Halo. Flying Away.

di Cinderella In Love
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** I ***
Capitolo 2: *** II ***
Capitolo 3: *** III ***
Capitolo 4: *** IV ***
Capitolo 5: *** V ***
Capitolo 6: *** VI ***
Capitolo 7: *** VII ***
Capitolo 8: *** VIII ***
Capitolo 9: *** IX ***
Capitolo 10: *** X ***
Capitolo 11: *** XI ***
Capitolo 12: *** XII ***
Capitolo 13: *** XIII ***
Capitolo 14: *** Epilogo. ***



Capitolo 1
*** I ***



Note dell’Autore: Questa fan fiction nasce dalla mia voglia di inventare un eventuale ritorno del mio personaggio preferito di ‘Tutti Pazzi per Amore’, ovvero, Michele (interpretato, divinamente,a parere mio, ma questo non fa testo, da Neri Marcorè ) morto durante la prima puntata della seconda stagione della serie, causando l’ ahimè inevitabile la scissione della storia d’amore più bella del fandom (scusate, ma proprio non riesco a non perdermi in digressione portanti bandiera delle mie inclinazioni in ambito di preferenze. xD).
Disclaimer: 'Questi personaggi non mi appartengono, ma sono proprietà di Ivan Cotroneo, Monica Rametta e Stefano Bises (Autori della serie tv 'Tutti Pazzi Per Amore'); questa storia è stata scritta senza alcuno scopo di lucro'. 

 

A Roberta.♥

 

 

«Halo» Flying Away.

 

Indaco dagli occhi del cielo

 

 

Invece No.

"I sogni sono illustrazioni dal libro che la tua anima sta scrivendo su di te."

(A. Drew) 

«E se un giorno guardandoci negli occhi sentiamo che non è più la stessa cosa ce lo diremo..»

Quelle parole risuonavano vane nel loro compimento, nelle stanze di quella casa vuota.
Era finito tutto.
Tutto era terminato nuovamente, anche se, questa volta, il potere d’incidere la parola ‘fine’ era custodito nel volere di lei.

Adriano se n’era andato e, insieme a lui, erano fuggite tutte le sue cose, tutte le sue parole ed il loro stesso, impercettibile rammarico d’amore.

Non era amore e Monica era arrivata a comprenderlo, ma solo nel momento in cui poté giungere al rincontrare la passione e la dolcezza infinita di quelle labbra.

Nulla era sopravvissuto alla sua memoria, non dopo quel sospiro di baci..
Lo voleva ancora, anche se fosse stato solo per lei e per un immenso scambiarsi sguardi di profondo che raccontassero di loro per sempre.

Adriano non era lui.

Davanti al ripercorrersi incessante del ricordo d’un angelo, che si voltava a sorriderle di nostalgia, in quello che diveniva il loro addio, lei non poteva amare di nuovo.

Non poteva esser amante d’un estraneo che non possedesse quell’anima, a cui la sua s’era sottomessa per rimanerne prigioniera.

Quei mattini, trascorsi a mentire allo specchio, sbiadivano la verità di vivere e sorridere sinceramente: basta menzogne!
Così, era arrivata a cedere a confessare il suo amore mancato.

Adriano, in quel periodo, scorgeva da lontano il gelo schermatosi tra loro, ma, nel sentirsi impotente, non aveva affrontato il rischio di incontrare sofferenza e di doversi vedere arreso a lasciare l’amore.

E poi,fu solo una frase:

«Adriano, io non ti amo.»

Quelle parole erano scaturite dalla bocca di Monica, nell’esasperazione provata fino ad allora per trovar la forza di ammetterlo a sé.
Solo attingendo coraggio dal viso del suo bambino, aveva potuto confessarsi, pur sentendosi colpevole d’aver provocato un’ulteriore delusione all’altro, in quel caso all’uomo che aveva accanto.

Adriano aveva atteso quel momento.
Sapeva che sarebbe giunto e non sarebbero esistiti compromessi, scuse, difese: era la verità a ribadire che il suo destino non era l’amore di quella donna fatale.

Lo sentiva, ne aveva sempre posseduto sapienza : quella donna non avrebbe mai potuto appartenergli.

Per Monica sfuggire da lui era inevitabile perché la carezza della libertà l’accompagnasse sempre ed ancora, perché potesse rivivere della luce che, con un soffio d’immenso, si era cullata in lontananza e sempre più via da lei con il volo di quell’angelo, così sospirato.


Adriano disse addio a quella vita, a quella casa.
Non domandò il perché.

Forse, quel segreto che svelarsi non voleva, si era sempre rivelato vivo e limpido nel profondo di quell’uomo: quella risposta aveva sempre dipinto la sua presenza nella sua anima.

Chiudendo alle sue spalle quella porta, lasciò il vuoto dietro sé.

~


~ Parlami come il vento fra gli alberi.
Parlami come il cielo con la sua terra.
Non ho difese,ma ho scelto di essere libera.

Adesso è la verità,l’unica cosa che conta. ~

 Avrò cura di tutto quello che mi hai dato.

Monica era accovacciata sulla manona.
Custodiva, nella dolcezza della culla che erano le sue braccia, stretto a lei e al battito del suo vivere, ciò che della vita e del suo senso e poesia le rimaneva.

Lo abbracciava profondamente, respirando alla luce di quegli occhi grandi.
La sua vita o ciò che ne restava era stretta a lei.

Senza lui, senza il suo farsi sentire, senza il suo agitare i piedini in quel vestitino blu e bianco, si sarebbe sentita perduta, dimenticata, troppo avvolta di solitudine per custodire ancora la voglia di vita.

Invece, si abbandonava nel sospirare del rivivere lui, nello splendore della creatura che proteggeva.

Lui, in quel ridere d’innocenza estrema e nient’altro.
Lui, in quella manina che accarezzava le sue dita per impedirle d’abbandonarlo.
Lui, nella forza che quel visino, ora mai addormentato, riusciva a trasmetterle semplicemente esistendo.
Lui, in quegli occhi scuri e tanto grandi, immensi quel tanto da nascondere e custodire l’intera vita di chi si soffermava a scorgerli.
Quegli ‘specchi d’anima’ narravano quanto bruciasse vivo il fuoco del voler sentire le parole del suo uomo ancora e quanto quella libertà, così improvvisata, fosse segno del tornare a respirare, nella brezza che rimaneva di quel suo amore passato e del suo divenire memoria.

Nel perdersi in quel cucciolo d’uomo e amore perduto, l’abbandonarsi nell’infinto di ciò che era stato: rivivere il suo uomo.
Monica rimase sola con i suoi sussurri, intenti a non dare una fine alla favola che raccontava al sonno del suo piccolo.

«Cucciolo, se non ci fossi tu che senso avrebbe? » sussurrava Monica ,contemplandolo.

Continuava a cullarlo con la delicatezza con cui si tiene gelosamente la sinuosità d’una rosa bianca tra le dita per non privarla dell’ultimo raggio di sole,come della prima luce di stelle.

Monica si voltò per un istante verso il portafoto sul tavolino, lì a fianco.

Lacrime.
Gocce di malinconia e amaro dolore le rigavano interminabilmente il volto.

La luce di quel ritaglio di luna, curioso d’affacciarsi a quella finestra, faceva risplendere il divenire reale e visibile di tanta sofferenza.

«Parlami, ti prego. Parlami ancora.
La libertà che ho scelto per me e la solitudine mi uccidono,Michele…
Io non volevo lasciarti. » sussurrava con voce rotta e tremante in quella ninna nanna e nel silenzio che, ad essa, si abbracciava,accompagnandola.

«Io ti sento Michele…

 Sarà questo vento che mi sfiora, ma io ti sento.
Sento ancora le tue mani, Michele.» continuava la voce della donna imperterrita.

Il suo sussurrare non trovava quiete in quella notte : continuava morbido e denso di sofferenza.
La sua preghiera al Vento ed al suo padrone Cielo non trovava stanchezza nello scrivere quanto volesse sentire quella voce e quel loro sfiorarsi, per sperare ancora,seppur nella notte e il suo nulla estremo.

Il sonno non possedeva abbastanza clemenza per concedersi a lei, distrutta dai ricordi.

Allora, si scrollò e portò il suo piccolo nella culla, baciandolo delicatamente sulla fronte.

Rimase nella viva speranza di non svegliarlo, in modo da poter godere della sua immagine tranquilla, fino a quando si sarebbe sentita abbastanza forte da tentare d’addormentarsi.

Stanca di quella tortura incessante, si stese sul letto, accoccolata a ciò che di quell’uomo le restava.

Quella camicia azzurra divenne, infatti, l’unica,flebile e profonda speranza di ritrovare il suo profumo e ubriacarsi d’illusioni dolci: miraggi in grado di mostrarle ciò che rimaneva d’un baglio di vitalità distante anni luce dai suoi occhi, ma serbanti un retrogusto amaro.

Quei momenti erano gli unici in cui Monica si spogliava della sua maschera di sicurezza, davanti agli altri fingeva d’essere ferma e risoluta: serbava lo stralcio più intimo della sua anima solo per sé.

Ma, d’altronde, Monica sapeva che l’unico capace di scorgere le sue fragilità era Michele… e, in quel momento, lui non c’era.

Nella sofferenza che le mani tentavano di nascondere, strinse la sua camicia e se la mise sulle spalle; poi, si alzò.

Aveva capito che la notte sarebbe stata attrice di troppa brutalità perché la sua anima strutta potesse combatterla sola; per questo, prese tra le braccia il suo vero senso di vita e si distese nuovamente.

Si addormentò cullandolo, ma le lacrime- quelle – non vennero dimenticate dai suoi occhi, durante il pendolo che si rivelò quel buio, queste imperlavano i suoi occhi, lasciando una scia della loro esistenza sul viso, ormai stanco nell’aspettare  l’arrivo del giorno.

 



***

Eccomi ^^Questa è la storia con cui partecipo al contest Return indetto da 'amimy': non potevo di certo farmi sfuggire l'occasione per far tornare in vita Michele!!!
La sto ultimando,ma intanto inizio a postarla anche qua.
E' una one-shot molto lunga quindi per comodità e per accrescere la suspance la pubblico suddivisa in parti.
Spero vi piaccia (=

Smack Smack

Calime.

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Capitolo 2
*** II ***


E dimmi che non vuoi morire.

 

 

Michele se ne stava seduto su una nuvola spersa.

La sofferenza, profondamente vigliacca, si impossessava di lui in un crescendo continuo col passare di quei momenti.

Sentiva che lei soffriva, proprio come lui in quel momento, proprio come sempre.

Non tentò di mostrarsi immune,combattivo e forte davanti allo sgorgare di quel dolore puro, mascherato in acerbe lacrime.

Avrebbe voluto porre termine al pianto di Monica, stringendola a sé, passando la notte sveglio a raccontarle fiabe, distraendola dalla tirannia della realtà regnante.

 

Successe qualcosa in quelle ore d’oscuro.

 

La Voce (Angelica) fingeva la solita risolutezza con il sussidio del suo suadente tono di voce, ma non vi riusciva: la scena che si recitava autonoma, dinnanzi al suo sguardo vigile,in quanto onnipresente, era troppo cruccia per restarne indifferente.

Così, nel modo più dolce immaginabile, lo chiamò:

«Michele…»

 

Michele, accucciato nelle sue ali grandi, non si mosse.

Inclinò leggermente il volto verso l’alto, quasi speranzoso d’un’inconsistente elemosina di misericordia che potesse donargli speranza sufficiente per continuare ad assistere alla vita reale, seppur dall’alto.

 

«Michele, forse è il caso di parlare.»

«Ma io non ho fatto nulla questa volta, almeno non consapevolmente…

Beh sì, ammetto che l’ho pensata, ma…» cercò di giustificarsi l’uomo.

«Michele, no. Non voglio prendere provvedimenti, non questa volta!» annunciò.

 

Michele, attonito, si alzò in piedi e si incamminò, mantenendo il silenzio per tutto il suo cammino: quell’assenza di rumori era, difatti, rotta, soltanto, dall’andare dei suoi lenti passi svogliati.

 

Raggiunta un’immacolata e candida cabina telefonica, Michele attese che l’apparecchio musicasse con il suo dolce suono d’arpa per, poi, rispondere.

 

«Michele, buonasera.»

«Buonasera anche a lei, anche se così buona non si preannuncia…

Dovete smetterla di farmela vedere così triste, per Giove!»  esclamò deciso l’uomo, pur mantenendo tristezza nel tono.

«Ahi ahi ahi! Cosa facciamo qui? Diamo adito al paganesimo e alla collera?! Proprio nel momento in cui siamo propensi ad aiutarla, Michele?» lo intimorì la voce con tono contestatario.

«Scusi, scusi, scusi, per la carità di Dio! Io…» cercò di rimediare con tono mesto lui.

«Di nuovo?!» osservò Angelica, denotando con quell’appunto la sua natura estremamente puntigliosa.

«No, no, no: mi rimetto alla clemenza della corte!» sottostette Michele sarcastico, alzando le mani al cielo per paura di compromettere, ulteriormente, la sua posizione.

«Andiamo meglio, nonostante questo consueto spirito di contestazione sia sempre presente, eh?!» sentenziò la voce acida e vogliosa di arrivare al punto e concludere il discorso- « In ogni caso, veniamo al dunque! Michele, ha visto cosa sta accadendo?»

«Certo che vedo: è una tortura vedere Monica così! Difatti, per evitare di ricorrere al turpiloquio,  chiederei di essere esonerato dalla vista del mondo reale a questo punto perché…»- l’uomo non ebbe tempo di terminare.

«Michele, davvero rinuncerebbe al contatto terrestre pur di non vederla soffrire?» chiese sorpresa e intenerita Angelica.

«Certo! Sapere che non è felice mi rende più sofferente di lei…» ammise l’uomo.

«Allora, ne è davvero innamorato…» concluse con un sospiro la centralinista.

«E me lo chiede anche?! Farei di tutto per poterla incontrare anche solo in sogno…» continuò Michele, rattristandosi ulteriormente.

«Michele, lei si accontenta davvero di poco…» si lasciò sfuggire la voce.

«Cioè?» domandò incuriosito.

«Beh.. E’ veramente raro che avvenga, ma, per una volta, anche a noi quassù è sfuggita la situazione di mano.» ammise controvoglia la donna, contraria al dover confessare una negligenza.

«Mi perdoni, ma credo che, nell’operazione ‘montaggio ali’, mi si siano arrugginiti i padiglioni auricolari, potrebbe ripetere l’ultima frase?» s’accertò esterrefatto il moro, in attesa di delucidazioni.

«Ha sentito bene Michele: ci siamo sbagliati! Ma che ci vuole fare? Ci concederà pure che qualche piccolo imprevisto sfugga anche alla nostra accortezza celeste, no?» sostenne Angelica, imponendosi con un certo vigore.

«Sì sì, certo, d’altronde, la mole di lavoro, qui, non è indifferente e lei, mi permetta, lo sbriga magnificamente.» la lusingò l’uomo, con voce suadente.

«Adulatore...» si lasciò sfuggire la centralinista, ammaliata dal complimento appena avanzatole.

«Modestamente…Ma mi dica, dove c’è stato l’errore, la magagna, insomma?» domandò con impazienza il moro.

«Beh… Il problema sorge in Monica, ha visto come sta? Se non fosse per il bambino che avete avuto insieme, penso che non troverebbe la forza di proseguire e questo non è il suo destino. Per questo, abbiamo pensato di rimediare ed assecondare il destino che spetta a questa ragazza.» proferì la Voce senza interruzioni.

«Monica sarà felice, no? Me lo garantite, vero?» chiese preoccupato.

«Michele, penso che questo compito spetti a lei, sa?» buttò lì la voce, retoricamente.

«Penso di non aver colto il messaggio…» replicò dubbioso e scombussolato l’uomo.

«Quassù, si sono consultati a lungo e hanno decretato che lei fosse la persona più adatta per garantire la felicità di Monica: d’ora in poi, il compito spetterà a lei, Michele!»

«Ma io come posso renderla felice se, stando qui, sono totalmente impotente?» chiese confuso.

«Ecco! Proprio qui ci si trova dinnanzi all’inconveniente tecnico. Infatti, dovrà abbandonare la sede attuale e tornare alla postazione iniziale.» annunciò la donna.

«Torno nel mio adorato ufficietto immacolato , con la radio, la tessera per i colloqui bucata, irrimediabilmente, a mo’ di tarme nell’armadio?! Non potevate farmi più felice!!Questa sì che è una notizia!» proruppe con enfasi Michele.

«No, no, no: non ci siamo capiti! Michele, lei torna giù, ma proprio giù: sulla terra!» chiarì la Voce.

«Come torno giù?! Tornerò a vivere?»

«Che domande? Certo! Non vogliamo mica improvvisare un ‘Ghost’ de no’altri!!

Qui, siamo gente seria e, tra l’altro, quel film l’ho visto troppe volte, ormai, faccio quasi fatica a commuovermi: non si rivelerebbe affatto entusiasmante!» sentenziò, in tono risoluto, Angelica.

«Oddio!! Mi svegli, la prego: sembra un sogno!!!» urlò raggiante.

«Oh no, Michele! Oddio sì, è una bella notizia, ma non sarà così semplice, purtroppo…»

«Immaginavo…» soggiunse l’uomo, nuovamente, in preda allo sconforto.

«Le condizioni saranno tanto chiare quanto inamovibili: lei tornerà nel suo corpo, ma con un’identità alternativa in apparenza...» esplicò, restando sul vago.

«Cioè?» chiese con rassegnazione l’uomo, constatando la sua difficoltà a comprendere.

«Avrà un altro nome: tutti penseranno che lei sia un sosia del vero Michele e lei non potrà rivelare a nessuno la sua vera identità, altrimenti le sarà revocata la possibilità di portare a termine l’operazione.» spiegò.

«Ma, allora, come farò? Dovrò ricominciare tutto da capo?» domandò Michele.

«Beh no…Dovrà ristabilire i legami preesistenti alla sua morte, con Monica soprattutto, la quale dovrà capire chi si cela dietro il finto nome che la coprirà. Lei, Michele, dovrà impegnarsi a farglielo capire, ma inconsapevolmente, con nulla che possa rivelarsi esplicito. La difficoltà ulteriore consisterà nel fatto che il vostro amore dovrà manifestarsi entro un mese dalla sua comparsa nella realtà terrena. Spero di essere stata esauriente a sufficienza.»

«Ho capito e come comprenderò se mi ha riconosciuto?» domandò ancora.

«Beh, dovrà chiamarla con il suo vero nome, in tal modo, manifesterà la scoperta della sua reale identità.» constatò la donna.

«Tutto questo nell’arco di un mese?» soggiunse interrogativo Michele.

«Esatto!» rispose secca la donna .

«E se non riuscissi a ristabilire il rapporto preesistente con lei?»

«Sarebbe segno che non è lei la persona destinata a riportare la felicità nella vita di Monica, ma se così non fosse…» esplicò, ulteriormente, la voce.

«Se così non fosse?» la invitò a continuare l’uomo.

«Beh, starebbe a significare che il vostro destino è quello di affrontare la vita insieme, nell’amore che vi unisce…»

«Ma come farò ad averne conferma?»

«Stia tranquillo, nel verificarsi di quell’eventualità, l’arrivo d’un segno chiarirà il vostro futuro, Michele.»

«E se non cogliessimo il significato di questo segno?»

«Suvvia, sarà difficile non coglierlo, Michele! Penso abbia capito, nell’arco di tempo che ha trascorso qui, che, quassù, le cose o si fanno in grande o non si fanno!» suggerì Angelica..

«Eh...come biasimarvi! A quando la mia partenza allora?» domandò Michele, ingenuamente.

«Partenza immediata!» esclamò la voce.

«Come? Subito?!» pose l’interrogativo, rimanendo sorpreso.

«Certo: non c’è tempo da perdere! Poi, non si ricorda?! E’ il primo dicembre e i preparativi natalizi fervono per tutti, anche e soprattutto per noi, e ogni faccenda in sospeso deve essere  sbrigata a tempo debito!»

«Il Natale è già alle porte?! Non lo ricordavo più…» sospirò l’uomo.

«Troppa tristezza, Michele…» motivò lei.

«Sì, però, questa seconda possibilità è il regalo di Natale più bello che mi sia mai stato fatto. Grazie…» ringraziò con voce rotta dalla commozione Michele.

«Ora vada.»-suggerì la voce- «Sia felice e buon Natale!»

«Buon Natale» ricambiò gli auguri con tono tranquillo Michele, scorgendo quello stralcio di paradiso per serbarlo nel profondo, prima di voltarsi verso ciò che rimaneva estraneo a lui, alla sua mente, al suo cuore…

 

Afferrò la sua valigia e, guardando verso l’alto, sospirò.

Il suo cammino iniziò e, ben presto, sentì l’inesistenza possederlo.

Prima di vedere quella luce nuova che si stagliava lì, dinnanzi a lui, esaudì un desiderio.

 

Non credeva potesse realizzarsi.

Era convinto che il destino avrebbe portato Monica lontana da lui ancora, ma, nella speranza di vederla una volta, fosse stato, anche, per una svista, decise che valeva la pena tentare di raggiungere l’immenso di riaverla.

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Capitolo 3
*** III ***


Ritrovarti, perdermi.

 

Il Natale era davvero alle porte.

Un freddo e desiderato dicembre si stendeva in quelle giornate dense di frenesia.

 

L’odio che Monica provava per il Natale si riproponeva sempre più forte e risuonante dentro di lei, ma la presenza di Michelino la invogliava, almeno per quanto fosse possibile, a fingersi velata d’una lieve felicità.

 

Camminava stanca per quella Roma, ormai, troppo affollata e scorgeva distrattamente ciò che si prospettava innanzi al suo sentirsi spersa, senza meta.

 

Troppe luci, troppi volti, troppi colori.

 

Nella sua mente, quei movimenti languidi si ripetevano come a rallenty, rendendosi insopportabili all’anima di quella donna, afflitta dall’impotenza.

Sentiva di non poter reagire a tutto ciò che opponeva un atmosfera dai colori così vividi, contro l’opaco che rimaneva del suo sentirsi stancamente viva.

 

In quel frenetico via vai: un volto.

 

Probabilmente, le notti insonni giocavano, tramite la stanchezza, a creare miraggi, visioni impensabili: non potevano essere realtà!

 

Eppure, Monica era sicura di aver scorto quel volto, lo ricordava perfettamente: era il suo.

 

Michele aveva fatto apparizione dinnanzi ai suoi vivi occhi azzurri che, ormai, apparivano come allucinati davanti a quel fotogramma, rubato di sfuggita a quella confusione: era lui, ma quel volto non poteva che essere sinonimo dell’impossibile.

Si voltò sconvolta dalla confusione che l’attanagliava e, seppur controvoglia, continuò a percorrere il solito tragitto per tornare a casa per convincersi di aver avuto una svista.

 

~

 

 

I giorni continuavano le loro scorribande, esaurendosi fugacemente, in quel freddo inverno di lacrime, in cui l’illusione di rivedere il volto di Michele, tra la gente, non cessava.

In quei giorni, intravedeva quel viso ovunque: al supermercato, nei gazebo dei bar,sulla via per arrivare in redazione, tra la folla di quelle strade affollate.

 

Monica non riusciva o, forse, non voleva dimenticare quel viso, visto, l’ultima volta, un paio di giorni addietro.

Quegli occhi neri- ricordati per caso in quella folla affannata- rendevano vivida la sua, tanto sgualcita quanto disillusa, speranza.

Ma, poi, bastava un attimo per farle intendere quanto il pensiero del suo ritorno fosse vacuo, vano, totalmente in preda all’impossibile.

 

Pensava che fosse un’allucinazione oppure l’illusione provocata dalla presenza d’un sosia.

Ormai, Michele era una presenza incontrastata nell’abisso dei suoi pensieri: quell’uomo e il piccolo -da lui lasciatole per non permetterle di cadere nell’oblio- erano, ormai, il Sole intorno al quale vagava l’ abbozzo di vita rimastale.

 

All’inquietudine, di cui i muri di quella casa si facevano protettori, non poteva esser dichiarata alcuna guerra  per tentare di sopravvivervi; perciò, Monica raccolse il coraggio d’uscire e con sé portò anche il piccolo Michele.

 

Uscì senza meta, ma poco importava.

L’incontro con il vento e gli estranei, lì fuori, sarebbero bastati a concedere una momentanea ed apparente tregua ai suoi pensieri tormentati.

 

Le code da seguire per sbrigare le commissioni sembravano essere infinte, proprio come il tempo che, nel suo scorrere, graffiava la clessidra delle percezioni di quella donna spenta.

Tutto ciò che la circondava assumeva movenze distorte e nulla poteva penetrare lo specchio di diffidenza che aveva innalzato con ciò che era diventato, a lei, estraneo.

 

Monica riteneva che l’unico a essere degno di divenire la sua ragione di vita era il piccolino che teneva tra le braccia; lo stringeva forte a sé, ma qualcosa ruppe il suo sentirsi estranea alla realtà.

 

«Scusi…» la dissuase una voce calda e profonda,  giusto dietro lei.

 

Fu inevitabile: qualcosa la invogliò a voltarsi, a riconoscere il possessore di quelle parole…

 

Lo vide: era lui o, forse, era come lui.

Dinnanzi a lei si presentava un uomo alto, di carnagione olivastra e capelli scurissimi, proprio come gli occhi con cui la  stava scrutando.

Indossava, nient’altro che, un cappotto nero, dal quale spuntava il colletto della camicia bianca, e un paio di jeans scuri, mentre ai piedi portava delle semplici scarpe scure.

La barba era incolta e lo sguardo tranquillo- che concedeva, proprio in quell’istante, un irresistibile sorriso- annientava uno stralcio di forza che si era infusa per sopravvivere a quella voglia di uscire da lì.

 

Michele, dal canto suo, rimase sconvolto dinnanzi al realizzarsi del suo desiderio più intimo: rivedere quell’oltremare d’occhi.

 

Era proprio lei: la sua donna, come un tempo, rimaneva immobile davanti a lui.

Michele la scrutava tanto profondamente da riuscire a spogliarla di tutto ciò che non erano loro, tramutandola in donna vera.

Non poteva resistere e nascondersi a lei, fingendosi un estraneo: non voleva mentirle.

 

I loro due cuori, ora, pulsavano all’unisono per lo stupore del ritrovarsi: l’emozione di un tempo, l’immenso di sempre in pochi istanti, intrisi di casualità.

 

«Scusi, è… è lei l’ultima, l’ultima della fila?» domandò l’uomo, con voce tremante.

Monica si limitò ad annuire timidamente, rimanendo immobile, posseduta da un’altra dimensione al solo pensiero di avere davanti a lei il suo uomo.

 

Intanto, il piccolo che aveva assistito a quell’incontro, rimanendo,pressoché, impassibile tra le braccia della mamma, all’udire quella voce sembrò riconoscerla, infatti, iniziò voltarsi verso l’uomo, sperando di essere abbracciato.

 

Monica osservava in silenzio, continuando a tenerlo tra le braccia, per poi perdersi nei suoi occhi, cercando risposta in quel viso insoddisfatto da quell’abbraccio negatogli.

La confusione scarabocchiava i suoi pensieri, rendendo impossibile ogni tipo di riflessione plausibile.

 

Michele celava malinconia nel sorriso che illuminava il suo viso stanco.

Avrebbe desiderato stringere suo figlio, ritrovandosi nei suoi occhioni lucenti.

Lo guardò ancora, lungo istanti che parvero nascondere in loro la poesia di secoli d’oro, ma vedere quel viso triste, dovendo constatare la sua impotenza, lo spinse a fuggire da quell’emozione, da quel rincontrarsi tanto dolce quanto crudele…

 

Quella fuga improvvisa invitò le lacrime ed il pianto di quella creatura che, ancora, stendeva le braccia minute nell’intento annientare il vuoto che quell’uomo portava con sé e nella scia di ricordo che stava perdendo dietro sé.

Voltandosi, lasciò quell’abbraccio a metà e una donna troppo disillusa per voler credere oltre.

 

 

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Capitolo 4
*** IV ***


Comprendere il buio.

 

Monica fissava lo schermo del computer, stando seduta alla scrivania, ma la voglia di scrivere ben era lontana da lei; per questo, decise di tirarsi su il morale - per quanto fosse possibile- e, così, scese dalle scale che separavano il suo ufficio dal caos della redazione vera e propria.

 

Maya parlava al telefono, mentre Elio armeggiava con photoshop, mordicchiando la penna.

Lea e Rosa erano indaffarate a ricercare maree di articoli di numeri scorsi per racimolare nuove idee e Laura se ne stava sola e sognante, assorta nelle sue fantasie, fissando il vuoto.

 

Insomma, la consuetudine regnava.

 

Monica non fece altro che sedersi sulla scrivania di Rosa, al momento sgombra, per osservare i suoi amici: ovvero, le uniche persone che potevano rendere il lavoro degno d’essere vissuto con serenità.

 

Rosa, scorgendo Monica, seduta sulla sua scrivania, lasciò Lea in preda ai suoi puntigli e si avvicinò all’amica. Si sedette affianco a lei e avvolse le sue spalle, abbracciandola.

«Monica, che succede? Qualcosa non va?» domandò l’amica con tono premuroso.

«Rosellina mia, tutto non va; ma, d’altronde, sono o non sono la sfigata di turno?!» rispose Monica, sorridendo sarcastica.

«Beh… Sì, però non sei l’unica: guarda me!» constatò l’amica, ricambiando il sorriso.

«Bene! E’ una ventata d’ottimismo vedere che, per consolarci vicendevolmente, dobbiamo pensare alle sfighe degli altri!» ribattè, mentre rideva.

«Beh,in effetti… Però è un modo per sentirci unite, no? Per sentirci amiche, complici…» le suggerì.

«Ti voglio bene, Rosa.» le sussurrò Monica.

«Anche io, tesoro.» rispose, stringendola a sé.

 

«Cos’è quel promemoria?» domandò Monica curiosa, riferendosi ad un post-it giallo, affisso sullo schermo del computer, sulla scrivania dell’amica.

«Ah…sì! Sempre riguardo la fase di ripresa emotiva, stasera c’è il dottor Freiss in televisione…»

«Il dottor Freiss, hai detto?»

«Sì, perché?»

«No, niente.. Non l’ho mai visto, però, ricordo che Miche…»- soggiunse Monica, interrompendosi subito, per poi riprendere- «No, nulla! Ma a che ora è?»

«Alle 20.30 su Rai 1, ma perché? Sei interessata?» chiese l’amica incuriosita.

«Ma no, figurati! Ci manca solo più che vado a consultare il mio sfigometro da uno strizzacervelli! Suvvia Rosa, che andiamo dicendo!?» smentì Monica, mentendo soprattutto a se stessa.

 

Infatti, perseverò nel non perdersi neanche una delle parole che il grosso psicologo pronunciava in tono solenne, vantando la sua sapienza.

Continuava ogni giorno a cercare se stessa, la sua storia, le sue confusioni, i suoi dubbi, il suo dolore nelle casistiche che, ogni giorno, venivano esaminate dal dottor Freiss e la sua signorina.

 

La delusione sopravveniva ogni sera. al termine d’una puntata che, di quello che lei cercava, non svelava nulla.

Non rimaneva nient’altro che quel dannato numero di telefono in sovra-impressione, in grado di scorrere per una buona decina di minuti senza stancarsi.

Monica lo fissava e finiva ad odiarlo tanta era la voglia di sperimentare la follia di digitare quei numeri,scritti in blu, sulla tastiera del telefono. Inoltre, era curiosa di scoprire, se quel buffo stereotipo di scienziato e il vanto della sua formazione freudiana sarebbero stati capaci di convincerla di non esser caduta nel baratro della pazzia.

 

Un giorno dovette cedere: l’esasperazione era troppa per poterla ignorare ancora.

 

~

 

«Signorina Liverani, si accomodi su!» l’accolse il grosso psicologo sdraiato, almeno per metà, sulla grossa poltrona di pelle nera su cui era adagiato.

 

«Buongiorno….» lo salutò Monica intimorita, porgendogli la stretta di mano e rimanendo impalata dinnanzi a lui.

L’uomo rispose al saluto porgendogli, a sua volta, la mano e, cogliendo la stasi che affliggeva la donna, la spronò, indicandole la sedia: «Si accomodi! Avanti, che aspetta?»

«Oh sì, scusi!  Iniziamo subito?»

«Certo! Non siamo mica qui a pettinare le bambole, come si suol dire, no?» esclamò ironico il dottorone.

Monica, in risposta, abbozzò un sorrisetto che fece capire a Freiss la mancanza di tatto e ironia che stava avanzando con le sue frecciatine.

«Comunque, signorina Liverani, mi dica! Qual è il problema che la spinge a domandare una mia consulenza?»

«Beh,sa...non è proprio così facile da spiegare, anzi, forse non è stata una buona idea venire fin qua…» cercò di spiegare Monica, in preda al panico di dover affrontare il suo pulsante orgoglio, mettendosi a nudo dinnanzi ad un perfetto sconosciuto.

«Scusi…Monica, vero?» domandò il dottor Freiss retorico.

«Sì, certo, ma lei come fa a saperlo, scusi?» chiese Monica, sorpresa ed intimorita dal fatto che il dottorone conoscesse il suo nome.

«Lasci stare...Non domandi!!» si lasciò sfuggire lo psicologo, mentre si dondolava sulla poltrona in pelle.

«Come ha detto scusi? Quel modo di dire mi è vagamente familiare…» saltò su Monica, sempre più inquieta.

«Ma suvvia, avrà frainteso!» cercò di rimediare Freiss.

«Ah…va beh! Però, il mio nome come lo sa?» domandò ancora la donna.

«Beh, io so di lei molte più cose di quanto lei non pensi, sa?!» soggiunse l’uomo, facendole l’occhiolino.

«Ah si?! E…» non fece in tempo a concludere Monica.

«Signorina, eclissiamo, la prego!»- la invitò il professorone, per poi continuare- «Dicevamo? Quale sarebbe il problema che la spinge a richiedermi una consulenza?»

«Beh, ma non è mica una cosa spiccia, che si sbriga in cinque minuti: io sto diventando pazza!» sentenziò preoccupata Monica, nel constatare il suo sentirsi al limite del folle.

«Di preciso, cosa la induce a credere di stare impazzendo?» domandò il dottor Freiss, intento nel formulare ipotesi.

«Vedo il mio ex fidanzato ovunque, ma questo non è possibile perché Michele è morto da un anno e mezzo...» ammise Monica a fatica, mentre gli occhi celesti diventavano umidi davanti alla confessione d’una verità così amara e innegabile.

«Capisco… E cosa c’è che non va in tutto questo?» chiese il dottorone con tono pacato.

«Come cosa c’è che non va?! Me lo dovrebbe dire lei!! Io non posso vederlo perché Michele non c’è, non c’è più.» replicò la donna amareggiata, in un tono a metà tra i polemico e la sfida.

«Signorina, io capisco che può sembrarle strano, ma le assicuro che, almeno nel suo caso, non è patologico, anzi…» la rassicurò lo psicologo, ancora abbandonato alla morbidezza della sua poltrone.

«E quindi? No, scusi; si spieghi perché non sto capendo granché, anzi, a questo punto, il pazzo mi sembra lei!»-sbottò infervorata, all’udire di quelle apparenti assurdità.

«Signorina! Io sono un luminare, rappresento la personificazione della razionalità! Come può dubitare del mio stato di salute mentale?!» domandò irritato Freiss.

«Eh…scusi, che pretende?! Io vengo qua, nella speranza di chiarire i miei dubbi e le mie ossessioni e lei mi dice che è normale vedere i morti!» osservò la donna.

«Ma su, Signorina! Mi creda, per quanto possibile: nel suo caso- e me lo faccia dire perché lo ammetto: ho avuto la soffiata! - è giusto assecondare queste visioni perché potrebbero rivelarsi propizie, intende?» confessò il professore con aria compiaciuta.

«No, lei mi sta parlando di soffiate e, secondo quest’ultime, io dovrei assecondare le visioni. Ho capito bene?» si accertò Monica molto confusa.

«Esatto, Signorina! Proprio così, si fidi!» la rassicurò Freiss.

«Ma io...» soggiunse la donna,prima d’essere interrotta.

«Mi dica:  ha percepito altri segnali, altre coincidenze, ambiguità?» domandò analitico lo psicologo.

«Beh...sì. Una delle ultime volte in cui mi è parso di vederlo, mio figlio, appena l’uomo ha iniziato a parlarmi, ha iniziato a comportarsi in maniera strana...» spiegò la donna.

«Mmm...Cosa intende?» continuò il dottore.

«Beh, sembrava volesse essere preso in braccio, poi, all’improvviso, l’uomo è sparito; mi sono voltata e non c’era più! Il bambino ha iniziato a piangere ininterrottamente e...» esplicò Monica.

«Signorina, tengo a spiegarle un fenomeno psicologico che si manifesta con frequenza negli infanti. Ecco:  i bambini, quando sono molto piccoli, risentono di un’influenza molto profonda con il legame esistente verso i propri genitori. Difatti, studi molto accurati hanno testato che essi riconoscono padre e madre con facilità sorprendente per una serie di fattori emotivi e psicologici, i quali vanno al di là della somiglianza a livello fisico: è un fattore chimico,d’appartenenza…»

«Scusi, mi faccia capire.. Lei pensa che mio figlio abbia avuto quel tipo di reazione  perché ha riconosciuto, nell’uomo che parlava con me, il padre?» chiese sbalordita Monica.

Il dottorone arricciò il labbro superiore nei folti baffi e soggiunse:

«Beh, direi che siamo sulla buona strada, signorina!»

«No, scusi, però…»

 

Mentre la donna si prodigava ad esprimere un pensiero che avesse senso compiuto per esprimere tutto il caos, provocatole dagli avvenimenti che la vedevano partecipe, il dottorone sembrò supplicare con lo sguardo perché qualcosa avvenisse, in quel medesimo istante.

 

E così, come per magia:

Un tintinnio.

 

«Signorina, il nostro tempo è finito...» constatò con un sospiro di sollievo Freiss, ormai, alle strette.

«Come il tempo è finito?! E non mi dice più niente, quindi?» domandò amareggiata la donna.

«No, signorina, altrimenti rischio di perdere il posto di lavoro perché mi sono fatto sfuggire più del dovuto…»- rispose l’uomo, mentre invitava la donna ad uscire.

 

Una volta chiusa la porta, il dottorone non poté far altro che sospirare per lo scampato pericolo:

 

< Mannaggia a me e alla mia dannata mania di sbirciare le sceneggiature...!! >  - ribadì tra sé Freiss, convinto, però, d’aver indirizzato la situazione per il verso giusto.

 

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Capitolo 5
*** V ***


Scarabocchiando il nulla.

 

Mancavano, ormai, all’incirca,una quindicina di giorni prima che l’incanto avesse fine.

Michele constatava quest’amara realtà nell’incerto rifugio che erano i suoi pensieri, ora, reduci dalla vittoria d’aver scolorito le sue flebili speranze.

 

Il suo desiderio si era, però, realizzato: quegli impenetrabili occhi celesti li aveva, finalmente, rivisti.

 

E riuscire a rivedere, anche, il suo piccolo era stato sfidare la lamina affilata della realtà, puntata impavida verso il suo cuore, nell’intento di ridurlo in brandelli.

In quei momenti, la sofferenza s’impossessava del suo inconscio, rendendolo totalmente incapace di pensare e di agire nei confronti della sua vita indifesa, il cui destino era custodito nelle sue stesse mani, tremanti di paura.

 

Edoardo Levantesi ?

 

Chi era?!

 

Forse, la persona che si sarebbe rivelata la più importante d’una vita, nonostante la sua inesistenza.

 

Era diventato lui.

Il corpo era lo stesso d’un tempo, ma fingere d’essere un altro uomo era un’impresa ardua: un’ altro uomo, un’altra storia rivendicavano i loro spazi, i loro tempi, ma che induceva Michele a voler scomparire dall’incubo di non ritrovare se stesso, forse, mai più.

 

Michele cercava di sfuggire alle parole d’un mondo troppo curioso per il realizzarsi d’un tale incanto, capace di farlo tornare dopo aver affrontato la morte.

 

Il suo nuovo essere, seppur temporaneo, gli imponeva di lavorare come barista in un locale, che spuntava proprio nel centro di Roma Antica.

La sua casa era un appartamento alla periferia di Roma, qualcuno da lassù s’era preso premura di provvedere a far sì che potesse condurre una vita più che dignitosa, durante lo svolgimento dello sperato realizzarsi di quella tanto ambita missione.

 

Stava tornando a casa: lungo le strade madide di pioggia, intravedeva i volti, udiva parole e sentiva sulle dita la vecchia Roma, proprio come l’aveva lasciata…

Nulla gli sembrava essere mutato, durante il suo assentarsi dal reale, ma la solitudine e l’indifferenza giocavano ad insediarsi senza preavviso e alcuna pietà sotto la sua pelle.

Ogni passo gli rivelava che la vera morte consisteva nel non ritrovare più sé stessi, trascorrendo le ore in compagnia d’uno sfuggente conto alla rovescia.

 

Provava dolore: il gelo di quei giorni, troppo lunghi per essere raccontati per intero, si nascondeva tra un the, un cappuccino, una cioccolata calda e un calcio d’esasperazione inflitto ad un’odiosa macchinetta del caffè.

 

Per nascondersi agli sguardi degli estranei, leggeva distrattamente un giornale, incontrando il vuoto in quelle parole.

Camminava a vuoto, assaporando ogni minimo istante, mentre perdeva le sue ali e la speranza di una vita nuova.

 

In men che non si dica, si ritrovò a dover aprire la porta di casa; entrò e, subito dopo essersi sfilato il cappotto, si rifugiò nella camera da letto.

Stava seduto sul letto, si crogiolava  in ricordi e troppe delusioni, preannunciando il proprio fallimento.

 

Si alzò per affacciarsi alla finestra per poter avanzare un’ingenua invocazione alla luna.

Per quanto questo le sembrasse buffo e immaturo, pensava che fosse l’unico modo per esprimere il desiderio di sentirsi chiamato col suo vero nome, sperando che questo potesse realizzarsi.

 

Guardando il cielo buio, si convinceva che era giusto dissuadere il pensiero di Monica: nonostante fosse impossibile, doveva dimenticare l’emozione che le provocava il pensiero di poterla cullare tra le sue braccia, ancora.

 

Michele pensava fosse meraviglioso stare muto e fermarsi a fissare le note stonate di quella radio in legno e lacrime che musicava un vecchio disco di Baglioni, ormai, consumato nel narrare l’agonia di amori impossibili, proprio come loro.

 

Nonostante la sua natura ottimista, cercava la fine di quel giorno nella sola speranza di trovare pace nel sonno, sperando di impedire al ricordo d’assalire  la sua temporanea fragilità.

Solo evitando il ricordo di Monica, sarebbe stato in grado di ritagliare un attimo di pace solo per sé e per poter dire fermamente alla sua anima:

 «Dimentica!».

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Capitolo 6
*** VI ***


 

Rincontrarsi.

 

Michele camminava per strada, sfidando lo stendersi di quel pomeriggio insolito, in cui un pallido sole- che giocava a farsi desiderare, spuntando a capolino- rendeva meno rigida l’aria tagliente che affliggeva il suo viso.

 

Le illusioni di luce delle vie preannunciavano l’arrivo di un Natale troppo imminente.

In quel susseguirsi di vie sfavillanti di luci e bagliori, Monica consumava i suoi passi, scostandosi da un caotico via vai.

 

Quelle ore mostravano una Roma stanca per la troppa confusione che l’affliggeva in quei giorni.

Folle, genti, regali dimenticati, urla, sussurri, pensieri, sospiri, propositi, speranze intense, riconciliazioni e problemi rincorrevano quei vicoli, nel loro snodarsi invano.

Quella città serbava in sé troppi segreti, ma era troppo timida per mostrarli alla folla che la popolava.

 

E pensare che è l’intensità d’un silenzio a scrivere l’immenso d’una vita intera…

Gridare è un nulla; un urlo trascorre fugacemente e, dopo essersi esaurito, nessuno ne ricorda più il senso.

 

Questo basti a spiegare perché, nel vocio indistinto di quelle strade, risuonavano unicamente i silenzi di un solo uomo e una sola donna.

I ricordi di Monica e Michele erano come cantati dalla voce inesistente, non desideravano esaurirsi nella foga di un urlo: infatti, ognuno li teneva per sé.

 

Monica si sforzava di non pensare; sarebbe stato troppo difficile credere alle teorie che la sua mente inventava per distrarsi.

Viveva ogni minimo brivido cullato dal vento, ogni volto acceso di vita, ogni parola senza, però, scorgerne il significato.

 

Nessun passante frettoloso  rimaneva estraneo alla sua attenzione, fino a quando non ne riconobbe uno in particolare, capendo che quell’uomo era davvero colui che aspettava da tanto.

 

«Michele…»  lo chiamò Monica, fermando i suoi  passi e rimanendo silenziosa, in attesa d’una reazione.

 

Immobile: Michele si fermò per un istante, quanto bastava a ricordare quanto fosse veemente il desiderio di sentirsi chiamato per nome, ancor più se a invocarlo era quella voce.

 

Si voltò e fece verità di quel segreto: scoprì se stesso.

 

Si ritrovarono a incendiare, irrimediabilmente, la distanza tra i loro corpi guardandosi, soltanto. Nonostante la vera lontananza risedesse nell’incredulità che nutrivano, decisero di avvicinarsi.

 

I loro passi si susseguivano rapidamente per annientare la distanza che li separava.

Monica, arrivata di fronte a lui, non smise di guardarlo e non solo con gli occhi, ma, anche, con anima, cuore, desiderio, mente e paure.

 

Michele, rispettando la fragilità di quell’istante, non riuscì a far altro che perdersi nei suoi occhi blu  per, poi, dirle solo:

«Ciao…»

«Ciao…» rispose lei con un sospiro, intimidita dall’assurdità di quel momento.

 

Michele le tese la mano per condurla altrove da quel via vai perché sapeva che, lì, non avrebbero trovato sufficiente intimità per il loro incontro.

Monica accolse la sicurezza trasmessa delle mani di lui; non si oppose con inutili incertezze.

Sentiva il calore nell’intreccio delle loro mani e fu impossibile non riconoscerle, non ricordarle, quelle mani. Quelle con cui si sentiva sfiorata dall’uomo d’allora, dall’uomo d’un tempo, dall’angelo di quel momento.

 

Michele si fermò al trovare un portico deserto ed una panchina libera.

«Vieni…» la invitò.

Si sedette vicino a lui, continuando a guardarlo negli occhi, senza parole.

«Michele…perché?» chiese lei supplichevole.

«Perché è vero Monica.. Non è un sogno, non questa volta..» rispose lui con dolcezza.

«Sei tu?»

Michele annuì.

«Non è possibile…» disse lei, continuando a reprimere lo sgorgare delle lacrime - «Michele è morto, non c’è più!»

Michele scrutava i suoi occhi, capendo quanto potesse essere difficile credergli, credere in un ritorno.

«Monica, ti fidi di me?»

«Come faccio a non fidarmi di te?» confessò lei, abbassando lo sguardo.

Michele non aggiunse altro, si limitò a sfiorarle il volto, invitandola a mostrargli il suo viso.

 

«Ti ricordi, ti ricordi quella notte?» chiese lei che, pur rimanendo intimorita e commossa, voleva metterlo alla prova- «Quando aprii la porta non c’eri, non c’era più nulla di te se non quella lettera…99...»

«Il tuo modo di sorridere, ma anche quello di piangere e quello di arrabbiarti…» la interruppe Michele, prima che potesse concludere la frase.

«E...100...» soggiunse lei.

«Il disordine che hai portato nella mia vita e non solo il giorno che mi hai distrutto il ristorante, ma tutti quelli che sono seguiti e tutti quelli che seguiranno...» continuò lui, nostalgico in volto.

 

Monica non cercò più di reprimere le lacrime e lo strinse.

«Michele…»-sussurrò -«Spiegami…»

Michele continuava ad accarezzarle le spalle, mentre si parlavano.

«Mi hanno fatto tornare perché non eri felice...» spiegò Michele, non allontanandola dalle sue braccia.

«Rimarrai?» chiese ingenuamente lei.

«Solo se, solo se dimostreremo di amarci,di amarci ancora. Sennò a fine mese, con l’anno passato, me ne andrò anche io...perché vorrà dire che non era destino che fossi io il fortunato che deve farti felice.»-spiegò l’uomo.

«Quindi, se dimostriamo di amarci entro la fine del mese, tu resti per sempre?»-concluse la donna, guardandolo negli occhi.

Michele annuì, a capo basso, poi soggiunse: «Sei l’unica ad avermi riconosciuto...»

«Davvero?» domandò Monica stupita.

«Sì, ho una seconda identità, adesso. Mi chiamo Edoardo Levantesi, pensa un po’…» disse Michele - «Non sai come reagire, vero? Pensa che neanche io riesco a capire, a fondo, tutto quello che sta succedendo. Non so più niente, neanche se questi giorni serviranno a qualcosa...»

Monica lo guardava, senza proferire alcuna parola.

«Va beh, io…» concluse l’uomo, facendo cenno d’alzarsi.

«No!» lo fermò lei, stringendogli un braccio per impedirgli di andarsene- «Dimmi dove ti posso trovare, se…»

«Corso Italia, 35/b, se vorrai...» rispose Michele, abbozzando un sorriso.

«Ti troverò?» chiese lei, speranzosa.

«Lo sai, ci sarò sempre per te…» soggiunse lui, sfiorandole il viso.

 

Poi, se ne andò, lasciando la sua mano sola, mentre il cielo si era colorato di buio e l’inverno soffiava i suoi brividi di freddo.

Monica rimase sola, guardando quell’angelo andarsene, camminando, voltato di spalle e non curante dei pregiudizi degli altri.

***

Ciao a tutte!!! Eccomi di nuovo! ^^
Scusatemi, ma ho l'influenza può essermi sfuggito qualcosa, ecc.. ù.ù
Comunque vi ringrazio sempre tantissimo a tutte quante!!! <3 siete davvero troppo buone!
E poi, rispondo qui,in breve, a Luana. Scusa se non ho più risposto per mp, ma davvero non sei tu ad essere stata brusca,ecc.. era davvero dovuto il chiarimento (:
scusa ancora..

Spero vi piaccia (:
A presto!!!

Calime <3

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Capitolo 7
*** VII ***


Natale.

 

Luci, parole, colori e gioia- almeno, per quanto possibile- brillavano sotto quel tetto.

C’erano veramente tutti!

Casa Giorgi – Del Fiore aveva aperto le porte a tutta la famiglia allargata: figli e rispettivi fidanzati, zie, nonni, Stefania e famiglia, la redazione al completo con tanto di dolci metà a seguito, ecc, ecc, ecc..

[pff!! Che fatica -.- ’]

 

Mentre l’andirivieni di quella casa si impegnava a diventare sempre più caotico, qualcuno aveva trovato un buon modo per isolarsi da tutta quella confusione, aizzatasi nell’arco di così poco tempo.

Infatti, Cristina, seduta sul letto della sua camera,accanto a Raoul, giocava con il piccolo Michele, senza dare importanza a nient’altro.

 

«Certo che è incredibile, Cris!»- notò Raoul, continuando ad osservarla.

«E’ incredibile cosa?» chiese Cristina, distogliendo per un attimo lo sguardo inebetito dalla creatura.

«Come cos’è incredibile?!»- replicò retorico Raoul –«Beh, è una bella sorpresa! Guardati: tu che perdi la testa per un neonato, non ci avrei mai scommesso…»- ammise intenerito il ragazzo.

«Ma questo non è mica un neonato qualunque! Michelino è come se è - boh...non lo so- come si dice in questi casi?! Un fratellino, un cuginetto, un nipotino o forse no; anzi, famo così: è tutte ‘ste cose insieme!» spiegò con il suo modo impacciato Cristina, continuando ad agitare un morbido coniglio di pezza dinnanzi al musetto del bimbo, intento a ridere delle smorfie che i due gli facevano.

«Te lo ricorda molto, vero?» chiese cautamente il ragazzo, diventando serio.

«Certo che me lo ricorda… A volte spero di poterci parlare ancora, di potermi confidare con lui.

 Per  me era come un secondo papà, non so se mi capisci…»- confessò Cristina, intristendosi in volto -«Io sono cresciuta con lui e papà, quindi sono contenta che sono la madrina di Michelino, così sento meno la mancanza, no?»

Raoul la abbracciò e le propose: «Senti, che ne dici di andare fuori a guardare le stelle?»

«Va bene!»- rispose Cristina – «Però aspetta ‘n attimo, che lo dovrò pure restituì ‘il pargolo, no?!»-continuò Cris, baciando il bambino sulla guancia, mentre si alzava dal letto.

 

Percorse il corridoio tenendolo in braccio e, arrivata dinnanzi al divano, in salotto, lo porse a Monica che, prendendolo in braccio, si rivolse alla ragazza: «Oh eccolo qua! Ti ha dato problemi?»

«Ma certo che no! Anzi...» rispose Cristina entusiasta.

«Cris ci perderebbe il sonno dietro a quest’angioletto: ne è innamorata persa ed io comincio, pure, a esserne geloso, per la cronaca!» confessò Raoul scherzando, mentre abbracciava la ragazza.

Monica, in risposta, sorrise.

«Madonna oh! Sei sempre il solito scemo!»- replicò Cristina rivolta al fidanzato, per poi riprendere –«Comunque, Monica, davvero, quando ce sta bisogno de faglie da’ ‘n occhiata, chiamami: mi fa piacere!»

Monica le sorrise e Cristina fece altrettanto per, poi, soggiungere- «Beh, sai, averlo con me per un po’- non so… magari capita anche a te- me lo fa sentire vicino ancora, lui...»

Monica la guardò, mentre il volto della ragazza si incupiva: «No, non capita solo a te.

Tutte le volte che lo guardo, per me, è come sentirlo ancora, ma, forse, ora che…»-si lasciò sfuggire Monica, mentre guardava il piccolo tra le sue braccia.

«Ora che…?» domandò Cristina, incuriosita e perplessa da quella frase lasciata a metà.

«No,niente. Pensavo a voce alta, volevo dire che, quando diventerà grande, sarà inevitabile pensarci, no?’-cercò di rimediare Monica, guardando i due ragazzi dubbiosi.

«Beh, certo! Come non farlo? E’ proprio spiccicato, come ‘a fotocopia, vero Raoul?» chiese Cristina, persuasa dall’entusiasmo ed apparentemente convinta dalla scusa di Monica, rivolgendosi al biondo.

«Sì, Cris! ‘A fotocopia, però, lo sai, che non ti posso dare conferme perché non l’ho conosciuto l’originale…» si giustificò Raoul.

«Ah vero, c’hai ragione…»- constatò la ragazza, proiettando i suoi, ormai, malinconici occhioni verde smeraldo a terra- «Però, se non fosse stato per lui, noi manco ci incontravamo, Amò...»

Raoul sorrise a Monica, nel frattempo, scoppiò a ridere al sentire parlare così serenamente del suo uomo.

«Sai, quando avrò bisogno di sentir raccontare di lui, verrò da te, Cris! Sei, probabilmente, l’unica persona che riesce a ricordarlo perfettamente come vorrebbe lui.» le confessò Monica con un viso sorridente, seppur ombrato di malinconia e dubbi incessanti.

Cristina le sorrise, quasi imbarazzata, e, prendendo per mano Raoul, si allontanò.

 

Gente, sguardi, amici e parole erano trascorsi inesorabili, davanti a lei, in quelle poche ore, ma solo il ricordo del sorriso, scaturito dal racconto di Cristina, sembrava dare un senso ad un’eventuale risposta per il suo futuro.

 

Guardando il suo piccolo giocare tranquillo tra le sue braccia, capì che senza la luce di quegli occhi neri, come la notte fuori la finestra in quelle ore, nulla avrebbe più posseduto senso per quanto concerne l’amore.

 

Ripensando agli sguardi, alle parole e all’essenza che esalava da quei giorni, capì che non poteva rinunciare alla forza che le trasmetteva la presenza del suo uomo per un capriccio dettato dall’ incredulità.

 

Ma il sentirsi donna, viva e capace di mostrarsi al mondo come ninfa, rivelando il suo essere ancora innamorata di lui erano tentazioni irresistibili, capaci di dichiarar guerra, persino, alla razionalità.

 

Tutti coloro che la circondavano possedevano una loro felicità; lei no

Quest’amara constatazione del presente, la spinse a imbrancare la sua vita tra le mani.

 

Lo voleva con sé, voleva realizzare una follia d’amore…o forse no?

 

Era folle, era immorale, era immaturo, era impossibile:

si sarebbe rivelato così, un altro sbaglio.

 

Eppure, la felicità degli altri, il Natale, il ricordo di Michele nel bambino che teneva con sè, l’ebbrezza d’un attimo e la voglia di trasgressione si schieravano davanti a lei, incitandola a realizzare i suoi desideri.

 

Quella follia si sarebbe rivelata giusta per lei, per quello che sentiva ed era ciò che poteva concretamente importare in quel momento, fosse stato per una notte sola o per sempre.

 

La sua felicità risedeva nel desiderarlo ancora e il Natale poteva,veramente, portare un’ occasione per regalarsi un ritaglio di speranza.

 

«Monica, tutto Bene?» domandò Laura, schioccando davanti ai suoi occhi le dita per riportarla alla realtà.

«Sì… Cioè non lo so, ma non ha importanza!» rispose sbalordita Monica – «Laura, senti, devo chiederti un favore enorme.»

«Dimmi» rispose la donna.

«Non mi fare domande, ti prego. Quando potrò, se mai potrò farlo, spiegherò tutto, ma ora devo andare.» disse Monica, tutto d’un fiato.

«Andare a fare cosa? Monica, è la vigilia di Natale!!» osservò perplessa l’amica.

«Sì,infatti. O ora o mai più, vado a regalarmi la mia felicità, per quanto folle sia, la voglio.» confessò spigliata.

«Ho promesso che non ti chiederò nulla,anche se…» fece per finire il pensiero Laura, prima di essere interrotta.

«No, ti prego…» la supplicò Monica.

«Vai allora…» disse Laura, sorridendole.

«Grazie…» disse, mentre l’abbracciava.

«Monica…»-sussurrò Laura prima che se ne andasse, facendola voltare - «Buon Natale…»

In risposta, un sorriso.

 

***

Rieccomi!! Scusatemi, mi sono fatta desiderare,ma l'influenza mi ha tolto l'ispirazione e,ahimè, ho dovuto rimandare di un paio di giorni la stesura del capitolo.
Vi ringrazio sempre tutte tantissimissimissimo!!
MusicAddicted: Lù!! Sei troppo troppo buona davvero! Sono contenta ti siano piaciute le scelte che ho fatto e le scene sia quella del bimbo, sia quella dell'incontro, sia quella dove cito la lettera..(aww..<3 me ancora sognante,si commuove sempre alla 98,99,100!! Che sono un crescendo magnifico!!).[Chiudo la parentesi, sennò divento noiosa!! u.ù]. Comunque davvero grazie ancora e spero vivamente che ti possa piacere il continuo, anche perchè,come ti ho anticipato, ci sarà un risvolto tosto...che metterà un po' alla prova tutta la situazione..

Clappy: Claudia come ringraziarti!!??<3 Anche tu davvero troppo buona! Dirmi che ti piace il mondo in cui rendo Monica e Michele è per me davvero qualcosa di fantastico, essendo io pazza d'amore per loro.!!!
Mi fa un piacere immenso che ti piaccia la storia, spero possa continuare a piacerte con le scelte che adotterò per il continuo. (:

Ili91: Grazie anche te sia del complimento che dell'appunto, anche quelli servono tantissimo. Ora ti spiego la scelta mia di non descrivere dettagliatamente il centro della storia: è nient'altro che comodità, vedi, questa storia è commissionata per un contest che prevede nel bando il ritorno di un personaggio, ma non poteva essere una long fic, essendo la mia storia parecchio lunga, qui, su efp, l'ho suddivisa in parti, ma sarà un testo unico, una one shot infinitesimale, me ne rendo conto,ma sono fatta così, ahimè.. per questo non mi sono soffermata su tutto il periodo della 'missione' e anche perchè sarebbe risultato mooolto noioso ripetere le stesse sensazioni dei due protagonisti durante l'arco di quei 20 giorni.. anche perchè non intendo dare fine alla narrazione con l'avvenimnto della 'dimostrazione d'amore', bensì si svilupperà il seguito che darà una svolta che determinerà una situazione finale un po' critica..quindi per queste ragioni ho deciso di mia volontà di tralasciare qualcosa in lunghezza, ma penso che come entità di contenuto, tutti i sentimenti che volevo trasmettere tramite i due personaggi siano stati esternati..
In ogni caso grazie (: ^^

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Capitolo 8
*** VIII ***


Nuvole e Lenzuola.

 

‘Regala il sole a un davanzale da dove tutto sembra uguale,
regala il peggio che hai da dare,giusto per ricominciare,
fai quel gesto che sono anni che ti prometti di fare,
e regala l’anima una volta che,forse, non c’è niente di male..
regala un giorno di silenzio se c’è chi non sa ascoltare.
Ama chi ti vuole bene.’

(Alessandra Amoroso)

 

Il campanello.

 

Michele si diresse verso la porta, curioso di svelare chi potesse celarsi dietro ad essa; d’altronde, quella là fuori, era la notte più magica dell’anno e nessuno si sarebbe sognato di bussare alla sua porta, forse.

 

Sospirando, spinse verso il basso la maniglia e la trovò: era lei, Monica era davanti a lui e lo guardava profondamente negli occhi, sfidando il gelo della notte di dicembre che si stava lasciando alle spalle.

 

«Tu...» sussurrò Michele, guardandola.

Con sé aveva il suo piccolo, lo teneva in braccio.

 

Monica lo fissava, ma non rispose, non ruppe quegli imbarazzi e quei silenzi, schermati tra loro, perché accrescessero ulteriormente la loro voglia di ritrovarsi.

 

Le fece cenno di entrare e lei lo seguì.

Monica si sedette sul divano nero senza parlare e,intanto,sfilò il lungo cappotto grigio,mentre Michele, sedutosi davanti a lei su una poltrona, la guardava con il bambino in braccio, rimanendo,anche lui, in silenzio.

 

La voglia di parlarle era molta e fremente, ma tutto sembrava tingersi di vacuo in quel momento, come se le parole non potessero coprirsi, neanche velatamente, d’importanza e vago senso.

 

La realtà, d’altronde, non poteva rivendicare il suo spazio in una situazione tanto folle, ma,questo, non impedì a Michele di tenderle la mano che, bianca e tremante, sfiorava il cuscino affianco a lei.

 

«Sei venuta...» si lasciò sfuggire Michele, notando come le guance di lei fossero avvampate al solo sfiorarle le mani.

 

«Michele, lo vuoi tenere?» gli chiese Monica piano, rivolgendo lo sguardo primo a lui e poi al piccolo che stringeva tra le braccia.

Michele le sorrise e, alzandosi, le si avvicinò,per poi sedersi accanto a lei, che, con delicatezza

inaudita, le porse il cucciolo tranquillo e il tentativo di cullarlo, cercando di riconciliarlo al sonno.

 

Michele lo tenne con sé, tra le braccia, guardandolo mentre sgranava gli occhioni stanchi; mancava il respiro tanta era l’emozione di poterlo trattenere al tempo, questa volta, per molto più che per qualche istante.

 

Attesero in silenzio, guardandosi, che il piccolo si addormentasse per poi coprirlo, in modo da farlo sentire protetto dal freddo e dall’inverno vigente.

 

Monica accarezzò ancora il viso del figlio per garantire che rimanesse sommerso di quiete e bei sogni.

 

Poi, nel silenzio di quella stanza, s’accorse dello scrosciare d’un inizio di pioggia.

Si alzò, si diresse verso la porta a vetri, la quale s’affacciava fuori, e scostò le tende per poter godere a pieno della dolce malinconia che portavano con sé le gocce che, con le loro corse sinuose, rigavano i vetri.

Michele, stette per un po’ seduto,nell’intento di osservarla, stretta nel vestito bianco; poi, non resistendo alla tentazione di guardarla ancora, s’alzò e le si avvicinò tanto da poterla abbracciare, stando dietro di lei.

Monica, rimanendo voltata a guardare la notte,imperlata di pioggia lì fuori, si strinse nelle spalle per percepire sempre più il calore dell’uomo e del suo abbraccio di seta.

 

«Bella la pioggia, no?» domandò Monica, con leggerezza, disegnando con le dita sui vetri per ingannare l’imbarazzo.

«No.» le sussurrò Michele all’orecchio, lasciando le parole in sospeso- «Sei troppo bella tu...»

 

Monica si voltò fino a poterlo guardare in volto, non sciogliendo l’abbraccio dell’uomo che le cingeva i fianchi;  poggiò le mani sulle spalle di lui.

 

Si accorsero di essere,ormai, vicinissimi a un bacio.

Ma, in quel momento, Michele scosse il capo e, sfiorando le labbra di lei, le domandò incerto:

«Monica, che stiamo facendo?!»

 

La donna lo guardò e, sorridendogli, gli rispose.

«Non voglio litigare ‘sta volta...»- poi, divenne seria –«Voglio solo riprendermi la felicità…»

 

Si fermò un attimo, in silenzio; rimasero immobili.

 

Monica, appoggiando la fronte a quella di lui, sussurrò ancora.

«E tu?...Tu rivuoi la felicità?»

 

Michele avrebbe voluto risponderle sinceramente, dirle quel, tanto sospirato «Sì», ma non ci riuscì.

 

Quella risposta sentiva la tentazione d’impossessarsi di lui prepotentemente; in quello scappare inafferrabile d’attimi, Michele ci pensò.

 

Monica, forse, aveva ragione.

 

Non si oppose oltre a quel risuonante e vivido volerla.

 

Si avvicinò, si avvicinò fino a sfiorarle le labbra con le proprie, per poi fermarsi quel tanto che potesse bastare per impossessarsi di un soffio di follia.

 

Allora, si avvicinò ancora alla bocca di lei e, questa volta, vi rimase con il bacio che portava.

Fu un rincontrarsi vero, intenso nel suo cullarsi lento, dolce nel narrarsi autonomamente come una poesia sfuggita alla Passione e, inevitabilmente,  meraviglioso in quanto proibito.

 

Si guardarono per un po’, sfiorando il pensiero di sentirsi appartenenti e possessori uno dell’altro..

 e, poi, la portò altrove con sé.

 ~

 

Stringimi forte che nessuna notte è infinta.
Penso che è stupendo restare al buio abbracciati e muti come pugili dopo un incontro,come gli ultimi sopravvissuti. Forse un giorno scopriremo che non ci siamo mai perduti e che tutta quella tristezza,in realtà,non è mai esistita.

(Renato Zero)

 

 

Michele la scrutava nel profondo.

Gli era abbracciata, coperta a metà, teneva il capo poggiato sul suo cuore e la mano destra stretta alla sua.

 

Michele, accarezzandole il volto, liberava gli occhi di Monica dalle lacrime; lo faceva in silenzio, rispettandola.

 

Quegli occhi erano lucidi e stanchi, stanchi di provare paura.

 

Il suo pianto aveva cullato incessantemente tutto ciò  che la notte aveva loro concesso.

 

«Non mi lasciare…» sussurrò lei.

«Non ti lascio » la rassicurava, continuando a accarezzarle i ricci.
 

Quei ‘Non ti lascio più…’ rimbombarono con dolcezza infinita in quel silenzio immaginato, protraendosi per tutta la notte…

 
In quel mentre, la sveglia sul comodino annunciava Natale.

 

 



***
Scusate il ritardo, mi sono fatta desiderare parecchio questa volta! Non intenzionalmente, è che ho dovuto spedire un po' di contest, ripubblicare modificando tutta la storia 'E tu come stai?' perchè era tutta da sistemare(ù.ù-i giorni più noiosi della mia vita).. Poi ieri sera alle 2.00 spaccate,ho finito questo capitolo che spero vi piaccia e non deluda le vostre aspettative <3, io personalmente mi sono emozionata come una stupida, mi batteva il cuore, però non so, forse era per l'ora tarda e il sonno imminente..!!

Comunque vi ringrazio infinitissimamente per tutti i complimenti sull'ultimo capitolo!! Wooow, non pensavo vi potesse piacere così tanto l'apparizione di Cristina, che ho voluto giocarmi come asso nella manica perchè mi piace molto ed era,alquanto a effetto sorpresa nell'ambito della storia di Monica e Michele.
Pensavo che fosse giusto valorizzare il rapporto molto bello tra Cristina e Michele, e strumentalizzarlo per introdurre i pensieri di Monica, che si apre a nuove sfaccettature, ora vedremo cosa combinerà..

Grazie a tutte !! Spero vi piaccia <3

Smack Smack
Calime

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Capitolo 9
*** IX ***


Il Paradiso può attendere.

 

{Il paradiso non attende

{Il paradiso dei Micheli

 

Bianco.

 

Michele si ritrovava lì, proprio come un mese esatto prima.

Sfidava timidamente le nuvole su cui poggiava i piedi nudi, temendo di infrangere l’incanto di quel posto tanto immacolato, tanto irreale.

 

«Michele!» esclamò la Voce a tono pieno.

Michele sussultò per lo spavento e, cautamente, rivolse gli occhi verso l’alto alla ricerca della provenienza delle parole di Angelica per, poi, rispondere: «Buonasera!»

 

«Michele! Allora, come sta?» domandò premurosa la Voce.

«Beh…Che dire?! Non potrebbe andare meglio!» rispose lui con un sorrisone.

«Come mai è qui, allora?» domandò la Voce.

«Ma come!?Che domande sono?! Mi avete convocato voi, no?» ribatté Michele, vagamente infastidito da una tale domanda.

«Ah...è vero!Che sbadata! Sa, dev’essere lo Champagne del conto alla rovescia, non essendo più abituata, non reggo per niente l’alcol...» ammise Angelica, chiaramente confusa dall’effetto di una lieve sbornia.

«Eh…capisco sì! Questi sì che sono problemi…Ma senta perché mi avete chiamato?» domandò lui, cautamente.

«Ah...già! Quasi dimenticavo!»- esclamò Angelica- «Ha visto che giorno è oggi?»

«Certo che ho visto! E’ la notte a cavallo tra il 31 dicembre e il 1 gennaio: è capodanno!» esclamò raggiante Michele, sottolineando con il tono di voce l’ovvietà di ciò che stava dicendo.

«E quindi, Michele?» chiese retoricamente la Voce.

«E quindi… stappiamo lo spumante, ci facciamo gli auguri?!» propose lui incerto.

«No, non proprio...» constatò amaramente la Voce, infastidita dalla durezza di comprendonio di Michele.

«Ah no?» -domandò ingenuo- «E quindi?»

«E quindi, noi di quassù e lei abbiamo un certo conticino in sospeso o erro, per caso?» introdusse la questione lei, rimanendo distaccata.

«Ah…quella questioncina!» esclamò ridendo scioccamente lui per ingannare l’ansia- «Beh, ma che problema c’è?!In fondo…»

«Certo, che il problema c’è!» -esclamò la Voce, irritata- «Michele, non so come sia stato possibile, ma ce l’ha fatta!»

«Cosa, cosa, scusi?» si accertò lui, incredulo al sentir pronunciare quelle parole.

«Ha capito benissimo, Michele!»- controbatté Angelica, quasi scocciata dal doverlo ammettere- «Lei torna in pianta stabile alla realtà terrena.»

«Davvero?!» si accertò raggiante l’uomo- «La prego, mi dica che non sto sognando!!»

«Michele, le ricordo che, qui, non sono bene accette le menzogne e, in questo caso dovrei mentirle per soddisfare la sua richiesta... » -constatò lei fredda- «E poi, che domande sono? Certo che sta sognando!»

«Ah…vero! Scusi, ma, d’altronde, è vero: che stupido! Il sogno è l’unico contatto possibile tra giù e su..» disse, gesticolando verso l’alto e, poi, verso il basso- «No, aspetti : forse, è il contrario!»-disse, guardandosi le mani, capendo d’aver commesso una gaffe.

«Michele, l’amore per lei è pericoloso; la rende proprio...» non fece in tempo a finire la Voce.

«Un vero coglione, lo so!’-concluse con semplicità Michele, mentre un frastuono di sirene iniziava a infastidire l’ambiente candido, muto e totalmente deserto.

«Ma lei non cambia mai: le parolacce?!» lo rimproverò acida lei.

«Scusi, scusi, scusi, scusi!»-si giustificò lui, alzando le mani a sua discolpa - «Bamboccione! Volevo dire che l’amore mi rende bamboccione!»

«Se…lallero!» –lo prese in giro, lei- «Comunque, non è finita qui...»

«Che c’è d’altro?» domandò Michele preoccupato, incupendosi.

«Non ricorda?»-chiese lei per stimolarlo a ricordare –«Il segno?»

«Ah! Il segno…»-farneticò lui, tra sé- «A me non è arrivato nulla però…»

«Non ancora, ma Michele che discorsi sono?! Non è mica come inviare una raccomandata…!»-soggiunse lei –«Comunque, a tempo debito, arriverà e le indicherà se è giusto o no che la vostra storia continui…»

«Ma se io non lo colgo ‘sto segno?» chiese lui.

«Bah...Michele, per quanto lei possa mancare di perspicacia, le assicuroche non sarà facile ignorarlo!»

«Ah beh...A prova di scemo, quindi?» cercò di ironizzare lui, con scarso successo.

«Beh, diciamo che confidiamo molto in Monica!» controbatté lei, fredda.

«Eh…Monica...»- sospirò sognante Michele –«Bene! Mi ha detto tutto, no?! Posso andare?»

«Sì, Michele, può andare…» annunciò lei con tono liberatorio.

«Grazie!No…aspetti un attimo!»- si fermò lui - «Senta, me la toglie una curiosità?»

«Sentiamo...» rispose Angelica, invitandolo a proseguire.

«Ma, scusate, se Voi quassù sapete che mi sono riappacificato con Monica, vuol dire che avete spiato…» ipotizzò lui,cautamente.

«Michele, suvvia! Abbiamo dato una sbirciata, ma cosa vuole che sia...» si giustificò lei, colta nelle sue debolezze.

«Ah Ah! E non vi vergognate!? Qui, tutto immacolato, casto, puro e poi fate i guardoni?! Questa è violazione della Privacy!» polemizzò Michele, compiaciuto di poter appuntare una mancanza a ‘Quelli lassù’.

«Eh no! Quello non era spiare: era sorvegliare la buona riuscita della missione!» -si giustificò lei, arrampicandosi sugli specchi - «E poi, se proprio dobbiamo dirla tutta, le lamentele dovremmo esporle noi! Dato che ci ha fatto fare gli straordinari la Vigilia di Natale!Anche se...»

«Anche se?» la invogliò a proseguire l’uomo, ormai, incuriosito.

«Anche se, mi pesa ammetterlo, ma l’abbiamo rivalutata in quell’occasione Michele. Complimenti!» ammise a stento lei.

«Eh...Modestamente...»- si pavoneggiò lui con un velo di strafottenza- «Però mi dispiace che abbia passato il Natale sola a causa mia...»

«Beh...proprio sola, no…»- ammise la Voce- «Non le negherò che sembrava di stare al cinema!»

«Ma come?!Gli affari miei davanti agli occhi di tutto il Paradiso e dintorni?» domandò scocciato lui.

«No, no… si figuri! Il Paradiso e dintorni!? C’erano tutti i gironi celesti e buona parte del Purgatorio, per non parlare di quegli infiltrati dei ricettatori del sottoscala al secondo!» si lasciò sfuggire con disinvoltura Angelica.

«No, no, no! Aspetti, lei mi sta dicendo che tutta la volta celeste e tutto il Purgatorio hanno visto tutto ?!» constatò infuriato Michele.

«Beh, all’inizio... Poi, quelli del sottoscala al secondo, i Lussuriosi- come le dicevo prima- hanno sfoderato le loro qualità di ricettatori doc. e…Sa, a noi questo digitale terrestre ci mette in difficoltà, non siamo granché pratici, e.. quei dannati ingrati, senza pagare neanche il canone, hanno assistito a tutto lo spettacolo. Come se non bastasse, hanno ribadito la loro indecenza e natura, infatti, erano gli unici a non indossare i copri -occhi di pure piume d’angelo, per i momenti un po’ più... mi capisce, no?»-confessò lei- «Però deve essere soddisfatto: nessuno, prima d’ora, era riuscito a farli commuovere!!»

Michele scoppiò a ridere per la disperazione, dato che, sapeva bene che qualsiasi atto improprio avrebbe potuto ritorcersi a suo discapito.

«Dopo questa, se permette, io me ne andrei per evitare di inca…»- Michele si arrestò- «Di imbestialirmi ulteriormente…»

«Ma come?! Le dico che, qui, è diventato un idolo, degno sostituto di ‘Ghost’ e lei si arrabbia?»-domandò scioccamente Angelicamente, chiaramente non consapevole delle castronerie che stava proferendo per via dell’alcol, probabilmente.

«Sì, la fama, l’aureola, ‘Ghost’ non mi importano!»- sbottò Michele –«Il Paradiso può attendere! E, adesso, con permesso…»-disse, avviandosi.

«Buon anno, Michele!» augurò malinconica la Voce.

«Buon anno anche a voi!» rispose Michele, arrestandosi un attimo in un sospiro profondo, seppur rimanendo fremente e voglioso di tornare indietro.

 

Buio.

 

Michele si dissolse di nuvole, lasciando soltanto il candore della foschia paradisiaca, lì, onnipresente.

Rimase, soltanto, la voce di Angelica che, triste e delusa, sbuffò , rivolgendosi alla schiera di  angiolette che, affrante di malinconia, sospiravano al vederlo voltato di schiena nell’andarsene via:

«Che avrà ‘sta Monica che noi non abbiamo, io non lo capisco ancora!»

 

~

 

Il freddo, fuori la finestra, si faceva sentire; il vento imponente sbuffava il suo passaggio tramite il gelo, sola andata per accompagnare l’anno vecchio a concludersi e quello nuovo a presentarsi all’alba, di lì a qualche ora.

 

Michele aprì gli occhi; ora, si sentiva tranquillo, ora, si sentiva felice.

 

Abbassò lo sguardo e la trovò stretta nel suo calore.

Monica era addormentata, abbracciata a lui, di schiena; la strinse ancora perché la paura e il freddo potessero essere dimenticate.

 

Stette a guardarla a lungo, in attesa che il sonno si riappropriasse di lui.

 

«Michele, non dormi?» le chiese piano lei.

«No…» -rispose lui, altrettanto piano- «Ho sognato che mi dicevano la cosa più bella della mia vita, sai?»

 

Monica gli sorrise, pur rimanendo voltata, con il capo poggiato sulla maglietta grigia di lui.

 

Michele cercò il suo volto, si avvicinò tanto da darle un bacio.

Dopo di che, poggiò la testa sul cuscino, continuando a stringerla a sé.

 

La notte fuori, intanto, si consumava dietro i vetri appannati di freddo e stupore,

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Capitolo 10
*** X ***


Nascondersi

 

Monica, raggiante entrò in redazione per affrontare il duro carico di lavoro accumulatosi, inevitabilmente, per vie delle feste.

 

L’odio che provava per il Natale sembrava essersi smentito, con il regalo che quella stessa notte aveva portato con sé.

 

Era folle pensare di poter amare Michele ancora, di riuscire a riprendere la vita d’un tempo e di potersi concedere un senso nuovo per vivere lo scorrere dei giorni.

Monica, ora, ritrovava la voglia di vivere ancora, fosse stato anche solo per svegliarsi al mattino, trovarlo accanto e sbizzarrirsi con  una sciocca ragione per litigare...

 

Era folle, ma sembrava quel ritorno sembrava essere tanto vero da potersi realizzare davvero, ogni volta che si voltava per ricordarsi quegli occhi neri, pur dovendo sopportare la crudele costrizione che le imponeva di non dover rivelare il ritorno di Michele al Mondo.

 

Nascondeva l’amore per sé agli occhi fugaci degli altri perché mantenesse bellezza, nel rimanere soltanto loro.

 

Monica entrò in redazione, chiuse la porte, pensando a quanto sarebbe stato difficile essere profughi d’amore, fuggendo all’incredulità della gente.

 

Nonostante le paure vigessero, non riuscivano a scolorire il sorriso che le illuminava il volto in quei mattini sfuggenti.

 

Entrò con disinvoltura, lasciando spazio alla leggerezza che portava con sé. 

In solo contrasto con la leggiadria della donna vi era il ticchettio dei tacchi alti degli stivali, il quale rimbombavano nel suo passaggio sul parquet in legno della redazione, invasa dall’aroma del primo caffè della mattinata.

Con molta non-chalance, si sfilò il cappotto e lo sistemò sul grosso divano bianco che compariva, come al solito, sotto la scala di legno impolverata,che conduce all’ufficio sovrastante.

 

Elio e Maya si scambiavano tenerezze, bevendo il loro caffè, Lea, seduta sul suo ‘trespolo’, sfogliava alcuni numeri del giornale per cui aveva lavorato a Londra per trarne spunto, Rosa era occupata a rispondere al telefono e Laura teneva le cuffiette dell’i-pod nelle orecchie, mentre tentava di sbrigare il suo lavoro arretrato con  una tazza di tè fumante tra le mani.

 

Nonostante il clima di indifferenza e individualità che si stagliava al momento nell’ufficio, nessuno rimase indifferente all’arrivo di Monica, motivo per cui tutti interruppero i propri affari per osservarla al meglio.

 

Effettivamente, era innegabile che qualcosa in lei era stupendo tanto da renderla luminosa come non la vedevano da tempo.

Sfoggiava un golf color indaco, pur essendo stretto, lasciava  scoperte le spalle e, cadendo a fascia rimboccato, riusciva a coprire anche parte delle gambe, altrimenti lasciate nel solo velo dei collant.

 

Tutti gli occhi dei presenti erano rivolti su di lei; la scrutavano senza farsi sfuggire nulla, analizzando ogni minimo particolare che potesse mostrarsi rivelatore di chissà quale segreto.

 

Monica, dal canto suo, una volta debellato quell’andirivieni incostante di fantasie e pensieri, si accorse degli sguardi indiscreti che riflettevano su di lei tutta la loro curiosità.

 

«Qualcosa non va?» domandò Monica, vagamente perplessa.

Mutismo.

 

«Fatemi indovinare: sono arrivati i resoconti amministrativi?»- ipotizzò lei- «Abbiamo sforato di tanto, eh?»

«No, niente resoconti e scartoffie...» constatò distaccata Lea, non dissuadendo l’attenzione dallo schermo del pc.

«Ah…! Allora: le occhiaie?! Si vedono così tanto?» -chiese lei- «Eppure mi pareva di averle coperte...»

«Il correttore ha fatto un ottimo lavoro, sta tranquilla tesoro...» commentò vaga, Rosa, fissandola.

«Già e, probabilmente, non è l’unico ad aver fatto un buon lavoro...» continuò sfacciatamente Maya, avanzando,con a seguito Elio, verso la propria scrivania.

Lea, dal canto suo, si lasciò sfuggire un sorriso malizioso, pur continuando ad assistere silenziosamente dal suo ‘trespolo’.

Monica si trovò spiazzata e, farfugliando, cercò di mostrare risolutezza nell’esporre le sue ragioni, senza ottenere molta credibilità, però.

«Ma figuratevi un po’: cosa devo sentire?! E poi, cosa vi da motivo di pensare una cosa del genere?»

«Beh… Fidati della mia indole prettamente mascolina, ma così *bona* resusciteresti un morto!»- esclamò Elio con sfacciataggine, prima che Maya, in preda ad un attacco di gelosia, lo afferrasse per le orecchie, con cipiglio alquanto minaccioso.

«Cos’hai detto?! Ripeti!»- lo aggredì Maya, non mollando la presa e provocando, inevitabilmente, le risate delle altre –«Ti ricordo che sei impegnato con la sottoscritta, quindi così come ti ho preso, ti mollo, hai capito? E, tra l’altro, da quando sei maschio ed attendibile tu?!»- continuò tutto d’un fiato, scimmiottandogli la voce e concludendo quel massacro con un potente pestone, in grado da affliggere il volto di Elio con una notevole espressione di dolore.

«Scusa, scusa, scusa... Lo sai che io ti adoro, che sei la luce dei miei occhi…» farneticò Elio, con espressione innamorata, richiamante il ‘ pesce lesso ’, inginocchiandosi davanti a lei.

«Tesoro, anche io ti amo tanto tanto…» confessò, porgendogli una mano per aiutarlo ad alzarsi da terra.

 

«Beh…comunque, nonostante i modi indelicati, penso che Elio volesse dire che sei splendida in questi giorni, tesoro.» spiegò Laura, mediando come sempre.

 

Monica non riuscì a trattenere una leggera risata e, dopo di che, si avviò verso il suo ufficietto, salendo le scale.

«Ma va là, che assurdità sono?!» blaterava tra sé.

 

~

 

Pochi istanti dopo, Lea, con disinvoltura, scendeva dalla sua postazione privilegiata, mostrando, in quella breve passerella, quanto le donasse la camicetta che aveva indosso, in perfetta armonia  con la gonna nera che le cingeva leggermente i fianchi.

«Non ditemi che ve la siete bevuta!» buttò lì lei, rivolgendosi ai volti inebetiti e perplessi degli altri, mentre si poggiava sulla scrivania di Rosa.

«Certo che no!» si apprestò a rispondere Maya, molto coinvolta dal discorso- «Io quella faccia la conosco! Quella è l’espressione che ha quando sco...»

«Alt, alt, alt! Ti prego,Maya: non è il caso, abbiamo afferrato il concetto!» -la fermò Rosa- «Però, c’è da dire che la ragazza ha ragione, me ne sono accorta anche io che, si sa, non posso proprio definirmi l’espertona di turno!»

«No, aspettate un attimo: ragazze, ma pensate davvero che ci sia di mezzo un uomo?»-domandò Laura pensierosa- «Se così fosse, perché non ce l’avrebbe detto, scusa?»

«Questo mi sfugge, ma sono sicura che ci sia un uomo; sarei pronta a scommetterci le de-collette scamosciate di Armani.» soggiunse Lea, con una certa risolutezza.

«Questo è grave…» constatò Elio, sfogliando montagne e montagne di cataloghi fotografici, mentre le altre scoppiavano ridere, rivolte verso di lui.

 

«State sicure che scoprirò di cosa si tratta, a costo di armarmi a ‘mo di 007!» promise Maya, con aria maliziosa e determinata.

«Elementare Watson!» replicò  Elio, cogliendo, subito dopo, gli sguardi fulminanti delle colleghe.

«Quello era Sherlock Holmes, Elio…» gli fece notare Maya, sbattendogli una cartellina blu in testa, facendo sì che i fogli che essa conteneva si sparpagliassero ovunque, dinnanzi allo sguardo inebetito del povero grafico incompreso.

 

~

(una decina di giorni dopo)

 

Monica si ritrovava, da più di dieci minuti, a fissare il suo riflesso allo specchio, rimanendo muta.

Percependo la stasi, creatasi intorno a lei e al groviglio di pensieri che portava con sé, comprese quanto il fissare la sua immagine fosse inutile; per questo, convinse se stessa ad abbozzare quel poco coraggio necessario a invogliarla ad uscire dal bagno.

 

Aprì la porta e, dietro, vi trovò Michele.

 

«Che ci facevi qua dietro?» domandò lei, sorridendogli.

«Non uscivi e…» gli rispose lui, ricambiando il sorriso.

«Michele, ti devo parlare…»

 

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Capitolo 11
*** XI ***


Dolci segreti.

 

Michele se ne stava seduto tranquillamente, affondandosi nella manona da, ormai, più di un’ora, mentre sforzava la vista nella lettura di un foglietto.

 

«Ti prego, guarda tu perché io sono troppo nervosa!Non ce la posso fare…» gli disse Monica, arrivando dal corridoio e porgendogli un asticella bianca con una mano, mentre con l’altra si copriva gli occhi.

 

Michele la guardò scettico, sfilandogli l’asticella dalla mano, tesa verso di lui.

Si alzò, la esaminò con minuzia eccessiva, girandolo al contrario, mettendosi di fronte alla finestra e in controluce per, poi, constatare la sua ignoranza in materia.

 

«Monica, scusa, ma non ci capisco niente! Sarà che sono un uomo, ma, neanche avendo letto le istruzioni cento volte, ‘ste cose non riesco a decifrarle.» constatò lui, riporgendole l’oggetto di attenzioni tanto morbose.

 

Monica si avvicinò e si sedette in braccio all’uomo per, poi, prendere, a sua volta, l’oggetto che gli porgeva.

Lo scrutò.

 

«Sono due, Michele…» disse lei, dopo un po’.

Monica rimase attonita, si voltò a guardare il suo uomo, lui le sorrise, pur rimanendo confuso.

 

«Michele, secondo te ci dobbiamo fidare? E’ attendibile, dico?» gli domandò lei, stando tra le sue braccia.

«Monica, adesso capisco uno, ma  abbiamo fatti otto, dico otto test di gravidanza e sono tutti positivi, più attendibile di così se ‘more’» -rispose lui con un sorriso, accarezzandole la mano- «Se vuoi, per farti stare tranquilla ne faccio uno anche io!...» la prese in giro, stringendola nelle spalle.

«Ahahah! Quanto sei divertente!» controbatté lei, ridendo.

 

Poi, un attimo di vuoto assoluto; Monica sospirò.

 

«Michele...»- gli si rivolse lei, cercando i suoi occhi- «Non so cosa pensare...»

«Beh…penso che per il nome ci sia tempo, no?» sdrammatizzò lui per strapparle un sorriso.

«Ma no, scemo!» disse lei, ridendo per, poi, continuare diventando seria- «Lo sai che vuol dire questo, sì?»

Michele annuì, guardandola negli occhi.

«Michele, ho paura: non potremo più nasconderci…» sussurrò lei, non lasciando mai soli gli occhi di lui.

«No, non potremo più farlo.»-riprese lui, dolcemente.

 

Attese un attimo, poi, guardandola negli occhi, le prese la mano, intrecciandola alla sua.

 

«Monica,...tu lo vuoi questo bambino?»

Monica annuì flebilmente, mentre gli occhi le diventavano lucidi e poggiava il capo sulla spalla dell’uomo che, nel frattempo, lasciava scivolare la propria mano sulla pancia di lei.

 

«E’ veramente un…»- iniziò Michele, stupitosi del pensiero che aveva fatto comparsa in lui-

«E’ il nostro segno.»- sospirò lui, rivolgendo gli occhi al cielo, mentre stringeva forte Monica.

«Che stai dicendo?»-gli chiese lei, ridendo e rimanendo a metà tra l’essere perplessa e l’essere curiosa.

 

«Sto dicendo che qualcuno ci vuole insieme, Monica.» rispose, abbassando lo sguardo.

«Dici davvero?» cercò rassicurazione lei, guardandolo.

«Ne sono sicuro, lassù le cose o si fanno per bene o non si fanno…» rispose lui, sorridendole.

Monica lo guardava perplessa, ma non poté non cedere a ricambiare il sorriso.

«E perché dici questo, no perché io non sto capendo…» cercò di concludere la frase la donna, prima di venire interrotta.

«Monica: lascia stare, non domandare!!» disse lui, comicamente, facendola ridere.

 

Monica raggiunse la mano di Michele, ancora su di lei.

«Io ne sono felice.» le confessò lui- «Come pensi di dirlo agli altri?»

 Monica, per sfuggire al discorso, si alzò di fretta e, dopo poco, tornò con il piccolo Michele in braccio.

 

«Amore, non ci siamo mica dimenticati di te… » gli parlava lei, tenendolo in braccio, mentre agitava i piedini stretti nelle babbucce azzurre, ridendo.

«Lo prendi tu? Devo andare di là.» -disse a Michele, mentre glielo porgeva- «Poi, si sa che la solidarietà maschile... Io so già che me lo rovini, me lo fai diventare un essere terribile: insomma, un uomo!»

 

Michele la guardò perplesso allontanarsi, mentre prendeva il bimbo in braccio.

«Vieni qua, amore di papà! Che bello che sei…» mormorò, mentre lo faceva giocare- «Io e te, sì che ci capiamo, non come qualcuno, qua dentro, che evita i problemi.»

 

Monica sbucò, facendo cucù dalla porta della cucina.

«Io non evito i problemi, solo che, non so te, ma non riesco a pensare a come farlo…» ribatté, polemizzando come al suo solito- «Ammetterai che non è la cosa più comune al mondo!

Cosa faccio?!

Vado lì e dico: ‘Ragazze, sapete la novità?! Vi devo dire una cosa: ve lo ricordate Michele?! Sì, proprio il mio quasi marito morto? Bene: è vivo, vegeto e ci amiamo da morire, così tanto che sono rimasta incinta.» borbottò tutto d’un fiato lei.

 

Michele la stette a sentire in silenzio, dopo di che, accigliò gli occhi e concluse con un: «Naa…lasciamo stare!»

 

Monica, disarmata dal sorriso che lui aveva sfoderato, guardandola, abbracciò i suoi uomini, scoppiando a ridere.

~

 

(Un mese e mezzo dopo)

 

Monica rifletteva se stessa nello specchio della camera da letto calda, nonostante febbraio si presentasse fuori investito da un freddo innegabile.

 

Scrutava in silenzio l’immagine di quella sconosciuta ‘io’, cercando di convincersi che la morbida dolcezza che stava acquisendo il suo corpo, in segno di una vita imminente, si sarebbe nascosta dietro le pieghe del vestito che aveva indosso.

Purtroppo, percepiva che non avrebbe potuto mantenere quel dolce segreto all’inseguirsi dei giorni che la spogliavano della sua verità lentamente, mostrando l’esserci di ciò che fin’ora aveva serbato per sé.

 

Nel rimanere totalmente assorta in quell’osservazione tanto critica di sé, non si accorse della presenza di Michele che, arrivato dal corridoio alle sue spalle, la dissuase, cingendole i fianchi da dietro.

 

«Michele…» sussurrò lei, vagamente spaventata per poi voltarsi nuovamente verso l’immagine dello specchio, ora, più rassicurante di quella presente fino a qualche istante addietro- « Sei pazza?! Mi hai fatto prendere un coccolone!»

 

«Sei bellissima…» gli mormorò lui all’orecchio, continuando a guardarla con lui nel riflesso.

Monica sorrise, facendovi seguire un sospirone.

«Michele, tra poco non riuscirò più a nasconderlo...» constatò lei, in tono realistico.

Michele rispose con il silenzio.

«Sapevo che non ce l’avrei fatta a nascondere a lungo una creatura...» accennò lei.

«Eh… non ce l’aspettavamo di certo: ci ha fatto una bella sorpresa.» rispose lui, sfiorandole la pancia.

«Sinceramente, era l’ultima cosa che pensavo, quella di rimanere incinta di nuovo, di te, poi…» rispose lei, prendendolo in giro.

«Eh beh… Vuoi mettere, in Paradiso le angiolette non erano affatto indifferenti…!»-la prese in giro lui, ridendo.

«Ma che stupido!»- replicò lei- «Dato che confidi ancora nelle tue doti di Don Giovanni, vai, che aspetti?! D’altronde quelle ‘decolorate’ (disse, imitando il nitrito) con le gambe chilometriche, tutte perfettine, sempre sorridenti sono meglio di me, no? Io sono umana con la ricrescita, spesso scazzata e, a breve, diventerò una mongolfiera- per giunta, per colpa tua, se proprio dobbiamo essere fiscali- e fai bene a lasciarmi qui, di nuovo, con due creature: sei il solito maschio in fuga con la ‘sindrome di Peter Pan’, ammettilo!»

Michele inarcò un sopracciglio, spaventato dal tono minaccioso della compagna, palesemente in crisi di nervi.

«Oddio, ricominciamo?! Monica… io rimango perché ci amiamo!»

«Dici davvero?» chiese lei, arrossendo.

Michele gli rivolse uno sguardo perplesso; continuando a stare dietro di lei, cercò le sue labbra per baciarla per un po’, per sentirla tranquilla.

Stettero a contatto a lungo, finché Monica si allontanò lentamente.

«Michele, si vede?» domandò incerta, rivolta verso lo specchio.

«A me piaci da morire lo stesso.» rispose lui.

«Amore…» -mormorò, voltandosi in modo da poterlo guardare in volto- «Si nota tanto, eh?»

«Veramente...» iniziò lui.

Lei lo guardò vaga, mentre lui fissava i suoi occhi azzurri, oscurati dal peso delle preoccupazioni.

 

«Monica, basta: non nascondiamoci più.»




***
Oddio ragazze grazie!@Azue:Bentrovata anche qui (: Stai tranquilla,all'inizio Efp sempre un mondo incomprensibile, poi, ci si abitua in fretta,Non ti preoccupare ;)
@Ray08: Io non so come ringraziarti!!! Sei veramente troppo carina (<3). Spero che il risvolto che darò alla storia ti piaccia, anche se,ormai, siamo agli sgoccioli. Grazi grazie grazie grazie davvero, non sapete come sono felice (:
A prestissimo
Smack Smack
Chiara

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Capitolo 12
*** XII ***


Chiacchierando

 

 

«Elio, eccoti il pezzo sulla statistica americana: è corretto e formattato come avevamo deciso in riunione.» proferì Monica al grafico, porgendogli una cartellina rossa.

«Perfetto! Allora, adesso aspetto l’editoriale di Maya e Rosa e l’articolo di Lea e, poi, posso, finalmente, chiudere il numero.» annunciò trionfante Elio, in risposta alla direttrice.

«Ottimo! Ragazze, dato che siamo a buon punto, vi dispiace se vi lascio?» domandò Monica, rivolta alle colleghe.

«Qualche problema, Monica?» chiese Laura, avvicinandosi all’amica.

«No, no no…Semplicemente volevo andare a vedere come stava il mio amore: sta mettendo i denti ... Ma se avete bisogno di una mano…» replicò con tranquillità Monica.

«No, nessun problema.» le rispose Lea, senza distogliere lo sguardo dalle bozze che stava correggendo.

«Tanto qui abbiamo quasi finito.» seguì Maya, mordicchiando una matita.

«Sì, sì, va pure. Appena abbiamo finito chiudiamo noi.»  la rassicurò Rosa, rivolgendole uno sguardo totalmente sereno, nonostante l’entità di confusione che regnasse sulla sua scrivania.

«Grazie infinite, allora vado! A domani...» li salutò lei, mandandogli un bacio al vento da lontano, mentre si avvicinava alla porta per uscire.

 

«E’ andata?» chiese Lea che, sporgendosi dalla sua postazione, constatò che la porta si era realmente chiusa.

 

In pochi istanti, si scatenò l’inferno: scorribande distratte di post-it, appunti, articoli, foto, sedie e, niente meno, persone si inseguivano a creare un caos inimmaginabile.

Si ritrovarono tutti e cinque, in meno d’una manciata di secondi, intorno alla spaziosa scrivania di Laura, con volti, a dir poco, sconvolti.

 

«Oddio! Sembra quasi di aver istituito un tribunale…» constatò Laura, osservando cosa la curiosità li avesse portati a fare.

«Ma, infatti, non sembra, è un tribunale! Per quanto improvvisata sia, può ritenersi un consiglio d’inquisizione.» continuò Lea, con cipiglio più che mai determinato.

«Se...Dichiaro aperta la seduta!» scimmiottò Elio, credendo di risultare ironico, ma, in risposta, ottenne solo occhiate torve, in segno che, probabilmente, avrebbe fatto meglio a tacere.

«Si, ma, in fondo, Monica che avrà mai fatto di male, scusate?» chiese Laura retoricamente, sperando che le altre fossero del suo stesso avviso.

«Ti pare ‘niente di male’ tenerci all’oscuro?! D’altronde, in nome della vera amicizia, è giusto dirsi tutto, fare partecipi gli altri dei propri problemi, come abbiamo sempre fatto o sbaglio?» -espose le sue ragioni Rosa –«Non vedo perché debba nasconderci qualcosa…»

«Qualcuno, vorrai dire!» -la corresse maliziosa Maya, dando particolar peso alla parola - «Ci nasconde qualcuno

«Ancora con questa storia che Monica ha un uomo?!...» controbatté Laura diffidente.

«Beh... In effetti, se lo avesse sul serio, non trovo perché non dovrebbe dirlo?! Proprio tra di voi che vi siete sempre raccontate tutto: non potete di certo dire che, qui dentro, regni la riservatezza, anzi, soprattutto per quanto riguarda il sentimentale, non vi siete mai risparmiate. Infatti, è proprio per tutte quelle chiacchiere e quei ci-ci-ci, bla-bla-bla… che sono diventato un astruso ibrido in perenne crisi d’identità! » si commiserò il poverino.

«Elio, non è affatto il caso di procedere con le rivendicazioni riguardo la tua identità sessuale...» commentò fredda Lea.

«E poi, semmai, devi ringraziare di essere diventato quello che sei perché ti abbiamo sollevato, seppur leggermente, dalla condizione squallida di partenza, ovvero di maschio…Sempre se...» soggiunse Rosa, continuando ad infierire.

«Ma vi sembra il caso?!» -tuonò Lea infastidita- «Stiamo qui a perderci in quisquiglie quando ci sono questioni ben più importanti di cui discutere!»

«Ma c’è poco da dire: qui, c’è un uomo!» -continuò con le sue ragioni Maya,entusiasta di avere argomentazioni a favore della propria tesi- «E poi, basta con tutti  questi sentimentalismi! Magari, Monica si è convertita al mio ex-partito: potrebbe trattarsi soltanto di un’avventura, una storiella, una botta e via!»

«Un po’ squallida questa cosa, no?» -notò retoricamente Laura- «Ma, poi, Monica non è il tipo…»

«No, no: è escluso che abbia un uomo!» incalzò Lea secca.

«E cosa ti spinge ad esserne così convinta?» chiese Rosa con aria di sfida.

«Non dirmi che non l’hai notato!»  -rispose Lea con sufficienza - «Monica è parecchio salita di peso, perdendo la siluette più o meno decente che aveva raggiunto per chissà quale concessione divina… Solo che è stata parecchio furba, ha tentato, per quanto impossibile fosse, di mascherare con un abbigliamento molto più morbido, tutto qui.»

«Sì, ma con questo?» chiese curiosa  Laura che non aveva colto il nesso tra le parole di Lea ed i fatti.

«Monica tende a sopperire alle carenze affettive con i dolci e, quindi, ad ingrassare quando è single, mentre, quando trova la stabilità sentimentale con un uomo, tende a perdere peso: lo trovo elementare.» esplicò esaurientemente e con la solita mancanza di modestia la bionda.

«Non l’aveva notato…» confessò Maya, incupendosi in volto, per poi rasserenarsi nel sospirare sognante, rivolta ad Elio- «Sarà l’amore…»

«Ecco cos’era! Avevo notato qualcosa di diverso...» ammise Rosa pensierosa, ma illuminata da quello sbocco parecchio plausibile.

«Però non dimentichiamoci dell’espressione che ha ultimamente!» avanzò Elio.

«Ecco!Visto che le sai tutte : come me la spieghi l’espressione rivelatrice che ha tutte le mattine, io ribadisco che quella è...» infierì Maya tanto infervorata da tartagliare.

«Sì, lo sappiamo cosa vuol dire quella faccia!!» sbuffò scocciata Rosa che, da un mese a quella parte, si impegnava a interrompere l’amica per evitare che proferisse volgarità.

 

Lea tacque.

 

«Lo vedi che non riesci a spiegarlo neanche tu?!» la punzecchiò Maya, accompagnandovi un ghigno soddisfatto.

«In ogni caso, per quanto io sia disinteressato…»-iniziò Elio, fermatosi subito dopo al cogliere i volti delle colleghe allibiti dall’assurdità appena pronunciata- «Dicevo che, in ogni caso, tutte ‘ste teorie non ci porteranno da nessuna parte!’

«Elio ha ragione.»- constatò Laura realista- «In fondo, ragazze, le abbiamo provate tutte: abbiamo origliato alla porta, abbiamo tenuto sotto controllo il telefono, abbiamo passato a setaccio il suo ufficio e abbiamo, persino, pagato il tuo amico corriere perché le facesse il filo…  tutto questo, per capire se aveva un uomo!»

«Beh… In effetti, detto così, sembra un tantino maniacale questa cosa…» ammise Rosa perplessa.

«Giusto un tantinello...» commentò Elio, assorto a guardare il soffitto.

«Rimane un modo.» buttò lì Laura con disinvoltura.

Gli sguardi degli altri, in quel momento, puntavano la bionda in modo tanto inquietante da provocare ansia.

«Beh... Basta metterla alle strette, chiederglielo palesemente.» concluse Laura con naturalezza.

«Eh…certo! Figurati, se ce lo dice!» esclamò con tono denso di scetticismo Rosa.

«Io penso che sia il modo più proficuo: forzarla eccessivamente non serve e ingannarla tanto meno, per di più è molto scorretto.» -fece notare Laura molto analitica- «Se veramente si fida di noi, vedendoci ben disposti, credo potrebbe aprirsi.»

Seguirono scambi di sguardi molto perplessi.

«Tentar non nuoce.» rispose poco convinto Elio.

«Mmm...Io propongo l’ammutinamento!» dichiarò Maya.

 

Laura si coprì il volto con le mani dall’esasperazione, mentre Lea e Rosa le rivolsero sguardi molto interessati.

«E in cosa consisterebbe questo ammutinamento?» domandò Rosa curiosa e stimolata.

«Beh...Rifiutiamoci di lavorare, d’altronde, se lei non ha fiducia in noi, non vedo perché dovremmo continuare a ignorare la situazione e fingere l’unità d’un tempo.» spiegò Maya.

«Vuoi indurla a parlare con il senso di colpa, quindi?» dedusse Lea, guardando la rossa con aria maliziosa.

«Certo!» civettò Maya con sguardo furbo, facendo l’occhiolino.

«Questo si chiama ‘ricatto’!» annotò Laura, discorde.

«Mmm…sì, forse è più esplicito come termine, ma il fine giustifica i mezzi, no?» ribadì Maya più che mai convinta, con un sorrisetto.

 

~

 

(il giorno dopo)

 

Laura entrò in redazione in consueto ritardo.

Per cercare di sminuirlo o per lo meno di farlo passare più inosservato possibile, si mise a correre sul parquet in legno, ma si fermò di stupore davanti alla scena che le si presentava dinnanzi.

 

Monica, seduta sui gradini della scala di legno, aspettava che il suo ‘processo’ iniziasse, guardando la ‘controparte’, schieratasi per l’occasione dinnanzi a lei, appoggiandosi alla scrivania di Rosa.

 

«Non ci posso credere! Ti hanno imputata all’inquisizione?» domandò Laura con tono carico di cinismo.

«No, si è consegnata da sola: non ci ha neanche lasciato il gusto di prendere l’iniziativa...» ammise Maya leggermente delusa.

«Ah…bene! Vedete: era giusto confidare nel senso dell’amicizia!» avanzò retorica Laura, sorpresa, ma sorridente.

«Sì, va bene, va bene, ma ora vogliamo sapere!» risposero i quattro in coro.

«Perché ammetti: quello sguardo è il solito tuo… quello rivelatore!» l’accuso quasi Maya.

«Maya, ti ho detto di no! Come spieghi che è ingrassata!?» ribatté Lea.

«Ma, soprattutto, perché non ce l’hai detto?» avanzò Rosa, sovrastando le altre.

«Comunque, a parte tutto, tesoro, ti consiglio vivamente una dieta per rimediare per quanto tu sia un caso critico, forse si può tentare di migliorare.» soggiunse Lea con il suo solito cipiglio, mostrando superiorità.

«Beh… temo che, per i prossimi sei mesi, la dieta andrà rimandata…»- buttò lì Monica - «So che sarà difficile capire cosa sto per dirvi, perché sembra assurdo anche a me, però è la verità…»

«Su, non tenerci sulle spine!» la invitò a parlare Elio.

«Sono incinta: aspetto un bambino, da tre mesi.» ammise, abbassando lo sguardo.

«Cosa sei tu?» si assicurò d’aver sentito bene Lea.

«No, aspetta un attimo, tu sei incinta di tre mesi e non ce l’hai detto?!» chiese Rosa.

«Ma…un attimo: scusate, sbaglio o mi manca un tassello?!» domandò sbigottita Maya.

«Bene, ecco… è proprio quello il problema! Solo che a parole è un po’ complicato…Vi dispiace, se vado un attimo a… così capite?» disse Monica, facendo cenno che sarebbe uscita.

 

Si diresse lentamente verso la porta, la aprì e vi si sporse per un attimo.

Nel frattempo, le altre ed Elio farneticavano tra di loro, non prestando attenzione a ciò che stava facendo l’amica.

 

«Vieni…» sussurrò lei, tenendo la mano di Michele nella sua, percorrendo il corridoio, finché non arrivarono ad essere esposti agli sguardi degli altri, i quali si voltarono distrattamente, per, poi, rimanere allibiti e immobili, dinnanzi alla vivida immagine che si presentava ai loro occhi increduli.

 

Era lui.

Per quanto fosse impensabile, un angelo caduto dal cielo tornava, anche se era impossibile, quella presenza non profumava di sola illusione.

 

Stava dietro Monica, le cingeva i fianchi e manteneva il silenzio, capendo quanto fosse difficile accettare il suo ritorno.

 

«Ecco il tassello… quello mancante, insomma…» scherzò, timidamente lei, abbozzando un sorriso.

 

«Elio, devo essere impazzita! L’amore mi fa venire allucinazioni, traveggole e cose del genere: pensa che sto vedendo Michele!» disse Maya, ridendo nervosamente.

«Mi dispiace deluderti, tesoro, ma lo vediamo anche noi...» le rispose Rosa allibita.

Lea e Laura si scambiavano, taciturne, sguardi sconvolti, mentre Elio si avvicinava.

 

«Michele.» mormorò lui, quando gli fu davanti per, poi, abbracciarlo.

 

Silenzio: non rimase altro.

Si guardavano tutti negli occhi, pensando di assistere a un sogno, una farsa, uno scherzo, un’illusione ottica o, comunque, tutto ciò che potesse dissociarsi nettamente con la dimensione del reale; finché Michele non ruppe il silenzio.

 

«Io so che non mi capite, ma vi assicuro che neanche per me è stato facile. Sono pronto a spiegarvi tutto, se lo vorrete... E, se non lo vorrete, vi capisco e accetto, però dovevate saperlo… Soprattutto perché Monica non centra, sono io che le ho chiesto di aspettare, di nasconderci…»

 

Monica si sedette sulle scale, fissando le espressioni degli altri che continuavano a non proferire parole e abbassavano il volto per incredulità e timidezza.

 

L’unica a fare un passo avanti fu Laura, anche lei, come Elio, gli si avvicinò e lo abbracciò in silenzio.

«Per quanto mi sembri un sogno, ci sei mancato tanto, sai? Paolo non è più lo stesso senza di te…» gli sussurrò, sfidando l’incredulità, guardando Michele negli occhi.

«Anche voi mi siete mancati, non sapete quanto.» ammise Michele, sorridendo al coraggio di Laura che, ancora, lo stringeva forte.

 

Le altre imitarono l’amica, quando lui si avvicinò loro, nonostante fosse difficile dovettero ammettere a sé la realtà delle cose.

 

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Capitolo 13
*** XIII ***


Amici

 

«E con questa nuova identità, ho ritrovato Monica che, nonostante tutto, mi ha riconosciuto. A Natale, non l’avete più vista perché è venuta a cercarmi e da allora siamo tornati a vivere insieme, intanto, ‘quelli lassù’ hanno deciso che potevo rimanere accanto a lei… Ho chiesto io a Monica di non parlare, ma, ora, non volevamo e non potevamo più continuare a nasconderci e ...eccoci qui…» concluse il suo racconto Michele che aveva sfidato per tutto il tempo gli sguardi attoniti degli altri.

 

«Non può essere...» si sfiorava la fronte Rosa, molto frastornata.

«Ti capisco, neanche io mi crederei, probabilmente...» la rassicurò Michele con un sorriso.

Le altre non parlavano.

 

«Michele, ti va di incontrare Paolo?» propose Laura che sembrava essere quella più pronta ad accettare la verità.

Michele annuì.

«Lo chiamo allora.»

«Ma… Laura, aspetta! Per Paolo sarà difficile accettarlo: diglielo tu per prima.» la interruppe Monica, consapevole di quanto sarebbe stato difficile rivelare a Paolo il ritorno dell’amico.

 

~

 

(la sera stessa)

 

 

«Paolo, ti prego! E’ da questa mattina che non dici una parola...» disse dolcemente Laura a Paolo che restava seduto sul letto, fisso a osservare il vuoto- «Ti capisco, ma è una cosa bella, per quanto possa sembrare assurda, è vera e dobbiamo accettarla, affidandoci a quello che vediamo, anche se richiede lo sforzo di non capirla a fondo. Anche Monica ha faticato a elaborare questo ritorno, ma è stata forte e ha capito che non poteva ignorare la verità, solo perché sembrava surreale il fatto che fosse vivo…»

 

Paolo continuava a non rivolgerle né sguardi né parole, imperterrito.

 

«Paolo…» sussurrò lei, sfiorandogli un braccio.

 

«Laura, io non capisco.» disse piano, non distogliendo gli occhi dal vuoto.

«Forse, se si vuole bene a qualcuno, capire non conta poi così tanto.» seguì Laura con delicatezza.

«Michele è morto, Laura.» ribadì Paolo stanco.

«Michele adesso è vivo: questa è la verità che tu lo voglia o no. Il tuo è un capriccio: non vuoi affrontare la possibilità di illuderti e procurarti una delusione... Ma, Paolo, tu ne devi essere felice.» controbatté Laura secca, sperando di dissuaderlo.

«Laura, tu ci credi?» domandò Paolo, voltandosi verso di lei.

La donna annuì.

«E come fai a esserne così sicura?» insistette l’uomo.

«Sento di essere felice di quello che è accaduto, mi fido del mio istinto e credo in Monica che, tra l’altro, è di nuovo incinta...» rispose con naturalezza lei.

«Monica aspetta un bambino?» domandò lui, guardandola stupito.

«Sì e spera tanto che sia una femminuccia.»

«Ma, allora…»

«Allora no, non è un sogno, Paolo...»

«Ho sempre lottato contro l’idea che Michele non ci fosse più, che mi avesse lasciato solo...

Anche perché era lui che aiutava me, che mi faceva capire cosa era giusto e cosa non lo era.

Mi ha aiutato a crescere Cristina ed era l’unico a starmi vicino quando è morta Eleonora...» rifletteva Paolo, abbassando lo sguardo per nascondere gli occhi, ormai, lucidi.

«Non hai mai accettato la sua morte...» -le fece notare Laura, cercando i suoi occhi- «Però, ora, dovrebbe essere più facile pensare che lui c’è e non è cambiato niente tra di voi.

Per quanto spaventato sia, Michele è forte ed è capace di dare tutto quello che portava con sé un tempo, anzi, forse ci può insegnare qualcosa in più...»

«Sono stato un idiota a scappare davanti alla realtà!» ammise lui, rimproverandosi.

«Beh…Hai dimostrato il tuo attaccamento a ciò che si dimostra certo: hai bisogno di sicurezze come tutti, ma, il fatto che tu abbia sbagliato, non ti preclude la possibilità di recuperare.»

 

~

 

Paolo stava seduto su un muretto, attendeva muto che il tempo giocasse il suo corso.

 

Michele camminava verso di lui, lentamente senza forzare l’attesa che lo separava dall’amico che, questa volta, sentiva non sarebbe fuggito.

Senza parlare, lo raggiunse e si sedette a fianco a lui.

 

Trascorse, passando di lì, una catena d’attimi vuoti, muti, confusi; Michele scrutava il cielo sereno di quel pomeriggio, portandone l’essenza a ragione del suo respiro.

«E’ bello, vero?» avanzò Michele sognante, sempre rivolto verso l’alto.

 

Paolo distolse lo sguardo proiettato, fino ad allora, a terra e puntò gli occhi in alto a imitazione dell’amico.

 

«Sai, non ci avevo mai pensato prima, ma il cielo a marzo è davvero meraviglioso!

Nessuno se ne accorge finché non gli viene negato.

Quando comprendi che tutto quello che è qui, sotto questo cielo, non potrà più far parte di te, delle tue ore e rimane solo il ricordo a consolarti…Solo allora, capisci che hai perso le cose  più importante, che non sono il corpo, i soldi, gli oggetti... ma si riassumono in un segreto confessato a un amico come te, in un litigio con la tua donna, nel vedere un figlio addormentarsi e restare a guardarlo, nel calore di casa quando rientri l’inverno, nel fermarsi ad ascoltare il mare in una conchiglia e nel contare i minuti quando pensi che tutto va storto... insomma, nel sentirti vivo. La cosa più piccola, più buia diventa quella mancanza opprimente che non lascia respiri dietro di sé…  Rivederti adesso: questo sì, che è davvero una ragione per respirare ancora.» disse Michele, continuando a perdersi nei disegni delle nuvole su quella tela d’azzurro.

 

«Sono uno stronzo!» -esclamò l’altro, guardandolo negli occhi – «Sei la persona a cui ho affidato, praticamente, tutta la mia vita e non ti ho creduto…»

«Lascia stare! Non è colpa tua;  non ti preoccupare!» ironizzò l’altro, facendogli l’occhiolino nel cogliere l’amarezza delle parole di Paolo.

«Tu non cambi mai!» esclamò Paolo, facendosi sfuggire un sorriso.

«Ma vieni qua, imbecille!» replicò l’altro ridendo, mentre lo abbracciava.

 

«E’ bello che sei qui…» confessò Paolo con le lacrime agli occhi.

In risposta, Michele gli sorrise soltanto.

 

«Comunque, ora che ti posso parlare da vicino senza limiti, te la posso dire una cosa?» chiese Michele.

«Certo!» rispose l’altro, illuminatosi in volto.

«Sei un ingrato! Possibile che fai tutto di testa tua! Neanche avere i santi in paradiso, ti convinceva ad ascoltare, eh?» disse l’altro con uno scappellotto.

«Ma te che ne sai?»

«Come che ne so?! E Valeria, er Mollicone, quello stralunato di mi’ fratello, tu’ moglie ubriaca perché la tradisci,  e ‘Metti una sera a cena’…!» elencò l’altro, preso dal discorso.

«Ma, allora, eri davvero tu?» chiese l’altro euforico, sfoderando un sorriso a trentadue denti- «Non eri un sogno!»

«E non ero un sogno, no! Le pene dell’inferno in pieno girone celeste riuscivi a farmi passare! Mai una volta che mi avessi ascoltato!»

«E tu con le angiolette, ne vogliamo parlare?»

«Ma...Lascia Stare!» esclamò Michele con sguardo complice.

Paolo scoppiò a ridere, mentre faceva all’altro cenno d’alzarsi.

«’n birra adesso si può fare, no?» propose Paolo.

«Mmm… Seee! Ma non facciamoci sentire troppo, sennò quella rompi...»-si corresse -«quell’adorabile centralinista chissà che me’ fa quando torno!» ribattè, ridendo, Michele, alzandosi e incamminandosi con l’amico a fianco.

 

«Comunque, tornando a noi, tu non devi da’ consigli sulle donne che sei pericoloso, a mio fratello, poi… State uno più impedito dell’altro!»

«Ma era lui !»

«See! Mo’ era lui e io so’ fesso!»

 

Quelle voci risuonavano distorte a ogni passo, seguendo il loro allontanarsi; uno accanto all’altro, riscoprivano la complicità di sempre, al di là del tempo che era passato.

 

Aveva ragione Laura: forse, quando si tiene a qualcuno, i ‘perché’ diventano veramente parte dell’inutile; dinnanzi a tutti quei dubbi…

 

..rimanevano solo quelle due ombre allontanarsi vicine.

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Capitolo 14
*** Epilogo. ***


‘Meraviglioso’

 

Vivere significa nascere ad ogni istante.

La morte subentra quando il processo della nascita cessa.
(Erich Fromm)

Squilla il telefono.

 

 

«Michele, finalmente: è la settima volta che provo a chiamarti!» disse Paolo.

«Scusa, Paolo… Ma, sai, sono qui, in compagnia di una donna bellissima e...» confessò  Michele.

«Ma che è, sei scemo?! Che fai, Monica ti ammazza, se lo scopre!» si innervosì Paolo, quasi uscendo dal telefono, tanto era alto il suo tono.

«Ma…» cercò di giustificarsi l’altro.

«Ma cosa? Michele, che scuse ti vuoi inventare?!» continuò innervosito l’amico.

«Ma che bisogno c’è di inventare delle scuse?! Monica lo sa…»

«Cosa?! E com’è che mi stai parlando al telefono, allora? Cioè, com’è che sei ancora vivo?!» gli chiese sarcasticamente.

«Ma ci mancherebbe che mi uccide adesso!... Comunque, la dovresti vedere: è la fine del mondo, ha due occhi…» continuò Michele.

«Eh beh… due occhi, un naso e una bocca: che discorsi sono?!» tuonò Paolo disperato.

«Ma guarda che…» fu interrotto.

«Perché ti sento così male?» domandò Paolo.

«E’ perché ho le mani impegnate!» esclamò l’altro.

«Michele! Oddio, sei uno sciagurato e tu mi parli al telefono mentre chissà cosa fai!» urlò Paolo, in preda alla disperazione.

«Ma che hai capito?!»

«E Monica? Come l’ha presa, come sta?» si preoccupò Paolo.

«Bene! Beh…certo, un po’ stanca, ma…» venne interrotto Michele.

«Ma voi siete tutti pazzi!Tu sei con una e...»

«E ha, anche, gli occhi blu, sai?» rispose inebetito Michele.

«Un’altra con gli occhi azzurri?»

«Eh beh, se devo essere sincero, ci speravo!» confessò l’altro.

«Ma come ci speravi?! Tu una donna ce l’hai già!» gli ricordò furibondo.

«Eh beh! S’offenderanno mica se di donne nella vita ne ho due!» esclamò Michele con notevole disinvoltura.

«Devo anche mettermi a ridere? Farti un applauso, Michele?» domandò minaccioso.

«Boh… Fai tu!Ho altro a cui pensare in questo momento, però, se vuoi venire a vedere la mia bambola...’- non riuscì a terminare la frase l’amico.

«Che? Devo pure venirla a vedere? Ma non ci posso credere, sembrava andare tutto bene e invece…»

«Ma va tutto benissimo, infatti!» lo rassicurò Michele.

«Per te sicuramente!»

«Ma anche per Monica, ti dico!» ribatté.

«Eh, figurati! Te lo racconto io come ci si sente a essere cornuti!» rispose con un velo di rammarico Paolo.

«Nono, aspetta! Ma che hai capito?»

«Che stai tradendo Monica con una figa con gli occhi blu, no? La bambola…!»

«Ma secondo te io posso tradire Monica con la mia bambola: una neonata di due ore che, tra l’altro, è figlia mia!?» lo canzonò Michele, ridendo.

«’Figlia tua?’…Ma Michelino è un maschio!» controbatté Paolo confuso.

«Paolo, sveglia! Monica ha partorito!»

«E’ nato! E non me lo dici?!» ebbe il coraggio di chiedere l’altro.

«Eh…se m’avessi fatto parlare, te lo avrei anche detto!»

«Ma è una notizia meravigliosa! E com’è?»

«E’ bellissima!... Ma avevi dubbi? E’ figlia mia!» confessò l’altro con tono denso del suo scarso senso di modestia.

«Ma, allora, è  proprio una femminuccia?»

«Sì, sì, certo!! ‘A bambola!’» lo prese in giro Michele.

«E come l’avete chiamata?»

«Diletta.»

«Diletta…»- ripeté Paolo assorto- «Beh, allora, chiamo Laura e arrivo subito!»

«Ah…! Vedi che la vuoi vedere la bambola!?» rise l’interlocutore per, poi, terminare la telefonata.

 

~

 

«Ma che aveva capito Paolo?» chiese Monica ridendo, mentre teneva Michelino tra le braccia.

«Aveva capito che ti stavo tradendo con la bambola, qua presente.» mormorò lui, stringendo la manina della bimba che teneva in braccio.

«Guarda che potrei diventare parecchio gelosa…» confessò lei, ridendo.

«Ma gelosa di che? E’ uguale a te...» le rispose lui, prendendole la mano per intrecciarla alla sua.

«Eh beh... menomale, almeno lei! Guardalo qua, invece, un  Ventoni doc. fatto con lo stampo!» ribatté lei nel guardare Michelino giocare, in braccio a lei.

«Buon segno, no?» chiese lui.

«Beh, dipende!»- disse, ridendo, lei per, poi, rivolgersi al piccolino- «Mi raccomando, tesoro mio, il naso di papà no!»

«Che ha il mio naso che non va? Guarda che è un attributo che mi rende interessante!» chiarì lui, colpito nell’orgoglio.

«Ma su! Fai l’offeso? Io ti amo anche con il naso così…» lo prese in giro lei, ridendo.

 

In quell’istante, rizzarono le orecchie captando un vocio vagamente familiare, proveniente dal corridoio.

La porta si aprì di colpo, mostrando l’entrata dinoccolata e confusa di Maya, seguita a ruota da Elio e Rosa.

 

«Oddio!» esclamò Maya, sull’orlo di piangere per la commozione.

«Questa volta ce la siamo presa con comodo perché pensavano al T.p.l.d.s, al fatto che l’ultima volta ci hai fatto patire le pene dell’inferno, ecc.: < C’è tempo,quindi!>, invece ti troviamo qui che l' hai già fatta?!» chiese ironicamente Rosa.

«E che ci deve fare poverina!?» soggiunse Elio, scorgendo Monica che rideva.

«Beh, sarà l’amore…!» sospirò Maya.

«Eh...’A Elio, che gli hai fatto a questa?! Mi spaventa: era l’eroina sostenitrice de ‘una botta e via’ e, adesso, è più inibita di Biancaneve» scherzò pungente Michele.

«Guarda che anche tu non scherzi! “Non credo nell’amore, non voglio rapporti stabili,...” e, adesso, sei qui a perdere il senno con una bimba tra le braccia: chi l’avrebbe mai detto, eh?!» avanzò Rosa, con gli altri a suo seguito.

«E come si chiama questa principessa?» domandò Elio, sorridendo alla piccola in braccio al papà.

«Diletta.» dissero in coro Monica e Michele.

«Diletta?! E’ carino, ma come mai?» domandò Rosa.

«’Il mio diletto è bianco e vermiglio!'» scoppiarono a ridere i due, lasciando gli altri confusi.

«A me piace ‘Diletta’ e, poi, Elio, guarda che meraviglia! Sembra un’angioletta...» si lasciò andare ai sentimentalismi la rossa, civettando rivolta al fidanzato.

 

Monica analizzò quelle parole, fermandole in sé e facendole sue; in quell’attimo, comprese il segreto di cui Michele non aveva mai azzardato confidenza.

 

Un segno: che mediocrità, che scaramanzia!

Forse, era un pretesto: ciò che sarebbe bastato a proteggere una realtà molto vulnerabile, sgorgante con veemenza dalla purezza più estrema.

 

Una vita, nonostante l’incontro con la morte, non può trovare riscontro nella negazione della stessa.

 

La voglia di vivere non esaurisce la sua potenza, neanche dinnanzi alla fine.

Nell’indifferenza e nella mancanza di attenzione che rivolgiamo a ciò che è minuto, taciturno, fragile e privo di protezione si racchiude il  senso più profondo del ‘bello’.

Questa bellezza passa inosservata, nascondendosi all’estraneità di uno sguardo troppo fugace.

 

Dalla vogliosità, di chi non smette di stupirsi della vita, sboccia il ricordo di chi ha sognato di non morire, pur accettando che la fine vera esistesse.

 

E a chi rimane, a chi sente, a chi vede, a chi soffre, a chi tace è data la missione di riscoprire dove cercare un ricordo da portare con sé, per mezzo della propria esistenza.

 

Monica aveva capito: il ‘Blu’ non azzarda, non scherza; il Blu sceglie, il Blu vuole.

 

Dare adito alle fatalità, potendo giostrare la vita, per ‘quelli lassù’ non era opportuno.

 

Gli sguardi di Monica e Michele si incrociarono per un istante di profondo e, forse, bastò; quella verità rimase custodita nel magnanimo ed affidabile silenzio.

 

Monica sorrise, incontrando Michele e i suoi occhi.

 

Si rivolse a Maya e, con naturalezza ed una lieve risata, affidò al vento la prova dell’avvento della sua consapevolezza.

 

<‘Angelo’> (?)

 

«Ma chi ti dice che non sia caduta dal cielo?»

 

In quel momento…

due piccole mani bianche si agitavano, due occhioni blu sgranavano la loro luce; tutto questo, nell'osare il tocco dell'aria : nella sorpresa di scoprirsi vivi al Mondo.

 

La morte si vince con la vita. La morte si dimentica vivendo.

La morte si perde davanti a una rosa che sboccia, a un bimbo che nasce.

 

Nascere, piccolo, è cadere nel tempo.
(Maria Cvetaeva)

 




***

Eccoci alla fine!
Che dire?! Se non che è stata un'avventura, quando ho iniziato non avevo affatto idea di cosa sarebbe stato e voi che avete letto,che avete commentato mi avete aiutato ad avere la voglia di scriverlo per me e per voi. <3
Quindi non posso fare altro che ringraziarvi tanto tanto tanto tanto tanto tanto e ancora perchè siete state fantasticheee e ne approfitto per dire pubblicamente che vi adoro!

Spero vi sia piaciuta la storia tutto sommato e che vi piacere il capitolo qui di seguito, che è anche l'epilogo!Per chi non si è stufato di me, posso garantire che continuerò a scrivere su questo fandom,anzi, ho 'Quello che le donne non dicono' in corso, una raccolta di sette brani minimo per un contest in cantiere (e lo vedrete prestissimo, se lo vorrete ovviamente), due one shot assicurate (una su Cristina e una su Monica e Michele-ma guarda un po'!Proprio insolito xD-) e altra roba con cui non vi tedio ulteriormente!
Ringrazio Music Addicted,Ray e Claudia infinitamente per le ultime recensioni <3 ^^ *_____________*

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