione che il mondo gli stesse vorticando furiosamente attorno, una furia costruita con dita e artigli che volevano afferrarlo e farlo precipitare in quel buco nero che si stava allargando a ogni secondo e a ogni battito di cuore che scivolava via. Si appoggiò con una mano alla sedia, il cuore che sembrava quasi volergli scappare via insieme alla capacità di respirare e quella voce che, stupidamente, continuava a ripetere quelle cinque parole.

“Nick... stai bene?” Il tono preoccupato di Kevin arrivò alle orecchie di Nick, il tocco sulla sua spalla e quel braccio che lo cinse come a volerlo supportare. Furono quei gesti, seppur dettati da genuina preoccupazione, a far infiammare le sue guance per la vergogna e l’imbarazzo mentre ancora fremiti nervosi facevano traballare la presa sulla sedia.

“Sì.” Mentì spudoratamente, cercando di raddrizzarsi in un apparente forma di autocontrollo e di forza che non riusciva nemmeno a spiegarsi da dove potesse nascere. Invece che migliorare, invece che aggrapparsi a qualche ultima ala di speranza e di fiducia, Nick continuava ad avere questa crescente sensazione che il peggio era lì ad aspettarli a un angolo, pronto a sferrare l’ultimo e micidiale colpo.

“Vai a riposare. Sei appena uscito dall’ospedale...”

“Mi riposerò quando tutto questo sarà finito.”

“Testardo come lui. Uguale.”

Un sorriso, seppur debole e capace di durare solamente una frazione di secondo, curvò gli angoli della bocca di entrambi i ragazzi, unendoli ancor più di quelle ultime ore o di tutti quegli anni trascorsi fianco a fianco. “Lo prendo come un complimento. – Commentò Nick, riuscendo a far battere più lentamente il suo cuore. – Detective, continui. Abbiamo capito il senso dell’aggressione e del mio incidente. O, meglio, del tentativo di tagliarmi fuori dalla vita di Brian. Ma il resto?”

Il detective tentennò per qualche secondo, volendo lasciare ancora qualche minuto a Nick per riprendersi. Forse era meglio lasciare tutte quelle congetture per il dopo e focalizzarsi solamente sul cercare di trovare Brian prima che fosse troppo tardi, in un modo o nell’altro. Forse Nick aveva ragione, forse avrebbe dovuto lasciare a loro quelle pagine fitte di ipotesi e ritornare al suo lavoro principale, nonostante si fidasse completamente di tutte le persone e le forze che si stavano dando da fare in quello stesso e preciso momento. “Forse è meglio se continuiamo più tardi.”

“Detective, sto bene.” Nick ribadì, credendo, anzi, essendo più che certo che non ci sarebbe stato altro momento migliore di quello. Presto si sarebbe scatenato un altro turbinio di faccende, presto tutta l’attenzione si sarebbe concentrata su Brian perché presto lo avrebbero riportato a casa. E Nick doveva essere pronto, Nick doveva essere in grado di rispondere ai suoi perché e non era più disposto a fare la figura del bambino che ignorava o che non sapeva come comportarsi.

Hotch sembrò rimanere dubbioso per qualche secondo ancora, lo sguardo che cercava di scrutare al di là di quella maschera di apparenza e di voglia di dimostrare qualcosa: avrebbe voluto rimproverarlo, avrebbe voluto dirgli che, una volta trovato Brian, avrebbe avuto di quelle energie che ora stava così stupidamente gettando via ma si trattenne. Non faceva parte dei suoi compiti. Così, il detective respirò a fondo e riprese le fila del discorso là dove le aveva abbandonate. “Il resto sono solo ipotesi, ovviamente.”

“Brian... Kevin, ricordi che cosa ha detto sul bus prima di controbattere alle foto pubblicate?”

Kevin si ritrovò a corrugare la fronte cercando di ricordare quel preciso momento e discussione. All’inizio ci fu solamente nebbia, fili e fili che riportavano alla mente solamente la sua rabbia, dettata dalla paura, verso quell’azione così scellerata del cugino. Che cosa aveva detto lui? Come si era difeso? Non era stata solo voglia di rivalsa, non era stata solamente una voglia di dimostrare di non essere più quella vittima indifesa e incapace di lottare che Tyler si era lasciato dietro la sua scia di sangue e incubi. “Credeva che lo avesse fatto per rovinare tutto quello che era riuscito a crearsi in questi ultimi dieci anni. – Rispose quindi, sperando di non aver confuso ricordi e suoi pensieri. Ma Nick semplicemente annuì prima che entrambi rivolsero il loro sguardo verso il detective. – E’ questa la sua ipotesi?”

“Sì. Se Tyler pensa che sia stato incriminato ingiustamente, allora è probabile che abbia voluto vendicarsi. O ripagare Brian con la stessa moneta, cercando di rovinare la sua immagine esattamente come lui aveva fatto dieci anni fa. O come Thomas e la sua famiglia avevano fatto ancor prima.”

“Cristo santo.” Si lasciò scappare Nick, abbandonando finalmente ogni parvenza di controllo e lasciandosi cadere sulla sedia a cui prima vi era solamente rimasto appoggiato.

“Dobbiamo trovare Brian, detective. Non lo possiamo lasciare ancora fra le mani di Tyler.” L’implicito non venne pronunciato ad alta voce, si trascinò e sibilò in quella stanza come se avesse preso la forma e la sostanza del vento freddo che si stava ingrossando fuori da quelle mura. L’implicito era quella pericolosità del non poter prevedere la prossima mossa di Tyler, non quando ormai era chiaro che i confini fra passato e presente si erano così confusi e così mischiati da non esser più presi in considerazione. Non quando ormai era chiaro che le possibilità per Brian si stavano assottigliando sempre di più perché non stava più pagando per un’ossessione morbosa o per essere diventato, involontariamente, un oggetto così prezioso che andava portato via da tutti e da tutto: Brian, ora, si era trasformato in un individuo che aveva avuto due vite, due rette parallele che, però erano riuscite a incontrarsi scontrandosi contro un’unica deviazione.

Il detective non fece in tempo a rispondere perché il suo telefonino prese a squillare proprio in quel momento, rompendo quell’aria di tensione e creandone una nuova. Più fragile. Ma con un retrogusto di speranza, seppur sottile e quasi impalpabile.

Nick, Kevin e Howie e Aj, che sembravano essere apparsi all’improvviso da tanto che la loro presenza era rimasta silenziosa e quasi impercettibile, osservarono con attenzione il volto del detective mentre si allontanava per rispondere. La telefonata durò semplicemente qualche minuto, anche se l’attesa di sapere se fosse portatrice di buone o cattive notizie sembrò durare quasi un’eternità.

“Allora? Detective?” Lo incalzò Nick non appena questi ritornò verso di loro, il telefonino ancora stretto fra le dita e un’espressione che nessuno riusciva a decifrare.

“Potrebbe essere un falso allarme ma...”

“Ma cosa? L’hanno trovato?” A Nick sembrava che il cuore stesse ribollendo nei timpani, tanto era assordante quel battito simile al rumore di tamburi. Doveva essere così, dovevano averlo trovato, si ripeté come una nenia silenziosa.

Non era tempo che qualcosa di positivo finalmente mostrasse la sua figura in quella casa e in quella cittadina?

 

 

 

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