La Porta dell'Inferno di hotaru (/viewuser.php?uid=42075)
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Le Selve Obscure ***
Capitolo 2: *** Mozziconi di matita ***
Capitolo 3: *** Una ragazza al di qua e al di là dello specchio ***
Capitolo 4: *** L'anima riflessa ***
Capitolo 5: *** Foglie bruciate ***
Capitolo 1 *** Le Selve Obscure ***
1- Le Selve Obscure
La
Porta dell'Inferno
Le opere citate non mi appartengono, e sono state tutte scolpite
dall'artista Auguste Rodin
Le Selve Obscure (¹)
Un vago sorriso illuminò il viso di un ragazzo dalla pelle
chiara e i lunghi capelli biondo scuro raccolti in una coda.
- “Le Selve
Obscure”…
- mormorò, leggendo il nome del caffè di
quell’appartata via nell’autunno ventoso di Parigi.
Piacevolmente sorpreso da tale, particolare coincidenza, si decise a
entrare.
Il primo impulso che ebbe fu quello di aprire la bocca e lasciar uscire
un “Wow” di meraviglia, data l’assoluta
bellezza del
luogo, ma ritenne opportuno non attirare l’attenzione di
tutta la
gente seduta ai vari tavolini.
Trovò l’unico libero e si sedette.
- Bene, ora basta guardarsi attorno… al lavoro! –
disse
tra sé, tirando fuori un vecchio quaderno nero dalla
copertina
consunta e un grosso libro scolastico, aprendoli sulla tovaglia color
caffè e immergendosi nella lettura.
Ogni tanto una foglia del variopinto pergolato sopra la sua testa
cadeva sul tavolo, ma invece di buttarla bruscamente a terra- come
faceva la maggioranza dei clienti presenti- il ragazzo la prendeva
cautamente tra le dita e la aggiungeva alla pila che aveva iniziato a
formare al centro del tavolo. Dopo quella pausa momentanea tornava ai
propri libri, senza far caso al brusio che lo circondava.
La cameriera che, dopo parecchi minuti, giunse al suo tavolo, non
mancò di notare la bizzarra e variopinta collezione che il
giovane aveva ormai composto. Si concesse un sorriso, prima di
esordire:
- Good afternoon, sir. What…
Non poté terminare la frase, perché il ragazzo
alzò il capo con un sorriso divertito, chiedendole in
francese:
- Ho proprio un’aria così americana?
Notando come la pronuncia più che buona fosse segno di uno
studio tutt’altro che superficiale della lingua, la cameriera
rispose:
- A dire il vero no, ma si vede lontano un miglio che è un
turista. Allora, cosa le porto?
- Un cappuccino andrà più che bene, grazie.
- Perfetto. Torno subito.
In realtà non fu proprio “subito”, dato
lo
straordinario affollamento di gente di quel pomeriggio, tuttavia quando
la ragazza tornò a portargli la tazza fumante il giovane la
ringraziò cortesemente.
- Che velocità, grazie – fece, iniziando a
sorseggiare la
bevanda e stando attento che nemmeno una goccia finisse sui volumi
aperti.
“Doveva essere proprio concentrato se non si è
nemmeno
accorto di quanto tempo è trascorso”
ponderò la
ragazza, osservandolo un momento “Certo che è
davvero
carino…”
- Signorina, la mia brioche! – fece una voce spazientita,
sovrastando il brusio.
- Arrivo subito! – rispose l’interpellata, tornando
al
proprio trantran e dimenticandosi di quel turista sconosciuto, sicura
che non l’avrebbe più rivisto. Come tutti i
clienti che
passavano di lì, d’altronde.
Invece all’ora di chiusura quel ragazzo si trovava ancora
lì.
Aveva però cambiato tavolo: dato che le giornate si andavano
facendo più corte il buio cominciava a calare presto,
così il giovane si era spostato su uno dei tavolini appena
sotto
le lanterne in ferro battuto, per poter usufruire della luce e
continuare così a leggere. Aveva ordinato
dell’acqua
minerale e un panino verso l’ora di cena, ma la cameriera non
si
aspettava certo che sarebbe rimasto lì fino a notte fonda.
Anzi, non dava nemmeno l’impressione di essersi accorto di
che ora fosse.
Piuttosto incuriosita, ma non volendo disturbarlo, la ragazza aveva
cominciato le pulizie per chiudere il locale: aveva tolto le tovaglie
marroni, spostato le sedie verniciate di bianco- così
raffinate-
per dare un colpo di ramazza e tirare via le foglie cadute dal
pergolato che andavano accumulandosi… solo quando
l’unica
cosa rimasta da fare fu quella di
chiudere davvero si decise ad andare a smuovere il bel
lettore incallito.
- Mi scusi… - disse piano, avvicinandosi – Mi
spiace davvero interromperla, ma dovrei chiudere…
Il ragazzo alzò lo sguardo, sorpreso, e sembrò
accorgersi soltanto in quel momento di quanto fosse tardi.
- Oh no, scusi lei! – esclamò, chiudendo in fretta
il
libro più grosso e infilandolo nello zaino che si portava
dietro
– Non mi ero davvero accorto che si fosse fatto
così
tardi, sono mortificato. Le ho fatto solo perdere tempo…
- Ma no, cosa dice? – chiese la ragazza, ridendo divertita da
quella reazione tanto pronta – Per me non ci sono problemi,
davvero. Ma è stato fortunato a non trovare il capo.
- Perché, cosa avrebbe fatto? – chiese
ingenuamente il giovane.
- Diciamo che l'avrebbe letteralmente presa e buttata fuori con le sue
mani… non gli piace chi ritarda l’orario di
chiusura.
Di fronte allo sguardo sbigottito del ragazzo, la cameriera si
affrettò ad aggiungere:
- Ma di solito sono degli ubriaconi… è per questo
che non
vuole si fermino qui a lungo, anche perché di solito cercano
di
importunarmi…
- Beh, posso capirlo: lei è molto bella –
commentò candidamente il giovane.
La ragazza arrossì leggermente, anche se data la sua pelle
scura
di solito nessuno lo notava. Decise che non era poi così
tardi,
e si sedette di fronte al ragazzo, facendo ondeggiare i lunghi capelli
castano scuro.
- Posso chiederle che cosa sta leggendo di così
interessante? – domandò.
- Ah, questo – disse lui – Vede, è che
oggi sono
stato al Museo Rodin, e mi sono un po’ informato…
- Il Museo Rodin? Sì, lo conosco. E che cosa ha visto di
interessante?
- Beh, per prima cosa la “Fanciulla
coi fiori sul cappello”… Ed diceva
sempre che somigliava alla mamma da giovane…
- Ed?
- Sì, è mio fratello… - rispose il
ragazzo,
sfogliando velocemente un libro e girandolo verso la sua interlocutrice
– Ecco, questa è l’opera. È
un busto di
terracotta, vede?
- È molto bella…- commentò la
cameriera, osservandola – E somiglia davvero a sua madre?
- Sì, quando aveva sedici o diciassette anni. Mio fratello
aveva occhio, per queste cose.
- E cos’altro ha visto? – chiese la ragazza,
preferendo non indagare sulle questioni familiari di uno sconosciuto.
Prima di rispondere, il giovane le indirizzò un sorriso
entusiasta, lo stesso che poteva avere un bambino dopo aver mangiato un
gelato gigantesco.
- Il “Pensatore”
– disse solenne.
- Questo lo conosco! – esclamò la cameriera
– E poi?
- Nient’altro.
Stavolta lei gli rivolse uno sguardo piuttosto sorpreso: - Come
nient’altro? In un intero museo ha visto soltanto due opere?
- Sì, ma tanto ci tornerò domani –
rispose semplicemente lui.
- Nello stesso museo?
- Già. Pensò che mi dedicherò alle
“Ombre”.
La nostra giovane cameriera iniziava a pensare che quel ragazzo
americano tanto carino avesse qualche fissazione.
- Ma perché?
- Perché, vede… osservandole una alla volta,
forse
potrò arrivare a coglierne l’essenza. La stessa
che lo
scultore aveva messo in ciascuna di esse, come un pezzetto della sua
anima in un ammasso di terracotta, marmo o bronzo. Fino a plasmarne
anche l’esteriorità, mi capisce?
La ragazza annuì col capo, lentamente.
- E alla fine potrò arrivare a vederla…
- Che cosa? – chiese la giovane, senza più
riuscire a trattenere la curiosità.
- La “Porta
dell’Inferno”.
* * *
Il giorno dopo era di nuovo lì.
Nuovamente immerso nella lettura di uno strano quaderno scritto fitto
fitto a matita, con una calligrafia piuttosto confusa, che confrontava
di tanto in tanto con le pagine di un grosso libro di storia dell'arte.
Eppure non sembrava che stesse studiando.
Quando lo raggiunse, la cameriera lo stava ormai guardando con evidente
curiosità.
- Di nuovo cappuccino? O oggi preferisce qualcos’altro? -
chiese.
- Credo che opterò per un tè, grazie –
rispose il
giovane alzando la testa. Aveva occhi molto belli, di un colore
indefinibile.
- Perfetto.
- Ah, signorina! - la chiamò proprio mentre si stava
voltando, diretta verso l'interno del locale.
- Sì?
- Verso l'ora di cena può portarmi un panino, per favore?
- Serviamo anche ottime zuppe, se vuole provare qualcos'altro.
- D'accordo, allora. Una zuppa con del pane. E dell'acqua, grazie.
Lei annuì. Anche se mai, prima di allora, un cliente le
aveva ordinato la cena con due ore di anticipo.
Lo osservò tornare ai propri libri, subito concentrato al
massimo come se stesse cercando qualcosa.
E una vocina le diceva che, all'ora di chiusura, l'avrebbe trovato
ancora lì.
- Oggi si è dedicato alle “Ombre”? -
domandò quella sera, dopo aver sistemato tutti gli altri
tavoli.
Il sorriso imbarazzato che le rivolse le fece capire che, ancora una
volta, non si era reso conto di che ora fosse.
- Mi scusi – disse – Probabilmente sta cominciando
a detestarmi, me ne vado subito.
- Non si preoccupi – rispose lei – Anche a me piace
molto
leggere, anche se non ne ho mai il tempo, dato il lavoro che faccio. Se
un libro mi prende, mi succede spesso di dimenticare persino dove mi
trovo.
- Sì, in effetti mi capita... anche se questa è
una cosa un po' diversa.
- Sta facendo una ricerca?
- … più o meno. Sì, si può
dire così.
Il tono incerto con cui l'aveva detto le fece pensare di essere stata
un po' inopportuna.
- Beh... “Le
Ombre” le sono piaciute? -.
- Sì, le ho trovate... affascinanti. Misteriose –
girò un paio di pagine del libro di storia dell'arte,
voltandolo
poi verso la cameriera, che senza accorgersene si mise seduta ad
osservare l'immagine – Tre uomini identici, perfettamente
scolpiti in ogni muscolo, eppure l'osservatore è
inspiegabilmente portato a guardare verso un unico punto. Quello in cui
convergono le mani delle ombre. La mano sinistra di tutti e tre.
- Un caso? - chiese lei con un sorriso.
- Chi lo sa. La sinistra è sempre stata considerata la
“mano del diavolo”: evoca il male,
l'oscurità...
- Le ombre, appunto – completò la ragazza
– Non per
niente, è con la sinistra che si spezza il mazzo delle carte
per
leggere i tarocchi.
- Davvero?
- Sì – sorrise – Ma in fondo voi gagi
che ne capite, di queste cose?
- “Gagi”... - mormorò il giovane -
Significa che lei è di origine Rom? (²)
Annuì, quasi sorpresa che qualcuno estraneo alla sua gente
conoscesse quella parola.
- Posso chiederle come si chiama? - domandò ancora.
- Noa. E lei?
- Alphonse.
- Un nome francese... ? - chiese, incuriosita.
- Sì, lo stesso di mio nonno. La sua famiglia se ne
andò
dalla Francia prima dello scoppio della Seconda Guerra Mondiale,
stabilendosi negli Stati Uniti.
- Una bella fortuna, non c'è che dire.
- Già.
Dopo un momento di silenzio, Noa chiese di nuovo:
- E domani? Pensa di andare al Louvre? O a vedere la Torre Eiffel?
- Oh, no. Tornerò al Museo Rodin .
Per il terzo giorno di fila?
- E come mai? - non riuscì ad impedirsi di chiedere,
sorpresa – Non ha ancora visto l'opera che le interessava?
- No, devo arrivarci lentamente.
Stavolta Noa non fece domande, ma la sua espressione dovette parlare
per lei, perché quel ragazzo così gentile sorrise
e disse:
- Perché devo.
(¹) “La selva oscura”, in francese
(²) Gagi:
nome con cui i Rom indicano tutti i “non Rom”
Questa storia nasce da
un'ipotesi di
Wikipedia, che vi spiegherò in seguito. Anche la storia si
farà più chiara man mano, non temete.
Intanto spero vi
ricordiate di Noa,
la zingara che appare ne “Il Conquistatore di
Shamballa”.
È un personaggio che mi affascina, anche perché
l'inizio-
il circo, lei che viene venduta... - mi ricordava vagamente
“Il
mistero della pietra azzurra”. A voi no? ^^
Questa long è
arrivata terza, a pari merito con vogue, al “Mirror
Contest” indetto da Aki Asage. Complimenti a
Ribrib20 e a DominoWhite, prima e seconda classificate!
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Capitolo 2 *** Mozziconi di matita ***
2- Mozziconi di matita
Mozziconi di matita
Osservandosi nello specchio di quel minuscolo bagno d'ostello, si
chiese perché a lui non fosse mai capitato di vederci qualcosa
che non fosse la sua faccia.
E non un mondo alternativo di armature parlanti dove magia e scienza
erano la stessa cosa, un orologio si poteva riparare in una specie di
cerchio magico e gli ufficiali dell'esercito sparavano fuoco dalle mani.
In cui accadevano tante cose così terribili e raccapriccianti
che suo fratello gliele aveva raccontate solo quando era entrato anche
lui in prima media. Poi non aveva dormito per una settimana, ma si era
ben guardato dal rivelarglielo.
Perché se si fosse fatto sfuggire che si era spaventato a morte,
di certo Ed non gli avrebbe raccontato più nulla, finendo sul
serio con l'impazzire.
Da piccoli non era che un gioco, e all'inizio aveva pensato che Ed
inventasse quelle storie apposta per lui. Poi aveva creduto che il
fratello avesse uno strano, magnifico potere che gli consentisse di
vedere quel "mondo al di là dello specchio".
Solo in seguito, crescendo, si era chiesto se quella di Ed non fosse
una maledizione; e si era domandato perché lui, invece, non ne
fosse stato colpito. Forse, in due, sarebbe stato un fardello
più facile da portare.
E Ed non sarebbe scomparso a diciannove anni, senza più tornare
a casa, dopo aver riempito quaderni su quaderni di una fitta scrittura
a matita.
La scrivania della sua stanza era ancora ingombra di tutti i mozziconi
delle matite che aveva consumato, allineati uno dopo l'altro, accanto
ai quaderni sistemati in pile.
Quando Ed se n'era andato, Al si era chiesto se non li avesse lasciati
per lui. Avrebbe potuto buttarli, bruciarli, distruggere in qualunque
modo le uniche prove di quella che chiamava la sua "follia", la sua
"ossessione".
Invece li aveva lasciati lì, come delle tracce da seguire, degli
inviti a non abbandonarlo anche se se n'era già andato. E quelle
miriadi di parole scritte con la grafite evanescente di una matita
sembravano in realtà come scolpite sulla pietra.
- Edward, vieni qui un momento
– chiamò sua madre dalla cucina, osservando perplessa il
diario del figlio – Che cosa intende esattamente la tua maestra?
-.
Gli mostrò le parole scritte
dall'insegnante, che lanciavano un monito a controllare le letture del
bambino. "Capisco che l'essere figlio di uno scienziato possa
determinare una dose di curiosità e predisposizione ad
apprendere superiori alla norma, tuttavia ritengo che Edward possa
essere esposto a letture non adatte alla sua età".
- Mmm... non lo so – rispose il
bambino – Avevo solo studiato un po' di più per
l'interrogazione di scienze -.
- Un po' di più? - chiese dolcemente la madre.
- Ho solo approfondito qualche argomento -.
- Capisco. Forse la tua insegnante
intende dire che un bambino della tua età non dovrebbe studiare
così tanto, ma anche giocare e divertirsi. Va bene? -.
Ed annuì, e tornò in camera da Al.
- Non capisco perché la
maestra abbia fatto quella faccia. Sembrava che non stesse nemmeno
guardando un essere umano, ma uno scherzo della natura. Eppure quelle
cose dovrebbe saperle! – si sfogò.
- Ma che cosa le hai detto? - chiese il fratello.
Ed scrollò le spalle.
- Le ho elencato gli elementi di cui
è composto il corpo umano: 35 litri d'acqua, 20 chili di
carbonio, 4 litri di ammoniaca, un chilo e mezzo di calce, 800 grammi
di fosforo... -.
- E tutte queste cose – lo interruppe Al – le hai sentite... -.
Il fratello lo guardò.
- Nello specchio. Pensavo fossero esatte -.
Ed erano esatte. Ma ora
riusciva a capire come una maestra delle elementari potesse leggermente
impressionarsi nel sentirle elencare da un suo alunno, che alla fine
aveva oltretutto ribadito come ciò rendesse possibile una
trasmutazione umana.
Poteva immaginare quella maestra chiedersi che cosa fosse esattamente
una "trasmutazione", ma dato che quell'Edward Elric era figlio di un
famoso scienziato poteva darsi che quella parola l'avesse sentita da
lui.
Comunque, dopo episodi di quel genere Ed aveva imparato a stare zitto.
A tacere tutto ciò che vedeva ogni volta che il suo sguardo
cadeva su un qualunque specchio. Anche se una volta aveva vomitato
all'improvviso nel salotto di una loro zia, davanti ad uno specchio
antico dalla cornice intarsiata, e nessuno aveva mai capito
perché.
A parte Al, l'unico che venisse ogni volta a sapere la verità.
- La... la b-bambina... - non l'aveva
mai visto piangere come quella notte: tremava vistosamente e non
sembrava capace di lasciare la federa del cuscino, che le sue dita
stavano stritolando - ... i-il cane... p-perché... -.
- Ed, aspetta, vado a chiamare la mamma -.
Aveva fatto per scendere dal letto
del fratello e dirigersi verso la porta, ma Ed l'aveva afferrato per
una manica del pigiama, tirandolo indietro con tutto il suo peso.
- NO! No... - abbassò subito la voce, per evitare che qualcuno sentisse – Non farlo... -.
- Ma tu... perché non mi dici cos'hai visto? -.
Ed scosse vistosamente la testa, tirando su col naso, mentre un nuovo tremito lo percorreva per intero.
- No, stavolta no. Torna... torna a letto. Io sto bene -.
- Fratellone... -.
- Sto bene! Dormi! - esclamò infilandosi sotto la trapunta e tirando le coperte fin sopra la testa.
Ad un certo punto Al si era
addormentato, ma quando la mattina dopo aveva visto Ed, si era reso
conto che non aveva chiuso occhio per tutta la notte. Sembrava ancora
terrorizzato.
Ora poteva capire come Ed, quella volta, si fosse comportato da vero
fratello maggiore. Avevano solo un anno di differenza, ma lui la
responsabilità l'aveva sempre sentita. E sapeva che, se quella
faccenda aveva sconvolto lui, forse su Al avrebbe avuto effetti ancora
peggiori.
Aveva quindi deciso di tenersela per sé, anche se si era
trasformata in un incubo che l'aveva perseguitato per mesi.
E solo anni dopo Al aveva scoperto la verità sul "cane e la
bambina". Da quei quaderni scritti a matita, come in una nuvola, con
la scrittura sintetica di un bambino delle elementari.
«Sono andati a casa di una
specie di scienziato, che vive con la figlia piccola e il cane. Nina,
mi pare si chiami. Uno dei due deve sostenere un esame, che poi riesce
a superare. In realtà non riesco mai a vederlo bene: è
come se i suoi contorni fossero sfocati, come una foto venuta male.
Tornano di nascosto in quella casa,
piena di animali in gabbia, e c'è un grosso cane con i capelli
che parla. È la bambina, che il padre ha in qualche modo "fuso"
con il cane. "Chimera parlante", la chiamano. È stato allora che
non ce l'ho più fatta, e ho vomitato.
Poi un tizio con una cicatrice uccide il cane-bambina. Aveva quattro anni.»
Il gemito e poi l'urto violento che aveva sentito l'avevano fatto accorrere alla velocità della luce.
Quando raggiunse il bagno, la prima
cosa che inconsciamente fece fu ringraziare il cielo che la loro madre
non fosse lì. In tutti quegli anni, non aveva mai visto Ed in
quello stato.
Doveva essersi appena fatto la
doccia, perché era mezzo vestito e l'acqua gocciolante sul
tappeto si mescolava al sangue, oltre che alle decine di frammenti di
vetro.
Suo fratello era ancora ansimante, coi capelli bagnati appiccicati al viso e il sangue che gli colava dal polso.
Non gli chiese cosa fosse successo;
si limitò ad avvicinarsi in silenzio e a togliere il pugno
ancora premuto contro lo specchio sopra il lavandino, in frantumi.
Malgrado Ed avesse un anno in più, erano praticamente alti
uguali.
- Fa' attenzione a non pestare i
pezzi caduti per terra – gli disse, facendolo sedere sul bordo
della vasca e prendendo dall'armadietto cotone e disinfettante.
Gli si erano conficcate un paio di
schegge sulle nocche, ma riuscì a toglierle con facilità
e a medicare il resto, fasciando la mano.
- Possiamo dire alla mamma che sei
scivolato sul pavimento bagnato, e cadendo hai preso addosso allo
specchio – suggerì tranquillamente Al.
- Possiamo dirle invece che suo
figlio è un pazzo furioso, e farebbe meglio ad internarlo
– ribatté lui in un mugugno, ma Al sorrise. Gli aveva
risposto, il che era un buon segno.
- Se vuoi parlarmene, non c'è problema. Ho quindici anni, ormai -.
Ma Ed scosse la testa, quasi a intendere che non si potesse parlare di ciò che aveva visto.
- E pensare che sono tutti esseri umani – commentò, le spalle piegate come se fosse invecchiato di colpo.
- Niente trasformazioni mostruose, stavolta? - chiese Al, cercando di saperne di più.
- Già. Solo uomini, civilizzati e superiori al resto del creato, che si ammazzano l'un l'altro -.
Queste furono le ultime parole che
pronunciò al riguardo, perché poi prese un asciugamano e
iniziò a tamponarsi i capelli.
- Adesso sistemo questo disastro – disse, alzandosi.
- Non preoccuparti, ci penso io. Tu
non dovevi uscire? Rischi di far tardi – rispose Al, dirigendosi
verso la porta per andare a procurarsi scopa e paletta.
- Sai Al, un giorno smetterò
di essere la tua condanna – queste parole lo bloccarono accanto
alla lavatrice, facendolo voltare – Mi comporterò da
fratello maggiore, vedrai -.
L'altro sorrise, prima di uscire:
- In realtà lo stai già facendo, sai? –.
«Massacro.»
Doveva essere questo l'episodio che aveva portato al pugno sullo
specchio del bagno. Gli sembrava che le date coincidessero. Stavolta a
descriverlo erano tratti premuti, con una mina appuntita, pressati
quasi a voler perforare la carta.
«Non ho ben capito il
perché, anche se mi chiedo se un disastro di tali proporzioni
possa avere dei motivi. Hanno cominciato con un ragazzino, e poi hanno
ucciso tutti gli altri. Dovevano appartenere allo stesso popolo,
perché avevano tutti la pelle scura e gli occhi rossi. I soldati
si riferivano a loro con una parola tipo "Ishbar", mi pare.
Non li hanno neanche guardati in
faccia; qualcuno si è addirittura trasformato in una specie di
cannone multiplo e hanno iniziato a sparare. Bambini, donne, famiglie
intere.
Non ho mai visto una guerra in vita
mia: ma se è così, c'è da chiedersi perché
la specie umana esista ancora.»
E poi, qualche mese dopo, c'era stata quella che Al avrebbe in seguito definito la "svolta".
Provocata da un semplice libro di storia dell'arte.
- Mmm... non mi piace questa roba.
Preferisco studiare chimica – erano già quindici minuti
buoni che Ed se ne stava seduto al tavolo della cucina, sfogliando il
libro di arte senza decidersi a cominciare a studiare per il compito.
- A me piace, invece – ribatté Al dall'altra parte, alle prese con un'equazione.
- Come fa a piacerti? Una massa di
pazzi che dipingono o scolpiscono in maniere assurde, pretendendo di
chiamarsi "artisti" – sbuffò contrariato – La
scienza è molto più sensata, perlomeno si basa su dati
concreti e reali -.
Al ci pensò su, mordicchiando il cappuccio della penna.
- Mi piace il fatto che ciascuna
delle loro opere rappresenti un diverso modo di vedere il mondo. In
fondo, l'arte ci dice che non esiste una realtà unica –
ponderò.
- Sarà, ma quel che mi
dà più fastidio è che ognuno di loro pretendeva di
essere l'unico ad avere ragione. Il Puntinismo qua, il Simbolismo
là... che assur... -.
Si bloccò. Tanto all'improvviso che Al ci mise un po' a notarlo, e ad alzare la testa dai suoi compiti.
- Che c'è? - domandò, chiedendosi che cosa stesse accadendo, perché un libro di arte non era uno specchio.
Ma si sbagliava.
Ed sembrò tornare in sé; voltò il libro verso Al e gli indicò una figura.
- È questo. Il portale -.
«"La Porta dell'Inferno", opera "aperta" dello scultore francese François-Auguste-René Rodin.
È il portale dell'inizio,
quello che pochi, di là, hanno visto, e nessuno ne è
uscito intero. Qualcuno ha perso un braccio e una gamba, qualcuno gli
organi interni, qualcun altro il corpo intero.
Non è identica, ma gli
somiglia moltissimo. Oltretutto le figure sono interamente basate sui
personaggi dell' Inferno della "Divina Commedia", e di là
continuano a ripetere ossessivamente il nome "Dante".
Perché tutte queste
coincidenze? C'è un collegamento tra queste cose? Se andassi a
vedere la "Porta", capirei qualcosa?»
Al si ricordava che da allora, malgrado le sue opinioni artistiche, Ed
aveva iniziato delle ricerche ossessive su quello scultore. Si era
procurato libri su libri, confrontando le descrizioni delle varie
opere, andando a rileggere i suoi appunti sul "mondo al di là
dello specchio".
E riportando tutte le sue riflessioni su quei quaderni, la matita che crepitava incessante sulla carta.
Fino a quando, tre anni dopo, Ed se n'era andato in Europa e non era
più tornato. Una riproduzione della "Porta" c'era anche a
Philadelphia, ma non l'aveva nemmeno presa in considerazione. Stando a
quello che dicevano i quaderni, la "Porta dell'Inferno" era una
commistione di altre sculture precedenti le cui figure erano state
riprodotte anche lì, corpi plastici che sembravano uscire dalla
materia. Prima di arrivare all'opera completa sosteneva di dover
conoscere anche le altre, per questo si era diretto a Parigi.
Ma non era più tornato, e quattro anni dopo Al aveva deciso di
andare a cercarlo. Lui, o qualunque cosa si fosse lasciato dietro.
Nella pagina di Wikipedia dedicata a
FMA si dice che l’autrice del manga, per la creazione del
Portale, possa essersi ispirata all’opera “La Porta
dell’Inferno” di François-Auguste-René Rodin.
Ecco, questa storia parte tutta da questa semplice ipotesi.
La matita era uno degli elementi assegnatimi, che doveva avere un certo ruolo nella fic.
Gli episodi a cui faccio riferimento
sono quelli 6 e 7 della prima serie: "L'esame da alchimista di stato" e
"La notte del pianto della chimera".
Li ho inseriti perché mi
avevano assolutamente sconvolto, molto più di tante altre
vicende più raccapriccianti avvenute in seguito. Sarà
perché ho una cugina di quasi quattro anni, e immaginare una
cosa del genere è... abominevole. Non so nemmeno spiegarlo a
parole. Non so quanto abbia colpito voi, ma io me lo ricordo ancora fin
troppo bene.
E poi il massacro di Ishbar: un
genocidio, come quelli avvenuti nel Novecento nei confronti di armeni
ed ebrei. Ma ce ne sono molti altri, sapete.
saky 94:
in realtà ci sono degli accenni ed/win, ma sono contenta che il
primo capitolo ti sia piaciuto. Il vero protagonista qui è Al,
per una volta. XD
Akachi:
spero che questo secondo capitolo ti abbia incuriosito ancora di
più! E la cultura va sempre bene... anch'io ho imparato un sacco
di cose, scrivendo questa storia!
|
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Capitolo 3 *** Una ragazza al di qua e al di là dello specchio ***
3- Una ragazza al di qua e al di là dello specchio
Una ragazza al di qua e al di là dello specchio
Quel giorno lo sguardo le cadde per l'ennesima volta su una figura
bionda, che se ne stava da un po' in giardino davanti a un'opera. Da un
bel po'.
Ricordava di averlo visto anche il giorno prima, quello prima ancora, e
perfino la settimana precedente. Ogni giorno se ne stava per ore di
fronte ad una o due sculture, esattamente come l'altro.
Il primo giorno che l'aveva visto entrare nel museo aveva sentito un
tuffo al cuore. Aveva cercato subito di raggiungerlo, finché a
metà strada si era accorta che in realtà non era lui, anche se da lontano poteva sembrarlo.
Si era quindi imposta di lasciar perdere, giorno dopo giorno, e di
continuare le visite quotidiane con i gruppi di visitatori. Malgrado
ciò, ogni volta che passava nelle vicinanze, i suoi occhi
venivano calamitati da quella figura sempre in piedi, sempre lì.
L'aveva studiato da lontano, incerta se attaccare bottone con una
figura estranea ma in un certo senso fin troppo familiare, rimandando
di giorno in giorno.
Finché, quella mattina, l'aveva visto nel giardino del museo davanti alla "Porta dell'Inferno". E si era decisa.
Il rumore dei tacchi lungo il camminamento era deciso e ben definito:
cosa di cui quasi ringraziò, perché impediva che si
potessero udire in ogni angolo i battiti del suo cuore.
E quando gli fu vicina, di fronte a quella scultura imponente che
l'aveva sempre messa in soggezione, la domanda che gli pose aveva lo
stesso tono di un sospiro:
- Posso aiutarla? -.
Quando quel ragazzo si voltò, speranza e delusione si
mescolarono in un sentimento indistinto: no, non era lui- di questo era
certa- ma la somiglianza era innegabile. La somiglianza di un parente.
- No, grazie... non ho bisogno di niente – fece il giovane, preso
leggermente in contropiede – Stavo solo guardando... -.
Già. In fondo, che altro c'è da fare in un museo?
La ragazza si morse la lingua, decisa a non lasciar perdere ma senza sapere come continuare. Perché quel ragazzo doveva
sapere qualcosa. Mentre lui la guardava curioso, con l'aria incerta di
chi si chiede se abbia fatto qualcosa di male, lo sguardo le cadde sul
quaderno che teneva in mano. E quella calligrafia confusa, a matita,
calamitò la sua attenzione.
- Quello... l'ha scritto lei? - chiese senza mezzi termini.
- Questo? Beh, no... in realtà l'ha scritto mio fratello -.
- Capisco... suo fratello è qui con lei? -.
In quel momento si rese conto di trovarsi davanti ad una persona
estremamente educata, perché al suo posto chiunque l'avrebbe
mandata a quel paese. Chi era lei, per farsi gli affari di un estraneo?
Invece quel ragazzo rispose:
- N-no. Veramente no -.
Lei accennò al quaderno, e la coda bionda si mosse seguendo i suoi movimenti.
- Ne ho uno anch'io. Scritto sempre da suo fratello -.
- Posso chiederle come ha conosciuto Ed? - domandò Al seduto su
una panchina del giardino, osservando quella strana ragazza il cui nome
sul cartellino della divisa diceva: "Winry- inglese, francese e
tedesco".
- Esattamente come ho fatto con lei. Erano giorni che se ne stava
impalato davanti alle varie opere del museo, una diversa ogni volta, e
sono andata a parlargli prima che nascessero troppi sospetti. Sa, il
nostro direttore è un tipo un po' fissato -.
"Fissato" era un eufemismo, se si pensava a tutte le raccomandazioni
che l'uomo faceva quotidianamente al personale, convinto che un posto
come il Museo Rodin, anche se relegato da tutte le guide tra i
cosiddetti "musei minori", corresse costantemente il rischio di
attacchi terroristici.
E quel ragazzo che da vari giorni se ne stava impalato per ore davanti
a questa o quell'altra opera rischiava di essere preso di mira. In
realtà Winry stessa credeva che fosse un po' strano: per quanto
gli potesse piacere Rodin, pensava che a Parigi ci fosse anche altro da vedere.
Quindi una sera al crepuscolo, poco prima della chiusura, andò a parlargli.
Era da quella mattina che ci rimuginava sopra: per quanto il direttore
insistesse sul segnalare qualunque elemento sospetto, quel tipo le
sembrava innocuo.
Ma non avrebbe mai pensato che, oltre a parlare con lui, quella sera se
lo sarebbe portato a casa, ospitandolo per oltre due mesi. Prima che
sparisse nel nulla.
- Puoi spiegarmi una cosa? - era passata all'improvviso dal "lei" al
"tu", ma nessuno dei due ci fece caso. Avere Ed come unico punto in
comune li stava facendo sentire come se si conoscessero da una vita
– Aveva qualche problema con gli specchi? -.
Problema. In effetti sì. Ma non sapendo quanto Winry conoscesse di tutta la faccenda, si limitò a chiedere:
- Perché? Ha fatto qualcosa di strano? -.
- Ogni volta che entrava in una stanza, se c'era uno specchio lo
copriva con un panno. Non che ne abbia così tanti, ma perlomeno
in bagno e in camera da letto ce ne sono. Non ha nemmeno voluto
guardarli: ha persino sistemato un lenzuolo all'interno dell'anta
dell'armadio, coprendo lo specchio a figura intera che vi è
attaccato -.
- Capisco – quindi, alla fine, un modo l'aveva trovato.
Si chiuse nel silenzio, mentre Winry lo osservava attentamente. Tutta
quella faccenda era a dir poco strana. C'era ben altro dietro a quello
che sembrava un semplice ragazzo un po' tocco, l'aveva intuito fin da
subito. Aveva provato diverse volte a chiedergli qualcosa, ma non si
era mai sbilanciato troppo; nemmeno dopo aver fatto l'amore, quando in
teoria gli uomini sono più vulnerabili.
Gli unici momenti in cui sembrava disperatamente alla ricerca di
qualcuno con cui confidarsi, era quando sfogliava il suo libro
interamente dedicato a Rodin e alle sue opere. Lo stringeva come se
pretendesse di spremerne delle risposte, ma la carta restava muta.
E allora chiedeva a lei, che con le sue conoscenze in storia dell'arte
cercava di aiutarlo, e mentre lo ascoltava metteva insieme i pezzi di
un puzzle che si stava rivelando sempre più ampio e complicato.
- C'entra con quello che c'è scritto nel quaderno, non è vero? - chiese infine.
- Ecco... - Al sembrava molto titubante. Non aveva previsto di
coinvolgere qualcun altro, in quel viaggio. Invece Ed l'aveva
già fatto, anni prima.
Davvero curioso come riuscisse a farsi seguire dalle persone senza
nemmeno provarci. Quel suo segreto l'aveva sempre portato a guardare
più verso gli specchi che al mondo reale, quasi come un ponte
che non è né di qua né di là, tanto che era
andato estraniandosi sempre più dalla realtà.
Eppure, scomparendo, aveva lasciato una scia. Una scia che già
due persone stavano seguendo, senza che nessuno avesse detto loro di
farlo.
- Senti, facciamo un patto – la voce di Winry, accanto a
sé, lo distolse dai suoi pensieri. Quella ragazza doveva essere
inglese, non aveva affatto l'accento americano – Io ti do il
quaderno se mi racconti tutto di questa storia. Ogni dettaglio -.
Vedendolo incerto, sorrise:
- E sta' tranquillo, sono preparata a qualunque cosa. Dopo aver letto
quello che ha scritto tuo fratello, non mi stupisco più di
niente -.
Invece si stupì. E molto, anche.
Ma la cosa che più sorprese Al fu che credette ad ogni parola.
Eppure quella che le aveva raccontato era una storia assurda: lui
stesso dubitava che sarebbe riuscito a crederci, se non ci fosse
cresciuto assieme.
Quella sera, quando si recò come al solito al caffé, si
chiese se l'unico motivo per cui Winry non avesse dubitato di una sola
parola fosse il fatto che aveva conosciuto Ed. Perché Ed era quella storia, reale e tangibile.
Era come parlare in astratto di una mucca, e poi trovarsela davanti. Concreta e innegabile, senza possibilità di appello.
Il giorno dopo Winry era libera, perciò si diedero appuntamento
in un parco e lei portò il quaderno. Quando lo vide, ad Al
sembrò quasi che suo fratello fosse tornato indietro per dirgli:
"Hai visto? Un altro pezzo! Non ti ho mica lasciato solo!".
- Sì – mormorò, sfogliandolo – È proprio la sua scrittura -.
- A quanto pare – cominciò Winry – ha dedicato una
pagina di appunti a quasi ogni opera, e qua e là c'è
anche qualche schizzo -.
Ridacchiò, mentre Al ne trovava uno e cercava di decifrarlo:
- Non che fosse molto portato per il disegno, comunque –.
Anche Al si ritrovò a sorridere. Non sapeva se Ed avesse scelto
quella ragazza per qualche motivo o se si fossero ritrovati insieme per
caso; comunque fosse, Winry sembrava avere un certo polso ed era
praticamente certo che, visto il carattere ostinato di suo fratello, il
loro rapporto non fosse stato sempre facile. Ma era troppo educato per
chiedere certe cose, perciò si limitò ad annuire:
- Già... in effetti non è che si capisca molto -.
Poi tirò fuori i quaderni che aveva lui.
- Comunque aveva già fatto parecchie ricerche in passato, e qui
nomina tutte le sculture più significative. Mi chiedo se,
vedendole di persona, abbia aggiunto qualcosa al riguardo -.
- L'unico modo per saperlo è controllare – fece pratica
Winry, prendendo l'ultimo quaderno e aprendolo alle pagine che cercava.
Trascorsero l'intera mattinata, fino all'ora di pranzo, confrontando varie parti e diverse descrizioni.
Gli appunti erano un po' sparsi, ma alla fine erano riusciti a riunire le cose più importanti.
«"Il Pensatore": è Dante
stesso, secondo ciò che dice Rodin. Scultura singola, ma anche
presente nella parte alta della Porta, al centro, a dividere
simmetricamente il tutto. Il Pensatore, il cui pensiero aveva dato
inizio all'Inferno stesso.»
- Questa frase non la capisco – disse Winry – Che significa? -.
- La Porta si basa sulla descrizione dell'Inferno che dà Dante
nella "Divina Commedia" – rispose Al, che aveva addirittura dato
un esame di letteratura italiana per arrivare a saperne il più
possibile – Senza il suo "pensiero", ossia la sua ispirazione,
non sarebbe stata scritta nemmeno una parola, e nessuno avrebbe
"creato" l'Inferno che viene qui rappresentato -.
«Anche "di là", è Dante la chiave di tutto.
"Ugolino e i suoi figli": nel 33°
canto si narra di Ugolino della Gherardesca, imprigionato assieme a due
figli e due nipoti- ancora bambini- e condannato a morire di fame. Non
è chiaro, ma nel canto s'insinua il sospetto che, prima di
morire, Ugolino si sia cibato della carne dei bambini già
morti.»
- Questa storia la conosco – intervenne Winry – È
semplicemente raccapricciante, in ogni suo dettaglio, piena di
crudeltà umana. Già di per sé, la condanna alla
morte per fame è qualcosa di abominevole -.
Al annuì, osservando l'immagine riportata sul libro di storia
dell'arte. Un uomo disperato, ormai incapace di ragionare, che arriva a
mangiare i propri figli e nipoti. C'era da chiedersi se Ed avesse preso
a pugni qualcosa anche quando aveva letto quel passaggio.
«Ricorda molto quelli che di là chiamano "Homunculus": si
cibano di strane pietre rosse, ottenute dal sacrificio di esseri umani.
Il concetto di fondo è lo stesso.»
Poi c'erano un paio di pagine dalla scrittura ancora più
confusa, dove la mina della matita sembrava quasi essere stata "sparsa"
sui fogli a forza di passarci sopra con la manica, tanto da rendere il
risultato illeggibile.
- Qui ho provato e riprovato, ma non si riesce a leggere niente –
disse Winry – Deve aver usato una matita troppo leggera -.
Al annuì, girando nuovamente pagina e tirando un sospiro di
sollievo quando vide che i fogli seguenti si leggevano benissimo.
«Alla fine, tutte le figure che sembrano "uscire" dalla Porta,
anche se fanno parte di essa, sono esseri disperati. Esprimono il
dolore per un castigo eterno, da cui non c'è via di scampo.
Esseri umani caduti nel peccato perché andati oltre a ciò
che era loro concesso, da una divinità che può esistere o
meno.»
Queste erano le ultime parole per parecchie pagine.
- Finisce qui? - chiese Al.
- Non proprio – rispose lei, guardandolo in modo strano e voltando qualche altro foglio – Leggi qui -.
Al lesse, e sgranò gli occhi.
«Stasera verso il tramonto, mentre ero davanti alla Porta, ho sentito venire verso di me qualcuno del personale.
"Ecco, ci siamo" ho pensato "Si sono accorti che me ne sto ore
impalato, ogni giorno, davanti ad una scultura diversa e pensano che
stia piazzando una bomba o qualcosa del genere".
Quando mi sono voltato per sentirmi dire qualcosa del tipo: "La
preghiamo di non tornare più, o chiameremo la polizia", credo di
aver smesso di respirare.
In un primo momento ho creduto che mi avessero messo davanti uno
specchio. Poi mi sono ricordato che mi trovavo in un giardino, e
specchi non ce n'erano.
Perché quella guida, quella ragazza con i capelli biondi e gli
occhi azzurri a cui la gonna della divisa non sta poi tanto bene,
c'è anche nel mondo di là.
È la prima persona in assoluto che vedo da entrambe le parti.»
- Comunque il particolare della gonna se lo poteva anche risparmiare
– commentò Winry, acida – Non mi sembra che le mie
gambe gli dispiaciute così tanto, dopo -.
Al preferì non indagare su quell'ultima affermazione, concentrandosi piuttosto sulla rivelazione del diario.
Allora era per questo che si era avvicinato così tanto a Winry.
L'unica persona che avesse mai visto da entrambe le parti, come se "il
mondo al di là dello specchio" fosse davvero una specie di
universo alternativo, dove ognuno poteva avere un alter-ego.
Questo apriva miriadi di possibilità.
- Ah, e non è finita – ricordò Winry, lasciando
perdere le proprie disquisizioni su gonne e gambe – Guarda qui.
Questa è l'ultima frase -.
Era scritta sull'ultima pagina, oltre la quale c'era soltanto la
copertina. Una frase scritta in grande, con una matita dalla punta
spessa e rotonda:
«"Il tempo è lo specchio dell'eternità."»
- Ho controllato, e risulta che sia stata pronunciata da un certo Diogene
di Sinope, un antico filosofo greco – disse Winry – Non so
a te, ma a me non dice niente -.
Al scosse la testa. Questo andava ben oltre tutto ciò che si era
aspettato di trovare, e avrebbe dovuto pensarci con calma.
Perché, se Ed aveva lasciato i suoi vecchi quaderni a casa
perché li trovasse lui, forse sapendo che sarebbe venuto a
cercarlo, e l'ultimo da Winry, significava che aveva tentato di
lasciare un messaggio.
E, dato che nessuno oltre ad Al aveva gli strumenti per capire, voleva dire che quel messaggio era indirizzato proprio a lui.
Sospirò pesantemente, anche se si ritrovò a sorridere:
malgrado tutto, prima di sparire Ed aveva pensato anche a suo fratello.
- C'è un'altra cosa – aggiunse di nuovo Winry, pensierosa
– Forse è un particolare senza nessuna importanza, ma ho
come la sensazione che c'entri con tutta questa storia. Ricordi quando
ti ho detto che Ed ha coperto tutti gli specchi di casa mia con un
panno? -.
Al annuì.
- Beh, per quanto li odiasse... - continuò - ... alla fine se n'è portato via uno -.
La frase "Il tempo è lo
specchio dell'eternità" è quella che avevo scelto e su
cui dovevo basare la mia storia. Ad essa erano collegati due elementi
che dovevano avere una certa importanza nella fic, e uno di questi era
la matita. Il prossimo lo troverete nei capitoli seguenti.
Ringrazio chi ha messo la storia tra le Seguite, e spero che prima o
poi mi lascerete un commento... anche per sapere cosa vi è
piaciuto e cosa no, ogni spunto è buono per migliorare! ^^
saky 94: sì, in quanto AU Ed e Al sono nati nel nostro mondo,
quindi è tutto giocato sul "mondo al di là dello
specchio"... che altro non è che quello di FMA. Era da un po'
che volevo scrivere una storia con Al protagonista, visto che è
il mio personaggio preferito, e spero davvero che possa piacerti. ^^
Akachi: il primo capitolo serviva un po' da "introduzione", adesso si
entra nel vivo della storia (che non sarà molto lunga,
comunque). Sono contenta che il capitolo precedente ti sia piaciuto, e
spero che l'entrata in scena di Winry non sia stata da meno!
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Capitolo 4 *** L'anima riflessa ***
4- L'anima riflessa
L'anima riflessa
- Allora, Noa, quand'è che ti decidi a derubarmi? Così
posso chiudere questa bettola e ce ne andiamo tutti a casa –
proruppe l'uomo al bancone, osservando la ragazza che si dava da fare
nel preparare dei caffè.
- Veramente sarebbe questa la mia casa – ribatté lei senza
nemmeno alzare la testa, abituata com'era a quella specie di
siparietto comico tra lei e il suo capo, che si ripeteva
immancabilmente ogni settimana.
- Ma che dici? Non sei una zingara? La tua casa dovrebbe essere la
strada! Lo dicono tutte le poesie - esclamò l'uomo che, pur con
le sue mani grandi come palanche, riusciva a sorseggiare delicatamente
il tè.
- In un certo senso questo posto lo è – disse Noa, mentre
sistemava cucchiaini e bustine di zucchero, andando a tagliare una
fetta di torta con l'altra mano – Tutti vanno e vengono, nessuno
si ferma per molto tempo, già pensando a dove dovrà
andare dopo. Non è la strada, questa? -.
- Ragazza mia, dovresti metterti a scriverle tu, le poesie. E dov'è che andresti, adesso? -.
- A servire questi caffè -.
- D'accordo, ma non scordare di imbrogliare sul resto – le ricordò.
- Sì, signor Armstrong – rise lei, dirigendosi verso i tavoli con il vassoio carico tra le mani.
Quando tornò al bancone alzò per un momento lo sguardo,
giusto in tempo per vedere quel ragazzo americano di origini francesi-
o per meglio dire, Al, come aveva ormai iniziato a chiamarlo- prendere posto al solito tavolino e farle un cenno con la mano.
Lei ricambiò il saluto, cosa che non sfuggì all'uomo seduto lì accanto.
- Ohibò, Noa, ti sei finalmente trovata un innamorato? È
un bravo ragazzo, almeno? - chiese interessato – Se invece
è uno che ti dà fastidio, ci penso io a spaventarlo per
bene -.
Accompagnò l'ultima frase con un sonoro scrocchiare delle nocche, che fece ammutolire le persone più vicine.
- Signor Armstrong, se fa così farà scappare tutti i clienti – lo ammonì lei.
- Perfetto, così chiudiamo e la gente saprà che è tutta colpa tua -.
Noa scosse la testa sorridendo, mentre andava a prendere l'ordinazione di Al.
L'uomo li osservò attraverso la finestra: si vedeva che avevano
ormai una certa confidenza, e dire che di solito Noa era molto
riservata con chiunque. Quel ragazzo doveva avere qualcosa di speciale.
Quando rientrò le chiese:
- Su, ormai ti conosco bene, quindi non raccontarmi frottole.
Com'è che con quel ragazzo non sei diffidente come al solito? -.
- È che... fin dall'inizio mi ha dato una strana sensazione
– rispose lei, pensierosa – È come se stesse
cercando qualcosa, ma fosse già rassegnato a non trovarla -.
- Davvero? Beh, se ti ha colpito così tanto dev'essere un tipo
interessante. Dovrò andare a farci due chiacchiere, prima che se
ne vada -.
- Non c'è fretta, può farlo anche più tardi. Rimarrà comunque fino all'ora di chiusura -.
Armstrong le lanciò uno sguardo così sorpreso che Noa si ritrovò, suo malgrado, ad arrossire.
- E cos'è che fate, voi due, all'ora di chiusura? Mi devo preoccupare? - domandò, sgranando gli occhi sopra i baffoni biondi.
- No, no – si affrettò a rispondere lei – È
solo che è sempre molto occupato con i suoi libri, e non si
accorge che si fa tardi -.
- Mmm... devo crederti? - fece Armstrong ridacchiando, per poi alzarsi
e dirigersi verso l'esterno – Beh, vado a parlarci, chissà
che non lo convinca a sposarti. Portami un'altra tazza di tè,
per favore -.
Noa sorrise, mentre lo guardava presentarsi educatamente e prendere
posto con la sua enorme stazza davanti ad un Al piuttosto sorpreso,
occupando quasi tutto il tavolino.
Formavano una strana accoppiata, eppure era certa che si sarebbero
intesi. Mentre si occupava degli altri clienti, di tanto in tanto
lanciava loro un'occhiata e le sembrava che andassero d'accordo. Alla
fine, verso il tramonto, vide Armstrong accomiatarsi dal giovane e fare
un cenno di saluto a lei, gridandole:
- Ci vediamo, Noa! Vado a trovare mia sorella! -.
La ragazza annuì, e non appena ebbe un attimo di pausa si diresse verso Al.
- Che te ne è parso? - gli chiese, togliendo le tazze sporche.
- Non ho mai visto un tipo del genere: a prima vista sembra un pugile
professionista, invece poi è gentilissimo – rispose lui,
ancora piuttosto incredulo.
- È il padrone del caffè – gli spiegò lei – Anche se immagino che si sia presentato -.
Al annuì.
- Ma spiegami una cosa – disse dubbioso – Perché mi
ha chiesto se mi hai imbrogliato sul resto? Non mi sembrava tanto
serio... -.
- È una vecchia storia – rise lei – Quando mi ha
assunto per gestire il caffè, tutti gli dicevano che era un
folle a dare un lavoro simile ad una zingara, che l'avrei sicuramente
derubato. Da allora, ogni volta che viene qui mi chiede se mi sono
decisa a farlo, così può chiudere questa "bettola" -.
Si guardò intorno, abbracciando con lo sguardo i tavolini di
metallo verniciati di bianco e il porticato dai colori autunnali.
- In realtà è tutto uno scherzo: adora questo posto, non lo venderebbe per nulla al mondo -.
- Sì, è davvero molto bello -.
- E a te come va, invece? - gli chiese – Sei finalmente giunto a vedere la "Porta dell'Inferno"? -.
- Sì... - rispose laconico Al, sorridendo amaramente.
- Qualcosa non va? -.
- Non è niente, solo che... sono successe delle cose che non mi
aspettavo. E adesso è come se mi trovassi di fronte a un enigma:
so di avere tutti gli elementi
per risolverlo, ma... ma non ci riesco. Non ci capisco niente, eppure
ho sempre l'impressione di star sfiorando la soluzione con la punta
delle dita -.
Noa lo osservò per un momento. Al si rendeva conto che, in
quelle settimane, le aveva detto più di una volta cose
apparentemente assurde senza mai spiegarle nulla, eppure lei non aveva
mai battuto ciglio. E alla fine, anche quella volta gli disse:
- Allora sono sicura che prima o poi si farà prendere -.
La sera dopo si trovava nella sua stanza, all'ostello, sentendosi come se non avesse concluso nulla.
Quel giorno Winry era al lavoro, e lui aveva trascorso la mattinata
rileggendo decine di volte i quaderni di Ed, alla ricerca di
un'illuminazione, confrontandoli con le immagini del libro d'arte. Ma
non aveva risolto nulla e quel pomeriggio, stanco e frustrato, era
andato a fare una passeggiata per i viali ventosi di Parigi.
Era tornato verso il tramonto, aprendo la finestra per arieggiare la
stanza, e ora stava dando una sistemata ai fogli sparsi dappertutto.
Ad un certo punto un bagliore improvviso gli ferì gli occhi, e fu allora che se ne accorse.
Il vetro della finestra, all'angolatura in cui era, veniva preso in
pieno dalla luce arancione del sole calante, rimandandola direttamente
sulla superficie dello specchio sopra il lavandino.
E quella luce morente, specchiandosi, nel riverbero appariva aumentata
di dieci, cento volte, tanto che l'aveva accecato per qualche istante.
Rimase immobile per vari minuti, gli occhi puntati verso lo specchio
finché, calando, il sole scomparve e il suo riflesso con lui.
Fino a quando scese il buio e anche lo specchio non rifletté
altro che l'oscurità.
Al lasciò perdere quello che stava facendo, prese la giacca e uscì.
Quando Noa se lo trovò davanti, capì subito che era successo qualcosa.
- La soluzione si è fatta prendere? - gli chiese.
- Io... non so... forse – ansimò Al, ancora col fiatone.
Aveva camminato il più velocemente possibile, controvento,
rimuginando lungo il tragitto sul fatto che l'intuizione di cui aveva
bisogno stava tutta lì – Gli specchi... gli specchi possono riflettere l'anima? -.
Quella sera c'erano pochissimi clienti, perciò Noa lo fece
entrare e sedere al bancone. Era la prima volta che si trovava
all'interno del caffè: di solito rimaneva fuori, sotto il
pergolato.
Gli mise davanti una tazza di té, mentre lui se ne stava in
silenzio, ancora perso nei propri pensieri.
- Sai, mia nonna era rumena – disse Noa, tirando fuori dei
bicchieri dalla lavastoviglie e iniziando ad asciugarli – Da
piccola mi raccontava moltissime storie sui non-morti, quelli che i
gagi chiamano "vampiri", tanto che andavo a letto terrorizzata quasi
ogni sera -.
Al alzò la testa, ascoltandola attentamente.
- Ricordo che una di quelle storie parlava di una ragazza, bellissima
da viva, che aveva trascorso la sua eternità da vampira cercando
inutilmente di rivedere il proprio viso. Non era mai più
riuscita a specchiarsi perché i non-morti, non possedendo
più un'anima, non possono più vedere il proprio riflesso
in uno specchio -.
- Quindi in quel caso si trattava di qualcosa che, pur vedendosi a
occhio nudo, non si poteva vedere riflesso – ragionò Al
– E se... fosse vero anche il contrario? Se qualcosa che a occhio
nudo risulta invisibile si potesse vedere soltanto attraverso uno
specchio? -.
- Potrebbe essere – convenne Noa.
Fu solo in quel momento che, notando la calma della ragazza, si rese conto di esserci arrivato. Alla soluzione.
Sorrise e si decise finalmente a bere il primo sorso di tè.
- Squisito – disse infine.
La mattina dopo, alle sette in punto, Al si presentò a casa di Winry.
- Forse so perché a Ed serviva uno specchio – annunciò.
- Dici davvero? -.
- Ho bisogno di un favore – continuò – Questa sera,
dopo la chiusura, credi che potresti farmi entrare nel museo? E... uno
specchio servirebbe anche a me -.
Winry sorrise.
- Di questo passo in casa non me ne rimarrà nemmeno uno -.
- Se ti scoprono rischi dei guai? - chiese Al mentre uscivano dal museo
e si dirigevano verso il giardino dove, oltre alle varie sculture, si
trovava anche la Porta.
- Il licenziamento, ad essere precisi. Ma non preoccuparti –
Winry rassicurò in fretta l'amico, vedendo che aveva assunto
un'espressione preoccupata – Havoc, il custode che è di
turno stanotte, mi deve un favore, quindi non dirà niente a
nessuno -.
- Un favore? -.
- Sì, una volta mi sono un po' attardata perché avevo
dimenticato le chiavi di casa nella sala del personale, e tornando
indietro l'ho beccato con una ragazza – abbassò la voce,
sporgendosi a bisbigliare all'orecchio di Al – Lei si occupa
della biblioteca del museo, si chiama Sheska. A quanto pare ogni tanto
si ferma qui per tutta la notte -.
Al era allibito, ma Winry ci pensò un po' su e commentò:
- Sai, sono una bella coppia -.
- Non ne dubito... - commentò esterrefatto, poi si zittirono entrambi.
Eccola lì. La Porta.
La luce bassa del crepuscolo cominciava ad allungare le ombre, e tutte
le figure dei dannati che parevano uscire dall'opera sembravano quasi
vive.
- Bene – disse Al, togliendo da sotto il braccio l'involto con lo
specchio e liberandolo dal panno – È ora di vedere se
questa cosa ha un'anima -.
Alzò lo specchio davanti a sé, rivolgendone la superficie
verso la "Porta dell'Inferno". A lui appariva soltanto il retro, ma
Winry si sporse a vedere e, quando la sentì trattenere il
respiro, seppe di avere ragione. Aveva risolto l'enigma di Ed: non era
da meno di suo fratello.
- Oh... mio... Dio... -.
- Cosa vedi? -.
- È... aperta -.
La ragazza non sembrava in grado di aggiungere nient'altro,
perciò le chiese: - Puoi reggerlo tu un momento? - e si
scambiarono di posto.
Quando guardò, gli sembrò quasi di veder prendere forma i
tratti incerti di un sogno, perché era il mondo che da piccolo
aveva sempre e soltanto immaginato in base ai racconti di Ed.
La Porta- o meglio, il portale,
come lo chiamava suo fratello- era aperta, e mostrava una casa su una
collina con un grande albero accanto. Poi, quando la luce del
crepuscolo si abbassò ulteriormente, lo scenario cambiò e
apparve una città dalle strade lastricate e un grande edificio
che sembrava una base militare. (¹)
Non si vedeva nessuno, ma Al sapeva fin troppo bene che tipo di
personaggi popolassero quei luoghi. Non ne conosceva le fattezze-
eccezion fatta per una di loro- ma ricordava bene tutto ciò che avevano fatto.
Ed era sufficiente.
- Credo che basti così – disse, prendendo lo specchio
dalle mani di Winry – Direi che abbiamo capito perché Ed
ti abbia rubato uno specchio -.
Ma Winry non lo stava ascoltando, lo sguardo rivolto alla Porta, che nella realtà risultava chiusa e immobile.
- Pensi che... che l'abbia attraversata? - chiese in un sussurro.
Al rimise il panno intorno allo specchio, in silenzio.
- Non lo so – ammise alla fine.
Il sole era ormai tramontato del tutto e, anche se a ovest il cielo era
ancora leggermente arrossato, le ombre si erano ormai impadronite del
giardino del museo.
Si allontanarono quindi dalla Porta, dirigendosi verso l'uscita senza dire una parola.
Quando venne il momento di separarsi, Winry disse:
- In ogni caso, se si mette con la me dell'altra parte e poi prova a tornare qui, lo pesto di brutto -.
Al rise, certo che quello fosse un deterrente non da poco.
Osservò le stelle di quella notte limpida, preannunciata dal
rosso della sera, chiedendosi se la volta celeste del mondo dall'altra
parte fosse speculare a quella che vedevano lì.
Se Ed era andato di là, di sicuro stava già studiando la posizione di quelle stelle. E non solo.
(¹) Spero sia chiaro che si tratta della casa di Ed e Al e di Central City
L'altro elemento che dovevo inserire nella storia era il crepuscolo, con tempo sereno.
L'informazione che dice che gli specchi non possono riflettere coloro che non hanno un'anima l'ho trovata su Wikipedia.
saky 94: già, dov'è Ed? Bel mistero.
Spero che questo capitolo- il fulcro della storia- ti sia piaciuto. ^^
Vegeta4ever: sono davvero contenta che la storia ti intrighi, perché in effetti sì, c'era "qualcos'altro". ^^
preffy:
il tuo commento mi ha davvero lusingata, lo sai? Perché in
effetti mi sono informata parecchio sulle opere prima di scrivere
questa storia, e il fatto che sia apprezzata da qualcuno che studia
Storia dell'Arte non può che farmi piacere. Solo di una cosa non
sono sicura: non sono del tutto convinta che al Museo Rodin ci sia
effettivamente una riproduzione della Porta, perché in rete ho
trovato informazioni contrastanti... quindi, in caso di errore,
perdonami e prendilo come una licenza poetica! ^^
Comunque mi ha stupito molto- me per
prima- trovare tutte queste corrispondenze tra le opere di Rodin e la
storia di FMA... a guardar bene, non sembra un caso. Chissà!
Onyria:
in effetti in questa storia ho preferito concentrarmi più sulla
trama e sui dialoghi tra i personaggi che sulle descrizioni, a parte
quelle più "importanti" del caffé e delle opere d'arte. A
dire il vero i vestiti non li descrivo mai- tranne in occasioni
"necessarie"- e non ho reputato così importante descrivere il
luogo in cui sono seduti Al e Winry, visto che quello che mi
interessava era il dialogo fra loro. Comunque ti ringrazio per
l'osservazione, le critiche fondate fanno sempre riflettere. ^^
Spero che la storia continui a piacerti, il prossimo sarà l'ultimo capitolo.
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Capitolo 5 *** Foglie bruciate ***
5- Foglie bruciate
Nello scrivere questo capitolo ho ascoltato in modo quasi ossessivo il “Requiem” del film “Il conquistatore di Shamballa”, ossia la canzone finale. La trovo splendida.
Foglie bruciate
Rilesse quella frase forse per la milionesima volta, chiedendosi se
sarebbe mai riuscito a capirla davvero. O perlomeno a comprendere il
significato che Ed aveva voluto darle.
"Il tempo è lo specchio dell'eternità."
Ogni volta che la rileggeva, quella sensazione si faceva sempre
più vivida, quasi tangibile: non avrebbe mai più rivisto
suo fratello.
Che avesse attraversato davvero la Porta, che se ne fosse in
realtà andato in chissà quale Paese del mondo, non
sarebbe più tornato. Nei suoi ricordi Ed avrebbe sempre avuto
diciannove anni: forse era questa l'eternità che intendeva.
O magari si riferiva al mondo al di là dello specchio:
chissà se, in quanto realtà speculare a quella
conosciuta, il tempo vi scorreva allo stesso modo? O se si trattava di
un mondo eterno che lo specchio avrebbe continuato a mostrare, sempre
uguale e identico a se stesso?
In fondo, se anche il tempo era lo specchio dell'eternità,
ciò che rifletteva doveva comunque essere l'eternità
stessa. Oppure no? Forse che, essendone solo il riflesso- un'immagine- non si potesse avvicinare neanche lontanamente a quella che era realmente l'eternità?
In un certo senso, quella frase contrastava nettamente col tono usuale
dei diari. Era pacata, parlava di tempo ed eternità, come se Ed
avesse voluto fargli sapere che aveva in qualche modo trovato la pace.
O che sapeva dove trovarla.
Al si alzò dal letto, si lavò la faccia al lavandino e
cercò di raccogliere i capelli in una coda decente. Doveva
sbrigarsi, o avrebbe fatto tardi.
Noa aveva ammucchiato tutte le foglie secche sul retro del
caffè, dopo aver trascorso il pomeriggio del giorno di chiusura
a raccoglierle dal pavimento del pergolato. C'era un pezzo di terra
battuta, perfetto per bruciarle in tutta sicurezza, che aveva
circondato con delle pietre.
- Caspita, non sapevo esistesse un posto del genere! È davvero
bello, fa tanto “Parigi”! - commentò una ragazza
bionda coi capelli raccolti in una coda alta, entrando nel locale senza
far caso al cartello “Fermé”. (¹)
- Tu devi essere Winry – disse Noa, ancora al lavoro col rastrello.
- Esatto – annuì l'altra, tendendole una mano – Noa, giusto? -.
- Già -.
- Piacere di conoscerti. Al non è ancora arrivato? -.
- No, ma accomodati pure finché finisco qui -.
Winry si sistemò su una delle sedie in ferro verniciate di
bianco, godendosi l'atmosfera del luogo. Tirò fuori dalla
borsetta il quaderno, l'ultimo della lunga serie scritta da Ed, e lo
sfogliò per l'ennesima volta.
Si soffermò su una pagina in particolare, dove era presente uno
schizzo fatto malissimo, ma che lei non si stancava mai di riguardare.
«“Il Bacio”:
un uomo e una donna ritratti mentre si baciano, successivamente usati
come modello per gli amanti Paolo e Francesca, riportati sulla
Porta.»
Oh, conosceva bene quell'opera, e sapeva tutto ciò che era stato
detto al riguardo. Rodin stesso la definiva una scultura troppo
canonica, mentre i critici sottolineavano la contrapposizione tra gli
atteggiamenti dei due amanti: lei persa nell'estasi di quel bacio,
mentre lui sembrava più serio, distaccato, quasi pronto ad
alzarsi.
Ecco, anche quella relazione durata appena due mesi era stata
così: malgrado cercasse di non darlo a vedere, lei si era
sentita sempre più coinvolta, mentre Ed non ci aveva pensato due
volte ad andarsene, sparendo nel nulla. Finendo forse in un'altra
dimensione da cui non avrebbe più fatto ritorno.
- “In amor vince chi fugge”, non è questo che
dicono? - chiese Noa, i lunghi capelli scuri mossi appena dal vento
autunnale.
- Già... - mormorò Winry.
- E, se non sbaglio, è anche un'opera di Rodin – aggiunse.
“Fugit amor”.
Due corpi allacciati l'uno all'altro- un uomo e una donna- ma
trascinati via da invisibili correnti opposte. Una metafora lampante.
Il tardo pomeriggio stava ormai per volgere in sera, quando arrivò Al.
- Scusate – disse – Sono in ritardo? -.
- In realtà non ci eravamo accordati su un orario, quindi non puoi essere in ritardo – lo rassicurò Noa.
- Anzi, ti devo ringraziare per avermi fatto scoprire questo posto
magnifico – esclamò Winry – Credo che d'ora in poi
ne diventerò una cliente fissa -.
- Mi farebbe davvero piacere – disse Noa.
Al aprì lo zaino che aveva portato con sé, tirandone
fuori i quaderni. Winry lo imitò, porgendogli quello che aveva
lei.
- Non sei obbligata a farlo – disse Al, incerto – Sicura di non volerlo tenere? -.
Lei annuì.
- Sì. Nessun rimpianto, giusto? -.
Sistemarono i quaderni sul cumulo di foglie, poi Noa accese un fiammifero e diede fuoco al mucchio.
Osservarono i fogli accartocciarsi su se stessi e crepitare mentre
bruciavano, la grafite delle fitte righe scritte a matita unirsi al
fumo che si levava.
Il sole non si vedeva già più, in procinto di tramontare
dietro le case. Sopra di loro aveva iniziato ad alzarsi il vento, un
vento che in alta quota doveva spazzar via qualunque nuvola e
assicurare un crepuscolo sereno anche quella sera.
Quando non rimasero che cenere e poche braci, Winry si rivolse ad Al:
- Beh, è stato un piacere. Sono contenta di averti incontrato; mi piacerebbe che rimanessimo amici -.
- Piacerebbe anche a me – assentì lui.
- Solo vedi di non sparire anche tu – lo ammonì seria, guardandolo dritto negli occhi.
- Tranquilla, non c'è alcun pericolo – la rassicurò Al, sorridendo.
- In ogni caso, ricordati che saprei dove sei andato -.
Detto questo, salutò anche Noa e se ne andò. La sua
uscita di scena diede ad Al una strana sensazione, lasciandogli quasi
l'amaro in bocca: non avrebbe mai creduto di riuscire a stringere
un'amicizia del genere in pochi giorni. Sapere che difficilmente
l'avrebbe rivista gli faceva sentire dentro qualcosa di molto simile
alla nostalgia di casa.
- A volte capita – disse Noa, guardandolo – In fondo sono le persone che contano, non il tempo -.
Già. Il tempo. Lo specchio dell'eternità.
- Mi piacerebbe sapere che cosa ne pensi di una certa frase – fece Al, rivolgendosi a lei.
- Adesso? -.
- Anche più tardi -.
- Magari a cena – commentò la ragazza.
- Non sarebbe una cattiva idea -.
- Non pensi che sia un po' troppo vecchia per te? - gli chiese, ancora appoggiata al rastrello.
- Beh, tanto per citare un famoso pensatore, “sono le persone che contano, non il tempo” -.
- Già – fece Noa sorridendo – Comunque, tanto perché tu lo sappia, ho venticinque anni -.
- Io ventidue. Non mi sembra un scarto così terribile -.
- No, in fondo non lo è – convenne lei – E poi ci
vorrà qualcuno che ti mostri un po' Parigi: non credo che tu
l'abbia esplorata molto finora -.
- Ho visitato un museo – e visto una Porta che dà su un altro mondo.
- Sì, questo lo so. Ma limitare la Ville Lumière a un museo è un po' riduttivo – ponderò Noa.
- Forse sì – ammise Al.
La ragazza lo osservò per qualche istante, poi aggiunse:
- In realtà vorrei chiederti se hai intenzione di sparire anche
tu, come diceva Winry, ma mi sembri molto diverso da tuo fratello -.
Al stava per ribattere qualcosa, quando realizzò che cosa
significavano quelle parole. Quindi domandò, esterrefatto:
- Tu hai... conosciuto Ed? -.
- Diciamo che non sei stato l'unico ad aver scelto questo locale per il nome che porta -.
Passò qualche istante, durante i quali una folata di vento si
insinuò nel cortile e smosse leggermente il cumulo di cenere.
E alla fine, Al si ritrovò a sorridere. Perché era come
se avesse seguito un cammino già tracciato, in ogni sua
impronta, calpestandone ogni singola orma senza rendersene conto. Erano
passati quattro anni, ma era come se il tempo trascorso non avesse
avuto alcuna ripercussione. Effimero, istantaneo quanto un riflesso.
Quasi si fosse trattato davvero di un vezzo dell'eternità, in
vena di specchiarsi.
Sembrava incredibile a dirsi, ma quando era con quella ragazza gli
sembrava di capire sempre qualcosa di più, qualunque fosse la
questione che lo stava assillando.
Chissà se aveva aiutato anche Ed.
… sì, era proprio il caso che cenassero insieme. Ne aveva, di domande da farle.
(¹) “Chiuso”
Nel film, non so perché, mi
sono ritrovata a fare il tifo per la coppia Noa/Alfons Heiderich. Poi
lui è morto. Quindi mi sono rifatta qui. ^^
Spero che questa storia sia piaciuta
anche a chi ha solamente letto. Se voleste lasciarmi una recensione
alla fine, per dirmi cosa ne pensate, mi farebbe davvero piacere.
La frase dell'inizio era quella che avevo scelto nel contest, e su cui ho sviluppato la storia.
Vegeta4ever:
mi spiace non dare la risposta definitiva su dove sia finito Ed, ma fin
dall'inizio mi piaceva l'idea del “finale aperto”. Anche le
immagini che Ed vedeva nello specchio, non è detto che fossero
parallele al tempo che scorreva nel suo mondo: se ben ricordi, in
“Fma” alla fine Ed si trova nel nostro mondo nel primo
dopoguerra... si ricollega un po' alla frase che dovevo usare nel
contest. Spero che la storia ti sia comunque piaciuta. ^^
Akachi:
la faccenda del “come” ho preferito lasciarla indefinita,
come hai visto. Ma, se c'era un modo per passare nel mondo al di
là dello specchio, sta' certa che Ed l'ha trovato. ^^
Io sono curiosa di sapere la tua teoria al riguardo, invece.
Sono contenta che tu abbia apprezzato
una storia con Winry e Al protagonisti, anche perché
quest'ultimo è il mio preferito... e con questa storia ho
perorato la mia causa. ù_ù
Onyria: il tuo brivido mi ha fatto immensamente piacere! E se apprezza anche il tuo ragazzo, ne sarò contenta. ^^
preffy:
guarda, ti direi “vengo anch'io”, ma Parigi è ancora
off-limits per me- purtroppo. Mi fa piacere sapere di non aver
sbagliato, e ancor di più che il capitolo ti sia piaciuto. Spero
che le aspettative non siano andate- troppo- deluse. Non voleva essere
chissà quale saga, in fondo è una semplice storia di
cinque capitoli. ^^
Spero che anche gli ultimi riferimenti alle opere ti siano piaciuti.
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