Disclaimer: Questo testo proprietà del suo autore e degli aventi diritto. La stampa o il salvataggio del testo dà diritto ad un usufrutto personale a scopo di lettura ed esclude ogni forma di sfruttamento commerciale o altri usi improri.
Nel nulla spazio temporale il tempo è nullo e quindi
potrebbero essere passati minuti, ore o anni
Migliaia.. Sento di essere
intrappolato qui da migliaia di anni..
Non esiste un sopra o un sotto, né alcuna dimensione.
Vorrei impazzire,scampare alla tortura del pensiero,
che mi rende consapevole ogni momento della mia condizione.
Vivo nel nulla, circondato da nulla..
presto anche io diventerò tutt’ uno col nulla.
…Che fine miserabile…
YotaMoteuchi,
Ai Amano… MALEDETTI…
Rolek era stato imprigionato nel
suo dispositivo dopo la rottura del videoregistratore.La
sua essenza, oramai ridotta ad una serie di onde elettromagnetiche senza forma
ne consistenza, si propagava in un limbo privo di qualsiasi manifestazione d’
Essere. Persino il buio che veniva percepito non era
un’ oscurità naturale, ma un triste vuoto di cui presto i condannati avrebbero
fatto parte.
I sentimenti quali la vendetta, l’ ira ed il rancore verso coloro che lo avevano imprigionato
erano gli unici legami chetenevano Rolek distante dall’ inevitabile morsa del nulla. Eppure
lui sapeva bene che, presto o tardi, si sarebbe arreso come tutti gli altri.
Per un attimo, in quell’ oceano
oscuro, sembrò levarsi un grido disperato.
Era circondato.
Un manipolo di teppisti di
strada lo aveva costretto, quella sera, a seguirli nella stradina secondaria
accanto alla discarica, fuori dalla città. Lo fecero salire sulla loro auto
senza usare la forza, bastò infatti pronunciare un
nome.
Aruka..
Si trovò in trappola, tutte le
direzioni erano ostruite dai membri del gruppo, alle sue spalle si trovava la
discarica, davanti a lui un muro, la strada era illuminata da qualche lampione,
quindi dileguarsi nell’ oscurità era pressoché
impossibile. Si guardò indietro con sguardo pensieroso, chiedendosi se sarebbe
riuscito a sopravvivere alla caduta. (Magari cado
proprio su un materasso, la gente li butta via i materassi no? Certo, se però
il materasso ha qualche molla fuori posto potrebbe
risultare pericoloso..) pensò, non riuscendo a decidersi.
Il capo dei teppisti, un ragazzo
di bassa statura col pizzetto ed i capelli rasati lo
guardò con un’ espressione feroce.
“Vorresti scappare di nuovo bastardo? Sembra sia la tua
specialità” disse il capo, tremando nel trattenere la rabbia che sentiva.
“…” il ragazzo non disse nulla,
ma abbassò la testa per non incontrare il viso del suo accusatore.
“Scappi sempre, proprio come
quella volta..” gli occhi cominciarono a lacrimare, i
denti si digrignarono, la rabbia che finora aveva represso era in procinto di
esplodere.
“Aruka è morta figlio di puttana! Mia
sorella è morta e tu non eri con lei!” Il rancore del capo esplose con
violenza, travolgendo il suo bersaglio.
Le parole risuonarono nella
notte come un tuono, sebbene al ragazzo parvero più
simili ad un nugolo di aghi conficcati nel cuore.
Abbassò la tesa delcappello sugl’
occhi, stava piangendo anche lui, tuttavia sapeva che se il capo avesse visto
le sue lacrime si sarebbe infuriato ancora di più.
“Le avevi promesso che non l’ avresti mai abbandonata, eppure, appena hai saputo che le
restavano pochi mesi di vita sei scappato come un fottuto coniglio! Aruka è morta consapevole di essere stata abbandonata dall’ uomo che amava!”
“Già..”
rispose con voce tremante “Hai proprio ragione.. l’ ho abbandonata come un cane
sulla strada..”
I teppisti furono assaliti dall’ ira. Il più grosso, clone imperfetto del suo capo,
posto alla destradi quest’
ultimo estrasse un coltello a serramanico, con la ferma intenzione di usarlo.
Il capo lo fermò con un gesto
della mano.
“Non ancora Nobu,
prima voglio farlo soffrire.. Me la pagherai Borromini”
Borromini
si tolse l’ elegante soprabito, il cappello e la
giacca del completo gessato che aveva indosso, rimanendo solo con la camicia ed
i calzoni.
“Mi dispiace Akira, ma non ho intenzione di morire oggi. Non intralciare il mio cammino.”
Era risoluto, non aveva
intenzione di scontare la sua condanna, anzi, sembrava che gli fosse del tutto
indifferente. Akira non poteva sopportarlo.
“Nobu,
Ryosuke.. Fatelo a pezzi..”
I due balordi si avvicinarono
minacciosi con i coltelli in mano mentre il ragazzo, apparentemente
impassibile, assumeva una posizione di guardia.
“So di essere
stato abominevole, ma non voglio morire in ogni caso. Quella volta ho
avuto paura perché la situazione era al di fuori del mio controllo. Non ho
giustificazioni, ma non smetterò di vivere solo per appagare la tua vendetta,
mi dispiace.”
Nobu e
Ryousuke si lanciarono contro il ragazzo, cercando di
affondare i loro coltelli nella sua carne. Quest’ ultimo compì
un balzo eseguendo una spaccata in aria, così da colpire le mani dei due
aggressori facendo cadere loro le armi. Atterrato sulle mani dopo il balzo, Borromini si diede una spinta con
le braccia colpendo con le piante dei piedi il petto dei due teppisti,
abbattendoli. I due tentarono di reagire, ma vennero
colpiti entrambi con un pugno alla gola.
Akira
era sconvolto. Quel ragazzo, pur avendo un fisico da lottatore, non avrebbe
dovuto avere vita facile contro due combattenti veterani nelle risse di strada.
Eppure li aveva atterrati con pochi colpi, per di più dimostrando un’ agilità inumana, quasi.. elegante.
“Allora il soprannome che ti davano a scuola non era una semplice diceria, fottuto
bastardo..”
Akira
ripensò a quelle voci. La prima volta fu a scuola, dove un gruppetto di ragazzi
era intento a narrare l’ incredibile vittoria di
Alessandro Borromini su dieci teppisti di una scuola
vicina. Lo volevano punire per essersi rifiutato di cedere i suoi soldi.
<Quell’ italiano
è veramente un portento, veste elegante ma ha la ferocia di un demonio>
dissero, tuttavia in quel momento Akira non ci fece
caso, le malelingue sono molto diffuse nelle scuole e nella maggior parte dei
casi si tratta di leggende, inoltre non voleva pensare che sua sorella si fosse
messa con un poco di buono. Adesso però, avrebbe dovuto fare i conti lui stesso
con quel mostro.
“Era tutto vero..Alessandro Borromini, il ‘nobile
demonio’” la voce era tremante, al teppista venne il groppo in gola.
“Akira, ti consiglio di tornare a casa. Eravamo amici
una volta e vorrei evitare di colpire colui che un
tempo consideravo quasi un fratello” gli disse Alessandro.
Akira
rimase immobile, forse per paura o per un improvviso flashback. Diede le spalle
ad Alessandro, per poi dirigersi verso la macchina. Arrivato alla vettura,
prese qualcosa al suo interno.
“Sai Borromini, tu credi di avere sempre la situazione sotto
controllo, anche adesso. Per questo rimani calmo ed
impassibile anche nelle situazioni peggiori, ma adesso..”
Akira
si voltò di scatto puntando un revolver contro il suo vecchio compagno.
“..Adesso
non hai considerato un importante fattore nella tua strategia del cazzo. Già,
non hai preso in considerazione l’ idea che potrei freddarti
senza alcun ripensamento”
Alessandro rimase spiazzato per
un momento alla vista della pistola, poi prese una decisione alquanto
azzardata. (Materasso o no, devo rischiare) pensò.
Senza esitare corse oltre il
cavalcavia e si gettò nel vuoto, sperando di non cadere su del vetro o del
metallo.
Akira
era furibondo: il bastardo era scappato ancora. Prese il soprabito, la giacca ed il cappello di Alessandro e li gettò nella discarica.
“Saltando da quest’
altezza difficilmente sarà sopravissuto.. Come al solito hai preferito
la via più facile, vigliacco..”pensò Akira
Per fortuna, Borromini
atterrò su un cumulo di sacchi della spazzatura, i quali attutirono la caduta.
Rimase intontito per circa un minuto, prima di rendersi conto di essere ancora
vivo. (La mia solita fortuna) pensò.
Con un po’ di fatica si rimise
in piedi. Stare in piedi su un cumulo di rifiuti non era così semplice come
poteva sembrare.
Ad un
tratto notò i suoi abiti cadere dal cavalcavia e, preso dall’ istinto cercò di
lanciarsi per prenderli prima di vederli tristemente cadere nell’ immondizia.
Purtroppo scivolò su un sacco, cadendo rovinosamente in avanti, dando una
violenta facciata contro quello che doveva essere un
pezzo di mobile. (Si era detto niente vetro e niente
metallo.. avrei dovuto includere anche il legno, ahio)
disse tra sé.
Rialzandosi, notò uno strano
marchingegno, all’ apparenza seminuovo posto proprio
sotto il suo naso.
“Mai visto qualcosa del genere,
non riesco a capire perché, ma mi trasmette delle sensazioni strane, cosa sarà?”
Rolek
la percepì. In un punto imprecisato oltre a quella matassa di nulla sentiva,
per quanto debolmente, un’ essenza, umana per giunta.
Una persona era vicina al congegno, se lo sentiva. Se l’ avesse
toccato sarebbe potuto tornare in libertà.
“Coraggio idiota, tocca il
dispositivo..” ghignò.
Alessandro provò un
irrefrenabile istinto di toccare il marchingegno: era curioso.
Quella sera erano successe cose
che l’ avrebbero fatto soffrire per un pezzo e lui,
sebbene in mezzo alla sporcizia, volle smettere di pensarci fin da subito.
Toccò con un dito il tasto del dispositivo, e subito questo si aprì, generando
uno strano flusso, simile all’ elettricità ma in
qualche modo diverso. Quella misteriosa energia entrò in lui prima che potesse
reagire, possedendolo.
Il ragazzo rimase immobile per
qualche secondo, poi un sorriso perfido gli comparve sul volto.
Rolek era appena entrato nel corpo
di Alessandro. Una procedura rischiosa, normalmente proibita, tuttavia
necessaria per fuggire.
Rolek era conscio del rischio a cui si stava esponendo, conosceva bene la difficoltà dell’
azione: Comportarsi come un parassita, entrare in un corpo già provvisto di una
sua anima ed impadronirsene. In tutta la sua vita di nefandezze non aveva mai
provato una tale sensazione di degrado e di umiliazione. Non lo faceva
volentieri, di certo avrebbe preferito non possedere un volgare e fragile
involucro umano. Nonostante il suo orgoglio fosse restio a chiudere gli occhi
dinanzi ad un simile atto, la sete di vendetta e di rivalsa spinsero
l’ animo di Rolek ariversarsi nel corpo del ragazzo con l’ irruenza di un fiume in piena.
Il trasferimento era ormai a metà, però qualcosa non stava
andando per il verso giusto: L’ essenza del parassita
avrebbe dovuto svolgere un procedimento simile alla fagocitazione nei confronti
dell’ anima già presente. Invece, nel suo caso, l’ anima
che avrebbe dovuto lasciarsi divorare stava opponendo una strenua resistenza.
“Perché?” sembrò dire Rolek quando
il flusso della sua essenza sembrò rallentare.
All’ esterno, il corpo di
Alessandro fu scosso da tremende convulsioni, come se al suo interno si stesse
disputando una terribile battaglia e, metaforicamente parlando, nessuna
impressione sarebbe stata più realistica di questa.
Rolek aveva sempre più difficoltà
a prendere possesso del corpo: l’ anima di Alessandro,
dando prova di un’ enorme determinazione, stava reagendo all’ invasione
perpetuata dal parassita, tenendogli testa.
“Cosa sta succedendo? Perché
incontro tutta questa resistenza?” disse Rolek, ed intanto la battaglia continuava ad infuriare senza sosta.
Improvvisamente il corpo di Alessandro si arrestò. Le
terribili convulsioni cessarono. Il corpo era svenuto, ma quale delle due
coscienze aveva riportato una vittoria? Qual’ era
adesso l’ effettiva identità di quel corpo svenuto in mezzo all’ immondizia?
Passarono ore, l’ alba era ormai
giunta, il sole iniziò a sorgere, accarezzando con i suoi raggi il viso del
ragazzo svenuto nella discarica.
Nell’ aria iniziò a diffondersi una
canzone, una canzone soffocata, dalle parole poco chiare, come se la fonte del
suono fosse tenuta sotto un cuscino. Il ragazzo aprì gli occhi sentendo questa
canzone. Era la suoneria del suo cellulare.
Andando a tentoni, quasi istintivamente, il ragazzo si tastò
la tasca dei pantaloni, dalla quale estrasse l’ apparecchio.
Sul display c’ era scritto “Mamma”, ma in quel momento
il ragazzo non ricordava nemmeno chi fosse.
Sondando la memoria cercò di cercare
informazioni su se stesso e su “Mamma”.
…
………..
……………Vuoto.
Non aveva più un singolo ricordo, la sua memoria era
assente. Gli occhi si sgranarono di colpo a causa dello shock.
“C-chi sono io?”
Come in risposta al suo richiamo,
un pensiero veloce, un’ immagine sfuggevole gli mostrò per un attimo la sua
identità
“Ale..”
balbettò, ma subito in quell’ immagine si venne a creare una sorta di
interferenza, come se un altro pensiero si volesse sovrapporre al primo, per
completarlo o sostituirlo.
“Leck… io sono Alek”
Il telefono squillava insistentemente, la voce del cantante
era energica, selvaggia ma composta allo stesso tempo, il frenetico ritornello
destò Alek dal suo torpore.
“Pronto?” rispose. Dall’ altro
capo, una voce femminile sull’ orlo di una crisi isterica urlò parole che
difficilmente Alek avrebbe potuto comprendere nello
stato in cui si trovava.
“M- mamma?” disse dubbioso “Calmati, ti
prego… sono molto confuso, puoi venirmi a prendere? Sono..” si guardò intorno “Sono in una discarica. Ti spiegherò tutto dopo.”
La madre disse qualcosa che Alek
non comprese, dopodiché riattaccò.
Mentre aspettava la donna, il ragazzo cercò di inventarsi
una scusa credibile, non riuscendo ad inventarsi nulla
di coerente. (Ricordo come si parla, come ci si
comporta nelle varie occasioni e molto altro, ma non ricordo nulla di me.. cosa
diavolo mi è successo?) pensò.
Ad un certo punto gli venne un’
idea. Controllò i suoi documenti e cercò nel cellulare foto,
contatti e video utili alla memoria. Scoprì quindi di chiamarsi
Alessandro Borromini, vent’ anni.
Nella foto del documento si intravedeva un volto
serio, severo, più simile al viso di un generale dell’ esercito piuttosto che
ad un ragazzo di vent’ anni. I capelli sembravano biondi, ma la foto era venuta
male e non si riusciva a capire. Nel cellulare, invece, non vi era nessuna
informazione utile.
Passarono all’ incirca cinquanta
minuti prima che la madre di Alessandro arrivasse. Era una donna di circa quarant’ anni, non molto alta con i capelli lunghi raccolti
in una coda di cavallo. Gli occhi erano marroni, a
mandorla. Oggettivamente era proprio una bella donna, sebbene una cicatrice
sulla guancia destra deturpasse, seppur minimamente, la sua bellezza.
Alek era intanto risalito fino al
ciglio della strada dove si era seduto a gambe
incrociate a rimirare i suoi abiti. Giacca e soprabito erano lerci, mentre il
cappello, con grande sollievo per il proprietario, si era salvato. Aleck sentiva di avere un legame speciale con quel
cappello, un borsalino di pregiata fattura
appartenuto al padre di Alessandro, ormai passato a miglior vita. Ma questo non poteva sapere.
La madre di Alessandro scese dalla macchina. Rimase immobile
a contemplare il ragazzo sporco davanti a lei, con aria quasi impassibile. Si
accese una sigaretta e si limitò a dire:
“Di nuovo nei guai teppista?”
La voce era forzatamente calma,un lucchetto arrugginito in procinto
di cedere da lì a poco.
Il ragazzo non osò alzare lo sguardo, più che altro perché
non sapeva cosa dirle.
“Andiamo a casa…” disse la madre
Il viaggio di ritorno a casa fu silenzioso, né la madre né
il figlio si erano più rivolti la parola. Aleck non
sapeva ancora formulare pensieri completamente lucidi, il suo cervello doveva
fare pratica con un nuovo essere.
Sua madre, invece, era fin troppo abituata alle scorribande
del figlio per fare domande che non risultassero
scontate, dopo tutte le nottate passate a medicarlo dopo le sue risse.
Altri cinquanta minuti. La casa che fu di Alessandro era una
piccola villetta a due piani. Il piano terra era occupato dalla cucina, il
soggiorno e la sala da pranzo, mentre il secondo piano ospitava le camere dei
suoi inquilini. La madre, di nome Lucile, si sedette in sala da pranzo tenendo
gli occhi fermi sul ragazzo sporco che era seduto davanti a lei.
“Che è successo stavolta? Hanno di nuovo insultato il tuo cappello?” disse con fare quasi
annoiato.
Il ragazzo inarcò un sopracciglio: si chiese se un cappello giustificasse l’ improvviso risveglio in una discarica fuori
città.
“O magari hai avuto una discussione con qualche vecchia
conoscenza… “
“Non lo so.. Mamma”
“Mamma? E’ da cinque anni che non
mi chiami più così.. devi essere proprio rincoglionito
oggi”
“C-come?”
“Di solito mi chiami Lucy, come la canzone “Lucy in the Sky withdiamonds” dei Beatles”
“Ah giusto..” rispose poco convinto
“Devi aver preso una bella botta se non ricordi nemmeno le
tue strambe abitudini, e i Beatles.”
La discussione terminò pochi minuti dopo, lo stato confusionale
in cui si trovava Alek non facilitava di certo la
conversazione.
Ormai esausto, il corpo del ragazzo si diresse per inerzia
verso la sua camera da letto, di cui aveva dedotto l’
ubicazione dalla scritta “Stanza di Alessandro” in caratteri occidentali e
cubitali sulla porta.
Entrò.
La stanza era immersa nel buio, tralasciando il pallido
chiarore lunare che creava dei chiaroscuri nell’ ambiente,
distorcendo la realtà secondo la fantasia umana. Cos’ era dunque quell’ orco appoggiato alla parete, o quel piccolo essere
dalle larghe spalle vicino al letto? Alek era troppo
stanco e mentalmente confuso. Cercò a tentoni il letto e, una volta raggiunto,
si abbandonò ad un sonno profondo.
Si svegliò verso mezzogiorno e mezza,
aprì gli occhi di colpo, iniziandosi a tastare il corpo: non sapeva ancora come
era fatto. Andò in direzione dell’ orco,in realtà un grosso pendolo d’ epoca e si
mise davanti allo specchio posto lì vicino.
Era piuttosto alto, circa un
metro e novanta, la costituzione era robusta e la muscolatura molto sviluppata,
forse anche troppo. Le spalle erano esageratamente larghe, le gambe dritte e
possenti. (Sono un armadio a due ante..) pensò, senza
nascondere la fierezza di avere un corpo così potente, da guerriero. Dopo
essersi osservato il corpo con fare narcisista, Alek
iniziò a scrutarsi il viso. Lineamenti duri, scavati, un volto di marmo adatto ad un generale o ad un killer. Occhi verdi senza luce,
vitrei, privi di qualsivoglia scintilla vitaleIn contrasto con quel volto scolpito nell’
assenza di vita, i capelli erano corti e ben pettinati all’ indietro, di colore
biondo cenere, sebbene qualche ciocca qua e là tendesse misteriosamente al blu.
Stranamente la sua espressione
gli risultò ambigua, ottenebrata da una nota di
perfidia, nonostante faticasse a capirne il motivo.
(Sarò
fatto così) concluse.
Indossato un paio di pantaloni
poggiati sullo schienale di una sedia, Alek si
diresse curioso verso la vita, non privo di una certa ansia.
Al piano di sotto, in cucina,
sua madre gli aveva lasciato un biglietto attaccato al frigorifero in cui gli
intimava di fare la spesa.
(Brutta
storia, non so minimamente com’ è fatta ‘sta città.. andrò a tentativi) pensò.
Dopo una doccia ristoratrice Aleck indossò dei vestiti puliti e si diresse fuori, nel
mondo.
Capitolo 3 *** Himeko, la spesa ed un cilindro ***
Himeko era una ragazza che molti avrebbero definito strana
Ho ricevuto una recensione. Grazie di cuore. Sant’ Iddio, son rimasto di sasso. Sono quasi commosso. Per
la signorina che ha recensito e che probabilmente sarà delusa dalla nascita di Alek, una piccola rassicurazione: Rolekc’ è sempre, al 50% ma c’ è.
Himeko era una ragazza che molti
avrebbero definito strana. Non aveva atteggiamenti particolarmente rilevanti,
nessun tratto distintivo ne tantomenoqualcosa che potesse attirare su di sél’ attenzione della gente. La quintessenza
della normalità.
Forse proprio per questo era tanto chiacchierata: troppo
normale, così tanto da saltare subito all’ occhio.
Di certo poteva essere considerata carina, con quel fascino
indotto dall’equilibrio della sua persona, uno charme che gli studenti del club
artistico avrebbero senz'altro associato alla bellezza delle perfette
proporzioni appartenenti alla scultura classica. Fin da piccola venne cresciuta in un ambiente pieno d’ amore dai suoi
genitori, i quali cercarono fin da subito di insegnarle la bellezza del
suddetto sentimento in tutte le sue sfumature. Lì per lì Himeko
sembrò dare loro ascolto, tuttavia scoprì presto i pesci di liquirizia, facendo
passare in secondo piano, rispetto a quella leccornia, tutte le nozioni
ricevute.
Non capiva l’ amore.
Non è che lo disprezzasse o che lo ritenesse assurdo,
semplicemente non riteneva che la definizionedi Himekopotesse contemplare l’ amore. Era come se si
sentisse intrinsecamenteincompatibile con quella ‘cosa’.
Quella mattina si era svegliata male, cadendo dal letto e
dando un’ amichevole facciata al pavimento, assumendo
una posizione alquanto stupida. (pesciotti…)
pensò con un rombo tonante allo stomaco: era da due giorni che non mangiava
pesci alla liquirizia e, dato che la sua paghetta si era estinta in un giorno
solo a causa della moltitudine di comics americani
comprati, non poteva far altro che rantolare, flagellandosi per la sua mancanza
di buon senso.
Qualcuno bussò alla porta della sua camera.
“Allora Himeko, è la terza volta
che ti chiamo e sappilo, il tuo sciopero/ricatto per ottenere i pesci di
liquirizia non funzionerà.” Disse una voce dietro la
porta.
“Si Mamma..” rispose assonnata Himeko.
Si rialzò da terra, si stiracchiò un pochino per sciogliere
i muscoli, emettendo un mugolio di soddisfazione quando sentì le ossa della
schiena scrocchiare.
Aprì la porta trovandosi una bassa signora di circa trent’ anni. Dovette abbassare la testa per guardarla negl’occhi.
“’Giorno mamma” sbadigliò.
“Sbrigati o farai tardi a scuola. Mi chiedo da dove arrivi la tua pigrizia!” rispose la madre con
tono nervoso.
Himeko non se la prese, la capiva.
O meglio, capiva cosa provava dopo aver compiuto uno sforzo di
immaginazione considerevole.
Suo padre era partito per un viaggio di lavoro: un noto
fumettista americano aveva richiesto i suoi disegni per la realizzazione di una
miniserie di supereroi e, dopo uno struggente dilemma degno di Amleto, sua
madre lo aveva convinto ad accettare, assicurandogli che non si sarebbe sentita
sola.
In verità, quando il padre era
assente, sua madre diventava alquanto irritabile ed imprevedibile.
Himeko sospirò e si diresse in
bagno, posizionandosi poi davanti allo specchio per
conversare un po’ con se stessa.
Era davvero lei quella ragazza dai lunghi capelli biondi e
gli occhi scuri? Spesso rimaneva sconcertata davanti allo specchio. Trovava
interessante notare come il suo riflesso non sembrasse appartenerle. Per
questo, passava ogni giorno cinque minuti buoni a controllare le espressioni
facciali, rimanendo sempre dubbiosa..
Dopo essersi vestita rimase per un
attimo rapita dall’ ultimo numero del suo fumetto preferito, lasciato sul
comodino della sua stanza la sera prima: Deadpool. Ne
lesse qualche pagina, dopodichési accorse di essere tremendamente in
ritardo e così lo richiuse, uscendo di corsa senza nemmeno fare colazione.
(Sembra l’ inizio di un manga o di
una fan fiction) pensò (o al massimo il secondo capitolo).
AdHimeko
i manga non piacevano per niente, troppi luoghi comuni e gag riciclate.
Apprezzava invece gli esperimenti arditi dei comics,
capaci di creare fantastici personaggi come Deadpool,
Tommy Monaghan, Lobo o Jesse
Custer.
Perciò, se l’ inizio della giornata
assomigliava ad un manga, per Himeko era un pessimo
inizio.
Arrivata in prossimità dell’ edificio
scolastico, sentì chiamare il suo nome. Voltandosi, notò una ragazza molto più
bassa di lei che la salutava freneticamente con la mano. Un po’ imbarazzata per
quel saluto così energico ed espansivo, andò incontro
alla sua amica.
Le ore di lezione scivolarono lentamente, secondo dopo secondo, come se il tempo lavorasse di malavoglia. Fuori
dalla finestra si poteva ammirare lo strano mostro protettore della scuola, una
creatura che Himeko trovava decisamente
antipatica. Si era chiesta più di una volta quale sadico
perverso avesse potuto concepire quell’ aberrazione che suscitava, in
ordine: un pugno in un occhio al buon gusto, un insulto alla scultura ed un
potenziale bersaglio per il martello di Thor.
Finite le lezioni, Himeko si
diresse verso casa, dopo aver gentilmente declinato un invito
al karaoke di alcune sue compagne di classe. Durante il tragitto notò uno
strano figuro intento a canticchiare una canzone straniera, dal ritmo
malinconico. Era un uomo sulla trentina, alto e fin troppo magro. Portava i
capelli lunghi e ricci e vestiva con uno strano abbigliamento da cerimonia, con
tanto di cilindro e papillon.
Chiunque lo avrebbe trovato subito strano, perché quel tizio
stava letteralmente saltellando sul marciapiede, apparendo come una grottesca
imitazione di Gene Kelly in Cantando sotto la pioggia. Oltretutto non pioveva.
Perplessa, guardò quell’ uomo come
se fosse un’ attrazione circense, trattenendo a stento dei risolini quando
quest’ ultimo iniziò a volteggiare sui lampioni con una certa eleganza.
Il matto, sentendo quelle risate soffocate, rivolse lo
sguardo verso la loro fonte, compiendo un ampio e teatrale inchino dal sapore
occidentale.
Himeko ricambiò il bizzarro
saluto, trattenendo a stento le risate.
Quando il buffoincontro ebbe
termine, percorse la distanza che la sperava da casa con molta calma,
ripensando allegramente alla simpatica follia dell’ uomo in cilindro.
Alle quattro del pomeriggio, Alek
era riuscito a terminare le sue commissioni, annotando mentalmente di non fare
mai più affidamento sul suo senso dell’ orientamento.
Si sedette su una panchina a godersi la brezza autunnale, ancora troppo
delicata per poter dar fastidio.
Notò un uomo con uno strano
copricapo, un cilindro, vestito con un abito da cerimonia occidentale. Lo
sconosciuto stava più o meno ballando, sebbene ad Alek tutto apparisse simile ad una rappresentazione
melodrammatica sul prurito e relative contromisure. Agitato da quella presenza
strana, scosso da uno stimolo che non riuscì a riconoscere corse verso casa,
maledicendo il cielo quando per poco non disintegrò una ragazza allo svoltar di
un angolo.
L’ uomo col cilindro, stanco ma
felice del suo danzare, si fermò ariflettere sulla panchina dove, fino a pochi minuti prima, stava seduto
quell’ eccentrico ragazzo. (Trovato) pensò.
Sfiorò con la punta delle dita la gardenia che portava nell’ occhiello, guardando quel bellissimo fiore con sguardo
nostalgico, rimanendo assorto nei suoi pensieri, mentre rimembrava la sua
patria, l’ Italia.
Rimase fermo per ore, come spesso gli capitava prima di un lavoro.
Doveva raggiungere uno stato di perfetta concentrazione, avere al proprio
servizio ogni nervo del suo corpo, per non sbagliare, non mancare il bersaglio.
Notò a stento il gruppetto di teppisti che lo aveva
accerchiato. Non capiva molto bene il giapponese gergale, tuttavia notò nelle
loro facce un’ ombra di derisione.
Senza fretta indossò un paio di guanti neri di pelle.
Quei ragazzi poterono solo pregare.
Spazio autore
Non fregherà a nessuno. Pazienza. Scrivo lo stesso.
Ispirazioni principali per i personaggi.
Si, lo so, solitamente questi spazi
andrebbero inseriti in caso di grande successo della storia e dei personaggi,
tuttavia.. “kissenehfregah” direbbe affettuosamente
il buon vecchio Lobo.
Alek: Sembrerà una roba da
Mary/Gary/Jary/Boh.. Sue,
tuttavia Alek è principalmente basato su me stesso.
Mi piace moltissimo vestire elegante con annesso il borsalino,
forse l’ unica cosa per cui nutro un interesse
affettivo. L’ unica differenza è che io sono sette
centimetri più basso (183cm), sono muscoloso ma non a livelli osceni e porto
gli occhiali. Per il resto risulto pirla allo stesso
modo del personaggio.
Himeko: nessuna fonte in
particolare, a parte la mia passione per i pesci di liquirizia ed i fumetti americani. Il nome l’ ho
scelto a caso, non so cosa diavolo voglia dire.
Misterioso e, tranquilli, utile alla trama, uomo col
cilindro: il mio personaggio prediletto, di cui svelerò il nome tra qualche
capitolo. L’ ho creato basandomi su due personaggi: il
soggetto descritto dalla canzone “vecchio Frac” di Domenico Modugno e MagentMagent, antagonista
secondario nel manga Steel Ball Run.
Note: Per chi non conoscesse i personaggi americani citati
da Himeko, una breve lista
Deadpool: “The merchwith a mouth” abile e logorroico mercenario, dotato di fattore rigenerante e
consapevole della sua natura fumettistica
Tommy
Monaghan: detto “Hitman”,killerirlandeseresidente a GothamCity.
Dopo un attacco alieno ha ricevuto vista a raggi X e telepatia. Famoso
per il suo humour e per lo spessore del suo personaggio, mai banale e sempre coinvolgente
Lobo: lo sgrammaticato e violento
metallaro alieno cacciatore di taglie, famoso per averle suonate a Superman e
per avere ammazzato con armi batteriologiche di sua creazione tutto il
suo pianeta. Tra le sue vittime troviamo persino Babbo Natale.
Jesse Custer: protagonista di Preacher, serie scritta da GarthEnnis, già autore di Hitman. Ex pastore di una piccola comunità del texas, Jesse si è ritrovato fuso
con Genesis, figlio di un angelo ed
una diavolessa, potente quanto Dio stesso.
Thor: Lo conosce persino mia madre Thor. Non credo ci sia
bisogno di stare a spiegare chi sia.