Hakama dake di Indygodusk (/viewuser.php?uid=7005)
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Capitolo 1 : Ondata di caldo ***
Capitolo 2: *** Capitolo 2 : Un uccellino che ringhia? ***
Capitolo 3: *** Capitolo 3 : A Torso nudo a Sudare Sopra di Lei. ***
Capitolo 4: *** Capitolo 4 : Non Rimpiangere il Modo in Cui lo Finirai ***
Capitolo 5: *** Capitolo 5 : Un bagno al fiume ***
Capitolo 6: *** Capitolo 6 : La Caccia Ha Inizio ***
Capitolo 7: *** Capitolo 7 : Solo una fantasia ***
Capitolo 8: *** Capitolo 8 : Il Suo Marchio ***
Capitolo 1 *** Capitolo 1 : Ondata di caldo ***
HK cap 1
Hakama dake
By
Indygodusk
Traduzione
by
Quenya
Durante un’ondata di caldo Kaoru si ritrova
sola,
frustrata ed estremamente accaldata. Scoraggiata dal comportamento
amichevole
di Kenshin, decide di rinunciare al suo amore. Però rifiuta di
arrendersi al sole.
I vestiti iniziano a volare, ma tanto non c’è nessuno che
potrebbe vederla,
giusto? Battosai/Kaoru.
Capitolo 1 : Ondata di caldo
Scostandosi dal viso le ciocche di capelli umide
dal sudore,
Kaoru lanciò con la coda dell’occhio un’altra occhiata
all’entrata principale.
‘Ancora niente’
Non che ci fosse qualcuno ad osservarla girarsi
ancora verso
il portone, ma se quel qualcuno ci fosse stato, non voleva dargli
l’impressione
sbagliata – tipo che si sentisse sola. Perché non era vero,
stava benissimo così.
‘Giusto, quindi non c’è nessun bisogno di andare di nuovo fin
là e lasciare
quest’ombra bella fresca …er quasi-fresca’ pensò, cercando
di convincersi
dalla sua posizione di molle abbandono contro il muro del dojo.
Con gli occhi leggermente socchiusi, riusciva
quasi ad
immaginarsi in piedi sul ponte di pietra del laghetto di un giardino,
invece
del portico di legno di un dojo. Con la coda dell’occhio, poteva
perfino vedere
i capelli rosso scuro dell’uomo che premeva il torace muscoloso contro
la sua
schiena, mentre il suo respiro le sfiorava l’orecchio e le indicava con
le sue
dita eleganti le carpe koi che nuotavano sotto di loro.
Momentaneamente ipnotizzata dai suoi pensieri,
Kaoru fissò
sognante il vuoto fino a che la prosaica sensazione del sudore che le
colava su
una tempia la riportò al suo solitario presente, ricordandole
che dietro la sua
schiena c’era un muro, non un uomo. Tornando di colpo alla
realtà, riportò
l’attenzione sul portone.
“Soltanto un’altra occhiata, ok?” si disse ‘Dopotutto non vorrei
essere scortese e
ricominciare il mio allenamento poco prima del loro arrivo,
perché poi mi
dovrebbero interrompere, e quando a loro dispiace, dispiace anche a me
e
sarebbe… spiacevole. Quindi darò solo un’altra occhiata, tanto
per essere
educata’. Soddifatta dalla sua giustificazione, Kaoru
uscì dal portico.
Affrettandosi a percorrere il bruciante cortile
fino alla
minuscola ombra del portone principale, lei si schermò gli occhi
socchiusi con
una mano callosa nella speranza di trovare qualcosa di differente
rispetto alle
ultime cinque volte e cinque scuse che aveva usato per scrutare la
strada che
portava al centro di Tokyo.
‘Vuota’
Il cielo terso di un blu metallico sembrava
prendere in giro
i suoi sforzi, anche se non riusciva a spiegarsi come un cielo potesse
prendere
in giro qualcuno. Però avrebbe potuto giurare che era
così!
Osservando con gli occhi incrociati una goccia di
sudore
scivolarle lungo il naso, Kaoru imprecò per quel caldo atroce.
Era una parola
che una signorina non avrebbe dovuto conoscere, tantomeno usare.
L’aveva
imparata da Sano, ovviamente.
Per tre settimane tutti quanti erano stati
costretti a
sopportare la peggiore ondata di caldo che avesse MAI colpito la
città, almeno
secondo la personale opinione di Kaoru. Perfino l’anziana Hanaike-san
che
vendeva fiori ormai appassiti al mercato, e che sembrava così
appassita lei
stessa che Kaoru temeva non sarebbe sopravvissuta per vedere la
prossima
estate, aveva detto che non riusciva a ricordare un’estate altrettanto
calda.
Naturalmente Ishida-san, l’acido venditore di
verdura della
bancarella accanto, aveva avuto da ridire. Le aveva definite delle
deboli
donnicciole che non riuscivano a sopportare nemmeno un’estate un po’
calda. ‘Un po’ calda’ un accidente! Se è soltanto
‘un po’ calda’ come mai allora tutta la sua mercanzia sembra
così pallida e
molliccia? E deboli donnicciole poi!’. Kaoru avrebbe voluto tirarsi
su le
maniche e fargli vedere come impastare il mochi con la sua faccia.
L’avevano
fermata soltanto il suo autocontrollo e la consapevolezza che i soldi
risparmiati comprando le sue verdure a buon mercato rendevano possibile
comprare abbastanza cibo da sfamare tutti gli ospiti del suo dojo.
Quello e le
mani di Hanaike-san che le fermavano il braccio. Bè, ok, erano
state più che
altro le mani che la trattenevano. Comunque non l’aveva picchiato e
quello era
l’importante.
Dalla parte opposta dell’orizzonte alcune nuvole
si
ammassavano, come il miraggio di una spiaggia lontana davanti agli
occhi di
naufraghi. Ovviamente i naufraghi volevano soltanto sfuggire all’acqua,
mentre
lei sperava intensamente che le nuvole ne portassero a secchiate, visto
che la
pioggia avrebbe portato un po’ di refrigerio da quella calura estiva.
“Andiamo nuvolette, lo so che volete venire qui”
le lusingò
“Vi farò anche la cena se ci porterete un po’ di pioggia”. Non
notando nessun
movimento apprezzabile, incrociò le braccia e fece il broncio.
“Mou! D’accordo,
allora costringerò Kenshin a farvi la cena “. E in quel momento
lo sentì, un
soffio di vento che le scompigliò le ciocche della frangetta e
le solleticò le
guance.
“SI! Andata!” gridò facendo un salto con il
pugno alzato.
Canticchiando il nome di Kenshin si girò verso la casa,
alzò il piede, fece una
pausa e poi lo rimise giù.
‘Ah,
è vero, sono ancora in città. Da
Megumi’
Voleva bene alla vivace dottoressa, questo era
certo. Ma non
aveva forse sentito che le persone finivano uccise più
facilmente dalla
famiglia e dagli amici, piuttosto che da stranieri? Perché Kaoru
personalmente
riteneva che Megumi avrebbe dovuto preoccuparsi meno dei pericoli di
tornare a
casa da sola la notte, e un po’ più di essere gentile con una
certa istruttrice
di kenjutsu.
Uno di quei giorni la Volpina avrebbe passato il
limite con
le sue provocazioni e il suo civettare, e Kaoru non sarebbe più
riuscita a
controllarsi.
Kaoru aveva escogitato una specie di mantra, per
cercare di
controllarsi quando il comportamento di Megumi minacciava di farle
saltare i
nervi, come una specie di perfetta tecnica di meditazione. Ma prima che
riuscisse ad intonare il ‘Megumi è una brava persona. Non devo
far male a
Megumi”, immagini della Volpe che passava le mani lungo e cuciture del
gi
magenta di Kenshin mentre tubava qualcosa di seducente, lampeggiarono
nella
mente di Kaoru. E invece di pensare tranquilli pensieri Zen, la sua
mente deviò
sul strappare capelli, rompere dita, e sbattere labbra rosso rubino
nelle
strade fangose. Con quell’ondata di caldo naturalmente non era
possibile, il
fango apparteneva alla felice e umida stagione passata, ma se le fosse
stata
data l’opportunità, Kaoru era certa che avrebbe trovato un
appropriato
sostituto.
Voltando le spalle alla strada, Kaoru finalmente
ammise a se
stessa che probabilmente i suoi ragazzi avevano deciso di mangiare
qualcosa in
città. ‘Sii onesta Kaoru, è solo
questione di buon senso. Perché avrebbero voluto farsi una
camminata fino alla
periferia della città sotto questo caldo allucinante, se
potevano evitarlo?
Specialmente visto che avrebbero dovuto fare anche tutta la strada di
ritorno
alla clinica dopo aver mangiato. E prepararsi pure il pranzo da soli,
dato che
a nessuno piace la tua cucina’.
‘Però ci sono alcuni
piatti che ho imparato a fare bene’ ribattè a se stessa.
‘Bene?’
‘Ok, forse ‘bene’ è una parola grossa,
ma non tutto
quello che faccio ha un sapore terribile…solo la maggior parte’ si
concesse
con un sospiro.
‘Si, probabilmente avranno mangiato alla clinica
con
Megumi, la quale scommetto che non discute mai con se stessa”
“Questo non lo sappiamo, ha avuto una vita
difficile.
Solo perché non parla da sola ad alta voce come fai tu…”
“Oh, stà zitta” urlò a se stessa.
Aveva sperato che almeno Kenshin avesse pensato o
voluto
tornare a casa per mangiare con lei. Se gliel’avesse chiesto, lei
sarebbe
andata fino in città per mangiare insieme a lui. Sarebbe andata
ovunque, se
solo gliel’avesse chiesto. Non che lui le avesse chiesto nulla, o che
lei gli
avesse chiesto di tornare a casa per pranzo, ma l’aveva sperato, come
aveva
sperato che ci tenesse abbastanza da pensare a lei.
“Kaoru-baka, lo sai che tiene a te…come una
sorellina”,
sbuffò a se stessa con disgusto.
A volte diceva o faceva qualcosa di così
dolce, che lei si
lasciava andare alla speranza. Ogni tanto avrebbe quasi giurato di aver
visto
nei suoi occhi una strana espressione, il tipo di espressione che un
uomo
riserva alla donna che desidera, che brama molto di più che come
semplice
padrona di casa e amica. Ma prima che avesse potuto perfino trattenere
il fiato
dalla sorpresa, l’espressione era sparita, lasciando soltanto il suo
educato
rurouni dagli occhi color ametista.
Un fraintendimento avvenuto la settimana prima,
combinato
con un incontro fortuito, erano stati l’ultima goccia. Era stata una
cosa da
niente, riguardante Kenshin che le aveva comprato un presunto regalo al
mercato, che invece era risultato essere un pesce incartato, che lei
aveva
ordinato giorni prima e che aveva poi dimenticato di ritirare. Era
stato
stupido da parte sua credere alle chiacchere di Tae sul pacchetto che
aveva
visto in mano a Kenshin. Tae aveva scherzato sull’averlo visto con un
regalo di
corteggiamento e Kaoru c’era caduta con tutte le scarpe. Quando i due
si erano
incontrati per tornare a casa, lei era arrossita e si era comportata
così
stupidamente che lui aveva emesso un “oro” dalla confusione e aveva
cambiato
argomento, per passare al menu di quella sera – pesce. Soltanto allora
lei
aveva fatto il collegamento tra la conversazione, l’odore di pesce e il
pacchetto che lui aveva in mano.
Continuando a parlare del crescente aumento del
prezzo del
pesce, aveva pregato che lui non si fosse ancora reso conto della sua
stupidissima supposizione.
Pochi minuti dopo quella situazione imbarazzante,
erano
stati salutati da una donna palesemente incinta e dal suo raggiante
marito
Masuhiro, un ex-vicino di casa del Dojo Kamiya, che erano andati a
trovare i
genitori di lui. La moglie di Masuhiro aspettava il loro terzo figlio,
nonostante fosse soltanto di un anno più giovane della stessa
Kaoru. Dopo una
breve conversazione, entrambe le coppie si erano salutate. Ma Kaoru
aveva
ricordato a se stessa che soltanto una delle coppie che si
allontanavano era
davvero tale. Kenshin doveva aver notato il suo silenzio mentre
tornavano a
casa, il suo imbarazzante disagio che si era ingrandito sempre di
più da quando
si erano incontrati fuori il mercato, ma per fortuna non aveva fatto
nessun
commento a parte alcune occhiate interrogative.
A casa, Yahiko era tornato dal suo lavoro
all’Akabeko giusto
in tempo per la cena, con a seguito Megumi e Sano. Di solito Kaoru
adorava le
cene che riunivano tutti i suoi amici. Di solito, perchè - visto
che Tae era la
padrona dell’Akabeko e che spesso spettegolava con Yahiko delle sue
supposizioni - lui l’aveva naturalmente detto a tutti e le aveva
chiesto del
presunto regalo.
Kaoru aveva cercato di mascherare la verità
con una risata e
un rapido cambio di argomento, ma non aveva funzionato. Yahiko e Megumi
l’avevano presa in giro a sangue, ridendo del suo errore, mentre Sano,
masticando la sua lisca di pesce e sorridendo, aveva preso in giro
equamente un
po’ tutti, fino a che la conversazione si era finalmente spostata su un
altro
argomento. Kaoru aveva discusso e agitato minacciosamente la sua shinai
come al
solito, ma senza molta convinzione. Subito dopo la domanda di Yahiko,
Kenshin
aveva avuto un’aria sorpresa e un po’ strana. Per un solo momento aveva
avuto
un’espressione mai vista prima. Come se si sentisse in colpa e in
imbarazzo per
il fatto che si fosse aspettata da lui un regalo di corteggiamento. Il
fatto
che per lei non fosse stata la prima volta ad aver commesso
quell’errore,
rendeva il tutto ancora peggiore.
Quella notte non era riuscita ad addormentarsi.
Perfino
l’oscurità non offriva un sollievo decente dal caldo. Quello,
unito ai suoi
pensieri, le avevano reso impossibile dormire. Almeno sotto il portico
avrebbe
potuto godersi un’occasionale brezza che altrimenti avrebbe perso,
restando a
letto. Quella notte, seduta fuori ad osservare pensosamente la luna
crescente,
Kaoru aveva sentito qualcosa dentro di lei cambiare.
Amava Kenshin. La faceva davvero impazzire a
volte, ma lo
amava veramente tanto. Amava la sua gentilezza e le sue risate, la sua
integrità morale e il suo fiero senso di protezione, ed amava
anche il suo lato
oscuro, quella parte del suo passato che era Battosai, quando aveva
appassionatamente
consacrato se stesso ad un ideale che lo aveva quasi distrutto.
Kaoru aveva visto raramente quell’intenso lato
della sua
personalità. La spaventava un po’, per l’incredibile distruzione
di cui era
capace. Tuttavia, fin quasi da subito, si era fidata di lui. Aver
saputo del
suo passato non aveva cambiato questo fatto. Aveva sempre cercato di
accettare
le persone per quello che stavano cercando di essere al momento, non
per quello
che erano state.
Si fidava di Kenshin e della sua capacità
di contenere la
propria violenza, non permettendole di sfuggirgli di mano
arbitrariamente. Il
suo comportamento nello scontro con nemici come Jinnei, Aoshi,
Soujirou,
Shishio, ed Enishi non aveva forse provato il suo controllo? A volte
c’era
andato vicino, ma alla fine aveva sempre mantenuto il suo voto di non
usare la
sua spada per uccidere (Kaoru aveva deciso che Shishio non contava.
Secondo
lei, la sua morte era stata una specie di auto-immolazione con un po’
d’aiuto e
una gran liberazione).
A volte, quando si svegliava nelle ombrose ore
prima del
chiarore dell’alba, Kaoru si era chiesta come sarebbe stato aver
concentrate su
di se la passione e l’intensità di Battosai. Immaginando quegli
occhi dorati
divorare i suoi, e le sue dita callose tracciarle i contorni del viso,
lei
aveva rabbrividito, e aveva sentito il proprio corpo bruciare, pulsando
e
fremendo in punti segreti.
Nonostante quei pensieri, Kaoru sapeva che non
tutte le
speranze e i sogni si avveravano. Quando da bambina correva con le
ginocchia
sbucciate a portare a sua madre gli uccellini feriti che trovava, ed
osservando
suo padre sorridere gentilmente ad entrambe, Kaoru si era immaginata se
stessa
a quell’età. Quella visione includeva un marito amorevole,
bambini e un dojo
affollato abitato da genitori orgogliosi. La Kaoru bambina non avrebbe
mai
potuto immaginare la situazione in cui si trovava adesso. Poteva pure
non avere
nessuna delle cose che sperava una volta, ma aveva la sua famiglia
adottiva.
Loro avevano scacciato la sua solitudine e si prendevano cura l’uno
dell’altro.
Sarebbe morta per loro. ‘Certo, se non ne
ammazzo uno prima io’ aveva pensato allora con un sorriso.
Ma nel profondo del suo cuore, dove non l’avrebbe
mai
confessato ad alta voce, lei desiderava disperatamente avere un marito
e un
bambino. Aveva cercato di non lasciar trapelare agli altri la gelosia,
la
voglia tremenda di cullare un bimbo che provava ogni volta che vedeva
qualcuno
come la moglie incinta di Masuhiro. Era uno dei sogni che aveva sperato
Kenshin
la aiutasse a realizzare. Aveva ancora tempo, ma non poteva continuare
a
sprecarlo. Se voleva avere un bambino, avrebbe dovuto cercare qualcuno
a parte
Kenshin che diventasse suo marito, non importava quanto facesse male
quel
pensiero.
Kaoru aveva deciso di smettere di cercare di farsi
amare da
Kenshin. Questa volta voleva superare la cosa definitivamente ed
accettare
l’amicizia che lui le offriva. Non era giusto che lo facesse sentire in
colpa
per non essere in grado di darle quello di cui aveva bisogno.
Finchè lui fosse
stato felice, lei sarebbe andata avanti, e forse un giorno, avrebbe
trovato per
se un po’ di felicità.
Kaoru odiava oziare. Le dava troppo tempo per
pensare a cose
deprimenti. Si era aspettata di essere impegnata quella mattina,
insegnando nei
corsi del dojo di Tomoaki-Sensei, e conseguentemente guadagnando
abbastanza
soldi per sfamare tutti nel prossimo mese. Invece, i corsi erano stati
cancellati. Tutti gli studenti erano stati impiegati per scavare un
nuovo pozzo
d’acqua vicino al fiume. Osservando le nuvole scorrere nel cielo, si
chiese se
avrebbero finito il pozzo se avesse piovuto, o se lo avrebbero
abbandonato fino
alla prossima stagione secca. Gli augurava buona fortuna, ma
rimpiangeva la
perdita di quello stipendio.
Senza molti studenti al dojo, la nuova famiglia di
Kaoru era
stata sull’orlo della fame diverse volte, anche se lei era riuscita a
nasconderlo con successo. Farsi regalare gli avanzi da Tae ed implorare
per un
lavoro dal dojo rivale erano state alcune delle esperienze più
degradanti della
sua vita, ma ne era valsa la pena vedendo Kenshin, Yahiko, Sano, ed
anche
Megumi mangiare allegramente tutti insieme a cena.
Naturalmente quando Yahiko iniziava a chiamarla
busu, le
faceva venire voglia di chiedersi perchè continuasse a tenersi
in casa quel
moccioso.
Ma nel profondo sapeva che non avrebbe scambiato
nessuno dei
suoi protetti per nulla al mondo. Però, certe volte, desiderava
che ci fosse un
fondo a quelle voragini che Sano e Yahiko chiamavano stomaco. O forse
desiderava che fossero un pochino più bravi ad intuire cose non
dette.
C’erano molte cose che non aveva nessun problema a
dire,
perfino ad urlare. Ma chiedere aiuto per qualcosa come il denaro era
diverso.
Questa famiglia che aveva attirato verso di se, era arrivata dietro suo
invito.
Come padrona del dojo, sentiva che era sua responsabilità
nutrirli e occuparsi
dei loro vestiti come meglio poteva. Solo che ogni tanto sperava che
uno di
loro prendesse l’iniziativa di portare a casa un po’ di cibo o di soldi
extra.
Bè, non certo Kenshin, lui lavorava sodo e si preoccupava anche
troppo. Se si
fosse ritenuto un fardello, avrebbe potuto andarsene, e quella era
l’ultima
cosa che lei voleva.
Nessuno di loro era ricco, e lei cercava di non
strappare
agli altri quel poco che erano riusciti ad accumulare per conto loro.
Anche
certe volte, quando Sano buttava tutti i suoi soldi in scommesse o
sake, e poi
arrivava a scroccare un pranzo, si sentiva così frustrata che le
veniva voglia
di urlare e picchiarlo con la sua shinai. Il che spesso avveniva, ora
che ci
pensava. Però di solito, si sentiva soddisfatta soltanto sapendo
che si era
presa cura di tutti. Avrebbe passato sopra a tutto pur di tenere unita
la sua
nuova famiglia.
Yahiko era iniziato a crescere così
velocemente ultimamente,
che prima che potesse accorgersene, si era ritrovata a spendere la
maggior
parte dei suoi limitati risparmi per un nuovo hakama e gi che
contenessero le
sue esuberanti membra. Il ragazzino aveva bisogno di nuovi vestiti
molto di più
di quanto lei necessitasse un nuovo kimono. Rattoppando i punti
strappati del
suo liso kimono con il tessuto di un obi leggermente meno consumato,
era
riuscita a rimandare l’inevitabile per un altro po’ di tempo.
La prima volta che aveva sfoggiato la sua
creazione a
colazione, Kenshin le aveva chiesto perchè non le aveva permesso
di modificarlo
per lei. Il concetto inespresso era che, oltre ad essere un cuoco
migliore di
lei, Kenshin cuciva anche meglio di Kaoru. Inespresso fino a quando
Yahiko non
aveva aperto la sua boccaccia. Però dietro la presa in giro,
Kaoru aveva visto
un lampo di incertezza negli occhi di Yahiko, mentre cincischiava la
manica del
suo nuovo gi. Così dopo un paio di affettuose botte in testa con
un mestolo da
cucina, lei aveva dichiarato che non sopportava ancora di separarsi dal
suo
kimono, e che non voleva sentire un’altra parola sulla sua
abilità con il
cucito. Anche se i punti non erano
perfetti, almeno erano dritti, mou!
La sua spiegazione e le sue botte sembravano aver fatto sparire
la
preoccupazione dagli occhi di Yahiko, e così Kaoru era stata
contenta. Sperava
soltanto di aver sviato anche Kenshin.
Riscuotendosi da quei pensieri, Kaoru tornò
al dojo. Se
doveva restare sola, avrebbe usato quel tempo lavorando per
perfezionare la sua
arte, sperabilmente zittendo il suo cervello troppo attivo.
Kaoru aprì tutti gli shoji per cercare di
catturare
qualsiasi alito di vento mentre si allenava. Per anni aveva lottato con
un kata
di livello avanzato di cui conservava solo un tenue ricordo. Delle
persone non
esperte avrebbero potuto pensare che fosse completo, ma lei poteva
quasi
sentire che mancava qualcosa mentre si allenava. Suo padre era morto
prima che
lei finisse di perfezionare le sue mosse…entrambi pensavano di avere
molto più
tempo. Asciugandosi il sudore dal viso e dal collo un’ultima volta
prima di
iniziare, Kaoru prese il suo bokken e si mosse verso il centro del
pavimento di
legno.
Un vecchio studente di suo padre di nome Tomoaki
si era
sposato con la figlia del proprietario di un altro dojo ed aveva
abbandonato il
Kamiya Kasshin Ryu dietro le insistenze del suo nuovo suocero. Da
bambina Kaoru
aveva idealizzato Tomoaki-senpai. Pieno di pazienza, le aveva permesso
di
seguirlo ovunque senza chiedere spiegazioni, e le aveva corretto la
postura e i
fendenti. A volte lei aveva sbirciato attraverso lo shoji aperto per
osservare
sospirando le sue lezioni private con suo padre, e la fossetta che
aveva sulla
guancia sinistra. ‘Probabilmente è stata
la mia prima cotta’ pensò Kaoru con un sorriso nostalgico
mentre prendeva
posizione nella prima figura.
Quando si era sposato, lei aveva pianto ed era
stata
depressa per giorni. Poi, quando era diventato troppo impegnato con la
sua
nuova famiglia e responsabilità, in particolare ad apprendere la
nuova tecnica
dhe avrebbe dovuto insegnare al dojo del suocero, le loro famiglie
avevano
gradualmente perso i contatti. Kaoru si era rassegnata, anche se
personalmente
riteneva che il suocero fosse un crudele e acido tiranno per proibire a
Tomoaki
di venire al Dojo Kamiya, ed aveva deciso che se mai avesse incontrato
la sua
nuova famiglia gli avrebbe tirato del fango.
Dopo il funerale di suo padre, non l’aveva più visto per
diversi anni.
Poi, un paio di mesi prima, si era scontrata
(letteralmente)
con lui alla clinica di Megumi. Tomoaki
aveva portato alla clinica uno studente ferito e lei stava inseguendo
un
ridente Yahiko, che stava cercando di nascondersi dietro la figura
pacificatrice di Kenshin. Forse era stato per il bokken selvaggiamente
brandito, o forse per i fuoriosi occhi da tanuki, ma lui l’aveva
immediatamente
riconosciuta. Per un momento, vedendo quella fossetta, si era sentita
di nuovo
come una bambina di dieci anni ed era rimasta leggermente stordita.
Lui l’aveva invitata a cena con la sua famiglia la
sera
seguente. Suo suocero era morto un paio di anni prima, e così
Kaoru non avrebbe
dovuto preoccuparsi di nascondere la sua infantile antipatia se lo
avesse
incontrato a cena. In effetti l’unico momento brutto in tutta la serata
era
stato quando aveva quasi svelato la sua curiosità su come sua
moglie si fosse
rivelata una persona così gentile con un uomo così
orribile come suocero. Per
fortuna era riuscita a mordersi le labbra appena in tempo, quasi
strozzandosi
con un sorso di tè nel tentativo. Dopo aver incontrato la sua
adorabile moglie
e figlio, Kaoru aveva sentito sparire l’ultima ombra di risentimento
verso la
famiglia di Tomoaki, rimpiazzato da un crescente affetto. Durante
quella
settimana lo aveva incontrato di nuovo. Invece del forte rossore che in
passato
le aveva scottato il viso, Kaoru aveva sentito ormai solo una
sensazione di
calore, come il conforto di un tè caldo durante una notte
fredda. Come se
ritrovare un vecchio amico non fosse stato abbastanza per farla sentire
esuberante, Tomoaki le aveva fatto un’offerta – voleva che lo aiutasse
ad
insegnare nel suo dojo. Sembrava che uno dei suoi migliori studenti si
fosse
trasferito, lasciandolo senza un istruttore che lo aiutasse con le
classi meno
avanzate.
Ricordando il passato tra una lezione e l’altra,
Kaoru si
era lasciata sfuggire un po’ della sua frustrazione per non esssere
stata in
grado di padroneggiare completamente i segreti del Kamiya Kasshin Ryu
prima
della morte di suo padre. Quei pochi passi sgraziati nel kata di
livello
avanzato, forse notati solo da lei, la stavano facendo impazzire. Se
solo fosse
riuscita a ricordare!
Il viso di Tomoaki aveva assunto un’espressione
seria
durante quella conversazione. Kaoru aveva provato vergogna dopo avergli
rivelato una simile mancanza, e il discorso era tornato ai ricordi,
mentre
entrambi ricordavano il grand’uomo che
era stato suo padre.
Dal centro del dojo, Kaoru cercò di
concentrarsi mentre si
muoveva velocemente nel turbine del kata avanzato che quel giorno era
determinata a perfezionare. Sentiva la punta dei piedi flettersi sul
pavimento
di legno mentre spingeva il bokken giù e sulla sinistra in un
fendente
orizzontale che sibilò attraverso l’aria.
Il giorno dopo Tomoaki era passato al Dojo Kamiya.
“Per la
gioia che una volta ho ricevuto da tuo padre e dal suo dojo, sarei
onorato se
mi permettessi di aiutarti a perfezionare le figure più avanzate
che mi sono
state insegnate” le aveva offerto formalmente.
Imbarazzata e stupita Kaoru aveva istintivamente
reagito
scuotendo la testa, ma lui non si era scomposto.
“Anche se non pratico più il Kamiya Kasshin
Ryu, e non
potrei certo rendere giustizia al mio Sensei, mi sentirei a disagio se
non
accettassi questa offerta. Per favore, accettala”
Facendo un profondo respiro, Kaoru aveva alzato
gli occhi
dalla tazza di te leggermente fumante che teneva nelle sue mani
tremanti, per
fissare fuori dallo shoji aperto. Non poteva permettere che il suo
orgoglio e
la sua indipendenza le facessero rifiutare la possibilità di
padroneggiare in
modo completo la tecnica di famiglia, per quanto fosse diventata per
lei
un’abitudine lasciare che questi sentimenti si intromettessero. I suoi
antenati
non avrebbero pensato male di lei solo per aver avuto bisogno di un
aiuto
esterno per ristorare l’onore del dojo.
Incapace di proferire parola, era riuscita
soltanto a posare
la tazza, inchinarsi profondamente sul pavimento e segnalare il suo
consenso
con una parola, “Sensei”.
Ieri, le aveva mostrato l’ultima mossa che doveva
insegnarle, l’ultima che riusciva a ricordare per perfezionare la sua
tecnica.
Piroettando velocemente sui talloni mentre alzava il bokken, Kaoru
finì il
kata, si mantenne immobile contando fino a dieci, e poi si
lanciò di nuovo a
ripetere la figura. Avvertiva la differenza, la perfezione mentre tutte
le sue
membra sembravano scivolare al posto giusto. Con gli aggiustamenti al
kata con
cui aveva lottato per anni che finalmente possedeva, Kaoru era
determinata ad
usare quell’allenamento extra per rendere i suoi movimenti fluidi.
‘Anche se mi sto
allenando da sola ormai da ore senza sosta, e senza che nessuno si
faccia vivo’
pensò, un pochino di malumore. Yahiko stava lavorando di nuovo
all’Akabeko quel
giorno, e probabilmente non sarebbe tornato che al tramonto. Megumi
voleva fare
alcune riparazioni al tetto della clinica ed era riuscita a convincere
Sano e
Kenshin ad andare da lei quella mattina per farlo. Kaoru le era
sfuggita solo
perché avrebbe dovuto insegnare al dojo di Tomoaki.
Ma adesso sembrava che fosse riuscita a
trattenerli per
tutta la giornata, dato che nessuno di loro era tornato al dojo per
pranzo,
nonostante la speranzosa ronda di Kaoru alla strada. Non poteva certo
prendersela con loro. La volpe cucinava dei piatti che perfino Kaoru
era
costretta ad ammettere – a denti stretti e solo quando era sola –
facevano
veramente venire l’acquolina in bocca. Dopotutto avevano Megumi tutta
per loro,
quindi che bisogno c’era di imbarcarsi in un inferno di sudore solo per
vedere
una tanuki? Kaoru si ritrovò con un’espressione corrucciata a
quei pensieri. ‘Va bene, allora posso prendermela con
loro,
quei traditori’
L’allenamento era importante, ma restare da sola
per tutto
il giorno le faceva ricordare i brutti tempi prima dell’arrivo di
Kenshin,
quando era sempre sola. Agitando il boken ancora più forte,
Kaoru continuò a
pensare ai suoi amici in città. Megumi avrebbe probabilmente
tenuto impegnati
Kenshin e Sano tutto il giorno a fare lavoretti di casa, nonostante il
caldo.
Quella volpe riusciva sempre a manipolare gli altri per farli fare il
suo
lavoro pesante.
“Probabilmente voleva soltanto vederli tutti e due
sudati ed
a petto nudo sopra di lei” borbottò Kaoru tra se e se nel mezzo
di un fendente.
Ripensando a quello che aveva appena detto, Kaoru diventò
leggermente rossa ed
inciampò su un passo che poco prima aveva eseguito
perfettamente. Ora che ci
pensava, non sarebbe dispiaciuto nemmeno a lei una visione del genere. ‘Loro due che lavorano senza casacca sul
tetto, voglio dire! Non l’altra cosa, bè almeno non con Sano
‘Kenshin
invece…no no, così non va Kaoru! Lo sai che pensieri di questo
genere ti
lasciano solo accaldata e irritata, bè più accaldata ed
irritata di quanto non
lo sia già con questo caldo, e contrariata dalla tua nuova
decisione riguardo
un certo sexy rurouni dai capelli rossi. Non sexy, non disponibile! Non
disponibile rurouni volevi dire, giusto?’
Il kata era rovinato, e lei tornò al muro
dove aveva
lasciato una brocca d’acqua e un mestolo. Kaoru bevve un lungo sorso,
cercando
di riguadagnare il controllo, ma l’acqua era calda e non serviva a
molto per
spegnere la sua vera sete. Il gi inzuppato di sudore le si incollava
alla
schiena ed al petto in appiccicose pezze e lei si era liberata
già da precchio
dei pesanti tabi.
Se questa calura non
si attenuerà presto, pensò, potrei
impazzire. Avrebbe iniziato ad urlare al sadico sole, si sarebbe
spogliata
ed avrebbe cercato di affogarsi nel fiume. ‘Andiamo
nuvoloni carichi di pioggia, venite qui!’ si lamentò
verso il cielo.
Una leggera ed intermittente brezza soffiò
per un attimo nel
dojo, portando un momento di sollievo. Scostandosi il tessuto umido dal
petto
nel tentativo di rinfrescarsi, Kaoru aggrottò le sopracciglia.
Se gli uomini
potevano restare a torso nudo sopra un tetto alla vista di tutti,
perché lei
non poteva farlo nell’intimità del suo dojo?
Dopo tutto Megumi si era offerta di offrire ai
ragazzi anche
la cena, nel caso le riparazioni del tetto fossero andate per le lunghe
(come
se li avesse lasciati andare prima), e in ogni caso Sano non era il
tipo da
lasciarsi sfuggire l’occasione di gustare la cucina di Megumi. Con
Yahiko
all’Akabeko, Kaoru calcolò che avrebbe avuto il dojo tutto per
se per parecchie
ore. Il pensiero era un po’ deprimente, ma poteva usarlo a suo
vantaggio. Se
avesse chiuso gli shoji che davano sul cortile principale, nessuno
sarebbe
riuscito a vedere l’interno del dojo, e se chiudeva anche il portone,
nessuno
sarebbe riuscito ad entrare e circolare senza che lei lo sapesse.
Kaoru sussultò quando una goccia di sudore
le andò in un
occhio. “Ahia, ora basta” borbottò, strofinandoselo mentre
marciava verso il
portone per chiuderlo a chiave. Esitando, lanciò un’occhiata ad
entrambi i
sensi della strada, ma non riuscì a vedere nessun passante.
Nessun Kenshin,
Sano o Yahiko, nessun politico o viaggiatore munito di spada, nessuno.
Così
chiuse a chiave il portone con decisione, tornò al dojo, e
chiuse i pochi shoji
che davano sul cortile. Lasciò però aperti quelli di lato
e sul retro del dojo
per far entrare un po’ d’aria.
Forse era stato il caldo a darle alla testa, o
forse era
stato il ricordo di come fosse sopravvissuta solo con le sue forze in
quanto
unica insegnante donna di kendo in tutta Tokyo. Fatto sta che Kaoru
aveva
deciso di agire d’impulso per provare a se stessa che, nonostante il
fallimento
con Kenshin, era ancora quella stessa donna forte e non convenzionale
in grado
di risolvere i suoi problemi da sola – a partire dal caldo soffocante
del suo
gi inzuppato di sudore.
Sfilare il gi dagli hakama richiese un po’
più sforzo di
quello che si fosse aspettata, specialmente visto che si era rifiutata
di sciogliere
prima gli hakama. Con uno sbuffo finale di sforzo, lo liberò e
se lo tolse.
Senza il volume del gi i suoi hakama blu le scivolarono pericolosamente
bassi
sui fianchi, rivelando due fossette alla base della schiena. Se ne
accorse di
sfuggita però, troppo estasiata dalla sensazione della lieve
brezza che le
rinfrescava la pelle accaldata. “Mmmm” mormorò ‘che bello’.
Soltanto la fasciatura intorno al petto
interrompeva la
sensazione. Sollevandosi i capelli dal collo con una mano, toccò
con l’altra
l’orlo della fasciatura ai seni. Oh, era seriamente tentata di
toglierla dalla
fresca carezza del vento sulle spalle. ‘Lo
faccio?’ si chiese maliziosamente, osservando il tessuto color
crema.
‘Ma devo allenarmi, e
senza la fasciatura che me li tiene fermi i seni mi farebbero male,
anche se
non ho granchè da tenere fermo, al contrario di una certa volpe’.
Lasciò
stare il bordo delle fasciature e si diede uno scappellotto. ‘stupida, basta pensare o fare paragoni con
Megumi per oggi…o almeno per un’ora’. Kaoru decise che era
importante
fissare degli obbiettivi realistici.
‘Ora pensa a qualcosa
di positivo per tirarti su. Um...almeno le mie tette non sono piccole
come
quelle di Misao!’. Si sentì un po’ in colpa a denigrare
Misao solo per
sentirsi meglio, anche solo nella sua mente. ‘Bè
Misao è giovane e potrebbero ancora crescere’
pensò nel tentativo di essere
positiva.
‘E di sicuro rispetto
alle altre io ho un bellissimo, um, un grazioso, ah…’ osservandosi
da capo
a piedi (non pensava che avere un robusto e lucido bokken contasse)
Kaoru notò
due cose. Primo, ‘Ma i miei hakama sono
sempre stati così bassi?’ e secondo, ‘Ho
un ombelico veramente carino, sembra una piccola tazza da tè!’.
Soddisfatta, Kaoru decise che il suo piccolo discorsetto
d’incoraggiamento
fosse sufficente, ed andò fino al centro del dojo per
ricominciare i kata. Ma
la sua mente, tuttavia, aveva in serbo altri commenti. ‘Perchè
una tazza da té? Ti aspetti forse che qualcuno beva dal tuo
ombelico?’
A questo pensiero estemporaneo Kaoru ebbe
l’improvvisa
visione di una lingua che le tracciava lenti circoli sullo stomaco,
avvicinandosi sempre di più al suo centro pieno di liquido.
Quando la bocca
finalmente si chiuse sul suo ombelico, sentì le labbra
solleticarla, succhiando
leggermente. “Tè al gelsomino, il mio preferito” affermò
la sua voce roca,
prima di mordicchiarle lo stomaco, lasciandole sulla pelle un piccolo
succhiotto ed alcuni capelli rossi.
Con un sospiro affannato, si riscosse dalla sua
fantasticheria. Lasciando andare I capelli, si asciugò le palme
delle mani sul
davanti degli hakama, e poi riprese il bokken dal pavimento, dove lo
aveva
appoggiato poco prima di togliersi il gi. Quando si raddrizzò, i
capelli le
scivolarono sensualmente lungo la pelle nuda delle spalle e della
schiena.
Kaoru rabbrividì. Non era abituata a quella sensazione, dato che
l’unico
momento in cui aveva la schiena scoperta era mentre si cambiava o stava
per
farsi un bagno. Di solito era troppo distratta o stanca per notarlo.
Concentrandosi sulla sensazione però, la trovò molto…
sensuale. La faceva
sentire languida e molto femminile.
Mettendosi in posa per eseguire la prima figura,
Kaoru piegò
le ginocchia e alzò il bokken sopra la testa. Questo fece si che
gli spacchi
laterali dell’hakama, che andavano dalla vita fino a metà
coscia, si aprissero.
Kaoru arrossì per la sensazione dell’aria che le sfiorava le
cosce. ‘Oh, me n’ero dimenticata’. Con un
attimo di trepidazione, guardò il gi inzuppato di sudore gettato
a terra, ma
poi il refrigerio della brezza vinse su tutto. ‘Nessuno
potrebbe vedermi, visto che ho chiuso a chiave il portone e
accostato le porte che danno sul cortile. Quindi rilassati’.
Sentendo il caldo pavimento di legno del dojo
sotto i suoi
piedi, fece un lento respiro e si concentrò. Piroettando
lentamente sulle punte
dei piedi, mosse il bokken verso il basso, poi orizzontalmente. Ogni
movimento
era controllato, preciso, e fluiva nella mossa successiva con
scioltezza.
Dopo una lenta esecuzione del kata, Kaoru la
ripetè un po’
più veloce e poi sempre di più, fino a che non divenne un
turbine nel dojo, con
i capelli che ogni tanto le colpivano gli avambracci nudi e le cosce
come
piccole fruste. Il sudore le colò lungo le guance, seguendole la
linea del
collo, facendo una piccola pausa nell’incavo della gola, prima di
buttarsi a
capofitto lungo il petto e sparire nella fasciatura che copriva le
morbide
curve dei suoi seni. Quando si girava di scatto il sudore gocciava fino
al
pavimento. Infine, dopo l’ultimo affondo, lei si fermò,
ansimando udibilmente
nel dojo inondato dal sole. Abbassando il bokken e rilassando la sua
posa,
Kaoru si girò e lo rimise a posto nel suo apposito sostegno.
Ritornando al centro del dojo, sollevò le
mani sopra la
testa per stirarsi. Arcuando la schiena e sollevandosi sulle punte dei
piedi,
emise un mugolìo di soddisfazione. Durante quella stiratina gli
hakama le
scivolarono ancora qualche dita più in basso, restandole a mala
pena sui
fianchi, ma lei era troppo soddisfatta di se stessa per notarlo.
Ritornando
nella posizione originale con un sospiro di beatitudine, udì un
basso ringhio,
o forse era un tuono? Aprendo gli occhi, Kaoru si ritrovò a
fissare
direttamente un paio di splendenti occhi dorati.
AN: Che ne dite, è solo un’altra
fantasticheria di Kaoru o
c’è veramente qualcuno? Ho una mezza idea di quello che potrebbe
accadere
subito dopo, ma se volete farmi sapere cosa volete VOI, potrei
lasciarmi
convincere…
Dizionario :
Hakama – una
spece di gonna-pantalone indossata da alcuni praticanti di jujitsu. Ha
degli
spacchi che vanno dalla vita fino a metà coscia. Kaoru li
indossa al posto del
kimono per allenarsi, e Kenshin e Yahiko li portano sempre.
Shoji : porte
scorrevoli di legno tipiche delle abitazioni
tradizionali giapponesi.
Busu :
racchia
Bokken:
spada di legno usata per il kendo.
Gi : casacca
indossata dagli uomini sopra gli hakama (pantaloni).
Obi : alta fascia di seta da portare
intorno alla vita, che
le donne usano per chiudere il kimono.
Tanuki : i tanuki,
ossia procioni, sono degli animali molto presenti
nelle leggende giapponesi e si credeva che avessero il potere di
trasformarsi,
come le volpi. E’ stato Saito ad affibbiare questo nomignolo a Kaoru.
Shinai : spada di
bambù per la scherma giapponese (kenjutsu).
Tabi : tradizionali
calzini con la cucitura al centro per poterli
indossare con i sandali infradito.
Mochi: dolce giapponese ottenuto impastando
energicamente farina di riso e acqua. Gli vengono date varie forme e
varianti,
tra cui il sakura-mochi, una versione rosata che ricorda il colore dei
petali
di ciliegio (sakura appunto).
(mi sono divertita a giocare con nomi)
Hanaike – laghetto fiorito
Ishida – campo roccioso
Masuhiro – ampio profitto
Tomoaki – amico del villaggio
Per questa storia ho fatto un collage di alcune
fichissime
immagini di hakama. Se vi interessano, mandatemi un’email e ve le
spedirò (Sono
davvero sexy, ve l’assicuro!)
|
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Capitolo 2 *** Capitolo 2 : Un uccellino che ringhia? ***
Hakama
Dake
By
Indygodusk
Traduzione
By Quenya
Capitolo
2 : Un uccellino che ringhia?
Durante
quella stiratina gli hakama le scivolarono ancora qualche dita più
in basso, restandole a mala pena sui fianchi, ma lei era troppo
soddisfatta di se stessa per notarlo. Ritornando nella posizione
originale con un sospiro di beatitudine, udì un basso
ringhio, o forse era un tuono? Aprendo gli occhi, Kaoru si ritrovò
a fissare direttamente un paio di splendenti occhi dorati.
Per un momento il respiro le si bloccò
in gola, mentre Kaoru sentiva una scossa di shock percorrerle il
corpo. Poi, rilassando le spalle, camminò fino al bordo del
portico e si sporse con un sorriso invitante, “Sei venuto per
una lezione privata? Ti stavo aspettando”. La sua voce suonava
più roca del solito a causa della gola secca.
Inclinando la testa, il piccolo
passerotto color cannella emise un trillo interrogativo, dal suo ramo
di pino. Kaoru ridacchiò tra se. Per un secondo, aveva
lasciato che la sua immaginazione eccitata dal sole le sfuggisse di
mano ed aveva immaginato che fossero stati gli occhi dorati di
Kenshin a scrutare la sua figura mezza nuda. Ti piacerebbe…
pensò con un sospiro. E poi cosa avrebbe fatto se fosse stato
lui? Battosai in tutta la sua passionale gloria, che le…
sorrideva sensualmente stringendola al suo petto virile?
Ha, si, come no! Con la fortuna
che aveva, qualunque misterioso uomo dagli occhi ambrati si sarebbe
probabilmente rivelato essere Saito, con le sue puzzolenti sigarette
e il suo sorriso da lupo venuto ad arrestarla per atti osceni.
“Per questa corruzione morale,
Aku Soku Zan!” e poi bam, fine dei sogni di Kaoru Kamiya.
Mhh, ancora peggiore del pensiero di
essere uccisa da lui, è l’idea che mi sorrida mentre
sono mezza nuda, ewww.
Raddrizzandosi e scostandosi i lunghi
capelli neri su una spalla, Kaoru decise di farsi un’altra
bevuta, per far sparire quella gola secca e quei pensieri fastidiosi.
Come si mosse, il passerotto sbattè
le ali e arruffò le penne sul petto, forse per un condiviso
disgusto? Poi emise un trillo ancora più acuto.
Quando Kaoru aveva incontrato Kenshin
per la prima volta ed aveva sentito la sua voce dolce, si era chiesta
se avesse mai sofferto per il fatto di avere una voce dal timbro così
alto. Certamente non riusciva ad immaginarsi come la sua voce potesse
diventare ancora più acuta. La sua statura bassa, solo qualche
centimetro in più di lei, non lo aiutava di certo.
Non che non amasse il suono della sua
voce, anzi. Le faceva venire in mente gli ohagi : dolci, morbidi e
confortanti, capaci di sembrare buffi cambiando aspetto a seconda
dell’occasione, ma rimanendo all’interno sempre con lo
stesso affidabile sapore.
C’era voluta la battaglia con
Jinnei per rivelare che la sua voce poteva scendere diverse ottave
più in basso. Unita ad un pulsante ringhio che Kaoru aveva
potuto quasi sentir risuonare attraverso le suole delle sue scarpe.
La sua voce non si abbassava spesso. In
effetti aveva notato che i suoi rari cambi di registro erano sempre
accompagnati da un momento particolarmente emotivo: di solito per
rabbia, dolore, o rimorso, ma raramente anche per tenerezza.
Erano passati quasi due mesi
dall’ultima volta che l’aveva sentito. Suzume e Ayame, le
nipoti del Dottor Genzai, erano state lasciate al dojo quando un
problema aveva impedito l’anziano dottore di portarle al picnic
che avevano organizzato. Deluse, le bambine si erano sedute sul
portico facendo il broncio, scalciando i piedi contro le tavole di
legno fino a che, esasperata, Kaoru aveva smesso di allenarsi e gli
aveva proposto di fare un picnic insieme a lei.
Naturalmente avevano invitato anche
Kenshin e tutti e quattro si erano lanciati in un’allegra gita
per i boschi. Mangiando una merenda a base di spicchi di mela fatti a
forma di coniglietti (merito di Kenshin ovviamente), avevano riso e
giocato fino a che, esauste, le bambine erano crollate sulla coperta
blu per fare un riposino.
Suzume si era addormentata
immediatamente un secondo dopo aver appoggiato la testa sulla
coperta, ma Ayame si era dimostrata molto più testarda. Con la
testa appoggiata ad un braccio, Ayame aveva fissato la figura distesa
di Kenshin come se tentasse di risolvere un puzzle. I suoi occhioni
marroni avevano iniziato a chiudersi, con le lunghe ciglia che le
ombreggiavano le guance rosate, ma poi li aveva testardamente
riaperti.
Alla fine la bambina si era alzata e si
era seduta vicino a Kenshin, iniziando a giocherellare con il bordo
sfilacciato dei suoi hakama. Sorridendo teneramente a quelle manine
appiccicose, lui le aveva detto gentilmente. “Dovresti cercare
di dormire un pochino”
Le piccole dita avevano smesso di
tirare, ma avevano stretto saldamente il tessuto. “Ken-nii…?”
aveva chiesto all’improvviso, con aria sonnolenta.
“Si?” le aveva risposto
lui, dopo un momento di silenzio.
Gli occhi le si erano finalmente chiusi
quando aveva sospirato, “Tu…ci vuoi bene?”
Kaoru non era riuscita a vederlo in
faccia, visto che era voltato in basso verso la bambina, e si era
persa la sua espressione. Ma questo l’aveva fatta ascoltare
ancora più attentamente la sua voce, ed era riuscita a
cogliere il tono più profondo quando lui aveva risposto.
“Ma certo che vi voglio bene
piccolina”
Un lieve sorriso era spuntato sulle
labbra rosa della bambina. “Bene, perchè noi te ne
vogliamo tanto” aveva sospirato ancora, prima di
rannicchiarglisi contro una gamba e cedere finalmente al sonno.
“Certo che ve ne voglio”
aveva ripetuto lui, in quel raro, caldo, profondo tono di voce.
Non volendo interrompere l’intenso
silenzio, Kaoru gli aveva gentilmente appoggiato una mano sulla
spalla. Dopo un momento, per non disturbare i suoi pensieri, aveva
iniziato a ritirare la mano. Ma quando le sue dita avevano lasciato
il tiepido materiale del suo gi color magenta, lui si era girato
leggermente e le aveva preso la mano, stringendola fermamente mentre
l’aveva guardata brevemente negli occhi.
Anche se solo per una manciata di
secondi, Kaoru aveva visto il caleidoscopio di rosa, oro e violetto
nei suoi occhi, come un turbine di petali, ciliegio e prugno, mossi
dal vento verso il sole. Altre prove da aggiungere alla sua teoria
sull’enigma Himura Kenshin: deshi, Battousai, rurouni, ed
attuale residente del Dojo Kamiya.
Mentre Kaoru era la prima ad ammettere
che c’erano molte cose che non sapeva di Kenshin, amava pensare
che dopo oltre un anno di approfondito, forse qualcuno poteva
chiamarlo ossessivo, studio, i suoi sforzi stessero dando i primi
risultati.
Kenshin aveva un autocontrollo quasi
sovrumano; era quasi certa di affermare che il controllo era uno dei
punti chiave della sua vita. Solo un guerriero con un simile
controllo fisico, mentale e spirituale avrebbe potuto ottenere la
reputazione del più grande spadaccino del Giappone.
La più grossa falla nel suo
controllo, tuttavia, era costituita dalle sue emozioni. Si lasciava
coinvolgere troppo. Per sua fortuna, le sue emozioni spesso lo
rendevano più forte, almeno secondo l’opinione di Kaoru.
Ma da qualche parte lungo questo processo, forse quando sua moglie
Tomoe era morta, o alla fine della rivoluzione, il dolore era stato
troppo intenso da sopportare, ed alla fine lui si era ritirato
nell’educata, umile e distaccata facciata del rurouni.
Viaggiare costantemente probabilmente
l’aveva aiutato ad evitare di stabilire saldi legami con
persone e luoghi, anche se ovviamente non aveva impedito agli altri
di affezionarsi a lui. Kaoru non poteva biasimarli. Dio solo sa
quanto mi sia affezionata a lui fin dall’inizio. Se solo si
affezionasse anche lui a me. Ma in fondo ha vissuto a casa mia per
oltre un anno dopo dieci anni di costante vagabondare, quindi questo
deve significare qualcosa per lui.
O forse gli piace solo avere una
casa e della biancheria da lavare, idiota. Avevi deciso che non
volevi pensare più a queste cose, ti ricordi?
Le nuvole si erano abbassate e scurite
mentre si allenava, anche se non sembravano ancora abbastanza
tempestose per portare un po’ di sollievo. Prima che potesse
muoversi per prendere quel sorso d’acqua, il suo pennuto ospite
girò la testa e volò via. Sorridendo, Kaoru lanciò
un’occhiata al pino ora deserto.
“Ehi bellissimo, vorresti una
lezione privata?”
Kaoru scoppiò a ridere per la
sua stupidaggine. Giusto, quindi torna a fare quello che stavi per
fare prima di sentire quel basso ringhio. A quel pensiero, Kaoru
ricordò un semplicissimo fatto che le era sfuggito fino a
quel momento: gli uccellini non ringhiano. Allora quel suono da dove
era uscito?
Preview del Capitolo 3
“Kaoru-dono” ripetè,
non sapendo ancora cosa dire. Avrebbe dovuto dirle che gli
dispiaceva? Che non pensava avesse potuto sopportare di sentire nella
sua voce un tono spaventato o disgustato? Che aveva paura che se lei
lo avesse colto a fissarla con gli occhi dorati avrebbe potuto farsi
un’idea sbagliata, o ancora peggio, una precisa idea di che
tipo di pensieri gli facessero venire in mente quel suo corpo
sinuoso e quelle invitanti labbra rosse? Voleva veramente sapere che
tutto il suo autrocontrollo era rimasto appeso ad un filo, un solo
fragile filo che lo tratteneva dal stringere le sue curve contro il
proprio corpo, tuffarle una mano nei setosi capelli della nuca e
mordicchiarle il labbro inferiore con i denti?
“Va bene Kenshin. Quando vuoi
farlo, fammelo sapere” gli disse lei da sopra una spalla prima
di allontanarsi verso la sua camera.
Farlo…? Oh, sta parlando dei
capelli. Riscuotendosi dal suo stordimento, decise di alzarsi e
andare a fare qualcosa che non richiedesse l’uso del cervello,
tipo spaccare altra legna per il bagno.
Dizionario:
Hakama – una spece di
gonna-pantalone indossata da alcuni praticanti di jujitsu. Ha degli
spacchi che vanno dalla vita fino a metà coscia. Kaoru li
indossa al posto del kimono per allenarsi, e Kenshin e Yahiko li
portano sempre.
Dake-
solo, soltanto
Hitokiri-
assassino
Busu-
racchia (molto rude), nomignolo con cui Yahiko chiama Kaoru.
Aku
Soku Zan- Uccidi il Male all’Istante, il motto di Saito.
Rurouni-
Vagabondo.
Deshi-
discepolo, apprendista.
Ohagi-
una tortina di riso coperta di azuki (marmellata di fagioli rossi),
farina di soia o sesamo. Possono essere fatti in molti colori e
forme, a seconda della stagione e dell’occasione.
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Capitolo 3 *** Capitolo 3 : A Torso nudo a Sudare Sopra di Lei. ***
Hakama
Dake
By
Indygodusk
Traduzione
By Quenya
Capitolo
3 : A Torso nudo a Sudare Sopra di Lei.
Qualche
ora prima
Togliendosi con i denti una
scheggia dal pollice sudato, Kenshin lanciò un’occhiataccia
al tetto che stava attualmente cercando di riparare. Quella giornata
stava andando sempre meglio. Ci mancava soltanto che un gruppo di
bambini iniziasse a lanciargli contro dei meloni marci, e poi sarebbe
stato perfetto. Per fortuna c’era anche Sano ad aiutarlo,
altrimenti non avrebbe sopportato ancora a lungo quella tortura.
Sano si era dimostrato
sorprendentemente abile nel riparare un tetto. Se non fosse stato per
le schegge di legno e il sole bruciante, Kenshin avrebbe potuto
godersi la soddisfazione di un lavoro manuale in sua compagnia.
Megumi-dono era stata anche molto premurosa, fornendogli
continuamente bibite fresche e spuntini durante le lunghe ore di
lavoro.
Sia lui che Sano si erano
aspettati un lavoro veloce, qualcosa che avrebbero potuto finire
prima che l’afa delle ore più calde scendesse su di loro
come una tonnellata di mattoni. Sfortunantamente, una volta saliti
sul tetto tramite la precaria scaletta del Dottor Genzai, avevano
realizzato che l’intera area intorno al buco era sul punto di
collassare e, a giudicare dallo sgradevole odore di certi punti,
stava anche marcendo.
“Sono fortunati a
pagarci poco” aveva borbottato Sano, stringendo il nodo della
bandana rossa in previsione della sudata. Prendendo una cassetta
degli attrezzi, avevano iniziato a togliere i pezzi che non potevano
essere riparati.
Megumi era arrivata circa
un’ora dopo con la sua divisa medica, per controllare i loro
progressi e portargli delle bibite. “Accidenti, fa già
caldo. Bè, come sta andando Ken-san?”
Prima che potesse
rispondere, Sano ribatté “Abbiamo appena finito quello
per cui ci paghi”
“Che vuoi dire Sagara?
Lo state facendo gratis” rispose Megumi stringendo gli occhi.
“Ecco perchè,
prima di proseguire, dobbiamo un attimo rivedere i termini del nostro
accordo. In caso contrario il tetto potrà restare in questo
stato per un altro po’” le ribattè sfrontatamente
Sano.
“Sano…”
iniziò Kenshin, cercando di calmarlo, ma Megumi lo interruppe.
“Davvero? Mi sembra
una proposta accettabile” disse con tono dolce “Fammi
pensare, contando i costi di tutte le tue spese mediche nell’ultimo
anno che non mi hai ancora pagato, ed aggiungendoci tutti
pasti consumati e quelle notti in cui avevi bisogno di un tetto sotto
cui dormire per smaltire una sbornia, penso proprio che dovresti
essere tu a pagare noi, oh” apoggiandosi un
elegante dito sulle labbra color rubino leggermente increspate, fece
una pausa “eh si, fanno diverse miglialia di yen oltre alla
riparazione di questo tetto”. L’esclamazione soffocata ma
perfettamete udibile di Sano fece splendere maggiormente la luce
soddifatta negli occhi di Megumi e le fece apparire un sorrisino
sulle labbra.
“Andiamo, Megumi-dono”
obbiettò Kenshin cercando di interrompere la loro gara di
occhiatacce “lo sai che Sano al momento non ha tutti questi
soldi”
“Ohohoho, certo che
no” disse “ed è per questo ce mi accontenterò
di farmi riparare il tetto…per ora”. All’occhiataccia
di Sano, scoppiò a ridere. “Prenditevi pure una piccola
pausa e bevete qualcosa, ma mi aspetto di ritrovarvi al lavoro quando
tornerò” disse poi, dopo aver scoccato la sua ultima
frecciatina, tornò all’interno della clinica.
Saltando giù dal
tetto, Kenshin prese con gratitudine il bicchiere di tè freddo
e bevve un sorso della rinfrescante bibita, che gli tolse dalla bocca
il gusto salato del sudore e della polvere. Per fortuna Sano non
l’aveva irritata abbastanza da farle riportare via le bibite.
“Dannata volpe”
mugugnò Sano, fissando ancora la donna che si stava
allontanando mentre prendeva il suo tè.
“Ma ti aspettavi
davvero che ci pagasse per questo lavoro?” gli chiese Kenshin a
metà tra l’esasperato e il divertito.
“No, è solo
che…” Sano sospirò e bevve un lungo sorso.
“Dannata volpe, gliela farò pagare una di queste volte…
pensi che mi farà davvero ripagare tutti quei soldi?”.
Finendo il suo tè, Sano diede una pacca sulla spalla a Kenshin
e tornò sul tetto senza aspettare la sua risposta. Appoggiando
la tazza di tè, Kenshin lo raggiunse e ricominciò ad
inchiodare assi alle rimanenti parti del tetto.
Nonostante le lamentele di
Sano, Kenshin dubitava che avesse qualcosa di cui preoccuparsi. Anche
se era un rinomato scroccone, con un conto aperto in quasi ogni
ristorante della città, Sano riusciva sempre a trovare dei
soldi in caso di vera necessità. Aveva il dono di rendersi
simpatico alle persone, a volte malgrado la loro stessa volontà,
e sospettava che quello fosse il caso di Megumi-dono. Lui le piaceva
troppo per farle davvero rivendicare tutto il suo debito (a meno che
non fosse veramente arrabbiata con lui). Su quanto fosse
profondo questo sentimento di ‘simpatia’, Kenshin aveva i
suoi sospetti, ma per ora i due sembravano accontentarsi di
scambiarsi battute ogni volta che potevano.
A volte Kenshin desiderava
che i suoi problemi di debito fossero così semplici. Il suo
debito, o karma, non era mai stato buono, considerando la morte dei
suoi genitori e perfino quella delle pietose donne che avevano
cercato di prendersi cura di lui durante la sua schiavitù.
Inoltre, se vivere con Hiko come suo studente fosse stato una sorta
di redenzione, aveva rovinato pure quello. Dopo tutto il sangue e il
dolore causato quando era un hitokiri, non pensava proprio che dieci
anni di vagabondare e di espiazione sarebbero serviti a bilanciare le
cose. Per quanto lo riguardava doveva ancora molte cose agli spiriti
buoni per tutto il sangue versato che aveva compromesso le vite di
così tante mogli, figli e figlie, durante la rivoluzione e
fino ad oggi. Anche se aveva accettato questo fatto, a suo tempo
aveva creduto che quelle azioni fossero necessarie per il bene della
popolazione, e con rassegnazione ci credeva ancora adesso.
Tutto quello che aveva fatto
o per cui avrebbe pagato era stato per la nascita di un’era, ma
la nascita era sempre qualcosa accompagnata dal sangue, dagli
escrementi e dal dolore: tutti i cambiamenti richiedevano alcuni
stadi di sofferenza. Offrendo in dono tutta la sua anima per un sogno
effimero, lui non avrebbe mai immaginato che oltre una decade dopo,
avrebbe desiderato ricevere qualche cosa in cambio.
Non molto, non abbastanza da
vanificare quel poco di buono che i suoi silenziosi massacri avevano
creato, ma quel tanto che bastava da poter andare da una donna e
dirle, anche se non è molto, accetta questi miei risparmi e
uniscili ai tuoi. Usiamoli per costruire una vita insieme.
Ma non aveva avuto così
tanta fortuna. Al contrario, aveva un debito tale con gli Dei che
questi avrebbero maledetto qualunque donna abbastanza stupida da
sposarsi con lui. Avevano maledetto la sua prima moglie, Tomoe. Ed
avrebbero maledetto anche qualunque donna abbastanza stupida,
gentile, generosa, bellissima, seducente, irresistibile e cieca
abbastanza da donargli il suo cuore.
Che Dio lo aiutasse, non
sapeva per quanto ancora avrebbe potuto restistere a quella vocetta
egoista che lo spingeva a sfidare quella maledizione, a prendere al
volo quel sogno, a fare molto di più che restarle accanto.
Pensava davvero, nella sua arroganza, che sperare di migliorare il
suo debito con gli Dei fosse così facile? O che potesse
ingannarli così semplicemente? No, no la sua arroganza non
arrivava a tanto.
Sarebbe stato meno
spregevole se fosse stato così. Invece, era al corrente
dell’oscurità che incombeva sul suo futuro, ma era lo
stesso troppo debole per permettere al sole di illuminare pienamente
le vite di quelli intorno a lui.
Restando con lei così
a lungo, aveva ostentato la sua debolezza a se stesso e agli Dei.
Aveva sfiorato la tragedia più di una volta, e più di
una volta l’aveva quasi persa. Nonostante questo, il suo cuore
si era rifiutato di accettare quegli avvertimenti, come avrebbe
saggiamente dovuto fare. Il suo cuore voleva restare –
mettere profonde radici nel ricco e scuro terreno della casa di lei,
intrecciare rami sinuosi intorno alle pareti di legno, estendere
steli venati di gioiosa linfa vitale e far spuntare foglie dai bordi
di giada in ampie fronde, per proteggere la pallida carnagione di
Kaoru dagli impietosi elementi. Voleva che lei si sedesse tra le sue
curve radici, appoggiasse il corpo contro il suo tronco, e lasciasse
che il sussurro ondeggiante dei suoi rami la cullasse in un mondo di
sogni, dove i dispiaceri sparivano e regnava soltanto la gioia.
Perché lei faceva
questo per lui. Per Kenshin, ogni volta che tornava al dojo e vedeva
l’insegna scolorita dal sole che faceva da sentinella al
portone, che passava attraverso la leggera, aleggiante essenza di
gelsomino, unita all’odore dei pini del cortile, che avvertiva
le emanazioni del suo melodico ki, e che sentiva il suo gioioso
“Okaeri”, ogni volta era un monito. Gli ricordava che per
il momento il suo vagabondare era finito e che viveva nella gioia;
che viveva con Kaoru.
Riparare
il tetto non era poi così male; era il sole bruciante a
rendere l’esperienza quasi insopportabile.
Kenshin temeva che si
sarebbe sciolto, colando dal buco del tetto sul pavimento della
clinica in una pozza di arancione, rosso e bianco e macchiandolo
permanentemente. I bambini avrebbero urlato, indicando con disgusto
il sangue, ma Megumi-dono li avrebbe calmati dicendogli “non
abbiate paura, sono solo i resti del nostro rurouni, che si è
sciolto durante l’ultima ondata di caldo, non vi ricordate?
Vedete il contorno e il colore dei suoi capelli, del suo gi e dei
suoi hakama? Allora ubbidite alle vostre mamme quando vi dicono di
non restare troppo sotto al sole”, e con calma li avrebbe
rimandati a giocare.
A quella bizzarra piega dei
suoi pensieri, Kenshin si chiese se fosse restato troppo a lungo a
lavorare sotto il sole. Forse era giunto il momento di fare un'altra
pausa? Il sudore gli inzuppava il gi e le pieghe degli hakama, come
riprova più del caldo violento che di qualsiasi altro lavoro
faticoso. Mentre lavorava, il sudore gli colava intermittentemente
dalle ciocche bagnate della frangetta sulle guance, sulle mani e giù
fino al terreno.
Sano aveva resistito circa
una mezzora dopo la loro prima pausa tè, prima di togliersi la
casacca e le bende intorno alla vita. Kenshin era seriamente tentato
di fare lo stesso, ma il buon senso lo aveva trattenuto. Non che
fosse timido; era solo che c’erano certe cose che sapeva
benissimo di non poter fare, tipo lavorare con addosso solo gli
hakama su un tetto sopra una strada affollata.
La maggior parte delle
persone in quella città non avevano idea che Kenshin il
rurouni una volta era conosciuto come l’Hitokiri Battosai.
Molti pensavano addirittura che fosse un sempliciotto con scarse
qualità. Le cicatrici che si incrociavano sul suo petto
muscoloso, tuttavia, parlavano di tutta un’altra sanguinosa
storia. Molte di quelle cicatrici avrebbero fatto nascere domande
alle quali avrebbe fatto molto meglio a non rispondere ed avrebbero
suscitato problemi con cui non avrebbe voluto aver niente a che fare.
Quindi continuò a lavorare nel suo sudato tormento mentre
Sanosuke gli lavorava accanto, lievemente più fresco con
addosso soltanto i suoi pantaloni bianchi.
Asciugandosi il sudore dalla
fronte con una mano, Kenshin si sporse dalla sezione aperta del tetto
per emettere un ripettoso “Megumi-dono?”
“Arrivo Ken-san!”
gli rispose la sua voce dall’interno della clinica. Un momento
dopo arrivò nella stanza sotto di loro, guardandosi ancora
alle spalle ed asciugandosi le mani con un asciugamano.
“Il pranzo è
quasi pro…” a quel punto Megumi finì di
asciugarsi le mani, alzò lo sguardo e si bloccò.
Osservando con confusione la
sua paralizzata figura e la sua espressione attonita, Kenshin seguì
il suo sguardo. Sguardo che attualmente si era posato su un
estremamente ignaro Sanosuke Sagara. Più precisamente un Sano
sudato ed a torso nudo che, dopo aver inchiodato la sua ultima asse,
sedeva con le braccia muscolose incrociate dietro la testa, mentre
sorrideva pieno di orgoglio maschile al suo operato. Kenshin
supponeva che fosse una visione in grado di stordire qualunque donna.
Anche se Kaoru avrebbe potuto approfittare dell’occasione e
mentre Sano era distratto, lanciargli qualcosa e fargli perdere
l’equilibrio, pensò con un sorriso.
“Megumi-dono” la
chiamò a bassa voce, cercando di farla uscire da quella specie
di trance senza richiamare l’attenzione di Sano. “Megumi-dono”
“Huh” lei puntò
occhi vacui e labbra socchiuse nella sua direzione, prima di
riprendersi scuotendosi come i cani fanno con l’acqua, “Si,
giusto. Siete pronti ad andare a lett- voglio dire a tavola? Sarete
affamati” disse. Sorridendo debolmente, gli fece cenno di
scendere. “Il pranzò è già pronto in
sala”.
Alla parola pranzo, Sano si
riscosse dal suo auto-congratularsi per accettare calorosamente la
pausa. Sfortunatamente per lui, arrivò troppo tardi per vedere
la precedente espressione di Megumi, e lei fu molto attenta a
voltargli spalle mentre li conduceva verso le stanze interne della
clinica.
Nota dell’Autore
Mi dispiace tanto! Il
preview che avevo fatto di questo capitolo è finito per essere
spostato al capitolo successivo. Una nota positiva, però, è
che ho già scritto il prossimo capitolo, sto solo aspettando
che il mio beta-reader me lo restituisca. Quindi non dovrete
aspettare un mese per l’aggiornamento (spero).
Dizionario
:
Hitokiri-
assassino
Ki- energia vitale di
un’individuo.
Okaeri(-nasai)-
bentornato.
Hakama- una spece di
gonna-pantalone indossata da alcuni praticanti di jujitsu. Ha degli
spacchi che vanno dalla vita fino a metà coscia. Kaoru li
indossa al posto del kimono per allenarsi, e Kenshin e Yahiko li
portano sempre.
|
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Capitolo 4 *** Capitolo 4 : Non Rimpiangere il Modo in Cui lo Finirai ***
Hakama
Dake
By
Indygodusk
Traduzione
By Quenya
Capitolo
4 : Non Rimpiangere il Modo in Cui lo Finirai
Dentro la clinica, Megumi li fece
accomodare su una panca in disparte dal resto dei suoi pazienti. Sano
immediatamente si buttò sul suo piatto di spaghetti freddi, ma
Kenshin si soffermò ad ispezionare la stanza. Al momento
c’erano solo due gruppi di persone.
Il
primo gruppo consisteva in una madre e i suoi tre bambini. Il più
giovane era un neonato, con il piccolo pugno chiuso intorno al dito
di un fratello mentre succhiava silenziosamente dal seno della madre.
Nessuno di loro sembrava ferito o malato, e il loro ki sembrava
calmo, privo dell’oscurità che si accompagnava al
dolore. Giudicò che non fosse urgente, ma forse solo una
visita controllo su come il neonato reagisse al caldo.
L’altro gruppo sembrava essere
composto da tre ragazzi. Uno aveva un avambraccio fasciato. I suoi
due amici continuavano a guardare verso il corridoio dove Megumi era
sparita. Probabilmente stavano aspettando che gli portasse qualche
medicina o una prescrizione prima di andare via.
Prendendo tra le mani la fredda
ceramica blu che conteneva il suo pranzo, Kenshin bevve un sorso del
saporito brodo. Dopo aver inghiottito il primo boccone degli
spaghetti freddi, fece un sospiro di soddisfazione. Gli piaceva
quell’occasionale diversivo di mangiare un pranzo delizioso
preparato da qualcun altro.
La povera Kaoru era stata più
che volenterosa di dargli il cambio in cucina. Ma nonostante le sue
buone intenzioni, ad un certo punto i suoi sforzi finivano sempre in
disastri poco prima di raggiungere la tavola. No, decisamente poteva
affermare molte cose dei piatti cucinati da Kaoru, ma l’aggettivo
delizioso non era tra quelle. Tuttavia c’erano molte altre
compensazioni. Il minimo complimento a qualunque aspetto della sua
cucina rendeva timidi i suoi normalmente impetuosi sorrisi e le
faceva risplendere quegli occhi blu come il cielo. Inoltre stava
diventando un pochino più brava a rendere i suoi piatti almeno
commestibili.
Sorridendo, continuò a mangiare
e si chiese se avrebbe finito di insegnare al dojo del suo amico
troppo tardi o se avrebbe fatto in tempo a raggiungerli alla clinica
per pranzo. Non voleva che dovesse mangiare da sola. Magari anche lei
avrebbe gradito mangiare qualcosa non cucinato da lui, per una volta.
Al di sopra del rumoroso mangiare di
Sano, Kenshin udì un nome familiare pronunciato dal trio di
ragazzi. Inclinando la testa, bevve un sorso di brodo e iniziò
ad ascoltare la loro conversazione.
“Scommetto che i corsi di oggi
saranno stati cancellati, il che significa niente lividi oggi, eh
Nakago?” scherzò il più alto dei due ragazzi
appoggiati al muro, vicino a dove era seduto il loro amico ferito.
“Molto spiritoso, Naomu”
replicò il ferito Nakago, facendogli una linguaccia.
“Se volete la mia opinione”
si intromise il terzo ragazzo “abbiamo ricevuto molti più
tagli, sbucciature e lividi cercando di scavare quel pozzo di quello
che avremmo avuto in una singola lezione. Dopo un’ora avrei
voluto implorare Sensei di picchiarmi per un po’ solo per
sfuggire allo scavare”
“Magari l’avessi fatto,
forse sarei venuto con te e non mi sarei tagliato con quella dannata
pala” rispose Nakago.
“Jirou si lamenta soltanto perché
oggi non ha potuto farsi correggere la posa da Kamiya-sensei”
buttò lì Naomu, ridendo al rossore di Jirou.
Al nome di Kaoru, Kenshin si irrigidì,
ed appoggiò lentamente la ciotola sul tavolo.
“Quando avrà finito con
te, non vedo l’ora che mi metta le mani addosso tutte le volte
che vuole” disse Nakago in modo provocante “Avete notato
tutte quelle ‘lezioni private’ che i nostri Sensei fanno
insieme? Non dispiacerebbe neanche a me averne una a stretto contatto
con Kamiya”. Nakago e Naomu risero insieme, anche se la risata
di Naomu suonava un po’ sorpresa per l’audacia di Nakago.
Attraverso il frastuono nelle sue
orecchie, Kenshin sentì come in lontananza uno schiocco secco.
Gli ci volle un momento per identificare il suono: le bacchette gli
si erano rotte nella furiosa stretta delle sue mani.
Jirou si raddrizzò dalla sua
posa scomposta contro il muro, a disagio. “Kamiya-sensei non è
quel tipo di ragazza. Dovreste portarle maggior rispetto”
Nakago sospirò e alzò gli
occhi al cielo “Ho un sacco di rispetto per Kamiya” fece
una pausa, rendendo la mancanza dell’onorifico ancora più
ovvia quella seconda volta “Per il suo corpo pieno di curve e
per la sua tecnica di spada” aggiunse poi.
“Nakago!” esclamò
Jirou
“E comunque” continuò
l’altro imperterrito “lei vive da sola con due uomini a
cui non è imparentata, con quel teppista da strada e con
chissà quanti altri uomini che circolano da quelle parti. Non
penso che sia così innocente”
Kenshin, con il volto nascosto dalla
cascata dei capelli color mogano, tremò per lo sforzo di
restare seduto.
Non
muoverti. Non azzardare ad alzarti, Himura! Non iniziare, perché,
nonostante le loro parole, non sono altro che degli stupidi ragazzini
che si approfittano di questo tempo di pace per dire cose del genere.
Non iniziare niente, a meno che tu non possa garantire che non ti
pentirai del modo con cui lo porterai a termine. Controllati, Himura,
controllati.
In quel momento Sano finì i suoi
spaghetti con rutto di soddisfazione. Notando Kenshin stringere nei
pugni dalle nocche sbiancate un paio di bacchette spezzate e un
leggero tremore scuotergli il corpo, i suoi sensi scattarono subito
sul chi vive. Girandosi, capì subito l’oggetto della
furia di Kenshin. Si voltò giusto in tempo per sentire il
collegamento del suo nome con quello di Kaoru.
“Piccoli bastardi” sibilò,
non facendo nessuno sforzo per tenere la voce bassa mentre si alzava
torreggiando dal suo metro e novanta. Al movimento di Sano, i nervi
strettamente contratti di Kenshin fecero balzare in piedi anche lui.
Un’espressione di terrore si
dipinse sui volti dei tre ragazzi quando si ritrovarono a fissare
degli infuriati Sano e Kenshin che dall’altra parte della
stanza avanzavano verso di loro.
Osservando Kenshin con la coda
dell’occhio, Sano vide qualcosa che lo fece sussultare.
Allungando una mano, gli strinse un braccio in un gesto di
avvertimento. “Ci penso io”
Voltandosi verso il trio con
un’espressione dura negli occhi, Sano avanzò
minacciosamente “Avrete il coraggio di insultare Jo-chan
davanti a me? Oppure avrete il coraggio di farlo davanti a lei,
mocciosetti cagasotto? Mettetevi pure in fila, perché uno di
noi si divertirà un sacco a darvele di santa ragione”
finì Sano in un basso ringhio, scrocchiandosi le nocche.
Impallidendo, Nakago inciampò
quasi nei suoi stessi piedi per la fretta e i tre se la diedero a
gambe, sparendo oltre la porta, inciampando e piagnucolando scuse
mentre correvano via.
Megumi ritornò con una sacchetta
di erbe appena in tempo per assistere a quella scomposta uscita di
scena.
“Che è successo qui?”
Osservando Sano stare sul punto di inseguire i ragazzi in fuga, mentre
ritmicamente apriva e chiudeva le mani in stretti pugni, strinse gli
occhi.
“Sano” lo accusò
“cosa hai fatto ai miei pazienti?”
Bloccandosi, lui fece un profondo
respiro e riuscì in qualche modo a contentrarsi di nuovo su
Megumi. “Niente…per ora. Stavano parlando male di
Jou-chan”
Gli occhi e la posa di Megumi si
irrigidirono ancora di più, anche se quasta volta non era
diretto a Sano. “Immagino che non vorranno queste erbe per
calmare il dolore, allora”
Lanciò un’occhiata alla
figura rigida di Kenshin prima di commentare piano “Non si
erano accorti che eravate nella stanza, eh?”. Poi lasciò
cadere l’argomento.
"Un
paziente che mi doveva un favore mi ha portato il resto del materiale
per il tetto che vuoi due avevate detto che vi serviva, quindi
dovreste farcela a finirlo per oggi pomeriggio”. Scostandosi i
capelli dietro una spalla con una mano, chiese con un sopracciglio
alzato “Hai finto di mangiare?”
Kenshin guardò il bambino
fissarli con occhi sgranati da dietro il bordo del kimono logoro
della madre, poi abbassò lo sguardo sulla ciotola mezza piena
di spaghetti abbandonati nel loro brodo sulla panca. Aveva perso
l’appetito. A testa bassa, uscì fuori senza il minimo
rumore e tornò sul tetto.
Spesso benediva la lunghezza della sua
frangia che, con un’ormai ben studiata inclinazione della
testa, era abbastanza lunga da nascondergli gli occhi e i segreti che
questi rivelavano.
Vivendo
con Hiko - il quale non era tipo da fare commenti sull’aspetto
di una persona a meno che questo non fosse collegato con una tecnica
con la spada - si era dimenticato dei suoi occhi. L’aveva
dimenticato o forse non l’aveva mai saputo, magari da bambino
era stato diverso. In ogni caso, una volta partito per unirsi alla
rivoluzione, la particolarità dei suoi occhi e i segreti che
rivelavano erano diventati evidenti per Kenshin.
Anche
se non aveva mai avuto uno specchio, Kenshin possedeva un udito
eccezionale. Spesso i sussurri gli avevano rivelato quello che la
mancata osservazione del proprio aspetto non aveva potuto fare: che
come il suo umore cambiava, così anche i suoi occhi mutavano.
Quando era calmo, pensieroso o triste, i suoi occhi erano di un viola
chiaro. Emozioni intense, come la rabbia o il dolore, la passione o
la gioia, li cambiavano. Quando era preda di questi sentimenti,
dicevano che i suoi occhi diventassero di un brillante color oro.
Aveva passato la maggior parte della
rivoluzione con gli occhi color oro. Più di una volta aveva
sentito che lo descrivevano come un demone dagli occhi ambrati che si
bagnava nel sangue delle sue vittime, colorando i suoi capelli di
rosso con il sangue incrostato.
Di solito ignorava quei commenti, ma
nel cuore della notte, quando l’aria era densa del profumo
soffocante della fioritura notturna di alcuni fiori, a volte durante
quelle notti si domandava come sarebbe stato cambiare in qualcosa di
cui avrebbe potuto avere il controllo. Si domandava se tingendosi i
capelli di nero o tagliandoli a zero avrebbe fermato almeno la metà
di quei commenti sussurrati.
Negli
anni seguenti aveva concluso che il lavoro dell’assassino,
combinato - era imbarazzante da ammettere - a volubili ormoni
adolescenziali, gli aveva fatto quasi dimenticare la precedente
esistenza degli occhi violetti. C’erano voluti dieci anni di
vagabondare, ammenda e maturazione prima che il viola riapparisse nei
suoi occhi e dominasse su tutto. Ma anche adesso, l’oro tornava
alla superfice quando il suo autocontrollo si indeboliva e le sue
passioni si infiammavano. In quei momenti, sentire le esclamazioni
scioccate gli faceva venire in mente ricordi di un tempo che aveva
cercato a lungo di dimenticare. Così era per questo che aveva
tenuto la sua frangetta così lunga. Quando si sentiva
sopraffatto da qualcosa, cercava di ricordarsi di nascondere
qualunque colore i suoi occhi tradissero dietro uno schermo di ombre
e ciocche color mogano.
Tuttavia,
Kaoru se n’era accorta. Era quasi certo che avesse notato
qualcosa. Ma non era interamente sicuro di quanto lei sapesse o
sospettasse. Di solito il suo viso espressivo le faceva leggere
chiaro in faccia quello che provava, lasciando nessun dubbio su
quello che pensava riguardo ad una persona o ad una situazione. Però,
ogni tanto, lei si ritirava dietro una facciata di allegria che, se
osservata attentamente, si rivelava essere solo uno schermo
traslucido che oscurava le ombre dei suoi pensieri. La sua usuale
trasparenza faceva risaltare questo comportamento ancora di più,
perché, al contrario delle altre persone, lui sapeva che Kaoru
doveva sforzarsi per nascondere i propri pensieri. Doveva fare un
grosso sforzo per ingannare coscentemente qualcuno.
Kenshin
aveva capito che lei aveva notato la sua abitudine di nascondere gli
occhi, perché si era offerta di tagliargli i capelli ormai
diverse volte. L’ultima era stata solo un mese prima.
Passi
esitanti avevano annunciato la sua presenza sull’ombroso
portico dove lui era seduto. Era arrivata quasi al suo fianco prima
di sedersi, ripiegando con attenzione l’orlo del suo kimono
rosso e violetto sotto le ginocchia. Quel movimento aveva creato la
diffusione di un leggero aroma di gelsomino su di lui. Lentamente,
come un coniglietto pronto a ritornare nei cespugli al minimo rumore,
una delle sue piccole mani si era estesa. Curioso, lui era rimasto
immobile. Tre dita gli avevano alzato gentilmente una ciocca di
capelli, e i suoi calli ne avevano catturato alcuni.
"Stanno
diventando molto lunghi” aveva mormorato, lisciandone
tentativamente le punte con un dito. Il tocco leggero delle sue dita
sulla schiena gli aveva fatto rilassare i muscoli contratti e gli
avevano portato un lieve e tremolante sospiro alle labbra. Dopo un
po’ lei aveva ricominciato a parlare, ma le palpebre di Kenshin
avevano cominciato ad appesantirsi sotto gli accennati tocchi delle
sue dita. “Potrei tagliarteli io se vuoi, ed anche la
frangetta. Così entrambi riusciremmo a vedere un po’ più
chiaramente” aveva detto con un tono scherzoso che però
non era riuscito a coprire interamente uno più serio.
Eh?
Che cosa vorrebbe dire con questo? Il languore era svanito e lui
si era teso, incapace di controllare l’improvvisa apprensione
che quelle parole gli avevano causato. Lei doveva aver sentito i
muscoli irrigidirsi sotto le sue dita. La sua mano aveva smesso di
lisciargli i capelli ed aveva fatto una pausa allargandosi in un
caldo ventaglio alla base della schiena, con il mignolo appoggiato al
bordo degli hakama.
"Sessha
non vuole disturbarti per questo, Kaoru-dono. Non preoccuparti per
me, ci vedo bene anche così”
Un
altro momento di silenzio era passato prima che lei rimuovesse la sua
piccola, calda mano e si alzasse in piedi. “Va bene Kenshin,
come preferisci…”
“Grazie per il pensiero,
Kaoru-dono” le aveva risposto, sperando che non fosse
arrabbiata o dispiaciuta.
Lei aveva sospirato, ma quando lui si
era girato l’espressione del suo viso era sembrata allegra e
serena. Era chiaro che aveva alzato ancora quello schermo,
nascondendogli quello che realmente sentiva.
"Kaoru-dono…”
aveva mormorato, non sapendo cos’altro dire. Sapeva soltanto
che voleva che gli mostrasse il suo vero volto. Cercando nelle pozze
blu profondo dei suoi occhi, si era sentito perso. Per un momento gli
occhi di lei avevano a loro volta cercato inscrutabilmente nei suoi,
poi aveva sbattuto le palpebre e quando le lunghe ciglia si erano
aperte, lo schemo era scomparso. Nell’arco delle sue
sopracciglia, nell’inclinazione del suo naso, nel capriccio
delle sue labbra e nella luce dei suoi occhi, lui aveva letto
tristezza, preoccupazione ed affetto.
“Kaoru-dono…”
ripetè, ma non conoscendo il suo umore, non sapeva cosa dire.
Avrebbe dovuto dirle che gli dispiaceva? Che non pensava avesse
potuto sopportare di sentire nella sua voce un tono spaventato o
disgustato? Che aveva paura che se lei lo avesse colto a fissarla con
gli occhi dorati avrebbe potuto farsi un’idea sbagliata, oppure
(ancora peggio) la precisa idea di che tipo di pensieri gli
facessero venire in mente quel suo corpo sinuoso e quelle invitanti
labbra rosse? Voleva veramente sapere che tutto il suo autrocontrollo
era rimasto appeso ad un filo, un solo fragile filo che lo tratteneva
dal stringere le sue curve contro il proprio corpo, tuffarle una mano
nei setosi capelli della nuca e mordicchiarle il labbro inferiore con
i denti?
“Va bene Kenshin. Quando vorrai
farlo, fammelo sapere” gli aveva detto da sopra una spalla,
alzandosi con grazia, prima di allontanarsi verso la sua camera.
Farlo…? Oh, sta parlando dei
capelli. Seguendo con gli occhi la sua figura che si allontanava
fino a quando non aveva voltato l’angolo, c’era voluto un
po’ prima che fosse riuscito a riscuotersi dal suo stordimento.
Alzandosi, Kenshin aveva deciso di andare a fare qualcosa che non
richiedesse l’uso del cervello, tipo spaccare altra legna per
il bagno.
Era successo soltanto un mese prima,
pensò, togliendosi con irritazione un’altra scheggia dal
dito. Gli aveva toccato i capelli e la schiena in un modo così
naturale, anche se timidamente, soltanto un mese prima. Per questo
non riusciva a capire perché, nella scorsa settimana,
riuscisse a stento a sopportare la sua presenza. Non si comportava in
modo crudele verso di lui, gli dimostrava ancora la sua gentilezza e
il suo caratteraccio. Ma il modo con cui lo trattava era, in qualche
modo, molto diverso.
Probabimente era qualcosa che aveva a
che fare con la sera in cui avevano mangiato il pesce. Sulla via di
casa, avevano incontrato una coppia sposata che Kaoru conosceva. Dopo
quella conversazione, lei gli era sembrata pensierosa e malinconica.
Kenshin si era chiesto se fosse triste perché amava ancora il
suo primo amore, Tomoaki, e adesso lui era sposato. Non riusciva a
vederla flirtare con un uomo sposato, proprio non ci riusciva.
Ma Kaoru era indubbiamente infelice per qualcosa.
Poi, a casa, Yahiko se n’era
uscito con qualcosa riguardo a Kaoru che aveva scambiato il pesce per
un regalo. Lei stessa ci aveva riso sopra, ma c’era stata una
sfumatura falsa nella sua espressione e nella sua voce.
Kaoru dava così tanto di se
stessa, eppure riceveva così poco in cambio…avrebbe
dovuto regalarle qualcosa. Era passato tanto tempo da quando le aveva
portato anche solo un pensierino. Non voleva fare una mossa
sbagliata, ma visto che nemmeno lui sapeva qual’era la mossa
giusta, aveva finito per non darle niente. Adesso però, aveva
paura che questa sua mancanza di azione avrebbe potuto essere la sua
rovina. E se l’avesse persa? Persa, perché non le aveva
fatto capire prima quanto l’apprezzasse, quanto significasse
per lui? E se lei lo avesse lasciato? Aveva sempre pensato che se si
fossero separati, sarebbe stato perché lui se ne fosse andato,
non il contrario.
Non
sapeva che cosa avesse causato quel cambiamento, o quale fosse il
collegamento con la sera del pesce, sapeva solo che c’era
stato. Per tutta la scorsa settimana lei era andata avanti senza
guardarlo né toccarlo. Avrebbe potuto radersi i capelli a zero
e lei non l’avrebbe comunque guardato negli occhi. Non aveva
mai alzato lo sguardo abbastanza a lungo da notarli. Doveva cercare
di cambiare quella situazione in qualche modo, far ritornare le cose
a come stavano prima o anche cambiarle del tutto, basta che non
fossero più come in quella settimana. Non ne poteva davvero
più di quel trattamento.
Ritrovandosi improvvisamente senza
niente in mano, Kenshin sbattè le palpebre e si guardò
intorno. Sano si era seduto sull’orlo del tetto e stava bevendo
da una brocca. Scuotendo la testa, si guardò ancora intorno e
realizzò che non se l’era immaginato, il tetto era
veramente finito. Risollevandosi un po’, anche se il problema
di Kaoru gli ronzava ancora senza sosta in un angolo della sua testa,
Kenshin raggiunse Sano, prese una brocca di terracotta dalle sue mani
e bevve.
“Sano! Oi, Sano!” chiamò
Yahiko con la faccia arrossata, mentre si arrampicava sul tetto
praticamente senza fiato. Kenshin avvertì un’ondata di
preoccupazione vedendo la sua urgenza, ma Sano riprese con calma la
brocca e prese un altro sorso d’acqua.
“Come fai a correre con questo
caldo? E che diavolo vuoi?” chiese dalla sua posizione sul
tetto.
"Devi
darmi di un po’ di soldi”
“Vuoi che ti procuri un prestito
ad un buon tasso? Ok” chiese Sano prima di finire l’ultimo
sorso dalla brocca e scuotendola un po’ per assicurarsi che
fosse veramente vuota.
“No, volevo dire che devi
sganciarmeli tu”
“Aspetta un attimo, Yahiko-chan”
si strozzò quasi Sano.
"Non
chiamarmi chan!” urlò lui, facendo inaspettatamente
cadere giù Sano dal tetto con un pezzo di legno marcio trovato
vicino al muro della clinica.
"Non
abbiamo tempo” dichiarò Yahiko quando arrivò
vicino alla figura sdraiata di Sano “Ha detto che avrebbe
garantito quel prezzo soltanto per un’altra ora. Devi venire
subito! E comunque hai un debito con me, per non aver detto niente a
Megumi, ti ricordi? Altrimenti potrei dirglielo anche adesso”
minacciò, incrociando le braccia.
"No,
no, arrivo…” borbottò Sano con un grugnito mentre
si alzava da terra.
Incuriosito da qualunque segreto Yahiko
sapesse su Sano, Kenshih ridacchiò. “Mentre voi due
sbrigate i vostri misteriosi affari, io tornerò al dojo a
vedere come sta Kaoru-dono”.
Magari una camminata da solo gli
avrebbe dato la possibilità di schiarirsi la testa e capire
cosa fare. Se avesse avuto fortuna, al suo arrivo avrebbe trovato
Kaoru che si allenava con calma nel dojo, sfoggiando un sorriso di
benvenuto mentre lo guardava negli occhi e diceva “Okaeri”,
proprio come aveva sempre fatto.
Nota dell’Autore : la mia beta,
Katyclismic, mi ha fatto morire. Ha deciso di suggerire una piccola
modifica alla frase finale del capitolo. Ammetto ho pensato
seriamente di farlo, ma alla fine ho deciso che non sarebbe stato
adeguato. Lo pensa qualcun altro o siamo soltanto noi due ad essere
strane? In ogni caso ecco la modifica:
Se
avesse avuto fortuna, al suo arrivo avrebbe trovato Kaoru che si
allenava con calma nel dojo, sfoggiando un sorriso di benvenuto”
E NIENT’ALTRO!! MWAHAHAHAHAHA
Nel prossimo capitolo, quello che tutti
state aspettando – Kenshin torna a casa e… cosa vede?
Dizionario:
Hakama- una spece di
gonna-pantalone indossata da alcuni praticanti di jujitsu, e che
costituiva l’abituale indumento maschile nell’epoca
Meiji. (Prima dell’era Meiji erano usati soltanto dalla classe
dei samurai). Ha degli spacchi che vanno dalla vita fino a metà
coscia. Kaoru li indossa al posto del kimono per allenarsi, e Kenshin
e Yahiko li portano sempre.
(Ringrazio Kathryn Angelle per il
chiarimento.)
Hitokiri-
assassino.
Busu-
racchia (molto rude), nomignolo con cui Yahiko chiama Kaoru.
Rurouni-
Vagabondo
Deshi-
discepolo, apprendista
Sensei-
maestro.
Okaeri(nasai)-
Bentornato.
Yukata- kimono di cotone leggero
indossato l’estate o dopo il bagno, non pesante o stratificato
come un kimono. Viene usato anche per dormire.
Jou-chan-
Signorina, il soprannome che Sano ha dato a Kaoru.
<Nomi:
I
3 studenti nella clinica
Jirou-
figlio misericordioso (difende Kaoru)
Naomu-
stimato guerriero
Nakago-
figlio minore (insulta Kaoru. In confronto ai suoi amici il suo nome
suona banale, così fa il gradasso per sentirsi meglio, lol)
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Capitolo 5 *** Capitolo 5 : Un bagno al fiume ***
Hakama
Dake
By
Indygodusk
Traduzione
By Quenya
Capitolo
5 : Un Bagno al Fiume
Strati di impalpabile polvere gialla
ricoprirono le labbra di Kenshin mentre tornava al Dojo Kamiya. I
suoi passi leggeri e la lieve brezza sollevavano nuvole di polvere
dalle sporche strade della città, impastandogli la bocca. Si
appiccicava alla sua faccia ed al collo sudati e questo rese il suo
umore ancora più cupo. Non che non avesse mai camminato, in
dieci anni di vagabondare, sotto il sole infuocato in una strada
deserta, assaggiando l’amaro gusto della polvere. Aveva
viaggiato sotto ad ogni tipo di tempo atmosferico, sole, vento e neve
turbinante. Eppure non ricordava di essersi mai sentito più
miserabile di adesso.
Questo
perché non è il tempo a tormentarti, è il modo
in cui ti tratta Kaoru.
Per oltre un anno non se l’era
sentita o non aveva voluto rischiare di avere di più da lei.
Ma dopo quella settimana, aveva capito che non sopportava avere di
meno. Si era illuso che lei non sarebbe mai cambiata. Che anche se un
giorno lei avesse avuto una famiglia sua (con dolorosa chiarezza
riusciva ad immaginarsi Kaoru che stringeva tra le braccia con aria
sognante un neonato con i suoi stessi occhi blu, anche se non era mai
riuscito ad immaginare l’ipotetico marito), la vita al dojo
sarebbe continuata come prima. Oppure si era immaginato che avrebbe
finalmente scelto di andarsene nel nobile tentativo di proteggerla
dal suo pessimo karma. Non l’aveva mai sfiorato l’idea
che sarebbe stata lei a lasciarlo di sua volontà.
Con irritazione si asciugò il
sudore impastato a polvere che gli colava sulla fronte. Tutta quella
situazione lo stava facendo impazzire. La frustrazione era tale che
avrebbe voluto tovare il modo di provocarla. Farla reagire in qualche
modo per farla guardare ancora verso di lui, dentro di lui, con quel
sorriso che gli diceva che lo notava, che lo capiva e che lo
accettava.
Passando sopra un ponte, Kenshin
abbassò lo sguardo sul lento scorrere del fiume sotto di lui.
Riflesse tra il marrone, il verde e il blu dell’acqua, notò
diverse ombre bianche. Incuriosito si guardò intorno per
capire la loro provenienza. Ah, le nuvole…Kaoru sarà
contenta.
Curvando le labbra in un lieve sorriso,
Kenshin finì di passare sul ponte e deviò dalla strada,
dirigendosi verso il bosco chiazzato dal sole. Guardando l’acqua
gli era venuta un’idea. Decise di fermarsi al fiumiciattolo che
costeggiava il dojo per lavare via un po’ di polvere e sudore.
Forse, oltre che a rinfrescargli il corpo, lo avrebbe aiutato anche a
sbollire la rabbia. Aveva bisogno di tutte le sue risorse per capire
come impedire a Kaoru di allontanarsi da lui ancora di più.
Non poteva metterci troppo, però.
Se Sano e Yahiko fossero tornati al dojo e non lo avessero trovato,
aprebbero potuto dirle qualcosa in grado di far preoccupare Kaoru.
Certo, ora che ci pensava, questo avrebbe potuto romprere il suo
distacco, ma non poteva farla preoccupare. Gliel’aveva
promesso. E comunque lei aveva già abbastanza problemi senza
che lui gliene creasse altri.
Quante persone in città parlavano dietro le spalle di Kaoru a causa
sua? Perché aveva accolto lui e Yahiko dentro la sua casa e,
amava credere, nel suo cuore? Sfortunatamente quel giorno non era
stata la prima volta che aveva sentito insinuazioni del genere.
Quando in passato era accaduto, era stato in grado di costringere con
calma e con educazione le persone che l’avevano offesa ad
ammettere che si sbagliavano
Ma questa volta era stato diverso.
Forse era stato perché era ancora scosso dal comportamento
freddo di Kaoru della scorsa settimana. In ogni caso, la sua rabbia
era esplosa, violenta e bruciante. Come hanno osato insultare
Kaoru! Invece di cercare di convincerli a rispettare maggiormente
Kaoru in futuro, il suo corpo lo aveva implorato di fare qualcosa di
dannoso e permanente nel presente. Tipo fargli vedere che se una pala
poteva ferire la pelle, una spada tagliava ancora meglio, ed incidere
nella loro carne un messaggio che non avrebbero più
dimenticato.
Una furia così violenta lo aveva
colto di sorpresa, rendendolo timoroso di muovere anche un singolo
muscolo. Sapeva di cosa era capace quando era preda di una rabbia del
genere. Kenshin aveva temuto che se si fosse mosso, non avrebbe
riguadagnato il controllo sulle proprie azioni fino a quando non
avesse commesso qualcosa di così orribile che sarebbe stato
costretto a vagabondare di nuovo, lontano da Kaoru e dalla famiglia
che aveva creato li.
Per loro fortuna, Sano aveva scelto il
momento giusto per lanciare un’occhiata a Kenshin. Il suo lieve
indietreggiare indicava che aveva capito quanto Kenshin stesse
vacillando sull’orlo della violenza.
Nello sforzo di riguadagnare il
controllo, Kenshin aveva immaginato che una pesante catena lo avesse
avvolto dalla testa ai piedi, trattenendolo dal precipitare
nell’abisso della furia. Su ogni pesante anello, lui aveva
faticosamente inciso una ragione per non lasciarsi andare alla
violenza e spargere sangue.
Anello
1. Se mi muovo, loro moriranno.
Anello
2. Se moriranno, dovrò lasciare Kaoru.
Anello
3. Kaoru deve essere protetta.
Anello
4. Se proteggo Kaoru adesso, non potrò restare per proteggerla
in futuro.
Anello
5. Sano proteggerà l’onore di Kaoru
Anello
6. Sano sa come andarci sul leggero.
Anello
7. Sano sa come NON andarci troppo sul leggero.
Anello
8. Ti puoi fidare di Sano.
All’inizio aveva funzionato, ma
poi quella logica aveva iniziato a suonare sempre meno convincente,
anche quando Sano si era alzato rabbiosamente per affrontarli. E
se Sano fosse troppo buono con loro? Dopo tutto per Sano, Kaoru era
solo la sua Jou-chan, mentre per Kenshin lei era la sua…
Era
stata una riprova del coraggio di Sano e della sua fiducia, l’aver
appoggiato una mano sulla spalla di Kenshin in una stretta che era
stata sia di avvertimento che di rassicurazione, promettendogli di
occuparsi del problema. Alzandosi, aveva di proposito bloccato la
visuale di Kenshin mentre affrontava i ragazzi, minacciandoli e allo
stesso tempo, senza che loro se ne accorgessero, proteggendoli. Erano
scappati via. Se solo Megumi non fosse arrivata proprio in quel
momento, e poi, mentre un luccichio negli occhi di Sano faceva
presagire che gli avrebbe messo le mani addosso più tardi,
Kenshin non era sicuro che si sarebbe accontentato di così
poco.
Come avevano osato insultare Kaoru?
Ccome avevano osato? Lei era SUA- espellendo lentamente tutta
l’aria dai polmoni, Kenshin cercò di calmarsi. Dopo
tutto era per quello che era venuto a quel fiume, per calmarsi e
sbollire la rabbia. Doveva smetterla di pensare a quello che era
successo. Sano se ne sarebbe occupato. E comunque, aveva altre cose
di cui preoccuparsi, tipo che cosa fare con Kaoru una volta arrivato
al dojo. Kaoru era la sua padrona di casa, la sua amica, la sua gioia
e la sua luce; tutto quello che desiderava quando si addormentava, e
la prima cosa che cercava non appena sveglio.
Raggiungendo la riva, Kenshin sfilò
le braccia dalle maniche del gi, lasciandolo penzolare intorno alla
sua vita, sopra i lacci degli hakama. Chinandosi sulla riva rocciosa,
si spruzzò l’acqua sul petto, sulle braccia e e sul
viso. Il fresco liquido lavò via lo sporco e il sudore di
quella giornata, insieme ad un po’ di quella rabbiosa tensione.
Passandosi le mani bagnate tra le ciocche rosse della sua frangetta e
sulla testa, Kenshin chiuse gli occhi ed emise un lungo sospiro,
esalando la sua irritazione ed inalando i profumi e i rumori del
fiume e della foresta.
Inclinando indietro la testa, si stirò
i mucoli del collo e del trapezio, ascoltando il rumore delle gocce
d’acqua che gli cadevano dai capelli e dal viso fino alla riva
coperta di ciottoli. Continuando a respirare profondamente, avvertì
di sfuggita la sensazione del suo petto che si alzava e si abbassava
con ogni respiro. Sulla sua schiena una brezza gli accarezzò
gentilmente la pelle, fresca sulle tracce dell’acqua che gli
scorreva giù lungo i muscoli, le scapole e la spina dorsale.
Delicatamente Kenshin estese le onde
del suo ki. Non c’era nessuna persona nei dintorni a disturbare
la sua comunione con la natura. Dieci metri più in là
riusciva a sentire una famigliola di conigli mangiucchiare il
profumato trifoglio estivo. Alla sua sinistra, un daino entrò
di un passo nell’acqua, con i larghi occhi marroni che si
guardavano intorno all’erta e le narici dilatate nel timore di
predatori. Nello slargo inondato dal sole alla sua destra, avvertiva
l’industriosa energia di ronzanti api gialle e nere, mentre
raccoglievano il dorato polline dai candidi gigli d’acqua e dai
papaveri blu mare, il cui ceruleo centro gli ricordava le iridi degli
occhi di Kaoru. Tutto intorno a lui la foresta pulsava di vita con
gli uccellini, i serpenti, volpi, scarafaggi e procioni.
Una volta riguadagnata la calma,
Kenshin aprì gli occhi, e si stirò con un movimento
fluido prima di rialzarsi e continuare il cammino. Al suo movimento
un corvo nero gracchiò raucamente tre volte prima di volare
via in un esplosione di piume, volando in direzione del dojo.
Nonostante il caldo, Kenshin sentì
un brivido lungo la schiena. La calma appena riguadagnata evaporò,
quando gli venne in mente un vecchio proverbio. Se un corvo
gracchia tre volte, qualcuno è morto.
Kenshin sapeva che era solo un detto,
una stupida superstizione.
Nonostante questo, si mise a correre
nella direzione di Kaoru e del dojo. Nella fretta, non si curò
nemmeno di rimettersi il gi.
Con
uno scatto finale, non notando nemmeno il caldo soffocante, vide da
lontano la familiare insegna con i suoi kanji dipinti con cura -
Kamiya Kasshin Ryu. Il portone sembrava chiuso, ma questo non era
così insolito. Espandendo i suoi ampi sensi, Kenshin fu
ricompensato quando subito dopo localizzò la familiare energia
di Kaoru risplendere dall’interno del dojo e non avvertì
quella di nessun altro.
Se
puoi sentirla, è ancora viva. Sta bene. Hai semplicemente
lasciato che le tue paure ti annebbiassero il cevello, idiota.
Quando fu a pochi passi dal portone,
rallentò la sua corsa. Non voleva che Kaoru si preoccupasse
vedendolo irrompere attraverso il portone come una furia,
specialmente visto che lei stava bene.
Ma
se non fosse così? Rifiutandosi di ripiombare nel pozzo
oscuro di quei pensieri, Kenshin fece un respiro profondo e aprì
le ante del portone.
O
almeno ci provò – le ante non si spostarono di un
millimetro. Era chiuso a chiave.
Perché
dovrebbe essere chiuso a chiave? Non c’è nessuna ragione
per chiuderlo. A meno che non sia tornata in città? Ma
sentiva ancora il suo ki pulsare all’interno del dojo.
C’è
qualcosa che non va. E se quella fosse stata la loro ultima
settimana insieme, con Kaoru che lo tenteva a distanza e lui che non
ne capiva il motivo? Con il cuore gli si stringeva dolorosamente a
quel pensiero, Kenshin strinse la sua sakabatou talmente tanto da
farsi sbiancare le nocche e poi saltò oltre il portone.
Atterrando in una posizione accucciata, analizzò il cortile
con occhi stretti, ma non riuscì a trovare niente di insolito.
A parte…un attimo, gli shoji del dojo sono chiusi. E lei è
lì dentro. Non li ha mai chiusi da quando è iniziata
l’ondata di caldo, il che significa che forse non è
stata Kaoru a chiuderli.
Camminando
silenziosamente lungo il perimetro del dojo, facendo attenzione a non
sollevare traditrici nuvole di polvere, Kenshin cercò
un’apertura attraverso la quale poter osservare l’interno,
per capire cosa stava succedendo prima di irrompere. Il vento si alzò
e gli fece cadere aghi di pino color verde giada tra le ciocche
vermiglie dei suoi capelli, ma lui se ne accorse appena. Era troppo
intento a decifrare quel mistero. Il ki di Kaoru non sembrava
addolorato o disturbato, sembrava… soddisfatto? Determinato?
In assoluto silenzio girò
l’angolo, e le sue pulsazioni aumentarono bruscamente quando
vide che gli shoji su quel lato erano rimasti aperti. Passo dopo
cauto passo, avanzò fino a quando non riuscì a vedere
l’interno del dojo. Poi guardò…e guardò
ancora.
Kaoru sta bene. Dita
improvvisamente prive di nervi lasciarono l’elsa della
sakabatou. In realtà, sembra molto…in salute.
Note
della Traduttrice
Proprio
un bel momento per interrompersi eh? Indygodusk ha proprio deciso di
tenerci sulle spine fino all’ultimo!! Quando l’ho letto
la prima volta momenti ci restavo secca per la botta di curiosità
mista a frustrazione che mi era presa...quindi per evitarvi il mio
stesso tormento, ho deciso di rimandare la pubblicazione di questo
capitolo fino a quando non avessi tradotto anche il successivo. Spero
solo di non rovinare il clima di aspettativa in questo modo...ma non
ho resistito. Sono e rimarrò sempre una lettrice prima che una
autrice/traduttrice, quindi i miei primi pensieri vanno prima di
tutto a chi sta leggendo questa storia e non vede l’ora di
sapere cosa succederà dopo! :P
Cosa
fate ancora qui? Al prossimo capitolo, forza!
|
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Capitolo 6 *** Capitolo 6 : La Caccia Ha Inizio ***
Hakama
Dake
By
Indygodusk
Traduzione
By Quenya
Disclaimer:
Rurouni Kenshin e i relativi personaggi non mi appartengono. Un vero
peccato!
AN:
adoro la mia beta Katyclismic. (leggete le sue storie!) Dietro sua
richiesta, in questo capitolo ci sarà una scena in cui Kenshin
reagirà ad una visione-lampo di una coscia vellutata. Sto
finalmente liberando un po’ (anche se non tutta) della tensione
che ho costruito.
Avviso : ho
cambiato il rating in R per una ragione. Non arriverò a
scrivere un lemon, ma ci saranno delle scene pesantemente
lime.
Capitolo 6: La Caccia Ha Inizio
In
assoluto silenzio girò l’angolo, e le pulsazioni di
Keshin aumentarono bruscamente quando vide che gli shoji su questo
lato erano rimasti aperti. Passo dopo cauto passo, avanzò fino
a quando non riuscì a vedere l’interno del dojo. Poi
guardò…e guardò ancora.
Kaoru
sta bene. Dita improvvisamente prive di nervi lasciarono l’elsa
della sakabatou. In realtà, sembra molto…in salute.
Ipnotizzato, Kenshin fissò la
goccia di sudore che scivolò dalla tempia di Kaoru oltre il
piccolo orecchio a forma di conchiglia, le seguì l’aggraziata
curva del collo, fece una pausa nell’incavo della gola, prima
di buttarsi giù lungo il pendio del suo petto, accelerando la
sua corsa quando raggiunse la vallata tra i suoi seni, solo per
sparire nelle fasciature bianche che le coprivano il torso.
Con la gola improvvisamente secca,
Kenshin deglutì.
Per qualche ragione, Kaoru stava
praticando i kata indossando solo gli hakama.
Hakama
dake… Buddha, dammi la forza.
Kenshin fu costretto a ricordarsi la
prima volta che aveva visto quel dojo, la prima notte che aveva
incotrato Kaoru. Lei si era ferita ad un braccio durante una
schermaglia con il tizio che si spacciava per l’Hitokiri
Battosai. Kenshin aveva insistito per farla tornare a casa per farsi
medicare il braccio, ma lei voleva continuare ad inseguire il suo
avversario. Ovviamente aveva dichiarato di stare benissimo, testarda
fin dall’inizio, ma una ferma stretta sui capelli era stata
sufficente a farle perdere i sensi. Tornata al dojo, aveva lasciato
che Hiruma Kihe (il suo tradimento non era ancora stato scoperto) la
aiutasse a medicare la ferita. Kaoru si era tolta con noncuranza il
gi da una spalla per permettere un accesso migliore al taglio sul
braccio.
Kenshin ricordava bene di aver studiato
le targhe di legno e i loro nomi scritti con precisione appesi ai
muri del dojo nel disperato tentativo di distrarsi da quelle spalle
vellutate e da quella allettante semi-visibile scollatura, che la
medicazione gli stava mostrando.
Allora non era stato certo se fosse
stato un male o un bene il fatto che il gi parzialmente aperto fosse
riuscito a lasciare scoperta soltanto una spalla dalla pelle liscia
come i petali di ciliegio. Ora lo sapeva.
Un
bene, decisamente un bene.
Se avesse saputo di come la sua vita si
allargava dolcemente verso i fianchi, o dell’esistenza di
quelle due fossette alla base della schiena, o di come il suo
ombelico formasse un perfetto ovale, se lo avesse saputo, non sarebbe
mai stato in grado di controllarsi per così tanto tempo.
Se fosse stato furbo, si sarebbe
voltato e se ne sarebbe andato all’istante. Sfortunatamente,
Kenshin non si considerava una persona molto furba.
Tuttavia, si considerava un gentiluomo.
Un gentiluomo non avrebbe fissato il corpo atletico della ragazza
mentre ruotava nei movimenti del suo kata. Un gentiluomo avrebbe
distolto gli occhi da quella visione, si sarebbe girato e se ne
sarebbe andato silenziosamente, non facendole neanche mai sapere che
fosse stato lì.
Nonostante questo, non importava quanto
combattesse silenziosamente dentro di se contro gli opposti desideri,
le sue gambe si rifiutarono di muoversi e i suoi occhi perfino di
sbattere, tantomeno guardare da un’altra parte.
Kenshin non osservava spesso Kaoru
allenarsi. Non lo faceva proprio perché non si fidava di se
stesso e sapeva che non si sarebbe accontentato soltanto di stare a
guardare. Kenshin conosceva la sua debolezza molto bene, e vedendo la
bruciante passione e l’intensa concentrazione che Kaoru
dimostrava eseguendo i kata, sapeva che avrebbero sbriciolato la sua
volontà di non toccarla, di non abbracciare il centro di
quella passione.
Già una volta aveva fatto
l’errore di pensare di essere forte abbastanza, che si stava
sottovalutando quando si trattava di guardare quella piccola
shihandai. C’era voluta una sola sessione per fargli capire
quanto avesse grossolanamente sottovalutato il fascino di Kaoru e
sopravvalutato il proprio stoicismo.
Osservare l’espressione intensa
del viso arrossato di Kaoru mentre ansimava dopo un passaggio
particolarmente complesso, osservare l’ondeggiare dei suoi blu
hakama, un indumento tradizionalmente maschile, gli aveva fatto
conficcare le unghie nel pavimento di legno del dojo per impedirsi di
scattare in piedi e saltarle addosso. Si era morso la lingua nel
tentativo di zittire un gemito che lottava per sfuggirgli dalle
labbra.
La sua immaginazione aveva preso quel
suo viso arrossato e ansimante e lo aveva gettato nel profondo delle
sue più segrete fantasie, imponendo quelle labbra umide su di
lui, sotto di lui, intorno al suo corpo, mentre gli tracciavano calde
e umide scie sul suo petto ipersensibile.
Continuando ulteriormente nel suo
inganno, la sua mente aveva trasformato gli hakama blu che lei stava
indossando negli stessi hakama che lui aveva usato durante il
Bakumatsu. Qualcosa di primitivo dentro di lui voleva vederla
indossare i suoi vestiti, voleva che gli altri uomini la
vedessero indossare i suoi vestiti.
Più di una volta mentre faceva
il bucato, notando il pessimo stato dei vestiti di Kaoru, aveva
dovuto trattenere l’impulso di usare quella scusa per darle i
suoi hakama bianchi da indossare al posto degli altri. Ovviamente,
sapeva che Kaoru non avrebbe mai accettato. Lei sapeva bene che
Kenshin non aveva un altro cambio di vestiti. La sua natura amorevole
non le avrebbe mai concesso di accettare.
Ed a parte questo, per essere
assolutamente onesti, gli hakama di Kenshin erano molto più
stracciati dei suoi.
Non riusciva a spiegarsi come questa
possessività e questo desiderio avessero preso il sopravvento
così all’improvviso ed in modo così schiacciante.
Sapeva soltanto che doveva cercare di proteggerla da queste emozioni.
Kaoru sapeva che teneva a lei, ma Kenshin si rifiutava di esporla a
sentimenti più intensi di quel semplice affetto.
Per questo aveva evitato di osservarla
praticare i kata. In effetti, poteva contare sulla punta delle dita
le poche volte che l’aveva vista farlo. Gli erano rimaste
impresse nella memoria talmente tanto che avrebbe potuto descrivere
per filo e per segno ogni espressione del suo viso ed ogni posa del
suo corpo per ogni secondo in cui l’aveva osservata allenarsi.
Forse Kaoru avrebbe potuto sospettare
che le stava nascondendo qualcosa, dato che a volte poteva essere
quasi fastidiosamente intuitiva, ma se lei se ne fosse veramente
accorta lui l’avrebbe capito. Il suo viso espressivo la tradiva
sempre.
Per oltre un anno era riuscito a manere
il controllo, anche se era in gran parte dovuto al fatto che l’aveva
sempre evitata quando si allenava vestita con gli hakama e il
gi.
Ma osservandola adesso, coperta a mala
pena dalle fasce al petto e dagli hakama, senza nemmeno i tabi ai
piedi, sentì quel controllo infrangersi in milioni di
taglienti frammenti.
E non gl’importò.
Divorandola con gli occhi, Kenshin si
meravigliò di quanto potesse nascondere un singolo indumento.
Senza il gi addosso. Kaoru rivelava un’ampia porzione di pelle
incantevolmente lattea, sia al di sopra che al di sotto dei lacci blu
scuro che le assicuravano gli hakama alla vita. Considerando quanto
gli hakama le fossero deliziosamente scivolati in basso sui fianchi,
probabilmente aveva tolto il gi senza prima slacciarli.
Si chiese per quale motivo l’avesse
tolto così di fretta.
E
se fosse stato un amante a toglierlo?
Una
furia accecante gli esplose nelle vene. Dovette sforzarsi per
inghiottire un urlo di rabbia.
Kaoru era giovane e bellissima; non
sarebbe stato irragionevole pensare che avresse potuto avere un uomo
che la corteggiasse. Kenshin non aveva notato nessuno, e lui teneva
d’occhio Kaoru molto attentamente, ma era possibile che gli
fosse sfuggito qualcuno.
E
allora lui dov’è?
Saltando e nascondendosi sui rami del
pino sulla sinistra del dojo, Kenshin ispezionò lo spazio
intorno ancora una volta, in cerca della presenza di un altro ki.
Nella precedente pellustrazione del cortile, non aveva visto nessun
indizio della presenza di un'altra persona. Aveva visto solo le
familiari impronte di Kaoru, quando era passata diverse volte tra il
dojo e il portone. Certo, avrebbe potuto incontrarsi con qualcuno
fuori dal dojo, ma non si sarebbe mai mostrata in strada mezza nuda.
Kaoru aveva molto più classe e, avrebbe giurato fino a quel
momento, molto più pudore per fare una cosa simile.
Stringendo gli occhi, ispezionò
il dojo fino anche non scoprì il gi sudato e sgualcito di
Kaoru buttato contro un muro.
Perché
ha gettato il gi contro il muro?
Staccando a fatica gli occhi dalla
seducente visione dentro il dojo, che adesso riusciva a vedere ancora
meglio grazie alla sua posizione sopraelevata, Kenshin esaminò
ancora il terreno intorno al dojo. Non riusciva ancora a trovare
niente di insolito sulla terra bruciata dal sole. Un soffio di vento
dal profumo di pioggia gli scosse le maniche del gi che gli penzolava
ancora dalla vita. L’aria fresca gli fece rizzare i peli dorati
sugli avambracci e gli fece cadere altri aghi di pino sulle braccia e
sulla schiena.
Improvvisamente ogni cosa andò
al suo posto. Il portone sbarrato, gli shoji chiusi, tutto ebbe un
senso. Idiota, tu stesso hai tolto il gi per rinfrescarti al
fiume. Kaoru probabilmente sarà stata stufa di questo caldo e,
credendo di essere sola, avrà deciso di togliersi anche il gi.
Una volta risolto il mistero, un molto
più calmo Kenshin riportò la sua attenzione al dojo.
Ignara della sua presenza e delle sue
riflessioni, Kaoru eseguì un affondo, piegando le ginocchia e
catturando la sua attenzione su una coscia vellutata esposta dagli
spacchi laterali degli hakama.
Il sudore gli imperlò la fronte,
e la calma appena riacquistata evaporò come uno sbuffo di
caldissimo vapore. Fissandole la pelle setosa, morì dalla
voglia di esplorarle con le dita, o con la lingua, o con le dita e la
lingua, il punto dove la coscia incontrava il fianco. Quando lei si
raddrizzò, lui osservò con rimpianto quella piega
sparire, ma fu subito distratto da altre piacevoli scoperte.
Piroettando
lentamente sulle punte dei piedi, lei abbassò il bokken una
controllata sferzata, poi in un taglio orizzontale, voltando la
schiena a Kenshin mentre completava la giravolta. Ogni preciso
movimento creava un ipnotizzante gioco di muscoli sotto la pelle
lucida dal sudore, ogni volta che si movevano e si contraevano lungo
le braccia, le spalle lo stomaco e la schiena.
La sua osservazione delle nitide linee
dei suoi muscoli era interrotta solo dalla fasciatura che le
circondava il petto. Anche se umida e aderente, interropeva lo stesso
la memorizzazione delle graduali curve che le partivano dalle spalle
e arrivavano a quelle fossette che le sbucavano dal bordo degli
hakama.
Le dita di Kenshin fremevano dalla
voglia di strapparle quella fasciatura e bruciarla, così non
avrebbe più velato ai suoi occhi la bellezza di quel corpo.
Kaoru
si fermò per pochi momenti, mostrandogli il viso di profilo.
Lui pensò con rammarico che avesse finito i kata. Senza gli
attraenti movimenti del suo corpo a distrarlo, Kenshin riuscì
a concentrarsi maggiormente sul suo viso. Kaoru aveva il collo
aggraziato di una geisha o di una ballerina che le spuntava da spalle
arrotondate molto più muscolose di quelle che normalmente si
trovavano in una donna. Questo contrasto lo affascinava, e gli faceva
venire l’impulso di tracciare dettagliatamente tutte quelle
differenze.
Un
mento piccolo ma deciso era alla base del suo viso e del suo
carattere. Mentre lo osservava, lei risucchiò il labbro
inferiore tra i denti. Quando lo rilasciò, questo brillò
come una piccola ciliegia bagnata dalla rugiada. Quel poco di aria
che era riuscito a inalare gli sfuggì via dai polmoni e sentì
le viscere contrarglisi. Qualche goccia di saliva le era rimasta sul
labbro inferiore ed impedirsi di scattare a pulirlo con le proprie
labbra e lingua, richiese tutta la volontà e la forza che
aveva.
Chissà
se sanno di cilegia?
Inumidendosi
le propie labbra aride, Kenshin capì che non sarebbe più
stato in grado di mangiare il sakura mochi senza ripensare a quelle
labbra, quelle rosse piccole ciliegie.
Subito
sopra quelle seducenti labbra si spogeva un nasino impertinente, che
lei arricciava spesso quando era divertita o disgustata. Ovviamente
parlando di Kaoru, il divertimento era sempre prevalente.
Sorprendentemente aveva una tolleranza incredibile verso qualunque
cosa. Anche se si arrabbiava spesso, poi le passava subito.
Quella
era un’altra ragione per la quale il suo comportamento
preoccupava Kenshin così tanto. Non l’aveva mai vista
avercela con qualcuno per più di qualche giorno, tantomeno per
una settimana. Doveva essere successo qualcosa di veramente grave per
averla spinta ad evitarlo per così tanto tempo, e con la sua
piccola shihandai mezza nuda e chiusa dentro la palestra, lui aveva
tutta l’intenzione di ottenere qualche risposta.
Alzando
il bokken sopra la testa, Kaoru piegò la testa di lato e la
frangetta le scivolò indietro rivelando le lunghe e ricurve
ciglia nere che le schermavano lo sguardo. Non ha ancora finito,
per fortuna. Compiaciuto, le osservò le ciglia, sperando
che si alzassero. Come in risposta ai suoi desideri, lei aprì
gli occhi e si girò verso di lui iniziando a ripetere lo
stesso kata. Per un momento sperò che lo vedesse, ma quei
grandi e liquidi occhi rimasero concentrati verso il basso e sui suoi
movimenti. Sospirando, Kenshin comprese che anche se lei avesse
guardato direttamente verso il punto in cui si era nascosto, il
contrasto tra il cortile inondato dal sole e la penombra del dojo non
le avrebbe permesso di notare la sua figura.
Fin
dalla prima notte in cui lei lo aveva affrontato per strada, lui era
rimasto incantato da quegli occhi. Proprio come l’oceano, il
loro colore mutava a secondo dell’umore. Però, al
contrario dei suoi bruschi salti dal lilla all’oro, bisognava
fare molta attenzione per notare le sottili differenze cromatiche
nelle sue iridi.
Quando
era furiosa, i suoi occhi diventavano del colore blu notte del
tramonto, subito dopo che il sole era tramontato ma poco prima che
spuntassero le prime stelle. Yahiko era sempre troppo impegnato a
sfuggire dalla sua ira per notare quella sfumatura scura al di sotto
del fiero cipiglio, ma Kenshin aveva scoperto quell’affascinante
cambiamento.
Quando
invece la mattina si muoveva allegramente indaffarata su e giù
per il dojo, i suoi occhi erano del colore dello smalto blu della
porcellana, con un tocco di indaco.
Quando
era seria, petali di un blu polvere sembravano estendersi dalle sue
pupille, cadendo sul ceruleo anello dell’iride.
In
alcuni giorni, quando lei non riusciva a nascondere la tristezza, i
suoi occhi diventavano del blu-grigio delle nuvole tempestose,
screziate da lampi azzurrini.
Kaoru
si mosse velocemente nel primo attacco e fece un profondo respiro,
facendogli vedere di sfuggita la scura caverna della sua bocca e un
lampo dei suoi bianchi denti. Il profondo movimento le fece anche
alzare i seni, che tesero la fasciatura con cui erano legati.
Stringendo
il tessuto dei suoi hakama talmente forte da strappare le cuciture,
Kenshin si chiese, che colore avrebbero i suoi occhi al culmine
della passione?
Forse,
se avesse avuto fortuna, l’avrebbe scoperto quel giorno.
Quando
Kaoru saltò per eseguire un affondo verso il basso, i suoi
lunghi capelli neri le si avvolsero e sibilarono intorno al corpo
come serpenti. Le ciocche sudate che le incorniciavano il viso
svolazzarono come piccole lingue biforcute.
Decisamente,
aveva intenzione di scoprirlo quel giorno.
Quando
Kaoru avanzò e si girò per attaccare un immaginario
avversario sulla sinistra, i seni le sobbalzarono nel loro
imprigionamento. Eccitato oltre ogni limite, Kenshin spostò di
nuovo il suo peso sul ramo, e imprecò ancora contro la
fasciatura che nascondeva quelle morbide forme.
Se
ha deciso di togliersi il gi, perché non si è tolta
anche quella maledetta fasciatura?
Kenshin
si rendeva conto che poteva suonare egoistico da parte sua desiderare
di poter vedere ogni più piccola lentiggine o cicatrice che le
punteggiavano la carnagione lattea come delle spezie esotiche. Ma non
aveva più la forza di reprimere il desiderio che provava per
qualunque cosa riguardasse Kamiya Kaoru.
L’aver
sofferto per una settimana a causa della sua freddezza lo aveva
costretto ad ammettere che Kaoru era diventata per lui un bisogno,
una necessità vitale come il suo stesso respiro. Sperava che
gli Dei avrebbero capito la sua condizione e gli avrebbero concesso
il loro perdono. Si rifiutava di credere che fosse troppo tardi per
riconquistare l’affetto di Kaoru.
Per
questo motivo si era preso il permesso di provocarla. Una volta
deciso questo, si sentiva libero di risolvere tutti gli enigmi che
lei rappresentava. E come fosse stato quel corpo sotto quei kimono,
gi e hakama era un quesito che aveva consumato i suoi pensieri in
molte umide notti senza luna.
Se
lei gliel’avesse permesso, avrebbe studiato ogni singolo
centimetro di quel corpo con l’ardore e la dedizione che aveva
usato una volta per apprendere l’Hinten Mitsurugi Ryu. C’erano
voluti anni per padroneggiare la tecnica di spada; era preparato a
spendere un’intera vita sul corpo di Kaoru.
Al
di sopra del frastuono nelle sue orecchie, Kenshin riusciva a sentire
il sussurro dei piedi nudi di lei sulle tavole di legno del pavimento
e il leggero affanno del suo respiro. Con un’agile movimento,
un piccolo salto e un violento affondo, Kaoru terminò il suo
kata.
Dopo
essersi inchinata in segno di rispetto per quelle regole di vita,
Kaoru camminò con grazia fino al punto in cui erano sistemati
i sostegni delle spade per riporre il bokken. Kenshin notò
l’ondeggiare dei suoi fianchi in un modo che non aveva mai
notato prima. Forse quella sua fissazione proveniva dalle brevi
visioni di pallida pelle lungo i lati degli hakama, che appariva e
scompariva come la luna con il movimento dei fianchi.
Ritornando
al centro del dojo con le guance leggermente arrossate per
l’esercizio fisico, Kaoru sospirò con soddisfazione. E
poi si stirò.
Anche
se, nell’opinione di Kenshin, chiamare quel movimento una
semplice stiratina, sarebbe stato come definire Shikibu Murasaki una
servetta che teneva un diario, o dire che a Misao ‘piaceva’
Aoshi.
Alzando le braccia dai muscoli piccoli
ma definiti, Kaoru inclinò indietro la testa, esponendo la
colonna della sua gola, e si alzò sulla punta dei piedi. La
visione della punta rosa dei suoi piedi e delle sue tornite caviglie
gli fece contrarre qualcosa nel profondo del torace. Poi lei inarcò
la schiena, innalzando il petto verso l’alto, e si afferrò
il polso del braccio sinistro con la mano destra. Sospirando, chiuse
gli occhi con un’espressione sognante e si appoggiò il
viso contro il braccio destro.
Quando si stirò ancora di più,
gli hakama le scivolarono lentamente verso il basso sulla curva dei
fianchi. Kenshin sentì scariche erotiche scuotergli il corpo
con un’intensità tale che si chiese se sarebbe riuscito
a respirare di nuovo. Non osando nemmeno sbattere le palpebre per
paura di perdersi quello spettacolo, concentrò la sua
attenzione sul quel tessuto che stava pericolosamente scivolando
verso il basso. All’ultimo secondo, la sua discesa si fermò.
Con un mugolio sexy, Kaoru tornò sulla sua posizione
originale, con gli hakama che le erano miracolosamente restati sui
fianchi. Spinto oltre ogni limite di sopportazione, Kenshin sentì
un ringhio ferino sfuggirgli dalle labbra.
Kaoru fece un salto dalla sopresa.
Doveva averlo sentito, perché si girò a guardare verso
il cortile da cui lui la stava osservando. Avidamente pregustò
il momento in cui quegli occhi blu avrebbero incontrato i suoi, visto
che era stanco di aspettare.
Kaoru guardò prima a destra, poi
a sinistra verso l’albero sul quale lui era appollaiato, prima
di spostare lo sguardo di nuovo sulla destra e lì si irrigidì
dalla sorpresa. Vedendola concentrarsi sulla direzione opposta,
Kenshin fu colto di sorpresa.
Ha visto qualcun altro? Ma non
c’era nessuno. Aveva controllato.
La tensione sulle sue spalle si
rilassò, e lei si avvicinò al lato destro del portico e
si sporse con un invitante e civettuolo sorriso. Socchiudendo quelle
labbra color ciliegia, chiese rocamente “Sei qui per una
lezione privata? Ti stavo aspettando”
Aspettava
QUALCUNO? E’ un uomo morto.
Chinandosi minacciosamente in avanti,
Kenshin seguì la direzione del suo sguardo per identificare la
sua vittima. E proprio lì, poggiato sfrontatamente su un ramo,
c’era un piccolo passerotto color nocciola.
Kenshin aveva già sentito la
frase ‘impazzire dal desiderio’, ma non avrebbe mai
creduto di sperimentarla nel senso letterale del termine. Ora temeva
fosse esattamente quello che gli stava accadendo. Soprattutto visto
che aveva ancora voglia di uccidere l’obiettivo del roco tono
di voce di Kaoru, anche se si era rivelato soltanto un passerotto.
Era ridicolo sentirsi felice per il fatto che il suo voto di non
uccidere - voto che gli era momentaneamente sfuggito di mente - si
applicasse solo agli esseri umani. Se non l’avesse toccata
subito, temeva seriamente che quella follia sarebbe diventata
permanente.
Bassi e pesanti nuvoloni scuri
passarono sopra il dojo, e l’aria profumata di pioggia era
carica di elettricità. Il cielo minaccioso rispecchiava
perfettamente l’umore agitato di Kenshin.
Sembrando avvertire le sue intenzioni
ostili, l’uccellino lanciò una nervosa occhiata verso la
sua figura tesa. Dimostrando degnamente di essere una tra le creature
più intelligenti della sua specie, il passerotto si lanciò
dal suo ramo e volò via nella direzione opposta.
Mantenendo il suo sorriso impertinente,
Kaoru spostò lo sguardo dal volo del passerotto al pino
sbagliato e si chinò in avanti, appoggiandosi una mano sul
fianco. “E tu bellissimo, vorresti una lezione privata?”.
Ridacchiando tra se e se, si raddrizzò e si girò per
tornare all’interno del dojo.
Eh no, non mi scapperai proprio
adesso. Mi sono trattenuto anche troppo a lungo.
Con quel pensiero fermamente in testa,
Kenshin fece un balzo, atterrando come una pantera dietro di lei.
Parlò a voce bassa, per non spaventarla, altrimenti il panico
l’avrebbe fatta correre via prima che avesse potuto mettele le
mani addosso.
Kaoru era diventata la sua preda, solo
che ancora non lo sapeva.
“Mi piacerebbe molto”.
Nota dell’Autrice:
Finalmente abbiamo chiuso il cerchio e
raggiunto Kaoru nel presente. Evvai! Scrivere i lime è
veramente difficile, mi fa venire mal di testa. Non ho mai scritto
nulla di così piccante. Scommetto che dopo questa cosa la
faccia mi rimarrà rossa come un peperone a vita. E devo ancora
sopravvivere al prossimo capitolo!
Mi sono impegnata a fondo nelle
descrizioni, quindi mi sentirei molto gratificata se qualcuno
commentasse una particolare frase o situazione che ha particolarmente
apprezzato. Se pensate che abbia esagerato, o che le mie descrizioni
non esprimino bene le emozioni di una scena, per favore fatemelo
sapere.
Dizionario
Hakama – una spece di
gonna-pantalone indossata da alcuni praticanti di jujitsu. Ha degli
spacchi che vanno dalla vita fino a metà coscia. Kaoru li
indossa al posto del kimono per allenarsi, e Kenshin e Yahiko li
portano sempre.
Dake-
Solo, soltanto.
Sakura- Fiori di ciliegio,
hanno un colore rosa chiarissimo.
Shihandai- Primo Assistente
del Maestro, il titolo di Kaoru
Shoji : porte scorrevoli di
legno tipiche delle abitazioni tradizionali giapponesi.
Bokken:
spada di legno usata per il kendo.
Bakumatsu- la rivoluzione in cui
combattè Kenshin per spodestare il governo Bakufu dello Shogun
ed iniziare l’era Meiji.
Kata- una serie di mosse
standardizzate che costituiscono un’arte marziale.
Gi : casacca indossata dagli
uomini sopra gli hakama (pantaloni).
Tabi : tradizionali clazini con
la cucitura al centro per poterli indossare con i sandali infradito.
Mochi: dolce giapponese ottenuto
impastando energicamente farina di riso e acqua. Gli vengono date
varie forme e varianti, tra cui il sakura-mochi, una versione rosata
che ricorda il colore dei petali di ciliegio (sakura appunto) e che è
avvolta tra due foglie di ciliegio.
Shikibu Murasaki- (976-1031)
scritto anche Murasaki Shikibu, era la dama di compagnia
dell’Imperatrice Heian e l’autrice del ‘La
storia di Genji’, il primo romanzo psicologico del mondo e
uno dei più lunghi ed illustri capolavori della letteratura
giapponese.
Sakabatou- la spada a lama
invertita di Kenshin.
Hiten Mitsurugi Ryu- la tecnica
di spada usata da Kenshin.
Kamiya Kasshin Ryu- Il nome
della scuola di scherma e dello stile di Kendo di Kaoru.
Hitokiri- assassino.
Note
della Traduttrice
Finalmente
siamo arrivati alla mia parte preferita.. E’ stato esattamente
questo capitolo a farmi decidere una volta per tutte di voler
tradurre questa fic… l’intensità quasi selvaggia
dei sentimenti di Kenshin che finalmente vengono alla luce, la sua
possessività, la sua gelosia, il suo profondo e ormai
incontrollabile desiderio, mi hanno semplicemente tenuto incollata
allo schermo fino all’ultima parola.
Ci
credereste che quando ho finito di leggere questo capitolo la prima
volta, ho ricominciato subito dopo a leggerlo di nuovo? Ed anche
adesso che non so più quante volte l’ho riletto, lo
trovo assolutamente fantastico.
Ho
adorato in particolare l’affiorare di quell’aspetto
felino del carattere di Kenshin e tutta la descrizione che Indygodusk
fa del suo atteggiamento da predatore e del fatto che Kaoru si
ritrovi inconsapevolmente nel ruolo di preda. Purtroppo in inglese ci
sono parole che rendono molto meglio questi movimenti felini (solo il
verbo ‘prowling’ per esempio vuol dire ‘aggirarsi
furtivamente in cerca di una preda’) che in italiano non
esistono, ma spero di aver ugualmente reso l’idea.
Approfitto
dello spazio anche per ringraziare di cuore tutti coloro che hanno
gentilmente lasciato una recensione a questa storia :
Jaly
Chan - onore? mito? O_o Ma scherziamo?? Sono io che ti devo adorare
e ringraziare per il tuo costante incoraggiamento!!
Wilwarind
- che mi segue da tempo con ammirabile pazienza...sei grande Wil!
Kitsunechan
- grazie anche a te per la costanza con cui segui le mie storie!!
Yuki
– wow per me è una grande conquista avere tra i miei
lettori qualcuno che non conosce la serie..spero proprio di averti
invogliato a leggerla =)
Creao90
– grazie per i complimenti #^_^# e non preoccuparti per ‘sogni
di una notte tempestosa’...ci metterò un po’ ma
finirò sicuramente di tradurla!
Jou-chan, 315 e Quaz – grazie mille a tutti e
tre!! Ce ne saranno parecchie di emozioni adesso...spero proprio che
la continuazione della storia regga le vostre aspettative, lol!
Grazie
ragazzi, è veramente bello sapere che le mie traduzioni siano
apprezzate così tanto!! Concordo con l’autrice nella sua
richiesta di sapere quale parte avete apprezzato di più,
quindi mi raccomando, continuate a farvi sentire!
Un
ultima cosa : sarebbe ancora più bello se riuscissimo a
contattarci tramite il forum di Erika... al momento purtroppo sono
molto impegnata, ma spero di riuscire un giorno a creare un topic
apposito, quindi tenetelo d’occhio.
Grazie
ancora a tutti del supporto, scusate per la lunghezza di queste note
e... al prossimo capitolo!
>Quenya
|
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Capitolo 7 *** Capitolo 7 : Solo una fantasia ***
Hakama Dake
By Indygodusk
Traduzione By Quenya
Disclaimer: Rurouni Kenshin e I
relativi personaggi non mi appartengono. Un vero peccato!
Capitolo 7 : Solo una fantasia
Sorridendo, Kaoru lanciò
un’occhiata al pino ora deserto.
“Ehi bellissimo, vorresti una
lezione privata?”
Kaoru scoppiò a ridere per la
sua stupidaggine. Giusto, quindi torna a fare quello che stavi per
fare prima di sentire quel basso ringhio. A quel pensiero, Kaoru
ricordò un semplicissimo fatto che le era sfuggito fino a quel
momento: gli uccellini non ringhiano. Allora quel suono da dove era
uscito?
Ricordandosi di aver visto delle
pesanti nuvole temporalesche dietro il suo passerotto, Kaoru concluse
che quel suono doveva essere stato dovuto all’imminente
temporale. Osservando il cielo, si accorse che il dojo era oscurato
dal lento passaggio di nuvoloni neri e grigi. Sulla linea
dell’orizzonte, stralci di cielo azzurro spuntavano in ordine
sparso come scogli in un fiume di nuvole mosse dal vento. Il sole,
come una dorata carpa koi, splendeva su questi scogli e attraverso
quella cortina di nubi. Inspirando profondamente, lei inalò
l’elettrizzante profumo della tempesta imminente. Compiaciuta
dall’odore di pioggia, Kaoru si girò per tornare dentro
al dojo e darsi una sistemata. Ma prima che avesse potuto fare un
altro passo, una voce maschile dietro di lei rispose alla sua
provocante domanda.
“Mi piacerebbe molto”.
Gli uccellini non parlano, e nemmeno
le nuvole.
Kaoru sentì un’ondata di
gelido panico quando riconobbe la sua voce. Quando si girò
e si trovò di fronte Kenshin la sua mente turbinò
vorticosamente, chiedendosi che cosa ci fa qui? Poi il suo
iniziale panico ed imbarazzo sparì velocemente, spazzato via
dalla più utile combinazione di rabbia e astuzia.
Se lo colpisco abbastanza forte in
testa, non si ricorderà più di avermi vista mezza nuda.
E già che ci sto, lo colpirò così forte che si
dimenticherà anche di aver visto Megumi oggi. Spero solo che
si ricorderà chi è quando si risveglierà.
Di solito riteneva che un suo pugno
fosse sufficiente a svolgere quel compito, ma con qualcuno dalla
testa così dura come Kenshin, un bokken sarebbe andato
benissimo…o forse una pentola di metallo. Una volta deciso
quale metodo violento applicare, Kaoru uscì dal suo rapido
progettare piani e lo guardò. Se riuscirò ad essere
veloce, non si renderà nemmeno conto di cosa lo abbia colpito.
Preprandosi all’azione, lanciò una lunga occhiata alla
sua potenziale vittima.
Kenshin, tutto rosso, oro e bianco,
stava in piedi controluce contro il cielo grigio come una colonna di
fiamme guizzanti. I capelli rossi su cui aveva recentemente
fantasticato sembravano scompigliati, ed erano alternativamente
illuminati e oscurati quando le nuvole spinte dal vento passavano
davanti al sole. Aghi di pino verde chiaro erano intrecciati nelle
ciocche color rame e granato. Quando il sole sparì dietro
un’altra nuvola, il cortile si oscurò. Il vento gli
scostò i capelli dagli zigomi pronunciati, esponendogli la
fronte e l’arco delle sopracciglia sopra…
I suoi occhi! Avrei dovuto capirlo
dal tono della sua voce, i suoi occhi sono DORATI!
Sussultando, Kaoru emise
un’esclamazione soffocata. Si sentiva come se un fulmine, sceso
dritto dalle rabbiose nuvole sopra di lei, l’avesse colpita in
pieno. Fissando quegli splendenti occhi ambrati, pensò un po’
istericamente che ora sapeva dove fosse sparito il sole. Il modo in
cui i suoi occhi le bruciavano ardentemente nei suoi la faceva
sentire come se fosse stata marchiata a fuoco.
Staccando a fatica gli occhi
dall’intensità del suo sguardo, Kaoru guardò in
basso. Aveva bisogno di trovare qualcosa di familiare da guardare,
come il colletto del suo kimono magenta.
Soltanto che Kenshin –
Battosai – l’uomo dai capelli rossi nel suo cortile, non
lo stava indossando!
Con il fiato corto, lo sguardo di Kaoru
passò dal suo petto nudo alle armi riposte nell’ombroso
dojo. Aveva qualcosa lì di abbastanza pesante da farli
entrambi dimenticare quello che avevano appena visto?
In ogni caso, che cosa stava facendo
lì, da solo e svestito in quel modo? Avrebbe dovuto essere
ancora in città ad aiutare Megumi, oppure in compagnia di
Sano. Ma l’avrebbe saputo se Sano fosse stato lì con
loro, perché avrebbe fatto un commento rude e probabilmente
osceno proprio in quel momento. Tutto quello non aveva senso! Kaoru
avrebbe quasi scommesso che quello non fosse affatto Kenshin.
Quando le labbra di Battosai si
curvarono in un sorrisino sexy, Kaoru ebbe un’illuminazione.
Primo, decise che il suo umido labbro inferiore fosse il labbro più
bello e perfetto che avesse mai visto. Visto l’importanza della
scoperta, ci pensò un po’ sopra. Non appena la sua mente
le permise di superare quell’argomento, ebbe la seconda grossa
rivelazione. Adesso capiva cosa stava succedendo.
Ma certo, è un’altra
delle mie fantasticherie.
Sei solo un altro uccellino, un
uccellino…perché non ti stai trasformando in un
uccellino? Mordicchiandosi il labbro, esitò. Potrebbe
essere davvero Kenshin? Evitando l’intensità dei
suoi occhi, esaminò con più attenzione l’uomo che
aveva di fronte, e andò oltre il petto e le labbra.
No. No, quello era decisamente
frutto della sua immaginazione. Non era possibile che Kenshin fosse
davvero lì, con gli occhi dorati, a petto nudo e flirtando con
lei. Doveva cercare di essere pratica e non lasciare che il desiderio
le annebbiasse il cervello.
Il vero Kenshin avrebbe bussato al
portone, usando una voce gentile piena di educati onorifici, e
probabilmente balbettando “oro” come l’avesse
vista. Oppure probabilmente avrebbe chiaccherato con tranquillità
su cosa poterle preparare per cena. Poi le avrebbe chiesto se non
avesse sentito freddo, vestita così, o se avesse voluto una
coperta o un bagno caldo. Altra ipotesi era che le avrebbe fatto un
po’ di tè freddo per rinfrescarla mentre lei cercava i
suoi vestiti.
Grazie a Dio era solo una fantasia. Non
aveva davvero bisogno che anche oggi le sbattesse in faccia la sua
mancanza di interesse. Ovviamente la sua mente affaticata si era
ribellata dopo essere stata più di un’ora senza pensare
alla sua ossessione preferita.
In questa fantasticheria entrambi erano
praticamente a torso nudo. Anche se, al contrario di lei, il suo
kimono era ancora infilato negli hakama, e penzolava intorno alla sua
vita snella. Nel profondo del suo cuore lei sapeva che c’erano
delle volte in cui non si sentiva abbastanza all’altezza di
lui. Visto che adesso tutti e due erano nella stessa condizione,
questa fantasticheria doveva riguardare il sentirsi uguali. Giusto?
Oh, chi voleva prendere in giro?
Quella era una fantasticheria basata
sul puro e semplice desiderio. Dopo tutto il proprio petto non era
ceramente uguale a quello, tutto pieno di superfici piatte,
avvallamenti ed evidenti contorni di così tanti differenti e
intriganti muscoli che non aveva mai notato prima sul suo
corpo. Chissà se gli sarebbe seccato se l’avesse
esplorato un pochino?
Senza il kimono, lei riusciva
chiaramente a vedere il gioco dei muscoli definiti sugli avrambracci,
sui bicipiti e sulle spalle. Fiumi di vene blu fluivano sul suo
corpo. Superando il torace, Kaoru si ritrovò affascinata dal
contrasto tra il rosa scuro dei suoi capezzoli e il dorato della sua
pelle. Il suo sguardo si spostò sull’addome scolpito a
guscio di tartaruga per seguire la sottile linea di peli rosso-oro
che scendevano verso il basso fino a scomparire sotto il tessuto del
kimono e hakama arrotolati. I suoi occhi arrivarono a puntarsi su un
ombelico molto sexy, che le ricordò la sua precedente
fatasticheria.
Maliziosamente, Kaoru andò alla
ricerca di altri avvallamenti : le scure insenature lungo le sue
clavicole, il triangolo alla base della sua gola, e il pozzo
dell’interno dei suoi gomiti. Kaoru si chiese quanto tè
avrebbe potuto bere se ci avesse riempito ogni avvallamento e
fossetta di quel corpo. Abbastanza da non avere mai più sete?
Oppure ne sarebbe stata assetata per sempre?
Realizzando quanto i suoi pensieri si
fossero spinti oltre, Kaoru cercò di dominarsi. L’uccellino
sul pino doveva veramente averle stimolato l’immaginazione.
Peccato che ci fosse così poca carne su un passerotto,
altrimenti sarebbe stata tentata di servire a tutti un bello stufato
di passerotto fino che la sua iperattiva immaginazione non si fosse
calmata. Doveva smetterla di fantasticare su Kenshin, o non sarebbe
mai stata in grado di andare avanti con la sua vita.
Disgustata di se stessa, sospirò
e si rimproverò fermamente nella sua testa. Non voglio
farlo più, quindi non torturarmi più con queste
fantasie. Piantala e basta. Scacciando il conturbante Battosai
che la sua mente aveva evocato nel cortile oscurato dal temporale,
Kaoru si girò risolutamente e marciò dentro il dojo.
Kenshin era preparato per una serie di
reazioni da parte di Kaoru. Questa, tuttavia, non era stata una di
quelle.
Un momento prima, aveva osservato il
rossore salirle da sopra i seni fino alle guance. Era così
adorabile – adorabile ed eccitante. Lei lo aveva fissato,
facendogli scorrere lo sguardo su tutto il suo corpo, e poi si era
leccata le labbra. Eccitato, lui l’aveva preso come un segno
promettente.
Poi all’improvviso, lei si era
riscossa, aveva sospirato e lo aveva scacciato come si faceva con un
bambino noioso! Voltandogli le spalle, si era allontanata.
Attonito, Kenshin aveva potuto soltanto
fissare a bocca aperta la sua figura che si allontanava con i capelli
che ondeggiavano quasi con sfida.
L’aveva data per scontato,
credendo di aver capito tutto di lei. Arrogantemente, aveva supposto
che dopo un anno di convivenza avesse imparato a conoscere tutte le
sue stravaganze. Ma in qualche modo aveva dimenticato tutte le
innumerevoli volte in cui lei lo aveva sorpreso, reagendo in maniera
inaspettata.
Bastava pensare a come avesse reagito
quando aveva saputo della sua identità di Hitokiri Battosai.
La maggior parte delle donne, e delle persone, non volevano aver
niente a che fare con lui una volta che avevano capito chi era. Lo
odiavano, lo temevano, oppure volevano usarlo. Ma nessuno aveva
voluto restargli accanto. Nessuno lo aveva accettato, non
chiedendogli altro in cambio che la sua presenza. Nessuno, tranne
Kaoru.
Mentre stava ancora decidendo come
reagire al suo atteggiamento scostante, Kenshin capì che oltre
ad assaporare quelle labbra turgide, c’era un obbiettivo ancora
più importante : riconquistare la sua approvazione. In passato
si era aggrappato alla sua considerazione e stima che aveva per lui,
come ad una corda di salvataggio. Era come se lei lo vedesse come una
persona pura ed integra, invece dell’uomo tormentato e
macchiato dalle colpe che era in realtà. Osservandosi
attraverso gli occhi di lei, Kenshin poteva vedere tutti gli sforzi
che aveva fatto per cambiare. In qualche modo, lei era diventata la
sua speranza.
Quando la sua volontà aveva
vacillato nelle notti senza luna, e i furiosi demoni del suo passato
gli avevano assediato la mente, lui era spesso scivolato piano nella
camera di Kaoru e si era accucciato in silenzio in un angolo.
Contando ogni respiro dall’alzarsi e abbassarsi del suo petto,
aveva sentito la tempesta di pensieri nella sua mente scemare fino a
piccole onde, e finalmente placarsi.
Lei non si era mai svegliata e non si
era mai accorta della sua presenza. Ne era sicuro. Tuttavia, solo in
quelle mattine, lei si era sempre comportata diversamente. Senza
attualmente bere, aveva portato una tazza di tè alle labbra,
con il vapore che si era radunato sul bordo come una nebbiosa
rugiada, e i suoi occhi avevano rivelato un’aria di saggezza
oltre i suoi anni.
Di solito un gentile sorriso le
aleggiava sulle labbra, e lui aveva quasi letto una promessa in
quegli occhi blu oceano. Gli avevano promesso che un giorno avrebbe
trovato la pace che cercava, e che si sarebbe sentito di nuovo
completo. E nonostante i sensi di colpa e la sofferenza che gli
trafiggevano l’anima, lui le aveva creduto.
Quest’ultima settimana passata a
subire il suo atteggiamento scostante era stata un vero inferno. La
sua gentilezza e generosità c’erano ancora, ma per
qualche ragione lei aveva sbarrato le finestre della sua anima.
Kenshin si era sentito come una pianta a cui era stato negato il
sole, ed era diventato nervoso e instabile. Non poteva nemmeno
fidarsi di se stesso abbastanza da occuparsi degli insulti di alcuni
ragazzini. Quegli sguardi silenziosi che lo sfidavano ad impegnarsi
di più, quel riconoscimento orgoglioso di ogni suo più
piccolo sforzo, che gli riempiva il cuore con così tanta gioia
che a volte era difficile sopportarla fisicamente, erano spariti. Per
un’intera settimana aveva a mala pena colto di sfuggita un
lampo di quegli occhi blu che amava così tanto.
Fino ad oggi. Si, lei si era girata e
si era allontanata da lui. Ma prima ancora, i loro occhi si erano
incontrati in uno scontro elementale che aveva riverberato attraverso
il proprio corpo e, a giudicare dall’esclamazione soffocata che
aveva fatto, anche su quello di lei.
Se Kaoru pensava che rinunciasse così
facilmente, allora aveva colto soltanto la minima parte di tutte
quelle storie sull’hitokiri. Oltre ai racconti sulla sua
violenza, queste parlavano anche della sua instancabile ricerca
dell’obiettivo e della sua implacabile tenacia una volta
concentrato sul bersaglio. E in un modo o nell’altro, quella
piccola Shihandai era diventata il suo obiettivo. Si sarebbe ripreso
la sua stima. Ed a meno che lei non avrebbe insistito diversamente,
avrebbe assaporato quelle labbra velate di rugiada e quella deliziosa
pelle liscia proprio dietro le sue piccole orecchie.
Era pronto per saltarle addosso.
Togliendosi i sandali, Kenshin si mosse
come un fantasma nel dojo immerso nella penombra.
La tempesta stava per scatenarsi da un
momento all’altro. Quando sarebbe successo, i suoi amici
sarebbero tornati a casa, incluso il vero Kenshin. Avrebbe avuto
bisogno di apparire decente, il che significava vestita, quando
sarebbe successo. Prendendo la brocca d’acqua dal suo posto
contro il muro, Kaoru sentì il fragore di un tuono scuotere il
dojo. Non curandosi del mestolo, prese un lungo sorso direttamente
dal bordo della brocca.
Quando si girò, la luce
accecante di un fulmine illuminò il dojo per un istante. Un
secondo prima era sola, poi il lampo di luce finì e il suo
Kenshin immaginario era all’interno dello shoji aperto.
“Pensavo di averti detto di
sparire” sbuffò Kaoru, con un’irritata sorpresa.
Bè, almeno la sua fantasia aveva delle buone maniere; si era
ricordata di torgliersi i sandali impolverati prima di entrare nel
dojo. Non che una fantasia potesse sporcare i pavimenti, piuttosto
era una questione di principio.
Con l’inizio della tempesta, il
dojo era diventato un posto buio e pieno di ombre. Tuttavia c’era
abbastanza luce perché lei potesse vedere il leggero cruccio
che gli aggrottava le sopracciglia e l’oscurarsi di quegli
occhi dorati. “Magnifico, sono scesa così in basso che
adesso sto urtando i sentimenti della mia stessa fantasia”.
“Senti” iniziò, nel
tentativo di ragionare con la manifestazione del suo desiderio, ma il
fragore di un altro tuono inghiottì le sue parole. Stringendo
le labbra, lui si avvicinò verso di lei passo dopo
silenziosissimo passo, e in quel silenzio lei realizzò che il
tuono era finito. Non che un tuono avesse reso impossibile parlare
alla fantasia creata dalla sua mente, ma lei non aveva intenzione di
sottovalutare l’abilità della sua testarda immaginazione
di ignorarla. Riappoggiando la brocca d’acqua sul pavimento
Kaoru si appoggiò una mano sul fianco e decise di provare con
un approccio più diretto. “Non posso più
fantasticare su di te”
Ecco, l’aveva detto ad alta voce.
Forse adesso la sua mente si sarebbe arresa. Invece, la sua fantasia
sembrò un po’ perplessa, il che la confuse abbastanza.
Lui era dentro la sua testa, quindi perché avrebbe dovuto
sorprendersi di quello che aveva appena detto se conosceva già
i suoi pensieri? Se lui era uno dei suoi pensieri? Adesso era lei ad
essere perplessa.
Facendo un passo indietro, Kaoru iniziò
a sentirsi a disagio. Quella era la fantasia più realistica
che avesse mai avuto, per non parlare della più complessa. Di
solito si era sempre immaginata brevi visioni di varie parti del
corpo: i suoi occhi profondi, le sue forti mani, il suo petto
muscoloso o i suoi soffici capelli color mogano. Questa volta,
invece, stava chiaramente vedendo tutto il suo corpo, comprese parti
che non avrebbe mai immaginato di poter notare. Riusciva soltanto a
pensare con crescente panico che c’era qualcosa che decisamente
non andava in tutta quella situazione. L’espressione perplessa
di lui sparì quando la comprensione gli illuminò gli
occhi. Un’emozione intensa che lei non riuscì a definire
gli passò sul viso e con un lampo di denti bianchi lui le
sorrise disinvoltamente. Nonostante sapesse che quella era solo una
fantasia, avere quegli occhi ambrati puntati predatoriamente sul suo
corpo stava avendo strani effetti sulle pulsazioni di Kaoru.
“Questo significa che anche io
devo smettere di fantasticare su di te?”
Kaoru si sentì come se qualcuno
l’avesse colpita con un bokken in pieno petto. Le sue parole
provocanti e il suo sorriso da far girare la testa, l’avevano
presa completamente alla sprovvista. Un senso di allarme rimpiazzò
la sua presuntuosa certezza di sapere cosa stesse succedendo. Facendo
un altro passo indietro, appoggiò la sua pelle arrossata
contro il legno riscaldato dal sole della parete dietro di lei. La
sua ombra dagli occhi dorati la seguì passo dopo passo in
quella ritirata. Ormai era a meno di due passi di distanza da lei e
Kaoru non aveva altro spazio dove poter fuggire.
“Forse dovresti trasformarti in
qualcun altro” suggerì nervosamente “In effetti,
si, insisto che tu diventi qualcun altro. Sei una mia fantasia,
quindi trasformati in qualcuno di più innocuo e disponibile e
vestito e… e…” distratta dall’odore di
legno di sandalo, zenzero e sudore maschile, Kaoru si ritrovò
intrappolata di nuovo nel miele dorato dei suoi occhi, nonostante i
suoi tentativi di evitare il suo sguardo. Inghiottendo con difficoltà
finì la frase quasi senza fiato. “E con gli occhi
marroni. Non puoi avere occhi del genere, non è giusto”.
Appoggiando il palmo della mano contro
il muro dietro la sua testa, lui si chinò in avanti fino a che non le arrivò con la bocca direttamente sopra un orecchio. Un fiato caldo e umido le solleticò la pelle sensibile del collo.
Lei poteva sentire il calore che si irradiava dal corpo di lui
accarezzarle il corpo. Non si toccavano, ma soltanto un soffio
separava i loro corpi. Le fantasie non avevano un odore eccitante. Le
fantasie non emettevano calore. Questo significa che…? Oh
no, no…
“No” le mormorò lui
all’orecchio con un ringhio a mala pena udibile. “Non ci
sarà nessun altro. Io sono il solo su cui potrai fantasticare”
tirandosi indietro, fece una pausa con il viso pochi centimetri più
in alto del suo “perché io farò diventare realtà
le tue fantasie”.
Con gli occhi ambrati che si scurivano,
lui si chinò lentamente in avanti per superare la breve
distanza che ancora li separava. “E a te piacciono i miei
occhi” dichiarò con una nota di sopresa e di
soddisfazione nella voce.
Quando il suo caldo respiro le sfiorò
il viso, lo shock fece finalmente risvegliare Kaoru dalla sua
paralisi.
È reale!
Alzando le mani, lei le appoggiò
sulla bruciante pelle del suo petto nudo e spinse con tutte le sue
forze.
Kenshin non vacillò nemmeno per
un secondo, ma spostò il suo peso con una fluida sicurezza che
in un altro momento Kaoru avrebbe sicuramente ammirato. Peccato che
adesso le sue mani fossero intrappolate da quelle di lui contro il
solidi muscoli del suo petto, nonostante i suoi disperati tentativi
di liberarsi. Aveva anche posizionato le gambe in modo tale da
evitare che le ginocchia di lei potessero colpirlo. Lei aveva già
tentato di farlo. Kaoru era piuttosto irritata. O meglio, sarebbe
stata irritata se avesse voluto essere educata e sottostare a quella
situazione.
Dato che a questo punto non le
importava molto delle sue maniere, Kaoru si sentì libera di
ammettere che era furiosa. Lui la stava intrappolando contro la sua
volontà enon le permetteva di rivestirsi. La rabbia era un
alleato prezioso ed era molto meglio di quell’insinuante
imbarazzo e curiosità che avrebbe potuto provare se solo
avesse accantonato la rabbia per pensare a quella pelle liscia che le
bruciava sotto i polpastrelli ed al fatto che una brezza fredda le
stava facendo venire la pelle d’oca sulle parti nude del suo
torso. Per non parlare dell’effetto che l’aria fredda
stava provocando sul petto di lui, un effetto che poteva chiaramente
sentir premere sotto il palmo delle sue mani.
“Dov’è il tuo
kimono, mia piccola Shihandai?” le chiese pigramente Kenshin.
Respirando a fatica, Kaoru sentì
la rabbia venir rapidamente inghiottita in un pozzo di desiderio.
Disperatamente, cercò di riaccenderla. “Ipocrita, tu sei
svestito quanto me. Lasciami” insistè, fissando –
piuttosto eroicamente secondo lei – senza vederlo lo shoji
aperto da sopra una spalla di lui.
“No” le rispose con un
implacabile tono di voce “Ti sei allontanata troppo da me
ultimamente”. Iniziò a tracciarle con i pollici piccoli
cerchi sul retro delle mani bloccate. Ogni volta che un pollice
completava una rotazione, lei poteva sentire il leggero raspare dei
suoi calli.
“Bè adesso non siamo
lontani” tentò di scherzare Kaoru, resistendo
testardamente sia a quell’interrogatorio che a quelle carezze
che la stavano facendo impazzire. Ora, come faccio ad uscire da
questa situazione?…e soprattutto, voglio uscirne? Sentiva
il battito frenetico del cuore di lui e il suo respiro accelerato al
di sotto delle proprie mani, intrappolate dalle sue lunghe dita e
pressate contro il muro dei suoi pettorali.
Nonostante la frustrazione di quella
situazione, Kaoru sapeva che lui non le avrebbe potuto mai
intenzionalmente fare male. L’unico modo in cui lei avesse
potuto ferirsi, era farlo da sola, ed anche in questo modo sapeva
benissimo che Kenshin avrebbe fatto del suo meglio per proteggerla
dalla sua stessa sbadataggine.
Ed era proprio così che lei si
era ritrovata con il cuore spezzato. Aveva riposto tutte le speranze
per il suo futuro sulle spalle di Kenshin, senza alcuna indicazione
che lui avesse voluto quella responsabilità. Quella sofferenza
se l’era auto-inflitta, e ne era consapevole. Non era stata
colpa di Kenshin. In quella settimana, lei aveva cercato di dargli
quello che le sembrava avesse sempre voluto, rimuovendo tutto il
fardello delle sue aspettative.
Allora perché stava facendo
tutto questo? Aveva interpretato male le sue reazioni? Forse lui
aveva capito perché si sentiva così infelice. Allora la
compativa? La rabbia le schiarì la mente e le permise per un
momento di pensare a qualcos’altro a parte l’uomo che
aveva di fronte. Disperatamente fissò i rami dei pini
scompigliati capricciosamente dal vento nel cortile. Stringendo a
pugno le mani intrappolate contro il petto di lui, cercò di
ridurre il contatto tra di loro. Facendo un grosso respiro per farsi
forza Kaoru si umettò le labbra e gli fece la domanda che le
stava bruciando nel cervello. “Che cosa vuoi da me?”.
Con la coda dell’occhio, notò
la lingua di lui scattare ad inumidire quel suo perfetto labbro
inferiore. Le ci volle uno sforzo molto più grande di quanto
non fosse disposta ad ammettere, ma mantenne lo sguardo puntato sul
cortile.
“Voglio la mia lezione privata”
le replicò rocamente lui.
Quando questo non ottenne risposta da
parte di Kaoru a parte l’approfondirsi delle pieghe sulla sua
fronte, continuò con tono più serio.
“Guardami”. Allentandole la
stretta sul polso sinistro, Kenshin lo sollevò per strofinare
il mento sul dorso della mano come un grosso felino.
“No” rispose testardamente
Kaoru. Se non l’avesse guardato, avrebbe potuto far finta di
sapere cosa stesse succendendo e che avesse avuto tutto sotto
controllo.
“Voglio che tu mi guardi”
le ordinò lui. “Kaoru”, la sua voce suonava bassa
ed intima “Ti prego, guardami”.
Quel pacato ma profondo bisogno nella
sua voce, unito all’assenza di quel formale –dono che lui
aveva sempre insistito per attaccare al suo nome, sgretolò le
sue resistenze. Timidamente, sollevò il mento fino a che i
loro occhi non si incontrarono in una silenziosa fusione. Per una
manciata di secondi lei vide nei suoi occhi, oltre tutte le barriere
della sua esperienza, della sua forza e del dolore, un giovane
ragazzo. Lo sentì protendersi verso di lei, chiamare il suo
nome, e come avrebbe potuto non rispondergli?
Le ombre coprirono ancora i segreti dei
suoi occhi quando un tuono riecheggiò, facendole realizzare
che parte della luce negli occhi dorati di lui era stata dovuta al
lampo del fulmine caduto un secondo prima. Senza che se ne
accorgesse, un pollice di Kaoru aveva iniziato a muoversi su e giù
lungo la mascella di Kenshin. Qualcosa era cambiato, stava cambiando,
e lei non aveva idea di cosa potesse significare. Non sapeva perché
stava succedendo, né quanto sarebbe durato. Ne era spaventata.
Eppure subito dietro la paura crescente, c’era anche una
sensazione di effervescente esaltazione.
Il rumore della tempesta cambiò,
diventando un distinto brontolio quando le nuvole finalmente
rilasciarono la loro pioggia sul suolo assetato sotto di loro.
Tenendo gli occhi fissi nei suoi, Kenshin posò un bacio lungo
le venuzze blu della sensibile pelle all’interno del polso,
prima di girarle la mano e sfiorare con le labbra le sue nocche. Dopo
un momento la lingua scattò fuori per un assaggio della sua
pelle.
Trattenendo a stento un gemito, Kaoru
affondò le dita della mano destra nella pelle del petto di lui
e vacillò in avanti. Mordicchiandole le nocche in risposta,
Kenshin continuò fino a che non raggiunse la punta delle dita,
e poi ne succhiò uno nella sua bocca. Kaoru sentì
qualcosa contarsi all’interno del suo corpo. Questa volta non
riuscì ad impedire che un gemito di desiderio le sfuggisse
dalle labbra, mentre gli occhi le si chiudevano per quella
sensazione.
Rilasciandole il dito ormai umido, gli
occhi di Kenshin si chiusero strettamente mentre lui gemeva contro la
sua mano. “Si, ancora. Insegnamene un altro, Shihandai”.
Quando aprì gli occhi, Kaoru potè leggere il loro
messaggio forte e chiaro. Poteva anche essere innocente nel campo
delle relazioni amorose, ma ogni donna visceralmente riconosce
quell’espressione di desiderio e possesso negli occhi di un
uomo.
Non le aveva ancora toccato nient’altro
che le mani, eppure lei si sentiva già sul punto di
sciogliersi sul pavimento. Chinando la testa in avanti, Kaorù
sentì una fitta acuta.
“Aspetta” riuscì ad
ansimare “Ferma, aspetta un attimo”
Con il corpo che gli si irrigidiva, un
muro calò negli occhi di Kenshin. Chiusi, enigmatici e
misteriosi, lei non riuscì più a leggerli. Guardandola
attraverso le lunghe ciglia, lui le posò un bacio bruciante al
centro del palmo della mano. Poi le lasciò le mani e fece un
passo indietro.
Kaoru chiuse la mano che lui aveva
baciato e se la pressò contro il cuore in subbuglio. A quel
suo movimento lui vacillò in avanti, come per stringerla
ancora. “Aspetta” ripetè Kaoru, mettendo una mano
in avanti. “E’ solo che…ho bisogno…non…”
ansimò, cercando inutilmente di comporre i suoi pensieri in
una frase coerente. Non sapeva perché Kenshin non le avesse
mai mostrato prima questo lato di se stesso, a parte le poche
occhiate lanciate di nascosto, ma ora aveva capito una cosa. Se non
l’avesse compreso dalle sue parole o dalle sue azioni, il
desiderio a mala pena trattenuto evidente nel suo corpo teso era
abbastanza da farle capire la verità. Mi trova davvero
attraente. Adesso le sembrava ovvio, ma per un intero anno si era
domandata se fosse così.
Evitando di guardarla in viso per
concentrarsi sulla brocca vicino ai suoi piedi, Kenshin strinse i
pugni fino a che le nocche non gli diventarono bianche. Le sembrò
averlo sentito mormorare “Avanti, non è così
difficile tirarsi indietro ancora una volta” ma questo non
aveva senso. Passandosi delle dita tese nei capelli, lui le disse
seccamente “Hai un minuto per rivestirti. Poi dobbiamo
parlare”. Girandosi, le voltò le spalle. Per quanto
Kaoru avesse voglia di ammirare il modo in cui le ampie spalle gli
scemavano nella vita affusolata, aveva cose più importanti da
fare.
Esasperata, Kaoru usò una mano
finalmente libera per districare una ciocca di capelli che si era
dolorosamente impigliata in una fessura del legno della parete.
Facendo un passo avanti, gli afferrò
una spalla e lo voltò verso di lei. Non appena apparve il suo
viso sorpreso, lei piazzò l’altra mano sul suo bicipite
e portò i loro corpi a stretto contatto, fondendo la pelle
nuda delle loro braccia, stomaco e petto. Alzò la mano sulla
spalla per affondarla nei capelli della nuca di lui e abbassargli il
viso verso il suo con una ferma determinazione.
“La nostra lezione non è
ancora finita” affermò contro le sue labbra, un secondo
prima di chiudere quell’ultima brevissima distanza tra loro e
catturargli fermamente le labbra con le proprie.
[continua…]
AN: La bravissima S.J. Kidd mi
ha iscritto ad una gara di fanfiction indetta da Female Hitokiri
Battousai. Vorrei parteciparvi ma non sono certa di quale
categoria scegliere. Ne posso usare solo due. Penso che quelle più
adatte siano : Romance, Humor, Lemon/Lime, Character POV (che
riguarda specifici personaggi di Rk), Most Eloquent, and Best Couple.
Quale vi sembra che sia meglio per la mia storia?
Altra cosa è che mi sento ancora
troppo a disagio per scrivere un lemon. Probabilmente non lo farò,
quindi la storia non andrà più avanti di così, a
meno che l’appuntamento al buio di questo weekend non prenda
una piega completamente inaspettata e che debba scrivere qualcosa di
piccante per impedirmi di saltargli addosso. Wow, in quel caso spero
davvero di dover scrivere questo lemon, lol. Conoscendo la mia
fortuna, tuttavia, non avverrà niente del genere quindi mi
dispiace ragazzi, ma la storia resterà soltanto lime.
Dizionario :
Hakama – una spece di
gonna-pantalone indossata da alcuni praticanti di jujitsu, e che
erano comunemente indossati dagli uomini nell’era Meiji. (In
precendenza erano indossati solo dalla casta dei samurai). Ha degli
spacchi che vanno dalla vita fino a metà coscia. Kaoru li
indossa al posto del kimono per allenarsi, e Kenshin e Yahiko li
portano sempre. (Un ringraziamento a Kathryn Angelle per il
chiarimento).
Dake- Solo, soltanto.
Sakura- Fiori di ciliegio, hanno
un colore rosa chiarissimo.
Shihandai- Primo Assistente del
Maestro, il titolo di Kaoru
Shoji : porte scorrevoli di
legno tipiche delle abitazioni tradizionali giapponesi.
Bokken: spada di legno usata per
il kendo.
Bakumatsu- la rivoluzione in cui
combattè Kenshin per spodestare il governo Bakufu dello Shogun
ed iniziare l’era Meiji.
Kata- una serie di mosse
standardizzate che costituiscono un’arte marziale.
Gi : casacca indossata dagli
uomini sopra gli hakama (pantaloni).
Tabi : tradizionali clazini con
la cucitura al centro per poterli indossare con i sandali infradito.
Sakabatou- la spada a lama
invertita di Kenshin.
Hiten Mitsurugi Ryu- la tecnica
di spada usata da Kenshin.
Kamiya Kasshin Ryu- Il nome
della scuola di scherma e dello stile di Kendo di Kaoru.
Hitokiri- assassino.
Note della Traduttrice :
Solo una brevissima nota di
ringraziamento dedicata tutta a Wilwarind : come ho scritto anche sul
mio profilo, sappiate che se trovate ancora tutti i vostri commenti a quello che ho
tradotto, il merito è assolutamente tutto suo (e di Erika
naturalmente), perchè è stata così gentile da
venire in mio soccorso per quanto riguarda lo spostamento delle
traduzioni. GRAZIE, GRAZIE e ancora GRAZIE WIL!! Sei la mia
salvatrice!! ^__^
|
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Capitolo 8 *** Capitolo 8 : Il Suo Marchio ***
Hakama Dake
By Indygodusk<
Traduzione By Quenya
Disclaimer: Rurouni Kenshin e I
relativi personaggi non mi appartengono. Un vero peccato!
AN: Ancora una volta,
considerate seriamente il rating MATURO ; ci saranno delle scene LIME
più avanti – un temporale di gocce di limone, da nuvole
a forma di limone su labbra al gusto di limone. Un abbraccio alla mia
beta Katyclismic, che ha sempre le idee migliori e non ha timore di
dirmi quando le cose che scrivo cominciano a diventare assurde.
Per favore, leggete le mie
Note dell’Autore sull’argomento gi vs kimono indossati da
KK alla fine del capitolo.
Capitolo 8 : Il suo
marchio
Kenshinsorrise contro le
labbra appena socchiuse di Kaoru. Erano umide, leggermente screpolate
e meravigliose. La sensazione delle sue morbide labbra e della sua
figura delicatamente muscolosa che si strusciava pressandosi contro
il suo corpo in fiamme fece decidere a Kenshin che da quel momento
avrebbe accolto con gioia qualunque sorpresa lei avesse intenzione di
proporgli.
Se la propria bocca non
fosse stata felicemente occupata, Kenshin sarebbe scoppiato in una
sonora risata di esultazione. Oh si, adesso lei era sua. Aveva
avuto la possibilità di tirarsi indietro e rifiutare le sue
avances. Invece gli era saltata addosso. Non avrebbe avuto una
seconda possibilità di fuga. Anche se la stretta di lei si
fosse allentata, la sua non l’avrebbe fatto. Adesso che ce
l’aveva tra le braccia, non l’avrebbe più lasciata
andare. Mai più.
Abbracciandola fermamente,
lui le fece scivolare le dita sopra quelle fossette alla base della
schiena che lo avevano attirato così tanto. Inserendo
agilmente un ginocchio tra le gambe di lei, la strinse ancora di più
tra le sue braccia, portando i loro corpi a stretto contatto. A
quella intima vicinanza, Kaoru emise un’esclamazione e
istintivamente cercò di tirarsi indietro. Tuttavia l’abbraccio
in cui lui l’aveva stretta non le permise il movimento e la sua
bocca scese su di lei.
Era giunto il momento che
quella Shihandai gli insegnasse una lezione. Voleva sapere quali
punti del suo corpo la facevano andare in estasi e quanti gemiti
differenti sarebbe riuscito a strappare a quelle dolcissime labbra.
Dal modo in cui lei aveva unito le loro labbra, lui immaginava che
non avesse molta, se non alcuna, esperienza nel baciare un uomo. Una
piccola parte di lui era un po’ delusa, dato che in quel modo
avrebbe dovuto procedere più lentamente di quanto avesse
voluto.
L’altra parte però,
quel lato primitivamente possessivo della sua anima, gioiva
profondamente sentendosi fieramente felice. Quelle sensazioni e quel
sapore sarebbero state solamente sue, il suo segreto. Essere il primo
a condurla passo dopo passo nella spirale del piacere gli faceva
battere violentemente il cuore dall’anticipazione.
Controllati, Himura, o
la spaventerai! Vacci piano. Ricordati, passo dopo passo.
Passandole la lingua sulle
labbra ormai socchiuse, lui si soffermò leggermente contro i
denti. Lentamente le fece scorrere le mani lungo la schiena,
occasionalmente fermandosi ad accarezzare e massaggiare la sua pelle
morbida come i petali di ciliegio. Passandole le mani sul corpo,
sfiorando appena la parte esterna dei seni, allargò le dita
sulle spalle, per poi curvarle intorno alla gola come una collana
d’oro. Mentre le mordicchiava il labbro inferiore, usò i
pollici per piegarle gentilmente la testa fino a che non trovò
la precisa angolazione che voleva.
La mano di Kaoru rafforzò
la stretta sulla sua nuca mentre apriva maggiormente la bocca alla
sua sollecitazione. Soddisfatto, lui le accarezzò con la
lingua l’interno della bocca. Soffocandole il successivo gemito
con le labbra, le leccò l’interno dei denti. Per un
momento avrebbe giurato di aver assaporato la succosa polpa di una
ciliegia, anzichè l’interno del suo labbro superiore.
La mano che lei aveva
fermamente tenuto contro il suo fianco allentò la presa,
scivolando languidamente fino a che la punta di un dito si fermò
contro la pelle sensibile proprio sotto il tessuto ammassato alla
vita di lui. Anche se Kenshin sapeva che era soltanto un
polpastrello, gli sembrava molto di più. Sentiva in maniera
amplificata quel poco di pelle scivolata sotto i suoi vestiti, come
se entrambe le mani e le labbra lo avessero toccato in quel punto in
modo estremamente intimo.
Ringhiando, spinse più
a fondo la sua lingua nella bocca di lei, divorando il suo sapore.
Aveva sempre profumato di gelsomino, ma non aveva mai saputo che
avesse anche quel sapore : gelsomino con una sfumatura intensa di
pompelmo, ciliegia e fiori d’arancio.
Continuando il suo assalto
a quelle labbra, le fece scorrere le mani lungo la schiena, da sopra
la ruvida stoffa che le fasciava il petto fino alla pelle liscia come
la seta delle sue costole. Il suo pollice si fermò proprio
sotto i suoi seni fasciati. Sfiorandole appena il bordo della
fasciatura con un’unghia, lui si chiese distrattamente quanta
parte della sua mano avrebbe potuto insinuarci. Chissà se la
pelle che c’era li sotto sarebbe stata ancora più
morbida?
Prima che avesse potuto
scorpirlo, la sua vivace Kaoru iniziò un duello a colpi di
lingua con lui. Kenshin non avrebbe mai apprezzato uno scontro più
di così. Cercando di rallentare il ritmo per via
dell’inesperienza di lei, fu messo fermamente al suo posto
dalla piccola Shihandai quando questa intrecciò rapidamente la
lingua con la sua. Quando inaspettatamente lei chiuse le labbra
intorno alla sua lingua e succhiò, la mente di Kenshin divampò
in un’accecante fiammata bianca. Per un minuto temette di
esplodere.
Quando riprese controllo
sui suoi sensi, si ritrovò a stringere saldamente Kaoru contro
il muro del dojo, tenendola a cavallo della sua coscia mentre la
baciava quasi selvaggiamente. Staccandosi a forza dalle sue labbra
gonfie, le depose baci lungo le guance arrossate e le lunghe ciglia.
Queste ultime gli solleticarono la bocca, e lui tornò indietro
dalla sua esplorazione della tempia per ripetere quella lievissima
carezza. Notando una goccia d’acqua - che fosse pioggia o
sudore - scorrerle sulla guancia destra, si sentì quasi in
dovere di seguire con le labbra o con la lingua il percorso che
tracciava lungo le colline e gli avvallamenti del suo viso e del suo
collo. Dopo aver raggiunto l‘umida goccia alla base della sua
gola, fu molto attento a passarle le proprie ciglia lungo la curva
della mascella in una seducente carezza.
A quel punto Kaoru stava
quasi facendo le fusa. Tracciandole con la lingua i tendini del
collo, Kenshin si soffermò per un momento ad assaporare il
gusto salato della sua pelle. Intossicata dalle nuove sensazioni che
la bocca di lui le stava facendo provare, Kaoru trattenne a stento
un’esclamazione quando lui le afferrò saldamente una
spalla e poi le diede un improvviso morso. Fuori controllo, le unghie
di Kaoru gli graffiarono la schiena quando lui continuò a
marchiarle il corpo. Kenshin le lenì il punto dolente con
morbide passate di lingua, prima di scendere verso il basso, fino a
che non le accarezzò con le labbra il punto proprio sopra il
tessuto che le fasciava i seni. Il suo lieve ansimare lo stuzzicava,
perchè le faceva pressare le sue morbide curve contro le sue
labbra affamate, per poi allontanarle subito dopo con il ritmo del
respiro. Quell’esprienza gli stava certamente insegnando che
era più schiavo dei desideri carnali di quanto avesse pensato.
Un altro gemito le sfuggì
dalla gola e Kenshin si scostò giusto in tempo per vedere la
sua espressione. Rapito, osservò affascinato la visione del
suo viso arrossato, degli occhi chiusi e della sua testa reclinata
per concedergli un migliore accesso alla sua gola. Parte del suo viso
era oscurato dalle ombre, come se volesse avvertirlo che anche se
stava iniziando a conoscere il suo corpo, aveva ancora molto da
imparare sui misteriosi recessi della sua anima. La setosa massa dei
suoi capelli gli solleticava le mani poggiate intorno alla vita.
Sentiva la calda pressione delle mani di lei sulle spalle e il
bruciore degli appassionati graffi che le unghie gli avevano lasciato
in quel punto.
Attraverso gli shoji
aperti alla sua sinistra, udiva scorrere torrenti di pioggia. Grazie
a Dio il selvaggio frastuono della natura non era abbastanza forte da
coprire i sensuali mugolii che emetteva Kaoru mentre lui le esplorava
il corpo. Sentiva quel temporale riverberare attraverso la casa e le
gocce di pioggia cadere sul pavimento del dojo attraverso gli shoji
aperti. Per sua fortuna la fioca ed incerta luce non faceva altro che
esaltare, e non nascondere, la bellezza della donna tra le sue
braccia.
Un lampo balenò
ancora una volta, illuminando le due impronte di denti che
risaltavano in modo netto contro la pelle pallida come la luna di
lei. I suoi marchi, il suo possesso, la sua
donna. SUA. Avidamente osservò Kaoru, arrossata e
ansimante per causa sua.
Impaziente, lei si
contorse contro il suo corpo e aprì gli occhi. “Aah,
perfetto” mormorò lui.
Nell’eccitazione i
suoi occhi blu iridescenti apparivano enormi: dialatati un due
profondi pozzi neri circondati da un anello di brillante zaffiro, il
colore dell’interno delle ali di una farfalla blu, invisibile
fino a che questa non sollevi il suo corpo dalla terra fino al cielo
turchese.
Senza freno, la sua mente
gli fece apparire all’improvviso la visione di se stesso con
Kaoru stretta tra le braccia, con gli occhi blu che lo fissavano
mentre rideva e rideva quando lui la faceva girare in aria. I suoi
capelli neri come la notte le volarono momentaneamente sul viso, e
quando scivolarono via, lui vide che il suo viso e la sua figura si
erano trasformate. Adesso era una ridente bambina quella che
stringeva tra le braccia e che faceva volare in aria, una bambina con
gli occhi di Kaoru e il suo naso che gli premeva le manine
appiccicose sul viso e lo chiamava papà.
Poi anche questa visione
cambiò, per essere rimpiazzata da quella della sua stanza di
notte, illuminata solo da una singola candela rossa. La sua
tremolante luce si riflesse sulle spalle nude di una donna che
dormiva nel suo futon. Quando questa si girò, vide il viso di
Kaoru. I suoi occhi blu scuro splendevano nella luce riflessa della
candela come le stelle in una notte senza luna. Alzando il bordo
della coperta, lo attirò con un dito ruvido dagli anni passati
ad allenarsi con la spada in un gesto di seducente invito.
Tornando in sè con
un salto, Kenshin aprì la bocca improvvisamente arida per
parlare, ma dovette prima inghiottire. Kaoru lo stava guardando con
la testa piegata di lato in modo interrogativo. Durante il suo sogno
ad occhi aperti le sue mani erano salite ad accarezzargli il viso.
“Per sempre”
le disse un po’ confusamente “Voglio questo viso, questi
occhi e il tuo spirito…per sempre”.
“Davvero?”
chiese lei con sognante sorpresa. “Io sono t…”
iniziò, ma poi si tese leggermente. Sbattendo velocemente le
palpebre, il suo languore iniziò a scomparire. “Aspetta
un attimo…spero che non sia solo perchè…”
la sua voce suonava deliziosamente roca, ma quelle non erano certo le
parole che voleva o desiderava sentire da lei. Lui avrebbe avuto la
sua resa, il suo consenso. Se questo riguardava soltanto il desiderio
per lei o la curiosità dei piaceri del corpo, allora l’avrebbe
soddisfatta così tanto che lei avrebbe finito per bramare il
suo tocco, proprio come lui aveva sempre bramato quello di lei. Era
già così vicina ad amarlo. Sapeva che avrebbe potuto
conquistarle il cuore. Non importava quanto ci fosse voluto.
Catturandole le labbra,
lui soffocò ulteriori proteste. Aveva bisogno di tempo per
pensare ad un piano. Sfortunatamente, temeva proprio che pensare ad
una strategia al momento sarebbe stato impossibile. Quando lei lo
toccò, i suoi pensieri si dispersero come petali nel vento.
Era una lezione che avrebbe fatto meglio ad imparare in un altro
momento, ma lui accettava di buon grado sia gli aspetti negativi che
quelli positivi di quelle lezioni, e quelle labbra erano un lato
decisamente positivo.
Per un secondo, Kaoru
provò un momento di disperazione. Non riusciva a pensare
quando lui la baciava in quel modo. Non era giusto, e lei voleva
riflettere su quello che stava succedendo. Quello che le stava
facendo e dicendo sembrava troppo bello per essere vero. Perchè
stava accadendo adesso e non prima? E se lo stesse facendo solo per
compassione? Non accetterò la sua pietà, non importa
quanto sia bello quello che mi sta facendo provare.
Il suo corpo si ribellò
a quel pensiero, lottando per affermare che anche quelle sensazioni
avevano un loro peso. Tutte quelle deliziose cose che le sue mani e
le sue labbra le stavano facendo erano la cosa più importante.
Non le sue motivazioni, insistè il suo corpo. Ma
dopo…riuscì a controbattere a se stessa, dopo
quando non mi toccherà più, so bene che mi
distruggerebbe. Spostando le mani sulle spalle di lui, Kaoru
cercò di respingerlo. Al suo movimento, lui la strinse più
forte tra le sue braccia e spostò la bocca dalle sue labbra
all’orecchio, succhiandole il lobo.
I
pensieri le si infransero come uno specchio rotto, e lei spostò
i sensibili polpastrelli delle dita lungo le sue forti braccia.
Tracciandogli i contorni dei muscoli delle braccia, sentì il
lieve solletico dei peli dei suoi avambracci contro le palme delle
mani. Quando la bocca di lui tornò al collo, Kaoru gli affondò
ancora una volta le mani nei capelli rossi. Strofinandogli il naso
contro una tempia, inspirò quel profumo di legno di sandalo,
zenzero e qualcosa di indefinibilmente maschile che era Kenshin.
Chiudendo
una mano nelle ciocche vermiglie, sentì qualcosa pungerle la
pelle. Un altro profondo respiro le portò alle narici un
rinvigorente profumo di pino. Districando le dita, si ritrovò
a stringere una massa di aghi di pino che gli erano rimasti
impigliati nei capelli.
Concentrando
la vista oltre la sua mano, un’impresa più difficile di
quanto si possa immaginare con un uomo dagli occhi ambrati che le
stava mordicchiando la clavicola, Kaoru notò il silenzio.
Aveva smesso di piovere. Da dietro una nuvola il sole faceva
timidamente capolino, gettando brillanti raggi attraverso le gocce
che ancora cadevano dai pini color verde giada e dal tetto marrone
scuro. La combinazione di gocce d’acqua e sole produsse
centinaia di piccoli arcobaleni che apparivano e scomparivano alla
vista come se degli spiritelli dispettosi stessero giocando nel dojo.
La
bellezza eterea e la magia di quella scena fecero di nuovo
insospettire Kaoru. Era tutto troppo bello e Kenshin era così
meraviglioso con lei. Non era arrivata facilmente alla decisione di
rinunciare al sogno di avere Kenshin come marito e amante, anzi era
stato molto doloroso, ma aveva creduto che fosse stato quello ciò
che lui voleva. Per quanto tutto quello fosse meraviglioso, sapeva
bene che quando lui diceva ‘per sempre’, lo intendeva
davvero. L’avrebbe uccisa se l’indomani lui si fosse
pentito delle sue parole. Così più a lungo sarebbe
durato quel sogno, tanto peggio sarebbe stato quando fosse finito.
Per alcuni minuti non le
era importato del futuro, ma soltanto di quelle dolci labbra e ancora
più dolci parole. Quasi non riusciva a credere di essere stata
lei a saltare addosso a lui. Quando aveva finalmente
accettato che Kenshin fosse veramente là, in piedi davanti ai
suoi occhi, Kaoru aveva deciso di piantarla con i tentennamenti e
afferrare al volo l’occasione. Così, aveva afferrato
lui. Non avrebbe mai creduto di esserne capace, ma non se ne
sarebbe mai pentita : l’espressione profondamente stupita di
lui quando lo aveva baciato, le sarebbe rimasta impressa nella
memoria per sempre. Era stato meraviglioso insegnargli una volta per
tutte che ormai era una donna adulta, con i suoi bisogni e i suoi
desideri. Cosa importava se lui era più esperto di lei nel
baciare? Anche se all’inizio si era sentita un pochino
insicura, poi era riuscita ad impressionarlo con il suo gioco di
lingua. Dopotutto era sempre stata una che imparava in fretta.
Ma
doveva assicurarsi che quello che stava succedendo tra loro fosse
veramente quello che sperava. Quando lui le aveva dato l’occasione
di rivestirsi e parlarne, probabilmente avrebbe dovuto accettare…era
stato bello non farlo, ma non poteva continuare così. Se
avesse seguito il suo istinto completamente, avrebbe finito per
dargli tutta se stessa, anima e corpo. E se lui dopo l’avesse
lasciata, le avrebbe inferto una ferita dalla quale non si sarebbe
mai ripresa.
Si era sbagliata troppe
volte in passato e non poteva permettersi di sbagliare adesso. Fatti
coraggio, Kaoru. Appoggiandogli di nuovo le mani contro le
spalle, trovò la forza di allontanarlo da se, spingendo con
tutte le sue forze. Lui si spostò di poco, ma quel piccolo
spazio fu sufficente ad allontanare dal proprio corpo quella
distraente bocca.
“Kenshin”.
Al serio tono di voce con cui il suo nome fu pronunciato, i suoi
occhi si puntarono sul viso di lei.
“Kenshin, non
capisco. Io…” Kaoru fece un profondo respiro. “Credevo
che volessi che restassimo soltanto amici”. Le mani di lui
strinsero la presa sul su di lei. “Mi hai sempre allontanato,
prima”. Leggendo la negazione nei suoi occhi, continuò
subito dopo. “So che mi hai permesso di avvicinarmi a te molto
più rispetto ad altri e sono immensamente felice di questa tua
fiducia nei miei confronti. Però…però non hai
mai dimostrato di volerti avvicinare a me più di così,
ed ogni volta che ci provavo, tu tiravi sempre indietro. Sembrava che
questo ti rendesse infelice e triste ed è per questo che la
scorsa settimana ho cercato di smettere di farlo”. Vedendo la
sua espressione ferita, Kaoru aggiunse subito dopo : “Volevo
solo renderti felice. Quindi se stai facendo tutto questo solo perchè
ti dispiace per me, mi sentirei meglio se…” la sua voce
vacillò per un momento “…se tu non lo facessi”
Chiudendo
gli occhi apparentemente dal dolore, lui le ripose piano:
”Quando sono
con te, io sono felice. Non intendevo ferirti. So che restare con te
equivale a metterti costantemente in pericolo ed è per questo
che ho sempre cercato di non avvicinarmi troppo a te. Non volevo che
dipendessi troppo da me nel caso che qualcuno riuscisse finalmente ad
uccidermi…o nel caso che fossi costretto a partire per
salvaguardare la tua sicurezza…ma forse stavo soltanto
cercando di proteggere me stesso”.
Aprendo
gli occhi, Kenshin intrecciò le dita con quelle di lei e fissò
lo sguardo su di esse. Poi parlò così piano che lei
dovette sforzarsi per sentirlo. “Ho paura a tenere così
tanto ad una persona. Mi lasciano sempre, e quando lo fanno è
come se mi strappassero via un pezzo della mia anima, lasciandomi
lacerato e sanguinante. Non volevo provare ancora questa agonia. Non
volevo che tu rischiassi la vita”.
Alzando lo sguardo, i suoi
occhi brillarono in quelli di lei come il sole di
mezzogiorno.”Pensavo che in questo modo avrei potuto tenere
entrambi al sicuro, ma poi mi sono accorto che era troppo tardi.
Significavi già troppo per me, e quando Eni….quando lui
ti ha ucciso, mi ha semplicemente distrutto”. Lacrime si
raccolsero come liquidi raggi di sole nei suoi occhi, mentre le sue
mani la stringevano talmente forte da farle quasi male.
Kaoru
si trattenne a stento dal sussultare e parlò con tono
rassicurante, “Ma lui non mi ha ucciso, non mi ha mai neanche
sfiorato. Sono qui davanti a te. Incolume”.
“E’comunque
troppo tardi” continuò lui, come se non l’avesse
sentita. “Credevo che avrei potuto farti felice restando qui,
standoti vicino solo come amico e proteggendo così entrambi.
Ma non sono riuscito a non tenere a te molto di più di quanto
non dovessi. Ho cercato di accontentarmi di quello che avevo, visto
che tu mi hai dato così tanto di cui essere felice. Ma poi hai
iniziato ad allontanarmi. Mi stavi lasciando, anche se eri qui, e
allora l’ho capito”.
Allentando la sua stretta
in una più gentile, Kenshin si portò alle labbra le
loro dita intrecciate e le baciò teneramente le nocche. “Ho
bisogno di te. Ora lo so e lo ammetto. Non ho bisogno di aria, di
acqua o di cibo, ho bisogno di te. Accoglimi, donami il tuo
cuore e io me ne prenderò cura fino a che l’ultimo alito
di vita lascerà questo mio corpo e libererà la mia
anima, mantenendo il ricordo della tua bellezza attraverso il
prossimo ciclo di vita”.
Nel silenzio che seguì
quelle parole, Kaoru udì il distinto plop, plop, splash delle
gocce di pioggia che cadevano dall’angolo del tetto, dove una
trave era stata danneggiata durante uno scontro e non era mai stata
riparata. Confusamente pernsò ad Hanaike-san e Ishida-san al
mercato, e sperò che la pioggia avesse aiutato a ravvivare le
loro mercanzie. Sperava sempre per un sacco di cose, non ultima delle
quali era l’uomo che le stava di fronte. Bè, hai
appena ricevuto quello che il tuo cuore ha sempre desiderato. Che
diavolo stai aspettando?
“Himura
Kenshin, tu hai avuto il mio cuore fin dal primo momento che ti ho
visto. Certo che ti amo, razza di stupido”
“ Ma ci
saranno comunque dei pericoli” le disse, quasi strappandosi
colpevolmente quelle parole di bocca, anche se i suoi occhi
splendevano dalla gioia.
“Lo so.
Conosco da molto tempo il costo di averti al mio fianco. Scelgo
liberamente di pagarlo” dichiarò fermamente Kaoru.
Non
aveva mai visto gli occhi di Kenshin splendere in quel modo. Erano
come la conflagrazione di un fuoco che si estendeva da orizzonte a
orizzonte, assorbendo nella sua radianza anche il cielo, mentre
bruciava il vecchio per far spazio al nuovo. Insistentemente i suoi
occhi richiesero la sua attenzione tutta per loro, fino a che il
suono delle gocce di pioggia e il fischio di un solitario uccellino
non svanirono, e tutto quello a cui lei riuscì a pensare,
vedere o sentire era una marea dorata.
Quando
lui finalmente parlò, Kaoru sentì l’intensità
della sua voce come una carezza. “Io ti amo. Qualunque cosa
succeda, ricordalo. Ti amo. Non dubitarne mai”.
Kaoru
sentì che il labbro inferiore tremarle e lacrime formarsi nei
suoi occhi. Sentirglielo dire, dopo così tanto tempo…e
poterci finalmente credere! “Oh, Kenshin” mormorò
con voce strozzata, mentre una lacrima le scivolava lungo una
guancia.
“Kaoru, amor
mio, non piangere” la consolò lui, prendendole il volto
tra le mani, ma quel gesto non fece altro che accelerare la corsa
delle lacrime. Emettendo dei sommessi suoni per calmarla, lui le
asciugò le lacrime con il pollice. La sua tenera e amorevole
sollecitudine la toccò profondamente. Lei cercò di
smettere di piangere, sapendo che era una reazione stupida, ma
nonostante questo i suoi occhi non sembravano volerle ubbidire
Sorridendo
attraverso le lacrime, cercò di dirgli che stava bene, ma
queste continuavano a scorrere e Kenshin ne sembrava sempre più
afflitto. Cercando di consolarla iniziò a baciarle gli occhi,
passandole le labbra sulla fronte, guance e sulle ciglia umide di
lacrime. Quando arrivarono alla sua bocca, il bacio cambiò,
diventando non meno tenero, ma più urgente e intenso.
Per la
prima volta dalla morte dei suoi genitori, Kaoru si sentì
completa. Si sentì amata. Era una sensazione meravigliosa
- Continua -
Note
dell’Autrice:
Mi
dispiace dirlo, ma scrivere i lime richiede più tempo. Ma
manca solo un altro capitolo piccante e poi sarò libera.
Shihandai
è – secondo il primo volume del manga in giapponese
-la corretta grafia della parola e significa ‘assistente
istruttore’.
Lemons : ho
finalmente e fermamente deciso che questa storia non diventerà
un lemon. Mi dispiace per tutti quelli che ci speravano e spero che
accontenteranno lo stesso di un lime.
Gi
vs Kimono – tempo fa avevo scritto la riposta ad una
recensione in cui dicevo che mi ero sbagliata a scrivere che K&K
indossavano un gi sotto gli hakama, e che invece indossavano un
kimono lungo. Tradizionalmente infatti le persone indossano gli
hakama sopra il kimono. Mi ero completamente dimenticata di questo
fatto, così avevo cambiato le parole e fatto indossare a K&K
dei kimono. Poi Ai-chan mi ha ricordato che coloro che praticavano le
arti marziali in effetti indossavano tradizionalmente solo un gi con
gli hakama, quindi Kaoru andava bene così.
Realizzando
che avevo bisogno di fare maggiori ricerche per evitare altri
errorri, mi sono impegnata. Durante l’era Meiji la moda non era
canonizzata e molte persone sperimentavano varie combinazioni di
vestiario, quindi tutti quegli strani costumi indossati dai cattivi e
dagli alleati attraverso il fumetto di RK potrebbero a volte essere
stati davvero indossati. Osservando le immagini degli artbooks su RK
e del manga, sembrerebbe che Kenshin non indossi proprio degli
hakama, ma un paio di pantaloni molto larghi simili ad un hakama, che
però sono cuciti all’interno delle gambe e all’inguine.
Pantaloni del genere renderebbero impossibile indossare un kimono
dalla lunghezza normale, il che significa che lui debba indossare un
gi. In alcune immagini sembra che indossi un hakama, quindi è
possibile che li indossi entrambi, tuttavia nelle pose da
combattimento di solito si può vedere chiaramente una linea
all’interno delle sue gambe dove sono cuciti i punti. Per
questo ho ricambiato il testo scrivendo che Kenshin indossa un gi.
Tuttavia non so come si chiami questo simil-hakama, quindi continuerò
a chiamarlo incorrettamente hakama fino a che qualcuno non mi dirà
la corretta nomenclatura. Anche Kaoru indossa un gi per fare pratica,
come ha precedentemente fatto notare Ai-chan, quindi questo è
giusto. In sostanza, tutti e due indossano gi e hakama.
Yahiko
tuttavia, indossa il tradizionale kimono coperto da un hakama,
proprio come molti uomini della sua epoca.
Dizionario :
Hakama
– una spece di gonna-pantalone indossata da alcuni
praticanti di jujitsu, e che erano comunemente indossati dagli uomini
nell’era Meiji. (In precendenza erano indossati solo dalla
casta dei samurai). Ha degli spacchi che vanno dalla vita fino a metà
coscia. Kaoru li indossa al posto del kimono per allenarsi, e Kenshin
e Yahiko li portano sempre. (Un ringraziamento a Kathryn Angelle per
il chiarimento).
Dake-
Solo, soltanto.
Sakura-
Fiori di ciliegio, hanno un colore rosa chiarissimo.
Shihandai-
Primo Assistente del Maestro, il titolo di Kaoru
Note della Traduttrice
Che ne dite ragazzi?
Soddisfatti per la sospirata dichiarazione O delusi per lo sfumare
della passione in una scena più soft? Per quanto mi riguarda,
il finale di questa parte mi lasciò semplicemente estatica
quando lo lessi a suo tempo…e mi ha lasciato estatica ancora
una volta mentre lo traducevo. Avreste dovuto vedere la mia
espressione rapita mentre scrivevo sulla tastiera del pc…roba
da pazzi! Ma non ci posso fare nulla…la dichiarazione di
Kenshin mi ha semplicemente ridotto ad una pozza di gelatina
sospirante :P
Per rispondere ad un
giustissimo interrogativo sollevato da Akane_Val, vi dico subito che
SI, la storia è stata conclusa dall’autrice, ma vi
consiglio anche di mettervi comodi : pensavate che questo fosse il
capitolo finale? Bè, sappiate che ne mancano altri 8
prima della conclusione!! Servirà un pochino di pazienza, ma
cercherò il più possibile di mantenere un ritmo di
aggiornamento lento, ma costante.
Ah
dimenticavo...questo capitolo mi ha fatto venire un gran mal di testa
con tutti quei congiuntivi e condizionali … spero vivamente di
non averne sbagliato qualcuno, anche se sono quasi certa che certe
frasi siano decisamente troppo intricate per suonare bene…ricordate,
suggerimenti&correzioni sono sempre ben accetti!! ^_^
Concludo ringraziando
di cuore tutte le gentilissime persone che continuano a recensire
questa storia. Grazie, grazie e ancora grazie ragazzi!!
Quenya
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