Pain and regret

di shining leviathan
(/viewuser.php?uid=88650)

Disclaimer: Questo testo proprietà del suo autore e degli aventi diritto. La stampa o il salvataggio del testo dà diritto ad un usufrutto personale a scopo di lettura ed esclude ogni forma di sfruttamento commerciale o altri usi improri.


Lista capitoli:
Capitolo 1: *** painfull past ***
Capitolo 2: *** memories of him ***
Capitolo 3: *** See the time going by ***
Capitolo 4: *** Decadence ***



Capitolo 1
*** painfull past ***


 

Dopo molto tempo, rieccomi! Per scrivere l’ultima storia della mia serie. Eh sì, questa è proprio la fine.

Soana non la farò perché non avevo idee, scusate. Questa storia non è all’altezza della altre, lo dico già, perché mi concentrerò su un ipotetico passato di Reis, una cosa senza pretese che mi è venuta dal cuore, Sinceramente.. A voi la lettura ora, grazie a chi mi ha seguito fino adesso! L’ho apprezzato veramente molto, grazie, grazie di tutto ^_^

Ah ecco, dividerò la storia in due capitoli: infanzia e maturità, non saranno bellissimi ma….. cercate di capirmi…. Comunque buona lettura.

 

 

 

 

Cento colpi di spazzola.

I miei capelli sembrano rilucere alla debole luce delle torce. Il color oro è più accecante  che mai nonostante siano settimane, forse mesi che non li lavo. Districo con forza una matassa di sudiciume sulle punte, stringendo i denti in una smorfia di dolore e rabbia, osservando i crini ingarbugliati finire sul pavimento lordo di sangue. Il mio sangue.

Un piccolo prezzo da pagare per il peccato di un’intera vita.

Provi a fermarmi, adesso.

 

 

Ricordare con precisione il momento ,per me, è sempre stato difficile.

Era una mattina d’estate inoltrata, il caldo ci aveva raggiunto anche alla residenza nella Terra dell’Acqua, ed io correvo per il giardino cintato a piedi nudi, per non dover sopportare la stretta terrificante di quelle scarpine dalla punta triangolare e dall’improbabile tacco.

A cinque anni volevo vivere come una qualsiasi bambina. Coi capelli sciolti nel vento profumato e l’erba ad accarezzarmi le piante dei piedi, incurante dei problemi del mondo finchè ne avevo la possibilità.

Allora avevo solo la preoccupazione di esistere e giocare con mio fratello maggiore, assillandolo con i miei continui capricci che lui, con buon cuore, esaudiva sempre.

Mio padre disapprovava che un ragazzo dell’età di Avel si dilettasse a giocare con sua sorella piuttosto che adempiere agli obblighi di camerata, quali allenarsi a tirar di spada e sopportare la vita rude da militare.

Lui non aveva la stoffa del guerriero , me ne accorgevo anch’io. Avel poteva essere di tutto tranne che un cavaliere.

Mi ricordo che aveva un viso gentile, dai tratti finemente cesellati, e due occhi grandi e placidi. Una persona che ispirava serenità, un rifugio sicuro dopo che le ramanzine di mio padre scuotevano nel profondo l’animo indomito con cui mi ritrovavo a convivere. Le sue carezze erano più dolci dell’aria che respiravo, forse l’unica cosa che mi sia rimasta di lui dopo tanti anni passati a contemplarne il viso nella mia mente. Disfatto dalla nebbia dell’oblio.

Nei miei ricordi corriamo insieme, nel prato punteggiato di giallo, coi piedi nudi e una risata spontanea a riempire l’aria, complici come si poteva essere solo tra fratelli.

Mi appesi al ramo di un albero vicino al porticato, lasciando il mio corpo a dondolare come un salame. Le braccia sottili erano tese nello sforzo, pallide come il resto dei miei arti, e i capelli dorati, sciolti dall’insopportabile crocchia, ricadevano come un manto sulle mie spalle ,odorosi di mughetto.

Le mie labbra si piegarono in un sorriso quando un filo di brezza me li fece danzare attorno al viso, eliminandomi la visuale quando una ciocca si posizionò fastidiosamente sui miei occhi. Sbuffai, avvertendo in un attimo la stanchezza accumulata nella mattinata, ed accolsi con piacere quella frescura che mi accarezzava la fronte umida.

Con i muscoli indolenziti mi lasciai cadere a terra, atterrando però col didietro nella polvere.

Imprecai, sovrastata dalle fragorose risa di Avel, e solo quando rialzai lo sguardo dalla scucitura della gonna mi accorsi che non eravamo soli.

Gli occhi chiari di mia madre ci fissavano gelidi, accusandoci di qualche eresia celata dalle lunghe ciglia scure. Mi irrigidii.

Ero sporca, in disordine, e con un fratello che sembrava  aver perso il dono della parola vedendo la piccola donna poggiata a braccia conserte sul transetto del passaggio.

Per attimi che ci sembrarono interminabili, squadrò i nostri vestiti, i capelli, oscurandosi disgustata per le pietose condizioni in cui ci eravamo ridotti.

“ Reis” il mio nome sulle sue labbra suonò terribile, pieno di un’ira che lo faceva somigliare ad un’imprecazione inaccettabile. Io mi alzai, abbassando umilmente gli occhi  sui piedi, accorgendomi solo in quel momento che le scarpe si trovavano in mano a mia madre, che le sventolava come un ripugnante trofeo.

“ Vieni qui immediatamente. E tu, Avel, corri subito da tuo padre. Ti sta cercando”

Avvertì il silenzioso assenso di mio fratello, che mi passò accanto toccandomi un spalla. Ruotai un poco gli occhi per notare il sorriso mesto che mi dedicava, e risposi con un sospiro.

Fu l’ultima volta che lo vidi. Sparì dentro casa per non uscirci mai più. L’ombra della stanza che affacciava sul giardino non me lo avrebbe mai più restituito.

Così credevo nella mia mentalità infantile, ma solo anni più tardi venni a sapere che il suo drago l’aveva incenerito con una fiammata.

Lo piansi sempre nel segreto del mio cuore.

“ Reis” ripetè mia madre impaziente, così mi affrettai ad afferrare le mano che mi porgeva per seguirla nella sua stanza.

 

 

Mia madre dormiva in una stanza separata da quella di mio padre, circondata da mobili talmente pesanti che sarebbe stato impossibile spostarli anche solo per dare una spolverata. Innumerevoli boccette colorate se ne stavano sui ripiani delle mensole, ingombrando anche il ripiano in madre perla della specchiera. Quello era il regno incontrastato di mia madre, avvolta nella presunzione che quei prodotti potessero donarle la bellezza diafana delle ninfe, sopprimendo la sua naturale “gnomezza” come la chiamava  lei.

Odiava ciò che era. Non potersi confrontare con altri umani alla pari, ma sempre dal basso all’alto,  la umiliava nel profondo.

L’ altezza non era stata mai un problema per me. Ero fiera di essere quello che ero.

Ma ciò che disse mia madre quel giorno mi cambiò nel profondo . Forse non era niente di eclatante o particolarmente sconvolgente, ma nella mia mentalità puerile lo presi come un ordine. Un ordine che avrebbe determinato il mio destino futuro.

Si avvicinò a me, dopo un silenzio che parve durare un eternità, e mi prese per un braccio stringendolo fino a farmi male. Gemetti, con gli occhi pieni di lacrime, e cercai di divincolarmi  dalla morsa ferrea ,ma lei non mi lasciò scampo.

Mi trascinò verso lo specchio intarsiato di madreperla e ,nonostante scalciassi come un’ossessa,  mi sollevò con forza incredibile e mi depose sullo sgabello. Ebbi solo il tempo di vedere il volto angosciato e pallido del riflesso prima che me  lo coprisse con una pezza umida dall’odore ributtante. Sfregò la pelle con violenza, facendomela bruciare come un carbone ardente, e la puzza insopportabile mi salì su per le narici, soffocando i miei singhiozzi con il suo effluvio nauseabondo.

“ Devi  imparare, Reis” ringhiò passandomi il panno sulla fronte “ Che la bellezza che ti è stata data non devi sprecarla!Sei una sciocca, una sciocca bambina!!”

Singhiozzai, non più per fastidio, ma per le parole dure che mi stava rivolgendo. Come poteva dirmi queste cose?

“ Basta…” mormorai con voce rotta e allungai la mano per bloccare la sua, ma lei me la schiaffeggiò, continuando la sua opera di pulizia, inondandomi di severe nozioni.

“ Una gnoma se non ha la bellezza è perduta! Chi vuoi che ti sposi, piccola e brutta, eh? Rispondimi!”

La prima volta che aprii bocca, sentii sulla lingua il sapore amaro della stoffa, ma cercai ugualmente di difendermi, cercando di divincolarmi.

“ Avel mi sposerà, ha detto che lo farà!!”

Mia madre emise una risata secca, togliendomi finalmente la pezza dalla faccia.

“ Non ci si sposa più tra fratelli, allora come farai? Rimarrai zitella?”

Scossi la testa, pigiandomi le mani contro le orecchie.  Non volevo ascoltarla, volevo solo andarmene.

Cosa poteva interessarmi la bellezza? Io era troppo piccola per capire queste cose, non volevo nemmeno ascoltarla mentre parlava dei suoi amanti con me, come se fossi la sua confidente preferita, come potevo capire?

A cinque anni non sapevo com’era fatto un uomo, ne mi importava. Ero ad un’età in cui i maschi sono solo compagni di giochi, non mariti, amanti e fidanzati.

Cosa voleva da me?

Dopo questa tortura mi circondò con le sue braccia pallide, profumate. I capelli neri mi solleticarono il viso, bagnato da lacrime di umiliazione e schifo.

Mi baciò la guancia, delicatamente, e mi accarezzò i capelli con il poco spirito materno che le rimaneva.

“ Reis” disse dopo un po’. Il suo alito dolce si insinuò nelle mie orecchie, melenso e spesso come nebbia “ Io voglio solo che tu sia felice”

Tremai.

“ Io sono felice”

“ Lo so amore, ma presto non sarà più così. Crescerai e allora la vita ti parrà sempre meno bella. Lo dico per esperienza personale ,Reis. Anch’io avrei voluto correre e giocare come te in eterno, ma ho dovuto sposarmi e sopravvivere in un mondo non mio. Piccola, essere diversi ha sempre il suo prezzo.

La tua bellezza può salvarti, sarà un ottimo affare per chi sarà degno di te”

Nella visione contorta della realtà, mia madre ha sempre cercato di preservarmi da un destino simile al suo.

Ad anni di distanza posso affermarlo con sicurezza. Anche se non ha scelto il modo più giusto per sostenermi.

Dopo quella conversazione la Reis bambina non esisteva più. Era diventata donna all’improvviso, maestra delle arti amatorie apprese dai racconti di mia madre. Una gnoma che fece della bellezza il suo punto di forza e la sua maledizione.

Colei che anni più tardi si sarebbe concessa all’unico uomo che non avrebbe mai dovuto amare.

Aster.

Cento colpi di spazzola, un nodo. Un urlo.

La bella è diventata bestia.

 

 

 

 

 

 

Oddio che schifo ed è pure corto…

Ritorna all'indice


Capitolo 2
*** memories of him ***


 

Da allora la mia vita cambiò drasticamente…..

 

 

 

Mi pettinai i capelli, con gesti pigri e lenti, soffermandomi ad ammirare la sfumatura aranciata che la luce del sole risaltava entrando dalla finestra aperta sul giardino. Il vento gonfiava le tendine di garza, come ali immateriali, travolgendo ogni cosa, facendo tintinnare gli amuleti appesi al baldacchino del letto. Rinfrescando il fuoco che avevo dentro.

I miei stessi occhi  mi fissavano con smarrimento sulla superficie traslucida dello specchio, chiedendo conferma di un piacere che incendiava la pelle, ancora fremente nei punti in cui dita maschili mi avevano toccato.

Quella volta ero proprio andata troppo in la.

Da quando mia madre, pace all’anima sua, era tornata nei cieli io non avevo fatto altro che prendere il suo posto ,emulandola in tutto ciò che lei mi aveva raccontato. Per anni ero stata un’attenta osservatrice della vita a corte, seguivo con lo sguardo ogni potenziale peccatore, scoprendo per la prima volta i segreti che si celavano dietro una persona.

Adoravo spogliarli uno a uno delle loro difese, leggere fra le righe cose che non mi sarei mai immaginata. Godere del peso stupidamente vanificato di un segreto.

Ma da semplice spettatrice divenni protagonista, con risultati che alla luce del sole sarebbero diventati catastrofici per il buon nome della mia famiglia.

Dopo la morte di Avel, mio padre riversò su di me le sue frustrazioni, tanto che l’essere femmina e gnoma cominciò a pesarmi come un macigno. E allora, solo allora, capii cosa intendesse mia madre quando diceva che per la nostra razza non c’era posto fra gli uomini.

Divenne un’ossessione. Tutte le critiche che mi muoveva contro si infrangevano come un’onda su uno scoglio, incassate senza dire una parola. Nella stupida convinzione che fosse solo il frutto di un dolore che non potevo capire fino in fondo, lacerante nei suoi artigli di alabastro. Lo stesso albastro su cui avrei perso la verginità, con l’unico uomo che poteva capire cosa si celasse sotto la scorza dura e volitiva della me d’allora. Ma devo andare per ordine, non ho molto tempo e c’è ancora così tanto da raccontare.

Le avvelenate critiche di mio padre cominciarono a incrinare la barriera che mi ero costruita all’età di dodici anni. L’età giusta per cominciare a pensare seriamente ad un alleanza matrimoniale.

Una figlia che non aveva nessuna utilità poteva risultare ottima merce di scambio per qualche matrimonio con i nobili delle terre più ricche. E lui non perse tempo.

Cercò contatti con i più facoltosi partiti del tempo, grato di avere tanta scelta nelle sue mani. Pregustava già la meritata vittoria, e io mi deprimevo.

Piangevo per ore chiusa in camera mia, confortata solo dal suono di un clarinetto immaginario, strumento che era appartenuto a mio fratello e che nessuno aveva mai più suonato dalla sua scomparsa. Eppure io lo sentivo, sentivo le note vellutate fluttuare sopra la mia testa come variopinte farfalle. La carezza di quella nenia che sostituiva la mano affusolata di Avel è sempre rimasta lì, fino alla mia adolescenza. Come se non mi avesse mai abbandonato veramente, che fosse solo partito per tornare quando tutto questo sarebbe finito. E sarebbe finito in un modo alquanto doloroso, per me.

Mia madre delle volte bussava, altre entrava come un mare in tempesta e mi prendeva per le ascelle, stampandomi un bacio profumato sulle guancie rigate dal sale. Mi cullava per ore, finchè gli spasmi non scivolavano dal mio corpo in soffocati singhiozzi assorbiti dal suo florido petto.

In quelle occasioni mi insegnò a pettinarmi, fino a farmi rilucere i capelli. Legava i fiori alle ciocche dorate, intrecciandomele mentre intonava una canzone vecchia quanto gli gnomi stessi.

Confidò, mentre puliva le mie unghie nere, che prima di sposarsi era fiera delle proprie origini, innamorata delle tradizioni quanto di uno gnomo suo coetaneo.

“ Era bello” sussurrava evidentemente emozionata dal ricordo “ E molto gentile. Ci incontravamo spesso nel bosco vicino al villaggio, ma lui era un servo, io la figlia del nobile locale” sospirò, spenta all’improvviso dell’entusiasmo di poco prima “ Non poteva funzionare” concluse secca, piantandomi la spatolina nella pelle sotto la mezzaluna bianca.

Sapevo che dopo il suo sposalizio si era sentita rifiutata da tutti, incluso suo marito, e forse fu proprio per questo rifiuto che cominciò ad odiare se stessa quasi quanto odiava gli altri. Un circolo vizioso che inconsciamente comprendeva anche me.

Lei si rivedeva nella mia figura, rivedeva ciò che non sarebbe mai più stata, infanzia pianta nelle lunghe notti di veglia. E non esitava a rendermi la vita difficile con la stessa costanza con cui mi iniziava ai segreti del bello. Non sosteneva appieno le mie scelte, non mi cercava nemmeno per il più futile motivo di una carezza, gesto istintivo per qualsiasi madre ma non per lei. Ero una bambolina da tenere sotto chiave, mi ammirava solo quando era sicura di non avere altri pretesti se non quello di vezzeggiare se stessa.

Se vezzeggiava me era solo per ostacolare mio padre, allora a quel punto diventava una lotta aperta. Io ero solo il capo espiatorio per le loro dispute sommerse, coccolata solo per avere una consolazione alla fine. Alla fine era sempre lei a venire da me per aizzarmi contro mio padre, ma io non volevo essere una pedina, men che meno per i loro affari.

Ma grazie al fatto di essere la consolazione preferita di mia madre, ho imparato molto di ciò che averi fatto fruttare più tardi.

Crescendo divenni sempre più bella. Tanto che mio padre mi proibì di sposarmi in attesa di un nobile che avrebbe sborsato parecchio per la mia mano. Accettai con intima esultanza, mentre mia madre si spegneva in una delle stanze della residenza invernale.

Non la piansi. Ma la ricordai, e la ricordo ancora, con quell’aroma di vaniglia e fieno greco. Un ricordo sia amaro che dolce, che ancora permea nella mia mente stanca.

Ma il tempo vola, e io ricordo sempre meno ogni giorno che passa.

Un anno dopo, l’esultanza del mio nubilato forzato cominciò ad angosciarmi. Gli uomini, che prima pensavo fossero mucchi di carne, diventarono ai miei occhi  più interessanti. Desideravo avvicinarmi, più della censura di mio padre, forte di quella curiosità infantile nel chiedersi perché lui abbia questo e io no. La vergogna mi assaliva solo di notte, quando sognavo un incontro molto diverso da come era andata in realtà.

La mia prima cotta fu per un giovane scudiero, niente di che, eppure a ripensare a quelle mani dalle dita lunghe che accarezzavano il pelo raso dello stallone di mio padre non potevo fare a meno di immaginare la mia pelle al contatto con le falangi ruvide del giovane, desiderosa di dare e di ricevere. Mi svegliavo con la vestaglia fradicia di sudore, affannata come al termine di una corsa. Nulla di tutto ciò che bramavo raggiunse la realtà, anche perché le prime cotte sono sempre le più effimere.

Questa esperienza mi aiutò a maturare. In peggio, penso adesso con la lungimiranza della vecchiaia.

Iniziai a cercare la compagnia maschile. Prima nel palazzo, poi dagli sconosciuti di qualche terra lontana. Mutai in spregiudicata, perché se avevo imparato qualcosa era che l’uomo non apprezzava  la donna remissiva. Scambiai vaghe promesse d’amore con chi si mostrava poco sincero nel sorriso da lupo predatore, e lo abbandonavo con la stessa facilità con cui cambiavo l’abito. La fama della  donna bellissima e crudele si sparse per tutto il Mondo Emerso, rimanendo però sotto lo strato della servitù e  lontano delle orecchie di mio padre, famoso per le sue ire e vendette altrettanto terribili.

Gli sarebbe esploso il cuore dalla rabbia se avesse saputo che facevo entrare estranei in camera mia. Passavo la notte tra baci umidi, sentori afrodisiaci di quel sentimento che non era amore, ma una sorta di appagamento che riempiva le crepe affettive della mia vita.  Nonostante tutto non mi sono mai concessa a nessuno. Non mi sono spinta mai al di là di effusioni.

Sapevo che doveva essere una cosa speciale, con una persona speciale.

Tutti quelli che incontravo si mostravano rudi, interessati più alla collana di smeraldi che alla mia scollatura. Erano poveracci, ma anche alcuni facoltosi non si comportavano diversamente.

Con una scusa e una promessa che non avrei mai mantenuto li congedavo, per non ammetterli mai più nel mio spazio personale.

Provavo un piccolo piacere perverso nel sentirmi padrona dei loro sentimenti. Non esitavo a calpestarli. Come una vendetta lungamente attesa sia per me che per mia madre. Pensavo che nessun uomo sarebbe mai stato abbastanza, ma contro ogni probabilità uno di loro si inserì inevitabilmente nel mio cuore.

Anche se non era propriamente un uomo.

 

 

 

 

 

 

“ Madamigella Reis? Dobbiamo andare”

Quel giorno saremmo partiti per andare al palazzo della terra dell’Acqua, il luogo dove si sarebbe riunito l’ennesimo Consiglio. Mio padre era in contatti molto intimi col re e la graziosa consorte, una giovane ninfa che contro ogni convenzione aveva sposato un umano. Un gesto lodevole che avevo sempre ammirato senza, tuttavia, fare supposizioni in proposito. Mio padre era un mago di mondo, ma non tollerante, e certi argomenti, sapevo, dovevo tenerli per me.

Mi preparai, scegliendo il vestito da viaggio migliore e acconciandomi i capelli in una treccia spessa. Mi diressi verso la carrozza, schivando i domestici che uscivano di casa carichi di bagagli, gabbie, libri e mi accomodai sulla carrozza elegante schizzata di fango secco. Guardai a lungo l’erba della terra del Vento muoversi sinuosa finchè, vinta, mi addormentai all’ipnotico ritmo dei ciuffi smeraldini.

 

 

 

 

Arrivammo dopo due giorni, stanchi e affamati. Le prime guglie del palazzo svettavano tra le scroscianti  cascate, che rinfrescavano l’immensa cupola di vetro in un’eterna foschia.

Ricordo con precisione il caos di quella mattina. I servi che scaricavano i bauli, il fragore dell’acqua e i colpi di tosse di qualche mago anziano. Io stavo vicino a mio padre, annoiata più che intimorita, aspettando l’arrivo del suo paggio personale. Non tardò molto, scese le gradinate umide quasi di corsa, arrivando rumorosamente fino a noi, rischiando di rovesciare le gabbiette con i canarini mezzi morti dopo quel viaggio snervante.

“ Benvenuto a Laodamea, signore” aveva le guancie rosse, il fiato usciva dalla sua bocca in sonori sbuffi, ma mio padre era troppo impegnato a fissare qualcosa oltre le sue spalle per potersi accorgere del  suo goffo benvenuto.

“ Aras” disse freddo “ Sono già arrivati i rappresentanti delle Terre?”

“ Non tutti,signore. Il consigliere Doruk  è stato colpito da un ictus l’altro giorno, penso che abbiano mandato un sostituto.”

“ Lo vedo”

A quel punto anch’io dondolai sui talloni per vedere l’oggetto dell’interesse di mio padre. E ciò che vidi ,inizialmente, mi lasciò perplessa.

Un ragazzo che doveva avere più o meno la mia età affiancava un vecchio mago rugoso nel scendere le scale. Le ragnatele intorno agli occhi parevano accartocciarsi fra loro  quando apriva la bocca sdentata per parlare, un apoteosi rispetto al  giovane che sembrava fluttuare sugli scalini di marmo.

Il viso liscio e ovale ,incorniciato da una folta chioma blu, sembrava scolpito nel marmo, così trasparente da sembrare carta velina. Le vene azzurre intorno alle palpebre abbassate sembravano un rilievo plagiato dalla mano esperta dello scultore,  una bellezza così fragile da sembrare malata.

La veste che fasciava il suo corpo creava una netta contrapposizione tra la luce del suo viso e l’ambiente circostante. Come se avessero infilato ad un bambino l’abito di un ‘adulto.

“ E’ quello?” chiese mio padre indicandolo con un cenno della testa e Aras annuì, con un sorrisetto compiaciuto sulle labbra.

“ Sì è lui. Il suo nome è Aster, è un bastardo. Figlio di un uomo e di una mezzelfo, però le sue doti magiche sono di gran lunga superiori alla media, anche il consigliere Erdal  ha espresso un giudizio favorevole su di lui.”

Mio padre non sembrò affatto contento, potevo capirlo dal modo in cui corrugava le sopracciglia. Penso che gli sia mai andato giù il fatto di aver accolto un mezzelfo nel Consiglio, per di più così giovane. Dopotutto chi poteva assicurarsi che non fossero solo doti passeggere?

“ Può esprimere tutti i giudizi che vuole, ma sta al Consiglio decidere se è davvero dotato”

Distolsi lo sguardo dal giovane mezzelfo, accorgendomi che qualcuno mi fissava a sua volta.

Non era un mistero che Aras avesse un debole per me. Quella non era la prima volta che lo sorprendevo a fissarmi intensamente, ma differenza di altri io non gli avevo mai dato l’opportunità di avvicinarsi. C’era qualcosa nei suoi atteggiamenti che mi innervosiva parecchio. E godere nel portare cattive notizie era uno di quelli.

Le dedicai una breve occhiata prima di sollevare il mento sdegnosa.

“ La prima seduta è fissata per domani mattina” disse inacidendosi del mio ennesimo rifiuto e si congedò camminando all’indietro come un gambero, staccando gli occhi irati da me solo dopo qualche metro, quando sparì tra la folla.

Feci roteare le orbite, irritata, e mio padre si allontanò senza una parola lasciandomi sola nello spiazzo battuto dal sole. Uno spostamento d’aria leggero mi fece voltare, giusto in tempo per vedere il mezzelfo e il vecchio passare di fianco a me. Le palpebre del ragazzo erano ancora socchiuse, e sentivo la voce flebile e roca dell’altro passarmi nelle orecchie. Poi, come se mi avesse letto nel pensiero, aprì lentamente gli occhi, lasciando che i raggi dorati gli illuminassero due sfavillanti smeraldi, che si mossero un attimo per osservarmi. Ma fu un attimo appunto, tornò alla conversazione senza dedicarmene un secondo. Spiazzata, lo fissai andarsene verso i giardini, formulando mille domande senza perché. L’effetto che solitamente sortivo su tutti i giovani uomini su di lui parevano non avere conseguenze. Mi aveva dedicato la stessa sfuggente attenzione che si dedica ad un oggetto inanimato, comune.

Una rabbia strana mi invase il petto. Strinsi i pugni fino a piantarmi le unghie nella carne. Come aveva osato mettermi alla stregua di una semplice donna? Io non ero semplice, ero perfetta. E lui, mezzelfo bastardo, aveva avuto il coraggio di non notare la mia bellezza?

Allora, forse, non potevo avere ai piedi chiunque.

No.

Ero perfetta. Lui sbagliato, e non dovevo perdere tempo con un misero blasfemo.

Un poco rinfrancata, con l’ombra dell’inquietudine a disegnare linee sulla mia fronte, chiamai Kuntal ed entrai nella reggia, buttandomi sul letto della stanza a me assegnata con un sospiro di piacere.

 

 

 

Per diversi giorni non feci altro che vagare come un fantasma per il palazzo. Alla lunga, anche quella deliziosa reggia mi stufò, e non potevo svagarmi in altro modo se non camminando per i corridoi o facendo passeggiate fin dove mi era consentito. Non descrivo la noia e la desolazione di quelle giornate, segante dall’amarezza dell’inerzia, ma arriverò direttamente ad uno degli episodi salienti della mia vita.

Kuntal mi accompagnava nelle mie fughe, ma quel giorno decisi di congedarla prima del previsto e continuare la mia passeggiata da sola. Il caldo era insopportabile nonostante la frescura delle cascate, e preferivo l’ombra del portico alla terrazza sulla torre in quelle circostanze.

L’abito chiaro e il velo di garza calato sul viso mi difendevano in parte dalle zanzare e dall’afa, scivolando dolcemente lungo i miei fianchi ad ogni passo lento e cadenzato. Tenevo gli occhi bassi, guardando l’intreccio di disegni sull’alabastro lucido, e avanzavo con calma quando una voce maschile con una nota d’infantilità mi fermò.

“ Damigella?” mi voltai, poco propensa a fare quattro chiacchere, ma con sorpresa mi accorsi che, attraverso il velo, la sagoma che mi si stava avvicinando aveva un’aria piuttosto famigliare.

Schiusi le labbra, sentendo l’ombra di un’intima vittoria risalirmi su per la spina dorsale.

Alla fine avevo ragione.

“ Aster?” finsi di pronunciare il suo nome con titubanza mentre questo si accostava a me allungando un braccio. Stretto nella mano teneva un fazzoletto, un mio fazzoletto.

Spalancai gli occhi.

“ Vi è caduto mentre scendevate le scale”

Abbassai gli occhi sul quadrato di stoffa, senza prenderlo. La delusione era diventata insopportabile, mi impediva quasi di respirare. Volevo ucciderlo, vederlo implorare una mia carezza.

Volevo l’attenzione sua come di qualsiasi altro uomo. Per calpestarla all’ultimo stadio di un amore perduto.

Presi il mio possesso con esitazione, dopo aver passato un minuto buono ad osservare la sua mano bianca. Sfiorai inavvertitamente la pelle, avvertendo un  brivido scendermi tra le dita e lo ringraziai flebile.

Delusione, semplice delusione.

Mi voltai, incredula e furiosa, per andarmene da lui, ma la sua voce mi bloccò ancora una volta.

“ Siete sola, damigella?”

Sbuffai, sollevando lentamente la garza sulla mia testa, e lo affrontai  di nuovo a viso aperto, stavolta leggermente stizzita.

“ Ciò che faccio non è affare vostro, consigliere. La ringrazio davvero molto per il favore ma ora, se permettete..”

Aster sorrise, ma non in maniera ironica. Pareva più comprensivo, e mi scoprii a pensare che la sua fossetta sul mento fosse deliziosa.

“ Non intendevo arrecarle disturbo. La mia era semplice curiosità. È già da qualche giorno che la vedo passare per questi luoghi, pensavo si annoiasse”

Rimasi colpita dalla sua cordialità, che accostata a quel viso ancora puerile e  pallido pareva fuori luogo, e allentai per un attimo il nodo di risentimento che provavo nei suoi confronti.

“ Effettivamente sì. Ma in questo posto non c’è quasi nulla da fare”

“ Allora non è ancora stata nei giardini nel lato sud”

“ No, sinceramente no”

Si avvicinò a me, tendendo un palmo aperto nella mia direzione. Un gesto così semplice che tuttavia mi fece sobbalzare. Sopratutto per quel sorriso genuino che ancora mi dedicava.

I suoi capelli di mare danzavano nella brezza.

“ Allora venga con me” 

Penso che se avessi rifiutato la mia vita sarebbe stata diversa, migliore in un certo senso. Ma davanti a quello sguardo che sapeva di purezza non ebbi il cuore di declinare l’invito. Anche se mi infastidiva la sua ingenuità difficilmente plagiabile sentivo come un senso di affinità che stava stringendo i nodi delle nostre vite per legarci indissolubilmente.  E quel nodo non si sarebbe mai più sciolto.

Cominciò tutto così.

Quando gli strinsi la mano che mi offriva ricambiando il suo sorriso.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Reis e aster si sono incontrati, ma ancora delle cose devono succedere. Scusate se rimando il finale al prossimo capitolo ma veniva davvero troppo lungo se inserivo tutto adesso. Se sembra che ci siano delle cose affrettate l’ho fatto per non perdermi troppo in dettagli, volevo arrivare all’incontro fatidico.

Mony Purpa

 

Eh sì la serie è proprio finita! Ma tornerò presto a scrivere sul mondo emerso, ci sono alcuni personaggi che mi ispirano parecchio. Grazie per avermi seguita, lo apprezzo molto!

E, fra parentesi, anch’io parteggio per gli gnomi e il povero Avel. Tesoro che brutta fine che hai fatto T_T  ( Colpa tua… nda Avel)

 

Tawara

Davvero?? Sono felicissima che ti piaccia ^^ comunque anche per me Reis non è mai stato un personaggio da odiare. Non mi stava simpatica però nemmeno la odiavo, semmai un pochino di compassione. Il padre come vedi ho cercato di renderlo il più simile possibile a quello descritto nel libro, e lui sì che lo odio!

Spero che questo ti sia piaciuto, ciao un bacione e grazie ancora!!

Nihal Darko

Nuooooooo  povera Reis non è proprio tutta colpa sua! Prendiamocela col padre se vogliamo ( e giù randellate) per quanto riguarda Aster ih, ih lui e Reis nel prossimo capitolo Cough, cough!! Bhè si è capito..

Grazie del tuo sostegno!!

Ciaooooo!!!!!

 

 

 

Ritorna all'indice


Capitolo 3
*** See the time going by ***


 

Da quel giorno non potei fare a meno di lui.

Aster divenne un elemento indispensabile nella mia vita, la sua presenza rinfrancava il mio spirito con la stessa freschezza  di un balsamo.

Non negavo  a me stessa che mi irritasse. Quell’ingenuità celata dal fitto ventaglio di ciglia lo proteggeva da un mondo intenzionato a fargli del male, lontano nella mente da tutto ciò che era terreno e , di conseguenza, anche da me.

Io ero terrena, troppo attaccata alle cose di questo mondo per capire l’etica minimalista e astratta di quell’ angelo anodino.

Mitigava il dolore che mi portavo dietro da anni con una semplicità disarmante. Consigliandomi tisane per l’insonnia e parlandomi del mondo là fuori come un qualcosa di meraviglioso che poteva essere a portata di tutti, ma che secondo la sua passata esperienza fosse nelle mani delle persone sbagliate, ignoranti al punto di sacrificare tutto ciò per cui valeva la pena di vivere.

“ Parlo di una casa, un posto dove tornare senza essere derisi per ciò che si è” mi raccontò di sua madre, dei mezzelfi. Mi raccontò le crudeltà di cui potevano essere capaci, i pochi scrupoli anche nell’esistenza quotidiana. Tutto. Anche il suo dolore.

Io le ho detto sempre poco di me. D’altronde, poteva vedere benissimo da solo in che stato era la mia famiglia.

Io, un padre bigotto e la presenza costante dei fantasmi del passato.

Mi disse di vederli.

“ Ti vogliono bene, Reis. Sono sempre con te”

Per la prima ed unica volta piansi davanti a qualcuno, affondando il viso nella sua tunica nera. Mi stringeva forte, consolandomi con le ninnananne che gli cantava sua madre da piccolo, e io versavo le lacrime dei miei morti, rifacendomi per la negligenza che avevo avuto in passato.

Per questa sua immensa pazienza cominciai ad apprezzarlo. Aster non cercava di correggere il mio caratteraccio con i metodi draconiani di mio padre, si limitava a guidarmi passo per passo, finchè non capivo da sola che ero in torto. Smussai gli spigoli che premevano sul mio amor proprio per incassare al meglio le provocazioni, senza ricadere nelle scenate cui ero solita deliziare chi mi stava attorno.

Finalmente, o forse per la prima volta, mi sentivo in pace con me stessa.

Riuscii a guardarmi allo specchio senza dovermi nascondere sotto strati di trucco. Vedendo la vera me come una rivelazione a lungo tempo sepolta e attesa. I castelli in aria che mia madre aveva costruito per me si sgretolarono uno dopo l’altro, trasformandomi nella nobildonna sobria e serena che ero, fino a quando…..

 

Non importa.

 

 

Mi portava a passeggiare nei giardini sud, quando non era impegnato in qualche  seduta del Consiglio, e mi illustrava tutti i fiori meravigliosi che indicavo. Stupita come una bambina.

A volte fingevo di non capire le proprietà di una pianta solo per poter risentire la sua voce melodiosa spandersi nell’aria umida. Aveva un timbro rassicurante, fraterno, mi piaceva sentirlo parlare delle questioni più importanti come di quelle frivole .

Ci tenevamo a braccetto come due fratelli, scandalizzando le megere coi loro protocolli sempre aperti sotto il naso da cornacchia. Più volte siamo stati al centro di accesi pettegolezzi, scatenando le ire di mio padre.

Mi proibì categoricamente di avvicinarlo ancora, con la promessa di vendetta che pendeva dalle sue labbra. Ma io ho sempre disubbidito a quegli imperativi, sicura che a lui non importasse tanto della questione se non per il buon nome del nostro casato.

Una giovane nubile, e nobile, che fraternizza in maniera eccessiva con un mezzosangue bastardo non era una buona cosa.

In fondo al cuore, so che l’ha sempre odiato. Per motivi che ancora non mi spiego.

Ma immagino fosse per la razza. E per la carriera che stava intraprendendo molto più velocemente di lui. Si rodeva il fegato nell’immensa agonia della notte.

“ Cos’è questa?” domandai puntando il dito su un delicato fiorellino viola e Aster si abbassò, tenendo la corolla con delicatezza, quasi avesse paura di spezzare quella fragile rarità.

“ Questo è il fiore di Avalon, ha proprietà curative eccezionali. È in grado di annullare i sintomi da avvelenamento se preparato col decotto giusto.”

“ E quello?” io non gli davo tregua, non aveva nemmeno finito di parlare che già gli chiedevo qualcos’altro “ Quello cos’è?”

“ Un mandragola”

“ Non sembra un fiore” borbottai fissando la sua chioma cerulea smuoversi nel vento.

“ Non lo è” confermò “ Però può risultare molto utile se rimani pietrificato”

“ Quello?”

“ E’ giacinto”

“ Quello invece?”

“ Potentilla”

“ Queste?”

Rise “ Quelle sono margherite, Reis”

Avvampai, vergognandomi della figuraccia infantile che avevo fatto. Lo sapevo che erano margherite, ma detto da lui il loro nome pareva ancora più bello.

“ Scusa” biascicai con un mezzo sorriso “ Ma mi piace quando parli”

Aster smise di carezzare una calendula e si voltò verso di me, con gli occhi leggermente sgranati.

“ Cosa?”

Arrossii ulteriormente. Non l’avevo mai visto così sorpreso, e mi lasciò spiazzata la sua incredulità.

Feci un passo indietro, incrociando le mani al grembo.

“ Può sembrare stupido. Ma tu mi dai una pace che io non ho mai conosciuto, per questo voglio sentire la tua voce”

Aster non rispose.

Capii dal suo sguardo che le cose fra noi erano cambiate. Quella confessione innocente aveva fatto scattare qualcosa di cui mi accorsi solo in quel momento e che forse la coltivavo dentro dalla prima volta  che ci eravamo incontrati.

Turbata, mi volati verso un albero di pesco e osservai i petali bianchi cadere a terra, consapevole dello sguardo di Aster sulla schiena.

Mi immaginai i suoi capelli ricci. Più blu del mare, e i suoi dolci occhi verdi osservarmi con stupore, appena spalancati per mostrare le sue iridi smeraldine. La linea retta del naso, la pelle bianca delle guance, la sue labbra sottili, quasi un taglio sul pallore del viso.

Magari erano morbide, pensai, e profumate.

Un desiderio violento, mai avuto con altri uomini, si impossessò di me. Volevo toccare la sua bocca con la mia, sfregare le due estremità per assaporare l’essenza di quella creatura angelicata. Un essenza di paradiso.

Sospirai, calmando il battito frenetico del mio cuore contro la cassa toracica.

Involontariamente sfiorai le labbra con un dito, chiedendomi se fossero abbastanza invitanti per lui.

Mi fermai, scuotendo la testa. Non potevo farlo.

Seppur riluttante,affondai quella calda sensazione di appartenenza, e mi distesi in un sorriso smagliante. Ma quando mi voltai era sparito.

Gli angoli della bocca mi si piegarono verso il basso, travolta da una delusione cocente quanto amara.

Fraintesi il suo gesto, disperandomi sul perché non fossi abbastanza per lui. Perché non mi guardava? Lui, l’unico da cui volevo essere guardata?

Perché?

Perché??

Caddi in ginocchio sull’erba, frenando le lacrime con la mano poggiata sugli occhi.

L’unica persona importante della mia vita se ne era andata. E ancora piansi, nuovamente circondata dal male che avevo sempre accolto nel mio animo.

 

 

 

 

 

 

 

See the time going by……..

 

 

Da quel giorno passarono due anni.

Crescevo, nascosta nella mia piccola porzione di mondo, convinta di essere di un gradino sopra a tutti.

Il mio viso divenne più adulto, io divenni adulta. Una splendida gnoma nel fiore dei suoi anni, perennamente in contrasto con se stessa.

Con il proprio corpo, con il proprio padre, con i propri sentimenti.

La bellezza divenne necessaria per evitare la pazzia.

Sfogavo tutte le frustrazioni gettandomi a capofitto su me stessa, migliorando il mio aspetto senza sapere che stavo peggiorando ciò che era realmente importante.

Inaridivo a vista d’occhio, rendendomi apatica e disattenta, tanto spesso che Kuntal dovette rimproverarmi un paio di volte.

Non c’era storia. Per me il mondo poteva andare a farsi benedire, nero e bianco con tutte le sue sfumature, mentre io vedevo solo nero.

Mi importava solo di ciò che gravitava intorno alla mia persona, nient’altro.

Dopo il rifiuto di Aster mi ero impuntata di non seguire più mio padre nella Terra dell’Acqua, e così feci. Per due anni.

Fu una tortura. Volevo trovare il modo di riappacificarmi, dirgli che non mi importava se lui non mi voleva, ma il mio amor proprio me lo impedì sempre.

La rabbia fu sempre più forte della disperazione

Ma quando si cominciò a parlare di matrimonio, poco dopo i miei sedici anni, dovetti per forza tornare ad affrontare le mie delusioni. Gli eventi, però, presero una piega inaspettata.

 

 

 

 

 

 

 

Ricordo che pioveva a dirotto.

Lo scroscio delle cascate sommato a quello della pioggia era insopportabile, quasi un rombo. L’acqua mi penetrò nei vestiti, inzuppandomi fino alla spina dorsale, e rabbrividii.

Le palme si piegavano sotto la forza dell’acquazzone, spazzando il marmo dei pavimenti, ed entrando nel palazzo riconobbi le figure familiari dei maghi.

La magia stava diventando sempre più comprensibile ai miei occhi, grazie alle innumerevoli ore che avevo passato ad esercitarmi. Mio padre ne era compiaciuto, certo che un giorno avrei preso degnamente il suo posto in Consiglio. E aveva ragione.

Ma per il momento ero troppo impegnata a cercare con lo sguardo una persona.

Non potevo chiedere a mio padre di Aster, anche perché non mi avrebbe risposto, e non riuscivo ad individuarlo fra quella folla di anziani con le tonache consunte.

Serrai gli occhi per contenere lacrime di delusione.

“ Signora?” Kuntal mi toccò lievemente una spalla “ Forse dovrebbe andare a riposarsi”

Annuii, inghiottendo lo sconforto.

La vita non era mai stata così amara.

 

 

 

 

 

 

 

Quella notte segnai la mia esistenza per sempre.

Sveglia, nel cuore della notte, fissavo il soffitto bianco della mia camera con la sensazione che dovessi fare qualcosa. Qualcosa che non avevo fatto tempo prima.

Mi alzai, poggiando le piante dei piedi sul marmo, e uscii dalla stanza con solo indosso la camicia da notte.

I corridoi deserti erano umidi e freddi, inquietanti nella tenebra rischiarata ogni tanto dalla fragorosa venuta di qualche fulmine. Le statue mi fissavano vitree, accusandomi di ciò che stavo per fare, pur non sapendo cosa, e mi affrettai. I capelli sciolti fungevano da scialle per il gelo che mi era penetrato nell’anima.

Il rumore incessante dell’acqua mi accompagnava durante il tragitto, timorosa che anche solo un passo falso potesse significare il fallimento, e sfregai le mani sulla braccia, per trarre un po’ di calore.

Guidata da una forza misteriosa, mi ritrovai davanti alla porta decorata che conduceva nella sala del Consiglio, col cuore che rischiava di sfondarmi il petto. Fissai i magnifici fregi che si arrampicavano per i vani neri delle ante, provando un po’ timore per quei ghirigori dal sapore così sconosciuto.

 Improvvisamente una mano mi toccò la spalla e urlai.

Volati di scatto la testa, vedendo davanti a me una figura ammantata d’ombra. 

Indietreggiai, scuotendo la testa. Come a voler negare l’esistenza di quel pericolo così palpabile, ma questo mi afferrò il braccio.

“ Lasciami” sussurrai flebile, senza la reale convinzione di volerlo veramente e chiusi gli occhi. Avrei sofferto meno morendo, perché non si sbrigava a finirmi? Cosa voleva?

Una lacrima scivolò sul mio volto, fredda come l’ambiente intorno a me, come quella mano che con leggerezza me l’asciugò. Strinsi le labbra.

“ Reis” il fiato che si infranse sul mio viso era tiepido, rassicurante. Familiarmente  doloroso.

Socchiusi le palpebre, credendo di sognare quando il volto niveo di Aster apparve nel bagliore bianco della folgore.

Era lui, non c’erano dubbi.

Sentii il mio essere elevarsi ad una gioia troppo a lungo negata, divina nella sua perfetta forma, quanto i suoi capelli morbidi come onde del mare. Ci affondai le dita, sentendo la rabbia scivolare via da me, facendomi rinascere nuovamente, spogliandomi della maschere che mi ero creata per trattenere la mia delusione. Non pensai, non parlai, fissai quel viso tanto amato con affetto, carezzando i lineamenti che in quegli anni si erano fatti più marcati, passando ripetutamente gli indici sulle labbra piegate in un sorriso lieve. Il suo corpo bollente premuto contro il mio  mi schiacciava  con la schiena sulla porta.

“ Mi sei mancato” lo dissi dolcemente, poggiando la fronte sulla sua. I suoi occhi verdi erano sfavillanti come non mai.

“ Anche tu mi sei mancata” un brivido corse lungo la mia spina dorsale nell’udire quella voce infantile così profondamente cambiata e calda.

Ormai era troppo tardi per tornare indietro. Ci amavamo, senza esprimerlo a parole, e questo ci bastava. Nessun ripensamento, nessuna bugia.

Solo noi.

“ Scus…” prima che potessi finire sapevo già che mi aveva perdonata per la mia lunga assenza, perché le sue labbra vincolarono le mie in un bacio che non ammetteva repliche.

Sì, era quello che volevo.

Mi abbandonai contro il suo corpo, rischiando di crollare per la fragilità delle mie gambe, e spinsi il volto contro il suo, annullando del tutto le distanze fisiche che ci separavano.

La sua lingua era calda, mi piaceva la sua ruvidità quando strusciava contro la mia, riempiendomi, saziandomi della voglia che avevo di lui.

L’altra mano mi lisciò lentamente i capelli, dalla radice fino alle punte, spostandosi sulla mia spalla scoperta, sul fianco, fino alla natica.

Mi sollevò da terra, ed io  gli strinsi con forza i fianchi, mentre la schiena batteva violentemente sulla porta.  L’eco dei nostri respiri si spanse per il dedalo di corridoi del palazzo.

Le nostre bocche si muovevano frenetiche, succhiando, mordendo, mosse dalla voglia di scoprire ed essere scoperti. Gemetti quando si spostò a baciarmi il collo e allacciai la gambe ai suoi fianchi. Le dita affusolate si spostarono sulla coscia bianca, fremendo eccitate ad un contatto così proibito. Andò più su, insinuandosi sotto l’orlo della mia vestaglia di pizzo.

Raggiunse dove sapeva che mi avrebbe dato piacere, sfiorandomi appena. Ma quel piccolo contatto bastò a farmi tendere come la corda di un arco. Mi accanii contro le sue labbra mentre continuava l’operazione, cercando di trattenermi dall’urlare.

Le scariche si dipanavano dal mio ventre fino a raggiungere il cervello, paralizzandomi in una beatitudine che non avevo mai conosciuto.

I sospiri che uscivano dalla bocca di Aster per perdersi nella mia, non facevano altro che accentuare quella sensazione fortissima, sciogliendomi come ghiaccio al sole.

Ad un certo punto mi rimise a terra, scostandosi da quel bacio. Mugugnai insoddisfatta e ghignò malizioso, cosa che mi lasciò interdetta. Anche se me lo sarei dovuto aspettare.

Ricambiai, fissandolo intensamente mentre alzavo le braccia per farmi togliere la camicia da notte. Ebbi freddo, e il suo corpo mi coprì come una soffice coperta, premendo i miei seni contro il suo petto.

Ansimai, la sua lingua mi leccava i capezzoli con crescente voracità, succhiandomeli piano e mordendo l’aureola con la stessa delicatezza con cui faceva procedere la mano nel luogo proibito.

Eravamo giovani, appassionati. Colpiti da un amore maledetto e impossibile ma nonostante tutto, nonostante le differenze, nessuno avrebbe potuto portarci via dalla memoria quel momento.

Sarebbe durato per sempre, per sempre.

Non so come, ne quando ma entrammo nella sala del Consiglio, camminando sul pavimento di alabastro in punta di piedi, coperti da nient’altro che le nostre pelli sudate. Tirai Aster dietro un trono, stendendomi a terra, offrendomi a lui con un sorriso. Un baluginio compiaciuto attraversò la penombra, e poco dopo il suo corpo tornò a premere con passione sul mio.

In quella notte di tempesta, illuminati dai fulmini occasionali, divenni sua.

I tuoni coprivano le mie grida, il respiro estremamente frammentario di Aster mentre entrava in me.

Mi sentii bene come non lo ero mai stata.

Non c’era spazio per altri in quegli attimi di fuoco.

Solo noi.

Tutto il mondo fuori.

Solo noi, Aster, per sempre.

 

 

 

 

 

O_O sono ufficialmente shockkata, cosa sono stata capace di scrivere??

T_T ecco mi duole a dirvi che non è il capitolo finale. Perché il finale (porca…) si è cancellato. Nel senso che è saltata la corrente ed io non avevo salvato.

( si butta da una scogliera) ora devo riscriverlo, scusate….

 

 

Nihal Darko

 

Meno male che ti è piaciuto l’altro chappy ^_^ ci tenevo davvero molto!! Non vedevo l’ora di descrivere Aster ( lo adoro <3) ci ho messo tutto il mio estro ( che poi non è molto, eh) e sono rimasta soddisfatta del risultato. Una bellezza più adulta? No, ti spiego, nell’altro chappy Aster era ancora un po’ ragazzino, aveva più o meno quattordici anni, mentre qui ne ha sedici ed è già più maturo anche se ho messo poche cose per rivelarlo. Per Reis, ecco  ò_ò non lo so ma mi sa che hai ragione. Io tutte le volte la descrivo sempre bionda, e non so perché. Mha colpa delle immagini che mi sono formata.

Ora ti lascio, ciao e grazie!!! ^_^

Mony Purpa

Figurati, sono io che devo ringraziare voi XD !!! sono felice che ti piaccia e sì. I nintendo ds sono utili per scacciare la noia.

Padre di Reis: Non ho capito cos’ è successo…

Io: Tua figlia e Aster hanno…ehm hai capito…

Padre di Reis: No

Io: uff… pssss…pssss

Padre di Reis: COSAAAAAAAA??? E L’HANNO FATTO DIETRO IL MIO TRONO????’

IO:Sì ^.^

Padre di Reis: *_________________________________________* splat! (svenuto)

Oddio sono fusa, noi due ci capiamo XD

Ciao, un bacio!!!

 

Black87

Anche a me piacciono gli amori impossibili e poi di Reis e Aster non si parla molto, almeno del loro rapporto. Sono felice che ti piaccia, davvero, mi fa molto piacere!!!

 

 

Tawara

 

I professori trovano la mia scrittura strana XD però a me piace accostare parole strane e fare paragoni altrettanto strani. Follia che avanza…..

A parte gli scherzi, sono felice che ti interessi. Meditavo di non farla, come quella di Soana, ma poi mi sono detta “ proviamo” e devo dire che mi fa molto piacere sapere che vi piaccia.

Ciaoooooo!!!!!

 

Al prossimo capitolo e scusate ancora!!

Fra parentesi, vi ricordate Aras? ( paggio bastardo) Bene tornerà e mi sa che lo odierete!!!

 

 

 

 

 

 

Ritorna all'indice


Capitolo 4
*** Decadence ***


 

Dopo quella notte cambiò tutto.

La mia apatia nei confronti del mondo allentò la sua stretta, e io mi sentii finalmente libera.

Avevo trovato qualcuno da amare, contro i canoni della nobiltà, certo, ma in fondo non mi importava più nulla di ciò che ero o sarei stata. Vicino ad Aster ero solo e semplicemente Reis. Parte dell’unico corpo che eravamo diventati.

Non lo lasciavo un attimo, camminavamo mano nella mano per il palazzo come una coppia di sposi. Salvo poi separarci appena qualcuno incrociava il nostro cammino . E allora mi ricordavo che eravamo amanti. Peccatori d’ombra.

Nessuno doveva sapere di noi, men che meno mio padre.  Anche se io, da una parte, ci speravo.

Volevo che mi lasciasse in pace, che capisse che io non avrei sposato nessuno degli uomini da lui selezionati.

Desiderai che mi disconoscesse come figlia, perché non aveva senso occupare un ruolo che io non mi ero mai sentita di fare. Ero meglio come amante che come  figlia, in tutti questi anni non ho smesso di ripeterlo, e mai smetterò.

 

 

CLANK!

È già ora?

 

 

 

 

 

Continuammo a vederci di nascosto.

Quando si liberava dai suoi numerosi impegni mi raggiungeva subito in camera mia, sgattaiolando dentro come un gatto in cerca di affetto. Un affetto che elargivo a piene mani.

Non faceva in tempo a richiudersi la porta alle spalle che io gli saltavo al collo, baciandolo con trasporto fino a condurlo al letto. Anche se i nostri incontri notturni  erano rari.

In quelle occasioni mettevo una dose massiccia di valeriana nel te di Kuntal, che rimaneva il più delle volte a sorvegliarmi con occhio vigile.

Ammetto che non era la stessa cosa con una cameriera addormentata a pochi centimetri, ma ci dovemmo accontentare, soffocando risatine e gemiti troppo rumorosi.

Il fruscio delle lenzuola mi metteva ansia. Temevo che quel leggero spostamento di stoffa potesse destarla, trovandoci, così, in flagranza di peccato. L’eventualità era alta, motivo per cui non mi sentivo mai tranquilla in quell’incontro clandestino dal profumo di proibito.

Non per questo ci facevamo intimorire, comunque. Rivedendo le mie prodezze con l’occhio della memoria posso affermare con sicurezza che ero del tutto pazza. Ma d’altronde, chi non lo fa quand’è innamorato?

Per la prima volta desideravo la compagnia dello stesso uomo. Senza stufarmi di baciare le sue labbra, di amarlo con tutta me stessa. Fu il periodo più felice di tutta la mia vita.

“ Aster?”

“ Sì?”

 In una di quelle rarissime volte in cui Kuntal era impegnata in altre faccende stavamo per ore sdraiati sul mio letto, tra le lenzuola sfatte. Il sudore rendeva i nostri corpi scivolosi, e l’aria rarefatta era pesante come una cappa di nebbia.

“ Tu mi ami?”

Era una domanda stupida. Ci eravamo detti “ti amo” in molti modi, ma mai a voce. Ora volevo sentirglielo dire.

“ Aster?”

Avvertii i muscoli del suo torace irrigidirsi e sollevai la testa per guardarlo in viso. Un’ombra scura passò nei suoi occhi, un’ombra che mi parve terribilmente simile al senso di colpa. Abbassai lo sguardo, spaventata dall’eventualità di essere stata usata come svago. Non poteva farmi questo, sarei morta di dolore. Eppure sentivo che non era stato del tutto sincero.

Strinsi le palpebre per fermare le lacrime che mi premevano contro gli occhi e mi sdraiai dandole la schiena. Improvvisamente mi era venuto freddo, la luce ambrata della stanza mi dava fastidio. Mi coprii il viso con gli avambracci, portando le mani a stringere convulsamente le ciocche dei miei capelli.

Singhiozzai.

La sua mano si posò sulla mia schiena, carezzandola per cercare di confortarmi. Ma non disse niente.

Ne un “ti amo” ne delle scuse.

Scossi la testa, per debellare la sensazione appagante della sua pelle calda sulla mia.

“ Esci….” Mormorai roca e sentii il materasso sollevarsi, mentre lui si alzava per andarsene.

Sbattè la porta, e allora piansi senza ritegno desiderando che tornasse indietro per dirmi che andava tutto bene.

Quella notte non tornò. Rimasi sola a crogiolarmi nella mia disperazione.

 

 

 

Vagai per giorni senza avere une meta precisa, perdendomi nei corridoi freddi del palazzo. Passai davanti alla Sala del Consiglio, e procedetti a testa bassa aumentando l’andatura. Mi ricordava troppo la mia felicità.

Che illusa…

Mi asciugai una lacrima, stizzita, e scossi la testa facendo ondeggiare le sottili treccioline  dell’elaborata acconciatura che Kuntal mi aveva fatto con pazienza.

Aveva notato che ero giù di morale, testimoni le occhiaie profonde e nere, e si era offerta  di accompagnarmi a fare un giro per Laodamea, commentando bonariamente sul fatto che potevo trovarmi un buon partito girando per la città. Le avevo strappato il pettine di mano e l’avevo buttato giù dalla finestra.

Dopo mi dispiacque per come l’avevo trattata, ma non volevo sentire parlare di partiti o robe varie.

Ero già abbastanza depressa per non guardarmi allo specchio senza fare una smorfia.

Procedetti mestamente, passando sulla passerella che dava al giardino sud, e sentii due voci, una delle quali conoscevo molto bene.

Mi fermai di botto, voltandomi verso le fronde degli alberi.

Il sangue mi si gelò nelle vene.

Aster era chinato su un cespuglio di rose e ne stava cogliendo una, porgendola poi ad una giovane dai capelli rossi che se ne stava accovacciata vicino a lui. La ragazza sorrise  e portò il fiore al naso.

Anche da lì potei vedere il sorriso abbagliante di Aster.

Mi aggrappai alla ringhiera, mentre tutto cominciava a girare vorticosa mente. il sangue si sciolse, ribollendo nelle mie vene in una rabbia cieca che tinse la mia vista di rosso. Strinsi le dita sul ferro, avvertendo un peso immaginario bloccarmi il petto e rimbombarmi nelle tempie.

Un insano desiderio di uccidere entrambi mi fece sfuggire un gemito sommesso e a quel punto parvero accorgersi di me.  Aster si voltò e il sorriso gli morì sulle labbra, sostituito da un’espressione sorpresa e preoccupata. La sue iridi verdi mi colpirono con la forza di un meteorite, mentre le mie venivano offuscate dalle lacrime. Fuggii, ignorando gli sguardi allucinati dei cortigiani, e mi rifugiai nella mia stanza, buttandomi a peso morto sul letto.

Avevo il cuore a pezzi.

 

 

Vedevo i maghi uscire da quella maledetta porta, e aspettavo.

Aguzzai la vista per individuare una capigliatura blu e, quando finalmente la trovai, mi avvicinai ad essa con un cipiglio minaccioso.

Nel caos, si accorse della mia presenza solo quando gli fui davanti. Si voltò verso di me, sgranando appena gli occhi quando mi riconobbe.

“ Reis..”

“ Vieni con me!”

Lo trascinai per i corridoi tenendolo per il bavero della veste, ignorando i suoi versi soffocati. Mi guardai intorno, per essere sicura che nessuno ci avesse seguito e lo spinsi in una rientranza fra le colonne di marmo. Non pensavo di essere così forte da poterlo sottomettere facilmente, ma molto probabilmente era lui che mi lasciava fare. Voleva chiarire quanto me quel malinteso.

“ Reis” ripetè in una velata  quanto patetica supplica e il mio sguardo si annebbiò.

La rabbia esplose con un impeto tale da farmi sembrare una bestia messa in gabbia, digrignando i denti dal dolore di essere stata tradita.

“ Sta’zitto!!” tuonai, avvertendo una scarica bollente attraversarmi la schiena.

Aster si bloccò, intimorito dal mio comportamento. Sgranò gli occhi quando, invece cominciai a singhiozzare. Le lacrime mi inumidirono il viso, impastandomi le labbra di sale. Non riuscii a parlare, ne a ragionare. Precipitavo verso il basso senza rendermene conto.

Chi volevo prendere in giro?

Già da tempo aveva capito che razza di persona ero senza la sua presenza. Aveva capito quanto mi sentivo annientata e persa quando lui non c’era, quando non vedevo il suo sorriso.

Sotto la rabbia c’era solo una ragazzina spezzata che solo lui poteva aiutare. Amare.

Le sue braccia mi apparvero indistinte sotto l’acqueo velo del pianto. Mi strinsero piano, poi forte, stringendomi come un’ancora di salvezza. Non mi sentii rassicurata, per nulla.

C’era uno sforzo dietro quei gesti affettuosi, quelle scuse false e traballanti che mi sussurrava nelle orecchie. Non ci credevo e continuavo a piangere. Disgustata da lui e dalla patetica scenetta che avevamo messo su.

Le due bestie senza la bella.

Mi sentii così vulnerabile, incapace di spingerlo via, di dargli ciò che si meritava.

Per un attimo ripensai al nostro ultimo incontro, e sentii la spiacevole sensazione di essere stata sfruttata.

Non battei ciglio quando mi ritrovai ancora fra le sue braccia, nella sua camera stavolta, a fare quella che consideravo una maniera di amarci senza esprimerlo a parole. Molto più semplice a pensarci.

Facemmo l’amore in un modo freddo, distaccato, come se osservassi la mia vita scivolare come sabbia da una prospettiva sconosciuta.

 

 

 

 

All’inizio facemmo finta di niente.

Dopo mi spiegò che quella giovane donna era la moglie di un ambasciatore.

Amante della natura e di tutti i fiori di quel palazzo, mi pare.

Aveva aggiunto ridendo che quelle erano state le sue parole, ma io non ci trovavo niente da ridere.

Cosa voleva da lui?

“ Sapere il nome delle piante. Dato che sono mago avrà pensato bene ci chiedermi un consulto” rispose senza smettere di sorridere. Trovava divertente la mia gelosia e, devo ammettere, ci ha sempre giocato.

Feci uno sforzo immane per non scoppiare a ridere a mia volta.

“ Bhè..” borbottai “ Non farlo mai più”

Lui aprì la bocca per protestare, ma io lo zittii con un cenno.

“ Oh,sta zitto!” e le buttai le braccia al collo, baciandolo con trasporto.

Cercavo di convincermi che fosse tutto normale. Ma quella sensazione strisciante sotto pelle non diminuiva, cresceva. Al pari delle mie inquietudini.

Aster mi sembrava così estraneo. Diverso dal ragazzino dagli occhi smeraldo che avevo conosciuto e amato due anni prima.

Nei suoi occhi era apparsa una scintilla che non era né  d’amore né di odio. Era qualcosa di infinitamente peggiore.

Era brama di vendetta.

 

 

 

“ Vedi, Reis? La sofferenza di questo mondo è tutta qui!” faceva scorrere le dita sulla pagina ingiallita del vecchio volume, fermandosi a picchiettare il dito su alcune rune sbiadite.

Io non condividevo la sua esaltazione.

A dire la verità ero anche un po’ intimorita.

Non mi piaceva quando iniziava a parlare di cose come la politica o il destino. Marvash e Sheireen, purificazione.

Quella parola dal significato così spirituale incombeva nell’aria come una minaccia invisibile.

“ Non capisci?” mi ritrassi un po’ quando si voltò per fissarmi con occhi sgargianti “È  un principio di superiorità sbagliato! I mezzelfi , la classificazione di tutte le razze. È sbagliato! Si dovrebbe….”

“ Cosa?” lo interruppi secca,stringendo i pugni “ Purificare questo mondo? E come?” non mi interessava veramente la risposta in se. Volevo vedere se aveva il coraggio di esprimere le sue folli idee ad alta voce. Le sue atrocità mascherate da intenzioni benevole.

Si passò una mano nei capelli, tornando a fissare il tomo con avida voracità. La luce delle candele disegnava ombre inquietanti sullo schienale intagliato dello scranno. I visi di fauno mi sorridevano sinistri nelle loro pose assurde.

“È  una cosa che non ho ancora contemplato a dovere”

“ Balle!” sbottai, facendo un passo in avanti “ Tutte balle! Perché non me lo dici chiaramente,Aster? Perché non mi dici che vuoi utilizzare la morte come strumento purificatore??”

Tra noi calò un silenzio glaciale. Tremai un poco, pentita di ciò che avevo appena detto.

Abbassai lo sguardo, sentendomi stupidamente in colpa.

La fiammella della candela tremolò all’impercettibile sospiro di Aster.

“ Non è una cosa così semplice” esalò dopo molto tempo. Scossi la testa, furiosamente, tanto che la mia crocchia si disfece.

“ Non lo è, certo, e per un buon motivo!  Aster…” sussultò quando pronunciai il suo nome in una supplica “ Molte persone hanno fatto cose, cose terribili. Errori…” mi avvicinai poggiando le mani sulle sue spalle. La retina mi penzolava dai capelli come una mosca intrappolata nella tela di un ragno.

“ … Che non voglio che tu ripeta. Infondo al tuo cuore sai che ciò che pensi è sbagliato”

Non rispose.

Il mio sguardo vagò sulle disordinate carte mischiate in maniera casuale.  La mia attenzione fu attirata da un disegno abbozzato in carboncino, che faceva capolino dalla copertina di cuoio del libro.

Allungai il braccio e lo afferrai delicatamente, facendolo scivolare fuori dalle pagine che lo intrappolavano.

“ Fammin” lessi ad alta voce, portando il disegno vicino agli occhi “ Cosa sono?”

La grottesca figura indicata dalla calligrafia minuta di Aster aveva un che di oscuro. Mi morsi il labbro inferiore, inquieta, e lo posai nuovamente sullo scrittoio.

“ Aster?”

Un fastidio si propagò lungo la linea della fronte, vibrando come un serpente rinchiuso in una scatola. Portai una mano alle tempie, barcollando all’indietro con l’impressione che il pavimento si fosse aperto sotto di me.

La luce fioca della stanza esplose in mille stelle abbaglianti.

Poi il nulla.

 

 

“ Reis,Reis!”

Aprii piano gli occhi,scorgendo il suo viso poco distante dal mio. Il suo alito era così dolce che mi venne voglia di baciarlo.

“ Aster? Cosa c’è?” il mio tono era così candido che ne ebbi timore. Cosa era successo? Perché sentivo il pavimento sotto la schiena?

“ Reis,sei svenuta” sussurrò accarezzandomi il viso e io sorrisi.

“ Scusa”

“ E di cosa?”

“ Di averti spaventato” gemetti, stringendo gli occhi.

“ Reis!” le sue mani arrivarono fino alle spalle, scuotendomi con decisione.

Trattenni un conato di vomito. Il profumo di cera era troppo intenso per i miei gusti.

Permeava appiccicoso sul mio  vestito, nauseabondo e disgustoso.

“ Ti prego” lo supplicai sul punto di piangere “ Portami nella mia stanza non sopporto più questo odore”

Non capii di che odore stavo parlando, ma mi portò ugualmente in camera.

 

 

“ Buongiorno, mia signora. Dormito bene?”

“ Non ti avvicinare, Aras!”

Un paio di occhi neri mi scrutarono con odio.

 

 

Trascurai troppi segni, e prima che potessi fare qualcosa mi scoprii incinta.

Me ne accorsi mentre applicavo della crema d’aloe sull’ennesima gengiva infiammata.

Notai, all’improvviso, che il mio ciclo era spaventosamente in ritardo.

Fissai il mio riflesso, aprendo in fretta le ali laterali della specchiera, e scorsi solo un’ombra di vaga sorpresa sul mio volto addolcito dalla maternità.

Emisi un verso strozzato e mi lasciai cadere sullo gabellino. Il porta creme che avevo in mano cadde a terra e si ruppe in una caos di cocci profumati. Rimasi a fissarmi, carezzandomi sempre più febbrilmente il ventre gonfio.

Kuntal accorse, schioccando la lingua alla vista del disastro da pulire e andò a prendere degli stracci bagnati.

“ Signora, qual è la causa del vostro malessere?”

Sbirciai la figura oltre a me nel vetro.

Kuntal aveva un anno in meno di me, ma era molto più alta, con i lunghi capelli sempre raccolti in una treccia. L’unica persona più vicina ad una madre amorevole che avessi mai avuto dopo la morte della mia genitrice naturale.

“ L’ultimo consiglio si è svolto sei settimane fa?”

“ Sì,signora, perché?” rispose sorpresa.

Decisi di fidarmi di lei.

“ Perché da allora non ho più il ciclo”

Silenzio.

Boccheggiò una,due,tre volte, poi si accasciò a terra, stringendosi i capelli castani con violenza.

“ Un bambino??” gemette soffocata “ Il padrone mi ammazza se lo viene a sapere”

Scattai in piedi, afferrandole le mani in modo che smettesse di torturarsi.

“ Non lo saprà” mormorai inginocchiandomi davanti a lei “ Ma se fai così non mi sei di alcun aiuto”

Deglutì “ Mi scusi. Se posso permettermi, chi è il padre?”

“ Non è importante” ringhiai a bassa voce “ Non fare domande!”

“ Mi scusi”

“ Basta scusarsi. Trovami dei rimedi, Kuntal” sospirai “ Subito..”

 

 

 

Nessuno dei rimedi mi liberò del bambino, e Kuntal si rifiutò categoricamente di provare metodi più drastici.

Sarebbe finita in un mare di guai se ci avessero scoperto e abbandonai ogni tentativo.

Sapevo bene cosa mi sarebbe successo una volta nato il piccolo. Sarei stata marchiata come puttana e allontanata col figlio bastardo. Diseredata, portatrice di disonore.

Scoprii che non me ne importava niente. i miei titoli e privilegi sbiadivano quando sentivo il mio bambino dare segni di vita ed ero così commossa che mi mettevo a piangere per un nonnulla.

Naturalmente lo dissi ad Aster, due giorno dopo il mio ultimo tentativo di aborto.

Ma ciò che successe mi sconvolse nel profondo.

“ Aster” la sua pelle sulla mia profumava di mare, i suoi sospiri uniti ai miei si levavano alti nella stanza. Mi accarezzava in modo lento,dolce, dalle spalle fino al ventre e qui si fermò. Tastando la pelle tesa e gonfia. Anche al buio voltai la testa di lato, piena di vergogna.

Il seno mi era cresciuto troppo per non accorgersi dell’ineluttabile.

“ Sei incinta”  non era una domanda, ma io annuii lo stesso. Ebbi un fremito quando i suoi capelli mi sfiorarono la guancia.

“ Sì”

Si staccò da me e un attimo dopo sentii il materasso alzarsi.

Scattai seduta, scorgendo solo la sua schiena marmorea alla luce della luna. La pelle era così tesa che pareva sul punto di lacerarsi.

“È  un problema?” ansimai agitata e misi a carponi per raggiungerlo.

Presi una mano inerte fra le mie, carezzando il dorso freddo e teso come il ghiaccio.

“È  un problema?”

Lui non rispose, ma cadde seduto sul materasso. Subito gli avvolsi le spalle con le braccia, coprendogli la nuca di leggeri baci. Si irrigidì.

“ Ti prego,Aster” con la bocca attaccata alla sua pelle cercai di farlo ragionare. Mentre io crollavo verso il baratro.

“ Non è un dramma. Andrà tutto bene”

Ora so che cercavo di rassicurare me stessa.

“ Potremmo sposarci” non stavo zitta un attimo “ Mio padre acconsentirà pur di evitare lo scandalo, saremmo felici!”

“ Non voglio parlarne adesso” rispose infine e si sdraiò dandomi le spalle.

Non ebbi il coraggio di replicare. E per questo mi odio tutt’oggi.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Salve! Ho qualche problemino con il finale, ma mi mance poco intanto eccovi un altro capitolo. Aster sta diventando sempre più il mezzelfo che sarà conosciuto come il tiranno. Che farà?

Bene è aperta la nursery ^_^

 

Aster: Come lo chiameremo?

Reis: Ho già una magnifica idea!

A: Ah sì?

R:  Sì! Lo chiameremo Arcibaldo Clodoveo

A:  O_____________________________O”  ARCIBALDO CLODOVEO???  Ma dico sei impazzita??

R: sta zitto che è un nome bellissimo!!

A: Ma va la, chiamiamolo Merlino!

R : NO!
A:Sì!

R: NO!

A: Sì!

E giù botte.

Voi cosa ne dite? Suggerite un nome e portate un regalo al lattante ^_^ si accettano anche benedizioni da fate, creature dei boschi, elfi e sclerotici  non da streghe maligne che possono aspettare sedici anni per far pungere il dito con un fuso e causare morte apparente.

Grazie dell’attenzione ^_^

 

MonyPurpa

No, e neanche questo è il finale XD ho un po’ di difficoltà a intersecarlo bene. Ma sono contenta che ti piaccia ^_^

Sì ma povero Aster me lo trattate tutte male!! Non è un pervertito (forse un po’) è solo……. Un po’ maniaco,dai XDDDDD

Per quanto riguarda l’amuchina Oren (mo non mi ricordavo si chiamasse così..) ne avrà fatta una bella scorta.  Viva l’amuchina, e i posti più comodi dove farlo, vero Aster? Pervertito!

Aster: Io me ne vado  -_-

Grazie della recensione!!

 

Tawara

Come detto sopra. Povero Aster! Anche se è un pervertito gli voglio bene lo stesso XDDD

Sì è davvero molto frustrante, e ora mi trovo un po’ in difficoltà col finale, ma non demordo!

Grazie della recensione!!!

 

Nihal Darko

 

Anch’io voglio essere Reis!!! Aster vieni qui!!

Aster: Poi ero io il pervertito O_O

La figura di Reis me la sono immaginata pure io, povera gnoma che cosa ti faccio fare!!

E Aster sì aveva quattordici anni quando è entrato a far parte del Consiglio (prima come sostituto poi come membro effettivo mi pare) qui sono passati due anni. E ora è nei guai.

Grazie della recensione!!

 

RakyMatsuri 94

Per essere figo doveva esserlo ^^ peccato non aver approfondito la storia! Sono felice che ti piaccia, davvero. Come coppia piacciono un casino anche a me!

 

 

Ciao a tutti, a presto!!

 

 

 

 

 

 

 

Ritorna all'indice


Questa storia è archiviata su: EFP

/viewstory.php?sid=505402