Halo. Flying Away. di Cinderella In Love (/viewuser.php?uid=102090)
Disclaimer: Questo testo proprietà del suo autore e degli aventi diritto. La stampa o il salvataggio del testo dà diritto ad un usufrutto personale a scopo di lettura ed esclude ogni forma di sfruttamento commerciale o altri usi improri.
Lista capitoli:
Capitolo 1: *** I ***
Capitolo 2: *** II ***
Capitolo 3: *** III ***
Capitolo 4: *** IV ***
Capitolo 5: *** V ***
Capitolo 6: *** VI ***
Capitolo 7: *** VII ***
Capitolo 8: *** VIII ***
Capitolo 9: *** IX ***
Capitolo 10: *** X ***
Capitolo 11: *** XI ***
Capitolo 12: *** XII ***
Capitolo 13: *** XIII ***
Capitolo 14: *** Epilogo. ***
Capitolo 1 *** I ***
Note dell’Autore: Questa
fan fiction nasce dalla mia voglia di inventare un eventuale ritorno
del mio personaggio preferito di ‘Tutti Pazzi per
Amore’, ovvero, Michele (interpretato, divinamente,a
parere mio, ma questo non fa testo, da Neri
Marcorè ) morto durante la prima puntata della seconda
stagione della serie, causando l’ ahimè
inevitabile la scissione della storia d’amore più
bella del fandom (scusate, ma proprio non riesco a non
perdermi in digressione portanti bandiera delle mie inclinazioni in
ambito di preferenze. xD).
Disclaimer:
'Questi
personaggi non mi appartengono, ma sono proprietà di Ivan
Cotroneo, Monica Rametta e Stefano Bises (Autori della serie tv 'Tutti
Pazzi Per Amore'); questa storia è stata scritta senza
alcuno scopo di lucro'.
A Roberta.♥
«Halo»
Flying Away.
Indaco
dagli occhi del cielo
Invece
No.
"I
sogni sono illustrazioni dal libro che la tua anima sta scrivendo su di
te."
(A.
Drew)
«E
se un giorno guardandoci negli occhi sentiamo che non è
più la stessa cosa ce lo diremo..»
Quelle parole risuonavano vane
nel loro compimento, nelle stanze di quella casa vuota.
Era finito tutto.
Tutto era terminato nuovamente, anche se, questa volta, il potere
d’incidere la parola ‘fine’ era custodito
nel volere di lei.
Adriano se n’era
andato e, insieme a lui, erano fuggite tutte le sue cose, tutte le sue
parole ed il loro stesso, impercettibile rammarico d’amore.
Non era amore
e Monica era arrivata a comprenderlo, ma solo nel momento in cui
poté giungere al rincontrare la passione e la dolcezza
infinita di quelle labbra.
Nulla era sopravvissuto alla
sua memoria, non dopo quel sospiro di baci..
Lo voleva ancora, anche se fosse stato solo per lei e per un immenso
scambiarsi sguardi di profondo che raccontassero di loro per sempre.
Adriano non era lui.
Davanti al ripercorrersi
incessante del ricordo d’un angelo, che
si voltava a sorriderle di nostalgia, in quello che diveniva il loro
addio, lei non poteva amare di nuovo.
Non poteva esser amante
d’un estraneo che non possedesse quell’anima,
a cui la sua s’era sottomessa per rimanerne prigioniera.
Quei mattini, trascorsi a
mentire allo specchio, sbiadivano la verità di vivere e
sorridere sinceramente: basta menzogne!
Così, era arrivata a cedere a confessare il suo amore
mancato.
Adriano, in quel periodo,
scorgeva da lontano il gelo schermatosi tra loro, ma, nel sentirsi
impotente, non aveva affrontato il rischio di incontrare sofferenza e
di doversi vedere arreso a lasciare l’amore.
E poi,fu solo una frase:
«Adriano,
io non ti amo.»
Quelle parole erano scaturite
dalla bocca di Monica, nell’esasperazione provata fino ad
allora per trovar la forza di ammetterlo a sé.
Solo attingendo coraggio dal viso del suo bambino, aveva potuto
confessarsi, pur sentendosi colpevole d’aver provocato
un’ulteriore delusione all’altro, in quel caso
all’uomo che aveva accanto.
Adriano aveva atteso quel
momento.
Sapeva che sarebbe giunto e non sarebbero esistiti compromessi, scuse,
difese: era la verità a ribadire che il suo destino non era
l’amore di quella donna fatale.
Lo sentiva, ne aveva sempre
posseduto sapienza : quella donna non avrebbe mai
potuto appartenergli.
Per Monica sfuggire da lui era
inevitabile perché la carezza della libertà
l’accompagnasse sempre ed ancora, perché potesse
rivivere della luce che, con un soffio d’immenso, si era
cullata in lontananza e sempre più via da lei con il volo di
quell’angelo, così sospirato.
Adriano disse addio a quella vita, a quella casa.
Non domandò il perché.
Forse, quel segreto che
svelarsi non voleva, si era sempre rivelato vivo e limpido nel profondo
di quell’uomo: quella risposta aveva sempre dipinto la sua
presenza nella sua anima.
Chiudendo alle sue spalle
quella porta, lasciò il vuoto dietro sé.
~
~
Parlami come il vento fra gli alberi.
Parlami come il cielo con la
sua terra.
Non ho difese,ma ho scelto di essere libera.
Adesso è la
verità,l’unica cosa che conta. ~
Avrò
cura di tutto quello che mi hai dato.
Monica era accovacciata sulla
manona.
Custodiva, nella dolcezza della culla che erano le sue braccia, stretto
a lei e al battito del suo vivere, ciò che della vita e del
suo senso e poesia le rimaneva.
Lo abbracciava profondamente,
respirando alla luce di quegli occhi grandi.
La sua vita o ciò che ne restava era stretta a lei.
Senza lui, senza il suo farsi
sentire, senza il suo agitare i piedini in quel vestitino blu e bianco,
si sarebbe sentita perduta, dimenticata, troppo avvolta di solitudine
per custodire ancora la voglia di vita.
Invece, si abbandonava nel
sospirare del rivivere lui, nello splendore della creatura che
proteggeva.
Lui, in quel ridere
d’innocenza estrema e nient’altro.
Lui, in quella manina che accarezzava le sue dita
per impedirle d’abbandonarlo.
Lui, nella forza che quel visino, ora mai
addormentato, riusciva a trasmetterle semplicemente esistendo.
Lui, in quegli occhi scuri e tanto grandi, immensi
quel tanto da nascondere e custodire l’intera vita di chi si
soffermava a scorgerli.
Quegli ‘specchi d’anima’ narravano quanto
bruciasse vivo il fuoco del voler sentire le parole del suo uomo ancora
e quanto quella libertà, così improvvisata, fosse
segno del tornare a respirare, nella brezza che rimaneva di quel suo amore
passato e del suo divenire memoria.
Nel perdersi in quel cucciolo
d’uomo e amore perduto, l’abbandonarsi
nell’infinto di ciò che era stato: rivivere il suo
uomo.
Monica rimase sola con i suoi sussurri, intenti a non dare una fine
alla favola che raccontava al sonno del suo piccolo.
«Cucciolo, se non ci fossi tu che
senso avrebbe? » sussurrava Monica ,contemplandolo.
Continuava a cullarlo con la
delicatezza con cui si tiene gelosamente la sinuosità
d’una rosa bianca tra le dita per non privarla
dell’ultimo raggio di sole,come della prima luce di stelle.
Monica si voltò per un
istante verso il portafoto sul tavolino, lì a fianco.
Lacrime.
Gocce di malinconia e amaro dolore le rigavano interminabilmente il
volto.
La luce di quel ritaglio di luna,
curioso d’affacciarsi a quella finestra, faceva risplendere
il divenire reale e visibile di tanta sofferenza.
«Parlami, ti prego. Parlami ancora.
La libertà che ho scelto per me e la solitudine mi
uccidono,Michele…
Io non volevo lasciarti. » sussurrava con voce rotta e
tremante in quella ninna nanna e nel silenzio che, ad essa, si
abbracciava,accompagnandola.
«Io ti sento Michele…
Sarà
questo vento che mi sfiora, ma io ti sento.
Sento ancora le tue mani, Michele.» continuava la voce della
donna imperterrita.
Il suo sussurrare non trovava
quiete in quella notte : continuava morbido e denso di sofferenza.
La sua preghiera al Vento ed al suo padrone Cielo non trovava
stanchezza nello scrivere quanto volesse sentire quella voce
e quel loro sfiorarsi, per
sperare ancora,seppur nella notte e il suo nulla estremo.
Il sonno non possedeva abbastanza
clemenza per concedersi a lei, distrutta dai ricordi.
Allora, si scrollò e
portò il suo piccolo nella culla, baciandolo delicatamente
sulla fronte.
Rimase nella viva speranza di non
svegliarlo, in modo da poter godere della sua immagine tranquilla, fino
a quando si sarebbe sentita abbastanza forte da tentare
d’addormentarsi.
Stanca di quella tortura
incessante, si stese sul letto, accoccolata a ciò che di
quell’uomo le restava.
Quella camicia azzurra divenne,
infatti, l’unica,flebile e profonda speranza di ritrovare il
suo profumo e ubriacarsi d’illusioni dolci: miraggi in grado
di mostrarle ciò che rimaneva d’un baglio di
vitalità distante anni luce dai suoi occhi, ma serbanti un
retrogusto amaro.
Quei momenti erano gli unici in
cui Monica si spogliava della sua maschera di sicurezza, davanti agli
altri fingeva d’essere ferma e risoluta: serbava lo stralcio
più intimo della sua anima solo per sé.
Ma, d’altronde, Monica
sapeva che l’unico capace di scorgere le sue
fragilità era Michele… e, in quel momento, lui
non c’era.
Nella sofferenza che le mani
tentavano di nascondere, strinse la sua camicia e se la mise sulle
spalle; poi, si alzò.
Aveva capito che la notte sarebbe
stata attrice di troppa brutalità perché la sua
anima strutta potesse combatterla sola; per questo, prese tra le
braccia il suo vero senso di vita e si distese
nuovamente.
Si addormentò
cullandolo, ma le lacrime- quelle – non
vennero dimenticate dai suoi occhi, durante il pendolo che si
rivelò quel buio, queste imperlavano i suoi occhi, lasciando
una scia della loro esistenza sul viso, ormai stanco
nell’aspettare l’arrivo
del giorno.
***
Eccomi ^^Questa è la
storia con cui partecipo al contest Return indetto da 'amimy': non
potevo di certo farmi sfuggire l'occasione per far tornare in vita
Michele!!!
La sto ultimando,ma intanto inizio a postarla anche qua.
E' una one-shot molto lunga quindi per comodità e per
accrescere la suspance la pubblico suddivisa in parti.
Spero vi piaccia (=
Smack Smack
Calime.
|
Ritorna all'indice
Capitolo 2 *** II ***
E dimmi che non vuoi morire.
Michele
se ne stava
seduto su una nuvola spersa.
La
sofferenza,
profondamente vigliacca, si impossessava di lui in un crescendo
continuo col passare
di quei momenti.
Sentiva
che lei
soffriva, proprio come lui in quel momento, proprio come sempre.
Non
tentò di mostrarsi
immune,combattivo e forte davanti allo sgorgare di quel dolore puro,
mascherato
in acerbe lacrime.
Avrebbe
voluto
porre termine al pianto di Monica, stringendola a sé,
passando la notte sveglio
a raccontarle fiabe, distraendola dalla tirannia della
realtà regnante.
Successe
qualcosa
in quelle ore d’oscuro.
La Voce
(Angelica) fingeva la solita risolutezza con
il sussidio del suo suadente tono di voce, ma non vi riusciva: la scena
che si
recitava autonoma, dinnanzi al suo sguardo vigile,in quanto
onnipresente, era
troppo cruccia per restarne indifferente.
Così,
nel modo più
dolce immaginabile, lo chiamò:
«Michele…»
Michele,
accucciato
nelle sue ali grandi, non si mosse.
Inclinò
leggermente
il volto verso l’alto, quasi speranzoso
d’un’inconsistente elemosina di
misericordia che potesse donargli speranza sufficiente per continuare
ad
assistere alla vita reale, seppur dall’alto.
«Michele,
forse è
il caso di parlare.»
«Ma
io non ho fatto
nulla questa volta, almeno non consapevolmente…
Beh
sì, ammetto che
l’ho pensata, ma…» cercò di
giustificarsi l’uomo.
«Michele,
no. Non
voglio prendere provvedimenti, non questa volta!»
annunciò.
Michele,
attonito,
si alzò in piedi e si incamminò, mantenendo il
silenzio per tutto il suo
cammino: quell’assenza di rumori era, difatti, rotta,
soltanto, dall’andare dei
suoi lenti passi svogliati.
Raggiunta
un’immacolata e candida cabina telefonica, Michele attese che
l’apparecchio
musicasse con il suo dolce suono d’arpa per, poi, rispondere.
«Michele,
buonasera.»
«Buonasera
anche a
lei, anche se così buona non si preannuncia…
Dovete
smetterla di
farmela vedere così triste, per Giove!» esclamò deciso
l’uomo, pur mantenendo tristezza
nel tono.
«Ahi
ahi ahi! Cosa
facciamo qui? Diamo adito al paganesimo e alla collera?! Proprio nel
momento in
cui siamo propensi ad aiutarla, Michele?» lo
intimorì la voce con tono
contestatario.
«Scusi,
scusi,
scusi, per la carità di Dio! Io…»
cercò di rimediare con tono mesto lui.
«Di
nuovo?!»
osservò Angelica, denotando con quell’appunto la
sua natura estremamente
puntigliosa.
«No,
no, no: mi
rimetto alla clemenza della corte!» sottostette Michele
sarcastico, alzando le
mani al cielo per paura di compromettere, ulteriormente, la sua
posizione.
«Andiamo
meglio,
nonostante questo consueto spirito di contestazione sia sempre
presente, eh?!» sentenziò
la voce acida e vogliosa di arrivare al punto e concludere il discorso-
« In
ogni caso, veniamo al dunque! Michele, ha visto cosa sta
accadendo?»
«Certo
che vedo: è
una tortura vedere Monica così! Difatti, per evitare di
ricorrere al
turpiloquio, chiederei
di essere
esonerato dalla vista del mondo reale a questo punto
perché…»- l’uomo non ebbe
tempo di terminare.
«Michele,
davvero
rinuncerebbe al contatto terrestre pur di non vederla
soffrire?» chiese
sorpresa e intenerita Angelica.
«Certo!
Sapere che
non è felice mi rende più sofferente di
lei…» ammise l’uomo.
«Allora,
ne è
davvero innamorato…» concluse con un sospiro la
centralinista.
«E
me lo chiede
anche?! Farei di tutto per poterla incontrare anche solo in
sogno…» continuò
Michele, rattristandosi ulteriormente.
«Michele,
lei si
accontenta davvero di poco…» si lasciò
sfuggire la voce.
«Cioè?»
domandò
incuriosito.
«Beh..
E’ veramente
raro che avvenga, ma, per una volta, anche a noi quassù
è sfuggita la
situazione di mano.» ammise controvoglia la donna, contraria
al dover
confessare una negligenza.
«Mi
perdoni, ma
credo che, nell’operazione ‘montaggio
ali’, mi si siano arrugginiti i
padiglioni auricolari, potrebbe ripetere l’ultima
frase?» s’accertò
esterrefatto il moro, in attesa di delucidazioni.
«Ha
sentito bene Michele:
ci siamo sbagliati! Ma che ci vuole fare? Ci concederà pure
che qualche piccolo
imprevisto sfugga anche alla nostra accortezza celeste, no?»
sostenne Angelica,
imponendosi con un certo vigore.
«Sì
sì, certo, d’altronde,
la mole di lavoro, qui, non è indifferente e lei, mi
permetta, lo sbriga
magnificamente.» la lusingò l’uomo, con
voce suadente.
«Adulatore...»
si
lasciò sfuggire la centralinista, ammaliata dal complimento
appena avanzatole.
«Modestamente…Ma
mi
dica, dove c’è stato l’errore, la
magagna, insomma?» domandò con impazienza il
moro.
«Beh…
Il problema
sorge in Monica, ha visto come sta? Se non fosse per il bambino che
avete avuto
insieme, penso che non troverebbe la forza di proseguire e questo non
è il suo
destino. Per questo, abbiamo pensato di rimediare ed assecondare il
destino che
spetta a questa ragazza.» proferì la Voce senza
interruzioni.
«Monica
sarà felice,
no? Me lo garantite, vero?» chiese preoccupato.
«Michele,
penso che
questo compito spetti a lei, sa?» buttò
lì la voce, retoricamente.
«Penso
di non aver
colto il messaggio…» replicò dubbioso e
scombussolato l’uomo.
«Quassù,
si sono
consultati a lungo e hanno decretato che lei fosse la persona
più adatta per garantire
la felicità di Monica: d’ora in poi, il compito
spetterà a lei, Michele!»
«Ma
io come posso
renderla felice se, stando qui, sono totalmente impotente?»
chiese confuso.
«Ecco!
Proprio qui
ci si trova dinnanzi all’inconveniente tecnico. Infatti,
dovrà abbandonare la
sede attuale e tornare alla postazione iniziale.»
annunciò la donna.
«Torno
nel mio
adorato ufficietto immacolato , con la radio, la tessera per i colloqui
bucata,
irrimediabilmente, a mo’ di tarme nell’armadio?!
Non potevate farmi più felice!!Questa
sì che è una notizia!» proruppe con
enfasi Michele.
«No,
no, no: non ci
siamo capiti! Michele, lei torna giù, ma proprio
giù: sulla terra!» chiarì la Voce.
«Come
torno giù?! Tornerò
a vivere?»
«Che
domande?
Certo! Non vogliamo mica improvvisare un ‘Ghost’ de
no’altri!!
Qui,
siamo gente
seria e, tra l’altro, quel film l’ho visto troppe
volte, ormai, faccio quasi
fatica a commuovermi: non si rivelerebbe affatto
entusiasmante!» sentenziò, in
tono risoluto, Angelica.
«Oddio!!
Mi svegli,
la prego: sembra un sogno!!!» urlò raggiante.
«Oh
no, Michele! Oddio
sì, è una bella notizia, ma non sarà
così semplice, purtroppo…»
«Immaginavo…»
soggiunse
l’uomo, nuovamente, in preda allo sconforto.
«Le
condizioni
saranno tanto chiare quanto inamovibili: lei tornerà nel suo
corpo, ma con un’identità
alternativa in apparenza...» esplicò, restando sul
vago.
«Cioè?»
chiese con
rassegnazione l’uomo, constatando la sua
difficoltà a comprendere.
«Avrà
un altro
nome: tutti penseranno che lei sia un sosia del vero Michele e lei non
potrà
rivelare a nessuno la sua vera identità, altrimenti le
sarà revocata la
possibilità di portare a termine
l’operazione.» spiegò.
«Ma,
allora, come
farò? Dovrò ricominciare tutto da
capo?» domandò Michele.
«Beh
no…Dovrà
ristabilire i legami preesistenti alla sua morte, con Monica
soprattutto, la
quale dovrà capire chi si cela dietro il finto nome che la
coprirà. Lei,
Michele, dovrà impegnarsi a farglielo capire, ma
inconsapevolmente, con nulla
che possa rivelarsi esplicito. La difficoltà ulteriore
consisterà nel fatto che
il vostro amore dovrà manifestarsi entro un mese dalla sua
comparsa nella
realtà terrena. Spero di essere stata esauriente a
sufficienza.»
«Ho
capito e come
comprenderò se mi ha riconosciuto?»
domandò ancora.
«Beh,
dovrà
chiamarla con il suo vero nome, in tal modo, manifesterà la
scoperta della sua
reale identità.» constatò la donna.
«Tutto
questo nell’arco
di un mese?» soggiunse interrogativo Michele.
«Esatto!»
rispose
secca la donna .
«E
se non riuscissi
a ristabilire il rapporto preesistente con lei?»
«Sarebbe
segno che
non è lei la persona destinata a riportare la
felicità nella vita di Monica, ma
se così non fosse…» esplicò,
ulteriormente, la voce.
«Se
così non
fosse?» la invitò a continuare l’uomo.
«Beh,
starebbe a significare
che il vostro destino è quello di affrontare la vita
insieme, nell’amore che vi
unisce…»
«Ma
come farò ad
averne conferma?»
«Stia
tranquillo, nel
verificarsi di quell’eventualità,
l’arrivo d’un segno chiarirà il vostro
futuro, Michele.»
«E
se non
cogliessimo il significato di questo segno?»
«Suvvia,
sarà
difficile non coglierlo, Michele! Penso abbia capito,
nell’arco di tempo che ha
trascorso qui, che, quassù, le cose o si fanno in grande o
non si fanno!» suggerì
Angelica..
«Eh...come
biasimarvi! A quando la mia partenza allora?»
domandò Michele, ingenuamente.
«Partenza
immediata!»
esclamò la voce.
«Come?
Subito?!» pose
l’interrogativo, rimanendo sorpreso.
«Certo:
non c’è
tempo da perdere! Poi, non si ricorda?! E’ il primo dicembre
e i preparativi
natalizi fervono per tutti, anche e soprattutto per noi, e ogni
faccenda in
sospeso deve essere sbrigata
a tempo
debito!»
«Il
Natale è già
alle porte?! Non lo ricordavo più…»
sospirò l’uomo.
«Troppa
tristezza,
Michele…» motivò lei.
«Sì,
però, questa
seconda possibilità è il regalo di Natale
più bello che mi sia mai stato fatto.
Grazie…» ringraziò con voce rotta dalla
commozione Michele.
«Ora
vada.»-suggerì
la voce- «Sia felice e buon Natale!»
«Buon
Natale»
ricambiò gli auguri con tono tranquillo Michele, scorgendo
quello stralcio di
paradiso per serbarlo nel profondo, prima di voltarsi verso
ciò che rimaneva
estraneo a lui, alla sua mente, al suo cuore…
Afferrò
la sua
valigia e, guardando verso l’alto, sospirò.
Il
suo cammino
iniziò e, ben presto, sentì
l’inesistenza possederlo.
Prima
di vedere
quella luce nuova che si stagliava lì, dinnanzi a lui,
esaudì un desiderio.
Non
credeva potesse
realizzarsi.
Era
convinto che il destino
avrebbe portato Monica lontana da lui ancora, ma, nella speranza di
vederla una
volta, fosse stato, anche, per una svista, decise che valeva la pena
tentare di
raggiungere l’immenso di riaverla.
|
Ritorna all'indice
Capitolo 3 *** III ***
Ritrovarti, perdermi.
Il
Natale era
davvero alle porte.
Un
freddo e
desiderato dicembre si stendeva in quelle giornate dense di frenesia.
L’odio
che Monica
provava per il Natale si riproponeva sempre più forte e
risuonante dentro di lei,
ma la presenza di Michelino la invogliava, almeno per quanto fosse
possibile, a
fingersi velata d’una lieve felicità.
Camminava
stanca
per quella Roma, ormai, troppo affollata e scorgeva distrattamente
ciò che si
prospettava innanzi al suo sentirsi spersa, senza meta.
Troppe
luci, troppi
volti, troppi colori.
Nella
sua mente, quei
movimenti languidi si ripetevano come a rallenty, rendendosi
insopportabili
all’anima di quella donna, afflitta dall’impotenza.
Sentiva
di non
poter reagire a tutto ciò che opponeva un atmosfera dai
colori così vividi, contro
l’opaco che rimaneva del suo sentirsi stancamente viva.
In
quel frenetico
via vai: un volto.
Probabilmente,
le notti
insonni giocavano, tramite la stanchezza, a creare miraggi, visioni
impensabili: non potevano essere realtà!
Eppure,
Monica era
sicura di aver scorto quel volto, lo ricordava perfettamente: era il suo.
Michele
aveva fatto
apparizione dinnanzi ai suoi vivi occhi azzurri che, ormai, apparivano
come
allucinati davanti a quel fotogramma, rubato di sfuggita a quella
confusione:
era lui, ma quel volto non poteva che essere sinonimo
dell’impossibile.
Si
voltò sconvolta
dalla confusione che l’attanagliava e, seppur controvoglia,
continuò a
percorrere il solito tragitto per tornare a casa per convincersi di
aver avuto
una svista.
~
I
giorni continuavano
le loro scorribande, esaurendosi fugacemente, in quel freddo inverno di
lacrime, in cui l’illusione di rivedere il volto di Michele,
tra la gente, non cessava.
In
quei giorni, intravedeva
quel viso ovunque: al supermercato, nei gazebo dei bar,sulla via per
arrivare
in redazione, tra la folla di quelle strade affollate.
Monica
non riusciva
o, forse, non voleva dimenticare quel viso, visto, l’ultima
volta, un paio di
giorni addietro.
Quegli
occhi neri- ricordati
per caso in quella folla affannata- rendevano vivida la sua, tanto
sgualcita
quanto disillusa, speranza.
Ma,
poi, bastava un
attimo per farle intendere quanto il pensiero del suo
ritorno fosse vacuo, vano, totalmente in preda
all’impossibile.
Pensava
che fosse
un’allucinazione oppure l’illusione provocata dalla
presenza d’un sosia.
Ormai,
Michele era
una presenza incontrastata nell’abisso dei suoi pensieri:
quell’uomo e il
piccolo -da lui lasciatole per non permetterle di cadere
nell’oblio- erano, ormai,
il Sole intorno al quale vagava l’ abbozzo di vita rimastale.
All’inquietudine,
di
cui i muri di quella casa si facevano protettori, non poteva esser
dichiarata
alcuna guerra per
tentare di sopravvivervi;
perciò, Monica raccolse il coraggio d’uscire e con
sé portò anche il piccolo
Michele.
Uscì
senza meta, ma
poco importava.
L’incontro
con il
vento e gli estranei, lì fuori, sarebbero bastati a
concedere una momentanea ed
apparente tregua ai suoi pensieri tormentati.
Le
code da seguire
per sbrigare le commissioni sembravano essere infinte, proprio come il
tempo
che, nel suo scorrere, graffiava la clessidra delle percezioni di
quella donna
spenta.
Tutto
ciò che la
circondava assumeva movenze distorte e nulla poteva penetrare lo
specchio di
diffidenza che aveva innalzato con ciò che era diventato, a
lei, estraneo.
Monica
riteneva che
l’unico a essere degno di divenire la sua ragione di vita era
il piccolino che
teneva tra le braccia; lo stringeva forte a sé, ma qualcosa
ruppe il suo
sentirsi estranea alla realtà.
«Scusi…»
la
dissuase una voce calda e profonda,
giusto dietro lei.
Fu
inevitabile:
qualcosa la invogliò a voltarsi, a riconoscere il possessore
di quelle parole…
Lo
vide: era lui o, forse, era come lui.
Dinnanzi
a lei si
presentava un uomo alto, di carnagione olivastra e capelli scurissimi,
proprio
come gli occhi con cui la stava
scrutando.
Indossava,
nient’altro
che, un cappotto nero, dal quale spuntava il colletto della camicia
bianca, e
un paio di jeans scuri, mentre ai piedi portava delle semplici scarpe
scure.
La
barba era
incolta e lo sguardo tranquillo- che concedeva, proprio in
quell’istante, un
irresistibile sorriso- annientava uno stralcio di forza che si era
infusa per sopravvivere
a quella voglia di uscire da lì.
Michele,
dal canto
suo, rimase sconvolto dinnanzi al realizzarsi del suo desiderio
più intimo:
rivedere quell’oltremare d’occhi.
Era
proprio lei: la
sua donna, come un tempo, rimaneva immobile davanti a lui.
Michele
la scrutava
tanto profondamente da riuscire a spogliarla di tutto ciò
che non erano loro, tramutandola
in donna vera.
Non
poteva resistere
e nascondersi a lei, fingendosi un estraneo: non voleva mentirle.
I
loro due cuori,
ora, pulsavano all’unisono per lo stupore del ritrovarsi:
l’emozione di un
tempo, l’immenso di sempre in pochi istanti, intrisi di
casualità.
«Scusi,
è… è lei
l’ultima, l’ultima della fila?»
domandò l’uomo, con voce tremante.
Monica
si limitò ad
annuire timidamente, rimanendo immobile, posseduta da
un’altra dimensione al
solo pensiero di avere davanti a lei il suo uomo.
Intanto,
il piccolo
che aveva assistito a quell’incontro,
rimanendo,pressoché, impassibile tra le
braccia della mamma, all’udire quella voce sembrò
riconoscerla, infatti, iniziò
voltarsi verso l’uomo, sperando di essere abbracciato.
Monica
osservava in
silenzio, continuando a tenerlo tra le braccia, per poi perdersi nei
suoi occhi,
cercando risposta in quel viso insoddisfatto da
quell’abbraccio negatogli.
La
confusione scarabocchiava
i suoi pensieri, rendendo impossibile ogni tipo di riflessione
plausibile.
Michele
celava
malinconia nel sorriso che illuminava il suo viso stanco.
Avrebbe
desiderato stringere
suo figlio, ritrovandosi nei suoi occhioni lucenti.
Lo
guardò ancora, lungo
istanti che parvero nascondere in loro la poesia di secoli
d’oro, ma vedere
quel viso triste, dovendo constatare la sua impotenza, lo spinse a
fuggire da
quell’emozione, da quel rincontrarsi tanto dolce quanto
crudele…
Quella
fuga
improvvisa invitò le lacrime ed il pianto di quella creatura
che, ancora, stendeva
le braccia minute nell’intento annientare il vuoto che
quell’uomo portava con
sé e nella scia di ricordo che stava perdendo dietro
sé.
Voltandosi,
lasciò
quell’abbraccio a metà e una donna troppo
disillusa per voler credere oltre.
|
Ritorna all'indice
Capitolo 4 *** IV ***
Comprendere il buio.
Monica
fissava lo
schermo del computer, stando seduta alla scrivania, ma la voglia di
scrivere
ben era lontana da lei; per questo, decise di tirarsi su il morale -
per quanto
fosse possibile- e, così, scese dalle scale che separavano
il suo ufficio dal
caos della redazione vera e propria.
Maya
parlava al
telefono, mentre Elio armeggiava con photoshop, mordicchiando la penna.
Lea
e Rosa erano
indaffarate a ricercare maree di articoli di numeri scorsi per
racimolare nuove
idee e Laura se ne stava sola e sognante, assorta nelle sue fantasie,
fissando
il vuoto.
Insomma,
la
consuetudine regnava.
Monica
non fece
altro che sedersi sulla scrivania di Rosa, al momento sgombra, per
osservare i
suoi amici: ovvero, le uniche persone che potevano rendere il lavoro
degno
d’essere vissuto con serenità.
Rosa,
scorgendo
Monica, seduta sulla sua scrivania, lasciò Lea in preda ai
suoi puntigli e si
avvicinò all’amica. Si sedette affianco a lei e
avvolse le sue spalle, abbracciandola.
«Monica,
che
succede? Qualcosa non va?» domandò
l’amica con tono premuroso.
«Rosellina
mia, tutto
non va; ma, d’altronde, sono o non sono la sfigata di
turno?!» rispose Monica, sorridendo
sarcastica.
«Beh…
Sì, però non
sei l’unica: guarda me!» constatò
l’amica, ricambiando il sorriso.
«Bene!
E’ una
ventata d’ottimismo vedere che, per consolarci
vicendevolmente, dobbiamo pensare
alle sfighe degli altri!» ribattè, mentre rideva.
«Beh,in
effetti…
Però è un modo per sentirci unite, no? Per
sentirci amiche, complici…» le
suggerì.
«Ti
voglio bene,
Rosa.» le sussurrò Monica.
«Anche
io, tesoro.»
rispose, stringendola a sé.
«Cos’è
quel
promemoria?» domandò Monica curiosa, riferendosi
ad un post-it giallo, affisso
sullo schermo del computer, sulla scrivania dell’amica.
«Ah…sì!
Sempre
riguardo la fase di ripresa emotiva, stasera c’è
il dottor Freiss in
televisione…»
«Il
dottor Freiss,
hai detto?»
«Sì,
perché?»
«No,
niente.. Non
l’ho mai visto, però, ricordo che
Miche…»- soggiunse Monica, interrompendosi
subito, per poi riprendere- «No, nulla! Ma a che ora
è?»
«Alle
20.30 su Rai
1, ma perché? Sei interessata?» chiese
l’amica incuriosita.
«Ma
no, figurati!
Ci manca solo più che vado a consultare il mio sfigometro da
uno strizzacervelli!
Suvvia Rosa, che andiamo dicendo!?» smentì Monica,
mentendo soprattutto a se
stessa.
Infatti,
perseverò
nel non perdersi neanche una delle parole che il grosso psicologo
pronunciava
in tono solenne, vantando la sua sapienza.
Continuava
ogni
giorno a cercare se stessa, la sua storia, le sue confusioni, i suoi
dubbi, il suo
dolore nelle casistiche che, ogni giorno, venivano esaminate dal dottor
Freiss
e la sua signorina.
La
delusione
sopravveniva ogni sera. al termine d’una puntata che, di
quello che lei
cercava, non svelava nulla.
Non
rimaneva
nient’altro che quel dannato numero di telefono in
sovra-impressione, in grado
di scorrere per una buona decina di minuti senza stancarsi.
Monica
lo fissava e
finiva ad odiarlo tanta era la voglia di sperimentare la follia di
digitare
quei numeri,scritti in blu, sulla tastiera del telefono. Inoltre, era
curiosa
di scoprire, se quel buffo stereotipo di scienziato e il vanto della
sua
formazione freudiana sarebbero stati capaci di convincerla di non esser
caduta
nel baratro della pazzia.
Un
giorno dovette
cedere: l’esasperazione era troppa per poterla ignorare
ancora.
~
«Signorina
Liverani, si accomodi su!» l’accolse il grosso
psicologo sdraiato, almeno per
metà, sulla grossa poltrona di pelle nera su cui era
adagiato.
«Buongiorno….»
lo
salutò Monica intimorita, porgendogli la stretta di mano e
rimanendo impalata
dinnanzi a lui.
L’uomo
rispose al
saluto porgendogli, a sua volta, la mano e, cogliendo la stasi che
affliggeva
la donna, la spronò, indicandole la sedia: «Si
accomodi! Avanti, che aspetta?»
«Oh
sì, scusi! Iniziamo
subito?»
«Certo!
Non siamo
mica qui a pettinare le bambole, come si suol dire, no?»
esclamò ironico il
dottorone.
Monica,
in risposta,
abbozzò un sorrisetto che fece capire a Freiss la mancanza
di tatto e ironia
che stava avanzando con le sue frecciatine.
«Comunque,
signorina
Liverani, mi dica! Qual è il problema che la spinge a
domandare una mia
consulenza?»
«Beh,sa...non
è
proprio così facile da spiegare, anzi, forse non
è stata una buona idea venire
fin qua…» cercò di spiegare Monica, in
preda al panico di dover affrontare il
suo pulsante orgoglio, mettendosi a nudo dinnanzi ad un perfetto
sconosciuto.
«Scusi…Monica,
vero?» domandò il dottor Freiss retorico.
«Sì,
certo, ma lei
come fa a saperlo, scusi?» chiese Monica, sorpresa ed
intimorita dal fatto che
il dottorone conoscesse il suo nome.
«Lasci
stare...Non
domandi!!» si lasciò sfuggire lo psicologo, mentre
si dondolava sulla poltrona
in pelle.
«Come
ha detto
scusi? Quel modo di dire mi è vagamente
familiare…» saltò su Monica, sempre
più
inquieta.
«Ma
suvvia, avrà
frainteso!» cercò di rimediare Freiss.
«Ah…va
beh! Però, il
mio nome come lo sa?» domandò ancora la donna.
«Beh,
io so di lei
molte più cose di quanto lei non pensi, sa?!»
soggiunse l’uomo, facendole
l’occhiolino.
«Ah
si?! E…» non
fece in tempo a concludere Monica.
«Signorina,
eclissiamo, la prego!»- la invitò il professorone,
per poi continuare- «Dicevamo?
Quale sarebbe il problema che la spinge a richiedermi una
consulenza?»
«Beh,
ma non è mica
una cosa spiccia, che si sbriga in cinque minuti: io sto diventando
pazza!» sentenziò
preoccupata Monica, nel constatare il suo sentirsi al limite del folle.
«Di
preciso, cosa
la induce a credere di stare impazzendo?» domandò
il dottor Freiss, intento nel
formulare ipotesi.
«Vedo
il mio ex fidanzato
ovunque, ma questo non è possibile perché Michele
è morto da un anno e mezzo...»
ammise Monica a fatica, mentre gli occhi celesti diventavano umidi
davanti alla
confessione d’una verità così amara e
innegabile.
«Capisco…
E cosa
c’è che non va in tutto questo?» chiese
il dottorone con tono pacato.
«Come
cosa c’è che
non va?! Me lo dovrebbe dire lei!! Io non posso vederlo
perché Michele non c’è,
non c’è più.»
replicò la donna amareggiata, in un tono a metà
tra i polemico e
la sfida.
«Signorina,
io
capisco che può sembrarle strano, ma le assicuro che, almeno
nel suo caso, non è
patologico, anzi…» la
rassicurò lo psicologo, ancora abbandonato alla morbidezza
della sua poltrone.
«E
quindi? No,
scusi; si spieghi perché non sto capendo granché,
anzi, a questo punto, il
pazzo mi sembra lei!»-sbottò infervorata,
all’udire di quelle apparenti
assurdità.
«Signorina!
Io sono
un luminare, rappresento la personificazione della
razionalità! Come può
dubitare del mio stato di salute mentale?!»
domandò irritato Freiss.
«Eh…scusi,
che
pretende?! Io vengo qua, nella speranza di chiarire i miei dubbi e le
mie
ossessioni e lei mi dice che è normale vedere i
morti!» osservò la donna.
«Ma
su, Signorina!
Mi creda, per quanto possibile: nel suo caso- e me lo faccia dire
perché lo ammetto:
ho avuto la soffiata! - è giusto assecondare queste visioni
perché potrebbero
rivelarsi propizie, intende?» confessò il
professore con aria compiaciuta.
«No,
lei mi sta parlando
di soffiate e, secondo quest’ultime, io dovrei assecondare le
visioni. Ho
capito bene?» si accertò Monica molto confusa.
«Esatto,
Signorina!
Proprio così, si fidi!» la rassicurò
Freiss.
«Ma
io...» soggiunse
la donna,prima d’essere interrotta.
«Mi
dica: ha percepito
altri segnali, altre coincidenze,
ambiguità?» domandò analitico lo
psicologo.
«Beh...sì.
Una
delle ultime volte in cui mi è parso di vederlo, mio figlio,
appena l’uomo ha
iniziato a parlarmi, ha iniziato a comportarsi in maniera
strana...» spiegò la
donna.
«Mmm...Cosa
intende?» continuò il dottore.
«Beh,
sembrava
volesse essere preso in braccio, poi, all’improvviso,
l’uomo è sparito; mi sono
voltata e non c’era più! Il bambino ha iniziato a
piangere ininterrottamente e...»
esplicò Monica.
«Signorina,
tengo a
spiegarle un fenomeno psicologico che si manifesta con frequenza negli
infanti.
Ecco: i bambini,
quando sono molto
piccoli, risentono di un’influenza molto profonda con il
legame esistente verso
i propri genitori. Difatti, studi molto accurati hanno testato che essi
riconoscono padre e madre con facilità sorprendente per una
serie di fattori
emotivi e psicologici, i quali vanno al di là della
somiglianza a livello
fisico: è un fattore
chimico,d’appartenenza…»
«Scusi,
mi faccia
capire.. Lei pensa che mio figlio abbia avuto quel tipo di reazione perché ha
riconosciuto, nell’uomo che parlava
con me, il padre?» chiese sbalordita Monica.
Il
dottorone
arricciò il labbro superiore nei folti baffi e soggiunse:
«Beh,
direi che siamo
sulla buona strada, signorina!»
«No,
scusi, però…»
Mentre
la donna si
prodigava ad esprimere un pensiero che avesse senso compiuto per
esprimere
tutto il caos, provocatole dagli avvenimenti che la vedevano partecipe,
il
dottorone sembrò supplicare con lo sguardo perché
qualcosa avvenisse, in quel
medesimo istante.
E
così, come per
magia:
Un
tintinnio.
«Signorina,
il
nostro tempo è finito...» constatò con
un sospiro di sollievo Freiss, ormai,
alle strette.
«Come
il tempo è finito?!
E non mi dice più niente, quindi?»
domandò amareggiata la donna.
«No,
signorina,
altrimenti rischio di perdere il posto di lavoro perché mi
sono fatto sfuggire
più del dovuto…»- rispose
l’uomo, mentre invitava la donna ad uscire.
Una
volta chiusa la
porta, il dottorone non poté far altro che sospirare per lo
scampato pericolo:
< Mannaggia a me e alla mia dannata mania
di sbirciare le sceneggiature...!! > -
ribadì tra sé Freiss, convinto, però,
d’aver indirizzato la situazione per il verso giusto.
|
Ritorna all'indice
Capitolo 5 *** V ***
Scarabocchiando il nulla.
Mancavano,
ormai,
all’incirca,una quindicina di giorni prima che
l’incanto avesse fine.
Michele
constatava
quest’amara realtà nell’incerto rifugio
che erano i suoi pensieri, ora, reduci
dalla vittoria d’aver scolorito le sue flebili speranze.
Il
suo desiderio si
era, però, realizzato: quegli impenetrabili occhi celesti li
aveva, finalmente,
rivisti.
E
riuscire a
rivedere, anche, il suo piccolo era stato sfidare la lamina affilata
della
realtà, puntata impavida verso il suo cuore,
nell’intento di ridurlo in
brandelli.
In
quei momenti, la
sofferenza s’impossessava del suo inconscio, rendendolo
totalmente incapace di
pensare e di agire nei confronti della sua vita indifesa, il cui
destino era custodito
nelle sue stesse mani, tremanti di paura.
Edoardo
Levantesi ?
Chi era?!
Forse,
la persona
che si sarebbe rivelata la più importante d’una
vita, nonostante la sua inesistenza.
Era
diventato lui.
Il
corpo era lo
stesso d’un tempo, ma fingere d’essere un altro
uomo era un’impresa ardua: un’
altro uomo, un’altra storia rivendicavano i loro spazi, i
loro tempi, ma che
induceva Michele a voler scomparire dall’incubo di non
ritrovare se stesso, forse,
mai più.
Michele
cercava di
sfuggire alle parole d’un mondo troppo curioso per il
realizzarsi d’un tale
incanto, capace di farlo tornare dopo aver affrontato la morte.
Il
suo nuovo
essere, seppur temporaneo, gli imponeva di lavorare come barista in un
locale, che
spuntava proprio nel centro di Roma Antica.
La
sua casa era un
appartamento alla periferia di Roma, qualcuno da lassù
s’era preso premura di
provvedere a far sì che potesse condurre una vita
più che dignitosa, durante lo
svolgimento dello sperato realizzarsi di quella tanto ambita missione.
Stava
tornando a
casa: lungo le strade madide di pioggia, intravedeva i volti, udiva
parole e
sentiva sulle dita la vecchia Roma, proprio come l’aveva
lasciata…
Nulla
gli sembrava
essere mutato, durante il suo assentarsi dal reale, ma la solitudine e
l’indifferenza giocavano ad insediarsi senza preavviso e
alcuna pietà sotto la
sua pelle.
Ogni
passo gli
rivelava che la vera morte consisteva nel non ritrovare più
sé stessi,
trascorrendo le ore in compagnia d’uno sfuggente conto alla
rovescia.
Provava
dolore: il
gelo di quei giorni, troppo lunghi per essere raccontati per intero, si
nascondeva tra un the, un cappuccino, una cioccolata calda e un calcio
d’esasperazione inflitto ad un’odiosa macchinetta
del caffè.
Per
nascondersi
agli sguardi degli estranei, leggeva distrattamente un giornale,
incontrando il
vuoto in quelle parole.
Camminava
a vuoto, assaporando
ogni minimo istante, mentre perdeva le sue ali e la speranza di una
vita nuova.
In
men che non si
dica, si ritrovò a dover aprire la porta di casa;
entrò e, subito dopo essersi
sfilato il cappotto, si rifugiò nella camera da letto.
Stava
seduto sul
letto, si crogiolava in
ricordi e troppe
delusioni, preannunciando il proprio fallimento.
Si
alzò per
affacciarsi alla finestra per poter avanzare un’ingenua
invocazione alla luna.
Per
quanto questo
le sembrasse buffo e immaturo, pensava che fosse l’unico modo
per esprimere il
desiderio di sentirsi chiamato col suo vero nome, sperando che questo
potesse
realizzarsi.
Guardando
il cielo
buio, si convinceva che era giusto dissuadere il pensiero di Monica:
nonostante
fosse impossibile, doveva dimenticare l’emozione che le
provocava il pensiero
di poterla cullare tra le sue braccia, ancora.
Michele
pensava
fosse meraviglioso stare muto e fermarsi a fissare
le note stonate di quella radio in legno e lacrime che musicava un
vecchio
disco di Baglioni, ormai, consumato nel narrare l’agonia di
amori impossibili,
proprio come loro.
Nonostante
la sua
natura ottimista, cercava la fine di quel giorno nella sola speranza di
trovare
pace nel sonno, sperando di impedire al ricordo d’assalire la sua temporanea
fragilità.
Solo
evitando il
ricordo di Monica, sarebbe stato in grado di ritagliare un attimo di
pace solo
per sé e per poter dire fermamente alla sua anima:
«Dimentica!».
|
Ritorna all'indice
Capitolo 6 *** VI ***
Rincontrarsi.
Michele
camminava
per strada, sfidando lo stendersi di quel pomeriggio insolito, in cui
un
pallido sole- che giocava a farsi desiderare, spuntando a capolino-
rendeva
meno rigida l’aria tagliente che affliggeva il suo viso.
Le
illusioni di
luce delle vie preannunciavano l’arrivo di un Natale troppo
imminente.
In
quel susseguirsi
di vie sfavillanti di luci e bagliori, Monica consumava i suoi passi,
scostandosi da un caotico via vai.
Quelle
ore
mostravano una Roma stanca per la troppa confusione che
l’affliggeva in quei
giorni.
Folle,
genti,
regali dimenticati, urla, sussurri, pensieri, sospiri, propositi,
speranze
intense, riconciliazioni e problemi rincorrevano quei vicoli, nel loro
snodarsi
invano.
Quella
città serbava
in sé troppi segreti, ma era troppo timida per mostrarli
alla folla che la
popolava.
E
pensare che è
l’intensità d’un silenzio a scrivere
l’immenso d’una vita intera…
Gridare
è un nulla;
un urlo trascorre fugacemente e, dopo essersi esaurito, nessuno ne
ricorda più
il senso.
Questo
basti a
spiegare perché, nel vocio indistinto di quelle strade,
risuonavano unicamente
i silenzi di un solo uomo e una sola donna.
I
ricordi di Monica
e Michele erano come cantati dalla voce inesistente, non desideravano
esaurirsi
nella foga di un urlo: infatti, ognuno li teneva per sé.
Monica
si sforzava
di non pensare; sarebbe stato troppo difficile credere alle teorie che
la sua
mente inventava per distrarsi.
Viveva
ogni minimo
brivido cullato dal vento, ogni volto acceso di vita, ogni parola
senza, però,
scorgerne il significato.
Nessun
passante
frettoloso rimaneva
estraneo alla sua
attenzione, fino a quando non ne riconobbe uno in particolare, capendo
che quell’uomo era
davvero colui che
aspettava da tanto.
«Michele…» lo chiamò Monica,
fermando i suoi passi
e rimanendo silenziosa, in attesa d’una
reazione.
Immobile:
Michele
si fermò per un istante, quanto bastava a ricordare quanto
fosse veemente il
desiderio di sentirsi chiamato per nome, ancor più se a
invocarlo era quella voce.
Si
voltò e fece
verità di quel segreto: scoprì se stesso.
Si
ritrovarono a
incendiare, irrimediabilmente, la distanza tra i loro corpi
guardandosi,
soltanto. Nonostante la vera lontananza risedesse
nell’incredulità che
nutrivano, decisero di avvicinarsi.
I
loro passi si
susseguivano rapidamente per annientare la distanza che li separava.
Monica,
arrivata di
fronte a lui, non smise di guardarlo e non solo con gli occhi, ma,
anche, con anima,
cuore, desiderio, mente e paure.
Michele,
rispettando la fragilità di quell’istante, non
riuscì a far altro che perdersi
nei suoi occhi blu per,
poi, dirle solo:
«Ciao…»
«Ciao…»
rispose lei
con un sospiro, intimidita dall’assurdità di quel
momento.
Michele
le tese la
mano per condurla altrove da quel via vai perché sapeva che,
lì, non avrebbero
trovato sufficiente intimità per il loro incontro.
Monica
accolse la
sicurezza trasmessa delle mani di lui; non si oppose con inutili
incertezze.
Sentiva
il calore
nell’intreccio delle loro mani e fu impossibile non riconoscerle, non ricordarle,
quelle mani. Quelle con
cui si sentiva sfiorata dall’uomo d’allora,
dall’uomo d’un tempo, dall’angelo
di quel momento.
Michele
si fermò al
trovare un portico deserto ed una panchina libera.
«Vieni…»
la invitò.
Si
sedette vicino a
lui, continuando a guardarlo negli occhi, senza parole.
«Michele…perché?»
chiese lei supplichevole.
«Perché
è vero
Monica.. Non è un sogno, non questa volta..»
rispose lui con dolcezza.
«Sei
tu?»
Michele
annuì.
«Non
è possibile…»
disse lei, continuando a reprimere lo sgorgare delle lacrime -
«Michele è
morto, non c’è più!»
Michele
scrutava i
suoi occhi, capendo quanto potesse essere difficile credergli, credere
in un
ritorno.
«Monica,
ti fidi di
me?»
«Come
faccio a non
fidarmi di te?» confessò lei, abbassando lo
sguardo.
Michele
non
aggiunse altro, si limitò a sfiorarle il volto, invitandola
a mostrargli il suo
viso.
«Ti
ricordi, ti
ricordi quella notte?» chiese lei che, pur rimanendo
intimorita e commossa,
voleva metterlo alla prova- «Quando aprii la porta non
c’eri, non c’era più
nulla di te se non quella lettera…99...»
«Il
tuo modo di
sorridere, ma anche quello di piangere e quello di
arrabbiarti…» la interruppe
Michele, prima che potesse concludere la frase.
«E...100...»
soggiunse
lei.
«Il
disordine che
hai portato nella mia vita e non solo il giorno che mi hai distrutto il
ristorante, ma tutti quelli che sono seguiti e tutti quelli che
seguiranno...»
continuò lui, nostalgico in volto.
Monica
non cercò
più di reprimere le lacrime e lo strinse.
«Michele…»-sussurrò
-«Spiegami…»
Michele
continuava
ad accarezzarle le spalle, mentre si parlavano.
«Mi
hanno fatto
tornare perché non eri felice...»
spiegò Michele, non allontanandola dalle sue
braccia.
«Rimarrai?»
chiese
ingenuamente lei.
«Solo
se, solo se
dimostreremo di amarci,di amarci ancora. Sennò a fine mese,
con l’anno passato,
me ne andrò anche io...perché vorrà
dire che non era destino che fossi io il fortunato
che deve farti felice.»-spiegò l’uomo.
«Quindi,
se
dimostriamo di amarci entro la fine del mese, tu resti per
sempre?»-concluse la
donna, guardandolo negli occhi.
Michele
annuì, a
capo basso, poi soggiunse: «Sei l’unica ad avermi
riconosciuto...»
«Davvero?»
domandò
Monica stupita.
«Sì,
ho una seconda
identità, adesso. Mi chiamo Edoardo Levantesi, pensa un
po’…» disse Michele - «Non
sai come reagire, vero? Pensa che neanche io riesco a capire, a fondo,
tutto
quello che sta succedendo. Non so più niente, neanche se
questi giorni
serviranno a qualcosa...»
Monica
lo guardava,
senza proferire alcuna parola.
«Va
beh, io…» concluse
l’uomo, facendo cenno d’alzarsi.
«No!»
lo fermò lei,
stringendogli un braccio per impedirgli di andarsene- «Dimmi
dove ti posso
trovare, se…»
«Corso
Italia,
35/b, se vorrai...» rispose Michele, abbozzando un sorriso.
«Ti
troverò?» chiese
lei, speranzosa.
«Lo
sai, ci sarò
sempre per te…» soggiunse lui, sfiorandole il viso.
Poi,
se ne andò,
lasciando la sua mano sola, mentre il cielo si era colorato di buio e
l’inverno
soffiava i suoi brividi di freddo.
Monica
rimase sola,
guardando quell’angelo andarsene, camminando, voltato di
spalle e non curante
dei pregiudizi degli altri.
***
Ciao
a tutte!!! Eccomi di nuovo! ^^
Scusatemi,
ma ho l'influenza può essermi sfuggito qualcosa, ecc..
ù.ù
Comunque
vi ringrazio sempre tantissimo a tutte quante!!! <3 siete
davvero troppo buone!
E
poi, rispondo qui,in breve, a Luana. Scusa se non ho più
risposto per mp, ma davvero non sei tu ad essere stata brusca,ecc.. era
davvero dovuto il chiarimento (:
scusa
ancora..
Spero
vi piaccia (:
A
presto!!!
Calime <3
|
Ritorna all'indice
Capitolo 7 *** VII ***
Natale.
Luci,
parole, colori
e gioia- almeno, per quanto possibile- brillavano sotto quel tetto.
C’erano
veramente
tutti!
Casa
Giorgi – Del
Fiore aveva aperto le porte a tutta la famiglia allargata: figli e
rispettivi
fidanzati, zie, nonni, Stefania e famiglia, la redazione al completo
con tanto
di dolci metà a seguito, ecc, ecc, ecc..
[pff!!
Che fatica -.-
’]
Mentre
l’andirivieni di quella casa si impegnava a diventare sempre
più caotico,
qualcuno aveva trovato un buon modo per isolarsi da tutta quella
confusione,
aizzatasi nell’arco di così poco tempo.
Infatti,
Cristina, seduta
sul letto della sua camera,accanto a Raoul, giocava con il piccolo
Michele,
senza dare importanza a nient’altro.
«Certo
che è
incredibile, Cris!»- notò Raoul, continuando ad
osservarla.
«E’
incredibile
cosa?» chiese Cristina, distogliendo per un attimo lo sguardo
inebetito dalla
creatura.
«Come
cos’è
incredibile?!»- replicò retorico Raoul
–«Beh, è una bella sorpresa! Guardati:
tu
che perdi la testa per un neonato, non ci avrei mai
scommesso…»- ammise
intenerito il ragazzo.
«Ma
questo non è
mica un neonato qualunque! Michelino è come se è
- boh...non lo so- come si
dice in questi casi?! Un fratellino, un cuginetto, un nipotino o forse
no; anzi,
famo così: è tutte ‘ste cose
insieme!» spiegò con il suo modo impacciato
Cristina, continuando ad agitare un morbido coniglio di pezza dinnanzi
al
musetto del bimbo, intento a ridere delle smorfie che i due gli
facevano.
«Te
lo ricorda molto,
vero?» chiese cautamente il ragazzo, diventando serio.
«Certo
che me lo
ricorda… A volte spero di poterci parlare ancora, di potermi
confidare con lui.
Per me
era come un secondo papà, non so se mi
capisci…»- confessò Cristina,
intristendosi in volto -«Io sono cresciuta con lui e
papà, quindi sono contenta
che sono la madrina di Michelino, così sento meno la
mancanza, no?»
Raoul
la abbracciò
e le propose: «Senti, che ne dici di andare fuori a guardare
le stelle?»
«Va
bene!»- rispose
Cristina – «Però aspetta ‘n
attimo, che lo dovrò pure restituì ‘il
pargolo,
no?!»-continuò Cris, baciando il bambino sulla
guancia, mentre si alzava dal
letto.
Percorse
il corridoio
tenendolo in braccio e, arrivata dinnanzi al divano, in salotto, lo
porse a Monica
che, prendendolo in braccio, si rivolse alla ragazza: «Oh
eccolo qua! Ti ha
dato problemi?»
«Ma
certo che no!
Anzi...» rispose Cristina entusiasta.
«Cris
ci perderebbe
il sonno dietro a quest’angioletto: ne è
innamorata persa ed io comincio, pure,
a esserne geloso, per la cronaca!» confessò Raoul
scherzando, mentre
abbracciava la ragazza.
Monica,
in
risposta, sorrise.
«Madonna
oh! Sei
sempre il solito scemo!»- replicò Cristina rivolta
al fidanzato, per poi
riprendere –«Comunque, Monica, davvero, quando ce
sta bisogno de faglie da’ ‘n
occhiata, chiamami: mi fa piacere!»
Monica
le sorrise e
Cristina fece altrettanto per, poi, soggiungere- «Beh, sai,
averlo con me per un
po’- non so… magari capita anche a te- me lo
fa sentire vicino ancora, lui...»
Monica
la guardò,
mentre il volto della ragazza si incupiva: «No, non capita
solo a te.
Tutte
le volte che
lo guardo, per me, è come sentirlo ancora, ma, forse, ora
che…»-si lasciò
sfuggire Monica, mentre guardava il piccolo tra le sue braccia.
«Ora
che…?» domandò
Cristina, incuriosita e perplessa da quella frase lasciata a
metà.
«No,niente.
Pensavo
a voce alta, volevo dire che, quando diventerà grande,
sarà inevitabile pensarci,
no?’-cercò di rimediare Monica, guardando i due
ragazzi dubbiosi.
«Beh,
certo! Come
non farlo? E’ proprio spiccicato, come ‘a
fotocopia, vero Raoul?» chiese
Cristina, persuasa dall’entusiasmo ed apparentemente convinta
dalla scusa di
Monica, rivolgendosi al biondo.
«Sì,
Cris! ‘A
fotocopia, però, lo sai, che non ti posso dare conferme
perché non l’ho
conosciuto l’originale…» si
giustificò Raoul.
«Ah
vero, c’hai
ragione…»- constatò la ragazza,
proiettando i suoi, ormai, malinconici occhioni
verde smeraldo a terra- «Però, se non fosse stato
per lui, noi manco ci
incontravamo, Amò...»
Raoul
sorrise a
Monica, nel frattempo, scoppiò a ridere al sentire parlare
così serenamente del
suo uomo.
«Sai,
quando avrò
bisogno di sentir raccontare di lui, verrò da te, Cris! Sei,
probabilmente,
l’unica persona che riesce a ricordarlo perfettamente come
vorrebbe lui.» le
confessò Monica con un viso sorridente, seppur ombrato di
malinconia e dubbi
incessanti.
Cristina
le
sorrise, quasi imbarazzata, e, prendendo per mano Raoul, si
allontanò.
Gente,
sguardi,
amici e parole erano trascorsi inesorabili, davanti a lei, in quelle
poche ore,
ma solo il ricordo del sorriso, scaturito dal racconto di Cristina,
sembrava
dare un senso ad un’eventuale risposta per il suo futuro.
Guardando
il suo
piccolo giocare tranquillo tra le sue braccia, capì che
senza la luce di quegli
occhi neri, come la notte fuori la finestra in quelle ore, nulla
avrebbe più posseduto
senso per quanto concerne l’amore.
Ripensando
agli
sguardi, alle parole e all’essenza che esalava da quei
giorni, capì che non
poteva rinunciare alla forza che le trasmetteva la presenza del suo
uomo per un
capriccio dettato dall’ incredulità.
Ma
il sentirsi donna,
viva e capace di mostrarsi al mondo come ninfa, rivelando il suo essere
ancora innamorata
di lui erano tentazioni irresistibili, capaci di dichiarar guerra,
persino,
alla razionalità.
Tutti
coloro che la
circondavano possedevano una loro felicità; lei
no…
Quest’amara
constatazione del presente, la spinse a imbrancare la sua vita tra le
mani.
Lo
voleva con sé,
voleva realizzare una follia d’amore…o forse no?
Era
folle, era
immorale, era immaturo, era impossibile:
si
sarebbe rivelato
così, un altro sbaglio.
Eppure,
la felicità
degli altri, il Natale, il ricordo di Michele nel bambino che teneva
con sè,
l’ebbrezza d’un attimo e la voglia di trasgressione
si schieravano davanti a
lei, incitandola a realizzare i suoi desideri.
Quella
follia si
sarebbe rivelata giusta per lei, per quello che sentiva ed era
ciò che poteva concretamente
importare in quel momento, fosse stato per una notte sola o per sempre.
La
sua felicità
risedeva nel desiderarlo ancora e il
Natale poteva,veramente, portare un’ occasione per regalarsi
un ritaglio di
speranza.
«Monica,
tutto
Bene?» domandò Laura, schioccando davanti ai suoi
occhi le dita per riportarla
alla realtà.
«Sì…
Cioè non lo
so, ma non ha importanza!» rispose sbalordita Monica
– «Laura, senti, devo
chiederti un favore enorme.»
«Dimmi»
rispose la
donna.
«Non
mi fare
domande, ti prego. Quando potrò, se mai potrò
farlo, spiegherò tutto, ma ora
devo andare.» disse Monica, tutto d’un fiato.
«Andare
a fare
cosa? Monica, è la vigilia di Natale!!»
osservò perplessa l’amica.
«Sì,infatti.
O ora
o mai più, vado a regalarmi la mia felicità, per
quanto folle sia, la voglio.»
confessò spigliata.
«Ho
promesso che non
ti chiederò nulla,anche se…» fece per
finire il pensiero Laura, prima di essere
interrotta.
«No,
ti prego…» la
supplicò Monica.
«Vai
allora…» disse
Laura, sorridendole.
«Grazie…»
disse, mentre
l’abbracciava.
«Monica…»-sussurrò
Laura prima che se ne andasse, facendola voltare - «Buon
Natale…»
In risposta, un
sorriso.
***
Rieccomi!!
Scusatemi, mi sono fatta desiderare,ma l'influenza mi ha tolto
l'ispirazione e,ahimè, ho dovuto rimandare di un paio di
giorni la stesura del capitolo.
Vi ringrazio sempre tutte tantissimissimissimo!!
MusicAddicted: Lù!! Sei troppo troppo buona davvero! Sono
contenta ti siano piaciute le scelte che ho fatto e le scene sia quella
del bimbo, sia quella dell'incontro, sia quella dove cito la
lettera..(aww..<3 me ancora sognante,si commuove sempre alla
98,99,100!! Che sono un crescendo magnifico!!).[Chiudo la parentesi,
sennò divento noiosa!! u.ù]. Comunque davvero
grazie ancora e spero vivamente che ti possa piacere il continuo, anche
perchè,come ti ho anticipato, ci sarà un risvolto
tosto...che metterà un po' alla prova tutta la situazione..
Clappy: Claudia come ringraziarti!!??<3 Anche tu davvero troppo
buona! Dirmi che ti piace il mondo in cui rendo Monica e Michele
è per me davvero qualcosa di fantastico, essendo io pazza
d'amore per loro.!!!
Mi fa un piacere immenso che ti piaccia la storia, spero possa
continuare a piacerte con le scelte che adotterò per il
continuo. (:
Ili91: Grazie anche te sia del complimento che dell'appunto, anche
quelli servono tantissimo. Ora ti spiego la scelta mia di non
descrivere dettagliatamente il centro della storia: è
nient'altro che comodità, vedi, questa storia è
commissionata per un contest che prevede nel bando il ritorno di un
personaggio, ma non poteva essere una long fic, essendo la mia storia
parecchio lunga, qui, su efp, l'ho suddivisa in parti, ma
sarà un testo unico, una one shot infinitesimale, me ne
rendo conto,ma sono fatta così, ahimè.. per
questo non mi sono soffermata su tutto il periodo della 'missione' e
anche perchè sarebbe risultato mooolto noioso ripetere le
stesse sensazioni dei due protagonisti durante l'arco di quei 20
giorni.. anche perchè non intendo dare fine alla narrazione
con l'avvenimnto della 'dimostrazione d'amore',
bensì si svilupperà il seguito che
darà una svolta che determinerà una situazione
finale un po' critica..quindi per queste ragioni ho deciso di mia
volontà di tralasciare qualcosa in lunghezza, ma penso che
come entità di contenuto, tutti i sentimenti che volevo
trasmettere tramite i due personaggi siano stati esternati..
In ogni caso grazie (: ^^
|
Ritorna all'indice
Capitolo 8 *** VIII ***
Nuvole e Lenzuola.
‘Regala
il sole a un davanzale
da dove tutto sembra uguale,
regala il peggio che hai da
dare,giusto per ricominciare,
fai quel gesto che sono anni
che ti prometti di fare,
e regala l’anima una volta
che,forse, non c’è niente di male..
regala un giorno di silenzio
se c’è chi non sa ascoltare.
Ama chi ti vuole bene.’
(Alessandra
Amoroso)
Il
campanello.
Michele
si diresse
verso la porta, curioso di svelare chi potesse celarsi dietro ad essa;
d’altronde,
quella là fuori, era la notte più magica
dell’anno e nessuno si sarebbe sognato
di bussare alla sua porta, forse.
Sospirando,
spinse
verso il basso la maniglia e la
trovò: era lei, Monica era davanti a lui e lo guardava
profondamente negli
occhi, sfidando il gelo della notte di dicembre che si stava lasciando
alle
spalle.
«Tu...»
sussurrò
Michele, guardandola.
Con
sé aveva il suo
piccolo, lo teneva in braccio.
Monica
lo fissava, ma
non rispose, non ruppe quegli imbarazzi e quei silenzi, schermati tra
loro,
perché accrescessero ulteriormente la loro voglia di
ritrovarsi.
Le
fece cenno di
entrare e lei lo seguì.
Monica
si sedette
sul divano nero senza parlare e,intanto,sfilò il lungo
cappotto grigio,mentre Michele,
sedutosi davanti a lei su una poltrona, la guardava con il bambino in
braccio,
rimanendo,anche lui, in silenzio.
La
voglia di
parlarle era molta e fremente, ma tutto sembrava tingersi di vacuo in
quel
momento, come se le parole non potessero coprirsi, neanche velatamente,
d’importanza
e vago senso.
La
realtà, d’altronde,
non poteva rivendicare il suo spazio in una situazione tanto folle,
ma,questo,
non impedì a Michele di tenderle la mano che, bianca e
tremante, sfiorava il
cuscino affianco a lei.
«Sei
venuta...» si
lasciò sfuggire Michele, notando come le guance di lei
fossero avvampate al
solo sfiorarle le mani.
«Michele,
lo vuoi
tenere?» gli chiese Monica piano, rivolgendo lo sguardo primo
a lui e poi al
piccolo che stringeva tra le braccia.
Michele
le sorrise
e, alzandosi, le si avvicinò,per poi sedersi accanto a lei,
che, con
delicatezza
inaudita,
le porse
il cucciolo tranquillo e il tentativo di cullarlo, cercando di
riconciliarlo al
sonno.
Michele
lo tenne
con sé, tra le braccia, guardandolo mentre sgranava gli
occhioni stanchi;
mancava il respiro tanta era l’emozione di poterlo trattenere
al tempo, questa
volta, per molto più che per qualche istante.
Attesero
in
silenzio, guardandosi, che il piccolo si addormentasse per poi
coprirlo, in
modo da farlo sentire protetto dal freddo e dall’inverno
vigente.
Monica
accarezzò ancora
il viso del figlio per garantire che rimanesse sommerso di quiete e bei
sogni.
Poi,
nel silenzio
di quella stanza, s’accorse dello scrosciare d’un
inizio di pioggia.
Si
alzò, si diresse
verso la porta a vetri, la quale s’affacciava fuori, e
scostò le tende per
poter godere a pieno della dolce malinconia che portavano con
sé le gocce che,
con le loro corse sinuose, rigavano i vetri.
Michele,
stette per
un po’ seduto,nell’intento di osservarla, stretta
nel vestito bianco; poi, non
resistendo alla tentazione di guardarla ancora,
s’alzò e le si avvicinò tanto
da poterla abbracciare, stando dietro di lei.
Monica,
rimanendo
voltata a guardare la notte,imperlata di pioggia lì fuori,
si strinse nelle
spalle per percepire sempre più il calore
dell’uomo e del suo abbraccio di
seta.
«Bella
la pioggia,
no?» domandò Monica, con leggerezza, disegnando
con le dita sui vetri per
ingannare l’imbarazzo.
«No.»
le sussurrò
Michele all’orecchio, lasciando le parole in sospeso-
«Sei troppo bella tu...»
Monica
si voltò
fino a poterlo guardare in volto, non sciogliendo l’abbraccio
dell’uomo che le
cingeva i fianchi; poggiò
le mani sulle
spalle di lui.
Si
accorsero di
essere,ormai, vicinissimi a un bacio.
Ma,
in quel
momento, Michele scosse il capo e, sfiorando le labbra di lei, le
domandò
incerto:
«Monica,
che stiamo
facendo?!»
La
donna lo guardò
e, sorridendogli, gli rispose.
«Non
voglio
litigare ‘sta volta...»- poi, divenne seria
–«Voglio solo riprendermi la
felicità…»
Si
fermò un attimo,
in silenzio; rimasero immobili.
Monica,
appoggiando
la fronte a quella di lui, sussurrò ancora.
«E
tu?...Tu rivuoi
la felicità?»
Michele
avrebbe
voluto risponderle sinceramente, dirle quel, tanto sospirato «Sì», ma non ci
riuscì.
Quella
risposta sentiva
la tentazione d’impossessarsi di lui prepotentemente; in
quello scappare
inafferrabile d’attimi, Michele ci pensò.
Monica,
forse,
aveva ragione.
Non
si oppose oltre
a quel risuonante e vivido volerla.
Si
avvicinò, si
avvicinò fino a sfiorarle le labbra con le proprie, per poi
fermarsi quel tanto
che potesse bastare per impossessarsi di un soffio di follia.
Allora,
si avvicinò
ancora alla bocca di lei e, questa volta, vi rimase con il bacio che
portava.
Fu
un rincontrarsi vero, intenso nel
suo
cullarsi lento, dolce nel narrarsi autonomamente come una poesia
sfuggita alla Passione e,
inevitabilmente, meraviglioso
in quanto proibito.
Si
guardarono per
un po’, sfiorando il pensiero di sentirsi appartenenti e
possessori uno
dell’altro..
e, poi, la portò
altrove con sé.
~
Stringimi
forte che nessuna
notte è infinta.
Penso che è stupendo restare
al buio abbracciati e muti come pugili dopo un incontro,come gli ultimi
sopravvissuti. Forse un giorno scopriremo che non ci siamo mai perduti
e che
tutta quella tristezza,in realtà,non è mai
esistita.
(Renato
Zero)
Michele
la scrutava
nel profondo.
Gli
era
abbracciata, coperta a metà, teneva il capo poggiato sul suo
cuore e la mano destra
stretta alla sua.
Michele,
accarezzandole
il volto, liberava gli occhi di Monica dalle lacrime; lo faceva in
silenzio,
rispettandola.
Quegli
occhi erano
lucidi e stanchi, stanchi di provare paura.
Il
suo pianto aveva
cullato incessantemente tutto ciò
che la
notte aveva loro concesso.
«Non
mi lasciare…»
sussurrò lei.
«Non
ti lascio » la
rassicurava, continuando a accarezzarle i ricci.
Quei
‘Non ti lascio più…’
rimbombarono con
dolcezza infinita in quel silenzio immaginato, protraendosi per tutta
la notte…
In quel mentre, la
sveglia sul comodino annunciava Natale.
***
Scusate
il ritardo, mi sono fatta desiderare parecchio questa volta! Non
intenzionalmente, è che ho dovuto spedire un po' di contest,
ripubblicare modificando tutta la storia 'E tu come stai?'
perchè era tutta da sistemare(ù.ù-i
giorni più noiosi della mia vita).. Poi ieri sera alle 2.00
spaccate,ho finito questo capitolo che spero vi piaccia e non deluda le
vostre aspettative <3, io personalmente mi sono emozionata come
una stupida, mi batteva il cuore, però non so, forse era per
l'ora tarda e il sonno imminente..!!
Comunque
vi ringrazio infinitissimamente per tutti i complimenti sull'ultimo
capitolo!! Wooow, non pensavo vi potesse piacere così tanto
l'apparizione di Cristina, che ho voluto giocarmi come asso nella
manica perchè mi piace molto ed era,alquanto a effetto
sorpresa nell'ambito della storia di Monica e Michele.
Pensavo
che fosse giusto valorizzare il rapporto molto bello tra Cristina e
Michele, e strumentalizzarlo per introdurre i pensieri di Monica, che
si apre a nuove sfaccettature, ora vedremo cosa combinerà..
Grazie
a tutte !! Spero vi piaccia <3
Smack
Smack
Calime
|
Ritorna all'indice
Capitolo 9 *** IX ***
Il Paradiso può
attendere.
{Il
paradiso non attende
{Il
paradiso dei Micheli
Bianco.
Michele
si
ritrovava lì, proprio come un mese esatto prima.
Sfidava
timidamente
le nuvole su cui poggiava i piedi nudi, temendo di infrangere
l’incanto di quel
posto tanto immacolato, tanto irreale.
«Michele!»
esclamò la Voce a tono pieno.
Michele
sussultò
per lo spavento e, cautamente, rivolse gli occhi verso l’alto
alla ricerca
della provenienza delle parole di Angelica per, poi, rispondere:
«Buonasera!»
«Michele!
Allora,
come sta?» domandò premurosa la Voce.
«Beh…Che
dire?! Non
potrebbe andare meglio!» rispose lui con un sorrisone.
«Come
mai è qui,
allora?» domandò la Voce.
«Ma
come!?Che
domande sono?! Mi avete convocato voi, no?»
ribatté Michele, vagamente
infastidito da una tale domanda.
«Ah...è
vero!Che
sbadata! Sa, dev’essere lo Champagne del conto alla rovescia,
non essendo più
abituata, non reggo per niente l’alcol...» ammise
Angelica, chiaramente confusa
dall’effetto di una lieve sbornia.
«Eh…capisco
sì!
Questi sì che sono problemi…Ma senta
perché mi avete chiamato?» domandò lui,
cautamente.
«Ah...già!
Quasi
dimenticavo!»- esclamò Angelica- «Ha
visto che giorno è oggi?»
«Certo
che ho
visto! E’ la notte a cavallo tra il 31 dicembre e il 1
gennaio: è capodanno!» esclamò
raggiante Michele, sottolineando con il tono di voce
l’ovvietà di ciò che stava
dicendo.
«E
quindi,
Michele?» chiese retoricamente la Voce.
«E
quindi… stappiamo
lo spumante, ci facciamo gli auguri?!» propose lui incerto.
«No,
non proprio...»
constatò amaramente la Voce,
infastidita dalla durezza di comprendonio di Michele.
«Ah
no?» -domandò
ingenuo- «E quindi?»
«E
quindi, noi di
quassù e lei abbiamo un certo conticino in sospeso o erro,
per caso?» introdusse
la questione lei, rimanendo distaccata.
«Ah…quella questioncina!»
esclamò ridendo
scioccamente lui per ingannare l’ansia- «Beh, ma
che problema c’è?!In fondo…»
«Certo,
che il
problema c’è!» -esclamò la Voce,
irritata- «Michele, non so come sia stato possibile, ma ce
l’ha fatta!»
«Cosa,
cosa,
scusi?» si accertò lui, incredulo al sentir
pronunciare quelle parole.
«Ha
capito
benissimo, Michele!»- controbatté Angelica, quasi
scocciata dal doverlo
ammettere- «Lei torna in pianta stabile alla
realtà terrena.»
«Davvero?!»
si
accertò raggiante l’uomo- «La prego, mi
dica che non sto sognando!!»
«Michele,
le
ricordo che, qui, non sono bene accette le menzogne e, in questo caso
dovrei
mentirle per soddisfare la sua richiesta... »
-constatò lei fredda- «E poi, che
domande sono? Certo che sta sognando!»
«Ah…vero!
Scusi, ma,
d’altronde, è vero: che stupido! Il sogno
è l’unico contatto possibile tra giù
e su..» disse, gesticolando verso l’alto e, poi,
verso il basso- «No, aspetti :
forse, è il contrario!»-disse, guardandosi le
mani, capendo d’aver commesso una
gaffe.
«Michele,
l’amore
per lei è pericoloso; la rende proprio...» non
fece in tempo a finire la Voce.
«Un
vero coglione,
lo so!’-concluse con semplicità Michele, mentre un
frastuono di sirene iniziava
a infastidire l’ambiente candido, muto e totalmente deserto.
«Ma
lei non cambia
mai: le parolacce?!» lo rimproverò acida lei.
«Scusi,
scusi, scusi,
scusi!»-si giustificò lui, alzando le mani a sua
discolpa - «Bamboccione!
Volevo dire che l’amore mi rende bamboccione!»
«Se…lallero!»
–lo
prese in giro, lei- «Comunque, non è finita
qui...»
«Che
c’è d’altro?»
domandò
Michele preoccupato, incupendosi.
«Non
ricorda?»-chiese
lei per stimolarlo a ricordare –«Il
segno?»
«Ah!
Il segno…»-farneticò
lui, tra sé- «A me non è arrivato nulla
però…»
«Non
ancora, ma
Michele che discorsi sono?! Non è mica come inviare una
raccomandata…!»-soggiunse
lei –«Comunque, a tempo debito, arriverà
e le indicherà se è giusto o no che la
vostra storia continui…»
«Ma
se io non lo
colgo ‘sto segno?» chiese lui.
«Bah...Michele,
per
quanto lei possa mancare di perspicacia, le assicuroche non
sarà facile
ignorarlo!»
«Ah
beh...A prova
di scemo, quindi?» cercò di ironizzare lui, con
scarso successo.
«Beh,
diciamo che
confidiamo molto in Monica!» controbatté lei,
fredda.
«Eh…Monica...»-
sospirò sognante Michele –«Bene! Mi ha
detto tutto, no?! Posso andare?»
«Sì,
Michele, può
andare…» annunciò lei con tono
liberatorio.
«Grazie!No…aspetti
un attimo!»- si fermò lui - «Senta, me
la toglie una curiosità?»
«Sentiamo...»
rispose
Angelica, invitandolo a proseguire.
«Ma,
scusate, se
Voi quassù sapete che mi sono riappacificato con Monica,
vuol dire che avete
spiato…» ipotizzò lui,cautamente.
«Michele,
suvvia! Abbiamo
dato una sbirciata, ma cosa vuole che sia...» si
giustificò lei, colta nelle
sue debolezze.
«Ah
Ah! E non vi
vergognate!? Qui, tutto immacolato, casto, puro e poi fate i guardoni?!
Questa
è violazione della Privacy!» polemizzò
Michele, compiaciuto di poter appuntare
una mancanza a ‘Quelli lassù’.
«Eh
no! Quello non
era spiare: era sorvegliare la buona riuscita della
missione!» -si giustificò
lei, arrampicandosi sugli specchi - «E poi, se proprio
dobbiamo dirla tutta, le
lamentele dovremmo esporle noi! Dato che ci ha fatto fare gli
straordinari la
Vigilia di Natale!Anche
se...»
«Anche
se?» la
invogliò a proseguire l’uomo, ormai, incuriosito.
«Anche
se, mi pesa
ammetterlo, ma l’abbiamo rivalutata in
quell’occasione Michele. Complimenti!» ammise
a stento lei.
«Eh...Modestamente...»-
si pavoneggiò lui con un velo di strafottenza-
«Però mi dispiace che abbia
passato il Natale sola a causa mia...»
«Beh...proprio
sola, no…»- ammise la Voce-
«Non le negherò che sembrava di stare al
cinema!»
«Ma
come?!Gli
affari miei davanti agli occhi di tutto il Paradiso e
dintorni?» domandò
scocciato lui.
«No,
no… si figuri!
Il Paradiso e dintorni!? C’erano tutti i gironi celesti e
buona parte del
Purgatorio, per non parlare di quegli infiltrati dei ricettatori del
sottoscala
al secondo!» si lasciò sfuggire con disinvoltura
Angelica.
«No,
no, no!
Aspetti, lei mi sta dicendo che tutta la volta celeste e tutto il
Purgatorio
hanno visto tutto ?!» constatò infuriato Michele.
«Beh,
all’inizio...
Poi, quelli del sottoscala al secondo, i Lussuriosi- come le dicevo
prima-
hanno sfoderato le loro qualità di ricettatori doc.
e…Sa, a noi questo digitale
terrestre ci mette in difficoltà, non siamo
granché pratici, e.. quei dannati
ingrati, senza pagare neanche il canone, hanno assistito a tutto lo
spettacolo.
Come se non bastasse, hanno ribadito la loro indecenza e natura,
infatti, erano
gli unici a non indossare i copri -occhi di pure piume
d’angelo, per i momenti
un po’ più... mi capisce,
no?»-confessò lei- «Però deve
essere soddisfatto: nessuno,
prima d’ora, era riuscito a farli commuovere!!»
Michele
scoppiò a
ridere per la disperazione, dato che, sapeva bene che qualsiasi atto
improprio avrebbe
potuto ritorcersi a suo discapito.
«Dopo
questa, se
permette, io me ne andrei per evitare di inca…»-
Michele si arrestò- «Di imbestialirmi
ulteriormente…»
«Ma
come?! Le dico
che, qui, è diventato un idolo, degno sostituto di
‘Ghost’ e lei si
arrabbia?»-domandò
scioccamente Angelicamente, chiaramente non consapevole delle
castronerie che
stava proferendo per via dell’alcol, probabilmente.
«Sì,
la fama,
l’aureola, ‘Ghost’ non mi
importano!»- sbottò Michele
–«Il Paradiso può
attendere! E, adesso, con permesso…»-disse,
avviandosi.
«Buon
anno,
Michele!» augurò malinconica la Voce.
«Buon
anno anche a
voi!» rispose Michele, arrestandosi un attimo in un sospiro
profondo, seppur
rimanendo fremente e voglioso di tornare indietro.
Buio.
Michele
si dissolse
di nuvole, lasciando soltanto il candore della foschia paradisiaca,
lì,
onnipresente.
Rimase,
soltanto,
la voce di Angelica che, triste e delusa, sbuffò ,
rivolgendosi alla schiera
di angiolette che,
affrante di
malinconia, sospiravano al vederlo voltato di schiena
nell’andarsene via:
«Che
avrà ‘sta
Monica che noi non abbiamo, io non lo capisco ancora!»
~
Il
freddo, fuori la
finestra, si faceva sentire; il vento imponente sbuffava il suo
passaggio
tramite il gelo, sola andata per accompagnare l’anno vecchio
a concludersi e
quello nuovo a presentarsi all’alba, di lì a
qualche ora.
Michele
aprì gli
occhi; ora, si sentiva tranquillo, ora, si sentiva felice.
Abbassò
lo sguardo
e la trovò stretta nel suo calore.
Monica
era
addormentata, abbracciata a lui, di schiena; la strinse ancora
perché la paura
e il freddo potessero essere dimenticate.
Stette
a guardarla
a lungo, in attesa che il sonno si riappropriasse di lui.
«Michele,
non
dormi?» le chiese piano lei.
«No…»
-rispose lui,
altrettanto piano- «Ho sognato che mi dicevano la cosa
più bella della mia vita,
sai?»
Monica
gli sorrise,
pur rimanendo voltata, con il capo poggiato sulla maglietta grigia di
lui.
Michele
cercò il
suo volto, si avvicinò tanto da darle un bacio.
Dopo
di che, poggiò
la testa sul cuscino, continuando a stringerla a sé.
La notte fuori, intanto, si
consumava dietro i vetri appannati di freddo e stupore,
|
Ritorna all'indice
Capitolo 10 *** X ***
Nascondersi
Monica,
raggiante entrò in redazione per affrontare il duro carico
di lavoro
accumulatosi, inevitabilmente, per vie delle feste.
L’odio
che provava
per il Natale sembrava essersi smentito, con il regalo che quella
stessa notte
aveva portato con sé.
Era
folle pensare
di poter amare Michele ancora, di riuscire a riprendere la vita
d’un tempo e di
potersi concedere un senso nuovo per vivere lo scorrere dei giorni.
Monica,
ora,
ritrovava la voglia di vivere ancora, fosse stato anche solo per
svegliarsi al
mattino, trovarlo accanto e sbizzarrirsi con una
sciocca ragione per litigare...
Era
folle, ma
sembrava quel ritorno sembrava essere tanto vero da potersi realizzare
davvero,
ogni volta che si voltava per ricordarsi quegli occhi neri, pur dovendo
sopportare la crudele costrizione che le imponeva di non dover rivelare
il ritorno
di Michele al Mondo.
Nascondeva
l’amore
per sé agli occhi fugaci degli altri perché
mantenesse bellezza, nel rimanere soltanto
loro.
Monica
entrò in
redazione, chiuse la porte, pensando a quanto sarebbe stato difficile
essere
profughi d’amore, fuggendo
all’incredulità della gente.
Nonostante
le paure
vigessero, non riuscivano a scolorire il sorriso che le illuminava il
volto in
quei mattini sfuggenti.
Entrò
con
disinvoltura, lasciando spazio alla leggerezza che portava con
sé.
In
solo contrasto con
la leggiadria della donna vi era il ticchettio dei tacchi alti degli
stivali, il
quale rimbombavano nel suo passaggio sul parquet in legno della
redazione, invasa
dall’aroma del primo caffè della mattinata.
Con
molta
non-chalance, si sfilò il cappotto e lo sistemò
sul grosso divano bianco che
compariva, come al solito, sotto la scala di legno impolverata,che
conduce
all’ufficio sovrastante.
Elio
e Maya si
scambiavano tenerezze, bevendo il loro caffè, Lea, seduta
sul suo ‘trespolo’, sfogliava
alcuni numeri del giornale per cui aveva lavorato a Londra per trarne
spunto,
Rosa era occupata a rispondere al telefono e Laura teneva le cuffiette
dell’i-pod nelle orecchie, mentre tentava di sbrigare il suo
lavoro arretrato
con una tazza di
tè fumante tra le mani.
Nonostante
il clima
di indifferenza e individualità che si stagliava al momento
nell’ufficio,
nessuno rimase indifferente all’arrivo di Monica, motivo per
cui tutti
interruppero i propri affari per osservarla al meglio.
Effettivamente,
era
innegabile che qualcosa in lei era stupendo tanto da renderla luminosa
come non
la vedevano da tempo.
Sfoggiava
un golf
color indaco, pur essendo stretto, lasciava scoperte
le spalle e, cadendo a fascia
rimboccato, riusciva a coprire anche parte delle gambe, altrimenti
lasciate nel
solo velo dei collant.
Tutti
gli occhi dei
presenti erano rivolti su di lei; la scrutavano senza farsi sfuggire
nulla,
analizzando ogni minimo particolare che potesse mostrarsi rivelatore di
chissà
quale segreto.
Monica,
dal canto
suo, una volta debellato quell’andirivieni incostante di
fantasie e pensieri,
si accorse degli sguardi indiscreti che riflettevano su di lei tutta la
loro
curiosità.
«Qualcosa
non va?» domandò
Monica, vagamente perplessa.
Mutismo.
«Fatemi
indovinare:
sono arrivati i resoconti amministrativi?»-
ipotizzò lei- «Abbiamo sforato di
tanto, eh?»
«No,
niente
resoconti e scartoffie...» constatò distaccata
Lea, non dissuadendo
l’attenzione dallo schermo del pc.
«Ah…!
Allora: le
occhiaie?! Si vedono così tanto?» -chiese lei-
«Eppure mi pareva di averle
coperte...»
«Il
correttore ha
fatto un ottimo lavoro, sta tranquilla tesoro...»
commentò vaga, Rosa,
fissandola.
«Già
e, probabilmente,
non è l’unico ad aver fatto un buon
lavoro...» continuò sfacciatamente Maya,
avanzando,con a seguito Elio, verso
la propria scrivania.
Lea,
dal canto suo,
si lasciò sfuggire un sorriso malizioso, pur continuando ad
assistere
silenziosamente dal suo ‘trespolo’.
Monica
si trovò
spiazzata e, farfugliando, cercò di mostrare risolutezza
nell’esporre le sue
ragioni, senza ottenere molta credibilità, però.
«Ma
figuratevi un
po’: cosa devo sentire?! E poi, cosa vi da motivo di pensare
una cosa del
genere?»
«Beh…
Fidati della
mia indole prettamente mascolina, ma così *bona*
resusciteresti un morto!»- esclamò Elio con
sfacciataggine, prima che Maya, in
preda ad un attacco di gelosia, lo afferrasse per le orecchie, con
cipiglio
alquanto minaccioso.
«Cos’hai
detto?! Ripeti!»-
lo aggredì Maya, non mollando la presa e provocando,
inevitabilmente, le risate
delle altre –«Ti ricordo che sei impegnato con la
sottoscritta, quindi così
come ti ho preso, ti mollo, hai capito? E, tra l’altro, da
quando sei maschio ed
attendibile tu?!»- continuò tutto d’un
fiato, scimmiottandogli la voce e
concludendo quel massacro con un potente pestone, in grado da
affliggere il
volto di Elio con una notevole espressione di dolore.
«Scusa,
scusa, scusa...
Lo sai che io ti adoro, che sei la luce dei miei
occhi…» farneticò Elio, con
espressione innamorata, richiamante il ‘ pesce lesso
’, inginocchiandosi
davanti a lei.
«Tesoro,
anche io
ti amo tanto tanto…» confessò,
porgendogli una mano per aiutarlo ad alzarsi da
terra.
«Beh…comunque,
nonostante i modi indelicati, penso che Elio volesse dire che sei
splendida in
questi giorni, tesoro.» spiegò Laura, mediando
come sempre.
Monica
non riuscì a
trattenere una leggera risata e, dopo di che, si avviò verso
il suo ufficietto,
salendo le scale.
«Ma
va là, che
assurdità sono?!» blaterava tra sé.
~
Pochi
istanti dopo,
Lea, con disinvoltura, scendeva dalla sua postazione privilegiata,
mostrando, in
quella breve passerella, quanto le donasse la camicetta che aveva
indosso, in
perfetta armonia con
la gonna nera che
le cingeva leggermente i fianchi.
«Non
ditemi che ve
la siete bevuta!» buttò lì lei,
rivolgendosi ai volti inebetiti e perplessi
degli altri, mentre si poggiava sulla scrivania di Rosa.
«Certo
che no!» si
apprestò a rispondere Maya, molto coinvolta dal discorso-
«Io quella faccia la
conosco! Quella è
l’espressione che ha quando sco...»
«Alt,
alt, alt! Ti
prego,Maya: non è il caso, abbiamo afferrato il
concetto!» -la fermò Rosa-
«Però,
c’è da dire che la ragazza ha ragione, me ne sono
accorta anche io che, si sa,
non posso proprio definirmi l’espertona di turno!»
«No,
aspettate un
attimo: ragazze, ma pensate davvero che ci sia di mezzo un
uomo?»-domandò Laura
pensierosa- «Se così fosse, perché non
ce l’avrebbe detto, scusa?»
«Questo
mi sfugge, ma
sono sicura che ci sia un uomo; sarei pronta a scommetterci le
de-collette scamosciate
di Armani.» soggiunse Lea, con una certa risolutezza.
«Questo
è grave…» constatò
Elio, sfogliando montagne e montagne di cataloghi fotografici, mentre
le altre
scoppiavano ridere, rivolte verso di lui.
«State
sicure che
scoprirò di cosa si tratta, a costo di armarmi a
‘mo di 007!» promise Maya, con
aria maliziosa e determinata.
«Elementare
Watson!» replicò Elio,
cogliendo, subito
dopo, gli sguardi fulminanti delle colleghe.
«Quello
era
Sherlock Holmes, Elio…» gli fece notare Maya,
sbattendogli una cartellina blu
in testa, facendo sì che i fogli che essa conteneva si
sparpagliassero ovunque,
dinnanzi allo sguardo inebetito del povero grafico incompreso.
~
(una
decina di
giorni dopo)
Monica
si
ritrovava, da più di dieci minuti, a fissare il suo riflesso
allo specchio, rimanendo
muta.
Percependo
la
stasi, creatasi intorno a lei e al groviglio di pensieri che portava
con sé,
comprese quanto il fissare la sua immagine fosse inutile; per questo,
convinse
se stessa ad abbozzare quel poco coraggio necessario a invogliarla ad
uscire
dal bagno.
Aprì
la porta e,
dietro, vi trovò Michele.
«Che
ci facevi qua
dietro?» domandò lei, sorridendogli.
«Non
uscivi e…» gli
rispose lui, ricambiando il sorriso.
«Michele, ti
devo
parlare…»
|
Ritorna all'indice
Capitolo 11 *** XI ***
Dolci segreti.
Michele
se ne stava
seduto tranquillamente, affondandosi nella manona da, ormai,
più di un’ora, mentre
sforzava la vista nella lettura di un foglietto.
«Ti
prego, guarda
tu perché io sono troppo nervosa!Non ce la posso
fare…» gli disse Monica, arrivando
dal corridoio e porgendogli un asticella bianca con una mano, mentre
con
l’altra si copriva gli occhi.
Michele
la guardò
scettico, sfilandogli l’asticella dalla mano, tesa verso di
lui.
Si
alzò, la esaminò
con minuzia eccessiva, girandolo al contrario, mettendosi di fronte
alla
finestra e in controluce per, poi, constatare la sua ignoranza in
materia.
«Monica,
scusa, ma
non ci capisco niente! Sarà che sono un uomo, ma, neanche
avendo letto le
istruzioni cento volte, ‘ste cose non riesco a
decifrarle.» constatò lui,
riporgendole l’oggetto di attenzioni tanto morbose.
Monica
si avvicinò
e si sedette in braccio all’uomo per, poi, prendere, a sua
volta, l’oggetto che
gli porgeva.
Lo
scrutò.
«Sono
due, Michele…»
disse lei, dopo un po’.
Monica
rimase
attonita, si voltò a guardare il suo uomo, lui le sorrise,
pur rimanendo
confuso.
«Michele,
secondo
te ci dobbiamo fidare? E’ attendibile, dico?» gli
domandò lei, stando tra le
sue braccia.
«Monica,
adesso
capisco uno, ma abbiamo
fatti otto, dico
otto test di gravidanza e sono tutti positivi, più
attendibile di così se
‘more’» -rispose lui con un sorriso,
accarezzandole la mano- «Se vuoi, per
farti stare tranquilla ne faccio uno anche io!...» la prese
in giro, stringendola
nelle spalle.
«Ahahah!
Quanto sei
divertente!» controbatté lei, ridendo.
Poi,
un attimo di
vuoto assoluto; Monica sospirò.
«Michele...»-
gli
si rivolse lei, cercando i suoi occhi- «Non so cosa
pensare...»
«Beh…penso
che per
il nome ci sia tempo, no?» sdrammatizzò lui per
strapparle un sorriso.
«Ma
no, scemo!» disse
lei, ridendo per, poi, continuare diventando seria- «Lo sai
che vuol dire
questo, sì?»
Michele
annuì,
guardandola negli occhi.
«Michele,
ho paura:
non potremo più nasconderci…»
sussurrò lei, non lasciando mai soli gli occhi di
lui.
«No,
non potremo
più farlo.»-riprese lui, dolcemente.
Attese
un attimo,
poi, guardandola negli occhi, le prese la mano, intrecciandola alla sua.
«Monica,...tu
lo
vuoi questo bambino?»
Monica
annuì
flebilmente, mentre gli occhi le diventavano lucidi e poggiava il capo
sulla
spalla dell’uomo che, nel frattempo, lasciava scivolare la
propria mano sulla
pancia di lei.
«E’
veramente un…»-
iniziò Michele, stupitosi del pensiero che aveva fatto
comparsa in lui-
«E’
il nostro segno.»-
sospirò lui, rivolgendo
gli occhi al cielo, mentre stringeva forte Monica.
«Che
stai dicendo?»-gli
chiese lei, ridendo e rimanendo a metà tra
l’essere perplessa e l’essere
curiosa.
«Sto
dicendo che
qualcuno ci vuole insieme, Monica.» rispose, abbassando lo
sguardo.
«Dici
davvero?» cercò
rassicurazione lei, guardandolo.
«Ne
sono sicuro, lassù
le cose o si fanno per bene o non si fanno…»
rispose lui, sorridendole.
Monica
lo guardava
perplessa, ma non poté non cedere a ricambiare il sorriso.
«E
perché dici
questo, no perché io non sto capendo…»
cercò di concludere la frase la donna,
prima di venire interrotta.
«Monica:
lascia
stare, non domandare!!» disse lui, comicamente, facendola
ridere.
Monica
raggiunse la
mano di Michele, ancora su di lei.
«Io
ne sono
felice.» le confessò lui- «Come pensi di
dirlo agli altri?»
Monica, per sfuggire al
discorso, si alzò di
fretta e, dopo poco, tornò con il piccolo Michele in braccio.
«Amore,
non ci
siamo mica dimenticati di te… » gli parlava lei,
tenendolo in braccio, mentre
agitava i piedini stretti nelle babbucce azzurre, ridendo.
«Lo
prendi tu? Devo
andare di là.» -disse a Michele, mentre glielo
porgeva- «Poi, si sa che la
solidarietà maschile... Io so già che me lo
rovini, me lo fai diventare un
essere terribile: insomma, un uomo!»
Michele
la guardò
perplesso allontanarsi, mentre prendeva il bimbo in braccio.
«Vieni
qua, amore
di papà! Che bello che sei…»
mormorò, mentre lo faceva giocare- «Io e te,
sì che
ci capiamo, non come qualcuno, qua
dentro, che evita i problemi.»
Monica
sbucò, facendo
cucù dalla porta della cucina.
«Io
non evito i
problemi, solo che, non so te, ma non riesco a pensare a come
farlo…» ribatté, polemizzando
come al suo solito- «Ammetterai che non è la cosa
più comune al mondo!
Cosa
faccio?!
Vado
lì e dico: ‘Ragazze,
sapete la novità?! Vi devo dire una cosa: ve lo ricordate
Michele?! Sì, proprio
il mio quasi marito morto? Bene: è vivo, vegeto e ci amiamo
da morire, così tanto
che sono rimasta incinta.» borbottò tutto
d’un fiato lei.
Michele
la stette a
sentire in silenzio, dopo di che, accigliò gli occhi e
concluse con un: «Naa…lasciamo
stare!»
Monica,
disarmata
dal sorriso che lui aveva sfoderato, guardandola, abbracciò
i suoi uomini, scoppiando
a ridere.
~
(Un
mese e mezzo
dopo)
Monica
rifletteva
se stessa nello specchio della camera da letto calda, nonostante
febbraio si
presentasse fuori investito da un freddo innegabile.
Scrutava
in
silenzio l’immagine di quella sconosciuta
‘io’, cercando di convincersi che la
morbida dolcezza che stava acquisendo il suo corpo, in segno di una
vita
imminente, si sarebbe nascosta dietro le pieghe del vestito che aveva
indosso.
Purtroppo,
percepiva che non avrebbe potuto mantenere quel dolce segreto
all’inseguirsi
dei giorni che la spogliavano della sua verità lentamente,
mostrando l’esserci di
ciò che fin’ora aveva
serbato per sé.
Nel
rimanere
totalmente assorta in quell’osservazione tanto critica di
sé, non si accorse
della presenza di Michele che, arrivato dal corridoio alle sue spalle,
la
dissuase, cingendole i fianchi da dietro.
«Michele…»
sussurrò
lei, vagamente spaventata per poi voltarsi nuovamente verso
l’immagine dello
specchio, ora, più rassicurante di quella presente fino a
qualche istante
addietro- « Sei pazza?! Mi hai fatto prendere un
coccolone!»
«Sei
bellissima…» gli
mormorò lui all’orecchio, continuando a guardarla
con lui nel riflesso.
Monica
sorrise, facendovi
seguire un sospirone.
«Michele,
tra poco
non riuscirò più a nasconderlo...»
constatò lei, in tono realistico.
Michele
rispose con
il silenzio.
«Sapevo
che non ce
l’avrei fatta a nascondere a lungo una creatura...»
accennò lei.
«Eh…
non ce
l’aspettavamo di certo: ci ha fatto una bella
sorpresa.» rispose lui,
sfiorandole la pancia.
«Sinceramente,
era
l’ultima cosa che pensavo, quella di rimanere incinta di
nuovo, di te, poi…» rispose
lei, prendendolo in giro.
«Eh
beh… Vuoi
mettere, in Paradiso le angiolette non erano affatto
indifferenti…!»-la prese
in giro lui, ridendo.
«Ma
che stupido!»-
replicò lei- «Dato che confidi ancora nelle tue
doti di Don Giovanni, vai, che
aspetti?! D’altronde quelle ‘decolorate’
(disse, imitando il nitrito) con le
gambe chilometriche, tutte perfettine, sempre sorridenti sono meglio di
me, no?
Io sono umana con la ricrescita, spesso scazzata e, a breve,
diventerò una
mongolfiera- per giunta, per colpa tua, se proprio dobbiamo essere
fiscali- e
fai bene a lasciarmi qui, di nuovo, con due creature: sei il solito
maschio in
fuga con la ‘sindrome di Peter Pan’,
ammettilo!»
Michele
inarcò un
sopracciglio, spaventato dal tono minaccioso della compagna,
palesemente in
crisi di nervi.
«Oddio,
ricominciamo?! Monica… io rimango perché ci
amiamo!»
«Dici
davvero?»
chiese lei, arrossendo.
Michele
gli rivolse
uno sguardo perplesso; continuando a stare dietro di lei,
cercò le sue labbra per
baciarla per un po’, per sentirla tranquilla.
Stettero
a contatto
a lungo, finché Monica si allontanò lentamente.
«Michele,
si vede?»
domandò incerta, rivolta verso lo specchio.
«A
me piaci da
morire lo stesso.» rispose lui.
«Amore…»
-mormorò, voltandosi
in modo da poterlo guardare in volto- «Si nota tanto,
eh?»
«Veramente...»
iniziò
lui.
Lei
lo guardò vaga,
mentre lui fissava i suoi occhi azzurri, oscurati dal peso delle
preoccupazioni.
«Monica, basta: non nascondiamoci
più.»
***
Oddio
ragazze grazie!@Azue:Bentrovata anche qui (: Stai tranquilla,all'inizio
Efp sempre un mondo incomprensibile, poi, ci si abitua in fretta,Non ti
preoccupare ;)
@Ray08:
Io non so come ringraziarti!!! Sei veramente troppo carina (<3).
Spero che il risvolto che darò alla storia ti piaccia, anche
se,ormai, siamo agli sgoccioli. Grazi grazie grazie grazie davvero, non
sapete come sono felice (:
A
prestissimo
Smack
Smack
Chiara
|
Ritorna all'indice
Capitolo 12 *** XII ***
Chiacchierando
«Elio,
eccoti il pezzo
sulla statistica americana: è corretto e formattato come
avevamo deciso in
riunione.» proferì Monica al grafico, porgendogli
una cartellina rossa.
«Perfetto!
Allora,
adesso aspetto l’editoriale di Maya e Rosa e
l’articolo di Lea e, poi, posso,
finalmente, chiudere il numero.» annunciò
trionfante Elio, in risposta alla
direttrice.
«Ottimo!
Ragazze, dato
che siamo a buon punto, vi dispiace se vi lascio?»
domandò Monica, rivolta alle
colleghe.
«Qualche
problema,
Monica?» chiese Laura, avvicinandosi all’amica.
«No,
no no…Semplicemente
volevo andare a vedere come stava il mio amore: sta mettendo i denti
... Ma se
avete bisogno di una mano…» replicò con
tranquillità Monica.
«No,
nessun
problema.» le rispose Lea, senza distogliere lo sguardo dalle
bozze che stava
correggendo.
«Tanto
qui abbiamo
quasi finito.» seguì Maya, mordicchiando una
matita.
«Sì,
sì, va pure.
Appena abbiamo finito chiudiamo noi.» la
rassicurò Rosa, rivolgendole uno sguardo totalmente sereno,
nonostante l’entità
di confusione che regnasse sulla sua scrivania.
«Grazie
infinite, allora
vado! A domani...» li salutò lei, mandandogli un
bacio al vento da lontano, mentre
si avvicinava alla porta per uscire.
«E’
andata?» chiese
Lea che, sporgendosi dalla sua postazione, constatò che la
porta si era
realmente chiusa.
In
pochi istanti,
si scatenò l’inferno: scorribande distratte di
post-it, appunti, articoli,
foto, sedie e, niente meno, persone si inseguivano a creare un caos
inimmaginabile.
Si
ritrovarono
tutti e cinque, in meno d’una manciata di secondi, intorno
alla spaziosa
scrivania di Laura, con volti, a dir poco, sconvolti.
«Oddio!
Sembra
quasi di aver istituito un tribunale…»
constatò Laura, osservando cosa la
curiosità li avesse portati a fare.
«Ma,
infatti, non
sembra, è un tribunale! Per quanto improvvisata sia,
può ritenersi un consiglio
d’inquisizione.» continuò Lea, con
cipiglio più che mai determinato.
«Se...Dichiaro
aperta la seduta!» scimmiottò Elio, credendo di
risultare ironico, ma, in
risposta, ottenne solo occhiate torve, in segno che, probabilmente,
avrebbe
fatto meglio a tacere.
«Si,
ma, in fondo,
Monica che avrà mai fatto di male, scusate?»
chiese Laura retoricamente,
sperando che le altre fossero del suo stesso avviso.
«Ti
pare ‘niente di
male’ tenerci all’oscuro?! D’altronde, in
nome della vera amicizia, è giusto
dirsi tutto, fare partecipi gli altri dei propri problemi, come abbiamo
sempre
fatto o sbaglio?» -espose le sue ragioni Rosa
–«Non vedo perché debba
nasconderci qualcosa…»
«Qualcuno, vorrai dire!» -la
corresse
maliziosa Maya, dando particolar peso alla parola - «Ci
nasconde qualcuno!»
«Ancora
con questa
storia che Monica ha un uomo?!...» controbatté
Laura diffidente.
«Beh...
In effetti,
se lo avesse sul serio, non trovo perché non dovrebbe
dirlo?! Proprio tra di
voi che vi siete sempre raccontate tutto: non potete di certo dire che,
qui
dentro, regni la riservatezza, anzi, soprattutto per quanto riguarda il
sentimentale, non vi siete mai risparmiate. Infatti, è
proprio per tutte quelle
chiacchiere e quei ci-ci-ci, bla-bla-bla… che sono diventato
un astruso ibrido
in perenne crisi d’identità! » si
commiserò il poverino.
«Elio,
non è
affatto il caso di procedere con le rivendicazioni riguardo la tua
identità
sessuale...» commentò fredda Lea.
«E
poi, semmai,
devi ringraziare di essere diventato quello che sei perché
ti abbiamo
sollevato, seppur leggermente, dalla condizione squallida di partenza,
ovvero
di maschio…Sempre se...» soggiunse Rosa,
continuando ad infierire.
«Ma
vi sembra il
caso?!» -tuonò Lea infastidita- «Stiamo
qui a perderci in quisquiglie quando ci
sono questioni ben più importanti di cui
discutere!»
«Ma
c’è poco da
dire: qui, c’è un uomo!»
-continuò con le sue ragioni Maya,entusiasta di avere
argomentazioni a favore della propria tesi- «E poi, basta con
tutti questi
sentimentalismi! Magari, Monica si è
convertita al mio ex-partito: potrebbe trattarsi soltanto di
un’avventura, una
storiella, una botta e via!»
«Un
po’ squallida
questa cosa, no?» -notò retoricamente Laura-
«Ma, poi, Monica non è il
tipo…»
«No,
no: è escluso
che abbia un uomo!» incalzò Lea secca.
«E
cosa ti spinge
ad esserne così convinta?» chiese Rosa con aria di
sfida.
«Non
dirmi che non
l’hai notato!» -rispose
Lea con sufficienza
- «Monica è parecchio salita di peso, perdendo la
siluette più o meno decente
che aveva raggiunto per chissà quale concessione
divina… Solo che è stata
parecchio furba, ha tentato, per quanto impossibile fosse, di
mascherare con un
abbigliamento molto più morbido, tutto qui.»
«Sì,
ma con questo?»
chiese curiosa Laura
che non aveva colto
il nesso tra le parole di Lea ed i fatti.
«Monica
tende a
sopperire alle carenze affettive con i dolci e, quindi, ad ingrassare
quando è
single, mentre, quando trova la stabilità sentimentale con
un uomo, tende a
perdere peso: lo trovo elementare.» esplicò
esaurientemente e con la solita
mancanza di modestia la bionda.
«Non
l’aveva notato…»
confessò Maya, incupendosi in volto, per poi rasserenarsi
nel sospirare
sognante, rivolta ad Elio- «Sarà
l’amore…»
«Ecco
cos’era!
Avevo notato qualcosa di diverso...» ammise Rosa pensierosa,
ma illuminata da
quello sbocco parecchio plausibile.
«Però
non
dimentichiamoci dell’espressione che ha
ultimamente!» avanzò Elio.
«Ecco!Visto
che le
sai tutte : come me la spieghi l’espressione rivelatrice che
ha tutte le
mattine, io ribadisco che quella è...»
infierì Maya tanto infervorata da
tartagliare.
«Sì,
lo sappiamo
cosa vuol dire quella faccia!!» sbuffò scocciata
Rosa che, da un mese a quella
parte, si impegnava a interrompere l’amica per evitare che
proferisse
volgarità.
Lea
tacque.
«Lo
vedi che non riesci
a spiegarlo neanche tu?!» la punzecchiò Maya,
accompagnandovi un ghigno
soddisfatto.
«In
ogni caso, per
quanto io sia disinteressato…»-iniziò
Elio, fermatosi subito dopo al cogliere i
volti delle colleghe allibiti dall’assurdità
appena pronunciata- «Dicevo che,
in ogni caso, tutte ‘ste teorie non ci porteranno da nessuna
parte!’
«Elio
ha ragione.»-
constatò Laura realista- «In fondo, ragazze, le
abbiamo provate tutte: abbiamo
origliato alla porta, abbiamo tenuto sotto controllo il telefono,
abbiamo
passato a setaccio il suo ufficio e abbiamo, persino, pagato il tuo
amico corriere
perché le facesse il filo…
tutto questo,
per capire se aveva un uomo!»
«Beh…
In effetti,
detto così, sembra un tantino maniacale questa
cosa…» ammise Rosa perplessa.
«Giusto
un
tantinello...» commentò Elio, assorto a guardare
il soffitto.
«Rimane
un modo.»
buttò lì Laura con disinvoltura.
Gli
sguardi degli
altri, in quel momento, puntavano la bionda in modo tanto inquietante
da
provocare ansia.
«Beh...
Basta
metterla alle strette, chiederglielo palesemente.» concluse
Laura con
naturalezza.
«Eh…certo!
Figurati, se ce lo dice!» esclamò con tono denso
di scetticismo Rosa.
«Io
penso che sia
il modo più proficuo: forzarla eccessivamente non serve e
ingannarla tanto meno,
per di più è molto scorretto.» -fece
notare Laura molto analitica- «Se
veramente si fida di noi, vedendoci ben disposti, credo potrebbe
aprirsi.»
Seguirono
scambi di
sguardi molto perplessi.
«Tentar
non nuoce.»
rispose poco convinto Elio.
«Mmm...Io
propongo
l’ammutinamento!» dichiarò Maya.
Laura
si coprì il
volto con le mani dall’esasperazione, mentre Lea e Rosa le
rivolsero sguardi
molto interessati.
«E
in cosa consisterebbe
questo ammutinamento?» domandò Rosa curiosa e
stimolata.
«Beh...Rifiutiamoci
di lavorare, d’altronde, se lei non ha fiducia in noi, non
vedo perché dovremmo
continuare a ignorare la situazione e fingere
l’unità d’un tempo.»
spiegò Maya.
«Vuoi
indurla a parlare
con il senso di colpa, quindi?» dedusse Lea, guardando la
rossa con aria
maliziosa.
«Certo!»
civettò
Maya con sguardo furbo, facendo l’occhiolino.
«Questo
si chiama
‘ricatto’!» annotò Laura,
discorde.
«Mmm…sì,
forse è
più esplicito come termine, ma il fine giustifica i mezzi,
no?» ribadì Maya più
che mai convinta, con un sorrisetto.
~
(il
giorno dopo)
Laura
entrò in
redazione in consueto ritardo.
Per
cercare di
sminuirlo o per lo meno di farlo passare più inosservato
possibile, si mise a
correre sul parquet in legno, ma si fermò di stupore davanti
alla scena che le
si presentava dinnanzi.
Monica,
seduta sui
gradini della scala di legno, aspettava che il suo
‘processo’ iniziasse,
guardando la ‘controparte’, schieratasi per
l’occasione dinnanzi a lei,
appoggiandosi alla scrivania di Rosa.
«Non
ci posso
credere! Ti hanno imputata all’inquisizione?»
domandò Laura con tono carico di
cinismo.
«No,
si è
consegnata da sola: non ci ha neanche lasciato il gusto di prendere
l’iniziativa...» ammise Maya leggermente delusa.
«Ah…bene!
Vedete:
era giusto confidare nel senso dell’amicizia!»
avanzò retorica Laura, sorpresa,
ma sorridente.
«Sì,
va bene, va
bene, ma ora vogliamo sapere!» risposero i quattro in coro.
«Perché
ammetti: quello
sguardo è il solito tuo… quello
rivelatore!» l’accuso quasi Maya.
«Maya,
ti ho detto
di no! Come spieghi che è ingrassata!?»
ribatté Lea.
«Ma,
soprattutto, perché
non ce l’hai detto?» avanzò Rosa,
sovrastando le altre.
«Comunque,
a parte
tutto, tesoro, ti consiglio vivamente una dieta per rimediare per
quanto tu sia
un caso critico, forse si può tentare di
migliorare.» soggiunse Lea con il suo
solito cipiglio, mostrando superiorità.
«Beh…
temo che, per
i prossimi sei mesi, la dieta andrà
rimandata…»- buttò lì Monica
- «So che sarà
difficile capire cosa sto per dirvi, perché sembra assurdo
anche a me, però è
la verità…»
«Su,
non tenerci
sulle spine!» la invitò a parlare Elio.
«Sono
incinta:
aspetto un bambino, da tre mesi.» ammise, abbassando lo
sguardo.
«Cosa
sei tu?» si
assicurò d’aver sentito bene Lea.
«No,
aspetta un
attimo, tu sei incinta di tre mesi e non ce l’hai
detto?!» chiese Rosa.
«Ma…un
attimo:
scusate, sbaglio o mi manca un tassello?!» domandò
sbigottita Maya.
«Bene,
ecco… è
proprio quello il problema! Solo che a parole è un
po’ complicato…Vi dispiace, se
vado un attimo a… così capite?» disse
Monica, facendo cenno che sarebbe uscita.
Si
diresse
lentamente verso la porta, la aprì e vi si sporse per un
attimo.
Nel
frattempo, le
altre ed Elio farneticavano tra di loro, non prestando attenzione a
ciò che
stava facendo l’amica.
«Vieni…»
sussurrò
lei, tenendo la mano di Michele nella sua, percorrendo il corridoio,
finché non
arrivarono ad essere esposti agli sguardi degli altri, i quali si
voltarono
distrattamente, per, poi, rimanere allibiti e immobili, dinnanzi alla
vivida
immagine che si presentava ai loro occhi increduli.
Era lui.
Per
quanto fosse
impensabile, un angelo caduto dal cielo tornava, anche se era
impossibile,
quella presenza non profumava di sola illusione.
Stava
dietro
Monica, le cingeva i fianchi e manteneva il silenzio, capendo quanto
fosse
difficile accettare il suo ritorno.
«Ecco
il tassello… quello
mancante, insomma…» scherzò,
timidamente lei, abbozzando un sorriso.
«Elio,
devo essere
impazzita! L’amore mi fa venire allucinazioni, traveggole e
cose del genere:
pensa che sto vedendo Michele!» disse Maya, ridendo
nervosamente.
«Mi
dispiace
deluderti, tesoro, ma lo vediamo anche noi...» le rispose
Rosa allibita.
Lea
e Laura si
scambiavano, taciturne, sguardi sconvolti, mentre Elio si avvicinava.
«Michele.»
mormorò
lui, quando gli fu davanti per, poi, abbracciarlo.
Silenzio:
non
rimase altro.
Si
guardavano tutti
negli occhi, pensando di assistere a un sogno, una farsa, uno scherzo,
un’illusione ottica o, comunque, tutto ciò che
potesse dissociarsi nettamente
con la dimensione del reale; finché Michele non ruppe il
silenzio.
«Io
so che non mi capite,
ma vi assicuro che neanche per me è stato facile. Sono
pronto a spiegarvi
tutto, se lo vorrete... E, se non lo vorrete, vi capisco e accetto,
però
dovevate saperlo… Soprattutto perché Monica non
centra, sono io che le ho
chiesto di aspettare, di nasconderci…»
Monica
si sedette
sulle scale, fissando le espressioni degli altri che continuavano a non
proferire parole e abbassavano il volto per incredulità e
timidezza.
L’unica
a fare un
passo avanti fu Laura, anche lei, come Elio, gli si avvicinò
e lo abbracciò in
silenzio.
«Per
quanto mi
sembri un sogno, ci sei mancato tanto, sai? Paolo non è
più lo stesso senza di te…»
gli sussurrò, sfidando l’incredulità,
guardando Michele negli occhi.
«Anche
voi mi siete
mancati, non sapete quanto.» ammise Michele, sorridendo al
coraggio di Laura
che, ancora, lo stringeva forte.
Le
altre imitarono
l’amica, quando lui si avvicinò loro, nonostante
fosse difficile dovettero
ammettere a sé la realtà delle cose.
|
Ritorna all'indice
Capitolo 13 *** XIII ***
Amici
«E
con questa nuova identità, ho ritrovato
Monica che, nonostante tutto, mi ha riconosciuto. A Natale, non
l’avete più vista
perché è venuta a cercarmi e da allora siamo
tornati a vivere insieme, intanto,
‘quelli lassù’ hanno deciso che potevo
rimanere accanto a lei… Ho
chiesto io a Monica di non parlare, ma, ora, non volevamo e non
potevamo più
continuare a nasconderci e ...eccoci qui…»
concluse il suo racconto Michele che
aveva sfidato per tutto il tempo gli sguardi attoniti degli altri.
«Non
può essere...»
si sfiorava la fronte Rosa, molto frastornata.
«Ti
capisco, neanche
io mi crederei, probabilmente...» la rassicurò
Michele con un sorriso.
Le
altre non
parlavano.
«Michele,
ti va di
incontrare Paolo?» propose Laura che sembrava essere quella
più pronta ad
accettare la verità.
Michele
annuì.
«Lo
chiamo allora.»
«Ma…
Laura,
aspetta! Per Paolo sarà difficile accettarlo: diglielo tu
per prima.» la
interruppe Monica, consapevole di quanto sarebbe stato difficile
rivelare a
Paolo il ritorno dell’amico.
~
(la
sera stessa)
«Paolo,
ti prego!
E’ da questa mattina che non dici una parola...»
disse dolcemente Laura a Paolo
che restava seduto sul letto, fisso a osservare il vuoto- «Ti
capisco, ma è una
cosa bella, per quanto possa sembrare assurda, è vera e
dobbiamo accettarla, affidandoci
a quello che vediamo, anche se richiede lo sforzo di non capirla a
fondo. Anche
Monica ha faticato a elaborare questo ritorno, ma è stata
forte e ha capito che
non poteva ignorare la verità, solo perché
sembrava surreale il fatto che fosse
vivo…»
Paolo
continuava a
non rivolgerle né sguardi né parole, imperterrito.
«Paolo…»
sussurrò
lei, sfiorandogli un braccio.
«Laura,
io non
capisco.» disse piano, non distogliendo gli occhi dal vuoto.
«Forse,
se si vuole
bene a qualcuno, capire non conta poi così tanto.»
seguì Laura con delicatezza.
«Michele
è morto,
Laura.» ribadì Paolo stanco.
«Michele
adesso è
vivo: questa è la verità che tu lo voglia o no.
Il tuo è un capriccio: non vuoi
affrontare la possibilità di illuderti e procurarti una
delusione... Ma, Paolo,
tu ne devi essere felice.» controbatté Laura
secca, sperando di dissuaderlo.
«Laura,
tu ci
credi?» domandò Paolo, voltandosi verso di lei.
La
donna annuì.
«E
come fai a
esserne così sicura?» insistette l’uomo.
«Sento
di essere
felice di quello che è accaduto, mi fido del mio istinto e
credo in Monica che,
tra l’altro, è di nuovo incinta...»
rispose con naturalezza lei.
«Monica
aspetta un
bambino?» domandò lui, guardandola stupito.
«Sì
e spera tanto
che sia una femminuccia.»
«Ma,
allora…»
«Allora
no, non è
un sogno, Paolo...»
«Ho
sempre lottato
contro l’idea che Michele non ci fosse più, che mi
avesse lasciato solo...
Anche
perché era
lui che aiutava me, che mi faceva capire cosa era giusto e cosa non lo
era.
Mi
ha aiutato a
crescere Cristina ed era l’unico a starmi vicino quando
è morta Eleonora...»
rifletteva Paolo, abbassando lo sguardo per nascondere gli occhi,
ormai,
lucidi.
«Non
hai mai
accettato la sua morte...» -le fece notare Laura, cercando i
suoi occhi- «Però,
ora, dovrebbe essere più facile pensare che lui
c’è e non è cambiato niente tra
di voi.
Per
quanto
spaventato sia, Michele è forte ed è capace di
dare tutto quello che portava
con sé un tempo, anzi, forse ci può insegnare
qualcosa in più...»
«Sono
stato un
idiota a scappare davanti alla realtà!» ammise
lui, rimproverandosi.
«Beh…Hai
dimostrato
il tuo attaccamento a ciò che si dimostra certo: hai bisogno
di sicurezze come
tutti, ma, il fatto che tu abbia sbagliato, non ti preclude la
possibilità di
recuperare.»
~
Paolo
stava seduto
su un muretto, attendeva muto che il tempo giocasse il suo corso.
Michele
camminava
verso di lui, lentamente senza forzare l’attesa che lo
separava dall’amico che,
questa volta, sentiva non sarebbe fuggito.
Senza
parlare, lo
raggiunse e si sedette a fianco a lui.
Trascorse,
passando
di lì, una catena d’attimi vuoti, muti, confusi;
Michele scrutava il cielo sereno
di quel pomeriggio, portandone l’essenza a ragione del suo
respiro.
«E’
bello, vero?» avanzò
Michele sognante, sempre rivolto verso l’alto.
Paolo
distolse lo
sguardo proiettato, fino ad allora, a terra e puntò gli
occhi in alto a
imitazione dell’amico.
«Sai,
non ci avevo
mai pensato prima, ma il cielo a marzo è davvero
meraviglioso!
Nessuno
se ne accorge
finché non gli viene negato.
Quando
comprendi
che tutto quello che è qui, sotto questo cielo, non
potrà più far parte di te,
delle tue ore e rimane solo il ricordo a consolarti…Solo
allora, capisci che
hai perso le cose più
importante, che
non sono il corpo, i soldi, gli oggetti... ma si riassumono in un
segreto
confessato a un amico come te, in un litigio con la tua donna, nel
vedere un
figlio addormentarsi e restare a guardarlo, nel calore di casa quando
rientri
l’inverno, nel fermarsi ad ascoltare il mare in una
conchiglia e nel contare i
minuti quando pensi che tutto va storto... insomma, nel sentirti vivo.
La cosa
più piccola, più buia diventa quella mancanza
opprimente che non lascia respiri
dietro di sé…
Rivederti adesso: questo
sì, che è davvero una ragione per respirare
ancora.» disse Michele, continuando
a perdersi nei disegni delle nuvole su quella tela d’azzurro.
«Sono
uno stronzo!»
-esclamò l’altro, guardandolo
negli occhi – «Sei la persona a cui ho affidato,
praticamente, tutta la mia
vita e non ti ho creduto…»
«Lascia
stare! Non
è colpa tua; non
ti preoccupare!»
ironizzò l’altro, facendogli
l’occhiolino nel cogliere l’amarezza delle parole
di Paolo.
«Tu
non cambi mai!»
esclamò Paolo, facendosi sfuggire un sorriso.
«Ma
vieni qua,
imbecille!» replicò l’altro ridendo,
mentre lo abbracciava.
«E’
bello che sei
qui…» confessò Paolo con le lacrime
agli occhi.
In
risposta,
Michele gli sorrise soltanto.
«Comunque,
ora che
ti posso parlare da vicino senza limiti, te la posso dire una
cosa?» chiese
Michele.
«Certo!»
rispose
l’altro, illuminatosi in volto.
«Sei
un ingrato!
Possibile che fai tutto di testa tua! Neanche avere i santi in
paradiso, ti
convinceva ad ascoltare, eh?» disse l’altro con uno
scappellotto.
«Ma
te che ne sai?»
«Come
che ne so?! E
Valeria, er Mollicone, quello stralunato di mi’ fratello,
tu’ moglie ubriaca
perché la tradisci, e
‘Metti una sera a
cena’…!» elencò
l’altro, preso dal discorso.
«Ma,
allora, eri
davvero tu?» chiese l’altro euforico, sfoderando un
sorriso a trentadue denti-
«Non eri un sogno!»
«E
non ero un sogno,
no! Le pene dell’inferno in pieno girone celeste riuscivi a
farmi passare! Mai
una volta che mi avessi ascoltato!»
«E
tu con le angiolette,
ne vogliamo parlare?»
«Ma...Lascia
Stare!» esclamò Michele con sguardo complice.
Paolo
scoppiò a
ridere, mentre faceva all’altro cenno d’alzarsi.
«’n
birra adesso si
può fare, no?» propose Paolo.
«Mmm…
Seee! Ma non
facciamoci sentire troppo, sennò quella
rompi...»-si corresse -«quell’adorabile
centralinista chissà che
me’ fa quando torno!» ribattè, ridendo,
Michele, alzandosi e incamminandosi con
l’amico a fianco.
«Comunque,
tornando
a noi, tu non devi da’ consigli sulle donne che sei
pericoloso, a mio fratello,
poi… State uno più impedito
dell’altro!»
«Ma
era lui !»
«See!
Mo’ era lui e
io so’ fesso!»
Quelle
voci
risuonavano distorte a ogni passo, seguendo il loro allontanarsi; uno
accanto
all’altro, riscoprivano la complicità di sempre,
al di là del tempo che era
passato.
Aveva
ragione
Laura: forse, quando si tiene a qualcuno, i
‘perché’ diventano veramente parte
dell’inutile; dinnanzi a tutti quei dubbi…
..rimanevano solo quelle due ombre
allontanarsi vicine.
|
Ritorna all'indice
Capitolo 14 *** Epilogo. ***
‘Meraviglioso’
Vivere
significa nascere ad
ogni istante.
La morte
subentra quando il
processo della nascita cessa.
(Erich
Fromm)
Squilla il
telefono.
«Michele,
finalmente: è la settima volta che provo a
chiamarti!» disse Paolo.
«Scusa,
Paolo… Ma,
sai, sono qui, in compagnia di una donna bellissima e...»
confessò Michele.
«Ma che è,
sei
scemo?! Che fai, Monica ti ammazza, se lo scopre!» si
innervosì Paolo, quasi
uscendo dal telefono, tanto era alto il suo tono.
«Ma…»
cercò di
giustificarsi l’altro.
«Ma cosa? Michele,
che scuse ti vuoi inventare?!» continuò
innervosito l’amico.
«Ma che bisogno
c’è
di inventare delle scuse?! Monica lo sa…»
«Cosa?! E
com’è che
mi stai parlando al telefono, allora? Cioè,
com’è che sei ancora vivo?!» gli chiese
sarcasticamente.
«Ma ci mancherebbe
che mi uccide adesso!... Comunque, la dovresti vedere: è la
fine del mondo, ha
due occhi…» continuò Michele.
«Eh beh…
due occhi,
un naso e una bocca: che discorsi sono?!» tuonò
Paolo disperato.
«Ma guarda
che…» fu
interrotto.
«Perché ti
sento
così male?» domandò Paolo.
«E’
perché ho le
mani impegnate!» esclamò l’altro.
«Michele! Oddio, sei
uno sciagurato e tu mi parli al telefono mentre chissà cosa
fai!» urlò Paolo,
in preda alla disperazione.
«Ma che hai
capito?!»
«E Monica? Come
l’ha presa, come sta?» si preoccupò
Paolo.
«Bene!
Beh…certo,
un po’ stanca, ma…» venne interrotto
Michele.
«Ma voi siete tutti
pazzi!Tu sei con una e...»
«E ha, anche, gli
occhi blu, sai?» rispose inebetito Michele.
«Un’altra
con gli
occhi azzurri?»
«Eh beh, se devo
essere sincero, ci speravo!» confessò
l’altro.
«Ma come ci
speravi?! Tu una donna ce l’hai già!»
gli ricordò furibondo.
«Eh beh!
S’offenderanno mica se di donne nella vita ne ho
due!» esclamò Michele con
notevole disinvoltura.
«Devo anche mettermi
a ridere? Farti un applauso, Michele?» domandò
minaccioso.
«Boh… Fai
tu!Ho
altro a cui pensare in questo momento, però, se vuoi venire
a vedere la mia
bambola...’- non riuscì a terminare la frase
l’amico.
«Che? Devo pure
venirla
a vedere? Ma non ci posso credere, sembrava andare tutto bene e
invece…»
«Ma va tutto
benissimo, infatti!» lo rassicurò Michele.
«Per te
sicuramente!»
«Ma anche per
Monica, ti dico!» ribatté.
«Eh, figurati! Te
lo racconto io come ci si sente a essere cornuti!» rispose
con un velo di
rammarico Paolo.
«Nono, aspetta! Ma
che hai capito?»
«Che stai tradendo
Monica con una figa con gli occhi blu, no? La
bambola…!»
«Ma secondo te io
posso tradire Monica con la mia bambola:
una neonata di due ore che, tra l’altro, è figlia
mia!?» lo canzonò Michele, ridendo.
«’Figlia
tua?’…Ma
Michelino è un maschio!» controbatté
Paolo confuso.
«Paolo, sveglia!
Monica ha partorito!»
«E’ nato! E
non me
lo dici?!» ebbe il coraggio di chiedere l’altro.
«Eh…se
m’avessi
fatto parlare, te lo avrei anche detto!»
«Ma è una
notizia
meravigliosa! E com’è?»
«E’
bellissima!...
Ma avevi dubbi? E’ figlia mia!» confessò
l’altro con tono denso del suo scarso
senso di modestia.
«Ma, allora,
è proprio
una femminuccia?»
«Sì,
sì, certo!! ‘A
bambola!’» lo prese in giro Michele.
«E come
l’avete
chiamata?»
«Diletta.»
«Diletta…»-
ripeté
Paolo assorto- «Beh, allora, chiamo Laura e arrivo
subito!»
«Ah…! Vedi
che la
vuoi vedere la bambola!?» rise l’interlocutore per,
poi, terminare la
telefonata.
~
«Ma che aveva
capito Paolo?» chiese Monica ridendo, mentre teneva Michelino
tra le braccia.
«Aveva capito che
ti stavo tradendo con la bambola, qua presente.»
mormorò lui, stringendo la
manina della bimba che teneva in braccio.
«Guarda che potrei
diventare parecchio gelosa…» confessò
lei, ridendo.
«Ma gelosa di che?
E’ uguale a te...» le rispose lui, prendendole la
mano per intrecciarla alla
sua.
«Eh beh... menomale,
almeno lei! Guardalo qua, invece, un Ventoni
doc. fatto con lo stampo!» ribatté lei
nel guardare Michelino giocare, in braccio a lei.
«Buon segno,
no?» chiese
lui.
«Beh,
dipende!»-
disse, ridendo, lei per, poi, rivolgersi al piccolino- «Mi
raccomando, tesoro
mio, il naso di papà no!»
«Che ha il mio naso
che non va? Guarda che è un attributo che mi rende
interessante!» chiarì lui,
colpito nell’orgoglio.
«Ma su! Fai
l’offeso? Io ti amo anche con il naso
così…» lo prese in giro lei, ridendo.
In quell’istante,
rizzarono le orecchie captando un vocio vagamente familiare,
proveniente dal
corridoio.
La porta si aprì di
colpo, mostrando l’entrata dinoccolata e confusa di Maya,
seguita a ruota da
Elio e Rosa.
«Oddio!»
esclamò
Maya, sull’orlo di piangere per la commozione.
«Questa volta ce la
siamo presa con comodo perché pensavano al T.p.l.d.s, al
fatto che l’ultima
volta ci hai fatto patire le pene dell’inferno, ecc.:
< C’è
tempo,quindi!>, invece ti troviamo qui che l' hai già
fatta?!» chiese
ironicamente Rosa.
«E che ci deve fare
poverina!?» soggiunse Elio, scorgendo Monica che rideva.
«Beh, sarà
l’amore…!»
sospirò Maya.
«Eh...’A
Elio, che
gli hai fatto a questa?! Mi spaventa: era l’eroina
sostenitrice de ‘una botta e
via’ e, adesso, è più inibita di
Biancaneve» scherzò pungente Michele.
«Guarda che anche
tu non scherzi! “Non credo nell’amore, non voglio
rapporti stabili,...” e, adesso,
sei qui a perdere il senno con una bimba tra le braccia: chi
l’avrebbe mai
detto, eh?!» avanzò Rosa, con gli altri a suo
seguito.
«E come si chiama
questa principessa?» domandò Elio, sorridendo alla
piccola in braccio al papà.
«Diletta.»
dissero
in coro Monica e Michele.
«Diletta?!
E’
carino, ma come mai?» domandò Rosa.
«’Il mio
diletto è
bianco e vermiglio!'» scoppiarono a ridere i due, lasciando
gli altri confusi.
«A me piace
‘Diletta’ e, poi, Elio, guarda che meraviglia!
Sembra un’angioletta...» si
lasciò andare ai sentimentalismi la rossa, civettando
rivolta al fidanzato.
Monica analizzò
quelle parole, fermandole in sé e facendole sue; in
quell’attimo, comprese il
segreto di cui Michele non aveva mai azzardato confidenza.
Un segno:
che mediocrità, che scaramanzia!
Forse, era un pretesto:
ciò che sarebbe bastato a
proteggere una realtà molto vulnerabile, sgorgante con
veemenza dalla purezza
più estrema.
Una
vita, nonostante l’incontro con la
morte, non può trovare riscontro nella negazione della
stessa.
La voglia di vivere
non esaurisce la sua potenza, neanche dinnanzi alla fine.
Nell’indifferenza e
nella mancanza di attenzione che rivolgiamo a ciò che
è minuto, taciturno, fragile
e privo di protezione si racchiude il senso
più profondo del ‘bello’.
Questa bellezza
passa inosservata, nascondendosi all’estraneità di
uno sguardo troppo fugace.
Dalla vogliosità,
di chi non smette di stupirsi della vita, sboccia il ricordo di chi ha
sognato
di non morire, pur accettando che la fine vera esistesse.
E a chi rimane, a
chi sente, a chi vede, a chi soffre, a chi tace è data la
missione di riscoprire
dove cercare un ricordo da portare con sé, per mezzo della
propria esistenza.
Monica aveva
capito: il ‘Blu’ non azzarda, non scherza; il Blu sceglie, il Blu vuole.
Dare adito alle
fatalità, potendo giostrare la vita, per ‘quelli
lassù’ non era opportuno.
Gli sguardi di
Monica e Michele si incrociarono per un istante di profondo e, forse,
bastò;
quella verità rimase custodita nel magnanimo ed affidabile
silenzio.
Monica sorrise,
incontrando Michele e i suoi occhi.
Si rivolse a Maya
e, con naturalezza ed una lieve risata, affidò al vento la
prova dell’avvento
della sua consapevolezza.
<‘Angelo’> (?)
«Ma chi ti dice che
non sia caduta dal cielo?»
In
quel momento…
due
piccole mani
bianche si agitavano, due occhioni blu sgranavano la loro luce; tutto
questo, nell'osare
il tocco dell'aria : nella sorpresa di scoprirsi vivi al Mondo.
La morte
si vince con la vita. La morte si dimentica vivendo.
La morte
si perde davanti a una rosa che sboccia, a un bimbo che nasce.
Nascere,
piccolo, è cadere nel tempo.
(Maria
Cvetaeva)
***
Eccoci
alla fine!
Che dire?! Se non che è stata un'avventura, quando ho
iniziato non avevo affatto idea di cosa sarebbe stato e voi che avete
letto,che avete commentato mi avete aiutato ad avere la voglia di
scriverlo per me e per voi. <3
Quindi non posso fare altro che ringraziarvi tanto tanto tanto tanto
tanto tanto e ancora perchè siete state fantasticheee e ne
approfitto per dire pubblicamente che vi adoro!
Spero vi sia piaciuta la storia tutto sommato e che vi piacere il
capitolo qui di seguito, che è anche l'epilogo!Per chi non
si è stufato di me, posso garantire che
continuerò a scrivere su questo fandom,anzi, ho 'Quello che
le donne non dicono' in corso, una raccolta di sette brani minimo per
un contest in cantiere (e lo vedrete prestissimo, se lo vorrete
ovviamente), due one shot assicurate (una su Cristina e una su Monica e
Michele-ma guarda un po'!Proprio insolito xD-) e altra roba con cui non
vi tedio ulteriormente!
Ringrazio Music Addicted,Ray e Claudia infinitamente per le ultime
recensioni <3 ^^ *_____________*
|
Ritorna all'indice
Questa storia è archiviata su: EFP /viewstory.php?sid=535993
|