La Porta dell'Inferno

di hotaru
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Le Selve Obscure ***
Capitolo 2: *** Mozziconi di matita ***
Capitolo 3: *** Una ragazza al di qua e al di là dello specchio ***
Capitolo 4: *** L'anima riflessa ***
Capitolo 5: *** Foglie bruciate ***



Capitolo 1
*** Le Selve Obscure ***


1- Le Selve Obscure
La Porta dell'Inferno


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Le opere citate non mi appartengono, e sono state tutte scolpite dall'artista Auguste Rodin


Le Selve Obscure (¹)

Un vago sorriso illuminò il viso di un ragazzo dalla pelle chiara e i lunghi capelli biondo scuro raccolti in una coda.
- “Le Selve Obscure”… - mormorò, leggendo il nome del caffè di quell’appartata via nell’autunno ventoso di Parigi. Piacevolmente sorpreso da tale, particolare coincidenza, si decise a entrare.
Il primo impulso che ebbe fu quello di aprire la bocca e lasciar uscire un “Wow” di meraviglia, data l’assoluta bellezza del luogo, ma ritenne opportuno non attirare l’attenzione di tutta la gente seduta ai vari tavolini.
Trovò l’unico libero e si sedette.
- Bene, ora basta guardarsi attorno… al lavoro! – disse tra sé, tirando fuori un vecchio quaderno nero dalla copertina consunta e un grosso libro scolastico, aprendoli sulla tovaglia color caffè e immergendosi nella lettura.
Ogni tanto una foglia del variopinto pergolato sopra la sua testa cadeva sul tavolo, ma invece di buttarla bruscamente a terra- come faceva la maggioranza dei clienti presenti- il ragazzo la prendeva cautamente tra le dita e la aggiungeva alla pila che aveva iniziato a formare al centro del tavolo. Dopo quella pausa momentanea tornava ai propri libri, senza far caso al brusio che lo circondava.
La cameriera che, dopo parecchi minuti, giunse al suo tavolo, non mancò di notare la bizzarra e variopinta collezione che il giovane aveva ormai composto. Si concesse un sorriso, prima di esordire:
- Good afternoon, sir. What…
Non poté terminare la frase, perché il ragazzo alzò il capo con un sorriso divertito, chiedendole in francese:
- Ho proprio un’aria così americana?
Notando come la pronuncia più che buona fosse segno di uno studio tutt’altro che superficiale della lingua, la cameriera rispose:
- A dire il vero no, ma si vede lontano un miglio che è un turista. Allora, cosa le porto?
- Un cappuccino andrà più che bene, grazie.
- Perfetto. Torno subito.
In realtà non fu proprio “subito”, dato lo straordinario affollamento di gente di quel pomeriggio, tuttavia quando la ragazza tornò a portargli la tazza fumante il giovane la ringraziò cortesemente.
- Che velocità, grazie – fece, iniziando a sorseggiare la bevanda e stando attento che nemmeno una goccia finisse sui volumi aperti.
“Doveva essere proprio concentrato se non si è nemmeno accorto di quanto tempo è trascorso” ponderò la ragazza, osservandolo un momento “Certo che è davvero carino…”
- Signorina, la mia brioche! – fece una voce spazientita, sovrastando il brusio.
- Arrivo subito! – rispose l’interpellata, tornando al proprio trantran e dimenticandosi di quel turista sconosciuto, sicura che non l’avrebbe più rivisto. Come tutti i clienti che passavano di lì, d’altronde.

Invece all’ora di chiusura quel ragazzo si trovava ancora lì.
Aveva però cambiato tavolo: dato che le giornate si andavano facendo più corte il buio cominciava a calare presto, così il giovane si era spostato su uno dei tavolini appena sotto le lanterne in ferro battuto, per poter usufruire della luce e continuare così a leggere. Aveva ordinato dell’acqua minerale e un panino verso l’ora di cena, ma la cameriera non si aspettava certo che sarebbe rimasto lì fino a notte fonda.
Anzi, non dava nemmeno l’impressione di essersi accorto di che ora fosse.
Piuttosto incuriosita, ma non volendo disturbarlo, la ragazza aveva cominciato le pulizie per chiudere il locale: aveva tolto le tovaglie marroni, spostato le sedie verniciate di bianco- così raffinate- per dare un colpo di ramazza e tirare via le foglie cadute dal pergolato che andavano accumulandosi… solo quando l’unica cosa rimasta da fare fu quella di chiudere davvero si decise ad andare a smuovere il bel lettore incallito.
- Mi scusi… - disse piano, avvicinandosi – Mi spiace davvero interromperla, ma dovrei chiudere…
Il ragazzo alzò lo sguardo, sorpreso, e sembrò accorgersi soltanto in quel momento di quanto fosse tardi.
- Oh no, scusi lei! – esclamò, chiudendo in fretta il libro più grosso e infilandolo nello zaino che si portava dietro – Non mi ero davvero accorto che si fosse fatto così tardi, sono mortificato. Le ho fatto solo perdere tempo…
- Ma no, cosa dice? – chiese la ragazza, ridendo divertita da quella reazione tanto pronta – Per me non ci sono problemi, davvero. Ma è stato fortunato a non trovare il capo.
- Perché, cosa avrebbe fatto? – chiese ingenuamente il giovane.
- Diciamo che l'avrebbe letteralmente presa e buttata fuori con le sue mani… non gli piace chi ritarda l’orario di chiusura.
Di fronte allo sguardo sbigottito del ragazzo, la cameriera si affrettò ad aggiungere:
- Ma di solito sono degli ubriaconi… è per questo che non vuole si fermino qui a lungo, anche perché di solito cercano di importunarmi…
- Beh, posso capirlo: lei è molto bella – commentò candidamente il giovane.
La ragazza arrossì leggermente, anche se data la sua pelle scura di solito nessuno lo notava. Decise che non era poi così tardi, e si sedette di fronte al ragazzo, facendo ondeggiare i lunghi capelli castano scuro.
- Posso chiederle che cosa sta leggendo di così interessante? – domandò.
- Ah, questo – disse lui – Vede, è che oggi sono stato al Museo Rodin, e mi sono un po’ informato…
- Il Museo Rodin? Sì, lo conosco. E che cosa ha visto di interessante?
- Beh, per prima cosa la “Fanciulla coi fiori sul cappello”… Ed diceva sempre che somigliava alla mamma da giovane…
- Ed?
- Sì, è mio fratello… - rispose il ragazzo, sfogliando velocemente un libro e girandolo verso la sua interlocutrice – Ecco, questa è l’opera. È un busto di terracotta, vede?
- È molto bella…- commentò la cameriera, osservandola – E somiglia davvero a sua madre?
- Sì, quando aveva sedici o diciassette anni. Mio fratello aveva occhio, per queste cose.
- E cos’altro ha visto? – chiese la ragazza, preferendo non indagare sulle questioni familiari di uno sconosciuto.
Prima di rispondere, il giovane le indirizzò un sorriso entusiasta, lo stesso che poteva avere un bambino dopo aver mangiato un gelato gigantesco.
- Il “Pensatore” – disse solenne.
- Questo lo conosco! – esclamò la cameriera – E poi?
- Nient’altro.
Stavolta lei gli rivolse uno sguardo piuttosto sorpreso: - Come nient’altro? In un intero museo ha visto soltanto due opere?
- Sì, ma tanto ci tornerò domani – rispose semplicemente lui.
- Nello stesso museo?
- Già. Pensò che mi dedicherò alle “Ombre”.
La nostra giovane cameriera iniziava a pensare che quel ragazzo americano tanto carino avesse qualche fissazione.
- Ma perché?
- Perché, vede… osservandole una alla volta, forse potrò arrivare a coglierne l’essenza. La stessa che lo scultore aveva messo in ciascuna di esse, come un pezzetto della sua anima in un ammasso di terracotta, marmo o bronzo. Fino a plasmarne anche l’esteriorità, mi capisce?
La ragazza annuì col capo, lentamente.
- E alla fine potrò arrivare a vederla…
- Che cosa? – chiese la giovane, senza più riuscire a trattenere la curiosità.
- La “Porta dell’Inferno”.


*  *  *


Il giorno dopo era di nuovo lì.
Nuovamente immerso nella lettura di uno strano quaderno scritto fitto fitto a matita, con una calligrafia piuttosto confusa, che confrontava di tanto in tanto con le pagine di un grosso libro di storia dell'arte.
Eppure non sembrava che stesse studiando.
Quando lo raggiunse, la cameriera lo stava ormai guardando con evidente curiosità.
- Di nuovo cappuccino? O oggi preferisce qualcos’altro? - chiese.
- Credo che opterò per un tè, grazie – rispose il giovane alzando la testa. Aveva occhi molto belli, di un colore indefinibile.
- Perfetto.
- Ah, signorina! - la chiamò proprio mentre si stava voltando, diretta verso l'interno del locale.
- Sì?
- Verso l'ora di cena può portarmi un panino, per favore?
- Serviamo anche ottime zuppe, se vuole provare qualcos'altro.
- D'accordo, allora. Una zuppa con del pane. E dell'acqua, grazie.
Lei annuì. Anche se mai, prima di allora, un cliente le aveva ordinato la cena con due ore di anticipo.
Lo osservò tornare ai propri libri, subito concentrato al massimo come se stesse cercando qualcosa. E una vocina le diceva che, all'ora di chiusura, l'avrebbe trovato ancora lì.


- Oggi si è dedicato alle “Ombre”? - domandò quella sera, dopo aver sistemato tutti gli altri tavoli.
Il sorriso imbarazzato che le rivolse le fece capire che, ancora una volta, non si era reso conto di che ora fosse.
- Mi scusi – disse – Probabilmente sta cominciando a detestarmi, me ne vado subito.
- Non si preoccupi – rispose lei – Anche a me piace molto leggere, anche se non ne ho mai il tempo, dato il lavoro che faccio. Se un libro mi prende, mi succede spesso di dimenticare persino dove mi trovo.
- Sì, in effetti mi capita... anche se questa è una cosa un po' diversa.
- Sta facendo una ricerca?
- … più o meno. Sì, si può dire così.
Il tono incerto con cui l'aveva detto le fece pensare di essere stata un po' inopportuna.
- Beh... “Le Ombre” le sono piaciute? -.
- Sì, le ho trovate... affascinanti. Misteriose – girò un paio di pagine del libro di storia dell'arte, voltandolo poi verso la cameriera, che senza accorgersene si mise seduta ad osservare l'immagine – Tre uomini identici, perfettamente scolpiti in ogni muscolo, eppure l'osservatore è inspiegabilmente portato a guardare verso un unico punto. Quello in cui convergono le mani delle ombre. La mano sinistra di tutti e tre.
- Un caso? - chiese lei con un sorriso.
- Chi lo sa. La sinistra è sempre stata considerata la “mano del diavolo”: evoca il male, l'oscurità...
- Le ombre, appunto – completò la ragazza – Non per niente, è con la sinistra che si spezza il mazzo delle carte per leggere i tarocchi.
- Davvero?
- Sì – sorrise – Ma in fondo voi gagi che ne capite, di queste cose?
- “Gagi”... - mormorò il giovane - Significa che lei è di origine Rom? (²)
Annuì, quasi sorpresa che qualcuno estraneo alla sua gente conoscesse quella parola.
- Posso chiederle come si chiama? - domandò ancora.
- Noa. E lei?
- Alphonse.
- Un nome francese... ? - chiese, incuriosita.
- Sì, lo stesso di mio nonno. La sua famiglia se ne andò dalla Francia prima dello scoppio della Seconda Guerra Mondiale, stabilendosi negli Stati Uniti.
- Una bella fortuna, non c'è che dire.
- Già.
Dopo un momento di silenzio, Noa chiese di nuovo:
- E domani? Pensa di andare al Louvre? O a vedere la Torre Eiffel?
- Oh, no. Tornerò al Museo Rodin .
Per il terzo giorno di fila?
- E come mai? - non riuscì ad impedirsi di chiedere, sorpresa – Non ha ancora visto l'opera che le interessava?
- No, devo arrivarci lentamente.
Stavolta Noa non fece domande, ma la sua espressione dovette parlare per lei, perché quel ragazzo così gentile sorrise e disse:
- Perché devo.



(¹) “La selva oscura”, in francese
(²) Gagi: nome con cui i Rom indicano tutti i “non Rom”




Questa storia nasce da un'ipotesi di Wikipedia, che vi spiegherò in seguito. Anche la storia si farà più chiara man mano, non temete.
Intanto spero vi ricordiate di Noa, la zingara che appare ne “Il Conquistatore di Shamballa”. È un personaggio che mi affascina, anche perché l'inizio- il circo, lei che viene venduta... - mi ricordava vagamente “Il mistero della pietra azzurra”. A voi no?  ^^

Questa long è arrivata terza, a pari merito con vogue, al “Mirror Contest” indetto da Aki Asage. Complimenti a Ribrib20 e a DominoWhite, prima e seconda classificate!

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Capitolo 2
*** Mozziconi di matita ***


2- Mozziconi di matita Mozziconi di matita

Osservandosi nello specchio di quel minuscolo bagno d'ostello, si chiese perché a lui non fosse mai capitato di vederci qualcosa che non fosse la sua faccia.
E non un mondo alternativo di armature parlanti dove magia e scienza erano la stessa cosa, un orologio si poteva riparare in una specie di cerchio magico e gli ufficiali dell'esercito sparavano fuoco dalle mani.
In cui accadevano tante cose così terribili e raccapriccianti che suo fratello gliele aveva raccontate solo quando era entrato anche lui in prima media. Poi non aveva dormito per una settimana, ma si era ben guardato dal rivelarglielo.
Perché se si fosse fatto sfuggire che si era spaventato a morte, di certo Ed non gli avrebbe raccontato più nulla, finendo sul serio con l'impazzire.
Da piccoli non era che un gioco, e all'inizio aveva pensato che Ed inventasse quelle storie apposta per lui. Poi aveva creduto che il fratello avesse uno strano, magnifico potere che gli consentisse di vedere quel "mondo al di là dello specchio".
Solo in seguito, crescendo, si era chiesto se quella di Ed non fosse una maledizione; e si era domandato perché lui, invece, non ne fosse stato colpito. Forse, in due, sarebbe stato un fardello più facile da portare.
E Ed non sarebbe scomparso a diciannove anni, senza più tornare a casa, dopo aver riempito quaderni su quaderni di una fitta scrittura a matita.
La scrivania della sua stanza era ancora ingombra di tutti i mozziconi delle matite che aveva consumato, allineati uno dopo l'altro, accanto ai quaderni sistemati in pile.
Quando Ed se n'era andato, Al si era chiesto se non li avesse lasciati per lui. Avrebbe potuto buttarli, bruciarli, distruggere in qualunque modo le uniche prove di quella che chiamava la sua "follia", la sua "ossessione".
Invece li aveva lasciati lì, come delle tracce da seguire, degli inviti a non abbandonarlo anche se se n'era già andato. E quelle miriadi di parole scritte con la grafite evanescente di una matita sembravano in realtà come scolpite sulla pietra.


- Edward, vieni qui un momento – chiamò sua madre dalla cucina, osservando perplessa il diario del figlio – Che cosa intende esattamente la tua maestra? -.
Gli mostrò le parole scritte dall'insegnante, che lanciavano un monito a controllare le letture del bambino. "Capisco che l'essere figlio di uno scienziato possa determinare una dose di curiosità e predisposizione ad apprendere superiori alla norma, tuttavia ritengo che Edward possa essere esposto a letture non adatte alla sua età".
- Mmm... non lo so – rispose il bambino – Avevo solo studiato un po' di più per l'interrogazione di scienze -.
- Un po' di più? - chiese dolcemente la madre.
- Ho solo approfondito qualche argomento -.
- Capisco. Forse la tua insegnante intende dire che un bambino della tua età non dovrebbe studiare così tanto, ma anche giocare e divertirsi. Va bene? -.
Ed annuì, e tornò in camera da Al.
- Non capisco perché la maestra abbia fatto quella faccia. Sembrava che non stesse nemmeno guardando un essere umano, ma uno scherzo della natura. Eppure quelle cose dovrebbe saperle! – si sfogò.
- Ma che cosa le hai detto? - chiese il fratello.
Ed scrollò le spalle.
- Le ho elencato gli elementi di cui è composto il corpo umano: 35 litri d'acqua, 20 chili di carbonio, 4 litri di ammoniaca, un chilo e mezzo di calce, 800 grammi di fosforo... -.
- E tutte queste cose – lo interruppe Al – le hai sentite... -.
Il fratello lo guardò.
- Nello specchio. Pensavo fossero esatte -.

Ed erano esatte. Ma ora riusciva a capire come una maestra delle elementari potesse leggermente impressionarsi nel sentirle elencare da un suo alunno, che alla fine aveva oltretutto ribadito come ciò rendesse possibile una trasmutazione umana.
Poteva immaginare quella maestra chiedersi che cosa fosse esattamente una "trasmutazione", ma dato che quell'Edward Elric era figlio di un famoso scienziato poteva darsi che quella parola l'avesse sentita da lui.
Comunque, dopo episodi di quel genere Ed aveva imparato a stare zitto. A tacere tutto ciò che vedeva ogni volta che il suo sguardo cadeva su un qualunque specchio. Anche se una volta aveva vomitato all'improvviso nel salotto di una loro zia, davanti ad uno specchio antico dalla cornice intarsiata, e nessuno aveva mai capito perché.
A parte Al, l'unico che venisse ogni volta a sapere la verità.


- La... la b-bambina... - non l'aveva mai visto piangere come quella notte: tremava vistosamente e non sembrava capace di lasciare la federa del cuscino, che le sue dita stavano stritolando - ... i-il cane... p-perché... -.
- Ed, aspetta, vado a chiamare la mamma -.
Aveva fatto per scendere dal letto del fratello e dirigersi verso la porta, ma Ed l'aveva afferrato per una manica del pigiama, tirandolo indietro con tutto il suo peso.
- NO! No... - abbassò subito la voce, per evitare che qualcuno sentisse – Non farlo... -.
- Ma tu... perché non mi dici cos'hai visto? -.
Ed scosse vistosamente la testa, tirando su col naso, mentre un nuovo tremito lo percorreva per intero.
- No, stavolta no. Torna... torna a letto. Io sto bene -.
- Fratellone... -.
- Sto bene! Dormi! - esclamò infilandosi sotto la trapunta e tirando le coperte fin sopra la testa.
Ad un certo punto Al si era addormentato, ma quando la mattina dopo aveva visto Ed, si era reso conto che non aveva chiuso occhio per tutta la notte. Sembrava ancora terrorizzato.


Ora poteva capire come Ed, quella volta, si fosse comportato da vero fratello maggiore. Avevano solo un anno di differenza, ma lui la responsabilità l'aveva sempre sentita. E sapeva che, se quella faccenda aveva sconvolto lui, forse su Al avrebbe avuto effetti ancora peggiori.
Aveva quindi deciso di tenersela per sé, anche se si era trasformata in un incubo che l'aveva perseguitato per mesi.    
E solo anni dopo Al aveva scoperto la verità sul "cane e la bambina". Da quei quaderni scritti a matita, come in una nuvola, con la scrittura sintetica di un bambino delle elementari.


«Sono andati a casa di una specie di scienziato, che vive con la figlia piccola e il cane. Nina, mi pare si chiami. Uno dei due deve sostenere un esame, che poi riesce a superare. In realtà non riesco mai a vederlo bene: è come se i suoi contorni fossero sfocati, come una foto venuta male.
Tornano di nascosto in quella casa, piena di animali in gabbia, e c'è un grosso cane con i capelli che parla. È la bambina, che il padre ha in qualche modo "fuso" con il cane. "Chimera parlante", la chiamano. È stato allora che non ce l'ho più fatta, e ho vomitato.
Poi un tizio con una cicatrice uccide il cane-bambina. Aveva quattro anni.»


Il gemito e poi l'urto violento che aveva sentito l'avevano fatto accorrere alla velocità della luce.
Quando raggiunse il bagno, la prima cosa che inconsciamente fece fu ringraziare il cielo che la loro madre non fosse lì. In tutti quegli anni, non aveva mai visto Ed in quello stato.
Doveva essersi appena fatto la doccia, perché era mezzo vestito e l'acqua gocciolante sul tappeto si mescolava al sangue, oltre che alle decine di frammenti di vetro.
Suo fratello era ancora ansimante, coi capelli bagnati appiccicati al viso e il sangue che gli colava dal polso.
Non gli chiese cosa fosse successo; si limitò ad avvicinarsi in silenzio e a togliere il pugno ancora premuto contro lo specchio sopra il lavandino, in frantumi. Malgrado Ed avesse un anno in più, erano praticamente alti uguali.
- Fa' attenzione a non pestare i pezzi caduti per terra – gli disse, facendolo sedere sul bordo della vasca e prendendo dall'armadietto cotone e disinfettante.
Gli si erano conficcate un paio di schegge sulle nocche, ma riuscì a toglierle con facilità e a medicare il resto, fasciando la mano.
- Possiamo dire alla mamma che sei scivolato sul pavimento bagnato, e cadendo hai preso addosso allo specchio – suggerì tranquillamente Al.
- Possiamo dirle invece che suo figlio è un pazzo furioso, e farebbe meglio ad internarlo – ribatté lui in un mugugno, ma Al sorrise. Gli aveva risposto, il che era un buon segno.
- Se vuoi parlarmene, non c'è problema. Ho quindici anni, ormai -.
Ma Ed scosse la testa, quasi a intendere che non si potesse parlare di ciò che aveva visto.
- E pensare che sono tutti esseri umani – commentò, le spalle piegate come se fosse invecchiato di colpo.
- Niente trasformazioni mostruose, stavolta? - chiese Al, cercando di saperne di più.
- Già. Solo uomini, civilizzati e superiori al resto del creato, che si ammazzano l'un l'altro -.
Queste furono le ultime parole che pronunciò al riguardo, perché poi prese un asciugamano e iniziò a tamponarsi i capelli.
- Adesso sistemo questo disastro – disse, alzandosi.
- Non preoccuparti, ci penso io. Tu non dovevi uscire? Rischi di far tardi – rispose Al, dirigendosi verso la porta per andare a procurarsi scopa e paletta.
- Sai Al, un giorno smetterò di essere la tua condanna – queste parole lo bloccarono accanto alla lavatrice, facendolo voltare – Mi comporterò da fratello maggiore, vedrai -.
L'altro sorrise, prima di uscire:
- In realtà lo stai già facendo, sai? –.


«Massacro.»
Doveva essere questo l'episodio che aveva portato al pugno sullo specchio del bagno. Gli sembrava che le date coincidessero. Stavolta a descriverlo erano tratti premuti, con una mina appuntita, pressati quasi a voler perforare la carta.
«Non ho ben capito il perché, anche se mi chiedo se un disastro di tali proporzioni possa avere dei motivi. Hanno cominciato con un ragazzino, e poi hanno ucciso tutti gli altri. Dovevano appartenere allo stesso popolo, perché avevano tutti la pelle scura e gli occhi rossi. I soldati si riferivano a loro con una parola tipo "Ishbar", mi pare.
Non li hanno neanche guardati in faccia; qualcuno si è addirittura trasformato in una specie di cannone multiplo e hanno iniziato a sparare. Bambini, donne, famiglie intere.
Non ho mai visto una guerra in vita mia: ma se è così, c'è da chiedersi perché la specie umana esista ancora.»


E poi, qualche mese dopo, c'era stata quella che Al avrebbe in seguito definito la "svolta".
Provocata da un semplice libro di storia dell'arte.

- Mmm... non mi piace questa roba. Preferisco studiare chimica – erano già quindici minuti buoni che Ed se ne stava seduto al tavolo della cucina, sfogliando il libro di arte senza decidersi a cominciare a studiare per il compito.
- A me piace, invece – ribatté Al dall'altra parte, alle prese con un'equazione.
- Come fa a piacerti? Una massa di pazzi che dipingono o scolpiscono in maniere assurde, pretendendo di chiamarsi "artisti" – sbuffò contrariato – La scienza è molto più sensata, perlomeno si basa su dati concreti e reali -.
Al ci pensò su, mordicchiando il cappuccio della penna.
- Mi piace il fatto che ciascuna delle loro opere rappresenti un diverso modo di vedere il mondo. In fondo, l'arte ci dice che non esiste una realtà unica – ponderò.
- Sarà, ma quel che mi dà più fastidio è che ognuno di loro pretendeva di essere l'unico ad avere ragione. Il Puntinismo qua, il Simbolismo là... che assur... -.
Si bloccò. Tanto all'improvviso che Al ci mise un po' a notarlo, e ad alzare la testa dai suoi compiti.
- Che c'è? - domandò, chiedendosi che cosa stesse accadendo, perché un libro di arte non era uno specchio.
Ma si sbagliava.
Ed sembrò tornare in sé; voltò il libro verso Al e gli indicò una figura.
- È questo. Il portale -.


«"La Porta dell'Inferno", opera "aperta" dello scultore francese François-Auguste-René Rodin.
È il portale dell'inizio, quello che pochi, di là, hanno visto, e nessuno ne è uscito intero. Qualcuno ha perso un braccio e una gamba, qualcuno gli organi interni, qualcun altro il corpo intero.
Non è identica, ma gli somiglia moltissimo. Oltretutto le figure sono interamente basate sui personaggi dell' Inferno della "Divina Commedia", e di là continuano a ripetere ossessivamente il nome "Dante".
Perché tutte queste coincidenze? C'è un collegamento tra queste cose? Se andassi a vedere la "Porta", capirei qualcosa?»

    
Al si ricordava che da allora, malgrado le sue opinioni artistiche, Ed aveva iniziato delle ricerche ossessive su quello scultore. Si era procurato libri su libri, confrontando le descrizioni delle varie opere, andando a rileggere i suoi appunti sul "mondo al di là dello specchio".
E riportando tutte le sue riflessioni su quei quaderni, la matita che crepitava incessante sulla carta.     
Fino a quando, tre anni dopo, Ed se n'era andato in Europa e non era più tornato. Una riproduzione della "Porta" c'era anche a Philadelphia, ma non l'aveva nemmeno presa in considerazione. Stando a quello che dicevano i quaderni, la "Porta dell'Inferno" era una commistione di altre sculture precedenti le cui figure erano state riprodotte anche lì, corpi plastici che sembravano uscire dalla materia. Prima di arrivare all'opera completa sosteneva di dover conoscere anche le altre, per questo si era diretto a Parigi.

Ma non era più tornato, e quattro anni dopo Al aveva deciso di andare a cercarlo. Lui, o qualunque cosa si fosse lasciato dietro.





Nella pagina di Wikipedia dedicata a FMA si dice che l’autrice del manga, per la creazione del Portale, possa essersi ispirata all’opera “La Porta dell’Inferno” di François-Auguste-René Rodin. Ecco, questa storia parte tutta da questa semplice ipotesi.
La matita era uno degli elementi assegnatimi, che doveva avere un certo ruolo nella fic.

Gli episodi a cui faccio riferimento sono quelli 6 e 7 della prima serie: "L'esame da alchimista di stato" e "La notte del pianto della chimera".
Li ho inseriti perché mi avevano assolutamente sconvolto, molto più di tante altre vicende più raccapriccianti avvenute in seguito. Sarà perché ho una cugina di quasi quattro anni, e immaginare una cosa del genere è... abominevole. Non so nemmeno spiegarlo a parole. Non so quanto abbia colpito voi, ma io me lo ricordo ancora fin troppo bene.
E poi il massacro di Ishbar: un genocidio, come quelli avvenuti nel Novecento nei confronti di armeni ed ebrei. Ma ce ne sono molti altri, sapete.


saky 94: in realtà ci sono degli accenni ed/win, ma sono contenta che il primo capitolo ti sia piaciuto. Il vero protagonista qui è Al, per una volta. XD
Akachi: spero che questo secondo capitolo ti abbia incuriosito ancora di più! E la cultura va sempre bene... anch'io ho imparato un sacco di cose, scrivendo questa storia!

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Capitolo 3
*** Una ragazza al di qua e al di là dello specchio ***


3- Una ragazza al di qua e al di là dello specchio Una ragazza al di qua e al di là dello specchio


Quel giorno lo sguardo le cadde per l'ennesima volta su una figura bionda, che se ne stava da un po' in giardino davanti a un'opera. Da un bel po'.
Ricordava di averlo visto anche il giorno prima, quello prima ancora, e perfino la settimana precedente. Ogni giorno se ne stava per ore di fronte ad una o due sculture, esattamente come l'altro.
Il primo giorno che l'aveva visto entrare nel museo aveva sentito un tuffo al cuore. Aveva cercato subito di raggiungerlo, finché a metà strada si era accorta che in realtà non era lui, anche se da lontano poteva sembrarlo.
Si era quindi imposta di lasciar perdere, giorno dopo giorno, e di continuare le visite quotidiane con i gruppi di visitatori. Malgrado ciò, ogni volta che passava nelle vicinanze, i suoi occhi venivano calamitati da quella figura sempre in piedi, sempre lì.
L'aveva studiato da lontano, incerta se attaccare bottone con una figura estranea ma in un certo senso fin troppo familiare, rimandando di giorno in giorno.
Finché, quella mattina, l'aveva visto nel giardino del museo davanti alla "Porta dell'Inferno". E si era decisa.

Il rumore dei tacchi lungo il camminamento era deciso e ben definito: cosa di cui quasi ringraziò, perché impediva che si potessero udire in ogni angolo i battiti del suo cuore.
E quando gli fu vicina, di fronte a quella scultura imponente che l'aveva sempre messa in soggezione, la domanda che gli pose aveva lo stesso tono di un sospiro:
- Posso aiutarla? -.
Quando quel ragazzo si voltò, speranza e delusione si mescolarono in un sentimento indistinto: no, non era lui- di questo era certa- ma la somiglianza era innegabile. La somiglianza di un parente.
- No, grazie... non ho bisogno di niente – fece il giovane, preso leggermente in contropiede – Stavo solo guardando... -.
Già. In fondo, che altro c'è da fare in un museo?
La ragazza si morse la lingua, decisa a non lasciar perdere ma senza sapere come continuare. Perché quel ragazzo doveva sapere qualcosa. Mentre lui la guardava curioso, con l'aria incerta di chi si chiede se abbia fatto qualcosa di male, lo sguardo le cadde sul quaderno che teneva in mano. E quella calligrafia confusa, a matita, calamitò la sua attenzione.
- Quello... l'ha scritto lei? - chiese senza mezzi termini.
- Questo? Beh, no... in realtà l'ha scritto mio fratello -.
- Capisco... suo fratello è qui con lei? -.
In quel momento si rese conto di trovarsi davanti ad una persona estremamente educata, perché al suo posto chiunque l'avrebbe mandata a quel paese. Chi era lei, per farsi gli affari di un estraneo? Invece quel ragazzo rispose:
- N-no. Veramente no -.
Lei accennò al quaderno, e la coda bionda si mosse seguendo i suoi movimenti.
- Ne ho uno anch'io. Scritto sempre da suo fratello -.


- Posso chiederle come ha conosciuto Ed? - domandò Al seduto su una panchina del giardino, osservando quella strana ragazza il cui nome sul cartellino della divisa diceva: "Winry- inglese, francese e tedesco".
- Esattamente come ho fatto con lei. Erano giorni che se ne stava impalato davanti alle varie opere del museo, una diversa ogni volta, e sono andata a parlargli prima che nascessero troppi sospetti. Sa, il nostro direttore è un tipo un po' fissato -.
"Fissato" era un eufemismo, se si pensava a tutte le raccomandazioni che l'uomo faceva quotidianamente al personale, convinto che un posto come il Museo Rodin, anche se relegato da tutte le guide tra i cosiddetti "musei minori", corresse costantemente il rischio di attacchi terroristici.
E quel ragazzo che da vari giorni se ne stava impalato per ore davanti a questa o quell'altra opera rischiava di essere preso di mira. In realtà Winry stessa credeva che fosse un po' strano: per quanto gli potesse piacere Rodin, pensava che a Parigi ci fosse anche altro da vedere.
Quindi una sera al crepuscolo, poco prima della chiusura, andò a parlargli.
Era da quella mattina che ci rimuginava sopra: per quanto il direttore insistesse sul segnalare qualunque elemento sospetto, quel tipo le sembrava innocuo.
Ma non avrebbe mai pensato che, oltre a parlare con lui, quella sera se lo sarebbe portato a casa, ospitandolo per oltre due mesi. Prima che sparisse nel nulla.


- Puoi spiegarmi una cosa? - era passata all'improvviso dal "lei" al "tu", ma nessuno dei due ci fece caso. Avere Ed come unico punto in comune li stava facendo sentire come se si conoscessero da una vita – Aveva qualche problema con gli specchi? -.
Problema. In effetti sì. Ma non sapendo quanto Winry conoscesse di tutta la faccenda, si limitò a chiedere:
- Perché? Ha fatto qualcosa di strano? -.
- Ogni volta che entrava in una stanza, se c'era uno specchio lo copriva con un panno. Non che ne abbia così tanti, ma perlomeno in bagno e in camera da letto ce ne sono. Non ha nemmeno voluto guardarli: ha persino sistemato un lenzuolo all'interno dell'anta dell'armadio, coprendo lo specchio a figura intera che vi è attaccato -.
- Capisco – quindi, alla fine, un modo l'aveva trovato.
Si chiuse nel silenzio, mentre Winry lo osservava attentamente. Tutta quella faccenda era a dir poco strana. C'era ben altro dietro a quello che sembrava un semplice ragazzo un po' tocco, l'aveva intuito fin da subito. Aveva provato diverse volte a chiedergli qualcosa, ma non si era mai sbilanciato troppo; nemmeno dopo aver fatto l'amore, quando in teoria gli uomini sono più vulnerabili.
Gli unici momenti in cui sembrava disperatamente alla ricerca di qualcuno con cui confidarsi, era quando sfogliava il suo libro interamente dedicato a Rodin e alle sue opere. Lo stringeva come se pretendesse di spremerne delle risposte, ma la carta restava muta.
E allora chiedeva a lei, che con le sue conoscenze in storia dell'arte cercava di aiutarlo, e mentre lo ascoltava metteva insieme i pezzi di un puzzle che si stava rivelando sempre più ampio e complicato.
- C'entra con quello che c'è scritto nel quaderno, non è vero? - chiese infine.
- Ecco... - Al sembrava molto titubante. Non aveva previsto di coinvolgere qualcun altro, in quel viaggio. Invece Ed l'aveva già fatto, anni prima.
Davvero curioso come riuscisse a farsi seguire dalle persone senza nemmeno provarci. Quel suo segreto l'aveva sempre portato a guardare più verso gli specchi che al mondo reale, quasi come un ponte che non è né di qua né di là, tanto che era andato estraniandosi sempre più dalla realtà.
Eppure, scomparendo, aveva lasciato una scia. Una scia che già due persone stavano seguendo, senza che nessuno avesse detto loro di farlo.
- Senti, facciamo un patto – la voce di Winry, accanto a sé, lo distolse dai suoi pensieri. Quella ragazza doveva essere inglese, non aveva affatto l'accento americano – Io ti do il quaderno se mi racconti tutto di questa storia. Ogni dettaglio -.
Vedendolo incerto, sorrise:
- E sta' tranquillo, sono preparata a qualunque cosa. Dopo aver letto quello che ha scritto tuo fratello, non mi stupisco più di niente -.

 
Invece si stupì. E molto, anche.
Ma la cosa che più sorprese Al fu che credette ad ogni parola. Eppure quella che le aveva raccontato era una storia assurda: lui stesso dubitava che sarebbe riuscito a crederci, se non ci fosse cresciuto assieme.
Quella sera, quando si recò come al solito al caffé, si chiese se l'unico motivo per cui Winry non avesse dubitato di una sola parola fosse il fatto che aveva conosciuto Ed. Perché Ed era quella storia, reale e tangibile.
Era come parlare in astratto di una mucca, e poi trovarsela davanti. Concreta e innegabile, senza possibilità di appello.


Il giorno dopo Winry era libera, perciò si diedero appuntamento in un parco e lei portò il quaderno. Quando lo vide, ad Al sembrò quasi che suo fratello fosse tornato indietro per dirgli: "Hai visto? Un altro pezzo! Non ti ho mica lasciato solo!".
- Sì – mormorò, sfogliandolo – È proprio la sua scrittura -.
- A quanto pare – cominciò Winry – ha dedicato una pagina di appunti a quasi ogni opera, e qua e là c'è anche qualche schizzo -.
Ridacchiò, mentre Al ne trovava uno e cercava di decifrarlo:
- Non che fosse molto portato per il disegno, comunque –.
Anche Al si ritrovò a sorridere. Non sapeva se Ed avesse scelto quella ragazza per qualche motivo o se si fossero ritrovati insieme per caso; comunque fosse, Winry sembrava avere un certo polso ed era praticamente certo che, visto il carattere ostinato di suo fratello, il loro rapporto non fosse stato sempre facile. Ma era troppo educato per chiedere certe cose, perciò si limitò ad annuire:
- Già... in effetti non è che si capisca molto -.
Poi tirò fuori i quaderni che aveva lui.
- Comunque aveva già fatto parecchie ricerche in passato, e qui nomina tutte le sculture più significative. Mi chiedo se, vedendole di persona, abbia aggiunto qualcosa al riguardo -.
- L'unico modo per saperlo è controllare – fece pratica Winry, prendendo l'ultimo quaderno e aprendolo alle pagine che cercava.

 
Trascorsero l'intera mattinata, fino all'ora di pranzo, confrontando varie parti e diverse descrizioni.
Gli appunti erano un po' sparsi, ma alla fine erano riusciti a riunire le cose più importanti.

«"Il Pensatore": è Dante stesso, secondo ciò che dice Rodin. Scultura singola, ma anche presente nella parte alta della Porta, al centro, a dividere simmetricamente il tutto. Il Pensatore, il cui pensiero aveva dato inizio all'Inferno stesso.»

- Questa frase non la capisco – disse Winry – Che significa? -.
- La Porta si basa sulla descrizione dell'Inferno che dà Dante nella "Divina Commedia" – rispose Al, che aveva addirittura dato un esame di letteratura italiana per arrivare a saperne il più possibile – Senza il suo "pensiero", ossia la sua ispirazione, non sarebbe stata scritta nemmeno una parola, e nessuno avrebbe "creato" l'Inferno che viene qui rappresentato -.

«Anche "di là", è Dante la chiave di tutto.

"Ugolino e i suoi figli": nel 33° canto si narra di Ugolino della Gherardesca, imprigionato assieme a due figli e due nipoti- ancora bambini- e condannato a morire di fame. Non è chiaro, ma nel canto s'insinua il sospetto che, prima di morire, Ugolino si sia cibato della carne dei bambini già morti.»

- Questa storia la conosco – intervenne Winry – È semplicemente raccapricciante, in ogni suo dettaglio, piena di crudeltà umana. Già di per sé, la condanna alla morte per fame è qualcosa di abominevole -.
Al annuì, osservando l'immagine riportata sul libro di storia dell'arte. Un uomo disperato, ormai incapace di ragionare, che arriva a mangiare i propri figli e nipoti. C'era da chiedersi se Ed avesse preso a pugni qualcosa anche quando aveva letto quel passaggio.
 
«Ricorda molto quelli che di là chiamano "Homunculus": si cibano di strane pietre rosse, ottenute dal sacrificio di esseri umani. Il concetto di fondo è lo stesso.»

Poi c'erano un paio di pagine dalla scrittura ancora più confusa, dove la mina della matita sembrava quasi essere stata "sparsa" sui fogli a forza di passarci sopra con la manica, tanto da rendere il risultato illeggibile.
- Qui ho provato e riprovato, ma non si riesce a leggere niente – disse Winry – Deve aver usato una matita troppo leggera -.
Al annuì, girando nuovamente pagina e tirando un sospiro di sollievo quando vide che i fogli seguenti si leggevano benissimo.

«Alla fine, tutte le figure che sembrano "uscire" dalla Porta, anche se fanno parte di essa, sono esseri disperati. Esprimono il dolore per un castigo eterno, da cui non c'è via di scampo.
Esseri umani caduti nel peccato perché andati oltre a ciò che era loro concesso, da una divinità che può esistere o meno.»

Queste erano le ultime parole per parecchie pagine.
- Finisce qui? - chiese Al.
- Non proprio – rispose lei, guardandolo in modo strano e voltando qualche altro foglio – Leggi qui -.
Al lesse, e sgranò gli occhi.

«Stasera verso il tramonto, mentre ero davanti alla Porta, ho sentito venire verso di me qualcuno del personale.
"Ecco, ci siamo" ho pensato "Si sono accorti che me ne sto ore impalato, ogni giorno, davanti ad una scultura diversa e pensano che stia piazzando una bomba o qualcosa del genere".
Quando mi sono voltato per sentirmi dire qualcosa del tipo: "La preghiamo di non tornare più, o chiameremo la polizia", credo di aver smesso di respirare.
In un primo momento ho creduto che mi avessero messo davanti uno specchio. Poi mi sono ricordato che mi trovavo in un giardino, e specchi non ce n'erano.
Perché quella guida, quella ragazza con i capelli biondi e gli occhi azzurri a cui la gonna della divisa non sta poi tanto bene, c'è anche nel mondo di là.
È la prima persona in assoluto che vedo da entrambe le parti.»

- Comunque il particolare della gonna se lo poteva anche risparmiare – commentò Winry, acida – Non mi sembra che le mie gambe gli dispiaciute così tanto, dopo -.
Al preferì non indagare su quell'ultima affermazione, concentrandosi piuttosto sulla rivelazione del diario.
Allora era per questo che si era avvicinato così tanto a Winry. L'unica persona che avesse mai visto da entrambe le parti, come se "il mondo al di là dello specchio" fosse davvero una specie di universo alternativo, dove ognuno poteva avere un alter-ego.
Questo apriva miriadi di possibilità.
- Ah, e non è finita – ricordò Winry, lasciando perdere le proprie disquisizioni su gonne e gambe – Guarda qui. Questa è l'ultima frase -.
Era scritta sull'ultima pagina, oltre la quale c'era soltanto la copertina. Una frase scritta in grande, con una matita dalla punta spessa e rotonda:

«"Il tempo è lo specchio dell'eternità."»

- Ho controllato, e risulta che sia stata pronunciata da un certo Diogene di Sinope, un antico filosofo greco – disse Winry – Non so a te, ma a me non dice niente -.
Al scosse la testa. Questo andava ben oltre tutto ciò che si era aspettato di trovare, e avrebbe dovuto pensarci con calma. Perché, se Ed aveva lasciato i suoi vecchi quaderni a casa perché li trovasse lui, forse sapendo che sarebbe venuto a cercarlo, e l'ultimo da Winry, significava che aveva tentato di lasciare un messaggio.
E, dato che nessuno oltre ad Al aveva gli strumenti per capire, voleva dire che quel messaggio era indirizzato proprio a lui.
Sospirò pesantemente, anche se si ritrovò a sorridere: malgrado tutto, prima di sparire Ed aveva pensato anche a suo fratello.
- C'è un'altra cosa – aggiunse di nuovo Winry, pensierosa – Forse è un particolare senza nessuna importanza, ma ho come la sensazione che c'entri con tutta questa storia. Ricordi quando ti ho detto che Ed ha coperto tutti gli specchi di casa mia con un panno? -.
Al annuì.
- Beh, per quanto li odiasse... - continuò - ... alla fine se n'è portato via uno -.
 




La frase "Il tempo è lo specchio dell'eternità" è quella che avevo scelto e su cui dovevo basare la mia storia. Ad essa erano collegati due elementi che dovevano avere una certa importanza nella fic, e uno di questi era la matita. Il prossimo lo troverete nei capitoli seguenti.

Ringrazio chi ha messo la storia tra le Seguite, e spero che prima o poi mi lascerete un commento... anche per sapere cosa vi è piaciuto e cosa no, ogni spunto è buono per migliorare! ^^

saky 94: sì, in quanto AU Ed e Al sono nati nel nostro mondo, quindi è tutto giocato sul "mondo al di là dello specchio"... che altro non è che quello di FMA. Era da un po' che volevo scrivere una storia con Al protagonista, visto che è il mio personaggio preferito, e spero davvero che possa piacerti. ^^
Akachi: il primo capitolo serviva un po' da "introduzione", adesso si entra nel vivo della storia (che non sarà molto lunga, comunque). Sono contenta che il capitolo precedente ti sia piaciuto, e spero che l'entrata in scena di Winry non sia stata da meno!

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Capitolo 4
*** L'anima riflessa ***


4- L'anima riflessa L'anima riflessa


- Allora, Noa, quand'è che ti decidi a derubarmi? Così posso chiudere questa bettola e ce ne andiamo tutti a casa – proruppe l'uomo al bancone, osservando la ragazza che si dava da fare nel preparare dei caffè.
- Veramente sarebbe questa la mia casa – ribatté lei senza nemmeno alzare la testa, abituata com'era a quella specie di siparietto comico tra lei e il suo capo, che si ripeteva immancabilmente ogni settimana.
- Ma che dici? Non sei una zingara? La tua casa dovrebbe essere la strada! Lo dicono tutte le poesie - esclamò l'uomo che, pur con le sue mani grandi come palanche, riusciva a sorseggiare delicatamente il tè.  
- In un certo senso questo posto lo è – disse Noa, mentre sistemava cucchiaini e bustine di zucchero, andando a tagliare una fetta di torta con l'altra mano – Tutti vanno e vengono, nessuno si ferma per molto tempo, già pensando a dove dovrà andare dopo. Non è la strada, questa? -.
- Ragazza mia, dovresti metterti a scriverle tu, le poesie. E dov'è che andresti, adesso? -.
- A servire questi caffè -.
- D'accordo, ma non scordare di imbrogliare sul resto – le ricordò.
- Sì, signor Armstrong – rise lei, dirigendosi verso i tavoli con il vassoio carico tra le mani.
Quando tornò al bancone alzò per un momento lo sguardo, giusto in tempo per vedere quel ragazzo americano di origini francesi- o per meglio dire, Al, come aveva ormai iniziato a chiamarlo- prendere posto al solito tavolino e farle un cenno con la mano.
Lei ricambiò il saluto, cosa che non sfuggì all'uomo seduto lì accanto.
- Ohibò, Noa, ti sei finalmente trovata un innamorato? È un bravo ragazzo, almeno? - chiese interessato – Se invece è uno che ti dà fastidio, ci penso io a spaventarlo per bene -.
Accompagnò l'ultima frase con un sonoro scrocchiare delle nocche, che fece ammutolire le persone più vicine.
- Signor Armstrong, se fa così farà scappare tutti i clienti – lo ammonì lei.
- Perfetto, così chiudiamo e la gente saprà che è tutta colpa tua -.
Noa scosse la testa sorridendo, mentre andava a prendere l'ordinazione di Al.
L'uomo li osservò attraverso la finestra: si vedeva che avevano ormai una certa confidenza, e dire che di solito Noa era molto riservata con chiunque. Quel ragazzo doveva avere qualcosa di speciale.
Quando rientrò le chiese:
- Su, ormai ti conosco bene, quindi non raccontarmi frottole. Com'è che con quel ragazzo non sei diffidente come al solito? -.
- È che... fin dall'inizio mi ha dato una strana sensazione – rispose lei, pensierosa – È come se stesse cercando qualcosa, ma fosse già rassegnato a non trovarla -.
- Davvero? Beh, se ti ha colpito così tanto dev'essere un tipo interessante. Dovrò andare a farci due chiacchiere, prima che se ne vada -.
- Non c'è fretta, può farlo anche più tardi. Rimarrà comunque fino all'ora di chiusura -.
Armstrong le lanciò uno sguardo così sorpreso che Noa si ritrovò, suo malgrado, ad arrossire.
- E cos'è che fate, voi due, all'ora di chiusura? Mi devo preoccupare? - domandò, sgranando gli occhi sopra i baffoni biondi.
- No, no – si affrettò a rispondere lei – È solo che è sempre molto occupato con i suoi libri, e non si accorge che si fa tardi -.
- Mmm... devo crederti? - fece Armstrong ridacchiando, per poi alzarsi e dirigersi verso l'esterno – Beh, vado a parlarci, chissà che non lo convinca a sposarti. Portami un'altra tazza di tè, per favore -.
Noa sorrise, mentre lo guardava presentarsi educatamente e prendere posto con la sua enorme stazza davanti ad un Al piuttosto sorpreso, occupando quasi tutto il tavolino.
Formavano una strana accoppiata, eppure era certa che si sarebbero intesi. Mentre si occupava degli altri clienti, di tanto in tanto lanciava loro un'occhiata e le sembrava che andassero d'accordo. Alla fine, verso il tramonto, vide Armstrong accomiatarsi dal giovane e fare un cenno di saluto a lei, gridandole:
- Ci vediamo, Noa! Vado a trovare mia sorella! -.
La ragazza annuì, e non appena ebbe un attimo di pausa si diresse verso Al.
- Che te ne è parso? - gli chiese, togliendo le tazze sporche.
- Non ho mai visto un tipo del genere: a prima vista sembra un pugile professionista, invece poi è gentilissimo – rispose lui, ancora piuttosto incredulo.
- È il padrone del caffè – gli spiegò lei – Anche se immagino che si sia presentato -.
Al annuì.
- Ma spiegami una cosa – disse dubbioso – Perché mi ha chiesto se mi hai imbrogliato sul resto? Non mi sembrava tanto serio... -.
- È una vecchia storia – rise lei – Quando mi ha assunto per gestire il caffè, tutti gli dicevano che era un folle a dare un lavoro simile ad una zingara, che l'avrei sicuramente derubato. Da allora, ogni volta che viene qui mi chiede se mi sono decisa a farlo, così può chiudere questa "bettola" -.
Si guardò intorno, abbracciando con lo sguardo i tavolini di metallo verniciati di bianco e il porticato dai colori autunnali.
- In realtà è tutto uno scherzo: adora questo posto, non lo venderebbe per nulla al mondo -.
- Sì, è davvero molto bello -.
- E a te come va, invece? - gli chiese – Sei finalmente giunto a vedere la "Porta dell'Inferno"? -.
- Sì... - rispose laconico Al, sorridendo amaramente.
- Qualcosa non va? -.
- Non è niente, solo che... sono successe delle cose che non mi aspettavo. E adesso è come se mi trovassi di fronte a un enigma: so di avere tutti gli elementi per risolverlo, ma... ma non ci riesco. Non ci capisco niente, eppure ho sempre l'impressione di star sfiorando la soluzione con la punta delle dita -.
Noa lo osservò per un momento. Al si rendeva conto che, in quelle settimane, le aveva detto più di una volta cose apparentemente assurde senza mai spiegarle nulla, eppure lei non aveva mai battuto ciglio. E alla fine, anche quella volta gli disse:
- Allora sono sicura che prima o poi si farà prendere -.

    
La sera dopo si trovava nella sua stanza, all'ostello, sentendosi come se non avesse concluso nulla.
Quel giorno Winry era al lavoro, e lui aveva trascorso la mattinata rileggendo decine di volte i quaderni di Ed, alla ricerca di un'illuminazione, confrontandoli con le immagini del libro d'arte. Ma non aveva risolto nulla e quel pomeriggio, stanco e frustrato, era andato a fare una passeggiata per i viali ventosi di Parigi.
Era tornato verso il tramonto, aprendo la finestra per arieggiare la stanza, e ora stava dando una sistemata ai fogli sparsi dappertutto.
Ad un certo punto un bagliore improvviso gli ferì gli occhi, e fu allora che se ne accorse.
Il vetro della finestra, all'angolatura in cui era, veniva preso in pieno dalla luce arancione del sole calante, rimandandola direttamente sulla superficie dello specchio sopra il lavandino.
E quella luce morente, specchiandosi, nel riverbero appariva aumentata di dieci, cento volte, tanto che l'aveva accecato per qualche istante.
Rimase immobile per vari minuti, gli occhi puntati verso lo specchio finché, calando, il sole scomparve e il suo riflesso con lui. Fino a quando scese il buio e anche lo specchio non rifletté altro che l'oscurità.
Al lasciò perdere quello che stava facendo, prese la giacca e uscì.


Quando Noa se lo trovò davanti, capì subito che era successo qualcosa.
- La soluzione si è fatta prendere? - gli chiese.
- Io... non so... forse – ansimò Al, ancora col fiatone. Aveva camminato il più velocemente possibile, controvento, rimuginando lungo il tragitto sul fatto che l'intuizione di cui aveva bisogno stava tutta lì – Gli specchi... gli specchi possono riflettere l'anima? -.
Quella sera c'erano pochissimi clienti, perciò Noa lo fece entrare e sedere al bancone. Era la prima volta che si trovava all'interno del caffè: di solito rimaneva fuori, sotto il pergolato.
Gli mise davanti una tazza di té, mentre lui se ne stava in silenzio, ancora perso nei propri pensieri.    
- Sai, mia nonna era rumena – disse Noa, tirando fuori dei bicchieri dalla lavastoviglie e iniziando ad asciugarli – Da piccola mi raccontava moltissime storie sui non-morti, quelli che i gagi chiamano "vampiri", tanto che andavo a letto terrorizzata quasi ogni sera -.
Al alzò la testa, ascoltandola attentamente.
- Ricordo che una di quelle storie parlava di una ragazza, bellissima da viva, che aveva trascorso la sua eternità da vampira cercando inutilmente di rivedere il proprio viso. Non era mai più riuscita a specchiarsi perché i non-morti, non possedendo più un'anima, non possono più vedere il proprio riflesso in uno specchio -.   
- Quindi in quel caso si trattava di qualcosa che, pur vedendosi a occhio nudo, non si poteva vedere riflesso – ragionò Al – E se... fosse vero anche il contrario? Se qualcosa che a occhio nudo risulta invisibile si potesse vedere soltanto attraverso uno specchio? -.
- Potrebbe essere – convenne Noa.
Fu solo in quel momento che, notando la calma della ragazza, si rese conto di esserci arrivato. Alla soluzione.
Sorrise e si decise finalmente a bere il primo sorso di tè.
- Squisito – disse infine.


La mattina dopo, alle sette in punto, Al si presentò a casa di Winry.
- Forse so perché a Ed serviva uno specchio – annunciò.
- Dici davvero? -.
- Ho bisogno di un favore – continuò – Questa sera, dopo la chiusura, credi che potresti farmi entrare nel museo? E... uno specchio servirebbe anche a me -.
Winry sorrise.
- Di questo passo in casa non me ne rimarrà nemmeno uno -.


- Se ti scoprono rischi dei guai? - chiese Al mentre uscivano dal museo e si dirigevano verso il giardino dove, oltre alle varie sculture, si trovava anche la Porta.
- Il licenziamento, ad essere precisi. Ma non preoccuparti – Winry rassicurò in fretta l'amico, vedendo che aveva assunto un'espressione preoccupata – Havoc, il custode che è di turno stanotte, mi deve un favore, quindi non dirà niente a nessuno -.
- Un favore? -.
- Sì, una volta mi sono un po' attardata perché avevo dimenticato le chiavi di casa nella sala del personale, e tornando indietro l'ho beccato con una ragazza – abbassò la voce, sporgendosi a bisbigliare all'orecchio di Al – Lei si occupa della biblioteca del museo, si chiama Sheska. A quanto pare ogni tanto si ferma qui per tutta la notte -.
Al era allibito, ma Winry ci pensò un po' su e commentò:
- Sai, sono una bella coppia -.
- Non ne dubito... - commentò esterrefatto, poi si zittirono entrambi.
Eccola lì. La Porta.

La luce bassa del crepuscolo cominciava ad allungare le ombre, e tutte le figure dei dannati che parevano uscire dall'opera sembravano quasi vive.
- Bene – disse Al, togliendo da sotto il braccio l'involto con lo specchio e liberandolo dal panno – È ora di vedere se questa cosa ha un'anima -.
Alzò lo specchio davanti a sé, rivolgendone la superficie verso la "Porta dell'Inferno". A lui appariva soltanto il retro, ma Winry si sporse a vedere e, quando la sentì trattenere il respiro, seppe di avere ragione. Aveva risolto l'enigma di Ed: non era da meno di suo fratello.
- Oh... mio... Dio... -.
- Cosa vedi? -.
- È... aperta -.
La ragazza non sembrava in grado di aggiungere nient'altro, perciò le chiese: - Puoi reggerlo tu un momento? - e si scambiarono di posto.
Quando guardò, gli sembrò quasi di veder prendere forma i tratti incerti di un sogno, perché era il mondo che da piccolo aveva sempre e soltanto immaginato in base ai racconti di Ed.
La Porta- o meglio, il portale, come lo chiamava suo fratello- era aperta, e mostrava una casa su una collina con un grande albero accanto. Poi, quando la luce del crepuscolo si abbassò ulteriormente, lo scenario cambiò e apparve una città dalle strade lastricate e un grande edificio che sembrava una base militare. (¹)
Non si vedeva nessuno, ma Al sapeva fin troppo bene che tipo di personaggi popolassero quei luoghi. Non ne conosceva le fattezze- eccezion fatta per una di loro- ma ricordava bene tutto ciò che avevano fatto.
Ed era sufficiente.
- Credo che basti così – disse, prendendo lo specchio dalle mani di Winry – Direi che abbiamo capito perché Ed ti abbia rubato uno specchio -.
Ma Winry non lo stava ascoltando, lo sguardo rivolto alla Porta, che nella realtà risultava chiusa e immobile.
- Pensi che... che l'abbia attraversata? - chiese in un sussurro.
Al rimise il panno intorno allo specchio, in silenzio.
- Non lo so – ammise alla fine.
Il sole era ormai tramontato del tutto e, anche se a ovest il cielo era ancora leggermente arrossato, le ombre si erano ormai impadronite del giardino del museo.
Si allontanarono quindi dalla Porta, dirigendosi verso l'uscita senza dire una parola.
Quando venne il momento di separarsi, Winry disse:
- In ogni caso, se si mette con la me dell'altra parte e poi prova a tornare qui, lo pesto di brutto -.
Al rise, certo che quello fosse un deterrente non da poco. Osservò le stelle di quella notte limpida, preannunciata dal rosso della sera, chiedendosi se la volta celeste del mondo dall'altra parte fosse speculare a quella che vedevano lì.
Se Ed era andato di là, di sicuro stava già studiando la posizione di quelle stelle. E non solo.  





(¹) Spero sia chiaro che si tratta della casa di Ed e Al e di Central City




L'altro elemento che dovevo inserire nella storia era il crepuscolo, con tempo sereno.
L'informazione che dice che gli specchi non possono riflettere coloro che non hanno un'anima l'ho trovata su Wikipedia.

saky 94: già, dov'è Ed? Bel mistero.
Spero che questo capitolo- il fulcro della storia- ti sia piaciuto. ^^
Vegeta4ever: sono davvero contenta che la storia ti intrighi, perché in effetti sì, c'era "qualcos'altro". ^^
preffy: il tuo commento mi ha davvero lusingata, lo sai? Perché in effetti mi sono informata parecchio sulle opere prima di scrivere questa storia, e il fatto che sia apprezzata da qualcuno che studia Storia dell'Arte non può che farmi piacere. Solo di una cosa non sono sicura: non sono del tutto convinta che al Museo Rodin ci sia effettivamente una riproduzione della Porta, perché in rete ho trovato informazioni contrastanti... quindi, in caso di errore, perdonami e prendilo come una licenza poetica! ^^
Comunque mi ha stupito molto- me per prima- trovare tutte queste corrispondenze tra le opere di Rodin e la storia di FMA... a guardar bene, non sembra un caso. Chissà!
Onyria: in effetti in questa storia ho preferito concentrarmi più sulla trama e sui dialoghi tra i personaggi che sulle descrizioni, a parte quelle più "importanti" del caffé e delle opere d'arte. A dire il vero i vestiti non li descrivo mai- tranne in occasioni "necessarie"- e non ho reputato così importante descrivere il luogo in cui sono seduti Al e Winry, visto che quello che mi interessava era il dialogo fra loro. Comunque ti ringrazio per l'osservazione, le critiche fondate fanno sempre riflettere. ^^
Spero che la storia continui a piacerti, il prossimo sarà l'ultimo capitolo.
 

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Capitolo 5
*** Foglie bruciate ***


5- Foglie bruciate Nello scrivere questo capitolo ho ascoltato in modo quasi ossessivo il “Requiem” del film “Il conquistatore di Shamballa”, ossia la canzone finale. La trovo splendida.


Foglie bruciate


Rilesse quella frase forse per la milionesima volta, chiedendosi se sarebbe mai riuscito a capirla davvero. O perlomeno a comprendere il significato che Ed aveva voluto darle.

"Il tempo è lo specchio dell'eternità."

Ogni volta che la rileggeva, quella sensazione si faceva sempre più vivida, quasi tangibile: non avrebbe mai più rivisto suo fratello.
Che avesse attraversato davvero la Porta, che se ne fosse in realtà andato in chissà quale Paese del mondo, non sarebbe più tornato. Nei suoi ricordi Ed avrebbe sempre avuto diciannove anni: forse era questa l'eternità che intendeva.
O magari si riferiva al mondo al di là dello specchio: chissà se, in quanto realtà speculare a quella conosciuta, il tempo vi scorreva allo stesso modo? O se si trattava di un mondo eterno che lo specchio avrebbe continuato a mostrare, sempre uguale e identico a se stesso?
In fondo, se anche il tempo era lo specchio dell'eternità, ciò che rifletteva doveva comunque essere l'eternità stessa. Oppure no? Forse che, essendone solo il riflesso- un'immagine- non si potesse avvicinare neanche lontanamente a quella che era realmente l'eternità?
In un certo senso, quella frase contrastava nettamente col tono usuale dei diari. Era pacata, parlava di tempo ed eternità, come se Ed avesse voluto fargli sapere che aveva in qualche modo trovato la pace. O che sapeva dove trovarla.
Al si alzò dal letto, si lavò la faccia al lavandino e cercò di raccogliere i capelli in una coda decente. Doveva sbrigarsi, o avrebbe fatto tardi.


Noa aveva ammucchiato tutte le foglie secche sul retro del caffè, dopo aver trascorso il pomeriggio del giorno di chiusura a raccoglierle dal pavimento del pergolato. C'era un pezzo di terra battuta, perfetto per bruciarle in tutta sicurezza, che aveva circondato con delle pietre.
- Caspita, non sapevo esistesse un posto del genere! È davvero bello, fa tanto “Parigi”! - commentò una ragazza bionda coi capelli raccolti in una coda alta, entrando nel locale senza far caso al cartello “Fermé”. (¹)
- Tu devi essere Winry – disse Noa, ancora al lavoro col rastrello.
- Esatto – annuì l'altra, tendendole una mano – Noa, giusto? -.
- Già -.
- Piacere di conoscerti. Al non è ancora arrivato? -.
- No, ma accomodati pure finché finisco qui -.
Winry si sistemò su una delle sedie in ferro verniciate di bianco, godendosi l'atmosfera del luogo. Tirò fuori dalla borsetta il quaderno, l'ultimo della lunga serie scritta da Ed, e lo sfogliò per l'ennesima volta.
Si soffermò su una pagina in particolare, dove era presente uno schizzo fatto malissimo, ma che lei non si stancava mai di riguardare.

«“Il Bacio”: un uomo e una donna ritratti mentre si baciano, successivamente usati come modello per gli amanti Paolo e Francesca, riportati sulla Porta.»

Oh, conosceva bene quell'opera, e sapeva tutto ciò che era stato detto al riguardo. Rodin stesso la definiva una scultura troppo canonica, mentre i critici sottolineavano la contrapposizione tra gli atteggiamenti dei due amanti: lei persa nell'estasi di quel bacio, mentre lui sembrava più serio, distaccato, quasi pronto ad alzarsi.
Ecco, anche quella relazione durata appena due mesi era stata così: malgrado cercasse di non darlo a vedere, lei si era sentita sempre più coinvolta, mentre Ed non ci aveva pensato due volte ad andarsene, sparendo nel nulla. Finendo forse in un'altra dimensione da cui non avrebbe più fatto ritorno.
- “In amor vince chi fugge”, non è questo che dicono? - chiese Noa, i lunghi capelli scuri mossi appena dal vento autunnale.
- Già... - mormorò Winry.
- E, se non sbaglio, è anche un'opera di Rodin – aggiunse.
“Fugit amor”. Due corpi allacciati l'uno all'altro- un uomo e una donna- ma trascinati via da invisibili correnti opposte. Una metafora lampante.


Il tardo pomeriggio stava ormai per volgere in sera, quando arrivò Al.
- Scusate – disse – Sono in ritardo? -.
- In realtà non ci eravamo accordati su un orario, quindi non puoi essere in ritardo – lo rassicurò Noa.
- Anzi, ti devo ringraziare per avermi fatto scoprire questo posto magnifico – esclamò Winry – Credo che d'ora in poi ne diventerò una cliente fissa -.
- Mi farebbe davvero piacere – disse Noa.
Al aprì lo zaino che aveva portato con sé, tirandone fuori i quaderni. Winry lo imitò, porgendogli quello che aveva lei.
- Non sei obbligata a farlo – disse Al, incerto – Sicura di non volerlo tenere? -.
Lei annuì.
- Sì. Nessun rimpianto, giusto? -.
Sistemarono i quaderni sul cumulo di foglie, poi Noa accese un fiammifero e diede fuoco al mucchio.
Osservarono i fogli accartocciarsi su se stessi e crepitare mentre bruciavano, la grafite delle fitte righe scritte a matita unirsi al fumo che si levava.
Il sole non si vedeva già più, in procinto di tramontare dietro le case. Sopra di loro aveva iniziato ad alzarsi il vento, un vento che in alta quota doveva spazzar via qualunque nuvola e assicurare un crepuscolo sereno anche quella sera.
Quando non rimasero che cenere e poche braci, Winry si rivolse ad Al:
- Beh, è stato un piacere. Sono contenta di averti incontrato; mi piacerebbe che rimanessimo amici -.
- Piacerebbe anche a me – assentì lui.
- Solo vedi di non sparire anche tu – lo ammonì seria, guardandolo dritto negli occhi.
- Tranquilla, non c'è alcun pericolo – la rassicurò Al, sorridendo.
- In ogni caso, ricordati che saprei dove sei andato -.
Detto questo, salutò anche Noa e se ne andò. La sua uscita di scena diede ad Al una strana sensazione, lasciandogli quasi l'amaro in bocca: non avrebbe mai creduto di riuscire a stringere un'amicizia del genere in pochi giorni. Sapere che difficilmente l'avrebbe rivista gli faceva sentire dentro qualcosa di molto simile alla nostalgia di casa.
- A volte capita – disse Noa, guardandolo – In fondo sono le persone che contano, non il tempo -.
Già. Il tempo. Lo specchio dell'eternità.
- Mi piacerebbe sapere che cosa ne pensi di una certa frase – fece Al, rivolgendosi a lei.
- Adesso? -.
- Anche più tardi -.
- Magari a cena – commentò la ragazza.
- Non sarebbe una cattiva idea -.
- Non pensi che sia un po' troppo vecchia per te? - gli chiese, ancora appoggiata al rastrello.
- Beh, tanto per citare un famoso pensatore, “sono le persone che contano, non il tempo” -.
- Già – fece Noa sorridendo – Comunque, tanto perché tu lo sappia, ho venticinque anni -.
- Io ventidue. Non mi sembra un scarto così terribile -.
- No, in fondo non lo è – convenne lei – E poi ci vorrà qualcuno che ti mostri un po' Parigi: non credo che tu l'abbia esplorata molto finora -.
- Ho visitato un museo – e visto una Porta che dà su un altro mondo.
- Sì, questo lo so. Ma limitare la Ville Lumière a un museo è un po' riduttivo – ponderò Noa.
- Forse sì – ammise Al.
La ragazza lo osservò per qualche istante, poi aggiunse:
- In realtà vorrei chiederti se hai intenzione di sparire anche tu, come diceva Winry, ma mi sembri molto diverso da tuo fratello -.
Al stava per ribattere qualcosa, quando realizzò che cosa significavano quelle parole. Quindi domandò, esterrefatto:
- Tu hai... conosciuto Ed? -.
- Diciamo che non sei stato l'unico ad aver scelto questo locale per il nome che porta -.
Passò qualche istante, durante i quali una folata di vento si insinuò nel cortile e smosse leggermente il cumulo di cenere.
E alla fine, Al si ritrovò a sorridere. Perché era come se avesse seguito un cammino già tracciato, in ogni sua impronta, calpestandone ogni singola orma senza rendersene conto. Erano passati quattro anni, ma era come se il tempo trascorso non avesse avuto alcuna ripercussione. Effimero, istantaneo quanto un riflesso. Quasi si fosse trattato davvero di un vezzo dell'eternità, in vena di specchiarsi.
Sembrava incredibile a dirsi, ma quando era con quella ragazza gli sembrava di capire sempre qualcosa di più, qualunque fosse la questione che lo stava assillando.
Chissà se aveva aiutato anche Ed.

… sì, era proprio il caso che cenassero insieme. Ne aveva, di domande da farle.
 
 




(¹) “Chiuso”



Nel film, non so perché, mi sono ritrovata a fare il tifo per la coppia Noa/Alfons Heiderich. Poi lui è morto. Quindi mi sono rifatta qui. ^^
Spero che questa storia sia piaciuta anche a chi ha solamente letto. Se voleste lasciarmi una recensione alla fine, per dirmi cosa ne pensate, mi farebbe davvero piacere.

La frase dell'inizio era quella che avevo scelto nel contest, e su cui ho sviluppato la storia.

Vegeta4ever: mi spiace non dare la risposta definitiva su dove sia finito Ed, ma fin dall'inizio mi piaceva l'idea del “finale aperto”. Anche le immagini che Ed vedeva nello specchio, non è detto che fossero parallele al tempo che scorreva nel suo mondo: se ben ricordi, in “Fma” alla fine Ed si trova nel nostro mondo nel primo dopoguerra... si ricollega un po' alla frase che dovevo usare nel contest. Spero che la storia ti sia comunque piaciuta. ^^
Akachi: la faccenda del “come” ho preferito lasciarla indefinita, come hai visto. Ma, se c'era un modo per passare nel mondo al di là dello specchio, sta' certa che Ed l'ha trovato. ^^
Io sono curiosa di sapere la tua teoria al riguardo, invece.
Sono contenta che tu abbia apprezzato una storia con Winry e Al protagonisti, anche perché quest'ultimo è il mio preferito... e con questa storia ho perorato la mia causa. ù_ù
Onyria: il tuo brivido mi ha fatto immensamente piacere! E se apprezza anche il tuo ragazzo, ne sarò contenta. ^^
preffy: guarda, ti direi “vengo anch'io”, ma Parigi è ancora off-limits per me- purtroppo. Mi fa piacere sapere di non aver sbagliato, e ancor di più che il capitolo ti sia piaciuto. Spero che le aspettative non siano andate- troppo- deluse. Non voleva essere chissà quale saga, in fondo è una semplice storia di cinque capitoli. ^^
Spero che anche gli ultimi riferimenti alle opere ti siano piaciuti.

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