Bevor etwas.

di Novelist Nemesi
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Uno. ***
Capitolo 2: *** Due. ***
Capitolo 3: *** Tre. ***
Capitolo 4: *** Quattro. ***
Capitolo 5: *** Cinque. ***
Capitolo 6: *** Sei. ***
Capitolo 7: *** Sette. ***
Capitolo 8: *** Otto. ***
Capitolo 9: *** Nove. ***
Capitolo 10: *** Dieci. ***
Capitolo 11: *** Undici. ***
Capitolo 12: *** Dodici. ***
Capitolo 13: *** Tredici. ***



Capitolo 1
*** Uno. ***


Uno.

Tutti conoscono Berlino. La capitale della Germania. Molti dicono “è un bel posto, ma non verrei mai a viverci”. Ci sono svariate ragioni; il cibo non è buono come quello italiano, il tempo non è bello come quello dei Carabi, i tedeschi non sono simpatici come gli spagnoli, o non sono galanti come i francesi, o sono più freddi degli inglesi. Ebbene; non è vero niente. la stragrande maggioranza parla perché non è mai stata all’Oktoberfest. Poi, c’è tedesco e tedesco. Ci sono i classici spilungoni biondi e occhi azzurri che si danno un sacco di arie e quelli bassi e mori che sono più ingenui. Si va da un estremo all’altro, il mondo in fondo è grande e Berlino non ha solo tremila abitanti.
Berlino offre di tutto. Locali, musei, arte, storia, buone scuole ed università. C’è lavoro per tutti e tutti conducevano una vita più o meno normale e tranquilla.
Una canzone italiana dice “c’è chi studia per l’esame all’università, chi si sposerà, chi ha il cuore spaccato a metà”*.
La persona che camminava per strada nel freddo invernale di Berlino era proprio iscritta all’università, con eccellenti risultati. Riusciva ad alternare perfettamente la vita sociale, gli amici, le passeggiate al parco, le birre, con lo studio e gli esami. I suoi amici dicevano che studiava troppo e che i libri lo sciupavano. Effettivamente, era molto pallido, con un espressione perennemente fiaccata e triste. Ma in verità era in ottima salute. Non era mai stato all’ospedale per malattie gravi.
Non lo faceva di certo apposta ad avere quell’espressione, che difficilmente cambiava. Era difficilissimo sorprenderlo o farlo ridere davvero di gusto. Sapeva sorridere, sì, ma grosse risate non le aveva mai fatte, anche con tutta la buona volontà. Per scherzare diceva che ridere troppo lo rendeva brutto. Cavolate che si dicono con gli amici. In realtà aveva le sue buone ragioni.
Ogni volte che usciva dall’università per tornare a casa doveva per forza attraversare il parco. Gli piaceva, soprattutto d’inverno. C’era aria di neve. Era il suo passatempo preferito mettersi le mani in tasca e camminare, a passo lento, guardando dritto davanti a sé, godendosi la brezza fredda sul viso mentre i pensieri volavano. Era come se si sfogasse silenziosamente con la natura e nessuno poteva disturbarlo.
Lui era uno di quei ragazzi che credevano che la vita era solo un insieme di coincidenze. Era tutto dovuto al caso, cose come il destino non esistevano. Non c’era scritto nulla nelle stelle, tantomeno si metteva a scriverle l’uomo. Il caso muoveva tutto, senza eccezione alcuna, illudendo con maestria l’uomo di renderlo capace addirittura di scegliere le proprie carte.
Il caso che gli si presentò quel giorno era una ragazza che, appostata sotto un albero, si guardava intorno come alla ricerca di un qualcosa che non arrivava.

Non voleva essere incluso in quella massa di menefreghisti. O semplicemente non riusciva a farsi i fatti suoi. Comunque, si avvicinò a quella ragazza chinandosi di poco.
« Posso aiutarti? » chiese con tono calmo e gentile.
A quella ragazza brillarono gli occhi dallo stupore. Sorrise, e col suo tono di voce alto disse. « Sì, grazie. »
Sembrava una ragazza della sua stessa età, quindi non servivano toni cortesi. Il ragazzo si chinò al suo fianco, scoprendo così cos’era successo; un animale ferito. Un animale piuttosto ambiguo, che non si vede tutti i giorni al parco, specie d’inverno e in pieno giorno.
« Dei bambini lo stavano torturando credendo che fosse una pignatta… »
Sembrava profondamente dispiaciuta.
Lui ignorò velocemente quel dettaglio e si dedicò all’animale, toccandolo con cura.
« Non è grave, per fortuna. Dovrà stare a riposo per un bel po’ di giorni. Basta solo levargli questo… » aprì bene l’ala dell’animale e, come se potessero capirsi, disse. « Farà un po’ male, eh. » tolse con un colpo secco un lungo ago che era rimasto incastrato, facendo schiamazzare l’animale, la ragazza, accanto a lui, si impaurì di poco, indietreggiando.
« Doveva fare un casino male! »
« Ora basta solo fasciarlo… Ma non ho delle bende a disposizione. »
« Va bene anche uno straccio qualunque? »
« Sì, basta un qualcosa che blocchi la fuoriuscita del sangue. »
La ragazza sorrise, con un’aria compiaciuta. « Ah, meno male! » si tolse velocemente il foulard leopardato che indossava e fasciò in men che non si dica l’ala del povero animale.
Il ragazzo la guardò sorpreso; lui non l’avrebbe mai fatto. Quella ragazza sembrava così menefreghista, come se i vestiti non fossero per nulla importanti. Insomma, dava l’aria di una che poteva benissimo uscire nuda o coi primi stracci che trovava. Guardandola sommariamente si accorse che portava un grosso blocco da disegno con sé. Artisti. Tutto si spiegava.
« Così va bene? » chiese poi. Il ragazzo si ridestò, annuendo. Entrambi si alzarono, lui con in braccio la bestiola.
« Grazie infinite! Se non fossi arrivato tu, questo pipistrello sarebbe morto! »
« Non era in pericolo di vita. Comunque, basta che riposi un po’, e potrà tornare a volare tranquillo. »
« Come sei preparato! » fece lei con un’aria sbigottita.
« Studio medicina. » rispose lui con calma, ma lei si sorprese ancora di più, stupendosi inutilmente.
« Ah, lo dicevo io che avevi un’aria troppo cervellotica! Tutto si spiega! Eccezionale, l’hai guarito subito! »
Aria troppo cervellotica. Tipico degli artisti.
In quel momento lui si sentì in dovere di riscattarsi del troppo cervellotico.
« Tu frequenti l’accademia? »
Lei annuì, cambiando subito espressione, mostrandosi quasi professionale, gongolandosi nel fatto che qualcuno aveva avuto la briga di accorgersene. Non che fosse difficile, con quel blocco da disegno formato A3.
« Da quest’anno. » allungò la mano, con un sorriso gentile. Nonostante le stranezze da artista, sapeva relazionarsi con gli altri. « Nike*. Piacere di conoscerti. »
Lui rispose alla stretta di mano, con una presa non troppo forte.  « Ulquiorra. Piacere mio. »
« Quindi, studi medicina? » non perdeva tempo per chiacchierare. Che tipo strano, ma Ulquiorra giustificava tutto col suo essere artista.
« Sì, mi sto specializzando come veterinario. »
« Devono piacerti molto gli animali, allora. »
« Aiutavo spesso mio nonno nel suo negozio di animali. E tu cosa studi…? » chiese con un certo imbarazzo.
« Oh, faccio un po’ di tutto, ma adoro dipingere. Per ora ho scelto scultura, pittura e scenografia. »
Quando la ragazza si accorgeva che si stava per creare un silenzio imbarazzante, cercava di coprire il tutto con un imbranato “e insomma…”. Ulquiorra, d’altra parte, non vedeva più nessuna ragione per restare a parlare con quella perfetta sconosciuta. Gli mise davanti il pipistrello, ma la ragazza, arrossendo e attorcigliandosi una ciocca dei capelli corvini, disse. « Un momento! Io non posso tenerlo! Non c’è spazio a casa e… »
« Non ha bisogno di spazio. Basta che di notte lo lasci libero per fargli mangiare qualcosa. »
« Se torno a casa con un pipistrello mi danno in pasto ai coyote! »
« Ma non c’è pericolo. Se gli fai fare qualche visita poi… »
« Mi dispiace, ma non posso proprio. »
Ulquiorra non insistette oltre. « Capisco. »

« Tu vivi da solo? » chiese Nike ingenuamente.
« Sì. » rispose. Lei non si mostrò sorpresa, come se si aspettasse una risposta simile. Artisti; decisamente incomprensibili per lui. Ulquiorra sospirò, ritraendo le braccia. « E va bene, lo terrò io finché non si riprende. »
Lei fece un piccolo salto. « Meraviglioso! Poi mi fai sapere come sta? »
« Uh… Okay… »
« Beeeeeenissimo! » afferrò la borsa e, dopo una lunga ricerca, tirò fuori un cellulare, di quelli appena usciti in commercio, ma pieno di graffi e con un pezzetto di scotch attaccato al coperchio. Per renderlo goffamente più carino, ci aveva attaccato sopra uno strap a forma di Pucca. Doveva essere particolarmente pasticciona, notò Ulquiorra. « Mi dai il tuo numero? »
Ulquiorra sembrò quasi cascare dalle nuvole. « … Eh? »
« Non credo che capiterà più di vedersi in certe circostanze. Così, almeno, mi fai sapere. Tanto non hai l’aria di essere un molestatore, e se pure facessi qualcosa, ti denuncerei per molestie in men che non si dica. »
Era un personaggio decisamente fuori dal comune, ma Ulquiorra cercò di non dare a vedere tutto il suo stupore. Era abile nel mascherare ciò che pensava realmente delle persone. Gli sembrò per un attimo di vivere in un sogno. Impossibile che al mondo esistesse davvero gente come lei. Si sentiva quasi un alieno. Gli artisti facevano quest’effetto.
Con calma, prese dalla tasca un foglietto. « Tieni, ti lascio il mio biglietto. » disse con tono quasi professionale. La ragazza lo afferrò, leggendo con difficoltà.
« Il marinaio Ulquiorra?* »
« Schiffer. » appuntò lui.
« Oh, ma certo. » disse lei con naturalezza, noncurante della figuraccia appena fatta. Poi diede un’occhiata all’orologio. Nonostante tutti avessero sostituito quell’aggeggio con il telefonino da un bel pezzo, lei portava ancora un elegante e piccolo orologio color oro. « Meglio che vada, se no chi la sente quella paranoica di mia madre? Allora siamo d’accordo così; fammi sapere come sta, okay? »
« D’accordo… »
Nike corse subito via, salutando il ragazzo con una mano. « Grazie ancora per l’aiuto! » disse, come se il pipistrello fosse sempre stato suo e non un randagio incrociato casualmente per strada.
Ulquiorra buttò poi lo sguardo sul pipistrello, che ricambiava con un’aria sofferente.
« Sei fortunato. » disse. « Varrà la pena darti un nome? »
Non ebbe il tempo di fermarsi a casa di qualche amico o in qualche locale. Non con un pipistrello. Qualche suo conoscente lo aveva visto e lui la buttò sul fatto che serviva ai suoi studi, come se dovesse mettere in chiaro subito che non aveva fatto il buon samaritano.
Appena arrivò a casa, avvolse l’animale con una copertina abbastanza vecchia, posandogli accanto un piattino d’acqua. Si buttò poi sul grande divano, in salotto, guardandosi intorno.
Viveva in quell’appartamento da quando aveva diciotto anni. appena finito il liceo, fece subito le valigie, e si trasferì a Berlino alla ricerca dell’indipendenza, dal paesello in provincia in cui viveva. Stava bene, aveva ottenuto ciò che voleva, l’università, un lavoro e una casa propria. Il cerchio di amici ce li aveva, anche se stava bene attento con loro. Non era solito aprirsi troppo o fare troppo confessioni, tant’è che nessuno sapeva nulla dei suoi parenti o di ciò che aveva fatto prima di arrivare a Berlino.
Era molto geloso delle sue cose, e per fortuna intorno a lui lo avevano capito.
Ora, però, era arrivata una certa Nike a mollargli un pipistrello. E doveva pure preoccuparsi di farle sapere. Che poi non sapeva come avrebbe fatto; le aveva lasciato il biglietto, ma non aveva il suo numero, e-mail, nulla. Ma in fondo non era un problema. Si ridestò dalla stanchezza della giornata grazie ai versi dell’animale.
« Te lo dico subito, chirottero*; a me piace il silenzio. Se vuoi vivere serenamente qui, farai meglio a stare zitto più tempo possibile. »
Il pipistrello, come se l’avesse davvero capito, tacque subito. Ulquiorra fece un piccolo sorriso compiaciuto. « Bravo. Credo che noi due andremo d’accordo. »
Dopo cena, accese per un po’ il computer, trovandosi una mail. Credendo di trovarsi di fronte alle ennesime promozioni di qualche fregatura, aprì svogliatamente la cartella, ma si trovò una sorpresa. Non sapeva dire se bella o brutta.

« Ciao, sono Nike. Non ho soldi per una chiamata, così ho pensato di mandarti una mail. L’indirizzo era scritto sul tuo biglietto. Comunque, il pipistrello come sta? »
Non perdeva tempo. Ulquiorra sbuffò, iniziando a premere velocemente sulla tastiera.
« Ciao. Non mi aspettavo una mail così presto da te. Ti avevo detto che ti avrei fatto sapere io. comunque il pipistrello sta bene. »
La risposta arrivò dopo neanche due minuti. Velocissima.
« Meno male, sono contenta! Grazie ancora per tutto. vieni a trovarmi all’accademia, qualche volta! »
Lo trattava come se fossero amici di vecchia data. Non temeva gli sconosciuti? Non si sentiva sfacciata?
Ulquiorra nemmeno rispose. Spense tutto, buttandosi poi sul letto, accendendo col telecomando lo stereo che a volume alto inondò la stanza di musica.

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* Gente che spera – Articolo 31 e Sud sound system.

* Nike in tedesco significa vittoria.

* Schiffer in tedesco significa marinaio.

 * I chirotteri sono un ordine di mammiferi placentati comunemente noti come pipistrelli. Visto com'è informato il nostro Ulquiorra? :B

Commento; come stavo dicendo, ecco il primo capitolo del frutto delle mie fantasie su Ulquiorra umano. Spero di rendere al meglio questa storia, senza trascurare ovviamente Possiedo un obiettivo, dunque vivo. Solo che quando ho un’idea ecco, la sviluppo subito.
Trattandosi di pure fantasie e di un AU, vi sembrerà che Ulquiorra possa andare un tantino OC… Anche se cercherò, come al solito, di rendere al meglio e il più fedelmente possibile il suo carattere.
Per quanto riguarda Nike, inizialmente l’avevo scritturata come una rozza artista, ma l’ho addolcita, cercando di renderla più eccentrica, come se vagasse sempre nel suo mondo. Ah, artisti. Finalmente un personaggio che disegna come me, con cui posso entrare davvero in sintonia. Non sto più nella pelle.
Ho scelto di intitolarlo in tedesco, visto che ho sempre pensato che Ulquiorra avesse quelle origini ( tra l’altro il cognome è tutto tedesco! ); significa prima del nulla. Perdonatemi, ma non ho sfornato nient’altro di abbastanza convincente. E non so se si dice proprio così, LOL.
Mi farebbe piacere leggere i vostri pareri; ero abbastanza indecisa se pubblicarla o no, ma alla fine vale la pena provare, no? (:

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Capitolo 2
*** Due. ***


Due.

Un pipistrello in casa.
Vantaggi: toglie di mezzo le zanzare e qualsiasi altro di tipo di moscerino fastidioso.
Svantaggi: lo senti schiamazzare ogni volta che va a farsi una svolazzata. Se svolazzata si poteva chiamare.
Ulquiorra era il tipo di persona che si lasciava innervosire facilmente dalle cose negative che la vita gli presentava ogni tanto. Per essere precisi, due volte su tre era di pessimo umore. E il pipistrello non aiutava di certo; volava a destra e a manca senza uno scopo preciso, in modo molto rozzo data l’ala rotta, andando ad appigliarsi pure ai capelli scombinati del padrone temporaneo. Il ragazzo lo cacciò via con un violento gesto della mano, alzandosi di scatto dal letto.
« Sono sveglio, diamine! »
In modo sbrigativo gli diede qualcosa da mangiare, per poi andare a prepararsi con calma per l’università. Almeno non aveva molto da fare lì; scocciature in meno.
Non aveva ancora fatto parola con nessuno del nuovo ospite volatile. Tanto che differenza avrebbe fatto raccontarlo in giro? E poi, stava già molto meglio; almeno si sforzava di volare per conto suo. Forse era il caso di procurargli una gabbietta, per evitare vasi rotti in casa.
Andare all’università ogni tanto lo rilassava. Quando finiva presto le lezioni, era solito appostarsi sotto una quercia, nel giardino immenso della grande università, a leggere un libro o immergersi nella musica con le cuffie che coprivano interamente le sue orecchie, già mezze nascoste dai capelli nerissimi. Respirava profondamente, anche una sola volta, ed entrava in trance. Gli unici momenti in cui poteva concederselo.
Non poté fare a meno di pensare a quell’artista di nome Nike. Lei poteva entrare nel suo mondo ogni volta che lo desiderava. Chissà come faceva.
E a proposito di lei, lo aveva invitato all’accademia, qualche volta. Lui non aveva idea di cosa ci andasse a fare, né per quale ragione valida dovesse vederla ancora. Il pipistrello, certo. La scusa più ridicola per incontrarsi con qualcuno. Si immaginava già una scenetta; i suoi amici che chiedevano ingenuamente “Ulquiorra, dove vai?”, e lui che rispondeva con voce ed espressione seria “Mi vedo con una ragazza per parlare di pipistrelli”. Persino Batman aveva argomentazioni più interessanti con le ragazze.
Non che gli importasse, comunque, ma si chiedeva come mai non ci trovava nulla da ridere.
Quando si decise di alzarsi per avviarsi verso casa, uscendo dall’università notò dei cartelli che indicavano le diverse facoltà. Tra queste, anche l’accademia di belle arti, pochi metri più avanti. Non era la prima volta che vedeva quei cartelli, ma ora era tutta un’altra cosa visto che sapeva che qualcuno che conosceva frequentava quel posto. In quel momento pensò solo che doveva essere una gabbia di matti.
Senza giungere a nessuna conclusione, dal momento che non gli importava, fece per girarsi ed andare per la sua strada. Ma qualcuno lo fermò. Ed era ancora lei.
« Ciao. » disse semplicemente Nike. A vederla sembrava indossare abiti abbastanza leggeri per il freddo invernale, mentre la faccia era tutta pasticciata dalle tempere. Non si vergognava ad andare in giro così?
« Ciao. » rispose lui con tono calmo. Lei iniziò a sorridere, scostandosi una ciocca di capelli colorati in malo modo dai colori. Doveva essere una che toccava spesso i propri capelli, che avevano un aspetto spinoso e di un nero lucente.
« Stavi andando a casa? » chiese Nike.
Ulquiorra annuì. « Oggi non avevo molto da fare. »
Anche Nike annuì, aggiungendo. « E immagino che voglia dare un occhiata al pipistrello, vero? »
Aveva un che di snervante parlare di quell’animale con lei. Lui rispose in modo sbrigativo di no, dicendo che stava già meglio. Una persona qualunque l’avrebbe preso per uno scortese, ma lei non fece nessuna espressione particolare, annuendo e basta. Restò in silenzio per un attimo, spostando lo sguardo verso la sua destra, meditabonda.
« Allora io vado. » disse Ulquiorra. « Porterò i tuoi saluti al pipistrello. »
« Allora non hai nulla da fare adesso? » chiese improvvisamente lei, bloccandolo ancora una volta. Fu la prima volta in cui il ragazzo aveva davvero paura a rispondere.
« … No. » e nel frattempo si diceva; non dirlo, non dirlo, non dirlo.
« Ti andrebbe di fare un giretto per l’accademia? Mi è venuta in mente una cosa. »

L’ha detto!
Ulquiorra mantenne la sua espressione calma di sempre, trovandosi quasi costretto a dire di sì. Gli occhi di quella ragazza avevano assunto un che di quasi severo, di minaccia, come se gli avesse detto che, in caso di rifiuto, l’avrebbe incenerito. E lui non voleva pesi inutili sulla coscienza.
L’accademia di belle arti di Berlino si presentava come un edificio dall’architettura rinascimentale, imponente e dalle murature candide, con la sola scritta dorata che sovrastava l’enorme portone in legno; Akademie der Künste in Berlin.*

All’interno c’era di tutto. nei corridoi, ogni due metri, c’era una scultura classica, poi un dipinto astratto, poi dei lavori degli studenti appesi alle pareti, poi delle vetrate colorate, poi degli arredi barocchi, poi gotici. La gran parte delle porte dell’edificio erano aperte e mostravano studenti intenti a ritrarre la natura morta dipingendo sul cavalletto, o a lavorare vasi, o a lavorare su tavoli obliqui con righelli e squadre, o realizzare vestiti. Diversa gente camminava lungo i corridoi, sempre con scartoffie in mano. Contrariamente a quanto pensava, non erano tutti come Nike. C’era chi si presentava in modo più ordinate e chi sembrava uscito da un frullatore. C’era chi aveva un colore di capelli assurdo e chi era rasato a zero. Poteva essere un bel posto. Ma perché Nike lo aveva portato lì?
« Perché mi hai condotto qui? Hai detto che ti era venuta in mente una cosa. » chiese Ulquiorra, in cerca di delucidazioni.
Nike sorrise, senza smettere di camminare. « Ti ho detto che amo dipingere? »
« Sì. »
« Ecco, noi per realizzare dipinti perfetti studiamo moltissima anatomia. E visto che sono al primo anno, ci fanno ancora realizzare ritratti basati su statue o modelli. Però quello che avevamo oggi si è dato malato all’ultimo, e mi hanno mandata in giro a cercarne di nuovi. Così… »
Ulquiorra non si fece nessuno scrupolo a fare marcia indietro. « Scusa, ho da fare. Dov’è l’uscita? »
Lei mise il broncio, seguendo poi un viso supplichevole, afferrandogli la manica della giacca verde chiaro indossata dal ragazzo. « Ti prego! Non posso tornare a mani vuote! »
Ulquiorra si mostrò impassibile, continuando a camminare, anche se si trascinava la ragazza dietro. Nessuno sembrò farci caso. Artisti.
« Non sono la persona più indicata per fare il modello. »
« E perché? Hai un bel fisico, magro e proporzionato. Tanto non devi fare altro che stare immobile. »
Pensa che divertimento.
« Non insistere. Ti ho già detto che non mi interessa. »
« Non dirmi che alla tua età ti vergogni. »
Come se lei fosse chissà quanto più vecchia. Comunque, Ulquiorra non ci stava a farsi mettere i piedi in testa così solo perché a una banda di pittori allo sbaraglio serviva un qualcuno da ritrarre.
« Non mi va l’idea di posare, tutto qua. »
Nike si parò davanti a lui, bloccandolo con fermezza. Il suo sguardo si fece deciso e serio, come se per lei fosse questione di vita o di morte. Al ragazzo scappò una piccola goccia di sudore.
« Senti, noi abbiamo bisogno di modelli. Non ti costa nulla. Devi solo metterti al centro di una sala, stare fermo e basta. Alla fine della lezione poi te ne vai. Durerà al massimo un paio d’ore. Te lo sto chiedendo come favore personale, ma se ti ostini a non accettare, allora ti denuncerò. »
« E perché? » chiese lui spalancando di poco gli occhi.
« Non ci metto niente a inventarmi qualcosa. Ad esempio, potrei dire che tieni in ostaggio il pipistrello. »
Era fermamente convinta di ciò che diceva. Decisamente; Ulquiorra era finito nelle grinfie di un’aliena che non aveva nulla di meglio da fare che scombussolargli la vita. E che si ostinava a non mollare la presa dai suoi gomiti, stringendoli convulsamente.
E gli occhi di quella ragazza gli incutevano quasi timore. Erano color nocciola, dalle pupille leggermente più dilatate del normale. Erano tondi e contornati da uno strato di matita e mascara a cui Ulquiorra non aveva fatto caso quando l’aveva conosciuta. Incrociarli gli diede l’impressione che quella ragazza sarebbe stata disposta a tutto per un disegno, per quello che amava fare. Inoltre, celavano qualcos’altro che Ulquiorra non sapeva dire. come se cercasse di nasconderlo, ma rimaneva uno spiraglio.
Conosceva bene quel tipo di sguardo, perché per un po’ lo aveva avuto anche lui. Ma aveva imparato da tempo a barricare ogni minima fessura, per evitare che qualcuno sbirciasse troppo nella sua interiorità.
Gli occhi sono lo specchio dell’anima. Ebbene, Ulquiorra non aveva la minima intenzione di far vedere la sua anima. Quella ragazza, invece, sembrava ancora inesperta su questo punto, o forse era semplicemente noncurante di farsi vedere in modi diversi dalla gente.
Ulquiorra infine sbuffò. « Solo per questa volta. »
Nike fece un enorme sorriso, afferrò il braccio del ragazzo e lo condusse a passo svelto in fondo al corridoio.
« Vieni, ti accompagno al camerino! Per coprirti puoi usare una delle coperte che trovi lì. »
Pessimo segno. Cosa intendeva per coprirsi?
« Ah, poi non ti preoccupare, non fa freddo. Abbiamo i riscaldamenti costantemente accesi. »
L’unica cosa a cui pensò Ulquiorra fu; questa è fuori.
Di nuovo fece marcia indietro, trascinandosi ancora una volta Nike che, senza la minima voglia di lasciarlo andare, aveva messo forza nelle gambe per portarlo dove voleva, col risultato che lui a passo lento si dirigeva verso l’uscita, mentre lei faceva un qualcosa di simile al moonwalk di Michael Jackson.
« Hai appena detto che accettavi. » disse lei.
« Non mi avevi detto che avrei dovuto posare nudo. » replicò lui, cercando il modo di levarsela di torno.
« Son dettagli. Guarda che non sei proprio nudo nudo nudo. Ti puoi coprire davanti con una coperta. »
« Questi dettagli mi infastidiscono. Non mi va di posare nudo. »
« Come sei innocente. Ti sei mai fatto la doccia con un amico? »
« Te lo chiedo giusto per curiosità; quanti uomini ci sono nel tuo corso di pittura? »
E Nike, con estrema naturalezza, rispose. « Solo il professore. »
Ulquiorra aumentò il passo, ma Nike non si decideva a staccarsi da lui. « Se ti può consolare, siamo solo dieci ragazze. »
« Fai spogliare il tuo professore. »
« Mica può girare nudo per correggere i nostri errori. »
« Non se ne parla. Per me il discorso finisce qui. Lasciami. »
Nike lo guardò in silenzio per un attimo, senza nessuna espressione particolare. Poi concluse con. « Oh, d’accordo. » mollò la presa, facendo perdere l’equilibrio al ragazzo che inciampò, cadendo a terra. Visto che nessuno sembrava averci fatto caso, si rialzò con più dignità, ripulendosi in fretta. Nike, però, si era di nuovo messa davanti a lui, guardandolo seriamente.
« Sai cos’è successo ad Adamo ed Eva dopo che hanno mangiato il frutto della conoscenza? Te lo dico io, si sono vergognati della loro nudità. La prima cosa che hanno fatto è stata di coprirsi. Ma non ti pare assurdo? Prima se ne vanno in giro allegri e nudi, e poi, dopo aver mangiato un misero frutto, si sono vergognati? Tu sei nato dal corpo di una donna che si è unita ad un uomo. Hai bevuto il latte aggrappandoti al seno di tua madre. Ti sarai anche visto qualche porno quando eri adolescente, e lì di donne nude ce ne sono a bizzeffe. »
Ulquiorra sviò velocemente lo sguardo. Che discorsi assurdi per convincerlo.
« Il mio si chiama semplicemente senso del pudore. » disse lui a tono basso.
Nike fu irremovibile. « Hai tatuaggi strani? »
« No. »
« Nei imbarazzanti? »
« No. »
« Malformazioni? »
« No. »
« Vedi? Sei normalissimo. Non c’è nulla di cui ti devi preoccupare. E poi noi saremmo troppo prese a disegnare per fare commenti osceni su di te. Ascolta. Il nudo all’accademia è fondamentale. Ti prego… »
Ulquiorra non capiva affatto il perché fosse così importante per lei, e a quanto sembrava per le sue compagne, trovare un modello. Una statua non andava forse bene?
Comunque decise di non risponderle, per farle capire che tanto non avrebbe accettato di posare nudo davanti a delle sconosciute. Voleva tornare a casa sua, nel pianeta Terra. Anche accanto a quel pipistrello malandato, purché andasse via da lì.
« Va bene, ti faccio un’offerta; puoi tenere la biancheria. »
« No. » ribadì convintissimo il ragazzo.
Lei lo guardò abbastanza male, ma poi sbuffò, aggrappandosi nuovamente alla sua giacca e chinando il capo, come umiliata. « E va bene. Ti faccio tenere i vestiti. Ma posa. Per favore. »
Fu un’esperienza decisamente fuori dal comune per Ulquiorra. In una grande sala, dieci ragazze erano appostate davanti un cavalletto con ogni materiale indispensabile per disegnare e dipingere. Nike gli aveva indicato la sua postazione, proprio al centro, circondato da quelle ragazze. Lo fece sedere su una piattaforma rettangolare e gli disse di mettersi come voleva, purché fosse visibile. Il professore, nonostante non avesse ottenuto il nudo che cercava, si era mostrato entusiasta di fronte alla presenza di Ulquiorra. Notando che il ragazzo era troppo rigido, lo modellò letteralmente come voleva lui, in una posa abbastanza difficile da ritrarre, persino Ulquiorra se ne era reso conto. Ecco, doveva restare immobile, ora, per chissà quanto tempo.
C’era un silenzio quasi spaventoso. Ulquiorra poteva vedere che ogni singola ragazza alternava gli occhi tra lui e il dipinto. Il resto non contava, non esisteva proprio. Soprattutto Nike. Lo guardava con un’intensità strana, come se con quegli occhi volesse scattargli una fotografia, tenere la fisionomia ben piantata in testa e disegnare senza il bisogno di voltarsi ancora.
Ulquiorra avrebbe voluto concludere tutto velocemente, era snervante essere osservati così. Chissà se poi lo stavano disegnando bene.
Dopo due ore poté andare. Le ragazze avevano tutte finito, tranne Nike che stava dando un ultimo ritocco. E non lo degnò di un saluto. Mentre il ragazzo usciva dalla sala, finalmente, sentì il professore chiedere di lasciare i lavori sulla cattedra. Ecco, la curiosità iniziava a premere. Insomma, aveva posato per loro, il minimo era vedere qualcosa, no?
Finse di camminare molto lentamente per aspettare che uscissero tutte quante, Nike e professore compresi. La ragazza gli sorrise e lo salutò.
« Grazie… » fece, arrossendo un po’. Lui ricambiò il saluto con un veloce gesto della mano e, non appena furono spariti tutti dalla sua vista, tornò indietro.
Erano dieci fogli in formato A3 appollaiati su una grande cattedra verde. Si guardò intorno furtivo, per assicurarsi che nessuno lo vedesse, e poi, sfiorando inizialmente con timore, sfogliò i lavori.
Da grande ignorante qual era in materia di disegno, non sapeva dare giudizi tecnici. Certo, erano brave. Solo un disegno trovò che facesse particolarmente schifo, gli aveva fatto una testa esageratamente grande, ma sorvolò. Anche perché non è che gli interessavano tutti.
Quando arrivò al lavoro di Nike perse qualche minuto a notare ogni singolo particolare.
Era… Bello, sì. Ma in nessun altro disegno c’era quell’attenzione ai particolari quasi maniacale. I capelli, ad esempio, era disegnata ogni singola ciocca, ciuffo ribelle, riflesso di luce. E gli occhi, le iridi accuratamente disegnate. Ogni singola vena che sporgeva dalle mani o dai polsi, ogni sfumatura per le più piccole ombre. Ulquiorra era ignorante, ma dovette riconoscere che era mostruosamente brava. Chissà se aveva usato davvero solo una matita per farlo.
Lo sguardo cadde poi verso il basso, dove c’era scritto il nome a caratteri piccoli e in stampatello; Nike Heinrich.* E sotto la sua firma, un insieme di ghirigori, secondo Ulquiorra.
Posò tutto con cura, lasciandolo come l’aveva trovato, e se ne tornò a casa, dove il pipistrello lo aspettava. A proposito, non gli aveva trovato ancora un nome, anche se a dire il vero non sapeva neanche se lo avrebbe tenuto.
« Vieni qua, conte Dracula; vediamo come sta l’ala. »
Andava molto meglio di quanto pensasse Ulquiorra. Non era così grave come pensava. Tanto meglio, se ne sarebbe liberato prima.
Mettendo in ordine si accorse poi di avere un oggetto che non gli apparteneva. Il foulard usato dalla ragazza per fasciare l’animale. Sporco di sangue. Lo rigirò più e più volte, come se dovesse rivelare qualche oggetto nascosto, ed infine, concluse, sospirando.
« Glielo riporterò domani all’accademia. Mettiamolo in lavatrice. »
Già s’immaginava la sua espressione; con occhi sognanti a ringraziarlo. Che strana ragazza. Decisamente la più strana che avesse incontrato. Ma bisognava capirla, era un’artista.
Mentre la lavatrice faceva il suo lavoro, Ulquiorra uscì nuovamente di casa per vedersi con qualche amico. Senza curarsi di fare una carezza o un qualcosa all’animale, che invece schiamazzò quando lo vide allontanarsi.

____________________________________________________________

* Accademia d’arte di Berlino.

* Si pronuncia Ainric.

@ Xazy: Ti ringrazio molto! Eh, avere un pipistrello a casa non è certo una passeggiata! xD

@ Ninive Shyal: Ma ciao! Come va? È da un po’ che non ci si sente. xD Come puoi vedere il chirotteri sta bene! xD Grazie per la recensione!

@ Lou Asakura: Ulquiorra artista? Oh, che strana visione… Sarebbe stato interessante, ma io l’ho sempre visto che uno più attaccato alla “razionalità” che all’ “arte”. Ma mai dire mai. (: Il pipistrello? Oh, ma in questa fan fiction punto di dare una spiegazione a molte cose del nostro amato Espada. A modo mio, ma vabbé. xD Tra Nike e Ulquiorra… Bè, staremo a vedere! ;) Grazie per la recensione!

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Capitolo 3
*** Tre. ***


Tre.

« Ulquiorra, tutto okay? »
« Uh? Sì, sì… Stavi dicendo? »
I suoi amici risero tutti in coro. Era raro sorprendere Ulquiorra, o trovarlo distratto. In quel momento erano tutti in un pub dove erano soliti andare, Ulquiorra e alcuni suoi amici, tra universitari e altri. Si facevano qualche birra e poi lasciavano scorrere tranquillamente la serata, parlando del più e del meno o andando da qualche altra parte. Senza macchina, ovvio, per due ragioni; se si beve non si può guidare. E poi a quei ragazzi piaceva camminare, anche se Ulquiorra rimaneva il più silenzioso di tutti.
« Non è che sei già ubriaco? » scherzò uno dei suoi amici.
Ulquiorra scosse la testa, dandogli una piccola spinta. « Smettila, deficiente, non ho neanche finito il primo boccale. Comunque, dicevi? »
« Che la stagione degli amori alla fine è arrivata anche per me. »
« Ma dai! » disse subito un altro amico. « E chi è la sciagurata a cui è toccato uno come te? »
L’amico rispose con una risata sarcastica. « Gnè, gnè, gnè, molto divertente! L’ho conosciuta su internet… Guarda, ho anche una sua foto! Figa, eh? » effettivamente la fotografia ritraeva una bella bionda, ma tutti lo smontarono subito, compreso Ulquiorra.
« Si starà facendo spacciare per un’altra persona. » disse infatti, tornando a dedicarsi al suo boccale.
« Che idiota! Scommetto che in realtà è uno scorfano tutto ciccia e brufoli! »
« No, vi assicuro che è lei! Ci ho parlato anche in webcam! E sembra più che disposta a un appuntamento… Ad approfondire la nostra conoscenza. Non so se mi spiego… » questo tizio, tutto gasato, fece l’occhiolino, e tutti quanti risero. Eccetto Ulquiorra, che trovò subito il pelo nell’uovo.
« Allora come mai sei ancora qui a fantasticare su di lei? »
« Ha ragione Ulquiorra. Scommetto che si è ritirata all’ultimo. »
« No, è che abita a Monaco. »
Tutti quanti gli diedero dell’idiota, mentre Ulquiorra, in silenzio, terminò la sua birra, asciugandosi la bocca con un fazzoletto, e orinandone un’altra.
« Non dite così! Ho già organizzato tutto. Adesso è troppo tardi per l’Oktoberfest, ma nulla mi vieta di farmi qualche week end laggiù, no? Tanto non è un viaggio così pesante. »
« No, infatti. Monaco è solo dall’altra parte della Germania, in fondo, che vuoi che sia? »
Il ragazzo cercò un appiglio, e lo trovò solo in Ulquiorra. « Dì a questi idioti che di fronte all’amore si può tutto. »
« Ah, okay. Di fronte all’amore si può tutto. »
« Non prendermi così alla lettera! È un pessimo difetto che hai! »
« Cosa vuoi sentirti dire da me? Se proprio ci tieni a vederla, vai. Io di certo non ti fermo. »
L’amico sbuffò, scolandosi in un sorso il terzo boccale di birra. « Non capite un accidente dei sentimenti! »
« Ma sentitelo! » lo canzonò subito un altro. « Come se tu fossi davvero innamorato! Tu sei innamorato di ciò che c’è nelle sue mutande, ammettilo! »
« Lo penso anch’io. »
« Ulquiorra! »
Ma il ragazzo ignorò i presenti, rivolgendosi nuovamente al barista. « Un’altra birra, per favore. »
Ben presto l’attenzione però andò proprio su di lui. « Oggi sembra che tu abbia la testa un po’ tra le nuvole, Ulquiorra. »
Ecco. Lo sapeva. Odiava questo modo fin troppo sfacciato delle persone di investigare nei suoi pensieri. Tanto non ci azzeccavano mai, ma finché non si rassegnavano era una cosa davvero frustrante. Cercava sempre di passarci sopra, erano suoi amici e alcuni anche un po’ sbronzi nonostante fossero appena al secondo o terzo boccale di birra.
« Va tutto bene. » in questi casi rispondeva sempre in questo modo. Un’ottima scappatoia. Ma spesso, anzi, quasi sempre, nessuno gli credeva.
« Non è che entrato qualcuno nella tua vita…? Dai, a noi ce lo puoi dire. »
« Col cavolo che ve lo dico. Vi ricordate cos’è successo l’ultima volta con Annabeth? »
Annabeth era una ragazza particolarmente sfortunata poiché gli amici di Ulquiorra l’avevano pescata da chissà quale rivista di ragazze alla disperata ricerca del fidanzato e avevano avuto la bellissima idea di presentargliela. Come uscita non successe nulla di nulla, Ulquiorra si mostrò paziente nei confronti di questa donna che, anche con tutta la buona volontà, non ne combinava una giusta. Per fare un esempio; salsa sui pantaloni, qualche problema di dislessia per via della timidezza, trucco eccessivamente pesante credendo di far colpo, mezz’ora a parlare di tutti gli ex fidanzati insultandoli.
Gli amici di Ulquiorra non avevano minimamente capito i suoi gusti. Ma poi, perché dovevano improvvisarsi agenti matrimoniali?
La faccenda si concluse con un Ulquiorra che ce la mise tutta per mostrarsi distaccato e freddo, ma questa Annabeth voleva comunque uscire nuovamente con lui e lo tartassava di telefonate e messaggi, informazioni date dagli amici che credevano di fare cosa buona e giusta. Così il ragazzo si trovò costretto a spegnere il telefono per giorni ritrovandosi quasi venti chiamate al giorno, o di non farsi trovare per nessun motivo su internet evitando di rispondere alle mail.
La cosa peggiore fu la scusa inventata sempre da questi amici per risolvere tutto. dissero ad Annabeth che Ulquiorra era stato promesso sposo ad un’altra ragazza ricchissima, bellissima, e tanti altri superlativi, e che Ulquiorra, per non urtare la sua sensibilità, aveva preferito sparire senza dirle nulla. Nessuno ci avrebbe creduto, ma quell’Annabeth sì, convinta più che mai delle sue buone intenzioni.
Insomma, accadde di tutto, quando i suoi amici dovevano semplicemente farsi i fatti loro. Bè, almeno erano pieni di vitalità.
« Ehi, abbiamo imparato la lezione! » risposero tutti in coro. « Comunque dai, si è capito che qualcuna c’è. »
Ulquiorra si trovò costretto a confessare. « In effetti sì. È una presenza un po’ ingombrante a dire il vero, visto che non sta un attimo ferma. »
« Oh, e chi è? Chi è? È figa? »
« E’ un pipistrello, cretino. »
La serata si concluse con due persone completamente stravolte dopo dieci boccali di birra, per cercare di battere record assurdi. Uno era anche arrivato a dodici. Ulquiorra aiutava uno dei due a stare in piedi, offrendosi di accompagnarlo a casa, visto che era di strada. Il resto della compagnia stava tutto sommato bene. Persino Ulquiorra aveva un leggero giramento di testa, dopo sei birre. Sperò almeno che nessuno gli vomitasse addosso.
Quello che stava messo peggio era proprio l’innamorato della bionda di Monaco.
« Le farò una dichiarazione coi fiocchi! » gridò in mezzo alla strada. « La farò commuovere così tanto… Così tanto che quelle gambe le allargherà per forza! Vero, Ulquiorra? Vero? Vero? »
In questi momenti il ragazzo assecondava tutti, purché non gli rompessero troppo le scatole. « Sì, sì. Però non urlare, è l’una di notte e così fai svegliare la gente. No… No! Non metterti a peso morto! Guarda che io non ti trascino! »
Ma il suo amico non gli diede retta, indicando un gruppetto di ragazzi dall’altra parte della strada, appostati davanti al supermercato chiuso. Sembrava che stessero fumando, chi una canna e chi normali sigarette.
« Guarda che bellezze in quel gruppetto… E se lasciassi perdere la bavarese e provassi con loro? »
« Quando avrai la forza di collegare cervello e bocca, e non testicoli e bocca. Non indicarli, potrebbero pensare male. »
Come al solito ignorò anche quel consiglio, alzando la voce e allungando la mano verso le ragazze.
« Guarda quella, poi! È anche meglio di quella stupida puttana di Monaco. E poi le more sono proprio il mio tipo. Guardala… E’ così alta… »
« Vedi doppio? Sarà sul metro e sessanta. » nel frattempo i suoi amici, vedendo la gravità della situazione dell’amico, si fermarono a fargli prendere aria. In casi come questi bastava ficcargli due dita in gola, quello vomitava tutte le birre e ciò che si era mangiato nel giro di tre giorni, si addormentava e a qualcuno toccava portarlo a casa portandolo sulle spalle. E spesso, casualmente, quel qualcuno era Ulquiorra.
La cosa snervante fu che anche gli altri restarono a guardare le ragazze di quel gruppetto. Di maschi ce n’erano pochi e si mostravano indifferenti, come le ragazze, a parte la mora che aveva sentito i commenti e si sentiva tremendamente a disagio. La sua amica, anche lei dai capelli scurissimi e coperti da un cappello verde militare, la tranquillizzava offrendole un’altra sigaretta.
E fu lì che Ulquiorra riconobbe la ragazza nascosta dal cappello e dal cappotto invernale nero. E pensò di star facendo la peggiore figura di merda che avesse potuto fare.
Nike sembrò non far caso alla presenza di tutti. Pensava solo alla sua amica, troppo timida e impaurita da quelle situazioni perché potesse affrontarle da sola. A lei era gi capitato; ormai non si poteva andare da nessuna parte senza essere adocchiate e fischiettate, anche se eri un mostro, purché fossi femmina.
Anche se era dall’altra parte della strada, Ulquiorra riuscì a sentire cosa stava dicendo la ragazza. Anzi, lei sembrò aver alzato la voce apposta.
« Stà tranquilla. Guarda, ci sono io, ci siamo tutti. Quello là è troppo stupido e ubriaco per reggere un calcio sui suoi gioiellini. Ora ci facciamo un’altra sigaretta e ti accompagno a casa, okay? Anzi, fermati a dormire a casa mia, è più vicina. Dai, lascia perdere quel coglione. »
Non che avesse torto. E lui sembrava talmente messo male da non capire neanche la frecciatina.
Ulquiorra pensò che poteva bastare. Quella pagliacciata doveva finire, prima che Nike potesse accorgersi di lui. Come se gli desse fastidio il fatto che Nike lo vedesse in compagnia di certa gente.
La ragazza però in quel momento si voltò, proprio quando Ulquiorra si stava trascinando via l’amico dicendo agli altri. « Ragazzi, andiamo a farlo stendere. Non voglio rischiare di ritrovarmi la giacca sporca di vomito. »
« Ulquiorra, quella ragazza non ti sta salutando? »
In effetti Nike stava facendo un piccolo gesto con la mano, facendo seguire un sorriso gentile e tranquillo, ma Ulquiorra fu gelido, sviando il tutto.
« No, non è nessuno. Andiamo. »
Il giorno dopo Ulquiorra si diresse verso l’università, con dei libri e il foulard di Nike. Non voleva andare a ridarglielo subito. Si mise sotto la “sua” quercia -ormai si era creato un vero e proprio senso di appartenenza per quell’albero- e si mise a leggere il primo libro che pesco dalla tracolla. Dopo un paio di pagine, però, richiuse tutto. non era abbastanza concentrato.
E alla fine dovette ammetterlo; si sentiva in dovere di chiedere scusa a Nike per il comportamento del suo amico. Magari se la sarebbe cavata dicendo che non era in sé, o che quella tipa di Monaco lo aveva rifiutato.
Valeva la pena tentare. Tanto restando lì non avrebbe concluso nulla.
In una situazione normale non sarebbe mai rientrato all’accademia spontaneamente. Ma quella non era una situazione normale. No?
Tornò nell’aula dell’altra volta, ma era vuota. Forse gli studenti giravano. E lui non aveva la minima voglia di girare per tutto il palazzo, anche perché aveva notato un mucchio di rampe di scale e neanche l’ombra di un fottuto ascensore.
Salì al primo piano, ma era come cercare un ago in un pagliaio. Quando gli tornò in mente che lei gli aveva detto che frequentava pittura, scultura e scenografia. Dai, forse non ci avrebbe messo poi così tanto.
Fermò uno studente a caso chiedendogli quale fosse l’aula di scultura.
Si trovava in quel piano, ma non fu come l’altra volta; la porta era chiusa. Quindi, doveva anche bussare. E non ne aveva la minima voglia. Voleva far cessare all’istante quell’incubo.
E magari non era nemmeno lì. Meglio andare a cercare scenografia. Due piani di sopra. Ma non si stancavano gli studenti, là dentro, dopo circa ottanta gradini?
Fortunatamente qualcuno volle premiare Ulquiorra, dall’alto. Sorprese Nike proprio per le scale. Lei era vestita di tutto punto con una gonna e degli scaldamuscoli, con diverse magliette sovrapposte e tanti, tanti bracciali. Sembrava appena uscita da un fumetto. Per non parlare della sciarpa che le copriva metà viso. Ma lì non avevano i riscaldamenti costantemente accesi?
Lei restò un po’ sorpresa. Quando inquadrò bene chi fosse, si tolse la sciarpa e sorrise.
« Ciao. Che sorpresa! »
Ulquiorra tirò subito fuori il foulard della ragazza, porgendoglielo, tutto pulito e profumato.
« Sono passato per riportarti questo. »
Nike lo afferrò, con assoluta tranquillità, notando con un sorriso che era pulito, stirato e profumato. Eppure, qualcosa fece raggelare il sangue al ragazzo. « Non credevo te ne saresti ricordato… Sai com’è, io non sono nessuno. »
L’aveva sentito. E subito Ulquiorra si sentì in dovere di giustificarsi. Che termine brutto; giustificare.
« Posso spiegare. »
Ma Nike lo sorprese ancora. « Non l’hai detto con cattiveria? Il tuo amico non era in sé? Ha iniziato a sparare a zero sulla mia migliore amica perché è stato rifiutato da una di Monaco? »
Ulquiorra pensò solo questo; mostruoso.
Ma la ragazza rise. « Quel tuo amico urlava così tanto che praticamente tutta Berlino ha sentito che vorrebbe farsi questa di Monaco. E comunque, non c’è bisogno che ti giustifichi. Non è stata colpa tua. Anzi, grazie per averlo portato via. Ma non ti senti in imbarazzo con loro? »
Salvato. Ulquiorra poté tirare un sospiro di sollievo. Non riuscì a rispondere a quella domanda, però, dato che non sapeva cosa dire. secondo lui non era sufficiente dire solo che erano suoi amici. Ma per fortuna la ragazza sorvolò anche su quello, guardando il foulard.
« Sei stato gentile a riportarmelo. E anche a lavarlo. Anche se… Penso che al pipistrello doni di più. a proposito, come si chiama? »
« Non ho minimamente pensato a un nome. Anzi, sta già meglio, potrei già lasciarlo libero. »
« Davvero? Bé, ma tienilo già che ci sei. Così ti senti meno solo. »
« Chi ha mai detto che mi sento solo? »
« Vorresti dire che ti diverti? »
« Lasciamo perdere. Comunque, appena sarà in grado di volare come prima lo lascerò andare. »
Nike sospirò, arrotolando la stoffa e mettendosela in tasca. Vedendo che non entrava, la sistemò come una cintura. Riprese poi a parlare. « Sai, in realtà sono piuttosto incavolata per quel che è successo stanotte. Insomma, con tutte le scuse che potevi inventare, dovevi dire che non ero nessuno? Non si fa, sai? »
Ulquiorra nella sua mente cominciò a farsi mille film mentali. Ecco, ora gli faceva una ramanzina interminabile. Oppure lo minacciava ancora di denuncia.
« Nike. » disse con calma. « Ti chiedo scusa. Più di questo che posso fare? »
« Sei disposto a qualunque cosa per farti perdonare? »
Il ragazzo l’anticipò. « Non poso nudo. »
« A quello ci ho rinunciato, tranquillo. Quello che voglio è che tu non faccia più finta di niente quando mi incroci per strada. Sono così vergognosa? Sono brutta? »
Decisamente, era una ragazza molto eccentrica. Non era arrabbiata, si capiva dall’atteggiamento, ma allora perché imponeva cose del genere?
« Okay, Nike. » disse infine Ulquiorra accennando un sorriso di circostanza. « Dopotutto il ciao non si nega a nessuno. »
Sulla ragazza si stampò un enorme sorriso. Come se fosse veramente felice. Come se cambiasse qualcosa il farsi o non farsi salutare da lui.
« Allora io vado. » fece Ulquiorra iniziando a scendere. Ora che la sua missione era finita, era finalmente libero di andarsene. « Ci vediamo domani da queste parti. » sperò che lei non ci vedesse chissà quali messaggi nascosti.
Ma con tranquillità rispose. « Domani devo andare ad una mostra. Non è che abbia tutta questa voglia, ma mi tocca. Ci vediamo un’altra volta. Grazie ancora per il foulard. »
In certe cose dimostrava di essere molto concreta. Meno male, niente castelli per aria. Altro che Annabeth, pensò Ulquiorra. Forse era lui che aveva pensato troppo male su quell’eccentrica artista.
Quando arrivò davanti al portone, notò che stavano attaccando un cartellone con dello scotch su una mostra che avrebbero tenuto nei prossimi tre giorni. Un pittore che non aveva mai sentito nominare, ma era affiancato ad altri quali Klimt e Schiele.
Probabilmente era quella a cui andava anche Nike. Il nome del terzo artista, scritto a caratteri cubitali, era Stanisl Heinrich. Sembrava essere una mostra di commemorazione per questo artista scomparso decenni prima che durante la sua carriera non venne mai preso granché in considerazione.
Un momento.
Heinrich? Non era anche il cognome di Nike? Ciò avrebbe spiegato da chi aveva preso l’amore per l’arte.
Ulquiorra buttò l’occhio sulle date di nascita e morte. Quest’uomo morì molto giovane, a trentasette anni, e facendo dei rapidi calcoli, supponendo che Nike era al primo anno e quindi diciottenne o diciannovenne… Doveva avere dieci anni quando suo padre morì. Sempre se era davvero suo padre. In fondo Heinrich non era un cognome raro.
Non era carino andare a chiederlo. E nemmeno andare a quella mostra solo per saperne di più.
Ma Ulquiorra quella volta decise di fare di testa sua. Ci sarebbe andato anche per vedere che razza di dipinti faceva, questo Stanisl Heinrich. Tanto, con tutta la gente che ci sarebbe stata, non avrebbe incrociato Nike così facilmente.

E poi, sono liberissimo di farmi un giro dove voglio, si disse in testa.
Per sicurezza andò in biblioteca a sfogliarsi dei libri di storia dell’arte. Meglio non andarci del tutto impreparati, non si sa mai.

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@ Ninive: Non so ancora esattamente che sviluppi dare fino alla fine… Mi sarò fatta un’immagine per circa altri tre o quattro capitoli. Ma sarebbe una bugia se dicessi che questa storia finirà in qualcosa di felice, perché, come hai detto tu, Ulquiorra è un hollow, e quindi è per forza morto. In questa fan fiction sto cercando di dare libero sfogo alla mia fantasia pensando a come e perché è sia morto, e magari descrivere brevemente qualcosa sui suoi primi passi da hollow… Perché non credo che da un giorno all’altro sia diventato l’espada che conosciamo tutti. ;) Quindi, spero che vorrete leggere fino alla fine i frutti della mia mente perversa, LOL.

@ Xazy: Come direbbe Ulquiorra; artisti, tutto si spiega. xD

@ helionor 95: Già, è difficilissimo gestirlo, ma se la storia piace non posso che esserne contenta. ^^ Grazie!

@ Lou: Ulquiorra e il suo stupido senso del pudore! xD Mi piace l’idea di tua sorella, me lo sono immaginato Ulquiorra per i fatti suoi a disegnare e devo dire che non sta tanto male. *v* Mi sono sbizzarrita all’accademia, purtroppo nemmeno io ho frequentato posti del genere. ( se penso al mio primo anno all’istituto d’arte mi ritornano i brividi! ) Sono contenta che ti piaccia la storia. ^^

Grazie a tutti, al prossimo capitolo!

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Capitolo 4
*** Quattro. ***


Quattro.

Per un momento Ulquiorra si sentì un agente segreto. Si muoveva in mezzo alla folla con fare furtivo, come se non volesse essere visto da Nike. E in parte era vero; se lo avesse incontrato anche lì, lo avrebbe preso per un persecutore. Ci sarebbe andato volentieri nei prossimi due giorni, ma aveva da fare, per sua sfortuna.
Comunque di gente ce n’era parecchia. Non se l’aspettava. Forse non erano venuti tutti solo per quel tale Stanisl, ma anche per Klimt. Anzi, lui sicuramente attirava molta più gente. Tranne Ulquiorra.
Cercò scrupolosamente ogni quadro di quel pittore, constatando che con lo stile di Nike non c’entrava nulla. I soggetti ritratti erano esageratamente alti, a suo dire. e i colori erano troppo accesi. Gli venne da pensare che solo uno squilibrato poteva dipingere cose simili.
L’unico che sembrava più decente degli altri era enorme, alto due metri e largo tre, intitolato Sieg
über den tod. * I colori erano più tenui, a dominare era un lilla e il rosa candido dei soggetti. Era una madre, in un letto, che con un aria stanca teneva in braccio un neonato, difficile dire se maschio o femmina. Lo porgeva verso l’alto, verso una finestrella con le sbarre che faceva entrare piccoli spiragli di luce. E al lato, quasi a volersi nascondere, un uomo vestito come un contadino che cercava di afferrare il neonato. Erano tutti comunque troppo alti, tranne il bambino, che aveva una forma tondeggiante e con dei grandissimi occhi, uno verde e uno castano.
Palese cosa volesse comunicare. Forse anche per quello Ulquiorra si convinse a fissarlo più a lungo, sedendosi sulla panchina davanti appena liberata. In un secondo momento si accorse che degli studenti delle elementari, accompagnati da una giovane maestra, si erano appostati davanti, sedendosi per terra, in silenzio, e ascoltando diligentemente la docente.

« Questo è il quadro più grande dell’artista Stanisl Heinrich, due metri per tre, che segna l’inizio di un nuovo periodo della sua vita, detto “calma apparente”. Come vedete l’artista non perde il vizio di ritrarre personaggi inverosimili, che sviluppano molto in altezza per simboleggiare l’alto e nel caso dei suoi dipinti la dignità. Più i soggetti sono alti, più sono dignitosi, secondo l’autore. »
Ulquiorra non ci aveva fatto minimamente caso. Effettivamente qualcuno basso nei ritratti c’era, ma non ci aveva visto nessun messaggio nascosto. Continuò ad ascoltare quella lezione, come se facesse parte della classe.
« In questo quadro Heinrich abbandona la tendenza al movimento dei fauves, optando per colori più tenui molto più adatti al momento ritratto, la nascita di un bambino. La madre lo tende verso l’alto per sottolineare la vittoria sulla morte con una nascita. Una nuova vita. Non si conosce bene l’origine di questo dipinto, si dice che l’abbia realizzato per un amico che, avendo perso già una figlia in passato, ebbe la fortuna di avere un secondo erede. Dopo questo quadro seguirono altri cinque dipinti di piccole dimensioni, scelte dall’autore tra centinaia e centinaia di lavori, che furono esposti in diverse sale senza riscuotere successo, criticati sempre per le provocazioni e la mancanza di una vera tecnica. successivamente, come sapete, Heinrich morì suicida, disperato per i continui insuccessi, gettandosi dal terrazzo della sua casa in campagna, dove si era rifugiato. Ora, se vedete bene lo sfondo, noterete… »
In un certo senso Ulquiorra se l’aspettava che fosse morto suicida. E non poteva certo biasimarlo; quando a qualcuno non viene riconosciuto il proprio valore, nasce inevitabilmente l’insoddisfazione e, nei casi peggiori, la depressione. Inoltre cominciò a capire che guadagnarsi da vivere dipingendo e basta era una fortuna che pochi si potevano permettere, veri geni come Picasso, o Dalì.
Certo, era un peccato, a vedere quel quadro. Se qualcuno avesse voluto acquistarlo quando era in vita, avrebbe potuto vivere di rendita, chissà quanto valeva ora.
Se Nike l’avesse visto lì avrebbe potuto pensare che fosse un maniaco, persecutore, odioso corteggiatore molesto, anche se non era nulla di tutto ciò. O forse in fondo no. Dopotutto, aveva già dato prova della sua eccentricità, magari avrebbe esclamato contenta “accipicchia, che coincidenza!”. Coincidenze, certo. Ulquiorra notò che le coincidenze che facevano incrociare la sua vita con quella di Nike stavano diventando troppe per poter essere vere. Lui non credeva affatto a cose come il destino, ma di fronte a certe cose chiunque si spaventerebbe. Prima il pipistrello, poi l’università, poi la migliore amica, infine la mostra. L’ultima se la poteva risparmiare. Nessuno gli aveva puntato la pistola alla tempia costringendolo a venire lì per vedere i quadri di uno sconosciuto.
Si accorse di avere una strana sensazione nel pensare a lei. Senza rancori o sbuffamenti vari. L’unica cosa che provava era imbarazzo. Ansia, per meglio dire, di essere visto lì. Aveva quasi paura di una sua eventuale rabbia. Le coincidenze della vita lo avevano portato ad avere timore delle conseguenze delle sue azioni, quando fino a ieri era sicurissimo di tutto.
Di certo, questo agli amici non lo avrebbe mai raccontato. Erano solo coincidenze.
Che gli stavano dando decisamente il tormento. Ciliegina sulla torta, quando si voltò per vedere chi si era seduto accanto a lui gli venne quasi un infarto.
Di nuovo lei. Che sorrideva come al solito. Che teneva in mano un blocco da disegni in formato A3. Che non gli chiese nulla, girandosi verso il quadro, trasformando quel sorriso gentile, in un sorriso amaro.
« Non è vero che l’ha realizzato per l’amico. » iniziò a dire. ulquiorra ebbe un sussulto. Si accorse che il cuore gli batteva all’impazzata, in preda all’ansia. Si sarebbe arrabbiata? Era il principio di una sfuriata?
Dicono che non c’è peggior cattivo di un buono che diventa cattivo. Nike sembrava quel tipo di persona.
« L’ha fatto in occasione della nascita di sua figlia. Diciamo che era un regalo per lei. »
« Capisco. » disse lui, cercando di mostrarsi calmo.
« Per il resto hanno detto cose giuste. La simbologia nell’altezza e il resto. Però da nessuna parte spiegano il perché degli occhi della bambina. Ebbene; l’artista detestava mischiare i colori, trovava che rendessero le opere sporche. Inoltre, non era affatto un esperto nel mischiare i colori. »
Per sapere tutte queste cose doveva essere per forza sua figlia. Voleva assolutamente levarsi quella curiosità, in fondo era venuto fin lì per quello, ma non era proprio il massimo dire “ma allora questo tizio era tuo padre?”, con la stessa facilità con cui si chiede l’ora.
Ma Nike aveva una sorta di abilità; anticipare tutti. Ulquiorra aveva notato che spesso, senza che le si chiedeva nulla, diceva le cose che ti chiedevi esattamente in testa in quel preciso istante. Stregoneria o la classica e, passando il termine, botta di culo?
« Era mio padre. » disse con tono piatto. Poi si voltò verso il ragazzo, con un espressione gentile e il sorriso amaro. « Avevo undici anni ed ero a scuola quando si è buttato di sotto. Nessuna lettera di addio. Solo i suoi dipinti. Quando mia madre venne a prendermi a scuola, mi disse senza mezzi termini “tuo padre è morto perché perdeva troppo tempo a fare scarabocchi”. »
Brutale. E Ulquiorra non nascose quell’appunto. Ma Nike rise. Come se ne fosse quasi estranea.
« Pensava che forse, dicendomi subito una cosa del genere, avrei abbandonato il disegno. Io disegno da quando sono nata. Mio padre me l’ha insegnato. Mi ha insegnato ad amare una matita e a non essere gelosa nel vederla fare l’amore con un foglio. Perché conducevo tutto io. Per mio padre disegnare non era altro che una ménage-à-trois e, nel caso si usavano le tempere, un’orgia. Era un tipo molto strano, ma a me piaceva. Lui amava profondamente l’arte. Proprio quando stavano riconoscendo i suoi meriti, si è suicidato. Non è vero che era caduto in depressione per gli insuccessi. Dopo che acquistarono i primi quadri, volle sempre di più, voleva superare sé stesso. Morì per l’ossessione. »
Quando si sentono storie simili, cosa si potrebbe fare, se non dare un abbraccio? Ulquiorra non lo fece. Si comportò come i miliardi di altre persone.
« Mi dispiace. »
Che buffo; per quanto la morte sia una costante della via umana, per quanto ci si imbatta così spesso, l’uomo non riesce mai a trovare il modo giusto per affrontarla. Né a parole, né a gesti.
Ulquiorra non sarebbe mai riuscito a capire come quella ragazza potesse sorridere nonostante tutto. sorrisi di circostanza, falsi, certo, ma li faceva. Quando qualcun altro l’avrebbe preso a schiaffi.
« Che discorso tetro! » disse alzandosi, quasi imbarazzata. « Ero venuta qui per Klimt, con le ragazze del mio corso… Ma ci siamo perse di vista. Non ho soldi per chiamarle al cellulare, e immagino che ormai se ne siano andati tutti… Accidenti, mai fermarsi a disegnare, si perde la cognizione del tempo! »
Certo che chiacchierava quando era in imbarazzo. Cercava di coprire in modo scandalosamente goffo la tristezza nel ricordare suo padre e l’imbarazzo di aver parlato di cose così intime ad un conoscente.
Ulquiorra, forse per farsi perdonare dell’indelicatezza di prima, si alzò dal posto. Sorridendole.
« Posso offrirmi volontario per scortarti a casa? »
Lei ci restò di stucco. « Veramente?! »
« Purtroppo per te mi hanno inculcato fino al midollo le buone maniere. Ed è dovere dell’uomo scortare le ragazze a casa. Se ti va, puoi usare il mio cellulare per chiamare le tue compagne. Appena siamo fuori e prende, te lo presto. »
Nike si commosse. « Oh, quanta gentilezza! Tu sì che sei un bravo figliolo! Comunque, mi spiace, ma se non hai un cavallo bianco non sei proprio per me. »
Ulquiorra fece sostituire il sorriso con un espressione sbigottita e quasi delusa, mentre la ragazza rise a crepapelle di fronte a quella faccia, dicendo che scherzava.
« Accetto di buon grado, invece! Grazie mille! Così ne approfittiamo per fare un po’ di conversazione. Mi devi raccontare un sacco di cose sul pipistrello. »
Già. Ora che Ulquiorra ci pensava, aveva conosciuto quella ragazza grazie a un pipistrello. Semplicemente assurdo.
All’uscita del museo, Nike chiamò le sue amiche. Alcune erano ancora dentro, altre a casa, ma le dissero di non preoccuparsi e di andare, visto che anche loro stavano andando via.
« Bene. » disse Ulquiorra mentre rimetteva il telefono in tasca. « Da che parte è casa tua? »
« Ma come, vuoi già portarmi a casa? È solo mezzogiorno, facciamoci un giro, prendiamocela con calma. Andiamo al McDonald, che ne so. » fece Nike prendendolo sotto braccio. Ulquiorra si irrigidì un po’ davanti a quel gesto, e la ragazza se ne accorse, staccandosi subito. Nessuno si aspettava certi atteggiamenti dall’altro.
La tranquillità con cui l’artista rispondeva alle reazioni di lui sembravano un rimprovero e una sfida allo stesso tempo. Tant’è che Ulquiorra, per non dargliela vinta, le pose il braccio.
« D’accordo, hai vinto. McDonald? »
Nike si rimise di nuovo sottobraccio, sorridendo ingenuamente. « Sì, ho voglia di mangiare schifezze oggi. A te che piace mangiare? »
Ulquiorra non se l’aspettava di certo, ma per tutte e due le ore in cui si fermarono al McDonald e andarono in giro a Berlino, parlarono di tutto, senza lasciarsi nemmeno un secondo di silenzio imbarazzante o cosa. Iniziava una discussione su come venivano fatte le patatine in quel famoso fast food, poi se era vero che la coca cola gonfiava, poi perché la gente ha quei determinati pregiudizi sui tedeschi, poi come faceva certa gente ad andare in giro coi pantaloni sotto il sedere senza provare fastidio o imbarazzo. Insomma, di tutto. E fu anche divertente, per Ulquiorra. Nessun incontro programmato con gli amici, niente salsa sui pantaloni, e soprattutto niente discorsi sugli ex. Ebbero addirittura il coraggio di parlare di sesso tra loro.
« Sai che sentito dire che la spuma bianca del mare sarebbe in realtà lo sperma delle balene? »
« Ma che schifo, Nike! E se uno sciaguratamente beve quella roba? »
« Bé, se ti può consolare non si resta incinta ingoiando lo sperma. E poi per fortuna l’acqua del mare fa già schifo di suo. »
« Scommetto che è una scempiaggine. »
« Sarà… Ma poi, chissà come faranno. Dev’essere scomodo farlo nel mare. »
« Che c’entra, loro ci vivono nell’acqua. Sicuramente loro trovano scomodo il letto degli umani. »
« Quante arie che ti dai. Sentiamo, il tuo posto più strano? »
« Lo vuoi proprio sapere? »
« Meglio di no. Non vorrei subire traumi a quest’età, poi non riuscirei più a disegnare. »
E avanti a parlare ancora e ancora, anche al parco dove si fermarono, seduti sull’erba in mancanza di panchine libere. E poi non era male stare lì a diretto contatto con la natura. Nike poggiò il blocco da disegno per terra e Ulquiorra non resistette alla tentazione. Chiese di guardarli, e lei acconsentì tranquillamente.
Lei non sapeva che lui aveva già visto le sue capacità all’accademia di nascosto, ma quei disegni furono un ulteriore conferma. Chiunque sarebbe rimasto affascinato dai suoi disegni. Si capiva che amava il fantasy, i trenta fogli all’interno del blocco mostravano fate, streghe, draghi. Cavolo, quanto erano fatti bene i draghi, disegnati squama per squama, le ali dannatamente dettagliate. E le ambientazioni. Alcuni erano anche colorati con gli acquerelli. Doveva esserci sicuramente un segreto, una spiegazione, perché altrimenti era assurda quella precisione. Anche se il ragazzo preferiva i disegni in bianco e nero. Rendevano le scene più affascinanti, come se stesse guardando un libro illustrato su qualche eroe. Non nascose lo stupore e naturalmente le fece i complimenti, ai quali lei rispose con un semplice grazie. Doveva essere abituata a quei generi di commenti.
« Con un talento come il tuo sarà uno scherzo diventare famosa. »
« Non credo. Hai mai letto su qualche libro il nome di una pittrice? »
« In effetti no. »
« E poi non sono sicura di voler rendere la mia passione un lavoro. Lo troverei stressante. Non voglio che sia un dovere disegnare. »
« Ma se ti piace disegnare il lavoro lo potresti vivere bene. »
« Non lo so… Francamente, non ci ho nemmeno pensato bene. Ti dispiace se disegno adesso? Mi è venuta l’ispirazione. »
Ulquiorra la fece fare volentieri. Nike si accese una sigaretta e sfidò il freddo pungente prendendo carta e matita. Con sicurezza iniziò a disegnare, con movimenti fluidi e veloci. Sembrava che stesse ritraendo il parco, il ragazzo riconobbe la fontana e l’altalena, con tanto di bambini sopra. Era tutto un susseguirsi di linee veloci nel quale Ulquiorra si stava perdendo. Da grande ignorante qual era nel disegno, provava ammirazione e un qualcosa di simile al divertimento nel vederla all’opera, mentre la sigaretta si consumava e la cenere andava a posarsi per terra o sui pantaloni. Lei non si curava di queste cose. In quel momento c’erano solo lei, la matita e il foglio. Se fosse avvenuta una catastrofe, a lei non sarebbe importato.
Ulquiorra aveva sentito dire che gli artisti erano strani, nel loro mondo, fuori dalla norma, incomprensibili. Ed era vero. Ma quando ti fanno entrare anche solo per un attimo nel loro mondo, è la fine. Resti in trappola.
Questo pensò, quando si accorse di non riuscire a staccare gli occhi dal disegno. e si sentiva, in un certo senso, fortunato; quel giorno Nike aveva deciso di condividere con lui la sua ménage-à-trois col disegno.
Cercò di tornare in sé, scuotendo la testa. E poi, aveva appena terminato il disegno. Ovviamente bellissimo, dove ritraeva il parco così come l’aveva visto coi suoi occhi.
« E’ bellissimo. Sei davvero brava, Nike. » disse, cercando di sviare i suoi pensieri scemi, a suo dire.
« Ti piace? Allora tieni, te lo regalo. »
Ulquiorra cercò di declinare cortesemente l’offerta, ma Nike insistette, e alla fine vinse. A quel punto decisero di tornare sul serio a casa.
La ragazza abitava in una casa popolare, precisamente la terza, all’interno di un vicolo in cui si affacciano diversi palazzi e villette a schiera. Lui la accompagnò fin dentro al cancello, arrivando al portone, in attesa che lei trovasse le chiavi in quell’enorme borsa, impacciata nei movimenti a causa del blocco da disegno.
« Bene. Ah, già, prima che me ne dimentichi… Mi daresti il tuo numero, Ulquiorra? Sul tuo biglietto non c’era. »
Non obiettò. Pessimo segno. O ottimo segno. Non sapeva da che parte vedere la cosa. Comunque, alla fine aveva anche il suo numero, oltre che l’indirizzo e-mail. E in un certo senso il pipistrello. Era stato lei a trovarlo, dopotutto.
« Grazie per avermi accompagnata. Spero che non sia troppo lontana casa tua. »
« No, figurati, con la metro torno in un attimo. Grazie a te per il disegno. »
« E pensa che è gratis! Che trattamento speciale, eh? Mi devi un enorme favore. Che puoi saldare posando nudo la prossima volta che vieni all’accademia. »
« Te lo scordi. »
Nike gli fece una smorfia che fece sorridere il ragazzo. Era da un po’ che non si trovava così tranquillo con qualcuno, oltre ai suoi soliti amici.
« Allora ci sentiamo. O vediamo. » disse poi.
« Certo. È stato rilassante parlare con te oggi. »
Rilassante. Chissà cosa voleva dire. Alla mostra si era reso conto che gli artisti usavano spesso dei simboli o dei messaggi nascosti, anche inconsciamente. Chissà cosa voleva dire esattamente lei. O forse era lui che ci pensava troppo. Comunque, rilassante. Non gliel’aveva mai detto nessuno.
Ma Nike continuò. « Davvero, sono stata bene. In fondo non sei così noioso come vuoi sembrare. »
Ci restò quasi male ma non lo diede a vedere. « Noioso? »
« Lascia perdere. Stupidi pregiudizi in cui a volte casco anch’io. Comunque, è stata una bella giornata. Ci vediamo. »
Si avvicinò a lui per posare quello che sembrava un bacio sulla guancia. Lui non cercò di mandarla via. Posò con gentilezza la mano sulla spalla di lei, chinando leggermente la testa.
Fu in quel momento che ammise a sé stesso che non sarebbe stato male rivederla ancora una volta. Che quella confidenza in fondo non gli dispiaceva affatto. Che l’amicizia che si stava creando tra i due non era poi così male. Tutto per un pipistrello.
Pensò di essere tornato alla normalità quando si rese conto di non aver provato minimamente dispiacere nel vederla sparire al di là del portone. Tirò un sospiro di sollievo e, col disegno in mano, si diresse alla metropolitana.
E per fortuna non ebbe l’impulso di riempire di feste il pipistrello. Anche perché c’era un suo amico, che lo aspettava al portone per riprendersi un cd che gli aveva prestato. Che non si aspettava la presenza dell’animale, il quale andò a prendersela coi suoi capelli.
« Scusalo. » disse Ulquiorra togliendoglielo di torno. « Avrei dovuto avvertirti che avevo un pipistrello in casa. »
Dopo cena, quando il suo amico se n’era già andato da un pezzo, arrivò un messaggio da parte di Nike sul suo cellulare. In parte se lo aspettava.

« Finalmente ho un po’ di soldi nel telefono! Per essere precisi, non so come sprecarli, ah ah! Comunque, volevo chiederti un favore. Riguardo mio padre… Mi dispiace avertene parlato. Non sono certo le cose più carine da dire. Ecco perché a quella mostra non ci volevo andare. »
Avrebbe dovuto capirlo da solo quanta difficoltà ci aveva messo nel parlare.
Se durante la giornata non era riuscito a consolarla, lo avrebbe fatto con un messaggio di fine serata. Anche se era un metodo un po’ vigliacco.

« A volte sfogarsi fa bene. E poi, guarda; sono le dieci e sono ancora integro. Starti a sentire non è stato poi così terribile. Se ti dà fastidio parlarne, farò finta che non ci siamo detti niente. »
Il messaggio che seguì fu veloce. Era proprio una saetta a scrivere.
« Grazie per aver capito. Buonanotte. »
Capito. Che strano; Ulquiorra ebbe la sensazione che c’era ancora tanto da capire su quella ragazza. Per non era un problema. Ci sarebbero state altre occasioni per vederla e cercare di capire davvero un artista.
« Di niente. Buonanotte. »
Mentre inviava, arrivò un altro messaggio.
« Dimenticavo! Ci ho pensato un po’ su e ho trovato un nome da dare al pipistrello! Sarebbe un peccato lasciarlo senza nome… Che ne dici di Murciélago? In spagnolo significa proprio pipistrello. Figo, vero? »
Ulquiorra sospirò, facendo seguire un sorrisetto sghembo.
« E’ ridicolo. Poverino, mi fa pena pensargli un nome del genere, ah ah! »
Meglio metterci una risata, se no poteva pensare male.
Non arrivò una risposta. Forse era già andata a dormire o forse ci era rimasta male. Anche se non sembrava proprio il tipo. Poteva arrabbiarsi in situazioni ben peggiori e non lo aveva fatto.
Ulquiorra andò in camera sua, buttando l’occhio sul pipistrello.
« Murciélago… Mà, forse alla fine ci farò l’abitudine. »

____________________________________________________________

* Vittoria sulla morte.

Correzione; Nike è un nome greco, non tedesco. Scusatemi!

@ alemap: Che coincidenza! xD Grazie per la recensione!

@ Xazy: Gli amici a volte sono un’arma a doppio taglio. xD In effetti sì, non è stato proprio gentilissimo, ma come vedi se l’è cavata grazie all’amico ubriaco e all’eccentricità di Nike. La fortuna è sempre bendata. xD Come hai potuto leggere, ho svelato il mistero. Sì, era suo padre. Spero che ti sia piaciuto il capitolo! ^^

Commento; Ulquiorra in questo capitolo forse è troppo OC… Sarà il caso di metterlo nelle note della fan fiction. Se invece lo trovate azzeccato, naturalmente ne sono felice. Ma devono accadere ancora un sacco di cose, e Ulquiorra dev’essere ancora plasmato… Aspettate e vedrete!
Finalmente il pipistrello ha un nome! Olè, olè, olè! *fa la danza della fortuna.*
Ho in mente un sacco di cose per questa storia, ma non voglio bruciare tutte le idee subito. Spero che resterete a farmi compagnia fino alla fine della storia. ^^
Quindi… Al prossimo! Aspetto le vostre recensioni! ;)

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Capitolo 5
*** Cinque. ***


Cinque.

Ormai il pipistrello, nominato Murciélago, non dava più alcun fastidio in casa. Aveva finalmente cominciato a comportarsi come un docile animaletto da compagnia; aveva capito quando bisognava stare in silenzio e soprattutto che i capelli delle persone non erano un giocattolo o uno strumento per rifarsi le unghie. Inoltre l’ala ormai era completamente ristabilita e Ulquiorra lo faceva uscire senza problemi, di notte, per fargli procurare da solo da mangiare. Poi se lo ritrovava accanto al letto il mattino dopo, a dormire. Non c’era neanche bisogno di comprare una gabbietta.
Ogni tanto Murciélago si risvegliava con Ulquiorra, gli volava accanto fino al tavolo dove faceva colazione, stuzzicando il padrone o cercando qualche coccola. Padrone. Bé, sì, ormai poteva considerarsi l’animale di Ulquiorra. Anche se aveva meditato più volte di lasciarlo andare, dovette ammettere che un po’ si era affezionato a quello strano animale. Grazie alle sue conoscenze in medicina aveva già fatto tutti i controlli dovuti. Pensò che in fondo non era così male tenerlo. E poi al pipistrello sembrava non dispiacere.
« Murciélago, vado. » disse il padrone afferrando la giacca verde, quella che preferiva di più, insieme alla sciarpa dello stesso colore. Gli faceva sempre un effetto strano chiamarlo in quel modo, ma visto che non sfornò nessun altro nome decente, dovette accontentarsi della strana fantasia di Nike.
Ulquiorra aveva due lavori. La mattina, appena poteva, andava nello studio di un medico per specializzarsi. Di notte faceva il barista in un locale perennemente affollato di Berlino, di quelli dove si trovano le band sconosciute a suonare di tanto in tanto. O le spogliarelliste sui cubi in occasione degli addii al celibato. Dipendeva dai casi.
Non era un lavoro che lo occupava tutte le notti, per sua fortuna. Il gestore del locale si era mostrato magnanimo con lui, vedendo che era uno studente universitario e che, oltretutto, a volte andava anche nello studio di un medico. E poi, Ulquiorra si era mostrato sin da subito un ottimo barista. Di certo il gestore non voleva perdere un lavoratore come lui.
Quando capitavano gli adii al celibato, o nubilato, poche persone si fermavano effettivamente al bancone del bar. Veniva un cameriere, oppure la gente era troppo occupata a vedere lo spogliarellista di turno. Ulquiorra non aveva mai capito quel tipo di feste; se ti stai per sposare, a che serve andare a sbavare su un’altra persona? Non è una forma, seppur sottile, di tradimento? Non le avrebbe mai capite queste cose. E per questo diceva che non si sarebbe mai sposato.
Avendo più occasioni per distrarsi cinque minuti, buttò l’occhio sul cellulare per vedere quanto mancava dall’orario di chiusura. Ulquiorra infatti dava una mano anche a chiudere, tornando a casa alle sei del mattino, a volte. E magari alle sette doveva andare all’università. Cosa non si faceva per un po’ di soldi in tasca.
E, sorpresa! Un messaggio da Nike. Ulquiorra si guardò intorno, per assicurarsi di poter leggere in tutta calma.

« Cosa non si fa per amicizia! Ora devo accompagnare delle amiche a infiltrarsi in una festa d’addio al nubilato! »
Calma. Berlino è grande. Ulquiorra volle accertarsi.
« E dove? Potevi anche darti malata. »
La risposta, come al solito, fu immediata. « Al Ritter. * Lo so, ma hanno insistito così tanto… Dicono che ci siano spogliarellisti da paura e bla bla bla. »
Fu istintivo, per il ragazzo, rispondere in questo modo. « Pessimo posto. » quando in realtà ci stava lavorando in quel preciso istante. « Fidati, non è nulla. E poi lo spogliarellista è brutto e ciccione. »
Si sentì un po’ in imbarazzo a mandare un messaggio del genere, ma sarebbe sprofondato nella vergogna a farsi vedere come barista. Mentre un altro uomo si spogliava, per giunta. Forse esagerava col suo senso del pudore.
Preso dalla curiosità, aprì il nuovo messaggio appena arrivato. « E tu come lo sai? Sei lì per caso? »
Dovette ammetterlo. « Ci lavoro. »
Le cose erano due; o non gli avrebbe risposto perché, per qualche assurdo motivo, arrabbiata, o avrebbe insistito a venire con la scusa di andare a trovarlo. Solo una volta mandato il messaggio si accorse del disastro.
Ma forse non aveva ancora capito chi era Nike Heinrich.

« Mica sarai tu lo spogliarellista? »
Ulquiorra sbottò a ridere. Fortunatamente nessuno se ne accorse. Ma come aveva fatto a pensarlo?
« E sentiamo, come facevo a risponderti se ero io a spogliarmi davanti a delle ragazze? »
E la risposta lo fece ridere ancora di più. quella ragazza era proprio uno spasso.
« Ah, ecco. Anche perché, se avessi saputo che ti spogliavi davanti a una trentina di donne quando per i miei ritratti non ne volevi sapere, mi sarei arrabbiata. Comunque va bene, allora dirò che lì è pieno di maniaci. Grazie del suggerimento, anzi, mi salvi la vita! Buon lavoro. »
Ulquiorra tirò un sospiro di sollievo e, senza rispondere al messaggio, mise il cellulare in tasca e tornò a servire delle bibite chieste dal cameriere per conto di qualche donna in prima fila, impegnata a infilare soldi nel perizoma dello spogliarellista.
Il resto della nottata fu tranquilla. Dopo la festa, toccò ripulire il porcile lasciato dalla neo sposa che si era anche data da fare con lo spogliarellista dopo il suo numero. Poverino il marito, pensò Ulquiorra.
Ma le sorprese non tardavano ad arrivare per il ragazzo. Certo, non poteva proprio aspettarsi di trovarsi Nike davanti all’uscita di servizio, con una sigaretta in mano e seduta per terra alle sei del mattino. Senza blocchi da disegno in mano, stavolta.
Ulquiorra restò a guardarla per un po’, cercando di convincersi che quella era una sosia e non lei.
« Nike…? »
Lei si voltò, presa alla sprovvista, ma poi sorrise. « Ciao. »
« Che ci fai qui? »
« Stavo tornando a casa, e già che passavo di qui… Ho pensato di salutarti. Però il cartello diceva che chiudevano alle sei, così… »
« Cioè, sei stata in giro tutta la notte? »
« … Sì. » rispose, come se si vergognasse. Doveva essere successo qualcosa.
« E’ successo qualcosa? » chiese infatti.
« Sì. Ho solo litigato con una persona. » il sorriso che aveva era falsissimo, amaro. Gli occhi erano stanchi, Ulquiorra lo capiva, e davano l’impressione di aver pianto parecchio.
Altro che saluto. Stava cercando qualcuno con cui sfogarsi. Ma chi era Ulquiorra per impedirglielo?
« Aspettami qui. Vado a cambiarmi e ti accompagno a casa. »
« Grazie. » fece lei cercando di sorridere di cuore.
Il locale dove lavorava il ragazzo era un po’ lontano, ma non era un problema. Anche perché sembrava che dovessero parlare a lungo. Nike iniziò a dire che aveva litigato con un paio di amiche e con un ragazzo col quale usciva negli ultimi tempi. A quanto sembrava, questo ragazzo aveva fatto il doppio gioco, mettendo tra l’altro false voci in giro su di lei. Le amiche, invece, o almeno così le reputava, ci stavano provando spudoratamente con questo tipo, contribuendo a parlar male di lei. Nike disse che quella notte, dopo essere usciti da un locale dove aveva colto in flagrante l’idiota, che era ubriaco e più propenso a confessare ogni cosa, ci fu una sfuriata interminabile che fece svegliare anche i vicini. Conclusione; la mollarono tutti lì, in mezzo alla strada, che piangeva a dirotto.
« Lasciali perdere. » disse subito Ulquiorra, una volta finito il racconto. « Quello non è un uomo. È spazzatura. Così come sono spazzatura quelle che definivi amiche. »
« Lo so… Però non riesco a passare sopra a quello che hanno detto. »
« Cioè? »
Nike fece una piccola pausa, riprendendo fiato. Sembrava costargli parecchio dire quelle mostruosità.
« Che sono solo una povera pazza che farà la stessa fine di quello strambo pittore che si è suicidato. »
Ad Ulquiorra si raggelò il sangue. E dire che erano persone amiche.
« Loro non sanno chi fosse mio padre. Ma sanno che il pittore Stanisl Heinrich è morto suicida. Quindi in parte non l’hanno detto apposta… »
« Nike, che stai dicendo? » disse Ulquiorra con un espressione quasi arrabbiata. Nel frattempo erano vicino al palazzo della ragazza. « Certo che l’hanno… »
« No, mi hai capita male. Intendo dire che, non sapendo che mio padre era proprio quel Stanisl, non hanno detto quelle cose per farmi sprofondare nella vergogna. Si sono accontentati di augurarmi la morte come un artista. Non che mi faccia piacere. Il fatto che abbiamo nominato lui è solo una coincidenza. E non ho intenzione di passarci sopra, nemmeno per sogno. Però… » non riuscì a trattenere le lacrime, avvicinandosi al cancello e facendo accomodare Ulquiorra, facendosi accompagnare fino al portone. « Non riesco a trovare un modo decente per fargliela pagare. »
Al diavolo il pudore. Mica poteva lasciarla lì a piangere. La fece girare verso di lui, prendendole il mento in modo che lo guardasse negli occhi. Asciugò il viso della ragazza con la manica della giacca, e sorrise. Per quel poco che c’era da sorridere.
« Il modo migliore per fargliela pagare è l’indifferenza. Dimostragli quanto stai bene senza di loro. Tu continua per la tua strada, disegna quanto vuoi. Non sta scritto da nessuna parte che devi fare la fine di tuo padre. Tanto per cominciare, i tuoi disegni sono molto più belli. »
Nike si fece scappare un sorriso. Dai, stava funzionando. E pensare che Ulquiorra era convinto di non essere portato per la consolazione.
« Ti sei calmata? » chiese.
« Un po’. Grazie. »
« Comunque, potevi tornare a casa subito. È pericoloso girare tutta la notte così. »
« Preferisco non avere nessuno nei paragi quando sono arrabbiata. Non so se hai notato, ma… » alzò la mano, mostrandogli le nocche piene di graffietti e insanguinate. Se Ulquiorra avesse cercato per un po’, forse avrebbe trovato un palo, un muro, o un secchione con quelle stesse tracce di sangue.
In quel momento pensò di non volersi mai mettere contro di lei. Ma sorvolò, preoccupandosi di più per quelle ferite.
« Che aspettavi a dirmelo? Appena sali a casa, disinfettati! »
« Va bene, dottor Sloan.* »
Seguì poi il silenzio. Nike sembrava ancora combattuta. Stanca, ovviamente, e anche triste. A quanto pare le parole di Ulquiorra non erano state sufficienti.
Fino a quello spiacevole evento, si sentivano di tanto in tanto per e-mail o al cellulare. E, come quella sera al bar, lui rideva a ogni suo messaggio. Più passavano i giorni, più si divertiva.
E il fatto che gli desse così fastidio saperla triste per un uomo e due tizie qualunque, voleva dire una sola cosa. Si trovava improvvisamente davanti a due opportunità; andarsene, far finta di niente, tranquillizzarla a parole e continuare a trattarla da amica, o buttarsi, abbracciarla, e cercare di capire se lei era dello stesso avviso. Subito dopo essere stata delusa da un altro.

Complimenti, Ulquiorra. Questo ci fu nella sua testa.
Pensò di cavarsela con un abbraccio da amico. Insomma, gli amici lo fanno. Si stava comportando come un bambino. Come se poi ne fosse chissà quanto innamorato. Si era solamente accorto di essere un po’ attratto da lei. Ma solo un po’, eh.
Nike non fece nessuna espressione particolare di fronte alle braccia di Ulquiorra che la circondavano. Anzi, ricambiò.
« Ti sto facendo fare tardissimo… » disse lei.
« Non è un problema. L’università posso saltarla, per una volta. »
« Grazie. Grazie davvero. »
Ulquiorra sorrise, con un leggero imbarazzo. Ecco, ora sorrideva anche lei. Ma era un sorriso di circostanza. E non andava bene. Il ragazzo poso una mano sul collo della ragazza, iniziando a muovere leggermente le dita. Nike, in tutta risposta, si ritrasse, fino a sbattere leggermente contro il muro, contraendo la faccia in un misto tra risata e disperazione.
« No, il solletico no! »
« Oh, come siamo sofferenti! » disse lui fingendosi dispiaciuto e senza staccare quella mano di dosso. Anzi, usò anche l’altra, senza dare via di scampo alla ragazza che, per fermarlo, cercò di bloccarlo.
Quando vide che rideva di gusto, decise di fermarsi, posando una mano sul muro. Non sembrava, ma era stato stancante cercare di resistere alla sua presa. Ma che aveva quella ragazza nelle mani?
Mentre “lottava” con lei, si accorse che aveva delle mani davvero ben curate. Senza smalto, ma le unghie sembravano modellate, non troppo lunghe. Essendo artista, doveva averne molta cura.
In un secondo momento si accorse di essere forse troppo vicino al viso di Nike. Ma a lei non sembrava dispiacere. Sembrava solo un po’ imbarazzata.
« Io… Credo di dover andare… » esordì il ragazzo. Nike fece un piccolo cenno con la testa, avvicinandosi un po’. L’idea era quella di dargli un bacio sulla guancia, come si fa con qualunque amico. E invece, si bloccò a metà strada, a fissare le labbra di Ulquiorra, leggermente dischiuse, riuscendo a sentire il suo respiro.
Forse fu una forma di ribellione al suo cervello che insisteva a dirgli “dai, Ulquiorra, andiamo a casa che tra un’ora hai l’università”. O forse fu la capacità di ammettere che non voleva far concludere la… Mattinata così.
E, quasi senza essersene accorto, aveva unito le labbra con quelle di Nike. E fu del tutto naturale per lui, a quel punto, posare una mano tra i capelli e dischiudere meglio le labbra per lasciar posto alla lingua, che incontrò senza nessun problema quella della ragazza.
Fu piacevole, per lui, sentire il braccio della ragazza avvinghiarsi intorno al collo. Fu appagante notare che lei non si stava ribellando per nessuna ragione. Trovava buono il suo sapore.
Aprì di poco gli occhi, per vedere se effettivamente a Nike piaceva sul serio. Se non lo stava facendo perché sentita costretta, magari. Non riuscì a vedere il color nocciola dei suoi occhi, chiusi com’erano. E la mano di lei che afferrava con più foga la giacca fu un ulteriore conferma.

Cretino, non stare a pensare al perché e per come, baciatela e basta, disse infine il suo cervello, appurato che in fondo non era niente male perdere un minuto in più a baciarla.
Quando finì tutto, non poté fare a meno di stringerla un po’ più a sé, come se reclamasse in silenzio un altro bacio. E lei lo accontentò, anche se fu un veloce bacio a stampo, come a completare il lavoro. Ma lui si avvicinava ancora, costringendola ad approfondire ancora.
Quando Ulquiorra pensò che fosse sufficiente, si decise a mollare la presa da lei, che si attorcigliò una ciocca di capelli, incredula di quello che era appena successo.
« … Wow. » disse alla fine.
Ulquiorra, non sapendo cosa dire, si grattò il naso, guardando da tutt’altra parte.
« … E’ un tipo di consolazione un po’… Come dire… » cercò di dire Nike, e Ulquiorra si sentì in dovere di darle una mano.
« … Strana. »
« Sì, forse. Bé, non ti capita tutti i giorni, ecco. »
« Già, hai ragione. Bé… Bisogna anche vedere se ti ha effettivamente consolato. »
« Oh, ehm… Ecco… Diciamo che mi ha fatto dimenticare il motivo per cui piangevo prima. »
« Per un uomo e un paio di amiche. »
« Quale uomo, scusa? »
Ulquiorra fece una piccola risatina, mentre Nike continuò la sua sdrammatizzazione. « Amiche… Ah, intendi quelle bamboline? Accidenti, davvero frequentavo persone simili? Oh, cielo, dove andremo a finire in questo mondo? »
Ulquiorra, senza smettere di ridere, disse. « Allora si può dire che ti ho riportato sulla retta via? »
« Sì, mettiamola così. Grazie, mio eroe! »
Dopo tutte quelle cavolate sparate, seguì un silenzio imbarazzato, in cui Nike decise di prendere finalmente le chiavi di casa. Nell’attesa di trovarle, Ulquiorra cercò di pensare a un modo decente per concludere la faccenda. Cercare di capire se ci sarebbero stati altri baci o se era meglio chiuderla lì.
Mentre inseriva le chiavi e le girava, la ragazza si voltò, guardandolo in modo gentile. « Possiamo… Vederci, domani? »
Lui sussultò; che voleva dire? « Certo. »
« Ho detto domani? Volevo dire oggi. Cioè, tra un paio d’ore. »
« Ho capito, ho capito. Facciamo oggi pomeriggio? Immagino che tu voglia dormire. »
« Sì, meglio riposarsi. »
« D’accordo. Ti… Chiamo io. » disse Ulquiorra. Quasi speranzoso.
Nike sorrise, avvicinandosi nuovamente a lui, lasciando che la porta si chiudesse alle sue spalle. Quel secondo, anzi, no, terzo bacio, fu come dire ad Ulquiorra che di certo non finiva così. Che, come lo avrebbe rivisto, gliene avrebbe dati ancora. Un qualcosa che in cuor suo lo rendeva felice. Voleva assaporarla ancora e ancora.
« Allora ciao. » disse Nike riaprendo il portone.
« A più tardi. » rispose lui.
Quando Ulquiorra tornò a casa, trovò Murciélago che svolazzava intorno al divano, cercando un posto comodo in cui mangiare il piccolo roditore che aveva tra le zampe. Quando vide il padrone tornare, però, lasciò cadere la povera vittima e volò su di lui, come se fosse felice, come se volesse chiedergli “ma dove sei stato? Lo sai che sono le sette di mattina?”.
Ulquiorra invece lo ignorò, prendendo del latte dal frigo e bevendolo dalla bottiglia. Solo quando se lo ritrovò davanti per l’ennesima volta, decise di rivolgergli la parola.
« Vado a farmi cinque minuti di sonno, Murciélago. Quando mi sveglio non voglio vedere quel topo steso sul tappeto, intesi? » si chiuse la porta alle spalle e si buttò sul letto, accendendo lo stereo e iniziando ad ascoltare musica a un volume discreto. Erano pur sempre le sette di mattina.
Decisamente era stato un modo insolito di consolare una ragazza. Ma non gli dispiaceva affatto. Anzi, meglio ancora; l’avrebbe rivista. Avrebbe potuto abbracciarla ancora e farle ancora il solletico.
Forse era stato troppo duro col pipistrello. In fondo, era merito suo.
Senza volerlo si addormentò, svegliandosi con le note di una canzone dei Rammstein. All’una. Alla faccia dei cinque minuti.
Si rese conto poi di essersi addormentato con tutti i vestiti addosso. Corse a farsi una doccia, anche per darsi una svegliata. Invece di fare colazione, pranzò con un piatto leggero, pasta e succo di frutta, niente di più. notò con piacere che Murciélago aveva fatto sparire la preda e, quando gli si avvicinò, gli diede una piccola carezza.
« Bravo, Murciélago. Stasera ti porto un dolcetto come premio. »
Quella volta decise di dare una svolta; invece di mandare un messaggio a Nike, la chiamò. Come se l’averla baciata avesse sbloccato una specie di secondo livello di un qualche gioco. Credeva di trovarsi in imbarazzo, e invece, quando la ragazza gli rispose, fu tranquillissimo. E la cosa fu comica, come al solito.
« Pronto…? » gli rispose una voce stanca e intontita.
« Buongiorno. »
« Mh… Chi parla…? » doveva essersi appena svegliata, se non aveva visto neanche chi la stava chiamando.
« Sono Ulquiorra. Ti ho svegliata io? »
« Che ore sono…? »
« L’una e mezza. »
Seguì un lungo silenzio in cui sicuramente Nike stava metabolizzando la frase. Oppure si stava dando della cretina per essersi fatta trovare nel pieno di un sonnellino da lui.
« … Buongiorno. » disse infine, mentre il tono di voce tornava a essere quello di sempre.
« Ti avevo detto che ti avrei chiamato, no? »
« Sì… Dove vogliamo vederci? » non perdeva tempo.
« Vediamo… Facciamo alla videoteca poco prima del parco? »
« Okay. Però facciamo alle quattro… Devo ancora mangiare e prepararmi. »
Mentre Ulquiorra posava il telefono, a fine conversazione, notò sul mobile davanti al divano il disegno che Nike gli aveva regalato. Corse in camera e, con puntine e martelletto, mise il disegno proprio sopra il letto, con estrema cura. Gongolandosi a fine lavoro.
Murciélago gli svolazzava vicino, incuriosito da quel lavoro. Ulquiorra lo afferrò e se lo portò in braccio, sorridente.
« Bello, vero, Murciélago? Lo sai che sei proprio fortunato? »
Tornò poi a prepararsi e sistemare casa, in attesa di uscire con quella che, ormai, non era poi così “amica”.

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* Ritter in tedesco significa cavaliere.

* Il dottor Sloan era il protagonista del telefilm Detective in corsia. Io lo guardavo sempre da piccola, e adoravo il dottor Sloan. *v*

Commento; Oooooh, anche Ulquiorra si dà da fare! Non volevo rendere la cosa troppo romantica… Bò. Lascio giudicare a voi! Nel prossimo capitolo conto di rivelare qualcos’altro su Ulquiorra. *suspeeeenccccce!* Piuttosto, cosa ne pensate di questo capitolo? Ve lo aspettavate, vero? Il fatto che succedesse immagino che fosse più che prevedibile. Ma devono ancora succedere un paio di cose, muah ah ah ah! bé, non tergiversiamo. Ci vediamo al prossimo capitolo!

@ Namine23: Grazie mille! Apprezzo che ti sia piaciuta la parte del quadro… Dovrebbero mettermi nei libri di storia! LOL.

@ Lou: Chiedo scusa per gli errori di battitura! Inoltre, bé, diciamo che quando ho un’idea la scrivo subito e non vedo l’ora di postarla. Se no mi viene l’ansia, LOL. Ti ringrazio molto per il tuo parere sull’OC, in effetti non poteva essere altrimenti. Per quanto riguarda Nike… Bé, aspetta e vedrai. ;) Che colpo di genio il pipistrello che si chiama Murciélago, vero? xD

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Capitolo 6
*** Sei. ***


Sei.

Non ci fu bisogno di parlare. Non appena Ulquiorra entrò nel campo visivo di Nike, la ragazza era corsa da lui con l’intenzione di trattarlo proprio come aveva fatto poche ore prima. Un po’ timorosa del fatto che lui potesse fermarla e dirle “stiamo sbagliando tutto, ragioniamo, non volevo che fraintendessi, devo spiegare”. Ma non fece nulla di tutto ciò, lasciando anche che le dita si incrociassero con le sue.
Fu una bella giornata, per entrambi. Ed entrambi furono d’accordo su cosa fare nei giorni seguenti.
Passò velocemente un mese, da allora, e tutto scorreva come al solito.
« Ulquiorra, stasera andiamo al bowling. Sei dei nostri? »
« Non saprei… Credo di avere altri impegni. »
« Puoi portare anche la tua fidanzatina se ti va, eh. Non te la rubiamo mica. »
« Per il semplice fatto che altrimenti ti ritroveresti col labbro sanguinante. » diceva spesso ridendo.
Da un po’ di tempo, poi, Nike era solita fermarsi a cena da Ulquiorra, visto che viveva solo e non aveva problemi di genitori rompiscatole e cose simili. Fu per lei difficile anche solo dire alla madre che frequentava qualcuno. E la zia, poi, che viveva con loro; non faceva altro che parlare male di lui. La classica gelosia dei parenti a cui Nike non dava minimamente credito.
Inoltre era ansiosa per un motivo ben preciso. L’accademia aveva organizzato un concorso allestendo una mostra in cui gli studenti di pittura avrebbero dovuto esporre un dipinto a tema libero. Il primo classificato, oltre a ricevere un premio in denaro, aveva l’occasione di tenere una mostra tutta sua al Museumsinsel*, nientemeno.
« Non mi viene in mente niente! » disse scocciata Nike accartocciando il quindicesimo voglio e gettandolo nel cestino, facendo centro.
« Se continui a farti prendere dall’ansia dubito che ti verrà in mente qualcosa. » le consigliò Ulquiorra, intento a farsi un caffè con Murciélago accanto.
Inizialmente entrambi avevano pensato di portare un ritratto. Ultimamente Ulquiorra se li faceva fare volentieri, custodendoli tutti in un cassetto del comodino vicino al letto. Ma c’era qualcosa che non rendeva mai contenta Nike. Il ragazzo sapeva bene che gli artisti avevano sempre quel modo di fare incontentabile. I loro peggiori critici erano proprio loro stessi. Vedevano dappertutto difetti, ignorando i pregi, quindi tutti i tentativi di Ulquiorra di fare un complimento su un disegno dicendo “oh, che belle ombre!” venivano liquidate con cose tipo “ma non vedi quant’è sproporzionato? Non trovi che questa piega sia fatta male? Fa schifo, possibile che non te ne rendi conto?”. Di conseguenza imparò a lasciarla stare senza mettere becco più di tanto nei suoi affari artistici.
« La mostra è tra una settimana. » disse Nike quasi disperata. « E io sono ancora qui… »
Ulquiorra si accomodò accanto a lei, sul divano, col caffè in mano. « Porta un qualcosa sul fantasy. Sei un mostro nel disegnare quel genere di cose. »
« Voglio creare qualcosa che possa arrivare a tutti. Che lasci tutti sbigottiti, ipnotizzati davanti alla tela. Una scena fantasy con folletti e spiritelli, o streghe e orchi, non cattura abbastanza. Solo i veri appassionati si fermerebbero, mentre altre persone direbbe solo “ah, carino”, e se ne andrebbero. » restò in silenzio, con fare frustrato, a fissare un foglio tutto bianco. Ulquiorra non riusciva proprio a capire quella frustrazione, ma d’altronde faceva parte del suo fascino da artista.
« Non è che se fissi il foglio ti viene qualcosa. » disse.
« Già, lasciamo perdere. Posso avere del caffè? »
Mentre Ulquiorra si alzò per prendere un’altra tazza e mettere a scaldare di nuovo il caffè, Nike si distese, guardando verso il soffitto. Murciélago svolazzava sopra di lei, sembrava impaziente.
Ulquiorra capì, andò a d aprire la finestra e il pipistrello uscì, come di consuetudine, per procurarsi da mangiare.
« Tornerà domani mattina. » disse tranquillo. « Quanto zucchero nel caffè? »
« Un cucchiaino, grazie. » rispose lei senza togliere lo sguardo dal soffitto. « Ulquiorra, sai che stiamo insieme da un mese? »
Gli amici di Ulquiorra avevano sempre parlato di discorsi come questi come “antefatti della catastrofe”. Nel senso che, quando una ragazza fidanzata iniziava a dire “è un mese, un anno, un giorno che stiamo insieme”, o cose simili, stava inevitabilmente iniziando un discorso serio o dolente. Come chiedere il matrimonio o altre cose un po’ fastidiose. E purtroppo, quella teoria si rivelò esatta.
« Non è che adesso stai reclamando un regalino, vero? » chiese Ulquiorra buttandola sullo scherzo.
« No, vorrei solo togliermi un paio di curiosità. Tipo perché vivi da solo. Poi non ti ho mai visto o sentito fare telefonate con i tuoi genitori. »
Tasto dolente. Dolentissimo. Era legittimo chiederlo, notando quei particolari, ma aveva sempre sperato che non lo chiedesse. Ulquiorra si ammutolì, bevendo il caffè e posando la tazza quasi vuota sul tavolo. Rimase in silenzio a lungo, cercando di trovare una scusa, una scappatoia che lo tirasse fuori da quella situazione che improvvisamente gli andava stretta.
« Ulquiorra…? » lo chiamò Nike.
Lui si alzò, prendendo la tazza e andando a lavarla, in silenzio. Gli era sparita la voglia anche di chiacchierare. Sentì distintamente i passi della ragazzi avvicinarsi a lui, e le braccia circondargli la vita, da dietro.
« Non dovevo chiedertelo…? »
« Scusa, Nike. Non ho granché voglia di parlarne. » rispose lui continuando imperterrito a lavare la tazza, mettendoci più foga.
La ragazza, senza dir nulla, si allontanò da lui e tornò sul divano, accendendo la televisione e iniziando a scarabocchiare. Gli unici rumori a far compagnia alla coppia erano l’acqua scrosciante del lavandino e le risate registrate di un telefilm in televisione. Quei rumori coprivano la matita che andava a incontrarsi col grande foglio dell’artista, che disegnava ghirigori senza senso, con aria assente.
Non era arrabbiato con lei. Non era così stupido da arrabbiarsi per una domanda. Era lui che si indispettiva quando lo chiedevano. I suoi amici già lo sapevano. Appena si era trasferito a Berlino, fu naturale quella domanda, e subito chiudeva la questione con un “così, cercavo l’indipendenza”, oppure “ero uno scansafatiche e mi hanno mandato via a calci”. Cose così. Agli amici e conoscenti lo poteva dire. Ma non a lei. Non l’avrebbe bevuta.
In momenti come questi gli bastava estraniarsi un attimo per ritrovare la calma. Infatti si avvicinò al tavolino davanti a Nike con tranquillità, afferrando la tazza mezza piena di caffè.
« Ne bevi ancora, Nike? »
Le, senza degnarlo di uno sguardo, fece cenno di negazione col capo. Ecco, ci era rimasta male. Ulquiorra si inginocchiò davanti a lei, seduta sul divano, posando una mano sul ginocchio.
« Cosa c’è? » chiese. Come se non lo sapesse.
Lei sospirò. Aveva un espressione davvero triste. Un espressione che Ulquiorra non riusciva ad attribuirle e mai ci sarebbe riuscito.
Posò sul tavolo il materiale da disegno e disse mortificata. « Scusami. Giuro che non te lo chiedo più. Non essere arrabbiato. »
Dopo il primo attimo di sbigottimento, sorrise intenerito e, afferrando la mano della ragazza, si avvicinò per baciarla.
« Sciocca. » disse. Anche lei sorrise, rincuorata. « Mangiamo? È ora di cena. » continuò lui.
« Sì. Cosa c’è nel menù? »
« Pasta al pomodoro, insalata di pomodoro, pomodori fritti… Ti ho mai detto che amo i pomodori?* »
« … Non mi dirai che mangeremo solo pomodoro! »
« Ma figurati! Ora vediamo cosa c’è in frigo e scegliamo. »
« Ti aiuto. A casa mia non mi fanno mai cucinare niente, dicono che creo solo guai. »
« Mmh… Hai dato fuoco a qualcosa? Hai reso immangiabile un pollo? Avvelenato qualcuno con troppo sale? »
« Nossignore! »
« Allora penso di cavarmela. Vieni. »
Si divisero subito i compiti, una volta deciso cosa mangiare; patate, pasta, hamburger. A Nike sarebbe toccato pelare le patate. La ragazza notò con che foga e perizia Ulquiorra lavava patate e verdure. Come se temesse una possibile rivolta di germi e batteri. Per qualche assurdo motivo, trovava carina quella sua fissa.
Andava tutto a meraviglia; cucinare e mangiare con la propria ragazza. Poteva andare storto qualcosa?
A quanto sembrava sì.
« Aaaaaaaaaaaaaaaaahioooooooooooooooooooo! »
Ulquiorra si voltò di scatto, mollando pentole e fornelli, per precipitarsi da Nike che si teneva un dito dolorante. Il classico taglietto da coltello nel pelare le patate.
« Nike, buona, fammi vedere… Vuoi stare ferma?! »
« Aiutamiiiiiiii, sto morendo dissanguata! »
« Ma no, è solo un taglietto! Ci mettiamo un cerotto e passa subito! »
« Aaaaaaaaaaaah, mi fa maleeee! Aiutami, aiutami, aiutami! » continuava a gridare la ragazza, senza stare ferma.
Ulquiorra non ebbe altra scelta che afferrare con forza la mano e portarsi il dito sanguinante alla bocca, facendola tacere subito. Leccò per un po’ la ferita, un innocuo taglietto. Gli venne da pensare che Nike soffrisse di emofobia.
Avendola pietrificata con quel gesto, poté dedicarsi con tutta calma alla cura. Prese un cerotto da uno scaffale lì vicino e sorridendo disse. « Ecco. Ora ci mettiamo un cerotto e torna tutto a posto. Non senti dolore, vero? »
Nike si guardò il dito avvolto nel cerotto con fare quasi trasognato. Con un sorriso ingenuo, poi, disse.
« Grazie. Sei un medico davvero eccezionale, Ulquiorra. »
« Per così poco? Sei tu che hai esagerato. » si leccò le labbra, facendo un sorriso sghembo. « Buono il tuo sangue, comunque. Attenta a Murciélago. Ho ragione di pensare che sia un pipistrello vampiro. »
Nike rimase a guardarlo per un po’, mentre Ulquiorra gettava qualche patata caduta per terra a causa del casino della ragazza.
« Bé… Se dovessi trasformarmi in vampiro anch’io, tu mi salveresti, no? »
Di fronte a quella domanda ingenua, Ulquiorra scoppiò a ridere. Rise così tanto che fu costretto a tenersi la pancia. La ragazza chiese più volte cosa ci fosse di tanto buffo, ma lui non riusciva nemmeno a rispondere. Quando riuscì a riprendere fiato disse. « Nike, sei incredibile! Non lo sai che il pipistrello vampiro sta in Venezuela? Non sai niente di loro? Ti pare possibile che io possa tenere in casa sul serio un pipistrello vampiro? »
Nike mise il broncio. « Non prendermi in giro! »
E lui, in tutta risposta, si avvicinò, la abbracciò. La baciò. E sembrava non voler smettere. Come poteva anche solo pensarlo quando le labbra di lei erano così accondiscendenti? Quando le lingue erano così in sintonia? Quando le mani di lei andavano ad accarezzare la sua schiena?
Fu come se per entrambi fosse sparita improvvisamente la fame. si stavano già saziando abbastanza così, accontentandosi del sapore provocato da quei respiri lenti e profondi, riprendendo fiato tra un bacio e l’altro.
Soli, senza neanche un pipistrello a schiamazzare vicino a loro. Senza amici combina guai intorno per lui. Senza genitori a rompere le scatole per lei.
Dopo un po’ Ulquiorra volle spingersi più in là. Anche solo di poco. Più la baciava, più voleva sentirla stretta a sé. Pensò che alzare di poco la maglietta potesse aiutarlo. Toccare quella pelle femminile così delicata a suo dire. sfiorarla, sentire lei contrarsi per un po’, sentendo dei piccoli brividi.

Nike, non dovresti reagire così, si era detto in testa. E continuarono, continuarono. Finché lui, lentamente, non decise di giocherellare coi bottoni dei suoi pantaloni. Pensò che glieli avrebbe tolto via con la forza, di questo passo.
Ma lei fece finire tutto prima, bruscamente. Lo guardava negli occhi con un’aria stupefatta e impaurita. Poi, sentendosi in colpa, sviò lo sguardo.
Per Ulquiorra non fu difficile capire cosa avesse.
« Sei vergine, vero? »
Lei annuì, al limite dell’imbarazzo. Ulquiorra si sentiva un po’ in difficoltà, non gli era mai capitato di trovarsi di fronte ad una ragazza senza esperienze. Ma in fondo la prima volta c’è per tutti, no? Ora trovava la cosa interessante, stuzzicante. Si sentiva quasi onorato.
« Vieni con me. » le disse, prendendola per mano e accompagnandola in camera da letto. Era la stanza di un qualunque studente universitario, forse anche più ordinata, a parte la scrivania, grandissima, con un computer, libri aperti e disposti a casaccio, fogli volanti e quaderni pieni di appunti. C’era solo un porta foto, ma Nike non riuscì a capire cosa ci fosse. Il letto, poi, era spazioso, a una piazza e mezza, con delle semplici coperte d’avorio. Nike credeva che, vivendo da solo, avesse un semplice letto singolo. Notò poi il disegno che aveva fatto al parco tempo fa, appeso proprio sopra il letto. Oltre al suo disegno, c’era solo un altro poster, la locandina di un film che lei conosceva molto bene, famoso com’era; Arancia meccanica.
La ragazza si sentiva un po’ a disagio nel trovarsi in uno spazio così intimo del ragazzo, mentre lui, con noncuranza, si levava il maglione nero e lo lanciava svogliatamente sulla sedia. La accompagnò poi a letto, facendola sedere, e ricominciando a baciarla, finché lei non si fece trasportare abbastanza per sdraiarsi.
« Rilassati. » disse nuovamente Ulquiorra, giostrando abilmente con la cintura dei pantaloni della ragazza. Nike teneva gli occhi socchiusi, misti tra l’imbarazzo e la voglia che saliva.
Con calma, il ragazzo staccò il bottone dall’asola e fece scorrere con facilità la zip, abbassando poi di poco i pantaloni, notando finalmente la biancheria della ragazza, di un semplice bianco con un nastro blu. Sorrise debolmente, guardando negli occhi la ragazza e avvicinando la mano destra all’interno di quella biancheria che, già lo sentiva, era in fermento. Le gambe che si irrigidirono di colpo lo rimisero sull’attenti. Dimenticava che lei era vergine.
« Nike, stai tranquilla. È solo un dito. »
Dalla faccia che fece la ragazza, sembrava gradire. Certo, era solo un dito. La vedeva afferrare il cuscino, ansimare, alzarsi la maglietta di propria iniziativa per l’improvviso caldo. Ulquiorra constatò che era davvero piacevole sentirla così, grazie alle sue mani. Continuò per un po’, e Nike, anche se timidamente, abbassò lentamente i pantaloni del ragazzo, cercando di fare lo stesso anche coi boxer.
« Non ti preoccupare. » disse lui, baciandola, e inserendo un altro dito, quando fu sicuro della mancanza di rischi di dolore da parte della ragazza. Quel gesto convinse definitivamente Nike a ricambiargli il favore, iniziando a massaggiare sommariamente ciò che nascondevano quei boxer grigiastri. Da quei piccoli gesti Ulquiorra capì che forse aveva già fatto cose simili. Oltre a saper disegnare, quelle mani erano delle maestre anche in altro.
« Nike, dimmi la verità; fin dove ti sei spinta con un ragazzo? »
Lei, con tutta la sincerità di cui disponeva, rispose. « Non sono mai andata fino in fondo. »
« Capisco. » disse lui con tranquillità, leccandosi le dita, quelle stesse dita che fino a quel momento erano impegnate a fare tutt’altro. Spogliò in seguito la ragazza, privandola della maglietta. Stava per levarle anche il reggiseno, ma la ragazza lo anticipò, togliendoselo con un gesto veloce. Probabilmente aveva pensato che Ulquiorra, essendo uomo, doveva avere difficoltà coi reggiseni.
Passarono ancora un po’ di tempo a stuzzicarsi e spogliarsi, fin quando Ulquiorra, completamente nudo, ormai, tolse l’ultimo indumento alla ragazza, che si coprì il viso con le mani e irrigidì ancora le gambe.
« Non vergognarti… » fece lui sorridendo, sdraiandosi sopra di lei, finalmente. Posò le labbra sul collo, stuzzicandola ancora con dei piccoli morsi.
Finalmente era arrivato il momento. Il viso della ragazza era incerto e al contempo non vedeva l’ora di unirsi a lui. Ulquiorra, dal canto suo, doveva fare attenzione, anche se aveva una voglia irrefrenabile di essere una sola cosa con lei.
Iniziò piano, lentamente, con una certa ansia. Avvertì subito le mani della ragazza stritolargli il collo, scendere alle spalle, afferrarle con forza. Vide il suo viso contrarsi in una smorfia di dolore che lì per lì lo spaventò.
« Ti faccio tanto male…? » chiese, fermandosi di colpo.
Nike cercò di calmarsi. « Posso resistere… Credo. »
Lui andò avanti, cercando di essere più calmo possibile, cercando di tranquillizzarla. Lei teneva sempre la stessa espressione, lo stringeva forte a sé, sentiva da parte sua dei mugolii che non sapeva dire se di dolore o piacere. Si fermò ancora, Ulquiorra, finché lei non si calmò ancora. Ormai c’erano quasi. Ricominciò a spingere, scrupolosamente, finché lei fece un gridolini che lì per lì lo spaventò, credendo di aver sbagliato qualcosa. Invece, ce l’aveva fatta; era finalmente una sola cosa con lei.
« Nike… Stai bene? »
Lei sembrava stralunata, confusa, come se non avesse afferrato ancora il concetto. Abbassò lo sguardo, come per accertarsi di avercela fatta per davvero. Poi, con un espressione ingenua, disse. « E’ strano… Dà un po’ fastidio… »
« Vediamo se ti dà fastidio così. » disse sorridendo Ulquiorra, tornando indietro col bacino e rifacendosi avanti. I sospiri che sentiva da lei erano piacevoli, ma doveva fare ancora un po’ di attenzione. Dopo i primi movimenti, poi, si sentì finalmente libero di possederla come preferiva. Si separò da lei solo per mettersi un preservativo, e da lì cominciarono finalmente a sentirsi uniti, completi, con lei che, una volta abituata a quella nuova sensazione, teneva le mani ben salde alla schiena, a trattenerlo, a non farlo andare via troppo, alzando le gambe per comodità. E lui, che posava una mano sulla coscia di lei per aumentare il suo senso di appartenenza e sentirla di più.
Fu bello e piacevole, come si aspettava Ulquiorra. Forse anche qualcosa di più. La vedeva felice, serena, tranquilla. Si sentiva in paradiso per il semplice fatto di averla tra le braccia, nel suo stesso letto, sotto le coperte, a darsi qualche carezza.
Passarono un po’ di tempo così, fin quando la ragazza non si accese una sigaretta. Ulquiorra osservava il soffitto con aria quasi assente. Gli venne da pensare a cose lontane, quasi estranee. Come se l’averlo fatto con lei gli avesse sbloccato qualcosa.
« Oggi è il venti dicembre, vero? » chiese, e la ragazza annuì.
« E’ il compleanno di mio padre. » disse lui con tono pacato. « Sicuramente a quest’ore staranno festeggiando davanti a una bella torta alle fragole. Io ho sempre detestato le fragole. »
Nike lo guardò con fare curioso. Si capiva dalla faccia che c’era un qualcosa che gli faceva male, ma lui sembrava volenteroso a confessare. A sfogarsi.
« Non te l’ho mai detto, ma mia madre è americana. E ha quindici anni di differenza con mio padre. Si sono conosciuti nel Nevada durante un viaggio di lavoro di papà. Le piacque subito e la portò in Germania per sposarla. Dopo un anno di matrimonio, però, cominciarono i problemi. Nel senso che non riuscivano ad avere figli. Io sono nato dopo dieci anni di matrimonio passati  a cercare di capire se il problema era mio padre che si faceva vecchio o mia madre. Essendo il loro unico figlio, nato dopo ben dieci anni, ero un oggetto dal valore inestimabile e che doveva portare orgoglio alla famiglia. Ogni ritrovo coi parenti doveva essere educato e posato, non potevo andare a giocare con gli altri bambini o cugini perché potevo farmi male o non sarebbe stato consono. A scuola, dovevo avere voti sempre alti, essere un modello, ambire sempre al ruolo di capo classe. Al liceo mi era vietato assolutamente uscire o frequentare ragazze. Lo facevo di nascosto. Facevo finta di andare ad aiutare mio nonno paterno al negozio di animali. Non era proprio una finta… Lo facevo davvero, a volte. Mio nonno per me era anche un grande amico. Mi copriva quando dovevo uscire con una ragazza o ritrovarmi da qualche amico a bere vodka. Quando morì per me fu una tragedia, comprensibile. Ma non avrei mai immaginato che i miei genitori mi rendessero la vita impossibile. Ero al quarto anno di liceo. Potevo uscire, svagarmi, uscire con qualcuna. Ma pretendevano. Voti alti, buone maniere. Avevano previsto tutto per me. La gente non faceva che guardarmi, mentre loro si vantavano. Ero stanco di sentire quella pressione addosso. Avevo sempre vissuto secondo le aspettative degli altri senza pensare a me. A diciotto anni mi ritrovavo senza uno scopo, mentre tutti i miei amici avevano progetti dopo il liceo. Io me ne restavo a casa senza neanche avere un hobby, un passatempo, una passione da coltivare. Il negozio del nonno l’avevamo venduto per saldare alcuni debiti di papà. Senza consultarmi, ma io non dissi nulla quando scoprii tutto. Non sono mai andato a trovare nonno in cimitero. Personalmente, credo che non sia in posti come il paradiso. Secondo me non esiste. Ma ovviamente nessuno sapeva di ciò che pensavo. Andavo in chiesa tutti i giorni senza provare alcun interesse. Tutti, laggiù, mi credono un bravo figliolo devoto a Gesù Cristo. Dopo il liceo, a diciott’anni, non ho più retto. Mio padre mi aveva iscritto ad un’università della città dove vivevo. Facoltà di legge. Mi voleva avvocato. L’ideale per coprirgli in modo legale i suoi debiti, le tasse non pagate. E mia madre stava zitta. Acconsentiva a tutto quello che diceva papà. E’ sempre stata una donna debole di carattere. Si vede che a lui piacciono le donne da sottomettere con facilità. Trovo che siano dei vermi tutte e due. Spazzatura. Me ne sono andato in fretta e furia senza dir loro niente. ho lasciato solo una lettera che diceva “vado a Berlino. Addio”. Non mi hanno mai cercato. Sicuramente ora sono la vergogna della famiglia. Se famiglia si può chiamare. E una volta arrivato qui, ho scelto medicina. Veterinario. Come mio nonno. In un certo on ho fatto altro che seguire la via di un'altra persona. Ma mi piace pensare di essere come mio nonno e non mio padre. Mi piace l’idea di essermi ribellato a lui preferendo mio nonno. E poi, da quando sono a Berlino, mi sento libero. Mi sento privo di responsabilità. Nessuna pressione. Però, pensa che ironia; quella pressione un po’ mi manca. »
Dopo tutta quella storia, Nike decise di parlare. Aveva pensato più volte a una qualche consolazione, ma non le era venuto nulla in mente. Non capiva appieno la pressione a cui doveva essere soggetto lui.
« L’uomo non riesce a viversi pienamente la vita. » disse Nike. « Sinceramente, non vi capisco. Non prendertela a male. Ma basta così poco a prenderla così alla leggera. Insomma, responsabilità, pressioni, aspettative. Andiamo, dove sta scritto che se faccio una cosa fatta bene, come dicono gli altri, il mondo gira? Mio padre diceva sempre che l’uomo non deve limitarsi a svolgere i propri doveri, deve sempre superare sé stesso e far vedere quanto sono inutili gli altri nei loro piccoli mondi, a rispondere a diktat inesistenti. Per lui l’arte era così; una liberazione da ogni responsabilità. E per me è lo stesso. mi sento bene. Leggera. È come se volassi. »
La ragazza spense la sigaretta sul posacenere in vetro. Ulquiorra la guardò con un po’ di ammirazione. Ora aveva capito; gli artisti sapevano già come vivere. O almeno, artisti come lei.
Si sdraiò, come se si fosse scaricato tutta la tensione.
« Era di questo che non volevi parlarmi? » chiese lei.
« Sono piuttosto geloso delle mie cose. »
Lei sorrise, chinandosi su di lui per baciarlo. Fu un bacio lungo, profondo, dove lei accarezzava dolcemente i capelli, mentre lui teneva la mani sulla testa, ancora più rilassato. Gli mancavano le forze improvvisamente.
Nike lo osservò per un po’, sorridendo, quando poi trasalì.
« Non muoverti di qui! » alzò di scattò dal letto e, nuda, uscì dalla camera. Ulquiorra si grattò un po’ la fronte, cercando di capire cosa avesse in mente. Quando tornò, la vide con un blocco da disegno in mano.
« Nike… »
« Ti sei mosso. » disse lei delusa.
« Non hai mai rinunciato, vero? »
« Ulquiorra, tu sei spaventosamente perfetto. Lascia che ti ritragga così come mamma ti ha fatto, ti prego. Dai, ti metto una coperta lì davanti; credi che a me piaccia l’idea che degli sconosciuti vedano il tuo coso? »
Solo allora il ragazzo capì cosa avesse in mente esattamente. « Tu… Tu vuoi esporre alla gara un ritratto su di me nudo?! »
« Esatto. Ti prego, Ulquiorra. Tu sei perfetto. Voglio che tutti vedano cosa riescono a comunicare i tuoi occhi verdi, cosa può comunicare un corpo come il tuo così, rilassato. Finalmente sereno. Non ti senti leggero? »
Ulquiorra ci pensò su. Effettivamente, stava bene, come non lo era mai stato. E poi, l’idea effettivamente era buona. E lei era bravissima. Chissà come lo avrebbe ritratto.
« D’accordo, Nike. Disegnami pure. »
Lei sorrise. Si accese un’altra sigaretta e si accomodò sulla sedia, iniziando con serietà, e completamente nuda, a disegnare. Ulquiorra non smise di guardarla neppure per un secondo, pensando che era incredibilmente bella quando si metteva con passione all’opera.

____________________________________________________________

* Il Museumsinsel è traducibile come l’isola dei musei ed è patrimonio dell’umanità secondo l’Unesco. All’interno ci sono i più importanti musei di Berlino.

* Il pipistrello vampiro vive in Venezuela e, a differenza delle altre specie, a dei canini più appuntiti e non si nutre di frutta o insetti, ma di sangue di grandi mammiferi o dell’uomo, mordendolo impeccertibilmente sul collo durante la notte. Il morso rischia di contrarre la rabbia, malattia che, se non curata in tempo, porta alla morte.

@ Ninive: Felice che quella scena ti sia piaciuta!

@ Xazy: Chi non vorrebbe baciare Ulquiorra? <3 LOL!

Commento; Che capitolo lungo! @_@ E forse u po’ troppo… Osé. °///°
Lascio come al solito a voi il giudizio! E finalmente nel prossimo capitolo ci saranno svolte! A cominciare da Murciélago. (non dico altro! ;) )
Spero che questo capitolo vi sia piaciuto, e che vorrete leggere anche il prossimo. Attendo commenti e recensioni, come al solito!
Che faticaccia è stato scriverlo, l’ho rifatto tre volte!
E finalmente Ulquiorra si fa ritrarre nudo, olè, olè, olè!

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Capitolo 7
*** Sette. ***


Sette.

Vivere da soli per un paio di anni faceva dimenticare alcune vecchie abitudini. Per esempio dormire in un letto, grande o piccolo che sia. Ulquiorra stava per tirare un calcio a Nike, ancora dormiente, solo perché si stava stiracchiando.
Erano le sette del mattino ed era una giornata soleggiata, anche se fredda. Si erano completamente dimenticati di chiudere le tapparelle della finestra, e il sole filtrò con facilità nelle tende lasciando che il bagliore illuminasse il letto dei due giovani. Alla fine, Nike si era fermata a dormire da lui, visto che era tardissimo quando finì il ritratto. Mandò un messaggio alla madre dicendo che si fermava da un’amica. Classica scusa.
Il ragazzo si infilò una vestaglia blu presa dall’armadio e andò in cucina a prepararsi del caffè. C’era qualcosa di strano, quel giorno. Ma non sapeva dire cosa. Nel frattempo anche la ragazza si era svegliata e vestita, facendosi fare del caffè. Mise sul tavolo un qualcosa di rettangolare, incartato accuratamente con della carta da regali azzurra. Chissà da dove l’aveva tirata fuori.
« L’hai addirittura incartato? » chiese Ulquiorra guardando stranito ciò che c’era sul tavolo.
« Non voglio che si rovini. E non ci provare; tu lo vedrai insieme a tutti gli altri tra sei giorni. Intesi? »
Ovviamente, Ulquiorra aveva tentato più volte di dargli una sbirciata, con le buone chiedendoglielo con le cattive facendolo in modo furtivo, ma lei era irremovibile; l’opera l’avrebbe mostrata solo a quella mostra. Il che sarebbe stato anche imbarazzante per Ulquiorra. Andava a vedere un suo ritratto in cui era nudo. Davanti ad altre persone. Che magari l’avrebbero riconosciuto. Nike sapeva essere davvero perfida, anche se non sembrava avere pensieri maligni a riguardo.
Piuttosto, era impegnata a osservarsi il braccio, con fare scocciato.
« Merda, mi hanno punta! Possibile che anche in pieno inverno debba essere vittima di questi esseri inutili? »
« E’ perché il tuo sangue è troppo buono. » disse Ulquiorra scherzando e finendo il caffè, mettendosene un’altra tazza. Ma poi, ecco! Ecco cosa c’era che non andava!
« E’ strano… Di solito zanzare o insetti vari non vengono da queste parti. Murciélago… Ne fa piazza pulita. » si guardò in giro, vedendo in modo sommario che c’era una presenza in meno a casa.
« Murciélago non è ancora tornato. » constatò.
Nike si mostrò subito preoccupata, dicendo che poteva essersi ferito, poteva essere stato investito da qualcuno, maltrattato. Voleva andare a cercarlo subito, ma Ulquiorra la tranquillizzò.
« Aspettiamo ancora un po’. Magari oggi a pranzo me lo ritrovo sulla porta. E poi, oggi devo assolutamente andare all’università, ho un esame. E tu all’accademia. »
« Ma io non ho esami oggi. »
« Nike. Fila a prepararti. »
« Uff… Va bene, signor tutore! »
Quando poi scesero insieme le scale del palazzo moderno in cui risiedeva Ulquiorra –tanto abitava al secondo piano e le scale non erano affatto così pesanti da dover ricorrere all’ascensore- trovò un’altra sorpresa nella sua cassetta della posta. Diverse buste, tutte per lui. E già si stranì.
« Bollette? Ma sono passato a pagare l’altro ieri! » si rigirò pi volte le buste tra le mani, controllò più volte il nome del destinatario, ma quelle erano proprio bollette, indirizzate tutte a lui. In particolare, c’era una busta di una ditta di qualche assicurazione a lui sconosciuta. Il che era stranissimo, lui non aveva fatto nessuna assicurazione.
Nike lo convinse ad aprire le buste, solo così avrebbe scoperto cosa c’era che non andava. E invece Ulquiorra ci capì sempre meno. A quanto sembrava, c’era un terreno a lui intestato che doveva essere pagato perché ci stavano costruendo una casa. Purtroppo il terreno era abusivo. E la cifra che chiedevano era semplicemente assurda.
« Ma che storia è? Io non ho terreni da nessuna parte! » sbottò indispettito. « E poi, devono essere pazzi! Questa cifra la raggiungerò in cinque mesi di lavoro, se tutto va bene! »
« Sarà sicuramente un errore… Cercano sempre di fregarti, in queste cose. » disse Nike, guardando le lettere senza capirci nulla. « E dove avresti questo terreno? »
Già, bella domanda. Voleva tanto saperlo anche lui. Iniziò a rileggere tutto scrupolosamente, ma quando arrivò a quel nome, sentì la rabbia crescere.
« Falkensee. » disse, con un viso scurissimo. « Dove sono nato io. Scommetto che ci sono di mezzo i miei. »
Aveva già deciso di andare subito a chiarirsi con chi di dovere e Nike non ebbe nulla in contrario. All’università non riuscì a concentrarsi come voleva, anche se l’esame fortunatamente non era andato malissimo. Cercò di pensare più e più volte come poteva essere successo, cosa c’entrava lui, perché c’era quel fottuto terreno intestato proprio a lui. Non l’avevano mai più cercato, perché dovevano tornare in quel modo assurdo e fastidioso?
La cosa snervante fu il giro quasi infinito che gli fecero fare. La banca diceva un’altra banca, che diceva l’ufficio postale, che diceva un’altra banca ancora, che diceva un ufficio di assicurazioni che inizialmente non sa nulla, poi fa il nome di un altro ufficio dove sicuramente ne sanno di più. e quando finalmente si riesce ad avere qualche fonte certa, arrivano notizie catastrofiche.
« Vi ho già detto che io non ho nessun terreno laggiù. Non ho mai avuto nemmeno una macchina là. Non c’è niente a mio nome. » disse Ulquiorra per l’ennesima volta.
Il responsabile di quell’ufficio, però, un signore occhialuto e sulla mezza età, con una faccia da sornione –secondo Ulquiorra, semplicemente idiota- prese alcuni documenti, mostrandoli al ragazzo.
« Vede, signor Schiffer, questi documenti comprovano che il terreno in questione è di sua proprietà. Lei non ha figli o fratelli, non può cederlo a nessun altro, e nessun altro suo parente è stato incluso nell’eredità e negli affari che riguardano il terreno. Vede, nessuno ha potere a riguardo, oltre lei, e quindi solo lei ha l’onere di pagare la multa. »
La verità sbattuta in faccia tramite un documento. Ulquiorra in quel momento pensò che non si poteva cadere più in basso di così.
« Eredità? Ma… » prese i documenti e iniziò a leggere per conto. Quasi non ci credeva. Non voleva crederci. « Mio padre è… Morto? » chiese, ancora incredulo.
Il signore capì che lui non ne era al corrente, ma volle comunque chiederglielo, con una bella faccia tosta, secondo Ulquiorra. « Lei non sapeva nulla? È morto una settimana fa. »

No che non lo sapevo, vecchia montagna di spazzatura, altrimenti non stavo qui a dirti che non ho nessun terreno in quel posto di merda, pensò Ulquiorra. Ma poi, una settimana fa? E nessuno si era degnato di avvertirlo?
« Allora immagino non sappia nemmeno dell’eredità di suo padre. Ha lasciato tutto quanto a lei, signor Schiffer, condividendo solo alcuni beni di poca importanza ai suoi cugini. Ma quel terreno, in particolare; il vostro defunto padre ha chiesto espressamente di lasciarlo a lei soltanto. »
La voce del signore era diventata solo un’eco lontana. Ulquiorra pensava solo a un padre morto, a una madre che non l’aveva nemmeno chiamato per dargli la notizia, a dei genitori che ora lo stavano mettendo un mare di guai. Un oceano di guai.
« Sono desolato, signor Schiffer. » disse il signore.

Evita almeno di dirmi stronzate, spazzatura, questo volò nella sua mente.
Camminava a passo svelto, aveva leggermente il fiatone, stringeva i pugni. Non riusciva affatto a calmarsi. Era andato lì per cercare di capire come risolvere la faccenda, non per sapere che suo padre era morto e che si era rivelato uno stronzo fino alla fine.
Doveva sfogarsi. Assolutamente. Prese il cellulare e digitò velocemente un numero, aspettando ansiosamente una risposta, che arrivò diversi squilli dopo.
« Pronto? »
« Ciao, mamma. Ti ricordi di me? »
« … Ulquiorra? »
« Oh, ricordi ancora come mi chiamo. »
Sua madre, dal tono di voce che aveva, sembrava non essere cambiata affatto. Sembrava più stanca, ma aveva sempre quel timbro pacato e tremolante. Tremolante quando sapeva di essersi messa nei casini. Non l’aveva mai sentito quel tono con lui. Sempre al padre, ma mai al figlio. Con lui invece non ci metteva niente ad avere un tono severo per dire “fila in camera tua a studiare” oppure “quando torna tuo padre sentirai!” o ancora “hai idea di quanti sacrifici facciamo per te? E tu che pensi alle ragazze e agli amici!”. Ora, finalmente, la sentiva come avrebbe voluto sempre sentirla.
« Ulqui, tesoro, volevo chiamarti in questi giorni… »
« Per dirmi che papà è morto? E quando pensavi di dirmelo? A Carnevale? »
« Cerca di capire… E’ morto all’improvviso, una settimana fa. Sembrava stare bene, ma l’età gli ha provocato un infarto. Mi sono ritrovata improvvisamente da sola, in lutto… »
« Se avessi saputo qualcosa una settimana fa, mamma, forse sarei venuto anche al funerale. »
« Ma ti avrei avvertito… Capiscimi, dovevo anche trovare le parole adatte per prepararti alla cosa e… »
« Oh, hai trovato delle magnifiche parole. Tramite una bella raccomandata che mi dice che devo pagare un terreno abusivo su cui non so che diavolo ci stavate facendo e non lo voglio sapere. »
« Era desiderio di tuo padre darti una casa… Ora che ha lasciato tutto a te, potrai farci quello che vuoi, finire il lavoro. Risolveremo questo malinteso, vedrai. »
« Mamma. » disse Ulquiorra, mantenendo un tono calmo anche se era al limite della sopportazione. Se solo suo padre fosse stato ancora vivo e lo avesse avuto davanti ai propri occhi per prenderlo a calci.
« Non me ne importa nulla di ciò che volevate farci. Se era per me, avete solo sprecato tempo e soldi chiesti in prestito chissà chi. Io non ci torno, a Folkensee. Non la voglio una casa laggiù. Ho la mia vita qui, a Berlino, lontano da voi, che non vi siete mai degnati di cercarmi e non lo avete fatto nemmeno in questa occasione. »
« Ulquiorra, ti prego… Non parlarmi così. Ci siamo sempre preoccupati per il tuo bene… »
« Ho visto quant’è ammirevole la vostra preoccupazione. Quindi ora suppongo che mi aiuterai a pagare il disastro che avete combinato, tu e papà. »
« Ma non ho soldi… Ora che sono sola, non so come fare. »
« Ovviamente. »
« Ulquiorra, non fare così. Perché non cerchi di capire? »
« No, mamma, sono stanco di cercare di capirvi. Ti avverto che questa è l’unica telefonata che ricevi da tuo figlio. E non mettere nessun fiore da parte mia sulla tomba di papà. Ciao. »
Bene, ce l’aveva fatta. Aveva detto tutto quello che gli passava per la testa.
Ma adesso? Di certo sfogarsi non moltiplicava i soldi.
Quando lesse un messaggio di Nike appena arrivato, dove chiedeva cos’era successo, pensò solo di volerla vedere. Andò a casa sua, senza fermate intermedie e senza scocciature. Sua madre non tentò di richiamarlo, come aveva immaginato.
L’unica voce che voleva sentire era quella di Nike. Che sollievo sentire rispondere lei al citofono.
« Nike, sono io. »
« Oh, Ulquiorra! Presto, sali! Quinto piano, porta a destra, comunque c’è scritto il nome. »
Era la prima volta che saliva a casa sua. Avrebbe preferito farlo in circostante più liete, ma lei ne approfittò per farlo accomodare senza la presenza di madre e zia impiccione. Gli offrì qualcosa da mangiare e da bere, facendosi raccontare tutto nei minimi dettagli. Quando seppe della morte del signor Schiffer, non disse nulla e non fece nessuna espressione. Capiva meglio di chiunque altro cosa voleva dire perdere un padre, ma a scoprire tutti quegli scheletri nell’armadio non c’era da stupirsi se un figlio aveva dentro solo rabbia.
« E tua madre…? Che vi siete detti al telefono? »
« Niente, ho solo capito che non può, o non vuole, aiutarmi. E comunque, per me quella donna non esiste più. Non parliamone più, Nike. »
« Okay. Ma ora come intendi fare per pagare? »
« Non lo so… Lavorerò, lascerò l’università per un po’. Mi cercherò qualcos’altro da fare per raggranellare più soldi possibile… » nascose la faccia tra le mani, chinandosi, assumendo un modo di fare disperato.
La ragazza gli diede una pacca sulla spalla e chiese. « Quanto? »
E Ulquiorra, quasi impaurito, disse. « Cinquemila e settecento. »
Per Nike fu spontaneo esclamare. « Cazzo! » assumendo una faccia incredula.
Il ragazzo buttò la testa su un cuscino rotondo che era sul divano etnico del salotto, e sembrò sprofondare nell’abisso. Cosa che in effetti voleva. Almeno lì non doveva pagare nulla.
Tornò a casa sconsolato, distrutto, stanco, anche se Nike ce l’aveva messa tutta per farlo ravvivare anche solo un po’. Sicuramente ora si sentiva inutile, povera ragazza.
E che tristezza ritrovarsi solo a casa. Murciélago non era tornato. Ulquiorra non era più abituato a stare solo. Aveva l’impulso di prendere il telefono, chiamare Nike, invitarla a cena e stare tutto il tempo con lei, magari rifacendo l’amore, quello che voleva lei. Ma chi era lui per disturbarla ancora coi suoi problemi? Il fatto che fosse il suo ragazzo non lo faceva sentire libero di richiedere costantemente la sua presenza.
L’unica soluzione che trovò fu quella di buttarsi sul letto e dormire, senza neanche mangiare.
Il giorno dopo non perse tempo, si precipitò fuori a cercare altri lavoretti. L’importante era riscuotere, pochi ma subito. Avrebbe voluto andare a cercare il pipistrello, che ancora non faceva ritorno. Ma la priorità ora era cercare di salvarsi la pelle senza che gli pignorassero la casa o cose del genere.
Fece di tutto in quelle poche ore del mattino; consegna dei giornali, lavaggio dei vetri, delle macchine, pulizia delle scale, attaccare i manifesti. Ovviamente, andò anche allo studio medico e fece gli straordinari al Ritter. Saltò il pranzo ma non aveva importanza. Non c’era tempo per mangiare. A dire il vero, non sapeva neanche quanto tempo aveva prima di pagare.
Si ritrovò a camminare esausto, con la voglia di sdraiarsi sul prato e dormire lì, fregandosene di tutti. Si trovava nel quartiere Tiergarten, al Kulturforum. C’era stato poche volte lì. Era un complesso di edifici culturali. Erano un insieme di musei, una sala concerti detta Philarmonie e una biblioteca chiamata
Staatsbibliothek zu Berlin.
Era un posto rilassante. C’erano così tanti ragazzi seduti per terra a fare pic nic, a leggere, a chiacchierare. Anche a disegnare. Solo all’accademia di Nike aveva visto così tanta gente disegnare insieme. certo, era prevedibile, visto che lì c’erano dei musei. C’erano anche delle bancarelle, di quelle che vendevano i frammenti del muro di Berlino, o almeno li spacciavano per tali, e gli stranieri ci cascavano sempre. Oppure c’erano quei ritrattisti che facevano disegni su commissione, spesso caricature.
Pensò di sbagliarsi, Ulquiorra, ma uno di questi ritrattisti era proprio Nike, che contenta era nel bel mezzo di un ritratto di una ragazza che Ulquiorra sentì parlare inglese. Si avvicinò, con tranquillità, aspettando che la ragazza finisse il ritratto. Ma lei non si accorse della sua presenza, finché non le diedero i soldi per il magnifico lavoro. Erano tutti appostati lì vicino ad ammirare i suoi lavori, e tutti, turisti e non, chiedevano qualcosa firmato da lei.
« Oh, ciao! Non ti ho visto arrivare. » disse lei sorridendo e riponendo le banconote in un barattolo già mezzo pieno di banconote e monetine.
« Che stai facendo? » chiese lui come se non avesse capito cosa stava facendo.
« Diciamo che sto lavorando. » rispose lei in modo tranquillo. Fece accomodare davanti un altro ragazzo, pronta a disegnare un nuovo volto.
« Hai… Guadagnato un sacco. » notò Ulquiorra.
« Qualcosina. » rispose lei, senza staccare gli occhi dal foglio. « Saranno più o meno cinquecento. Prendili. »
« … Come? »
« Prendili. » ripeté la ragazza con un sorriso.
Poteva anche metterlo al corrente di quella pazzia. O forse non gliel’aveva detto apposta. Sapeva che, se gliel’avesse accennato, lui non avrebbe mai permesso una cosa del genere. E non voleva prendere quei soldi. Si sentiva umiliato. Più che umiliato, si sentiva mediocre. Ricorrere ai soldi guadagnati dalla propria donna per rimediare a un errore di quell’idiota di un padre.
Restò lì interdetto per un po’, a osservare quel barattolo pieno di soldi, allettante, una salvezza, certo. Ma allora perché restava lì combattuto a decidere se prenderli o no?
« Ti puoi liberare per un po’? Devo tornare a lavorare dopo e… »
« Finisco questo ritratto e pranziamo insieme. »
« Alle tre del pomeriggio? »
Lei in tutta risposta rise. Non importava l’ora, in fondo.
Dopo molta insistenza, Ulquiorra accettò l’aiuto di Nike. in effetti, non era il caso di farsi scrupoli. Servivano soldi. E se lei voleva aiutarlo, non faceva certo schifo la cosa.
La cosa negativa fu che non ebbero molto tempo di dedicarsi agli amici o a loro stessi. Si vedevano solo per contare i soldi. O al Ritter, dato che Nike era riuscita ad ottenere un posto lì come cameriera. Ma sul posto di lavoro non c’era molto da fare.
« Ulquiorra. » fece lei un giorno, mentre lui puliva il bancone. « Stasera c’è un addio al celibato e il capo mi ha chiesto di fare la spogliarellista. »
Il ragazzo la squadrò da capo a piedi, con fare sospettoso. Poi, con voce secca, disse. « Assolutamente no. »
« Tanto ho accettato. »
Ulquiorra si pietrificò, spalancando gli occhi, e la ragazza rise di fronte a quell’espressione.
« Sto scherzando! Però mi diverte troppo vederti così geloso! » gli diede un pizzicotto e tornò a lavorare.
Il fatto che ci fosse un addio al celibato impediva ai due di avere un contatto; Ulquiorra impegnatissimo al bar, lei occupatissima a servire. Si incrociavano solo quando lei passava a prendere da bere, e sfiniva gli sorrideva o diceva. « E’ assurdo. Non immaginavo fosse così stancante quando ci sono queste feste! »
Lui sorrideva comprensivo e tornava a lavorare. Notava che qualcuno la osservava un po’ troppo. Sorrideva un po’ troppo. Beveva un po’ troppo. Fortunatamente, nessuno si azzardava a metterci le mani sopra, le spogliarelliste ispiravano molto di più. ma quanto avrebbe voluto mollare il lavoro e portarla via dalle grinfie di quei maiali.
Chiusura del locale, cinque e mezza del mattino. Si appartarono agli spogliatoi per contare nuovamente i soldi. Tutti quegli straordinari, gli altri lavoretti, compreso l’aiuto della ragazza, stava dando i suoi frutti. Ulquiorra non poté che lanciare un sospiro di sollievo, potendo tornare a casa con l’animo un po’ più in pace.
« Bene. » disse Nike dirigendosi verso l’armadio. « Allora torniamo a casa. » iniziò a spogliarsi, ma notò che Ulquiorra restava seduto sulla panca, impalato, a osservarla.
« Ehm ehm… Io mi starei cambiando. E questo è lo spogliatoio femminile. »
« Sì, lo so. » rispose lui con tranquillità. « Ma tanto le donne sono andate tutte via. Ci siamo solo tu ed io. e dimentichi che stiamo insieme? »
« E se entra qualcuno? Ti licenziano, sai? »
Ulquiorra, in tutta risposta, si alzò e chiuse a chiave la porta. Si avvicinò a Nike con un sorriso sghembo. « Basta non dar modo alla gente di entrare. » sentiva il bisogno di dedicarsi nuovamente a lei. Toccarla come preferiva. « Vogliamo… Rilassarci un attimo? »
« Nello spogliatoio…? »
« E dov’è il problema? » in effetti, non c’era nessun problema. La panca diventò il loro letto, o meglio, una sedia; lui si era seduto, facendo accomodare sopra la ragazza, abbracciandola. Certo, fu una cosa veloce, erano comunque nello spogliatoio femminile e il locale stava chiudendo. Ma era meglio di niente, dopo un po’ di tempo che non stavano insieme a quel modo. Ad Ulquiorra le mancava. Tanto. E che bello poter fare l’amore con lei senza più preoccuparsi di farle male. Per tutto il tempo non fece che ammirare i movimenti di lei, il suo seno, baciandolo con passione per tutto il tempo, facendosi soffocare dai suoi abbracci.
Nel giro di una settimana di lavoro senza pause e senza svaghi, Ulquiorra riuscì a raggranellare la somma necessaria. Anche un po’ di più. era talmente soddisfatto che, dopo aver pagato tutto contento –e alla faccia dei genitori, oltretutto- decise di andare a far spese per conto suo. Buttare via dei soldi solo per il gusto di farlo. E finalmente poté tornare all’università, alle bitte con gli amici che avevano saputo alla lontana della disavventura economica. Lui aveva detto che era un tentativo di truffa. Perché in fondo era così. E Nike. appena in tempo per la mostra, che si sarebbe tenuta il giorno dopo.
« Ah, mi sembra di respirare finalmente dell’aria buona! » fece lei respirando a fondo. Erano al parco, dove si erano conosciuti, quasi per fare un tuffo nel passato. « Ulquiorra, ti dispiace se mi licenzio dal Ritter? Non mi piace la gente che ci gira. »
« Stavo per chiedertelo io. Te l’avevo detto che era un pessimo posto. Più che latro per le cameriere e gli spogliarellisti. »
« Domani c’è la mostra. »
« Già. »
« Meno male, abbiamo risolto tutto prima della mostra. Sai che però è un peccato che tuo padre sia morto? »
« E perché? »
Si aspettava una risposta del tipo che è comunque triste la morte di una persona. E invece, come al solito, Nike lo sorprese ancora.
« Tuo padre è nato il venti dicembre, no? Tu hai sempre odiato i tuoi genitori per le pressioni che ti davano. Non credi che sarebbe stata una splendida forma di ribellione? Pensaci; lui festeggia il compleanno con torta e candeline, e tu invece sei a Berlino a fare allegramente sesso. Ammettilo, è o non è geniale? »
Ulquiorra sorrise, un po’ in imbarazzo. Le afferrò la mano e la baciò dolcemente. « Sei un genio del male, te ne do atto. »
Tornò a casa col pensiero fisso della mostra, Ulquiorra. Doveva pensare a come coprire l’imbarazzo nel vedersi nudo. Davanti ad altre persone. Peccato che al museo non si potevano portare animali, altrimenti Murciélago gli avrebbe fatto compagnia.
Ma tanto l’animale non era ancora tornato a casa.

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@ Lou: Tranquilla, ti capisco! Io ho l’orale lunedì, che ansia! Sono proprio l’ultima, cacchio. -_-‘’ Ti ringrazio per la recensione. ^^ Non vorrei nemmeno far morire Ulquiorra, ma avrete capito tutti che è una cosa necessaria per la storia. *piange a dirotto.*

@ Namine: Ti ringrazio molto! ^^

Commento; che fine avrà fatto Murciélago? Scusate, volevo fare un po’ l’investigatrice, LOL. Comunque, questo lo definisco un capitolo di stallo per il prossimo. E poi volevo vedere Ulquiorra nei guai, LOL.

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Capitolo 8
*** Otto. ***


Otto.

Non era nervoso. Era solo leggermente ansioso. Da una parte non vedeva l’ora di ammirare il lavoro della sua ragazza. Dall’altra aveva il terrore di quello che poteva dire la gente. Pensò che fosse troppo camuffarsi o nascondersi in un angolo. Le aveva promesso che l’avrebbe accompagnata, mano nella mano. Accidenti ai doveri della vita di coppia.
Era un grande giorno; il giorno della mostra. E anche un altro giorno in cui Murcièlago non faceva ritorno a casa. Decisero a quel punto, Ulquiorra e Nike, di cercarlo, dopo la mostra.
Il ragazzo camuffava abilmente l’ansia da pre mostra, ma la ragazza non riusciva a stare ferma un attimo. Non faceva che farfugliare strane filastrocche, o diceva che sarebbe stato un disastro, che non sarebbe venuto nessuno, o che al contrario ci sarebbe stata un sacco di gente ma nessuno avrebbe visto di striscio il suo disegno.
« Se nessuno lo guarderà dai pure la colpa al soggetto ritratto. » disse Ulquiorra per tranquillizzarla.
Ed ecco. Erano arrivati. La ragazza stringeva convulsamente la mano di lui, che non poteva fare altro se non continuare a dirle di stare tranquilla. Ma fu tutto inutile; vedere tutta quella gente le creò ancora più tensione. C’erano persone di ogni genere. Adulti, anziani, donne, qualche adolescente. Passeggiavano, scambiavano opinioni e voce bassa, si fermavano ad osservare qualche lavoro, lo indicavano. Nike non sembrava essersi preparata abbastanza a tutti quei commenti che avrebbe dovuto ricevere.
« Calmati, dai… Da che parte è il tuo? » chiese Ulquiorra stringendo la sua mano con forza.
« Al piano di sopra… Hanno riservato un piano solo per noi. Forse c’è già qualcuna del mio corso. »
Come aveva previsto, incontrò qualche sua compagna. Anche loro erano nervose, ma sorridenti, e averle vicine fu molto significativo per Nike. Le avevano già spiegato che molti si erano complimentati con tutti. E soprattutto col suo quadro. Le dissero che forse di questo passo sarebbe arrivata prima al concorso, cosa che alla ragazza era completamente sfuggita di mente.
« L’importante è che alla gente piaccia il mio lavoro… A proposito, dove l’hanno sistemato? »
La accompagnarono, Ulquiorra che continuava a tenerla per mano. Sentiva le ragazze parlottare, ma non capiva cosa stessero dicendo. Ridacchiavano, quasi. Doveva resistere e far finta di niente.
E comunque, l’imbarazzo di sentire ridacchiare alle spalle sparì subito alla vista di quel quadro. Finalmente. Aveva sé stesso davanti agli occhi. Tutto in bianco e nero, solo gli occhi erano stati colorati. Che strano; quando si guardava allo specchio non aveva mai notato che fossero così chiari. Così verdi. E quel corpo era davvero il suo? La coperta che Nike gli aveva sistemato copriva la gamba e la sua intimità. Era disteso. Rilassato. Anche troppo. Non credeva che esistesse quel lato di lui. Che finalmente se la prendeva comoda, libero da tutto.
Era curato nei minimi dettagli. Le ombre, le pieghe delle coperte, la muscolatura, le ciocche di capelli. Tutto. ulquiorra poté giurare che quella era la cosa più bella che avesse visto fare da lei. E non perché c’era lui ritratto, cosa che lo imbarazzava un po’. Era perfetto. E non scherzava.
Le amiche di Nike le avevano già fatto i complimenti. Dicevano anche che il modello scelto non era niente male. E la ragazza, contenta, abbracciò Ulquiorra, dicendo. « Hai sentito? Non sei contento? »
Solo allora le sue compagne capirono. Certo, la somiglianza tra Ulquiorra e il soggetto nel ritratto c’era, ma pensarono che fosse una coincidenza. Pensavano che Nike si vergognasse troppo a mostrare il proprio ragazzo nudo. Anzi, sembrava più in difficoltà lui a sentire le scuse delle ragazze per non aver capito subito. Ma lui lasciò correre.
Invece vedere sguardi di perfetti sconosciuti ammirare il ritratto e poi guardare più volte lui per vedere le somiglianze fu sconvolgente. Voleva sparire, Ulquiorra, scavarsi una fossa e nascondercisi dentro finché la mostra non finiva. Per svagare accompagnò Nike a vedere i lavori dei compagni. Belli, sì, ma dopo aver visto quello della ragazza il resto sembrava spazzatura. Avrebbe vinto di sicuro lei. Anche perché quelle stesse persone non facevano che fissarlo, e li sentì distintamente mormorare.
« E’ straordinario… E’ così tranquillo… »
« Il corpo è fatto divinamente. Davvero è una studentessa del primo anno? »
« Eh, ormai al giorno d’oggi è impossibile avere quest’aria serena… »
Poi fuggiva, Ulquiorra, per evitare altri sguardi. O i commenti delle amiche di Nike. Aveva fatto finta di niente, ma anche loro non avevano risparmiato certi commenti.
« Cavolo, Nike, come ti è venuto in mente di ritrarre il tuo ragazzo nudo?! »
« Non è che ha sbagliato. Hai visto che corpo? »
« Non è che è ritoccato, vero? Cioè… Sul serio è così?! »
« Non lo dico certo a voi! » rispondeva lei imbarazzata.
« Cavolo, ma ha mai pensato di fare il modello? »
« Eh, se io fossi uomo e avessi dei pettorali così, non starei certo a fare la cameriera per comprarmi un po’ di pane! »
No, non ne voleva più sapere. doveva andare via e tornare il più tardi possibile. Qualunque cosa, basta che non si sentiva più così al centro dell’attenzione.
L’idea gli venne guardando l’orologio. Ora di pranzo. Perfetto. Disse a Nike che andava a comprare qualcosa da mangiare, che sarebbe tornato subito.
Invece, vagò per un’ora nei dintorni, a ripensare ai commenti sentiti finora. Ora capiva il nervosismo della ragazza. Poi non immaginava un impatto del genere. Si aspettava giudizi positivi, ma non così. Quell’opera aveva brillato tra tutte. Per forza di cose vinceva lei. Lo meritava.
Tornò mentre la gente se ne stava andando, lentamente. Tirò un sospiro di sollievo, tornando di corsa da Nike, la quale non si arrabbiò del ritardo del ragazzo. non ci aveva minimamente pensato, presa com’era dalla mostra, avevano appena stilato la classifica. Presto avrebbero saputo chi avrebbe esposto in quello splendore di museo. Chi avrebbe avuto la grande occasione.
Lui era tranquillo. Sorrideva, addirittura. Era un sorriso sereno, frutto dell’immaginazione di uno splendido futuro per Nike.
Un sorriso che sparì subito, lasciando spazio alla sorpresa e all’amarezza. Mentre la ragazza era tranquilla, applaudiva, mostrava un sorriso sincero, andando a congratularsi con la ragazza che aveva vinto. Va bene, non è al primo posto il suo nome. Sarà seconda.
No, non era nemmeno seconda. Ulquiorra iniziò a sudare freddo. Temeva di trovarla all’ultimo.
Invece era quarta. Quarta. Quarta.
Pensò che fosse un’ingiustizia, ma lei non criticava nulla. Del resto, lo aveva detto che non le importava vincere. Anzi, ne fu contenta. Era contenta del suo quarto posto.
E sentendola chiacchierare con la compagna vincitrice, non credette alle sue orecchie.
« E’ un peccato, Nike… Il tuo disegno era così bello! Ma poi, perché hai rifiutato la proposta di esporre per conto tuo? Anche se non hai vinto, hanno visto che hai talento… »
In tutta risposta Nike aveva detto. « Se non sono arrivata prima non merito nemmeno di avere una mostra per me. Quindi tranquilla e goditela. »
No, Ulquiorra non ci stava. La trascinò, via, afferrandola per il gomito. Lei lo guardò con ingenuità, aspettandosi quel gesto.
Era avvenuto tutto mentre lui era andato a “pranzare”. Qualcuno le aveva proposto una cosa piccola, ma era pur sempre qualcosa. Un’occasione che, secondo lui, non andava affatto sprecata.
« Perché; Nike? Dannazione, tu sei così brava! Altro che quarta! Con una mostra tutta tua avresti potuto… »
« Va bene così. Non mi interessa fare mostre. »
« Che stai dicendo?! Come farai a comunicare qualcosa coi tuoi disegni se nessuno li guarda?! Non era la tua aspirazione, avere una mostra tutta per te?! »
« Inizialmente era quello che mi ero prefissata. » rispose con calma lei. « Ci ho pensato durante la mostra. Tutti quei complimenti… Certo, fanno sempre piacere. Ti ringrazio ancora per aver posato per me. Grazie a te sono riuscita a esprimere quello che volevo. Però, quando mi si è presentata l’occasione, quando ho realizzato che potevo concretamente farmi valere… Ho avuto paura. Ho pensato a mio padre. Alle sue mostre, a quante aspettative aveva, a quanti sacrifici aveva fatto. Lui era un uomo pieno di risorse, pieno di energie. Forse pieno di sé. Mi ha dato tanto. Mi ha insegnato tante cose belle, ma a lui sembrava non bastare mai. Ha sempre voluto di più, i suoi disegni dovevano essere la perfezione. La sua ossessione a voler essere in alto l’ha portato alla morte. Io adesso ho paura. Non voglio ridurmi come lui… Ho capito che non c’è bisogno di puntare così in alto. Sto bene così, non ho bisogno di un primo posto, posso disegnare anche senza fare mostre, senza dovermi aspettare nulla da nessuno… »
Ulquiorra la abbracciò, interrompendo il discorso. Non era giusto, accidenti. Non era giusto che si bruciasse per la paura di ripetere uno sbaglio. Per paura di un ricordo.
« Le colpe dei padri non devono ricadere sui figli. » disse semplicemente lui. Nike ricambiò l’abbraccio, lasciando scendere qualche lacrima. Era riuscita a sfogarsi senza essere giudicata. Perché lui era in grado di farlo. Lui sapeva di suo padre. Sarebbe stato più facile parlarne a lui.
« Ti ho… Deluso, vero? »
Lui la guardò stralunato per un momento, asciugandole le lacrime passandoci i pollici sopra. Le accarezzò la testa, scompigliandole un po’ i capelli, ed infine sorrise, baciandola.
« Sciocca. » disse. « Non agire per gli altri. »
Ma sì, se a lei andava bene così, in fondo, che male c’era? Non stava scritto da nessuna parte che dovesse per forza accettare quella proposta. Andava bene così. Lei era serena. Lui non aveva motivo di avercela con lei. Nike, poi, fu così gentile da regalargli il quadro, che avrebbe appeso vicino a quello che già aveva, nella sua camera.
Ora avevano altro da pensare. Soprattutto una cosa occupava la loro mente; Murciélago. Dove si era cacciato, quel buffo pipistrello?
Dedicarono il resto della giornata, dopo la mostra, a cercarlo. In periferia, tornando al parco dove l’avevano trovato, chiedendo addirittura in giro. Ma chi poteva aver visto un pipistrello che ormai non aveva un’ala rotta?
Niente, non si trovava. Neanche in quegli studi veterinari dove raccoglievano animali feriti o smarriti. Non c’era neanche un annuncio appeso a un lampione per strada che diceva che un pipistrello era stato trovato e che magari lo davano in affido. Diamine, avrebbe dovuto mettergli un collare. Doveva pensarci prima.
« Ulquiorra, che facciamo? » chiese la ragazza dopo tre ore passate a cercare un animale che non trovavano. « Denunciamo la scomparsa…? »
« Nessuno ci darebbe retta. Non per un pipistrello. » rispose lui con amarezza. Mani in tasca, si guardava intorno, come a cercare una manna dal cielo. Magari sarebbe spuntato all’improvviso come se non fosse successo nulla. Sperò in una cosa del genere.
Quel giorno dovettero interrompere lì. Cercò di tranquillizzare Nike dicendo che avrebbero continuato il giorno dopo, e il giorno dopo ancora. Che avrebbero fatto il possibile per trovarlo.
A quell’ora, di solito, una volta a casa dava una carezza all’animale e gli serviva da mangiare, oppure lo sorprendeva con un nuovo topolino in bocca o qualche insetto da acchiappare. Solo in quel momento capì quanto fosse diventata importante la presenza di Murciélago in casa. Lui custodiva tanti segreti. Custodiva la gioia di Ulquiorra di aver incontrato Nike grazie a lui. Era il suo Cupido. Dove lo avevano portato e sue ali?
Fu una desolazione, mangiare da solo, televisione spenta, finestre chiuse, silenzio assoluto. Lo sfiorò più volte l’idea di chiamare qualche amico, farsi una birra con lui. Bere per dimenticare. Dimenticare cosa? La scomparsa di un pipistrello, che non è poi un animale da ritenersi domestico. Se avesse detto una cosa simile ad un amico, questo lo avrebbe deriso finché morte non li separava.
Nike. Lei era l’unica preoccupata quanto lui, anche di più, lei non cercava di nasconderlo. Ma pensando che lei avrebbe solo messo più ansia, preferì prendersi del tempo per lui. Appendere quel ritratto per conto suo, ammirarlo da solo. Vedere la sua persona così, nuda, disegnata da lei. Ripensare al discorso di Nike e a quanta malinconia si portava dentro. A quanto le doveva mancare suo padre. A quanta paura avesse nel futuro. Il fatto che Murciélago fosse scomparso, forse l’aveva scossa più di quanto pensasse. Forse, quell’animale aveva lo stesso valore che gli dava Ulquiorra. Il suo Cupido, ma anche un qualcosa a cui aveva affidato cose piacevoli. L’aveva trovato ferito, seviziato. Logico che ci fosse affezionata più del dovuto.
Pensò che fosse del tutto naturale, ricevere una chiamata da lei. Rispose in maniera quasi svogliata, Ulquiorra. Capendo poco di quel che diceva la ragazza.
« Ulquiorra, corri! Corri subito! »
« Calmati, calmati! Dove sei? Che succede? »
« Sbrigati! Sono alla strada che dà al parco… Quella stretta. Vediamo… » ci fu un piccolo momento di silenzio. In seguito disse il nome di una via che Ulquiorra non capì.
« Al parco? Che via? Pronto? Mi senti? »
« C’è poco campo! Al parco, al parco! Prendi la via… »
« Cosa? Non ti capisco, Nike! »
« Oh, insomma! Vai al parco e prendi la strada vicino al videonoleggio, non la principale, quella più stretta, sulla sinistra! »
« Si può sapere che succede?! »
« Ho trovato Murciélago! Fa presto, c’è bisogno… »
Caduta la linea. Forse c’era bisogno di lui. Di lui che studiava medicina. Magari si era di nuovo rotto un’ala. O peggio.
Afferrò di corsa il giacchetto e una sciarpa, precipitandosi fuori casa. Sperò di non sbagliare strada.

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@ Xazy: Grazie, apprezzo che ti piaccia la coppia!

@ Ninive: Mi dispiace, ma di Murciélago lo saprete solo al prossimo capitolo! ;)

@ Gioby95: Oh, un’altra fan di Ulquiorra! Benvenuta a bordo, sorella! Apprezzo moltissimo che la storia ti sia piaciuta. Nike somiglia alla tua amica… Che ironia della sorte! Per Murcielago, saprete tutto al prossimo!

A Namine, Ah ah ah ah, che bello vedervi cosi in ansia! Scherzo, sono contenta che il capitolo ti sia piaciuto!

Commento. In questo capitolo mi sono concessa un pochino il fangirl. Scusate, ma non ho resistito! Diamine, la tastiera impazzisce! Mi dispiace, scrivo un pochino a cavolo questa volta! Sto evitando accuratamente accenti e punteggiature strane, me misero! Comunque, tornando alla storia, finalmente nel prossimo capitolo ci saranno delle svolte! Sapremo finalmente cosa sia mai successo a Murcielago. Spero di rendere al meglio il prossimo capitolo!
Vi ringrazio tantissimo per i commenti!

Special thanks.
Giovy95 e Namine23
, per aver inserito la fan fiction tra le preferite!
Chris,
per aver inserito la fan fiction tra le ricordate!
Helionor 95, Kurai Orihime, sharingan 92, tikysgirl e Xazy,
per aver inserito la fan fiction tra le seguite!
E grazie a tutti voi che leggete!
Al prossimo capitolo!


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Capitolo 9
*** Nove. ***


Nove.

La dea bendata quella sera fu particolarmente malevola nei confronti di Ulquiorra. Fece scoppiare un temporale proprio mentre questi stava correndo verso la sua ragazza. Per la fretta non aveva pensato a portarlo, anche se c’era aria di pioggia.
Una volta arrivato al parco, si guardò intorno più volte per trovare con l’intuito la strada indicata da Nike. Illuminate solo dai lampioni, purtroppo, le strade risultavano tutte apparentemente uguali. Ricordava bene che aveva detto sulla sinistra, ma non c’era solo una strada. Dovette andare a caso, prendendo la prima, che era parallela alla via principale. E di Nike nessuna traccia. Tornò indietro, prese l’altra strada. Decise anche di ignorare i possibili pregiudizi della gente o che potessero prenderlo per pazzo, ma gridò a squarciagola e più volte il nome della ragazza. E camminando per un po’, urlando quanto più poteva, lei gli rispose. Gli intimava di correre. Dritto davanti a sé.
Anche lei non aveva un ombrello. Era zuppa ma trascurava con naturalezza quel fatto. Era inginocchiata, noncurante delle pozzanghere, rovinando i jeans, ormai sporchi e strappati. Si era tolta il giacchetto, rimanendo a maniche scoperte, per avvolgere il pipistrello. Quando Ulquiorra si voltò per vedere se era proprio Murciélago, riconobbe la cicatrice formatasi sull’ala, e vedeva una grossa ferita sull’orecchio e sulla pancia dell’animale. Sembravano tagli netti. Difficile che se li fosse fatti schiantandosi contro un albero o battibeccando con un suo simile. Quello era opera dell’uomo. Ma soprattutto, cosa ci faceva in quella stradina desolata?
Le risposte le avrebbe ottenute dopo, in un modo o nell’altro. Ulquiorra agì tempestivamente prendendo in braccio l’animale e bloccando la perdita di sangue col giacchetto ormai rosso della ragazza.
« Sono gravi, ma credo di poter fare qualcosa. Corriamo a casa. » disse, e Nike annuì, alzandosi di scatto. Le ginocchia erano completamente zuppe e diventate un tutt’uno col fango. Inoltre, il ragazzo si accorse che la sua mano destra sanguinava.
« Che ti è successo? » chiese, afferrandole la mano. Aveva un taglio abbastanza profondo sul polso. Lei disse che era scivolata e, per attutire la botta, si era parata con le mani ma l’orologio si era rotto e le schegge le erano andate nel polso. Ulquiorra la portò subito a casa, al riparo, procurandole subito un asciugamano con cui coprirsi mentre pensava a Murciélago.
L’orecchio del povero chirotteri era stato tagliato, impossibile cercare di ricostruire qualcosa. Per la pancia riuscì a ricucirgli la ferita, con perizia e buona volontà. Era molto diverso dal curare un’ala rotta o togliere una spina dal piede di un elefante. Altro che le sciocchezze che aveva fatto fino a quel momento, anche allo studio medico. Quel pipistrello doveva averne passate di tutti i colori. Se solo avesse potuto parlare, il padrone gli avrebbe fatto vuotare il sacco subito.
Purtroppo non aveva l’anestetico a portata di mano. Murciélago dovette sopportare. Fu una tortura per tutti e tre, Ulquiorra e Nike che lo sentivano schiamazzare e l’animale che doveva sopportare.
Una volta sistemate quelle brutte ferite, gli diede da mangiare e lo mise al caldo, asciugandolo sommariamente. Poi si concentrò sulla sua ragazza. La sua non era una ferita profonda, ma perse un’ora a levare un paio di schegge entrate davvero nella carne. E non avendo l’anestetico dovette sopportare anche lei, anche se ce la metteva tutta. L’orologio, nel frattempo, era diventato inutilizzabile e potenzialmente pericoloso. Un vero e proprio assassino, secondo la ragazza.
« E’ colpa tua che corri come un’incosciente sotto questo temporale. » disse il ragazzo mentre la fasciava. Anche lui si era inesorabilmente bagnato, e rischiava di beccarsi un brutto raffreddore o avere la febbre, ma non importava. Stava senz’altro meglio di quei due sciagurati. E, non appena furono tutti curati, Ulquiorra si fece spiegare tutto.
« Ho fatto girare la voce all’accademia, e un paio di persone mi hanno suggerito un posto in cui avevano visto un paio di pipistrelli. Era più o meno vicino a al parco, ma io non vidi nessuno. O meglio, non vidi pipistrelli. C’erano un paio di ragazzi, stavano per conto loro a fumare e bere, ascoltando musica dallo stereo della macchina. Sembravano persone a posto, così ho chiesto se per caso sapessero di un posto dove trovare dei pipistrelli. Mi hanno dato un passaggio. »
« Nike… » iniziò a dire il ragazzo con tono preoccupato.
« Non è successo niente. O meglio, non hanno alzato le mani su di me. Però ridevano in modo strano. Forse erano un po’ fatti. Comunque, non mi hanno accompagnata chissà dove, giusto qualche metro più avanti, poi mi hanno indicato una strada stranissima che io neanche conoscevo. Ho vagato lì per un po’, senza trovare niente di niente. Però, che ne so, forse mi sono lasciata prendere dall’ansia… Mi sentivo osservata. I rumori notturni hanno poi aggravato la situazione. Ho iniziato lentamente ad accelerare il passo. E quando ho sentito il verso di un pipistrello e un qualcosa che mi afferrava i capelli, non ci ho visto più. Sono scappata via, non ho proprio pensato a Murciélago, e comunque non era lui, era un altro. sono scivolata e mi sono tagliata il polso. Più avanti, invece, c’era qualcosa a terra, e delle persone che si allontanavano. E quando mi avvicinai, trovai Murciélago con quelle ferite, così ti ho chiamato subito. »
Ulquiorra non poté che fare una carezza all’animale, ancora tremolante per il freddo, l’acqua e sicuramente le torture subite. Povero animale. Chissà come aveva fatto a finire ancora nelle grinfie di gentaglia simile. Ma questo il pipistrello non avrebbe mai potuto spiegarlo.
Inoltre, vedeva Nike ancora turbata. Le strinse la mano, avvicinandola a sé, dicendole di stare tranquilla.
« Non lo so, Ulquiorra… » disse lei abbracciandolo, stringendosi a lui, seduti entrambi sul divano. « Mi sentivo in trappola. In balia di qualcuno. Come se non avessi scampo. »
« E’ tutto passato ora, dai. » disse lui. « Adesso sei con me, a casa mia. E con Murciélago. Vogliamo farci una cioccolata calda? »
« Sì, ne ho proprio bisogno! Ci vediamo anche un film? »
« Affare fatto. Scegli il film, mentre preparo la cioccolata. »
Quella scenetta avrebbe voluto ripeterla all’infinito; loro due, con un piccolo e insolito animaletto da compagnia, avvolti in una coperta blu, appollaiati sul divano, con la cioccolata in una mano e le dita a intrecciarsi tra loro in un’altra, mentre guardavano Arancia meccanica. Lui amava molto quel film, lo vedeva volentieri anche cento volte di fila. E lei lo guardava impressionata dall’abilità degli attori, dal carattere buffo del protagonista Alex, perdendosi con lui nelle note di Beethoven, o come avrebbero detto nel film, Ludovico Van. Era un po’ violento, ma non era un problema.
« Cosa ci mettono nel latte? » chiese lei durante il film.
« Mescalina. » rispose prontamente Ulquiorra. « E’ una droga che prendono da alcune piante. Ti dà la nausea, ma non te ne accorgi. Perdi il senso della fame e della sete. Non ti senti per niente stanco. E provoca allucinazioni sconvolgenti per quattro o otto ore. Anche tutta una giornata. Dipende. »
« Wow… » disse impressionata lei.
« Diciamo che prendere un bicchiere di latte con qualche goccia di quella roba… Ti rende capace di fare sesso ininterrotto per sette ore. »
« Sembri saperla lunga… »
« Studio medicina. »
« Sì, sì… Nascondi pure i tuoi peccatucci. »
Lui in tutta risposta sorrise, abbracciandola e dandole dei baci sul collo. Più volte la ragazza si stava lasciando andare, ma poi tornava alla realtà per seguire il film. E lui sorrideva.
Dopo il film la accompagnò a casa. A piedi, ovviamente. Cominciò a belargli in testa l’idea di doversi sbrigare a prendere una macchina. Lei era ancora turbata dall’esperienza in quella stradina per trovare Murciélago. Doveva essersi impressionata proprio tanto, poverina, anche se poteva anche aspettare e chiamare prima il ragazzo. Comunque ormai era andata. L’importante era che nessuno era morto.
Ulquiorra restò ancora un po’ con lei, tenendole compagnia davanti al portone di casa, inebriandosi della sensazione, a suo dire favolosa, di stringerla a sé, passare le dita tra i suoi capelli, continuare a dirle di stare tranquilla, che non c’era pericolo, che ormai era arrivata a casa sana e salva, che a lui non sarebbe successo nulla. Continuare a baciarla cercando di gustarsi ogni piccola sfumatura di sapore, sentendo quel pizzico di cioccolata che si erano bevuti insieme. scoprendo, poco a poco, ogni giorno che passava, che si stava creando un bel rapporto tra di loro.
« Mi raccomando. » disse la ragazza. « Non accettare caramelle alla mescalina dagli sconosciuti. »
Lui rise, baciandola ancora. « Perché accettare caramelle, quando ho un distributore di mescalina a portata di mano? »
Lei, avendo capito la battutina, arrossì. « Mmh… Non so se sia una cosa bella. »
« Oh, lo sei. Fidati, che lo sei. »
Ulquiorra quella notte restò tutto il tempo alzato, a fissare il suo ritratto.
La ruota gira per tutti. Nessuno escluso. Anche per Ulquiorra e Nike girava, ovviamente. E anche per Murciélago. La stagione degli amori arrivava anche per i pipistrelli. Soprattutto quando finalmente si resero conto di una cosa fondamentale a cui non aveva dato credito nessuno. E per Ulquiorra fu una disattenzione quasi imperdonabile. Lui, che studiava medicina, che si stava specializzando come veterinario, non aveva minimamente controllato una cosa del tutto normale. Una cosa che si fa subito. Una cosa ovvia. Talmente ovvia da dimenticarsela.
Murciélago era una femmina che sembrava aspettare dei piccoli. Oh, ma se ne accorse subito; quando tornò a casa dall’università era in pieno travaglio.
Ovviamente chiamò subito Nike. « A quanto pare in casa avevo una sgualdrina e non me ne sono mai accorto. Vieni subito, mi serve una spalla femminile su cui Murciélago possa appoggiarsi. »
I piccoli erano tre. In realtà erano quattro, ma uno di loro non riuscì a sopravvivere, purtroppo. Così piccoli, indifesi. Nike era così intenerita, ma non poteva tenerli. Li avrebbe tenuti momentaneamente lui. Certo, solo per un po’. Tanto lo sapeva che andava a finire che se li teneva tutti a tempo indeterminato. Chi vuoi che adotti un pipistrello in casa?
« E brava Murciélago! » disse Nike accarezzandola. « E idiota il tuo padrone che ti ha sempre preso per un maschio. »
« Taci. » rispose lui arrossendo.
« Sarà il caso di cambiarle nome? »
« Nà, lascia stare; ormai mi sono abituato a chiamarla così. Questi, piuttosto? » Ulquiorra indicò i nuovi nati, che già cercavano, coi loro piccoli versi e i musi all’insù, la mamma. La appena scoperta mamma.
« Ci penserò su… Che ne dici di festeggiare, stasera? Io, te, qualcosa da bere da qualche parte. magari anche qualche amico. »
« Perché no? Ho proprio voglia di uscire stasera.  Passo a casa tua verso le… Otto? »
« Benissimo! Allora vado, a stasera! »
« Scusa, dove? »
« A casa… Perché? »
Lui le fece fare abilmente retro marcia, e si avvinghiò a lei, per nulla vergognandosi del suo senso di possessione nei confronti di lei. La guardò di sottecchi, facendo sfiorare pericolosamente la labbra, sfiorandola più volte, mentre lei attendeva impaziente un qualcosa che non arrivava.
« Sono solo le due… Rimani. Resta con me. »
E lui lo sapeva bene che lei non poteva resistere a una supplica del genere. Soprattutto mentre sentiva le mani di lui, con quelle dita fini, lunghe, così abili a toccare nei punti giusti. Così belle. Quanto amava le sue mani.
E mentre lo disfacevano un letto coi loro movimenti passionali, profondi, mentre impregnavano le lenzuola dei loro odori, dell’odore della loro voglia di stare assieme, mentre le loro voci cariche di soddisfazione si sollevavano in aria. La ruota girava.
La ruota gira per tutti. Nessuno escluso. Logicamente una persona non ci pensa se impegnata in cose simili. Già non ci pensa più di tanto quando compie azioni del tutto normali.
Ma anche se fosse stato così, non era un problema. L’importante era che non sconvolgeva troppo l’equilibrio che quei due ragazzi avevano trovato. Nel quale si trovavano bene.
Ulquiorra nella sua mente espresse chiaramente il desiderio di rimanere con lei. Quanto più tempo possibile. Lo ammise a sé stesso; si era innamorato. Come un ragazzino qualunque. Lei era diventata quella stessa mescalina di cui Alex di Arancia meccanica non poteva fare a meno. L’unico modo che avevano trovato per farlo smettere era stato quello di condizionarlo con quello strano lavaggio del cervello.
Ma per lei, per fortuna, non esistevano strani marchingegni, niente congetture, niente strane teorie. E non c’era nessuno che spacciasse della droga buona quanto lei. Era tutta sua.
E, come uno stupido, arrivò sotto casa di Nike un quarto d’ora prima dell’orario stabilito. E lei che imbarazzata al citofono rispondeva che non era ancora pronta, per forza di cose. Che cercò di sbrigarsi; la vide inciampare per le scale, la vide con un’espressione spaventata, già se la immaginava spiaccicata a terra e invece era riuscita salvarsi saltando un paio di gradini. La vedeva, così bella in quegli abiti che le stavano divinamente, si sentì lusingato nel fatto che lei volesse sempre rendersi perfetta per lui. Cavolo, che cosa strana, l’innamoramento. Ti rende un perfetto idiota, e lo sai. Però lasci fare, perché ingenuamente pensi che un po’ di idiozia ci voglia, in questo povero mondo.
Pensi che non è male il calore di due mani che si stringono.

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@ Ninive: Ebbene sì, ogni tanto non resisto e lascio che il mio hollow interiore prenda il sopravento! xD Grazie per la recensione!

@ Giovy: Svelato il mistero di Murcy (che nomignolo carino!)… Con una sorpresa! xD

@ Lou: Congratulazioni per il tuo orale! Anche a me è andata piuttosto bene, anche perché ero l’ultima e ho iniziato a mezzogiorno e mezza, poveri prof stanchi! xD Figliare? Ma guarda che dolci sorprese che riserva il nostro ormai carissimo pipistrello! Mi fa piacere che trovi carini i nostri baldi giuovani… Quasi mi dispiace fare da guastafeste. T.T

Per il quadro… Eeeeeeeeh, cara mia, purtroppo una gigantografia non si può avere a casa. Altrimenti io me la sarei già prenotata e farebbe la sua bella figura in camera mia. xD

Ma, ragazze mie adorate! Spero di allietarvi con questa cosetta trovata sul web!
http://i49.tinypic.com/258cbrl.jpg

E poi, anch’io disegno… Sia mai che un dì, mi venga voglia di realizzare una copia per soddisfarci un po’ la vista. Anche se sarebbe meglio se si materializzasse Nike e ce lo disegnasse lei!
Se vi va visitate la mia pagina DeviantArt, dove ci sono delle fan art di Bleach e qualche personaggio originale di alcune fan fiction. Purtroppo i disegni non si vedono molto bene. ^^’’
http://nemesihouseburns.deviantart.com/

Bene! E dopo tutta questa pubblicità neanche tanto occulta, passiamo al

Commento; mi sembra un po’ troppo “smielato” questo capitolo. Ma non ho resistito alla tentazione di vedere Ulquiorra rammollito. E poi, se pensò ai prossimi risvolti della storia, non posso che essere clemente con lui! Volevo sviluppare qualcosa già da questo capitolo, ma ho voluto rimandare al prossimo. Qui ho voluto dedicare più spazio a Murciélago. Perché lo merita anche lui. Ah, no, scusate, lei! Mi è venuto in mente all’improvviso! Non ho la minima idea di come si distingua il sesso tra pipistrelli, ma… Chi sono io, per impedire a me stessa di sperimentare? Ordunque, ecco la cucciolata. Chi vuole adottare un pipistrello carino carino? *-*
Grazie mille per le recensioni e le visite! Ci vediamo al prossimo capitolo!

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Capitolo 10
*** Dieci. ***


Dieci.

Era la prima volta che Ulquiorra ebbe l’occasione di presentare Nike ai suoi amici. Si erano mostrati simpatici e alla mano, anche se un po’ troppo chiacchieroni. Ma per lei non sembrava essere un problema. Ridendo e scherzando, erano tutti insieme di fronte a delle birre. Andava tutto bene. A parte qualche commento di troppo degli amici.
« Sei proprio carina, Nike! »
« Ehi, vacci piano. Divento geloso così. »
« Dovresti sentirti lusingato Ulquiorra. D’ora in poi non ti suggeriremo più nessuna. Tu sì che hai gusto, altro che Annabeth… »
« Chi è Annabeth? » chiese la ragazza con un sorriso, finendo la lattina di birra.
« Niente, Nike… Vecchia storia. »
Parlarono a lungo tutti insieme. Ridendo di gusto. Era una bella serata. Dove Ulquiorra, e anche Nike, si dettero alla pazza gioia. Bevvero un casino, il ragazzo sapeva reggere bene l’alcol, e soprattutto sapeva quando fermarsi. Non appena avvertì un leggero giramento di testa, decise di smettere. Vedeva Nike euforica, alla decima lattina di birra. Se non altro, non c’era il rischio che vomitasse.
Si intenerì nel vedere che comunque, anche se un po’ sbronza, lo cercava costantemente. Si appoggiava a lui, lo abbracciava, lo accarezzava. Anzi, quella notte diede proprio di matto. Ulquiorra non se l’aspettava di certo.
« Ti amo, Ulquiorra. »
Decisamente; era ubriaca. Non se l’erano mai detto fino a quel momento, la sbornia le aveva sbloccato qualcosa. Anche se non lo diede a vedere, però, Ulquiorra fu al settimo cielo.
Sì, si stavano divertendo. Forse troppo. Ma in fondo, che male c’era?
Vedendo che Nike barcollava per andare in bagno, Ulquiorra pensò bene di accompagnarla. Cavolo, girava la testa anche a lui. Col cavolo che si sarebbe alzato la mattina.
Nike voleva solo darsi una rinfrescata. Fece scorrere per un po’ l’acqua dal lavandino, ne sorseggiò un po’, fece i gargarismi e la sputò, sciacquandosi poi la faccia. e, prendendo matita e fazzoletto, si diede una sistemata al trucco, sporgendosi leggermente verso lo specchio.
Vuoi la birra, vuoi i sentimenti. Ma Ulquiorra non resistette a lungo nel vederla così.
« Ulquiorra, che c’è? »
Ma lui non rispose. La abbracciava, da dietro, le accarezzava le gambe. La toccava in quella maniera che lei conosceva bene e che ogni tanto malediceva. Le aveva alzato di poco la gonna, aveva chiuso a chiave la porta del bagno, e senza pensarci due volte le alzò la maglietta.
« Ulquiorra… Non qui… »
« La prossima volta impegnati di più per fermarmi. »
In effetti la ragazza non si era sforzata più di tanto. Si lasciò toccare senza problemi. Si lasciò possedere senza obiettare. Il fatto che avessero bevuto un po’, fece loro dimenticare che erano in un bagno pubblico, sospirando sonoramente. Ma dal momento che nessuno andava a bussare, rimasero lì finché non si sentirono pienamente soddisfatti.
Ulquiorra la fissava, attraverso lo specchio. Con occhi socchiusi. La bocca dischiusa. Il suo seno coperto dalla sua mano che lo stringeva forte.
Pensò che quello era il momento ideale per lasciarsi definitivamente andare. Come nel suo ritratto.
« Nike… Ti amo anch’io. »
Chissà se l’aveva sentito. Lei sospirava e basta, stringendo forte le vesti, le mani, il lavandino.
Senza dubbio, fu il posto più strano dove Ulquiorra lo aveva fatto fino a quel momento. I suoi amici sembravano aver capito il perché della lunga permanenza in bagno, ridacchiarono, fecero l’occhiolino, come compiaciuti. Come per dire “e bravo Ulquiorra!”.
Quando decisero di uscire tutti dal locale e andarsene a casa era l’una e mezza. Di un sabato sera, quindi c’era ancora diversa gente a girare. Sembravano le sei di sera.
Nike sembrava stare meglio, non barcollava. L’aria fresca della notte sembrava averle rinsavito un po’ i neuroni. Non parlava con uno strano tono di voce, niente bava alla bocca, niente principio di nausea o vomito. Addirittura invitò Ulquiorra a dormire a casa sua, che era più vicina, tanto aveva casa libera.
Salutarono gli amici. E la coppia iniziò a incamminarsi per casa della ragazza.
« Sono simpatici, i tuoi amici. » disse Nike avvinghiandosi al braccio del ragazzo.
« Dici davvero? Ogni tanto sono un po’… Indiscreti. »
« Ma no, sono simpatici. Mi hanno divertita molto. Comunque, chi è Annabeth? »
« Una. »
« Dai, mica faccio le scenate! »
« E’ storia vecchia, Nike. figurati che mi crede promesso a un’altra ragazza ricchissima. »
« Oh, capiiiiiiscooo! » fece lei saltellando. « Corteggiatrici moleste… Bè, allora sarò io la tua promessa sposa! Così ci crede davvero. »
Ulquiorra sorrise, dandole un bacio sulla fronte. Non c’era bisogno di promettere nulla. In quel momento teneva molto a lei, stava insieme a lei, e voleva passare altri bei momenti con lei, finché c’era quel sentimento. Che per fortuna non accennava a svanire, ancora.
Sempre mano nella mano, percorsero qualche metro sul marciapiede del locale, per poi attraversare insieme la strada.
La ruota gira, è così per tutti. A volte gira in senso contrario, a volte è favorevole. A volte è lenta, forse troppo.
Altre volte va anche a cento chilometri orari senza curarsi di frenare se qualcuno sta attraversando.
A volte non basta una piccola spinta per rendere la ruota favorevole.
A volte avere riflessi pronti non bastava. Ma in quei momenti nessuno ci pensa. Pensi solo a salvarti la pelle. O a salvare quella della persona che ti sta accanto, a cui non vorresti che accadesse nulla.
Fu proprio quello a cui pensò Ulquiorra. Nike doveva allontanarsi da là. appena si vide quella macchina, rossa, grande, veloce, si voltò subito verso Nike e la spinse via, facendola cadere sul marciapiede, lei che gli gridava cosa stesse facendo, se si era arrabbiato.
Solo quando vide lo schianto, solo quando vide il suo ragazzo volare per una quindicina di metri e piombare a terra senza rialzarsi realizzò quello che stava succedendo. E non aveva visto solo lei. Tutti i ragazzi nei dintorni avevano visto, e stavano accorrendo verso quel ragazzo che non si alzava. E quella macchina che continuava a sfrecciare via, come se non fosse successo nulla. Come se non avesse rovinato nulla.
« Aaaaaaaaaaaaaaaaaaaaah! Noooooooo!! »
Si fece strada, Nike, in mezzo a quella folla che guardava disgustata e impotente la vittima di quell’incidente. Senza poter fare nulla. Anche qualche amico di Ulquiorra era accorso, chinandosi su di lui. E piangeva, la piccola Nike. gridava, carica di disperazione. Non riusciva neanche a toccarlo, per paura di fargli male, di toccare qualcosa che lo avesse portato alla morte. Perché respirava ancora, Ulquiorra. Cercava di parlare. Avrebbe voluto muovere la mano, avvicinarla a Nike, dirle di stare tranquilla, che lui studiava medicina, che avrebbe risolto tutto. ma muoveva a malapena le dita. E non sarebbe riuscito a fare nulla da solo. Gli occhi socchiusi vedevano un mondo confuso. Vedevano dei visi conosciuti, dei visi nuovi, che lo guardavano impietositi. Che lo incitavano a parlare chiedendo se era ancora vivo. Che chiedevano ad altri cosa bisognava fare. Sentiva qualcuno chiamare l’ambulanza.
E Nike gli era accanto. Disperata, ma viva.
Cercò di muovere ancora la mano, ma niente, solo le dita rispondevano, debolmente. Sfiorò le gambe della ragazza, la quale si accorse del contatto. Afferrò la mano del suo uomo, debole, bagnata di sangue, come lo era il suo viso, il colo, la giacca ridotta in frantumi. Le gambe, coperte da jeans neri, non lasciavano trasparire tracce di sangue, ma il lago che si creò nel terreno servì a farlo capire.
Qualcuno lo aiutò ad alzargli la testa, mettergli un asciugamano dietro. Il ragazzo gli sentì dire con chiarezza, anche se a bassa voce.
« Cazzo… Qua la pelle è andata. Gli sento le cervella… »
Tentava di parlare. Ma nessuno lo sentiva. Nessuno poteva sentirlo.
« Ulquiorra, non ti sforzare. » disse un suo amico. « Tra poco arriva l’ambulanza… »
« No, non possiamo aspettare! » gridava Nike. cercava di parlargli, di farlo rialzare. « Aiutatemi, spostiamolo da qui! Datemi un asciugamano, mettiamolo sulla pancia e… »
« Ferma, non toccare! Non vedi che ha l’intestino di fuori? Come pensi di rimetterglielo a posto?! »
« No, vi prego… Non lasciamolo qui… Non lasciamolo da solo! »
Tentava di far capire che riusciva a respirare, che sentiva e capiva cosa stavano dicendo intorno a lui. Stringeva la mano della ragazza, per quel poco che poteva fare. Per fortuna lei se ne accorgeva. Lo guardava negli occhi. Rimasti incontaminati dal sangue che lo ricopriva. Erano rimasti di quel verde che a lei piaceva tanto. Che la chiamavano. La volevano.
« Sono qui… » diceva lei, in preda alle lacrime e ai singhiozzi. « Vedrai che ti salverai… E prenderemo il bastardo che ti ha fatto questo… »
« Giusto…! » disse l’amico. « Chiamate anche la polizia. quello stronzo è sfrecciato via senza aiutarlo. Sicuramente era un ubriaco. »
Voleva restare con loro. Far capire che c’era. Voleva tenere gli occhi aperti e continuare a stringere Nike a sé. Vedeva la notte, davanti a sé, illuminata dai lampioni, senza luna. La vedeva, ma non riusciva a parlare. Non si sentiva più il corpo.
Si vedeva come un estraneo. Nel vero senso della parola.
Non capiva chi fosse l’uomo che si stava spacciando per lui a terra e morto, ma era uno scherzo di pessimo gusto, atto solo a far disperare inutilmente Nike.
Allungò il braccio verso di lei, ma una volta mosso si accorse di avere un peso ingombrante, proprio sotto il collo. Una catena. Che non aveva lucchetti e non poteva essere tolta dal suo corpo. Che era collegata con quel corpo a terra. Chiamava Nike a gran voce, ma lei non rispondeva. Come se lui non esistesse. Parlava solo a quel corpo a terra. Che gli somigliava troppo per essere un sosia o un attore, per quanto abile poteva essere.
Tutti sembravano ignorarlo. Nessuno vedeva che c’era una persona con una catena sotto il collo. Lentamente, nella sua mente, cominciò a delinearsi l’idea che quel corpo era davvero il suo, morente. Che se ne stava andando. Che la sua anima lo stava lasciando.
Quella catena gli dava un enorme fastidio. Voleva disfarsene. Ricongiungersi al proprio corpo e tornare ad abbracciare Nike come faceva sempre.
E Murciélago, coi suoi piccoli, a casa? Non poteva lasciarli. Non voleva lasciarli.
Si chinò, pensando di riuscire a trovare un modo per togliere quella cosa e far tornare tutto come prima. Ma la catena iniziò a sgretolarsi dal corpo a terra. La certezza che per lui, in quel mondo, non c’era più spazio, piombò come un fulmine a ciel sereno.
Voleva abbracciare Nike disperatamente. La sua morte fu una cosa straziante. Non tanto per il dolore fisico, che era già un lontano ricordo, ma per lei. Che piangeva, che invocava il suo nome, che vedeva la mano lasciarla lentamente, diventare morta.
« Ulquiorra… No, ti prego… No… Dio, ti prego, no… Apri gli occhi… Ti prego… Ti prego… » mosse quella mano insanguinata verso di sé, portandosela alla guancia, simulando degli schiaffi. « Dimmi che sei qui… Ti prego, no… Ti prego, alzati… Ulquiorra, rispondimi…! »
Persino quegli sconosciuti che si erano fermati piansero. Si impietosirono davanti a quella morte troppo crudele, troppo straziante. Si poteva sentire qualcuno dire cose del tipo “non è neanche morto sul colpo… Deve aver patito come una bestia”. Altri che infierivano contro quell’automobilista.
L’ambulanza che arrivava, che si chinava verso Ulquiorra ormai privo di vita, che inutilmente cercarono di sentirne il polso.
Cercarono di trasportarlo sulla barella, dicendo. « Ora del decesso: l’una e quarantotto del mattino. »
Nike non voleva crederci. Non fece avvicinare nessuno a lui. Lo stringeva, lo abbracciava.
« Ulquiorra! Nooooooo… » singhiozzava e gridava. Con rabbia e disperazione. « Perchèèèè?! Perché non siete arrivati subito?! Perché quella macchina non si è fermata?! Oh, dio! Se c’è qualcuno lassù… Perché hai permesso tutto questo?! Cazzo… »
Farfugliò qualcos’altro, cercarono di allontanarla gli amici di Ulquiorra, anche loro tristi, piangenti.
Anche Ulquiorra non poté che iniziare a piangere. E nessuno poteva vederlo. Poteva vedere la sua donna tra le braccia di qualcuno che non era lui. Farsi consolare da qualcun altro per la sua morte.
Voleva proteggerla, ma non immaginò che la sua fine potesse essere così. Ora era destinato a cosa? Il paradiso? L’inferno? Avrebbe vagato per tutta la sua esistenza da anima come un vagabondo?
Non poté che piangere, in preda alla tristezza di aver lasciato finire tutto così.
Non poté che andarsene, conscio del fatto che Nike non avrebbe potuto più vederlo, non lo avrebbe più raggiunto. Conscio del fatto di essere inesorabilmente e terribilmente solo.
La morte era davvero un qualcosa di terribile. Ora lo poteva dire.

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@ Giovy: Vero? Ulquiorra sotto questo aspetto è impedibile! xD

Commento; è infine giunta l’ora per Ulquiorra. Letteralmente. Inizialmente pensavo di farli morire tutti e due, ma poi ho cambiato idea. Certo, che cosa straziante. Questo capitolo mi lascia una strana sensazione addosso. Certo, parlare di morte non è mai una cosa bella. Ma cercare di descrivere gli ultimi momenti di una persona è stato molto faticoso e straziante. Mi ha portato alla mente cose molto sgradevoli, strane malinconie. Non sono sicura di aver centrato il punto, ma questo è ciò che sono riuscita a fare.
Spero che questo capitolo vi sia comunque piaciuto. Non per la sua morte, chiaramente. Bé, mi avete capita. Vi aspetto nel prossimo capitolo con un Ulquiorra ormai anima, ormai prossimo a essere l’Ulquiorra che tutti conosciamo e che ammiriamo.

Sfogo; Lo scanner funziona di nuovo! Finalmente!

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Capitolo 11
*** Undici. ***


Undici.

Essendo morto, non avrebbe potuto descrivere a nessuno che sensazione si provava ad assistere ai propri funerali. Che effetto faceva vedersi in una bara coperta di fiori e dediche. Vedere la propria ragazza in prima fila che piangeva, mentre un’amica cercava di calmarla. Vedere la propria madre vestita di nero, sempre in prima fila, conscia di trovarsi accanto alla sua donna. Eppure non faceva nulla. Non si erano rivolte la parola, né un abbraccio, nessun gesto umano. Forse per lei era già tanto che fosse venuta fino a Berlino per dare un ultimo saluto al figlio. Nonostante fosse trapassato, Ulquiorra non riusciva a perdonare nulla a sua madre.
Aveva assistito a tutto mescolandosi tra la gente, che non lo vedeva e non lo sentiva. Se solo ne avesse avuto il potere, avrebbe fatto riprendere quel corpo e avrebbe cercato con tutte le forze di aprire quella cassa da morto. Magari la sua era solo morte apparente. Magari chiudendo e contando fino a tre per riaprirli si sarebbe visto in una bara a bussare per essere portato fuori. Ci sperò fino all’ultimo, ma quando vide che il suo copro diventava concime per piante, messo sotto terra come il seme di un tulipano, farsi sotterrare da degli sconosciuti, capì che era finito tutto. la sua vita terrena era cessata per un incidente stradale. Perché non era stato attento. Perché aveva bevuto. Non fece che darsi la colpa di tutto, anche se era stato messo sotto da una macchina peraltro rubata. Il suo assassino non era ancora stato trovato, ma era stato identificato come un ragazzo a cui avevano ritirato la patente, disoccupato, ubriaco da far schifo che aveva rubato una macchina. Lo aveva sentito dire dai poliziotti che, dopo uno snervante e a dir poco indiscreto interrogatorio, tranquillizzavano Nike.
Fu davvero angosciante e triste trovarsi accanto alla propria tomba, in cui venivano messi dei fiori sempre nuovi. Un giorno le rose, un altro i garofani, un altro ancora i tulipani. Era sempre Nike a portarli, a volte facendosi accompagnare da un’amica. Sua madre non si fece più viva dopo il funerale, ma già lo aveva tenuto in conto.
Nike invece si presentava quasi tutti i giorni, si chinava, dava un bacio alla foto del suo uomo. Una foto in cui sorrideva, una delle poche che era riuscita a scattargli. Sistemava i fiori e poi se ne andava via, facendo il segno della croce. Un giorno, con un’amica, sentiva il bisogno di sfogarsi. E Ulquiorra, si appostò accanto a lei. Posò anche una mano sulla sua spalla, senza impedimenti di catene. Quell’oggetto metallico era infatti sparito, lasciandogli un buco non indifferente sotto il collo. Non riusciva a spiegarsi come riuscisse a respirare nonostante tutto.
« E’ tutta colpa mia… » diceva Nike. « Se solo fossi stata più attenta… Se solo lo avessi trascinato con me, quando mi ha spinta via… Dovevo essere io a volare per venti metri… »
La sua amica cercava di dirle di no, che non era vero, che non doveva dire così, che Ulquiorra lo aveva fatto solo per salvarla, che doveva continuare a farsi forza per lui. Le stesse cose che avrebbe voluto dirgli lui stesso.
« Se solo fossi stata più attenta ora sarebbe con me, lontano da un posto triste come questo. »
Era straziante vederla così. No che non era colpa sua! Avrebbe voluto gridarglielo, ma tanto lei non sentiva. Nonostante ce l’avesse davanti agli occhi, era distante anni luce, in realtà.
Scese la sera, in quel cimitero chiuso da poco. Seduto accanto alla propria tomba, come fosse la sua nuova casa. Tanto, dove sarebbe potuto andare?
Credeva che nessuno avrebbe mai potuto disturbarlo. E invece, qualcosa arrivò. Un uomo, sulla trentina, con barba incolta e vestito in maniera elegante, camminava con una strana tranquillità. Che si girò verso Ulquiorra e gli sorrise. Il ragazzo si guardò intorno. Ma non era da solo?
« Come andiamo? » chiese quell’uomo.
Ulquiorra sgranò gli occhi per un attimo. « Tu… Riesci a vedermi? »
Il signore rise. « Okay; da quant’è che sei morto? »
« … Una settimana. » rispose interdetto Ulquiorra.
« Ah, sei nuovo. Io sono morto da dieci anni. »
Era uno spirito come lui. Allora non era l’unico. C’era qualcun altro con cui condividere il proprio dolore, anche se lui si mostrava tranquillo. Il trentenne si accomodò accanto al ragazzo, stringendogli la mano e presentandosi col nome di Hilger. Gli disse con un sorriso che ci avrebbe fatto presto l’abitudine e che, se era fortunato, sarebbe trapassato presto in pace.
« Cioè, qualcuno mi porterà in paradiso o all’inferno? » chiese Ulquiorra con un espressione vuota.
« Può darsi. Anche se paradiso è un termine fittizio. Noi spiriti la chiamiamo Soul Society. E non ci sono traghettatori di anime come Caronte, ma shinigami, dei della morte. Poi, bè, se sei stato cattivo c’è poco da fare. O vai all’inferno o aspetti che qualcuno ti faccia fuori. »
« Hilger… Cos’hai visto in dieci anni? »
« Tante cose. Shinigami che portavano via le anime dei bambini. Spiriti che non resistevano al dolore e diventavano dei mostri. Loro sono orribili. Perdono tutta l’umanità e non fanno che divorare le altre anime per diventare più forti. Oppure ci sono persone come me che stanno qui per anni e anni senza che nessuno se li fili. Purtroppo gli shinigami non hanno il diritto di decidere liberamente chi far riposare in pace. Ma mi sono accontentato. »
« E questi mostri… Cosa sono? »
« Spiriti maligni. Delle povere anime in pena. Anime piene di dolore perché qualcuno li ha dimenticati, o per altri motivi. Ti auguro di non fare quella fine. »
Ogni tanto lo incrociava, quello spirito così ottimista e sorridente. Ogni tanto rimaneva da solo. E Nike, più passavano i giorni, meno si faceva vedere. Finché, quando la rivide, il sorriso tenue del ragazzo non si trasformò nelle lacrime più amare.
Era con una sua amica, per questo seppe la notizia. Quando veniva da sola, non parlava di certo. Forse per paura di essere presa per pazza.
« Sei proprio decisa, Nike? »
« Sì. Ormai ho preso il biglietto. parto domani. »
Partiva. Ma sarebbe tornata, no?
« Ma come farai laggiù da sola…? »
« Lavorerò. Ulquiorra era riuscito a farcela. Ormai ho perso interesse per la pittura. Non voglio continuare l’accademia. Non voglio più stare qui. E poi, Budapest non è così brutta come città. Mi troverò bene. »
Andava via. Per sempre. Non sarebbe più tornata a trovarlo, a mettergli dei fiori, a dare un bacio sulla sua foto. Si sarebbe fatta un’altra vita laggiù, a Budapest. Si sarebbe innamorata di qualcun altro e lentamente lui sarebbe sparito dalla sua mente. Più volte si disse che non era così, che Nike ne aveva tutto il diritto, che non poteva stare tutta la vita al cimitero. Ma fu così difficile da digerire.
Pianse, giorno per giorno, sembrando un fiume in piena. Già la sua espressione sembrava triste di suo, ma con quelle lacrime agli occhi, quell’espressione così affranta, rannicchiato su sé stesso, nel suo mondo, non poteva che essere il ritratto stesso della disperazione. A un mese dalla sua morte persino Nike lo aveva abbandonato. Gli aveva lasciato come ricordo dei tulipani, che appassirono nel giro di cinque giorni. Quel fiore tornava a far parte del niente. Come lui. Ora che ci faceva, accanto a quella tomba, se nessuno sarebbe più andato a trovarlo?
Piangeva, ancora e ancora, finché non arrivò qualcuno a interrompere la sua disperazione. E non era Hilger.
« Povera anima in pena… »
Dall’alto, un uomo lo guardava, vestito con un kimono nero e una spada attaccata alla vita tramite un nastro bianco. Sembrava giovane e aveva un espressione severe e profondamente dispiaciuta.
« Cosa vuoi? » chiese Ulquiorra senza preoccuparsi di tenere un tono amichevole.
« Sono uno shinigami, e sono venuto qui per portarti alla Soul Society. »
Dopo due mesi. Ottimo tempismo, questi shinigami.
Ma Ulquiorra trovò inutile andare persino là.
« Vattene, shinigami. Non ho interesse per la vostra Soul Society. Lasciami qui. »
« Ma guardati… Fai pena. Di questo passo ti ridurrai a diventare un hollow. Un mostro che non conoscerà mai la pace. »
« Non mi importa nulla di quello che diventerò. Tanto, a questo punto, non vedo che differenza faccia. »
« Questo tuo pessimismo è solo l’inizio. »
« Lascialo finire, allora. tanto prima o poi tutto muore. »
Lo shinigami restò interdetto, a quella frase. Non gli era mai capitato che qualcuno si rifiutasse di farsi mandare alla Soul Society, erano per lo più spaventati, non conoscendo quel posto, ma nessuno si era mai rifiutato.
« Ho l’ordine di portarti alla Soul Society. »
« Vai ad uccidere qualche spirito maligno, o hollow come lo chiamate voi. »
« Mi costringi a usare le maniere forti. »
« Quante futilità. » disse Ulquiorra in tutta risposta. « Pensi forse di spaventare chi non ha più nulla di importante? »
Lo shinigami stava per tirare fuori la spada, ma venne interrotto da quello che sembrava il trillo di un cellulare. Lo guardò, irrigidendosi subito dopo e voltandosi.
« Accidenti agli hollow! » disse. « Non ti illudere, spirito! Tornerò a terminare il lavoro. »
« Vai pure. Tanto io non ci vengo, laggiù. » detto ciò si alzò, iniziando a vagare fuori dal cimitero.
Inutile mangiare e bere, non sentiva fame e sete. Era diventato tutto inutile. Non c’era più nulla da fare. Si ritrovava da solo a fare un cavolo di niente per niente, con l’unico pensiero che lo avevano abbandonato. E non c’era nessuno che gli poteva far cambiare idea. Aver amato Nike… A cosa era servito, se era morto così per poi farsi lasciare così? E mentre lei se ne andava a fare una nuova vita a Budapest, lui che faceva? Chi avrebbe pensato a lui? No, non gli bastava un pensiero di Nike da laggiù, perché non sarebbe arrivato. Lui voleva altri fiori sulla tomba. Lui voleva restare a Berlino a studiare medicina, vivendo come un essere umano. Per un idiota la sua vita era stata distrutta, e la sua unica speranza se n’era andata.
Era morto per un qualcosa di cui si stava lentamente dimenticando. Una cosa che comunque trovò inutile, pari alla spazzatura. Perché tanto, se tutti morivano in quel modo, non aveva senso amare, soffrire, vivere. No, non ci stava. Perché lui doveva provare quelle sensazioni e la donna che amava no?
La sua rabbia si sfogò sul muro accanto a sé, contro cui tirò un pugno violento, che creò una frattura. Vide la sua mano sanguinare. Ma guarda un po’, anche se era un’anima perdeva sangue, e sentiva dolore alla mano. In un certo senso stava “vivendo” ancora. Ma tanto era tutto inutile. Sarebbe morto ancora e ancora per raggiungere il niente. come diceva un film, “seguito e preceduto da un cazzo di niente”*.
Col passare dei giorni quei pensieri si insinuarono sempre di più nella sua mente, nel suo animo. Sempre se ce l’avesse ancora. Perché nessun anima poteva essere tanto rassegnata, tanto pessimista. Hilger lo aveva avvertito. Ma non resistette al dolore. Un dolore che gli lacerava il petto, lo costringeva a cedere. Finché non si rassegnò, e si perse definitivamente quel poco di umanità che gli era rimasta e che Nike gli aveva strappato via.
Si sentiva diverso. Nuovo. Si vedeva gli arti completamente cambiati. Non umani. Corse in un bagno pubblicò, voleva vedersi. Ed era… Un mostro. Proprio come diceva Hilger. I suoi occhi non erano più verdi, ma gialli. La sua espressione non era affatto umana, sembrava disperata, le sopracciglia sempre nere corrugate in modo da sembrare sempre tristi. Guance segnate da due linee nette e nere, profonde, come se fossero solo un ricalco di tutti i giorni e tutte le notti passati a piangere per lei. Per una lei che se n’era andata e l’aveva ridotto così. Il buco rimase com’era, ma la sua testa. Il suo viso. Non erano umani. Sembrava avere due corna, e aveva le ali. Ali da pipistrello. E artigli, e una maschera che gli copriva la testa, le spalle, la schiena, le gambe. Sembrava La Cosa dei fumetti americani.
Non si riconosceva, quasi. Ma sentiva dentro un vuoto strano. Capiva che non sarebbe mai riuscito a riempirlo. Quel buco sarebbe rimasto sempre vuoto.
Niente fame, né sete. Ma si sentiva debole. Forse anche un po’ annoiato.
E quando uscì dal bagno pubblico, tò. Un bambino. Uno spirito, visto che sembrava averlo visto e scappava. Che quella forma fosse l’hollow di cui tanto aveva sparlato Hilger?
Volle tornare al cimitero per rivedere il vecchio sé stesso nella foto. Una foto che aveva scattato la donna che amava. E che non aveva idea di come lo avesse ridotto. Ma tanto che senso aveva ripensarci?
« Come immaginavo… Alla fine hai ceduto. »
Ulquiorra si voltò con pacatezza, incrociando lo sguardo dello shinigami affranto, quasi disgustato.
« Sei tornato, shinigami… Ma perdi il tuo tempo. Vattene. »
« Ora che sei un hollow, ho il dovere di ucciderti. »
« Te lo ordina la Soul Society? »
« No. La mia morale. »
Lo vide, così coraggioso da andargli addosso a spada tratta. Ma Ulquiorra non aveva paura. Non aveva più nulla da perdere. E se quello voleva rompergli le scatole, bé, se l’era cercata.
« Idiota. » disse Ulquiorra, schivando la sua spada, e sorprendendolo alle spalle. Aveva degli artigli, poteva usarli a proprio piacimento. Ma, contrariamente a quanto pensava, non provò niente nell’infilare la mano nel corpo di quello shinigami, nel vederne il sangue scorrere, nell’assaporarlo avvicinando la lingua alle dita troppo appuntite. Credeva che avrebbe trovato un minimo di gusto nell’uccidere quel rompiscatole, e invece si dimostrò essere l’ennesima cosa inutile che si ritrovava a fare. Aveva ucciso qualcuno che forse non meritava neanche la sua attenzione.
« Sei già morto? » chiese, notando che della polvere si stava formando ai piedi dello shinigami.
Sbuffò, allontanandosi. « Sei solo spazzatura. » lo apostrofò in questo modo e, camminando, incontrò un’altra conoscenza. Anche lui lo guardava disgustato. Ulquiorra avrebbe dovuto abituarsi presto a quella condizione.
« Ulquiorra…? » chiese Hilger.
Il ragazzo, o meglio, hollow, lo sorpassò, annuendo.
« Che ti è successo? Sei diventato un mo… »
Non riuscì a finire la frase; Ulquiorra lo aveva ucciso senza lasciarli il tempo di manifestare il suo dispiacere. O disprezzo. Perché era questo che pensava Ulquiorra. In quanto hollow, ormai lo avrebbero disprezzato e basta.
Lasciò quel posto per sempre. Come aveva fatto una certa persona. Che non avrebbe mai perdonato. Ma sì, che si rifacesse una vita a Budapest o dove voleva.
Lui iniziava una nuova esistenza vuota, come tutti.
Perché la vita, secondo Ulquiorra, aveva perso consistenza e significato.

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@ Ninive: Già, poverina. Anche se in questo capitolo passa un po’ per la bastarda di turno…

@ Giovy: Ti ringrazio molto per la recensione, sono contenta di essere riuscita a renderlo bene!

@ Namine: Grazie per il commento!

Commento; ecco, Ulquiorra è cambiato ancora una volta, diventando il nichilista che conosciamo. O almeno, ci ho provato. Non mi piace molto l’idea di far passare Nike per “stronza”, in questo capitolo, ma visto che ho affrontato e sto affrontando di più il punto di vista di Ulquiorra, ho provato a pensare a come dev’essersi sentito per il trasferimento di Nike. E per diventare hollow, immagino si sia lasciato andare a pensieri non molto carini.
Bé, spero che il capitolo vi sia piaciuto, al prossimo!

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Capitolo 12
*** Dodici. ***


Dodici.

Non sentire pi la fame non voleva dire che non avesse voglia di mangiare. Le anime, in fondo, avevano un buon sapore. Soprattutto quegli stolti che osavano sentirsi superiore a lui.
Dopo mesi, forse tre, forse cinque, Ulquiorra aveva intrapreso un vagabondaggio in cui puntualmente incontrava qualche anima ingenua da divorare, o qualche hollow da sfidare. Aveva sentito dire che gli hollow si classificavano tra loro e la classe più alta era composta dai vasto lorde. Che avevano un aspetto quasi umano. Forse, per un lontano senso di nostalgia, volle riacquisire quell’aspetto che lo teneva legato alla vita terrena. O forse perché voleva semplicemente diventare più forte.
Non si mise più a contare i minuti che passavano, non si mise più a pensare che giorno era o in che mese. Non sentiva più il caldo estivo o il freddo invernale, mentre la gente che vedeva attorno a lui si copriva e scopriva periodicamente. Aveva definitivamente perso il contatto con la realtà, o meglio, col mondo terreno. Lui non faceva più parte di loro, già da quando Nike era andata a Budapest. Non andò mai fin laggiù per vederla. Ormai lei apparteneva a un mondo che non lo riguardava più.
Si trova poco lontano da una cittadina di provincia, seduto ai piedi di un albero a fissare il vuoto, intorno a una distesa di anime divorate, che si stavano lentamente riducendo in cenere.
Ormai la solitudine non era più un problema per lui. L’aveva accettata come una naturale condizione dell’essere, sia umano che spiritico.
Quando sentì qualcuno avvicinarsi. Qualcuno di potente. E non era da solo. Erano almeno tre. Quattro. Cinque.
Vestiti di bianco. Tutti diversi tra loro. Uno dai capelli argentati, uno castano, uno moro dalla pelle scura, un vecchio con delle cicatrici, un ragazzo dai capelli azzurri e gli occhi in tinta, con un buco sulla pancia. Quella persona era simile a lui.
Il castano, che si fece avanti, con un sorriso a dire di Ulquiorra equivoco e un ciuffo ribelle cadergli davanti, gli rivolse la parola, con un tono di voce profondo e pacato.
« A quanto vedo, ne hai fatti fuori parecchi. »
Ulquiorra non gli rivolse la parola, limitandosi a squadrarlo e lasciandolo parlare.
« Ho sentito parlare di te. Tu sei quello che non è voluto venire alla Soul Society, lasciandosi andare al potere di hollow. »
A quel punto lo degnò di attenzione, assottigliando lo sguardo. « Sei uno shinigami? »
« Sosuke Aizen. »
« Se sei venuto ad uccidermi, ti conviene andartene. Non ho tempo da perdere con la spazzatura. »
« Io credo invece che ti interesserà molto ciò che ho da dirti. »
Ulquiorra, in tutta risposta, si voltò da un’altra parte.
« Posso offrirti un potere ben più alto di un vasto lorde. Posso darti qualcosa di estremamente potente, soggiogare chi vuoi, eliminare tutta la spazzatura che vuoi. »
« Mi hai preso per uno spazzino? Sparisci, shinigami. »
« Sei testardo, a quanto vedo. Ma così forte… E’ uno spreco tenerti qui. »
Ulquiorra si voltò, per osservarlo meglio. Sembrava differente dagli altri shinigami. Non aveva intenzione di ucciderlo, né di portarlo alla Soul Society. Ma allora cosa voleva dagli hollow?
« Non mi interessa fare comunella con te. » disse infine. In effetti non gli importava molto.
Quel tale, Aizen, senza smettere di sorridere, pronunciò un nome. « Grimmjow. »
Fu il ragazzo dai capelli azzurri a rispondere, sbuffando tra sé e sé e prendendo la spada. Assalì poi Ulquiorra, il quale lo schivò tempestivamente. Iniziarono a combattere, quel Grimmjow con la spada ed Ulquiorra a mani nude, e per un po’ combatterono alla pari, anche se quel ragazzo azzurro rideva, quasi di gusto, per poi avere la meglio. Ulquiorra si ritrovò col labbro e il naso sanguinante.
« Basta così, Grimmjow. »
Si avvicinò al ragazzo, ferito, che lo guardava con un certo odio. Cosa diamine voleva da lui?
« Dal tuo sguardo mi sembra di capire che non ti sei convinto… Pazienza. Ho metodi più convincenti. »
Prendere una spada non sembrava un chissà che di minaccioso. Ma nel momento in cui pronunciò delle parole, quasi come una formula magica, la spada iniziò a fluttuare in aria.
« Spezzati, Kyoka Suigetsu. »
Era un sogno. Doveva per forza essere così, perché vedeva Nike che veniva uccisa da un ladro. Poi investita da quella macchina rossa perché lui non aveva fatto in tempo. Poi la vedeva tra le braccia di un altro uomo. La vedeva sorridente, senza di lui. Probabilmente era la vita che stava facendo in quel momento.
Che si trovasse in un lago di sangue o tra le braccia di qualcuno, era sempre una sofferenza per lui.
Gridava, chiedeva di smetterla, di cancellare quelle immagini dove una ragazza dai capelli corvini sorrideva, piangeva, viveva attraverso di lui.
Colto da una crisi, rubò la spada dalle mani del ragazzo azzurro, e si fiondò addosso ad Aizen.
« Smettila! »
Ma quello shinigami lo fermò subito. Ulquiorra si ritrovò bloccato a terra, con una spalla che sanguinava. Aveva anche la bava alla bocca. Quelle cose che aveva visto erano state terribili per lui.
« Hai fegato, ragazzo. » disse lo shinigami. « Vieni con me. Posso farti dimenticare quelle cose che hai visto. Posso renderti più forte. »
Dimenticare? Sì… Forse quella era la soluzione migliore. Far finta che Nike non fosse mai esistita, evitare di continuare a soffrire così, lasciarla libera di viversi ciò che voleva, liberarsi di un peso. Poter diventare privo di sentimenti… Sembrava quasi una liberazione.
« Vieni con me. » ripeté Aizen.
E Ulquiorra annuì, come se si fosse rassegnato alla potenza di quell’essere. Il quale sorrise, nel vedere il suo assenso.
« Grimmjow, aiutalo a rialzarsi. »
Detto ciò il ragazzo lo afferrò per una spalla, aiutandolo per tutto il tragitto.
Era arrivato in un luogo sconosciuto, forse un’altra dimensione, che aveva sentito chiamare Hueco Mundo. Arrivò poi davanti a un castello che Aizen gli presento come Las Noches, e che sarebbe stata la sua casa. Lo portò poi in un’altra stanza, da solo. Una stanza nera, senza finestre, al cui centro vi era un piccolo mobile bianco con una sfera nera sopra.
« Questo ti renderà la persona potente che sogni. »
« Non ho alcuna ragione per voler essere forte. » rispose Ulquiorra. « Voglio solo dimenticarmi della mia vita umana. Anzi, di tutto. Non ha senso ricordare. »
Aizen sorrise. « Tanto meglio, allora. tu sarai il mio occhio. Vedrai tutto, ricorderai tutto, mi dirai tutto. avrai capacità sbalorditive per poter operare al meglio. Avvicinati. Ti mostro di cosa è capace quest’oggetto. »
Lo fece inginocchiare. Lo fece rinchiudere in una specie di barriera. E quella sfera; sentiva da subito uno strano potere, terrificante. Che lo fece tremare per un po’. Poi avvertì solo fumo. E potere. Sentì un qualcosa che gli strappava via la mente, le ali, la maschera che gli copriva integralmente la testa.
Sentì un violento giramento di testa. Si sentì vuoto.
E, quando si accorse che era tutto finito, era completamente nudo, si guardava intorno spaesato, aveva un corpo umano, pallido, come lo aveva nella sua vita terrena. Sentiva sulla testa una specie di elmo, una maschera che lo copriva a metà. Si toccò, più volte. Che gli era successo?
« Qual è il tuo nome… Ragazzo? »
E lui, non poté che rispondere, ritrovando la propria voce, rimasta immutata. « Ulquiorra… Ulquiorra Schiffer. »
Abbassando lo sguardo vide un buco, sotto il collo, nel quale ci passava benissimo una mano. Si alzò in piedi, senza vergognarsi della sua nudità. Quando Aizen gli porse delle vesti bianche, e fece chiamare da qualcuno un tale Grimmjow. Ulquiorra ricordava vagamente di averlo sentito nominare.
Quegli abiti gli donavano, doveva ammetterlo. Si sentiva a suo ago nel collo alto di quella giacca, nel mantello che si divideva in due, nei pantaloni larghi che ricordava vagamente uno stile samurai. Guardandosi allo specchio, si rese conto di avere il labbro superiore completamente nero, mentre delle lacrime verdi, profonde, gli rigavano le guance. E non sparivano. Così come verdi erano i suoi occhi, dalla pupilla molto più sottile, circondate dal nero profondo delle ciglia e da un espressione perennemente triste.
Quando tornò alla realtà, Grimmjow era appena arrivato. Gli lanciò una spada, una katana, dall’impugnatura comoda e una guardia crociata dalla forma curva e che lo affascinava.
Aizen chiese di vederli combattere. Perché voleva vedere come se la cava quello nuovo, disse.
Ulquiorra gli era addirittura superiore, all’inizio. Si sentiva sicuro di sé, forte, si sentiva un tutt’uno con quella spada. Ci stava prendendo gusto. E sembrava anche Grimmjow, almeno finché Ulquiorra non lo colpì al braccio, e quasi glielo stava strappando via.
« Basta così. » disse Aizen. « Molto interessante… » fece un sorriso compiaciuto. « Grimmjow, ho un bella notizia per te. Da oggi non sarai più il dodicesimo arrancar. Ti farò tatuare il numero sei. »
Il ragazzo sorriso, con fare sbruffone. Come se fosse scontato che si meritava un posto più alto del dodici.
« Ulquiorra… Sei un elemento valido. D’ora in poi, sarai il quarto. Provvederemo a farti tatuare il numero. »
Grimmjow rimase di stucco, di fronte a quella scelta, ma non ribatté. Mentre Ulquiorra non fece che osservare quello shinigami dall’aria solenne, che lo spinse ad inchinarsi.
« Sì… Signore. »
« A proposito, vedo che ti piace la spada che ti abbiamo dato. »
« Mi ricorda… Qualcosa. Ho come un lontano senso di nostalgia… » disse lui, rigirandosi l’arma tra le mani.
« Hai già pensato a un nome? »
Ulquiorra ci pensò per un po’ , per poi dire, con naturalezza. « Murciélago… Credo che Murciélago vada più che bene. »
Grimmjow sbuffò. « Che strano nome. » notò. Ma Ulquiorra fece un piccolo sorriso, che fece sparire in un battibaleno.

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@ Ninive: Bella domanda, ai pipistrellini non ci ho minimamente pensato! Cercherò di risolvere la faccenda nel prossimo capitolo, ah ah ah!

Commento; Ed eccoci qua. Finalmente Ulquiorra è un espada! Mi rendo conto che questo capitolo sia un po’ così… Non è al massimo, insomma. Scusate, ma in questi giorni sono un po’ nervosa. Spero comunque che il capitolo vi piaccia!
Il prossimo sarà l’ultimo.

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Capitolo 13
*** Tredici. ***


Tredici.

I vantaggi di essere un arrancar erano molti; non si sentiva il caldo, né il freddo, non si aveva sete, né fame, nessun essere umano poteva vederli, potevi andare liberamente dove volevi in tempi ridottissimi. Cina, Austria, Giappone.
Lo svantaggio era che a volte colui che ti accompagnava era un tale chiassone che ti pentivi di aver deciso di giurare fedeltà ad Aizen. Anche se, nella maggior parte dei casi, si veniva costretti. Anche per lui era stato così, ma preferiva sempre sorvolare. Dopotutto, Aizen si era mostrata una persona discreta e gentile nei suoi confronti. Qualche sacrificio lo poteva pur fare.
« Che noooooia! Non c’è niente qui! »
« Smettila di lamentarti. Non siamo venuti qui per divertirci. »
« Sì, sì, scusa. » il suo compagno faceva sempre una piccola pausa prima di riprendere a parlare. O rompere le scatole, eventualmente. « Ulquiorra, chi è il nostro obiettivo? »
« Nessuno in particolare quest’oggi, Yammy. » rispose Ulquiorra. Mani in tasca, vesti bianche e spada al fianco. Non era cambiato di una virgola in quei due mesi che era al servizio di Aizen. Nel frattempo, i numeri degli arrancar erano aumentati, Yammy arrivò poco dopo di lui e divenne il numero dieci, anche se per la sua posizione faceva troppo lo spaccone. Lui era rimasto sempre il numero quattro, ma non aveva di che lamentarsi. Quel giorno Aizen li aveva mandati a perlustrare il mondo umano per vedere se c’erano persone con forze spirituali notevoli.
« Potevano anche mandarci qualcun altro invece di noi espada, non pensi? » fece Yammy grattandosi la testa e guardandosi intorno con fare svogliato.
« Sua eccellenza Aizen ha mandato noi perché siamo gli elementi più fidati. » rispose secco Ulquiorra. « E comunque è questione di poco. Non c’è nulla di rilevante qui. Ho sentito dire che nel mondo umano ci sono solo tre persone con una forza notevole, e pare che non siano in questo posto. »
« Tanta fatica per niente. »
« Idiota, se fosse davvero per niente non ci saremmo neanche mai mossi da Las Noches. »
Era la prassi quotidiana ormai. Difficile dire che i due fossero amici. Ulquiorra avrebbe detto certamente di no; non faceva che trattare quel Yammy con sufficienza, nonostante la stazza di quest’ultimo, almeno il triplo del suo corpo esile e alto il doppio. In fondo, però, non poteva dargli torto in quella circostanza; camminare in mezzo a tutta quella gente che Ulquiorra apostrofava come spazzatura per cercare un nessuno, non era il massimo.
« Possiamo andarcene, Yammy. Andiamo a far rapporto a sua eccellenza. »
Ma proprio quando entrambi si voltarono per cercare un posto appartato in cui aprire il varco per tornare a casa, Ulquiorra si fermò di colpo, colpito da una voce femminile che non ce l’aveva con lui, ma richiamava un’altra presenza.
« Murciélago, accidenti a te! »
Non capitava certo tutti i giorni di scoprire che qualcuno conosceva quel nome. Chi aveva osato soffiarvi il nome della sua spada? Si voltò, con calma, incuriosito da quella presenza; una ragazza dai capelli nerissimi, molto scalati e spinosi, con una frangia irregolare che segnava degli occhi nocciola molto espressivi, che in quel momento dedicavano tutta l’attenzione a un pipistrello che era tra le sue braccia, esili, coperte da maniche lunghe e di lana a causa del freddo pungente. Quando il suo viso fu finalmente scoperto dalla grande sciarpa verde, Ulquiorra notò delle labbra che sembravano disegnate, che si corrucciavano e facevano uscire il suo respiro che, a contatto con l’aria fredda, creava una piccola nuvoletta. Era alta almeno quanto lui, e andava in giro con un animale così insolito e una ragazza più alta e castana, che sembrava sua amica.
« Non devi volare via così! Vuoi che ti metta al guinzaglio? » diceva all’animale, come se potesse capirla.
« Nike, non credo che ti capisca. » fece la sua amica ridendo. « Piuttosto, perché te lo sei portato appresso? Hai idea di quanto sia faticoso allevare un animale come questo? »
« Vuoi scherzare? Non potevo mica lasciarla a Berlino da sola con dei piccoli da tenere! »
« Se ne sarebbe occupato qualche centro per gli animali… »
« Assolutamente no. Lui non lo avrebbe mai permesso. E nemmeno io lo permetterò. E scommetto che nemmeno a questa piccola fuggitiva piaccia l’idea di stare chiusa in quella gabbia di matti. »
« Okay, okay. Piuttosto, stasera che farai? Accetterai l’invito di Ivan? »
« Gli ho detto di no. »
« Cosa?! E perché? È un ragazzo così carino e gentile! »
« Se è tra amici, okay, ma se intende farmi la sua donna, non se ne parla neanche. Gliel’ho detto subito, così da non creare illusioni, e lui ha detto che allora era meglio di no. Davvero carino e gentile. »
« Nike, accidenti! Sei ancora così giovane… Perché non ti rifai una vita, ora che sei a Budapest? »
« Io il ragazzo ce l’ho già. »
Fu a quel punto che la ragazza si rabbuiò un po’, accarezzando con amore l’animale tra le sue braccia, che si era appena addormentato. La sua amica cinse la spalla di lei con un braccio, con aria mortificata.
« E’ morto, Nike. Per salvarti. Io credo che lui sarebbe contento se ti riprendessi qui… Dopotutto te ne sei andata da Berlino per ricominciare, no? »
« Lo so… Lo so perfettamente. Il fatto è che non lo voglio io. ormai non riesco più a innamorarmi… Nessuno mi fa sentire come mi sapeva fare lui. Se in questo mondo esiste qualcuno come lui, ben venga. Ma fino ad allora… Io resterò la sua donna. Lui è morto per salvare me. Io c’ero, l’ho visto morire tra le mie braccia, senza che io potessi fare nulla. Non posso dimenticarlo, e nemmeno sostituirlo. Per favore, Natasha, non ne parliamo più, ormai lo sai come la penso. E quell’Ivan, poi, non è neanche tanto gentile, visto come si è tirato indietro quando ho messo in chiaro che non gliela davo. »
La vide camminare, per poi tornare ad occuparsi del pipistrello che si era svegliato e svolazzava, sfuggendo al suo controllo. Come se avesse percepito qualcosa. E, quando vide che si stava dirigendo verso di lui, capì che era proprio vero che i pipistrelli sentivano cose totalmente diverse. Gli svolazzava accanto, senza fermarsi, guardandolo insistentemente, e con uno strano luccichio negli occhi. O era solo un impressione di Ulquiorra?
Per un attimo non seppe che fare. Si ridestò quando Yammy iniziò a parlare.
« Che fastidio questo topo volante… Lo ammazzo. »
« No… Lascia stare. » disse Ulquiorra, alzando una mano, rivolgendola poi all’animale, sfiorandolo. Notando che quell’animale non aveva paura di lui, e che quasi sentiva quella piccola carezza –o presunta tale- Ulquiorra accennò un sorrisetto.
« Ciao. » disse. « Ti chiami Murciélago? Che coincidenza, anche la mia spada si chiama così. »
Improvvisamente si ritrovò davanti quella ragazza, quella Nike, che afferrava con forza il pipistrello e la sgridò con tono amorevole. Guardandola da vicino, Ulquiorra ebbe la sensazione che avesse un’aria familiare, anche se non riusciva a ricordare cosa. E comunque, lei non poteva vederlo. Infatti tornò sui suoi passi senza degnarlo di un sguardo, al contrario del pipistrello.
« Quella femmina… E’ proprio strana. » disse a voce bassa, tant’è che Yammy non poté sentirlo.
« Sei davvero bizzarra, Nike. » disse la sua amica. « Legarti così al passato… »
« Legarmi? » fece lei. « Sbagli, Natasha. Lui mi ha imprigionata. »
Sparì dalla vista di Ulquiorra, incrociando per un’ultima volta lo sguardo con quel pipistrello. Per un attimo sembrò felice di averlo visto. Come se si conoscessero da sempre, ma Ulquiorra non sapeva proprio dire il perché. Le stranezze da animali, pensò.
« Ulquiorra? » lo chiamò Yammy.
Il ragazzo si voltò, rimettendo le mani in tasca e passando avanti. « Andiamocene, Yammy. »
Non lo confidò a nessuno, ma ripensò a quella ragazza e al suo animaletto per molto tempo. Anche quando quella femmina di nome Orihime Inoue fu portata al covo di Las Noches, nell’Hueco Mundo, dove lui risiedeva con Aizen e altri arrancar per contrastare il nemico giurato di sua eccellenza, un tale Ichigo Kurosaki molto legato alla ragazza. Per alcuni tratti gli ricordava quella incontrata in quel posto chiamato Budapest. Ciò servì solo a confondergli di più le idee, a sforzarlo di ricordare qualcosa che non veniva proprio in mente. Quando diventò un arrancar aveva stabilito un accordo con Aizen, ma ricordava vagamente anche quello. Sapeva a malapena perché era diventato un hollow. Ricordava di essere morto travolto da una macchina, e nulla di più. di ciò che c’era pria, e ciò che successe dopo, erano solo immagini confuse, in cui lui era un mostro, o un ragazzo che se ne stava appostato accanto a una pietra.
Concluse che era inutile scervellarsi più di tanto su cose che non ricordava e no sarebbe mai riuscito a ricordare, ma c’era sempre qualcosa che lo induceva a tornare a pensare a lei, a Nike.

Sbagli, Natasha. Lui mi ha imprigionata.
Da chi? Ma poi, perché gli importava così tanto?
Cosa c’entrava lui?
Sciocchezze da umani.
O forse era perché si era riconosciuto in quel disagio? In quel senso di appartenenza che non capiva e che aveva sfogato sulla sua spada, che aveva lo stesso nome del pipistrello di quella donna?
Si rese conto solo mentre lottava con quell’Ichigo, dell’incredibile, e se vogliamo, crudele, ironia della sorte.
« Imprigiona, Murciélago. »
Di chi era stato prigioniero lui? Chi aveva imprigionato nella sua vita precedente, con quelle enormi ali da pipistrello?
Cosa portava di sé quella Nike?
Inutile, non lo avrebbe mai capito.
Doveva pensare a eseguire gli ordini di sua eccellenza Aizen, adesso.

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@ Lou: Purtroppo non sono riuscita a inserire l’UlquiHime! Mi dispiace, ma non ne ho trovato proprio occasione, sono solo riuscita ad accennare una vaga somiglianza! Senza contare che Orihime mi sembrava un po’ di “troppo”, nel senso che comunque Ulquiorra ha dimenticato tutto e non sapevo proprio come inserirla in una cosa tra Ulquiorra, Nike e Murciélago –perché anche lei merita!- Sono molto contenta della tua recensione, e mi fa molta tenerezza che abbiate notato quel piccolo 1%! ^^

@ Ninive: Svelato il mistero del pipistrello! Spero che ti sia piaciuto il capitolo!

Commento; ed eccoci qua, all’epilogo, capolinea, fine. Ulquiorra è un espada, ha dimenticato tutto e ha sfiorato per un’ultima volta Nike. spero di aver reso bene il loro ultimo”incontro”. Credo che mi mancherà Murciélago, davvero. Era così chiassosa…
Voglio ringraziare tutti quanti voi per il sostegno e le recensioni, per aver inserito la mia storia tra le preferite o seguite! Sono stata davvero felice di aver scritto una storia simile, perché non sono sicura che sia il mio campo e non so se avrò occasione di scriverne altre. E poi, Ulquiorra Schiffer, what else? <3
Ringrazio ancora infinitamente tutti quanti e, se vi va, seguitemi anche nella storia Possiedo un obiettivo, dunque vivo, ancora in corso!

Grazie a tutti! Spero che ci rivedremo con un'altra storia!
Neme.

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