Disclaimer: Questo testo proprietà del suo autore e degli aventi diritto. La stampa o il salvataggio del testo dà diritto ad un usufrutto personale a scopo di lettura ed esclude ogni forma di sfruttamento commerciale o altri usi improri.
La voce di Sally arrivò fioca alle orecchie di Molly, la quale si ridestò solo quando la donna le afferrò le spalle tra le mani e la scosse.
Molly non la degnò di uno sguardo. Nessuno poteva attirare la sua attenzione quando nella sua mente regnava un unico volto. D’altronde, come nella mente, anche nel cuore.
«Sai cosa ti dico? Possiamo anche prendere queste tende. Non credo che la Dottoressa Parker dirà qualcosa, anzi, ci ha consigliato di rendere il più confortevole possibile la sua camera. Che dici, gli piaceranno? Non sono neanche colori accesi…»
Sally tacque non appena si rese conto dell’inevitabile: qualunque cosa avesse detto, sarebbe stato assimilato soltanto dalle pareti di muro che incorniciavano il negozio di prodotti per la casa nel quale erano entrate esattamente trenta minuti prima.
La donna si trovò a sospirare, afferrando ambedue gli oggetti annunciati poco prima, e si affrettò a raggiungere la commessa che, immobile dietro il bancone, puntava famelica gli occhi come sentinelle nella loro direzione.
Molly, nonostante sembrasse agli occhi estranei intenta ad osservare qualcosa al di fuori dell’enorme finestra del negozio, sapeva perfettamente di non osservare un bel niente.
«Senta», Sally afferrò sia la lampada che le tende, strette saldamente contro il petto, e le mostrò con fare animato alla commessa, «Secondo lei, donerebbero insieme? La mia lista di nozze fu preparata da mia suocera e, cosa inevitabile, i tre quarti delle cose sono rimaste imballate in cantina per anni. Eppure, una volta sbattuto fuori di casa mio marito, ho avuto la possibilità di sbattere fuori tant’altro.Ma quel che mi chiedevo è: questi colori per caso sono troppo accesi?»
Sussurrò l’ultima parola con tono pacato, come se stesse trattando con il Presidente degli Stati Uniti per la Pace nel Mondo. Dal suo canto, la commessa fece scoppiettare la bolla della chewing-gum tra le labbra e la gonfiò nuovamente, innalzando leggermente un sopracciglio.
«Crede di comprarli lo stesso?», fu la risposta acida della ragazzina appena ventenne, il quale tono sembrava dimostrare quanto il mondo fosse pesante a soli vent’anni.
Beh, arriva ai quarantacinque, tesoro, e poi vedremo se non avrai una seduta dalla strizza cervelli ogni settimana, si trovò a pensare Sally, cedendo il suo bancomat e afferrando saldamente le buste contenenti i suoi acquisti.
Fiera di sé, rivolse lo sguardo alla ragazza ancora immobile davanti la finestra.
«Ehi, Molly, tesoro! Che dici, abbiamo finito?»
La ragazza roteò leggermente il capo per permettersi la visuale delle buste svolazzanti nell’aria grazie alla foga di Sally. Quest’ultima le strizzò l’occhio e Molly sentì i muscoli della faccia innalzarsi involontariamente, ma solo per un breve, inutile istante.
Tornò a fissare la finestra per quello che sembrò durare una vita, quando, socchiudendo gli occhi, decise di dover dare un Time-Out al suo cervello e, aimè, al suo cuore.
Riaprì di scatto le palpebre e infilò le mani in tasca.
«Sì, abbiamo finito», mormorò tra sé e avanzò verso l’uscita del negozio, mentre il cielo cedeva lacrime che cadevano incessanti sul mondo.
«Non sono colori accesi!», sbottò Sally, posizionando la lampada al centro del tavolino e inclinando il capo per poterla osservare meglio. Si trovò a sorridere, pur non volendo, ma l’orgoglio era così forte da non poterlo evitare.
Il silenzio era il nemico di Sally. Per questo motivo, arrivando ai cinque secondi, Sally riapriva la bocca e soffocava l’impulso di strozzare quell’assurda macchina che ricordava quanto fosse debole il battito cardiaco del nipote.
«Avanti, zia, cosa ti aspettavi dal rosso e l’arancione? Sono colori accesi».
Mark accentuò un sorriso, schiarendosi la gola indolenzita. Odiava non poter parlare come un tempo, quando ancora poteva saltare su di un materasso e cantare senza ritegno It’s raining men, in compagnia dei suoi folli amici che sgolavano birre come se fosse acqua. Adesso, l’unico materasso che poteva sentire, toccare e vedere era colui che lo immobilizzava, come se lo imprigionasse e lo tenesse stretto a sé, neanche fosse vittima di un maleficio.
«Tesoro, questi sono colori vivi, non accesi! Con ‘accesi’, tu intendi una parola negativa! Io invece voglio portarti colori vivi, che possano regalarti un sorriso!»
Zia Sally scartocciò le tende dall’involucro di plastica e le distese per bene tra le mani, osservandole con uno strano luccichio di soddisfazione nelle pupille.
Dalla bocca di Mark arrivò un sussurro roco, che un tempo sarebbe stato sinonimo di una risata possente. Eppure, non era più in grado di ridere, non poteva neanche sfiorare l’idea di portarsi la mano sulla pancia per quanto fossero forti le risate. No, non poteva neanche più ridere, perché gli faceva fin troppo male il solo respirare, figurarsi accingere a tanto.
Lo sguardo di Mark, seppur concentrato sulla zia, intenta a sua volta nell’attaccare le tende all’asta che sovrastava la finestra, svolazzò sulla soglia della porta, oltre la quale riusciva a riconoscere la sagoma di Molly.
Molly. La sua Molly.
O meglio, un tempo era stata la sua Molly.
Non aveva più questa certezza da tanto tempo. Perché?
Molly non lo guardava neppure.
Passava intere giornate accanto alla finestra, fossilizzando quelle perle color del ghiaccio in qualcosa che non voleva condividere con lui.
Non scambiavano più parole del dovuto, come quelle di routine, e, quando Mark prese quella decisione, tutto sembrò invariato, ma qualcosa variò.
Ogni mattina, quando Mark apriva gli occhi, sul comodino trovava nel vaso un tulipano, il primo fiore che regalò a Molly, seppur in strambe circostanze.
Si conobbero cinque anni prima, quando erano ancora ragazzini ignari del peso della vita, e ciò che attirò l’uno verso l’altro fu un’unica caratteristica, a loro comune: l’antagonismo, la sete di vittoria.
Era il campionato regionale di Tennis ed entrambi si trovarono a gareggiare come l’uno avversario dell’altro. Fu subito alchimia, se non antipatia mista a masochismo. Fu una partita così estrema, all’insegna dell’infinito, che superò il tempo massimo. Per rendere migliore l’idea, un ritmo da presentare ai Guinness World Record.
Fu lui ad aggiudicarsi la vittoria, ma, del resto, fu lei ad incassare il premio vero e proprio: il suo cuore. Fu proprio al termine di quella partita che Mark afferrò lo stelo di un tulipano e le corse incontro, sentendosi stranamente teso e con la cassa toracica in tumulto.
«Ehi! Johnson, giusto?»
Mark chiamò con impeto la ragazza dai capelli color corvino, che le cadevano sulla schiena come una cascata a forma di boccolo. Inclinò il capo, mostrando il suo sguardo glaciale. Mark non si fece intimorire e, con sorriso spavaldo e fiero di sé, nascose il tulipano dietro la schiena e le si parò davanti.
«Vorrei le tue congratulazioni».
La ragazza inarcò un sopracciglio e portò le mani sul fianco, preparandosi a scatenare l’ira sommessa in lei.
«Come, scusa?»
Mark si grattò la fronte con la mano libera e sostenne il suo sorrido beffardo. «Le tue congratulazioni. Mi farebbe piacere averle. Sono stato più bravo di te, no? A volte bisogna ammettere di aver perso, Molly, giusto?»
Molly infittì lo sguardo e tentennò la sua corazza da donna invincibile.
«Per quanto mi riguarda, io oggi non ho perso un bel niente, anzi, ho vinto persino».
«Davvero? E cosa avresti vinto, di grazia?», la scimmiottò il ragazzo, torturando lo stelo del tulipano che nascondeva dietro la schiena.
Molly gli si avvicinò rapida, mozzandogli il fiato e investendolo con il suo profumo alla ciliegia. «Ho vinto una sfida con me stessa e questo mi basta per non provare rancore nei tuoi confronti».
Fu soltanto un sussurro. Mark scoppiò a ridere e porse rapidamente, come a volersi separare, il tulipano tra i loro visi.
Molly inarcò le labbra in un sorriso amaro. «E questo che sarebbe, uno scherzo?»
«No, a me sembrerebbe un fiore», ammise il ragazzo con una scrollata di spalle.
Eppure Molly, nonostante avesse voglia di accartocciare quel fiore e voltargli le spalle, si trovò a sostenere ancora quel sorriso, che da amaro passò a divertito.
Le veniva regalato un fiore, da uno sconosciuto per di più; anzi, dal suo ex avversario. Era comica la situazione, no?
Afferrò il tulipano e lo osservò con sguardo rapito.
«Mi piacciono questi fiori, hanno una storia affascinante».
Mark, inconsapevole o non, si avvicinò di qualche altro millimetro al suo viso e la osservò, curioso.
«Ah sì? Potrei saperla?»
Lo sguardo di Molly fu così intenso da fargli mancare la terra da sotto i piedi. La ragazza si allontanò di punto in bianco, stringendo lo zaino sulle spalle e indietreggiando.
«Magari un giorno te la racconterò».
La osservò allontanarsi, con un sorriso deliziato sulle labbra.
Quella frase era come un corridoio che conduceva ad una porta aperta: la sua porta aperta.
«Oh! Non sono fantastiche?»
Mark si ridestò dai ricordi quando notò le tende issate da zia Sally, la quale si lisciava la maglietta color glicine e sorrideva soddisfatta verso il nipote.
Zia Sally era una persona incredibile, si trovò a pensare Mark, proprio perché trasmetteva allegria a tutti. Nel suo vocabolario, esistevano soltanto parole positive, nessuna negativa. Mark la invidiava molto per questo, ma la ringraziava anche, perché, chiunque avesse varcato quella porta d’ospedale, l’aveva guardato con occhi colmi di pietà, cosa che odiava. Un tempo l’avrebbero guardato con avidità pur di poterselo portare a letto, oppure l’avrebbero guardato con arroganza, pensando di poterlo battere ad una partita di tennis. O, semplicemente, non l’avrebbero neppure guardato, perché si sarebbe mischiato tra la folla, tra la gente comune, quella che passeggia per le strade affollate, fa compere insieme alla propria ragazza e passa del tempo con o senza amici. Avrebbe voluto vivere un po’ di normalità, ma era ormai un anno che passava immobile, aspettando che tutto quello finisse. Perché era questo a mandarlo avanti, l’aspettare che arrivasse il momento di pigiare il tasto OFF della sua vita.
Tornò a pensare alla decisione presa poche settimane prima, la decisione che aveva spinto Molly a regalargli quel tulipano.
Mark udì il mormorio delle parole di zia Sally, la quale contemplava le tende con la Dottoressa Parker, appena entrata nella camera con una cartellina tra le braccia.
‘I soliti controlli di routine’, si rammentò con un mezzo sorriso sulle labbra.
Dalla porta fece capolino il viso oscurato di Molly, la quale si chiuse l’ammasso di legno alle spalle, si posizionò sul marmo della finestra, sua solita posizione, e aspettò che la Dottoressa parlasse. Evidentemente, c’erano novità.
«Mark, lo Stato ha dato il consenso».
Quelle parole vagarono nella stanza e furono assimilate da tutti i presenti. Ma nessuno osò fiatare, nessuno a parte il diretto interessato.
«Oh, bene. Quindi, posso decidere io quando?»
Quelle parole gli raschiarono quasi la gola per quanto fossero state difficili da pronunciare, ma non poteva farne a meno. Lo sapeva. Tutti lo sapevano e dovevano farsene una ragione.
Con la coda dell’occhio, gli sembrò di percepire un movimento ambiguo verso la finestra. Quell’argomento non era mai stato trattato tra loro. ‘Chissà se ne parleremo mai’, si trovò a pensare Mark.
«Certo, Mark. Ormai hai deciso e non possiamo fare altro che assecondarti», affermò la Dottoressa con fare professionale, ma con un tono affettuoso. Anch’ella si era abituata alla presenza di quel folle ragazzo che, da piccolo, finiva sempre in pronto soccorso per dei semplici punti.
Strano come la vita possa giocare brutti scherzi.
Un giorno si prendono dei punti, un altro si prende il cancro. A quella frase, Mark si fece sfuggire un sorriso amaro.
«Prima, però, voglio comprare dell’ottimo Champagne! E magari anche una torta. Al cioccolato va bene, tesoro? Molly, cara, cosa ne pensi? O forse preferite una torta alla frutta? Capisco, quella al cioccolato è una bomba per lo stomaco, ma è così buona…», gli occhi di Sally cominciarono a brillare solo per aver immaginato una torta al cioccolato davanti agli occhi.
Un rumore tonfo fece inclinare il capo di Mark.
La borsa di Molly era cascata per terra e la sua proprietaria si era finalmente avvicinata al letto, cosa che accadeva di rado. Puntò gli occhi in quelli di Sally e Mark notò il suo stringere i pugni lungo il fianco.
«Io mi domando come tu faccia a dire certe stronzate».
Nella camera scese il silenzio e persino Sally non riuscì a proferire parola per più di cinque secondi. Cercò di studiare il volto della ragazza, così frustrato e mal ridotto. ‘Quella ragazza ne ha passate così tante’, pensò tra sé e sé.
«Io…Pensavo che un po’ di zuccheri farebbero bene, no? Poi…Lo Champagne è ottimo per poter…»
Molly interruppe bruscamente Sally con voce alta il triplo. «Per poter cosa?! Festeggiare, per caso? E cosa c’è da festeggiare, me lo spiegate?!»
La voce le tintinnava ed era tesa come una corda di violino. Non si concesse un’ulteriore pausa e gettò come una valanga le parole che le attanagliavano la mente.
«Non c’è assolutamente niente da festeggiare, Sally! Per quanto tu possa credere che la vita sia fatta di fiori e ghirlande, di sentimenti felici e persone armoniose, devi capire che non è così! Non è così! Lo capisci questo? Ai sentimenti felici si alternano altrettanti sentimenti infelici! Alle cose positive, seguono sempre quelle negative! E mi spieghi perché dovremmo festeggiare una cosa così…»
«Negativa?», con amarezza, Mark pronunciò quella parola.
Fu allora che Molly lo guardò: il suo guardo era neutro, non faceva percepire quali fossero i suoi sentimenti reali. Ma Mark sapeva, sapeva che era talmente combattuta da voler fuggire da tutto e da tutti. Fuggire persino da lui.
«Assurda», mormorò Molly a denti stretti, sciogliendo il pugno e stiracchiando debolmente le dita che aveva torturato fino a quel momento.
Fu allora che Mark decise.
«Non ho scelto io questo».
Molly lo fissò senza capire, alterandosi ulteriormente. «E pensi che l’abbia scelto io? Pensi che io abbia scelto di innamorarmi di te?! Di passare le mie giornate come un automa, fossilizzata davanti a quella finestra, aspettando che arrivi la neve, come se arrivasse la fine del mondo?! No! Non l’ho scelto io, dannazione, eppure ogni giorno, quando apro gli occhi, sento un’angoscia nascermi dentro, sento il cuore pronto all’esplosione per quanto io abbia paura di affacciarmi fuori dalla finestra. Io ho paura, Mark!»
«Io no».
Quella fu la risposta di Mark, il ragazzo che fissava Molly con quegli occhi accentuati, del color del mare. La fissava e nel suo cuore sapeva che aveva preso quella decisione soltanto per non infierirle più dolore.
Lei aveva il diritto di vivere, non di morire con lui.
«Sai cosa penso?», sbottò la ragazza, cominciando a passeggiare in lungo e in largo per la camera, «Che odio la neve! Tu, mi hai fatto odiare la neve, tu! Era…Era una delle cose che più amavo al mondo, Mark, e tu me la porterai via! Tu ti porterai via tutto quanto!»
Il ragazzo rimaneva muto, ascoltando le parole di Molly come se fossero arrivati alla fine dei conti. E voleva davvero che gliele dicesse, perché, in caso contrario, non sarebbe potuto andar via a cuor leggero.
Preferiva che Molly lo odiasse, anziché lo amasse per l’eternità.
«E io non voglio restare qui un altro minuto di più, ad aspettare che sia proprio una stupida pioggerella ghiacciata a darci un taglio! Daglielo tu, il taglio! Non fare il vigliacco!»
«Signorina Johnson, forse è meglio che si prenda un caffè, le pare?», la Dottoressa Parker si insinuò nel discorso, ma per tutta risposta, Molly la ghiacciò con uno sguardo di sbieco.
«NO. Io ho bisogno di qualcosa di più».
Mark la fissò, la fissò con tanta intensità da farle perdere un battito, quando alle sue spalle, alle spalle del suo angelo, intravide l’inizio della fine.
«Hai ragione», mormorò Mark a labbra strette, «Hai bisogno di qualcosa di più».
E, quando anche Molly seguì il suo sguardo, si voltò ed ebbe un fremito, tanto intenso da farle perdere la cognizione di ogni cosa.
Non voleva di più. Molly voleva Mark, ecco cosa voleva.
Voleva più tempo, voleva più speranza. Voleva credere nel futuro, nel futuro che includeva anche l’unica persona che manteneva vivo il suo cuore.
Ma, quando una lacrima le solcò la guancia, capì che il mondo non era fatto né di fiori, né di ghirlande.
{Ma salve a tutti! Probabilmente in passato ho già lasciato qualche screzio su questo sito e ho deciso di tornare a tormentarlo, per divertimento XD No, scherzo. Oppure no. Resta di fatto che questa che ho appena deciso di postare era nata come una ‘one-shot’, per cui, in teoria, sarebbe dovuta essere microscopica. Invece, destino vuole che questa storia sia destinata ad un altro finale. Non so ancora come ne uscirà, ma di certo sarà breve, perché ho intenzione di postare pochi capitoli (Non mi assumo responsabilità nel caso io possa dilungarmi eh! XD) . Spero soltanto che vi piaccia!
Mi raccomando, siate crudeli con le critiche che fanno sempre piacere *-*
Sally aveva racimolato la cifra adatta per acquistare una torta dalla Pasticceria all’angolo, era tornata indietro di tutta corsa per afferrare lo Champagne dal suo amico Mike, che lavorava in un negozio di liquori, e saliva rapida gli scalini dell’ospedale. Preferiva camminare, perché stare ferma la rendeva nervosa. Per di più, sostenere lo sguardo di altre persone, ugualmente angosciate per motivi differenti, era troppo, anche per lei. Sally non si illudeva, sapeva perfettamente che il mondo non era fatto di rose e fiori, ma le piaceva pensare che, anche un solo istante poteva esserlo. Aveva quarantacinque anni e la sua vita era stata segnata da eventi più tristi che allegri. Ma non rinnegava nulla, anzi, secondo il suo ragionamento, le esperienze costituivano ciò che la persona poi diveniva un giorno.
Si ridestò dai pensieri quando giunse dinanzi la porta. Estrasse la torta dal suo involucro e la fece volteggiare nell’aria, spargendone il suo aroma per l’intera camera. Gli occhi di Mark luccicarono per quanto fossero estasiati all’idea di poter immettere finalmente qualcosa degno di essere definito ‘cibo’ e si sistemò sul materasso, per poter afferrare il piattino che zia Sally si accingeva a preparargli. Intanto, Molly aveva abbandonato la stanza e nessuno sapeva dire con precisione se e quando sarebbe tornata, non dopo quell’ultimo dibattito.
Sally si sedette sullo sgabello al fianco del letto e portò alle labbra una cucchiaiata di quella meravigliosa torta, con tanto di glassa al cioccolato.
«Sei magica, zia. Ricordarmi di denunciarti per quello che mi stai facendo», affermò Mark, annuendo alle sue stesse parole e mordicchiando un pezzetto di torta.
Sally si versò dello Champagne nel calice e lo alzò in segno di brindisi. Mark le sorrise, benevolo, procedendo nella sua attività più ambita degli ultimi minuti.
«Mi denuncerai perché sono magica? Oh, tesoro, sai quanti uomini allora dovrebbero denunciarmi per questo?», ammiccò la donna, strizzando l’occhio e bevendo un sorso dal calice.
Continuarono a punzecchiarsi, fino a quando il ruoto della torta supportò l’ultima fetta, con tanto di briciole rimanenti.
La Dottoressa Parker entrò nella camera, decisa nel dire qualcosa, ma fissando il vassoio semi vuoto, le si mozzò il fiato.
«Non si usa offrire?», domandò con finta aria piccata, mentre zia Sally spiccò in piedi e scolò dello Champagne in un nuovo calice. La Dottoressa rifiutò a malincuore.
«Devo lavorare, non posso permettermi simili distrazioni».
«Avanti, cara! Questa non è una distrazione, è una tentazione bella e buona!»
«Io non cado in tentazione, mi spiace», si giustificò, risoluta, la Dottoressa, passando ad esaminare il viso di Mark.
Quel giorno le sembrava più stanco degli altri giorni e, in fondo al cuore, sperava che quella sofferenza cessasse il più presto possibile.
Pensò all’incontro con quella ragazza, Molly. Nonostante fosse un anno che Mark Marshall ‘alloggiava’ nel loro ospedale, Melanie – alias Dottoressa Parker – non aveva mai scambiato più parole del dovuto con quella ragazza. E si stupì quando, quel giorno, se la trovò dinanzi il suo tavolo da pranzo, con le mani strette al petto e uno sguardo perso nel vuoto.
«Posso fare qualcosa per te?», le aveva chiesto, posando il panino neanche morso nel piatto, con una stretta mostruosa allo stomaco.
La ragazza si era dondolata sulle gambe e aveva puntato gli occhi per terra. Evidentemente quel passo le era costato davvero tanto.
«Io…Volevo domandarle se sarete voi a procurargli quelle…Compresse».
La sua voce era appena un bisbiglio, ma non perché si vergognasse; semplicemente non ne aveva. Melanie la fissò, cercando di leggerle l’espressione, ma fallì. Si schiarì la gola, accavallando le gambe.
«Deve procurarsele il paziente, in questo caso un parente. Puoi farlo tu, sei vuoi».
Melanie sapeva di essersi spinta oltre, troppo in oltre, dato che non aveva mai avuto alcun tipo di relazione con quella ragazza, ma quest’ultima mosse i muscoli del viso, trovandosi a sorridere.
Uno dei sorrisi più tristi che avesse mai visto fino a quel momento.
«Era proprio quello che volevo sentirmi dire. La ringrazio», e con quella frase si era dileguata.
Erano le cinque del pomeriggio e di Molly non c’era ancora un’impronta. La neve era caduta per qualche minuto solo quella mattina, ma per Mark l’effetto c’era stato.
«Dottoressa Parker, non rifiuti: è omaggio della casa», ironizzò Mark, facendo luccicare i suoi occhi blu.
Melanie sorrise e si avvicinò al letto, sfoderando il suo aspetto materno.
«Mark…Vuoi ancora mantenere la parola data? Non sei tenuto a…»
«Prima o poi toccherà a tutti», interruppe il discorso della Dottoressa perché aveva ripetuto talmente tante volte quella frase da farlo impazzire, «E a me prima di tutti quanti. Sono stanco, Dottoressa Parker. Sono stanco di vedere entrare da quella porta persone che sono costrette a dover sopportare la mia presenza. Non lo capisce? Ormai sono diventato un peso agli occhi di tutti».
La voce squillante di Sally fece capolino.
«Non dirlo neanche per scherzo, signorino!», si alterò così tanto da rischiare di far cascare la preziosa bottiglia di Champagne dalle sue mani, «Chi ti ha mai ritenuto un ‘peso’?!»
Si avvicinò, quasi brutale, e si posizionò dinanzi il viso inespressivo del nipote. Tutta la forza che l’aveva spinta a parlare, d’un tratto sembrava vacillare.
«Io, zia. Io so. So perfettamente cosa significa dover assistere costantemente un malato. Ricordi? Anche mio padre lo era».
Mark socchiuse gli occhi, cercando di scacciare l’immagine del padre, sdraiato in un letto con mille flebo attaccate al braccio, mentre sua madre sgolava una bottiglia di birra al minuto, sdraiata sul tappeto del salotto.
La mano di zia Sally raggiunse la sua, la strinse affettuosamente e gli fece capire che anche lei comprendeva. Tutti potevano comprendere, probabilmente.
«Tesoro, tu non sei affatto un peso. La tua compagnia mi rende…»
Cercò il termine adatto, ma Mark fraintese quel silenzio, cosa del tutto estranea alla zia, e arricciò le labbra.
«…Triste? Ti spinge ad essere altruista? Vorresti darmi tutto pur sapendo che mi mancano pochi giorni alla fine?»
Il modo in cui pronunciò quelle frasi fece rabbrividire zia Sally.
Mark, con sguardo aspro, fissò la zia. «Forse perché mi reputi il figlio mai avuto?»
A quel punto, fu zia Sally a distaccarsi. Si sistemò meglio la maglia lungo il corpo e si avvicinò alla bottiglia di Champagne. La Dottoressa Parker, dal suo canto, si schiarì la gola e si avvicinò alla porta.
«Passerò in serata, Mark».
Salutò con un cenno Sally, la quale, con stupore, sembrò aver perso tutta la sua allegria. La polverina di Pollon era finita, per caso?
Il silenzio gravò per circa dieci minuti buoni: Sally tratteneva i pensieri nella scatola cranica, mentre Mark intratteneva il tempo, focalizzando le figure al di fuori della finestra, neanche fosse un bambino.
Quando poi Sally poggiò il bicchiere sul tavolino, si voltò e fissò il nipote con aria assorta.
«Scoprii di essere sterile soltanto a vent’anni. Rimasi incinta di uno spogliarellista e mia madre mi obbligò ad abortire. Sono sempre stata contro a determinate azioni, ma non mi potei opporre, poiché all’epoca avevo soltanto sedici anni. A vent’anni avevo già conosciuto James, come tu ben sai, e, dopo vari tentativi, decisi di fare degli esami, per accertare i miei dubbi. Non lo dissi a mio marito, fino a quando, dopo ben cinque anni, non mi obbligò alla fecondazione assistita. Tutto venne a galla e cominciò ad essere assente, sempre più assente, fino a quando non lo trovai a letto con un’altra…»
Sally si interruppe per sfogare il dolore nello Champagne, e probabilmente era l’ennesima volta in undici minuti che lo faceva. Riprese il discorso che aveva la voce sempre più debole.
«Ecco perché lo sbattei fuori di casa, in mutande per giunta. Ricordo ancora la sua mascella, gli serviva il riavvolgi nastro per tirarla su. Per non parlare di quando gettai la sua collezione di dischi giù dalla finestra: ah, che spettacolo!», al solo ricordo, le spuntò un sorriso divertito.
Mark si pentì amaramente delle sue parole, non voleva interpretare il ruolo da vittima, ma neanche quello del carnefice.
«Voleva farmi causa! Sciocco, l’ho ridotto al lastrico! La prossima volta impara a cornificare una povera moglie sterile con il colesterolo alto!», Sally si massaggiò la fronte, dopo aver percepito la sensazione di aver parlato da sola fino a quel momento. Beh, in realtà le capitava spesso.
Si voltò verso il nipote, trovandolo supino.
Sì, stava decisamente parlando da sola.
Ma ci aveva trovato così gusto nel potersi sfogare, dopo tanto tempo, che le fu difficile smettere.
«La fine che feci fare ai suoi dischi fu d’esempio per tutto ciò che riguardava lui e sua madre. Oh, soprattutto sua madre! Quella vecchia bisbetica che sapeva soltanto entrare in casa mia, sedersi sul trono e bacchettarmi come se fossi la sua schiava d’onore! ‘Sal, fai questo’, ‘Sal, fai quello’. Fortuna che quella era casa mia!»
Lo schiarirsi di voce alle sue spalle la fece immobilizzare. Si voltò, robotica, e notò gli occhi neutri di Molly osservarla, senza capire. Sembrava avere stampato in faccia un enorme punto interrogativo nero.
«Tranquilla, termino il mio monologo quando torno a casa. Mi piace prendere a parole la fotografia del mio ex marito. L’ho anche appesa al bagno, così quando mi siedo sulla tavoletta tutto è più semplice», ironizzò, strizzandole l’occhio.
Molly non sorrise, né ci provò. Si avvicinò alla finestra e sbirciò verso il cielo plumbeo che minacciava un futuro temporale.
«Le ho prese io», mormorò la ragazza a denti stretti.
Sally, in un primo momento, inarcò le sopracciglia senza capire. Quando poi sbirciò in direzione delle sue mani, avvinghiate in un pacchetto della farmacia, capì e annuì, rapida.
«Ah, hai fatto bene, cara. Io non avrei avuto tempo. Oh! E’ avanzata della torta, che dici, ti va un boccone?»
Neanche rispose.
Sally preparò il piattino e glielo avvicinò, ma Molly neanche lo sfiorò. Sembrava così intenta nello scrutare il cielo, come se fosse alla ricerca di navicelle spaziali o di qualche aquilone perso dalle mani.
Sally si lasciò andare contro una poltrona, decisamente comoda e testata nelle innumerevoli notti rimaste a sorvegliare Mark. Lasciò vagare il vuoto per qualche istante, quando prese carica e si rivolse alla ragazza.
«Sai, all’angolo ho visto un negozio proprio carino. Hanno messo in vetrina dei vestiti davvero deliziosi e uno di quelli te lo vedrei proprio! Potresti domandare se hanno qualcosa sull’azzurro, valorizza molto la tua carnagione e…»
«Ci passerò», fu il commento microscopico della ragazza. Tutto, pur di farla tacere.
«Sì, ma quel che voglio farti capire è che potremmo andarci insieme! Sarebbe una splendida idea! Magari potremmo comprare qualcosa da indossare e far vedere a Mark! Sarebbe davvero contento e ammaliato se ti presentassi qui con un vestito da sera, magari senza spalline e…»
«Sally, la pianti?»
Sally pensò di non aver capito bene. Scrutò il volto della ragazza e, dopo qualche istante di riflessione, assimilò quelle singole parole. Annuì, con asprezza, e focalizzò la sua attenzione verso il letto di Mark.
«Lui ti ama. Possibile che tu non lo capisca? Perché lo tratti così…Freddamente? Come se ti fosse indifferente?»
La ragazza non parlò.
Sally sapeva che non lo avrebbe fatto. Spesso reputava quella ragazza una codarda, ma già il secondo dopo si ammoniva, dicendo che alla sua età simili cose non doveva neppure pensarle. Era ancora una ragazza, aveva soltanto vent’anni e non sapeva ancora distinguere determinate emozioni.
«Anch’io lo amo, ecco perché mi comporto così».
Quella risposta, seppur in ritardo, arrivò e Sally ne fu cosìfiera che quasi le scoppiava il cuore. Aspettò qualche istante prima di replicare, ma, trovandosi a riflettere, non sapeva cosa dirle, esattamente.
Fu Molly a prendere le redini della discussione, quella volta. Si sedette sul marmo della finestra e prese a giocare con delle briciole di torta.
«Ho vissuto per tutta la vita con una corazza, neanche fossi una lumaca. So che il paragone fa decisamente schifo, ma al momento non ho altro animale nella testa con cui fare il paragone. Mi odio, Sally. Non sai neanche quanto mi odi per il mio atteggiamento da menefreghista. Odio ogni volta che sento i suoi occhi su di me. Vorrei voltarmi, o alzare la testa, tutto pur di poter ricambiare un qualsiasi cenno. E invece cosa faccio? Lo evito. Tutto quello che ho fatto fino ad ora è stato evitare la situazione, evitare lui, evitare noi. Non è una cosa di cui andare fiera».
«No, per niente», annuì Sally, afferrando il calice riempito nuovamente di Champagne e sorseggiandolo. Lo sguardo perplesso di Molly le fece riprendere il discorso. «Puoi sempre rimediare, cara».
«E come? Qualunque cosa io faccia, sarò sempre tormentata dai sensi di colpa che mi attanagliano giorno e notte! Come posso vivere così? Lo sto lasciando morire, Sally! Neanche questo mi rende fiera di me stessa! Dovrei lottare, convincerlo a restare, di lottare fino alla fine! Ma poi…Non ce la faccio».
Sally indurì i tratti del suo viso. Si sistemò meglio sulla poltrona e fece scivolare acida le parole dalla sua gola.
«Non lo stai lasciando morire, lo stai lasciando andare! E’ ben diverso, Molly. Lo sappiamo tutti che sarebbe arrivato il momento degli adii, lo sapevamo tutti, inclusa tu. Non dirmi che oggi ti sei svegliata da questo sogno e hai realizzato tutto quanto, solo perché hai visto la neve. Sì, Mark aveva deciso di avviare il suicidio assistito nel momento in cui sarebbe caduta la neve, entro l’anno, altrimenti l’avrebbe avviato l’ultimo dell’anno. Ricordati, nessuno lo sta lasciando morire».
Molly fissò intensamente la donna vissuta che aveva davanti a sé. Provava un affetto profondo per quella donna, che spesso sembrava una ragazzina ancor più piccola di lei per come si comportava.
«Non voglio che lui vada via…», mormorò Molly con voce spezzata.
Si portò le ginocchia al petto e le strinse forte, sperando che il dolore fisico soffocasse il dolore emotivo. Certo, anche il suo cuore faceva parte del corpo, ma era proprio questo muscolo a procurarle il dolore emotivo. Certe volte pensava che il corpo umano fosse una fregatura e quando guardava Mark, pensava che quell’idea aveva preso piede nella realtà.
Tanta gente moriva di cancro all’anno e, molte volte, mentre si rigirava tra le lenzuola la notte, pensava: ‘Perché Mark?’
E, tante altre volte, si era domandata: ‘E se io fossi stata al suo posto?’ Come si sarebbe comportato Mark? Cosa avrebbe fatto? Mi avrebbe appoggiato o mi avrebbe respinto?
Tante domande, alle quali non aveva mai osato rispondersi, pur sapendo le plausibili frasi.
La mano di Sally le sfiorò la gamba. «Nessuno lo vuole, cara, ma lui sì. Ecco perché non combattiamo: sarebbe una causa persa».
Molly sentì gli occhi ardere, aveva l’immensa voglia di sprofondare la testa nel cuscino e lasciar uscire le lacrime che tanto esigevano trovare la via d’uscita. Molly aveva imposto un labirinto senza uscita.
«Sarebbe tutto più semplice se fossi un animale…», sbottò con un finto broncio Molly. Sally non si lasciò ripetere due volte la stessa frase.
«E quale vorresti essere? Vediamo, io ti vedrei come…Un orso!»
Molly spalancò le pupille e digrignò i denti: «Io? Un orso?!»
Sally annuì, fiera delle sue parole. «E Mark è il tuo miele: non puoi farne a meno, anche quando decidi di metterti a dieta».
«Gli orsi non si mettono a dieta, Sally», le fece ricordare la ragazza, scuotendo il capo.
Sally sembrò interdetta per un breve istante, poi scrollò le spalle.
«Vanno in letargo, è lo stesso: al risveglio, saranno così affamati da ingerire qualsiasi cosa, ma ciò non toglie la loro necessità del miele».
Sentirono picchiettare alla porta e si ammutolirono.
La Dottoressa Parker entrò con il fiato mozzato, aveva gli occhi leggermente sgranati e uno strano rossore sulle guance.
«Avete…Avete visto?», domandò, ansante.
Le presenti in questione fissarono la donna con uno strano cipiglio, ma, seguendo la direzione del suo sguardo, si voltarono di scatto.
Come se non fosse già ustionato dalle fiamme dell’inferno, il cuore di Molly sembrò balzar fuori dalla pentola a pressione e cascare nell’oceano di lava fuoriuscito dal vulcano che teneva dentro di sé.
Non poteva farci niente, ormai odiava la neve e l’avrebbe odiata fino alla fine dei suoi giorni.
In quel momento, pregò soltanto che Mark non si svegliasse.
O magari, che si svegliasse sul serio.
Ed eccoci con il secondo capitolo. Prima di tutto, ringrazio tutte voi per aver letto e recensito questa storia *-* E, forse notizia più gradita ù.ù, questo è il penultimo capitolo =) Come già detto, questa è una storia che non si prolungherà, nonostante i capitoli megalitici, per cui spero vogliate sopportarmi un altro po’. Un bacio e grazie ancora. Cris.
Molly correva spensierata,
voltando il capo di tanto in tanto, per il semplice gusto di deridere il
ragazzo che, affannosamente, cercava di raggiungerla.
«Solo perché sono un
gentiluomo!», replicò di rimando Mark, mantenendosi il petto a palmo aperto,
neanche volesse portarsi il cuore in mano come se fosse un trofeo.
«Ma piantala! Ammettilo!»,
sbuffò Molly, intravedendo in lontananza la staccionata che si faceva sempre
più vicina.
Talmente sicura di sé e del
suo andamento, non si preoccupò del passo di Mark, divenuto d’improvviso sempre
più eccessivo. Se ne accorse soltanto quando il ragazzo le spruzzò dell’acqua
sul viso e la superò di gran lunga, raggiungendo la staccionata e poggiandovi
le mani su, cercando di stabilizzare i polmoni.
Molly si fermò in modo da non
sfiorarlo neppure. Si chinò leggermente e si mantenne in equilibrio sui
talloni, poggiando le mani sulle ginocchia e respirando affannosamente. Il
sorriso beffardo di Mark la istigava a sorreggere lo sguardo sul terreno, ma,
allo stremo delle forze, scattò in piedi e si sedette sulla staccionata di
legno. Afferrò la bottiglietta che Mark stava per portare alle labbra e la
scolò interamente – per lo meno, prosciugò l’acqua che era rimasta e non era
neanche molta –, dopodiché gettò la bottiglietta sulla testa del ragazzo,
rapito dalle sue mosse, e gli sorrise, spavalda.
«Sei meschina e anche
sfaticata: cosa ti costava portarti una bottiglietta?», la rimproverò Mark con
finto cipiglio severo. Si poggiò alla staccionata di spalle e alzò il capo,
perdendosi nell’osservare il manto azzurro del cielo, privo di nubi.
Molly dondolava le gambe,
come se tutto ciò che li circondasse fosse un fattore secondario. «Se l’hai già
portata tu, perché dovevo caricarmi di un peso inutile?»
Molly attendeva con
impazienza una sua risposta, adorava poterlo punzecchiare e osservare il suo
viso contrarsi in una smorfia divertita. Ma Mark non sorrise. La prese per
mano, senza aggiungere alcuna parola. Molly, nonostante fosse incuriosita, non
si oppose e si lasciò guidare lentamente verso il prato, nascosto dietro una
possente quercia. Come se si fossero affacciati al balcone, osservando un
paesaggio lontano chilometri e chilometri, si persero nella distesa color
arcobaleno che si protendeva davanti ai loro occhi.
Bastò uno sguardo complice
per farli scattare: mano nella mano, corsero a per di fiato attraversando il
manto acceso del prato, fino a cascare a peso morto tra le margherite e
lasciandosi cullare dal fruscio del vento.
Mark afferrò tra le dita lo
stelo di una margherita e lo agganciò tra i capelli di Molly, la quale storse
le labbra, fissando il fiore.
«Cosa c’è? Non le garba, di
grazia?», ridacchiò il ragazzo, nonostante fosse sul serio turbato dal fatto
che la sua mossa non fosse di gradimento.
Molly prese la margherita tra
le mani e la osservò, con fare corrucciato.
«Le trovo così banali»,
proferì con tono annoiato, ma notando lo sguardo di Mark su di sé, ripose il
fiore dove era stato messo pocanzi.
«Non ci sono tulipani in giro»,
brontolò Mark, con tono irritato ma allo stesso tempo dispiaciuto.
«Mi accontenterò», replicò
Molly, con il sorriso sulle labbra, contenta di essere uscita nel suo intento:
irritare Mark.
«Cos’hanno di speciale, vuoi
dirmelo?»
Molly inclinò il capo,
osservando una nuvola passeggera che attraversava il cielo. Mark pensò che
volesse ignorare la sua domanda, ma quando la ragazza dischiuse le labbra,
serrò l’istinto di scompigliarle i capelli e di costringerla a parlare.
In effetti, era una curiosità
che sopprimeva dal loro primo incontro e non intendeva lasciar correre. No,
voleva sapere tutto di Molly.
«Secondo tradizione
orientale, il tulipano simboleggia l’amore perfetto. La leggenda fa risalire la
forma del tulipano alle gocce di sangue versate per amore da un giovane
innamorato. Per quanto riguarda la tradizione occidentale, il tulipano
corrisponde all’incostanza, ma a me piace più credere alle leggende orientali».
Mark rimase rapito, non tanto
per la storia, ma per come le labbra di Molly si muovessero, così sinuose, da
scatenare in lui sensazioni contrastanti: voleva ascoltare al sua storia, ma
voleva anche assaporare quella carne così allettante.
La ragazza si rese conto del
suo sguardo fitto e si voltò per fulminarlo.
«Hai almeno capito una parola
di quello che ho detto?»
Non le permise di aggiungere
altro. Si fiondò sulle sue labbra come se fosse un leone in cerca di carne
fresca, pronta a sfamare il suo appetito. Molly, seppur in lotta con se stessa,
non riuscì a ribattere, non riuscì ad allontanarlo, perché il desiderio di
sentirlo suo era troppo forte.
Poggiò le dita sulla sua
guancia, mentre con l’altra mano legava a sé i capelli.Mark non voleva correre, sapeva di dover
avere pazienza e, d’altronde, Molly era una ragazza pronta a sorprenderti,
sempre.
Si distaccò, nonostante
leggesse nei suoi occhi la malizia e il desiderio, e le scompigliò i capelli
con gesto affettuoso.
«Da come ho capito, ti
piacciono le cose romantiche, eh? Allora vorrà dire che dovrò escogitare
un’ottima atmosfera…»
Quel suo sorriso sornione la
fece ribollire di rabbia.
«’Fanculo, Mark».
Si staccò, seppellendo
l’impulso di tirargli un pugno sulla spalla, e si stese sul fianco, decisa a
non guardarlo in faccia.
«Adoro quando fai la
bisbetica», le soffiò tra i capelli, facendola fremere come una corda di
violino: sarebbe esplosa di lì a poco.
«E io odio quando mi soffi
nei capelli».
«Come, così?», cinguettò il
ragazzo, imitando il gesto di poco prima.
Molly scattò a sedere,
facendo indietreggiare di pochi centimetri Mark che se la rideva sotto i baffi.
«Ti odio».
«C’è qualche altra cosa che
odi, Madame? Oltre me, si intende.»
Molly lo guardò di sottecchi,
massaggiandosi la fronte. Spalancò poi gli occhi e lo guardò fisso.
«Sì. Odio l’Estate. Odio il
caldo, odio sentire le gocce di sudore scendere a palate e inzupparmi i
vestiti. Odio l’Estate perché non c’è abbastanza cibo che ti soddisfi! E odio
l’Estate perché sono costretta ad andare a mare!»
«Pensavo amassi il mare»,
espresse il suo pensiero ad alta voce, ma non se ne rese neppure conto.
Molly, dal suo canto, si
riprese dalla sua confessione.
«No, decisamente no. Odio il
mare. Ma amo la neve, se ti può far piacere».
Mark le poggiò un bacio
delicato sulla spalla scoperta e Molly non si oppose, anzi, ne rabbrividì. Mark
si sentì invitato a procedere e, di lì a poco, Molly si sciolse e sprofondò tra
le sue braccia.
«Sì. Il freddo mi piace, mi
spinge a stare sempre in movimento. E quando cade la neve, la maggior parte
delle scuole chiude».
Mark rise tra i suoi capelli,
continuando a carezzarli. «Quindi hai un secondo fine!»
«No! Io amo la neve a
prescindere, ma se ti fa piacere…Amo anche qualc’altra cosa dell’inverno…»
Si voltò lentamente, occhi
negli occhi, e Mark trattenne il fiato quando Molly si avvicinò alle sue
labbra, maliziosa e seducente.
«L’abbigliamento, così non
metto niente in mostra e le mie curve restano solo ed esplicitamente mie!»
Mark la fissò, confuso,
quando poi scoppiò a ridere e le scompigliò i capelli. Molly seguì la sua
risata e si lasciò coccolare.
«Sai, pensavo che saresti
stata trasgressiva, almeno per una volta».
Molly gli tirò un pizzico e
il ragazzo fece uscire un lieve lamento dalla bocca.
«Non preoccuparti, abbiamo
tutto il tempo del mondo per riscattarci».
Non
doveva pensarci, si rimproverò Molly con occhi appannati. Aveva bisogno di
piangere, ma ogni qualvolta provasse la necessità di farlo, non era mai il
momento adatto.
Con
le braccia strette attorno al petto, osservava Mark, esposto al tocco della
neve, mentre quest’ultima accarezzava il manto della città e le persone che la
attendevano.
Mark
aveva aperto il palmo delle mani e accarezzava il fiocco gelido che vi si
scioglieva dopo brevi istanti. Il sorriso che gli regnava le labbra era così
raggiante da far sciogliere il cuore a tutti i presenti.
Zia
Sally reggeva la sedia a rotelle e osservava, allegra, i fiocchi di neve che le
cascavano tra i capelli, mentre Melanie si lasciava contagiare dal sorriso del
ragazzo, seppur imprigionato su di una sedia a rotelle e coperto fino alla cima
dai capelli da lana spessa.
Pur
attaccato ad una macchina per inalargli ossigeno, pur attaccato ad una macchina
per valutare il battito cardiaco, pur dovendo dipendere da tutto e tutti per
continuare a vivere, Mark non si demoralizzava. Decise di godersi quei minuti e
di farli godere a tutti, in maniera spensierata, come se quello che sarebbe successo
di lì a poco avrebbe distato anni luce.
Fece
scorrere lo sguardo obliquamente e quando incontrò gli occhi azzurri come perle
di Molly, sentì il cuore gonfiarsi di gioia.
Fu
quel sorriso che lo rese orgoglioso, lo rese fiero di averle donato tutto ciò
che poteva. Vedere Molly sorridergli lo riempì d’amore e si trovò a
ricambiarle. Al diavolo la neve, al diavolo il mondo, al diavolo tutto.
Rimasero
incantati, l’uno dall’altro, mentre la neve incorniciava i loro cuori che
sembravano battere all’unisono.
«Avanti
zia, non è importante».
«Invece
sì!», zia Sally stava per cedere e si era aggrappata ad una delle sue
consuetudini. Agitò un paio di calzini di lana con fare euforico, «Siamo nel
periodo più freddo dell’inverno e tu vuoi stare con dei semplici calzini di
cotone?! Non se ne parla!»
Si
avvicinò ai piedi del letto con fare minaccioso, quando uno schiarirsi di voce
li fece ghiacciare entrambi.
Dalla
porta comparve la sagoma di Molly che si avvicinava e restava immobile, ai
piedi del letto, mentre zia Sally, con vittoria, aveva infilato i calzini ai
piedi del nipote.
Mark
si lasciò andare in un piccolo sospiro, ma fu spiazzato quando Molly interruppe
il loro silenzio.
«Sally,
puoi…Puoi lasciarci soli?»
Dapprima
la donna sembrò non capire la sua richiesta, ma, fissandola con intensità,
scorse una strana scintilla nei suoi occhi e si schiuse in un piccolo sorriso.
«Ma
certo! Vado..Vado a prendere della cioccolata!»
Si
dileguò subito con un sorriso sulle labbra, mentre Molly restava immobile, con
lo sguardo fisso nel suo.
Da
quanto tempo non avevano un simile scontro, pensò Mark a malincuore, ma
vedendola lì, davanti a lui, con una strana determinazione negli occhi, si
sentì rabbrividire dalla gioia.
Molly
infilò una mano nella tasca e ne estrasse un foglio malconcio, cercando di
aprirlo il più possibile. Si schiarì la voce, cercando di assumere un tono
diretto e conciso. Ma non ci riuscì.
Le
parole, seppur scritte, le vennero a mancare. Come aveva potuto pensare che un
semplice pezzo di carta le avrebbe fatto aprire il cuore? Non dovevamo venire
da nessuna parte se non dalla sua anima. Inutile trascriverle a penna,
sarebbero rimaste sempre sul foglio se lei non ci avesse creduto. Con una
smorfia dispiaciuta per la sua stupidaggine, accartocciò il foglio e lo gettò
nel cestino con un solo lancio. Trovò la forza di alzare il capo e fissò gli
occhi color del mare di Mark.
«Ti
avevo scritto una lettera…», cominciò, ma non ebbe il tempo di proseguire che
Mark rise, seppur debolmente.
«Tu?
Una lettera?», bisbigliò, arrivando a tossire per quanto gli facesse male
ridere.
Vederlo
in quello stato fece stringere il cuore a Molly, ma decise di non demordere e,
soprattutto, di non provare pietà. I suoi occhi parlavano di per sé, senza
bisogno di dar voce ai suoi pensieri, e per questo non voleva che Mark vi
leggesse la pietà, un sentimento tanto disprezzato da entrambi.
«Sì,
una lettera, ma…Mi rendo conto di aver fatto una stronzata. Non ho bisogno di
un pezzo di carta per sentirmi più forte. Pensavo potesse supportarmi, come se
potesse proteggermi».
E
da cosa?, si trovò a pensare ella stessa. Dalla verità?Dalla realtà? Come poteva proteggerla un
pezzo insignificante di carta?
Mark
la osservava rapito, come se fosse la prima volta che la sentisse parlare, e
Molly sentiva il cuore batterle all’impazzata per quello che stava per fare:
stava aprendo il suo cuore, per la seconda volta, sempre alla stessa persona.
«Ho
scritto tante di quelle parole da avere ancora la mano dolorante, lo devo
ammettere. Ma sai una cosa? Ci ho girato intorno e non voglio girarci anche
adesso», prese un grande respiro e strinse i pugni sulla sbarra del letto, «Mi
spiace, Mark».
Il
ragazzo la osservava, senza avere la forza di aprire bocca. Gli piaceva così
tanto sentire il tono della sua voce, le pausa che prendeva quando non sapeva
come dire i suoi pensieri, la cassa toracica che si alzava in maniera irreale
per quanto fosse tesa.
Molly
comprese quel silenzio come un accenno al proseguimento.
«Mi
spiace di non essere stata presente, quando ne avevi bisogno. Mi spiace di
essermi isolata nella mia palla di cristallo, quando la tua era decisamente più
fragile e aveva bisogno di essere riparata. Mi spiace per la mia scontrosità,
per la mia insensibilità nei tuoi confronti. Mi spiace per non averti amato
come dovevo, o meglio, per non averti dimostrato quanto io tenga a te».
Mark
aveva puntato i suoi occhi nelle perle di lei. Sentiva il cuore accelerare, per
quanto possibile, il battito di secondo in secondo: era lei ad alimentarlo, era
lei a mantenerlo intatto, seppur per poco.
«Pensavo
che fossi arrabbiata con me, all’inizio», mormorò Mark, senza demordere con lo
sguardo. Voleva stringerla a sé, voleva sentire il calore e il profumo della
sua pelle, voleva poter immergere il viso nei suoi capelli, proprio come faceva
un tempo, e voleva poterle ripeterle ogni secondo che lei era tutto ciò che
desiderava.
Alle
parole di Mark, Molly dilatò le pupille e tacque.
Assimilò
le sue parole con cautela, esaminando i suoi sguardi. Perse un battito, capendo
quanto dolore gli avesse inflitto, più del dovuto.
«Non
ero arrabbiata con te, ma lo ero. Non capisco tante cose, Mark, come
probabilmente non le capisci neanche tu, ma abbiamo caratteri differenti. Tante
volte mi sono chiesta se fossi stata io al tuo posto e mi sono domandata tu
cosa avresti fatto per me. E sai qual è stata la mia conclusione? Di certo ti
saresti comportato come non mi sono comportata io: da persona innamorata», le
tremava la voce mano a mano che procedeva su quella strada tortuosa. Le faceva
male il cuore per quanto fossero pungenti le sue stesse parole, ma ormai voleva
vuotare il sacco e voleva alleggerirsi uno dei carichi che popolavano la sua
anima, «Ma non voglio che tu pensi a me come una stronza egocentrica, perché
non lo sono. Io ti amo, Mark. Non sono la persona migliore del mondo e spero di
non essere una delle peggiori, ma quel che so è che tu hai amato questa persona».
Si
fermò con il cuore che le batteva nelle tempie come se fosse un tamburo, così
violento da scuoterla interamente. Avrebbe voluto cambiare quella frase,
l’ultima frase, affermando che lui amavatuttora quella persona, ma non ne era più
sicura.
«Sbagliato»,
mormorò Mark, serio.
Quello
sguardo le fece paura, perché lo aveva visto poche volte. Di solito prendeva
tutto con ironia e con serenità, ma quelle volte, quando discutevano e si
infuriava, i suoi occhi facevano davvero paura.
Le
fece cenno di avvicinarsi e, con gambe deboli, Molly ubbidì e strisciò
lentamente al suo fianco, restando imbambolata, mentre Mark le afferrava la
mano.
«Io
ti amo, tuttora Molly. Non voglio che tu dubiti mai dei miei sentimenti per te.
Neanche io sono stato il massimo, non ti ho dimostrato a pieno ciò che provo
per te, non ho saputo renderti felice, non ti ho resa fiera di me. Chi vorrebbe
un fidanzato col cancro? Non puoi farci una passeggiata, non puoi farci del
sano sesso, non puoi riderci a crepapelle perché gli arriva un attacco di tosse
allo stato puro. Non puoi mangiarci schifezze, perché non butta giù neanche la
zuppa dell’ospedale. Non puoi guardare un film perché alle scene più cruente
può vomitare o addormentarsi. Mi spieghi che vita ti ho regalato, eh?!»,
cominciò a tossire per il troppo parlare e Molly si apprestò a dargli
dell’acqua.
Ne
bevve un piccolo sorso, lasciandosi andare in un lungo sospiro. Strinse la mano
a Molly per quanto poteva farlo e la guardò in modo così intenso che le fece
tremare la tenda sotto ai piedi.
«Sono
stato solo un peso».
La
frase di Mark la fece ribollire di rabbia. Lo fissò con serietà e lasciò andare
la sua mano, per poter stringere la sua a pugno.
«Non
dirlo mai più».
«Non
avrò altre occasioni», rammentò il ragazzo e, per tutta risposta, Molly sentì
pizzicarle gli occhi.
«Basta,
Mark! Sai cosa odio? Il fatto che tu abbia scelto di aspettare l’unica cosa che
possa rendermi felice per un breve istante per andartene via! Vuoi che ti
somministrino quel veleno? Ma allora perché farlo così! La tua è
vigliaccheria?! Io…Io non posso sapere come ci si possa sentire. So che soffri,
soffri tanto e che…Prima o poi…Beh, accadrà…»
Aveva
la gola che le doleva, il cuore batteva troppo veloce e la mente si stava
svuotando mano a mano che parlava.
«Non
è vigliaccheria, Molly…», mormorò con voce strozzata, «Forse è egoismo. Sì.
Vorrei soltanto una cosa. Vorrei che tu mi ricordassi, sempre. Vorrei che mi
ricordassi e che non mi escludessi dalla tua vita. Non pretendo che tu non
continui a viverla, semplicemente vorrei che portassi avanti anche me con te.
Non ti priverò della felicità che ti spetta, non voglio più privarti di nulla,
ma tu non privarti dei ricordi. Tienimi con te più che puoi, Molly…»
La
voce si affievolì e Molly sentì le gambe tremarle per quanto fosse scossa da
brividi infiniti di freddo, come se all’improvviso fosse entrata la neve
all’interno della stanza e li avvolgesse in un turbine d’aria ghiacciata.
Osservò
il viso stanco di Mark, le sue labbra che erano racchiuse dalla mascherina per
poter inalare l’ossigeno necessario. Vederlo immobile in quel letto le aveva
spezzato tante di quelle volte il suo povero cuore che pensava di non aver
retto fino a tanto. Invece ce l’aveva fatta, ma non sapeva se ce l’avrebbe
fatta dopo, quando non sarebbe neanche stato in quel letto.
Come
avrebbe fatto, senza il suo Mark?
Reagì
d’istinto: scostò il lenzuolo che copriva le gambe di Mark e si stese al suo
fianco, poggiando il viso sul suo petto e socchiudendo gli occhi. Si sentiva
come una bambina tra le braccia della mamma, come se avesse trovato il suo
angolo di paradiso.
Dopo
un anno, sentirlo di nuovo così vicino le fece salire le lacrime agli occhi,
mentre un groppo le si attorcigliava in gola e non le permetteva di respirare a
dovere. E se fosse andata via con lui?
Mark
voleva che lei continuasse la sua vita, che magari si fidanzasse nuovamente,
arrivasse ad un matrimonio felice, con dei bambini che scorrazzassero per casa
come forsennati, mentre lei, seduta su di una sedia a dondolo, guardava fuori
dalla finestra, persa nella neve e nei ricordi? Non poteva farlo! Avrebbe
sempre sofferto, per quanto la felicità potesse regnarle attorno. Non avrebbe
mai potuto amare qualcun altro che non fosse stato lui e non avrebbe mai potuto
guardare nessun altro come guardava lui. E, cosa principale, nessuno avrebbe
amato lei come Mark amava lei.
Le
dita di Mark giunsero alle sue e le imprigionarono con delicatezza, fin troppa
delicatezza. Dalla porta fece capolino zia Sally in compagnia della Dottoressa
Parker, che tra le mani reggeva un pacco di medicinali.
Mark
le osservò e, per un breve istante, pensò di rifiutare. Che male c’era, nel cambiare
idea? La morte sarebbe arrivata comunque, no? Ma almeno l’avrebbe prolungata.
Ma
Mark, come nessun altro, non sapeva quando avrebbe bussato alla sua porta.
Poteva arrivare anche l’indomani stesso, o magari poteva arrivare l’anno
successivo. Un altro anno a disposizione per stare con la sua Molly…
Un
campanello d’allarme lo fece ridestare e gli fece indurire i tratti del viso. Non
avrebbe prolungato nulla, perché altro tempo significava altra agonia per le
persone che lo amavano e anche per se stesso.
Su
di una cosa voleva essere padrone: decidere quando andarsene. Era solo
questione di tempo, no? Tanto valeva avere il lusso di scegliere quando.
Annuì
flebilmente con il capo alla Dottoressa Parker, la quale si avvicinò e lanciò
un’occhiata alla coppia avvinghiata. Era un tipo romantico, fin troppo, e si
lasciava sempre coinvolgere sentimentalmente. Non era decisamente adatta per
fare il mestiere del medico, da quel punto di vista, ma aveva tutti i
requisitici tecnici per poterlo fare.
Sally
si avvicinò al letto, con un fazzoletto stretto tra le dita. Era per darsi
forza, probabilmente, ma dentro di sé si sentiva morire.
Non
ci fu bisogno di parole.
Ci
fu uno scambio concentrico di sguardi.
Mark
sorrise a Sally.
Sally
abbozzò una specie di sorriso mal riuscito al nipote, trattenendo le lacrime a
stento e mordendo il fazzoletto in maniera accanita.
Sally
osservò Molly, distesa contro il petto di Mark ad occhi chiusi. Per lei era
troppo probabilmente osservare la Dottoressa Parker porgere un bicchiere d’acqua
al ragazzo che per sempre avrebbe regnato nel suo cuore.
Mark
afferrò saldo il bicchiere in una mano, mentre nell’altra si fece vuotare tre
di quelle compresse. Le osservò, inclinando il capo. Lanciò un ultimo sguardo
attorno a sé, sorridendo flebilmente, quando aprì la bocca e gettò nello
stomaco ciò che dì lì a pochi minuti lo avrebbe fatto assopire, per sempre.
Stese
il capo all’indietro, sul cuscino, e carezzò i capelli morbidi di Molly, la sua
Molly.
Il
solo pensiero gli fece annebbiare la vista. Arrivò all’orecchio della ragazza e
le baciò illobo.
«Ti
amo, Molly».
La
ragazza non rispose subito. Afferrò la sua mano, salda nella sua.
«Ripetimelo»,
sussurrò con voce sottile.
«Ti
amo. Ti amo. Ti amo, ti amo, ti amo».
Pur
non avendoglielo detto per un intero anno, Mark sapeva di averglielo
somministrato con ogni sguardo, ricevuto o perso che fosse. Non aveva mai
smesso di amarla e di certo non avrebbe smesso di farlo. Probabilmente neanche
Molly avrebbe smesso di provare certi sentimenti,ma sarebbe andata avanti,
perché se lo meritava. Meritava di trovare una persona che l’avrebbe fatta
vivere, nel vero senso della parola, e la riscattasse per tutto ciò che lui le
aveva fatto.
Molly
si morse un labbro e una lacrima le scivolò lungo la guancia.
Rimasero
accoccolati, l’uno stretto all’altro, con gli occhi chiusi.
E,
quando si decise ad aprirli, sentì il cuore di Mark spegnersi.
Non
ebbe il coraggio di fare nulla. Alzò il capo per fissarlo, con una morsa al
cuore.
Nessuno lo sta lasciando
morire, lo stiamo lasciando andare…
Ecco
cosa si ricordava, ma, nonostante volesse consolarsi in quel modo, non ci
riuscì.
Gli
posò una mano sulla guancia e, mentre un’altra lacrima le scalfiva la pelle,
schiuse le labbra e baciò le sue, gelide.
«Ti
amo anch’io, Mark. Ovunque tu sia».
Ed eccoci qua! Alla fine di questa baby fic
XD
So che probabilmente non sarà piaciuto il
finale, ma, aimhè, cosa posso farci?! Purtroppo ci sono situazioni del genere
che accadono realmente nella realtà e noi non possiamo farci assolutamente
nulla. Un giorno magari ci sarà anche la cura contro tumori incurabili, ma al
giorno d’oggi è questa la realtà e la mia storia cerca di far riferimento a
questo. Sono la prima ad essere affezionata al personaggio di Mark, ma, ad
essere sincera, sono affezionata a tutti i personaggi delle mie storie, perchè
in ognuno di loro c’è un pizzico di me. Oltre a questo capitolo ci sarà l’epilogo
che spero piacerà =) Ma non prometto nulla, sarete voi a giudicare XD Ringrazio
tutti voi che mi avete seguito e mi avete sostenuta =) Grazie di cuore
<3.
Mancava
esattamente da un mese, ma reggeva tra le braccia un nuovo mazzo di fiori, quei
fiori. Non avrebbe mai potuto portare fiori differenti, lo sapevano tutti. Le
faceva sempre uno strano effetto arrivare a destinazione senza neanche
ricordarsi quando fosse uscita di casa. Quella mattina, non era sola. A
differenza delle altre volte, il cielo era coperto da manti bianchi di nuvole,
che presto si sarebbero tinte di grigio.
Poggiò
il mazzo di tulipani sulla lapide di marmo e la carezzò, sentendo una fitta al
cuore.
Un
anno, era passato esattamente un anno.
Era
il 30 Dicembre 2009.
Sentì
vibrarle la spina dorsale, mentre la stretta al cuore aumentava. Si chinò per
strappare le erbacce cresciute e mai estirpate. Gettò il tutto in un bidone lì
vicino e sistemò i nuovi fiori nel vaso scelto da zia Sally.
Pensò
alla stramba donna che aveva sopportato per tanto tempo e che ancora
sopportava, con grande affetto. La adorava. Senza di lei, probabilmente sarebbe
andata a picco. Si erano fatte forza a vicenda, vivendo ognuna basandosi
sull’altra.
Rimase
dinanzi quel nome inciso nella pietra e si trovò a sorridere, un sorriso amaro
che le giungeva sempre, quando lo andava a trovare.
Come
promesso, non lo aveva accantonato. Non lo avrebbe mai potuto fare. Ma, come
promesso, non si sarebbe fermata a lui. Sarebbe andata avanti, per lui, per se
stessa.
Qualcosa
di ghiacciato le si infranse sul naso e, alzando il capo, osservò la polverina
bianca cascare sul manto verde della città.
Ci
fu uno scambio di sguardi, cercava di rivedere i suoi occhi. Spesso la notte si
era svegliata, preda dalla nostalgia, e si era guardata attorno, cercando lui.
E poi non l’aveva trovato. Si era affacciata fuori dalla finestra, cercando un
colpo di freddo che l’avrebbe spedita a letto con qualche linea di febbre.
Invece, quello che trovò, fu della semplice e soffice neve.
E,
in quel momento, si risentì come sempre.
Si
fece forza e, deglutendo, lanciò un’ultima occhiata al suo nome.
«Ti
amo, Mark», mormorò tra sé e sé.
Si
strinse nel cappotto invernale e roteò sui talloni, ripercorrendo la stessa
strada per tornare indietro, per tornare alla vita.
Nella
sua mente, nonostante non volesse, c’era sempre e solo lui.
Arrivò
al cancello e si guardò attorno.
Troppo
sovrappensiero, non si rese conto del ragazzo che investì con il suo peso. Gli
cadde tra le braccia e, leggermente stonata, gli chiese scusa per averlo
assalito.
Eppure,
quando si guardarono negli occhi, per un attimo le sembrò di rivedere i suoi occhi.Ma, nonostante dovesse, non rimase delusa
quando si accorse che quelli non erano davvero i suoi occhi, ma gli occhi di un altro.
Non
si era neanche accorta di avergli rovesciato il caffè per terra e si sentì
leggermente in colpa.
«Mi
spiace! Non so come rimediare».
«Potresti
offrirmi un altro caffè, se ti va», le offrì uno di quei sorrisi che non si
potrebbero mai dimenticare.
«Certo,
pur ché sia io a portarti in un Bar».
Si
guardarono negli occhi e non aggiunsero altro.
Mentre
si incamminavano verso la loro destinazione, Molly inclinò il capo e,
sorridente, lanciò un’ultima occhiata al cimitero.
Te l’ho promesso, Mark,
continuerò a vivere, pur portandoti nel mio cuore…Per sempre.
«Lontani,
non saremo mai io e te lontani
perché prima di noi
furono mari e montagne
a decidere il nostro domani
che adesso è qua
domani,
poi saremo ancora più vicini
perché prima di noi
saremo cuori per strada
a rivivere il nostro amore
Indissolubile»;
Ed eccoci alla fine di questa storia. Lo so, speravate che il povero
Mark resuscitasse ù.ù Ma non mi chiamo Dio e neanche Beautiful (la soapopera
XD), però ho cercato di rendere il tutto più reale possibile. Spero che quest’ultimo
capitolo vi abbia fatto capire il punto di vista di Molly e che questa storia
sia stata apprezzata nel suo semplice modo di essere. Ringrazio tutte voi che
mi avete seguita e appoggiata, spronata nel continuarla e finirla. Come
promesso, non è durata molto e spero che sia stata abbastanza scorrevole =)
Grazie un mondo. Baci, Cris.