I cancelli del Makai

di nemes81
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** 1. Prologo ***
Capitolo 2: *** 2. Un ritorno inaspettato ***
Capitolo 3: *** 3. La rivelazione ***
Capitolo 4: *** 4. Il sigillo infranto ***
Capitolo 5: *** 5. La perfida Maya ***
Capitolo 6: *** 6. Il portale del colore del sangue ***
Capitolo 7: *** 7. Il custode dei cancelli del mondo dei demoni ***
Capitolo 8: *** 8. Epilogo ***



Capitolo 1
*** 1. Prologo ***


1

1. Prologo

Un incubo. Un brutto sogno dal quale non riusciva a svegliarsi. Doveva per forza essere così.

Maya cercava in tutti i modi di convincere se stessa che quello che le stava accadendo non fosse reale, ma solamente un brutto scherzo della sua immaginazione, mentre, accovacciata in un angolo di quella buia ed umida prigione, piangeva in silenzio, senza riuscire a fermarsi.

Poco distante, Suiko, Korin e Kongo, le tre armature catturate da Arago, giacevano immobili, in un sonno dal quale lei non era in grado di destarle. Ci aveva provato a lungo, ma a nulla erano valsi i suoi sforzi. Con molta probabilità il loro destino comune era quello di rimanere confinati in quella tetra oscurità per l’eternità.

«Mamma… papà…» singhiozzava, mentre continuava a maledirsi per essere voluta tornare a tutti i costi in Giappone.

Se fosse rimasta a casa, sicuramente starebbe ancora vivendo la sua tranquilla e monotona vita, che rimpiangeva per la prima volta.

Sentiva ancora su di sé l’odore acre dello zolfo che bruciava nella brace della sala del trono, non riusciva a togliersi dalla testa la fastidiosa litania che gli spiriti del male avevano continuato a ripetere, mentre lei giaceva, nuda ed inerme, al centro di un pentacolo; ma, peggio ancora, non riusciva ad abbandonarla la sensazione di aver perso per sempre una parte importante della propria anima. Si sentiva incompleta, e questo la terrorizzava più della prigionia.

Cosa le stava succedendo? Perché provava tanta paura? Che fine aveva fatto tutto il coraggio che fino ad allora era riuscita farla andare avanti in quella dura lotta? Era come sparito nel nulla, senza lasciare traccia.

Improvvisamente sentì il tepore di una mano sulla sua spalla ed una voce amica che cercava di rassicurarla.

«Maya, non piangere più. Sono venuto per portarti via.»

Touma era finalmente arrivato.

Senza esitazione la ragazza si avvinghiò a lui, continuando a piangere, mentre il samurai, inizialmente sorpreso, la strinse dolcemente a sé, cercando di calmarla, per nulla preoccupato da quello strano comportamento.

Shin, Xiu e Seiji, finalmente liberi, assistevano alla scena senza dire una parola, preparandosi all’ultima e decisiva battaglia.

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Capitolo 2
*** 2. Un ritorno inaspettato ***


2

2. Un ritorno inaspettato

«Aspetta. Devo parlarti, è importante.»

Maya, che aveva appena accennato il primo passo verso gli spogliatoi della palestra, si bloccò di colpo. Sapeva benissimo che quando Luca, il suo maestro di Kempo, diceva “è importante”, c’era in aria odore di predica. Ed era anche a conoscenza del motivo.

Mogia si sedette sulla panca ed ascoltò in silenzio quello che lui aveva da dirle. O meglio, fece finta di ascoltare, perché di tutto quello di cui lui stava parlando, si era accorta ormai da tempo. Sebbene sul piano della meditazione fosse tutto a posto, aveva perso incisività nei combattimenti, andava poche volte a segno e mai in maniera decisiva.

«Sembra quasi che tu abbia paura di far del male al tuo avversario.»

Già. E dire che fina a poco tempo prima di quello che provasse l’avversario non gliene importava niente.

Che lo scontro con Arago l’avesse mutata a tal punto?

«Che fine ha fatto la tua voglia di vincere?»

Sparita, come era accaduto al suo coraggio ed alla sua capacità di giudizio.

«Per ora è un periodo un po’ così…» si giustificò lei, sperando che lui se la bevesse.

«Speriamo che passi presto. Sei sempre stata la migliore.»

«Speriamo…» bisbigliò appena, ma Luca non la sentì nemmeno.

Abbattuta, si diresse verso lo spogliatoio, le spalle curve come se stesse sorreggendo i mali di tutta l’umanità. Senza aprire bocca, tolse il lucchetto dall’armadietto, spalancò lo sportello e prese il borsone. Poi, meccanicamente, tirò fuori l’accappatoio e l’occorrente per lavarsi e andò alle docce.

Rimase ferma per parecchio tempo, lasciando che l’acqua che scivolava lungo il suo corpo allontanasse tutta la tristezza che sentiva addosso.

Da quando era stata catturata da Arago, non era più la stessa. E non era stata la sola a notarlo. Anche il suo maestro ci aveva fatto caso; e poi, c’era suo padre, ma per lui più che un problema era una vera e propria liberazione. Finalmente la figlia ribelle aveva deciso di mettere la testa a posto.

Lei non si era mai sentita una ragazza ribelle. Aveva dovuto sempre portare sulle sue spalle il fardello di doti che non aveva mai chiesto, doti che erano state solamente il grado di allontanare da lei qualsiasi persona a cui tenesse. Nonostante all’inizio tutti fossero piacevolmente stupefatti della precocità con cui aveva iniziato a parlare, e dalla facilità con cui era in grado di imparare e padroneggiare qualsiasi lingua, a lungo andare le persone cominciarono a considerarla “anormale”. Era in grado di percepire l’attitudine di una persona semplicemente standole vicino e questo fatto, unita ad una forza al di sopra delle capacità di un comune essere umano, le aveva creato non pochi problemi. Ben presto il suo carattere divenne scontroso, insofferente verso tutto e tutti. Il padre prese allora la decisione di farle praticare le arti marziali. Se, da un lato, avrebbero contribuito a rafforzarla, dall’atro, le avrebbero imposto una severa disciplina che l’aiutasse a controllarsi.

Mai decisione dell’uomo fu più giusta. Nono solo Maya imparò a placare la sua collera, ma le tecniche che aveva imparato in quegli anni le avevano permesso di sopravvivere all’Impero del Male.

Ma adesso, che ne sarebbe stato della sua vita? Sentiva la mancanza di quella parte di sé “anormale”, con la quale aveva imparato a convivere.

Dopo essersi vestita, passò dalla reception della palestra, salutò le segretarie, attraversò il portone in vetro e si diresse verso il suo scooter.

Erano le dieci di sera. Percorreva le strade semideserte senza porre alcuna attenzione a cosa le stava intorno. In lontananza vide un semaforo diventare rosso e si preparò a rallentare, venemdo improvvisamente sbalzata lontano dalla sua moto. Quando riuscì a sollevarsi, notò che lo scooter giaceva a terra sul fianco destro, quasi completamente distrutto.

Che cosa era accaduto? Che cosa l’aveva investita? Lentamente, cercò di avvicinarsi al Liberty, trascinando la gamba destra, dolorante per la botta. Ma non poté continuare. Arrivata a metà strada sentì come una forza che la tratteneva, e non le permetteva di andare oltre. Un turbine violento si levò nell’aria e lei poté notare distintamente due figure che lottavano freneticamente senza che nessuna riuscisse ad avere la meglio. Una aveva dei tratti pressoché demoniaci; l’altra non riuscì per niente ad identificarla, non era un demone, ma non sembrava nemmeno rientrare nella categoria degli esseri umani, a causa del tenue bagliore che emanava.

Tutt’a un tratto, quest’ultima venne colpita violentemente e scaraventata ai piedi di Maya, che ancora non riusciva a muovere un muscolo. Qualcosa urtò contro la sua scarpa e ricadde al suolo, producendo un tintinnio. Maya lo raccolse. Era una specie di chiave. Una chiave di cristallo la cui estremità presentava una pietra dalle fini venature viola.

«Scappa…» disse allora la misteriosa creatura, rivelandosi adesso per quella che era. Un essere umano, proprio come lei.

«Come?» domandò la ragazza confusa.

«Io sono ferito gravemente…» ansimava, «e non posso resistere a lungo… porta con te quella chiave, nascondila… solo tu puoi farlo…» , si interruppe, e, tossendo, emise sangue dalla bocca.  Il demone era sempre più vicino. «Va’… fa’ presto!»

Senza aver capito nulla di quello che stava succedendo, Maya si mise a correre, cercando di non sentire le urla strazianti dell’uomo, che, intanto era stato raggiunto dal suo nemico.

Si immise in uno stretto vicolo, costeggiato da alti palazzi, accorgendosi troppo tardi che era senza via d’uscita. Impaurita, si nascose dietro un cassonetto, pregando che il demone non riuscisse a trovarla, ma ogni secondo che passava i passi di quella creatura mostruosa si facevano più vicini. Strinse forte la chiave che avrebbe dovuto proteggere, cercando la forza dentro di sé; fino a poco tempo prima, non avrebbe esitato ad affrontare quella nemico sconosciuto ed immondo e adesso si ritrovava tremante a pregare di non essere vista.

«Touma…» singhiozzò.

Una lacrima bagnò la pietra viola. Una luce accecante la avvolse e Maya si sentì come disintegrata in miliardi di minuscoli frammenti. Poi, il buio.

 

Si risvegliò con la sensazione di aver dormito profondamente e a lungo; le sue palpebre si schiusero a fatica, si sentiva spossata, come se avesse attraversato a piedi un intero continente senza mai bere o mangiare. Si trovava in una stanza mai vista, dalle pareti bianche e dallo scarso arredamento, sdraiata su uno scomodo lettino. Dove mai era finita? Un ospedale forse? E come c’era arrivata?

Si voltò e guardò fuori dalla finestra: il sole splendeva alto nel cielo, doveva essere mezzogiorno. Erano passate più di dodici ore dall’ultimo evento che era in grado di ricordare. Cosa era accaduto dopo era un mistero, né, per quanto si sforzasse, riusciva a richiamarlo alla mente.

Una mano scostò di poco la tendina che circondava il letto e davanti a lei apparve Touma.

«Ti sei svegliata, finalmente!»

«Che… cosa…» balbettò Maya, incredula. Non poteva essere… aveva pensato a lui e adesso se lo trovava davanti! Com’era possibile? «Tu… io… io dove sono?» non ci capiva niente.

«Nell’infermeria della mia scuola.» rispose lui, sedendosi su di una sedia, in modo da poter poggiare i gomiti sullo schienale. «Perché non mi hai detto che saresti arrivata? Per me è stato uno shock vederti a terra, sembravi come morta. Per fortuna che alle sette c’erano ancora quelli del club di atletica. Se non ti avessero trovata loro…»

«Sono a Tokyo…» mormorò, ancora più allibita, coprendosi gli occhi con il braccio e sospirando. «Io… ero nel cortile?»

«No, vicino alla palestra del tiro con l’arco. Mi stavo ancora allenando, quando ho sentito qualcuno che diceva di chiamare aiuto, che c’era una persona svenuta e sono accorso anch’io.» Maya ascoltava in silenzio. «Di’, come facevi a sapere dov’è il mio liceo?»

«Non lo so, infatti.»

«Come?» chiese Touma, rizzandosi sulla sedia.

«E non so nemmeno come sono arrivata fin qui.» la ragazza osservò i palmi delle mani per qualche secondo, poi, come se solo in quel momento avesse preso piena coscienza della realtà, cominciò a cercare addosso a se. La chiave! Che fine aveva fatto? «Non c’è…»

«Cerchi questa?» Touma aprì il pugno e gliela mostrò. Era ancora lì e, per fortuna, non sembrava aver riportato alcun graffio.«Mi spieghi che sta succedendo?»

«Vorrei saperlo anch’io…» sospirò lei. «so solo che un minuto prima un tizio sconosciuto ma ha dato questa dicendo di nasconderla ed un demone mostruoso ha iniziato a darmi la caccia, e, un minuto dopo mi sono risvegliata su questo microscopico lettino.»

«Facciamo più di un minuto.» sorrise lui.

Maya prese in mano la chiave e cominciò a fissarla, come incantata. Soprattutto la pietra: non credeva di averne mai viste di così particolari. Cosa poteva essere? Quarzo? Ametista? Prima di allora non si era mai interessata alle rocce ed alle pietre preziose.

«E’ granito. Granito viola.» disse sicuro il ragazzo, come leggendole nel pensiero.

Maya ricordò che dal loro primo incontro non era mai stata in grado di nascondergli nulla. Era come se lui sapesse sempre cosa le passasse per la mente. Forse dipendeva dalla sua intelligenza fuori dal comune.

La porta dell’infermeria si spalancò di colpo, mentre il vocione di Xiu cominciò a rimbombare nella minuscola stanza.

«Dov’è? Si è svegliata?» disse,preoccupato, facendo cadere a terra la tendina nella foga di aprirla.

«Sto bene, non preoccuparti!» lo rassicurò la giovane, ridacchiando per l’ennesimo disastro che l’amico era riuscito a combinare.

Dietro di lui apparvero Shin , Seiji e Ryo, sollevati nel vedere il suo volto, adesso sereno.

Era sempre stato così: per quanto fosse preoccupata, triste o arrabbiata, bastava semplicemente sentire la voce di quei cinque ragazzi per farla tornare serena.

 

Nasutei fissava perplessa lo schermo del suo computer, mentre i samurai, seduti nel salotto, discutevano del più e del meno, in attesa che Maya terminasse la sua conversazione telefonica con il padre. Doveva essere attaccata alla cornetta da almeno tre quarti d’ora.

«E tu speri che io creda ad una storia tanto assurda, forse?» domandò l’uomo, dopo aver ascoltato senza batter ciglio il racconto della figlia.

«Non pretendo tanto, ma è la verità, che ti piaccia o no.» ribatté lei. «E poi, sei riuscito a convincerti per tutti questi anni che io fossi una persona come le altre; potresti sforzarti almeno un po’ ad accettare anche questo fatto.» dall’altra parte del filo c’era il silenzio più assoluto. «Ammetterai finalmente che non è normale per una bambina di dieci anni rompere un mattone come fosse burro semplicemente afferrandolo.»

«E che intenzioni avresti?»

«Credo che per ora sia meglio che io rimanga qui.» affermò decisa.

Ci aveva riflettuto, e quella le era sembrata la soluzione più giusta. Non poteva mettere a repentaglio la vita dei suoi genitori. A Tokyo, invece, poteva contare su delle persone che l’avrebbero aiutata e protetta.

«E che spiegazioni dovrò dare ai tuoi insegnanti ed ai tuoi amici?»

«Puoi dire la verità, che sono in Giappone ospite di amici, e che mi hai regalato il biglietto come premio dei miei risultati scolastici.»

«E per la scuola come farai?»

Maya spiegò che avrebbe frequentato il liceo Toyama per qualche tempo e gli chiese di passare dalla sua vecchia scuola per inoltrare le pratiche di trasferimento. Suo padre stava ad ascoltare senza dire una parola, ben conscio di quanto fosse testarda. Quando ebbe finito di dare le ultime istruzioni, la ragazza lo salutò, pregandolo di tranquillizzare la madre; poi riagganciò.

Entrò in salotto e si buttò pesantemente sulla poltrona. Da tanto non metteva piede in quella stanza e notò che nulla era affatto cambiato, i mobili erano come li aveva lasciati; sorrise nel vedere il grande tavolo di legno attorno del quale tutti loro si erano più di una volta riuniti per cenare. Un paio di piante erano state aggiunte per rinnovare l’ambiente e adesso quella casa sembrava pervasa da una nuova vita.

«Com’è andata?» chiese Shin, poggiandole una mano sulla testa.

«Tutto a posto.» rispose lei, socchiudendo gli occhi e lasciandosi cullare dal tepore di quel contatto. «Alla fine non ha avuto obiezioni.» sospirò. Quella sarebbe stata una settimana davvero pesante. Avrebbe dovuto studiare giorno e notte se voleva entrare nel liceo frequentato dai suoi amici. Ma era decisa e nulla l’avrebbe potuta fermare. «Trovato niente?» domandò infine a Nasutei.

«No, mi dispiace. Tra gli appunti di mio nonno non c’è nulla su questa chiave.»

«Non importa. Almeno hai provato.» disse Maya, sconsolata.

 

«Qui troverai tutto ciò che ti serve.» disse Touma, mentre entrava nel salotto del suo piccolo appartamento sorreggendo mezza dozzina di libri.

Maya, seduta sul divano, gli dava le spalle e sembrava non essersi accorta di lui, intenta com’era a fissare la scacchiera in bella mostra sul tavolino di vetro.

«Che fai?» domandò il ragazzo incuriosito.

«Scacco matto.»

«Come?»

«Se non sbaglio era il mio turno. Regina in e5. Scacco matto.»

Touma allungò il collo per guardare meglio. Non lo stava prendendo in giro, era proprio in scacco matto. Dopo quasi sei mesi, la loro interminabile partita, giocata al telefono o via internet, era giunta alla conclusione, decretando la sua sconfitta.

Il ragazzo si sedette accanto a lei e le mostrò i grossi volumi dai quali lui aveva studiato per prepararsi all’esame.

«Sei sicura di non volere aiuto?» le chiese per l’ennesima volta.

Lei scosse la testa. Grazie a Dio lo studio non le aveva mai creato problemi, né suo padre se ne era mai lamentato. Era sempre stata abituata a cavarsela da sola in certe situazioni, ma, soprattutto, voleva dimostrare che poteva farcela senza l’aiuto di nessuno. Non poteva sempre contare sugli altri, doveva imparare a camminare con le proprie gambe. Non voleva che Touma e gli altri arrivassero a considerarla un peso.

 

Maya continuava a guardarsi allo specchio per verificare che fosse tutto a posto, che la gonna le cadesse bene e che il nastro fosse appuntato nel modo giusto. E i capelli, come doveva portarli? Sciolti o raccolti? Con le mani prese i suoi capelli  color mogano e li sollevò in una coda di cavallo; poi, sbuffando li lasciò ricadere sulle spalle.

«Sei pronta?» gridò Nasutei, dal piano di sotto.

La ragazza lanciò un’occhiata all’orologio. Le sette e mezza. Se si fosse soffermata ancora, sarebbe arrivata in ritardo anche il suo primo giorno di scuola. Si passò frettolosamente il lucidalabbra alla fragola sulle labbra, prese la borsa e corse giù.

Sulla jeep rossa osservava fuori dal finestrino ancora incredula. Eppure era stata convocata appena il giorno prima dal preside del liceo che le aveva comunicato il brillante risultato che aveva ottenuto agli esami e le aveva dato il suo benvenuto al liceo Toyama. Stringeva al petto la borsa che Shin e gli altri le avevano regalato per festeggiare il suo esame, ripesando alla loro dolcezza. Anche Jun aveva voluto partecipare e rivedere finalmente la sua sorellina.

«Sei nervosa?» chiese Nasutei, senza staccare gli occhi dalla strada.

Un gruppo di studenti attraversò la strada sulle strisce pedonali davanti a loro, ancora assonnati.

«Un po’.» ripose la ragazza, sospirando. «Ho sempre odiato il primo giorno di scuola. Essere fissata da persone che non conosco è insopportabile. E qui è inevitabile, sarò l’unica straniera in mezzo ad un migliaio di studenti giapponesi…»

«Ma tu conosci già qualcuno nella tua nuova scuola.»

Nasutei aveva ragione. C’erano Touma, Shin, Seiji, Ryo e Xiu. Non era affatto sola.

La macchina si fermò.

«Siamo arrivati.» disse la donna. «In bocca al lupo.»

«Crepi.»

Maya aprì lo sportello e scese dalla macchina. I suoi amici la stavano già aspettando.

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Capitolo 3
*** 3. La rivelazione ***


3

3. La rivelazione

Un’altra giornata al liceo Toyama stava volgendo al termine. L’assenza del professore di giapponese diede un po’ di respiro agli studenti della prima sezione del primo anno, che ne approfittarono per rilassarsi. Maya, tenendo in mano un pacco di fogli per fotocopie, camminava per i corridoi del primo piano canticchiando un motivo che Touma riconobbe subito. Era il brano più trasmesso dalle radio.

«Ma non dicevi di odiarlo?» chiese sorridendo.

«Infatti, ma non riesco a toglierlo dalla testa.»

Da lontano videro Shu e Ryo, in piedi davanti alla porta della loro classe, che si punzecchiavano continuamente. Improvvisamente la porta si spalancò e la faccia rugosa del professore di matematica, Otani, spuntò, accigliatissima come suo solito.

«Smettetela di fare casino!» urlò e sbatté la porta.

«Che avete combinato, stavolta?» sospirò Touma.

«L’ha beccato con un manga nascosto nel libro.» ridacchiò Ryo, indicando il compagno di classe, intento a mantenere in equilibrio sulla testa il secchio colmo di acqua.

Shu era sempre il solito. Da quando Maya era entrata in quella scuola, non vi era giorno in cui non fosse stato punito durante una lezione. Sì, ma perché c’era anche Ryo?

«Sei qui per solidarietà?» domandò lei, ironica.

«Divertente… ho cercato di avvertirlo per un’ora, poi, quando il prof l’ha beccato non sono riuscito a trattenermi e sono scoppiato a ridere!» si difese il samurai del fuoco.

«C’era da immaginarlo…»

«Avete gli allenamenti del club anche oggi?» chiese la ragazza ai tre, che annuirono. «Uffa… e io che speravo di poter andare un po’ in centro con voi!» Xiu continuava a giocare con il secchio, come se di quella punizione non gli importasse nulla. «Guarda che se continui ti cadrà a terra.»

Touma le diede ragione.

«O senti la mancanza dell’ufficio del preside?» domandò, mentre Maya depositava fra le sue braccia anche i suoi fogli e tirava fuori dalla tasca la sua fotocamera dalla quale non si separava mai, per immortalare l’evento, che, ci scommetteva, sarebbe avvenuto di lì a poco.

«AAAH!!!» urlò infatti Xiu, cercando di afferrare il secchio e finendo anche lui rovinosamente a terra, per giunta bagnato fradicio.

«Le porte scorrevoli si aprirono di botto.

«Ma insomma, Fang!» fu la replica del professore, mentre Maya e Touma, facendo finta di niente, avevano ripreso a camminare.

«Sei stata perfida.» affermò il ragazzo.

«Davvero?»

Lei ridacchiò ripensando a quello che era accaduto.

«Perché non ti iscrivi al club di fotografia?» le chiese Touma dopo averci riflettuto.

«Sai bene come e la penso a riguardo.»

Era stata tentata più volte di fare domanda ad un club, uno qualsiasi, ma si era sempre ritrovata a pensare che per lei non sarebbe mai stato umanamente possibile entrare davvero a farne parte. Perché, qualunque cosa facesse, qualunque sport intraprendesse, sapeva benissimo che la sua bravura derivava soltanto da quello strano dono. Anche per le arti marziali era stato così, ma sebbene più di una volta avesse provato a mollare tutto, si era resa conto che, al di là dei tornei, le erano tornate utili, se non altro per rimanere in vita la in Giappone.

«Già. Ma è un club che non richiede particolari abilità fisiche. Hai bisogno solo di una macchina fotografica e mi pare tu sia abbastanza attrezzata.»

«Dici sul serio?»

«Sul serio.»

«Allora ci penserò su.»

L’avesse proposto qualcun altro, non gli avrebbe dato poi tutta questa importanza. Ma era stato Touma a parlare. Si fidava delle sue parole, sapeva che aveva sempre ragione. E poi… probabilmente si era presa una cotta per lui. L’aveva capito quando si era accorta di pensare continuamente a lui e di venerare anche la terra sulla quale camminava. Se assecondarlo contribuiva ad avvicinarli ulteriormente, non avrebbe esitato a farlo.

 

Ryo e gli altri erano impegnati con le attività del club. Maya camminava per i corridoi della scuola, ripensando alle parole di Touma. Si fermò davanti ad una porta, sollevò lo sguardo e fissò i foglio di carta che vi era appeso. “Club di fotografia”. Fece scorrere i pannelli ed entrò silenziosamente. Alle pareti della stanza erano appese numerose fotografie, ritraesti i soggetti più svariati. Rimase incantata davanti ad una luna enorme circondata dal’oscurità più profonda e no si accorse che qualcuno le era arrivato alle spalle.

«Desideri qualcosa?»

Maya si voltò di scatto, e si trovò davanti una ragazza dai capelli lunghi e dal volto accigliato.

«Queste foto sono stupende! Non sono un’intenditrice, ma…»

«Se sei venuta solo per ammirare le foto, la prossima settimana ci sarà una mostra.» la interruppe la sconosciuta, con tono seccato.

Poi entrò nella camera oscura e chiuse le tendine. Un modo molto brusco per farle capire che gli scocciatori non erano molto graditi, evidentemente.

«Ecco, io… mi piacerebbe entrare a far parte di questo club.» balbettò Maya, alzando un po’ la voce, per farsi sentire meglio.

L’altra uscì dalla piccola stanza e la squadrò velocemente, poi notò la macchina digitale che teneva fra le mani e fece una smorfia di disappunto che l’italiana non poté non notare.

«A casa ho una macchina analogica con obiettivo. Mi manca solo una camera oscura.» spiegò lei infastidita. «Questa la porto sempre con me perché è comoda e posso salvare tutte le foto su computer evitando la fase dello sviluppo.»

«Fa come vuoi.» sbuffò la giapponese e le porse un foglio.

Poi ritornò nella stanza accanto.

Maya scrisse i suoi dati sul modulo prestampato e lo poggiò su di un banco. Aspettò per qualche secondo, sperando che l’altra uscisse. Ma non lo fece.

«Io… sono Maya Monti.» si presentò, per niente sicura che l’altra avesse sentito. Poi lasciò l’aula.

 

«Cheeeeese!»

I cinque ragazzi si voltarono in direzione di Maya, che scattò loro una foto. Notarono che era insolitamente contenta, continuando a canticchiare quella che era ormai diventata la sua canzone preferita. Solo Touma sembrava a conoscenza del motivo.

«Allora lo hai fatto?» le chiese, sorridendo.

«Fatto cosa?» si intromise Xiu, incuriosito.

«Signori, avete davanti a voi un membro del club di fotografia.» continuò il samurai del Cielo.

Il cellulare di Maya iniziò a squillare e lei si fermò per rispondere rimanendo indietro rispetto agli altri. Era Nasutei.

«Sto per arrivare.» disse, e, mentre parlava sentì un brivido correrle lungo la schiena.

Aveva già percepito questa sensazione sgradevole, ma non voleva crederci, davvero. Perché significava solo una cosa. Col telefono ancora in mano, si voltò lentamente e si accorse, purtroppo di avere ragione. Il demone che l’aveva inseguita, l’aveva trovata.

Un urlo attirò l’attenzione dei cinque samurai che girandosi in direzione di Maya videro una scena agghiacciante: un mostro (perché solamente in quel modo poteva essere definita quella creatura orripilante) l’aveva afferrata.

Maya sentiva l’alito fetido di quell’essere dalla faccia deforme e non riusciva a trovare la forza di reagire. Le sue membra erano paralizzate dal terrore.

Se i suoi amici non fossero intervenuti, per lei sarebbe stata la fine.

Seiji tagliò il braccio del demone con la lama della sua spada, permettendo a Touma di portare in salvo la ragazza. Ma non furono loro a sconfiggerlo. Il bastone di Kaosu, piovuto dal cielo, lo vaporizzò con la sua luce.

«Tutto a posto?» le chiese Touma, preoccupato.

Lei chinò il capo un paio di volte, titubante e fissò il bastone, memore delle volte in cui le aveva salvato la vita.

Kayura, dopo averlo afferrato ed estratto dal terreno si avvicinò al gruppo e si chinò su di lei.

«E’ tutto finito. Per ora, almeno.»

«Come “per ora”?» si meravigliò Shin, aiutando Touma a fare sedere la ragazza su di una panchina.

«Ce l’hai qui con te?» continuò la discendente di Kaosu, non prestando attenzione alle parole del samurai. Maya prese la chiave dalla tasca e gliela mostrò. «E’ come temevo.»

«Che vuoi dire?» domandò Touma.

«Non sai che cosa sia, vero?» La ragazza scosse la testa. «Questa chiave apre il Makai.» I sei ragazzi la guardarono esterrefatti. «In mani sbagliate potrebbe spalancare i cancelli ed unire il Makai a questo mondo. Per questo vengono scelte delle persone che siano in grado di custodirla.»

«Quindi basta trovare il custode.» disse Seiji.

«L’avete già trovato.» Kayura indicò Maya che se ne meravigliò. «Ad ogni generazione nascono dei potenziali guardiani. Persone che hanno delle particolari attitudini. Proprio come te.» La donna le accarezzò il viso, come per confortarla. «Certo, non tutti lo diventano. E’ la chiave che sceglie. E, una volta che se ne entra in possesso, lo si diviene automaticamente.»

«Quindi… quindi quella cosa non era l’unica? Dovrò sempre guardarmi le spalle?»

«Ce la farai.»

«No. La chiave si è sbagliata, io non posso essere la sua custode. Se non ci fossero stati loro, sarei morta di sicuro. »

«All’inizio è dura accettare la realtà. Dovresti essere contenta. Almeno adesso sei a conoscenza del vero motivo delle tue doti fuori dal comune.»

Kayura mosse il bastone e svanì, mente i cinque samurai osservavano ancora increduli Maya che scuoteva la testa, stringendo fra le mani la chiave che l’aveva condotta a quello strano destino.

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Capitolo 4
*** 4. Il sigillo infranto ***


4

4. Il sigillo infranto

«Akira Chiba?» Maya aprì il suo bento e prese il suo toast fra le mani.

«Scontrosa ed irritante. Da come l’hai descritta, sembra proprio lei.» confermò Hitomi, accostando il suo banco a quello dell’italiana, sedendosi di fronte a lei ed assaggiando il suo pranzo.

Anche Sakura si unì a loro.

Da quando era entrata al Toyama, loro tre erano diventate praticamente inseparabili, forse perché erano nella stessa classe, forse perché Hitomi aveva cercato in tutti i modi di diventare sua amica sin dal primo giorno, sta di fatto che, quando Maya non era con i samurai, cercava sempre la loro compagnia.

«E poi, fa parte anche lei del club di fotografia.» si intromise Sakura.

«Hitomi, potrei venire ad osservare i tuoi allenamenti al club di softball?» Chiese Maya, cambiando completamente discorso. «Vorrei farti delle foto mentre lanci.»

«Okrispose lei, dopo che ebbe mandato giù l’ultimo boccone.

Aveva bisogno di distrarsi, di non pensare a quello che le stava accadendo. Non riusciva a credere alle parole di Kayura e nemmeno ci riusciva. La discendete di Kaosu era più che convinta che lei fosse una guardiana, ma lei non poteva accettarlo. Forse, se avesse fatto questa scoperta prima di venire catturata da Arago, ne sarebbe stata felice, ma adesso… non si sentiva all’altezza di un compito tanto gravoso, ma, soprattutto, non voleva mettere a rischio la vita di chi le stava intorno; gente normale o samurai, questo non importava.

 

Dopo essere uscita dalla camera oscura, Maya si diresse di filato verso il suo armadietto. E, sebbene fosse entusiasta delle foto che aveva scattato alla sua compagna, tuttavia non riusciva a non pensare a quello che le avrebbe riservato il suo futuro, adesso alquanto incerto. Mentre posava le scarpe da interno, qualcuno le diede un colpetto sulla testa con le nocche.

Era Touma.

«Torni a casa?» le chiese. Lei chinò lievemente la testa. «Allora ti accompagno.»

«Non ce n’è bisogno.»

Non era vero. Aveva paura anche solo a mettere il naso da sola fuori dalla sua stanza, figurarsi ad arrivare all’università. Ma non voleva darlo a vedere.

«Sei così distratta oggi che combineresti chissà cosa. E poi, devo restituire un libro a Nasutei.»

Maya sapeva che non era affatto vero,o che, comunque, non c’era tutta questa urgenza di farlo riavere all’amica, ma accettò di buon grado, perché aveva capito che lui cercava in ogni modo di non farle pesare quella situazione. E, d’altro canto, era da molto tempo che non passavano un po’ di tempo insieme e questo non poteva che farle piacere.

Giunti all’università, i due sollevarono lo sguardo e notarono che nella stanza di Nasutei la luce era accesa, così entrarono e salirono le scale.

«Permesso…» disse Touma, aprendo piano la porta.

«Siamo noi!» continuò la ragazza, ed entrambi fecero il loro ingresso nell’ufficio della donna. Due persone che l’italiana non si sarebbe mai aspettata si misero in piedi. «Mamma… papà…» balbettò, incredula, e corse ad abbracciarli. «Mi siete mancati tanto!»

Sapeva che era sbagliato, che loro non sarebbero mai dovuti venire in Giappone, che ne andava della loro incolumità, tuttavia, mai come in quel momento era stata così felice che i suoi non le avessero dato ascolto. Ne aveva sentito una tale mancanza che stare stretta a loro era l’unica cosa che le importava in quel momento.

«Come mai qui?» si informò Touma, una volta alla villa degli Yagyiu, sebbene temesse di conoscere la risposta a quella domanda.

Nasutei, intanto, aveva portato loro del tè.

«Siamo venuti a prendere nostra figlia. La riportiamo a casa.» disse il padre, serio.

Solo allora la ragazza tornò finalmente in sé.

«Cosa?» si scostò dai due genitori bruscamente. Come aveva potuto farsi abbindolare a quel modo? Per quanto le fossero mancati, per quanto volesse con tutte le sue forze rivedere la sua città e la sua famiglia, sapeva che doveva rimanere a Tokyo, per non metterli in pericolo. «io non torno a casa.»

« Abbiamo assecondato ogni tuo capriccio, ma è ora di finirla.» asserì l’uomo in tono fermo.

«Tuo padre ha ragione. Hai solo sedici anni… il tuo posto è con noi…» continuò la madre la cui voce dolce contrastava visibilmente con quella del marito.

«Perdonatemi se mi intrometto, ma… » Touma aveva posato la tazza sul tavolino ed adesso li osservava, determinato. Erano pur sempre i suoi genitori, e l’unica cosa che volevano era stare acanto alla loro figlia. Ma sapeva, che lasciar andare Maya sarebbe stato un errore. Non tanto per quello che lui provava nei suoi confronti. Ora quello che più contava era proteggerla. E non avrebbe potuto farlo se lei fosse partita, perché serviva tutta la forza delle cinque armature. «ora come ora, è meglio per tutti se Maya resti qui. Ci sono stati dei risvolti imprevisti dall’ultima volta e solamente qui vostra figlia sarà al sicuro.»

«Che genere di imprevisti?»

«Non c’è motivo di scendere nei dettagli.»

«Al contrario! Se mia figlia è nei guai ho il diritto di saperlo!» l’italiano si era scaldato ed adesso i due si trovavano in piedi, uno di fronte all’altro; entrambi erano convinti di agire nel bene di Maya e nessuno pareva voler cedere.

«Sono io che devo decidere.» si intromise allora la diretta interessata, guardando verso la madre, mentre i suoi occhi diventavano lucidi. «e per quanto mi manchiate, non posso tornare a casa con voi. Siete i miei genitori e non esiste niente di più importante per me, e proprio per questo devo rimanere. Perché se vi seguissi, metterei a rischio le vostre vite… e non voglio.» e, detto questo se no corse in camera sua.

Nasutei la raggiunse poco dopo. Era buttata sul letto, con la faccia affondata nel cuscino.

«Vedrai che si sistemerà tutto.»

«Non è vero. Mio padre è testardo.»

«Mi ricorda qualcuno.» la giapponese sorrise. Per colpa di Arago aveva perso suo nonno e sapeva come Maya si sentisse. Le accarezzò dolcemente la testa e la ragazza si voltò. «Perché non passi un po’ di tempo con loro? Magari cambiano idea.»

 

«Non c’era bisogno che mi veniste a prender a scuola.» disse Maya, seduta con i sui al tavolo di un ristorante.

Un cameriere porse loro le ordinazioni.

«Non volevi passare un po’ di tempo con noi, o sbaglio?» le domandò il padre, un po’ contrariato.

Dall’altro lato del vetro, i marciapiedi erano stranamente vuoti per una città come Tokyo, ma era comprensibile, visto che erano da poco passate le due del pomeriggio..

«Potevate evitare di andare dal preside, e di farmi chiamare all’interfono, almeno…»

«Perché non saliamo sulla torre di Tokyo, appena finiamo?» chiese la madre prima di bere un sorso di vino.

La figlia accennò di sì con la testa. In fondo, fare un giro per la città con i suoi non era poi tanto male. Senza contare che sarebbe passato molto tempo, prima di rivederli.

Pagato il conto uscirono dal locale e si incamminarono verso l’imponente costruzione.

Osservare la città dall’alto della torre televisiva era un vero spettacolo. Maya osservava la madre estasiata da quella vista e si sentì triste. Il pensiero di separarsi da loro le provocò una fitta al cuore, ma sapeva che era per il loro bene, per cui se n’era fatta una ragione.

«Allora, ti è piaciuto?» il padre sorridente le poggiò una mano sulla spalla.

Doveva riprovare, forse, dopo la giornata appena trascorsa tutti assieme, Maya aveva cambiato idea ed era pronta a tornare. Stava per parlare, ma notò che lei si era irrigidita improvvisamente.

«No…» bisbigliò la ragazza, mentre cominciava a sudare freddo. Una sensazione sgradevole si era impadronita di lei, mentre notava delle nubi nere che oscuravano il cielo.

«Tesoro, che hai?» le domandò la madre, preoccupata.

«N… niente. Andiamo.» rispose lei, prendendo entrambi per mano ed allontanandosi velocemente da quel luogo.

Doveva andare a scuola e raggiungere i samurai, perché solamente con loro sarebbero stati tutti al sicuro.

Ma non fecero in tempo.

Un fulmine cadde dal cielo proprio di fronte a loro e, una volta che la nube di polvere si fu diradata, apparve davanti a loro un demone, enorme e terrificante. I suoi genitori rimasero senza parole, mentre lei entrava nel panico più totale. Che poteva fare? Senza i samurai erano spacciati.

«Dammi la chiave.» le ordinò il demone, avvicinandosi a loro lentamente.

Già, la chiave… mise la mano in tasca e la strinse forte. Era tentata. Se gliel’avesse consegnata, i suoi genitori sarebbero stati salvi. O, forse, quel mostro li avrebbe uccisi comunque? Le ritornarono in mente le parole di Kayura. “Questa chiave apre il Makai. In mani sbagliate potrebbe spalancare i cancelli ed unire il Makai a questo mondo”. Non poteva farlo. Non poteva permettere che demoni come quello vagassero per la terra indisturbati, seminando terrore e morte.

«No.»

«Dammi la chiave, ho detto.» il demone allungò la mano, la aprì e sollevò il palmo verso l’alto, come per invitarla ad assecondarlo, ricevendo indietro un altro secco rifiuto che lo fece andare su tutte le furie. Senza troppi complimenti estrasse la sua spada e la puntò verso i suoi genitori, immobili ed ancora sotto shock, e lanciò verso di loro un fendente. Maya si lanciò e cercò di proteggerli, facendo loro da scudo col suo corpo. La chiave, ben stretta nella mano emanò un bagliore accecante proprio pochi secondi prima che la sua custode venisse colpita, annullando il colpo dell’avversario. Pian piano la luce scomparve e Maya, avvolta da un tenue bagliore traboccante di energia, sentì delle parole prendere forma nella sua mente e si trovò inconsciamente a pronunciarle.

«Rescissione del sigillo                                                                                             

L’energia che la avvolgeva venne assorbita dal suo corpo sul quale apparve in tutto il suo splendore, una magnifica armatura, fredda come i raggi della luna che tagliano il buio della notte.

Il mostro lanciò un altro fendente, che lei fermò prontamente con il solo palmo della mano. Infine puntò la stessa mano verso il nemico.

«Acque vorticose dello Stige

A quelle parole, una voragine si aprì sotto i piedi del demone che fu immediatamente inghiottito da acque nere e tumultuose che poi si richiusero.

Il cielo tornò limpido ed anche l’armatura che poco prima l’aveva protetta scomparve, mentre Maya osservava incredula i palmi delle sue mani. Era stata davvero lei a fare tutto questo?

 

L’aeroporto di Narita era gremito di persone. Maya abbracciò i suoi genitori e diede loro un bacio sulla guancia.

«Torna presto.» le sussurrò il padre, prima di incamminarsi verso la sala  d’imbarco.

«Buon viaggio.» la ragazza agitò la mano lievemente, finché non vide scomparire i suoi, poi la abbassò.

Shin le cinse le spalle con un braccio.

«Sicura che non ricordino nulla?» le chiese, dolcemente.

Lei chinò la testa.

«Meglio così.» intervenne Xiu, incrociando le dita dietro la nuca. «Anche se non capisco, allora come si siano convinti.»

«Non lo so. Ma almeno così sono al sicuro.» sospirò la ragazza, incamminandosi verso l’uscita.

 

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Capitolo 5
*** 5. La perfida Maya ***


5

5. La perfida Maya

«Non c’è bisogno che mi stiate sempre dietro come un’ombra. So cavarmela da sola.» Maya stava sistemando i libri nella sua borsa, mentre i cinque samurai la aspettavano.

Era passato quasi un mese da quando era apparsa l’armatura di Maya e da allora non avevano subito più alcun attacco da parte delle forze del Male. Tuttavia nessuno di loro voleva abbassare la guardia.

«Siamo solo preoccupati per te.» intervenne Seiji, mentre il gruppo si incamminava verso il cortile.

«Grazie del pensiero, ma non è necessario. Non ho più avuto alcuna visita da parte di demoni e simili. Forse si è sparsa la voce e nessuno vuole più affrontarmi. Credo che non dovrò più combattere, per fortuna.»

Tuttavia, nonostante l’ottimismo che lei mostrava, uno di loro non era affatto convinto di quelle parole. Touma aveva percepito una nota di ansia nel ton o della voce della ragazza, ma sperava fortemente di sbagliarsi. Forse era vero che nessun demone aveva intenzione di fronteggiarla, ma in cuor suo sapeva che, se così non fosse stato, lei avrebbe esitato a prendere parte alla lotta, precludendo il peggio. E non voleva.

«Beh, io vado da questa parte.» disse il proprietario di Tenku, fermandosi ad un incrocio.

«Ma come? Non vieni con noi?» chiese l’italiana, delusa.

«Devo passare un attimo dalla biblioteca.» spiegò il samurai, e le sfiorò la fronte con le labbra. «Mi raccomando, tenetela d’occhio.»

Aveva consultato dozzine e dozzine di libri, ma in nessuno si accennava alla chiave, al ruolo del custode o alla misteriosa armatura comparsa dal nulla. No era che non si fidasse di Kayura, ma la donna era stata alquanto restia a dare ulteriori spiegazioni e se voleva avere delle risposte, doveva occuparsene personalmente. Voleva sapere se c’era un modo per evitare a Maya tutto questo, ma, nonostante l’impegno, la sua ricerca risultò vana.

Quando uscì, dopo che il custode della biblioteca lo aveva praticamente sbattuto fuori per poter finalmente chiudere l’edificio, si accorse che era già sera. I lampioni erano accesi ed in cielo brillava una luna dalla forma quasi perfetta. Mancava ancora qualche giorno alla luna piena.

Si incamminò verso il suo appartamento, pensieroso. Improvvisamente la luce della luna scomparve, coperta da pesanti e cupe nubi e le luci della strada che stava percorrendo si spensero. Tutto questo non lasciava presagire nulla di buono.

Si preparò ad indossare il suo sottoarmatura, quando dal nulla vide spuntare una figura che camminava verso di lui. Sentiva i suoi passi sempre più vicini.

«Ti ho trovato, Touma.»

Era la voce di Maya.

Non poteva sbagliarsi, l’avrebbe riconosciuta fra mille.

«Che ci fai qui? E’ tardi.» le domandò.

Notò che indossava un mantello scuro dal quale si intravedeva solo il viso dalla pelle candida. I suoi occhi verdi brillavano quasi vivessero di luce propria.

«Ti stavo cercando.»

«Mi hai trovato. Ti accompagno a casa.»

«No.»

«Come sarebbe a dire “no”?» si meravigliò il samurai. Si avvicinò e la prese per mano. «Nasutei sarà preoccupata. Andiamo.»

«Non mi importa di lei. Io voglio stare con te.» il ragazzo era piuttosto meravigliato da quelle parole. Lei gli si avvicinò e gli sfiorò le labbra con le sue. «Portami a casa tua.»

Touma ebbe un attimo di esitazione. Davvero Maya lo desiderava? Eppure non se ne era mai reso conto, sebbene per lui la ragazza fosse come un libro aperto. Doveva essere felice che il suo sentimento fosse ricambiato, eppure sentiva che quello che stava accadendo no fosse giusto. Che Maya non era la stessa di sempre.

«N… no. Non posso farlo.»

«Perché? Non ti piaccio, forse?»

«Non è così, ma… sei strana oggi. Che ti prende? Non ti sei mai comportata così.»

«Vuol dire che ti piaccio di più quando mi atteggio a santarellina?» adesso la ragazza era piena di collera.

Sfiorò il petto del samurai con la mano, dalla quale si sprigionò un’energia tale da scaraventarlo lontano.

«M… Maya… che ti prende?» le domandò, respirando a faticva, mentre si premeva il petto dolorante.

Lei gli si avvicinò e sollevo il suo volto con le dita.

«Tu mi vuoi. Te lo leggo negli occhi. Ma sei troppo puro di cuore per approfittartene. Non mi serve uno come te.»

Lo lasciò, si voltò e si allontanò, scomparendo così come era apparsa.

 

Mancavano pochi minuti al suono della campanella ed in classe c’era il solito frastuono che precedeva le lezioni. Touma, seduto al suo banco, fissava Maya che scherzava con Honda e Kunimi, come ogni mattina. Improvvisamente lei gli si avvicinò.

«Tutto a posto? Sei insolitamente silenzioso.»

«S… sì.»

«Mi fai vedere gli ultimi esercizi di matematica? Non sono riuscita a finirli.»

«Dove sei andata?»

«Da nessuna parte. Mi sono addormentata. La matematica mi fa sempre questo effetto.»

Maya si comportava come se non fosse accaduto nulla. Lui le porse il quaderno di malavoglia e lei lo notò.

«Sicuro che sia tutto a posto?»

«Sì. Finite le lezioni dovrei parlarti.»

La ragazza si sorprese non poco. Touma sembrava seccato ed il motivo era lei. Ma che aveva potuto combinare di così terribile?

 

«Eri davvero a casa ieri sera?»

La terrazza era completamente deserta, Un forte vento si sollevò e Maya cominciò a tremare lievemente.

«Certo. Dove mai sarei potuta andare, scusa?» Touma rimaneva in silenzio, cercando le parole più adatte. «Hai detto che dovevi parlarmi.»

«Ieri sono stato attaccato. Da te.»

«Scherzi, vero? Sai benissimo che non lo farei mai! E poi, come ti ho detto, sono stata tutto il tempo a casa.»

«Non potrei mai sbagliarmi. Eri tu. Anche se…»

«”Anche se”?»

«Ti sei comportata in maniera strana.»

«Quanto strana?» Il ragazzo non disse nulla, preferendo tenere per sé quello che era successo. Sapeva di non sbagliarsi e temeva fortemente che la colpa fosse tutta di quella chiave.

Touma la guardò sicuro.

«Eri tu.»

«Allora non… non ti fidi di me?» disse Maya e poi corse via. Come poteva dubitare delle sue parole? Se lui non le credeva, se non si fidava più di lei, che avrebbe fatto?

Mentre passava vicino la porta del club di fotografia, qualcuno la afferrò e la trascinò dentro.

Era Akira.

«Che vuoi?» le chiese, seccata, asciugandosi le lacrime.

Aveva giò i suoi problemi e non era in vena di sorbirsi le prediche di quella lunatica. La sua compagna entrò nella camera oscura e ne uscì poco dopo con in mano delle foto che la ritraevano di notte, avvolta in un mantello scuro.

«Q… quando le hai scattate?»

«Ieri sera.»

Maya continuò ad osservarle. In una c’era anche Touma. Lei era a cavalcioni sopra di lui e gli teneva il viso sollevato.

Allora Touma aveva ragione? Era stata davvero lei ad attaccarlo? Ma lei non se ne ricordava…

«Che significa?» domandò allora Akira.

«Non lo so.» rispose Maya ed uscì, portando con sé le foto.

 

Nasutei aprì la porta e fece entrare i cinque samurai. Tutti presero posto in salotto, e si chiedevano del motivo di quella improvvisa riunione. Tutti, eccetto Touma. Maya li raggiunse poco dopo e si sedette sul bracciolo accanto a Shin, con lo sguardo fisso verso il pavimento.

«Ieri ho attaccato Touma.»

«Cosa?»

Anche lui era  sorpreso. Si era quasi convito di essersi sbagliato, che quella non fosse Maya, che i suoi sentimenti gli avessero annebbiato la mente.

La ragazza mostrò loro le foto che la sua senpai aveva scattato. Una prova inconfutabile.

«Perché?» domandò Shin.

«Non lo so. Io non ricordo nulla. Ma Touma aveva ragione. Ero io.» sollevò la testa e lo guardò. «Mi dispiace.»

«Io non ci credo.» Xiu era sconvolto. «Tu non lo faresti mai.»

«E’ successo, invece. Forse è meglio che me ne vada da questa casa e che mi allontani da voi.»

«Tu non vai da nessuna parte. Ci deve essere certamente una spiegazione plausibile. E finché non l’avremo trovata tu non ti muovi di qui.» Nasutei le si era avvicinata e le aveva poggiato una mano sulla testa.

«Potrei farlo di nuovo.»

«No, se ti terremo d’occhio.» disse Ryo, mettendosi in piedi.

«E’ meglio che ci trasferiamo qua per un po’. Se Nasutei è d’accordo, ovviamente.» Seiji lanciò un’occhiata verso la donna che accennò di sì con la testa.

«Le vostre camere sono sempre al solito posto.»

Improvvisamente un brivido percorse la schiena di Maya. Sempre la stessa sgradevole sensazione. I samurai lo notarono immediatamente.

«Che succede?» le chiese Ryo.

Lei si limitò ad indicare il giardino. Xiu si avvicinò alla finestra e notò dei tenui bagliori che andavano aumentando di numero man mano che passava il tempo. Soldati del Male. La finestra si spalancò scaraventandolo sul pavimento e improvvisamente fece il suoi ingresso una figura incappucciata.

«Vedo che non manca nessuno.» Una voce inconfondibile, che anche Maya riconobbe. Perché era la sua. L’individuo misterioso fece scivolare il cappuccio e mostrò a tutti il suo volto, in tutto e per tutto identico a quello della guardiana.

«Chi… chi sei?» Chiese Touma, mentre i suoi compagni continuavano a spostare lo sguardo dall’una all’altra increduli.

«Sono Maya.» la ragazza fece cadere a terra il mantello e mostrò a tutti la splendida armatura che la copriva. Identica a quella della vera Maya, ma più scura. «La chiave spetta a me. Dammela.»

«E perché dovrebbe?» Il samurai del cielo si parò davanti all’amica per proteggerla. Lei non diceva una parola, limitandosi a fissare l’altra se stessa. «Comandi dei soldati dell’Impero del Male, credi che te la consegnerebbe?»

«Allora mi toccherà prenderla con la forza. Ma dubito fortemente che sia quello che lei vuole.»

I samurai iniziarono a combattere contro di lei e contro i suoi soldati, ma non riuscivano ad avere la meglio. Maya osservava la scena in disparte. Chi era quella in realtà? Era un’altra Maya? O era solamente un’illusione creata per confonderli? Se era così, l’espediente stava riuscendo nel suo intento, perché nessuno dei samurai riusciva ad infliggere alla nemica un colpo decisivo. La ragazza venne colta da un dubbio. E se quella parte di lei che adesso le mancava avesse in realtà dato vita ad un altro essere in tutto e per tutto identico alla Maya originaria? Che quella che aveva di fronte fosse una parte di lei, un’altra se stessa?

Non si accorse che la nuova nemica dopo essere sfuggita agli attacchi de samurai le era arrivata alle spalle.

«La chiave. Consegnamela, se non vuoi morire.» le ordinò afferrandola per la nuca e cercando di prenderle la chiave dalla tasca. Maya provò ad impedirglielo in tutti i modi, ma, quando entrambe la ebbero toccata, questa sprigionò una luce accecante e scomparve insieme alla Maya malvagia.

 

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Capitolo 6
*** 6. Il portale del colore del sangue ***


6

6. Il portale del colore del sangue

Maya stava seduta sul divano, i gomiti appoggiati alle ginocchia, e si sentiva depressa. Come aveva previsto, non era stata all’altezza del compito che Kayura le aveva affidato, ed il mondo intero ne avrebbe pagato le conseguenze. Shin le si sedette accanto e le porse una tazza di tè fumante.

«Su con la vita! Ci siamo trovati in situazioni peggiori.» cercò di tirarla su di morale.

Lei sospirò e prese fra le mani la tazza di porcellana.

«Non è vero. Questa volta è davvero la fine.»

«Non ti ricordavo così pessimista.» Touma si era seduto sul tavolino, proprio di fronte a lei e la fissava. «Se fosse d’avvero la fine, non pensi che avremmo già dovuto ricevere la visita di orde di demoni, desiderosi di farci la pelle?»

Il suo discorso filava. Effettivamente, per come la vedeva lei, e la vedeva davvero nera, l’inferno si sarebbe letteralmente essere già dovuto trasferire sulla Terra, e, invece, la gente continuava a vivere la sua solita monotona vita, dovunque. A questo punto, però, sorgeva spontanea una domanda: che fine aveva fatto quella maledettissima chiave?

La ragazza svuotò la tazza tutta d’un fiato e andò in cucina. Mentre ritornava in salotto, ascoltò la conversazione dei cinque samurai. Era incentrata su di lei, o meglio, sul suo ruolo in tutta quella faccenda.

«Non può più tirarsi indietro.» Seiji era categorico e a nulla valsero le parole di Touma, che per nulla la mondo avrebbe rischiato la vita della ragazza. Maya sapeva che il samurai della Luce aveva ragione, che doveva affrontare le sue paure se voleva uscire viva d quella lotta, solo… non ne trovava il coraggio. «Se la chiave non è finita nelle mani dell’altra Maya, allora lei verrà a cercarla presto. E non potremo proteggerla  per sempre.»

«Io non ci vedo niente di male nel combattere al posto suo.» intervenne Xiu, «Se devo dirla tutta, quella perfida strega mi sta proprio sulle scatole. Non vedo l’ora di darle una lezione coi fiocchi e di farla scomparire per sempre dalla faccia della Terra.»

La ragazza fece il suo ingresso nella stanza proprio in quel momento.

«No. Seiji ha ragione, devo prendermi le mie responsabilità. Devo essere io ad ucciderla.»

«Questo non deve accadere.» Kayura entrò nel salone dalla finestra lasciata aperta. «In caso contrario, anche tu moriresti.»

«Non capisco.»

«Sarò più chiara.»

Maya ascoltava in silenzio le parole della donna, a tratti sollevata, a tratti sgomenta. Quella sensazione di avere perso una parte di sé fondamentale non era infondata. Tramite il rituale  che gli Spiriti del Male avevano attuato nella sala del trono, Arago era riuscito a separare da lei la sua parte più nascosta, rendendola maggiormente vulnerabile, con lo scopo di impadronirsi della chiave, nel momento più propizio. E adesso manovrava il suo alter ego in modo tale da aprire le porte del Makai e permettergli di uscire, e poter così conquistare il mondo degli uomini, forte di un esercito dalle risorse praticamente illimitate. Però, dal momento che entrambe facevano parte della stessa persona, se una di loro fosse morta, anche l’altra avrebbe automaticamente cessato di esistere.

«Ma io non ho più la chiave.»

«Nemmeno l’altra Maya, se è per questo.» Kayura le si era avvicinata e si era inginocchiata davanti a lei, adesso seduta su di un bracciolo del divano. «Cos’hai pensato quando avete stretto contemporaneamente la chiave?»

«Non volevo che finisse nelle sue mani.»

«Mentre lei voleva impossessarsene. E’ per questo che la chiave è scomparsa. Vi ha riconosciute come un unico essere, ma, dato che i vostri pensieri non erano concordi, è scomparsa momentaneamente. Per permetterti di fare chiarezza.»

«E adesso che si fa?»

«Aspettiamo. Quando l’altra Maya si farà di nuovo viva, anche la chiave riapparirà.»

 

Gli occhi di Maya si spalancarono. Attorno a lei no vi era altro che l’oscurità, una attanagliante, opprimente e vuota oscurità. Sentiva i battiti del suo cuore che si trasmettevano nell’aria, ed era l’unica cosa che riuscì a tranquillizzarla. Era ancora viva. Eppure, il volto riflesso sull’acqua del lago, le dita, che, attraverso le sue increspature, avevano avvolto il suo collo, appartenevano a lei, e anche la voce che sussurrava il suo nome era la sua. Se stessa… si era accorta di temere quella se stessa, tanto forte e spietata, che una volta era parte di lei. Un lato del suo animo che aveva sempre tenuto nascosto a se stessa ed agli altri? Oppure anche prima del rito era così, ed era stata l’unica a non accorgersene?

Si alzò e andò in cucina a prendere un bicchiere d’acqua e si stupì nel vedere Touma seduto su una delle poltrone.

«Neanche tu riesci a prendere sonno?» gli chiese. Lui si girò nella sua direzione e la fissò. Era stupenda. I suoi capelli mogano che le incorniciavano quel viso dalla forma perfetta, quegli occhi di smeraldo, che sembravano splendere di luce propria e che erano in grado di rapire il suo pensiero, le sue labbra rosee… non c’era nulla in lei che non adorasse. Non ricordava il preciso istante in cui i sentimenti che provava per lei fossero mutati, ma di una cosa era certo: non voleva perderla, per nessuna ragione. «Che c’è?» continuò lei, ricambiandolo sguardo.

«Niente.» le sorrise.

Non doveva farla preoccupare, per alcun motivo. Doveva essere lucida, per affrontare la prossima battaglia. Lui, invece, non lo era. Quella che lo aveva baciato, quella che gli aveva confessato apertamente di desiderarlo, era Maya. Non un fantoccio, un’impostore, era lei, la sua parte più nascosta e segreta. Si trovò a chiedersi se anche adesso lei provasse qualcosa nei suoi confronti, fu anche tentato di chiederglielo, ma desistette immediatamente. C’era tempo per quello. L’unico pensiero sul quale doveva concentrarsi, era quello di proteggerla.

Maya gli scivolò acconto e poggiò la fronte sulla sua spalla. Poi socchiuse gli occhi e si lasciò cullare dal suo profumo, che le si insinuava nelle narici fin nel profondo dell’anima, o di quello che ne restava. Doveva farlo per lui, per non perderlo definitivamente, per potergli un giorno confessare tutto. Avrebbe lottato fino all’ultimo pur di salvaguardare quel futuro.

«Non preoccuparti.» bisbigliò, dolcemente. «Si concluderà tutto per il meglio.»

Touma sapeva che aveva pronunciato quelle parole più per rassicurare se stessa che no per lui, ma andava bene lo stesso. Significava che non si era rassegnata, che era pronta a combattere. C’era davvero una possibilità, adesso, per il mondo.

 

«Senpai…» Maya era entrata nella classe di Akira ed adesso si trovava in piedi di fronte a lei. La sua compagna alzò gli occhi per qualche secondo, poi li riabbassò e tornò a leggere il suo libro. «Dovrei parlarti. Potresti venire con me?»

A quelle parole, tutti gli studenti nell’aula si voltarono: nessuno si era mai avvicinato a Chiba, incuteva troppo timore, con quello sguardo tanto tagliente da riuscire a trafiggere chiunque si trovasse nella sua direzione, e la fama di teppista che si era fatta nella precedente scuola non contribuiva certo a renderla meno pericolosa. Iniziarono i mormorii, ma Maya non se ne preoccupò, essere considerata  una povera pazza non era il peggiore dei suoi mali, in quel momento. Doveva chiarire la faccenda con la compagna, evitare che spifferasse tutto in giro o che si facesse coinvolgere troppo.

«Allora?» la giapponese, con le braccia conserte, dava le spalle alla rete di protezione.

La terrazza era completamente deserta.

«Ecco… ti pregherei di non raccontare a nessuno quello che hai visto.»

«Mi dispiace, ma il giornale scolastico è già in stampa…» Maya sgranò gli occhi. «Scherzavo, ovviamente.» disse poi Akira e si diresse verso le scale.

«Perché non l’hai detto a nessuno?»

«Chi vuoi che mi creda?» rispose l’altra, facendo spallucce.

Poi, se ne andò, mentre Maya continuava a fissarla. Doveva esserle grata, per aver tenuto la bocca chiusa? Oppure temere ancora per il suo segreto?

 

Nella villa si respirava una certa aria di tranquillità, non era più avvenuto nessun attacco e la tensione fra i ragazzi era quasi scomparsa. Seduti in sala da pranzo, si distraevano con un gioco da tavolo.

«Quale nazione vinse i mondiali di calcio del 1982?» lesse Shin su di una scheda. Xiu cominciò a spremersi le meningi, mentre Ryo, tentava di reprimere la voglia di rispondere al posto del suo avversario. Del resto era lui il patito di calcio della combriccola…

Maya osservava la scena divertita. Anche lei conosceva la risposta, per ovvi motivi, ma era curiosa di vedere la faccia del samurai del Fuoco, non appena l’amico, buttandone una a caso, avrebbe sbagliato clamorosamente risposta. Il telefono cominciò a squillare e la ragazza corse a rispondere.

«C’è una specie di portale al parco di Ueno.»

Maya riconobbe subito quella voce, anche se stentava a credere che avesse potuto chiamarla a casa.

«Senpai Chiba?»

«Pensavo che ti interessasse.»

«Certo, ma tu come…?»

«Sono al parco.»

L’italiana chiuse il telefono ed informò gli altri. Aveva un mucchio di cose da chiedere alla compagna, ma lo avrebbe fatto una volta arrivata sul posto.

Quando raggiunsero la ragazza, la trovarono nascosta dietro ad un cespuglio, intenta a scattare delle foto a quella strana cosa che si trovava di fronte a loro.

«Ha proprio tutta l’aria di essere un portale.» disse Touma, avvicinandovisi cautamente.

Emanava un’energia incontenibile. Tutti i presenti si chiesero a cosa potesse servire. Tutti, tranne una persona.

«Credo che porti nel Makai.» Akira era uscita dal suo nascondiglio e li aveva raggiunti.

«Come fai a sapere del Makai?» le chiese Seiji, cauto.

Anche gli altri si preoccuparono. Chi era ? Come faceva a sapere così tante cose?

«Non è il primo che vedo.»

«Non dirmi che cercare questi portali, è il tuo hobby.» Xiu era diventato aggressivo.

La situazione gli puzzava parecchio. Il suo istinto gli diceva che non potevano fidarsi di lei.

«Una specie.»

Maya finalmente capì il motivo per cui era stata in grado di scattare quelle foto. Si era incuriosita nel vederla uscire da uno di quelli.

«Piuttosto, siete voi che dovete darmi delle spiegazioni.»

Il samurai della Terra stava per ribattere, ma la guardiana lo prevenne.

«Non ero io quella che hai visto.»

«Di certo non era ingenua quanto te.» la giapponese lanciò un’occhiata verso Touma, che spostò lo sguardo altrove.

«Come fai a trovarli?»

«Possiedono una forte energia. Mi basta seguirla.»

Maya la fissò. Akira era come lei aveva il suo stesso dono, eppure si comportava in maniera completamente diversa, scontrosa e cinica. Per la prima volta si trovò a ringraziare suo padre; se non fosse stato per lui, che aveva voluto a tutti i costi una figlia normale, anche lei adesso si ritroverebbe da sola.

Improvvisamente il varco iniziò a vibrare, come se fosse diventata instabile. Il suo colore, limpido come l’acqua mutò, divenendo purpureo, come il sangue.

«Ma che bel comitato di benvenuto!» l’altra Maya aveva fatto la sua comparsa , accompagnata dai suoi guerrieri, e li osservava con un ghigno dipinto sul volto.

«Cosa ti porta qui?» le domandò Touma, dopo che lui e gli altri avevano indossato i loro sottoarmatura.

«Devo portare a termine il compito che mi è stato affidato. L’altra volta qualcuno che non doveva si è intromesso.»

«Dovevo, eccome!» Maya si era allontanata dal samurai del Cielo, teneva i pugni stretti ed era colma di rabbia. Era una parte di lei, e se ne sarebbe riappropriata a tutti i costi. «E’ stata consegnata a me e me la tengo.»

«Vuoi farmi credere che l’hai ancora tu?» il tono della servitrice di Arago si era fatto beffardo.

«E anche se fosse? Non lo sapresti di certo da me.»

Forse un aiutino ti gioverebbe.» disse l’altra, puntando il dito contro Akira e scagliando contro di lei un fascio di energia.. Solo l’intervento di Xiu riuscì ad evitare che fosse colpita.

«Hai paura di affrontarmi?» Maya era adesso risoluta. Quella se stessa non le piaceva per niente, perché lei non se l’era mai presa con qualcuno più debole, né, tanto meno, con chi non era in grado di difendersi. «Rescissione del sigillo

Come la prima volta che aveva pronunciato quella frase, il suo corpo venne avvolto da un bagliore, che poi lasciò al sposto alla sua splendente armatura.

«Proprio una bella armatura.»

«E questo non è niente. Acque vorticose dello Stige

Sotto piedi della nemica si aprì una voragine le cui acque nere inghiottirono in men che non si dica i soldati del Male. La sicaria, invece, rimaneva al suo posto, come inerme.

«Lo hai dimenticato? Io sono te.» disse. Poi, sicura della sua forza, sollevò il braccio e con un semplice movimento, spazzò via i samurai ed Akira. «Ma io sono più forte.»

Maya si guardò intorno. I suoi amici si erano alzati a fatica, mentre la sua compagna giaceva a terra, priva di sensi. Se avessero continuato a combattere lì, tutti quelli a cui teneva sarebbero stati in pericolo, e non poteva assolutamente permetterlo. Era accaduto tutto perché lei no era stata all’altezza ed avrebbe rimediato in un modo o nell’altro. Si accorse che l’altra Maya aveva alle sue spalle il portale. In realtà non si era mai spostata da lì. Senza pensarci su si decise. Prendendo tutti alla sprovvista si lanciò verso l’altra e, dopo averla afferrata per la vita, scaraventò entrambe dentro il varco, che scomparve nel nulla, sotto gli sguardi attoniti dei samurai.

 

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Capitolo 7
*** 7. Il custode dei cancelli del mondo dei demoni ***


7

7. Il custode dei cancelli del mondo dei demoni

«Mi spiegate che ci stiamo a fare ancora qui?» Xiu batté il pugno sul tavolo.

Era impaziente di andare a salvare Maya, da sola in quel mondo pieno di demoni, dal quale, probabilmente non ne sarebbe uscita intera. Anche gli altri erano d’accordo con lui, ma c’era un problema logistico di fondo da sistemare.

«Dimentichi che non sappiamo come arrivarci?» gli domandò Shin.

«Basta trovare un altro di quei portali, no?»

«Come se fosse così facile.»

Nasutei e Akira, con una vistosa fasciatura alla mano, entrarono nella sala da pranzo proprio in quell’istante. La ragazza, per nulla confusa da tutto quello che aveva appreso in quella breve notte, si era seduta su di una sedia e, con il viso appoggiato sulle mani, si limitava a fissare il buio oltre la finestra che aveva di fronte.

«E tu? Non dici niente?» il samurai della terra non provava simpatia per lei, e non si poneva troppi scrupoli a nasconderlo.

«Potrebbero volerci anche alcuni giorni, prima che ne appaia un altro. Perciò fatti una bella doccia gelata e calmati.» rispose lei, lanciandogli un’occhiata acida.

Il sentimento era più che reciproco…

Xiu stava per risponderle a tono, ma Shin lo fermò.

«Non dire nulla. Ha pienamente ragione.»

Anche Touma era dello stesso parere. Tuttavia non smetteva di domandarsi come potesse stare Maya. Era sana e salva? O era stata catturata nuovamente da Arago?

«Quando apparirà, tu sarai in grado di capire dov’è, vero?» chiese, mettendosi a sedere proprio davanti a lei., che annuì lievemente, prima di assaggiare uno dei biscotti che si trovavano sul vassoio. «Non ci resta che aspettare ed elaborare una strategia.»

 

Maya aprì gli occhi, avvolta da uno strano profumo, si alzò e si guardò intorno. Era circondata da una distesa di fiori, il cui polline, al primo soffio di vento, si sollevò nell’aria.

Aveva immaginato il Makai come un posto tetro ed invivibile per un essere umano. Come poteva esistere un luogo così, allora? E dov’era finita l’altra Maya? Doveva muoversi, se voleva trovare lei ed Arago, ma non sapeva da dove cominciare, tutto attorno a lei era sempre uguale; non importava quanto camminasse, vedeva solamente fiori e nient’altro. Inoltre, tutto quel polline stava diventando davvero fastidioso, le offuscava la vista e non le permetteva di respirare. Improvvisamente sentì le forze venirle meno e svenne nuovamente.

«E’ da tanto che non vedo esseri umani qui.»

«Non ci sono mai stati qui, idiota!»

Maya percepiva quelle voci in maniera indistinta e lontana, come se provenissero da un altro mondo. Era sveglia? Non ne era sicura, perché, per quanti sforzi facesse, le sue palpebre non si schiudevano ed il suoi intero corpo rimaneva immobile, quasi fosse diventato un unico e pesante blocco di pietra. Un’improvvisa doccia gelata  fece scomparire il torpore delle sue membra e la ridestò completamente.

Si guardò intorno, abbastanza confusa: attorno a lei vi era solamente roccia, alta e resistente roccia.

«Ce ne hai messo per svegliarti!»

La ragazza alzò lo sguardo e si stupì non poco nel vedere delle sbarre. Era in una cella? Ma quello era il minore dei mali… oltre le sbarre di metallo due esseri enormi e terrificanti la fissavano. Nei loro occhi poteva scorgere un bagliore tutt’altro che rassicurante.

«Sei un’umana, eh? Eh?»

Lei si limitò a stare in silenzio e ad osservare quella coppia male assortita che le stava di fronte. Davvero inquietanti…

«Perché mi trovo qui?»

«Sei svenuta per il polline dei fiori. Voi umani siete troppo delicati.» rispose quello che all’apparenza sembrava il più risoluto. «Poco male. Sono sicuro che la tua carne è molto tenera.»

«La mia… carne?!» improvvisamente lei capì. Capì il motivo per cui si trovava lì, il motivo per cui gli occhi di quei due brillavano in un modo tanto preoccupante e del perché fosse ancora viva. Un brivido le corse lungo la schiena. E adesso che avrebbe fatto?

I due orribili demoni stavano in un angolo della caverna, intenti a confabulare.

«Fratellone, senti…»

«Che vuoi?»

«Non ti pare di averla già vista?»

«Ma che diavolo stai dicendo? Non ragioni per la fame! Non che tu prima lo facessi, intendiamoci.»

Maya ascoltava in silenzio quei discorsi. Che si riferissero alla Maya che stava al servizio di Arago? Non sapeva più cosa pensare.

«Ma io l’ho vista sicuramente da qualche parte…»

«Piantala! Fra poco gusteremo tenera e saporita carne di umana.»

«Io non credo proprio.» Maya si era messa in piedi e si era avvicinata alle sbarre. «Fatemi uscire immediatamente da qui.»

Dovevano per forza parlare di lei, non vi era alcun dubbio. Doveva puntar su questo e far finta di essere l’altra sé cattiva, se  voleva uscire indenne da quel posto. L’unico problema era: quei demoni ci sarebbero davvero cascati?

«Appena tutto sarà pronto.»

«Adesso. Non ho certo tempo da perdere con voi. O volete incorrere nell’ira di Arago?»

«Che c’entra Arago adesso?»

«Possibile che due idioti come voi non sappiano chi sono io?»

«Per caso lavori per Arago?» chiese il più scemo dei due, che, evidentemente, non doveva essere poi così scemo.

«Tuo fratello è più sveglio di quanto non sembri.»

«E perché dovremmo crederti? Se fossi al suo servizio, ti saresti liberata.»

«Certo, se fossi un orripilante demone come voi due. Ma sono un essere umano, se non l’avete dimenticato. Volete aspettare che l’effetto del polline svanisca del tutto? Allora sì che potrei liberarmi, ma sarebbe la vostra fine.»

«Il palazzo è dalla parte opposta. Non dovresti nemmeno trovarti qui.»

«Ero in missione nel mondo degli esseri umani. Il portale mi ha scaraventata in questo lurido posto.»

«Se ti liberiamo, che ci guadagniamo?»

«Cibo a volontà. Non subito, ovviamente. Quando i cancelli del Makai saranno aperti, potrete avere tutti gli umani che vorrete.» era terribile solamente pensare una cosa simile, ma, purtroppo, se i cancelli fossero stati aperti, era un’ipotesi da non scartare. Bastava solamente che lei lo impedisse.

La cella si aprì. Lei rimase ferma qualche secondo, poi, cercando di apparire il più sicura possibile, passò accanto a quei due e camminò verso l’uscita.

«Se ci hai mentito, ti verremo a cercare e continueremo la nostra bella chiacchierata.»

«Il palazzo di Arago sapete dov’è.»

 

I samurai e Nasutei stavano in piedi sulla riva del lago ed osservavano perplessi il portale che stava loro di fronte: si era aperto proprio al centro del lago e nessuno di loro, nemmeno Touma, aveva trovato ancora un modo che permettesse loro di raggiungerlo senza finire in acqua. Poco distante, Akira osservava la scena in un indifferente mutismo. In fondo, la sua parte l’aveva fatta, aveva trovato il varco che portava nel Makai. Adesso poteva benissimo tornarsene a casa.

«Se avete qualche idea…» disse Ryo, le mani sui fianchi e lo sguardo fisso su quel passaggio che li avrebbe condotti nel mondo dei demoni e, quindi verso l’ormai inevitabile scontro contro Arago.

«Forse…» bisbigliò Nasutei, sfiorandosi il mento con le dita, pensierosa. «forse c’è un modo.»

«Quale?» domandarono tutti i ragazzi all’unisono.

«Suiko. Suiko è sicuramente in grado di aprire un corridoio fra le acque e permettervi di raggiungerlo.»

Shin scosse la testa. Per quanto il potere della sua armatura fosse grande, non era sicuro di riuscire a fare tanto. Soprattutto non era sicuro di riuscire a mantenerlo abbastanza a lungo da permettere i suoi compagni di raggiungere il portale e di saltarvi dentro.

«Tentar non nuoce.» lo rassicurò Touma, dandogli una pacca sulla spalla. «Al limite ci bagneremo un po’.»

I samurai indossarono le loro armature. Shin si tuffò e, facendo appello a tutta la sua energia, riuscì a creare un corridoio fra le acque del lago, attraverso cui i suoi compagni raggiunsero facilmente il varco e a vi entrarono. Poi anche lui saltò e scomparve dall’altra parte.

 

Maya raggiunse il castello piuttosto facilmente. Eppure ricordava che Ryo e Touma avevano dovuto affrontare orde intere di soldati, prima di poter solo superare le alte mura. Si fermò a pensare. Forse era semplicemente una trappola e lei ci stava cascando come un’allocca. Decise di stare in guardia. Con un balzo superò il cancello e si addentrò nell’intricato groviglio di sentieri che conducevano a palazzo. In giro c’erano davvero poche guardie. Corse a lungo, nascondendosi di tanto in tanto per non farsi scoprire dai pochi soldati che incrociava e, finalmente, giunse davanti al palazzo.

Rimase senza parole. Era davvero enorme, forse anche più grande dell’ultima volta che lo aveva visto.

«Finalmente sei arrivata. Cominciavo ad annoiarmi.» L’altra Maya era apparsa su una delle guglie e con un salto atterrò elegantemente proprio di fronte a lei. Che non disse una parola, limitandosi a fissarla con odio. «Se continui così, alla vecchiaia ti riempirai di rughe. Ops…dimenticavo che non arriverai nemmeno a domani.»

«Nemmeno tu, se è per questo.»

Le due cominciarono a combattere, senza risparmiarsi. Sebbene sapesse che la morte di una di loro avrebbe decretato anche la fine dell’altra, omise volontariamente di raccontare questo particolare al suo alter ego, alla quale, probabilmente, non importava nulla di morire. La atterrò con un potente calcio al petto e si rimise in guardia. L’altra si rimise in piedi subito, quasi non avesse sentito per nulla la botta presa e si scagliò nuovamente contro la sua avversaria, che schivò a malapena la lama di una spada spuntata da chissà dove. Maya era spiazzata, lei non aveva alcuna arma con cui difendersi né tanto meno combattere, poteva contare esclusivamente sulle sue forze e sulla sua armatura, che non sarebbe riuscita a proteggerla per sempre da quegli assalti. Cercò di schivare come poteva tutti i fendenti portati dal suo perfido clone, ma non era un’impresa affatto semplice, soprattutto perché quest’ultimo era molto abile nell’uso della spada. Improvvisamente, muovendosi indietro inciampò in qualcosa e cadde a terra, inerme e priva di difese. La sua copia stava per darle il colpo di grazia, sollevò la spada in aria, pronta a colpire, ma venne fermata da una freccia, scagliata proprio contro di lei.

Una freccia dorata.

Maya si allontanò prontamente e si voltò: Touma e gli altri erano lì, erano venuti ad aiutarla.

«Tutto bene?» le domandò il samurai del Cielo, avvicinandosi a lei. La guardiana chinò lievemente la testa. Lui le poggiò una mano sulla spalla e le sorrise. «Adesso ci siamo noi qui con te, non preoccuparti.»

Touma scagliò l’ennesima freccia contro la sicaria di Arago, che la evitò senza problemi, mentre Maya osservava il combattimento in disparte. Visto che non possedeva un arma efficace, i samurai le avevano chiesto di mettersi da parte e di lasciare a loro la sua copia, relegandola all’annientamento dei fanti e dei soldati a cavallo. Eppure Maya non faceva che ripensare alle parole di Kayura. “Quando l’altra Maya si farà di nuovo viva, anche la chiave riapparirà”. L’altra Maya c’era, eppure la chiave non era ancora riapparsa. Forse Kayura si era semplicemente sbagliata.

 

«Non ti sei ancora sbarazzata di loro?» tuonò Arago, uscendo finalmente allo scoperto. «E dov’è la chiave?»

La Maya malvagia si allontanò dai suoi avversari e con un balzo gli fu davanti, in ginocchio.

«Perdonami, mio signore. C’è stato un contrattempo, ma l’avrai presto, te lo prometto.» e, detto questo, si scagliò nuovamente verso la vera Maya e cercò di colpirla.

Lei si parò, utilizzando una delle lance in dotazione ai soldati del Male, ma questa si ruppe in due non appena si scontrò con la lama tagliente della spada. Mentre continuavano a combattere sotto gli occhi impotenti dei samurai, intenti a difendersi dagli attacchi dei numerosissimi soldati e da Arago, che voleva eliminarli una volta per tutte, la guardiana venne colta da un dubbio: forse il clone credeva che avesse lei la chiave! Ma non era così, la chiave non accennava a ricomparire sulla scena. E se ciò fosse successo, lei che avrebbe fatto? Sarebbe riuscita a sopraffare l’altra Maya? O sarebbe caduta sotto i suoi colpi? Eppure, nonostante la paura, sapeva che doveva lottare, perché la chiave doveva essere sua. Non doveva cadere nelle mani di qualcun altro.

Nella foga del combattimento, entrambe giunsero al limite del tetto e, dopo l’ennesimo colpo, precipitarono nel vuoto. Improvvisamente una luce le abbagliò e la chiave fece la sua comparsa, mentre loro cadevano nel lago che si trovava proprio sotto di loro.

Per quale motivo? Perché era riapparsa? Non importava, una delle due doveva impadronirsene ed entrambe non desideravano altro. Uscirono dall’acqua e con un salto cercarono di raggiungerla. Allungarono a la mano, e a tutte e due sembrò di sfiorarla con le dita. Il bagliore emesso dall’oggetto le avvolse completamente e le due guerriere scomparvero in quella luce, sotto gli occhi esterrefatti dei presenti.

Arago, invece, era furioso. I suoi piani per uscire dal luogo in cui lo avevano rinchiuso erano miseramente falliti. E tutto per colpa dei samurai. Sollevò in aria la sua spada e scagliò contro di loro tutta l’energia che aveva in corpo, scaraventandoli lontano. Risollevò l’arma al cielo, pronto a porre fine alla loro esistenza, ma qualcuno fermò il suo fendetene. Maya era riapparsa dal nulla con indosso un’armatura che racchiudeva in sé i poteri delle due guardiane ormai riunite in un solo essere. Fra le sue mani brandiva una maestosa ed elegante alabarda d’ametista, la cui lama, che aveva fermato quella della spada dell’Imperatore del Male, era nera come l’onice e dura come il diamante.

«Sorpreso?» gli chiese la guardiana, con sorriso beffardo, permettendo ai samurai di dar vita all’armatura bianca dell’imperatore Splendente. «Tocca a te, Ryo.»

Il samurai, forte del potere dell’armatura, scagliò tutta la sua energia contro Arago, che non solo perse la sua arma, ma fu scaraventato lontano dal suo castello.

«Ciò che hai fatto è imperdonabile.» disse Maya, avvicinandosi a lui, che non riusciva a rimettersi in piedi. «E per questo sarai punito. Il giudizio divino ha decretato: sarai confinato per l’eternità in questo posto, che hai cercato di abbandonare e di unire al mondo degli uomini, nonostante il veto imposto.» sbatté due volte il suo scettro sul terreno, dal quale si liberò un’energia potentissima che imprigionò Arago e annullò tutte le sue forze. Poi lo batté altre tre volte e, davanti a lei, apparve un portale che avrebbe condotto lei ed i samurai verso il mondo degli esseri umani.

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Capitolo 8
*** 8. Epilogo ***


8

8. Epilogo

La campanella era suonata già da qualche minuto. Maya stava finendo di riporre i libri nella borsa. Touma la colpì leggermente sulla testa con le nocche.

«Pronta?»

«Ancora un secondo.» rispose lei, chiudendo la cerniera.

Poi, entrambi uscirono dalla loro classe. Gli altri samurai li stavano aspettando in cortile.

«Kunimi e Honda?» chiese Ryo.

«Ci raggiungono dopo.»

I sei ragazzi si incamminarono verso l’università. Lei rallentò lievemente, osservò i suoi cinque amici che scherzavano amabilmente fra loro e sorrise. Finalmente tutto era come doveva essere. Finalmente lei era tornata ad essere se stessa, e per questo doveva ringraziare loro, che l’avevano appoggiata in ogni momento, l’avevano consolata, protetta, e, perché no, anche un po’ viziata.

«Maya, muoviti!» la chiamò Xiu, facendole affrettare il passo.

Arrivati davanti al cancello dell’università, si accorsero che Akira li stava aspettando.

«Ne è apparso un altro?» domandò Maya.

La giapponese chinò il capo.

«Non ti lasciano in pace nemmeno il giorno del tuo compleanno!» si lamentò Shin.

«Il male non si prende ferie.» disse la ragazza, fermandosi accanto alla compagna.

Touma la tirò a se per il braccio.

«Sta attenta. E non fare tardi, mi raccomando.» le sussurrò, sfiorandole la tempia con le labbra.

Lei accennò di sì con la testa. Poi prese in mano la chiave d’ametista che teneva legata al collo ed indossò la sua armatura. I samurai la osservarono scomparire in un portale insieme ad Akira; poi, varcarono il cancello dell’università.

 

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