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Lista capitoli: Capitolo 1: *** 1. Prologo *** Capitolo 2: *** 2. Un ritorno inaspettato *** Capitolo 3: *** 3. La rivelazione *** Capitolo 4: *** 4. Il sigillo infranto *** Capitolo 5: *** 5. La perfida Maya *** Capitolo 6: *** 6. Il portale del colore del sangue *** Capitolo 7: *** 7. Il custode dei cancelli del mondo dei demoni *** Capitolo 8: *** 8. Epilogo ***
Un incubo. Un brutto sogno dal quale
non riusciva a svegliarsi. Doveva per forza essere così.
Maya cercava in tutti i modi di
convincere se stessa che quello che le stava accadendo non fosse reale, ma
solamente un brutto scherzo della sua immaginazione, mentre, accovacciata in un
angolo di quella buia ed umida prigione, piangeva in silenzio, senza riuscire a
fermarsi.
Poco distante, Suiko, Korin e Kongo,
le tre armature catturate da Arago, giacevano immobili, in un sonno dal quale
lei non era in grado di destarle. Ci aveva provato a lungo, ma a nulla erano
valsi i suoi sforzi. Con molta probabilità il loro destino comune era quello di
rimanere confinati in quella tetra oscurità per l’eternità.
«Mamma… papà…» singhiozzava, mentre
continuava a maledirsi per essere voluta tornare a tutti i costi in Giappone.
Se fosse rimasta a casa, sicuramente
starebbe ancora vivendo la sua tranquilla e monotona vita, che rimpiangeva per
la prima volta.
Sentiva ancora su di sé l’odore acre
dello zolfo che bruciava nella brace della sala del trono, non riusciva a
togliersi dalla testa la fastidiosa litania che gli spiriti del male avevano
continuato a ripetere, mentre lei giaceva, nuda ed inerme, al centro di un
pentacolo; ma, peggio ancora, non riusciva ad abbandonarla la sensazione di
aver perso per sempre una parte importante della propria anima. Si sentiva
incompleta, e questo la terrorizzava più della prigionia.
Cosa le stava succedendo? Perché
provava tanta paura? Che fine aveva fatto tutto il coraggio che fino ad allora
era riuscita farla andare avanti in quella dura lotta? Era come sparito nel
nulla, senza lasciare traccia.
Improvvisamente sentì il tepore di una
mano sulla sua spalla ed una voce amica che cercava di rassicurarla.
«Maya, non piangere più. Sono venuto
per portarti via.»
Touma era finalmente arrivato.
Senza esitazione la ragazza si
avvinghiò a lui, continuando a piangere, mentre il samurai, inizialmente
sorpreso, la strinse dolcemente a sé, cercando di calmarla, per nulla
preoccupato da quello strano comportamento.
Shin, Xiu e Seiji, finalmente liberi,
assistevano alla scena senza dire una parola, preparandosi all’ultima e
decisiva battaglia.
Maya, che aveva appena accennato il
primo passo verso gli spogliatoi della palestra, si bloccò di colpo. Sapeva
benissimo che quando Luca, il suo maestro di Kempo, diceva “è importante”, c’era
in aria odore di predica. Ed era anche a conoscenza del motivo.
Mogia si sedette sulla panca ed
ascoltò in silenzio quello che lui aveva da dirle. O meglio, fece finta di
ascoltare, perché di tutto quello di cui lui stava parlando, si era accorta
ormai da tempo. Sebbene sul piano della meditazione fosse tutto a posto, aveva
perso incisività nei combattimenti, andava poche volte a segno e mai in maniera
decisiva.
«Sembra quasi che tu abbia paura di
far del male al tuo avversario.»
Già. E dire che fina a poco tempo
prima di quello che provasse l’avversario non gliene importava niente.
Che lo scontro con Arago l’avesse
mutata a tal punto?
«Che fine ha fatto la tua voglia di
vincere?»
Sparita, come era accaduto al suo
coraggio ed alla sua capacità di giudizio.
«Per ora è un periodo un po’ così…» si
giustificò lei, sperando che lui se la bevesse.
«Speriamo che passi presto. Sei sempre
stata la migliore.»
«Speriamo…» bisbigliò appena, ma Luca
non la sentì nemmeno.
Abbattuta, si diresse verso lo spogliatoio,
le spalle curve come se stesse sorreggendo i mali di tutta l’umanità. Senza
aprire bocca, tolse il lucchetto dall’armadietto, spalancò lo sportello e prese
il borsone. Poi, meccanicamente, tirò fuori l’accappatoio e l’occorrente per
lavarsi e andò alle docce.
Rimase ferma per parecchio tempo,
lasciando che l’acqua che scivolava lungo il suo corpo allontanasse tutta la
tristezza che sentiva addosso.
Da quando era stata catturata da
Arago, non era più la stessa. E non era stata la sola a notarlo. Anche il suo
maestro ci aveva fatto caso; e poi, c’era suo padre, ma per lui più che un
problema era una vera e propria liberazione. Finalmente la figlia ribelle aveva
deciso di mettere la testa a posto.
Lei non si era mai sentita una ragazza
ribelle. Aveva dovuto sempre portare sulle sue spalle il fardello di doti che
non aveva mai chiesto, doti che erano state solamente il grado di allontanare
da lei qualsiasi persona a cui tenesse. Nonostante all’inizio tutti fossero
piacevolmente stupefatti della precocità con cui aveva iniziato a parlare, e
dalla facilità con cui era in grado di imparare e padroneggiare qualsiasi
lingua, a lungo andare le persone cominciarono a considerarla “anormale”. Era
in grado di percepire l’attitudine di una persona semplicemente standole vicino
e questo fatto, unita ad una forza al di sopra delle capacità di un comune
essere umano, le aveva creato non pochi problemi. Ben presto il suo carattere
divenne scontroso, insofferente verso tutto e tutti. Il padre prese allora la
decisione di farle praticare le arti marziali. Se, da un lato, avrebbero
contribuito a rafforzarla, dall’atro, le avrebbero imposto una severa
disciplina che l’aiutasse a controllarsi.
Mai decisione dell’uomo fu più giusta.
Nono solo Maya imparò a placare la sua collera, ma le tecniche che aveva
imparato in quegli anni le avevano permesso di sopravvivere all’Impero del
Male.
Ma adesso, che ne sarebbe stato della
sua vita? Sentiva la mancanza di quella parte di sé “anormale”, con la quale
aveva imparato a convivere.
Dopo essersi vestita, passò dalla
reception della palestra, salutò le segretarie, attraversò il portone in vetro
e si diresse verso il suo scooter.
Erano le dieci di sera. Percorreva le
strade semideserte senza porre alcuna attenzione a cosa le stava intorno. In
lontananza vide un semaforo diventare rosso e si preparò a rallentare, venemdo
improvvisamente sbalzata lontano dalla sua moto. Quando riuscì a sollevarsi,
notò che lo scooter giaceva a terra sul fianco destro, quasi completamente
distrutto.
Che cosa era accaduto? Che cosa
l’aveva investita? Lentamente, cercò di avvicinarsi al Liberty, trascinando la
gamba destra, dolorante per la botta. Ma non poté continuare. Arrivata a metà
strada sentì come una forza che la tratteneva, e non le permetteva di andare oltre.
Un turbine violento si levò nell’aria e lei poté notare distintamente due
figure che lottavano freneticamente senza che nessuna riuscisse ad avere la
meglio. Una aveva dei tratti pressoché demoniaci; l’altra non riuscì per niente
ad identificarla, non era un demone, ma non sembrava nemmeno rientrare nella
categoria degli esseri umani, a causa del tenue bagliore che emanava.
Tutt’a un tratto, quest’ultima venne
colpita violentemente e scaraventata ai piedi di Maya, che ancora non riusciva
a muovere un muscolo. Qualcosa urtò contro la sua scarpa e ricadde al suolo,
producendo un tintinnio. Maya lo raccolse. Era una specie di chiave. Una chiave
di cristallo la cui estremità presentava una pietra dalle fini venature viola.
«Scappa…» disse allora la misteriosa
creatura, rivelandosi adesso per quella che era. Un essere umano, proprio come
lei.
«Come?» domandò la ragazza confusa.
«Io sono ferito gravemente…» ansimava,
«e non posso resistere a lungo… porta con te quella chiave, nascondila… solo tu
puoi farlo…» , si interruppe, e, tossendo, emise sangue dalla bocca. Il demone
era sempre più vicino. «Va’… fa’ presto!»
Senza aver capito nulla di quello che
stava succedendo, Maya si mise a correre, cercando di non sentire le urla
strazianti dell’uomo, che, intanto era stato raggiunto dal suo nemico.
Si immise in uno stretto vicolo,
costeggiato da alti palazzi, accorgendosi troppo tardi che era senza via
d’uscita. Impaurita, si nascose dietro un cassonetto, pregando che il demone
non riuscisse a trovarla, ma ogni secondo che passava i passi di quella
creatura mostruosa si facevano più vicini. Strinse forte la chiave che avrebbe
dovuto proteggere, cercando la forza dentro di sé; fino a poco tempo prima, non
avrebbe esitato ad affrontare quella nemico sconosciuto ed immondo e adesso si
ritrovava tremante a pregare di non essere vista.
«Touma…» singhiozzò.
Una lacrima bagnò la pietra viola. Una
luce accecante la avvolse e Maya si sentì come disintegrata in miliardi di
minuscoli frammenti. Poi, il buio.
Si risvegliò con la sensazione di aver
dormito profondamente e a lungo; le sue palpebre si schiusero a fatica, si
sentiva spossata, come se avesse attraversato a piedi un intero continente
senza mai bere o mangiare. Si trovava in una stanza mai vista, dalle pareti
bianche e dallo scarso arredamento, sdraiata su uno scomodo lettino. Dove mai
era finita? Un ospedale forse? E come c’era arrivata?
Si voltò e guardò fuori dalla
finestra: il sole splendeva alto nel cielo, doveva essere mezzogiorno. Erano
passate più di dodici ore dall’ultimo evento che era in grado di ricordare.
Cosa era accaduto dopo era un mistero, né, per quanto si sforzasse, riusciva a
richiamarlo alla mente.
Una mano scostò di poco la tendina che
circondava il letto e davanti a lei apparve Touma.
«Ti sei svegliata, finalmente!»
«Che… cosa…» balbettò Maya, incredula.
Non poteva essere… aveva pensato a lui e adesso se lo trovava davanti! Com’era
possibile? «Tu… io… io dove sono?» non ci capiva niente.
«Nell’infermeria della mia scuola.»
rispose lui, sedendosi su di una sedia, in modo da poter poggiare i gomiti
sullo schienale. «Perché non mi hai detto che saresti arrivata? Per me è stato
uno shock vederti a terra, sembravi come morta. Per fortuna che alle sette
c’erano ancora quelli del club di atletica. Se non ti avessero trovata loro…»
«Sono a Tokyo…» mormorò, ancora più
allibita, coprendosi gli occhi con il braccio e sospirando. «Io… ero nel
cortile?»
«No, vicino alla palestra del tiro con
l’arco. Mi stavo ancora allenando, quando ho sentito qualcuno che diceva di
chiamare aiuto, che c’era una persona svenuta e sono accorso anch’io.» Maya
ascoltava in silenzio. «Di’, come facevi a sapere dov’è il mio liceo?»
«Non lo so, infatti.»
«Come?» chiese Touma, rizzandosi sulla
sedia.
«E non so nemmeno come sono arrivata
fin qui.» la ragazza osservò i palmi delle mani per qualche secondo, poi, come
se solo in quel momento avesse preso piena coscienza della realtà, cominciò a
cercare addosso a se. La chiave! Che fine aveva fatto? «Non c’è…»
«Cerchi questa?» Touma aprì il pugno e
gliela mostrò. Era ancora lì e, per fortuna, non sembrava aver riportato alcun
graffio.«Mi spieghi che sta succedendo?»
«Vorrei saperlo anch’io…» sospirò lei.
«so solo che un minuto prima un tizio sconosciuto ma ha dato questa dicendo di
nasconderla ed un demone mostruoso ha iniziato a darmi la caccia, e, un minuto
dopo mi sono risvegliata su questo microscopico lettino.»
«Facciamo più di un minuto.» sorrise
lui.
Maya prese in mano la chiave e
cominciò a fissarla, come incantata. Soprattutto la pietra: non credeva di
averne mai viste di così particolari. Cosa poteva essere? Quarzo? Ametista?
Prima di allora non si era mai interessata alle rocce ed alle pietre preziose.
«E’ granito. Granito viola.» disse
sicuro il ragazzo, come leggendole nel pensiero.
Maya ricordò che dal loro primo
incontro non era mai stata in grado di nascondergli nulla. Era come se lui
sapesse sempre cosa le passasse per la mente. Forse dipendeva dalla sua
intelligenza fuori dal comune.
La porta dell’infermeria si spalancò
di colpo, mentre il vocione di Xiu cominciò a rimbombare nella minuscola
stanza.
«Dov’è? Si è svegliata?»
disse,preoccupato, facendo cadere a terra la tendina nella foga di aprirla.
«Sto bene, non preoccuparti!» lo
rassicurò la giovane, ridacchiando per l’ennesimo disastro che l’amico era
riuscito a combinare.
Dietro di lui apparvero Shin , Seiji e
Ryo, sollevati nel vedere il suo volto, adesso sereno.
Era sempre stato così: per quanto
fosse preoccupata, triste o arrabbiata, bastava semplicemente sentire la voce
di quei cinque ragazzi per farla tornare serena.
Nasutei fissava perplessa lo schermo
del suo computer, mentre i samurai, seduti nel salotto, discutevano del più e
del meno, in attesa che Maya terminasse la sua conversazione telefonica con il
padre. Doveva essere attaccata alla cornetta da almeno tre quarti d’ora.
«E tu speri che io creda ad una storia
tanto assurda, forse?» domandò l’uomo, dopo aver ascoltato senza batter ciglio
il racconto della figlia.
«Non pretendo tanto, ma è la verità,
che ti piaccia o no.» ribatté lei. «E poi, sei riuscito a convincerti per tutti
questi anni che io fossi una persona come le altre; potresti sforzarti almeno
un po’ ad accettare anche questo fatto.» dall’altra parte del filo c’era il
silenzio più assoluto. «Ammetterai finalmente che non è normale per una bambina
di dieci anni rompere un mattone come fosse burro semplicemente afferrandolo.»
«E che intenzioni avresti?»
«Credo che per ora sia meglio che io
rimanga qui.» affermò decisa.
Ci aveva riflettuto, e quella le era
sembrata la soluzione più giusta. Non poteva mettere a repentaglio la vita dei
suoi genitori. A Tokyo, invece, poteva contare su delle persone che l’avrebbero
aiutata e protetta.
«E che spiegazioni dovrò dare ai tuoi
insegnanti ed ai tuoi amici?»
«Puoi dire la verità, che sono in
Giappone ospite di amici, e che mi hai regalato il biglietto come premio dei
miei risultati scolastici.»
«E per la scuola come farai?»
Maya spiegò che avrebbe frequentato il
liceo Toyama per qualche tempo e gli chiese di passare dalla sua vecchia scuola
per inoltrare le pratiche di trasferimento. Suo padre stava ad ascoltare senza
dire una parola, ben conscio di quanto fosse testarda. Quando ebbe finito di
dare le ultime istruzioni, la ragazza lo salutò, pregandolo di tranquillizzare
la madre; poi riagganciò.
Entrò in salotto e si buttò
pesantemente sulla poltrona. Da tanto non metteva piede in quella stanza e notò
che nulla era affatto cambiato, i mobili erano come li aveva lasciati; sorrise
nel vedere il grande tavolo di legno attorno del quale tutti loro si erano più
di una volta riuniti per cenare. Un paio di piante erano state aggiunte per
rinnovare l’ambiente e adesso quella casa sembrava pervasa da una nuova vita.
«Com’è andata?» chiese Shin,
poggiandole una mano sulla testa.
«Tutto a posto.» rispose lei,
socchiudendo gli occhi e lasciandosi cullare dal tepore di quel contatto. «Alla
fine non ha avuto obiezioni.» sospirò. Quella sarebbe stata una settimana
davvero pesante. Avrebbe dovuto studiare giorno e notte se voleva entrare nel
liceo frequentato dai suoi amici. Ma era decisa e nulla l’avrebbe potuta
fermare. «Trovato niente?» domandò infine a Nasutei.
«No, mi dispiace. Tra gli appunti di
mio nonno non c’è nulla su questa chiave.»
«Non importa. Almeno hai provato.»
disse Maya, sconsolata.
«Qui troverai tutto ciò che ti serve.»
disse Touma, mentre entrava nel salotto del suo piccolo appartamento
sorreggendo mezza dozzina di libri.
Maya, seduta sul divano, gli dava le
spalle e sembrava non essersi accorta di lui, intenta com’era a fissare la
scacchiera in bella mostra sul tavolino di vetro.
«Che fai?» domandò il ragazzo
incuriosito.
«Scacco matto.»
«Come?»
«Se non sbaglio era il mio turno.
Regina in e5. Scacco matto.»
Touma allungò il collo per guardare
meglio. Non lo stava prendendo in giro, era proprio in scacco matto. Dopo quasi
sei mesi, la loro interminabile partita, giocata al telefono o via internet,
era giunta alla conclusione, decretando la sua sconfitta.
Il ragazzo si sedette accanto a lei e
le mostrò i grossi volumi dai quali lui aveva studiato per prepararsi
all’esame.
«Sei sicura di non volere aiuto?» le
chiese per l’ennesima volta.
Lei scosse la testa. Grazie a Dio lo
studio non le aveva mai creato problemi, né suo padre se ne era mai lamentato.
Era sempre stata abituata a cavarsela da sola in certe situazioni, ma,
soprattutto, voleva dimostrare che poteva farcela senza l’aiuto di nessuno. Non
poteva sempre contare sugli altri, doveva imparare a camminare con le proprie
gambe. Non voleva che Touma e gli altri arrivassero a considerarla un peso.
Maya continuava a guardarsi allo
specchio per verificare che fosse tutto a posto, che la gonna le cadesse bene e
che il nastro fosse appuntato nel modo giusto. E i capelli, come doveva
portarli? Sciolti o raccolti? Con le mani prese i suoi capelli color mogano e
li sollevò in una coda di cavallo; poi, sbuffando li lasciò ricadere sulle
spalle.
«Sei pronta?» gridò Nasutei, dal piano
di sotto.
La ragazza lanciò un’occhiata
all’orologio. Le sette e mezza. Se si fosse soffermata ancora, sarebbe arrivata
in ritardo anche il suo primo giorno di scuola. Si passò frettolosamente il
lucidalabbra alla fragola sulle labbra, prese la borsa e corse giù.
Sulla jeep rossa osservava fuori dal
finestrino ancora incredula. Eppure era stata convocata appena il giorno prima
dal preside del liceo che le aveva comunicato il brillante risultato che aveva
ottenuto agli esami e le aveva dato il suo benvenuto al liceo Toyama. Stringeva
al petto la borsa che Shin e gli altri le avevano regalato per festeggiare il
suo esame, ripesando alla loro dolcezza. Anche Jun aveva voluto partecipare e
rivedere finalmente la sua sorellina.
«Sei nervosa?» chiese Nasutei, senza
staccare gli occhi dalla strada.
Un gruppo di studenti attraversò la
strada sulle strisce pedonali davanti a loro, ancora assonnati.
«Un po’.» ripose la ragazza,
sospirando. «Ho sempre odiato il primo giorno di scuola. Essere fissata da
persone che non conosco è insopportabile. E qui è inevitabile, sarò l’unica
straniera in mezzo ad un migliaio di studenti giapponesi…»
«Ma tu conosci già qualcuno nella tua
nuova scuola.»
Nasutei aveva ragione. C’erano Touma,
Shin, Seiji, Ryo e Xiu. Non era affatto sola.
La macchina si fermò.
«Siamo arrivati.» disse la donna. «In
bocca al lupo.»
«Crepi.»
Maya
aprì lo sportello e scese dalla macchina. I suoi amici la stavano già
aspettando.
Un’altra giornata al liceo Toyama
stava volgendo al termine. L’assenza del professore di giapponese diede un po’
di respiro agli studenti della prima sezione del primo anno, che ne
approfittarono per rilassarsi. Maya, tenendo in mano un pacco di fogli per
fotocopie, camminava per i corridoi del primo piano canticchiando un motivo che
Touma riconobbe subito. Era il brano più trasmesso dalle radio.
«Ma non dicevi di odiarlo?» chiese
sorridendo.
«Infatti, ma non riesco a toglierlo
dalla testa.»
Da lontano videro Shu e Ryo, in piedi
davanti alla porta della loro classe, che si punzecchiavano continuamente.
Improvvisamente la porta si spalancò e la faccia rugosa del professore di
matematica, Otani, spuntò, accigliatissima come suo solito.
«Smettetela di fare casino!» urlò e
sbatté la porta.
«Che avete combinato, stavolta?»
sospirò Touma.
«L’ha beccato con un manga nascosto
nel libro.» ridacchiò Ryo, indicando il compagno di classe, intento a mantenere
in equilibrio sulla testa il secchio colmo di acqua.
Shu era sempre il solito. Da quando
Maya era entrata in quella scuola, non vi era giorno in cui non fosse stato
punito durante una lezione. Sì, ma perché c’era anche Ryo?
«Sei qui per solidarietà?» domandò
lei, ironica.
«Divertente… ho cercato di avvertirlo
per un’ora, poi, quando il prof l’ha beccato non sono riuscito a trattenermi e
sono scoppiato a ridere!» si difese il samurai del fuoco.
«C’era da immaginarlo…»
«Avete gli allenamenti del club anche
oggi?» chiese la ragazza ai tre, che annuirono. «Uffa… e io che speravo di
poter andare un po’ in centro con voi!» Xiu continuava a giocare con il
secchio, come se di quella punizione non gli importasse nulla. «Guarda che se
continui ti cadrà a terra.»
Touma le diede ragione.
«O senti la mancanza dell’ufficio del
preside?» domandò, mentre Maya depositava fra le sue braccia anche i suoi fogli
e tirava fuori dalla tasca la sua fotocamera dalla quale non si separava mai,
per immortalare l’evento, che, ci scommetteva, sarebbe avvenuto di lì a poco.
«AAAH!!!» urlò infatti Xiu, cercando
di afferrare il secchio e finendo anche lui rovinosamente a terra, per giunta
bagnato fradicio.
«Le porte scorrevoli si aprirono di
botto.
«Ma insomma, Fang!» fu la replica del
professore, mentre Maya e Touma, facendo finta di niente, avevano ripreso a
camminare.
«Sei stata perfida.» affermò il
ragazzo.
«Davvero?»
Lei ridacchiò ripensando a quello che
era accaduto.
«Perché non ti iscrivi al club di
fotografia?» le chiese Touma dopo averci riflettuto.
«Sai bene come e la penso a riguardo.»
Era stata tentata più volte di fare
domanda ad un club, uno qualsiasi, ma si era sempre ritrovata a pensare che per
lei non sarebbe mai stato umanamente possibile entrare davvero a farne parte.
Perché, qualunque cosa facesse, qualunque sport intraprendesse, sapeva
benissimo che la sua bravura derivava soltanto da quello strano dono. Anche per
le arti marziali era stato così, ma sebbene più di una volta avesse provato a
mollare tutto, si era resa conto che, al di là dei tornei, le erano tornate
utili, se non altro per rimanere in vita la in Giappone.
«Già. Ma è un club che non richiede
particolari abilità fisiche. Hai bisogno solo di una macchina fotografica e mi
pare tu sia abbastanza attrezzata.»
«Dici sul serio?»
«Sul serio.»
«Allora ci penserò su.»
L’avesse proposto qualcun altro, non
gli avrebbe dato poi tutta questa importanza. Ma era stato Touma a parlare. Si
fidava delle sue parole, sapeva che aveva sempre ragione. E poi… probabilmente
si era presa una cotta per lui. L’aveva capito quando si era accorta di pensare
continuamente a lui e di venerare anche la terra sulla quale camminava. Se
assecondarlo contribuiva ad avvicinarli ulteriormente, non avrebbe esitato a
farlo.
Ryo e gli altri erano impegnati con le
attività del club. Maya camminava per i corridoi della scuola, ripensando alle
parole di Touma. Si fermò davanti ad una porta, sollevò lo sguardo e fissò i
foglio di carta che vi era appeso. “Club di fotografia”. Fece scorrere i
pannelli ed entrò silenziosamente. Alle pareti della stanza erano appese
numerose fotografie, ritraesti i soggetti più svariati. Rimase incantata
davanti ad una luna enorme circondata dal’oscurità più profonda e no si accorse
che qualcuno le era arrivato alle spalle.
«Desideri qualcosa?»
Maya si voltò di scatto, e si trovò
davanti una ragazza dai capelli lunghi e dal volto accigliato.
«Queste foto sono stupende! Non sono
un’intenditrice, ma…»
«Se sei venuta solo per ammirare le
foto, la prossima settimana ci sarà una mostra.» la interruppe la sconosciuta,
con tono seccato.
Poi entrò nella camera oscura e chiuse
le tendine. Un modo molto brusco per farle capire che gli scocciatori non erano
molto graditi, evidentemente.
«Ecco, io… mi piacerebbe entrare a far
parte di questo club.» balbettò Maya, alzando un po’ la voce, per farsi sentire
meglio.
L’altra uscì dalla piccola stanza e la
squadrò velocemente, poi notò la macchina digitale che teneva fra le mani e
fece una smorfia di disappunto che l’italiana non poté non notare.
«A casa ho una macchina analogica con
obiettivo. Mi manca solo una camera oscura.» spiegò lei infastidita. «Questa la
porto sempre con me perché è comoda e posso salvare tutte le foto su computer
evitando la fase dello sviluppo.»
«Fa come vuoi.» sbuffò la giapponese e
le porse un foglio.
Poi ritornò nella stanza accanto.
Maya scrisse i suoi dati sul modulo
prestampato e lo poggiò su di un banco. Aspettò per qualche secondo, sperando
che l’altra uscisse. Ma non lo fece.
«Io… sono Maya Monti.» si presentò,
per niente sicura che l’altra avesse sentito. Poi lasciò l’aula.
«Cheeeeese!»
I cinque ragazzi si voltarono in
direzione di Maya, che scattò loro una foto. Notarono che era insolitamente
contenta, continuando a canticchiare quella che era ormai diventata la sua
canzone preferita. Solo Touma sembrava a conoscenza del motivo.
«Allora lo hai fatto?» le chiese,
sorridendo.
«Fatto cosa?» si intromise Xiu,
incuriosito.
«Signori, avete davanti a voi un
membro del club di fotografia.» continuò il samurai del Cielo.
Il cellulare di Maya iniziò a
squillare e lei si fermò per rispondere rimanendo indietro rispetto agli altri.
Era Nasutei.
«Sto per arrivare.» disse, e, mentre
parlava sentì un brivido correrle lungo la schiena.
Aveva già percepito questa sensazione
sgradevole, ma non voleva crederci, davvero. Perché significava solo una cosa.
Col telefono ancora in mano, si voltò lentamente e si accorse, purtroppo di
avere ragione. Il demone che l’aveva inseguita, l’aveva trovata.
Un urlo attirò l’attenzione dei cinque
samurai che girandosi in direzione di Maya videro una scena agghiacciante: un
mostro (perché solamente in quel modo poteva essere definita quella creatura
orripilante) l’aveva afferrata.
Maya sentiva l’alito fetido di
quell’essere dalla faccia deforme e non riusciva a trovare la forza di reagire.
Le sue membra erano paralizzate dal terrore.
Se i suoi amici non fossero
intervenuti, per lei sarebbe stata la fine.
Seiji tagliò il braccio del demone con
la lama della sua spada, permettendo a Touma di portare in salvo la ragazza. Ma
non furono loro a sconfiggerlo. Il bastone di Kaosu, piovuto dal cielo, lo
vaporizzò con la sua luce.
«Tutto a posto?» le chiese Touma,
preoccupato.
Lei chinò il capo un paio di volte,
titubante e fissò il bastone, memore delle volte in cui le aveva salvato la
vita.
Kayura, dopo averlo afferrato ed
estratto dal terreno si avvicinò al gruppo e si chinò su di lei.
«E’ tutto finito. Per ora, almeno.»
«Come “per ora”?» si meravigliò Shin,
aiutando Touma a fare sedere la ragazza su di una panchina.
«Ce l’hai qui con te?» continuò la
discendente di Kaosu, non prestando attenzione alle parole del samurai. Maya
prese la chiave dalla tasca e gliela mostrò. «E’ come temevo.»
«Che vuoi dire?» domandò Touma.
«Non sai che cosa sia, vero?» La
ragazza scosse la testa. «Questa chiave apre il Makai.» I sei ragazzi la
guardarono esterrefatti. «In mani sbagliate potrebbe spalancare i cancelli ed
unire il Makai a questo mondo. Per questo vengono scelte delle persone che
siano in grado di custodirla.»
«Quindi basta trovare il custode.»
disse Seiji.
«L’avete già trovato.» Kayura indicò
Maya che se ne meravigliò. «Ad ogni generazione nascono dei potenziali
guardiani. Persone che hanno delle particolari attitudini. Proprio come te.» La
donna le accarezzò il viso, come per confortarla. «Certo, non tutti lo
diventano. E’ la chiave che sceglie. E, una volta che se ne entra in possesso,
lo si diviene automaticamente.»
«Quindi… quindi quella cosa non era
l’unica? Dovrò sempre guardarmi le spalle?»
«Ce la farai.»
«No. La chiave si è sbagliata, io non
posso essere la sua custode. Se non ci fossero stati loro, sarei morta di
sicuro. »
«All’inizio è dura accettare la
realtà. Dovresti essere contenta. Almeno adesso sei a conoscenza del vero
motivo delle tue doti fuori dal comune.»
Kayura
mosse il bastone e svanì, mente i cinque samurai osservavano ancora increduli
Maya che scuoteva la testa, stringendo fra le mani la chiave che l’aveva
condotta a quello strano destino.
«AkiraChiba?» Maya aprì il suo bento e prese il suo toast fra le
mani.
«Scontrosa
ed irritante. Da come l’hai descritta, sembra proprio lei.»
confermòHitomi, accostando
il suo banco a quello dell’italiana, sedendosi di fronte a lei ed assaggiando
il suo pranzo.
AncheSakura si
unì a loro.
Da
quando era entrata al Toyama, loro tre erano
diventate praticamente inseparabili, forse perché
erano nella stessa classe, forse perché Hitomi aveva cercato
in tutti i modi di diventare sua amica sin dal primo giorno, sta di fatto che,
quando Maya non era con i samurai, cercava sempre la loro compagnia.
«E
poi, fa parte anche lei del club di fotografia.» si intromise Sakura.
«Hitomi, potrei venire ad osservare i tuoi allenamenti al
club di softball?» Chiese Maya, cambiando completamente discorso. «Vorrei farti delle foto mentre lanci.»
«Ok.» rispose lei, dopo che ebbe
mandato giù l’ultimo boccone.
Aveva
bisogno di distrarsi, di non pensare a quello che le stava accadendo. Non
riusciva a credere alle parole di Kayura e nemmeno ci
riusciva. La discendete di Kaosuera
più che convinta che lei fosse una guardiana, ma lei non poteva accettarlo.
Forse, se avesse fatto questa scoperta prima di venire
catturata da Arago, ne sarebbe stata felice, ma
adesso… non si sentiva all’altezza di un compito tanto gravoso, ma,
soprattutto, non voleva mettere a rischio la vita di chi le stava intorno;
gente normale o samurai, questo non importava.
Dopo
essere uscita dalla camera oscura, Maya si diresse di filato verso il suo
armadietto. E, sebbene fosse entusiasta delle foto che aveva
scattato alla sua compagna, tuttavia non riusciva a non pensare a quello
che le avrebbe riservato il suo futuro, adesso alquanto incerto. Mentre posava le scarpe da interno, qualcuno le diede un
colpetto sulla testa con le nocche.
Era
Touma.
«Torni
a casa?» le chiese. Lei chinò lievemente la testa. «Allora ti accompagno.»
«Non
ce n’è bisogno.»
Non
era vero. Aveva paura anche solo a mettere il naso da sola fuori
dalla sua stanza, figurarsi ad arrivare all’università. Ma non voleva darlo a vedere.
«Sei
così distratta oggi che combineresti chissà cosa. E poi, devo restituire un
libro a Nasutei.»
Maya
sapeva che non era affatto vero,o che, comunque, non
c’era tutta questa urgenza di farlo riavere all’amica, ma accettò di buon
grado, perché aveva capito che lui cercava in ogni modo di non farle pesare
quella situazione. E, d’altro canto, era da molto
tempo che non passavano un po’ di tempo insieme e questo non poteva che farle
piacere.
Giunti
all’università, i due sollevarono lo sguardo e notarono che nella stanza di Nasutei la luce era accesa, così entrarono e salirono le
scale.
«Permesso…»
disse Touma, aprendo piano la porta.
«Siamo
noi!» continuò la ragazza, ed entrambi fecero il loro ingresso nell’ufficio
della donna. Due persone che l’italiana non si sarebbe mai aspettata si misero
in piedi. «Mamma… papà…» balbettò, incredula, e corse
ad abbracciarli. «Mi siete mancati tanto!»
Sapeva
che era sbagliato, che loro non sarebbero mai dovuti venire in Giappone, che ne andava della loro incolumità, tuttavia, mai come in quel
momento era stata così felice che i suoi non le avessero dato ascolto. Ne aveva sentito una tale mancanza che stare stretta a loro
era l’unica cosa che le importava in quel momento.
«Come
mai qui?» si informò Touma,
una volta alla villa degli Yagyiu, sebbene temesse di
conoscere la risposta a quella domanda.
Nasutei, intanto, aveva portato loro del tè.
«Siamo
venuti a prendere nostra figlia. La riportiamo a casa.» disse
il padre, serio.
Solo
allora la ragazza tornò finalmente in sé.
«Cosa?» si scostò dai due genitori bruscamente. Come aveva
potuto farsi abbindolare a quel modo? Per quanto le fossero mancati, per quanto
volesse con tutte le sue forze rivedere la sua città e
la sua famiglia, sapeva che doveva rimanere a Tokyo, per non metterli in
pericolo. «io non torno a casa.»
«
Abbiamo assecondato ogni tuo capriccio, ma è ora di finirla.»
asserì l’uomo in tono fermo.
«Tuo
padre ha ragione. Hai solo sedici anni… il tuo posto è
con noi…» continuò la madre la cui voce dolce contrastava visibilmente con
quella del marito.
«Perdonatemi
se mi intrometto, ma… » Touma
aveva posato la tazza sul tavolino ed adesso li osservava, determinato. Erano
pur sempre i suoi genitori, e l’unica cosa che volevano era stare acanto alla
loro figlia. Ma sapeva, che lasciar andare Maya
sarebbe stato un errore. Non tanto per quello che lui provava
nei suoi confronti. Ora quello che più contava era proteggerla. E non avrebbe potuto farlo se lei fosse partita, perché
serviva tutta la forza delle cinque armature. «ora come ora, è meglio per tutti
se Maya resti qui. Ci sono stati dei risvolti
imprevisti dall’ultima volta e solamente qui vostra figlia sarà al sicuro.»
«Che
genere di imprevisti?»
«Non
c’è motivo di scendere nei dettagli.»
«Al
contrario! Se mia figlia è nei guai ho il diritto di
saperlo!» l’italiano si era scaldato ed adesso i due si trovavano in piedi, uno
di fronte all’altro; entrambi erano convinti di agire nel bene di Maya e
nessuno pareva voler cedere.
«Sono
io che devo decidere.» si intromise allora la diretta
interessata, guardando verso la madre, mentre i suoi occhi diventavano lucidi.
«e per quanto mi manchiate, non posso tornare a casa
con voi. Siete i miei genitori e non esiste niente di più importante per me, e
proprio per questo devo rimanere. Perché se vi seguissi, metterei a rischio le
vostre vite… e non voglio.» e,
detto questo se no corse in camera sua.
Nasutei la raggiunse poco dopo. Era buttata
sul letto, con la faccia affondata nel cuscino.
«Vedrai
che si sistemerà tutto.»
«Non
è vero. Mio padre è testardo.»
«Mi
ricorda qualcuno.» la giapponese sorrise. Per colpa di Arago aveva perso suo nonno e
sapeva come Maya si sentisse. Le accarezzò dolcemente la testa e la ragazza si
voltò. «Perché non passi un po’ di tempo con loro?
Magari cambiano idea.»
«Non
c’era bisogno che mi veniste a prender a scuola.» disse Maya, seduta con i sui al tavolo di un ristorante.
Un
cameriere porse loro le ordinazioni.
«Non
volevi passare un po’ di tempo con noi, o sbaglio?» le domandò il padre, un po’
contrariato.
Dall’altro
lato del vetro, i marciapiedi erano stranamente vuoti per una città come Tokyo,
ma era comprensibile, visto che erano da poco passate le due del pomeriggio..
«Potevate
evitare di andare dal preside, e di farmi chiamare all’interfono, almeno…»
«Perché non saliamo sulla torre di Tokyo, appena finiamo?»
chiese la madre prima di bere un sorso di vino.
La
figlia accennò di sì con la testa. In fondo, fare un giro per la città con i
suoi non era poi tanto male. Senza contare che sarebbe passato molto tempo,
prima di rivederli.
Pagato
il conto uscirono dal locale e si incamminarono verso
l’imponente costruzione.
Osservare
la città dall’alto della torre televisiva era un vero spettacolo. Maya
osservava la madre estasiata da quella vista e si sentì triste. Il pensiero di
separarsi da loro le provocò una fitta al cuore, ma sapeva che era per il loro
bene, per cui se n’era fatta una ragione.
«Allora,
ti è piaciuto?» il padre sorridente le poggiò una mano sulla spalla.
Doveva
riprovare, forse, dopo la giornata appena trascorsa tutti assieme, Maya aveva
cambiato idea ed era pronta a tornare. Stava per parlare, ma notò che lei si
era irrigidita improvvisamente.
«No…»
bisbigliò la ragazza, mentre cominciava a sudare freddo. Una sensazione
sgradevole si era impadronita di lei, mentre notava delle nubi nere che
oscuravano il cielo.
«Tesoro,
che hai?» le domandò la madre, preoccupata.
«N…
niente. Andiamo.» rispose lei, prendendo entrambi per
mano ed allontanandosi velocemente da quel luogo.
Doveva
andare a scuola e raggiungere i samurai, perché solamente con loro sarebbero
stati tutti al sicuro.
Ma non fecero in tempo.
Un
fulmine cadde dal cielo proprio di fronte a loro e, una volta che la nube di
polvere si fu diradata, apparve davanti a loro un demone, enorme e
terrificante. I suoi genitori rimasero senza parole, mentre lei entrava nel
panico più totale. Che poteva fare? Senza i samurai
erano spacciati.
«Dammi
la chiave.» le ordinò il demone, avvicinandosi a loro
lentamente.
Già,
la chiave… mise la mano in tasca e la strinse forte. Era tentata. Se
gliel’avesse consegnata, i suoi genitori sarebbero
stati salvi. O, forse, quel mostro li avrebbe uccisi comunque?
Le ritornarono in mente le parole di Kayura. “Questa
chiave apre il Makai. In mani sbagliate potrebbe
spalancare i cancelli ed unire il Makai a questo
mondo”. Non poteva farlo. Non poteva permettere che demoni come quello vagassero per la terra indisturbati, seminando terrore e
morte.
«No.»
«Dammi la chiave, ho detto.» il
demone allungò la mano, la aprì e sollevò il palmo verso l’alto, come per
invitarla ad assecondarlo, ricevendo indietro un altro secco rifiuto che lo fece
andare su tutte le furie. Senza troppi complimenti estrasse la sua spada e la
puntò verso i suoi genitori, immobili ed ancora sotto shock, e lanciò verso di
loro un fendente. Maya si lanciò e cercò di proteggerli, facendo loro da scudo
col suo corpo. La chiave, ben stretta nella mano emanò un bagliore accecante
proprio pochi secondi prima che la sua custode venisse
colpita, annullando il colpo dell’avversario. Pian piano la luce scomparve e
Maya, avvolta da un tenue bagliore traboccante di energia,
sentì delle parole prendere forma nella sua mente e si trovò inconsciamente a
pronunciarle.
«Rescissione del sigillo!»
L’energia
che la avvolgeva venne assorbita dal suo corpo sul
quale apparve in tutto il suo splendore, una magnifica armatura, fredda come i
raggi della luna che tagliano il buio della notte.
Il
mostro lanciò un altro fendente, che lei fermò prontamente con il solo palmo
della mano. Infine puntò la stessa mano verso il nemico.
«Acque
vorticose dello Stige!»
A
quelle parole, una voragine si aprì sotto i piedi del demone che fu
immediatamente inghiottito da acque nere e tumultuose che poi si richiusero.
Il
cielo tornò limpido ed anche l’armatura che poco prima l’aveva protetta
scomparve, mentre Maya osservava incredula i palmi delle sue mani. Era stata
davvero lei a fare tutto questo?
L’aeroporto
di Narita era gremito di persone. Maya abbracciò i
suoi genitori e diede loro un bacio sulla guancia.
«Torna
presto.» le sussurrò il padre, prima di incamminarsi
verso la sala d’imbarco.
«Buon
viaggio.» la ragazza agitò la mano lievemente, finché
non vide scomparire i suoi, poi la abbassò.
Shin le cinse le spalle con un braccio.
«Sicura
che non ricordino nulla?» le chiese, dolcemente.
Lei
chinò la testa.
«Meglio
così.» intervenne Xiu,
incrociando le dita dietro la nuca. «Anche se non capisco, allora come si siano
convinti.»
«Non
lo so. Ma almeno così sono al sicuro.» sospirò la ragazza, incamminandosi verso l’uscita.
«Non
c’è bisogno che mi stiate sempre dietro come un’ombra. So cavarmela da sola.»
Maya stava sistemando i libri nella sua borsa, mentre i cinque samurai la
aspettavano.
Era
passato quasi un mese da quando era apparsa l’armatura di Maya e da allora non
avevano subito più alcun attacco da parte delle forze del Male. Tuttavia
nessuno di loro voleva abbassare la guardia.
«Siamo
solo preoccupati per te.» intervenne Seiji, mentre il gruppo si incamminava
verso il cortile.
«Grazie
del pensiero, ma non è necessario. Non ho più avuto alcuna visita da parte di
demoni e simili. Forse si è sparsa la voce e nessuno vuole più affrontarmi.
Credo che non dovrò più combattere, per fortuna.»
Tuttavia,
nonostante l’ottimismo che lei mostrava, uno di loro non era affatto convinto
di quelle parole. Touma aveva percepito una nota di ansia nel ton o della voce
della ragazza, ma sperava fortemente di sbagliarsi. Forse era vero che nessun
demone aveva intenzione di fronteggiarla, ma in cuor suo sapeva che, se così
non fosse stato, lei avrebbe esitato a prendere parte alla lotta, precludendo
il peggio. E non voleva.
«Beh,
io vado da questa parte.» disse il proprietario di Tenku, fermandosi ad un
incrocio.
«Ma
come? Non vieni con noi?» chiese l’italiana, delusa.
«Devo
passare un attimo dalla biblioteca.» spiegò il samurai, e le sfiorò la fronte
con le labbra. «Mi raccomando, tenetela d’occhio.»
Aveva
consultato dozzine e dozzine di libri, ma in nessuno si accennava alla chiave,
al ruolo del custode o alla misteriosa armatura comparsa dal nulla. No era che
non si fidasse di Kayura, ma la donna era stata alquanto restia a dare
ulteriori spiegazioni e se voleva avere delle risposte, doveva occuparsene
personalmente. Voleva sapere se c’era un modo per evitare a Maya tutto questo,
ma, nonostante l’impegno, la sua ricerca risultò vana.
Quando
uscì, dopo che il custode della biblioteca lo aveva praticamente sbattuto fuori
per poter finalmente chiudere l’edificio, si accorse che era già sera. I lampioni
erano accesi ed in cielo brillava una luna dalla forma quasi perfetta. Mancava
ancora qualche giorno alla luna piena.
Si
incamminò verso il suo appartamento, pensieroso. Improvvisamente la luce della
luna scomparve, coperta da pesanti e cupe nubi e le luci della strada che stava
percorrendo si spensero. Tutto questo non lasciava presagire nulla di buono.
Si
preparò ad indossare il suo sottoarmatura, quando dal nulla vide spuntare una
figura che camminava verso di lui. Sentiva i suoi passi sempre più vicini.
«Ti
ho trovato, Touma.»
Era
la voce di Maya.
Non
poteva sbagliarsi, l’avrebbe riconosciuta fra mille.
«Che
ci fai qui? E’ tardi.» le domandò.
Notò
che indossava un mantello scuro dal quale si intravedeva solo il viso dalla
pelle candida. I suoi occhi verdi brillavano quasi vivessero di luce propria.
«Ti
stavo cercando.»
«Mi
hai trovato. Ti accompagno a casa.»
«No.»
«Come
sarebbe a dire “no”?» si meravigliò il samurai. Si avvicinò e la prese per
mano. «Nasutei sarà preoccupata. Andiamo.»
«Non
mi importa di lei. Io voglio stare con te.» il ragazzo era piuttosto meravigliato
da quelle parole. Lei gli si avvicinò e gli sfiorò le labbra con le sue.
«Portami a casa tua.»
Touma
ebbe un attimo di esitazione. Davvero Maya lo desiderava? Eppure non se ne era
mai reso conto, sebbene per lui la ragazza fosse come un libro aperto. Doveva
essere felice che il suo sentimento fosse ricambiato, eppure sentiva che quello
che stava accadendo no fosse giusto. Che Maya non era la stessa di sempre.
«N…
no. Non posso farlo.»
«Perché?
Non ti piaccio, forse?»
«Non
è così, ma… sei strana oggi. Che ti prende? Non ti sei mai comportata così.»
«Vuol
dire che ti piaccio di più quando mi atteggio a santarellina?» adesso la
ragazza era piena di collera.
Sfiorò
il petto del samurai con la mano, dalla quale si sprigionò un’energia tale da
scaraventarlo lontano.
«M…
Maya… che ti prende?» le domandò, respirando a faticva, mentre si premeva il
petto dolorante.
Lei
gli si avvicinò e sollevo il suo volto con le dita.
«Tu
mi vuoi. Te lo leggo negli occhi. Ma sei troppo puro di cuore per
approfittartene. Non mi serve uno come te.»
Lo
lasciò, si voltò e si allontanò, scomparendo così come era apparsa.
Mancavano
pochi minuti al suono della campanella ed in classe c’era il solito frastuono
che precedeva le lezioni. Touma, seduto al suo banco, fissava Maya che
scherzava con Honda e Kunimi, come ogni mattina. Improvvisamente lei gli si
avvicinò.
«Tutto
a posto? Sei insolitamente silenzioso.»
«S…
sì.»
«Mi
fai vedere gli ultimi esercizi di matematica? Non sono riuscita a finirli.»
«Dove
sei andata?»
«Da
nessuna parte. Mi sono addormentata. La matematica mi fa sempre questo
effetto.»
Maya
si comportava come se non fosse accaduto nulla. Lui le porse il quaderno di
malavoglia e lei lo notò.
«Sicuro
che sia tutto a posto?»
«Sì.
Finite le lezioni dovrei parlarti.»
La
ragazza si sorprese non poco. Touma sembrava seccato ed il motivo era lei. Ma
che aveva potuto combinare di così terribile?
«Eri
davvero a casa ieri sera?»
La
terrazza era completamente deserta, Un forte vento si sollevò e Maya cominciò a
tremare lievemente.
«Certo.
Dove mai sarei potuta andare, scusa?» Touma rimaneva in silenzio, cercando le
parole più adatte. «Hai detto che dovevi parlarmi.»
«Ieri
sono stato attaccato. Da te.»
«Scherzi,
vero? Sai benissimo che non lo farei mai! E poi, come ti ho detto, sono stata
tutto il tempo a casa.»
«Non
potrei mai sbagliarmi. Eri tu. Anche se…»
«”Anche
se”?»
«Ti
sei comportata in maniera strana.»
«Quanto
strana?» Il ragazzo non disse nulla, preferendo tenere per sé quello che era
successo. Sapeva di non sbagliarsi e temeva fortemente che la colpa fosse tutta
di quella chiave.
Touma
la guardò sicuro.
«Eri
tu.»
«Allora
non… non ti fidi di me?» disse Maya e poi corse via. Come poteva dubitare delle
sue parole? Se lui non le credeva, se non si fidava più di lei, che avrebbe
fatto?
Mentre
passava vicino la porta del club di fotografia, qualcuno la afferrò e la
trascinò dentro.
Era
Akira.
«Che
vuoi?» le chiese, seccata, asciugandosi le lacrime.
Aveva
giò i suoi problemi e non era in vena di sorbirsi le prediche di quella
lunatica. La sua compagna entrò nella camera oscura e ne uscì poco dopo con in
mano delle foto che la ritraevano di notte, avvolta in un mantello scuro.
«Q…
quando le hai scattate?»
«Ieri
sera.»
Maya
continuò ad osservarle. In una c’era anche Touma. Lei era a cavalcioni sopra di
lui e gli teneva il viso sollevato.
Allora
Touma aveva ragione? Era stata davvero lei ad attaccarlo? Ma lei non se ne
ricordava…
«Che
significa?» domandò allora Akira.
«Non
lo so.» rispose Maya ed uscì, portando con sé le foto.
Nasutei
aprì la porta e fece entrare i cinque samurai. Tutti presero posto in salotto,
e si chiedevano del motivo di quella improvvisa riunione. Tutti, eccetto Touma.
Maya li raggiunse poco dopo e si sedette sul bracciolo accanto a Shin, con lo
sguardo fisso verso il pavimento.
«Ieri
ho attaccato Touma.»
«Cosa?»
Anche
lui era sorpreso. Si era quasi convito di essersi sbagliato, che quella non
fosse Maya, che i suoi sentimenti gli avessero annebbiato la mente.
La
ragazza mostrò loro le foto che la sua senpai aveva scattato. Una prova
inconfutabile.
«Perché?»
domandò Shin.
«Non
lo so. Io non ricordo nulla. Ma Touma aveva ragione. Ero io.» sollevò la testa
e lo guardò. «Mi dispiace.»
«Io
non ci credo.» Xiu era sconvolto. «Tu non lo faresti mai.»
«E’
successo, invece. Forse è meglio che me ne vada da questa casa e che mi
allontani da voi.»
«Tu
non vai da nessuna parte. Ci deve essere certamente una spiegazione plausibile.
E finché non l’avremo trovata tu non ti muovi di qui.» Nasutei le si era
avvicinata e le aveva poggiato una mano sulla testa.
«Potrei
farlo di nuovo.»
«No,
se ti terremo d’occhio.» disse Ryo, mettendosi in piedi.
«E’
meglio che ci trasferiamo qua per un po’. Se Nasutei è d’accordo, ovviamente.»
Seiji lanciò un’occhiata verso la donna che accennò di sì con la testa.
«Le
vostre camere sono sempre al solito posto.»
Improvvisamente
un brivido percorse la schiena di Maya. Sempre la stessa sgradevole sensazione.
I samurai lo notarono immediatamente.
«Che
succede?» le chiese Ryo.
Lei
si limitò ad indicare il giardino. Xiu si avvicinò alla finestra e notò dei
tenui bagliori che andavano aumentando di numero man mano che passava il tempo.
Soldati del Male. La finestra si spalancò scaraventandolo sul pavimento e
improvvisamente fece il suoi ingresso una figura incappucciata.
«Vedo
che non manca nessuno.» Una voce inconfondibile, che anche Maya riconobbe.
Perché era la sua. L’individuo misterioso fece scivolare il cappuccio e mostrò
a tutti il suo volto, in tutto e per tutto identico a quello della guardiana.
«Chi…
chi sei?» Chiese Touma, mentre i suoi compagni continuavano a spostare lo
sguardo dall’una all’altra increduli.
«Sono
Maya.» la ragazza fece cadere a terra il mantello e mostrò a tutti la splendida
armatura che la copriva. Identica a quella della vera Maya, ma più scura. «La
chiave spetta a me. Dammela.»
«E
perché dovrebbe?» Il samurai del cielo si parò davanti all’amica per
proteggerla. Lei non diceva una parola, limitandosi a fissare l’altra se stessa.
«Comandi dei soldati dell’Impero del Male, credi che te la consegnerebbe?»
«Allora
mi toccherà prenderla con la forza. Ma dubito fortemente che sia quello che lei
vuole.»
I
samurai iniziarono a combattere contro di lei e contro i suoi soldati, ma non
riuscivano ad avere la meglio. Maya osservava la scena in disparte. Chi era
quella in realtà? Era un’altra Maya? O era solamente un’illusione creata per
confonderli? Se era così, l’espediente stava riuscendo nel suo intento, perché
nessuno dei samurai riusciva ad infliggere alla nemica un colpo decisivo. La
ragazza venne colta da un dubbio. E se quella parte di lei che adesso le
mancava avesse in realtà dato vita ad un altro essere in tutto e per tutto
identico alla Maya originaria? Che quella che aveva di fronte fosse una parte
di lei, un’altra se stessa?
Non
si accorse che la nuova nemica dopo essere sfuggita agli attacchi de samurai le
era arrivata alle spalle.
«La
chiave. Consegnamela, se non vuoi morire.» le ordinò afferrandola per la nuca e
cercando di prenderle la chiave dalla tasca. Maya provò ad impedirglielo in
tutti i modi, ma, quando entrambe la ebbero toccata, questa sprigionò una luce
accecante e scomparve insieme alla Maya malvagia.
Capitolo 6 *** 6. Il portale del colore del sangue ***
6
6. Il portale del colore del sangue
Maya
stava seduta sul divano, i gomiti appoggiati alle ginocchia, e si sentiva
depressa. Come aveva previsto, non era stata all’altezza del compito che Kayura
le aveva affidato, ed il mondo intero ne avrebbe pagato le conseguenze. Shin le
si sedette accanto e le porse una tazza di tè fumante.
«Su
con la vita! Ci siamo trovati in situazioni peggiori.» cercò di tirarla su di
morale.
Lei
sospirò e prese fra le mani la tazza di porcellana.
«Non
è vero. Questa volta è davvero la fine.»
«Non
ti ricordavo così pessimista.» Touma si era seduto sul tavolino, proprio di
fronte a lei e la fissava. «Se fosse d’avvero la fine, non pensi che avremmo
già dovuto ricevere la visita di orde di demoni, desiderosi di farci la pelle?»
Il
suo discorso filava. Effettivamente, per come la vedeva lei, e la vedeva
davvero nera, l’inferno si sarebbe letteralmente essere già dovuto trasferire
sulla Terra, e, invece, la gente continuava a vivere la sua solita monotona
vita, dovunque. A questo punto, però, sorgeva spontanea una domanda: che fine
aveva fatto quella maledettissima chiave?
La
ragazza svuotò la tazza tutta d’un fiato e andò in cucina. Mentre ritornava in
salotto, ascoltò la conversazione dei cinque samurai. Era incentrata su di lei,
o meglio, sul suo ruolo in tutta quella faccenda.
«Non
può più tirarsi indietro.» Seiji era categorico e a nulla valsero le parole di
Touma, che per nulla la mondo avrebbe rischiato la vita della ragazza. Maya
sapeva che il samurai della Luce aveva ragione, che doveva affrontare le sue
paure se voleva uscire viva d quella lotta, solo… non ne trovava il coraggio.
«Se la chiave non è finita nelle mani dell’altra Maya, allora lei verrà a
cercarla presto. E non potremo proteggerla per sempre.»
«Io
non ci vedo niente di male nel combattere al posto suo.» intervenne Xiu, «Se
devo dirla tutta, quella perfida strega mi sta proprio sulle scatole. Non vedo
l’ora di darle una lezione coi fiocchi e di farla scomparire per sempre dalla
faccia della Terra.»
La
ragazza fece il suo ingresso nella stanza proprio in quel momento.
«No.
Seiji ha ragione, devo prendermi le mie responsabilità. Devo essere io ad
ucciderla.»
«Questo
non deve accadere.» Kayura entrò nel salone dalla finestra lasciata aperta. «In
caso contrario, anche tu moriresti.»
«Non
capisco.»
«Sarò
più chiara.»
Maya
ascoltava in silenzio le parole della donna, a tratti sollevata, a tratti
sgomenta. Quella sensazione di avere perso una parte di sé fondamentale non era
infondata. Tramite il rituale che gli Spiriti del Male avevano attuato nella
sala del trono, Arago era riuscito a separare da lei la sua parte più nascosta,
rendendola maggiormente vulnerabile, con lo scopo di impadronirsi della chiave,
nel momento più propizio. E adesso manovrava il suo alter ego in modo tale da
aprire le porte del Makai e permettergli di uscire, e poter così conquistare il
mondo degli uomini, forte di un esercito dalle risorse praticamente illimitate.
Però, dal momento che entrambe facevano parte della stessa persona, se una di
loro fosse morta, anche l’altra avrebbe automaticamente cessato di esistere.
«Ma
io non ho più la chiave.»
«Nemmeno
l’altra Maya, se è per questo.» Kayura le si era avvicinata e si era
inginocchiata davanti a lei, adesso seduta su di un bracciolo del divano.
«Cos’hai pensato quando avete stretto contemporaneamente la chiave?»
«Non
volevo che finisse nelle sue mani.»
«Mentre
lei voleva impossessarsene. E’ per questo che la chiave è scomparsa. Vi ha
riconosciute come un unico essere, ma, dato che i vostri pensieri non erano
concordi, è scomparsa momentaneamente. Per permetterti di fare chiarezza.»
«E
adesso che si fa?»
«Aspettiamo.
Quando l’altra Maya si farà di nuovo viva, anche la chiave riapparirà.»
Gli
occhi di Maya si spalancarono. Attorno a lei no vi era altro che l’oscurità,
una attanagliante, opprimente e vuota oscurità. Sentiva i battiti del suo cuore
che si trasmettevano nell’aria, ed era l’unica cosa che riuscì a
tranquillizzarla. Era ancora viva. Eppure, il volto riflesso sull’acqua del
lago, le dita, che, attraverso le sue increspature, avevano avvolto il suo
collo, appartenevano a lei, e anche la voce che sussurrava il suo nome era la
sua. Se stessa… si era accorta di temere quella se stessa, tanto forte e
spietata, che una volta era parte di lei. Un lato del suo animo che aveva
sempre tenuto nascosto a se stessa ed agli altri? Oppure anche prima del rito
era così, ed era stata l’unica a non accorgersene?
Si
alzò e andò in cucina a prendere un bicchiere d’acqua e si stupì nel vedere
Touma seduto su una delle poltrone.
«Neanche
tu riesci a prendere sonno?» gli chiese. Lui si girò nella sua direzione e la
fissò. Era stupenda. I suoi capelli mogano che le incorniciavano quel viso
dalla forma perfetta, quegli occhi di smeraldo, che sembravano splendere di
luce propria e che erano in grado di rapire il suo pensiero, le sue labbra
rosee… non c’era nulla in lei che non adorasse. Non ricordava il preciso
istante in cui i sentimenti che provava per lei fossero mutati, ma di una cosa
era certo: non voleva perderla, per nessuna ragione. «Che c’è?» continuò lei,
ricambiandolo sguardo.
«Niente.»
le sorrise.
Non
doveva farla preoccupare, per alcun motivo. Doveva essere lucida, per
affrontare la prossima battaglia. Lui, invece, non lo era. Quella che lo aveva
baciato, quella che gli aveva confessato apertamente di desiderarlo, era Maya.
Non un fantoccio, un’impostore, era lei, la sua parte più nascosta e segreta.
Si trovò a chiedersi se anche adesso lei provasse qualcosa nei suoi confronti, fu
anche tentato di chiederglielo, ma desistette immediatamente. C’era tempo per
quello. L’unico pensiero sul quale doveva concentrarsi, era quello di
proteggerla.
Maya
gli scivolò acconto e poggiò la fronte sulla sua spalla. Poi socchiuse gli
occhi e si lasciò cullare dal suo profumo, che le si insinuava nelle narici fin
nel profondo dell’anima, o di quello che ne restava. Doveva farlo per lui, per
non perderlo definitivamente, per potergli un giorno confessare tutto. Avrebbe
lottato fino all’ultimo pur di salvaguardare quel futuro.
«Non
preoccuparti.» bisbigliò, dolcemente. «Si concluderà tutto per il meglio.»
Touma
sapeva che aveva pronunciato quelle parole più per rassicurare se stessa che no
per lui, ma andava bene lo stesso. Significava che non si era rassegnata, che
era pronta a combattere. C’era davvero una possibilità, adesso, per il mondo.
«Senpai…»
Maya era entrata nella classe di Akira ed adesso si trovava in piedi di fronte
a lei. La sua compagna alzò gli occhi per qualche secondo, poi li riabbassò e
tornò a leggere il suo libro. «Dovrei parlarti. Potresti venire con me?»
A
quelle parole, tutti gli studenti nell’aula si voltarono: nessuno si era mai
avvicinato a Chiba, incuteva troppo timore, con quello sguardo tanto tagliente
da riuscire a trafiggere chiunque si trovasse nella sua direzione, e la fama di
teppista che si era fatta nella precedente scuola non contribuiva certo a
renderla meno pericolosa. Iniziarono i mormorii, ma Maya non se ne preoccupò,
essere considerata una povera pazza non era il peggiore dei suoi mali, in quel
momento. Doveva chiarire la faccenda con la compagna, evitare che spifferasse
tutto in giro o che si facesse coinvolgere troppo.
«Allora?»
la giapponese, con le braccia conserte, dava le spalle alla rete di protezione.
La
terrazza era completamente deserta.
«Ecco…
ti pregherei di non raccontare a nessuno quello che hai visto.»
«Mi
dispiace, ma il giornale scolastico è già in stampa…» Maya sgranò gli occhi.
«Scherzavo, ovviamente.» disse poi Akira e si diresse verso le scale.
«Perché
non l’hai detto a nessuno?»
«Chi
vuoi che mi creda?» rispose l’altra, facendo spallucce.
Poi,
se ne andò, mentre Maya continuava a fissarla. Doveva esserle grata, per aver
tenuto la bocca chiusa? Oppure temere ancora per il suo segreto?
Nella
villa si respirava una certa aria di tranquillità, non era più avvenuto nessun
attacco e la tensione fra i ragazzi era quasi scomparsa. Seduti in sala da
pranzo, si distraevano con un gioco da tavolo.
«Quale
nazione vinse i mondiali di calcio del 1982?» lesse Shin su di una scheda. Xiu
cominciò a spremersi le meningi, mentre Ryo, tentava di reprimere la voglia di
rispondere al posto del suo avversario. Del resto era lui il patito di calcio
della combriccola…
Maya
osservava la scena divertita. Anche lei conosceva la risposta, per ovvi motivi,
ma era curiosa di vedere la faccia del samurai del Fuoco, non appena l’amico,
buttandone una a caso, avrebbe sbagliato clamorosamente risposta. Il telefono
cominciò a squillare e la ragazza corse a rispondere.
«C’è
una specie di portale al parco di Ueno.»
Maya
riconobbe subito quella voce, anche se stentava a credere che avesse potuto
chiamarla a casa.
«Senpai
Chiba?»
«Pensavo
che ti interessasse.»
«Certo,
ma tu come…?»
«Sono
al parco.»
L’italiana
chiuse il telefono ed informò gli altri. Aveva un mucchio di cose da chiedere
alla compagna, ma lo avrebbe fatto una volta arrivata sul posto.
Quando
raggiunsero la ragazza, la trovarono nascosta dietro ad un cespuglio, intenta a
scattare delle foto a quella strana cosa che si trovava di fronte a loro.
«Ha
proprio tutta l’aria di essere un portale.» disse Touma, avvicinandovisi
cautamente.
Emanava
un’energia incontenibile. Tutti i presenti si chiesero a cosa potesse servire.
Tutti, tranne una persona.
«Credo
che porti nel Makai.» Akira era uscita dal suo nascondiglio e li aveva
raggiunti.
«Come
fai a sapere del Makai?» le chiese Seiji, cauto.
Anche
gli altri si preoccuparono. Chi era ? Come faceva a sapere così tante cose?
«Non
è il primo che vedo.»
«Non
dirmi che cercare questi portali, è il tuo hobby.» Xiu era diventato
aggressivo.
La
situazione gli puzzava parecchio. Il suo istinto gli diceva che non potevano
fidarsi di lei.
«Una
specie.»
Maya
finalmente capì il motivo per cui era stata in grado di scattare quelle foto.
Si era incuriosita nel vederla uscire da uno di quelli.
«Piuttosto,
siete voi che dovete darmi delle spiegazioni.»
Il
samurai della Terra stava per ribattere, ma la guardiana lo prevenne.
«Non
ero io quella che hai visto.»
«Di
certo non era ingenua quanto te.» la giapponese lanciò un’occhiata verso Touma,
che spostò lo sguardo altrove.
«Come
fai a trovarli?»
«Possiedono
una forte energia. Mi basta seguirla.»
Maya
la fissò. Akira era come lei aveva il suo stesso dono, eppure si comportava in
maniera completamente diversa, scontrosa e cinica. Per la prima volta si trovò
a ringraziare suo padre; se non fosse stato per lui, che aveva voluto a tutti i
costi una figlia normale, anche lei adesso si ritroverebbe da sola.
Improvvisamente
il varco iniziò a vibrare, come se fosse diventata instabile. Il suo colore,
limpido come l’acqua mutò, divenendo purpureo, come il sangue.
«Ma
che bel comitato di benvenuto!» l’altra Maya aveva fatto la sua comparsa ,
accompagnata dai suoi guerrieri, e li osservava con un ghigno dipinto sul
volto.
«Cosa
ti porta qui?» le domandò Touma, dopo che lui e gli altri avevano indossato i
loro sottoarmatura.
«Devo
portare a termine il compito che mi è stato affidato. L’altra volta qualcuno
che non doveva si è intromesso.»
«Dovevo,
eccome!» Maya si era allontanata dal samurai del Cielo, teneva i pugni stretti
ed era colma di rabbia. Era una parte di lei, e se ne sarebbe riappropriata a
tutti i costi. «E’ stata consegnata a me e me la tengo.»
«Vuoi
farmi credere che l’hai ancora tu?» il tono della servitrice di Arago si era
fatto beffardo.
«E
anche se fosse? Non lo sapresti di certo da me.»
Forse
un aiutino ti gioverebbe.» disse l’altra, puntando il dito contro Akira e
scagliando contro di lei un fascio di energia.. Solo l’intervento di Xiu riuscì
ad evitare che fosse colpita.
«Hai
paura di affrontarmi?» Maya era adesso risoluta. Quella se stessa non le
piaceva per niente, perché lei non se l’era mai presa con qualcuno più debole,
né, tanto meno, con chi non era in grado di difendersi. «Rescissione del
sigillo!»
Come
la prima volta che aveva pronunciato quella frase, il suo corpo venne avvolto
da un bagliore, che poi lasciò al sposto alla sua splendente armatura.
«Proprio
una bella armatura.»
«E
questo non è niente. Acque vorticose dello Stige!»
Sotto
piedi della nemica si aprì una voragine le cui acque nere inghiottirono in men
che non si dica i soldati del Male. La sicaria, invece, rimaneva al suo posto,
come inerme.
«Lo
hai dimenticato? Io sono te.» disse. Poi, sicura della sua forza, sollevò il
braccio e con un semplice movimento, spazzò via i samurai ed Akira. «Ma io sono
più forte.»
Maya
si guardò intorno. I suoi amici si erano alzati a fatica, mentre la sua
compagna giaceva a terra, priva di sensi. Se avessero continuato a combattere
lì, tutti quelli a cui teneva sarebbero stati in pericolo, e non poteva
assolutamente permetterlo. Era accaduto tutto perché lei no era stata
all’altezza ed avrebbe rimediato in un modo o nell’altro. Si accorse che
l’altra Maya aveva alle sue spalle il portale. In realtà non si era mai
spostata da lì. Senza pensarci su si decise. Prendendo tutti alla sprovvista si
lanciò verso l’altra e, dopo averla afferrata per la vita, scaraventò entrambe
dentro il varco, che scomparve nel nulla, sotto gli sguardi attoniti dei
samurai.
Capitolo 7 *** 7. Il custode dei cancelli del mondo dei demoni ***
7
7. Il custode dei cancelli del mondo
dei demoni
«Mi
spiegate che ci stiamo a fare ancora qui?» Xiu batté il pugno sul tavolo.
Era
impaziente di andare a salvare Maya, da sola in quel mondo pieno di demoni, dal
quale, probabilmente non ne sarebbe uscita intera. Anche gli altri erano
d’accordo con lui, ma c’era un problema logistico di fondo da sistemare.
«Dimentichi
che non sappiamo come arrivarci?» gli domandò Shin.
«Basta
trovare un altro di quei portali, no?»
«Come
se fosse così facile.»
Nasutei
e Akira, con una vistosa fasciatura alla mano, entrarono nella sala da pranzo
proprio in quell’istante. La ragazza, per nulla confusa da tutto quello che
aveva appreso in quella breve notte, si era seduta su di una sedia e, con il
viso appoggiato sulle mani, si limitava a fissare il buio oltre la finestra che
aveva di fronte.
«E
tu? Non dici niente?» il samurai della terra non provava simpatia per lei, e
non si poneva troppi scrupoli a nasconderlo.
«Potrebbero
volerci anche alcuni giorni, prima che ne appaia un altro. Perciò fatti una
bella doccia gelata e calmati.» rispose lei, lanciandogli un’occhiata acida.
Il
sentimento era più che reciproco…
Xiu
stava per risponderle a tono, ma Shin lo fermò.
«Non
dire nulla. Ha pienamente ragione.»
Anche
Touma era dello stesso parere. Tuttavia non smetteva di domandarsi come potesse
stare Maya. Era sana e salva? O era stata catturata nuovamente da Arago?
«Quando
apparirà, tu sarai in grado di capire dov’è, vero?» chiese, mettendosi a sedere
proprio davanti a lei., che annuì lievemente, prima di assaggiare uno dei
biscotti che si trovavano sul vassoio. «Non ci resta che aspettare ed elaborare
una strategia.»
Maya
aprì gli occhi, avvolta da uno strano profumo, si alzò e si guardò intorno. Era
circondata da una distesa di fiori, il cui polline, al primo soffio di vento,
si sollevò nell’aria.
Aveva
immaginato il Makai come un posto tetro ed invivibile per un essere umano. Come
poteva esistere un luogo così, allora? E dov’era finita l’altra Maya? Doveva
muoversi, se voleva trovare lei ed Arago, ma non sapeva da dove cominciare,
tutto attorno a lei era sempre uguale; non importava quanto camminasse, vedeva
solamente fiori e nient’altro. Inoltre, tutto quel polline stava diventando
davvero fastidioso, le offuscava la vista e non le permetteva di respirare.
Improvvisamente sentì le forze venirle meno e svenne nuovamente.
«E’
da tanto che non vedo esseri umani qui.»
«Non
ci sono mai stati qui, idiota!»
Maya
percepiva quelle voci in maniera indistinta e lontana, come se provenissero da
un altro mondo. Era sveglia? Non ne era sicura, perché, per quanti sforzi
facesse, le sue palpebre non si schiudevano ed il suoi intero corpo rimaneva
immobile, quasi fosse diventato un unico e pesante blocco di pietra.
Un’improvvisa doccia gelata fece scomparire il torpore delle sue membra e la
ridestò completamente.
Si
guardò intorno, abbastanza confusa: attorno a lei vi era solamente roccia, alta
e resistente roccia.
«Ce
ne hai messo per svegliarti!»
La
ragazza alzò lo sguardo e si stupì non poco nel vedere delle sbarre. Era in una
cella? Ma quello era il minore dei mali… oltre le sbarre di metallo due esseri
enormi e terrificanti la fissavano. Nei loro occhi poteva scorgere un bagliore
tutt’altro che rassicurante.
«Sei
un’umana, eh? Eh?»
Lei
si limitò a stare in silenzio e ad osservare quella coppia male assortita che
le stava di fronte. Davvero inquietanti…
«Perché
mi trovo qui?»
«Sei
svenuta per il polline dei fiori. Voi umani siete troppo delicati.» rispose
quello che all’apparenza sembrava il più risoluto. «Poco male. Sono sicuro che
la tua carne è molto tenera.»
«La
mia… carne?!» improvvisamente lei capì. Capì il motivo per cui si trovava lì,
il motivo per cui gli occhi di quei due brillavano in un modo tanto
preoccupante e del perché fosse ancora viva. Un brivido le corse lungo la
schiena. E adesso che avrebbe fatto?
I
due orribili demoni stavano in un angolo della caverna, intenti a confabulare.
«Fratellone,
senti…»
«Che
vuoi?»
«Non
ti pare di averla già vista?»
«Ma
che diavolo stai dicendo? Non ragioni per la fame! Non che tu prima lo facessi,
intendiamoci.»
Maya
ascoltava in silenzio quei discorsi. Che si riferissero alla Maya che stava al
servizio di Arago? Non sapeva più cosa pensare.
«Ma
io l’ho vista sicuramente da qualche parte…»
«Piantala!
Fra poco gusteremo tenera e saporita carne di umana.»
«Io
non credo proprio.» Maya si era messa in piedi e si era avvicinata alle sbarre.
«Fatemi uscire immediatamente da qui.»
Dovevano
per forza parlare di lei, non vi era alcun dubbio. Doveva puntar su questo e
far finta di essere l’altra sé cattiva, se voleva uscire indenne da quel
posto. L’unico problema era: quei demoni ci sarebbero davvero cascati?
«Appena
tutto sarà pronto.»
«Adesso.
Non ho certo tempo da perdere con voi. O volete incorrere nell’ira di Arago?»
«Che
c’entra Arago adesso?»
«Possibile
che due idioti come voi non sappiano chi sono io?»
«Per
caso lavori per Arago?» chiese il più scemo dei due, che, evidentemente, non
doveva essere poi così scemo.
«Tuo
fratello è più sveglio di quanto non sembri.»
«E
perché dovremmo crederti? Se fossi al suo servizio, ti saresti liberata.»
«Certo,
se fossi un orripilante demone come voi due. Ma sono un essere umano, se non
l’avete dimenticato. Volete aspettare che l’effetto del polline svanisca del
tutto? Allora sì che potrei liberarmi, ma sarebbe la vostra fine.»
«Il
palazzo è dalla parte opposta. Non dovresti nemmeno trovarti qui.»
«Ero
in missione nel mondo degli esseri umani. Il portale mi ha scaraventata in
questo lurido posto.»
«Se
ti liberiamo, che ci guadagniamo?»
«Cibo
a volontà. Non subito, ovviamente. Quando i cancelli del Makai saranno aperti,
potrete avere tutti gli umani che vorrete.» era terribile solamente pensare una
cosa simile, ma, purtroppo, se i cancelli fossero stati aperti, era un’ipotesi
da non scartare. Bastava solamente che lei lo impedisse.
La
cella si aprì. Lei rimase ferma qualche secondo, poi, cercando di apparire il
più sicura possibile, passò accanto a quei due e camminò verso l’uscita.
«Se
ci hai mentito, ti verremo a cercare e continueremo la nostra bella
chiacchierata.»
«Il
palazzo di Arago sapete dov’è.»
I
samurai e Nasutei stavano in piedi sulla riva del lago ed osservavano perplessi
il portale che stava loro di fronte: si era aperto proprio al centro del lago e
nessuno di loro, nemmeno Touma, aveva trovato ancora un modo che permettesse
loro di raggiungerlo senza finire in acqua. Poco distante, Akira osservava la
scena in un indifferente mutismo. In fondo, la sua parte l’aveva fatta, aveva
trovato il varco che portava nel Makai. Adesso poteva benissimo tornarsene a
casa.
«Se
avete qualche idea…» disse Ryo, le mani sui fianchi e lo sguardo fisso su quel
passaggio che li avrebbe condotti nel mondo dei demoni e, quindi verso l’ormai
inevitabile scontro contro Arago.
«Forse…»
bisbigliò Nasutei, sfiorandosi il mento con le dita, pensierosa. «forse c’è un
modo.»
«Quale?»
domandarono tutti i ragazzi all’unisono.
«Suiko.
Suiko è sicuramente in grado di aprire un corridoio fra le acque e permettervi
di raggiungerlo.»
Shin
scosse la testa. Per quanto il potere della sua armatura fosse grande, non era
sicuro di riuscire a fare tanto. Soprattutto non era sicuro di riuscire a
mantenerlo abbastanza a lungo da permettere i suoi compagni di raggiungere il
portale e di saltarvi dentro.
«Tentar
non nuoce.» lo rassicurò Touma, dandogli una pacca sulla spalla. «Al limite ci
bagneremo un po’.»
I
samurai indossarono le loro armature. Shin si tuffò e, facendo appello a tutta
la sua energia, riuscì a creare un corridoio fra le acque del lago, attraverso
cui i suoi compagni raggiunsero facilmente il varco e a vi entrarono. Poi anche
lui saltò e scomparve dall’altra parte.
Maya
raggiunse il castello piuttosto facilmente. Eppure ricordava che Ryo e Touma
avevano dovuto affrontare orde intere di soldati, prima di poter solo superare
le alte mura. Si fermò a pensare. Forse era semplicemente una trappola e lei ci
stava cascando come un’allocca. Decise di stare in guardia. Con un balzo superò
il cancello e si addentrò nell’intricato groviglio di sentieri che conducevano
a palazzo. In giro c’erano davvero poche guardie. Corse a lungo, nascondendosi
di tanto in tanto per non farsi scoprire dai pochi soldati che incrociava e,
finalmente, giunse davanti al palazzo.
Rimase
senza parole. Era davvero enorme, forse anche più grande dell’ultima volta che
lo aveva visto.
«Finalmente
sei arrivata. Cominciavo ad annoiarmi.» L’altra Maya era apparsa su una delle
guglie e con un salto atterrò elegantemente proprio di fronte a lei. Che non
disse una parola, limitandosi a fissarla con odio. «Se continui così, alla
vecchiaia ti riempirai di rughe. Ops…dimenticavo che non arriverai nemmeno a
domani.»
«Nemmeno
tu, se è per questo.»
Le
due cominciarono a combattere, senza risparmiarsi. Sebbene sapesse che la morte
di una di loro avrebbe decretato anche la fine dell’altra, omise
volontariamente di raccontare questo particolare al suo alter ego, alla quale,
probabilmente, non importava nulla di morire. La atterrò con un potente calcio
al petto e si rimise in guardia. L’altra si rimise in piedi subito, quasi non
avesse sentito per nulla la botta presa e si scagliò nuovamente contro la sua
avversaria, che schivò a malapena la lama di una spada spuntata da chissà dove.
Maya era spiazzata, lei non aveva alcuna arma con cui difendersi né tanto meno
combattere, poteva contare esclusivamente sulle sue forze e sulla sua armatura,
che non sarebbe riuscita a proteggerla per sempre da quegli assalti. Cercò di
schivare come poteva tutti i fendenti portati dal suo perfido clone, ma non era
un’impresa affatto semplice, soprattutto perché quest’ultimo era molto abile
nell’uso della spada. Improvvisamente, muovendosi indietro inciampò in qualcosa
e cadde a terra, inerme e priva di difese. La sua copia stava per darle il
colpo di grazia, sollevò la spada in aria, pronta a colpire, ma venne fermata
da una freccia, scagliata proprio contro di lei.
Una
freccia dorata.
Maya
si allontanò prontamente e si voltò: Touma e gli altri erano lì, erano venuti
ad aiutarla.
«Tutto
bene?» le domandò il samurai del Cielo, avvicinandosi a lei. La guardiana chinò
lievemente la testa. Lui le poggiò una mano sulla spalla e le sorrise. «Adesso
ci siamo noi qui con te, non preoccuparti.»
Touma
scagliò l’ennesima freccia contro la sicaria di Arago, che la evitò senza
problemi, mentre Maya osservava il combattimento in disparte. Visto che non
possedeva un arma efficace, i samurai le avevano chiesto di mettersi da parte e
di lasciare a loro la sua copia, relegandola all’annientamento dei fanti e dei
soldati a cavallo. Eppure Maya non faceva che ripensare alle parole di Kayura.
“Quando l’altra Maya si farà di nuovo viva, anche la chiave riapparirà”.
L’altra Maya c’era, eppure la chiave non era ancora riapparsa. Forse Kayura si
era semplicemente sbagliata.
«Non
ti sei ancora sbarazzata di loro?» tuonò Arago, uscendo finalmente allo
scoperto. «E dov’è la chiave?»
La Maya
malvagia si allontanò dai suoi avversari e con un balzo gli fu davanti, in ginocchio.
«Perdonami,
mio signore. C’è stato un contrattempo, ma l’avrai presto, te lo prometto.» e,
detto questo, si scagliò nuovamente verso la vera Maya e cercò di colpirla.
Lei
si parò, utilizzando una delle lance in dotazione ai soldati del Male, ma
questa si ruppe in due non appena si scontrò con la lama tagliente della spada.
Mentre continuavano a combattere sotto gli occhi impotenti dei samurai, intenti
a difendersi dagli attacchi dei numerosissimi soldati e da Arago, che voleva
eliminarli una volta per tutte, la guardiana venne colta da un dubbio: forse il
clone credeva che avesse lei la chiave! Ma non era così, la chiave non
accennava a ricomparire sulla scena. E se ciò fosse successo, lei che avrebbe
fatto? Sarebbe riuscita a sopraffare l’altra Maya? O sarebbe caduta sotto i
suoi colpi? Eppure, nonostante la paura, sapeva che doveva lottare, perché la
chiave doveva essere sua. Non doveva cadere nelle mani di qualcun altro.
Nella
foga del combattimento, entrambe giunsero al limite del tetto e, dopo
l’ennesimo colpo, precipitarono nel vuoto. Improvvisamente una luce le abbagliò
e la chiave fece la sua comparsa, mentre loro cadevano nel lago che si trovava
proprio sotto di loro.
Per
quale motivo? Perché era riapparsa? Non importava, una delle due doveva
impadronirsene ed entrambe non desideravano altro. Uscirono dall’acqua e con un
salto cercarono di raggiungerla. Allungarono a la mano, e a tutte e due sembrò
di sfiorarla con le dita. Il bagliore emesso dall’oggetto le avvolse
completamente e le due guerriere scomparvero in quella luce, sotto gli occhi
esterrefatti dei presenti.
Arago,
invece, era furioso. I suoi piani per uscire dal luogo in cui lo avevano
rinchiuso erano miseramente falliti. E tutto per colpa dei samurai. Sollevò in
aria la sua spada e scagliò contro di loro tutta l’energia che aveva in corpo,
scaraventandoli lontano. Risollevò l’arma al cielo, pronto a porre fine alla
loro esistenza, ma qualcuno fermò il suo fendetene. Maya era riapparsa dal
nulla con indosso un’armatura che racchiudeva in sé i poteri delle due
guardiane ormai riunite in un solo essere. Fra le sue mani brandiva una
maestosa ed elegante alabarda d’ametista, la cui lama, che aveva fermato quella
della spada dell’Imperatore del Male, era nera come l’onice e dura come il
diamante.
«Sorpreso?»
gli chiese la guardiana, con sorriso beffardo, permettendo ai samurai di dar
vita all’armatura bianca dell’imperatore Splendente. «Tocca a te, Ryo.»
Il
samurai, forte del potere dell’armatura, scagliò tutta la sua energia contro
Arago, che non solo perse la sua arma, ma fu scaraventato lontano dal suo
castello.
«Ciò che hai
fatto è imperdonabile.» disse Maya, avvicinandosi a lui, che non riusciva a
rimettersi in piedi. «E per questo sarai punito. Il giudizio divino ha
decretato: sarai confinato per l’eternità in questo posto, che hai cercato di
abbandonare e di unire al mondo degli uomini, nonostante il veto imposto.»
sbatté due volte il suo scettro sul terreno, dal quale si liberò un’energia
potentissima che imprigionò Arago e annullò tutte le sue forze. Poi lo batté
altre tre volte e, davanti a lei, apparve un portale che avrebbe condotto lei
ed i samurai verso il mondo degli esseri umani.
La
campanella era suonata già da qualche minuto. Maya stava finendo di riporre i
libri nella borsa. Touma la colpì leggermente sulla testa con le nocche.
«Pronta?»
«Ancora
un secondo.» rispose lei, chiudendo la cerniera.
Poi,
entrambi uscirono dalla loro classe. Gli altri samurai li stavano aspettando in
cortile.
«Kunimi
e Honda?» chiese Ryo.
«Ci
raggiungono dopo.»
I
sei ragazzi si incamminarono verso l’università. Lei rallentò lievemente,
osservò i suoi cinque amici che scherzavano amabilmente fra loro e sorrise.
Finalmente tutto era come doveva essere. Finalmente lei era tornata ad essere
se stessa, e per questo doveva ringraziare loro, che l’avevano appoggiata in
ogni momento, l’avevano consolata, protetta, e, perché no, anche un po’
viziata.
«Maya,
muoviti!» la chiamò Xiu, facendole affrettare il passo.
Arrivati
davanti al cancello dell’università, si accorsero che Akira li stava aspettando.
«Ne
è apparso un altro?» domandò Maya.
La
giapponese chinò il capo.
«Non
ti lasciano in pace nemmeno il giorno del tuo compleanno!» si lamentò Shin.
«Il
male non si prende ferie.» disse la ragazza, fermandosi accanto alla compagna.
Touma
la tirò a se per il braccio.
«Sta
attenta. E non fare tardi, mi raccomando.» le sussurrò, sfiorandole la tempia
con le labbra.
Lei
accennò di sì con la testa. Poi prese in mano la chiave d’ametista che teneva
legata al collo ed indossò la sua armatura. I samurai la osservarono scomparire
in un portale insieme ad Akira; poi, varcarono il cancello dell’università.