Un'altra storia

di Parsifal
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Nell'oscurità ***
Capitolo 2: *** Un'altra storia ***
Capitolo 3: *** Un'altra storia ***
Capitolo 4: *** Un'altra storia- Ultimo capitolo ***



Capitolo 1
*** Nell'oscurità ***


(La stellina indica che parla Efestione, due stelline Alessandro)
Un'altra storia
*Non è facile parlare di qualcuno che ti ha dato così tanto da permetterti di vivere di rendita per il resto della tua lunghissima esistenza.
Se adesso ci sto provando è solo perché ho un debito di riconoscenza verso chi mi ha tolto dall'oscurità, regalandomi di nuovo la speranza.
Speranza che mai aveva abbandonato la mia anima ma che stava languendo, sterile e vuota, davanti a colui che non mi voleva più.
Era tutto li il mio tormento.
Alessandro non sembrava più interessato a me.
Io ero li ad attenderlo, aspettavo un suo cenno, qualcosa che mi facesse capire che mi sentiva ancora, che avevo ancora motivo di sperare ma lui...restava chiuso in stesso.
Non si apriva, non tornava da me.
Eppure...eppure io continuavo a rimanere li.
Assurdamente, tenacemente... come solo chi è profondamente innamorato poteva fare...o pazzo.
Il che non è che sia molto diverso.
Alessandro era , è la parte più profonda di me stesso.
Quella che non riesci mai a toccare, quella che resta sempre sepolta in te affinché gli altri non possano portartela via.
Oh...tutti sapevano che ci amavamo, ma proprio tutti.
Non c'era nessuno che aveva dei dubbi in proposito e non si sognavano di metterlo in discussione, nemmeno prima, quando lui era il figlio del Re, un Re che era soprattutto un conquistatore.
Quando poi prese il posto di suo Padre fu chiara una cosa: Io ero suo.
Chiaro e limpido questo concetto rimaneva sospeso tra tutti quelli che ci conoscevano e pensavano che la nostra fosse una semplice passeggiata.
Una cosa da niente, giusto per scaldargli il letto prima che lui salisse al trono.
La prima cosa che fece quando diventò Re fu quella di venire in camera mia ogni sera, quando non mi mandava a chiamare.
Quello che stupì tutti fu la mia presa di posizione: Nessuno doveva mettersi fra noi. Nessuno.
Se io ero di Alessandro lui era mio e questo non andava messo assolutamente in discussione.
Tra tutti noi io ero il più forte fisicamente, nonostante il mio corpo agile.
E pericoloso.
E avrei usato ogni mezzo umano e non per impedire di fargli del male.
O di portarmelo via.                                                                                                                        
 E Nessuno ci avrebbe nemmeno provato, fino a quando io ero al suo fianco.

**La cosa che più mi colpiva era l'assenza di luce
.Ero diventato oscuro e nero come la notte.
Non una notte qualsiasi però, una notte senza stelle e senza luna.
Senza più nulla che potesse orientarmi nella foresta impenetrabile in cui ero entrato volontariamente.
Non credevo più in nulla e in nessuno, sopratutto in me stesso.
Gli dei a cui in vita mi ero rivolto mi avevano deluso profondamente, tanto da  farmi perdere totalmente la fede in loro.
Gli uomini erano un pensiero lontano e negativo.
Non ero più nessuno e così mi andava bene, non desideravo altro.
Non desideravo più niente e nessuno.                                      
Il suo pensiero era un sogno.
 Ero convinto che Efestione non fosse reale ma un parto della mia fantasia malata.
Un ricordo di quando pensavo che ogni cosa fosse nelle mie mani, che lui fosse mio, soltanto mio, e che ne dei ne esseri umani potessero togliermelo.
Ero pronto a uccidere per questo.
Invece Efestione se n'era andato, strappato vilmente da vigliacchi che avevano paura del potere che avevamo insieme.
Gelosi di lui.
Di lui a cui bastava uno sguardo più intenso per avermi accanto.
Una mano tesa per desiderare di afferrarla.
La sua voce per volerlo con me.
Ho imparato a non fidarmi di nessuno.
Se da ragazzino era così ingenuo da credere almeno nei miei migliori amici, in coloro che sono cresciuti con me e con me hanno condiviso ogni cosa, crescendo ho imparato che quando ci sono terre, oro e persone da assoggettare a te non esiste più fedeltà ne amicizia, mere parole che usi per avvicinarti a chi ha quello che tu vuoi
.Non mi fidavo più di nessuno, forse soltanto in uno , due a malapena.
E Efestione.
 Su di lui non ho mai avuto dubbi.
 L'altra parte di me, quella pulita.
 La mia ragione.
Colui che sapeva cosa avevo con uno sguardo soltanto.
Colui che vegliava su di me al posto di quegli dei inesistenti.                 
Ora lo so.
Ora che sono qui so che non c'è nessuno oltre a me stesso.
E all'oscurità.
Così fino a quando la voce di Efestione non ha passato la barriera oscura che avevo costruito io stesso.
Con le mie sole forze.  
La sua voce e una dolce melodia nostalgica, piena d'amore e di Fede.
Quella Fede che per me era diventata utopia.
E di forza.
Ma di questo parlerò un'altra volta.


*Non avevo paura.
Così come non ne avevo in vita se morire voleva dire permettere a lui di vivere non ne avevo li, davanti a lui, nell'oscurità più totale.
Sentivo distintamente che c'era qualcuno oltre a noi, qualcuno che mi stava aspettando.
Che si fidava di me fino al punto da non forzarmi.
Non faceva nulla per obbligarmi a tornare.
Aspettava.
Come chi è sicuro della profondità del Suo amore.
Tornare.
Tornare  a casa. 
Questo era quello che proveniva da Colui che  mi chiamava.
Ma io da solo, senza Alessandro, non potevo muovermi.
Senza di lui non avrei fatto un passo e sentivo confusamente che Chi mi stava aspettando era contento.
Era questo che voleva anche Lui.
E così restavo li. Li nell’oscurità.
Guardando colui che un tempo era Alessandro, con l’assoluta certezza che non l’avrei lasciato al suo destino oscuro.

**Casa.
Questa parola per molti vuota e senza senso era per me il mio obiettivo, il mio sogno.
Ed ero fermamente convinto di riuscirci.
Si.
Avrei fatto di tutto il mondo conosciuto un’unica casa, sotto una sola bandiera.
 Con un unico Re.
Io.
Pensarci adesso, adesso che sono qui davanti a me stesso e all’oscurità sembra utopistico.
Follia pura.
Eppure allora era sensatissimo.
Perché no? Io non volevo “comandare” un popolo di schiavi sconfitti ma un unico grande popolo, fatto di culture diverse, di credo diversi ma uniti da un unico cuore che avrebbe creduto in loro, badato a loro.
Comandato su di loro senza togliere loro dignità e orgoglio.
Ma non ho saputo accontentarmi.
Volevo sempre di più, era diventata una droga per me.
Non ne avevo mai abbastanza, come una droga appunto che ti entra nelle vene, circola nel sangue e non ti abbandona più.
L’unico che mi restava sempre vicino senza dire una sola parola a riguardo era lui, Efestione.
Non cercava di convincermi a fare cose che in realtà voleva lui, non voleva impormi la sua volontà.
Lui voleva solo starmi vicino.
Niente altro.
Adesso che la sua voce è così vicina, adesso che la barriera dell’oscurità ha rotto gli argini costruiti con cura da me stesso e i ricordi entrano con prepotenza mi rendo conto che Efestione non ha mai smesso di credere in me e di amarmi. Come quando eravamo in vita anche adesso fa la guardia alla mia anima così come prima la faceva al mio cuore, affinché io non potessi mai sentirmi solo.
E con lui mai lo sono stato.
Come ho potuto dimenticarlo?
Come ho fatto a pensare che ogni cosa fosse cessata di esistere con la mia morte?
Con la nostra morte?
Dovevo immaginarlo che la sua volontà era più forte della nera compagna che avevo voluto e bramato da quando il suo respiro era cessato tra le mie braccia  .


*Nella notte che mi circondava si era aperta una breccia.
L’oscurità attorno a lui non era più così densa, tutto qui.
Questa era la breccia che sentivo, il piccolo appiglio a cui mi aggrappavo per non farmi afferrare dalla disperazione che sentivo incombere in me, attorno a me.
Non era densa, vischiosa, terribile.
Era…quasi amica.
Dopo…quanti secoli?
 Millenni forse… non so.
La terra, per quel che ne so, avrebbe anche potuto smettere di esistere.
Non vuol dire che non me ne importava ma che, semplicemente, non mi distraevo un attimo.
Ogni mia “energia” era tutta li, in lui.
Per aiutarlo, per dargli calore, amore, fiducia.
Non potevo permettermi di spendere le mie forze per guardare altrove.
Ma sapevo che la vita stava continuando,
lo sentivo in me.
 Negli ultimi tempi una volontà più forte della mia mi obbligava quasi a ricordare.
A ripensare ai momenti in cui lui era accanto a me, quando pensava di essere lui a proteggermi e io glielo lasciavo credere.
Quando mi faceva arrabbiare perché non aveva cura di se stesso, non pensava minimamente a lui e poi pretendeva che io, invece, lo facessi.
“Parlami di Alessandro”.
Questo quello che sentivo in me.
Come parlare di lui a chi non lo aveva mai visto? Non ci aveva mia visto? Eppure tutto questo mi stava facendo rivivere, in una maniera diversa da quella fatta fino ad ora.
Rivivere interiormente, non rinascere ma rivivere in modo tale da indurmi a pormi delle domande pericolose.
Quali ”ma io, fin’ora, che ho fatto veramente?”
E io, per lei, per quella volontà che vedevo come luce calda, caldissima nel freddo in cui ero immerso, ricordai
E raccontai chi era Alessandro.

** Stupore.
Quando quella melodia mi riempì penetrando nella morte che mi ero preparato quello fu l’unico sentimento che provai, un’immenso stupore.
Come faceva a penetrare fin li quella musica?
 Non so se erano già parole per me, per il momento quello che distinguevo era soltanto… musica.
Assoluta musica per l’anima mia che credeva di non esistere più.
E la sua musica mi portava alla memoria un’altra, più antica.
Quella che suonava per me il mio servo Persiano nelle notti in cui Efestione non poteva venire da me.
Quando stava male o era semplicemente via per seguire una parte del mio esercito.

Il mio sogno che lo teneva lontano da me.
E questa musica era l’unica che mi dava pace.
Ricordo una notte particolarmente difficile per me.
Sentivo acuta la sua nostalgia.
Era poco più di una settimana che era via ma per me il tempo si era fermato nell’attimo in cui lui era partito.
Senza di lui la vita li dentro mi era insopportabile e già smaniavo per andarmene, per combattere… qualunque cosa…purché potessi uscire da li.
Con lui chiaramente.
La musica stava diventando via via sempre più debole, fra poco non mi sarebbe bastata più, volevo lui, e basta.
Due mani calde presero il posto dei miei occhi e due labbra umide si posarono sui miei capelli, mentre la melodia si spegneva per lasciarci soli.

Era tornato.
Da quella volta non lo lasciai partire mai più da solo.
Mai più.
Almeno fino a quando me lo strapparono dalle braccia,senza vita.

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Capitolo 2
*** Un'altra storia ***


Ecco qui il secondo capitolo di questa fic che non è stata ancora completata.
Questo è quello che ho scritto, il resto devo ancora terminarlo ma è in dirittura d'arrivo.
E' tutto qui, nel mio cuore e "loro", Alesndro ed Efestione, verranno a scriverlo al più presto...forse in questo fine settimana ^_^''.
Un grazie di cuore a Mizar, Adamic e Aglaja per aver commentato questa storia e a quanti lo faranno adesso.
Dedicato a Yukino che li adora e mi sta "leggermente" spingendo a terminarla!
Ma, appena lo farò, voglio il commento, hai capito Yukino???
Buona lettura a tutti.
Parsy

2° Cap.
* Parlare adesso che la luce ha avvolto la mia, la nostra esistenza, di ciò che eravamo prima, non è facile.
Adesso che sai cos'è l'Amore, come fai a parlare di quello che
scambiavi per Esso?
La felicità, quando avevamo un corpo, era stare insieme.
Un fuoco con gli amici, il calore del vino che ti scivola in gola, il
mantello a scaldarti la pelle e il suo sguardo per scaldare il cuore.
Questo bastava per dire a me stesso che stavo bene e non desideravo altro.
Leggere nei suoi occhi la gioia che gli dava affondare lo sguardo nei miei.
Avere la conferma che io ero con lui.
Gli amici erano tali di nome, pochi di fatto.
Il vino dava l'illusione momentanea di forza e di effimero benessere.
Il giorno che moriva portava con sé le debolezze, le fragilità di
uomini che si illudevano di essere grandi con la forza.
Eppure ci dicevamo felici... quanto eravamo presuntuosi!
Adesso che vivo un presente perenne, adesso che nella mia anima c'è davvero l'Amore, so che quando siamo sulla terra ci affanniamo per le cose sbagliate e rischiamo di perdere di vista l'essenziale.
Quello che è invisibile agli occhi ed è racchiuso nella parte più
profonda di noi.
Quanti giri di chiave ha il nostro cuore?
Quante volte abbiamo sotterrato la nostra capacità di amare?
Me ne stavo lì a vegliare su di lui e questo bastava a me stesso per dirmi felice.
Non chiedevo altro agli dei che quello:
Vegliare, proteggere, soccorrere il mio Re, colui che per me lo
era, prima ancora della morte di Re Filippo.
Alzare lo sguardo sull'uomo divenuto tale, contro ogni legge e regola umana, per forza di regalità.
Per diritto di nascita.
E trovarsi davanti la ragione della mia vita.
Solo questo contava per me. Niente altro.
Non rimpiango nulla di quello che ho vissuto, provato e fatto sulla
terra.
Ma se avessi avuto la coscienza che ho adesso, se non l'avessi fatta dormire sotto strati di polvere... polvere che erano le mie certezze e le mie convinzioni, avrei potuto dire veramente a me stesso, di averlo amato con tutte le mie forze.
E di essere stato felice.

**Che cos'era per me la felicità?
Non mi sono mai fermato a chiedermelo.
In effetti non era importante in quel momento.
Io vivevo nel presente, consapevole che ogni attimo passato insieme era una conquista dura e faticosa.
Una conquista nostra però, soltanto nostra.
Da non dividere con nessuno.
Bastava, a far diventare degna una giornata, il suo sguardo che
scivolava su di me, i suoi occhi scuri che cercavano i miei, che li
accarezzavano.
Che bruciavano di un fuoco soltanto mio.
Per me lui era l'ancora di salvezza e, come ogni ancora, mi bloccava lì, al suolo, fermando con la ragione i miei voli altissimi, e impedendo così cadute rovinose.
Anche se non ci riusciva sempre.
Come si fa a impedire ad un falco di volare? Impossibile.
Non mi ha mai abbandonato, nemmeno quando il mio comportamento rendeva vana ogni ragione, ogni pensiero razionale.
Ed è stato il primo che ha creduto ciecamente in me, che ha messo sul mio capo quella corona simbolica, che faceva di me il condottiero della Magna Grecia.
Colui che avrebbe riunito sotto la sua bandiera, tutte le terre
conosciute.
Ricordo come fosse adesso, l'ultimo mio colloquio con mia madre.
Mio padre era appena morto e il sospetto che lei ne fosse l'artefice, non dava pace al mio spirito e faceva vacillare la mia mente.
Volevo da lei una rassicurazione, che non è mai avvenuta.
In lei leggevo solo odio, un odio sconfinato, che la stava
avvelenando e che mi stava togliendo le forze.
Come riuscii a non metterle le mani addosso, solo il cielo lo sa.
Il cielo così immobile e chiuso sui nostri piccoli drammi.
Chiedevo invano un aiuto a chi non era altro che polvere e
immobilità.
Statue vuote, dei inesistenti e crudeli come solo l'uomo sa esserlo.
E fu in quel momento che capii di essere solo.
Ero solo!
Potevo contare solo su me stesso e sulle mie capacità.
Sul mio cuore che batteva nel petto.
Sul sangue che scorreva nelle mie vene.
Uscii dalle sue camere senza forze, devastato nel profondo.
E vidi Efestione che mi stava guardando dai giardini.
Era con qualcuno, stavano parlando.
Eppure, appena io passai accanto alla terrazza e mi fermai a
guardarlo, lui volse la testa.
Lentamente, tutto il suo corpo si voltò verso di me.
Si protese, richiamato dal mio sguardo.
E io ritrovai la ragione.
Non ero solo.
Anche se il mondo mi avesse voltato le spalle, io non ero solo.
Abbassò leggermente il capo e io, contro ogni logica, contro ogni
apparente ragione... gli sorrisi.

* I suoi sorrisi.
Quanto erano rari e quanto erano preziosi.
Non parlo di quelli fatti con gli amici mentre si mangiava e si
beveva.
O di quelli di circostanza, dovuti quasi.
Ma dei sorrisi veri, profondi, unici in quanto sentiti.
Non aveva molte cose su cui ridere.
Il peso di un regno che era diventato precocemente suo, un regno che lui non voleva come peso, ma come amore.
Amici che tramavano alle sue spalle.
Generali che lo vedevano troppo giovane.
Una madre malata, che lo amava malsanamente e si serviva di lui.
Come poteva trovare qualcosa per cui sorridere, in mezzo a tutto
questo?
Eppure qualche volta lo faceva.
L'ho visto sorridere davanti a un gioco di bimbi.
L'ho visto sorridere davanti a una nuova vita, qualunque essa sia.
E ogni volta il suo animo si apriva, facendomi intravedere l'uomo che serbava nel profondo.
Quando poi sorrideva a me, a me che ero nulla davanti a lui, mi
rendeva consapevole della mia fragilità.
Del mio essere come cera calda nelle sue mani.
Mi modellava con i suoi sorrisi rari, mi uccideva a me stesso,
facendomi rinascere in lui.
Quando andò a parlare a sua madre, subito dopo la morte di Re
Filippo, fu il momento peggiore della sua vita.
Quella vissuta e quella ancora da vivere.
Cercava negli occhi di chi l'aveva messo al mondo, una conferma alla sua innocenza.
Il mio Alessandro.
Era diventato Re di un popolo immenso e si rifiutava di credere che sua madre arrivasse a tanto.
Rivoleva indietro le sue certezze, la sua seppur fragile umanità, che derivava in gran parte dall'amore per colei che gli aveva dato solo rancore e odio verso chi l'aveva resa schiava delle proprie passioni.
Ne uscì sconvolto.
Aveva sul cuore un peso immenso e l'anima ,completamente solitaria, si cibava di dolore e distruzione.
Deluso per l'ennesima volta dal cielo immoto.
Privo del Padre e ora, definitivamente, anche della madre.
Io stavo parlando nel cortile con uno dei figli di un generale di suo padre.
Un uomo giovane che aveva verso di me del rispetto, misto a timore reverenziale.
Mi guardava anche con curiosità, che derivava, probabilmente dalle ore passate a chiedersi se era vero quello che dicevano di me.
E con desiderio.
Io gli piacevo, lo si capiva subito.
E se questo, in parte mi faceva innegabilmente piacere, allo stesso tempo, mi infastidiva tantissimo.
Non volevo che qualcuno potesse guardarmi in quel modo.
Quel modo particolarmente caldo e avvolgente.
Io appartenevo a una sola persona, anima e corpo.
Sentii su di me il suo sguardo, prima ancora di percepirne la
presenza.
Trafiggeva il mio corpo e quello del ragazzo accanto a me.
Come una freccia scoccata in maniera precisa ed efficace la sentivo colpire in profondità e lasciarmi dentro tutta la sua disperazione per essere rimasto solo.
La sua ira, per lo sguardo di quel giovane uomo incosciente.
Il suo amore che mi invocava...
Mi voltai lentamente verso di lui, mentre già il mio essere, in tutta la sua completezza, si protendeva verso la fonte della sua esistenza.
I suoi occhi dorati, profondi e capaci di piegare qualsiasi volontà,
mi incatenarono.
Mi fecero intravedere i suoi abissi imperscrutabili.
Mai gli avrei permesso di restare solo.
Mai.
E questo lui doveva saperlo.  Se davvero mi conosceva a fondo.
Mi inchinai a lui, al Re che era diventato. All'unico essere che mai se lo meritava.
Al proprietario delle mie emozioni.
E lui mi fece vedere quanto era grande il suo amore per me.
Con il suo sorriso.

**L'ultima notte che passai nel palazzo dove c'era mia madre fu la più intensa della mia vita.
E pensarci adesso che vedo oltre e che sento ogni cosa, me la rende ancora più cara.
La passai con lui.
Infischiandomi di coloro che vedevano tutto lo mandai a chiamare, non volevo restare solo in quelle stanze pensate da "lei" per me.
Sarei definitivamente impazzito.
Del resto era normale per tutti, come se avessi mandato a chiamare una donna.
Quello che cambiava per loro era che lui era Efestione, uno di "loro".
E avevano paura del potere che aveva su di me, ora che ero il Re.
Lui non era manovrabile e il suo amore per me era più forte di ogni cosa.
Ed era forte.
Molto più di tutti loro.
Lo temevano e in quel momento iniziarono ad odiarlo.
Quando eravamo insieme racchiusi l'uno nell'amore dell'altro, mi
decisi a fargli quella domanda.
Quella domanda che era un'affermazione ma che mi faceva sentire, in una qualche maniera, vulnerabile.
-Quel ragazzo ti ama-
Tutto qui.
Del resto era una cosa certa.
Forse inutile ma certa.
Sentii il suo sorriso senza vederlo, sulla mia pelle, mentre gli
cingevo le spalle.
E la sua frase mi fece capire quanto il resto del mondo non
esisteva più per lui.
Quanto la sua vita ruotasse su di me.
- Non importa-
Basta.
Solo questo.
Non importa.
E lì disse tutto.
Lo amai quella sera come mai io avevo amato.
Con ogni fibra di me stesso.
Con ogni cellula del mio corpo.
Con tutto il mio sangue.
Eravamo noi due soli, in un mondo che mi accingevo a fare mio ma che non capivo.
E che mi rifiutava.
Mandai lontano quel giovane uomo.
Lo mandai in una mie delle terre conquistate, con una scusa più o meno buona.
Non perché avevo paura che Efestione cedesse ma perché non volevo che il piccolo si illudesse ulteriormente.
Mai lo avrebbe amato.
Mi ero scoperto geloso e possessivo e, per il suo bene, era importante che lo tenesse ben presente.
Quella notte scaldò la mia anima per molto, molto tempo.

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Capitolo 3
*** Un'altra storia ***


3° Capitolo
(* Efestione ** Alessandro)

*Continuare a ricordare, adesso che il passato non esiste più, sembra un'utopia.
Viviamo in un perenne presente, in un tempo che non è più tale.
Un'eternità senza fine.
Vicini così come lo eravamo in vita.
Una cosa sola.
Ma, a differenza di quando avevamo un corpo e una mente, adesso sappiamo che la cosa più importante non è portare avanti il nostro sogno ma vivere in esso.
Diventare un sogno noi stessi.
E questo,io e Alessandro, non siamo riusciti a farlo.
Perchè allora sto continuando a ricordare, affidando tutto quello che, per me, era più importante della vita stessa a chi vive ancora e non sa, non può nemmeno immaginare, che cosa sto provando?
Perchè solo in questo modo il mio passato diventerà veramente storia.
Insegnamento per qualcuno.
Affinchè non si ripetano sempre, all'infinito, gli stessi errori.
Ma sopratutto perchè il nostro era veramente un amore grande.
Così grande da superare la storia, il tempo, la vita stessa, per continuare a vivere anche qui.
In Colui che custodisce la Vita e non la spreca, come facciamo noi, quando abbiamo ancora un corpo che pensiamo indistruttibile.
C'è un episodio legato al tempo in cui conquistammo la Persia, che mi fece pensare, per la prima volta, a quanto noi siamo fragili e facilmente corrutibili.
Crediamo di conoscere ogni cosa di noi stessi, di essere in grado di controllarci quasi alla perfezione, senza pensare che questo non è affatto vero.
E che l'unica cosa che sappiamo di noi è il giorno della nostra nascita.
Per il resto, per tutto il resto, siamo più ignoranti di un bambino che non è ancora andato a scuola e che ignora tutto del mondo, sia passato che futuro.
Perchè un bambino è come una lavagna vuota che anela di essere riempita dal gesso bianco.
Noi adulti invece...siamo così pieni di noi da non renderci conto che quello che sappiamo sono solo nozioni errate, senza senso.
E che non facciamo spazio a quelle esatte.
Quelle che potrebbero salvarci la vita.
Mi fece sposare la sorella minore della sua seconda moglie.
Non ero geloso delle sue mogli, questo va chiarito.
Sapevo che doveva sposarsi, altrimenti i suoi nemici avrebbero ballato sul suo trono.
Sposando la sua prima moglie dimostrò, però, che lui e soltanto lui era il re e che nessuno, nemmeno loro, potevano pensare di imporgli qualcosa.
Una moglie tantomeno.
Mentirei se dicessi che ero contento di saperlo con qualcuno che non ero io ma i miei bisogni cessavano quando iniziavano i suoi.
Gelosia è una parola che va oltre il suo significato, una parola che non mi è mai piaciuta.
Come siamo meschini noi esseri umani quando, in nome di un sentimento che crediamo di conoscere così bene come l'amore, scambiamo per tale anche la gelosia e la giustifichiamo dicendo a noi stessi che l'amato è nostro e come tale nessuno deve metterci gli occhi, o le mani, sopra.
Rifiutiamo di farci chiamare “gelosi” ma, in realtà, ci siamo immersi fino al collo.
Ma io ne ero proprio immune?
E' vero, non ero geloso delle sue mogli perchè sapevo bene che il posto che occupavo io nel suo cuore nessuno poteva portarlo via.
E a me questo bastava.
Eppure, se qualcuno lo guardava con un interesse particolare, se qualcuno accarezzava quel corpo con occhi che non erano quelli dovuti a un Re, ero pronto ad uccidere con le mie mani quei poveri incoscienti.
Non mi piacevo in quei momenti.
Non era una questione di fiducia in lui o in me.
Non si trattava nemmeno di senso del possesso troppo radicato.
Era molto più complicato.
Guardandolo in quella maniera loro si permettevano di andare oltre la sua regalità.
Di cercare, in lui, qualcosa che io sapevo era solo mio.
E questo mi trasformava.
No, non mi piaceva quello che provavo ma non potevo farci nulla.
Assolutamente nulla.
Perchè, quando si trattava di Alessandro io non avevo più nessun controllo su me stesso.
 
** Perchè gli feci sposare la sorella di Statira, la mia seconda moglie?
I motivi erano tanti ma, principalmente, si poteva ridurre in uno soltanto:
Per far si che, se io fossi morto prima di lui, cosa che mi auguravo ogni volta che aprivamo gli occhi su un nuovo giorno insieme, nessuno potesse muovere delle obiezioni al fatto, innegabile,che lui potesse, dovesse, diventare Re al mio posto.
Nessuno era in grado di continuare il mio sogno, di mantenere unito il regno che, con  immensa fatica e dolore, avevamo duramente conquistato.
Avevamo.
Non sono mai stato così stupido da pensare di non aver bisogno di nessuno.
Di poter fare tutto da solo.
Però ero pienamente consapevole che io e soltanto io potevo mantenerte unito il mio regno.
Gli altri, tutti gli altri generali “miei amici”, l'avrebbero distrutto in poco tempo.
Un sogno è più grande se viene condiviso insieme.
Questo lo sapevo perfettamente, ma sapevo anche che gli altri non erano mossi dai miei stessi ideali, non condividevano i miei sogni.
Non bruciavano del mio stesso fuoco.
Soltanto Efestione riusciva a starmi dietro.
Sentivo, in lui, lo stesso fuoco che bruciava in me.
Lo stesso desiderio che mi divorava.
Anche se non così forte come avrei voluto.
Però lui e lui soltanto avrebbe potuto prendere il mio posto.
Avevo fatto i conti perfettamente, calcolando ogni cosa al millesimo.
Ogni possibile obiezione, ogni esitazione negli sguardi di chi ci stava con il fiato sul collo, non sarebbe stata tollerata.
L'avrei stroncata sul nascere con la morte.
E nessuno si azzardò a dire nulla davanti a me.
Nessuno.
L'unico che lo fece fu proprio lui.
Efestione.
Non posso dire che questo pensiero non avesse nemmeno sfiorato la mia mente.
Non era il fatto di sposare una donna che non tollerava.
Non gli importava affatto chi avesse vicino, sapeva perfettamente che nessuno poteva prendere il mio posto nel suo cuore.
E lo sapevo anche io.
Quello che non riusciva a mandare giù era il pensiero che io lo facevo sposare per fargli prendere il mio posto.
Il mio posto.
Voleva dire che io speravo di morire prima di lui.
Questo pensiero gli era intollerabile.
Non era uno sciocco, affatto.
Sapeva bene che rischiavo la vita ogni volta che respiravo.
Ad ogni battito di ciglia in terra nemica e, purtoppo, anche in terra amica.
Era la vita che volevamo, che ci eravamo scelti,anche se su questo, adesso, potrei parlarne per ore.
Quello che gli faceva male e che non accettava era il pensiero che io volessi morire prima di lui.
“Per il bene che mi vuoi...come puoi desiderare di morire prima di me? Come puoi farmi provare lo strazio della tua morte?”
Questo me lo fece diventare ancora più caro e la mia decisione di fargli sposare la sorella di Statira crebbe notevolmente.
Lui e solo lui poteva prendere il mio posto.
Nessuno mi avrebbe amato così.
Nessuno avrebbe mai pronunciato queste parole per me.
E nessuno avrebbe potuto amare il mio regno con la stessa intensità con cui l'avrebbe fatto lui.
 
**Come fargli capire che non volevo che lui pensasse, anche solo lontanamente, di pianificare il suo post-morte? Mi era intollerabile immaginare che la sua mente potesse fare questi piani inconcepibili, per me.
Non ero uno sciocco, sapevo che doveva pensare anche a che cosa sarebbe stato del suo regno dopo la sua morte, morte che accarezzavamo ogni giorno.
Ma una parte di me voleva ignorare tutto questo.
Non voleva nemmeno sentirne parlare.
Io che continuavo il suo sogno?
Io che vivevo, combattevo e amavo senza di lui?
Che eresia.
Che assurda eresia.
Ma, chiaramente, il Re era lui e lui soltanto poteva decidere.
Così, alla fine, sposai Dripetide, per pura obbedienza.
Non vissi accanto a lei abbastanza per dire di averle voluto bene ma il ricordo che ho di lei è di una donna mite, dolce e molto buona.
Compii i miei doveri coniugali fino alla fine, anche se il mio cuore era soltanto di Alessandro.
Ricordo che una sera uscii dalla camera con la sola vestaglia addosso e andai nella parte del palazzo che, sapevo, dimorava lui, il mio Re.
Speravo di incontrarlo, quel giorno avevo addosso una strana inquietudine e avevo litigato con quasi tutti quelli che avevano avuto a che fare con me.
Non era mio solito fare così.
Non sono mai stato una testa calda.
Non mi facevo mettere i piedi in testa da nessuno ma il mio rispetto non lo conquistavo con la forza.
Non ne avevo bisogno.
Certo...c'erano le eccezioni, c'era chi non riuscivo proprio a digerire ma...erano, appunto, eccezioni.
Quindi non mi trovavo a mio agio nei panni di quello che allontanava tutti con un solo sguardo.
Avevo ferito anche Dripetide e lei non lo meritava.
Con questo stato d'animo, con questa inquietudine a cui non sapevo dare un nome e che non mi abbandonva, lo incontrai.
Non ci fu bisogno di dire una sola parola.
Ci trovammo insieme, con lo stesso tormento negli occhi, la stessa voce nell'anima.
Come se un'ala nera si fosse aperta su di noi.
Più tardi, l'uno tra le braccia dell'altro, cercammo di scacciare quella sensazione oscura continuando con i nostri progetti.
Con il nostro sogno.
Voleva diventare lo zio dei miei figli.
Voleva che diventassimo una sola grande famiglia, dove i nostri figli avrebbero regnato sul nostro regno.
Eppure non riuscivo a scacciare il gelo del mio cuore.

** Le sue parole non dette trovarono eco dentro di me.
I suoi silenzi si allargavano nella mia anima e nemmeno il nostro amarci profondamente riusciva a scacciare tutto ciò.
Non credete a quello che si dice o si vede su di me.
Non mi ero piegato, non mi ero arreso mai a nessuno.
Efestione non mi teneva in pugno, Efestione mi amava.
E il suo amore era così forte da darmi quella sicurezza che nessuno, né anima viva nè cosa immota, riuscva a darmi.
Mi sentivo al sicuro nei nostri progetti.
Nel mio sogno lui c'era, era vivo, reale, presente sempre.
Avrebbe preso il mio posto.
Semplice.
Lineare.
Perchè allora quell'oscurità che stringeva così il suo cuore e che riusciva a trasmettermi così bene?
Così come riusciva a trasmettermi ogni cosa?
Quella notte passata tra le sue braccia non scacciò ciò che provvamo ma ci unì ancora di più.
Una determinazione ferrea si impadronì di me.
Non lo avrei permesso.
Qualsiasi cosa dovesse accadere io non lo avrei permesso.
Quanto siamo piccoli e sciocchi noi esseri umani.
Com'è possibile che sfidiamo così il cielo, pensando di essere molto più grandi e più forti di lui?
Quella fu l'ultima notte che passammo insieme nel mio palazzo.
E per quanto io mi sentissi grande, per quanta forza credevo di avere nelle mie vene, nel mio corpo e nel mio cuore, non riuscii a fermare il tempo.
Non riuscii a oppormi a un disegno che era più grande di noi.
 

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Capitolo 4
*** Un'altra storia- Ultimo capitolo ***


4° capitolo.
 
* Scrivere quello che è accaduto non è così difficile come sembra.
Può sembrare crudele ricordare il momento della propria morte ma, alla fine, stando qui, ho imparato che l'unica cosa crudele risiede nella nostra volontà di fare del male.
Innata nell'uomo.
E' anacronistico che l'uomo debba vergognarsi di fare il bene, di essere definito “buono”, mentre invece opera il male con una facilità sconcertante.
Sei buono e te ne vergogni.
Sei cattivo e te ne vanti.
Ricordare la mia morte non è più brutto del ricordare tutte le persone che ho ucciso.
O che ho ferito.
Anche se dico a me stesso che ero in guerra e che tutto quello che accadeva era normale per noi, la verità è che abbiamo tolto la vita ad altri esseri umani che avevano il nostro stesso diritto di vivere.
Ed il fatto, innegabile, che loro avrebbero altrimenti ucciso noi, non toglie nulla al male compiuto.
E alla nostra responsabilità.
In tutto questo, ricordare l'attimo in cui sono morto diventa, semplicemente, un passaggio obbligatorio.
Per poter andare oltre.
Per lasciare, a chi legge, qualcosa di importante su cui pensare.
E dal quale imparare.
Il nostro passato non deve diventare un ostacolo per il nostro presente.
Affinché diventi “eterno”, il presente deve poter guardare nel passato dritto  negli occhi, senza abbassare i suoi.
Senza averne paura.
E senza rinnegarlo.
Nel bene e nel male quello ero io, Efestione.
Fino all'ultimo mio respiro.

** Non c'ero quando aveva più bisogno di me.
Hanno agito sapendo che io non potevo fare nulla per fermarli.
Ma... è davvero andata così?
Alla fine conta davvero il vero motivo per cui è morto?
Veleno? Tifo? Qualche altra malattia?
Non avrei certo sofferto di meno nel saperlo.
Il mio dolore non sarebbe stato meno intenso e la mia impotenza sarebbe esplosa lo stesso nella rabbia più grande che mai terra avesse visto.
Come poi accadde.
Ricordarlo mi riporta a quei momenti e sento, nel mio profondo, le stesse emozioni violente.
L'annientamento.
L'oscurità che aveva avvolto la mia anima, riducendola in cenere.
La pazzia che mi guardava dritto negli occhi, l'unica che aveva il coraggio di abbracciarmi.
E' tutto qui, intatto.
Quello che mi consente di rivivere ogni cosa  di nuovo non è vuoto masochismo ma la sua vicinanza.
La certezza che non è finito tutto su quel letto freddo.
Tra quelle braccia gelide che non mi avrebbero più abbracciato.
E allora ogni cosa acquista UN suo senso.
Tutto quanto.
Il dolore, la pazzia, l'oscurità.
Il vuoto.
La mia stessa morte.
Tutto quanto.
Perché l'ho ritrovato.
Ho ritrovato, intatto, tutto ciò che credevo di aver perso.
Per sempre.
E adesso non ci sarà più nessuno che potrà fermarci.
Mai più.
Grazie dolce luce che ci hai richiamato.
Grazie al tuo coraggio, alla tua umiltà e alla tua forza.
Continua a splendere così anche per chi non sa, non capisce.
Ed è nell’oscurità.
-FINE-

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