Ready, Set, Hut

di Heine
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Sorrisi diabolici e puntine da disegno. ***
Capitolo 2: *** Al demone non puoi dire di no. ***
Capitolo 3: *** Oh, Fratello Elfo. ***
Capitolo 4: *** Kekekeke. ***



Capitolo 1
*** Sorrisi diabolici e puntine da disegno. ***


Ready, Set, Hut Non penso di essere una persona che crede nel destino.
Ma, tempo dopo aver ricevuto quella telefonata, mi resi conto che probabilmente qualcosa di simile esisteva.



Doburoku era un allenatore provetto, e la sua tecnica di insegnamento era basata su anni e anni di esperienza, di cadute, di vittorie e di partite perse. Tuttavia, alla sua veneranda età, possedeva delle limitazioni fisiche. Guardava quei giovani e promettenti atleti del Deimon, e si rendeva conto che lui, star d’un tempo passato, non poteva più uguagliarli. Provava una certa invidia, insieme ad una sorta di senso protettivo, orgoglio e voglia di vederli un giorno sul podio su cui lui non era potuto arrivare.
Voleva vederli vincere il Christmas Bowl, a tutti i costi.
Eyeshield 21, ovvero Sena Kobayakawa, era infinitamente migliorato durante la Death March fino a Las Vegas, in tutto: come mentalità, come maturità, come velocità e come resistenza. Aveva un talento innato, le sue erano gambe d’oro. Rispetto agli altri componenti della squadra, era decisamente superiore, sebbene sia Monta che Kurita fossero entrambi talentuosi. Sena aveva bisogno di qualcuno che lo seguisse da vicino, prima di tutto perché lui, Doburoku, non era in grado di corrergli a fianco a quella velocità; secondo, perché il suo talento andava coltivato. Quel ragazzo poteva andare lontano, diventare un professionista serio e poteva ambire a gradi vittorie.
Hiruma, il quarterback, non era in grado di poterlo allenare da vicino, poiché doveva seguire il resto della squadra e sé stesso in primo luogo; Anezaki era la manager, e non era adatta a prendere le redini della questione.
Con la fronte aggrottata, fece un gesto per chiamare Hiruma.
- Che c’è, vecchiaccio di merda?- gli urlò da lontano il biondo quarterback posando su una panchina la propria mitragliatrice.
- Ho bisogno di parlarti di una cosa.- rispose serio Doburoku, lo sguardo concentrato fisso sul campo.
- Sbrigati vecchiaccio, devo far fare ancora ai nanerottoli venti giri del campo.
Doburoku, pacato, sorseggiando il sake tra una pausa e l’altra, gli espose in sintesi le sue preoccupazioni e le sue idee. Hiruma, le mani sui fianchi, diventò serio e il suo sguardo si fece pensieroso.
- E chi pensi possa seguire quel marmocchio, vecchiaccio? Non siamo una squadra come l’ Ojo. Non abbiamo dei sostituti validi né tantomeno qualcuno che possa seguire Eyeshield senza essere pagato. Posso fare quello che vuoi per i fondi del club, ma non mi va di sprecare soldi per qualcuno che non conosco e che potrebbe rivelarsi un fesso.- sentenziò alla fine con fare sprezzante.
- Non ci sono delle conoscenze, che ne so, qualcuno che in passato era in squadra?- suggerì Doburoku bevendo sake.
- Musashi è tutto preso dal suo lavoro di muratore e dal padre. E poi se tornasse in squadra sarebbe il kicker che ci manca, idiota.
Calò il silenzio, ed entrambi rimasero assorti dai loro pensieri. Hiruma puliva il proprio fucile con dei gesti ormai dettati dall’abitudine, Doburoku si grattava la nuca con una smorfia in viso.
Fu un istante. Alzarono entrambi lo sguardo, chi con un ghigno in volto, chi con un sorriso a trentadue denti.
Erano arrivati alla stessa soluzione.

 


Vivevo nella sperduta campagna giapponese, in allegra compagnia di mucche, galline e vitelli. Incredibile ma vero, il Giappone possiede anche una campagna! Dei campi verdi, risaie, boschi e strade sterrate.
Quando si pensa al Giappone, vengono subito in mente le gradi megalopoli quali Tokyo o Osaka, la tecnologia, il Monte Fuji, gli anime, i manga, e niente di più.
Dopotutto, il turismo è concentrato soprattutto in quegli ambiti.
Mio padre, figlio di impiegati, aveva deciso di rompere la tradizione di famiglia, ed era scappato di casa, aprendo una piccolissima ferramenta in un paesino sperduto dell’ Hokkaido, circondato solo ed esclusivamente da prati. Poi aveva incontrato mia madre ed infine aveva avuto me, Chizuru.
Essendo molto legata alla mia famiglia e poco propensa alla socializzazione, alle elementari non feci amicizia con quasi nessuno. Eravamo una classe di circa quindici bambini in tutto -nel senso che eravamo quindici bambini in tutta la scuola-, a livelli diversi di conoscenza e di età diverse. La maestra ci seguiva tutti, mettendoci a gruppi a seconda delle età, organizzandosi le spiegazioni come riusciva.
Passavamo tutta la mattina e metà del pomeriggio a scuola, dopodichè tornavamo a giocare o ad aiutare i nostri genitori nei campi. Non era il mio caso, dato che mio padre possedeva una ferramenta, ma mi piaceva saltellare per i campi, raccogliere fiori e poi portarli a mia madre, aspettando felice una carezza sui capelli.
Insomma, ero una bambina molto semplice, per niente amante della violenza, taciturna e a tratti ambigua per i miei compagni. Avevo infatti una sorta di mania per la corsa, correvo per i prati anche per delle ore, senza stancarmi mai. Mi dava sollievo, era la mia unica valvola di serio sfogo.
Un bambino molto simile a me, in un certo senso, era un tal Yoichi, un bambino smilzo, con i capelli neri costantemente spettinati, un ghigno diabolico stampato sul volto e orecchie a punta, il quale possedeva un’intelligenza e una furbizia fuori dalla norma. Era il classico bambino sempre in punizione, che ne combinava di tutti i colori e che incitava alla ribellione. Per quanto ne sapevamo noi, viveva col padre, un ricco giocatore di scacchi- o almeno, pareva- che possedeva un appartamento appena fuori dal paese, il quale, tuttavia, non era quasi mai in casa. Di sua madre non avevamo notizie, e lui non parlava mai se non interpellato. Passava le ore chino sul banco a fare schizzi di schemi e robe che io non capivo, oltre a disegni di armi e di pistole che di certo non rendevano felice la maestra; l’alternativa agli schizzi erano le classiche puntine da disegno messe sulle sedie dei compagni.
Non aveva amici. Era troppo violento e aggressivo, non rispondeva mai bene e la gentilezza non era la sua prerogativa di vita. Gli altri della classe lo evitavano più che potevano, e parecchie volte aveva ricevuto delle lamentele da parte dei genitori degli altri compagni.
In sintesi, era una vera peste. Ma non era casinista, ed era questo ciò che inquietava.
Un giorno, capitai casualmente come sua vicina di banco. Il vecchio vicino aveva costantemente dei cerotti sul sedere a causa delle puntine, e mi lasciò il posto con estremo sollievo. Io ero terrorizzata. Mi ricordo che non mi salutò neanche, continuando tranquillamente i suoi diabolici schizzi e senza degnare di uno sguardo gli esercizi di matematica che la maestra ci aveva assegnato. Tutto ad un tratto, si voltò verso di me di scatto, un enorme ghigno sul volto che gli andava da un’orecchia all’altra.
- Hei tu!- mi disse, sghignazzando- Hai delle puntine da disegno? Le ho finite tutte con il vecchio compagno.
Quello fu il mio primo, inquietante incontro con Hiruma Yoichi.

 

Nei giorni seguenti, tentò ovviamente di mandarmi nel panico più totale mettendomi costantemente tutte le sante mattine le puntine sulla sedia, e io, che avevo finalmente capito come funzionavano le cose, costantemente tutte le sante mattine mi chinavo, raccoglievo le puntine in una mano e gliele restituivo sorridendo. Non demordevo, anche se la mia pazienza era messa sempre alla prova da quel bambino maligno.
Avrei potuto benissimo andare dalla maestra a piagnucolare come qualsiasi altro bambino sano di mente, ma no, mi dicevo che se l’avessi fatto gliel’avrei solo data vinta.
Non parlavamo, sentivo che lui borbottava qualcosa durante le lezioni ma niente di più; ogni tanto lo sorprendevo a disegnare le sue amate pistole accompagnandosi con dei “BAAANG!”, ma in quei momenti era talmente preso da quello che stava facendo che tendeva ad escludere totalmente il mondo esterno. Non che gliene importasse molto, degli altri, dopotutto.
Dopo settimane e settimane di continui appostamenti di puntine sulla mia sedia, decisi che ne avevo abbastanza. Non vedendo altro modo se non rispondere con le sue stesse armi, il giorno seguente gli misi io le puntine sulla sedia. Ero impassibile, ma dentro di me ghignavo come se fosse stata la prima volta che facevo una marachella. Lui arrivò al banco, si fermò, guardò la sedia e rimase un po’ interdetto. Io feci una smorfia, delusa dal fatto che lui non ci fosse cascato, ma lui invece di dirmi qualcosa e mandarmi a quel paese mi rivolse uno dei suoi soliti sorrisi demoniaci e mi restituì le puntine.
Durante quel semplice scambio di scherzi, facemmo amicizia. Lui si rese conto probabilmente che ero una delle poche che aveva osato provocarlo, e io mi dissi che potevo anche fare amicizia con qualcuno. In effetti Yoichi mi faceva un po’ pena: era sempre da solo, e suo padre non veniva mai a prenderlo fuori da scuola.
Il primo discorso serio che facemmo fu a proposito delle armi che disegnava. Mio padre teneva dei fucili in casa- ovviamente non caricati- e possedevamo qualche manuale di armi a cui io avevo dato una sfogliata qualche volta, non avendo niente di meglio da fare. Avevo una buona memoria visiva al tempo, e riuscivo un po’ ad abbinare le immagini ai nomi.
Sembra strano che due bambini di appena dieci anni possano fare amicizia per una cosa come le armi, e invece per me e Yoichi fu così, e non riesco ad immaginarmi un altro modo in cui noi potessimo diventare amici.

Ovviamente continuò a farmi scherzi su scherzi, a volte anche davvero diabolici, e non si risparmiava per niente le battutacce e l’assenza totale di gentilezza nei miei confronti; tuttavia, prendemmo l’abitudine di andare dopo la scuola nei prati insieme. Lui non mi calcolava molto, non era abituato a stare in compagnia, e correva per i campi fingendo di essere in mezzo ad una delle sue fantasie. Beh, fantasie. Si trattavano di giochi in cui lui assediava qualsivoglia collinetta di terra, gare a chi era più veloce o a chi si arrampicava prima sull’albero, oltre a varie incursioni nei meleti dei vicini a rubare la frutta.
Non mi portò mai a casa sua, ma approfittò più volte dell’ospitalità di mio padre, ovviamente per fini quali vedere e toccare da vicino i suoi fucili. Un pomeriggio, mentre eravamo in un campo sotto illuminato dal caldo sole estivo, incominciò a raccontare confusamente della sua famiglia, di suo padre, del disprezzo e della rabbia repressa che provava nei suoi confronti. Io gli chiesi di sua madre; lui si zittì per un momento, poi ringhiò a voce bassa, fissandosi i piedi, che era scappata con un altro uomo quando lui aveva all’incirca quattro anni. Rimasi sconvolta. Ero così abituata a vedere la mia famiglia felice, che per me, bambina di dieci anni, era quasi impossibile pensare ad una cosa del genere.
Era un bambino forte, non pianse né diede segni di cedimento. Mi guardò, mi ringhiò di non dirlo a nessuno, si voltò dandomi le spalle e, le mani ficcate a fondo nelle tasche dei pantaloncini, prese a calciare un sassolino sulla strada. Rifiutò con un gesto brusco la mia mano sulla sua spalla, e andò a casa sua senza dire una parola.

Circa un mese dopo, saltò la scuola. Una mio compagno l’aveva visto uscire di casa, ma non era entrato in classe. Chiamarono il padre, ma era irrangiungibile.
Uscita da scuola, sentii un “Hei!Psst! Chizuru! Idiota, voltati!”, mi girai e lo scorsi nascosto dietro ad un muretto, con un ghigno enorme stampato in volto. Era euforico da far paura, sprizzava entusiasmo da tutti i pori. Mi avvicinai di soppiatto a lui e gli chiesi perché diamine non era venuto a scuola, che tutti erano preoccupati per lui e che pensavano fosse scappato. Lui mandò a quel paese tutti e mi incitò a seguirlo. Durante il viaggio, mi raccontò che era entrato nella base militare americana vicina al nostro paese, e che aveva scoperto uno sport fantastico, “stra-figo”, assolutamente incredibile, e che voleva farmelo vedere.
Mi spinse di forza in un buco che aveva praticato lui precedentemente nella rete che circondava la base militare – io non volevo entrarci, continuavo a ripetere che era troppo pericoloso- ma lui a forza di spintoni mi buttò di peso dentro, sghignazzando come un ossesso. Mi ritrovai ai bordi di un campo enorme, dove uomini dalla stazza enorme si spintonavano, sudati, passandosi una palla ellittica con dei lacci sui lati.

Era violenza allo stato puro, ma era stranamente affascinante. Mentre li guardavo a bocca aperta, lui mi illustrava in termini tecnici cosa stavano facendo, mostrandomi un manuale di “Football Americano”, uno sport a me ignoto prima di quel momento. Io però non lo ascoltavo. Ero tutta presa da un tizio di una delle due squadre che correva come un fulmine verso l’altra metà campo, la palla stretta contro il petto. Correva come un dannato, ma sembrava divertito al massimo. Mi rispecchiai in lui, rivendendo me stessa e i lunghi pomeriggi prima di conoscere Yoichi a correre nei prati, raccogliendo i fiori per mia madre. Il cuore mi batteva a mille.
Prima che me ne rendessi conto, un uomo enorme ci oscurò con la sua ombra, e prese Yoichi per la maglietta, sollevandolo a cinquanta centimetri da terra. L’euforia si trasformò nel giro di due secondi in terrore allo stato puro, ma il ragazzino non fece una piega. Si scambiarono qualche battuta tagliente, poi Yoichi gli sussurrò qualcosa all’orecchio; l’uomo avvampo’ di botto, sbraitò contro i bambini ficcanaso delle ultime generazioni, e ci disse di portare le nostre chiappe fuori da quella base. Terrorizzata, tirai per una manica il mio amico e gli dissi di andarcene, che io avevo paura e che me ne volevo andare al più presto da lì. Lui sbuffò, spazientito, e acconsentì a malavoglia, imprecando sonoramente. Corremmo per un po’ senza fermarci, per poi sederci sotto un albero.
Mi ringhiò contro che non avevo capito niente di quello che avevo visto e che saremmo potuti benissimo rimanere lì ancora un po’, e io, invece che stare zitta e incassare come facevo di solito, gli risposi a tono. Prima che lui potesse replicare, gli raccontai incespicando sulle parole per l’emozione che cosa avevo provato vedendo quell’uomo correre con la palla in mano, concludendo infine con una decisa richiesta di insegnarmi a giocarci. Il suo volto si illuminò di colpo, rise sonoramente e tirò fuori dallo zaino la palla ellittica che avevo visto prima. La fissammo entrambi come se fosse stato oro, poi iniziammo a giocarci.
E da lì in poi, non ci fermammo più. Passavamo ore a lanciarci quella palla- lui era particolarmente bravo nei lanci- e ad esercitarci con i blocchi. Come forza ero nettamente inferiore a lui, ma ero decisa a non demordere. Il mio animo, in fondo, era quello di un maschiaccio, e piano piano scoprii che l’orgoglio era una cosa fondamentale da proteggere. La forza fisica non era il mio forte, ma Yoichi non era neanche lontanamente paragonabile a me come velocità.
Diceva che un giorno, nella sua vita, avrebbe fondato un club di football americano, e che sarebbe sicuramente entrato nella NFL. Una volta ammise che era un peccato che non ci sarei potuta essere io in squadra con lui, dato che il football americano non era cosa consentita alle femmine, e quello fu l’unico accenno di una vaga gentilezza che ebbi da lui nel giro di un anno.
Dato che era un’irreparabile cretino, seppi che si era recato più volte all’interno della base militare americana dopo che mi ci aveva portato, e che era riuscito a fare una sorta di “amicizia” con i componenti delle due squadre. Aveva imparato a giocare a poker e, grazie alla sua innata intelligenza, aveva vinto parecchi dollari grazie alle vincite. Non ci faceva niente con tutti quei soldi, la sua era una pura voglia di assaporare la vittoria e di godersi la gloria. Uomini. Mi propose più volte di andare insieme a lui, ma mi rifiutai di rimettere piede là dentro. Avevo una paura bestiale di quel colosso che lo aveva tirato su per la maglietta.

Le cose a casa mia andavano abbastanza bene, finchè mia madre non si ammalò. Era sempre stata cagionevole di salute, ma aveva avuto un improvviso calo delle difese immunitarie e aveva preso una malattia abbastanza grave. C’era assolutamente urgenza di ricoverarla in una clinica specializzata, ma nell’Hokkaido non era presente niente di simile.
Decidemmo, dopo giorni e giorni di silenziosa preoccupazione, di trasferirci temporaneamente nel Kanto, a Tokyo, dai genitori di mio padre, in modo che mia madre potesse essere curata. Ciò voleva dire lasciare la mia casa e tutte le abitudini che possedevo. Oltretutto, avrei dovuto lasciare il mio primo e unico amico, Yoichi Hiruma che, per quanto diabolico, insensibile e cattivo bambino quale era, mi aveva accettata e mi aveva resa felice, in un certo senso. Oltre ovviamente alla mia unica possibilità di praticare il football americano.
Un pomeriggio, tra un lancio e l’altro, lo dissi a Yoichi. Lui si fermò, spalancò gli occhi e improvvisamente si fece serio. Mi guardò con una tristezza infinita. Lo stavo abbandonando anche io. Non mi disse niente, prese la palla e se tornò a casa, la fronte aggrottata.
Il giorno seguente, nell’intervallo, mi informò che anche lui si sarebbe trasferito a Tokyo, a causa di suo padre, con cui aveva parlato. Avrebbe frequentato le medie e il liceo lì, e avrebbe lasciato una volta per tutte il suo paese d’origine. Io ero quasi commossa. Non mi sembrava vero, il mio unico amico si trasferiva con me! Avremmo potuto giocare di nuovo insieme!

Non fu proprio così, tuttavia. La megalopoli non possedeva gli spazi aperti che avevamo in campagna, e non ci permise di continuare la nostra tradizione dei pomeriggi passati ad allenarci. Non abitavamo molto distanti, e il nostro solito punto di incontro era davanti alla clinica dove mia madre era ricoverata, esattamente a metà strada tra le due abitazioni. Suo padre ovviamente non mantenne la promessa di vivere con lui, e lo lasciò a qualcosa di molto simile all’autogestione. Yoichi si tinse i capelli di biondo e prese a pettinarseli in maniera un po’ punk, utilizzando molto più gel di qualsiasi altro alternativo in Tokyo; era una sorta di gesto di ribellione verso suo padre, io la pensavo così. Ci iscrivemmo entrambi alla stessa scuola media, la Mao, una scuola mediocre ma che possedeva un campo da football americano.
Nel giro di due mesi, eravamo cambiati moltissimo. Lui era cresciuto molto in altezza –mi superava di un bel po’-, io avevo assunto una sorta di espressione perennemente indifferente. Ero pallida come un morto –non che si notasse molto, data la mia carnagione già rasente all’albinismo-, e avevo tagliato i capelli neri già corti ancora più corti. Non li pettinavo, e il tutto abbinato alla mia abitudine di portare abiti e felpe larghe, la maggior parte smesse da un mio cugino, mi conferiva un’aria un po’ strana e inquietante agli occhi della gente. Non stavo bene a causa dei continui peggioramenti di salute di mia madre, e il mio animo ne risentiva.
Accostata ad uno come Yoichi, quando camminavamo fianco a fianco la mattina per andare a scuola, sembravamo due appena evasi di prigione. Non era bello, ma non ci facevo molto caso; a Hiruma invece la cosa piaceva parecchio, e aveva preso l’abitudine di segnarsi qualsiasi pettegolezzo su un’agendina che aveva intitolato “Agendina dei ricatti”, e che tirava fuori con un movimento fluido all’occasione. In poche settimane, aveva fatto una scheda su ogni studente della Mao, comprese le foto compromettenti di ognuno. Scoprii con sollievo che io non ero tra quelle schede, e ne fui felice.
Per puro caso, conoscemmo un ragazzo di nome Kurita, un bestione di 120kg per 170 centimetri di altezza, patito del football americano e paradossalmente buono come il pane. Era ingenuo, semplice e gentile, l’esatto contrario di Yoichi. Urlò con le lacrime agli occhi che il suo più grande sogno era quello di riuscire a fondare una squadra di football americano, e improvvisamente Hiruma si fece interessato. Scoprì tramite uno dei suoi “sottoposti” che Kurita era un blocker  eccezionale, data la sua stazza e la sua forza.
Un caldo giorno di Ottobre, Yoichi tornò alla base militare, senza dirmi niente. Voleva scommettere i propri soldi su una delle due squadre. Purtroppo, puntò sulla squadra sbagliata: il quarterback e un blocker  erano stati colti da un malessere e non potevano giocare. Sicuramente avrebbe perso tutti i suoi soldi, se Kurita non l’avesse seguito di nascosto. Decisero così che Hiruma avrebbe preso il posto del quarterbak e Kurita del blocker, giocando al loro posto.
Persero comunque, ritornarono a casa pesti e Yoichi fu costretto a dare tutti i suoi soldi alla squadra vincitrice, ma quella partita persa fece scattare qualcosa nel ragazzo. Così, decise di metter su una squadra, al fine di vincere il Christmas Bowl e di vendicarsi di quella penosa partita.
Ci allenavamo tutti i pomeriggi dopo la scuola, anche se io ero solo di figura. Yoichi decise di fare il quarterback e di prendere il comando della squadra, mentre Kurita sarebbe stato uno dei blocker  - e anche l’unico – e io il running back, data la mia velocità che ormai sfiorava il record liceale.
Per un altro puro caso, incontrammo un tal Gen Takekura, soprannominato da tutti Musashi data la sua somiglianza con il famoso samurai, un genio dei calci. Lo scoprì Hiruma e, dopo una serie di ricatti non riusciti, Musashi decise di unirsi a noi di sua spontanea volontà. Era molto gentile e schietto, soprattutto nei miei confronti, e mi disse che era figlio di muratori, e che la forza nei muscoli era una cosa di famiglia.
Ero felice. Avevo due nuovi amici, e ce la spassavamo alla grande. Spesso dopo gli allenamenti andavamo insieme a bere qualcosa, ed erano momenti pieni di calore. Non di certo da parte di Yoichi, perennemente sul chi va là e pronto a qualsiasi diavoleria gli passasse per la testa, ma Kurita era davvero un pezzo di pane, e si entusiasmava per qualsiasi cosa. Bastava che avesse un po’ di gente intorno perché si rallegrasse all’improvviso.

Verso la fine dell’anno scolastico, mia madre morì. I medici non riuscirono a salvarla. Quando le cose sembravano quasi per essersi messe a posto, si prese una febbre altissima e si spense nel giro di una notte.
Fu una brutta botta, sia per me che per mio padre. Passammo giorni chiusi in casa a cercare di non far vedere all’altro il proprio dolore, non capacitandoci dell’assenza della presenza di mamma. Tutto ci ricordava lei, e non riuscivo a entrare in cucina senza ricordare il suo sorriso gentile e la sua risata delicata. Non dormivo e non mangiavo, non riuscivo a fare altro se non rimanere nella mia stanza con le ginocchia strette al petto.
Gen, Kurita e Yoichi seppero la notizia tramite la segreteria della scuola, io non riuscii a contattarli per dirglielo.
Una sera, il telefono di casa squillò. Guardai il numero e vidi che non era registrato nella rubrica telefonica. Alzai la cornetta e con voce gracchiante risposi con un quasi impercettibile “Pronto..?”
- Chizuru, sei tu…?
Era Yoichi, e nel sottofondo si sentiva Kurita che lo implorava di essere gentile.
Il ragazzo zittì lui e Gen- che sicuramente era lì, perché si percepivano i suoi sbuffi- e ritornò alla cornetta.
-  Hei, ci sei?
- … Sì.
- Io, Gen e Kurita passiamo a casa tua.- disse, un misto tra un mormorio confuso e un sospiro.
Non era evidentemente in grado di chiedere il permesso, per lui tutto era ovvio. Ma apprezzavo il gesto e soprattutto non avevo la forza di rispondergli a tono.
- Mio padre non c’è, Yoichi, e lo sai, brutto idiota, che i fucili sono ancora nell’Hokkaido.- risposi io seccamente, senza pensarci.
- Cret… Chizuru, Kurita e quel vecchiaccio di Musashi desiderano vederti. Quei fucili ormai non sono più in uso.
Era il suo modo di dire che anche lui voleva passare da casa mia.
- Okay.- risposi, e chiusi la chiamata.
Neanche due minuti dopo, suonarono alla porta. Ah, quel Yoichi. Era già appostato sotto casa mia, e non si aspettava di certo un rifiuto. Il solito bastardo.
Andai io ad aprire dato che mio padre era uscito per delle commissioni, e mi ritrovai prima di poter proferire parola tra le braccia morbide di un Kurita in lacrime.
Rimasi un attimo interdetta, poi lo abbracciai, mordendomi le labbra per non scoppiare a mia volta in lacrime. Quando si decise a mollare la sua presa ferrea, potei guardare in volto gli altri due, ma abbassai subito lo sguardo sui miei piedi, ficcando i pugni stretti a fondo nelle tasche della felpa. Musashi aveva un’espressione assolutamente abbattuta in volto, ma quella di Yoichi era … serietà, confusione, tristezza –dopotutto aveva conosciuto anche lui mia madre, e per un certo periodo lei si era anche presa cura di lui, dato che quest’ultimo non la possedeva-, più un accenno al solito ghigno che non riusciva a togliersi dal volto per motivi principalmente di orgoglio. Musashi mi abbracciò, un abbraccio veloce ma profondo, carico di significato. Non mi aspettavo niente da Yoichi, ma con mia estrema sorpresa sentii le sue mani ossute e forzute afferrarmi le braccia; fui costretta ad alzare lo sguardo, e incontrai i suoi occhi azzurri, serissimi.
- Cazzo, Chizuru, riprenditi. Guarda in che stato pietoso s’è ridotto quel vecchiaccio di merda di Musashi.
Lo fissai, seria, poi scoppiai a ridere. Lui, confuso, mi lasciò andare, indietreggiando leggermente e guardandomi come se fossi stata una pazza furiosa.
Io continuai a ridere, presto seguita da Musashi e da Kurita, che rifilò una sonora pacca sulla schiena ad un Yoichi abbastanza sconvolto.

 

Dopo la morte di mia madre, io e mio padre decidemmo di tornare nell’Hokkaido. Stare a Tokyo non aveva senso, e non ci piaceva moltissimo l’aria di città. Così, alla fine dell’anno scolastico, ci trasferimmo di nuovo nel mio paese natio.
Lo dissi a Yoichi, Musahi e Kurita durante l’ultimo allenamento. Se l’avessi fatto presente prima, Kurita di sicuro avrebbe sofferto di più. Ovviamente Yoichi sapeva già tutto il giorno dopo aver deciso con mio padre di trasferirci, non ho la più pallida idea di come. Kurita, depressissimo, aveva organizzato all’ultimo una cena d’addio a casa sua, e ci eravamo riuniti tutti lì.
Non fu per niente commuovente o entusiasmante, a mio parere.
Kurita aveva preparato tutto in maniera perfetta, mangiammo bene e ci facemmo compagnia, ma né Musashi né Yoichi spiccicavano parola. Erano entrambi seri, e rispondevano a monosillabi, io già di mio non parlavo moltissimo, e Kurita cercava di fare qualcosa che ravvivasse l’atmosfera. Era strano: quando andavamo fuori a bere dopo gli allenamenti –il tutto grazie a Musashi, che dimostrava almeno dieci anni in più di quelli che aveva realmente- eravamo rilassati, chiacchieravamo tranquilli sulle nuove tattiche con in sottofondo i ghigni di Hiruma. Quella sera, invece, sembravamo totalmente estranei. Quattro perfetti sconosciuti radunati intorno ad un tavolo.
Non potendo più sopportare quella situazione, inventai una scusa e dissi a Ryokan che dovevo andare. Lo ringraziai di tutto cuore e gli dissi che quando voleva poteva venire a casa mia senza farsi problemi, lui scoppiò in lacrime e mi abbracciò singhiozzando. Musashi rise e mi strinse la spalla sorridendomi, salutandomi calorosamente. Yoichi mi lanciò una lattina di birra scadente, ghignò un “Arrivederci” e mi sfoderò il suo solito sorriso beffardo.

E con quell’ultimo saluto, me ne andai da Tokyo, ritornando ai miei amati campi e al clima freddo dell’Hokkaido.

 Mantenni i contatti con tutti e tre. Kurita chiamava ogni tanto chiedendomi come stavo, e di solito quando lo faceva era in compagnia di Musashi. Io e Yoichi ci sentivamo per e-mail circa una volta al mese, e il più delle volte non mi mandava altro che schemi di tattiche varie, schede dei nuovi giocatori promettenti del Kanto, raramente sue notizie personali. Personali, oddio. Erano solo notizie del tipo “Ho cambiato appartamento, adesso ho affittato con la gentile collaborazione del gestore della casa un altro appartamento più vicino alla Mao” e “Non abbiamo reclutato ancora nessun’altro per il club, ma ci fanno tenere aperto grazie alla gentile collaborazione del preside”, il che voleva dire che la sua agendina dei ricatti si stava ingrossando.
Seppi che durante il terzo anno delle medie Musashi aveva lasciato il club e la scuola a causa del padre, che era stato ricoverato d’urgenza in ospedale. Incominciai a chiamarlo più spesso per dargli il mio supporto morale; mi sembrava di rivivere il periodo in cui mia madre era in clinica.

 Frequentai le medie, il primo e metà del secondo anno di liceo in una scuola vicina al mio paese, finchè non mi arrivò quella fatidica telefonata.

 

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Capitolo 2
*** Al demone non puoi dire di no. ***


Ready Set Hut 2

Aaaaawwww! *w*
Prima di tutto: un enorme grazie a TopazSunset e a Ermal!
Ho saltellato mezz' ora dalla contentezza prima di leggere le vostre recensioni XD

TopazSunset: Grazie mille, davvero, sono contenta che ti sia piaciuto l'inizio! Per la storia del football americano femminile, sono a conoscenza del fatto che anche le donne possano praticarlo, ma volevo metterla un po' in chiave "gioco tra bambini", e che quindi Hiruma veda il football americano un "gioco" solo per maschi, escludendo quindi le femmine. XD 
Ti ringrazio di nuovo per aver gentilmente recensito la mia ff, e spero davvero che il seguito possa piacerti!

Ermal: Sono contenta che Chizuru ti piaccia! Anche se in realtà il personaggio più difficile da gestire è ovviamente Hiruma, ho una paura tremenda di andare OOC!
Sì, mi sono accorta della svista su Musashi e chiedo venia. Mi sono riletta il manga e mi sono accorta dell' errore, provvederò al più presto a toglierlo, grazie per avermelo ricordato. ^w^ E oh sì, adesso metterò una piccola trama, sono nuova al mondo delle fan fiction e quindi i consigli sono sempre ben accetti! Meno male che me l'hai fatto presente! Grazie ancora per avermi recensita.

Bene, adesso veniamo al secondo capitolo. Spero possa essere di vostro gradimento! Se ci sono errori, o sto andando in OOC, fatemelo presente, così che io possa correggermi! :D

Ero penso nel cortile di casa, intenta a scaricare delle scatole di chiavi inglesi che erano arrivate a mio padre in negozio, quando sentii suonare il telefono nella tasca posteriore dei pantaloni. In tutta fretta misi le scatole a terra e tirai fuori il cellulare, rispondendo alla chiamata con la voce affannata.
- Pronto?
- Ehi, Chizuru.
Era una voce che conoscevo bene. Sprezzante, derisoria, piena di sarcasmo.
- Oh oh, chi non muore si rivede. Ciao, Yoichi.
Non era abituato a sentirsi chiamare per nome, neanche Musashi o Kurita lo chiamavano così. Lo innervosiva, e a me faceva piacere. Una sottile vendetta per tutte le puntine del passato. E anche una sorta di abitudine, visto che anche lui mi chiamava per nome.
- Kekeke. Ho una cosa da chiederti.
- Non perderti in chiacchiere varie, Yoichi, lo sappiamo tutti che tu non chiedi mai. Tanto poi a quello che vuoi tu ci arrivi sempre. In cosa posso servirla, signor Hiruma?
- L’ironia non ti ha lasciata, a quanto sento.
- Non perderti in chiacchiere, Yoichi. Stavo scaricando della roba per mio padre.
- Ho messo su una squadra, Chizuru.
- Lì alla Deimon? Ti sarà costato parecchio sforzo ricattarli tutti.
- Kekeke. Sono venuti quasi tutti di loro spontanea volontà. Uno di loro è Eyeshield 21.
- Non ci credo, tu sei quel pazzo che ha in squadra Eyeshield?!
- E’ una buona squadra, Chizuru. Ci siamo allenati parecchio. Il ciccione di merda è sempre lo stesso, ho reclutato un ricevitore decisamente interessante, Eyeshield 21, e dei buoni blocker. Puntiamo al Christmas Bowl.
- Pazzo. Che altro hai fatto di altrettanto folle?
- Death March, duemila chilometri fino a Las Vegas tutti di corsa.
- … La follia umana è qualcosa di veramente incredibile.
-  Vinceremo il Christmas Bowl, non ti preoccupare, è già tutto nei miei piani. –sghignazzò.
- Sì, sì. Assolutamente. Yoichi, porca miseria, devo portare due scatole di chiavi inglesi in negozio, puoi dirmi che cosa desideri da me?
- Che tu torni a Tokyo.
No, era decisamente fuori di sé. Si era fumato qualcosa di sicuro. I suoi neuroni erano stati alterati. Qualcuno lo salvi.
- EH?! Ma ti sei rincretinito tutto d’un botto? Per quale onorevole motivo dovrei farlo?
- Ho bisogno di una sorta di personal trainer per Eyeshield. Tu sei l’unica che corre alla sua stessa velocità, solo tu puoi seguirlo seriamente…
-“…Senza essere pagata”.
- Perspicace.
- Hai una mia scheda sulla tua maledettissima agendina dei ricatti?
- No.
- Menti.
- Può darsi.
- Okay, ammettiamo che io torni a Tokyo.- dissi scocciata, sedendomi su una panchina di pietra- Cosa ne ricavo? Seguo Eyeshield. Okay. Ma tu non hai appena detto, oltretutto, che questo poveretto si è fatto un mese con te a farsi mitragliare il sedere? A che servirei io, scusa?
- Avete la stessa velocità.
- Non la stessa resistenza.
- Ti alleni tutti i giorni, come un tempo, correndo due ore e passa per i campi dopo la scuola. E al liceo fingi di non saper correre a quella velocità per non essere reclutata nel club di atletica.
- … La tua fonte di informazioni?
- Quell’idiota di Rokudo, a tre isolati da casa tua.-ghignò lui.
Bastardo.
- Okay, -ringhiai io- potrei, dico, potrei  insegnare qualcosa a quel ragazzo. Ma non c’è motivo per cui io possa farlo.
Rimase in silenzio per un istante. In sottofondo sentivo delle grida di incitazione e una voce di una ragazza che dava il ritmo per degli esercizi.
- Avete un’allenatrice. –commentai.
- E’ la manager.
- Una donna come manager? Dio, Yoichi, ti sei spinto davvero in basso.
- E’ intelligente, può servirmi.
- Oh oh oh, il signor Hiruma sta mettendo su famiglia.
- FUCK.
- Rispondi alla mia domanda, Yoichi, mio padre mi sta chiamando. Dimmi seriamente perché devo tornare in quel caos di città.
- Il tuo vecchio aspetterà ancora qualche minuto. Perché? E’ molto semplice, Chizuru. E’ la tua unica possibilità di riprendere a praticare football.
Mi aveva in pugno, cribbio. Alla fine andava sempre tutto come aveva pianificato lui. Aveva espresso a voce ciò che era il mio più grande desiderio. Infame fino al fondo.
- Ti odio ogni tanto, sai, Yoichi? Parecchio. Sei uno stronzo.
Rise, gustandosi la vittoria.
- Allora, torni?
- Come se avessi altra scelta. Ne devo parlare con mio padre.
- Ho già parlato io col tuo vecchio, è d’accordo.
- Non ho la forza per mandarti a quel paese. Okay, torno a Tokyo.
- C’è un treno che parte domani verso le otto di mattina, io, Musashi e Kurita ti veniamo a prendere alla stazione. Il ciccione piange già adesso.
- Dove alloggio, di grazia? Non ho i soldi per pagarmi un albergo.
- Musashi non può, e il padre di Kurita non accetta donne in casa sua. Kekeke, chiederò a Eyeshield.
- Io non lo conosco. E poi è un ragazzo.
- … Allora stai da Anezaki, la manager di merda.
- Che tipo è?
- Ingenua, innocente, fa parte del comitato disciplinare, ha ottimi voti in tutte le materie, vive con…
- NO. Decisamente NO.
Pausa.
- E allora dovrai stare da me, running back di merda.
Oddio. Forse era meglio da Anezaki.
- Sei anche tu un ragazzo, Yoichi.
- Maddai, aspetta che cotrollo se è ancora tutto a posto nei pantaloni.- sbuffò ironico lui.
- Idiota.
- L’alternativa è Eyeshield o qualcun altro della squadra, Chizuru. O sotto i ponti. Conosco un bravo barbone che distribuisce sake gratis alle fanciulle dei sobborghi.
- Digli che può anche tenerselo, il sake. Okay, vengo da te, ci sto. Devo portare un giubbotto antiproiettile?
- “Le donne non si toccano neanche con un fiore”, diceva qualche povero ingenuo. Basta che non rompi troppo.
- Non più di quanto facevo due anni e mezzo fa.
- Vedi di trovarti alla stazione, domani.
- Oooh, sì, anche perché altrimenti mi sguinzagli dietro quel caro cagnetto, Cerbero.
- Kekeke. A domani, running back di merda. Salutami il vecchio.
Feci per rispondergli, ma aveva già attaccato.

Diavolo d’un Yoichi.

Mi aveva incastrato di nuovo.

 

Preparai una valigia in tutta fretta, mettendoci le cose senza piegarle, e fui quindi poi costretta a sedermici sopra per chiuderla. Presi i miei vecchi libri di scuola, dato che avrei dovuto un minimo ripassare in treno per gli esami di ammissione, qualcosa da mettermi addosso, mi dimenticai di prendere qualche romanzetto da leggermi in viaggio e presi invece qualcosa di inutile come un manuale sul football americano. Inutile poiché, visto che sarei stata a casa di Yoichi, portarmi un manuale da due soldi quando lui probabilmente possedeva tutta l’enciclopedia del Football Americano, era una cretinata. Ma ero masochista e soprattutto di fretta, quindi lo ficcai in valigia tanto per occupare un po’ di spazio.
Mio padre mi diede qualche soldo per potermi pagare ciò di cui avevo bisogno, più una sorta di raccomandazione verso quel pazzo di Yoichi. Risi. Chi conosceva meglio di me quel terrorista in erba? Sapevo benissimo come difendermene.
Salutai l’Hokkaido con un po’ di tristezza, e il giorno dopo presi il treno delle otto che passava per un paese vicino al nostro, leggermente più urbanizzato. Passai il viaggio a ripassare per l’esame, a guardare fuori dal finestrino i campi sterminati e le risaie, addormentandomi esattamente a mezz’ora dall’arrivo. Pessima idea: mi svegliai di soprassalto un attimo prima che il treno passasse per la stazione ferroviaria di Tokyo, presi la mia valigia imprecando sonoramente cercando di risvegliarmi un po’, e scesi inciampando nei piedi di una signora. Mi scusai, dopodichè mi guardai intorno per vedere dov’erano i miei vecchi tre amici delle medie.

Non li vidi subito a causa della marea di persone che mi passava davanti, ma mi resi conto dopo poco che erano a meno di tre metri di distanza da me. Appoggiai la valigia a terra e gli sorrisi.
Musashi, al centro, era con indosso i vestiti da muratore e una sigaretta tra le labbra. Non era cambiato per niente, se non per l’inizio di una barba più evidente. Sembrava davvero un trentenne.
Kurita, al suo fianco, era sempre lo stesso: enorme, pacioso, dall’aspetto buono, le guance paffute e un grande sorriso che gli andava da un’orecchia all’altra.
E per ultimo, Yoichi. Lui, invece, era cambiato parecchio. Non me lo ricordavo così alto, e le sue spalle si erano fatte più larghe. Tuttavia, era smilzo come al solito, e i jeans attillati che portava lo sottolineavano parecchio. I capelli erano sempre sparati allo stesso modo, ero seriamente convinta che per farli così la mattina mettesse due dita nella presa elettrica; il viso era sempre lo stesso, il naso sottile, le labbra tirate in un ghigno diabolico, le caratteristiche orecchie a punta, gli occhi dal taglio obliquo, azzurri, e le sopracciglia arcuate. Indossava jeans neri, una maglia altrettanto nera, e sopra una camicia a maniche corte bianca, a cui teneva il colletto alzato.
Mi guardava e sghignazzava diabolico, senza un minimo di ritegno.
- Kekeke, alla fine sei venuta sul serio, running back di merda.
- Non pensavo di avere altra scelta, idiota. –borbottai io sbadigliando.
- FUKUDAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAA!
Mi voltai e vidi Kurita spiccare un balzo a braccia aperte, con l’evidente intento di saltarmi addosso e di stritolarmi come suo solito. Mi scostai leggermente di lato per evitare l’urto.
- Kurita… lo sai che puoi chiamarmi Chizuru… ma ti prego, non assaltarmi, le mie ossa ne risentirebbero.
- Scusa, scusa, scusa Fukud… cioè, Chizuru!- singhiozzò lui- Ma sono troppo contento di rivederti! Quanto tempo! Ci mancavi tantissimo!
- Kurita, la stai stritolando comunque. –commentò serio Musashi.
- Scusaaaaaa!
- Ma niente… Ryokan… -tossii io tentando di liberarmi dall’abbraccio.- Ehi, Gen! Come stai?
- Bene, grazie. Mio padre si sta riprendendo un po’.
- Sono contenta! Un giorno o l’altro verrò a fargli visita, se ti va bene.
- Vieni pure. A lui fa solo piacere. –sorrise Musashi.
Mi voltai verso Yoichi, ghignando.
- Non l’avrai del tutto vinta, fidati, troverò un modo per incastrarti.
- Senza offesa, ma non penso.
Uno scambio di battute si era improvvisamente trasformato in una gara a chi sghignazzava di più.
- Hei hei hei voi due, calma. –ci intimò Musashi, sbuffando. - Io devo tornare al lavoro, ci si vede, Chizuru, anche se non sono più alla Deimon. Faccio dei lavoretti per questo imbecille- indicò Yoichi-, è più che probabile che ci incrociamo.
- Sei venuto fin qui in stazione solo per salutarmi, Gen? Oddio, mi dispiace averti scomodato.
- Ci sarei venuto lo stesso. Volevo salutarti. –disse lui alzando le spalle.- Ci si vede!
Si voltò e, buttando la sigaretta in un cestino, si perse nella folla. Rimanemmo io, Yoichi e Kurita.
- Oggi non abbiamo allenamenti, abbiamo intensificato ieri per poi riposarci un po’ oggi.- mi raccontò Ryokan allegro.- Hai già mangiato in treno, o hai bisogno di…
- No no, grazie Ryokan, mi ero preparata qualcosa da mangiare. Sono stanca morta, vorrei solo andare a casa, il viaggio mi ha rintronata parecchio.
- Ti ho fatto un duplicato delle chiavi.- disse Yoichi, lanciandomele. Le presi al volo e le misi al sicuro in valigia.
- Me le fai pagare, per caso?
- No, offre la casa.
- Allora se per te non è un disturbo possiamo avviarci a casa tua?- domandai, sbadigliando nuovamente.
- EH? Hiruma, Chizuru sta da te?- chiese sbalordito Kurita, fissandolo.
- Si è rifiutata di stare da Anezaki, e dice che non gli piace stare con gli sconosciuti, quindi ho escluso anche i due fratelli Taki.
- Ma neanche Suzuna…?
- Ciccione di merda, credi che potrebbe resistere nella stessa casa di uno come quel cretino di Taki? Porterebbe più guai che altro.
- Chi è Taki?-mi intromisi io, mettendomi la valigia a tracolla.
- Il tight end, è promettente ma è un idiota totale.- rispose Yoichi.- La sorella è la capo cheer-leader.
- I Deimon Devil Bats hanno delle cheer-leader?- esclamai spalancando gli occhi. Ma cos’era, una squadra di football americano o un gruppo di allegri studenti in gita?
- Servono a tirare su il morale di quei pervertiti dei sostituti.-replicò lui controllando l’ora.
Mi bloccai a metà di una battuta decisamente cattiva, ricordandomi che era presente anche Kurita.
- Ciccione di merda, fai la strada con noi?- chiese il biondo, il sopracciglio leggermente inarcato.
- No, vado a fare visita a Kumosubi se non vi dispiace…-disse timido il ragazzo, intimorito dallo sguardo serio di Hiruma.
- Okay. Vedi di non ingrassare troppo.
Partì spedito verso l’uscita, le mani nelle tasche, senza spiccicare parola. Salutai velocemente Kurita con una mano e lo rincorsi, tentando di non perdere per strada la valigia.
- Hei, potevi almeno aspettarmi!
- TSK.
- E’ tanto lontana casa tua?
- Dieci minuti dalla Deimon. Un quarto d’ora e saremo arrivati.- rispose con voce monotona, senza guardarmi.
- Come carattere non sei cambiato, ma ti trovo leggermente diverso.- dissi, tanto per iniziare una conversazione.
- Duemila chilometri ti fanno cambiare.
- …Senti, ma Doburoku dove l’hai scovato?
- Ah, l’alcolizzato di merda? Era steso su una panchina di una spiaggia texana, completamente sbronzo.
- Che cazzo di faceva in America?!
- Aveva un debito di venti milioni di yen qui in Giappone, e se l’è data a gambe.
- Quindi adesso deve ripagare tutti i debiti?
- Gli ho fatto un prestito io, vincendo i venti milioni di yen al casinò di Las Vegas.- disse, come se fosse la cosa più naturale del mondo.
- Tu hai vinto venti milioni di yen in un posto come Las Vegas?-  esclamai io  spalancando gli occhi incredula.
- Evidentemente.
- Pazzo, folle. Mi ricordo ancora quando andavi a giocare a poker con quelli della base militare…
- Kekeke, mi hai ricordato che ho un conto in sospeso con qualcuno.
- Forse era meglio se stavo zitta.- sospirai.
Non parlammo finchè non arrivammo ai piedi di un edificio non molto alto, abbastanza moderno, all’incrocio con due corsi non molto grandi, ma abbastanza popolati. Yoichi prese le chiavi dalla tasca, ed entrammo nel condominio. Facemmo un piano a piedi -lui sempre con le mani nelle tasche-, poi svoltammo sulla destra e vidi una porta scura con la targhetta “Hiruma” vicino al campanello.
Diede quattro giri di chiave nella toppa, e aprì la porta scura, entrando in un corridoio stretto e immerso nell’ombra. Accese la luce, io chiusi la porta dietro di me, mi girai e non lo vidi più. Era sparito.
Pazienza, la gentilezza sapevo già che non era una sua caratteristica. Dovevo fare il giro di casa da sola.
Il corridoio era effetivamente molto stretto, e il soffitto basso. Sulla destra, una porta di apriva su un bagno piccolo, senza vasca, ma solo con una doccia a cabina. Andando avanti, il corridoio si apriva su una grossa stanza divisa in due da una libreria di legno scuro colma di libri, fogli, cartelline e cavi di ogni sorta. Alla sua sinistra, Yoichi ci aveva ricavato la sua stanza da letto, composta da niente più che un letto da una piazza e mezza, basso, affiancato da una finestra grande e luminosa, per metà coperta da delle pesanti tende di un blu scuro tendente al nero; dall’altra parte del letto c’era la libreria che divideva la stanza, mentre sull’unica parete libera compariva un armadio a muro con due cassetti al fondo.

Alla destra della libreria, invece, il caos più totale. Il pavimento era ricoperto letteralmente da riviste di “American Football”, aggeggi elettronici, manuali sulle strategie militari tedesche, sull’elettronica, fascicoli probabilmente illegali per “Il perfetto hacker”, una maglietta che faceva parte della divisa dei Devil Bats, riconoscibile dal colore rosso fuoco e dal numero 1 che indicava il quarterback, carte di gomme da masticare senza zucchero e di snack alle alghe, più un inquietante collare per cani con tanto di spuntoni, probabilmente di Cerbero. In mezzo a tutto questo caos regnava un enorme e pacchianissimo divano di pelle nera, di quelli che tengono un caldo bestia anche a Gennaio, pieno di cuscini e riviste; di fronte, un enorme schermo al plasma poggiato all’interno di un’altra liberia.

La cucina si apriva su questo spazio, separando il tappeto di riviste dai fornelli tramite un piccolo muretto, al cui fianco era stato messo uno strettissimo tavolo abbinato a due sedie moderne, di un rosso tendente all’arancione che personalmente trovavo orrendo. Il frigorifero era color acciaio, con a fianco il gas e la dispensa appena al di sopra del lavabo. Yoichi era lì, intento a cercare degli snack alle alghe.
- Hem… io dove dovrei dormire?- domandai, timorosa, cercando di arrivare a lui senza pestare tutte le riviste sparse sul palchetto.
- Sul divano.- rispose secco lui, continuando a cercare gli snack.
- Quel…?
-…Scomodissimo divano in pelle nera regalato dal mio carissimo padre? Sì. Fuck. Ho finito gli snack.
Sempre in punta di piedi per non pestare tutte le riviste, mi avvicinai al divano. Spostai la borsa che conteneva la divisa da football -pesantissima,oltretutto-, un paio di polsini neri, due lattine di birra Asahi vuote, fogli sparsi con schemi, il telecomando della televisione, e finalmente potei poggiare la mia roba. Mi buttai esausta sul divano, sbuffando e mettendo i piedi su un basso tavolino che avevo davanti.
Chiusi gli occhi, e mi addormentai di botto lì, in una posizione decisamente scomoda, abbracciata ad un cuscino, la faccia ficcata a fondo nel bracciolo del divano. Non dovevo essere davvero un bello spettacolo.

 

Mi svegliai quando un raggio di luce mi colpì gli occhi, costringendomi ad aprirli. Mugugnai qualcosa di non ben definito, e mi tirai sù, passandomi una mano sulle palpebre. Sbadigliai, mi guardai intorno e realizzai che non ero a casa mia.
“Idiota, sei a casa di Yoichi”, pensai, e saltai giù dal divano, rischiando di scivolare sulle riviste patinate di football americano. Guardai fuori dalla finestra e mi resi conto che era il tramonto, dato che tutte le case erano tinte di un delicato arancione tendente al rosa. Non feci tempo a sorridere, che sentii una forte dolore sulla nuca. Qualcuno mi aveva tirato qualcosa. Mi voltai massaggiandomi il punto colpito, e ruggii a Yoichi, il quale, come al solito, sghignazzava.
- Ahio, imbecille! Mi hai fatto male!- imprecai con una smorfia sul viso.
- Russavi che era un piacere.- rise diabolicamente lui.
- Idiota!- replicai io, arrossendo leggermente- Io non russo! Che vuoi?
- Io esco a correre lungo il canale. Vieni?
- Ma non avevi detto che oggi non facevate allenamenti?
- Non rispondermi con altre domande, running back di merda. Ti ho chiesto se vieni o no.
- Vengo, vengo, ma non capisco perché prima Kurita aveva detto così .-gli risposi, aprendo la mia valigia e tirando fuori un paio di pantaloncini corti- quelli che usava una volta al liceo mio cugino per fare basket- e una maglietta larga nera di cui ignoravo la provenienza.
- Il ciccione di merda farà quello che vuole, ma io vado a correre. Sono il quarterback, non l’ultima ruota del carro. E il torneo sta quasi per iniziare.
- Ok, ok, se pazienti tre secondi mi cambio e arrivo.
Corsi in bagno, mi infilai a forza le due cose che avevo arraffato dalla valigia, buttai il mio precedente cambio sul divano e uscii da casa, inseguendo Yoichi che ovviamente non mi aveva aspettata.
Camminava con le mani nelle tasche della tuta, ghignando.
- Le hai tu le chiavi, vero?- gli domandai, saltellandogli dietro per finire di allacciarmi le scarpe da ginnastica.
- Ovvio.
- E’ lontano il canale?
-No, -borbottò lui- non molto.
Mi resi conto, guardando l’orologio della piazza, di aver dormito per due ore e mezza di fila senza sosta. Dovevo essere davvero stanca. Però ero felice: finalmente riavevo indietro tutto quello che mi ero lasciata alle spalle. Yoichi, Kurita, Musashi, le strade affollate di Tokyo, il football americano.
Per la prima volta dopo davvero tanto tempo, sorrisi. Hiruma mi guardò stranita mentre ridacchiavo tra me e me e mi stiravo le braccia, facendo scrocchiare la schiena e inspirando l’aria di città.

Arrivammo al canale dopo appena un quarto d’ora di cammino. Gli ultimi raggi di sole si riflettevano sulla superficie scura dell’acqua, danzando sulle piccole onde che si infrangevano a riva.
- Bene, running back di merda. Ci vediamo qui tra un’ora e mezza. -sentenziò Yoichi, la fronte corrugata mentre guardava verso il sole.
- Eh? Cosa…?
Che stava dicendo? Non capivo.
- Beh idiota, tu corri molto più veloce di me, allenati.
Sbuffai.
- Idiota sarai tu. Corro con te. Non avrebbe senso correre separati.
- Fai come vuoi. - disse lui, e incominciò a correre lungo la strada che costeggiava il canale.
Lo raggiunsi sospirando. Era sempre lo stesso. Solitario, autonomo e indipendente fino alla morte. E orgoglioso come pochi.
- Devi sentirti abbastanza sotto pressione, in questo periodo.- dissi.
- Ovvio che lo sono. La mia è una grande responsabilità. Ma è anche ovvio che non perderò, kekeke.
Correvamo fianco a fianco, i respiri in sintonia.
- Se perdi, ho un motivo in più per menarti.
Rise.
- Pensi che Musashi tornerà in squadra?
- Certo che tornerà, è nei miei piani. –mi rispose, mentre un ghigno diabolico gli si dipingeva sul volto- L’unica pecca dei Devil Bats è la mancanza di un kicker, e gli altri lo sanno. Però il nostro attacco è uno dei migliori di tutto il Kanto, quindi per ora non c’è  molto da preoccuparsi.
- Perché ne sei così sicuro?
- Il vecchiaccio di merda non può rinunciare al football. Tornerà, proprio come hai fatto tu.
Bingo. Era semplice. E lui era sempre il solito diabolico stratega.
- Sei impressionante. Cosa farai dopo il Christmas Bowl?
- E chi lo sa. Per ora la meta è quella, poi si vedrà. Tu, ad esempio, cosa farai?
- Oh, finirò a fare il punto croce e a sognare i nomi dei miei bambini come tutte le ragazze di quell’età. -borbottai ironicamente- Ma è molto più probabile che erediterò la ferramenta di papà.
- Non intendi andare all’università?
- E diventare una di quelle occhialute segretarie con tre lauree in lingua che non sono riuscite a combinare niente nella propria vita? No. Preferisco di gran lunga passare il resto della mia vita nell’Hokkaido a trasportare scatole di chiavi inglesi e trapani. In mezzo alla campagna, a respirare aria pulita.
- Kekeke. Non penso che riuscirai a rinunciare al football per tanto tempo.
- Non ho detto di non poter aprire una scuola di football in quel buco di paese.
- Gestito da una donna? Saresti credibile come Kurita proprietario di una cristalleria.
- Tu stai a vedere. Ce la farò. –sbuffai.
- Sei riuscita a sopportare le mie puntine sulla sedia per settimane, per quello che mi riguarda puoi arrivare dove vuoi.- disse, masticando una delle sue solite gomme senza zucchero.
Lo guardai con gli occhi spalancati. Mi aveva detto qualcosa di vagamente gentile, incredibile.
- Grazie, apprezzo.
- Non lo dicevo per te, Chizuru, è un semplice dato di fatto.
- Mh, farò finta di crederti. Dimmi qualcosa sulla squadra, dai.
- La vedrai domani agli allenamenti mattutini, non rompere.
- Già me li immagino: tremanti di paura a causa del diabolico Hiruma.- ghignai.
- Questo perché non hanno ancora incontrato il rasta di merda.- ridacchiò lui.
- Agon? Quello è solo tutto muscoli, violenza e basta.
- Appunto per questo è pericoloso.
- Vorresti dire che tu non lo sei? AH! Questa me la segno.
- Penso che tornerò a casa a prendere il mitra.
- Dai idiota, scherzavo. Lo so che Agon è pericoloso. Ma non quanto te. Tu sei muscoli e cervello. Due al prezzo di uno.
Non rispose.
Continuammo a correre per una buona ora, poi decidemmo di tornare indietro, dato che eravamo entrambi sudati fradici e con un gran buco nello stomaco. “Decidemmo”. Ahahah che bella battuta. Semplicemente, ad un certo punto Yoichi guardò l’orologio e invertì il senso di marcia, di punto in bianco.
Arrivati a casa, lui si buttò sotto la doccia, e io aprii il frigo per vedere cosa c’era per cena. A parte le lattine di birra, snack vari, e qualche verdura che non aveva un particolare aspetto commestibile, di abbordabile c’erano solo due ramen surgelati da far scaldare nel microonde. Sospirai. Li misi a scaldare, togliendo gli strati di cartacce e di cartelline dal tavolo della cucina e apparecchiandolo.
Poi mi ributtai sul divano, accesi la TV-impostata su un canale americano che trasmetteva solo partite della NFL e mi persi nella visione di placcaggi brutali e azioni complicate che a malapena riuscivo a seguire.
Ad un certo punto sentii la porta del bagno aprirsi, e senza pensarci mi voltai. Yoichi veniva verso la sala con indosso dei pantaloni lunghi e una t-shirt nera, un asciugamano bianco abbandonato su una spalla. Tutto ciò non aveva niente di sconvolgente, ma i suoi capelli sì.

Ero abituata a vedere la solita pettinatura punk, mentre ora la sua zazzera di capelli biondi era tornata come quando era un bambino, ovvero senza tutto quel gel; erano lisci, un po’ spettinati, ma piatti. Insomma, senza quella sorta di… pettinatura da teppista convinto. Gli icorniciavano il viso esattamente come quando era un undicenne. Gli donavano un’aria completamente diversa, e sottolineavano i suoi occhi d’un azzurro brillante.
- Che hai, running back di merda?- mi chiese stranito, passandosi l’asciugamano nei capelli.
- Niente, niente.- risposi alzandomi.- Vado un momento io a farmi una doccia, nel microonde ci sono due ramen, inizia pure senza aspettarmi.
- Mh no ti aspetto.- disse sedendosi sul divano, gli occhi fissi sullo schermo della televisione.
Sospirai e andai in bagno. Mi svestii e aprii la doccia, ficcandomi sotto l’acqua con piacere, togliendomi di dosso la stanchezza e il sudore della giornata.
Quando tornai in sala, Yoichi era ancora lì a guardare la partita, in un mondo tutto suo. La mano si muoveva da sola, disegnando sul retro di una pubblicità un nuovo schema offensivo. Non l’avrei scollato da lì neanche con un cannone.
Presi i due ramen e mi sedetti sul divano vicino a lui, porgendogli uno dei due piatti.
- Domani passo a comprare qualcosa al supermercato, almeno così mangiamo qualcosa di vagamente invitante.-commentai guardando il mio ramen surgelato.
- Fuck. Non ero preparato alla tua visita.
- Usa una scusa migliore. Non ti credo neanche morta.
Lui sghignazzò, iniziando a mangiare.
- Se hai bisogno di soldi usa i miei, lo so che il tuo vecchio fa fatica a mandare avanti il negozio.-mi disse, lo sguardo sempre fisso sullo schermo.
- Idiota! Non voglio approfittarmi così di te.-risposi irritata.
- Non essere orgogliosa, stupida running back. Io col tuo vecchio ho parecchi debiti. E’ il mio modo per ripagarli.
Non ero al corrente di suoi debiti materiali con mio padre. Doveva sempre essere una questione di ricambio delle cure che gli avevano dedicato i miei quando eravamo bambini.
Bastardo fino in fondo, ma leale.
Finimmo quei disgustosi ramen in poco tempo, io lavai i piatti e poi mi misi a fianco a lui a guardare la partita.
-Eyeshield è veloce come quel running back?-domandai indicando uno dei giocatori.
- Di più. -ghignò lui spezzando con i denti una barra di liquirizia.- Ma manca di resistenza e di esperienza sul campo. Per questo ci sei tu.
- Confortante. E’ mezzanotte e mezza, Yoichi, potresti lasciarmi libero il divano?
In tutta risposta, allungò le gambe sul tavolino, un sorriso soddisfatto sul volto.
- Yoichi.
Sbuffò.
- Okay running back di merda, okay, me ne vado di là.
- Grazie. Buonanotte, Yoichi.
Mi fissò. Poi si girò, aprì una borsa e, sbuffando, ci cercò qualcosa, buttando fuori quello che gli era d’intralcio. Con un movimento appena visibile, mi lanciò un pacco di plastica; lo presi al volo e lo guardai: era una divisa scolastica avvolta nella plastica, formata da una gonna scura, collant neri, camicia bianca e una giacca di un verde acqua molto evidente che a me pareva tremendo. Ma ciò che di più mi spaventava era la gonna: non indossavo qualcosa del genere forse dalle medie, ma anche allora marinavo mettendomi i pantaloni. Era una cosa che proprio non sopportavo indossare, c’era troppa aria intorno alle gambe. Ed ero abituata a sedermi in modo ben poco femminile, ovvero a gambe larghe, oltretutto.
- Devo indossarla per forza?- gemetti in tono lamentoso.
- Ihihih, ovvio che sì. - sghignazzò lui.
- Non so se sia peggio la gonna o tu.
- Hai l’imbarazzo della scelta. –commentò sarcastico, lanciandomi una coperta, un cuscino e le  lenzuola in rapida sequenza. Le afferrai tutte al volo, imprecando.
- Quarterback del cavolo, non devi sempre mettere alla prova le tue capacità.
- Staresti bene anche in ricezione, kekeke. ‘Notte!- mi augurò in tono canzonatorio, scomparendo dietro alla libreria. Sospirai e sistemai il divano in modo che potesse diventare un posto comodo per dormirci, dopodiché mi cambiai e mi ficcai sotto le coperte, spegnendo la luce della sala.

Sentivo solo il ticchettio delle dita di Hiruma sulla tastiera del computer e vedevo la luce della lampada del suo comodino che filtrava tra un libro e l’altro. Ogni tanto borbottava da solo, e nel dormiveglia lo sentii andare in cucina e aprire il frigo. Poi mi addormentai, scivolando in un sonno profondo senza sogni, tipico di chi è molto stanco.

 

 

 

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Capitolo 3
*** Oh, Fratello Elfo. ***


READY SSSET HUT 3

Aaaaawwww! Mi sto letteralmente sciogliendo sulla tastiera a causa delle vostre magnifiche e dettagliate recensioni! 
Vi ringrazio di cuore per aver messo questa ff tra le preferite! E ringrazio anche Vekra e Julia_Urahara per averla messa tra le seguite!
Sono anche felice che Chizuru piaccia. Hiruma è sempre difficilissimo da gestire, ogni capitolo sudo almeno tre camicie, ma credo, penso e spero di non essere andata OOC. Mi scuso per gli errori di battitura, ma per quanto rilegga ogni volta i capitoli me ne sfugge sempre qualcuno XD
Per quel che riguarda il rapporto Chizuru- Hiruma.... eeeh eheheh. Io non posso svelare niente XD
Se non aggiorno per un po', è perchè sono partita per le vacanze. Ma non preoccupatevi, appena al mio ritorno posterò il quarto capitolo (ovviamente se non riesco durante questa settimana). Grazie ancora per avermi seguita! ^w^


Mi svegliai a causa del rumore di una finestra che sbatteva. Sobbalzai dallo spavento, sentendo nel seguente istante un dolore atroce alla schiena: quel divano di pelle era davvero scomodo per dormirci. Mi passai una mano nei capelli e mi alzai, rischiando di slogarmi la mascella mentre sbadigliavo.
Andai dall’altra parte della stanza dove stava Yoichi per vedere se era sveglio, non avendo la più pallida idea di che ore fossero. Si era già alzato, e il rumore che avevo sentito prima era causato proprio da lui alle prese con la finestra della sua camera. Il computer era posato a terra, ancora acceso, il letto disfatto con le lenzuola ammucchiate tutte da una parte e il cuscino pigiato nell’angolo tra il letto e il muro. Lui era evidentemente di pessimo umore, i capelli spettinati e con un ciuffo ribelle che andava all’insù, una smorfia scocciata in volto e il tipico sguardo di chi ha appena aperto gli occhi.
- Buongiorno. – mugugnai io, passandomi le mani sul viso e sbadigliando una seconda volta. – Che ore sono?
Lui mi fissò, corrugando la fronte.
- Ah già che ci sei anche tu, adesso.-sbuffò, aprendo l’armadio e tirando fuori dei pantaloni, una giacca dello stesso colore di quella della mia divisa scolastica e una camicia bianca.
Gentile da parte sua, ricordarsi che c’ero anche io in casa.
- Preparati, andiamo agli allenamenti mattutini, il ciccione di merda sarà già lì dalle due di stanotte. –continuò, passandomi davanti e dirigendosi verso il bagno, con l’aria di chi picchierebbe a sangue chiunque.
- Mi preparo qualcosa da bere, tu che vuoi per colazione?- gli chiesi, cercando di essere gentile.
- Mhpf, c’è del caffè, fai quello, ma non metterci zucchero, running back di merda.
- Neanche a me piace il caffè con lo zucchero, stai tranquillo.- gli risposi, ma lui era già entrato in bagno.
Preparai il caffè per entrambi, tirando fuori da non so dove dei biscotti e qualcosa di vagamente digeribile.
Poi fissai per lungo tempo la mia divisa piegata e appoggiata sul divano, indecisa sul da farsi. Mi consolai pensando che se c’erano gli allenamenti mattutini, non avrei per forza dovuto immediatamente indossarla, e che avrei potuto farlo in un secondo tempo dopo gli allenamenti, cambiandomi nei bagni della scuola.
Intanto, Hiruma ci stava mettendo anche fin troppo. Bevvi il mio caffè, scaldai il suo una seconda volta e infine, stufa di aspettare, andai verso il bagno con la sua tazza in mano. La porta era aperta, e ci sbirciai dentro.
Come immaginavo, si stava sistemando i capelli, vestito di tutto punto con la divisa scolastica.
- Che c’è?
- E’ da tre ore che aspetto, ti ho portato il caffè. Se poi gentilmente mi lasci il posto …
Prese il caffè e lo bevve tutto d’un fiato, restituendomi poi la tazza e uscendo dal bagno.
- Mettici poco.
Mi cambiai in poco tempo, uscii dal bagno, ficcai la divisa in uno zaino e seguii Yoichi fuori di casa.
- Ti presenterò la squadra, vedi di farti rispettare.
- Non c’è problema, Yoichi. Mi faccio rispettare da te, figurati con un branco di marmocchi.
- Sei fortunata, se non ti conoscessi da quando eravamo marmocchi anche noi non penso che ti saresti guadagnata il mio rispetto, running back di merda.- sghignazzò lui.
- Se ti avessi mai incontrato più in là, sarei stata abbastanza furba da starti alla larga.
- Hai in mente qualcosa per Eyeshield?- mi domandò, ignorandomi.
- Ovvio che no.
- EH?!
- Yoichi, non sono un quarterback e non ho mai allenato nessuno. Come pensi che io possa avere già un piano di allenamenti?!
- E che cazzo ne so. Pensavo che ne avessi uno. -disse, facendo una smorfia.- Vedi di farti venire in mente qualcosa.
- Guarderò come corre, poi ci penserò.-replicai, sospirando.

Camminammo fino alla Deimon senza più parlare. Il mio liceo era situato in una bella zona, circondato da un muro e con parecchie strutture sportive all’interno. Non feci in tempo a dare un’occhiata all’edificio , poiché Yoichi andava dritto filato verso la sede del club, masticando un chewing-gum e senza degnarmi minimamente di qualche vaga attenzione.
Costeggiammo il campo da football, ed immediatamente la mia adrenalina salì. Sorridevo da sola al pensiero di poter nuovamente allenarmi, correre, praticare football come ai vecchi tempi.
Raggiungemmo infine uno stabile che, più che una sede di un club, sembrava l’entrata ad un casinò di Las Vegas. Scritte con luci al neon sovrastavano l’entrata, incutendo un certo timore.
- Eccoci, running back di merda. Non fare una sola parola riguardo la mia vita con questi marmocchi, sanno di me quasi niente, quindi evita di farti sfuggire qualcosa di personale. - mi intimò con un ringhio.
Aprì la porta con un calcio, urlando “YA- HA!” e tirando fuori la mitragliatrice.
Lo fissai serrando le labbra in una smorfia di sufficienza, mettendomi a posto sulla spalla la borsa. Era davvero un fanatico delle entrate ad effetto, quell’individuo.
La sede del club era ampia e spaziosa, con un tavolo in mezzo, delle macchine da gioco che non c’entravano veramente niente con tutto il resto, una bacheca sul fondo, e degli sgabelli sparsi. Era piena di gente che io non avevo mai visto, rigorosamente in divisa scolastica, evidentemente terrorizzata da Hiruma.
Riconobbi in un angolo Ryokan, sorridente e pacioso come sempre. Alzai una mano e accennai un timido saluto, coperta per la maggior parte da Yoichi.
- Bene, gentaglia! Abbiamo un nuovo membro ! -esordì il biondo, prendendomi un braccio e tirandomi dentro a forza. Chiuse la porta dietro di me, e il silenzio calò di botto.
- Lei è la nuova allenatrice dei Devil Bats, precisamente la personal trainer di Eyeshield.
Tutti gli sguardi si posarono su di me, e una decina di occhi mi fissarono stupiti. Cercai di sorridere, con scarsi risultati.
- Chizuruuuuuuuu!- urlò Ryokan, abbracciandomi e spalmandomi contro la parete della stanza.
- Ryokan … sei … pesante … - tossii, scostandomi.
- Oh, scusa! Lei è Chizuru Fukuda, è stata con me, Hiruma e Musashi fin dalle medie!- disse tutto contento Kurita, presentandomi alla folla di sconosciuti.
Evvai. Metà delle cose che aveva mi aveva raccomandato Yoichi erano già andate a quel paese.
Mentre pensavo in che modo Hiruma potesse uccidere lentamente Ryokan, vidi una mano tendersi verso di me. Alzai lo sguardo e incontrai un bellissimo paio di occhi castano-dorati, un sorriso bianco e amichevole, e un viso bellissimo incorniciato da lisci capelli castani.
- Mamori Anezaki, manager, piacere- trillò con una voce intrisa di gentilezza, stringendomi la mano.
- Pia-piacere mio. –balbettai, abbagliata da tutta quella bellezza.
Era davvero carina: di belle forme, seno grosso, fianchi sinuosi, gambe da modella, polsi sottili, mani curate e chiare origini Occidentali. Era lei la manager? Diamine, non sapevo che a Yoichi piacessero quel tipo di ragazze.
- Spero che ti troverai bene qui con noi! - esclamò lei traboccando dolcezza da tutti i pori.
- Ovvio, Mamori nee-san!- gridò un ragazzo basso e con apparenti discendenze scimmiesche, schiaffandomi una mano enorme davanti al viso. - Io sono Mont… Hem Taro Raimon, ricevitore! Piacere di conoscerti!
Continuava a dare occhiate a Mamori, e aveva le guance leggermente arrossate. Tentai di sorridergli e mi presentai a mia volta.
Dopo di lui, conobbi in sequenza: Jumonji, Kuroki e Togano, i tre blocker dei Devil Bats, degli evidenti ex-teppisti temprati dalla vita di strada, Komusubi, un piccoletto tutto muscoli che si esprimeva a grugniti o con una sola parola, Taki, il tight-end, un emerito idiota con il manie di protagonismo, tuttavia un bel ragazzo, e sua sorella, la capo cheerleader, Suzuna, una ragazzina allegra ed entusiasta perennemente sui pattini, molto carina ma non all’altezza di Mamori.
Poi conobbi Ishimaru, il capo del club di atletica che si era offerto come membro volontario, Yukimitsu, un ragazzo stempiato con l’aria dello studioso icallito, e un ragazzino mingherlino, molto timido, chiamato Sena. Era imbarazzatissimo, e non mi guardava negli occhi mentre mi si presentava.

Alzai lo sguardo per incontrare finalmente il viso di Eyeshield 21, ma nessuno si fece avanti. Perplessa, chiesi ad Hiruma il perché.
- Marmocchio di merda – disse lui chinandosi verso Sena- perché non vai a chiamare quel deficiente di Eyeshield, eh?
Il ragazzo, terrorizzato, schizzò fuori dalla sede del club.
Calò nuovamente il silenzio. Mi fissavano tutti incuriositi e vagamente straniti. Non ci feci caso e posai la mia borsa in un angolo, sedendomi poi su uno di quegli sgabelli che erano intorno al tavolo centrale, sorseggiando il tè che mi aveva offerto Kurita. Yoichi era in un angolo della stanza, intento a pulire la canna di una delle sue pistole e a osservare tutti i presenti.
- Hiruma, ma un allenatrice donna? Che ce ne facciamo noi di un’allenatrice quando abbiamo già Doburoku? E poi è una donna. - commentò sprezzante Kuroki, spezzando il silenzio.
Mi voltai a guardarlo, inarcando un sopracciglio.
- Ho le palle anche se sono una donna, blocker, - sibilai –e  anche una certa esperienza, non giudicarmi prima di avermi vista all’opera, novellino.
Kuroki sgranò gli occhi e indietreggiò, borbottando tra sé. Yoichi tentava di trattenere le risate con scarso successo, nascondendosi dietro alla schermata del proprio computer.
- Su, Kuroki, non essere sgarbato con Chizu-chan!- esclamò Suzuna dandogli una pacca sulla nuca.
Che cosa? Chizu-chan? EH?
Sentii i brividi percorrermi tutta la schiena, la mascella irrigidirsi e le narici dilatarsi dal fastidio provocato da quel nomignolo per le amichette. Hiruma sghignazzava come un ossesso, e nessuno capiva il perché. Feci per voltarmi con la schiena inarcata verso la cara signorina che si permetteva tante confidenze, ma fui interrotta dall’improvviso arrivo di Eyeshield.
- Hem, piacere di conoscerti, nuova allenatrice! Sena mi ha detto del tuo arrivo, ed è andato a comprare del nuovo materiale per il club! AHAH, che gentile quel ragazzo!- disse Sena - sì, perché era semplicemente palese che Eyeshield fosse lui- con una voce più bassa, simulando una risata mal riuscita.
Lo fissai con praticamente il mento a terra. Perché fingeva di non essere Sena? Perché diavolo… ?
Guardai gli altri, ma evitavano tutti il mio sguardo esterrefatto.
- Su, gente, fuori! AD ALLENARSI, SQUADRA DI MERDA!- urlò Yoichi alzando e dando una buona scarica di mitra per sottolineare il concetto.
Uscirono tutti correndo e imprecando contro di lui, per poi disperdersi in lontananza per il campo.
Perplessa e per niente impaurita dai modi del demone biondo – ci ero troppo abituata – mi avvicinai a lui.
- Yoichi ma è evidente che Eyeshield sia Sena, perché nessuno fa presente che… ?
- Per lei. –rispose semplicemente lui, indicando col mento Mamori.
La ragazza era occupata a distribuire bibite energetiche a tutti, e, tendendo un po’ l’orecchio, la sentii dire ad Eyeshield:
- … E’ così strano che Sena si assenti sempre così di frequente, quel ragazzo si da tanto da fare per la squadra… spero che Hiruma non lo faccia lavorare troppo, o dovrà vedersela con me! Diglielo da parte mia quando lo incontri, per favore.
Mi stavano cadendo le braccia. No. Yoichi aveva detto che era ingenua ma non riuscivo a credere che lo fosse così tanto.
- Anezaki e il moccioso sono amici d’infanzia, come io e te. Kobayakawa ha passato la sua esistenza ad essere usato dai bulli, - mi stava spiegando Yoichi mentre trafficava con l’attrezzatura - e Anezaki a difenderlo. Quindi la manager di merda non riesce a credere che il moccioso possa essere Eyeshield, lo vede come il marmocchio che proteggeva, debole e incapace di fare il primo passo. Perciò li tratta come due persone distinte. Se lo scoprisse, farebbe solo casini con me, come aveva fatto all’inizio.- si voltò a guardarmi – E’ entrata in squadra come manager solo per proteggere moccioso da me, e io ne ho ricavato della forza lavoro in più, kekeke.
Sospirando, alzai gli occhi al cielo. Sempre lo stesso, non si smentiva davvero mai.
- E gli altri stanno al gioco?
- Ovvio, altrimenti sarebbero già stati impallinati.
- Che casino. Fin quando hai intenzione di continuare questa farsa?
- Finchè il marmocchio di merda non si decide a fare l’uomo. Sarà lui a dirlo a Mamori. –ghignò lui.
- C’è qualcosa che non mi quadra in tutto questo, ma forse è meglio se non faccio troppe domande.
- Kekeke. Concordo. Eyeshield lo alleni un’ora al giorno, il resto degli allenamenti li passerà con la squadra. - mi disse, alzandosi.
- Farò anche io gli allenamenti con voi, Yoichi.
- Perché mai?
- Potrei essere un valido sostituto in caso di infortunio, idiota. E poi Sena potrebbe rendersi conto durante una partita simulata quali sono i suoi limiti contro una che corre alla sua stessa velocità. – dichiarai sorridendo malignamente io, allacciandomi le scarpe da terreno artificiale.- Bene, iniziamo? Ho le gambe che fremono dalla voglia di correre.
- Fatti valere, Chizu-chan. – mi canzonò allegro lui, imitando Suzuna.
- Vaffanculo, Yoichi. –ruggii io a bassa voce, tentando di dargli uno schiaffo sul collo che lui evitò spostandosi di lato.
Sorrise diabolicamente, poi si piantò a gambe larghe ai bordi del campo, il fucile stretto in mano. Tuonò alla squadra di portare le loro onorevoli chiappe davanti a lui; nel giro di tre secondi erano tutti in fila, pronti ad eseguire gli ordini.
Ci fissavano un po’ confusi, probabilmente non erano abituati a vedere Hiruma in confidenza con una ragazza. Suzuna in particolare ci guardava con un sorrisetto malizioso tremendamente odioso.
- Eyeshield, tu stai con Chizuru. E… che cazzo avete da guardarmi così, fratelli Eh-eh?
Jumonji, Kuroki e Togano lo guardavano come se fosse stato un alieno.
- La… la chiama per nome - sentii Togano bisbigliare all’orecchio di Jumonji.
- Yo-nii, ma l’attrezzatura per le cheerleader è…- intervenne Suzuna, che si era temporaneamente assentata per andare negli spogliatoi.
Oh mio Dio! Si stava riferendo a Yoichi chiamandolo Yo-nii!
Rischiai seriamente di scoppiare a ridere, ma mantenni un certo autocontrollo. La situazione stava davvero degenerando. Troppo impegnata a cercare di non rotolarmi per terra ridendo, non sentii né il resto della frase della ragazza, né la risposta di Yo-nii.
- … E il gruppo dei blocker col ciccione di merda. - sentii dire da Yoichi appena mi fui ripresa.- I ricevitori con me. Proveremo gli schemi.
- E io? Cioè, cosa dovrei fare di pre…preciso? – domandò timido Sena rivolgendosi a me.
Sorridendo, mi misi le mani sui fianchi.
- Inseguirmi, marmocchio.
Non aspettai una sua risposta. Mi voltai, e, ridendo, iniziai a correre, aumentando ogni tre yard la mia velocità. Mi sentivo in paradiso, completamente nel mio ambiente. Sentii qualche urlo dal punto in cui ero partita, ma non ci feci molto caso. Mettevo una gamba davanti all’altra in modo istintivo, sentendo il vento fresco tra i capelli. Era così dannatamente semplice correre in campo. Il terreno era privo di pietre, buchi e collinette come lo era in campagna, e mi sembrava di pattinare, più che correre. Mi voltai ancora ridendo, guardando dov’era Sena.
Mi tallonava, era a circa tre metri di distanza da me. Probabilmente era rimasto un po’ scioccato dalla partenza improvvisa, e il suo scatto iniziale ne aveva risentito. Era veramente veloce. Ma, come diceva Hiruma, mancava di resistenza.
Mi concentrai sui muscoli delle mie gambe, e aumentai la velocità fino a raggiungere i 4.2 secondi e a mantenerli stabili. Volevo provare a vedere fino a quando sarebbe resistito Sena.
Per quando la Death March l’avesse temprato, non era ancora ad un livello eccellente. Mi fermai a centro campo, ritornando a respirare normalmente.
Sena non resistette a stare in piedi, e cadde a terra, quasi privo di forze. Mi accovacciai vicino a lui, sorridendogli.
- Non male marmocchio, non male davvero. Adesso so cosa dobbiamo fare.
Mi sorrise debolmente, distrutto.
- Ti porto qualcosa da bere.
Trotterellai fino alla panchina e presi una delle bibite energetiche che aveva posato lì in una scatola Mamori, la quale mi fissava impressionata.
- Sei davvero veloce! Il tuo stile di corsa assomiglia moltissimo a quello di Panther!
- Piuttosto che una pantera, io direi un ghepardo. – ridacchiò qualcuno alle mie spalle. Mi girai e incontrai lo sguardo di Yoichi.
- Sarebbe interessante vedere uno scontro tra te e quello spilungone. –continuò- Te lo concedo, sei migliorata parecchio, running back di merda.
- Oooh, arrossisco, Yo- nii. –sbuffai io imbarazzata, prendendolo in giro. I complimenti mi mettevano a disagio, soprattutto da parte di Yoichi, che ne faceva uno ogni vent’anni se eri fortunato. - Vado a portare questa a Eyeshield, è abbastanza provato.
Lasciai Hiruma e Mamori da soli, tornando da Sena.
- Grazie, Fukuda. – mi disse Sena, prendendo la bottiglia e bevendo dalla cannuccia.
- Ehi, usa il mio nome. Non mi piace essere chiamata per cognome.
- Ma lo si usa solo in confidenza e io ti ho appena conosciuta, oltretutto sei un mio senpai…
- Non fare storie, io sono Chizuru e basta. –gli sorrisi io, sedendomi al suo fianco.
- Hiruma che cosa ha intenzione di farmi fare?- mi chiese, timoroso.
- Ahah, non aver paura di Yoichi. Quella che ti seguirà sarò io, e quel bastardo non ci potrà mettere il becco. Sono venuta fin qui solo per questo. - gli risposi, ridacchiando fra me e me.
- Se posso permettermi… da dove vieni?
- Dall’Hokkaido, piena campagna. Non sono un esempio di eleganza un po’ per quello.
- Fin da là solo per me?- esclamò strabiliato lui.
- Mh, no, non solo per te. Mi mancava un po’ la mia vecchia vita. – ammisi io, sorridendo a Kurita in lontananza.
- Cioè tu prima vivevi qui…?
- Hei, basta con le domande. Hai ancora un quarto d’ora di allenamento, vai dagli altri a combinare qualcosa.
- Va… va bene, Fukud… cioè, Chizuru. – mi sorrise, alzandosi. – Grazie per la bibita.

Le mani in tasca, raggiunsi la panchina e mi sedetti, guardando gli altri allenarsi. Sentii qualcuno sedersi accanto a me, e mi voltai.
Oh no, ti prego, Suzuna no.
- Ciao Chizuru! Io sono Suzuna, ti ricordi di me, no? Sono la sorella di quell’idiota. – indicò Taki.
- Ah. Hem, piacere, Suzuna.
- Tu e Hiruma state insieme?- trillò lei sorridendomi a trentadue denti.
Mi voltai lentamente verso di lei, guardandola come se fosse stata una pazza appena evasa dal manicomio. Che diavolo insinuava? E poi ci conoscevamo da due secondi neanche, che diamine le passava per la testa di fare domande del genere?
- Io e Hiruma siamo amici di vecchia data, vorrei che il concetto fosse capito e non più ripetuto. –sibilai, irritata.
- Ah, okay!- rise lei.- Tu sai andare sui pattini?
Ma che diavolo…? Passava da un argomento all’altro con una semplicità spaventosa!
- Mai provato.
- Madamoiselle, la prego di scusare la mia invadente sorellina. – disse una voce melodiosa alle mie spalle. Era Taki, il quale aveva appena finito di allenarsi e si passava un asciugamano sul collo per detergersi il sudore.
- Idiota di un fratello! Stavo solo cercando di socializzare un po’ con lei, no?
- E volevi non presentarmi? Oh mon dieu.
- Se non fossi mio fratello, io…
Dato che aleggiava un’aria ben poco amorevole tra i due, mi alzai e corsi da Yoichi, il quale stava per entrare negli spogliatoi.
- Che c’è, running back di merda?
- Sono sopravvissuta ai fratelli Taki e ti ringrazio per avermi umilmente concesso di abitare a casa tua, ma ho una domanda da farti: dove devo andare adesso per sostenere gli esami?
- Quali esami? Tu li hai già fatti. –ghignò lui estraendo un foglio dalla sua borsa.
Che cosa?
Gli strappai il foglio di mano e lo guardai. Era un test a risposta multipla, ma era evidente che la calligrafia secca e dura con cui era stato scritto il mio nome, in alto a destra, non era sicuramente la mia.
- E l’hai anche passato a pieni voti! Brava, Fukuda!- si complimentò lui prendendomi in giro.
- Brutto stronzo, questa non è il mio esame di ammissione!- ruggii restituendogli in malo modo il test.
- Ma davvero? A me sembra che lì sopra ci sia il tuo nome. – sghignazzò lui con il solito sorriso beffardo stampato in volto – Ci vediamo in classe, è la seconda porta a sinistra al secondo piano.
E mi lasciò lì, furente dalla rabbia, entrando negli spogliatoi mentre puntava la canna del fucile nella schiena di Raimon.

Marciai fino alla sede del club, presi la mia borsa e, imprecando, entrai nell’edificio, cercando i bagni femminili. Li trovai e mi chiusi dentro ad uno di essi, estraendo la divisa scolastica dall’involucro di plastica.
Dovevo indossare una gonna.
Inspirai, espirai lentamente e mi spogliai delle cose che avevo addosso. Poi mi infilai a fatica i collant, mandando a quel paese almeno una trentina di volte la maledetta regola giapponese delle divise scolastiche, la camicia bianca, la gonna e infine la giacca color verde acqua scuro che mi faceva veramente venire il voltastomaco.
Guardandomi allo specchio, scoprii che non stavo male con la gonna. Sottolineava le mie gambe magre, ma continuavo ad odiarla comunque. C’era troppa aria, mi dava fastidio camminare con indosso qualcosa che con appena una folata di vento si poteva alzare. Per non parlare dei collant, la cui stoffa mi prudeva sulle cosce in una maniera incredibile.
- Prima Chizu-chan, poi le domande inquisitorie di Suzuna, poi il test, ed infine la divisa. Che cavolo avrò fatto di male nella mia vita?- borbottai tra me e me, passandomi una mano tra i capelli corti e uscendo dai bagni.
Seguii le indicazioni del mio amichevole compare, ed entrai timidamente nella mia futura classe. Non era ancora presente il professore, e non tutti gli allievi erano ancora arrivati. Ryokan e Mamori erano riuniti intorno al banco di Yoichi –stravaccato sulla propria sedia- e discutevano di qualcosa relativo a quella mattina. Mi diressi verso di loro sotto lo sguardo incuriosito del resto della classe.
- Chizuru, stai bene con la divisa della Deimon!- commentò Kurita sorridendomi cordiale.
- Io la odio, Ryokan.- brontolai a bassa voce.
- Hai delle belle gambe, Fukuda-san!- trillò Mamori tutta felice. -Siediti pure davanti ad Hiruma, quel banco è sempre vuoto.
- Chissà come mai. - sospirai io, guardando con sufficienza Yoichi- Metti ancora le puntine sulle sedie al liceo?
- Kekeke, ho passato quel periodo. Ooh, ma cooome ti dona questa gonna, Chizu-chan. - ghignò, squadrandomi.
- Che simpatico, Yoichi, davvero. Come un frontale con un tir. –gli sorrisi io, sedendomi pesantemente sulla sedia.
- Dai, ragazzi, smettetela, su… - sussurrò Kurita imbarazzato, sedendosi a sua volta.

Iniziate le lezioni, il professore mi presentò alla classe. Nell’intervallo qualcuno tentò di socializzare, con scarsi successi: io, Mamori e Ryokan stavamo sempre con Hiruma, anche all’ora di pranzo, e la sua presenza bastava a tenere la gente a distanza di sicurezza.
Sena e gli altri erano del primo anno, e non ci fecero visita nelle pause.
Durante le lezioni, Yoichi mi passò qualche bigliettino per chiedermi che cosa ne pensavo di Eyeshield – ovviamente scritto con la sua penosa calligrafia dai tratti duri- e che cosa avevo intenzione di fare con lui.
Gli risposi che ne avremmo parlato agli allenamenti o a casa, e che non avevo intenzione di farmi beccare il primo giorno di scuola a passare bigliettini con un teppista come lui. Lui sghignazzò per conto suo, e mi ripassò un altro bigliettino, scritto su un pezzo di appunti di chimica.
Hai delle così belle gambe, Chizu-chan!”
A questa diabetica frase, erano abbinati dei cuori e dei fiorellini disegnati orrendamente, al solo scopo di prendermi per i fondelli e farmi irritare.

“ E il caro Yo-nii”- scrissi io con rabbia- “farebbe meglio a tenere chiusa quella sorta di fogna che si ritrova al posto della bocca, non è vero, Yo-nii?”
Kekeke, eddai, non essere permalosa, Chizu-chan.”
“ E tu rendimi la giornata almeno un minimo piacevole, Yo-nii.”
“ Probabilmente Suzuna ti chiederà di andare a fare shopping con lei, dopo gli allenamenti!”
“ Sei solo un povero idiota, Yoichi. Smettila di prendermi in giro.”
“ Se mi dici così, mi viene solo voglia di continuare, kekeke.”

Decisi che non gli avrei più risposto. Stavo seduta sulla mia sedia con la mascella contratta e le ginocchia serrate l’una contro l’altra, imprecando mentalmente contro i fastidiosissimi collant.

Alla lezione di economia domestica, rimasi in gruppo con Mamori. Era di una gentilezza quasi inverosimile, tanto quanto era inconcepibile la sua ingenuità. Mi trattava con dolcezza, ridendo con delicatezza quando facevo qualche errore; le sue risate erano un tintinnio di campanelli, delicate come i petali di un ciliegio. La fissavo ammirata. Al suo confronto, io ero solo una camionista. E poi era di una bellezza impareggiabile: le sue mani erano lisce, morbide, e si muoveva con una grazia innata. Per non parlare dei fianchi sinuosi e del seno, che la parte maschile della classe fissava con insistenza.

Io ero magra, smunta, pallida come un morto, con i capelli corti e spettinati, le mani –unico mio vanto- da pianista, quasi priva di curve, con una vita sottile che nascondevo sotto enormi maglie e felpe. Mamori continuava a dirmi che avevo delle belle gambe, lunghe e magre, ma io guardavo lei e, pur apprezzando segretamente il suo complimento, non riuscivo ad auto convincermi della cosa.
Dopo quell’ora, l’orario normale scolastico era finito, e iniziavano le attività dei club.
Mi diressi sorridendo a trentadue denti verso i bagni femminili per cambiarmi, ma Mamori mi fece presente che al club Hiruma aveva fatto costruire anche degli spogliatori femminili per le cheerleader.
La seguii, individuando in lontananza Jumonji e gli altri due compari avviarsi a loro volta verso il club.
Gli spogliatoi femminili erano sicuramente meno spaziosi di quelli maschili, ma dato che eravamo solo io e Suzuna a doverci cambiare, era comodo. La ragazza era già pronta con indosso i pattini, e saltò in braccio a Mamori urlando contenta. Io evitai il più possibile qualsivoglia contatto con lei, e mi spogliai in tutta fretta, indossando gli abiti comodi della mattina e sospirando di piacere nel sentire con sollievo che non avevo più indosso i collant.
Uscimmo e raggiungemmo il resto della squadra, già pronta e in fase di riscaldamento.
Una figura molto nota dirigeva gli esercizi.
- SENSEI DOBUROKU! –gridai io, sorridendo e correndogli incontro.
Lui si voltò e mi sorrise a sua volta da sotto i baffi, ridendo di gusto con le mani sui fianchi. Gli strinsi forte la mano, felice di poterlo rivedere.
- Sei cresciuta parecchio, Chizuru! – ridacchiò lui.
- Oh, sensei, quanto tempo! Come sta?
- Bene, finchè le scorte di sake non si esauriranno. Siamo stati io e quel bastardo di Hiruma a chiederti di venire qui a seguire Eyeshield, spero non sia stata troppo una sfacchinata.
- No, davvero, sensei. Alloggio a casa di quel… -tossii- insomma, no, non va male, e ho già testato le abilità di Eyeshield stamattina.
- Ti unisci a noi per gli allenamenti?
- Mi farebbe davvero piacere, sensei Doburoku. – ammisi.
- Alcolizzato di merda, Chizuru non è come quelle aitanti fanciulle delle spiagge texane, smettila di fare la mano morta. – sghignazzò Yoichi, il fucile appoggiato su una spalla. Doburoku si voltò e cercò di rifilargli un pugno diretto al naso, ma il biondo lo schivò facilmente.
- Capisci sempre male, brutto bastardo. – sibilò rosso in volto il sensei. –Comunque, Chizuru, certo che puoi partecipare agli allenamenti.
Mi voltai verso Yoichi e lo fissai con il sopracciglio inarcato, sbuffando con aria di vittoria. Lui ringhiò a bassa voce e mi diede le spalle, dirigendosi verso Mamori.
Gli allenamenti procedettero bene, non indossai la divisa perché non ne avevano, ma aiutai Eyeshield e la squadra a rendersi conto che cosa significava avere a che fare con un running back avversario con la stessa velocità del loro asso. Avevano già sperimentato con Panther, ma avere una che correva come lui a disposizione per tutti i loro allenamenti era estremamente più vantaggioso.

Aiutai Kurita a mettere a posto le attrezzature, poi salutai tutti e mi diressi verso il minimarket vicino alla scuola, lasciando Yoichi a discutere con Doburoku un paio di cose.
Era un posto piccolo e accogliente, nella zona commerciale del quartiere. Presi del pesce, scorte di riso, mi ricordai che il mio coinquilino aveva finito gli snack alle alghe e gliele presi, e qualche altro piatto già cotto da far passare in microonde. Mi avviai a casa piena di borse, un sorriso soddisfatto dipinto in volto. Finalmente quella sera avremmo mangiato decentemente.
Entrai in casa, ma le luci erano ancora tutte spente; Yoichi non era ancora rientrato. Per prima cosa, mi feci una doccia calda e rilassante, poi misi a posto le cose che avevo comprato, e iniziai a cucinare. Non ero un vero e proprio genio in cucina, ma ero abituata a preparare i pasti a mio padre da quando era morta mia madre, e me la cavavo abbastanza.
Mentre tagliavo il pesce, le maniche rimboccate fino alle spalle, sentii la chiave girare nella toppa e Hiruma entrare. Posò la sua borsa sul divano e mi guardò vagamente perplesso.
- Hei, biondo. Sto preparando la cena. – esordii io, sciacquandomi le mani dai rimasugli di salmone.
- Tu che … cucini?
- Esatto. Dubiti delle mie capacità culinarie?- gli chiesi, tirando fuori i piatti e sgombrando il tavolo.
Lui alzò le spalle e si stravaccò sul divano, togliendosi la giacca della divisa e slacciandosi il colletto della camicia. Accese la TV e riprese, come la sera precedente, a guardare un’intervista ad un atleta di football americano.
- Se vuoi farti una doccia il bagno è libero, io l’ho fatta prima. - gli dissi, apparecchiando la tavola.
- Mmmh. - mugugnò lui, per niente interessato.
Mio Dio, sembravamo una coppia di sposi prossimi al divorzio. Adesso dovevo solo trillare come una deficiente “A tavola, la cena è pronta, chiama i bambini!” e potevo anche morire lì.
- Yoichi, - ruggii, con il tono di voce appartenente ad un minatore tedesco – la cena è pronta.
- Mi fa piacere saperlo. – disse lui con voce atona, cambiando canale.
- YOICHI, quella fottutissima cena è pronta. – ruggii nuovamente io. 
- Ooookaaaay. - sbuffò lui, saltando lo schienale del divano e sedendosi pesantemente sulla sedia arancione sgombrata dalle riviste.
Misi in tavola le cose che avevo preparato, e mi servii. Lui roteò tra le dita le bacchette, sorrise diabolicamente e si servì a sua volta, iniziando a mangiare.
- Dimmi qualcosa sulla squadra. – bofonchiò tra un boccone e l’altro.
Rimasi un attimo a fissarlo, poi incominciai ad esprimergli le mie opinioni.
- Dunque, partendo da Eyeshield, direi che è davvero un fenomeno del football in fatto di velocità, ma che manca di resistenza. In questo caso, programmerei di fargli fare qualche corsa lungo dei tratti sterrati o almeno non in piano. Sarebbe perfetto una sorta di ritiro su qualche montagna, Yoichi.
Lui ingoiò un boccone e mi guardò, alzando un sopracciglio.
- Ci avevo già pensato. L’hanno fatto anche quelli dell’Ojo mentre noi eravamo a Las Vegas. Continua.
- Jumonji, Kuroki e Togano sono degli ex teppisti con del fegato, e hanno il giusto incentivo per continuare. Secondo me, possono tranquillamente continuare a migliorare. Da quanto ho capito, Jumonji è il capo dei tre, e sembra anche quello più maturo e posato. Mi incuriosisce solo la cicatrice a forma di X sulla guancia, ma questa è una mia curiosità personale.
Vedendo che non mi rispondeva, continuai a parlare.
- Yukimitsu è … il classico studioso incallito che ha passato i suoi anni attaccato alla scrivania. Ma è molto determinato, e scommetto che è uno dei tuoi assi nella manica. – ghignai.
Lui sghignazzò, versandosi da bere. Era un sì.
- Raimon è un ricevitore eccezionale, hai fatto un buon acquisto. E’ totalmente perso per Mamori, oltretutto. Comunque con lui non ci dovrebbero essere problemi, a meno che non incontri un ricevitore molto più alto di lui e con la sua stessa preparazione.
- Concordo. Continua.
- Kurita manca solo di velocità, per il resto resta sempre il migliore.
- Kekeke, sul ciccione di merda non c’è molto da dire.
- Taki è un idiota con manie di protagonismo, ma a parer mio poteva avere una carriera nel campo circense come contorsionista. Hai fatto bene a prenderlo come tight-end.
- E’ stata fortuna, più che altro. Lui e Suzuna ce li siamo beccati tra i piedi in America.
- Komusubi è un altro asso nella manica. – continuai io- piccolo, forzutissimo, con una grande determinazione e una venerazione senza pari per Ryokan. Il problema è quando parla, perché lo capisce solo Kurita.
Yoichi rise.
- Poi c’è Mamori, che è … una modella. Diamine Yoichi, hai occhio per le belle ragazze.
- FUCK. Che cazzo insinui?
Sorrisi, maliziosa.
- Dicevo, è davvero bellissima e la invidio parecchio, ma ha anche dei lati positivi pratici: sa organizzarsi, è abbastanza sveglia anche se ingenua. Non è il tipo che mi va davvero a genio, ma la ammiro.
- Mh, e Suzuna?
- Vorrei saltarle al collo, molto sinceramente. Perché cavolo me lo chiedi, Yo-nii, hai passato tutta la giornata a prendermi allegramente per il culo. – dissi in modo sprezzante.
- Kekeke, Chizu-chan.
- Mi spieghi perché diavolo ti fai chiamare Fratello Elfo e non la mitragli?
- Perché tanto non servirebbe a niente. – sospirò lui, mettendo da parte il piatto vuoto.
- Detta da te questa frase suona davvero strana.
- Ho di meglio da fare che non preoccuparmi di un nomignolo, running back di merda.
- Allora posso chiamarti Yo-nii? – cinguettai io sparecchiando con finte movenze femminili - che non mi si addicevano per niente.
- Io e te condividiamo lo stesso alloggio, non vorrei rovinare la mia libreria con degli accidentali buchi provocati da qualche proiettile vagante. – ringhiò sommessamente lui, alzandosi.
Sospirai.
- Sono davvero convinta che il tuo unico futuro oltre a quello di quarterback potrebbe essere soltanto come caporale o generale nell’esercito. O come terrorista.
- Apprezzo i complimenti, kekeke.
Si avviò, le mani in tasca, verso il divano, ma lo fermai ruggendo.
- I piatti non si lavano da soli, Yoichi. Almeno aiutami, dato che ti ho preparato cena e non mi hai neanche detto che cosa ne pensavi.
Si voltò ruotando su se stesso di scatto e rivolgendomi un ampio e disgustosamente finto sorriso cordiale.
- Deliziosa cenetta, Chizu-chan. – mi rispose in falsetto, scivolando verso il divano con due lunghe falcate a ritroso.
Lo mandai a quel paese e presi a lavare i piatti con rabbia, borbottando che sei mesi con lui erano paragonabili a sei mesi con Suzuna, e che si salvava solo perché non era invadente e irritabile come lei.

 

 

 

 

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Capitolo 4
*** Kekekeke. ***


Cribbio quant’era scomodo quel divano.
Stretto, caldo, duro, e ogni volta che mi muovevo, strideva in una maniera particolarmente fastidiosa. La sera precedente non ci avevo fatto molto caso a causa della stanchezza accumulata durante il viaggio di andata, ma solo alla seconda notte mi resi conto di quanto fosse impossibile dormire su quell’affare. Un davanzale di marmo sarebbe stato meglio, almeno non faceva quegli strani rumori. All’una di notte, mi appuntai mentalmente di non comprare mai un divano di pelle. Giallo, verde, rosso, non aveva importanza. Bastava che non fosse in pelle.
Restai due ore buone a fissare il soffitto basso della sala, incapace di chiudere occhio, ascoltando il respiro leggero di Yoichi dall’altra parte della stanza; fortunatamente, non russava.
Mi riaddormentai alle tre, per poi svegliarmi di soprassalto una mezz’ora dopo perché stavo per cadere dal divano. Sbuffai e, osservando i minuti che si susseguivano sull’orologio sopra il televisore, caddi in uno stato di dormiveglia forzato. Dovevo pur dormire un minimo, quella notte.
Circa verso le sei, socchiusi gli occhi e mi resi conto che la luce della cucina era accesa. Sbadigliando, scalciai le coperte al fondo del divano e mi alzai, ciabattando fin da Yoichi, seduto al tavolo parzialmente sgombro, lo sguardo assonnato fisso sullo schermo del computer e con in mano una tazza di caffè ormai freddo.
- ‘Giorno.- grugnii io, aprendo il frigo e prendendo del latte, - Stasera dormo sul pavimento, ho come la sensazione che sia più morbido del tuo divano.
- Te l’ho detto, mio padre fa sempre dei regali molto utili. – mugugnò lui ticchettando con le lunghe e magre dita sulla tastiera del computer, passandosi una mano tra le ciocche di capelli ribelli.
Versandomi il latte nella tazza, mi venne da pensare che dovevo avere davvero un aspetto tremendo. La maglietta larga  che indossavo come pigiama era tutta spiegazzata a causa dei miei continui tentativi di cambiare posizione per dormire meglio, e avevo come l’impressione che le mie occhiaie fossero immense e scavate nel viso; per non parlare dei capelli, totalmente pettinati per conto loro. Tutta colpa di quel maledettissimo divano. Ma il padre di Hiruma l’aveva mai provato quel divano prima di acquistarlo?
La vita giù in strada si stava animando. Essendo al primo piano, si sentiva tutto il rumore del quartiere circostante, comprese le macchine e i primi buongiorno dei negozianti. Non mi ricordavo di queste piccole cose, in campagna erano totalmente assenti. Il mio unico ricordo relativo ai rumori fuori casa la mattina era il canto delle cinque e mezza del gallo dei vicini.
Mi sedetti di fronte al mio coinquilino, notando di sfuggita che le tende di camera sua non erano state scostate e che il suo letto era ancora completamente sfatto.
- Running back di merda, la spesa di ieri l’hai pagata con i tuoi soldi, vero? – mi domandò minacciosamente il biondo quarterback, fissandomi con rabbia da sopra lo schermo del computer.
- Ovvio, biondo. – risposi io, vagamente perplessa.
- Ti ho fatto recentemente presente  che non voglio che le cose per questa casa siano pagate con i tuoi soldi, ovvero con quelli del tuo vecchio. – ringhiò, allungandomi la precisa somma che avevo speso la sera precedente. La rifiutai con un gesto, scuotendo la testa.
- Yoichi, ma fammi il favore, già mi dai l’alloggio, è il minimo.
- Non se ne parla, Chizuru. Io di soldi ne ho a palate e non ci faccio praticamente niente se non usarli per il club, quindi i tuoi tienili per le tue cose personali. Ma per la casa ci penso io. – sottolineò in tono intransigente – Non darmi noie. Ho già altro a cui pensare.
- Appunto per quello io …
- Non ci pensare neanche.  Non ripeterò due volte quello che ho detto. – ruggii lui, continuando a scrivere.
- Come vuoi. – sospirai io, troppo stanca per mettermi a discutere.
Le sue dita si muovevano veloci sulla tastiera, fermandosi ogni tanto forse in cerca di ispirazione.
- A proposito, che ci fai a quest’ora davanti al pc? – gli chiesi sorseggiando il latte.
- Fatti miei, running back di merda. – disse in tono sprezzante lui, ignorandomi.
Era mattina anche per lui, dopotutto.
- Se comprassi un futon con i miei soldi non ti arrabbieresti? Quel divano proprio non lo sopporto.
- Non ci starebbe nella stanza, idiota. L’alternativa sarebbe dormire in piedi contro la libreria o – mi sorrise diabolicamente, ridacchiando – condividere il mio letto con te, ma mi sembrerebbe troppo inconveniente.
- Pervertito del cavolo, non risvegliare i miei istinti omicidi. – sibilai, alzandomi di scatto e mettendo nel lavabo la mia tazza. Simpatico e affabile come al solito. Addio futon. Mi toccava il divano.
- Sbrigati a cambiarti, dobbiamo prepararci in vista del prossimo incontro e non abbiamo molto tempo. – disse, alzandosi a sua volta chiudendo il computer con un gesto secco e raccogliendo un paio di fogli sparsi, - Domani andiamo a vedere la partita che deciderà quale delle due squadre si scontrerà con noi.
- Mh, e chi sarebbero?
- Deers contro Poseidons. – rispose, consultando con un’occhiata ad un foglietto sul tavolo.
- I Deers so chi sono, c’è Onihei, ma i Poseidons non li ho mai sentiti prima d’ora. Ne sai qualcosa?
- No, sono assolutamente nuovi. Circolano poche informazioni su quella squadra, ed è appunto per quello che domani andremo a vedere di chi si tratta e a valutare se effettivamente sono una minaccia, kekeke. Se capitiamo contro i Deers ci sarà da sudare parecchio, e, chi lo sa, magari domani osservandoli potrei scoprire qualche altro punto debole. – sghignazzò dirigendosi verso la libreria.
- Significa che conosci già qualche punto debole di Onihei? – domandai, stupita.
- Non di lui in particolare, ma della squadra sì. Ognuno ha i propri lati deboli, il difficile è scoprirli. Un lavoretto da quattro soldi, insomma, almeno per me. – ghignò diabolico, infilandosi nella tasca della giacca l’agendina dei ricatti con un movimento distratto.
Alzai gli occhi al cielo, sbuffando. Pieno di sé, maligno come al solito. Raccolsi la mia roba e andai in bagno a cambiarmi, lasciandolo ai suoi piani diabolici.
 
Seguivo con lo sguardo le pieghe perfette della giacca di Mamori, totalmente disattenta alla lezione. Mi chiedevo se sarei mai riuscita a stirare le cose con la stessa precisione e dedizione. No, era decisamente impossibile. E poi, chi mi diceva che a stirarsi l’uniforme scolastica fosse proprio lei e non sua madre? Oh, la madre di Anezaki. Chissà che tipo era. Provai ad immaginarla, il viso poggiato pigramente sulla mano destra: alta, bella, gentile, un clone della figlia formato più alto e con i capelli raccolti uno chignon ordinato.
Scossi la testa, pensando che doveva essere davvero inquietante vedersi aprire la porta di casa Anezaki da due perfette cloni.
Mamori aveva dei riflessi incredibili quando si trattava di dover alzare la mano per rispondere al professore o di incominciare a prendere appunti; la matita ben temperata si muoveva veloce sul foglio, tracciando schemi di studio e disegni riassuntivi. Il ragazzo davanti a lei doveva avere un morso su un braccio, perché continuava a grattarselo con insistenza. Yoichi, dietro di me, apriva e chiudeva la penna senza stancarsi del clic clac, clic clac estenuante e particolarmente irritante. Contrassi le spalle, infastidita da quel rumore continuo. Mi passai una mano sul viso, tentando di seguire la lezione. Un minuto dopo, pensai che i collant erano davvero scomodi. Due minuti dopo, ripresi a fissare i giochi di luce tra i lisci capelli castani di Mamori, perdendo nuovamente la concentrazione.
Non ero decisamente fatta per lo studio, ma questo me lo dicevano già ai tempi delle medie. Avevo una memoria visiva portentosa, ma il solo pensiero di mettermi seduta ad una scrivania con dei libri davanti era improponibile. Finivo sempre per stancarmi, alzarmi dalla scrivania e andare in negozio da mio padre, a chiedere se c’era qualcosa da riparare. Mi piacevano i lavori manuali, e sapevo riparare parecchie cose elettroniche pur non capendone un granché.
Datemi una chiave inglese e un bullone e sarò felice, ripetevo sempre. Fin quando c’era stata mia madre, in casa mi aiutava lei a studiare per gli esami. Mancavo solo di concentrazione, diceva lei sorridendomi, scompigliandomi i capelli. Quando poi era stata ricoverata, mi ero messa sui libri forzatamente, promettendole che avrei avuto dei risultati strepitosi e che sarebbe andata fiera di me. Così fu per un po’, anche se gli allenamenti di football non mi aiutavano di certo. Quando lasciò me e mio padre per andarsene per sempre, studiare diventò più difficile. Per fortuna, la determinazione non mi mancava, e in breve tempo tornai alla mia solita media.
Restava comunque il fatto che in classe concentrarsi era davvero un’impresa.
Clic, clac. Clic, clac. Clic, clac.
Yoichi interruppe  il suo continuo ticchettio, e pochi istanti dopo una pallina di carta venne scagliata con precisione nel mio portapenne. Sospirando, la presi e la aprii.
“ Fissi la manager di merda come se dovessi trapassarla con lo sguardo. “
Un messaggio di Yoichi, il quale probabilmente si stava annoiando a morte quanto me.
“ E tu non hai un cazzo da fare se non mandarmi bigliettini con frasi inutili, eh? Che vuoi, Yoichi? “
Lo sentii sghignazzare dietro di me, divertito.
“ La noia è una brutta bestia. Hai qualcosa in mente per Eyeshield? “
“ No. Ti ho già detto che ci vorrebbe una strada sterrata o qualcosa di simile. O un ritiro in montagna. Qui in campo posso fare ben poco se non seguirlo e consigliargli qualche trucchetto. La maggioranza degli esercizi specifici glieli fai già fare tu, e poi ha alle spalle la Death March, non è un novellino. “, gli risposi, rimandandogli il pezzetto di carta indietro.
“ Hai lo stile di corsa di Panther, running back di merda. Quel tipo ci ha fatto sudare parecchio durante la partita, stando vicino al marmocchio puoi benissimo insegnargli qualcosa. Apprende nel giro di poco, e quasi senza che se ne accorga. Al diavolo i ritiri in montagna, non ne abbiamo il tempo. Stagli vicino e imparerà la corsa a 0 gravità, faticando infinitamente meno di quello che fa adesso. Almeno non dovremo temere eventuali incidenti durante la partita, visto che ci è già svenuto durante quella contro gli Aliens. “
La sua scrittura era fitta e le parole erano scribacchiate malamente l’una vicina all’altra, e feci un po’ di fatica a leggere quel messaggio. Quando finii di decifrarlo, rimasi sorpresa. Presi la matita e gli scrissi la risposta rapidamente, controllando che il professore non guardasse dalla mia parte.
“ Idiota, ma non ho mai allenato nessuno. Non so dire neanche a me stessa cosa faccio per correre in quel modo. Non saprei come dirglielo in termini tecnici.”
Sbuffò, e sentii la sua penna segnare il foglio con più forza.
“ Chizuru, imbecille, non è necessario che tu glielo dica a parole. Quel branco di idioti a malapena sa i nomi dei percorsi e delle tecniche, figurati se riuscirebbero a capire un discorso tecnico. L’osservazione è la miglior tecnica. Prendilo un’ora al giorno e fagli vedere come corri. Imparerà senza che tu gli dica niente. Non devi farne un atleta professionista. A me basta che non crolli la prossima partita. E poi sei utile alla squadra in generale. Che si rendano conto che prima o poi incontreranno un altro Eyeshield 21; si alleneranno a fermare le tue corse, preparandosi per un’eventualità del genere.”
Ero ancora più stupita dal suo discorso. Aveva valutato tutto, probabilmente prima ancora che io arrivassi a Tokyo.
“ Non temere. Farò di quel marmocchio il running back che vorrei diventare io. Dopotutto, sapevi anche questo, no, quando mi hai chiamata, quarterback del cavolo? Sei un demone, Yoichi. “
Ghignò, rispondendomi con un “ Ne sono consapevole, kekeke ”, che valeva una piena conferma dei miei sospetti.
 
Quel pomeriggio, dopo le lezioni, presi da parte Sena e gli dissi che saremmo andati a correre lungo il canale, lasciando perdere il campo da football e i vari passaggi di personalità Eyeshield – Sena necessari per non destare dubbi nella manager. Hiruma e gli altri avrebbero continuato sotto le direttive di Doburoku, senza alcun bisogno di noi due.
Nonostante fosse il timido per eccellenza,  stare con Sena era rilassante: non faceva domande inutili, e sorrideva quasi sempre. Correvamo fianco a fianco lungo il canale, osservando il tramonto, aumentando o diminuendo la velocità di corsa a seconda di come decidevo io.
- Abiti tanto lontano da scuola? – mi chiese timidamente ad un certo punto, interrompendo il silenzio.
- No, appena dieci minuti di cammino, non ci vuole davvero niente. – risposi, sorridendogli.
- Beata tu! Hai affittato un appartamento, venendo qui a Tokyo?
Decisi che Sena era una persona affidabile, e che per instaurare un buon rapporto con lui non avrei mentito.
- No, sto da Hiruma. – dissi semplicemente, alzando un sopracciglio.
Per poco non inciampò nei suoi stessi piedi; mi fissava terrorizzato, gli occhi spalancati.
- Tu vivi nella stessa casa di Hiruma-kun? – mormorò con voce gracchiante, sconvolto.
- Sì, non ho abbastanza soldi per prendermi un appartamento qui a Tokyo. Ehi, non fissarmi così, altrimenti non mantieni il ritmo di corsa!
- Dovete essere davvero in buoni rapporti tu e il senpai. – commentò, riportando la sua attenzione sulla corsa.
- Bah, non ne sono così convinta, ma direi di sì. Ci conosciamo da almeno – feci un rapido conto – dodici anni...?
Per poco non cadde a terra dallo stupore.
- Fukuda-san, conosci Hiruma da quando aveva cinque anni?
Per lui probabilmente era inconcepibile che uno come Yoichi fosse stato bambino.
- Chizuru, Sena, Chizuru. Mi da fastidio essere chiamata per cognome. Comunque sì, ci siamo conosciuti alle elementari, eravamo compagni. – spiegai blandamente. Poi lo fissai con sguardo severo, incontrando i suoi occhi spalancati.
 – Ovviamente tutto questo deve rimanere tra noi due, Sena. Se queste informazioni casualmente si spargessero, sono capace di raggiungere lo stesso livello di malvagità di quel cavolo di quarterback.
- Ovvio! Ovvio! Nessuno saprà niente! – si affrettò a confermare, impaurito.
Corremmo ancora un po’, guardando in silenzio il sole che scompariva all’orizzonte, lasciando il cielo tinto di un azzurro scuro.
- Quindi anche lui abitava nell’Hokkaido con te? – domandò timoroso dopo un po’ di tempo.
- Siamo entrambi nati nello stesso paese di campagna, sì.
Pausa.
- Com’era Hiruma da bambino?
- Esattamente come è adesso, con la differenza che allora era ancora moro. – sospirai io, rallentando.
Rabbrividì visibilmente. Chissà che immagine si era fatta del mio coinquilino. Ridacchiai tra me e me, pensando che quel ragazzo incuteva davvero un terrore tremendo a chi non lo conosceva bene come me o Musashi.
- Ma quindi hai conosciuto anche il padre e la madre di Hiruma-kun?
No, quello era un discorso delicato e personale di Yoichi. Non avevo intenzione di rispondere.
- Hei hei, troppe domande. Per oggi basta, ragazzo. Torniamo indietro, staranno già smontando il tutto. Hai corso bene, oggi. Non smettere, continua così. – dissi sbrigativamente, dandogli una pacca affettuosa su una spalla.
Sena mi sorrise, capendo che non doveva insistere. Tornammo al campo in silenzio, con la vaga sensazione che se fossimo arrivati in ritardo un certo individuo non si sarebbe di certo risparmiato una scarica di mitra.
 
Aspettai che Hiruma finisse di parlare con Doburoku, appoggiata alla parete della sede del club, le mani in tasca, osservando il cielo scuro e privo di stelle. Non avevo niente da fare a casa, e non me la sentivo di andare in giro per Tokyo da sola, quindi avevo deciso di aspettarlo. A lui la cosa non faceva né caldo né freddo, per cui non avevo problemi. Incominciava a soffiare un venticello fresco, era piacevole sentirlo tra i capelli corti e sul collo. Mi sedetti per terra, poggiando a fianco a me la borsa. Lontano, si sentivano le macchine percorrere le larghe strade, e uno degli ultimi treni partire dalla stazione. Non era bella come una sera in campagna, ma dovevo ammettere che la città a quell’ora possedeva un certo fascino malinconico.
La porta del club si aprì di botto e Hiruma ne uscì a grandi falcate, caricandosi in spalla la borsa. Mi staccai mollemente dal muro e lo seguii, le mani sempre nella tasche della grossa felpa nera.
- Stanco?
- Neanche un po’. – sbuffò lui, svoltando in una via più affollata.
Camminammo in silenzio fianco a fianco a passo tranquillo per un bel po’, osservando distrattamente i negozi della via e le loro insegne luminose. La gente passeggiava per le strade ridendo e chiacchierando animatamente, indicando qui e là dei diversi locali; gruppi di liceali erano raggruppati nei parchi e parlavano ad alta voce, scoppiando di tanto in tanto in sonore risate.
- Com’è andata con Sena? – mi domandò di punto in bianco, lo sguardo vuoto fisso davanti a sé.
- Non male, ma non abbiamo fatto niente di speciale. – risposi io fermandomi a guardare meglio l’interno di una vetrina. Mi si avvicinò incuriosito, allungando il collo per sbirciare anche lui.
- Ti interessi di questa roba, running back di merda? – mi chiese, indicando con un gesto il servizio di piatti che stavo osservando.
- E’ per il mio vecchio, mi aveva chiesto di vedere se qui a Tokyo vendevano qualcosa di economico per casa.
- Ah. Muoviti, ho fame. Tanto a quest’ora è chiuso. – borbottò, riferendosi al negozio.
- Domani penso che passerò a fare un giro. – mormorai sorridendo, seguendolo. – Yoichi, forse te l’ho già detto, ma almeno una volta al mese dovrò tornare su nell’Hokkaido a dare una mano a mio padre.
- Tsk. No, non me l’avevi detto. Vai pure, basta che non sia prima di qualche partita.
- Vedrò di non partire in quei momenti. Ma bastano anche solo due giorni, eh. E’ solo che da quando è mancata mia madre ha un po’ di difficoltà a mandare avanti il tutto con la serenità di una volta. – raccontai, alzando le spalle. – Vado a tirargli un po’ su il morale, insomma.
Rimase in silenzio qualche istante, con un’espressione indecifrabile sul volto.
- Verrò anche io, qualche volta. – disse infine, corrugando leggermente la fronte.
- Non parlerai seriamente, spero! Sei il capitano della squadra, Yoichi! Fossero anche due giorni, loro hanno bisogno di uno come te. – esclamai io guardandolo.
- Se anche per due giorni non gli riduco il sedere a un colabrodo non penso moriranno. – ridacchiò, schioccando la lingua. – E poi è da un po’ che non vado alla base militare, kekeke.
- Come se quei poveri diavoli siano contenti di rivederti.
- Hanno delle sorprendenti tattiche offensive, running back di merda. Un po’ di spunto per quella che potrebbe essere una nuova tecnica di attacco per i Devil Bats.
Scrollai le spalle e borbottai che non aveva tutti i torti. Lui ghignò tra sé, soddisfatto.
- Hai avuto modo di osservare sommariamente la squadra in questi due giorni, ma forse è meglio se a casa ti passo qualche scheda più specifica su ognuno di quei gagni del cavolo. – continuò, chiudendosi con un gesto secco la zip della giacca.
- Non sarebbe una cattiva idea, in effetti. Ho inquadrato Sena e qualcun altro, ma ovviamente non li conosco bene come te. – sospirai in tutta risposta, guardandolo. Poi sorrisi maliziosa e gli rifilai una veloce gomitata tra le costole, ridacchiando. – Cheerleader americane, eh? Tra Anezaki e quelle ragazze, te la spassi alla grande, biondo.
Lui imprecò sonoramente e tossì, non preparato al mio colpo. Senza che io me ne accorgessi, nel giro di un secondo riuscì a farmi lo sgambetto; mantenni per miracolo l’equilibrio, mandandolo a quel paese a mia volta.
- Te l’ho detto, cretina, servono a mantenere il morale alto a quei pervertiti dei sostituti. – grugnì, facendo una smorfia disgustata.
- Seeeeh, a chi la vuoi contare. Come diamine le hai convinte a venire qui in Giappone, eh, biondo?
- Viaggio studio, appartamento in condivisione e colazione e cena compresi, completamente gratis. Per un anno. – sghignazzò, fissandomi con aria di sfida. – Con quei pochi neuroni che si ritrovano, hanno accettato immediatamente.
- Mh, ti piacciono le occidentali, eh. – commentai io ignorando la sua spiegazione, cercando le chiavi di casa nella borsa.
Sentii punta fredda della canna di un fucile premere contro la mia tempia, e sbuffai.
- Yoichi, sei così patetico. Lo so benissimo che non mi spareresti, smettila, idiota. – dissi con voce atona, infilando le chiavi nella toppa ed entrando nell’appartamento.
- Ma sai benissimo che sarei capace di sbatterti fuori di casa nel giro di un minuto. – ringhiò lui diabolico, chiudendo la porta dietro di sé facendo un gran rumore.
- No, perché io ti servo. – ghignai, usando le sue stesse armi e lanciando la borsa sul divano.
Lui sbuffò, scostandomi di lato in malo modo e dirigendosi in cucina, imprecando.
- Dimmi, Yoichi – cinguettai io sedendomi sulla sedia e fissandolo insistentemente – per caso sei dell’altra sponda?
Dio, quando adoravo stuzzicarlo. Soprattutto su argomenti che lui odiava.
Si girò di scatto, furibondo, scattando verso di me come se dovesse placcarmi. Spalancai gli occhi e scattai a mia volta di lato per evitarlo, ma fui scaraventata con violenza al di là del muretto che separava lo spazio della cucina da quello del salotto, finendo dritta con la schiena sul mio adorato divano di pelle. Aprii gli occhi, arrabbiandomi con me stessa per essermi dimenticata che Hiruma era nettamente più forte di me. La botta era stata talmente forte che mi mancava il fiato. Voltai la testa e mi ritrovai a una spanna di distanza dal viso del ragazzo, l’ira diventata persona, ansimante e con le narici dilatate dalla rabbia. I suoi occhi azzurrissimi mi fissavano rabbiosi, e i ciuffi di capelli gi ricadevano sul viso rendendolo ancora più spaventoso.
Per un attimo, ebbi seriamente paura di lui.
Eravamo in una posizione decisamente scomoda e imbarazzante: io ero spalmata sul divano, le gambe all’aria contro lo schienale e la testa al di fuori del divano; Yoichi si puntellava con le braccia a pochi centimetri dai miei fianchi, le ginocchia sullo schienale del divano, le quali limitavano i movimenti delle mie gambe. Vedevo chiaramente i muscoli del suo collo contratti per la rabbia, e i suoi denti appuntiti digrignare a poca distanza dal mio viso. Incominciava a farmi male il collo a causa dello sforzo di tenerlo dritto per non farmi perdere il precario equilibrio in cui ero, e le mie orecchie stavano decisamente iniziando a scaldarsi a causa dell’imbarazzo.
O mi aggrappavo alla sua schiena e lo trascinavo sul pavimento con me, facendogli prendere un brutto colpo contro il tavolino, o me ne rimanevo lì, a fissarlo sconvolta e a cercare di non cadere all’indietro.
- Yoichi, ma che cazzo ti prende?! Dai, spostati, o cado! – riuscii a ringhiare tra i denti, riprendendo finalmente fiato.
In passato avevamo spesso fatto la lotta, ma eravamo dei bambini e lui era ancora abbastanza gracile di corporatura. Ora avevo davanti a me un alto diciassettenne indemoniato, con le spalle almeno il doppio di quello che lo erano state l’ultima volta che l’avevo visto. E quegli occhi mi mandavano abbastanza in tilt il cervello, soprattutto se mi fissavano in quel modo.
- Per una buona e civile convivenza – ruggii lui col fiato corto, - ti chiederei cortesemente di evitare domande del genere. Ci siamo intesi abbastanza?
E io trillai, dato che ero un’idiota :- Quindi sei dell’altra sponda, Yoichi!
- NO, FUCK. E’ ABBASTANZA CHIARO IL CONCETTO, RUNNING BACK DI MERDA?
- Limpido e cristallino. Yoichi, cazzo, cado… Spostati!
- Ci siamo intesi? – tuonò lui avvicinando il suo viso al mio.
Merda, avevo le orecchie in fiamme.
- Intesi come non mai, Yoichi! Ora spostati, cribbio! O ti trascino con me! – gridai, sudando freddo.
Sul suo volto si dipinse un ghigno beffardo, segno che si stava ampiamente godendo la vittoria. Mise un braccio indietro, afferrando il bordo del muretto e tirandosi su in ginocchio. Afferrai l’altro suo braccio all’altezza del polso, e mi feci tirare su con un gemito di dolore. In qualche modo, riuscii a rialzarmi in piedi, e mi sedetti pesantemente sul tavolino del salotto, passandomi le mani tra i capelli e tentando di coprire le mie orecchie ormai color porpora. Gli scoccai uno sguardo furibondo, ma lui era intendo a ridere a crepapelle, in piedi di fronte al tavolo, le mani sui fianchi e le lacrime agli occhi per le risate.
- Che diavolo hai da ridere, eh, quarterback del cavolo? – borbottai io distogliendo lo sguardo.
- IHIHIH, non hai idea di quanto sei ridicola quando arrossisci! – sghignazzò lui senza ritegno, appoggiandosi al tavolo. – “Yoichi, cado, spostati”! Dio, sei veramente patetica, running back di merda!
- Yoichi, la vuoi la cena? Bene, ti conviene chiudere quella bocca. – grugnii, marciando verso la cucina e aprendo con un gesto secco il cassetto delle pentole.
- Oooh, sono un ottimo cuoco anche senza di te, Chizuru. Se sono sopravvissuto fino ad adesso, lo devo alle mie doti culinarie.
- OTTIMO, Yoichi, stasera cucini tu, dai, dimostrami le tue qualità, bastardo! – gridai, ficcandogli in mano una padella. – Sai, non è proprio un reato parlare anche di cose che non riguardino il football!
- Sono affari miei chi rimorchio.
- Oh, abbiamo un Casanova, qui!
- Dubiti di ciò? – domandò lui spavaldo, accendendo i fornelli.
- OH, io ci rinuncio! Io vado a dormire, diamine, cucinati tu quello che cavolo vuoi, ma non mi stressare! Buona notte, biondo!
Mi fissò con la padella a mezz’aria, sbalordito dal mio comportamento.
Lo ero anche io, sinceramente, e mi chiesi perché, alle dieci e mezza di sera, mi stavo ficcando sotto le coperte vestita con la tuta che usavo per gli allenamenti, irritata come non mai, cercando una posizione decente per addormentarmi.
Diamine di occhi azzurri.
Non riuscivo a togliermeli dalla testa.
 
La mattina seguente, evitai di parlargli. Continuava a tornarmi in mente la scena della sera precedente, e le mie orecchie avvampavano ogni santa volta. Ero un misto tra l’irritato, il furibondo e un miscuglio di altre emozioni che non riuscivo a classificare.
Yoichi sembrava essersi totalmente dimenticato di tutto e, dato che era molto più interessato alla partita a cui stavamo andando ad assistere, non fece nessuna domanda e nemmeno tentò di stuzzicarmi come suo solito.
Uscimmo di casa camminando di fretta, in silenzio, e raggiungemmo lo stadio insieme agli altri. Individuai Sena in lontananza e mi aggregai a lui, salutandolo con una sonora pacca sulla spalla e simulando una finta risata. Scherzai con i tre ex teppisti, chiacchierai con Kurita e salutai Mamori con un sorriso. Evitai tutti i possibili contatti con Hiruma, anche se poteva sembrare un comportamento eccessivamente infantile.
Tuttavia, mentre prendevamo posizione nelle tribune, mi chiamò a sé con un gesto della mano. Sbuffando, lo raggiunsi, le mani ficcate a fondo nelle tasche della felpa, come al solito.
- Che c’è?
- Fai il ruolo dello scout, oggi. Posizionati in alto e segui la partita secondo per secondo. Fatti prestare un taccuino, appuntati tutto quello che noti di strano o di particolare. Non mi interessano i Deers, segnati le tattiche dei Poseidons. – disse in modo frettoloso, dando di tanto in tanto un’occhiata al campo. – Compreso?
- A pieno. – grugnii. Dovevo mettere una pezza al mio comportamento della sera prima, in qualche modo. Ero divorata dai sensi di colpa.
- Senti, Yoichi…
- Ah, e vedi di sottolineare le caratteristiche di ogni giocatore, running back di merda.
- Yoichi, io dovrei dirti che…
- E non dimenticarti di guardare anche la panchina, in modo da individuare i segnali che si mandano per le tattiche di attacco. – continuò lui imperterrito, interrompendomi nuovamente.
- Yoichi, cazzo, mi vuoi ascoltare?! – esclamai irritata, riuscendo finalmente a guardarlo negli occhi. Lui inarcò perplesso un sopracciglio, zittendosi.
- Che devi dirmi?
Sospirai, passandomi una mano sul collo.
- Mi dispiace per ieri sera, ho esagerato. Scusami. – mormorai, abbassando nuovamente lo sguardo. Sul suo volto si dipinse il solito ghigno diabolico, e ridacchiò.
- Che ti ridi, idiota, io dico sul serio. – borbottai scocciata.
Momento di silenzio.
- I piatti di ieri sera sono ancora da lavare. Lascio a te il lavoro. – disse fissandomi con fare derisorio, passandomi a fianco e dirigendosi verso la squadra.
Lo seguii con lo sguardo, sospirando e abbozzando un mezzo sorriso.
Mi aveva scusata, a modo suo.
Feci per avviarmi verso le tribune più alte, ma intravidi la chioma di Mamori. Istintivamente mi voltai, e la vidi fissare Hiruma in trance, con una strana luce negli occhi celesti. Aggrottai la fronte, incuriosita, guardandola con la testa leggermente inclinata. Lei si accorse che la stavo osservando, e scosse la testa, arrossendo e tornando ai suoi doveri di manager, facendo cadere una pila di fogli.
La guardai ancora per qualche secondo, poi scrollai le spalle e salii i gradini che portavano più in su, dimenticandomi di quegli attimi.
 
I Deers furono letteralmente sconfitti su tutti i fronti. Persino Onihei, il loro asso, fu schiacciato da Mizumachi, un altissimo giocatore dei Poseidons, nel giro di pochi secondi.
Ero decisamente stupita. Appuntavo le cose sul taccuino scrivendo freneticamente tutto quello che notavo, agguantando di tanto in tanto il binocolo e sgranocchiando degli snack alle alghe che avevo fregato quella mattina dalla dispensa di Hiruma.
Quest’ultimo era qualche scalinata più in basso di me, chino a fissare il campo, seduto a gambe larghe e con i gomiti sulle ginocchia, al fianco di Kurita e di Mamori, a cui ogni tanto urlava di segnarsi delle tattiche. Il sole che colpiva i suoi capelli lo faceva sembrare ancora più biondo del solito, e si intravedevano chiaramente le scapole e la spina dorsale sotto alla maglia bianca che indossava.
Di tanto in tanto mi scoprivo a fissarlo, poi scuotevo la testa e ritornavo a guardare le azioni in corso.
Al termine della partita, gli consegnai tutto quello che avevo appuntato e gli sussurrai velocemente ciò che non ero riuscita a segnare. Lui annuì e camminò verso la squadra, sconvolta dall’esito della partita, lanciando il mio taccuino ad Anezaki.
- Squadra di merda, vi siete resi conto voi stessi di quanto siano potenti i Poseidons. – disse, serio, le mani nelle tasche. – Sarà una partita impegnativa, non lo nego. Ma noi siamo i Devil Bats, e non ci facciamo sconfiggere così facilmente, giusto, SQUADRA DI MERDA?!
Gli altri, rianimati un po’ dal discorso del quarterback, gli risposero in coro urlando “YA-HA!”, accennando qualche sorriso.
- Per ora, non pensate a quei bastardi. Dobbiamo concentrarci sulla prossima partita contro gli Scorpions. - continuò Yoichi, ritornando serio. – Chi domani arriva in ritardo agli allenamenti mattutini, sarà impallinato dal sottoscritto in modo che non potrà sedersi per il prossimo mese. E’ CHIARO?
- CHIARISSIMO! – urlarono loro all’uninsono, improvvisamente terrorizzati all’idea di essere soggetti ad una delle sue scariche di mitra.
 
 
 
 
 
 
{Sarà un anno che non posto! Mi scuso per ciò e vi ringrazio caldamente per i bellissimi commenti! Spero di poter postare il prossimo capitolo al più presto.
Come sempre, spero che Hiruma (che mi fa sudare sette camicie ogni volta che scrivo di lui) sia nel personaggio, e che ovviamente il capitolo sia di vostro gradimento, anche se di questo non vado particolarmente fiera … Se non fosse così, fatemelo sapere, accetto le critiche molto volentieri!
Alla prossima!}

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