L'altra metà del viaggio

di Mannu
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Capitolo 1 ***
Capitolo 2: *** Capitolo 2 ***
Capitolo 3: *** Capitolo 3 ***
Capitolo 4: *** Capitolo 4 ***
Capitolo 5: *** Capitolo 5 ***
Capitolo 6: *** Capitolo 6 ***
Capitolo 7: *** Capitolo 7 ***
Capitolo 8: *** Capitolo 8 ***
Capitolo 9: *** Capitolo 9 ***
Capitolo 10: *** Capitolo 10 ***
Capitolo 11: *** Capitolo 11 ***
Capitolo 12: *** Capitolo 12 ***
Capitolo 13: *** Capitolo 13 ***
Capitolo 14: *** Capitolo 14 ***
Capitolo 15: *** Capitolo 15 ***
Capitolo 16: *** Capitolo 16 ***



Capitolo 1
*** Capitolo 1 ***


L'altra metà del viaggio
1.

A bordo dello shuttle di collegamento Iris, duecentoventisei passeggeri, novecentosei tonnellate di merci.

Il comandante si voltò nuovamente verso i suoi strumenti, promettendosi di non distrarsi più. C'erano il suo secondo e l'ufficiale addetto alle comunicazioni di cui si fidava ciecamente: li conosceva da due anni e aveva volato molte ore con loro. L'enorme astronave era al sicuro con loro, ma sarebbe stato davvero disdicevole se il comandante fosse stato colto mentre distratto in quel modo dalla nuova hostess. Recentemente inoltre erano state aumentate le norme di sicurezza a causa di due collisioni sfiorate… due gravi incidenti mancati di molto poco, pensò il comandante.
Erano ormai al termine del sentiero di allontanamento da Apollo e nulla poteva turbare la loro orbita verso Icaro se non qualche imprevisto. La solita noiosa routine, si disse cominciando i normali controlli agli strumenti.
- In che posizione si trova Ares? – chiese d'un tratto il secondo.
La domanda creò un po' di imbarazzo che durò pochissimo, il tempo di controllare i dati sulle orbite.
- È dietro il pianeta, perché?
- Credo che sul radar ci sia un altro dei loro giocattoli… ne ha fatta di strada: era nascosto dalla massa della Luna.
- Vediamolo… - disse il comandante preparandosi a ricevere i dati del secondo sul proprio monitor.
- Per la miseria! Rilevo una grande massa compatta… duemila metri di lunghezza! – esclamò il secondo.
- Non dire cazzate… - disse il comandante, incredulo. Ma cominciò a verificare i dati e si rese conto che sembrava davvero così.
- È troppo grosso per essere un giocattolo dei militari… non stavano lavorando sui prototipi dei mini-caccia? – osservò il secondo.
- Sì, ultimamente sono fissati con la miniaturizzazione… a meno che quella sia la prima portaerei spaziale della storia dell'umanità.
- Impossibile che non sia mai trapelato nulla su di un oggetto di quelle dimensioni.
- Non potrebbe essere un asteroide? – disse l'ufficiale alle comunicazioni sporgendosi incuriosito verso gli strumenti.
- Troppo lento – rispose il secondo.
- E con una forma troppo regolare – aggiunse il comandante.
- Ho la sensazione che stavolta ci scappa un bel compenso extra – disse il secondo.
Ci fu un attimo di silenzio mentre i tre piloti si guardavano in viso l'un l'altro, perplessi.
- Chiama la Compagnia – disse infine il comandante.

Stazione orbitante Apollo, Controllo hangar 3, sala radar. Undici minuti dopo l'avvistamento.

Barney parlava a voce alta tenendo il microfono della cuffia vicino alla bocca con una mano anche se non ce n'era alcun bisogno: alla Centrale Operativa lo sentivano benissimo.
- No, non sto dicendo che c'è qualcosa in rotta di collisione con l'Iris: sto dicendo che l'Iris ha rilevato qualcosa di grosso dietro la Luna e cazzo, lo sto rilevando anch'io ora ed è davvero grosso! Grossissimo!

Stazione orbitante Apollo, Palazzo RaeMec, settantanovesimo piano, sede della Compagnia Tedemac. Quarantacinque minuti dopo l'avvistamento.

Banter stava spostando freneticamente la sua mole da un ufficio all'altro: macchie di sudore gli si stavano allargando ovunque nonostante il tessuto ad alta tecnologia della sua tunica di stile pseudo vietnamita. Nessuno sembrava dare peso alla cosa se ne parlava mediante videoterminale o tramite email: forse vedendolo muoversi di persona con tutti i suoi centotrenta chili standard qualcuno avrebbe capito che si trattava di qualcosa di veramente importante.
Appoggiò la mano grassoccia sulla piastra di identificazione della serratura della Segreteria di Direzione. La porta di vero legno si fece da parte silenziosissima per lasciarlo entrare. Banter ondeggiò fino al tavolo più vicino, quello della signorina Jana Lobin: molto giovane e carina, assunta da poco, aveva già saputo farsi odiare per la rapidità con cui aveva cominciato a darsi delle arie. Lavorare a stretto contatto col Direttore assieme alle altre due streghe sue colleghe doveva averle dato alla testa. Vestita con abiti costosi e ricercati, dotata di accessori molto snob come l'impianto corticale invisibile con cui il Direttore la teneva al guinzaglio, si ritrasse all'indietro quanto poté all'approssimarsi della mole di Banter, guardandolo con un'espressione a metà fra il disgusto e l'imbarazzo.
- Buongiorno. Come le ho già anticipato per telefono, vorrei sottoporre all'attenzione del Direttore il contenuto di questa memoria.
Le dita della mano destra dell'uomo si schiusero per mostrare una memoria di colore rosso vivo posata sul palmo.
- Le ho detto che il Direttore è occupato al momento. Vorrei sapere che cosa contiene quella memoria di così importante da non poter essere trasmessa tramite la rete.
Banter, rosso in viso per la fatica, odiò quella bella voce trasudante stizza e diffidenza.
- È il rapporto dello shuttle Iris in rotta di allontanamento da Apollo, ricevuto dalla rete di Controllo ormai più di trenta minuti fa.
- Sì, sì, questo me l'ha detto al telefono.
- Nel rapporto si parla di un oggetto di notevoli dimensioni sbucato da dietro la Luna.
- Signor Banter, dovrebbe sapere quanti falsi avvistamenti si verificano ogni mese… tutti credono di aver visto qualcosa…
- Quest'oggetto avvistato dalla Iris è un po' troppo grosso per poter essere un errore – protestò Banter.
- Se proprio vuol darmi la memoria la inoltrerò al Direttore appena sarà possibile.
Malvolentieri Banter lasciò la piccola scheda sulla lussuosa scrivania della signorina Lobin e se ne andò meditando vendetta, furioso per non essere stato ascoltato e ancor più per non poter permettersi di sembrare furioso.

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Capitolo 2
*** Capitolo 2 ***


L'altra metà del viaggio
2.

Stazione orbitante Apollo, Palazzo 23, sede dell'emittente televisiva Network 23. Un'ora e mezza dopo l'avvistamento.

Il telefono di Nadine richiamò l'attenzione facendo lampeggiare una porzione di schermo dove la giornalista stava faticosamente scrivendo, inventandola di sana pianta, un'intervista destinata a essere recitata da alcuni attori per un pezzo di colore da trasmettere in giornata come tappabuchi. Il volto annoiato del suo redattore capo fece la sua comparsa in una finestra video.
- Nadine fammi un favore: pare che ci sia l'ennesimo avvistamento… aspetta, non sbuffare… si stanno scaldando un po' troppo per essere completamente campato in aria. Vai a controllare, per favore. E passa a prendere una telecamera.
- Ma devo ancora finire il pezzo di colore per…
- Grazie, Nadine.
La finestra video sparì. Che palle, pensò Nadine. Nessuno ha voglia di muovere il culo qui e allora tocca a me. Se mi avessero detto che una volta diplomata in giornalismo sarei finita così, non ci avrei creduto. Pensò che l'unica nota positiva era che aveva una bella scusa per passare qualche minuto da Andreas.
Salvati i lavori incompiuti bloccò il suo terminale per evitare occhi indiscreti e si diresse al magazzino tecnico dove avrebbe ritirato una telecamera portatile per le interviste. Il magazzino si trovava una ventina di piani più sotto ed era il regno di Andreas, un bel ragazzo che, nonostante avesse numerosi capelli bianchi, non doveva essere molto più vecchio di lei. Le piaceva ma non aveva ancora avuto il coraggio non solo di chiedergli l'età, ma nemmeno di chiedergli se era già impegnato o se gli sarebbe piaciuto uscire con lei.
Sventolò il proprio badge di Network 23 di fronte alla serratura e quella scattò obbediente. Dietro il bancone protetto da una pesante rete metallica non c'era nessuno.
- Andreas? – chiese Nadine, incerta. In magazzino non c'era mai confusione, ma non trovare qualcuno era insolito.
- Arrivo – la voce dell'uomo giunse da lontano, da dietro alcuni degli scaffali che sorgevano geometrici ovunque, protetti e resi inaccessibili anch'essi da una rete metallica. La porta che unicamente Andreas e il suo vice potevano aprire, era solo accostata.
Attraverso la rete metallica Nadine poté finalmente vedere Andreas e un sorriso radioso le affiorò spontaneamente sul viso.
- Ciao! – era sinceramente contenta di vederlo.
Lui aveva tra le mani una telecamera di buona qualità e una scatolina con le memorie. Le porse tutto attraverso la feritoia nella rete e in cambio prese il badge di lei col quale registrò lo scarico del magazzino.
- Mi ha chiamato il tuo capo per avvisarmi. Ha detto che così non perdi tempo.
Andreas le sorrise e Nadine si sentì autorizzata a considerarlo suo complice. In qualche modo il suo capo si era accorto che il tempo che ci impiegava a prelevare e riconsegnare materiale dal magazzino era sospettosamente troppo.
- Ciao bello… - salutò a malincuore lei. Doveva proprio andare.
- Ciao, bella.
Mentre aspettava l'ascensore Nadine si rese conto di sentirsi come se avesse bevuto qualcosa di un po' troppo forte.

Contemporaneamente, a bordo dello shuttle Iris.

- Notizie dalla Compagnia? – chiese il comandante.
- No.
- Ma avranno capito?
- Hanno dato il ricevuto. Non è detto che abbiano capito. Conosco il funzionario a cui finiscono in mano questo genere di cose: posso cercare di contattarlo.
- Beh, allora fallo: sto misurando un po' meglio quell'oggetto: duemilaquattrocento metri circa… ha una eco radar chiarissima, quasi come se fosse fatto di metallo – disse il secondo pilota.
L'ufficiale addetto alle comunicazioni si mise alla tastiera e cominciò a battere rapidissimo il messaggio. Lo inviò appena finito senza chiedere nulla al comandante come avrebbe voluto il protocollo di bordo.
- Com'è che hai conoscenze tra i funzionari? – il comandante, incuriosito, sollevò gli occhi dagli strumenti.
- Conosco Khan Banter fin dai primi giorni delle selezioni per entrare alla Compagnia… eravamo entrambi in lista come piloti, solo che lui era… un tantino sovrappeso e l'hanno scartato agli attitudinali. È risultato invece un valido elemento per la sede e ai tempi l'avevano messo alla contabilità. Per essere il primo impiego era un bell'inizio. Quasi come salire a bordo e farsi le prime ore di volo come tecnico qualificato. Ai test attitudinali sono stato l'unico che ha tentato di aiutarlo e lui mi ha preso in simpatia per questo, credo. È una brava persona. Gli ho inviato un messaggio personale.

Ares, stazione orbitante militare. Quarantotto minuti dopo l'avvistamento.

La stazione orbita rotolando pigramente su se stessa, un tappeto bianco e blu sotto di lei. A una delle sue estremità, irte di ogni genere di dettagli, tre minuscoli portelli circolari si aprono lentamente come un diaframma lamellare. Dopo pochi secondi da ciascuno dei te portelli viene espulso in rapida sequenza e a grande velocità un oggetto. Tre droidi da battaglia con equipaggio, tre droidi antropomorfi configurati per la massima velocità e autonomia di volo. Corte ali modulari sono state installate sopra la corazza e serbatoi ausiliari sono montati su braccia e gambe con l'incarico di alimentare i motori supplementari ingordi di carburante.
Appena lanciati la loro velocità è già notevole ma subito brillano gli scarichi dei propulsori e i tre droidi, in formazione allargata, accelerano ancora.
- Leader Giallo a squadra, mantenete la formazione allargata e procedete in automatico fino a nuovo ordine. Armi in sicura e occhi aperti.
- Giallo 2 ricevuto.
- Giallo 3 ricevuto. Scarico dei dati della missione completato, la destinazione si trova a mezza orbita di distanza. Automatico confermato.

Stazione orbitante Apollo, Palazzo RaeMec, settantanovesimo piano, sede della Compagnia Tedemac.

Banter si accasciò sulla sua poltrona personale, modificata per sostenere il suo peso. Tutta quella fatica per incontrare il Direttore e questo poi non l'aveva neanche voluto vedere, mettendo sulla sua strada quell'antipatica cagna da guardia della Lobin. Che rabbia. A quest'ora la sua memoria era sicuramente già stata travasata nel terminale della giovane strega che col contenuto si sarà fatta una risata.
Si allungò verso il suo terminale e, sentendo che il suo dovere nei confronti della Compagnia era stato adempiuto, cercò di contattare l'Esercito. Loro forse sarebbero stati più interessati a quello che aveva da mostrare. Poi sarebbe andato a mangiare da Macy: aveva fame.

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Capitolo 3
*** Capitolo 3 ***


L'altra metà del viaggio
3.

Stazione orbitante Apollo, sistema di trasporto pubblico su monorotaia denominato “Tubo”. Due ore dopo l'avvistamento.

Nadine passò tutto il tempo del viaggio a cercare di ottenere un appuntamento con l'addetto stampa di Controllo ma non c'erano molte speranze: curiosamente era irraggiungibile e a volte otteneva il messaggio di errore “centralino sovraccarico” che era senza senso. Controllo viveva di telecomunicazione ed era assurdo che avesse un centralino sovraccarico, anche solo quello della sala stampa. Concentrò i suoi sforzi sul suo bracciale olografico multifunzione e cercò di usare le sue conoscenze per aggirare l'ostacolo. Aveva un paio di numeri dentro l'elefantiaco organismo che rispondeva al nome di Controllo, l'ente preposto alla sorveglianza di tutto il traffico civile intorno a tutte le Stazioni. Scesa dal Tubo aveva una dritta abbastanza importante e qualche indicazione di riserva che le sarebbe stata utile. Rammentò le parole che il capo aveva usato quasi con noncuranza per farle capire che valeva la pena di sbattersi un po': c'era qualcuno che si stava scaldando troppo per quell'avvistamento. Era vero: prima di quello le era capitato un solo avvistamento e giungere alla fonte della notizia, rivelatasi falsa, era stata una questione di poche telefonate. C'era voluto più tempo a scrivere il pezzo. Falso anch'esso.
Si recò immediatamente nel posto indicato, un ristorante dove un funzionario della Compagnia Tedemac era solito pranzare. Con suo grande disappunto Nadine si rese conto che si trattava di un ristorante di lusso. Ciò non le lasciava molta scelta nella tattica da usare: entrare e fingersi cliente per poi sedersi al tavolo del funzionario e farlo parlare, col rischio di essere sbattuta fuori se scoperta, oppure attenderlo fuori col rischio di aspettare all'infinito o di vederselo sfuggire sotto il naso. Nessuna telecamera era ammessa in un locale come quello, tranne forse quella della Delore. Decise di attendere fuori: pensò che avrebbe potuto tenere la telecamera accesa in tasca per registrare la conversazione in modo discreto. Niente video, però meglio che tornare a mani vuote. I suoi contatti dentro Controllo erano stati piuttosto chiari: era un po' insolito per essere un avvistamento come gli altri.
Nadine si mise di fronte a un totem informativo facendo finta di leggere mentre in realtà teneva d'occhio la strada e l'uscita del Tubo. Se però aveva capito che tipo era questo Khan Banter che le avevano detto di cercare, non avrebbe certo usato i mezzi pubblici. Lo avevano descritto come un uomo enorme, molto grasso e con una insolita quantità di capelli, forse una parrucca. Molto curato nel vestire e abitudinario al punto da andare a pranzo sempre negli stessi posti. Uno di questi poteva essere il ristorante Macy che aveva davanti, esclusivo abbastanza da andare bene per uno come Banter, Coordinatore Capo e Responsabile Logistico della Compagnia Tedemac. Esclusivo abbastanza da tenere fuori una come lei. Dopotutto Banter era un uomo da parecchie migliaia di crediti al mese e non ci si poteva aspettare che pranzasse in piedi per strada o che facesse la coda al self-service.
Era stanca di aspettare in piedi: era così tanto che aspettava che aveva dovuto cambiare posizione poiché si era accorta che le informazioni del totem, non aggiornato in tempo reale, le erano passate davanti agli occhi almeno due volte. Si era allontanata dall'ingresso del ristorante e aveva cominciato a passeggiare su e giù cercando di mischiarsi con la folla. Sapeva che i buttafuori del posto dovevano essere all'altezza del locale e probabilmente erano equipaggiati con occhiali tecnici in grado di fare chissà che cosa, forse addirittura statistiche sulla frequenza dei visi delle persone che inquadravano… se i gorilla del Macy l'avevano già individuata, non c'era speranza: a un cenno di Banter si sarebbe ritrovata col culo per terra a discreta distanza dall'ingresso del locale. Poco male, pensò: non sarebbe la prima volta che picchio il mio culetto per terra…
Aveva appena considerato la dolorosa ipotesi che un'automobile di discrete dimensioni apparve in mezzo al traffico caotico. Nadine si congratulò con se stessa per non aver attraversato la strada poiché, ora che sembrava il momento tanto atteso, si trovava dal lato giusto. Facendo finta di niente e simulando una telefonata col suo costoso multifunzione da polso, si diresse verso l'ingresso del ristorante. Con sua grande soddisfazione la berlina scura aveva le insegne della Tedemac e stava accostando. Nadine calibrò la sua velocità in modo da essere nel punto giusto all'apertura della portiera e sbagliò di pochissimo. Quello che scese dalla macchina non poteva essere che Banter. Era davvero grasso: indossava una sorta di abito asiatico blu a disegni bianchi e dorati, secondo la moda del momento. Il colletto dell'abito doveva essere molto rigido poiché sembrava affondare nel triplo mento abbondante dell'uomo. Tutta quella pelle cascante ondeggiò quando Nadine chiamò ad alta voce il funzionario e lui volse di scatto la testa verso di lei.
- Mi scusi se la disturbo, Funzionario Capo Banter – disse Nadine sorridendo ma mantenendo il massimo rispetto per l'etichetta, rivolgendosi all'uomo come era richiesto dal suo rango.
- Con chi ho l'onore? – rispose lui, altrettanto cortese e formale. I gorilla del ristorante erano già lì a un passo, comparsi dal nulla.
- Sono Nadine Phen e lavoro per Network 23. Posso parlarle?
- È la mia pausa per il pranzo. Voglia chiamarmi nel pomeriggio, cortesemente.
- Non vorrei seccarla per una questione di pochi secondi… intendevo unicamente chiederle conferma dell'avvistamento di oggi.
Colpito, pensò Nadine. Banter era trasalito. Ora i suoi occhi guizzavano tutto intorno come se la prossima battuta di quella pantomima fosse scritta su qualche parete o sulla maglietta di qualche passante. La sua maschera di formalità era caduta.
- Mi permetta di invitarla al mio tavolo per il pranzo. Sarà mia cura risponderle come meglio potrò – disse Banter.
Vuole parlare, si disse Nadine quasi fremendo dalla gioia. Godette nel vedere i due gorilla farsi da parte per far passare lei e Banter, anche se sapeva che senza il Funzionario Capo al fianco difficilmente avrebbe potuto anche solo calpestare la costosa moquette dell'atrio di quel ristorante.

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Capitolo 4
*** Capitolo 4 ***


L'altra metà del viaggio
4.

A bordo del droide da battaglia F93-A Leader Giallo.

- Leader Giallo a squadra, siamo in vista dell'obiettivo. Al mio via iniziate la frenata... via.
Minuscoli puntini luminosi si accesero contro il nero dello spazio. In lontananza i raggi del sole definivano una forma allungata ritagliandola dal nero dello spazio vuoto.
- Giallo 2, frenata sincrona.
- Giallo 3, frenata sincrona.
- Leader Giallo a squadra, confermo la presenza dello shuttle civile Iris alle coordinate previste. Confermo il contatto con l'obiettivo sul vettore zero-uno-tre. Computer di puntamento non operativo. Ripeto: ignorate il computer di puntamento.
- Giallo 2 ricevuto. Il computer di puntamento non identifica la classe del bersaglio.
- Giallo 3 ricevuto. Richiediamo un aggiornamento a Controllo?
- Negativo, squadra. Manteniamo la rotta di avvicinamento a bassa velocità. La torpediniera Audace dovrebbe far ingresso nel quadrante tra poco. Conoscete gli ordini. E mantenete la calma, ragazzi.

A bordo dello shuttle Iris.

- Arrivano i nostri…
Il comandante fece saettare gli occhi sullo schermo del radar di poppa: si stavano allontanando dal luogo dell'azione, ma con i militari di mezzo forse era meglio così. Aveva il diario di bordo che dimostrava come il suo equipaggio avesse avvistato per primo l'oggetto. Se la Compagnia ne avesse tratto un guadagno, certo una fetta sarebbe spettata a lui e al suo equipaggio.
Effettivamente sul radar erano apparsi dei minuscoli puntini. Impossibile dire cosa fossero, il computer non li classificava. Potevano essere qualsiasi cosa. Il comandante sentì che quello era un grande evento. Sperò che i militari non mandassero all'aria tutto quanto.

A bordo della torpediniera Audace.

- Comandante, l'avanguardia a rapporto.
- Sullo schermo.
Un improvviso sfarfallio sostituì i dati di navigazione sullo schermo principale del ponte di comando. Tutti gli operatori si voltarono a osservarlo. Disturbata da forti interferenze la comunicazione audio-video proveniente dai droidi faticò a essere agganciata dai ricevitori della nave.
- Leader Giallo a rapp[scarica]
- Avanti Leader Giallo.
Era impossibile vedere il viso del caposquadra poiché la visiera del casco era nera e completamente abbassata. Questo significava che non si sentiva molto sicuro della situazione al punto da aver attivato i sistemi di sostentamento della tuta anziché affidarsi esclusivamente a quelli dell'abitacolo, certo più confortevoli.
- Non ho parole per [scarica]vere quello che sto vedendo. Spero possiate [scarica]cevere questo…
Il caposquadra tentò di inviare le immagini delle sue telecamere esterne ma le interferenze erano davvero parecchie. L'IA di bordo cercò di compensare in qualche modo evidenziando una sagoma indistinta, una macchia scura su uno sfondo un po' più scuro. La telemetria non arrivava per niente.
- Riceviamo un'immagine indistinta, Leader Giallo. Amplificate.
[scarica]ono già al massimo, coman[scarica], più di così non [scarica]
Si faceva davvero fatica a capire cosa stesse dicendo il caposquadra. Il comandante ordinò all'ufficiale addetto alla telemetria di cercare di fare qualcosa per migliorare la ricezione: i tre droidi erano i loro occhi per cercare di capire la situazione e prepararsi di conseguenza.
- Leader Giallo, confermate natura e pericolosità dell'oggetto.
- L'oggetto produce una [scarica]erta quantità di ECM ma non [scarica]embra pericoloso. [scarica]atura scono[scarica]uta, comandante.
- Mantenete la distanza, Leader Giallo. Prudenza.
Leader Giallo si fece ripetere due volte l'ultima comunicazione a causa delle interferenze dopodiché chiuse il collegamento.
- Comandante, i sensori a lungo raggio cominciano a risentire dell'attività ECM. La nostra IA non riesce a ricavare uno schema per le contromisure.
- Insista, Wesson. Cerchi di capire se l'attività ECM rappresenta una effettiva minaccia o se è il risultato di qualche altro tipo di fenomeno. Signor Ruger…
L'ufficiale interpellato si volse verso la poltrona occupata dal suo comandante.
- Signore.
- Chiami il generale Tokarev. Richieda rinforzi urgenti. Riferisca che siamo già sotto una sorta di ombrello ECM, chieda aiuto in tal senso.
- Eseguo.

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Capitolo 5
*** Capitolo 5 ***


L'altra metà del viaggio
5.

Stazione orbitante Apollo, settimo livello, ristorante Macy. Tre ore dopo l'avvistamento.

Nadine non poteva crederci. Stava mangiando un ottimo pesce al forno, un pesce vero, in un ristorante lussuoso, seduta al tavolo di un funzionario di alto livello della Compagnia Tedemac. Indossava le vecchie scarpe di gomma, aveva una telecamera accesa in tasca che registrava solo l'audio e quella mattina per pigrizia non si era truccata per niente. Si sentiva inadeguata, fuori posto. E spaventata.
- È di suo gradimento? – si informò Banter dopo averle versato il terzo bicchiere di un buonissimo vino bianco.
- È tutto squisito, grazie. Lei è molto gentile: peccato che io non sia all'altezza.
Pensò che aveva certamente commesso numerose infrazioni al codice del galateo a tavola anche se non immaginava quali. Forse sputare le spine del pesce nel piatto era una cosa di dubbio gusto, ma non poteva certo ingoiarle.
- Non fa nulla. Qui sono disposti a chiudere un occhio. Dopotutto sono un vecchio cliente.
- Mi dispiace averla messa in imbarazzo – disse Nadine costernata.
- Nessun problema, le dico. Non si preoccupi e si goda il vino.
Nadine si sentiva leggera nonostante avesse mangiato un pesce di buone dimensioni. Niente a confronto dei bastoncini di krill che si trovavano in giro congelati e magari già fritti. Bevve ancora del vino fresco e sentì che l'alcol stava cominciando a fare effetto. Allontanando il calice dal viso notò che le sue labbra avevano lasciato una evidente traccia unta sul cristallo finissimo: cercò per istinto la medesima traccia sul calice di Banter ma non la trovò.
- Dunque mi dica, signorina Phen. Lei è interessata a un avvistamento…
Nadine chiamò a raccolta tutta la sua decisione e freddezza. Si sentiva un po' impacciata, probabilmente a causa del vino. Mi sto ubriacando, pensò.
- So per certo che oggi è stato avvistato un oggetto un po' diverso dal solito.
- Come corre, signorina. Un oggetto addirittura diverso dal solito…
- Quindi me lo conferma…
- Tutto quello che posso dirle è che oggi da uno shuttle di linea della Compagnia è giunto un rapporto riguardo un avvistamento. Conosco di persona il secondo pilota e anche il resto dell'equipaggio gode di ottime referenze. Non è gente che si inventa una cosa del genere per avere un quarto d'ora di celebrità. O un extra nella busta paga.
- Allora c'è davvero un oggetto alieno in avvicinamento – disse Nadine sporgendosi in avanti e abbassando il tono della voce.
- C'è qualcosa, certamente. Che è alieno lo dice lei.
- Non ha nessun'altra informazione sulla natura dell'oggetto?
- Niente di certo.
- Dove è previsto l'impatto?
- Chi ha parlato di impatto?
- Insomma, non mi vuole dire nient'altro?
Banter sorrise e non disse niente mentre si infilava una mano in tasca.

Stazione orbitante Apollo, Controllo hangar 3, sala radar.

Barney era quasi alla fine del turno. Era stato difficilissimo concentrarsi sul suo lavoro dopo l'avvistamento, ma poi gli idioti della Centrale Operativa avevano deciso, senza dargli però la soddisfazione di comunicarglielo, che doveva trattarsi di qualcosa di abbastanza serio da sospendere il traffico. Voli dirottati, militari in arrivo dappertutto: un vero casino, sospirò Barney che aveva passato il resto del turno a fare da relais alle comunicazioni dei militari che più di una volta avevano perfino tentato di controllare da remoto il suo radar.
Già si immaginava i titoli dei notiziari: ce n'era da sbizzarrirsi. Era la prima volta che succedeva qualcosa del genere: stavolta non si trattava di un avvistamento qualsiasi.

Stazione orbitante Apollo, Palazzo 23, sede dell'emittente televisiva Network 23. Sei ore dopo l'avvistamento.

- Dove cazzo è finita Nadine? Mi serve quell'intervista che stava facendo! – sbraitò il redattore capo.
- L'hai mandata fuori per un avvistamento – gli ricordò il suo aiutante.
- Ah, già. Trovamela lo stesso: per un avvistamento di merda ha già perso troppo tempo. È troppo svagata quella ragazza. Troppi grilli per la testa! Troppi!
A Berth non rimase altro che attaccarsi al suo terminale e cercare di contattare Nadine.
- Occupato – riferì.
- Riprova! – sbraitò il redattore capo nonostante Berth stesse già ripetendo la chiamata.
Uno dei giornalisti bussò alla porta trasparente dell'ufficio del redattore capo e mise dentro la testa.
- Capo, ho in linea Nadine che ti cerca. Te la passo?
Il redattore scattò come una molla.
- Che cosa stai aspettando? Passala subito!
La porta si chiuse di scatto e dopo pochi secondi il terminale del redattore cominciò a trillare e una finestra video si aprì. Al tocco di un tasto a sfioramento apparve a pieno schermo il logo del provider delle telecomunicazioni di zona.
- Nadine? Dove cazzo sei? Ti sto aspettando!
- Sono allo Spazioporto 3, capo. Vuoi battere una notizia interessante?
- Spara.
- Tutti i voli sono sospesi per ragioni di sicurezza.
- Da quando?
- Da adesso.
- Brava. E perché?
- Sto cercando di scoprirlo: manda qui una squadra completa se credi… male che vada torna con un pezzo di colore sui trasporti.
- Non mi basta il pezzo di colore sui trasporti! Cerca di capire cosa cazzo sta succedendo! E fa' in modo che sia qualcosa che piace alla gente! Ah, una cosa, Nadine…
- Cosa, capo?
- Non ti fermare davanti a niente…se c'è qualcosa che scoppia, portami qualcosa che scoppia.
- Va bene, capo.
- Ah, un'altra cosa…!
- Che cosa?
- Perché non ho il video?
- Te l'ho detto un milione di volte, capo… sto usando a mie spese il mio bracciale olo… le chiamate video costano.
- Ah. Va bene. Brava. Datti una mossa, non perdere tempo.
- Ciao, capo.
- Sì, ciao… ciao.
Il redattore chiuse la comunicazione e alzò il viso verso il suo collaboratore seduto al di là del tavolo.
- Metti in nota spese un portatile serio per Nadine… sono stufo di non sapere mai dove cazzo va.

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Capitolo 6
*** Capitolo 6 ***


L'altra metà del viaggio
6.

Stazione orbitante Ares, Comando Operazioni. Otto ore dopo l'avvistamento.

- Generale, l'ultimo rapporto dell'Audace.
Il generale prese dalle mani del suo attendente la memoria con le informazioni e la posò sopra il lettore del proprio terminale. In un attimo i dati furono decriptati e cominciarono a fluire sul suo schermo.
- Incredibile… - non poté trattenersi dall'esclamare quando vide confermati i primi frammentari rapporti. Quell'oggetto era lungo duemilaquattrocentoventotto metri, più di un quarto di Prometeo che non era esattamente una scatola di scarpe. In compenso aveva una forma stretta e allungata: la sua massa non doveva superare, approssimativamente, i venti o trenta milioni di tonnellate. L'Audace messo al suo fianco ci avrebbe fatto la figura di un modellino in scala con i suoi sei milioni e mezzo di tonnellate di massa. L'ancora più grosso incrociatore pesante Illustris, l'enorme corazzata Andromeda e la sua gemella Oort, quasi nove milioni di tonnellate ciascuna, la Tifone, una potente nave da battaglia, le piccole fregate specializzate in guerra elettronica e decine di shuttle di appoggio… cinquanta droidi da battaglia in configurazione D, la più pesantemente armata e le rispettive navi di supporto… tutto quel fuoco non era stato a disposizione dell'Esercito in una sola volta nemmeno durante la battaglia di Prometeo. Eppure il generale aveva la netta sensazione che non avrebbero fermato quella… cosa.
Passò a esaminare le tanto attese riprese ravvicinate eseguite con potenti zoom e telescopi. La flebile speranza che si trattasse di un oggetto non artificiale svanì. La superficie era chiaramente opera di qualcuno. O qualcosa. Elementi simili ricorrevano a intervalli regolari, curiose gibbosità dall'aspetto lucido apparivano circondate sempre dagli stessi dettagli, più o meno. Passò immediatamente i dati agli esperti perché ne ricavassero il più possibile. Per lui era chiara una sola cosa: quell'arnese poteva tranquillamente essere un'astronave.
I dati della sua orbita parlavano chiaro: doveva essere dotato di motori che tra l'altro gli permettevano di farsi beffe della forza di gravità, visto che tutte le unità che stavano completando l'accerchiamento proprio in quegli istanti stavano facendo degli sforzi per mantenere sia l'orbita sia la distanza, consumando carbocomburente e plasma di fusione a tonnellate.
Poi i suoi occhi caddero su una nota evidenziata, proveniente dall'ufficiale scientifico dell'Audace. Secondo questi infatti l'oggetto sembrava circondato da una sorta di protezione trasparente, individuabile dalla distorsione della luce proveniente dagli oggetti che si trovavano al di là dell'anomalia. Ciò autorizzava a pensare, secondo l'ufficiale scientifico, la presenza di uno o più pannelli trasparenti che dovevano essere ricurvi. La nota terminava con l'invito a indagare più da vicino, utilizzando magari una sonda robot.
- È possibile comunicare con la flotta, ora?
L'attendente, che non si era allontanato di un passo mentre il generale aveva esaminato il materiale contenuto nella memoria, rispose prontamente.
- Da quando le fregate con equipaggiamento ECM-ECCM sono in zona d'operazioni, le comunicazioni sono ancora disturbate ma molto meno problematiche.
- Mi segua nella Sala Tattica.
Il generale uscì dal piccolo ufficio a lui riservato e percorso un brevissimo corridoio che terminava in una sorta di camera circolare sulla quale si affacciavano diverse porte tutte uguali, attraversò la prima a destra ricevendo il saluto di una guardia armata.
Nella Sala Tattica diversi alti ufficiali e alcuni specialisti sciamavano intorno a diversi ologrammi, cercando di interpretare al meglio la situazione. Avevano ricevuto i dati che lui aveva appena visionato e l'attività ferveva.
- Mettetemi in comunicazione con l'Audace – ordinò il generale.
Il brusio si attutì e dopo pochi secondi il comandante della torpediniera era in linea, il suo volto preoccupato disturbato da numerose interferenze. Fortunatamente l'audio era buono.
- Comandi, Generale.
- Predisponete una sonda e inviatela a esaminare più da vicino l'oggetto. Niente mosse avventate, niente imprudenze. Solo andata e ritorno.
- Agli ordini.

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Capitolo 7
*** Capitolo 7 ***


L'altra metà del viaggio
7.

Stazione orbitante Apollo, Spazioporto 3. Dieci ore e mezza dopo l'avvistamento.

Nadine era riuscita ad arrivare fin dove il suo badge personalizzato col logo di Network 23 le aveva concesso di arrivare: la sala stampa di Controllo. Era molto più in là di quanto poteva sperare di arrivare un passeggero comune che avesse prenotato un volo in partenza dallo Spazioporto 3 quel giorno, ma non abbastanza.
La squadra che il capo le aveva inviato non si era ancora vista nel marasma di giornalisti e operatori che affollavano la sala stampa: probabilmente si stavano parando il culo con il pezzo di colore filmando e intervistando i passeggeri inferociti lasciati senza notizie nelle aree di imbarco. Eppure ormai era chiaro che non doveva trattarsi di niente di normale: era da moltissimo tempo che non venivano sospesi i voli per qualche ragione. Inoltre aveva visto all'opera la concorrenza: chi stava surriscaldando il proprio costoso telefono, chi si sfogava con i collaboratori in redazione, chi dettava chissà cosa, chi in mancanza di meglio usava la telecamera per registrare il servizio da pubblicare come ipertesto. Lei aveva ancora in tasca la sua telecamera e tutte le memorie: registrare l'audio di tutto il pranzo con Banter aveva appena intaccato la prima schedina a sua disposizione. Stare lì ad aspettare un comunicato stampa le pareva uno spreco di tempo.
Uscì per telefonare ma anche in corridoio c'era confusione e non voleva che nessuno sentisse “per caso” la sua conversazione con uno dei suoi informatori segreti: ne era ovviamente molto gelosa. Purtroppo anche il bagno era tutto esaurito dai giornalisti che telefonavano e sembrava proprio che non si potesse stare in santa pace da nessuna parte. Esasperata, Nadine estrasse l'auricolare del bracciale olo da uno dei taschini della giacchetta che indossava sopra la comoda tutina elastica che non andava più di moda da almeno sei mesi. Almeno con l'auricolare avrebbe potuto sentire solo lei e continuando a camminare sarebbe stato difficile origliare le sue conversazioni. Si diede da fare ma pareva che i suoi assi nella manica si stessero tirando indietro proprio in quel momento di necessità; ebbe la netta sensazione che ci fosse sotto qualcosa di molto grosso. Doveva assolutamente saperne di più.
Staccato dal risvolto della giacca corta il badge che la identificava chiaramente come una giornalista e nascosta in tasca la piccola telecamera, abbandonò la zona riservata alla stampa e si mischiò con i viaggiatori in attesa. Studiò le posizioni dei sorveglianti e cercò le indicazioni per recarsi alle sale radar di Controllo. Doveva assolutamente entrare in una di quelle sale o per lo meno avere accesso alle registrazioni delle ultime ore. Un atto di pirateria informatica sarebbe stato certamente “qualcosa che scoppia” da portare al suo capo ma lei non era in grado di cavalcare la Rete così bene da riuscire ad avvicinarsi a quei dati. In passato era successo che un giovane cavaliere era entrato nella rete di Controllo seminando il panico qua e là, ma senza combinare nulla di pratico. Lo avevano preso dopo soli nove minuti di inseguimenti. Da quel giorno le difese di Controllo erano presumibilmente aumentate.
L'unica possibilità di avere accesso a quei dati era quindi accedervi di persona. Ma come? Non aveva certo le armi della Delore, diventata quello che era grazie alla sua brillante e fulminea carriera di giornalista d'assalto, famosa per le scollature piuttosto che per i pezzi che realizzava. Con un fisico come il suo altro che assalti giornalistici potrei fare, pensò Nadine invidiosa. Cercò di consolarsi pensando che non valeva la pena di prostituirsi dandosi ogni volta al miglior offerente per diventare come la Delore, cioè una puttana di gran lusso.
Guardandosi intorno individuò finalmente la squadra che il suo capo le aveva inviato: erano Max, l'operatore con una ingombrante telecamera del tipo “da guerra”, Anna armata di microfono finto (bastava e avanzava quello della telecamera ma serviva a dare i tempi giusti all'intervista) e Paula con appeso al collo il suo ingombrante telecomando per controllare a distanza gli apparecchi della regia mobile. Che trio… i migliori, pensò Nadine. Max era diventato famoso per aver tirato una telecamera sui denti di un poliziotto: si era salvato per un pelo dal finire dentro per due anni grazie all'intervento del suo santo protettore, lo stesso grazie al quale aveva un posto di lavoro presso Network 23. Anna era molto brava a litigare con i suoi capi: si credeva un genio incompreso ma lavorava per Network 23 da più di tre anni e ancora veniva sbattuta di qua e di là senza nessun riguardo, come fosse una principiante. Paula non aveva mai fatto niente di particolare… semplicemente se la cavava bene con la regia mobile, ma non brillava per destrezza o creatività. Non era certo insostituibile, insomma. Una squadra di mediocri. Sembrano fatti apposta per me, pensò Nadine mentre andava loro incontro.
- Ciao ragazzi… tutto bene? – li salutò quando fu a portata.
- Oh, ciao Nadine – rispose subito Anna – Che bello vederti… siamo stufi di girare materiale per l'archivio… dai, raccontaci.
Nadine raccontò tutto o quasi: omise naturalmente i dettagli su come aveva ottenuto determinate informazioni saltando rapidamente ad altri argomenti. Diede la memoria con l'audio di Banter a Paula che la scaricò immediatamente nella regia mobile.
- Cazzo… - esclamò Max – vuoi dire che con tutto questo casino tutto quello che hai è solo un po' di audio? Sarà meglio non tornare dal capo… vorrà la nostra pelle.
- Facendo un po' di tara a quello che ci hai raccontato, temo che ci siano dietro i militari – osservò Anna.
- Lo temo anch'io – concordò Nadine. Anna sarà anche litigiosa ma non è scema, pensò. Si era accorta che aveva omesso volontariamente dei dettagli importanti, ma sapeva di non poterci fare niente.
- Quindi? Non voglio passare il resto della mia vita a fuggire dal redattore capo che vuole scuoiarmi – commentò Max bilanciando meglio il peso della telecamera sulla spalla.
- Io un'idea ce l'avrei – iniziò Nadine.
- Sparala.
- Quanti soldi avete in tasca?

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Capitolo 8
*** Capitolo 8 ***


L'altra metà del viaggio
8.

Stazione orbitante Apollo, Spazioporto 3, zona di imbarco dei passeggeri.

Gus era preoccupato. Non tanto, ma un po' lo era. Tutti i voli erano stati sospesi, i vari network davano la notizia solo da una decina di minuti e lo spazioporto era strapieno di gente che voleva sapere se partiva oppure no.
Il suo turno era appena iniziato quando dalla Centrale era stata segnalata la variazione, eufemismo per dire che di lì a poco la situazione sarebbe diventata potenzialmente pericolosa. I passeggeri infatti s'erano ormai innervositi e Gus sapeva che, sebbene fossero cose piuttosto rare, delle liti potevano sempre accendersi.
Così, nonostante fosse incaricato di sorvegliare l'ingresso a una zona vietata al pubblico, Gus teneva d'occhio la marea ondeggiante di teste da dove ogni tanto spuntava una telecamera. Chissà se mi inquadrano, si chiese. Pensò di chiamare sua moglie per vedere se le erano rimaste delle memorie per registrare i notiziari: se fosse apparso avrebbe potuto rivedersi con comodo una volta terminato il turno. Ma poi si disse che non valeva la pena: a quale scopo registrare i notiziari? Per vedersi ripreso un secondo e mezzo e poi andare a vantarsene con gli amici che lo avrebbero preso per idiota? Gus decise di lasciare perdere.
Aveva appena finito di convincersi che aveva fatto bene a non chiamare la moglie che un battibecco si accese a poca distanza da lui, in prossimità di una transenna. Stette a guardare, ma rapidamente il battibecco degenerò e i due protagonisti giunsero a mettersi le mani addosso. Gus comunicò la situazione alla Centrale e abbandonò il suo posto per intervenire. Ma non appena si mise in mezzo prese un pugno che era probabilmente destinato a qualcun altro. Un'altra persona si frappose con intento di pacificare i litiganti ma Gus, che cominciava a riprendersi dal colpo, vide che il solo effetto ottenuto era stato quello di aumentare a tre il numero dei litiganti.
Seccato per il pugno incassato senza preavviso, comunicata l'escalation della situazione alla Centrale, Gus decise che era il momento di fare sul serio e, impugnato il manganello, si buttò nella mischia.

Stazione orbitante Apollo, Spazioporto 3.

Nadine approfittò della confusione e senza che nessuno la notasse aggirò la transenna e si infilò attraverso la porta su cui campeggiava un grande segnale “solo personale autorizzato”. Davanti a lei si apriva un corridoio lungo e deserto. Non c'erano indicazioni e così non le rimase che avviarsi verso l'estremità opposta. Cercando di darsi un'aria da “personale autorizzato” camminò decisa fino a quando incontrò una promettente porta chiusa. Una targhetta che era stata staccata e poi incollata nuovamente un po' storta diceva “Controllo”. Più chiaro di così, pensò Nadine. La porta non era chiusa nonostante la sua bella serratura elettronica e Nadine entrò.
In quel corridoio buio illuminato da allarmanti luci rosse c'era un po' più di movimento e Nadine cominciò a temere: circolavano uomini in divisa, probabilmente personale di Controllo, tecnici della manutenzione e altre persone si affacciavano ogni tanto sul corridoio chiamando qualcuno o gridando qualcosa. Era chiaro che c'era una situazione anomala in atto. Nadine sapeva di doversi sbrigare: in fondo al corridoio c'era un'altra porta uguale a quella appena attraversata ma questa era sorvegliata da una guardia armata. Gettava occhiate speranzose dentro le stanzine ancora più buie del corridoio, illuminate dagli strumenti e quando ne trovò una che era occupata da un solo uomo ci si tuffò dentro.
L'uomo seduto agli strumenti era un radarista qualificato: portava le note mostrine nere e i gradi sulle spalle della camicia; inoltre la toppa sulla manica denunciava chiaramente la sua appartenenza a Controllo.
- Salve… - salutò Nadine cercando di nascondere l'imbarazzo. L'uomo si era voltato e la squadrava interrogativo. Poté vedere il complicato pannello di comando del radar e lo schermo tridimensionale tramite il quale il radarista poteva controllare la sua porzione di spazio intorno ad Apollo.
- Salve a lei – disse l'uomo che con la cadenza nella voce esortava la ragazza a continuare.
- Disturbo?
L'uomo accennò a una risata e si aggiustò le cuffie sulla testa.
- Teoricamente nessuno dovrebbe entrare qui, ma oggi c'è un puttanaio tale che… tutti vogliono sapere qualcosa, ma io ho solo un settore adiacente. Almeno non ho i militari tra i piedi. Lei non è un militare, vero?
- Nooo, sono un'amministrativa, io… - disse Nadine sorridendo più che poteva. Era contenta che la conversazione stesse prendendo quella piega informale.
- Mi dispiace, ma non sono in grado di farle vedere gran che – disse l'uomo voltandosi verso lo schermo.
- E cosa può farmi vedere?
- È tutto qui – l'uomo indicò l'angolo in alto a destra del suo monitor. Qui il radar disegnava una macchia chiara oblunga circondata da macchioline più piccoline rinchiuse in figure geometriche come triangoli, trapezi, rettangoli. Da ciascuna figura geometrica penzolava una piccola linea alla cui estremità erano attaccate delle cifre. Codici di qualche genere o altre informazioni, pensò.
- Com'è grosso… - esclamò Nadine.
- Vede, qui il reticolo ha una tolleranza piuttosto elevata e non posso essere preciso ma sono almeno duemila metri di lunghezza.
- Duemila? - si meravigliò lei.
- Duemila come minimo. L'eco radar potrebbe essere alterata dal materiale di cui è fatto l'oggetto e quindi la misura potrebbe essere imprecisa. Senza contare l'errore dello strumento: agli estremi del reticolo sale al due per cento circa.
- E i puntini?
- Si tenga forte: vede come sono piccoli a confronto? Guardi questo: è la corazzata Andromeda.
- Porca troia… - esclamò la giovane chinandosi verso lo schermo come se così potesse vedere meglio la corazzata.
- Ovviamente le nostre navi sono fatte in modo tale da rimandare l'eco radar più piccola possibile per essere meno visibili mentre pare che l'oggetto non abbia di questi problemi. Ovviamente anche se l'eco è più piccola della corazzata, la differenza è tantissima lo stesso.
- E che cos'è? – chiese Nadine. Stava registrando tutto, di nascosto, col cuore in gola.
- Bella domanda. Sarebbe più giusto cominciare da cosa non è. Non è un asteroide. È sbucato da un'orbita stranissima dietro la Luna e si è fermato in un punto insolito. La logica vorrebbe che si posizionasse nel punto di Lagrange, invece no. I nostri stanno facendo equilibrismi per mantenere le distanze. In termini energetici, la loro orbita somiglia di più a un'orbita intorno al sole che intorno al pianeta. Adesso che sono fermi, intendo dire.
- Da come ne parla lei da per scontato che sia un'astronave...
- E cosa se no? Tutto questo spiegamento di forze per un sasso spaziale? Anche se di duemila metri di lunghezza... - l'operatore scosse la testa sorridendo, indicando con una mano il nugolo di puntini che circondava la macchia più grande – No, mi creda. Se fosse un asteroide non sarebbe arrivato con questa lentezza. Ma soprattutto non si sarebbe comportato come se avesse dei motori. Quegli spiritosi della Classificazione lo hanno denominato OGFG, ma per me sarebbe più giusto AGFG.
- Sarebbe? - Nadine era confusa: il tecnico sorrideva come se avesse detto una battuta ovvia.
- Oggetto Grosso, Fottutamente Grosso. A come astronave, dico io.
- Certo che da qui non è facile… - lo imbeccò lei affinché continuasse. Possibilmente senza dire stronzate, pensò.
- No, certo. Ma forse nemmeno loro che sono là davanti ne sanno molto di più – disse il radarista indicando nuovamente il gruppo di puntini che si affollava su un fianco del grande oggetto.

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Capitolo 9
*** Capitolo 9 ***


L'altra metà del viaggio
9.

Stazione orbitante Apollo, Palazzo RaeMec, settantanovesimo piano, sede della Compagnia Tedemac. Dodici ore dopo l'avvistamento.

Banter quando vide i titoli si chiese come mai ci avevano messo così tanto. Network 23, dopo aver sommerso la Rete di annunci parziali e notizie frammentarie per creare l'opportuna attesa, stava per mandare in onda il servizio sull'ultimo, clamoroso avvistamento. Si era aspettato di rivedere la giovane giornalista che aveva avuto ospite a pranzo. Quello che non si sarebbe mai aspettato di vedere fu fino a che punto era stata capace di arrivare. Aveva registrato di nascosto la conversazione avuta con lui al ristorante, ma per fortuna aveva evitato di citarlo come fonte ufficiale. Parlava senza mezzi termini di “astronave aliena” ed era in grado di fornire dettagli tecnici sull'orbita dell'oggetto e sulla sua posizione, dettagli che nemmeno lui aveva. Aveva forse avuto accesso anche lei alle prime osservazioni dello shuttle Iris, anche se mancavano parecchi dati golosi? Si era forse lavorata il suo direttore senza che lui ne sapesse nulla e conservava i dati più importanti per un secondo servizio, oppure aveva altre fonti di informazioni?
Col fiato sospeso, temendo per il proprio posto anche se non ravvedeva elementi sufficienti per accusarlo della fuga di notizie, seguì fino in fondo il servizio della spregiudicata giornalista che per Network 23 aveva portato a termine un bello scoop. Se non fosse stato per l'accesso privilegiato alla Rete garantito dal suo terminale aziendale, sarebbe stato difficile riuscire a seguire il notiziario. Dopo una breve ricerca condotta in una finestra separata, Banter si rese conto che la Rete si stava avvicinando alla saturazione e i potentissimi server dell'emittente televisiva stavano faticando a soddisfare tutte le richieste di collegamento.
Con un sospiro accolse la conclusione del servizio. Aveva sottovalutato la giovane Nadine Phen, corrispondente di Network 23 che non poteva permettersi di presentarsi a un funzionario del suo rango con scarpe decenti né un banale cheongsam bianco ricamato che tanto andava di moda in quel momento. Un fotogramma estratto da un video rubato mostrava addirittura la schermata di un radar olografico di Controllo dove appariva ben in evidenza un oggetto non identificato di forma allungata. L'immagine, sgranata per via dell'ingrandimento e un po' confusa per essere stata estratta da un video girato in condizioni precarie, era indubbiamente autentica.

A bordo della torpediniera Audace.

- Comandante!
Il capitano dell'astronave che per prima era giunta nelle vicinanze dell'oggetto alieno sollevò gli occhi dal datapad grazie al quale stava consultando informazioni riservate. Interpellò con gli occhi l'ufficiale che aveva richiamato la sua attenzione, esortandolo a continuare.
- Si sta muovendo!
- Possiamo tracciare una rotta?
- È troppo presto.
- In che direzione si sta muovendo? Verso le stazioni?
- No, comandante. Non sembra una rotta di intercettazione. Dovrebbe passare molto vicino a Tifone e Oort rimanendo sempre sotto tiro delle nostre torpedini.
- Ma forse non lo sanno. Metta al lavoro la nostra IA: voglio la proiezione di tutte le rotte possibili che possono seguire.
- Sì comandante.
L'ufficiale si mise immediatamente al lavoro aiutato dall'intelligenza artificiale di bordo. Dopo pochi minuti cominciò a consultarsi freneticamente con i suoi colleghi utilizzando l'impianto nella mascella che tutti sul ponte di comando avevano. L'insolita attività non passò inosservata agli occhi dell'anziano comandante che interrogò l'ufficiale per conoscere il motivo di tanta agitazione.
- Signore... i calcoli della IA confermano che l'oggetto è su un sentiero di discesa verso il pianeta. È l'unica strada libera.

Pianeta Terra, base navale di al-Qahira, Comando Prima Flotta Navale. Trenta minuti dopo l'abbandono dell'orbita.

L'ammiraglio Jamila Hussein ripose nel trolley il ferro e scelse il suo putter preferito, soddisfatta. Si incamminò verso la terzultima buca e il trolley con le mazze la seguì ronzando dolcemente sulle tre ruote alte. Aveva ottime possibilità di essere in par fino alla fine: le buche mancanti non erano molto difficili e lei conosceva tutto il green a memoria. Il sole era ormai basso ma l'intensità dei suoi raggi era ancora notevole.
Trovò la pallina esattamente dove l'aveva vista cadere: a pochi passi dalla buca. Si preparò a colpirla: scelse la posizione, la postura, distese le braccia e studiò bene il colpo, cercando di calcolare la quantità di moto da imprimere alla pallina per farle raggiungere la sedicesima buca. Quando si sentì pronta, rilassata e concentrata, colpì la pallina col putter e quella rotolò obbediente in buca. L'ammiraglio si chinò a raccoglierla e colse immediatamente il movimento ai margini del green. Si aggiustò gli occhiali neri sul naso e osservò il suo aiutante in divisa mentre la raggiungeva a bordo della bicicletta in dotazione al Circolo Ufficiali.
- So che non vuole essere disturbata quando gioca a golf, ammiraglio – esordì saltando giù dal sellino. Mise una mano nella tasca della giacca della divisa blu e ne estrasse una ricetrasmittente da campo, di un modello così vecchio che aveva ancora l'antenna in vista. Conosceva benissimo quelle radio: tri-banda, la batteria garantiva dodici ore di funzionamento e l'antenna da quattro centimetri e mezzo unitamente alla potenza limitata la rendeva in grado di coprire solo tre o quattromila metri in campo aperto. Era facilmente disturbabile e non era totalmente impermeabile. Le attrezzature migliori restano in orbita, si disse malinconica.
- È il Comando Operazioni di Ares – le disse l'aiutante porgendole la radio.
L'ammiraglio non celò il proprio stupore e presa la ricetrasmittente con esitazione se la portò all'orecchio.
- Ammiraglio Hussein – disse con tono asciutto.
Mentre ascoltava si voltò verso il trolley e vi infilò dentro il putter e la pallina. Un brutto segno per il suo aiutante che riconobbe i segnali di cattive notizie in arrivo. Non era affatto facile distogliere l'ammiraglio dal golf.
- Sì, ma non prima di otto ore.
L'ammiraglio strinse le labbra carnose chiuse tra le parentesi di due rughe profonde che le scendevano dalla radice del naso. Non gradiva affatto quello che stava sentendo, era evidente.
- Sono navi, non missili... e c'è in corso un'esercitazione – sottolineò seccata. Stava parlando della Prima Flotta che si trovava in pieno oceano ormai da più di una settimana. In porto non era rimasto che qualche motoscafo armato in modo leggero e una corvetta in riparazione. Non c'erano più nemici da combattere, se si escludevano i pirati e qualche trafficante d'armi che di tanto in tanto cercava di far passare un carico.
- Sì, signore. Immediatamente. La saluto.
La conclusione della conversazione era stata formale e tesa, segno che l'ammiraglio aveva ricevuto degli ordini precisi e anche poco graditi.
- Ordini, ammiraglio? - chiese l'assistente in divisa, la fronte imperlata di sudore per la corsa fatta sotto il sole.
- Mobilitazione generale, non è un'esercitazione. Passiamo direttamente a DefCon 3. E dammi la bicicletta.
L'aiutante cedette immediatamente il veicolo all'ammiraglio e la seguì con gli occhi mentre si allontanava pedalando e impartendo ordini precisi tramite la radio da campo. Il trolley con le mazze da golf la inseguiva inutilmente, traballando e ronzando al massimo della sua velocità.

A bordo della portaerei nucleare Solaris, ammiraglia della Prima Flotta Navale, da qualche parte nell'Oceano Atlantico Settentrionale.

- Comandante, un altro scherzo dell'Ammiragliato, nemmeno tanto originale.
Il comandante Stephenson si avvicinò al suo primo ufficiale che stava consultando il suo schermo multifunzione. Cambiò la sua espressione annoiata subito dopo aver visto il messaggio decodificato.
- Hai verificato i codici?
- Ma comandante, si tratta chiaramente di uno scherzo. Uno sbarco di alieni! Non credo sia necessario confermare questo codice.
- Fallo lo stesso – Stephenson si grattò la barba, preoccupato. Due stupidi scherzi in quarantotto ore erano troppi.
- Porca troia, capitano! DefCon 3! - esclamò il secondo in comando agitandosi sulla sua poltrona.
- Me lo sentivo. Trasmettere a tutte le unità: interrompere l'esercitazione. Nuova rotta: zero-nove-tre, velocità massima. Che tutti i capitani rimangano in attesa di nuovi ordini a breve. Signor Bjorn!
- Sì comandante! - rispose immediatamente l'ufficiale addetto al ponte di volo.
- Tutti gli equipaggi in preallarme. Faccia preparare i ricognitori a lungo raggio. Tutti gli ufficiali nel quadrato fra dieci minuti.

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Capitolo 10
*** Capitolo 10 ***


L'altra metà del viaggio
10.

Stazione orbitante Apollo, Palazzo 23, sede dell'emittente televisiva Network 23.

- Nadine! Dove cazzo eri finita?
Non aveva mai visto il suo capo in quelle condizioni. Aveva un colorito rosso vivo, sudava e aveva tirato le maniche della sua candida camicia coreana fin sopra i gomiti a mostrare gli avambracci pelosi e muscolosi. Guardò Berth in cerca di appoggio, ma quello se ne stava rintanato in un angolo, come se potesse trovare un riparo dalla furia del capo standosene vicino all'inutile ma costosa lampada da pavimento, messa lì solo per far capire chi è che comanda in redazione.
- Stavo registr... - cercò di rispondere, ma il suo capo era saltato su come una molla dalla sua poltrona capace di memorizzare venti configurazioni diverse per garantire sempre il massimo della comodità. Segno che era davvero agitato.
- Niente! - sbraitò di nuovo. Nadine sapeva che attraverso le pareti di crilex trasparente si potevano sentire perfettamente gli urli del capo.
- Se io ho bisogno di te, devi scattare! Ti sei accorta che sta succedendo una rivoluzione? Lo sai che c'è una folla impazzita per strada, che la Rete è in ginocchio, che stanno arrivando gli alieni?
Nadine lo sapeva bene. La notizia l'aveva data lei.
- Vado subito, capo! - rispose lei prontamente, interpretando tutto quello sbraitare come un rimprovero per il fatto di non essere per strada a documentare il caos che la notizia aveva provocato. Tutta la redazione era sotto pressione: aveva visto colleghi con quattro chiamate a terminale contemporaneamente. Le pareva strano che non ci fossero già tutte le troupe in strada.
- Ferma, dove cazzo vai? - urlò ancora quello battendo una mano sul tavolo.
- Ma io... - avrebbe voluto dirgli che aveva altre notizie che, se verificate, poteva valere la pena di rendere note, ma non ne ebbe modo. Il suo capo era come una reazione nucleare impazzita: incontenibile.
- “Ma” un cazzo! Tu niente! Abbiamo mezzora di vantaggio su tutta la concorrenza! Tutta, capito? La voglio mantenere! Dobbiamo mantenerla! C'è la Delore che sta schiumando di rabbia, quella troia! Voglio vederla schiattare!
- Io ho... - forse ce l'avrebbe fatta a dirgli che sapeva le coordinate esatte dell'astronave, e che con un po' di sbattimento avrebbe avuto anche le immagini dei satelliti militari. Aveva già ricevuto diverse offerte da parte delle più famose organizzazioni di pirati informatici. Con un po' di denaro avrebbe avuto accesso a informazioni bollenti.
- Silenzio! Non sei la sola ad avere i contatti, chiaro? Qui ci sono un mucchio di culi in fiamme, dobbiamo approfittarne! Vai subito allo Spazioporto 3: hai un volo privato per scendere sulla Terra, sbrigati!
- Ma lo spazioporto è...
- ...chiuso? Sì certo, ma il tuo volo parte lo stesso! Muovi quel culo piatto, Nadine! Nessun tetto di spesa! Credito illimitato! Passa da Andreas e prendi quello che ti darà! E non perdere tempo a fargli gli occhi dolci o dagli alieni ci mando Anna!
Nadine era frastornata, non solo dagli urli del suo capo. Nessun tetto di spesa? E con cosa avrebbe pagato? Tutto quello che aveva in tasca era il suo badge, un po' di spiccioli, una telecamera dozzinale con un pugno di memorie per il video. Stava per scendere sul pianeta, per la prima volta in tutta la sua vita, per rincorrere degli alieni! Il suo capo evidentemente sapeva cose che lei non aveva ancora scoperto. Sapeva anche che lei faceva gli occhi dolci ad Andreas, cosa che lei credeva d'aver tenuta ben nascosta.
- Nadine, porca puttana, cosa fai ancora qui! Corri! - tuonò il redattore capo sporgendosi così tanto sul suo tavolo e con veemenza tale da farle temere che stesse per metterle le mani addosso, e di essere allo stesso tempo sull'orlo di un infarto.
Nessuno in redazione badò a lei che con le lacrime agli occhi correva come una pazza verso l'ascensore, attraversando il caos dei colleghi in piena emergenza giornalistica.

A bordo della portaerei nucleare Solaris, ammiraglia della Prima Flotta Navale, da qualche parte nell'Oceano Atlantico Settentrionale. Cinque ore dopo l'inizio della discesa.

- Signor Bjorn, cosa stanno facendo quegli uomini?
Il comandante indicò le immagini che le telecamere notturne rimandavano. Era notte fonda e cadeva una pioggia sferzante: non c'era ragione alcuna perché ci fossero marinai al lavoro sul ponte di volo.
- Stanno rinforzando gli ormeggi degli ultraleggeri, comandante. Stiamo facendo cinquantotto nodi e c'è vento trasversale a ventidue nodi. Rischiamo di perderli.
La Solaris era una portaerei gigantesca: oltre seicento metri di lunghezza, quasi mezzo milione di tonnellate di dislocamento. Eppure beccheggiava percettibilmente frangendo le onde lunghe dell'oceano forza sei.
- Signor Balfour...
L'ingegnere capo, contattato tramite il circuito di comunicazione interno della nave, rispose immediatamente. Era al lavoro da quando era stato comunicato il cambiamento del livello di allarme.
- Se sta per chiedermi di aumentare l'andatura, la risposta è no, comandante. Siamo già al di là dei parametri massimi consentiti.
- Ho già spiegato l'importanza di questa missione, capo.
- Io comprendo appieno l'importanza della nostra missione, capitano... ma se forziamo ancora le macchine rischiamo di mandarle in pezzi. E non è detto che ciò non accada lo stesso, visto come le stiamo spremendo.
- Faccia tutto il possibile, signor Balfour.
- Lo sto già facendo, mi creda, capitano. L'unica cosa che posso prometterle è che continuerò a farlo.

A bordo dell'elicottero anti-som SH-14. Diciotto ore dopo l'inizio della discesa verso il pianeta.

- Contatto! Direzione zero-uno-zero, distanza sessantaquattro chilometri, profondità due-tre-zero in diminuzione. È lui! Sta emergendo!
Il pilota, comandante del volo di ricognizione, prese immediatamente i comandi del velivolo e virò personalmente per seguire la nuova rotta.
- Segnala alla Solaris. Aggiungi che ci muoviamo per intercettare il contatto!
Aveva alzato la voce per sovrastare il rumore del generoso rotore che li sosteneva in aria e consentiva loro di muoversi alla velocità di crociera di ben centotrenta nodi. Nonostante le cuffie il frastuono era tale da rendere problematico parlarsi.
- Tenente! - disse lo specialista dopo pochi minuti. Il pilota si volse verso di lui percependo un tono di urgenza nella sua voce.
- L'ordine è di rientrare!
- Cosa? - il pilota era incredulo. Li avevano trovati, gli stavano addosso. Dopo quasi quattro ore di ricerche avevano finalmente un contatto e veniva loro ordinato di rientrare. Com'era possibile?
- Sospendere le ricerche e rientrare immediatamente! Ordine del comandante Stephenson in persona.
Il pilota dovette suo malgrado rendersi conto che nonostante avesse ancora due ore e mezza di autonomia di volo, doveva obbedire e interrompere la caccia. Sullo schermo MFD della postazione di pilotaggio gli ordini riferiti dal suo specialista erano confermati e autenticati dal computer di bordo.
- Merda! - esclamò sottolineando il suo disappunto battendo un pugno sulla coscia proprio sopra la tasca trasparente con le carte nautiche. Poi iniziò subito la virata impostando gli strumenti di bordo affinché trovassero la rotta per tornare sul ponte di volo della Solaris.

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Capitolo 11
*** Capitolo 11 ***


L'altra metà del viaggio
11.

A bordo di un aerogrifo civile senza contrassegni. Venti ore dopo l'inizio della discesa.

Per fortuna la cabina era piuttosto stretta e tanto affollata di strumenti da non rendere facile riuscire a guardare fuori. Quella volta che c'era riuscita, contorcendosi un po' nel sedile dopo aver slacciato momentaneamente le cinture che la immobilizzavano nel sedile, si era spaventata a morte.
- Stiamo ancora volando bassi?
- Bassissimi! - sentì la voce del pilota nelle cuffie e lo vide voltare la testa verso di lei e sorriderle beffardo. Avrebbe voluto la sua sicurezza, la sua capacità di leggere tutti quegli strumenti. Avrebbe voluto la sua pelle scura, sicuramente più abituata della propria a tutta quella luce solare. Aveva dovuto mettere una protezione contro l'irraggiamento del sole e la puzza di quella sostanza bianca e oleosa continuava a provocarle disagio. Avrebbe anche voluto gli occhiali scuri del pilota: nonostante la capotta di crilex curvo fosse polarizzata, l'abbagliante disco del sole era un tormento insopportabile e le faceva lacrimare gli occhi. Invece aveva solo quello che aveva indossato quellla mattina su Apollo e la borsa col materiale di Andreas.
- Sta bene ora? - di nuovo in cuffia la calda voce del pilota, che le parlava con un accento insolito.
- Va meglio – lo rassicurò lei. Era stata male sullo shuttle che aveva attraversato l'atmosfera in modo piuttosto turbolento. Più che una discesa le era sembrata una caduta verso la superficie del pianeta, la cui gravità non scherzava affatto. La sentiva ancora con le ossa, con i muscoli e soprattutto con lo stomaco. Lo shuttle aveva terminato la sua caduta controllata planando su una delle piste periferiche dello spazioporto di al-Qahira mentre lei stava ancora lottando contro i conati di vomito. Aveva avuto appena il tempo di ripulirsi che subito era stata fatta salire a bordo di un veicolo. Guidato da un pazzo che non era nemmeno riuscita a vedere in faccia, questo era schizzato tra le piste di rullaggio e le strade di servizio fino a raggiungere quello che le era stato detto essere l'aeroclub: una fila di capannoni malridotti all'interno dei quali era possibile vedere velivoli di ogni foggia e dimensioni. Ce n'erano anche parcheggiati davanti ai capannoni: alcuni coperti da teli sporchi e assicurati a terra da funi, altri parzialmente smontati attendevano forse qualcuno che si prendesse cura di loro. Ma quando vide l'aerogrifo capì che era lì per lei: era l'unico con i motori accesi, circondato da nuvole di polvere sollevate dagli scarichi dei getti che gli consentivano il decollo verticale.
Salita a bordo era stata fatta accomodare senza troppi preamboli dentro un sedile molto avvolgente alla destra del pilota. Aveva davanti a sé i medesimi comandi e strumenti del pilota stesso e poteva, non senza provare paura, posare i piedi sui pedali. Il pilota aveva preso posto di fianco a lei e le aveva mostrato come allacciare e slacciare la cintura di sicurezza a quattro punti, dotata di un pesante sistema di bloccaggio fatto a disco che veniva a gravarle proprio sopra lo stomaco già duramente provato. Una volta che si fu saldamente legata da sola al sedile, senza nemmeno chiudere prima i portelloni laterali il pilota aveva dato tutto gas e si era alzato in verticale così bruscamente che lei aveva avuto di nuovo violenti conati di vomito. Ma non era riuscita a sputare nulla poiché il suo stomaco aveva già restituito tutto durante l'ingresso nell'atmosfera terrestre.
- Per fortuna oggi il mare è calmo – commentò il pilota. Nadine lo vide pasticciare con uno schermo quadrato circondato su tutti i lati da pulsanti colorati. Ne aveva davanti agli occhi uno uguale, ma da quando erano partiti mostrava soltanto due cerchi concentrici attraversati al centro da linee ortogonali. Pregò che sapesse quello che stava facendo: l'aerogrifo filava a una velocità spaventosa a pochissima distanza dalla superficie del mare. Nemmeno la bellezza di tutta quell'acqua, mai vista tanta tutta insieme, né lo splendore del cielo azzurro che sembrava infinito riuscivano a farle passare la paura. Anzi: abituata alle ristrettezze di spazio delle stazioni orbitanti, avere la consapevolezza di tutto quello spazio vuoto intorno a sé faceva crescere in lei l'irrazionale terrore del vuoto e di andare a sbattere contro qualche ostacolo.
- Se non avessimo tutta questa fottuta fretta, le farei provare a pilotare – disse il pilota, voltando nuovamente la testa verso di lei. Sotto gli occhiali impenetrabili c'era ancora un sorriso.
Sta cercando di sembrare simpatico, si disse Nadine. Certo, lei non avendo spiccicato una sola parola da quando era salita a bordo del piccolo velivolo, non si era certo dimostrata una simpatica. Ma temeva che se avesse aperto la bocca avrebbe vomitato di nuovo. Si sentiva come uno straccio: aveva un sapore acido e schifoso in bocca, percepiva col naso l'odore del proprio vomito e a tratti quello della fastidiosa crema solare. Lo stomaco le sembrava gonfio d'aria e le bruciavano gli occhi. Devo avere un aspetto orribile e l'alito che uccide, si disse vergognandosi profondamente. Avrebbe dato lo stipendio di un mese per avere con sé la trousse con la spazzola dei capelli e il necessario per il trucco. Invece nella borsa che stringeva tra i piedi perché non venisse sballottata troppo c'era l'attrezzatura che le aveva dato Andreas.
- Non è difficile... è quasi come un videogioco. Quasi! - il pilota rise, credendo forse di essere stato divertente. Nadine, che era terrorizzata, stabilì che effettivamente quel tipo stava cercando di fare lo splendido con lei. Che pensasse a non precipitare, si disse senza nemmeno sforzarsi di sorridergli.
- Se non si rilassa un po', stasera le faranno male tutti i muscoli e domani non riuscirà nemmeno a scendere dal letto – disse ancora l'uomo, insistendo in quella conversazione a senso unico.
Stasera sarò morta, pensò Nadine guardando fuori dall'abitacolo e intuendo nuovamente a quale folle velocità stesse volando l'aerogrifo.
- Dico davvero: la tensione nervosa fa male ai muscoli e... oh, merda!
Nadine ebbe un brivido di terrore lungo tutta la schiena.
- Allacci la cintura – le disse l'uomo battendo sui tasti che circondavano lo schermo quadrato. Anche questa volta il suo schermo identico rimase muto. Nadine, spaventata da quelle parole, si aggrappò alle estremità delle cinture già allacciate da tempo e le tirò per serrarle ancora di più intorno al proprio corpo. Tirò con tutta la sua forza finché le mani umide di sudore cominciarono a perdere la presa. Le cinture ora erano così strette che le sembrava di avere qualcuno seduto sul torace.
- Ah, ma c'è tutta la Prima Flotta qui... - disse il pilota. Poi tirò il joystick tutto da un lato e l'aerogrifo si inclinò e impennò al tempo stesso, bruscamente. A Nadine sembrò di morire.

A bordo del cacciabombardiere Tu-97 Leader India in missione di intercettazione.

- Eccolo a ore dieci, in basso.
- India 3, lo vedo. Sembra un aerogrifo civile.
- Leader India a squadra, il velivolo non identificato non risponde alle chiamate e non cambia rotta. Proviamo a mettergli paura. Statemi dietro.
Il cacciabombardiere alla testa della formazione di tre velivoli identici compì mezza vite per entrare in volo rovescio e puntò deciso verso la superficie dell'oceano. I velivoli in formazione con lui lo imitarono rapidamente. Completata la vite e ripristinato il volo orizzontale, aveva perso gran parte della quota e guadagnato una posizione di attacco favorevole. Il pilota ignorò i cursori dei missili a corto raggio: l'ordine era di distogliere lo zombie dalla rotta di intercettazione con l'oggetto, emerso dalle profondità dell'oceano ormai da qualche ora. Con molta cura il pilota manovrò per controllare il PIP del cannoncino di bordo, il mirino ondeggiante che prediceva il punto di impatto dei proiettili. Quando giudicò che i proiettili sarebbero caduti davanti al velivolo zombie senza rischiare di colpirlo, il suo dito sfiorò il grilletto.
- Gun-gun-gun!

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Capitolo 12
*** Capitolo 12 ***


L'altra metà del viaggio
12.

A bordo di un aerogrifo civile senza contrassegni. Ventuno ore dall'inizio della discesa.

Nadine strillò e raccolse istintivamente le braccia sul petto. La telecamera aveva rischiato di colpire in testa il pilota nonostante lei la stesse tenendo premuta con tutta la sua forza contro il crilex trasparente della capottina per riprendere immagini dell'astronave aliena.
- Cos'erano quelle... cose? - gridò spaventata per la brusca manovra.
- Traccianti!
- Cosa sono i traccianti? - si rimise a posto la cuffia che le era scivolata giù dalle orecchie appena in tempo per sentire la risposta. Il motore dell'aerogrifo era ridiventato molto rumoroso, proprio come durante la prima fase del viaggio.
- Proiettili speciali che brillano intensamente per essere visti da lontano!
Nadine dubitò di aver capito bene e forse fu solo per quello che ebbe il tempo sufficiente per riguadagnare il controllo della propria vescica e impedire che quella si svuotasse subito, senza preavviso.
- Perché ci sparano? - aveva voglia di piangere.
- Non vogliono che ci avviciniamo.
Nadine strinse i denti e di scatto nuovamente alzò la telecamera che non aveva smesso di riprendere. Inquadrò di nuovo quella specie di lunga, strana isola che era di nuovo di fronte a loro. Alzò gli occhi e vide le tre sagome degli aerei da guerra in formazione virare per allontanarsi.
- Se ne vanno! - esclamò incredula.
- Macché... solo non riescono a starci dietro perché siamo troppo lenti. Si preparano a un altro passaggio.
Sentì le budella torcersi dolorosamente. Stava morendo di paura: volava a pochi metri dalla cresta delle onde, a tutta velocità a bordo di un aerogrifo che vibrava sotto la spinta del motore al massimo. Era diretta verso un'astronave aliena che si era immersa nell'oceano e che aveva deciso di riaffiorare lì, circondata da numerose navi militari che non volevano che lei si avvicinasse. Invece era proprio quello che doveva fare. Decise che se mai fosse uscita viva da quell'avventura, avrebbe dato un pugno in faccia al suo capo che l'aveva precipitata in quel casino.
Proprio pensando al suo iroso superiore si concentrò sulle immagini dell'astronave, abbastanza nitide grazie all'ottima qualità della telecamera che aveva avuto in dotazione. Notò uno strano bagliore colorato, cangiante, che alterava i colori dell'acqua vicino all'astronave aliena. Confrontò l'immagine che vedeva nel monitor della telecamera con quanto riusciva a scorgere attraverso il crilex della capotta. Effettivamente c'era un bagliore colorato: chiese al pilota se lo vedeva anche lui e quello confermò.
- Dev'esserci qualcosa nell'acqua – commentò l'uomo. Nadine osservò l'acqua e in effetti sembrava che si sollevassero spruzzi lungo tutta la fiancata dell'astronave, ma a una determinata distanza dallo scafo.
- Ma noi ci voleremo sopra. Ormai non possono più spararci senza rischiare di colpire anche l'astronave.
Nadine vide l'orizzonte e lo scafo alieno sparire sotto il cruscotto degli strumenti e sentì i suoi organi interni che cercavano di cambiare di posto. L'aerogrifo dondolò nel cielo per un tempo che le parve infinito: il pilota stava rallentando e per farlo più in fretta aveva portato in alto il muso del velivolo. Quando questo tornò orizzontale il motore si faceva sentire molto ma la velocità era parecchio ridotta rispetto a prima. Sotto di loro, vicinissimo, lo scafo della nave aliena che Nadine vedeva come un'isola fatta di un materiale insolito. Sembrava un insieme di bolle la cui superficie scura, bluastra, era percorsa da venature di qualche genere ancora più scure. Aveva più l'aspetto della pelle di un essere vivente piuttosto che quello dello scafo di una nave spaziale. Quegli alieni non sembravano conoscere le linee rette: non c'erano parti piane in vista, tutto era smussato, inclinato, curvo. Poi improvvisamente l'aerogrifo si inclinò di lato.
- Che fa? - disse lei spaventata.
- Cerco un posto dove posarmi. Non posso stare in volo per sempre.

A bordo del cacciabombardiere Tu-97 Leader India in missione di intercettazione.

- Leader India, confermo: si sono posati sull'obiettivo.
- Ricevuto, Leader India. Rimanete in CAP, mandiamo i frullini a rilevarvi appena possibile.
Il pilota tirò a sé il joystick e l'aereo obbediente sollevò il muso verso il cielo terso.
- Leader India a squadra, rimaniamo in zona ancora un po'. Via le dita dai grilletti e seguitemi.

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Capitolo 13
*** Capitolo 13 ***


L'altra metà del viaggio
13.

Sul dorso della nave aliena. Ventuno ore e trentadue minuti dopo l'inizio della discesa.

Nadine, seduta su una delle grandi gibbosità di quello strano scafo, si teneva la testa tra le mani. Stava male: aveva la nausea, la testa le girava per le vertigini. Non avere pareti intorno le causava attacchi di panico; faticava a mantenere l'equilibrio. Il vento freddo, un fenomeno a lei sconosciuto, nonostante fosse poco più di una brezza con deboli rinforzi di tanto in tanto, la terrorizzava inducendola a credere che avrebbe potuto cadere in mare da un momento all'altro.
Il pilota dell'aerogrifo, che le aveva detto di chiamarsi Ahmad Feisal Hussini, l'aveva fatta sedere e le aveva dato da bere del tè amaro versato da un contenitore termico che era incastrato sotto il suo sedile. Nadine non aveva mai bevuto nulla che avesse un sapore così forte e deciso e che si attaccasse in quel modo alla lingua e al palato, rimanendo a lungo in bocca. Ma il conforto di quella bevanda ancora calda non era sufficiente a scacciare la paura che le stava avvelenando il sangue.
Vomitò quasi subito dopo aver bevuto i primi sorsi. Il suo stomaco si rifiutava di accogliere quel liquido scuro dall'odore così intenso e inconsueto. Osservò il rivolo scivolare lungo la curiosa superficie inclinata dello scafo, seguendone le curve: non aderì nemmeno minimamente e sparì presto alla sua vista. Lì dove aveva sputato era asciutto e pulito. La tazza di plastica blu era posata tra i suoi piedi, mezza vuota. Si accorse di essersi schizzata le scarpe. Attraverso le lacrime che le gonfiavano gli occhi per il fastidio della accecante luce solare, vide Ahmad che faceva le riprese al posto suo.
- Non inquadrarmi mai – gli ingiunse, ma la sua voce era rotta e dubitò che fosse giunta fino all'uomo.
- Cerca di bere qualcosa, magari poi stai meglio. E guarda che ci si disidrata in fretta sotto il sole.
- Sto male – lo informò, troppo nauseata per comunicargli tutta la sua insofferenza. Ma possibile che non lo capisce da solo, si chiese stizzita. Si immaginò con un vago colorito verdastro sul viso. Una leggera brezza la investì di nuovo, spaventandola. Ma in quel punto lo scafo alieno era come una terrazza in lieve pendenza, incastrata fra gobbe dalla funzione sconosciuta. Capiva di essere al sicuro, ma non riusciva ad abituarsi. Non così in fretta. Non riusciva a guardare nulla di diverso dalle sue scarpe sporche.
La mano scura del pilota le apparve sotto il naso, il palmo aperto a mostrare una bustina dall'aspetto metallico. Appariva evidente che si trattava di un medicinale. Era una compressa grande come un bottone.
- Non masticarla, succhiala più lentamente che puoi.
Sulla busta metallica era stampigliato il logo e il nome di una nota casa farmaceutica. Ma roba del genere non ne aveva mai vista: forse si vende solo qui sul pianeta, per qualche ragione.
- Che roba è? - la voce le uscì così stranamente dalla gola che non le sembrò nemmeno sua.
- Allevia i sintomi del mal di mare.
Stava troppo male per mettersi a contestare: strappò la confezione a prova di umidità e posò la compressa sulla lingua. Sapeva di limone. Stava per gettare via l'involucro quando si rese conto che non era certo su Apollo. Sentì che quello non era il luogo adatto per abbandonare rifiuti con negligenza e noncuranza. Infilò l'involucro in una tasca della sua giacca, ripromettendosi di cercare un cestino più tardi. Le venne da ridere: era seduta sul dorso di un'astronave aliena in mezzo a migliaia di chilometri quadrati di acqua, sotto un sole assassino e circondata da tanto di quello spazio vuoto da farle venire le vertigini e la nausea... e pensava alla raccolta differenziata dei rifiuti. Si sentì stupida.
- Ho detto di non inquadrarmi!
Aveva osato alzare lo sguardo e il pilota stava ancora giocando con la telecamera. La mia telecamera, si rimproverò Nadine. Dovrei essere io a filmare: sono io la giornalista. Bell'esempio da tramandare alla storia: la prima cosa che riesco a fare su un'astronave aliena è vomitarmi sulle scarpe davanti alla telecamera.
- Hai visto che stai già meglio?
Quando ha smesso di darmi del lei costui, si chiese preoccupata.
- Mi porti qui quell'affare – gli ingiunse acidamente. L'uomo abbassò la telecamera e vi puntò un dito sopra.
- Cosa? Questa?
- Non faccia lo spiritoso... certo, quella!
- Vieni a prenderla.
Nadine lo guardò esterrefatta. All'improvviso, l'insubordinazione di quell'insolente pilota pazzo! Cos'altro avrebbe dovuto sopportare?
- Non faccia lo stupido – stava continuando a darle del tu. Non sono tua sorella, pensò. Ma esprimersi in maniera volgare sarebbe stato abbassarsi al suo livello. E la telecamera era ancora accesa. Se aveva una possibilità di redimersi di fronte ai posteri, doveva approfittarne.
- Dico sul serio. È tutta tua, ma devi venire qui.
È fuori discussione, si disse Nadine. L'uomo era piuttosto distante da lei. Almeno tre metri, giudicò. Tre metri... un baratro incolmabile in quel momento.
Tre metri, si ripeté.
Si alzò incerta, appoggiandosi con le mani alle ginocchia. Tre metri. Ora ti sistemo io.
Barcollando come un'ubriaca raggiunse il pilota, si aggrappò a lui con una mano e con l'altra gli tolse la telecamera. Lui sorrideva. Un bel sorriso chiaro e luminoso sul suo volto scuro. Aveva il sole alle spalle e lei era abbagliata. Gli sfilò gli occhiali scuri e li indossò subito.
- Hey! - protestò quello strizzando gli occhi contornati di rughe.
- Silenzio – lo rimbeccò subito lei, duramente – ora questi servono più a me che a lei. Così impara a fare lo spiritoso.
Erano troppo grandi, adeguati al largo viso dell'uomo, e doveva spingerli sul naso in ogni momento. Rimase aggrappata a lui e fece un paio di tarature alla telecamera, usando come soggetto l'aerogrifo in favore di luce. Notò appena che dietro qualcosa si stava muovendo, lontano, sul dorso della nave aliena. Non diede peso alla cosa: era ancora nauseata e tutto sembrava che ondeggiasse attorno a lei.
- Hai visto che vai già meglio?
Effettivamente si sentiva meglio. Quella compressa, che le si era appiccicata al palato sciogliendosi lentamente, sembrava essere efficace. Si chiese se non fosse il caso di farsene dare un'altra. Provò a registrare la sua voce abbinandola a delle immagini panoramiche, un possibile inizio di reportage. Qualcosa che sostituisse quel pietoso inizio che non aveva però il coraggio di cancellare. Era un documento storico, dopotutto.
All'improvviso Ahmad cominciò ad agitarsi e pronunciando monosillabi incongruenti indicò un punto oltre l'aerogrifo.
- Là! Laggiù! - riuscì a esclamare infine. Seccata per essere stata interrotta, Nadine volse istintivamente lo sguardo dove indicato. La frase di rimprovero le morì in gola.
C'era qualcosa. Si muoveva. Era enorme e si stava avvicinando. Con orrore, Nadine si rese conto che era dotato di un numero eccessivo di zampe articolate. Odiava gli insetti. Una volta aveva visto un documentario sui ragni e, pur avendo appreso che si trattava di creature molto comuni sul pianeta ma ospiti rarissimi sulle stazioni orbitanti, aveva dichiarato loro guerra senza quartiere. Non ne aveva mai visto uno davvero. Ma quello... quello era troppo per chiunque.
Si avvicinava lentamente, ma la sua velocità era superiore a quella di un uomo a piedi. Era giallo e blu, colori molto vivi, belli e brillanti: se solo non si fosse trattato di un incubo materializzato, Nadine avrebbe potuto apprezzare l'accostamento cromatico. Si avvicinava a velocità costante, arricchendo la sua figura di dettagli secondo dopo secondo. Alcune delle zampe erano più piccole, immobili, ripiegate sotto il ventre. Era un meccanismo. Un robot. La cosa la fece stare meglio, ma non molto: era di gran lunga più grande dell'aerogrifo. Strinse il braccio di Ahmad quando il robot superò con agilità una collinetta nello scafo che era troppo ripida per essere scalata da lei. Da un umano.
Si era fermato a pochi metri di distanza dal loro velivolo. Torreggiava splendente e sorprendentemente silenzioso. Si muoveva emettendo un sibilo appena udibile e non si sentiva alcun rumore di motori. Era un meccanismo oliato e preciso, apparentemente. Preciso in un modo... alieno.
Ahmad si espresse in modo trasognato, con parole incomprensibili. Lei lo guardò in tralice, accusatrice. Era severamente proibito parlare lingue diverse dallo standard. Ma almeno lui era riuscito a esprimersi. La sua lingua invece premeva con forza contro i denti, paralizzata. La mascella non voleva saperne di schiudersi. Si rese conto di stare strizzando il braccio di Ahmad con tutta la sua forza, tanto che i muscoli le dolevano. Ma lui non si lamentava.
- Oh, cazzo... cazzo... - mormorò l'uomo concludendo una lunga fila di parole pronunciate in chissà quale dialetto proibito. Nadine si svegliò dalla trance in cui era caduta, ricordandosi all'improvviso di avere una telecamera. Tremava un po' per la paura, ma fece una panoramica muta del robot mentre cercava di mettere insieme qualche parola per una descrizione.
- E adesso? - bisbigliò il pilota. Nadine lo odiò per aver interrotto il silenzio con quelle stupide parole. Adesso cosa, si chiese. Qualunque fosse la funzione del mostro tutto zampe che avevano davanti, rimaneva un mistero. Si era fermato ed era immobile e silenzioso. Lo osservò un poco: notò le zampe per camminare, qualcosa che sembravano occhi neri, messi un po' qui e un po' là. Ma non riusciva a mettere a fuoco l'intero oggetto: come se la sua mente si rifiutasse di accettarlo. Si concentrò sull'alternarsi dei colori: giallo brillante e un blu profondo, bellissimo. Cercò simmetrie, significati, segnali. Non ne trovò: quell'oggetto era troppo grande, troppo alieno per essere compreso immediatamente.
Il pilota soffiò dai denti un'imprecazione e lei fu tentata di rimproverarlo. In un momento così importante, l'unica cosa che veniva in mente a quell'uomo erano imprecazioni e commenti stupidi su quanto fosse grosso quel congegno alieno. Ma non gli disse nulla: stava solo osando quello che lei non poteva, dando voce anche ai suoi pensieri. Chissà che brutta figura stiamo facendo, si disse.
Osare. Tenne quella parola sulla punta della lingua. Il suo corpo tremava, stava piegata in avanti come se dovesse scattare in corsa da un momento all'altro. Osare, soppesò. Quante altre volte mi capiterà una cosa simile, si chiese. Quante altre volte potrò osare così tanto?
Appese la telecamera al collo di Ahmad e, visto che lui tardava a reagire, gliela mise in mano.
- Inquadrami sempre, qualsiasi cosa succeda.
L'uomo accennò a balbettare qualcosa, ma non mosse un passo per seguirla. Lei si diresse verso la zampa più vicina, ma non con la decisione che le sarebbe piaciuto mostrare. Poi, con un gesto che le portò il cuore a battere in gola, furioso e folle, alzò la mano destra, improvvisamente pesante come il piombo, e con molta cautela la posò sulla zampa gialla.
Era tiepido. Liscio, apparentemente metallico. Non fu folgorata da un raggio mortale, né alcuna orrenda chela affilata si tese per dilaniarle le carni. Non accadde nulla. Proprio nulla.
- È fantastico! - esclamò come ubriaca. Di fantastico c'era solo il fatto di aver osato: toccare quell'alieno e toccare un palo di metallo tiepido era la medesima cosa. Solo che la zampa era parecchio più grande.
- Vieni via! - la implorò Ahmad con voce rotta.
Nadine osò ancora, incoraggiata. Accarezzò la zampa, vi batté sopra la mano come per constatarne la solidità. Aggiunse anche la mano sinistra, vincendo la repulsione e la paura. Era sovrastata da un enorme ragno meccanico, gli stava toccando una zampa, stava morendo di paura. Ma era felice.
Dopo un po' di insistenze anche il pilota si convinse a raggiungerla e Nadine insisté affinché anche lui toccasse l'alieno. Come se il contatto fisico aiutasse a comunicare, a capire. A non avere paura. Girò intorno alla zampa, lo sguardo puntato in alto. Stare sotto il ventre del meccanismo era come stare all'ombra di una grande tenda, il cui interno era fantastico e impossibile. Ripiegate contro il ventre c'erano articolazioni un po' più piccole e corte, dalla funzione sconosciuta e inimmaginabile. Colori si inseguivano ovunque in macchie inintelligibili e indecifrabili: se in una determinata posizione predominava il blu, ecco che a poca distanza il giallo sopraffaceva tutto, tingendo ogni cosa col suo splendore quasi riflettente. C'era un silenzio innaturale: se ne accorse solo quando Ahmad si mise a ridacchiare.
- Che c'è di divertente? - Nadine procedeva cautamente, volgendo gli occhi sbarrati tutto intorno a sé. All'improvviso era in un mondo completamente estraneo: calcava un pavimento alieno, era sovrastata da una struttura aliena e il tutto era immerso in un mondo che le era completamente sconosciuto.
- Pensavo che nessuno mi crederà mai quando lo racconterò – le bisbigliò il pilota.
- Stai filmando tutto? - Nadine gli dava le spalle e non lo vide sollevare in fretta la telecamera, di cui l'uomo si era completamente dimenticato.
- Certamente – le rispose subito, inquadrandola.
- Guarda là! - esclamò lei d'un tratto, puntando un dito. Nel soffitto, la parte inferiore del robot, c'era un'ampia apertura circolare. Trasparente. Si avvicinarono lentamente, con prudenza.
- Occazzo! - Nadine era spaventata. Aveva visto qualcosa muoversi e si era pietrificata lì dove si trovava.
- Un occhio... enorme! - rispose balbettando al pilota che ancora non scorgeva nulla. Ma come fa a non vederlo, avrebbe urlato. Era sicura che fosse un occhio: grande e nero, ondeggiante come quello di un pesce in un acquario. Puntato su di lei.
- Gli alieni! Sono qui dentro!
- Quindi questo è un veicolo... - Ahmad si avvicinava a Nadine, non senza timore. Lei poteva sentire come dietro la sua banale osservazione si celava in realtà la paura dell'ignoto.
- Lo vedo! Eccolo! - alla buon'ora, pensò lei sentendo l'uomo bisbigliare dietro di lei.
La creatura si muoveva poco, ma dava la netta sensazione di essere immersa nell'acqua. Ciò la confortò molto: se era una creatura marina, non sarebbe uscita dalla sua vasca. Incoraggiata dal fatto di essere giunta da sola a tale conclusione, mosse altri passi. Voleva vedere ancora di più. Voleva sapere.
- Riprendi tutto! - ingiunse al pilota.
- Mi tremano le mani... - confessò quello con voce stentata.
- Fa niente: la telecamera riesce a compensare un po'. Se proprio non ci riesci, lasciala appesa al collo... funziona lo stesso.
Un guizzo improvviso, un guizzo di ombre dietro il vetro del portello, una sagoma fluida nuotò via. La mente di Nadine afferrò con ritardo ciò che i suoi occhi videro per un breve battito di ciglia. Ebbe di nuovo paura. Tentacoli. Lunghi, molti, e molto grossi. L'occhio alieno non era più lì.
- Non c'è più! - esclamò l'uomo – ottima osservazione, pensò lei non osando proferire parola. Era troppo spaventata, frastornata dal battito del suo cuore. Temeva che se avesse aperto la bocca, se avesse anche solo smesso di serrare i denti, tutta l'aria le sarebbe uscita dai polmoni e non avrebbe più potuto respirare. Inquadrami, gli avrebbe detto. Ma non poté.
A dar corpo alle sue paure peggiori, i suoi occhi avevano colto il silenzioso meccanismo del portello chiudere l'oblò trasparente con un movimento improbabile. A prima vista non le era nemmeno sembrato un meccanismo: dove prima c'era l'oblò di circa due metri di diametro, ora non c'era più nulla: solo una superficie liscia, gialla chiazzata di blu. Senza più il sole a scaldarle la pelle, Nadine sentiva la fredda aria del mare lambirla come una mano gigante ma delicata. Gli occhiali di Ahmad, dalle lenti enormi e nere, le erano scivolati fin sulla punta del naso. Pensò che se aveva freddo non era solo per colpa del vento. Tremava ancora, non riusciva più a tenere le ginocchia ferme e le strinse una contro l'altra. Era terrorizzata perché non sapeva cosa aspettarsi. Ignorava cosa sarebbe successo ancora. Tese una mano verso il pilota e lo afferrò per un braccio, cercando conforto. Non ne trovò: tremava anche lui.
In un attimo tutti i peggiori timori di Nadine si concretizzarono. Esattamente davanti a lei, oltre il perimetro di zampe del robot alieno, sotto la luce del sole che rendeva tutto più vivido e vero, cadde l'alieno. Lei sobbalzò e non poté impedire alla vescica di iniziare a svuotarsi.
Era grande. Diversi metri, valutò un angolo del suo cervello sorprendentemente rimasto analitico e freddo a sufficienza. Nel breve intervallo di tempo di cui la sua parte inconscia, quella dove albergava il più radicato istinto di sopravvivenza, ebbe bisogno per reagire, vide qualcosa che la colpì profondamente. All'improvviso dal bordo superiore qualcosa si precipitò giù, si distese fin quasi a toccare il pavimento gibboso e inclinato, dondolando aggrappato a chissà quale sporgenza per un istante lunghissimo. Poi cadde rovinosamente tra le zampe del veicolo, sotto i raggi del sole, con un rumore acquoso. Quando le capitava, non frequentemente come le sarebbe piaciuto, di potersi fare una doccia con l'acqua corrente, Nadine usava una grossa spugna. Il rumore che aveva appena sentito era molto simile a quello della spugna che, stracarica d'acqua, le cadeva pesantemente ai piedi. Vide molti tentacoli sollevarsi, arricciarsi, annaspare alla ricerca di qualcosa da afferrare. Vide una pozza d'acqua allargarsi sotto il corpo del colore della roccia, a chiazze scure; la vide raccogliersi in mille rivoli velocissimi che scorsero via asciugandosi subito. Vide di nuovo l'occhio: grande, nero, vitreo e senza palpebre. Ancora una volta, lo vide su di sé.
Poi l'istinto ebbe la meglio e Nadine corse via.

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Capitolo 14
*** Capitolo 14 ***


L'altra metà del viaggio
14.

Non c'era molto spazio dove andare. Si diresse dalla parte opposta rispetto alla creatura e presto dovette fermarsi: non c'era più spazio. Bloccata dalla conformazione esterna dello scafo alieno che ergeva tutto intorno a lei colline di quel metallo strano, brunito a tratti, ricco di venature e trame intricate, dovette fermarsi. Ahmad era vicino a lei, col fiato grosso e gli occhi strizzati per difendersi dalla luce del sole. Di fronte a loro il colonnato pressoché circolare di zampe meccaniche, sovrastato dal veicolo splendente nei suoi colori sgargianti. Poco oltre l'alieno. Vero, incontestabile, reale. Un polpo di dimensioni sconcertanti, i cui tentacoli si muovevano tutti insieme, indipendenti. Presto si accorse che stava dibattendosi per fare qualcosa. Ma cosa? Lo osservò inarcarsi, contrarsi, estendersi con tutto il corpo, una specie di sacca gonfia con delle creste che la percorrevano nel senso della lunghezza. L'occhio, vicino a dove i tentacoli si diramavano, grossi come una sua coscia o forse di più, sembrava guizzare disperato. Stava cercando di trascinarsi. Visto che l'alieno era ancora fermo lì dov'era caduto, la paura la abbandonò lasciandole il cervello libero di pensare meglio. L'alieno era in difficoltà. Ma certo! Si sorprese di quel ragionamento così lucido, fino a pochi secondi prima del tutto impossibile. Era davvero una creatura del mare! Aveva bisogno dell'acqua e ora stava soffrendo! Come se l'essere avesse potuto sentire i suoi pensieri, arricciò penosamente un lungo tentacolo nella sua direzione. Poi lo lasciò cadere, torcendolo e unendolo agli altri che stavano inutilmente impegnandosi a trascinare il corpo.
- Sta male! - esclamò Nadine quando fu evidente che gli inutili sforzi compiuti dall'alieno per spostarsi stavano scemando di intensità.
- Sta soffrendo! - sbottò irosa contro il pilota, che non faceva altro che guardare con occhi sbarrati l'alieno contorcersi nella luce del sole.
- E che cazzo dovrei fare io? - reagì finalmente quello di scatto, ma la sua voce tradiva ancora paura.
Nadine si fece forza: costrinse le sue mani ad allontanarsi dal cavallo dei pantaloni inzuppato di urina che la infastidiva oltre misura. Avrebbe voluto lavarsi immediatamente. Camminando con le ginocchia strette si avvicinò all'alieno, badando a stare alla larga dai tentacoli. Ciò la costrinse a fare un percorso più lungo. Ebbe un tuffo al cuore quando si accorse che l'occhio lenticolare, grande come il palmo della sua mano, si era orientato verso di lei e l'aveva seguita un passo dopo l'altro. Incoraggiata dal fatto che i poderosi tentacoli non accennavano a smettere di spingere il corpo dell'alieno, con scarsi risultati, si avvicinò. Sentì un rumore liquido: da sotto il corpo affusolato ancora un po' d'acqua scorse via, probabilmente rilasciata dall'alieno. Capì che, a modo suo, la creatura stava trattenendo il fiato e che non ce la faceva più.
Come in un sogno, frastornata Nadine si inginocchiò vicino all'alieno e con le mani lo toccò, alla ricerca di un punto per sollevarlo. Odorava in modo curioso, come nulla avesse mai sentito prima. Al tatto era caldo, liscio, compatto. La pelle dava l'idea di essere spessa, ma quando cercò di spingere quella cedette. Sentì la creatura fremere e per lo spavento si ritirò. Era pesantissimo: per lei sola, inamovibile.
- Aiutami! - gridò all'uomo, che era rimasto imbambolato con la telecamera al collo. Dovette ripetere più volte l'invito, arrivando anche agli insulti, prima che quello trovasse il coraggio di raggiungerla.
- Spingiamolo in acqua – si guardò intorno: lo scafo era scosceso in più punti. Non era un caso se Ahmad aveva faticato a trovare un posto dove fermare l'aerogrifo, anche se poteva atterrare verticalmente.
Individuarono il punto più facile da scavalcare e iniziarono a trascinare l'alieno. Quello dette dimostrazione di aver capito: coi robusti tentacoli si spingeva abbastanza da rendere l'impresa possibile. Nemmeno con l'aiuto di Ahmad ce l'avrebbe fatta a sollevare quel corpo pesantissimo.
Vinta ogni remora Nadine si fece sotto per avere la presa migliore. Ma l'alieno era umido, le mani scivolavano in continuazione. Ahmad le fece notare la presenza di una specie di guscio rigido, dove correvano le lunghe creste sporgenti. L'alieno smise di fremere, dando l'idea di gradire il nuovo punto di appoggio scelto da lei e dal pilota per sospingerlo.
In breve Nadine fu stremata dallo sforzo. L'alieno era davvero pesante e superare la prima gibbosità era stata per lei una fatica immane. Era scivolata e caduta due volte e si era fatta male a un gomito. Gli occhiali di Ahmad le erano caduti e ci aveva messo sopra un piede senza volere, rendendoli inutilizzabili. Spinsero l'alieno oltre la cima della gobba bruna e si lasciarono scivolare insieme a lui lungo la breve discesa. Nadine aveva il fiato tra i denti.
- Forza, di qua è più facile! - esclamò Ahmad dalla cima di una collinetta metallica lì vicino. Accecata dal sole, fradicia di sudore e provata dalla paura, Nadine lo maledisse, e maledisse se stessa per l'idea avuta. Sarebbe stato più comodo avere uno scheletro di polpo extraterrestre da esaminare, si disse in preda alla debolezza. Poi il suo sguardo tornò all'occhio della creatura: era inespressivo, una semplice lente nera. Per un attimo le sembrò di scorgere una pupilla contratta a spillo, al centro di un'iride di una diversa sfumatura di nero. La creatura non aveva smesso di tentare pateticamente di sospingersi: senza il loro aiuto non aveva speranze. Vinta ogni remora, accantonata la paura, Nadine si posizionò meglio che poté per fare forza con gambe e braccia e ricominciare a trascinare l'alieno.
Giunti in cima alla collinetta di metallo, ebbe un capogiro. La discesa, dapprima dolce e lentamente digradante, si faceva poi piuttosto ripida. Un secondo orizzonte, vertiginoso, tra lo scafo e le onde dell'oceano cupo. Il vuoto improvviso, il vento più forte, lo strapiombo: troppo, per lei. Era nata e cresciuta in un ambiente chiuso: aveva avuto un lieve malore la prima volta che aveva visto il pozzo gravitazionale di Apollo, un ambiente vastissimo dove, quando non c'era foschia, era possibile vedere perfino il lato opposto “appeso” a testa in giù. Si contrasse di paura di fronte alla vastità dell'oceano, di fronte all'orizzonte inavvicinabile. Lo strapiombo, lo scafo in discesa parve attirarla con una forza sconosciuta. Perse l'equilibrio gemendo e annaspò per tornare indietro, al sicuro. Dove solo il cielo azzurro e infinito la opprimeva con la sua incomprensibile vastità e col suo vuoto orripilante.
- Dai che è fatta! - udì la voce di Ahmad come se provenisse da molo lontano. Riconobbe i sintomi: attacco di panico. Vertigini. Stava male e non vomitava solo perché il suo stomaco era vuoto. Cercò la pastiglia appiccicata al palato: sciolta. Non le era rimasto nemmeno l'aroma di limone.
- Una spintarella e va giù da solo!
Una spintarella, si ripeté Nadine. Vide il colossale veicolo dalle molte zampe. Non le sembrava molto lontano. Una spintarella, una sola, si disse rialzandosi. Guardò per terra per non vedere la distesa di acqua, per non vedere la pendenza. Ahmad aveva spinto un poco l'alieno che, forse resosi conto della vicinanza dell'acqua, si dibatteva con rinnovata energia. Lo faccio per te, bestiaccia, pensò Nadine cercando un appoggio per fare l'ultimo sforzo.
- Al tre, pronta? Uno, due...
Al tre Nadine dette tutto quello che le era rimasto nell'esile corpo. Spinse forte la corazza dell'alieno, la spinse verso la discesa, verso l'acqua dell'oceano. Spinse con le gambe e con le braccia, così tanto che la sua vescica la tradì di nuovo. Spinse gridando per lo sforzo, un grido che rimase mozzato a metà quando il piede più vicino al pendio scivolò facendole perdere l'equilibrio.
Si rotolò immediatamente sulla pancia, per istinto. Divaricò braccia e gambe, alla ricerca di una presa. Sbatté il mento, dolorosamente, e cominciò a scivolare. Sentiva la superficie dello scafo alieno scorrere sulla sua pelle del ventre e del torace, sentiva il metallo liscio e caldo attraverso gli abiti, sentiva la forza di gravità del pianeta, così nemica per lei abitante dello spazio. Slittò per diversi metri, acquisendo velocità, gridando inutilmente. Poi i piedi trovarono un ostacolo e la sua scivolata si interruppe. Il dolore alla caviglia sinistra sembrò trapassarle il cranio, ma si attenuò subito un poco: è la paura, pensò. Irrigidita, non osava muoversi. Era in bilico sulle punte dei piedi, appoggiata sul ventre in posizione quasi verticale. Non vedeva altro che il metallo dell'astronave, non osando scostare la testa. Anche il vento le era nemico: aumentato d'intensità, sembrava voler fare tutto ciò che era in suo potere per staccarla da lì e farla cadere. Sentì il pilota gridare qualcosa, ma era troppo lontano. Nadine si spaventò: troppo lontano per raggiungerla, per fare qualcosa, per salvarla. Fu allora che si rese conto di un rumore nuovo: l'acqua. Sotto di sé le onde si frangevano contro il fianco dell'astronave, rumorosamente, con forza. Quelle che viste dall'alto le erano parse innocue bizzarrie di quella enorme massa d'acqua erano in realtà grandi e forti, rumorose. Ne arrivò una più forte delle altre, che la fece sobbalzare.
Fu questione di un istante. Un solo istante le bastò per precipitare. Un minimo movimento del piede, alla disperata ricerca di una posizione meno dolorosa per la caviglia traumatizzata. La punta del piede perse aderenza, tutto il corpo si sbilanciò e riprese a scivolare. Veloce, sempre più veloce: il gomito sinistro sbatté con forza contro qualcosa di molto duro, il dolore le offuscò la vista. Il calore dell'attrito sulla pancia divenne insopportabile, ma come per magia lo scafo si allontanò da lei, inesorabilmente, gettandola ancora più nel panico. Stava cadendo: una lunga, interminabile vertigine. Gridò, agitò braccia e gambe alla ricerca di appigli che non c'erano mentre cadeva di schiena, la bocca spalancata in un grido acutissimo diretto al cielo.

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Capitolo 15
*** Capitolo 15 ***


L'altra metà del viaggio
15.

Cadde di schiena, e l'impatto fortissimo e bruciante le mozzò il respiro. Poi l'acqua l'abbracciò, cercò di entrarle nel corpo da ogni parte: bocca, naso, orecchie. Annaspò furiosamente in preda al panico: nell'acqua la vertigine di non avere nulla intorno era pari a quella di una caduta nel vuoto. In più l'acqua voleva afferrarla e trascinarla, voleva entrarle dentro. Era nemica. Ed era gelida.
Un ricordo stupido le attraversò la mente come un lampo. Chiacchierando coi colleghi in redazione, le avevano detto di fare caso al fatto che quando faceva la doccia con l'acqua, tratteneva sempre il fiato mentre si bagnava la faccia. Era vero: Nadine aveva fatto la prova, scoprendo di non poter respirare mentre il sottile getto della doccia le bagnava il viso, pena il terrore di affogare. Che spavento quando ci aveva provato! Aveva sentito l'acqua calda accennare a salirle su per il naso, occludendolo. Aveva tossito, spaventata, e subito spostato la testa via da sotto il getto.
Lì non poteva scappare. L'acqua si chiuse sopra di lei mentre i suoi polmoni erano contratti, senza aria a sufficienza. Si dibatté ancora di più, ma vide l'acqua azzurra ispessirsi, diventare scura. Guardò lontano quanto possibile: tutto era buio sotto ed era lì che stava cadendo. Forse è così la morte, pensò meravigliandosi che un angolo del suo cervello allagato di panico riuscisse ancora a pensare. La morte è quando tutto si fa buio intorno.
Qualcosa le si strinse intorno. Qualcosa di forte, molto forte e grande le cinse il petto intorno al seno, le afferrò una coscia proprio sotto l'inguine, poi ancora il ventre. Qualcosa la proiettò a velocità fantastica verso l'alto, verso la luce, verso l'aria. L'acqua le premeva la pelle, le rombava nelle orecchie. Grazie a quella forza poderosa lei esplose in superficie, prendendo una boccata d'aria disperatamente.
Spire. Si afferrò con le mani a ciò che la sosteneva fuori dall'acqua, all'affannosa ricerca di un appiglio. Erano i tentacoli dell'alieno. Le avevano circondato il corpo, la stringevano con fermezza e delicatezza al tempo stesso, la tenevano fuori dall'acqua dalle ginocchia in su, solide come il metallo. Nadine respirava e tossiva, riempendosi i polmoni di aria. Stava soffrendo il freddo: anche se la presa del polpo alieno era tiepida, i vestiti fradici d'acqua le stavano gelando le membra. L'acqua stessa era fredda, nonostante il sole. Nadine aveva ancora paura: di cadere in acqua, di affogare, del suo salvatore. Esso cercava di assecondare i suoi movimenti, forse perché temeva di farle del male. Così facendo però la intimoriva: era terrorizzata al pensiero che quello la lasciasse andare e ogni tentativo di contorcersi per restare dritta otteneva il risultato opposto.
Rumore. Un rumore nuovo alle sue spalle. Nadine gridò e si contorse nuovamente, alterando ancora la sua posizione. L'alieno non sembrava capire che lei non gradiva la posizione orizzontale. Non ne poteva più di vedere quel cielo vuoto: la sgomentava. A dire il vero, non ne poteva più di quel posto: di quella massa d'acqua enorme e pericolosa, di quel vento freddo che la toccava ovunque senza posa, di tutto quello spazio senza nemmeno una stanza dove andare a rinchiudersi.
Il rumore si avvicinava sempre di più: sembrava un motore, unito allo sciabordare dell'acqua. Poi una voce umana amplificata da un megafono cominciò a incoraggiarla, esortandola a non preoccuparsi e a smettere di agitarsi. In risposta lei lanciò uno strillo isterico, agitandosi con vigore. Il rumore del motore diminuì e l'alieno, di cui non vedeva nulla oltre i tentacoli, cominciò a girarsi. Una barca. Non ne aveva mai vista una dal vero: su Apollo non c'erano posti per far navigare una barca. Non c'era acqua abbastanza, non tutta insieme. Sul bordo della barca c'erano molti marinai in divisa premuti contro il parapetto: si trattava di militari. Da brava giornalista Nadine li avrebbe riconosciuti anche solo fiutandoli. L'alieno la sollevò più in alto per avvicinarla a tutte quelle mani tese. Sentiva le voci accavallarsi una sull'altra; vide una barella e un medico e si rese conto che erano lì per lei. Poi tutte quelle mani, così piccole e sgraziate al confronto con la solida presa della creatura, la afferrarono stringendola, moleste. Si ricordò d'aver battuto il gomito, gridò per il dolore. Era quasi sul ponte, in mezzo agli uomini. Sentiva l'odore acre del loro sudore, era infastidita da tutte quelle voci. Poi i tentacoli allentarono la loro presa e la lasciarono delicatamente, sorretta dai suoi simili. La sensazione di abbandono, di perdita che la colse in quel momento fu tale che, unita alla certezza di essere in salvo, la fece crollare a pezzi in un pianto inarrestabile.

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Capitolo 16
*** Capitolo 16 ***


L'altra metà del viaggio
16.

- Sembra che tu non ti sia mai messo un cheongsam in tutta la tua vita!
- Esattamente... proprio come non mi sono mai trovato dentro una di queste lattine orbitanti!
Nadine terminò di aggiustare l'abito di Ahmad, un elegante cheongsam da uomo, blu con dei bellissimi ologrammi sul colletto e coi pantaloni coordinati. Anche lei ne indossava uno, molto elegante e sexy con lo spacco lungo tutta la coscia sinistra. L'aveva preteso su misura, giallo e blu, con chiazze che imitavano ciò che aveva visto solo pochi giorni prima.
- Allora, stammi bene a sentire, pilota da strapazzo: ora non sei sulla Terra, non stai pilotando un aereo. Sei dietro le quinte dello spettacolo più seguito di tutto il fottuto palinsesto di Network 23, dove io fino a ieri lavoravo come una sguattera. Ora ho la possibilità di fare il colpo grosso, ce l'ho davanti, devo solo allungare la mano e prenderla. Sto parlando di telecamere, celebrità e di un sacco di soldi. Anche per te. Sei una star anche tu adesso, approfittane. Potrai comprarti un aereo bellissimo, tanto per parlare una lingua che capisci. Mi sono spiegata?
Nadine, fino a quel momento frenetica ma precisa come un laser chirurgico, si fermò e piantò i propri occhi fiammeggianti in quelli dell'uomo. Ripulito e truccato sembrava quasi carino.
- Capito – disse quello con sufficienza, infilandosi un dito nel colletto che lo infastidiva.
- Tu non hai capito un cazzo – le rispose quella, tesa – Devi fare quello-che-dico-io, intesi?
- Va bene, va bene! - esclamò quello alzando le mani in segno di resa. Era come cercare di discutere con una tigre affamata.
- Va bene un cazzo, invece. Se va storto qualcosa per colpa tua, ti strappo i coglioni e me li mangio. Per iniziare.
Nadine era nervosa, al limite dell'isterismo. Si tolse con uno strappo deciso la costosa sacca di nanoidi medicali che aveva intorno al gomito e la gettò via, noncurante. Controllò il braccio, nudo fino alla spalla e ornato di gioielli intorno al polso e al bicipite. Li aveva avuti in prestito da un'amica. Doveva essere tutto perfetto e invece le doleva il gomito, le scarpe erano strette, la caviglia le sembrava ancora gonfia, l'abito la faceva sembrare una cicciona e il truccatore l'aveva pettinata male, a suo dire. Inolte, senza mezzi termini, il suo capo le aveva detto di fare a brandelli la Delore o di non farsi mai più rivedere. Aveva ancora lo stomaco di pietra per la paura poiché sapeva che il suo capo non stava affatto scherzando.
- Ti odio – disse duramente, rivolta al pilota che si aggiustava le maniche dell'abito.
- Perché? - sorpreso, ma non troppo, Ahmad passò in rassegna le proprie scarpe.
- Perché sei tranquillo.
- Ma stai tranquilla anche tu... sei come una gatta inferocita dal primo momento che ti ho vista, oggi. Calmati, no?
Nadine distolse gli occhi dall'uomo e si voltò altrove. Secondo l'orologio a parete lo spettacolo era cominciato da tre minuti e mezzo. La Delore stava di certo preparandosi allo scontro. Sarebbe andata in onda con una coreografia reale, pubblico compreso, come piaceva a lei. Veri esseri umani, non simulazioni grafiche ultra-realistiche telecomandate dalla regia. Gente che avrebbe applaudito, forse. O riso, fischiato, manifestato il loro stato d'animo incuranti di lei. Pedine nelle mani della Delore, abile manipolatrice. Nadine sentiva che avrebbe potuto mettersi il mondo sotto quei tacchi alti, quella sera. O almeno una parte di esso. La Delore avrebbe potuto sbattersi quanto più poteva: non era lei quella finita sul dorso di un'astronave. Io, si disse Nadine cercando fiducia in se stessa, raccogliendo la determinazione a tenere la testa alta. Sono stata io. L'ho toccato io per prima, l'ho visto io per prima. Io c'ero, lei no. Il primo contatto è roba mia.
L'assistente di scena, ancora più nervoso e irritabile di lei, li chiamò entrambi. Era il loro momento.

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