La scelta di Elisabeth

di Moon
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** PROLOGO ***
Capitolo 2: *** LA GRANDE OCCASIONE ***
Capitolo 3: *** UN INCONTRO INASPETTATO ***
Capitolo 4: *** LE COSE NON SONO MAI FACILI COME SEMBRANO ***
Capitolo 5: *** DUBBI E RIPICCHE ***
Capitolo 6: *** .....TREGUA? ***
Capitolo 7: *** IL CONSIGLIO DI UN AMICO ***
Capitolo 8: *** UN FAVORE DA RICAMBIARE ***
Capitolo 9: *** LA CONFESSIONE DI ELISABETH ***
Capitolo 10: *** NUOVE SENSAZIONI ***
Capitolo 11: *** GIOCHI NELL'ACQUA ***
Capitolo 12: *** UNA CENA RICCA DI SORPRESE ***
Capitolo 13: *** NE' CON TE ... NE' SENZA DI TE ***
Capitolo 14: *** L'IMPREVISTO ***
Capitolo 15: *** SCOPERTE, ... FUGHE... E LA GRANDE CORSA! ***
Capitolo 16: *** WILLIAM ***
Capitolo 17: *** IL CHIARIMENTO ***
Capitolo 18: *** TEMPO DI DECISIONI ***
Capitolo 19: *** UNA CHANCE PER ORLANDO ***
Capitolo 20: *** EPILOGO ***



Capitolo 1
*** PROLOGO ***


Questa storia è stata scritta per divertimento

Disclaimer:Questa storia è stata scritta per divertimento. Non è mia intenzione offendere Orlando Bloom o mancargli di rispetto,trattasi solo di pensieri e fantasie tradotti in parole. Ovviamente le situazioni da me descritte sono esclusivamente frutto della mia immaginazione.

PS: Carissimo Orlando so che sei un ragazzo di spirito,quindi se nella più remota delle ipotesi, tu dovessi imparare l'italiano, e leggere le mie storielle, confido nel tuo senso dell'umorismo e nella tua benevolenza ^-^

 

 

NOTA: E' la prima fic lunga. E' una fic un pò particolare, dove ho immaginato un Orlando un pò avanti nel tempo, diciamo un paio d'anni circa. Lo troverete alle prese con il mal d'amore, molto tormentato e anche un poco cattivello, ma solo perchè soffre ^-^. ( poverino lo mettiamo sempre in mezzo nelle nostre fic!!).  Non ero del tutto sicura se farvela legger, ma insistono col dirmi di pubblicarla! ^-^ Quindi fatemi sapere onestamente se vi piace, altrimenti la cancellerò!

 

 

Capitolo uno: PROLOGO

 

 

Orlando era davanti allo specchio del bagno con il capo chino verso il basso e impugnava i lati del lavabo con tale forza che le nocche delle mani gli erano diventate bianche.

Non era tanto la rabbia a sconvolgerlo, ma piuttosto il dolore sordo che gli attanagliava lo stomaco.

Erano passati cinque anni, ma il ricordo di lei non era mai svanito del tutto. Col tempo però sembrava essersi affievolito, come la fiamma di una candela che a poco a poco si consuma. Ancora una volta il destino beffardo e spietato gli aveva giocato davvero un brutto scherzo. Lei era lì, praticamente vicinissima a lui, forse solo qualche isolato più in là. Non era preparato a questo e si sentiva perso, proprio come quella sera in cui lei lo aveva abbandonato senza una parola, sparendo all’improvviso, nel buio, tra la folla.

Si dava dello stupido, odiando quello che continuava a provare.

Amore.

Un sentimento illogico, prepotente, devastante che stava urlando dentro di lui, come un fiume che ha rotto gli argini e travolge tutto ciò che incontra. Se ne era accorto all’improvviso quando si era reso conto di averla persa per sempre.

Da prima quando lei lo aveva abbandonato, senza alcun motivo apparente, senza alcuna spiegazione logica, lui era rimasto sconvolto, incredulo, ferito. Aveva tentato in tutti i modi di parlarle, di capire, di sapere, ma era stato tutto inutile. Da parte di lei era calato un silenzio gelido a scudo di una rottura definitiva e insanabile.

Dopo aver scoperto di amarla, l’aveva odiata e aveva cercato di dimenticarla tra le braccia di cento, mille altre, ma era impossibile, nessuna era riuscita a sostituirla. Rassegnato si era gettato a capo fitto nel lavoro, girando un film dopo l’altro. Era stata la medicina migliore. Lavorare lo rendeva felice e appagato e sembrava aver alleviato la sua sofferenza.

Ora sembrava tutto inutile perché era come se di colpo fosse tornato al punto di partenza. Questa volta però lei non l’avrebbe passata liscia, questa volta lui avrebbe preteso una spiegazione, a qualsiasi costo. Il destino gli aveva dato una chance irripetibile e lui, per quanto potesse essere dura, sarebbe andato fino in fondo.

Fu con questo pensiero che alzò la testa. Si fissò nello specchio, si ravviò un ciuffo ribelle e si disse Che lo spettacolo cominci, io sono pronto. Si raddrizzò il nodo della cravatta e si avviò verso la porta.

 

La folla urlava impazzita all’arrivo delle star, era la sera della prima mondiale di Kingdom of Heaven a Los Angeles e Orlando si apprestava ad attraversare il fatidico tappeto rosso, per fare il consueto bagno di folla, prima di assistere alla proiezione del suo ultimo lavoro.Il suo stato d’animo non era certo tranquillo ma dal suo viso non traspariva nulla, sorrideva e stringeva mani, firmando autografi, mettendosi in posa per le foto, scherzando e ammiccando.

“Orlando ti amo!” gli urlò una fan.

“Ti amo anche io! Vi amo tutte!” rispose lui come da copione, mandando in delirio     chiunque fosse presente.

Quella sera gli risultava più faticoso del solito rispondere alle frasi sconnesse dei fans, alle inutili domande dei giornalisti, ma era il suo lavoro e lo portò al termine con la professionalità che da sempre lo contraddistingueva.

Durante il party dopo la proiezione, si lasciò andare e bevve più del dovuto, così il suo assistente fu costretto ad accompagnarlo in camera, dato che non si reggeva in piedi. Del resto il giorno seguente sarebbe stato la prova del nove, solo l’indomani avrebbe saputo definitivamente ciò che gli interessava.

 

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Capitolo 2
*** LA GRANDE OCCASIONE ***


Questa storia è stata scritta per divertimento

Capitolo due: LA GRANDE OCCASIONE

 

Quella mattina Elisabeth si alzò molto presto, non aveva dormito bene, anzi non aveva dormito affatto. Si stiracchiò un po’ e alzò il ricevitore per chiamare la reception, ma un lieve bussare alla sua porta la interruppe.

“Liz sei sveglia?”.

“Sì Paul” rispose lei “Stavo chiamando la reception per la colazione, non mi va di scendere”.

 “ Ci ho già pensato io, ti aspetto nel salottino”.

 “ Okay” rispose lei.

Paul era innamorato di lei ed Elisabet lo sapeva. I patti tra loro però erano chiari, si frequentavano, ma lei non voleva legami d’alcun tipo. Non era pronta.

In realtà il suo cuore aveva smesso di battere cinque anni prima e da allora non era più stata capace di provare alcun sentimento forte, se non per William, suo figlio.

Le mancava da morire il suo frugoletto che non stava fermo un attimo. Istintivamente prese il ricevitore e chiamò casa.

 “ Pronto? Ma chi è?” le rispose sua madre con la voce impastata dal sonno.

 “ Ma’, sono io. Willie che fa? Dorme?”.

“Liz, ma sei tu? Benedetta figliola, certo che dorme qui è notte fonda!” .

“ Lo so, ma mi manca da morire. Avevo voglia di sentire la sua vocina. Da quando è nato è la prima volta che sono così lontana da lui”.

“Ti capisco bambina mia, ma non mi pare il caso di svegliarlo. Chiama più tardi e potrai parlarci tutto il tempo che vuoi”.

 “Hai ragione, scusami. A volte mi comporto proprio come una mamma chioccia, ma lui è la cosa più importante della mia vita. Senza di lui mi sento incompleta” sopirò Elisabet.

“ Oh cara, chi meglio della tua mamma può capirti.Questo lavoro è una grande occasione per te! Essere chiamati a Los Angeles, non capita tutti i giorni. Stai tranquilla ci sono io con Willie. E’ in buone mani”.

“ Certo ma’, non avrei potuto lasciarlo in mani più fidate. Ci sentiamo più tardi e scusami ancora se ti ho svegliata”. Così dicendo appese il ricevitore.

 

Quando Paul la vide entrare nel salottino che divideva le due camere della loro suite, pensò che era perfetta. Come al solito. Indossava un tailleur pantalone che le calzava a pennello e aveva i capelli raccolti in un morbido chignon.

“Buon giorno” gli disse lei, sfiorandogli la guancia con un  bacio distratto.

 “ Oggi è il gran giorno, Liz. Finalmente sapremo chi è il misterioso vip a cui dovrai arredare la casa. Sono così orgoglioso di te tesoro”.

“ Io invece sono molto agitata. Spero di essere all’altezza. E poi se devo essere sincera tutti questi misteri mi rendono nervosa” esclamò lei sorseggiando il suo caffè e addentando una morbida ciambella.

“ E’ una pratica abbastanza comune. Le star tendono ad essere quasi maniache nella cura della loro privacy”.

 

Lo studio di architettura di Paul era stato contattato sei mesi prima dal segretario personale di un personaggio molto in vista ad Hollywood. Il segretario, che si chiamava Bill Martin, aveva spiegato che il suo cliente preferiva rimanere anonimo per questioni di sicurezza. Da ciò Paul ne aveva dedotto che doveva essere un pezzo da novanta. Bill aveva fatto capire che il suo capo aveva recentemente acquistato casa a Los Angeles sulle famose colline di Hollywood. Essendo rimasto folgorato dopo aver visto un arredo fatto da Elisabet, voleva assolutamente avere la sua consulenza per sistemare la sua nuova residenza. Dopo una serie di accordi e telefonate erano arrivati alla conclusione che lui e Liz sarebbero volati a Los Angeles per definire la faccenda.

 “Ti immagini se l’uomo del mistero fosse Tom Cruise o che so, Russel Crowe!” esclamò divertito Paul.

“ Preferirei Cruise tra i due. Crowe mi sembra un tantino meno gestibile, stando a quello che si dice” commentò Elisabet stando a gioco.

Nonostante tutto pero era terribilmente in ansia. Era comprensibile che lo fosse.Del resto quello poteva essere un trampolino di lancio favoloso che avrebbe potuto portare una svolta decisiva nella sua carriera di architetto. Continuava a ripetersi che il suo stato d’animo dipendeva da quello, ma in fondo in angolino buio e nascosto del suo animo sapeva che non era così. Era a Los Angeles e sapeva che anche lui era lì.

Solo questo bastava a farla sentire come un cucciolo impaurito. Scacciò immediatamente quei pensieri molesti, imponendosi la calma.

“Allora andiamo? L’appuntamento è tra un’ora. Il traffico di Los Angeles è famoso per essere infernale. Non vorrei arrivare tardi e fare subito una cattiva impressione”.

 

L’appuntamento era fissato in centro, al sessantaquattresimo piano di un grattacielo. Liz e Paul erano nell’anticamera, una stanza arredata elegantemente ma molto asettica che assomigliava a mille altre già viste. Elisabet stava giusto facendo queste considerazioni quando la segretaria la invitò nell’ufficio legale. Furono accolti da un omino basso e grassoccio con due occhietti furbi che molto gentilmente li fece accomodare e mise nelle mani di lei un contratto di lavoro. Spiegò brevemente che il suo cliente ci teneva all’esclusiva e che la clausola che vi era stata introdotta era la parte fondamentale del contratto. Se lei non l’avesse accettata non se ne sarebbe fatto di niente.

Elisabet lesse attentamente il suo contratto e fu folgorata dalla cifra del compenso: centocinquantamila dollari. Una somma da capogiro. Immediatamente pensò che con una cifra del genere avrebbe assicurato il futuro di William, ma la famosa clausola la rendeva titubante.

 

Con l’accettazione tramite firma apposta su questo atto, la controparte si impegna non solo a portare a termine il lavoro nei tempi e modi pattuiti dopo la presa visione dell’immobile, ma altresì a rispettare i termini del contratto che non potrà mai essere recesso in nessun caso e per nessun motivo. Pena il pagamento di una penale pari al doppio del compenso pattuito.

 

“Avvocato mi scusi, ma questa clausola mi sembra un po’ eccessiva”.

 “Capisco il suo punto di vista signorina Barlow, ma il mio cliente l’ha posta come condizione assoluta e irrinunciabile. Vede, lui non vorrebbe ritrovarsi con il lavoro a metà, o peggio ancora, con la casa rovinata da un altro architetto”.

“ Si, comprendo perfettamente, ma se non le dispiace vorrei pensarci un po’ su prima di dare una risposta definitiva”.

 “Mi dispiace, ma deve decidere subito. Il mio cliente vuole iniziare i lavori prima possibile. Se lei non è disposta ad accettare sarà costretto a rivolgersi altrove”.

Il suo cliente mi sta proprio sulle scatole! Avrebbe voluto rispondergli Elisabet,ma si trattenne. Fece una pausa e pensò al suo piccolo Willie: con quella cifra avrebbe potuto anche pagargli il college. Prese fiato e dichiarò “ Accetto. Dove devo firmare?”.

“Liz se non sei sicura non dovresti firmare” le disse protettivo Paul.

 “ Sono sicura Paul. Voglio questo lavoro” quindi prese la penna e firmò il contratto.

 

 

“ Signor Bloom? Sono l’avvocato Jacksons. L’affare è andato in porto. La signorina Barlow sta venendo da lei per fare la sua conoscenza e per prendere visione della casa. A occhio e croce massimo tra un ora sarà lì”.

Orlando ripose il cordless e si massaggiò la nuca con la mano destra. Bene, tra poco lei sarebbe arrivata. Si diresse in cucina e aprì l’ultimo cassetto del mobile alla sua destra, ne estrasse un pacchetto di Marlboro e si accese una sigaretta. Aspirò una lunga boccata. Quanto era che aveva smesso di fumare? Tre anni? Quattro? Non aveva importanza, in quel momento aveva bisogno di calmarsi.

 Era un attore e conosceva tutte le tecniche di rilassamento e di concentrazione per simulare o dissimulare gli stati d’animo, ma questa volta era decisamente difficile anche per lui. Per quanto gli bruciasse ammetterlo, il solo fatto di rivederla gli stava provocando un tumulto di sensazioni difficilmente gestibili. La cosa positiva era che lui si trovava in vantaggio, sapeva chi stava per affrontare e sapeva di avere il coltello dalla parte del manico. Per almeno qualche mese lei sarebbe stata costretta a stargli vicino. Non avrebbe mai sperato tanto, ora finalmente avrebbe saputo la verità e forse si sarebbe potuto liberare del suo ricordo per sempre.

Elisabet, ignara di ciò che l’attendeva, imboccò il viale della lussuosa villa stile mediterraneo. Era circondata da un immenso parco verde e, come il custode stava spiegando a lei e Paul,era dotata di due piscine, un campo da tennis e più aveva la una stalla con quattro box e tre purosangue. Elizabeth era sempre più curiosa di sapere a chi appartenesse quella meraviglia e si sentiva piena di energie. Arredare una simile casa le avrebbe dato una soddisfazione immensa. Non poteva neanche immaginare lontanamente quanto invece le sarebbe costato.

 Il custode li fece entrate aprendo la porta di uno studio che era collocato a piano terra.

Come aprì la porta, Liz intravide una figura di spalle con le mani intrecciate dietro la schiena. Lui era dietro ad una scrivania che era posizionata di fronte all’enorme parete finestra che dava direttamente sul giardino.

Il cuore di Elisabet mancò un colpo. La testa cominciò a girarle. Avrebbe riconosciuto quella figura tra mille anche al buio. Non era possibile. Era come se le mancasse il terreno sotto i piedi oltre che l’aria.

 Lui si girò con una lentezza esasperata.

“Ciao Elisabet” le disse con un tono di voce assolutamente incolore.

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Capitolo 3
*** UN INCONTRO INASPETTATO ***


Questa storia è stata scritta per divertimento

Capitolo tre : UN INCONTRO INASPETTATO

 

 “Elisabet andiamo via!” esclamò Paul prendendola per un braccio.

Ma Elisabet era incapace di reagire. Era come se il suo cervello si fosse improvvisamente disconnesso. Il suo peggiore incubo era diventato realtà.

Orlando fece un passo avanti.

“Credo che Elisabet sia in grado di decidere da sola. Signor?” disse in tono pacato ma tagliente.

“ Sono Paul Smith, titolare dello studio a cui lei si è rivolto, oltre che carissimo amico di Elisabet”.

“ Carissimo amico……. Capisco” ribattè Orlando in tono velatamente sarcastico.

“ Per favore basta!” irruppe Elisabet, che sembrava aver ripreso di colpo le sue facoltà mentali. “ Paul ti prego, non ti intromettere. E’ una faccenda piuttosto delicata, ti prego di essere comprensivo e di aspettarmi in macchina. Me la sbrigo da sola.”

 “ Tesoro non mi sembra il caso, io preferirei…”.

 “ Paul, ti prego ancora una volta. Non discutiamo, aspettami in macchina. Me la caverò benissimo da sola”.

“ Come vuoi” sentenziò in tono rassegnato Paul e così dicendo si diresse all’uscita.

 Orlando la stava guardando. Dio com’era bella! Più bella di come la ricordasse. Sembrava più matura, più donna rispetto alla ragazzina di un tempo, aveva acquistato una certa classe che sembrava esaltare ulteriormente la sua femminilità. Lo sapeva che rivederla non lo avrebbe lasciato indifferente, ma non avrebbe immaginato che gli avrebbe fatto così male. La voce di lei lo distolse dai suoi pensieri.

“Tu la sai che io non posso lavorare per te vero?”.

“ E perché no?” le rispose lui con il tono più naturale del mondo.

“Andiamo Orlando, non fare il ragazzino. Questa cosa è assurda e del tutto impossibile”.

“ Vuoi recedere il contratto? Sei diventata così ricca da potermi pagare trecentomila dollari di penale?”.

“ Non starai dicendo sul serio,vero?” domandò lei angosciata.

“ Mai stato più serio in vita mia” disse lui provando un vago senso di soddisfazione nell’averla in pugno.

 “ Dio mio! Lo hai fatto apposta! Non ci posso credere” disse Elisabet portandosi entrambe le mani alla testa in un gesto esasperato.

“ Che tu ci creda o no, in principio non avevo la minima idea di chi fosse l’architetto che avevo scelto per l’arredo. L’ho saputo solo una quindicina di giorni fa. Devo però ammettere che la possibilità di incastrarti è stata più forte di me”.

Le stava parlando e nel contempo le si stava avvicinando. Aveva la testa leggermente inclinata su un lato e gli occhi ridotti a due fessure. Il suo tono calmo era impercettibilmente diventato freddo e provocatorio.

“ Questa volta, se vorrai scappare come una ladra per lo meno ti costerà caro! Anche se solo in denaro! ”.

Era arrivato a pochi centimetri da lei, e nei suoi occhi era riflessa tutta la rabbia, la frustrazione e il dolore accumulato negli ultimi cinque anni. In più Elisabeth vi scorse una scintilla che brillava di rivalsa, che la fece tremare. Non lo aveva mai visto così da quando lo conosceva, e dire, che lo conosceva praticamente da sempre. Si rese improvvisamente conto di avere a che fare con uno sconosciuto, perché del suo Orlando, in quell’uomo che torreggiava davanti a lei, non c’era rimasto proprio niente. Sapeva anche che non avrebbe certamente potuto pagare una simile somma neanche indebitandosi fino alla fine dei suoi giorni, e poi non poteva certo mettere a repentaglio la sicurezza economica e il futuro di suo figlio. Quindi, cercando di calmarsi suo malgrado, rispose come un automa

“ E’ tutto molto chiaro. E anche molto semplice, nella sua assurdità. Lavorerò per te e ti arrederò la casa”.

“ Bene. Noto con piacere che alla fine il tuo buon senso ha avuto la meglio” disse lui ritornando verso la scrivania. “ Credo che per oggi possa bastare così. Ti aspetto domani mattina alle otto”.

E senza tante cerimonie la congedò.

Appena entrata in macchina, Elisabeth fu investita da una raffica di domande da parte di Paul “Allora? Che ti ha detto? Che vuole da te? Non intenderai mica lavorare per lui vero?”.

Elisabeth che era ancora visibilmente scossa, chiuse gli occhi, si appoggiò allo schienale dell’auto e gli rispose “Non chiedermi niente Paul. Non ora. Non riuscirei a parlarne neanche se lo volessi”.

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Capitolo 4
*** LE COSE NON SONO MAI FACILI COME SEMBRANO ***


Questa storia è stata scritta per divertimento

Capitolo quattro: LE COSE NON SONO MAI FACILI COME SEMBRANO

 

Orlando era sotto la doccia. Aveva la testa e le mani appoggiate alla parete. Lasciava che l’acqua scorresse sul suo corpo come una pioggia incessante. Sperava che gli potesse servire a rilassarsi. Le placche di ferro che aveva nella schiena a seguito del suo famoso incidente gli facevano tremendamente male. Gli succedeva ogni volta che era nervoso, teso o quando faceva qualche sforzo. Accadeva che i muscoli contratti dallo stress gli indolenzissero la schiena, fino a fargli vedere le stelle dal dolore. Quel giorno era stato tirato come una corda di violino, quindi era normale che adesso ne pagasse le conseguenze. Lentamente chiuse il miscelatore della doccia, indossò l’accappatoio, e ancora con i capelli bagnati scese giù nel salone. Prese il cordless e compose il numero che conosceva a memoria.

“ Zucchero!” gli rispose immediatamente una vocina esageratamente smielelata  e falsamente imbronciata. “Pensavo che ti fossi dimenticato di me. Ero così infelice, che non sapevo che fare e che pensare”.

Orlando la lasciò terminare, vagamente annoiato da quelle chiacchiere inutili.

“Ho voglia di vederti. Ti aspetto a casa mia”. con queste poche parole terminò la conversazione.

Mallory era la sua ultima ragazza, o almeno lo era per la stampa, visto che erano stati beccati tre o quattro volte dai paparazzi mentre erano fuori insieme. Per lui era solo l’ultimo trastullo con cui recentemente giocherellava un po’ . Aveva bisogno di rilassarsi, e si ripeté, lei sarebbe stata l’ideale, un po’ di sesso allentava sempre la tensione. L’indomani poi, se avesse voluto l’avrebbe congedata senza tante storie, come del resto aveva fatto altre volte. In cuor suo era sorpreso. Aveva creduto che vedere ed umiliare Elisabeth gli avrebbe dato una soddisfazione enorme. Ma non era stato esattamente così .

In principio, il suo senso di rivalsa aveva avuto la meglio e si sentiva quasi appagato dalla sua vendetta, ma non aveva fatto bene i conti. Averla vista gli aveva fatto capire quanto gli era mancata e quanto ancora lui fosse attratto da lei. S’imponeva di pensare che dopo tutto non era ancora innamorato di lei. Quello che provava doveva essere senso di possesso, attrazione fisica, rimpianto di un periodo spensierato della sua vita. Maledetta schiena che non gli dava pace. Si versò da bere e mandò giù il contenuto del bicchiere tutto d’un fiato. Tra poco sarebbe stato meglio o almeno voleva credere che fosse così.

 

Dall’altra parte della città, nella suite dell’albergo dove alloggiava Elisabeth, le cose non andavano meglio.

“Davvero non posso credere che tu abbia accettato Liz!”. Paul era decisamente costernato.

“Secondo te che avrei dovuto fare? Non dispongo di tanto denaro da permettermi di recedere il contratto e lui intendeva rivalersi su di me, qualora avessi deciso di non accettare!”.

“Insisto nel dire che dovevi rifiutare. Ti avrei aiutata io. Anzi posso aiutarti io. Ti prego Liz, mandalo al diavolo, pagherò io la penale. Lo sai che non è un problema per me”.

“Non se parla nemmeno Paul!”.

“Ma perché? A volte ti comporti proprio come una ragazzina ostinata!”.

“Proprio perché non sono più una ragazzina è giusto che mi prenda le mie responsabilità!”.

Paul si girò di scatto e con un tono che era un misto tra il disperato e l’arrabbiato le disse,

“Tu menti a te stessa! Tu sei ancora innamorata di lui!”.

“ NO!Non è vero!” urlò lei come se volesse scacciare un fantasma.

Paul si passò una mano tra i capelli sospirando. “ Lo sai che è vero. Come del resto l’ho sempre saputo anche io. Quello che mi stupisce è il fatto che tu, nonostante tutto, voglia lavorare per lui, senza accettare il mio aiuto. Potresti ripartire domani e dimenticare tutto, ma non vuoi farlo, e io mi chiedo: perché?”.

Liz si sedette, prese fiato, e ravviandosi una ciocca che le era sfuggita allo chignon rispose a Paul cercando di mantenere la calma.

“Paul non sono ancora innamorata di lui. Credimi. A dire il vero dopo la scena di oggi non so nemmeno più chi realmente sia Orlando ”. Sospirò cercando di auto convincersi per prima di quello che stava dicendo. “Ho un figlio. Ho delle responsabilità. Scappare non è un certo un comportamento maturo. Cosa potrei dire un domani a mio figlio? Che sua madre non è capace di districarsi dai suoi problemi? Che ha bisogno sempre e comunque dell’aiuto degli altri? Che razza di esempio potrei mai essere per lui?”.

“Non pensavo che per te io fossi gli altri” disse amareggiato Paul. “E di suo padre che hai intenzione di dirgli eh?”.

“Non ho intenzione di affrontare questo argomento. Non oggi. Willie non DEVE assolutamente entrate in questa storia. Chiaro?”.

Poi, addolcendosi, si avvicinò a lui e appoggiandogli una mano sulla spalla concluse dicendo,

“ Sai benissimo che tu non sei semplicemente gli altri per me. Sei la persona più dolce e più comprensiva che avessi mai potuto incontrare. Ti voglio un mondo di bene, ma non posso sempre appoggiarmi sulle tue spalle. Lo capisci vero?”.

Paul annuì rassegnato. Con lei non c’era altra soluzione che la rassegnazione, almeno in quel momento. Una cosa era certa. Non avrebbe permesso a Orlando di farla soffrire, non questa volta, altrimenti avrebbe fatto i conti con lui.

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Capitolo 5
*** DUBBI E RIPICCHE ***


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Capitolo cinque: DUBBI E RIPICCHE

 

Alle otto in punto Elisabeth era nello studio in casa di Orlando. Aveva optato per un abbigliamento pratico e sportivo, si era infilata un paio di jeans e una camicia bianca, lasciando i capelli sciolti sulle spalle.

Paul era al suo fianco, avendo insistito per accompagnarla e non lasciarla sola.

Orlando arrivò dopo pochi minuti. Indossava un paio di jeans scoloriti e una maglietta gialla eccessivamente larga, aveva lo sguardo leggermente assonnato e i capelli arruffati.

Elisabeth ebbe un tuffo al cuore.  Per un momento le parve di ritrovarsi indietro nel tempo. Quante volte aveva visto quell’aria stropicciata quando lui dalla camera da letto piombava in cucina per la colazione?

Immediatamente cercò di scacciare quel pensiero concentrandosi su un quadro appeso al muro.

 “ Buongiorno” disse Orlando.

Li fece accomodare e cominciò a spiegare ad Elisabeth quali fossero le sue idee in merito all’arredamento.

“La casa l’ho acquistata così come la vedi. Non sono per niente soddisfatto né dei mobili, né dalla loro predisposizione. Ti lascio carta bianca. Da quello che ho visto sei molto brava, resta inteso che comunque l’ultima parola spetta a me”.

Parlava lentamente e con molta tranquillità, come se niente fosse. Questa cosa faceva letteralmente impazzire Elisabeth: come faceva ad essere così freddo e distaccato come se la cosa non lo toccasse minimamente?

Orlando aggiunse che quello studio era a sua disposizione per poter disegnare il progetto e per prendere gli appuntamenti con i fornitori.

“Vorrei che tu dessi un occhiata alla casa, mentre io qui faccio due chiacchiere  con il signor?”.

“Smith. Paul Smith!” rispose Paul seccato.

“Con il signor Smith, appunto” rimarcò Orlando, che sembrava avere un’aria divertita.

“ Ma posso andare in giro per casa da sola?” chiese Liz titubante.

“ Certo, fai pure come se fossi a casa tua. Mi casa es tu casa!” le disse Orlando sulle cui labbra era apparso un sorrisetto canzonatorio.

Elisabeth avrebbe voluto rispondergli per le rime, ma non lo fece e si congedò.

Cominciò con esaminare l’ampio salone. Era immenso e molto luminoso. Era diviso in tre parti. Una parte era adibita a zona bar con un bancone e degli sgabelli in pelle, un’altra parte a sala da pranzo e la terza parte a zona relax.

L’arredamento era ultra moderno e molto banale. Le venne subito in mente che in quell’ambiente mancava il calore, ma soprattutto mancava un bel camino. Già riusciva a vedere come sarebbe potuto essere diverso e molto più accogliente con le dovute modifiche.

Meditabonda si diresse verso la cucina tinello. Stessa storia: ambiente freddo, arredamento dozzinale e senza anima. Stava appunto facendo mentalmente le sue considerazioni su come strutturare quella cucina, quando all’improvviso si sentì domandare,

“ Chi sei? Che ci fai qui tu?”.

Si girò e si trovò davanti ad una ragazza che avrà avuto sui 18/20 anni, alta, snella, molto bella e con le labbra piegate in un broncio indispettito. Notò anche il suo abbigliamento discinto lasciava ben poco all’immaginazione. Infatti indossava unicamente una cannottierina bianca e un paio di mutandine dello stesso colore.

Non ci voleva certo molta fantasia per immaginare da dove saltasse fuori.

“Sono Elisabeth Barlow. L’architetto ingaggiato dal signor Bloom per arredare la casa” rispose cercando di darsi un certo tono.

 “ Non voglio donne in questa casa!” rispose lei contrariata. “Non ne voglio neanche se sono architetti. Dirò ad Orlie di mandarti via. Subito!”.

Uno, due, tre, quattro … Elisabeth cominciò a contare mentalmente prima che la rabbia sorda che l’aveva assalita le avesse fatto dire cose di cui si sarebbe sicuramente pentita.

“ Scusi ma lei chi è?” chiese cercando di mantenere un tono distaccato.

“ Sono la fidanzata di Orlie. Lui mi adora e farà tutto quello che gli chiederò e tu sarai licenziata!” rispose lei come in una cantilena.

Questa è proprio scema! Signore trattienimi o finirò con il cedere alla tentazione di strozzarla! Pensò Elisabeth che faticava non poco a mantenere il controllo.

“Bene attenderò il responso di Orlando” rispose Liz.

“ Ah!!! Ora siamo passati da chiamarlo signor Bloom a chiamarlo Orlando! Chi ti ha dato il permesso di prenderti queste confidenze?”.

 A questo punto la pazienza di Elisabeth si esaurì e lei e sbottò.

“ Senti, non me importa un fico di chi sei o chi non sei. Sono qui per lavorare chiaro? Per quanto riguarda la confidenza, me la sono presa da sola, visto che conosco Orlando da quasi quindici anni e che sono stata la sua ragazza per diverso tempo. Quindi vedi di darti una calmata e di lasciarmi in pace!”.

Si girò e fece per uscire, ma vide Orlando appoggiato allo stipite della porta con le braccia conserte e un’aria davvero divertita.

“ Non capisco che ci sia da ridere!” gli sibilò cercando di oltrepassarlo.

Orlando la bloccò e gli chiese gentilmente di aspettarla nello studio.

Una volta soli, si rivolse a Mallory con tono pacato ma deciso.

“Sei pregata di essere più gentile con i miei ospiti in casa mia”.

“ Non ce la voglio quella qui!” rispose lei come se non l’avesse sentito.

“Allora non mi sono spiegato. Ho detto che non devi mai più rivolgerti in quel tono ad Elisabeth, chiaro?”.

“ Ma perché fai così Orlie?” disse lei avvicinandosi e mettendo nuovamente il broncio.

“ Desidero solo che tua sia gentile con le persone, non mi sembra una richiesta tanto assurda. Ora vai di sopra e vestiti”. Poi aggiunse, “ Perché non vai a farti un bel giro in Rodeo Drive e fai un po’ di shopping, ti richiamo io appena sarò libero”. Si girò e senza indugiare oltre si diresse verso lo studio dove lo aspettava Elisabeth.

Dalla porta vide che passeggiava nervosamente avanti e indietro. Se la conosceva bene, e la conosceva bene, ci sarebbe stata bufera.

“ Dov’è Paul?” le chiese lei in tono alterato.

“ E’ andato via” rispose lui semplicemente.

“ Andato via in che senso?”.

“Nel senso che la sua presenza qui, non era gradita”.

“L’hai mandato via tu vero?”.

“ Mi pare ovvio, sono in casa mia e decido io chi resta e chi và”.

“ Io che devo fare? Me ne devo andare? Sono licenziata? Barbie la reginetta della casa, ha detto che devi licenziarmi!”. Orlando suo malgrado scoppiò a ridere.

 “ Ti diverti vero? Ma che gran figlio di….” sbottò lei al colmo dell’esasperazione.

 Orlando ritornò improvvisamente serio. Si avvicinò a lei e disse

“Non cominciare con le offese, perché se comincio io finiamo male!”.

“ Nel caso tu non te fossi reso conto siamo già finiti male!”.

Lui la prese per un braccio e, tirandola a sé, le sibilò

“ Non per colpa mia”.

“ Già, tu non hai mai colpa, vero Orlando?” rispose Liz cercando invano di liberarsi.

“Allora dato che siamo in tema dimmi perché” incalzò lui tirandola ancora più vicina a sé.

“ Perché cosa?” disse lei rendendosi conto di essersi infilata in una strada pericolosa.

“ Non fare la finta tonta! Perché mi hai mollato come un cretino e senza una parola. Sei sparita all’improvviso come inghiottita da un buco nero. Perchè?  ….. Maledizione, me lo vuoi dire una buona volta?”.

 “ Lasciami, mi fai male!” disse lei abbassando lo sguardo.

“Tu dimmi perché e io ti lascio andare”.

“Perché… non… ti amavo più” rispose Elisabeth in un soffio.

“ Guardami negli occhi e dimmelo in faccia!”.

Elisabeth, che suo malgrado stava tremando,,alzò lo sguardo e incontrò gli occhi fiammeggianti di Orlando che la scrutavano implacabili. Si fece forza e ripeté con tono fermo “ Perché non ti amavo più”.

“ Bugiarda!” tuonò lui e con uno strattone la tirò pericolosamente vicina al suo corpo, le catturò le labbra e cominciò a baciarla con disperazione e rabbia.

Elisabeth benchè non riuscì,a respingerlo e si abbandonò a quel bacio disperato, aggrappandosi a lui e abbandonandosi completamente.

All’improvviso, come se fosse stato destato da una doccia fredda, Orlando si staccò da lei e l’allontanò da se.

“Scusami” mormorò “Non avrei dovuto farlo”. Elisabeth, ancora frastornata, con le guance leggermente arrossate e il fiato corto lo guardò senza riuscire a dire una parola.

Cercò di ricomporsi, maledicendosi per aver reagito, o meglio, per non aver reagito. Poi finalmente disse “Hai ragione, non avresti dovuto farlo ”.

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Capitolo 6
*** .....TREGUA? ***


Questa storia è stata scritta per divertimento

 

Capitolo sei: …. TREGUA?

 

 

Erano passate due settimane dall’episodio del bacio.

Entrambi avevano accuratamente evitato di ritornare sull’argomento.

Si comportavano come se niente fosse, come se non fosse mai accaduto.

Elisabeth tutti i giorni si presentava regolarmente a casa di Orlando, guardava e studiava la casa, poi a fine giornata parlava con lui delle sue idee e in linea di massima si trovavano abbastanza d’accordo con le scelte di lei. Entrambi erano cortesi l’uno con l’atra, come se fossero dei normali conoscenti.

 

Quel pomeriggio Elisabeth era da sola in casa, con lei c’era solo Carmen,la governante di Orlando, il custode e il giardiniere, perchè Orlando era uscito.

 Lei era nello studio e stava buttando giù il progetto sul salone. Era abbastanza soddisfatta delle sue idee ma era incerta su dove collocare il camino. L’idea del camino in una casa a Los Angels era piuttosto insolita, lì non avrebbe mai fatto così freddo, ma lei trovava che nonostante tutto un camino era perfetto per quella stanza.

Carmen entrò con un vassoio.

“Le ho portato una limonata, signorina Barlow. Ho pensato che potesse avere sete”.

“Grazie Carmen! Lei è un tesoro” rispose Elisabeth sorridendo “Non chiuda la porta quando esce, la lasci accostata e grazie ancora”.

Tornò a concentrarsi sul progetto.

Si stava tormentando una ciocca di capelli arricciandola su un dito, mordicchiando nervosamente il lapis e dondolando da una parte all’altra.

Fu così che la scorse Orlando: la luce la illuminava e per la prima volta sembrava serena.

Improvvisamente fu assalito da un ricordo. Chiuse gli occhi e gli ritornò in mente che l’aveva vista chissà quante altre volte in quella posizione, quando facevano i compiti insieme, quando entrambi andavano al college. Lei così seria e impegnata e lui che la infastidiva, baciandola sul collo o facendole il solletico. Lei faceva fingeva di arrabbiarsi, ingaggiavano una finta lotta e lei inevitabilmente alla fine lei si arrendeva. Quante volte avevano finito per fare l’amore invece di studiare?

Improvvisamente fu preso dalla voglia di farlo di nuovo, di coglierla di sorpresa, di sfiorare con le labbra la sua pelle, di assaporare il suo profumo. Aprì gli occhi e continuò a guardarla: aveva preso il bicchiere in mano e, senza staccare gli occhi dal suo lavoro, lo aveva lentamente portato alle labbra e stava sorseggiando senza fretta la limonata. Era così naturalmente sensuale, inconsapevole di come i suoi semplici gesti potessero provocare desiderio. Era sempre stato così. Lei non era una civetta, era fresca e spontanea, terribilmente seducente con i suoi gesti per niente calcolati.

“Orlando,che fai mi spii?”.

La sua voce lo destò dai suoi pensieri.

“No.. io .. stavo per entrare” disse lui un po’ imbarazzato, come se fosse stato scoperto a fare qualcosa di sbagliato.

“Dai entra che ti devo far vedere una cosa!”.

La voce di lei era entusiasta, lo sguardo luminoso e le labbra erano piegate in un sorriso ansioso, come quando un bambino vuole farti vedere una specie di tesoro che ha appena scoperto.

Lui si avvicinò alla scrivania, si mise in piedi dietro di lei e si abbassò fino a portare il suo viso al pari del suo.

“Ecco vedi, io avrei pensato a questa disposizione dei mobili. Qui poi metterei un camino   e……”.

Continuava a parlare mostrandogli le sue idee muovendo le mani sul foglio. Orlando era ipnotizzato da quelle mani. Lunghe, affusolate, si muovevano con grazia. Gli venne in mente di come e quante volte quelle stesse mani lo avessero accarezzato e sentì un brivido corrergli lungo la schiena.

“Orlando, ma stai ascoltando?” chiese lei girandosi di scatto.

Nel girarsi, involontariamente lo colpì.

“Oddio ti ho fatto male?”chiese allarmata, dopo aver visto che lui si era portato una mano sul naso in una smorfia di dolore.

“Non è niente” disse lui.

“Vieni qui, fammi vedere”.

Si avvicinò a lui e scostandogli la mano esaminò il suo naso. In effetti era arrossato.

“Mi dispiace” disse lei mortificata.

In un gesto del tutto spontaneo lo accarezzò proprio dove gli aveva fatto male.

 Per Orlando fu veramente troppo. Come se la mano di lei bruciasse si ritrasse di scatto, ma finse che fosse stato per il dolore e non perché il contatto con lei gli facesse perdere il controllo.

 “ Vado a metterci su un po’ di ghiaccio e torno”.

 “ Ti aiuto?” chiese prontamente lei.

 “NO!” scattò lui. Poi accorgendosi che la sua reazione era fin troppo esagerata, aggiunse

“Volevo dire che non importa. Faccio da solo, è una sciocchezza, non ti preoccupare”.

Una volta arrivato in cucina aprì il rubinetto dell’acqua fredda e vi mise la testa sotto.

Aveva decisamente bisogno di schiarirsi le idee e riprendere il controllo della situazione.

 “ Ma ti sei bagnato tutto!” gli chiese lei quando lo vide ritornare nello studio con i capelli fradici.

“ Ho pensato che era più comodo che star lì a tamponarmi col ghiaccio” rispose lui sorridendo e facendole l’occhiolino.

“ Ma che scemo che sei! Ti prenderai un accidente!” rispose Elisabeth con un finto tono paternalistico.

“Tanto normale non lo sono mai stato! E tu lo sai bene”.

“Accidenti se lo so! Mi ricordo ancora quando quella volta, per scommessa, sei uscito in boxer e hai fatto il giro della casa in pieno gennaio. E con la neve per giunta!”.

 “ Già, ma poi ho riscosso il premio!” disse lui ridendo maliziosamente.

Elisabeth, che si ricordava perfettamente qual’era stato il premio,arrossì leggermente imbarazzata. Tanto per darsi un tono diede un’occhiata al suo orologio. Fu un gesto provvidenziale che la tirò fuori da quel momento imbarazzante.

“ Dio, com’è tardi!Devo andare” disse frettolosamente.

“Il tuo cane da guardia è già arrivato?”chiese lui che, indispettito dalla sua reazione, non riuscì a tenere a bada la lingua.

“ Non è il mio cane da guardia. Paul è il mio….. il mio ragazzo”.

“Ragazzo?” chiese lui alzando un sopracciglio in modo sarcastico “Non è un po’ troppo vecchio per essere chiamato ragazzo?”.

“ Non è vecchio! Ha solo 35 anni!” rispose lei,che stava cominciando ad innervosirsi.

Orlando che invece al pensiero di Paul e lei insieme si era già innervosito, senza volerlo veramente, finì con il dire qualcosa di molto pesante.

 “ Così ti sei fatta l’amante esperto eh?”.

Lei rimase un attimo interdetta da quell’affermazione e poi gli rispose,“ La cosa non ti riguarda”.

 “ Sono solo curioso. Dimmi, è bravo a letto?”.

“ Smetti! Stai diventando volgare!”.

“Non sono affatto volgare, quando lo sarò te ne accorgerai!”.

 Elisabeth perse le staffe si parò davanti a lui, a pochi centimetri dal suo viso, con lo sguardo che sembrava lanciare letteralmente fulmini.

“Ti comporti come un bambino bizzoso e insofferente. Ti permetti di mietere giudizi come se tu avessi chissà quali diritti. Avrei una gran voglio di schiaffeggiarti, ma dato che sono più signora di te, non lo farò!”.

 Così dicendo afferrò la borsa e si diresse alla porta, ma un’ attimo prima di uscire non resistette alla tentazione e gli disse,

 “ Dovresti farti un esame di coscienza. Io avrò pure il cane da guardia,come lo chiami tu, ma sappi che Paul è una persona meravigliosa che mi vuole bene e che soprattutto mi rispetta. Tu invece? Ah si, tu hai la tua bella Barbie che non è neanche a conoscenza dei rudimenti fondamenti dell’educazione! In fondo ognuno ha quel che si merita! Non trovi Orlando?”. Prese la porta e uscì, lasciandolo lì così: colpito e affondato.

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Capitolo 7
*** IL CONSIGLIO DI UN AMICO ***


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Capitolo sette: IL CONSIGLIO DI UN AMICO

 

Dopo la scena di quel pomeriggio, Orlando era così confuso e depresso che non aveva neanche mangiato. Stava uscendo dalla doccia quando gli venne involontariamente da ridere. Da quando Elisabeth era riapparsa nella sua vita, lui si stava facendo un gran numero di docce, molte delle quali fredde.

Quella sera non aveva voglia neanche di chiamare Mallory. Com’è che la chiamava Elisabeth? Rise di nuovo, al ricordo di lei che l’aveva apostrofata come: Barbie la reginetta della casa.

Elisabeth era stata sempre molto acuta, dolce e sincera, ma anche passionale e risoluta: un bel mix. E lui era sempre stato incantato dal suo carattere, oltre che naturalmente dal suo aspetto fisico. Lo aveva fatto penare un bel po’ prima di diventare la sua ragazza, ma ancora di più lo aveva fatto aspettare prima di concedersi a lui anima e corpo. Lo accusava di essere un po’ immaturo, troppo giocherellone e poco incline a svelare i suoi reali sentimenti. Lei cercava protezione e romanticherie, lui invece, che non era mai stato romantico, dava tutto per scontato. Spesso litigavano proprio perché lei lo accusava di non essere innamorato di lei o per lo meno perché non sembrava volerlo ammettere. Accompagnato da questi pensieri si vestì, scese ed uscì nel parco dirigendosi verso le stalle. Giunto davanti al box di Storm, un puro sangue di due anni, gli carezzò il muso sorridendogli. Il cavallo nitrì leggermente muovendo la testa. Quell’ amimale era un vero spettacolo. Orlando lo aveva comprato perché dopo aver girato il Signore degli Anelli gli era rimasta la passione per i cavalli.

“Storm, che ne dici, ti va di fare una galoppata?”. il cavallo nitrì più forte come per dare il suo assenso.

“Questo ragazzaccio ha bisogno di scaricarsi” disse Orlando ad alta voce. “Facciamoci una bella corsa e cerchiamo di non pensare a niente!”.

Così dicendo montò in sella e partì al galoppo.

Orlando correva in groppa al suo purosangue dentro il parco, lo spronava a correre sempre più veloce, sempre di più, fino al limite, provando una sensazione di soddisfazione mista ad eccitazione.

Era fatto così.

Amava le cose pericolose, l’adrenalina e come spesso aveva ammetteva anche lui, era la sua droga.

Alla fine di quella corsa a rotta di collo, fece rallentare Storm, che ora andava quasi al trotto. Lasciò le redini ed allargò le braccia, lasciando che la brezza notturna gli carezzasse il viso: si sentiva incredibilmente bene in quel momento, libero e spensierato.

Piano piano ritornò al box e scese da cavallo.Con le mani in tasca e la testa bassa si diresse nuovamente verso casa.

La corsa era finita, ma i soliti pensieri erano lì, pronti ad assalirlo di nuovo.

Improvvisamente gli venne un idea. Afferrò il cordless e compose un numero.

“Elijah ti disturbo?”.

“ Ehi Orlando, non mi disturbi affatto, dimmi”.

“ Senti ti andrebbe di pranzare insieme domani?”.

“Ummm …. Si. Credo che non ci siano problemi”.

“ Allora facciamo da Spago verso mezzogiorno?”.

“Okay, da Spago alle dodici”.

Si salutarono e Orlando, che era nuovamente sudato fradicio per la galoppata, si diresse a fare l’ennesima doccia.

 

Quella mattina, quando Elisabeth arrivò e si rese conto che Orlando non era in casa, tirò un sospiro di sollievo. Non aveva nessuna voglia di vederlo e poi era stanca. Era reduce da un’altra notte quasi insonne, avendo discusso con Paul che si era accorto di quanto fosse tirata e nervosa. Come suo solito, l’aveva tempestata di domande, alle quali lei non aveva non aveva voluto rispondere, così avevano finito per litigare anche loro due. Più tardi aveva chiamato casa, per parlare con Willie. Il suo bambino le aveva chiesto di tornare da lui e si era pure messo a piangere perché gli mancava terribilmente la sua mamma. Lei aveva finito con il sentirsi in colpa e aveva pianto a sua volta.

Doveva prendersi una settimana o due di ferie per tornare a casa e stare un po’ con Willie. Il problema era se Orlando gli avrebbe concesso il permesso di prendersi qualche giorno libero, dopo la sua sparata della sera prima.

 

Alle dodici in punto Orlando ed Elijah si ritrovarono seduti ad un tavolo da Spago. Dopo essersi salutati con i soliti convenevoli, ordinarono un piatto di fettuccine e cominciarono a parlare.

“Allora che mi racconti? E’ un po’ che non ci vediamo io e te” esordì Orlando.

 “Stò giusto studiando un copione. E’ un thriller, io dovrei essere l’assassino. Non mi convince mica tanto. Mi ci vedi a me nella parte del serial killer?” rispose Elijah ridendo.

“Se devo essere sincero, proprio no”.

In effetti Elijah era un tipo così tranquillo e maturo, molto diverso da lui Dom e Billy.

Loro tre erano i pazzi scatenati del gruppo, Elijah era il loro freno, non che  il loro punto di riferimento per le questioni serie. Era proprio per questo che voleva parlare con lui.

 “ Allora qual è il problema? Donne o lavoro?” gli domandò Elijah infilandosi in bocca una forchettata di pasta.

 “ Come hai fatto ad indovinare che avevo un problema?” gli chiese Orlando stupito.

“ Hai una faccia che è tutto un programma amico mio! Occhiaie, barba incolta sguardo pensieroso. Si vede lontano un miglio che ti girano a mille!”.

“ Donne!” sospirò Orlando, portandosi a sua volta alla bocca, la forchetta con le fettuccine arrotolate.

“Anzi più che donne, è una donna in particolare che mi sta facendo vedere i sorci verdi!”.

“ Non mi dirai che si tratta di quella modellina bionda sempre imbronciata…… come si chiama…. Melissa…. No forse  Melanie ..”.

 “ No, no, non si tratta di Mallory. Si tratta di Elisabeth” si affrettò a rispondere Orlando.

Elijah spalancò gli occhi stupito.

 “QUELLA Elisabeth?”.

Orlando annuì con la testa visto che aveva la bocca piena di pasta.

“ La tua Elisabeth? La ragazza inglese con cui eri fidanzato quando ti ho conosciuto per la prima volta in Nuova Zelanda? Non ci posso credere! E come hai fatto a contattarla? Se non ricordo male scomparì proprio in Nuova Zelanda la sera della prima mondiale della Due Torri. Da allora non ti era mai riuscito sapere più nulla di lei!” esclamò esterrefatto  Elijah.

Orlando gli raccontò di come erano andate le cose. Casualmente sfogliando una rivista aveva letto un servizio su una casa di un ricco inglese il cui arredo lo aveva colpito. In fondo all’articolo c’era segnato il numero dello studio che aveva seguito i lavori. Lui lo aveva fatto contattare, ma solo in seguito aveva saputo che l’architetto in questione era Elisabeth. Gli spiegò poi tutto il resto riguardo al contratto, la clausola e le loro discussioni.

Elijah lo ascoltò senza interromperlo, poi disse,

“ Cioè fammi capire, l’hai incastrata?”.

 “ In pratica si, è stato più forte di me. Non che ne vada particolarmente fiero, però lo rifarei”.

“ Ma tu sei ancora innamorato di lei?”.

 “ Si....forse ….. non lo so, Elijah sono così confuso!” esclamò costernato Orlando.“ La vedo e mi monta il nervoso. Vorrei sbatacchiarla fino a che non si decidesse a dirmi perché è sparita senza una parola. Subito dopo, mi verrebbe voglia di portarmela di sopra e fare l’amore con lei fino a farla restare senza fiato. Poi penso a quell’imbecille che si porta sempre a presso e mi rimonta il nervoso!”.

Elijah scoppiò a ridere.

“ Scusa Orlando, ma è anormale per me vederti ridotto così. Di solito il tuo unico problema e come liberarti di una ragazza dopo che ci sei stato a letto.  Perdonami ma non sono abituato a vederti smaniare per una donna!”.

 “ Tu ridi, ma io non so davvero più dove sbattere la testa!” concluse Orlando in un  tono che pareva volgere al disperato.

 Elijah si massaggiò il mento pensieroso e poi disse;

 “ Tu non hai proprio idea del perché quella sera lei sparì dalla festa a cui andammo tutti insieme dopo la prima del film?”.

 “ Assolutamente no!” rispose Orlando “ Mi sono scervellato come un pazzo per capire, per ricordarmi se avevo detto o fatto qualcosa di sbagliato, ma non mi ricordo nulla o quasi. Ero parecchio ubriaco, ma dubito di averle mancato di rispetto …. o almeno lo spero. Tu ti ricordi qualcosa?”.

“No Orlando. Del resto come potrei , ero ubriaco anche io, lo eravamo tutti. Ci siamo sbronzati diverse volte quando eravamo tutti insieme, ma nessuno di noi ha mai fatto cose di cui vergognarsi ….. oddio!  A parte Dom quando quella volta fece pipì nella sala da pranzo!”  disse soffocando una risata Elijah.

 Anche Orlando si mise a ridere ricordando l’accaduto.

Elajia riprese a parlare seriamente.

“ Il punto è: che cosa vuoi realmente da lei,Orlando? Voi vendicarti e basta? Vuoi riconquistarla? Vuoi punirla o  vuoi sapere solo la verità?”.

Orlando sospirò appoggiando la testa su una mano e guardando fuori, oltre la finestra del ristorante.

 “ Non lo so, Elijah. Credo di rivolerla per me, ma non so se per riconquistarla o per piegarla. So solo che se non riesco a fare l’amore con lei finirò al manicomio!”.

Elijah scosse la testa.

“ Orgoglio, orgoglio e ancora orgoglio. Farsi dominare da questo sentimento è sbagliato. Secondo me tu sei ancora innamorato cotto!”.

“ Può darsi, non lo escludo. Ma ora come ora, sono troppo confuso e forse troppo arrabbiato per poterlo ammettere” disse Orlando sinceramente.

 “ Il mio consiglio è questo: cerca in qualche modo di creare l’occasione propizia per vederla al di fuori del contesto lavorativo. Non essere aggressivo con lei. Prova a conquistare la sua fiducia e poi cerca di farti dire che cosa l’ha fatta scappare da te”.

“La fai facile tu! Lei non accetterà mai di vedermi extra lavoro e poi è sempre guardata a vista da quello, che non la molla un attimo!”.

 “ E dai Orlando, non fare il piagnone adesso. Trovati un piccolo espediente, che so, una scusa. Aguzza l’ingegno e usa la fantasia, vedrai che ci riesci”.

 

Il consiglio di Elijah poteva funzionare, pensò Orlando. Ora però doveva trovare il modo di convincere Elisabeth ad uscire da sola con lui.

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Capitolo 8
*** UN FAVORE DA RICAMBIARE ***


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Capitolo otto: UN FAVORE DA RICAMBIARE

 

Mentre stava rientrando a casa in macchina, Orlando si stava letteralmente dannando l'anima per trovare un' espediente che convincesse Elisabeth ad uscire da sola con lui. Non sapeva che di lì a poco, sarebbe stata lei a servirglielo su di un piatto d'argento.

Non fece in tempo ad entrare in casa che vide Elisabeth piuttosto agitata venirgli in contro.

 " Orlando hai un po' di tempo? Ho bisogno di parlarti".

Aveva l'aria stanca, gli occhi arrossati e cerchiati da ombre bluastre. Si torceva le mani come se fosse preda di una forte ansia. Nel vederla così avrebbe voluto abbracciarla e tempestarla di piccoli baci, mormorandole di calmarsi e cullandola come si fa con un bambino.

Ovviamente, non fece niente di tutto ciò.

 " Dimmi pure, ti ascolto" le disse accompagnandola verso lo studio.

 Insistette per farla sedere ma lei come era suo solito quando era agitata, rifiutò. Continuò a passeggiare nervosamente avanti e in dietro.

 " Ho bisogno di una favore, Orlando" disse in un soffio.

Orlando drizzò le orecchie. Un favore? Bene….. poi io potrei chiederne uno a lei, si disse. Era la famosa occasione che aspettava. La fortuna gli stava dando una grossa mano, ma si finse calmo, per non lasciar trapelare quali fossero le sue aspettative.

"Che genere di favore?" chiese lui, nel suo solito tono casuale.

"Devo prendere almeno una diecina di giorni liberi e tornare a Londra" rispose Elisabeth, come se si fosse liberata di un peso.

"Ti prego niente ripicche o dispetti questa volta. E' una cosa veramente importante. Devo assolutamente andare a casa" aggiunse con tono accorato.

Il tono di lei lo preoccupò un po'.

 "E' successo qualcosa di grave? Tua madre sta bene?".

"No, niente di grave e non si tratta di mia madre. Una persona molto importante per ha assoluto bisogno di vedermi. E' in preda ad una specie di crisi e io non posso assolutamente ignorare questa cosa" rispose lei restando sul vago.

A Orlando erano già venute in mente un paio di domande da farle. La prima era chi fosse quella persona così importante. La seconda, se fosse uomo o donna. ma la posta in gioco era troppo alta, quindi si trattenne e si giocò il suo bel jolly.

 "Certo che posso farti questo favore. Non mi sembra che sia una richiesta esosa. Vai pure a Londra, per me non ci sono problemi" disse con il tono più conciliatorio del mondo.

 Stupita, ma felice, Elisabeth ebbe un slancio impulsivo: gli gettò le braccia al collo e gli stampò un bacio sulla guancia.

"Grazie Orlando. Tu non sai come mi hai resa felice".

 Ed era vero, perché i suoi occhi da spenti, erano diventati scintillanti.

 Orlando, preso in contropiede da quella reazione così affettuosa, rimase in silenzio per un attimo. Senza però poter fare a meno di pensare che quella persona era davvero molto, ma molto importante per Elisabeth.

 " Elisabeth?".

 " Si?" rispose lei proprio un attimo prima di rimettersi a sedere dietro al scrivania.

" Tu lo faresti un piccolo favore a me?".

 Elisabeth si sentì morire. Avrebbe dovuto immaginarselo che lui era stato troppo conciliante nel darle il suo consenso. "Se posso, volentieri …" rispose un po' titubante.

" Vorrei che tu ed io andassimo a cena fuori" rispose Orlando molto tranquillamente, con un’ espressione ingenua da vero incantatore.

Poi aggiunse in tono categorico " Naturalmente io e te. Da soli".

 " E perché?" venne da chiedere spontaneamente ad Elisabeth.

" Per parlare un po’ " rispose lui evasivamente.

" Non possiamo parlare qui, Adesso?" chiese lei leggermente agitata. L'idea di lei e lui da soli la stava mandando nel panico.

"Oh insomma! Quante domande inutili " si spazientì lui. " Voglio portati fuori a cena. Non mi sembra una cosa così assurda, o così fuori dal mondo!".

"Si, si, hai ragione. Non è una cosa così assurda. Ma io vorrei sapere perché? ".

"Perché mi và. Perché ho voglia di stare da solo con te!" disse lui sempre più spazientito. "Sei contenta? L'ho detto!" concluse allargando le braccia in segno di resa.

"Non ti arrabbiare. Ero solo curiosa" si giustificò lei. In verità era un po' sorpresa dalla sua dichiarazione, ma anche sottilmente compiaciuta da quella rivelazione.

" Allora verrai domani sera a cena con me o no? Io ti ho fatto un favore. Tu lo puoi fare quest’altro piccolo favore a me?" le chiese con tono indecifrabile, abbassandosi verso di lei con un sguardo tra l'ansioso e il furbetto.

 Elisabeth si sentì un po' presa in trappola, come un pesce nella rete. Ma annuì e disse,

"Vada per la cena".

 Stabilirono che sarebbe andati a cena la sera seguente, dato che Orlando era impaziente e voleva concludere la cosa prima che lei partisse.

 

Il pomeriggio,poi trascorse nella solita routine. Elisabeth al lavoro e Orlando che le girellava intorno. Un po' per seguire gli sviluppi del progetto, e un po' perché aveva decisamente voglia di stare con lei.

Quando a fine giornata Liz rientrò in albergo, trovò come al solito Paul che l'aspettava per andare a mangiare.

" Mi faccio una doccia e ce ne andiamo a cena" gli disse Elisabeth mentre si toglieva una scarpa saltellando per la camera.

" Fai con comodo. Stasera ceniamo in albergo".

" Ah, e come mai?" chiese lei vagamente stupita.

 " Sono un po' stanco. Ho girato tutto il giorno per cercarmi nuovi clienti per lo studio e poi…". si interruppe usando un tono sospeso come per annunciare una sorpresa.

" E poi?" chiese lei facendo capolino dalla camera.

 "E poi, siccome ho in mente una sorpresa, voglio farti riposare. Così sarai fresca e pronta per darti alla pazza gioia. Domani sera ho prenotato in un famoso locale dove si mangia e si balla" concluse in tono trionfale.

 Elisabeth uscì dalla camera e con aria costernata guardò Paul.

 "Domani sera non posso. Ho un impegno" disse consapevole del fatto che avrebbe dovuto sostenere un'altra discussione.

 "Come non puoi?" chiese lui con aria confusa. "Scusa ma quale sarebbe questo impegno?".

Elisabeth abbassò la testa e cercando di essere il più naturale e disinvolta possibile disse, "Vado a cena con Orlando".

" Come? Ho capito bene? Vai a cena con Orlando?".

"Si" riconfermò lei.

"Non se parla nemmeno!" rispose cominciando ad alterarsi.

 Elisabeth allora gli spiegò come erano andate le cose, cercando di giustificarsi.

 Paul sbiancò dalla rabbia. Era un tipo riflessivo e poco incline a perdere il controllo. Ma le rare volte in cui si arrabbiava, beh, era consigliabile stargli alla larga.

 La misura era colma e lui era fuori di se.

 Senza tanti preamboli usci dall'albergo, montò in macchina e si avviò di gran carriera verso casa di Orlando.

 Elisabeth tentò in vano di fermarlo, ma riuscì neanche a stargli dietro.

 

Paul piombò in casa di Orlando come una furia. Dato che Carmen sapeva chi era, lo fece entrare e lui, senza aspettare di essere annunciato, si diresse nel salone, dove trovò Orlando, era al telefono.

 Come lo vide, Orlando capì subito che aria tirava, quindi congedò il suo interlocutore.

" In cosa posso esserle utile signor Smith?".

 "Saltiamo i convenevoli, Bloom e veniamo subito al sodo" tagliò corto Paul". Elisabeth non verrà a cena con te domani. Anzi da domani considerala pure licenziata!".

Si frugò in tasca estrasse il suo libretto degli assegni e, dopo averne compilato uno con la cifra di trecentomila dollari, lo gettò verso Orlando. E con un gesto sprezzante disse," Ora siete pari. Lei non avrà più niente a che spartire con te!".

Orlando raccolse l'assegno e lo strappò.

"I tuoi soldi non mi interessano" gli rispose calmo, ma freddo.

" Ma che razza d'uomo sei eh? Non hai abbastanza palle per affrontare le situazioni, e allora credi di poter comprare le persone e di poterle manovrare come pedine?" gli urlò Paul.

 " Quello che faccio e perché lo faccio non è affar tuo" rispose Orlando con un tono sempre più tagliente.

 " Ringrazia Dio che sei un rammollito altrimenti ti spaccherei quel tuo bel faccino" gli disse Paul avvicinandosi. Orlando colmò la breve distanza che li separava e, fermandosi a pochi millimetri dal suo naso gli rispose, " Perché non ci provi invece? Non sai che piacere che mi faresti!".

Paul fece per sferragli un pugno, ma Orlando fu veloce a schivarlo e lo colpì a sua volta in pieno viso facendolo cadere a terra. Poi agitando la mano che si era leggermente ferito, visto che lo aveva colpito sulla bocca, lo guardò con aria di sfida e gli disse, " Non sono poi tanto rammollito, eh Paul?".

 Non fece in tempo a finire la frase che Paul prontamente gli fece perdere l'equilibrio decentrandolo con un colpo ad una gamba.

 Quando furono entrambi a terra s'avventarono l'uno sull'altro dandosele di santa ragione.

 

" BASTAA! SMETTETELA IMMEDIATAMENTE!".

 

L'urlo cacciato da Elisabeth li fece fermare di colpo. Aveva preso un taxi al volo e aveva raggiunto Paul. Era sicura che si fosse diretto da Orlando. Non si era sbagliata.

I due si rialzarono immediatamente in piedi.

Elisabeth si mise al centro, proprio in mezzo tra loro.

Paul sanguinava dalla bocca in maniera vistosa e aveva una guancia rossa. Orlando aveva un occhio nero.

" Siete due imbecilli!" esordì Elisabeth.

" VERGOGNATEVI!" proseguì indignata.

" Si può sapere che diavolo vi ha preso a tutti e due?" concluse.

Improvvisamente la sua attenzione fu attratta da dei pezzettini di carta sparsi per la stanza. Ne raccolse uno e capì al volo.

 "Come hai potuto?" disse rivolgendosi a Paul.

 "Elisabeth io volevo solo…".

 "Mi sembrava di essere stata chiara! Ti avevo detto che non volevo i tuoi soldi!" le disse lei risentita.

 "A quanto pare siamo in due a non volerli, eh Paul?" intervenne Orlando.

 Elisabeth si girò di scatto e puntandogli il dito contro gli disse " Tu stai zitto, che poi faccio i conti anche con te!".

" Mi avete stufata entrambi! Vi comportate come due bambini che si contendono un balocco!". il tono di Elisabeth da arrabbiato era diventato amareggiato. " E io non sono il vostro balocco, accidenti! Non vi importa nulla né di me, né di quello che provo!".

Entrambi cercarono di dire qualcosa, ma lei non glielo permise e concluse dicendo

"Sapete che c'è di nuovo? Arrangiatevi un po' tra voi. Io domani parto e vado a Londra e voi andate all'inferno. Tutti e due!".

Uscì e salì sul taxi, a cui aveva chiesto di aspettarla fuori dal cancello.

Una volta seduta in macchina ebbe un solo pensiero: UOMINI…. TZE!.... Tutti uguali!

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Capitolo 9
*** LA CONFESSIONE DI ELISABETH ***


Questa storia è stata scritta per divertimento

Capitolo nove: LA CONFESSIONE DI ELISABETH

 

L’aereo di Elisabeth atterrò a Londra puntualissimo. Da lì, impiegò circa un ora prima di arrivare a casa. Lei era molto stanca, ma nonostante tutto era abbastanza tranquilla. Non vedeva l’ora di rivedere suo figlio, tutto il resto passava in secondo piano. La scenata della sera prima le aveva fatto capire che doveva prendere delle decisioni. Era veramente stufa di doversi sempre giustificare, di discutere in continuazione, sia con Paul che con Orlando. Si ripromise  che ci avrebbe pensato con calma in quei giorni,  ora voleva solo rilassarsi e godersi William.

Una volta davanti casa, Liz aprì la porta, ma non fece in tempo neanche ad entrare.

“ Mamma!!!!!” le urlò Willie tendendole le braccine.

Lei lasciò cadere tutto quello che aveva in mano e lo prese in braccio. Soffocandolo di baci e piccoli morsi affettuosi.

“ Ora la mamma ti mangia!” gli diceva continuando a tenerlo stretto e girando su a stessa. In quel momento si sentiva la persona più felice del mondo. E lo era davvero.

 

Durante il suo soggiorno a Londra Elisabeth si dedicò animo e corpo a suo figlio. Aveva dato precise istruzioni a sua madre: lei non c’era per niente e per nessuno. Soprattutto per Paul e Orlando. Quando sua madre sentì nominare Orlando, ovviamente, ne volle sapere di più.

“Lavori per Orlando? Mio Dio Elisabeth! Com’è possibile ?” chiese un stupita, e anche un po’ in apprensione per via dei loro trascorsi.

“Si mamma, proprio quell’Orlando…ma per favore, non starmi a chiedere tutti i minimi dettagli. Non mi va proprio di parlarne.”

Ad ogni modo Elisabeth gli raccontò molto sommariamente come erano andate le cose, e sua madre tentò di darle dei consigli. Come sempre lei la interruppe categoricamente, dicendole che non aveva proprio voglia di toccare quell’argomento. Sua madre, si disse per l’ennesima volta, che sua figlia era davvero ostinata. Ma rispettò i suoi desideri.

 

A parte quella piccola parentesi con sua madre, Elisabeth era davvero serena. La vicinanza con suo figlio la rendeva serena e radiosa. Giocava con lui, andavano a spasso nel parco o alle giostre, e benchè sapesse che era sbagliato, la notte lo faceva dormire con se, nel suo letto. Nonostante ciò, c’era un problema. Una cosa con cui lei non avrebbe mai pensato di dover fare i conti. Pur cercando di non dar troppo peso a quel tarlo che le si era insinuato nel cervello, la realtà era molto chiara. Aveva in testa un pensiero fisso: Orlando.

 Le veniva in mente di continuo. Addirittura le mancava. E questa cosa la faceva andare in bestia. Rivederlo le aveva chiarito una cosa, se mai ce ne fosse stato bisogno: provava ancora qualcosa per lui.

Willie la distolse da quel pensiero doloroso.

“ Mamma guarda che disegno che ho fatto?” le disse strizzando i grandi occhi nocciola e facendo una smorfietta.

Mio Dio!!! E’ proprio uguale a  padre! Si ritrovò a pensare per l’ennesima volta Elisabeth.

 Si avvicinò a lui e prese in mano il foglio:

“Uhhhhhh!!! Ma che bel disegno! Il mio piccolo ometto è proprio un artista!”.

Willie sorrise soddisfatto per il complimento, dondolando da una parte all’altra impettito.

Elisabeth strizzò gli occhi e si mise le mani su i fianchi: E’ decisamente tutto suo padre! Pensò tra il divertito e il costernato.

“ Vieni un po’ qui?” gli disse fingendosi arrabbiata “ Lo sai vero, che non bisogna mai essere troppo vanitoso Altrimenti da grande potresti diventare come qualche stronzetto di mia conoscenza!” concluse prendendolo in braccio e facendogli il solletico.

“ Oh! Oh!” disse Wille facendo segno di no con il ditino e aggrottando le sopracciglia, come aveva visto fare alla mamma quando era arrabbiata, “ La mamma ha detto una parola brutta!”.

 Elisabeth, che lì per lì, non si era resa conto di aver detto una parolaccia si coprì la bocca con una mano e sgranò gli occhi, poi con aria complice gli disse,

“ Shhhhhhh!!!! Non diciamolo alla nonna! Potrebbe anche picchiarmi lo sai?”.

Scoppiarono entrambe a ridere come matti.

 

Erano passati esattamente nove giorni dall’arrivo di Elisabeth a Londra.

 Era in camera sua ed era molto indaffarata. Willie e sua madre erano fuori.

 Sentì suonare il campanello e pensando che fossero loro che rientravano, aprì la porta senza guardare dallo spioncino.

Si trovò davanti Paul.

 “ Finalmente!” disse lui cercando di entrare.

“ Non voglio vederti!” gli disse lei, maledicendosi di non aver controllato prima di aprire.

“ Dobbiamo parlare Liz” ed entrò.

Lei per tutta risposta salì le scale tornando in camera sua. Lui la seguì.

 Una volta arrivato in camera di Elisabeth si rese conto che lei era intenta a fare le valige.

 “ Torni da lui?” le chiese tra l’esterrefatto e l’addolorato.

“ Ho un contratto da rispettare. Ricordi?” rispose lei lapidaria.

 “ Ma fammi il piacere!” sbottò lui sarcastico, “ Tu lo ami ancora è per questo che te ne vuoi tornare di corsa da lui!”.

Lei prese fiato poi si girò. In assoluta calma gli rispose:

“ Si, è vero. Io amo ancora Orlando” poi continuò “ Vorrei odiarlo, o meglio, vorrei che mi fosse del tutto indifferente. Ma non è così. Lo amo come l’ho sempre amato, e non ci posso fare proprio niente”.

Si girò come nulla fosse, e continuò a preparare le valige.

 Paul non se ne rese conto ma Elisabeth stava tremando come una foglia. L’aveva detto. Così, improvvisamente, le era uscito dalla bocca. Come se fosse la cosa più naturale del mondo. Dopo cinque anni era riuscita a confessarlo, ammettendolo con sé stessa , oltre che con Paul. Le dispiaceva di averlo ferito, sapeva che non lo meritava, sapeva anche quanto la amava e quanto era stato importante per lei in quegli ultimi due anni. Ma non aveva pensato. Le parole le erano uscite da sole. Forse, per la prima volta dopo tanto tempo era stata finalmente sincera, aveva allentato le sue difese e non aveva trovato nient’altro che la verità. Questo la spaventava.

 Paul si sentì morire. Capì di averla perduta. Ma forse, era consapevole da sempre di non averla mai avuta. Per quanto stesse male in quel memento, non riuscì, suo malgrado, a provare il minimo rancore verso di lei. Del resto lui sapeva bene quello che provava Elisabeth: amore, senza speranza alcuna.

Si girò lentamente e sussurrò “ Buona fortuna Elisabeth”.

Scese le scale, lentamente, come se non avesse fretta, come se niente oramai avesse più importanza. Lei lo raggiunse. Si sentiva tremendamente in colpa.

“Paul mi dispiace!” gli disse sommessamente poggiandogli una mano sulla spalla.

“Lo so” disse lui “ A volte ci sono cose che sono più grandi noi. Le combattiamo per una vita, ma loro vincono. Io non voglio combattere una vita per qualcosa, quando so per certo che non lo otterrò mai”.

“ Io ci ho provato Paul. Dio solo lo sa, se ti voglio bene. Ma non riesco ad amarti. Ti giuro che avrei dato l’anima per amare te come amo lui, ma il mio cuore e la mia ragione vanno in due direzioni opposte” disse lei addolorata.

“ Lo so” ripetè ancora lui, come se fosse una cantilena “ La cosa che mi preoccupa è che tu possa soffrire ancora. Quindi abbi cura di te, mi raccomando”.

Le sfiorò una guancia con bacio, poi non potendo più sopportare quella situazione, uscì e se ne andò.

Elisabeth lo guardò andare via. Era triste e confusa, ma si fece  coraggio e ritornò a finire di preparare le valige.

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Capitolo 10
*** NUOVE SENSAZIONI ***


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Capitolo dieci: NUOVE SENSAZIONI

 

A Los Angeles Elisabeth fu accolta da una splendida giornata di sole. Dopo aver penato un bel pò, riuscì finalmente a prendere un taxi. Mentre si stava dirigendo a casa di Orlando, si domandava che reazione avrebbe avuto lui nel vederla ritornare. Non si erano più sentiti da quella famosa sera in cui lei, aveva mollato tutto e tutti, ed era partita per Londra. Mentalmente cercava di imporsi l’idea che lei fosse tornata esclusivamente per finire il suo lavoro. Mentiva a se stessa e lo sapeva, ma era l’unica arma di difesa che possedeva, e continuava ad usarla.

Arrivò alla villa che erano circa le undici e trenta del mattino, era una giornata decisamente calda, pensò. Si sentiva allo stesso tempo, agitata ed euforica. Aveva il batticuore, proprio come una ragazzina al suo primo appuntamento. Si diede della stupida e cercò di calmarsi.

Fu accolta da Carmen che la fece accomodare e le offrì una bibita fresca. Di Orlando, nessuna traccia.

Elisabeth sorseggiò con piacere la bevanda e finalmente trovò il coraggio di domandare di Orlando.

“ E’ in piscina” le rispose con un sorriso Carmen.

All’improvviso le venne la voglia matta di andargli incontro, per fargli una sorpresa. Probabilmente era un’idea stupida, ma lei, al solo pensiero di rivederlo, si sentiva proprio così : stupidamente felice. Non aveva voglia di aspettare che rientrasse. Quindi senza indugiare oltre, si diresse verso la piscina. Camminava per il parco assaporando l’aria resa frizzante da un leggero venticello. Osservava le piante, la siepe tagliata con cura, il verde prato all’inglese, ordinatamente falciato. Le sembravano tutte cose nuove, meravigliose, come se fosse la prima volta che le vedesse. Non si ricordava esattamente dove era la piscina. Anzi a dire il vero le piscine erano due, quindi d’impulso, decise di imboccare il vialetto lastricato alla sua destra. Procedeva senza alcuna fretta, lasciandosi baciare dai raggi del sole, pervasa da una sensazione come d’ebbrezza.  Fu a metà strada che lo vide. Camminava verso di lei. Aveva un’andatura lenta, sembrava assorto nei suoi pensieri. Quasi distante, tanto da non accorgersi della sua presenza.

 Era  scalzo.  Indossava uno di quei costumi a calzoncini, scandalosamente a vita bassa. Aveva il capo chino. Evidentemente doveva essere appena uscito dall’acqua. Aveva un piccolo asciugamano bianco, appoggiato su collo. I capelli, bagnati, ricadendogli sul viso, celavano il suo sguardo. Con una mano si massaggiava la testa, e l’altra ciondolava distrattamente lungo il corpo. Lei notò subito le gambe: muscolose ma asciutte. Poi la  sua attenzione si focalizzò un attimo sul tatuaggio a forma di sole, che era completamente scoperto, in bella mostra,  sfrontato e provocante. Lentamente, senza fretta, lo sguardo di lei salì su, verso il torace. Lo esaminò con cura, come se volesse imprimersi nella mente ogni piccolo particolare. Lo ricordava più magro e meno muscoloso. Notò che delle gocce d’acqua sul suo corpo riflettevano la luce del sole. Sembrava quasi tempestato da tanti piccoli diamanti. Le spalle erano larghe, molto più di quanto ricordasse. Il braccio che aveva piegato per via della mano che si teneva sulla testa, mostrava chiaramente che aveva fatto dell’esercizio fisico, i muscoli erano ben delineati, molto armonici . Elisabeth rimase senza fiato. Non era preparata a questo. Il cuore cominciò a martellarle così forte, che per un attimo temette che le sarebbe saltato fuori dal petto.

Istintivamente Orlando alzò la testa e la vide: i lunghi capelli castani leggermente mossi dalla brezza che si era alzata. I grandi occhi color giada, lucidi, sembravano colmi di stupore. Le morbide labbra leggermente dischiuse, in un espressione di candida aspettativa. Le mani lungo i fianchi, le cui morbide curve erano fasciate in un paio di jeans a vita bassa . Sopra i pantaloni indossava una maglietta bianca, che lasciava maliziosamente intravedere l’ombelico. Sentì un tonfo sordo allo stomaco.

Per un attimo rimasero così. Fermi. Incapaci di muoversi, rapiti l’uno dall’altra, come se fossero ipnotizzati. Fu solo un breve istante, ma il mondo sembrò fermarsi.

Come se quel momento fosse solo per loro. Fuori dal tempo e dello spazio.

 

“E..lisa..beth..?” riuscì a stento a dire Orlando. “ Ma sei Tornata?!” le domandò, con fare incerto. Lui stesso non sapeva, se credere o no a quello che vedeva.

 Lei cercò di darsi un tono per non far capire quanto fosse turbata, “ Avevo da finire un lavoro, no?” disse sorridendo come niente fosse.

 Orlando si rilassò di colpo. Ebbe la netta sensazione di essere più leggero, come se un grosso peso gli fosse improvvisamente scivolato di dosso.

 Non volendo a sua volta scoprirsi troppo e mostrare la su felicità rispose “ Bene! Ero già terrorizzato” disse roteando gli occhi e poggiandosi una mano sulla fronte, con fare fintamente disperato “Non avrei proprio saputo dove andare, per cercare un altro architetto. Parola mia!” concluse, portandosi questa volta la mano al petto, sempre più fintamente disperato.

 Quella battuta in qualche modo spezzò quel momento così intenso e magico.

“Disperato, certo!” disse Elisabeth sorridendo, “Ma sai quanti altri ne trovi di arredatori? Certo, non bravi quanto me, però…” aggiunse.

Orlando rise per la sua battuta e lei fece altrettanto,e insieme rientrarono in casa.

Discussero una buona mezzoretta perché lei voleva cercare un albergo, e Orlando invece voleva che si sistemasse lì da lui, in una delle tante camere della casa. Alla fine l’ebbe vinta Orlando, forse anche perché Elisabeth era molto stanca per lungo viaggio. La fece accompagnare in una stanza per gli ospiti e la lasciò libera di darsi una rinfrescata. Si dettero appuntamento a più tardi nel salone.

 Elisabeth esaminò la sua stanza: era grande, luminosa e con un bagno privato, interno alla stanza stessa. Le piaceva, ma continuava a pensare di aver sbagliato a cedere a Orlando. Sarebbe stato molto più saggio se lei si fosse sistemata in un albergo. Ma ormai era fatta. Decise quindi di farsi una bella doccia.

 

 Come entrò in camera sua, Orlando prese la rincorsa e spiccò un salto schiacciando al volo l’aria, come se facesse un canestro immaginario. Era stata un esplosione di gioia infantile, ma era davvero al settimo cielo.

 Aveva passato dieci giorni d’inferno. C’era voluta tutta la pazienza di Elijah, per tenerlo a freno e per impedirgli di salire sul primo aereo per Londra. Ne era valsa la pena, si disse, lei era tornata. Gli sembrava impossibile, ma era così. Pieno di speranze ed ottimismo, lanciò l’asciugamano che cadde sul letto e piroettando da destra verso sinistra, aprì la doccia. Una volta dentro, cominciò ad insaponarsi energicamente.

I’m siiiiiiiinging in the raiiiiiiiiiin, just sinnnnnnnnnnng in the raiiiiiiiin… lallà llaallallàààààààààà”.

Cantava a squarciagola come un deficiente.

Stava bene, dannatamente bene.

Non si ricordava neanche più da quanto tempo non gli succedesse una cosa del genere.

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Capitolo 11
*** GIOCHI NELL'ACQUA ***


Capitolo 11: GIOCHI NELL’ACQUA

 

Orlando era adagiato sul divano con una gamba lunga distesa, e l'altra  accavallata alla ben meglio su un bracciolo. Aveva una mano sotto la testa a mò di cuscino e con l'altra teneva uno degli innumerevoli copioni che gli erano stati recapitati  ultimamente da vari registi.

 Stava leggendo una sceneggiatura, e anche se aveva deciso di prendersi un lungo periodo di pausa, non poteva certo permettersi di adagiarsi sugli allori e fare l'enorme sbaglio di lasciarsi sfuggire delle occasioni importanti, quindi cercava di stare sempre all'erta.

 Era talmente concentrato nella lettura, che non si era nemmeno reso conto dello scorrere del tempo.

 Distrattamente buttò l'occhio al suo orologio. Erano passate due ore. Ed erano, esattamente due ore, che lui era in attesa di Elisabeth. Lei avrebbe dovuto raggiungerlo lì nel salone, come erano rimasti d’accordo.

 Si tirò su e si stiracchiò, allungando le braccia e inarcando la schiena.

 Poi chiamò Carmen e le chiese se per caso avesse visto Elisabeth.

 La signora rispose che no, non l'aveva vista, ma che secondo lei , la signorina Barlow dormiva.

 Orlando decise di andare a controllare.

 Salì la lunga scalinata che portava al secondo piano della villa, nella zona notte. Percorse il lungo corridoio, poi una volta davanti alla stanza di Elisabeth bussò lievemente. Nessuna risposta. Bussò di nuovo, un po’ più forte. Ancora niente.

Allora con delicatezza girò il pomello e aprì la porta.

 Elisabeth era a letto. Nella penombra, Orlando vide che dormiva profondamente. Era supina, la testa piegata su un lato, con i capelli  sparpagliati sul cuscino, e una ciocca le copriva il viso. Una mano era appoggiata vicino alla testa, l'altra era piegata come in una specie di abbraccio, morbidamente appoggiata sotto il seno, che si alzava e abbassava regolarmente, al ritmo regolare del sonno.

Orlando sorrise. In quel momento, sembrava proprio una bambina. Rimase qualche minuto ad osservarla, era piacevole averla così vicina e soprattutto vederla così serena. Si domandò che cosa fosse successo, come mai Paul non fosse con lei, e per quale ragione fosse tornata da lui.

 Nonostante ciò decise di non disturbarla, anche se a dire il vero avrebbe avuto una gran voglia di svegliarla. Era ansioso di parlare con lei, di sapere tante cose. Pensò che doveva portarla a cena fuori, che doveva corteggiarla, colmandola di tutte quelle attenzioni che lei lo aveva sempre rimproverato di non avere. E poi avrebbero parlato, dovevano parlare. Lui voleva riconquistarla a qualsiasi costo.

Si disse che dopotutto aveva aspettato così tanto, che aspettare un altro poco, non sarebbe certo stato un dramma.

 

Elisabeth non si svegliò. Continuò a dormire fino alla mattina seguente.

Si alzò di ottimo umore, riposata e rigenerata. Quella mattina stava così bene che non voleva pensare a niente, quindi scacciò tutti i dubbi e le incertezze. Si disse che ci avrebbe pensato più tardi, ora voleva solo godersi la mattinata libera da ogni preoccupazione.

 Scese in cucina molto affamata e Carmen si mise subito a prepararle la colazione.

" Orlando è uscito?" chiese Elisabeth.

"No è in piscina"disse  Carmen mentre trafficava ai fornelli " Sono così contenta signorina Barlow, ha ripreso a nuotare, è una cosa importante per la sua schiena" aggiunse in tono quasi materno.

 " Tu gli vuoi bene vero Carmen?" le chiese Liz.

 " Si molto" disse la donna lasciando per un attimo quello che stava facendo "Potrebbe essere mio figlio!” disse e il suo viso si distese in un grande sorriso “Ultimamente l'avevo visto così triste e sconsolato, che mi si stringeva il cuore! Sapere che ha ricominciato ad avere cura di se, mi toglie un peso" concluse rimettendosi a preparare la colazione. " Grazie Carmen, sei una persona davvero speciale, Orlando è fortunato ad averti incontrata " rispose Elisabeth " mentre finisci di preparare vado a salutarlo" concluse.

 Elisabeth uscì in giardino e si tolse le scarpe, lasciandole vicino all'entrata di casa, quindi si avviò verso la piscina.

 Lo trovò che stava nuotando. Orlando appena la vide, si fermò, appoggiò una mano sul bordo, e la salutò allegramente " Ciao! " disse sorridendo " Vedo con piacere che la bella addormentata nel bosco si è finalmente svegliata!".

 Lei si mise a sedere a sua volta sul bordo della piscina, ma di lato, per non bagnarsi i pantaloni e gli rispose, un po’ mortificata "Hai ragione, ho dormito veramente tanto, ma il jet lang, mi ha dato molto fastidio questa volta. Avrei voluto solo fare un pisolino, ma….".

 Intanto lui si era tirato su a sedere accanto a lei.

" Ma figurati!" disse con un tono sagace, ma solo per prenderla in giro " Ti ho solo aspettata due ore!".

" Mi dispiace, davvero…. Ma ero molto stanca. Spero che sarai clemente con me e non mi punirai" rispose Elisabeth stando al gioco, era così tranquilla che scherzare le veniva naturale.

" Di questo non ne sarei tanto sicura fossi in te!" disse Orlando con uno sguardo molto, ma molto, furbetto.

" Oh Cielo! Che intendi farmi? " disse lei portandosi entrambe le mani al viso e strabuzzando gli occhi, fingendosi terrorizzata.

" QUESTO!" e la scaraventò in piscina ridendo come un matto.

 Elisabeth volò in acqua.

 Riemerse annaspando e tossendo, perché colta di sorpresa, aveva bevuto.

" Ma sei scemo?" disse ad Orlando più stupita che arrabbiata.

" Domanda sbagliata! Dovresti chiederti quando mai sono stato normale!" rispose lui, e con una capriola si tuffò in acqua a sua volta.

Cominciò a schizzarla continuando a ridere.

 " Almeno così sono sicuro che sei sveglia davvero!!".

" Sei veramente uno scemo!" disse lei non potendo più trattenere una risata "Ora ti faccio vedere io!" concluse minacciosa.

 Tentò con tutte le sue forze di mandarlo sotto, ma più si sforzava e meno ci riusciva, ad un certo punto si fermò di colpo, esausta e con il fiatone.

 Orlando che era impegnato a difendersi da quell'attacco si fermò a sua volta. Lei approfittò del momento di distrazione di lui e gli cacciò la testa sott'acqua.

 " Ah è così? " disse lui una volta riemerso " Vuoi la guerra?….. E Guerra sia!" e così dicendo l'afferrò per la vita e la portò sott'acqua con se.

 Riemersero di colpo entrambi. Elisabeth aveva bevuto di nuovo. Si appoggiò con la schiena ed entrambi le mani, al bordo.

" Basta ti prego!" disse in segno di resa " Hai vinto tu! Ma ora fammi uscire sono bagnata fradicia e i pantaloni mi danno fastidio".

 Lui si mise di fronte a lei e si aggrappò a sua volta al bordo con entrambe le mani chiudendola in una specie di abbraccio.

 Le diede un occhiata eloquente e le disse a voce bassa con un tono caldo e provocante

 "Togliteli".

Forse sarà stato per come la stava guardando, o per il tono sensuale che aveva usato, ma Elisabeth sentì improvvisamente qualcosa di pericolosamente languido insinuarsi in lei. Colta all'improvviso dal quell'ondata di desiderio cercò di smorzare il tutto con una battuta.

" Spiritoso!! Non potrei anche se lo desiderassi, mi sono incollati addosso come un francobollo" e pur non volendo la sua battuta, ebbe l'effetto contrario da lei sperato.

" Anche qualcos'altro ti si è appiccicato addosso come una seconda pelle …." replicò Orlando che stava guardando la sua maglietta bianca da cui si intravedeva molto bene il reggiseno e non solo.

 Elisabeth avvampò.

Orlando, che non era partito affatto con l’intenzione di sedurla, suo malgrado era stato sopraffatto dalla situazione, la fissava intensamente, preda dello stesso desiderio che leggeva nello sguardo di lei. In un attimo tutti i suoi buoni propositi andarono a farsi benedire e le si avvicinò, quasi toccandola con il proprio corpo.

 Abbassò lentamente una mano e con le dita cominciò a carezzarle la pancia proprio pochi centimetri sopra l'ombelico.

 Elisabeth incapace di reagire, cominciò a sentirsi invadere da un languore che conosceva fin troppo bene, il fiato le si fece corto e istintivamente chiuse gli occhi, facendosi dominare dalle sensazioni che le procuravano quelle carezze provocanti.

 Lui si avvicinò ancora, continuando quella dolce tortura. Accostò la sua bocca all'orecchio di lei e le sussurrò con fare complice  "Se non ricordo male ti piaceva un sacco quando ti facevo così…".

 " Io… si…mi ricordo" riuscì a malapena a rispondere Elisabeth, e pur sapendo che lasciarlo fare era sbagliato, non riusciva a dirgli di smettere.

 Lui continuò ad accarezzarla, salendo con la mano e cercando il suo seno, intanto aveva anche cominciato a tormentarle il collo con piccoli baci.

Elisabeth era come paralizzata, non riusciva a fare niente, era totalmente in balia delle sensazioni che le trasmetteva Orlando toccando il suo corpo.

 " Elisabeth , tu non sai quanto ti desidero" mormorò lui mentre continuava a tempestarla di baci "Ti desidero talmente tanto che stò male!".

 " Or..lando, ti prego.." riuscì a dire lei in un soffio.

 " Si…. " rispose lui che stava davvero perdendo il controllo del tutto.

 " Orlando… siamo… fuori.." continuò lei sempre più incerta " ….In piscina…. e per giunta aggrappati ad un bordo …. e .. "

 " Chi se ne frega! Io ti voglio!" rispose lui, in preda ad una passione ormai incontrollabile.

" L'avevo vagamente intuito …" rispose lei ironicamente. Appena in tempo era riuscita a riprendersi ed imporsi di mettere un freno a quella situazione pericolosa " Non è che lo possiamo fare qui! C'è il rischio che da un momento all'altro arrivi il giardiniere!" concluse agitata.

 Lui si fermò e alzò la testa, guardò a destra e poi a sinistra "Io non vedo nessuno!"

 " E menomale !" disse lei arrossendo " Sai che figura?".

 " Ma se non siamo neanche spogliati!" disse lui con fare da finto ingenuo, cercando a sua volta di calmare un po’ la smania che lo stava divorando.

 " Per ora non lo siamo ma.." Elisabeth non fece in tempo a rispondere che fu interrotta proprio dal giardiniere.

 " Buon giorno signor Bloom tutto a posto?" chiese l'uomo guardandoli stranito, visto che Elisabeth era in acqua completamente vestita.

 " Tutto a posto Albert" rispose lui burbero e incenerendolo con un'occhiataccia. L'uomo capì al volo e si eclissò in quattro e quattr'otto.

 " Hai visto?" disse lei imbarazzatissima "Per poco non ci beccava in flagrante!"

 Orlando strizzo gli occhi e facendo una delle sue solite facce buffe, si avvicinò al suo viso, come per scoprire chissà quale segreto e le disse " Ma che sei diventata anche una maga?".

" Ma che maga! Mica bisogna essere indovini, basta ricordarsi un po’ gli orari di lavoro del personale!".

 " Ahh!!! Mentre io ero impegnato a sedurti, tu non avevi meglio da fare che pensare al personale!" replicò con un tono da finto offeso.

" E dai non fare sempre il buffone! Non riuscirò più a guardare Albert in faccia dalla vergogna!" disse lei.

 " La solita esagerata! Su, vatti a cambiare e andiamo a fare colazione!"

 le disse lui dandole un piccolo bacio sul naso " .

 

Più tardi stavano facendo colazione insieme, ma in cucina regnava il silenzio più assoluto.

Elisabeth era arrabbiata con se stessa perché non riusciva più a dominarsi. Questo la faceva sentire vulnerabile e pericolosamente fragile. Non poteva permettersi assolutamente di commettere delle sciocchezze e andare a letto con Orlando non era solo una sciocchezza, ma uno sbaglio enorme.

Orlando a sua volta si stava rimproverando per essere sempre così impulsivo. Si era ripromesso di corteggiarla, conquistare la sua fiducia e non di assalirla alla prima occasione che se la ritrovava un po’ più vicina. Si dette della bestia da solo. Poi prese coraggio e le chiese

 " Se non hai niente in contrario, stasera mi piacerebbe che andassimo a cena fuori. Vorrei parlare un po’ con te".

" Si può fare" rispose lei " E poi a dire il vero anche io dovrei parlarti".

Orlando si rese conto che il tono di Elisabeth era piuttosto serio, ma non disse nulla, si sarebbero chiariti quella sera a cena, o almeno lo sperava.

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Capitolo 12
*** UNA CENA RICCA DI SORPRESE ***


Questa storia è stata scritta per divertimento

Capitolo 12: UNA CENA RICCA DI SORPRESE

 

 

Alle 18,30 di quella stessa sera, Elisabeth era davanti allo specchio che si stava esaminando con aria critica.

 Aveva indossato un abitino nero, attillato, con le spalline larghe, appena sopra il ginocchio. Era un modello un pò particolare: accollato sul davanti, aveva un inserto aperto dietro la schiena. L’insieme risultava essere molto sensuale.

Continuava a guardarsi, riflessa nel grande specchio della camera, con aria pensierosa, “Non ci siamo cara Elisabeth!” si disse, in una specie di tu per tu con se stessa, “Non puoi presentarti vestita così! Che diavolo ti prende eh? Vuoi forse sedurlo? Sei una stupida!”.

 Si sfilò con rabbia il vestito e lo gettò a terra, poi si sedette su bordo del letto prendendosi la testa fra le mani.

Non riusciva a capacitarsi, di come la situazione le fosse sfuggita di mano, in così poco tempo. Quella sera avrebbe dovuto ristabilire le distanze fra lei e Orlando, a qualsiasi costo. Non era nella posizione di poter fare scelte egoistiche, o sull’onda dei sentimenti, c’era in gioco suo figlio, la cui serenità andava avanti a tutto e tutti.

Da qualche tempo però, una vocina dentro di lei, la tormentava spesso, “Dovresti dirglielo Elisabeth, Orlando dovrebbe saperlo. Quello che stai facendo non è giusto e tu lo sai!”. 

Ma lei non voleva e non poteva cedere alla sua coscienza, e poi aveva paura, tanta paura. A suo tempo aveva fatto una scelta, ed era una di quelle scelte, che una volta fatte, non si possono ritrattare.  

Si fece coraggio e indossò un paio di pantaloni larghi di seta grigi, a vita bassa e una maglietta pari collo color panna, senza maniche, leggermente aderente. Completò il radicale cambiamento di vestiario, con un paio di sandali bassi e si sciolse i capelli, che aveva raccolto in precedenza. Sospirò ed uscì dalla stanza.

Orlando che la stava aspettando di sotto, appena la vide sorrise divertito, si era vestito con un completo di Prada nero. Era decisamente molto più elegante di lei, che al contrario era semplice e sobria. Orlando scosse la testa e prese i bordi della giacca con le mani e allargandola mostrò la camicia bianca, “Come sempre, non ci ho proprio preso con l’abbigliamento! Aspettami che in due secondi mi cambio e sono da te!”.

Quando tornò indossava un paio di pantaloni neri di jeans e una camicia azzurra “ Ecco! Ora siamo più…. come dire…. intonati!”.

 Sorrideva e sembrava estremamente tranquillo, al contrario di Liz che era piuttosto tesa e taciturna.

“ Allora non dici niente?” le chiese Orlando.

“ Stai bene, e come hai detto tu, ora siamo più intonati” rispose lei distrattamente.

“ Che entusiasmo!” ribatté lui, cercando di buttarla sullo scherzo.

In realtà si era reso conto di quanto fosse agitata e voleva metterla a suo agio. La prese per mano, e con aria soddisfatta, le disse che aveva affittato una Limousine con tanto di autista, per gli spostamenti di quella sera. Lei gli disse che era il solito esagerato.

 “ Perché?”chiese lui un pò deluso.

 “ Bastava un taxi, in fondo è solo una cena” rispose Elisabeth.

“Non è solo una cena! Stasera è una sera importante. Ci sono tante cose che devo dirti e che dobbiamo chiarire. Accidenti!” avrebbe voluto dirle Orlando, ma preferì tacere, lei era decisamente troppo nervosa. Sperava che con il prosieguo della serata si sarebbe calmata. Già da come si era vestita aveva capito che voleva mettere una certa distanza tra loro, ormai la conosceva troppo bene, sapeva che quando c'era qualcosa che non andava, lei si chiudeva come un riccio. Forse era un po’ arrabbiata per quello che era successo in piscina, si disse Orlando, cercando di raccogliere tutta la calma e la pazienza possibile.

 

La Limousine si fermò davanti al ristorante che Orlando aveva scelto con cura: il Matsuhisa a Beverly Hills, uno dei più in voga a Los Angeles.

 Entrarono e si sedettero al tavolo. Il cameriere con solerzia, porse subito loro il menù per l’ordinazione.

“ Oh mio Dio!” esclamò Elisabeth.

“ Che c’è ?” chiese Orlando alzando gli occhi dal menù, vagamente preoccupato.

 “Fanno solo il sushi qui!” esclamò Elisabeth disperata.

“ Sì certo!” rispose lui sorridendo, “Fanno il miglior sushi di tutta la California!” , aggiunse soddisfatto.

 “ Ma io odio il sushi! E’ pesce crudo!” disse Elisabeth facendo una smorfia di disgusto.

“ Io… io non lo sapevo!” rispose lui mortificato.

 “ E come potevi saperlo? Del resto, quando ci frequentavamo noi, non avevi certo questi gusti particolari e raffinati!” disse lei.

“ Ora sei ingiusta Beth” disse Orlando veramente dispiaciuto.

A sentirsi chiamare Beth, lei rimase un attimo in silenzio. Nessuno la chiamava Beth, tranne Orlando. Era una sua esclusiva. Una specie di diminutivo da innamorati, molto intimo.

La rabbia ebbe la meglio su di lei.

“Non chiamarmi così!” gli disse risentita.

“ Perché? Ti ho sempre chiamata così!” rispose lui, che incominciava a sua volta ad innervosirsi.

“ Mi chiamavi così quando stavamo insieme. Ora siamo quasi due estranei, e mi dà fastidio!”.

“ Addirittura siamo due estranei! Elisabeth che diavolo ti prende stasera?” le disse Orlando.

“ Non mi prende niente, dico solo la verità” gli rispose.

 “ A me invece sembra che tu voglia litigare per forza. Se c’è qualcosa che non va, dillo, e senza tanti giri di parole!” disse lui piuttosto costernato.

 “ E va bene” cominciò lei “ E’ un mese che sono a Los Angeles, costretta fare un lavoro, che tra l’altro sta andando paurosamente a rilento..”

 “ Perché sei tornata allora?” la interruppe lui con un tono basso e tagliente, fissandola dritta negli occhi, con un espressione contrariata.

“ Ah, che domanda intelligente Orlando! Dovevo tornare per forza! Ti sei forse dimenticato della famosa clausola che mi hai fatto firmare sul contratto?” gli rispose.

 “ Andiamo Elisabeth non fare la bambina, mi conosci meglio di chiunque altro, sai benissimo che non sarei mai stato capace di farti rispettare quella clausola!”.

 “ Certo! Come no? Non ti ricordi più della scenata che mi hai fatto la prima volta che sono entrata in casa tua? Parevi il diavolo in persona!”.

 “ Era solo una ripicca la mia, ammetto che forse ho sbagliato, ma tu…”

“Forse hai sbagliato?” lo interruppe alterata Elisabeth, “ Mi hai ricattata in maniera ignobile!”.

Orlando stava perdendo anche l’ultimo residuo di pazienza rimastagli “ Scusa Elisabeth, dimenticavo che tu sei perfetta! Tu sei quella che studiava e io quello che faceva casino, tu sei quella equilibrata, matura e sensibile e io quello immaturo e sconsiderato! Ah e non dimentichiamoci che sono anche egocentrico, narciso ed egoista vero?”.

 Elisabeth non fece in tempo a rispondergli perché furono interrotti dal cameriere che avvisò Orlando che c’era una telefonata importante per lui. Orlando si fece portare il telefono e parlò alcuni secondi.

 “ Era Mattew il mio assistente” disse appena terminata la conversazione.

 A sentire quel nome Elisabeth s’irrigidì, ma Orlando sembrò non accorgersene e proseguì “Dovrei passare dal Viper Room. Jhonny Depp è appena arrivato dalla Francia, ha dato una festa per pochi intimi nel suo locale, ma vuole vedermi per un problema sorto con la post produzione del secondo capitolo di Pirates of the Caribbean. Quindi se non ti dispiace, facciamo un salto lì dopo cena. E’ una questione molto importante, non posso proprio fare a meno di andare”.

 Elisabeth avrebbe preferito prendere un taxi e tornare a casa, ma poi pensò che forse, quel fuori programma poteva servirle per distrarsi un poco e sarebbe stato utile, anche per riordinare le idee. In effetti era stata un po’ troppo dura con lui, ma non riusciva più a gestire la cosa, e come era sua abitudine, quando si sentiva insicura diventava aggressiva.

 

Arrivarono al Viper Room abbastanza presto, ma non fecero in tempo ad entrare, che si videro venire incontro Mallory. Sembrava molto contrariata.

“Ecco, ci mancava solo Barbie, la reginetta della festa!” pensò Elisabeth che solo a vederla si sentì di nuovo montare il nervoso. La guardò mentre avanzava ancheggiando in maniera appariscente. Indossava un abitino corto di chiffon rosa pallido, completamente trasparente, con solo un perizoma in dosso. In pratica le si vedeva tutto. Elisabet era stizzita “Mi correggo, forse è più appropriato chiamarla, Barbie, la troietta della festa!” pensò.

Mallory si avvicinò ad Orlando e come se Elisabeth non esistesse gli disse: “Ora tu mi spieghi perché non ti sei fatto più vivo!”.

 Orlando si massaggiò la testa disperato, “Perfetto, ci voleva anche Mallory, adesso!” pensò.

“ Ora, non è né il momento né il luogo, Mallory!” le rispose piuttosto spazientito.

“ Se tu non mi dici che cosa succede, io ti pianto un tale casino, qui, davanti a tutti, che neanche ti immagini!” disse Mallory con voce stridula.

 Orlando la prese per un braccio, poi si rivolse ad Elisabeth: “ Me la sbrigo in un attimo. Aspettami qui”.

 “ Ma figurati, fai pure con comodo” ribatté Elisabeth sarcastica.

Orlando che voleva davvero togliersi Mallory dai piedi, non si mise a discutere oltre, e se la portò via. Mentre camminava, trascinandosela dietro piuttosto bruscamente, non poté fare a meno di mormorare tra se: “Ma che bella serata di merda!”.

Elisabeth era furiosa. Si diresse con passo deciso al bancone del bar e ordinò da bere, “Dammi qualcosa di forte per favore” disse al barista.

Lui le versò del rum e mentre stava sorseggiando il liquore, le si sedette accanto qualcuno.

“ Salve” si sentì dire Liz. Si girò e vide un ragazzo biondo, sulla trentina, con il pizzetto e gli occhi di un colore azzurro profondo. Lo riconobbe immediatamente.

 “ Sono..” fece per dire lui.

 “ Credo di sapere chi sei” gli rispose lei sorridendo “ Ho visto tutti i tuoi film, e poi per un periodo sei stato il re del mondo, e impossibile non riconoscerti!”.

Lui sorrise a sua volta e le tese la mano “ Hai indovinato! Piacere, Leonardo, e tu come ti chiami?”.

 “ Elisabeth”.

“ Sei sola?” le chiese lui.

 “ No, sono venuta con Orlando Bloom, lo conosci?”.

 “ Non proprio. Diciamo che lo conosco di vista, ci siamo incrociati a qualche party. E’ il tuo ragazzo?”.

 “ No, lavoro per lui, gli arredo casa”.

 “ Interessante. Avevo notato che non sei una delle solite ragazze del giro”.

 Continuarono a chiacchierare amabilmente. Leonardo le offrì nuovamente da bere. Le stava spiegando che era lì per salutare Jhonny, con il quale era rimasto amico, dopo che avevano girato insieme Buon Compleanno Mr Grape.

 Elisabeth notò che era un ragazzo educato e tranquillo, molto affascinate, tutto il contrario di quello che scrivevano i giornali. Non ci stava affatto provando con lei, era solo in cerca di qualcuno per fare quattro chiacchere visto che era da solo. La sua ragazza, una famosa top model, era a Parigi per delle sfilate.

 Ad un certo punto Elisabeth gli disse che doveva andare in bagno.

Si sentiva strana, gli alcolici buttati giù praticamente a stomaco vuoto, le stavano facendo effetto. La testa le girava vorticosamente.

Arrivò in bagno con qualche difficoltà. Aprì il rubinetto dell’acqua fredda e si sciacquò la faccia.

“Bene, bene!” sentì dirsi.

 Si girò e si trovò davanti Mallory.

 La ignorò, cercando di riprendersi, ma l’altra continuò imperterrita “Non so se ti rendi conto, ma sei solo un peso. Forse ti sarai illusa, ma sappi che Orlando è mio. Del resto è pazzo di me!”.

“ Davvero?” disse Elisabeth “ Non me ne sono accorta, anche perché non mi sembra che muoia dalla voglia di stare con te”.

“ Bella mia, tu vivi d’illusioni! Lui non può fare a meno di me. So fare certi giochetti io, che lo fanno letteralmente impazzire! Ti ha mai raccontato di quella volta che l’ho legato al letto?” disse Mallory, fiera, come se stesse parlando di un master in fisica.

Elisabet, che non sapeva se ridere o prenderla a schiaffi, si girò e le rispose

“ Ma mia cara, sei un po’ indietro in fatto di giochini, io l’ultima volta l’ho legato al lampadario!” e con questa frase, a metà tra l'ironico e il sarcastico, uscì dal bagno cercando di darsi un contegno, visto che stava a malapena in piedi.

 Stava dirigendosi nuovamente verso il bancone del bar, quando si sentì afferrare saldamente per un braccio. Si girò e si trovò faccia a faccia con Orlando. Era cupo e accigliato.

“ Vieni andiamo a casa” le disse.

“ Va bene, ma prima vado a salutare Leonardo” rispose lei.

“ Non è necessario, capirà” disse cercando di star calmo Orlando, ma la sua voce fredda, tradiva la sua rabbia.

“ Decido io che cosa è necessario o meno” rispose Elisabeth e con uno strattone si liberò e si diresse verso Leonardo.

 “ Ti volevo salutare. Il mio accompagnatore ha deciso che ce n’andiamo” disse Liz a Leonardo.

 “ Allora alla prossima, Elisabeth, è stato un piacere parlare con te” rispose lui stingendole nuovamente la mano. Poi aggiunse in tono confidenziale “Non sarà il tuo ragazzo, ma a me pare un po’ geloso” e le strizzò l’occhio.

 Orlando che li aveva raggiunti la prese per un polso e disse “ Vi siete salutati, ora andiamo via” e senza tante cerimonie la portò con se.

La trascinò in macchina, tirandosela dietro come avrebbe fatto con un bambino recalcitrante.

 Elisabeth si sentiva sempre peggio. Era completamente ubriaca.

Una volta in macchina calò il silenzio più assoluto. Orlando guardava fuori del finestrino cercando di calmarsi, Liz invece ripensava alle parole di Mallory. Non poteva neanche sopportare di immaginarla a letto insieme al suo Orlando. Era fuori di se, e intanto osservava Orlando: aveva e i capelli arruffati e la camicia leggermente sbottonata. La sua attenzione si focalizzò sul suo collo. Aveva sempre adorato il collo di Orlando, lo trovava così sexy. In quel momento quella visione di lui appoggiato al vetro, rappresentava per lei un’attrattiva irresistibile, e siccome l’alcool aveva rotto i suoi freni inibitori, gli si avvicinò.

Non le importava più niente di niente voleva solo fargli dimenticare quella sciacquetta, quindi gli scostò la camicia e gli appoggiò le labbra tra il collo e la scapola.

 Orlando sussultò, questa proprio non se la sarebbe mai aspettata. Lei cominciò a sbottonargli la camicia e continuò a baciarlo salendo verso il suo orecchio.

 “ Elisabeth… che …. che stai facendo?” le chiese lui.

 Per tutta risposta lei si alzò leggermente sulle ginocchia e si mise a cavallo sopra di lui, continuando ad aprirgli la camicia.

 “ Faccio un giochino” disse maliziosa, mentre gli graffiava delicatamente la pelle con  le unghie.

Orlando sentì un brivido corrergli lungo la schiena, prese fiato e, cercando di mantenere la calma, disse “ Elisabeth hai bevuto, non mi pare il caso...”.

 Ma lei pareva non sentirlo e continuava imperterrita. Aveva preso a mordicchiarlo sul collo, continuando a carezzarlo sul torace. Orlando che si sentiva morire, si aggrappò al sedile della macchina. L'autista, che aveva buttato l'occhio allo specchietto retrovisore, prontamente alzò il vetro per isolare l'abitacolo occupato dai due,  lasciandoli alla loro intimità.  Elisabeth, intanto, aveva completamente sbottonato la camicia di Orlando e lo stava baciando.

Improvvisamente cominciò ad armeggiare con i suoi pantaloni.

 Orlando, che stava veramente per perdere del tutto il controllo, chiamò a raccolta tutta la sua buona volontà, le afferrò entrambi le mani e con voce incerta cominciò a dirle:

 “ Elisabeth  per favore … sei ubriaca, non sai quello che stai facendo”.

 “ Tu non vuoi fare l’amore con me! Perché? Forse perché io non sono lei? O è perché lei è più brava di me!” le chiese.

 Orlando chiuse un attimo gli occhi, sospirò leggermente e le disse

“ Elisabeth ascoltami. Credo di non aver mai voluto una donna quanto voglio te. Ma non voglio che succeda così. Stasera non sei padrona di te stessa. Hai bevuto, non sei in grado di decidere ciò che vuoi, o non vuoi fare. Ti prego rimettiti a sedere. E’ meglio che ci diamo una calmata, o finiresti per fare qualcosa di cui, sono sicuro, domani saresti pentita.”

 Nonostante fosse ubriaca, Elisabeth, si rese conto che ciò che Orlando aveva detto, poteva essere anche giusto,forse si sarebbe pentita, o forse no. Il fatto era che in quel momento le importava poco, non riusciva a ragionare in maniera lucida, comunque, gli obbedì e si rimise a sedere accanto a lui, in silenzio.

Orlando si ricompose alla ben meglio, poi si girò verso di lei, per parlarle, ma Elisabeth era crollata, dormiva profondamente.  "Meglio così" pensò "Tanto, sono abbastanza certo, che domani troverà il modo di accusarmi anche di questo!".

Gli scappò da ridere,per fortuna non aveva perso il suo senso dell' ironia: "Caro mio una volta a casa ti farai la tua solita doccia, tanto ormai è una costante irrinunciabile!".

In fine pensò, non senza un po’ di rammarico, che ultimamente non c'era verso che le cose andassero una sola volta, nella maniera giusta.

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Capitolo 13
*** NE' CON TE ... NE' SENZA DI TE ***


Questa storia è stata scritta per divertimento

Capitolo 13: NE' CON TE … NE' SENZA DI TE

 

Elisabeth si era svegliata molto tardi quella mattina. La nausea ed il mal di testa la stavano facendo impazzire. Aveva fatto un bagno caldo sperando di star meglio, ma la situazione non era cambiata di una virgola. Si rinfilò sotto le lenzuola, nel buio pesto artificiale, che aveva creato sbarrando porta e finestre della sua camera. Si coprì la testa, aveva una gran voglia di sparire in qualche buco nero, addormentandosi e svegliandosi almeno dopo un mese, per poter rifuggire quella situazione che si era creata. Non sapeva come fare ad affrontarla e avrebbe tanto voluto scappare di nuovo. Questa volta però, non poteva farlo. Non si può scappare in eterno, si era detta, ma l'angoscia che si era impossessata di lei, le impediva di alzarsi. La sua camera rappresentava un caldo rifugio, da cui, per il momento non voleva proprio uscire.

 

Orlando si era alzato presto quella mattina. Aveva un sacco di cose da fare e poi doveva anche andare a casa di Jhonny, dato che la sera prima, per cause di forza maggiore, aveva avuto solo il tempo di salutarlo a malapena.

Rientrò dopo pranzo, sperando di trovare Elisabeth per parlare con lei, ma trovò lo studio vuoto. Era deciso a mettere in chiaro le cose una volta per tutte. Dovevano assolutamente spiegarsi, c'erano cinque anni di vuoto tra di loro, quella voragine andava colmata. Era deciso più che mai. Sarebbe andato fino in fondo, nessuno era più testardo e determinato di lui, quando ci si metteva. Del resto, non sarebbe mai arrivato dove era, se non fosse stato così. Si era reso conto che Elisabeth era troppo importante per lui, certo, non pretendeva che ritornassero insieme, immediatamente, su due piedi, ma voleva recuperare il loro rapporto, e per Dio, avrebbe lottato fino alla fine per riuscirci.

 " Carmen, dov'è la signorina Barlow? " chiese alla donna, che era appena uscita dalla cucina.

 " E' ancora chiusa in camera sua, Signor Bloom, non è neanche scesa per pranzo. Credo che non si senta troppo bene, non ha voluto neanche che le portassi del cibo di sopra" rispose un po’ preoccupata la donna.

 Orlando decise di lasciarla fare ancora per un po’.

Nonostante fosse agitato per il fatto che Elisabeth se ne stesse rinchiusa, ormai dalla sera prima, riuscì a resistere senza andare da lei fino all'ora di cena. Alle nove, quando ormai, stava nuovamente tramontando il sole, non ce la fece più e salì su da lei in camera. Bussò alla porta, non senza un po’ d'apprensione.

 Non udì alcuna risposta, si fece coraggio e aprì la porta. La vide in piedi, scalza, con indosso il pigiama e le mani appoggiate al vetro della finestra, intenta ad osservare l'orizzonte, non si era neanche mossa, sembrava che non si fosse accorta che qualcuno fosse entrato. Era prigioniera dei suoi sentimenti e dei suoi tormenti interiori. Durante l'intera giornata aveva pensato come fare a parlare con Orlando, combattendo con se stessa una battaglia persa in partenza. Aveva una sola certezza:sapeva che comunque sarebbero andate le cose, lo avrebbe perduto. La questione era, fino a che punto avrebbe dovuto aprirsi con lui, che cosa sarebbe stato giusto dire, e che cosa sarebbe stato giusto tacere. Persa, in queste domande senza risposta, si era come isolata dal mondo intero.

 " Elisabeth?" la chiamò Orlando.

 Lei si girò come un’automa "Non ti avevo sentito…" disse a voce bassa, come se provasse fatica a parlare.

 " Elisabeth ti senti male?" chiese lui piuttosto preoccupato.

 " Si.." rispose lei. Poi portandosi una mano al petto proseguì dicendo" Mi sento un gran peso qui,… e mi fa male da morire.."

"Che cosa ti succede Elisabeth.. così mi fai preoccupare!" disse Orlando che si stava veramente agitando. Non aveva mai visto Elisabeth in quello stato.

A dire il vero, c'era stata solo un'altra volta in cui lei era stata così disperata e impotente. Quando era corsa all'ospedale dopo che lui si era rotto la schiena, ma Orlando non poteva ricordarlo, era sotto sedativi e non era certo in grado di rendersi conto di quello che gli accadeva intorno.

Nella penombra della stanza, intravide il viso di lei. Era teso, contratto, dai i suoi lineamenti traspariva chiaramente la sua sofferenza, e non si trattava, chiaramente, di una sofferenza fisica. Gli occhi di Elisabeth erano simili a due laghi immensi, colmi di tristezza. Sembrava un cucciolo smarrito.

 " Vieni " gli disse lei, facendosi forza " Ti devo parlare".

Si sedette sul letto con le mani in grembo e la testa bassa.

 " Non vuoi mangiare qualcosa prima?" le chiese Orlando con premura. Era sinceramente preoccupato, dato che non si aspettava certo di trovarla in un tale stato di prostrazione.

 " No grazie, non ho fame. Non potrei mangiare neanche se lo volessi. Il mio stomaco è un groviglio di nodi" rispose lei cercando di accennare un sorriso.

Orlando le si sedette accanto " Dimmi che ti succede, sono davvero in ansia…"

Lei si girò e, prima di parlare, lo guardò un attimo, poi, dopo un lungo sospiro, finalmente disse:"Prima di tutto, ti devo chiedere scusa. Ieri sera mi sono comportata veramente male. Ho dato il peggio di me stessa e mi vergogno veramente tanto…"

" Ma che dici Elisabeth? E' una sciocchezza! Non hai fatto niente di così grave da..." disse lui cercando di farle capire che non era davvero il caso di prendersela, ma lei lo fermò.

 " Ti prego, non mi interrompere, o non troverò mai il coraggio di arrivare in fondo" disse Liz appoggiando una mano sul suo braccio.

 Orlando che solitamente era una persona ottimista, cominciò a sentir serpeggiare dentro di se un senso di forte disagio. Era come se avesse intuito, che quello che Elisabeth gli stava per dire, non gli sarebbe piaciuto affatto. Comunque, dette il suo assenso e promise di non interromperla.

Elisabeth riprese a parlare: " Io… io ci ho provato, in tutti i modi possibili ed immaginabili, ma è più forte di me. E' come se nuotassi contro corrente. E' una fatica inutile".

Lui l'ascoltava, non riuscendo a comprendere fino in fondo che cosa in realtà gli volesse dire, ma come promesso non disse una parola.

 " Io devo andare via di qui Orlando. Voglio,… devo.. tornare a casa… non posso proprio… io non ce la faccio più!" improvvisamente una lacrima le solcò una guancia.

Non avrebbe mai voluto piangere, del resto lei non piangeva quasi mai, ma le lacrime, una dietro l'altra, silenziosamente continuavano a scivolarle sul viso. La tensione accumulatasi dentro di lei, la rendeva estremamente fragile e vulnerabile, senza contare che proprio non riusciva a sputare quel dannato peso che aveva in petto.

Lui si sentiva morire a vederla così, non capiva che cosa le fosse preso. Quella reazione di lei, rapportata ai fatti accaduti la sera precedente, sembrava davvero troppo spropositata, ci doveva essere dell'altro, ma per quanto si sforzasse, non riusciva a venirne a capo. Istintivamente con una mano cominciò ad asciugarle le lacrime. Sentì un bisogno quasi primordiale di proteggerla e la perse tra le braccia. Sempre in silenzio cominciò a carezzarle i capelli e a darle dei piccoli baci sulle tempie, sulla testa e sulle guance umide e salate. La teneva stretta a se, chiusa in un abbraccio, cullandola dolcemente, come se fosse una bambina impaurita.

 Elisabeth fu sopraffatta dalla tenerezza di lui e si abbandonò a quella stretta , come se fosse un naufrago approdato ad un porto sicuro, dopo una tempesta. Si rannicchiò contro il suo petto, abbracciandolo a sua volta, con faccia la nascosta tra la stoffa della sua camicia e continuò a piangere, non più in silenzio, ma singhiozzando sommessamente.

 “ Sfogati, piccola mia, tra poco ti sentirai meglio” le disse lui, continuando a coccolarla tra le sue braccia.

Le difese di Liz erano cadute del tutto, in quel momento non voleva più pensare a niente, aveva solo bisogno di lui, delle sue parole, della sua premura. Senza porsi più domande, senza pensare  alle conseguenze, ai doveri, alla ragione, a tutte quelle cose che le impedivano di mostrare i suoi sentimenti ed il suo amore.

 Era sbagliato e lo sapeva, si sarebbe pentita e lo sapeva, ma sapeva anche che in quel momento voleva solo stare con lui  ed illudersi che niente fosse cambiato, che il loro amore potesse essere quello di un tempo, sincero e libero dalle cose mai dette, e dalle cose fatte.

 Come se fosse improvvisamente libera, alzò la testa per guardarlo negli occhi. Si avvicinò alle sue labbra, e le sfiorò, con un bacio lieve.

 Orlando, la guardò con uno sguardo, carico di tutta l'intensità dell'emozione, che quel semplice gesto gli aveva provocato.

 Elisabeth gli carezzò il viso e gli disse " Voglio che tu rimanga qui con me …".

 " Sei sicura Beth ?" le chiese lui con un filo di voce.

 " Si" rispose semplicemente lei.

E non ci fu bisogno di altre parole. I loro baci, le loro carezze, i loro corpi, parlarono per loro.

Orlando le sfilò delicatamente la giacca del pigiama, sbottonando ad  uno ad uno con cura ogni singolo bottone. Senza staccare i suoi occhi da quelli di Liz, senza fretta, facendola poi scivolare lentamente dalle spalle di lei. La guardava come se la vedesse per la prima volta, come se fosse una cosa rara e preziosa, da cui non voleva separarsi mai più. Anche lui come lei, non si pose domande, non voleva sapere perché le si stava concedendo, gli bastava solo sapere che lei lo voleva, con la stessa forza con cui lui voleva lei. L’amava ancora e ora sapeva che anche lei provava gli stessi sentimenti, tutto il resto non aveva più alcuna importanza.

Elisabeth ricambiò i suoi baci con altrettanta delicatezza. Era come se avessero avuto tutto il tempo del mondo. Solo per loro. Con la medesima dedizione che aveva usato lui con lei, Elisabeth gli sfilò la camicia, ricambiando il suo sguardo e le sue carezze, lasciando che i suoi gesti gli esprimessero tutto l’amore che sentiva dentro di se, ma che non riusciva ad esprimere con le parole.

Fecero l'amore, così, come se il tempo fosse magicamente tornato indietro, come quando erano felici e tutto appariva semplice,  gia scritto. Erano nuovamente come due giovani innamorati, totalmente persi l'uno nell'altra, senza alcun pensiero rivolto al domani.

La luce rossastra della sera che filtrava a fasci luminosi dalla finestra, si rifletteva sui loro corpi rendendoli quasi irreali. Non c’era più la passione violenta dominata dal possesso, che li aveva travolti nei giorni precedenti. Ora era un’unione pura, non solo fra due corpi, ma piuttosto una fusione spirituale tra due anime, che si scambiavano reciprocamente il loro amore senza nessuna condizione.

 

Era mattina presto, forse l’alba, quando Elisabeth si svegliò. Era accoccolata tra le braccia di Orlando che stava dormendo profondamente. La sua schiena era appoggiata sul torace di lui, la testa riposava sulla sua spalla e sentiva il suo respiro carezzarle il viso. La teneva stretta forte e con le braccia le circondava la vita. Elisabeth si mosse lievemente e lui mugugnò qualcosa di incomprensibile. Lei tentò nuovamente di muoversi.

“ Dove vai?” le chiese lui con la voce arrochita dal sonno.

“ Volevo andare in bagno, scusami, non volevo svegliarti” rispose Liz.

Lui le scostò i capelli e le baciò la nuca, non accennando minimante a liberarla dalla sua stretta.

“ Devo andare, in bagno. Davvero!” disse lei sorridendo.

 “ E’ proprio necessario?” chiese lui maliziosamente.

 “ Temo di si” disse lei.

Allora lui rassegnato scostò le braccia e la lasciò andare. Elisabeth s’infilò velocemente la giacca del pigiama e corse in bagno. Quando uscì, lo trovò che si era tirato a sedere appoggiandosi alla spalliera del letto, con le braccia incrociate e i capelli scarmigliati. Era tenero e buffo allo stesso tempo, pensò.

 “ A cosa stai pensando?”  gli chiese lei.

 Lui si girò e con uno sguardo eloquente, e allo stesso tempo canzonatorio rispose:“ Oltre alle cose turpi?”.

 Lei non potè fare a meno di trattenere una risatina, poi ricambiando il suo sguardo  gli disse “ Le cose turpi, posso immaginarle da sola è il resto che mi interessa”.

“ Penso  che sto morendo di fame” disse lui.

“ A dire il vero sono molto affamata anche io” disse Liz infilandosi sotto le lenzuola.

Lui fece l’espressione di uno che la sapeva lunga e disse “ Non ne dubito, hai come dire, …. consumato molte energie!”.

“ Ma sei veramente tremendo!” rispose lei sorridendo, ma con un lieve imbarazzo.

“ Sai che faccio? Vado giù e prendo qualcosa da mangiare ti va?” chiese lui.

“ Ottima idea!” .

 Orlando uscì dal letto si piegò e le diede un bacio sul naso “Torno  subito! E carico di cibarie, aspettami qui!”.

 

Rimasta da sola nella stanza Elisabeth cominciò a pensare seriamente al da farsi.

Si era concessa il lusso di una notte senza pensiero alcuno, ma la realtà era tutt’altra cosa. La felicità, che stava ancora provando, era però più forte della ragione, nonostante una certa inquietudine, mista ad una sottile angoscia, fossero tornate nuovamente ad impossessarsi di lei. A questo punto non poteva più tacere. Il fatto di amare ancora così tanto Orlando le imponeva di dirgli tutta la verità senza aspettare oltre. Ma era così difficile, così doloroso, perché ciò gli dava la consapevolezza che una volta detta, quella stessa verità, sarebbe stata la sua condanna. Lui, ne era certa, non l’avrebbe perdonata mai.

Fece un patto solenne con se stessa, una settimana, una sola settimana ancora, poi avrebbe vuotato il sacco e tutto sarebbe finito, ma almeno avrebbe avuto qualcosa da portare con se, il ricordo di quello avrebbe potuto essere stata la sua vita, se le cose fossero andate diversamente.

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Capitolo 14
*** L'IMPREVISTO ***


Questa storia è stata scritta per divertimento

L’ IMPREVISTO

 

Orlando stava armeggiando in cucina, intorno al frigo. In un primo tempo aveva pensato di preparare delle uova strapazzate e del pan cake, ma si era reso conto che forse, era troppo complicato mettersi a cucinare a quell’ora, rischiava di fare troppa confusione, quindi pensò  di fare dei tramezzini. Si mise a cercare subito il tonno i sottaceti, la maionese e tutto quello che gli serviva.

Nonostante fosse felice per quello che era accaduto fra lui ed Elisabeth, non poteva togliersi dalla mente, in che stato fosse lei la sera prima. Non era uno stupido, e aveva capito che c’era sotto qualcosa. Qualcosa di grave. Ma cosa fosse, lui, proprio non riusciva ad immaginarlo. Mentre tagliava il pane, e cercava alla ben meglio di farcirlo, continuava a dirsi che l’atteggiamento di lei avesse a che fare in qualche modo, con la sua sparizione di cinque anni prima. Ne era convinto. Era come se lo avvertisse nel suo inconscio. Dovevano parlare, si ripetè per l’ennesima volta. Orlando però, aveva anche chiaramente capito che lei non riusciva proprio a parlarne e questo lo preoccupava. Una cosa era certa, oltre a chiarire le cose, lui voleva assolutamente tornare con lei. Pensò che prima, avrebbero fatto colazione e che poi, l’avrebbe incitata ad aprirsi. Ma la cosa più importante da fare, per tranquillizzarla era dirle subito che l’amava ancora. Questa considerazione lo fece sentire meglio e gli infuse una nuova fiducia, così nella sua testa si formò un disegno preciso, voleva che lei si trasferisse a Los Angeles, che vivessero insieme e che recuperassero il tempo perduto. Sembrava una cosa semplice, il problema sarebbe stato metterla in pratica, del resto a lui sembrava tutto sempre facile.

Aveva appena finito di preparare i tramezzini e stava spremendo delle arance con lo spremi agrumi, quando gli venne un dubbio: e se lei non avesse accettato?

Il tarlo che lo rodeva da sempre, era quello di capire perché fosse scappata dalla Nuova Zelanda. Aveva sempre temuto che fosse a causa di qualcosa di sbagliato che aveva fatto lui, ma la cosa non reggeva, era più che certo che non aveva fatto niente di così tremendamente grave da farla fuggire senza una parola.

 Il bollitore del caffè lo distolse un attimo dai suoi ragionamenti, fece per prenderlo, ma gli cadde di mano e parte del caffè bollente, gli si rovesciò sulla maglietta

“ Merda!”  imprecò, e saltellando verso il lavello, si tolse la maglietta e si controllò. Aveva la pelle leggermente arrossata tra le scapole e la pancia, per fortuna era una scottatura lieve.

 Era inspiegabilmente maldestro e distratto.

Non sapeva bene perché neanche lui, ma la tensione gli stava crescendo dentro, rendendolo insofferente. In realtà dovette ammettere che aveva un pò paura, temeva troppo che lei lo rifiutasse di nuovo. 

 Insomma, l’avere fatto l’amore con lei, l’essersi svegliato ed averla trovata ancora al suo fianco, non era certo una garanzia che le cose si fossero appianate e risolte, e poi c’era quel malessere sottile, maligno, che non lo abbandonava, come una sorta di presagio. Deve essere per via che mi sono svegliato presto, pensò. Si impose con forza di scacciare tutti i pensieri negativi e cominciò a disporre la roba che aveva preparato su di un vassoio.

 

Elisabeth, mentre stava aspettando che Orlando risalisse in camera, si era leggermente assopita. Fu svegliata di soprassalto dal trillo del cellulare. Lo teneva acceso giorno e notte per via di Wiliam. Afferrò la borsa e cominciò a  cercarlo con ansia, era anomalo che il telefono squillasse a quell’ora. Finalmente, dopo vari tentativi lo trovò.

Orlando, intanto, stava salendo le scale con circospezione, facendo attenzione a non rovesciare il vassoio. Con calma arrivò alla porta della camera, stava per chiamare Elisabeth perché gli aprisse, quando si rese conto che lei stava parlando con qualcuno. La cosa lo sorprese non poco. Con chi diavolo stava mai parlando a quell’ora della mattina?

Non era solito abbassarsi a certi mezzucci, ma non potè fare a meno di origliare. Non riusciva bene a capire le parole di lei e poi era in una posizione scomoda per via del vassoio. Cercò di mettersi lateralmente rispetto alla porta e tese l’orecchio, ma non c’era proprio verso  di sentire niente. Sembrava che lei si fosse spostata verso il bagno. Stava quasi per lasciar perdere tutto ed entrare, quando non si sa come, riuscì ad udire distintamente ciò lei che stava dicendo:

“ William, amore mio, non fare così ti prego, sarò da te al più tardi domani mattina!”. Il vassoio che aveva in mano gli oscillò pericolosamente, ma per fortuna non cadde. Si scostò velocemente dalla porta, appoggiandolo a terra.

 Quelle parole: ‘William amore mio’  lo avevano colpito come uno schiaffo in pieno viso.

Il mondo gli era crollato addosso, non poteva credere alle sue orecchie! Ma che razza di persona era diventata lei?

Si destreggiava con assoluta non chalance tra lui, un altro uomo che aveva appena chiamato amore e magari se la continuava a fare pure con Paul! Provò quasi un senso di nausea e una voglia di spaccare a calci qualcosa.

 “ Respira.. respira..  Cazzo! .. Respira!” si disse, tirando fuori tutta la sua esperienza per dominare le emozioni e guidarle. Doveva assolutamente calmarsi e tornare ad essere padrone di se. Voleva entrare in quella stanza, impassibile come se non avesse udito niente, non voleva dare a lei il vantaggio di prepararsi qualche scusa, doveva coglierla di sorpresa.

 Piano, con metodo e pazienza, grazie alla respirazione e agli esercizi che aveva imparato alla scuola di recitazione riuscì a  riprendere il controllo.

Quindi con assoluta freddezza raccolse il vassoio e con una azione quasi da circo riuscì in qualche modo ad aprire la porta ed entrate nella stanza, aveva stampata sul viso un espressione tranquilla da cui non traspariva nulla.

“Aspetta che ti aiuto” le disse Liz andandogli in contro “ Caspita qui c’è da mangiare per un reggimento!”. Sorrideva ma era agitata, evidentemente quella telefonata l’aveva turbata.

 Appoggiarono il vassoio su letto e poi si sedettero.

 “ Che fine a fatto la tua maglietta?” gli chiese lei.

 “ Mi sono versato del caffè addosso e l’ho tolta” rispose lui perfettamente calmo.

 “ Fammi vedere, ti sei scottato?”  chiese Liz preoccupata, la sua preoccupazione irritò Orlando, ma non lo diede a vedere.

 “ Non è niente” rispose.

Lei, non lo ascoltò e sfiorò con le dita la pelle di lui dove era arrossata, quel gesto, ebbe su di lui, un effetto quasi erotico e questo lo fece incazzare, non sopportava che nonostante tutto lei avesse quel genere di potere. Le scostò la mano  bruscamente.
“ E ora che ti prende?” chiese lei stupita da quel gesto sgarbato.

“ Mi hai fatto il solletico” mentì lui, sempre molto controllato.

Elisabet addentò un tramezzino e bevve un sorso di spremuta.

 “ Non ricordavo che tu fossi così orso la mattina appena sveglio” disse poi.

“ Scusa” mormorò lui, versandosi del caffè. Di mangiare non se ne parlava nemmeno, la fame gli era passata dl tutto. Si girò verso il comodino per appoggiare la caraffa del caffè, nel fare questo movimento, si girò dandole le spalle.

Elisabeth si ritrovò ad osservare la sua schiena, che era solcata dalla lunga cicatrice, segno indelebile di quel maledetto incidente che avrebbe potuto rovinarlo per sempre. Un brivido di terrore la scosse per un secondo, al solo ricordarlo, appoggiò il bicchiere con la spremuta sul vassoio e con la mano la carezzò delicatamente dal basso verso l’alto, e dall’altro verso il basso. Sotto le sue dita sentì chiaramente le placche, disposte in maniera regolare che formavano degli impercettibili rigonfiamenti, sembrava quasi una sorta di piccolo ricamo. In uno slancio di affetto, si piegò e gli baciò quello sfregio, che nonostante tutto era la testimonianza della sua salvezza.

 Orlando che era rimasto immobile, quasi impietrito, si sentì rimescolare il sangue nelle vene, era furioso. Ancora una volta quel semplice gesto, aveva avuto su di lui un effetto devastante.

 “ Vuoi finirla di mettermi le mani addosso!” le disse girandosi di scatto.                

Elisabeth rimase malissimo. Quella reazione appariva ai suoi occhi del tutto priva di senso logico. Poi improvvisamente come un fulmine a ciel sereno credette di intuirne la ragione.

 Era ovvio, lui aveva ottenuto quello che voleva e ora la sua presenza era quasi fastidiosa. Anche nei suoi peggiori incubi, non avrebbe mai potuto immaginare che lui potesse essere diventato così meschino.

Si alzò dal letto e  molto irritata gli disse: “Non ti preoccupare, in giornata me ne vado, tolgo il disturbo e torno in Inghilterra. Ti spedirò il progetto per l’arredamento direttamente da lì, così avremo chiuso i conti senza essere obbligati ad imporci la nostra presenza. E ora se non ti dispiace , gradirei se te ne andassi dalla mia stanza!”.

Lui si girò ma non accennò ad alzarsi da letto, la guardò di sotto in su, con uno sguardo decisamente torvo e disse

 “ Ma quanta fretta di scappare via, c’è qualche problema Elisabeth?”.

Lei non sapeva spiegarsi il perché, ma le sembrò chiaramente che lui sapesse. Una paura folle si impossessò di lei. Cercando di essere più naturale possibile gli disse

“ Mia madre si sente poco bene, devo tornare a casa in fretta”.

“ Oh! Tua madre sta male! Ma quanto mi dispiace!” rispose lui sarcastico.

Elisabeth non rispose. Lui si alzò  e cominciò a girarle intorno, mettendola non poco a disagio.

“ Sei una bugiarda!” le disse all’improvviso.

Liz a quelle parole fu presa dal panico e reagì attaccandolo.

 “ Insomma che diavolo vuoi da me eh? Nel giro di mezzora sei diventato scortese scostante e anche maleducato. Che c’è hai fatto i tuoi comodi, sei soddisfatto e non vedi l’ora che mi tolga dai piedi? La tua puerile vendetta è compiuta?”.

Lui la fissava immobile con uno sguardo indecifrabile, sembrava neanche ascoltarla né tanto meno desideroso di risponderle poi di colpo incenerendola con un occhiata le chiese

“ Chi è William?”.

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Capitolo 15
*** SCOPERTE, ... FUGHE... E LA GRANDE CORSA! ***


Questa storia è stata scritta per divertimento

SCOPERTE, ... FUGHE... E LA GRANDE CORSA!

 

NOTA: Grazie un milione a tutte voi che continuate a leggere questa storia, che nel giro di pochi capitoli volgerà al termine. Grazie perchè senza le vostre recensioni ed il vostro incoraggiamento non ce l'avrei fatta, soprattutto dal  capitolo 11 a questo ultimo nato. Vorrei se mi permettete dedicare questo specifico capitolo, oltre che a Mandy, Gal, Sun, Lilly e mami anche a Anjulie, grazie non sai che importanza hanno per me le tue parole ^_^

 

 “Wi..William?”  balbettò Elisabeth del tutto impreparata a quella domanda.

“ Hai capito benissimo, vediamo di finire questa commedia e dimmi chi è! Ho sentito chiaramente che lo chiamavi amore mio ” rispose lui.

Era come se una valanga li avesse investiti all’improvviso ed Elisabeth, senza nessun preavviso, era costretta a fare i conti con una situazione che non solo le era sfuggita di mano, ma che l’aveva letteralmente travolta cogliendola impreparata.

Non sapeva da che parte incominciare, né bene che cosa dire, la confusione e la paura la stavano letteralmente dominando.

 Forse era un bene che la verità fosse venuta a galla, tanto prima o poi sarebbe dovuto comunque accadere. Lentamente Liz si sentì come più leggera, ma svuotata allo stesso tempo. Era l’ora di fare i conti. Era strano, ma si sentiva quasi sollevata.

 “ Allora? Non parli? ”. Il tono di Orlando era sempre più alto.

“ Smetti!” gli disse lei.

“ Mi vuoi forse far credere che ho capito male?”.

 “ No, hai capito bene, ma non è quello che pensi…” lei stava cercando di, raccogliere tutta la calma che poteva per spiegargli la cosa, ma lui, nel sentirla affermare che quello che aveva sentito corrispondeva alla verità, perse il controllo, ma non in maniera plateale, come era lecito aspettarsi. S’irrigidì e con voce fredda e tagliente come la lama di un rasoio le disse

“ Sei solo una…” s’interruppe, e si voltò allontanandosi, perché nonostante tutto, non riuscì a chiamarla in quella maniera. Non sopportava di starle così vicino, era troppo doloroso per lui.

 “ Tu non hai nemmeno idea di quello che stai dicendo. Salti alle conclusioni solo per una frase e..”

“ Solo per una frase? Cazzo! Ma mi prendi per un imbecille? Hai chiamato un uomo: AMORE, e lo hai appena confermato!” tuonò lui.

 Liz che ormai aveva perso ogni speranza in qualsiasi tentativo di farlo ragionare, si avvicinò a lui lo costrinse  a girarsi, e guardandolo in faccia gli disse

“ Non capisco questa tua sceneggiata, urli e strepiti come se tu avessi chissà quale diritto, fino a prova contraria, non c’è niente di definitivo tra di noi e comunque tanto perché tu lo sappia, William non è un uomo! E’ solo un bambino!”.

 Lui incrociò le braccia e con aria scettica le rispose “ Ah si! Ora te la fai anche con i minorenni?”.

Elisabeth ebbe una reazione strana, invece di arrabbiarsi più quanto già non lo fosse, sentì crescere dentro di lei una gran tristezza ed un vuoto enorme. Sapeva che lui aveva un carattere impulsivo ed egocentrico,  che era immaturo, ma non avrebbe mai immaginato che si rifiutasse anche solo di ragionare sulle cose. Questo le tolse ogni voglia di combattere di spiegare e anche di  provare a risistemare le cose tra loro, quindi gli disse senza tanti preamboli e con tono asciutto:

“ E’ mio figlio”.

 Ad Orlando ballò impercettibilmente una palpebra, e rimase in silenzio qualche secondo. Era attonito e incredulo. Tornò indietro e si  lasciò cadere sul letto a sedere. Com’era possibile?  Non riusciva a crederci.

“ Tuo figlio?” riuscì solo a dire. Poi fu preda di in uno stato, quasi confusionale. Tutto poteva aspettarsi meno quello.  “ E …. Da quando hai un figlio?” chiese.

“ Da quando l’ho partorito” rispose lei secca. Lo prese per un braccio e tentò di farlo alzare per accompagnarlo alla porta. Non voleva assolutamente rispondere all’interrogatorio a cui lui, inevitabilmente, di lì a poco l’avrebbe sottoposta.

“Se non ti dispiace  vorrei che uscissi dalla mia stanza!” aggiunse come rafforzativo al suo gesto.

 Lui si divincolò e guardandola con espressione strana, che lei non seppe decifrare, le chiese “Aspetta un momento. Chi è suo padre?” .

 “ La cosa non ti riguarda” rispose lei secca.

“ E’ Paul?”  domandò lui.

 “ No!” disse lei.

“ Chi è’ allora? Lo conosco? Quando è successo?” continuò lui a raffica.

 “ Oh insomma basta! Non ho intenzione di parlarne con te, e soprattutto non ora”.

 Lui che ancora non riusciva a capacitarsi, ma che soprattutto voleva sapere, non desisté. Anche perché nella sua testa si stava lentamente formando una pensiero, di cui non aveva certezze, ma solo un forte sospetto.

“ Elisabeth, per favore, calmati e parliamo”.

 “ Io mi devo calmare? Tu piuttosto calmati, mi stai aggredendo!”.

Orlando stava cercando di ragionare e di riordinare le idee. Erano sempre al punto di partenza. Lei voleva scappare e lui la assillava. Se fossero andati avanti così, non sarebbero riusciti a chiarirsi neanche tra mille anni. Occorreva prendere la situazione in mano, con calma e cercare un buona volta di comportarsi come persone adulte, quindi le prese la mano e la fece sedere acconto a se.

 “ Non possiamo litigare in eterno, cerchiamo per una volta di spiegarci le cose con calma”.

 “ Non sono io quella che non è calma!” sbottò lei.

 “ Elisabeth per l’amor del cielo, capisco che, non sempre mi comporto bene, che ho un carattere testardo e impulsivo, ma Cristo, anche tu non sei mica una santa!”.

 Lei fece per rispondere, ma si fermò un attimo a riflettere, forse, in fondo lui proprio del tutto torto non ce l’ aveva. Decise di tacere, ed ascoltarlo, ma giammai gli avrebbe dato ragione, era troppo orgogliosa.

“ Insomma, sei sparita cinque anni fa senza dire una parola. Stavamo insieme, ci amavamo, non hai nemmeno ritenuto opportuno spiegarti. Adesso che ti ritrovo, mi sbatti in faccia che hai un figlio, ma non parli, anzi sembra che te la vuoi  svignare di nuovo, così, ancora una volta, senza nessuna spiegazione”.

 Elisabeth era stufa tanto valeva dirglielo e farla finita. Non avrebbe voluto dirglielo così, avrebbe voluto preparare il terreno e cercare di fargli capire le sue ragioni. Ma era sempre più convinta che tanto le cose non cambiano mai, sarebbe stato un disastro cinque anni fa esattamente come adesso. Aspettare, nascondersi, girare intorno alla questione, non avrebbe migliorato nulla. Il momento era arrivato e lei doveva affrontarlo, con tutte le conseguenze del caso.

“ Vuoi sapere chi è suo padre? Giusto?” gli chiese.

“ Si, vorrei capire che cosa è successo e che rapporto hai con lui, se state insieme, cosa rappresenta per te.” Chiese lui, poi abbassò impercettibilmente lo sguardo, come se la cosa lo turbasse più del dovuto.

Lai si alzò e gli disse tutto d’un fiato: “Orlando, possibile che tu sia così cieco? Sei tu suo padre!”.

 Benchè lui lo avesse sospettato fin dal primo momento,averne la conferma lo sconvolse non poco. Un figlio era una cosa grande, enorme, una responsabilità immensa, ritrovarselo così, tra capo e collo, lo fece entrare nel panico più assoluto.

 “Come è potuto accadere?” chiese più a se stesso che a lei.

 Lei fece una risatina isterica e rispose “ Bè credo che tu sappia esattamente come si concepiscono i bambini!”.     

Lui che al contrario, non aveva affatto voglia di ridere rispose “Non intendevo quello. Non capisco come puoi essere rimasta incinta, visto che siamo sempre stati molto attenti”.

 Quell’affermazione offese Liz, implicava sottilmente che lei stesse in qualche modo mentendo. “ Evidentemente c’è stata una volta in cui non lo siamo stati, o forse vorresti insinuare qualche altra cosa? Perché se è così, ti faccio notare che non mi sono precipitata a reclamare i miei diritti, sbattendoti in faccia i tuoi doveri, al contrario me lo sono sbrigata da sola, senza molto aiuto, se non da parte di mia madre!”.

 Lui si passò una mano tra i capelli scompigliandoseli e sospirando “Quando è successo?”.

 “ Che importanza ha? Tanto come previsto la cosa ti turba e magari ti disturba pure”.

“ Lo vorrei sapere” continuò lui imperterrito come se fosse sotto una specie di ipnosi.

 “ E’ successo quella volta che sei tornato dall’Australia, stavi girando quel film, su quella banda di ladri. Erano mesi che non ci vedevamo e che ti facevi sentire sporadicamente.  Ero molto contrariata, volevo parlarti e definire come stavano le cose nel nostro rapporto, ma tu mi hai trascinato a quella festa che i tuoi amici avevano organizzato per te. Abbiamo bevuto più del dovuto, soprattutto tu. Quando siamo tornati a casa ho tentato di farti ragionare e di parlare un po’ con te, ma non c’è stato verso. Come al solito hai risolto le cose nella maniera più facile. Hai voluto e ottenuto di fare la pace a modo tuo e siamo finiti a letto, senza stare attenti a niente! Questo è quanto”.

 Lui si alzò e s’infilo le mani in tasca poi le si avvicinò e disse “ Lo sapevo che mi avresti incolpato anche di questo. Sembra che tutto ciò che ci succede sia colpa mia. Le cose, anzi soprattutto certe cose, si fanno in due. Ma forse per te, è infinitamente più comodo  buttare tutta la merda addosso a me!”.

Lei alzò le braccia e gli occhi al cielo in un gesto esasperato “ Tipico!” disse.

“ Te lo dico io che cosa è tipico! E’ il tuo atteggiamento da super donna, infallibile e senza macchia! Ma ti rendi minimamente conto di quello cha hai fatto? Hai arbitrariamente deciso della mia vita e soprattutto di quella di nostro figlio. Hai fatto tutto, senza neanche porti il problema delle conseguenze. E inconcepibile oltre che di un egoismo mostruoso!”.

 Lei stava per replicare portando avanti le sue ragioni, ma lui non glielo permise si diresse verso la porta e le disse “ Mi dispiace, ma in questo momento non ho voglia di sentire più nulla, ho solo bisogno di respirare un po’ d’aria fresca e starmene da solo. Non sono nella condizione adatta di fare un discorso senza dire cose spiacevoli, quindi se vuoi scusarmi…” varcò la soglia ed uscì dalla stanza lasciandola lì da sola.

 

Come previsto da Elisabeth, Orlando l'aveva presa male, anzi malissimo. Del resto non gli si poteva neanche dare torto. Il problema era che,  come sempre, non c'era stato un chiarimento definitivo. Liz non gli aveva detto la ragione più importante della sua drastica scelta, ma a quel punto le pareva superfluo, quindi ne convenne che la cosa migliore era cercare il primo volo per Londra, fare i bagagli, ed andarsene.  Dal suo punto di vista Elisabeth era convinta di avere ragione, anche se in verità era consapevole di aver fatto una cosa non del tutto giusta e corretta, sapeva però, di aver agito in buona fede, pagando anche un prezzo molto alto.

 

Orlando era uscito e misurava a grandi passi il giardino. Come si sentiva non lo sapeva neanche lui.

 C'erano varie sensazioni  che si alternavano nel suo animo, quali la rabbia, lo stupore, la curiosità e soprattutto la paura. Mancava quella più importante: la felicità. Era inutile nascondersi, l'aver scoperto di avere un figlio lo disturbava, e non poco. Non era una cosa a cui aveva mai minimamente pensato, o tanto meno desiderato, almeno non in questo particolare frangente della sua vita. A dire il vero si sentiva ancora lui stesso un ragazzo, e  per tanto non era affatto pronto ad una simile responsabilità. Non riusciva a capacitarsi del fatto che potesse essergli capitata una cosa del genere, era sempre stato molto prudente, proprio perché non voleva ritrovarsi in simili circostanze, in più, il fatto di non essere stato messo al corrente per tempo, lo faceva letteralmente andare fuori di testa. Viveva la cosa come un obbligo imposto, non sopportava il fatto di non essere stato minimamente consultato al momento dell'accaduto. Avrebbe potuto scegliere che cosa fare, ma così si sentiva come un pesce nella rete e questa sensazione non gli piaceva neanche un po’.

 

 

Elisabeth aveva appena confermato il suo volo per il giorno stesso  alle 13,20 in punto, quindi si fece una doccia veloce e senza perdere tempo, procedette a preparare le valige.

Era finita.

 A dire il vero non poteva neanche dire che fosse ricominciata. La loro storia aveva già avuto la sua grossa battuta d'arresto, con la svolta nella carriera di Orlando, quando aveva accettato di partecipare al progetto sul film de Il Signore degli Anelli. Prima che lui partisse per la Nuova Zelanda si erano giurati e spergiurati che sarebbero rimasti insieme e che nulla sarebbe cambiato. Ma le cose non erano andate esattamente così. I primi tre mesi avevano speso una vera fortuna di telefono, Liz poi era particolarmente frustrata perché lui si rifiutava categoricamente di usare il Pc , che sarebbe stato un' alleato prezioso, se solo lui, avesse voluto applicarsi un po’ di più nell'usarlo. Avevano provato a chattare  qualche volta con MSN, ma  era stato un disastro completo, lui era lentissimo e poi quel modo di comunicare gli dava ai nervi, il risultato fù solo quello di nuove discussioni, e quindi, avevano deciso di comune accordo, di lasciar perdere e di tornare al caro vecchio telefono. Col tempo però, vuoi un po’ per l'impegno sempre più intenso di lui, ma anche per l'orgoglio di lei, che non lo chiamava mai per prima, i loro contatti si erano drasticamente ridotti. Lei lo sentiva sempre più lontano e sempre più euforico ed incentrato su quello che faceva. Si sentiva insicura di quella relazione a distanza, e quindi aveva declinato ogni invito ad andare a trovarlo in Nuova Zelanda, a dire il vero non era voluta andare neanche a nessuna premiere, nemmeno a quella Londinese. Lui si era risentito di questo suo ostracismo, interpretandolo come un'assurda gelosia fuori luogo. In realtà lei si sentiva profondamente a disagio. Non  aveva niente in comune con tutta quella gente che non conosceva, che faceva parte di un modo distante dal suo. La confusione e il fanatismo, che circondava Orlando, tutto il cast ed il film compresi, la spaventavano e le avevano fatto capire che non era cosa per lei.

 Si vedevano solo quando lui rientrava in Inghilterra, e nonostante tutto continuavano a stare insieme, perché i loro sentimenti erano molto profondi. Il vero problema era che non parlavano più, finivano per lasciarsi travolgere dall' entusiasmo di vedersi e passare del tempo da dedicare solo a loro stessi, tralasciando di approfondire le incertezze i dubbi e tutto quello che non andava nella loro relazione. Era poi accaduto che Elisabeth fosse rimasta incinta, era spaventata a morte e voleva parlarne con lui, per tanto, chiese ad Orlando di poterlo raggiungere in Nuova Zelanda, la cosa però non fù realizzabile se non per la premiere delle Due Torri. Il resto è storia.

 

Erano esattamente tre ore che Orlando  si aggirava per il parco camminando senza sosta, con la testa impegnata in mille congetture. Non era del tutto fiero di se stesso e di quello che provava, ma anche lui, che caratterialmente in certi frangenti era molto simile ad Elisabeth, stava solo scappando da una cosa che riteneva troppo grande e troppo improvvisa. Cominciò a domandarsi se fosse veramente disposto a prendersi cura di un bambino, quando all'improvviso si rese conto  che non aveva chiesto nulla di lui. Non sapeva esattamente che età avesse, anche se facendo due conti, non era difficile capirlo, e soprattutto gli prese un colpo perché non conosceva la ragione della telefonata a cui aveva assistito. Forse stava male? Era successo qualcosa di brutto? Una paura folle s'impadronì di lui e di corsa rientrò in casa.

 

" Si mamma, torno stasera, sono già sul taxi, e sto andando in aeroporto. Non ti preoccupare la varicella è sì una malattia infettiva, ma non è pericolosa. La febbre alta è tipica di questi virus, comunque casomai quando arrivo, se la situazione non migliora, consulteremo nuovamente il pediatra. Ora stai calma però, altrimenti mi agito anche io". Elisabeth  ripose il suo cellulare nella borsetta, sua madre era troppo apprensiva, anche se 39 di febbre non era certo un dato confortante, ad ogni modo aveva già provveduto a chiamare il pediatra, il quale le aveva detto di aver visitato William  e che era tutto nel normale decorso della malattia.

Orlando salì di corsa le scale e piombò in camera di Elisabeth. Lei non c'era.

 Scese di volata di sotto, chiamando a gran voce Carmen.

 La donna s'affacciò dalla porta finestra " Sono qui signor Bloom!" disse.

 " Dov'è la signorina Barlow Carmen? L'hai vista?"

 " E' andata via con un taxi circa quaranta minuti fa".

 " Andata dove ?" chiese lui sempre più allarmato.

" Non ci giurerei, perché non me l'ha detto, ma credo all'aeroporto, aveva tutte le valige con se".

 " MERDA!" e senza aggiungere altro prese al volo le chiavi della macchina e si precipitò in garage.

 Carmen lo guardò schizzare via come un fulmine e non potè fare a meno di dire a voce alta: " Io questi ragazzi moderni mica li capisco! Questi due, da quando li conosco, non fanno altro che rincorrersi, ma per quanto corrano sembrano che non si prendano mai ! MAH!".

 Orlando superò il cancello della sua villa a tutta velocità e due paparazzi che erano appostasti da giorni, aspettando che finalmente si decidesse ad uscire si misero a seguirlo.

 " Roba grossa capo, il fringuello a preso il volo, da solo, in macchina, e pare indiavolato" disse quello che non guidava al cellulare con il direttore del giornale per cui lavorava: In Touch.

 " Bene, bene, allora finalmente è uscito da questo strano esilio. Ragazzi dovete scoprire cosa c'è sotto, forse quella tipa che c'ha fatto la telefonata anonima dicendo che ha una relazione segreta, diceva il vero! Muovetevi e non perdetelo, voglio l'esclusiva" rispose il direttore, con l'acquolina in bocca.

 "  Non si preoccupi capo, gli siamo incollati addosso,  la consideri già cosa fatta" e chiuse la comunicazione.

 Orlando guidava a zig zag tra il traffico caotico di Los Angeles sperando di fare in tempo ad arrivare in aeroporto e pregando che non ci fosse nessuna pattuglia della polizia in giro o l'avrebbero sicuramente arrestato per guida pericolosa. I paparazzi gli erano addosso, senza mollarlo per solo un minuto.

  Arrivò all'aeroporto esattamente alle 12,45, ovviamente  tutti i posti per il parcheggiare erano occupati.

Fece un paio di giri ma niente, controllò nervosamente l'orologio: ore 12,59, non sapeva bene l'orario di partenza di Elisabet, ma qualcosa gli diceva che non doveva mancare poi molto. Piantò la macchina in doppia fila e lasciandoci le chiavi dentro, si diresse all'entrata.

 " Ehi!!! Non puoi mica lasciarla lì la macchina! " gli urlò dietro un inserviente dell'aeroporto.

 " Spostala se ti dà noia, ci sono le chiavi dentro!" rispose lui senza fermarsi.

 I paparazzi che avevano avuto i suoi stessi problemi col parcheggio, si erano organizzati così: uno sarebbe entrato a seguire Orlando a piedi, l'altro sarebbe rimasto fuori davanti all'uscita, appostato in macchina. 

 Orlando una volta entrato controllò rapidamente i voli in partenza. Finalmente vide che quello per Londra sarebbe partito alle 13,20. L'imbarco era all'uscita 37.

 Controllò nuovamente l'orologio: Ore 13,03.

 " Oh Cazzo!" disse e cominciò a correre. Il paparazzo che aveva preparato il tele obbiettivo scattò la prima foto.

 Orlando correva tra la gente spintonando come un forsennato, e intanto veniva puntualmente  fotografato, dal diligente e quanto mai soddisfatto paparazzo.

 Ad un certo punto  qualcuno gridò.

 "Susan che ti prende?" chiese la ragazza vicino alla persona che aveva urlato.

 " Oh Mio Dio, Oh Mio Dio!!" rispose Susan all'amica.

 " Allora mi spighi che diavolo c'è??" disse l'altra.

 " Corri Margaret! Corrrrri ! Quello  è Orlando Bloom !".

  "COSAAAAAAA????" fece l'altra isterica, mettendosi a correre dietro all'amica che aveva già preso a correre dietro Orlando.

 " Muoviti cretina, che così lo perdiamo!" fu la risposta di Susan.

 Orlando si fermò un attimo per controllare se aveva preso la direzione giusta.

Non lo avesse mai fatto.

Fu raggiunto dalle due ragazze che lo placcarono letteralmente.

 " Orlando, Oh mamma! Meno male che ti sei fermato! Ce lo fai un autografo?".

Lui rimase un attimo perplesso " Emmm ….  ragazze mi farebbe veramente piacere , ma …  è un momentaccio, dovrei…"

 Susan che era la più accanita delle due, non lo fece neanche finire" Io sono la tua più grande fan, ho visto tutti i tuoi film almeno cento volte, ti prego, ti prego, fammi una autografo" poi senza aspettare risposta gli buttò le braccia al collo "Posso darti una bacio sulla guancia, Dio come sei bello!".

 Orlando sgusciò da quell'abbraccio come un anguilla " Davvero, proprio non posso! Scusate!" e si rimise a correre.

 " STRONZO! Ma chi ti credi di essere eh?" gli urlò contro Susan.

 " Te l'ho sempre detto io che Ben Affleck è infinitamente meglio di lui!" disse a Susan la sua amica Margaret con aria solenne.

 Tutto ciò, naturalmente, era stato ripreso ed impresso nella pellicola fotografica del solito paparazzo, che come Orlando aveva ripreso a correre.

 Quando arrivò all'uscita 37 erano le 13,16, i passeggeri erano già tutti imbarcati e l'aero era in posizione per il decollo. Orlando guardò sconsolato l'uscita già chiusa, si piegò poggiando le mani sulle ginocchia, col fiato corto, poi in un impeto di rabbia sferrò un calcio ad una transenna.

 Riconobbe quasi subito il rumore inconfondibile della macchia che a ripetizione stava scattando delle foto, mentre prima non se era accorto, neanche una sola volta. Si girò e vide il suo cacciatore, che senza ritegno continuava a fotografarlo.

 " Ehi tu,! Che cazzo hai da fotografare eh!".

 Il paparazzo che poteva ritenersi più che soddisfatto, capì che non era aria e men che non si dica si dileguò, lasciandolo lì, da solo, anche  se in realtà fu solo per pochi istanti, già qualcun altro lo aveva riconosciuto e un capanello di persone gli furono subito intorno.

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Capitolo 16
*** WILLIAM ***


Questa storia è stata scritta per divertimento

Capitolo 16: WILLIAM

 

Articolo in prima pagina di In Touch.

 

Titolo: ORLANDO BLOOM ALL’INSEGUIMENTO DI UN AMORE MISTERIOSO?

 

Didascalia: La giovane Star di Hollywood è stata protagonista di un rocambolesco, quanto infruttuoso inseguimento, di una non bene identificata giovane ragazza. Secondo una fonte ben informata, che preferisce rimanere anonima, lui la presenterebbe come il suo architetto di fiducia, ma in realtà sarebbe la sua nuova fiamma. Il tutto ha avuto luogo, ieri, presso il  Los Angeles International Airport, teatro della folle corsa del giovane attore che, schivando e anche maltrattando giovani fans, avrebbe tentato l’impossibile per raggiungere la donna, che invece sarebbe partita, per una non ben identificata meta in Europa. Sempre secondo questa fonte anonima, i due sarebbero stati fidanzati qualche anno fa. Non si conoscono ancora i particolari di tutta la vicenda, ma abbiamo sguinzagliato i nostri reporters, e speriamo di farvi sapere qualche particolare più piccante, entro breve tempo.

 

Seguiva un ampio servizio fotografico di Orlando in tutte  le pose possibili ed immaginabili, rubate dai paparazzi il giorno precedente.

 

Orlando fu svegliato dal trillare incessante del cellulare che aveva dimenticato acceso.

“Pronto? Ma chi è?” rispose piuttosto innervosito.

Era la sua agente, e dalla voce sembrava piuttosto contrariata“Orlando mi spieghi che significa l’articolo apparso su In Touch?” gli chiese.

“Non l’ho neanche visto, non me ne frega nulla, sono ancora a letto, e oggi è una giornataccia!” disse lui scocciato.

“Senti, ma ti rendi conto che sei un personaggio pubblico o no? Non puoi mica fare queste puttanate così, senza un minimo di buon senso, e poi mi spieghi chi diavolo stavi rincorrendo?”.

“Ah! Santo cielo! Mi sembri mia madre! Sono fatti miei, cose personali, anzi personalissime. Se l’ho fatto, è perchè avevo i miei buoni motivi. Scusami, ora attacco, ne parliamo in un altro momento!” e chiuse la comunicazione.

Il cellulare squillò di nuovo.

“PRONTO!” rispose in malo modo Orlando.

“Ehi, Orlando ma che combini?” disse la voce all’atro capo.

“Elijah!” disse sollevato Orlando.

“Ma che storia è questa dell’inseguimento eh? Sei in prima pagina su In Touch” rispose il ragazzo.

Orlando spiegò brevemente all’amico i particolari dell’inseguimento avvenuto il giorno precedente, poi lo invitò a casa sua, perché aveva proprio bisogno di parlare con qualcuno.

 

Più tardi, nel corso della mattinata, Elijah passò a fargli visita. La chiacchierata con lui si dimostrò fruttuosa come sempre. Quel ragazzo aveva il potere di farlo ragionare, ma soprattutto di calmarlo.

Appena l’amico se ne fu andato, Orlando decise che sarebbe partito per l’Inghilterra l’indomani, poi al suo ritorno, avrebbe anche sistemato a dovere la fonte ben informata,che preferisce rimanere anonima. Era sicuro che si trattasse di Mallory, come del fatto che uno più uno fa due.        

Aveva già fissato il volo, per la mattina seguente alle 8,00 e stava dando disposizioni precise a Carmen su come preparargli le valigie, quando il cellulare trillò di nuovo.

Era nuovamente la sua agente.

“Dimmi!!” rispose scocciato Orlando.

“Abbiamo un problema” esordì lei.

In poche parole gli spiegò che i problemi con la post produzione di Pirates of the Caribbean non si erano affatto risolti, ma erano addirittura peggiorati. I test prova, fatti con il pubblico preso a campione, avevano dato risultati incerti, a causa del finale poco convincente, quindi il produttore aveva deciso che tutto il cast sarebbe tornato ai Carabi per girare un nuovo finale più consono.

“Ma come?  Dobbiamo ritornate laggiù? E Quando?” chiese Orlando.

“Partiamo dopodomani e ci tratterremo, se tutto va bene, una quindicina di giorni un mese al massimo” rispose la donna.

Orlando avrebbe battuto la testa al muro. Ma era possibile che tutte le volte che decideva di fare qualcosa accadesse un imprevisto?

Era comunque conscio che quello era il tipo di vita che aveva scelto, quindi cominciò subito a pensare come avrebbe potuto organizzare le cose. Era matematicamente impossibile per lui partire per l'Inghilterra, quindi si fece coraggio e compose  il numero di cellulare di Elisabeth.

“Attenzione prego, l'utente da lei chiamato, potrebbe avere il terminale spento, la preghiamo di riprovare più tardi. Grazie” gli comunicò la voce asettica della compagnia telefonica.

Perfetto! Pensò Orlando, ma non si diede per vinto. Riprovò svariate volte, ma il risultato fu sempre lo stesso. Non avendo altra scelta compose il numero di casa di Elisabeth. Gli rispose sua madre. Liz si rifiutò in maniera categorica di parlare con lui. Orlando insolitamente calmo e molto determinato, decise allora di parlare con la madre di lei. La mise al corrente del fatto che sapeva tutto, e per prima cosa chiese notizie di Willie. Quando seppe che aveva la varicella, si tranquillizzò, ma solo un po’. Successivamente spiegò alla donna che sarebbe voluto andare in Inghilterra, ma che era sorto un imprevisto e che sarebbe andato lì, appena finito con questo inconveniente di lavoro. La donna si dimostrò molto comprensiva e gli assicurò che avrebbe tentato di tutto per far ragionare sua figlia, la quale era molto arrabbiata. Orlando la ringraziò di cuore e terminata la conversazione, si dette da fare per dare nuove istruzioni per i bagagli ad una sempre più confusa Carmen. Mentre stava organizzando la sua partenza gli venne un'idea  e afferrò il telefono per metterla in pratica.

 

“Per favore non ti ci mettere anche tu, non me ne frega niente di quello che ha detto!” rispose piccata Liz a sua madre.

“Elisabeth! E' ora di farla finita! Per tutti i santi del paradiso! Hai ventotto anni, non puoi  comportarti come se ne avessi dieci! ”.

Elisabeth rimase di stucco, non sentiva sua madre urlare da tempo immemore.

“Mamma, davvero non posso credere che tu tenga mano a quel.. quel.. ”, s'interruppe un secondo ma poi sbottò “Ma sì, diciamolo una volta per tutte! A quel gran figlio di puttana!” e poi aggiunse “Tu, non l'hai mica visto come ha reagito, ma io si. Era scocciatissimo e molto disinteressato nei riguardi di suo figlio. Poi al mattino si alza e decide che ha cambiato improvvisamente idea. A me non m’incanta!”.

“Non ti prendo a schiaffi, giusto perché voglio sperare, che nonostante tutto, sto ancora parlando con una persona adulta e non con una bambina bizzosa. E comunque non ti permetto di usare un simile linguaggio in mia presenza. Che centra offendere, non è corretto!” replicò la donna spazientita.

Liz alzò gli occhi al cielo “Sai che ti dico io? Che se sua madre, quella sera, invece di fare sesso, se ne fosse andata a fare una passeggiata, sarebbe stato molto meglio per tutti!”.

“ELISABETH!” tuonò sua madre indignata “Ma che razza di discorsi fai?”.

“Dico quello che penso!” replicò lei senza dare il minimo segno di pentimento.

La vivace discussione fu interrotta dal suono del campanello. Liz prese al volo l'occasione e si precipitò ad aprire. Si ritrovò davanti ad un fattorino completamente nascosto da un enorme cesto di fiori di campo, più precisamente erano una molteplice qualità di margherite, di svariate dimensioni e colori. Il fattorino non senza difficoltà le consegnò il cesto ed un biglietto.

Lei si immaginò subito chi potesse essere l'artefice di tutto ciò Avrebbe voluto strappare il biglietto e buttare via i fiori, ma si sa, la curiosità è femmina, quindi aprì il biglietto e lesse:

 

Count down : -29

Al massimo tra 29 giorni sarò lì da te e ti garantisco che, anche se dovesse aprirsi il cielo, cascare la terra e manifestarsi l'apocalisse, io e te parleremo e ci chiariremo una volta per

tutte.

A presto, Orlando.

 

Elisabeth accartocciò il biglietto, poi si diresse verso l'enorme cesto di fiori, lo prese, aprì la finestra, e lo gettò fuori nel giardino. Poi rivolta a lui, come se fosse stato Orlando in persona disse: “Sei veramente un povero illuso oltre che parecchio stupido, se credi che un biglietto e quattro fiori mi facciano cambiare idea! Vieni pure, tanto io con te non ci parlerò mai più!” chiuse la finestra e a grandi falcate si diresse verso la scala per andare da Willie, che aveva ancora la varicella. Fortunatamente stava cominciando a stare decisamente meglio, la malattia stava avendo un decorso piuttosto rapido.

Sua madre la guardò come si guarderebbe un marziano, scrollò la testa e mormorò  “Poveri noi!” ma non la fermò, del resto preferiva che si dedicasse a suo nipote, piuttosto vederla fare quelle scene.

A differenza della figlia, lei poteva comprendere la reazione di Orlando, che era un ragazzo giovane e molto impulsivo. Gli uomini per loro natura, sono differenti dalle donne, ed avere un figlio, talvolta poteva spaventare anche il più affettuoso dei mariti. Figuriamoci se non poteva spaventare lui, che non c'era neanche minimamente preparato. Conosceva Orlando da molti anni e sapeva che nonostante tutto era un ragazzo leale, perciò era contenta che finalmente in un modo o nell'altro avesse saputo la verità, del resto era anche un suo sacrosanto diritto. In cuor suo, sperava che le cose si potessero appianare se non altro per il bene di William. Non era mai stata completamente d’accordo con la scelta della figlia, anche se aveva cercato di rispettarla. Liz non poteva crescere un figlio come un orfano, quando invece un padre ce l'aveva eccome. 

 

Durante i giorni seguenti, ogni giorno alla stessa ora si presentava il solito fattorino, con un grande cesto di fiori e un biglietto. Ogni volta c'era segnato il conto alla rovescia del tempo rimasto di lì al futuro arrivo di Orlando e una foto di loro due ritratti in vari momenti quando stavano insieme.

Quel giorno il biglietto  diceva:

 

Count down: -16

Ti ricordi? Mi obbligasti a portarti a casa così, non ci crederai ma nonostante la faticaccia, ne fui davvero felice!

Quei tempi erano davvero belli.

 A presto, Orlando

 

Allegata c'era una foto di lui che portava lei a cavalluccio ed entrambi stavano ridendo di gusto.

Certo che se lo ricordava, era il giorno in cui lui aveva saputo di aver ottenuto la parte di Legolas e stavano facendo i matti per la contentezza. Ricordò che lei gli chiese di dirle, almeno in quell'occasione, visto che sarebbe partito per lungo tempo, che l'amava, ma Orlando, che non era proprio incline a certe romanticherie, le disse che per dimostrarle quanto era importante per lui, si sarebbe fatto due chilometri con lei sulle spalle. Quasi quasi le dispiaceva strappare anche quel biglietto come tutti gli altri, ma dopo un secondo di esitazione, lo strappò e non ci pensò più. Aveva altro per la testa e non voleva affatto continuare a pensare a quella storia. Si era data molto da fare in quegli ultimi giorni. Aveva terminato il progetto per la casa di Orlando, come si era prefissa, ed era anche molto soddisfatta, in più si era licenziata dallo studio di Paul, con il quale non si sentiva di continuare a lavorare. Attualmente stava sistemando una piccola stanzetta presa in affitto nel centro di Londra dove avrebbe allestito il suo studio personale.

 

***

 

Quel pomeriggio William era riuscito ad ottenere il permesso dalla nonna per poter giocare con le sue macchinine nel giardinetto antistante casa sua, lei lo controllava dalla finestra, stirava e buttava un’occhiata al nipote, non senza apprensione, perché comunque quel bambino era estremamente vispo e anche abbastanza spericolato. Si era giusto slogato un dito due giorni prima, ripensò la donna roteando gli occhi costernata.

Orlando era appena arrivato a Londra dai Caraibi, erano trascorsi ben ventisette giorni da quando era partito. Durante la sua permanenza, le cose erano andate bene dal punto di vista lavorativo, ma male dal punto di vista personale. Era stato bersagliato in continuazione dai giornalisti, per via della famosa storia dell'aeroporto, ma lui aveva glissato evitando di rispondere, come era solito fare. Sorse un problema più grave. Non si sa bene come, ma c'era stata una fuga di notizie e qualche giornalista, aveva tirato in mezzo Londra come luogo di fuga del suo misterioso e ipotetico nuovo amore. Lui aveva smentito seccamente, ma si sa, i giornalisti sono duri da convincere, e questa cosa lo teneva in apprensione. I suoi dubbi si erano rivelati fondati. Al suo arrivo a Londra c'erano fotografi a non finire, che lo avevano inseguito fino a casa di sua madre dove era diretto. Erano trascorse due ore da quando era giunto a casa di sua madre, ma i paparazzi non desistevano e lui smaniava per andare da Elisabeth. Escogitò uno stratagemma, uscì dal retro a piedi e due isolati più avanti chiamò un taxi. Quindi telefonò a sua madre, la quale lo informò che i fotografi erano ancora lì e che quindi poteva essere sicuro di non essere seguito.

 

Appena arrivò davanti casa di Elisabeth, la prima cosa che vide era un bambino seduto per terra, che stava giocando. Si fermò un attimo. Fu subito preda di una forte agitazione, il cuore prese a martellargli violentemente in petto e gli sembrava che gli mancasse l’aria. Era un’emozione violenta quella che stava provando, del tutto nuova ed indescrivibile. Lo osservò un poco meglio, aveva i capelli neri e riccioli e si ostinava a far cozzare una macchina contro l’altra emettendo dei gridolini, ora di gioia, ora di approvazione, ad ogni singolo scontro. Si avvicinò con cautela,  era quasi intimidito. Dopo tutto che ne sapeva lui di bambini e di come si familiarizza con loro? O forse si sentiva così, solo perché era consapevole che quello era suo figlio, e non un bambino qualsiasi.

Era giunto a breve distanza da lui, e si stava preparando mentalmente a dirgli qualcosa, quando William si girò e gli chiese, con la naturalezza che contraddistingue i bambini dagli adulti “ Ciao! Chi sei?”

Orlando preso in contropiede si grattò la testa sorrise un pò imbarazzato e rispose “ Ciao, io sono… sono.. sono un amico della tua mamma”.

“ Ma io non ti ho mai visto, come ti chiami?” disse Willie guardandolo con aperta curiosità.

“ Emmm … il fatto è che io,… non vivo qui a Londra … mi chiamo Orlando”

“Ah! Sei uno straniero, hai un nome strano” disse il bimbo con un espressione curiosa, poi continuò “ Io mi chiamo William. La mia mamma si chiama Elisabeth come la regina e io mi chiamo come il principe” e ridacchiò soddisfatto del suo ragionamento.

Orlando rise a sua volta e lo osservò meglio.

Ora che era più vicino, era sorprendente vedere quanto i suoi tratti gli fossero familiari. Caspita, si ritrovò a pensare, si poteva tranquillamente dire che era identico a lui alla sua stessa età. Istintivamente si piegò su i talloni per essere più o meno alla sua altezza.

“ Io sono inglese esattamente come te, ma vivo in America” gli disse poi.

“A me non mi piace l’America” disse facendo una boccaccia Willie, continuando ad armeggiare con le sue macchinine.

“Umm e perché?” gli chiese curioso Orlando.

Il bambino si girò verso di lui, inclinò la testa da un lato, e con la solita smorfia di prima rispose “Deve essere piena di persone cattive e cose brutte. La mia mamma è stata in America e quando è tornata a casa era sempre nervosa e urla tutti i giorni. Io non ci vado mica in America” concluse facendo di no con il ditino.

Orlando rise a quelle affermazioni, ma poi si accorse che il bimbo aveva il dito fasciato.

“Che hai fatto al dito?” gli chiese non senza un po’ d’apprensione.

Il bambino strabuzzò gli occhi e arricciò il naso “Si, ma se io te lo dico a te, poi…poi te fai come tutti i grandi e mi brontoli!”

Orlando si mise la mano destra sul petto, e gli giurò con un espressione più buffa che solenne, che non avrebbe brontolato come tutti gli altri.

Allora Willie confortato da quell’adulto che faceva le boccaccie come lui, iniziò a raccontare con un tono da gran segreto: “Siccome, a me mi piace fare le cose strambe, come mi dice la mamma, ho fatto questa cosa. Io ero malato e poi sono guarito. Allora ero felice. Sono andato al parco con la nonna e ho fatto finta di essere buono. Quando lei non mi ha visto ho fatto lo scivolo a testa in giù” si fermò un attimo, i grandi occhi marroni gli brillavano per l’eccitazione “E’ troppo bello andare di corsa a testa in giù! Ma sono cascato e mi sono fatto male al dito…. Ma non tanto male però… un pochino” concluse con una risatina complice.

Orlando era esterrefatto, non c’erano dubbi, quel bambino aveva il suo stesso DNA. Nonostante avesse promesso di non  brontolare si sentì di dirgli qualcosa “ Ecco vedi..”  cominciò a dire titubante, grattandosi nuovamente la testa “ In effetti ti capisco, a volte anch’io faccio cose strane ma bisognare stare attenti quando si fanno, perché potresti farti molto male e ..”

William lo interruppe e gli domando molto interessato “ Che cose strane fai te?”

“E meglio che non telo dica o la tua mamma potrebbe tagliarmi anche la testa” rispose Orlando ridendo.

Era molto rilassato. La  paura iniziale era del tutto passata. Quel bambino, anzi suo figlio, sarebbe stato meglio che avesse cominciato a fare l’abitudine a consideralo tale; gli piaceva proprio tanto. Era come se una parte di lui avesse preso vita e si fosse trasformata in quell’esserino, spiritoso e vivace, che lo faceva sentire addirittura orgoglioso. Lo sapeva che era stupido sentirsi orgoglioso di un figlio che faceva le sue stesse scemenze senza un minimo di cautela, ma questo lo rendeva consapevole che lui era veramente suo.

 

Elisabeth era arrivata da qualche minuto, era scesa dalla macchina e li aveva visti così, l’uno accanto all’altro, William seduto rivolto verso Orlando che era accovacciato accanto a lui. Parlavano fitto fitto, come se si conoscessero da una vita, con aria molto complice e con i visi distesi e sorridenti. Si era dovuta appoggiare alla macchina perché le era venuto un groppo in gola dall’emozione.

Nonostante tutto era una cosa bellissima da vedersi.

 

 

 

 

NOTA Spero che sia chiaro che il linguaggio di Willie e volutamente un po’ sgrammaticato, in quanto i bambini piccoli, non parlano proprio correttamente ^_^

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Capitolo 17
*** IL CHIARIMENTO ***


Questa storia è stata scritta per divertimento

Capitolo 17: IL CHIARIMENTO

 

 

Elisabeth ci mise qualche minuto a riprendersi. Si era soffermata ad osservarli. Quella scena le sarebbe rimasta impressa nella mente per sempre.

Si accorse che parlavano, sembravano condividere chissà quale mistero. Infatti come se Orlando le leggesse nel pensiero, si portò il dito sulle labbra, e fece il segno del silenzio a Willie. Chissà che cosa mai gli aveva confidato, da chiedergli di mantenere il segreto, pensò Liz.

Riluttante si mosse per raggiungerli. Odiava spezzare quell’incantesimo , ma doveva rientrare in casa. Quando fu a pochi passi da loro, improvvisamente, fu investita dai flash dei fotografi. Non avevano seguito lui, ma disgraziatamente avevano seguito lei. Mallory nei giorni seguenti al famoso articolo, si era presa cura di fare il suo nome e cognome.

Orlando si girò e si rese immediatamente conto della situazione, si alzò di scatto e lasciò che il bambino rimanesse dietro di lui, nascosto. Poi senza dire una parola, comunicò con gli occhi ed un gesto eloquente della testa ad Elisabeth di prendere Willie e portarlo via. Lei gli passò accanto senza fermarsi, quindi prese William in braccio, e coprendolo alla ben meglio entrò di filato dentro l’abitazione. Orlando si diresse verso i paparazzi, con calma, ma determinato. “Ragazzi, non è proprio il caso di pubblicare queste foto” disse con tono fermo.

Non lo fecero neanche finire “Chi è quella Orlando la tua nuova fidanzata?” gli chiesero subito.

“No, per carità! E' solo mia cugina” disse cercando di sviarli.

I suoi tentativi di mandarli fuori pista furono assai vani, anzi a dirla tutta, non gli credettero per niente. Ad un certo punto lui, scocciato chiamò un taxi e se ne andò. Restare lì non sarebbe stata certo, una mossa intelligente. Sarebbe tornato più tardi, quando tutta quella gente se ne fosse andata.

 

Erano circa le otto di sera, quando Elisabeth esasperata realizzò che i paparazzi non avevano ancora mollato la presa. Erano ancora tutti appostati nei pressi del suo giardino. Lei era consapevole che Orlando non centrasse con quella storia, ma allo stesso tempo era molto infastidita dal fatto che, anche senza volerlo, lui li aveva messi in quella situazione. Sua madre la prese un po’ meglio di lei, era sicura che si sarebbero stancati presto.

Disgraziatamente non fu proprio così.

  

“Mamyyyyy!!! Perché c'è tutti quei signori fuori che fanno le fotografie?” chiese Wille sbirciando dalla finestra della sua cameretta.

Elisabeth lo prese in braccio e portandolo via gli disse “Sono solo curiosi. Ci hanno scambiato per persone famose e vorrebbero fotografarci. Tu non affacciarti, non voglio che ti vedano”.

“ Perché pensano che siamo famosi? … Ma noi siamo famosi Mamy?”.

Elisabeth si trovò un po’ in difficoltà, suo figlio era arguto e intelligente, oltre che come tutti i bambini estremamente curioso. Non sarebbe stato molto facile dissuaderlo dal domandare, se lei, non gli avesse fornito una spiegazione plausibile. Lo mise a sedere sul suo lettino e mentre cominciava a spogliarlo per preparalo per la notte gli disse “Noi non siamo famosi. Il fatto è, che il mio amico che hai conosciuto oggi che è famoso. Lui è un attore e quelle persone vogliono fargli delle foto, per poi metterle sui giornali”.

“Davvero?” chiese Willie sempre più curioso e poi continuò “Ma io non l'ho mai visto in Tv!”.

“Infatti lui, è un attore di film, quelli che si vedono al cinema” gli spiegò lei.

“Perché non siamo mai andati al cinema a vederlo Mamy?” chiese subito lui.

Elisabeth mentre armeggiava per infilargli il pigiamino cominciò a sentire la tensione salire. Stava sudando le classiche sette camice, arrampicandosi sugli specchi, del resto non poteva mica dirgli il perché aveva sempre accuratamente evitato di fargli vedere qualsiasi cosa inerente ad Orlando. Lo aveva fatto, perché era come se avesse avuto paura che in qualche modo lui, potesse capire o fare domande su quello che, in realtà era suo padre.

“Perché noi al cinema andiamo a vedere solo i cartoni animati” gli rispose sbrigativa, sperando che la conversazione si chiudesse lì, ma non fu così.

“Ma a me mi piacerebbe vedere un film con lui” disse Willie.

“Vedremo” rispose vaga Liz.

“Lui è buffo Mamy!” disse ridacchiando Willie.

Elisabeth cominciava ad agitarsi, suo figlio era veramente un po’ troppo entusiasta verso una persona che aveva appena conosciuto. Di solito era un po’ più guardingo e ci metteva del tempo a lasciarsi andare con gli estranei. Questa volta non era decisamente così, e la cosa le procurava un'ansia tremenda, temeva che le cose andassero avanti troppo in fretta e che ne potesse uscire fuori un disastro. Sarebbe stato uno choc per Willie scoprire così, su due piedi, che quello era suo padre.

“ Mamma? ” dissie William distraendola un attimo dalle sue preoccupazioni.

“ Dimmi amore”  gli rispose lei.

“Abbracciami!” gli disse lui buttandogli le braccine al collo.

Elisabet lo abbracciò forte, meravigliata da quella improvvisa richiesta d’affetto, e gli stampò anche un bacio su una guancia, che lui contraccambiò. Poi William si avvicinò al suo orecchio e le disse sottovoce titubante ma anche eccitato “ Mamy se ti dico un segreto, mi prometti che non urli?”.

“ Okay ” rispose Elisabeth vagamente preoccupata .

“Oralando fa le cose strane come me!” disse soddisfatto Willie

“ Non si chiama Oralando , ma Orlando. E… che ti avrebbe detto riguardo a queste cose strane?” chiese Elisabet, che cominciava a sospettare qualcosa che non le piaceva per niente.

“Allora, lui, si lega un elastico gigante su i piedi” cominciò a dire Willie mimando con i gesti le azioni che stava spiegando “Poi sale in alto, su, su” continuò facendo segno verso il soffitto con la manina “E poi si butta di sotto, a testa in giù! Così dondola tante tante volte!”.

Elisabet, spalancò gli occhi, allargò le narici e aggrottò la fronte “Sono cose stupide e pericolose, non si fanno! E non voglio assolutamente che tu pensi neanche lontanamente a fare una sciocchezza del genere. MAI! Intesi?” gli disse molto contrariata.

“Quando sono grande lo faccio con Oralando. Me l'ha promesso” disse con aria di sfida Willie.

Lo prese di peso, lo mise sotto le coperte e mentre gliele rimboccava gli disse

“Non penso proprio che Oralando, come lo chiami tu, si azzarderà a fare una cosa del genere!” disse lei decisa, poi aggiunse a tono più basso come se riflettesse a voce alta “A meno che non voglia morire di morte prematura ed estremamente violenta!”.

“Mamma cosa hai detto? Io non ho capito”

“Niente tesoro, ora fai bravo, basta domande e cerca di dormire” concluse lei baciandolo in fronte.

 

Erano le 22 passate e ancora i fotografi non si erano decisi ad andarsene. Erano convinti, e a ragione, di essere sulla pista giusta, quindi stavano giocando a stancare la preda. Prima o poi qualcuno sarebbe dovuto uscire o entrare in quella casa.

Orlando era stufo, non c’era verso di potersi avvicinare a casa di Elisabeth, in più sia il cellulare che il telefono fisso di lei , non davano segni vita. Evidentemente li aveva staccati per non essere infastidita. Era probabile che quei maledetti sciacalli, avessero fatto i turni e  che non sarebbero andati via neanche durante la notte. Occorreva un piano alternativo per poter finalmente incontrare Elisabeth e parlare con lei.

Aspettò ancora un’oretta e poi come aveva fatto di giorno andò via a piedi. Chiamò un taxi e si fece lasciare nei pressi della casa di Liz, che raggiunse sempre camminando. Una volta arrivato si diresse verso parte retrostante e opposta a quella dove erano i fotografi, facendo molto attenzione a non farsi vedere. Era bravo nel seminare i giornalisti, era una cosa che aveva imparato a fare molto bene nel corso degli anni. Alzò la testa e guardò in alto, verso il piccolo terrazzo, al primo piano della casetta. Una volta quella era la stanza di Elisabeth, sperò ardentemente che nel frattempo lei non avesse cambiato camera, visto quello che stava per fare. Quindi si fece coraggio e come aveva fatto qualche volta quando erano ragazzi, cominciò ad arrampicarsi su per la grondaia per arrivare alla stanza.

Elisabeth non dormiva perché era agitata. Aveva indossato una comoda tuta ed era seduta mollemente sul letto, in un tentativo mal riuscito di rilassarsi. Stava leggendo, anzi stava cercando di leggere, visto che non riusciva a concentrarsi.

Sentì dei rumori provenire da fuori, quindi spaventata si affacciò sul terrazzo per vedere che cosa stesse succedendo. Quello che apparve ai suoi occhi, una volta fuori, la lasciò senza parole: Orlando stava arrampicandosi, non senza fatica a mani nude, ed era in una posizione piuttosto precaria, e imprecava ad ogni tentativo di avanzamento. Aprì bocca per dirgliene quattro, ma lui, molto velocemente la raggiunse, fece un picco balzo e prese a ripulirsi alla ben meglio i vestisti, che si era sporcato durante la salita, quindi disse con un tono tra il rammaricato e lo spiritoso “ E’ mai possibile, che stia invecchiando? Non ho neanche trentanni e ho fatto il doppio della fatica che facevo, una diecina d’anni fa!”.

Al temine della frase Orlando sentì stamparsi sulla sua guancia un sonoro ceffone.

“Ahi! Ma sei impazzita!” disse massaggiandosi la guancia colpita.

“Tu sei veramente uno scriteriato senza cervello! Come ti salta in mente di arrampicarti così a mani nude! Neanche tu fossi l’uomo ragno! Vuoi veramente romperti l’osso del collo e ammazzarti! Non ti basta quello che ti è successo quando sei volato di sotto da casa del tuo amico? Sei veramente senza speranza!”  gli urlò Elisabeth che si era presa uno spavento enorme.

“Non c’è bisogno che tu mi dimostri la tua premura picchiandomi Beth, …  ’azz  e picchi pure sodo, ma che hai fatto qualche corso di autodifesa ultimamente?” disse con ironia, ma continuando a massaggiarsi la guancia.

Entrarono dentro. Non era molto salutare stare a discutere lì fuori, potevano attirare l’attenzione dei giornalisti e sarebbe stato un grosso guaio.

Una volta in camera Orlando si tolse la giacca di pelle e l’appoggiò distrattamente su una sedia. Si guardò intorno. La camera di Liz non era poi cambiata molto, aveva solo un letto più grande a due piazze e la scrivania era stata sostituita da un settimino dove erano esposte una serie di fotografie, quasi tutte raffiguranti Willie in varie pose. Tutto lì parlava di lei, era una stanza calda e confortante, nell’aria  c’era un lieve profumo di lavanda, sembrava quasi di aver compiuto un salto indietro nel tempo.

Elisabeth, a sua volta, lo stava osservando, era leggermente abbronzato e portava ancora il pizzetto e le basette lunghe, per via del nuovo finale film che aveva appena finito di girare. Indossava una maglia di cotone color crema abbastanza aderente che metteva in risalto le spalle e la muscolatura delle braccia, sotto portava i soliti jeans scoloriti e un paio di scarponi. I capelli erano ingelatinati all’indietro e aveva l’aria un po’ stanca, ma molto tranquilla. Ad Elisabeth la sua stanza parve improvvisamente troppo piccola per contenere entrambi. Ma porca miseria! Si trovò a pensare, perchè  lui doveva essere sempre così sfacciatamente irresistibile!

Lui la guardò, strizzo leggermente gli occhi e incurvò le labbra in modo sensuale, le sorrise mostrando i denti candidi e disse “ Ma allora mi ami davvero se ti preoccupi così tanto della mia salute!”.

“Cretino!” rispose lei indispettita da tutta quella sicurezza!

“Testarda!” le disse lui avvicinandosi e guardandola in quel modo che le faceva sentire le ginocchia molli.

“ Presuntuoso egocentrico!” ribattè lei facendo un passo indietro, tanto per non averlo troppo vicino.

“Tesoro hai finito di elencare tutte le mie numerose virtù? Vorrei parlarti” disse senza togliersi dal viso un espressione divertita. “Davvero dobbiamo parlare. E possibilmente senza litigare” concluse più seriamente.

“ Mi rimane un po’ difficile restare calma, visto che sono praticamente prigioniera in casa mia! Sotto assedio da una miriade di giornalisti che non accennano ad andarsene. E poi…” cominciò a dire con espressione accigliata e puntandogli l’indice contro “ Vorrei proprio sapere cosa ti è saltato in testa! Come hai potuto parlare a Willie del bunging jumping? Sei uno sciagurato!  Non ti azzardare mai più a fare una cosa del genere!”.

Orlando eluse un attimo il suo sguardo, sapendo di averla fatta grossa e poi disse “Mi dispiace, io non volevo mica dirglielo, ma tuo..emmm..nostro… figlio ha una capacità di convincimento, molto efficace quando vuole ottenere di sapere qualcosa”.

Elisabeth lo guardò malissimo e poi gli disse “ Chissà a chi mai assomiglierà!”.

“I bambini sono incoscienti per natura e non vanno istigati a fare cose sbagliate, vanno protetti e indirizzati. Devi assolutamente usare molta attenzione quando parli con lui chiaro? E non fargli MAI più simili promesse!” concluse.

“Hai ragione, credo di aver fatto una cosa molto stupida, mi sono lasciato trascinare dall'entusiasmo, ma ti prometto che non lo farò mai più in futuro. Starò molto attento a quello che dico in sua presenza. Mi permetterai di vederlo ancora vero?” chiese titubante Orlando.

Quella domanda la prese in contropiede, ma c’era anche da aspettarselo “ Credo di sì, ma non si possono fare le cose in fretta, bisogna essere cauti, non possiamo permettere che Willie subisca un trauma” disse lei molto ansiosa.

“Che cosa gli hai detto di suo padre?” chiese Orlando un po’ preoccupato.

Lei che era una persona onesta e leale, gli spiegò che non aveva mentito a suo figlio raccontandogli chissà quale storia inventata. Gli aveva semplicemente detto che suo padre era una persona molto impegnata e che era dovuto andare via in un paese straniero a lavorare. Aveva aggiunto che forse un giorno sarebbe tornato, ma che lei non ne era sicura. Questo però non significava che sua padre non lo amasse. Gli spiegò di avere mentito, in questa ultima parte del discorso, perché non voleva che Willie crescesse con l’idea che suo padre non lo volesse o che peggio ancora non sapesse che esisteva. Tanto meno poteva dirgli l'esatta verità, era troppo piccolo per poterla capire.

“Non è che la cosa mi piaccia tanto, anche perché mi ritrovo ad essere in una posizione scomoda, ma non per mia scelta. Sarà molto difficile ora potergli far capire come stanno veramente le cose” rispose Orlando, serio, ma non arrabbiato, sembrava più pensieroso che irritato.

Elisabeth si sentì un po’ un verme, perché era inutile negarlo, lui non aveva tutti i torti.

“Hai ragione e ti chiedo scusa, ma non potevo fare diversamente.  La situazione era così difficile e delicata che non ho trovato una soluzione migliore. Non ho intenzione di negarti, di frequentarlo o di fargli conoscere la verità, un giorno. Quello che non voglio assolutamente è che tu arrivi all’improvviso e gli sconvolga la vita” gli disse Elisabeth.

Orlando intrecciò le mani dietro la schiena e dondolando leggermente da una parte all’altra guardò Liz molto intensamente, aveva bisogno di sapere una volta per tutte come mai lei non gli avesse mai detto di suo figlio e come mai era fuggita dalla Nuova Zelanda abbandonando quella festa senza una sola parola.

Quindi senza aspettare oltre le formulò la fatidica domanda “ Beth, mi vuoi spiegare perchè non hai mai voluto dirmelo, ma soprattutto perché sei fuggita quella sera?”.

Liz fu subito presa da un grande imbarazzo. All’epoca era convinta di quello che aveva fatto e di quello che l’aveva spinta a farlo, oggi non era più sicura di niente e si sentiva anche un po’ sciocca. Aveva preso una decisione sull’orlo della rabbia, della disperazione e della recriminazione, ma alla luce dei fatti non era più certa di quello che aveva fatto. Era anche terribilmente orgogliosa e molto testarda e le parole non le uscivano con facilità dalla bocca, perché  temeva di essere giudicata male, ma del resto, ormai i nodi erano venuti al pettine e volente o nolente doveva parlare.

“Mettiti comodo” gli disse mostrandogli la sedia, poi si allontanò un poco, restando in piedi e girellando per la stanza. Finalmente cominciò a parlare: “Non sarà un discorso breve” iniziò.

“Il fatto principale è che noi ci eravamo allontanati. Tu eri completamente preso dalla tua carriera. Ero felice per te, era tutto quello che desideravi e io non ho mai voluto ostacolarti, ma soffrivo perché sembravi dedicarmi solo i tuoi scampoli di tempo. C'era una distanza enorme tra noi, e non solo chilometrica, mi telefonavi sempre meno, eri distratto a volte anche di fretta, talvolta sembravi addirittura scostante. Nonostante ciò, quando ci vedevamo sembravi ancora molto preso da me. Non ho mai saputo capire quanto tu tenessi alla nostra storia o quanto tu fossi innamorato”, fece una piccola pausa tormentandosi le mani. Lui la guardava ascoltandola con attenzione, non voleva interromperla, voleva solo la verità ed in fretta.

Poi Liz abbassando la testa come se dire quella frase le procurasse veramente un gran male e disse “Del resto tu non mi hai mai detto una sola volta che mi amavi, né prima di partire, né tanto meno dopo. Potevo intuire che mi volevi bene che eri molto attratto da me, ma non ero certa che tu mi amassi, a volte ho pensato che fosse solo una violenta attrazione fisica e niente più. Ero arrivata alla conclusione che sarebbe stato giusto lasciarci, ma non riuscivo a parlartene mai”. S’interruppe nuovamente sospirando, non era per niente facile parlare e lei ne avrebbe fatto volentieri a meno.

Lui continuava a guardarla senza dire una parola e questo da una parte innervosiva un po’ Liz, dall’altra, era un bene. La portava a non interrompersi e a restare per quanto fosse possibile calma.

Si schiarì la voce, e riprese a passeggiare nervosamente, era arrivata alla parte più difficile.

“ Come sai sono poi rimasta incinta. Naturalmente quando me ne sono accorta tu non c'eri. Non sapevo che fare, era terrorizzata. Non potevo credere che fosse accaduta una cosa così grande e così importante, ma volevo e dovevo parlarne assolutamente con te, e di persona” si fermò di colpo perché era sempre più in difficoltà.

“Fin qui tutto bene, ho capito, ma sembra che tu stia tergiversando, dimmi che cosa ti ha fatto scappare, è importante. Ti prego” disse Orlando che si era alzato e si era avvicinato a lei.

“ E’ che mi sento un po’ una cretina, ora come ora,….Insomma ero convinta, ora non lo sono più tanto… , … però non è che abbia delle certezze! Cioè non è che abbaia mai saputo come stanno le realmente cose… però poi mi sono resa conto che magari…”

“ Ma cosa stai farfugliando? Spiegati Beth, io non ci capisco davvero niente!” disse Orlando esasperato.

Lei si girò e senza alzare la testa e con gli occhi bassi disse “ Io ero convinta che tu avessi una relazione con Liv Tayler!”.

Ecco lo aveva detto.

Ci fu un breve istante di silenzio, poi Orlando scoppiò in una risata fragorosa. Era ridicolo semplicemente ridicolo, non si era neanche arrabbiato, ma non riusciva a smettere di ridere. La tensione accumulata, nell’ansia di capire quale fosse il famigerato motivo che l’aveva allontanata da lui, lo stava tradendo e il riso era il suo sfogo.

“Non capisco che ci sia tanto da ridere!” disse irritata Liz.

“Ma come ti è venuta in mente una simile stupidaggine?” le chiese lui tra le risa.

Elisabeth era davvero indispettita, si sentiva presa in giro e reagì male “ Mi è venuta in mente, perché sia tu che lei non facevate altro che ripetere nelle varie interviste quanto eravate affiatati, che abitavate vicino, che lei ti proteggeva che tu la portavi fuori” Il tono di lei era agitato e si capiva che dire quelle cose la riportava a ricordi spiacevoli che l'avevano fatta veramente soffrire. Continuò a parlare come se non potesse più fermasi “ Lei diceva, con quella sua voce melodiosa e smielata, che eri così carino, che uno gentile come te non lo aveva mai conosciuto. Tu ribattevi che guidavi per lei perché lei era in difficoltà con la guida a sinistra e poi che era così piacevole aiutarla!”.

Lui la guardava incredulo, non avrebbe mai pensato che uno scambio di cortesia tra colleghi, avrebbe potuto sortire effetti così devastanti.

Intanto Liz con sempre più veemenza, continuava a raccontare “ Ma non solo, come se non bastasse non perdevi  occasione per abbracciarla e strusciarti a lei in continuazione,e in qualsiasi occasione. E poi com’è che la chiamavi? Ah si!  ‘La mia principessa!’. Insomma è una ragazza molto bella, ed eravate sempre insieme, in più lo dichiaravate ai quattro venti con tanta naturalezza! Secondo te che cosa avrei dovuto pensare? Senza tralasciare il fatto più importante, quello che mi dette il classico colpo di grazia! ”

“E cioè?”  chiese lui incuriosito, dato che proprio non riusciva ad immaginare quale potesse essere.

Liz gli voltò le spalle, perché non voleva neanche guardarlo in faccia, al solo ripensarci, le veniva ancora il magone “Quella famosa sera in Nuova Zelanda la baciasti sulle labbra, senza ritegno e davanti a tutti, come se fosse la cosa più giusta e naturale del mondo!”.

“Ma è una scemenza! Non ho mai avuto nessuna relazione di nessun tipo con Liv! Siamo solo ed unicamente due ottimi amici, che hanno condiviso un importante esperienza di lavoro! Il bacio, che poi non è che fosse un bacio vero, intendiamoci,  è stata un specie di buffonata, una sfida tra noi tutti del cast, ce lo siamo dati anche tra maschi! Se tu fossi rimasta lo avresti visto con i tuoi occhi” disse lui, veramente meravigliato dal fatto che una simile sciocchezza, o almeno quella che lui considerava tale, avesse innescato una concatenazione di eventi così funesti.

“Io non potevo certo saperlo, come del resto non posso essere a conoscenza di tutte le vostre stramberie da attori. A volte vi comportate in maniera veramente incomprensibile per me! Siete egocentrici, fate i buffoni, esagerate e vi comportate come se foste una specie di tribù fuori dal mondo reale. Come puoi pretendere che le persone riescano a capire se scherzate o che al contrario siete seri? ”.

“Ma via è assurdo e poi non avrei mai fatto una simile cosa, dopo averti fatta venire da me, non ha senso, tu eri la mia ragazza ufficiale, tutti sapevano che eri con me!” disse lui.

“Tu proprio non vuoi capire! Ero disperata, incinta e in mezzo ad un festa, piena di persone che non conoscevo. Tu poi, non è che ti stessi proprio occupando di me. Eri tutto preso a fare lo scemotto con i tuoi amici e lo splendido con i fans! Mi lasciati da sola in un angolo, con la scusa che non volevi che mi fotografassero e sparisti per più di un ora. Molte persone a quella festa erano ubriache, e io mi sentivo decisamente fuori posto e molto a disagio. Quindi me ne sono andata scappando in preda alla rabbia e alla disperazione, ero sicura che tanto ti avrei fatto solo un favore!”.

Orlando si avvicinò ancora di più a lei e gli disse “Mi dispiace davvero tanto che per una cosa del genere, senza nessuna importanza, abbiamo finito per rovinare un rapporto. Ma non capisco perché non me ne hai parlato, perché sei andata via. Hai senz'altro ragione nel dire che forse quella sera ti trascurai un pochino, ma c'era veramente bisogno di reagire così?”.

“ La fai facile tu! Avrei voluto vederti al mio posto! Incinta, in un paese straniero, con il peso di dover dare questa notizia ad una persona di cui non sei sicura quali siano i suoi reali sentimenti, la quale invece di starti accanto flirta con una giovane e attraente attrice e non solo, visto che sbaciucchiavi qualsiasi fan te lo chiedesse!” rispose lei.

“ Ora non esagerare! Avrò dato qualche bacetto sulla guancia ad alcune fan! Detto così sembrava che stessi in mezzo ad un orgia!” cercò di sdrammatizzare lui e poi aggiunse “E’ proprio vero il proverbio che dice ‘ Dio li fa e poi li accoppia ’ perché se è vero che io non sono molto normale, anche tu mica sei tanto rifinita!”.

“ Noi non siamo affatto accoppiati!”  gli rispose Liz.

“ Ancora per poco” rispose lui in un soffio.

“ Non credo proprio io penso …” fece per dire Elisabeth

“ Ecco, hai colto nel segno, tu pensi troppo e soprattutto parli troppo, e anche un po’ a vanvera mi sembra”. Si chinò e le sfiorò le labbra per ridurla dolcemente al silenzio.

“ Non ci provare” rispose lei senza troppa convinzione.

“ Ci sto già provando” rispose lui continuando  a baciarla e parlarle a fior di labbra.

“ No” riuscì a  malapena a dire Liz.

“ No cosa? Non ci sto provando abbastanza intensamente? Vuoi più dedizione da parte mia?” le chiese canzonandola un po’ e per tutta risposta le infilò una mano sotto la tuta cominciando a carezzarle languidamente la schiena.

 “ No, cioè,.. si .. ti stai applicando, … anche troppo e …”

 “ Deciditi si, o no” disse lui.

 “ Insomma basta, mi stai prendendo in giro!” provò a protestare Liz, cercando di scostarsi un po’, ma con scarsi risultati.

 “ No, non ti prendo affatto in giro, voglio realmente ridurti al silenzio” e avvicinandola ancora a se, con una mano sulla nuca, si chinò nuovamente e con le labbra si impossessò della sua bocca. Lentamente introdusse la sua lingua nella bocca lei, rendendo effettivo il suo intento.

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Capitolo 18
*** TEMPO DI DECISIONI ***


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Capitolo 18 : TEMPO DI DECISIONI

 

Orlando ed Elisabeth, come accadeva spesso loro, erano stati travolti dall'intensità della passione che provavano l'una dei confronti dell'altro e avevano finito per fare nuovamente l'amore. Non era una cosa sbagliata, perché per loro era un esigenza naturale, una conseguenza logica ai sentimenti che provavano, ma troppe cose erano ancora in sospeso per poter credere che tutti i tasselli del mosaico fossero nuovamente al loro posto. Anche loro due, come tutte le persone che hanno difficoltà nel mostrare i loro sentimenti, continuavano a fare ripetutamente lo stesso errore, credevano che bastasse lasciare le cose all'intuizione, ma non era giusto. Questo, innescava un meccanismo secondo il quale, ognuno dei due, dava per scontato che i propri pensieri e aspirazioni fossero senza segreti per l’altro, ma non era affatto così. E' inutile dire che questo aveva creato non pochi malintesi nel passato, e altrettanti li avrebbe creati nel futuro, se non si fossero decisi a dare una svolta a questo loro modo di fare.

La loro condizione era estremamente delicata e anche complicata. Non si trattava solo di loro due, ora c'era anche William. Dovevano fare attenzione a come si sarebbero comportati, a come avrebbero deciso di articolare le cose per prepararlo ad affrontare una situazione nuova, della quale non avevano  neanche la certezza che lui sarebbe stato felice. Per la prima volta entrambi si resero conto che non potevano fare i ragazzini egoisti, ma era al fine venuta  l’ora di essere un po’ responsabili e soprattutto maturi.

Insieme cercarono quella che al momento gli parve la soluzione migliore.

Con l'aiuto di persone fidate riuscirono ad affittare due case in Irlanda, ovviamente sarebbero stati in incognito e avrebbero scelto una regione poco popolata e vicino al mare. In un primo tempo avevano optato per un'unica casa, ma la madre di Elisabeth si oppose fermamente. Gli fece giustamente notare, che era troppo prematuro portarsi Willie con loro, il bambino sarebbe rimasto confuso, dovevano procedere per gradi. Fu deciso che in una casa sarebbero andati lei e Willie, nell'altra Orlando ed Elisabeth, la quale all'inizio non era tanto d’accordo. Non voleva stare troppo lontano da William ed era preoccupata che il bambino la prendesse male. Sua madre la fece ragionare, dicendole che lei e Orlando avevano bisogno di tempo e di star da soli per potersi riavvicinare e per decidere sul futuro del figlio, che comunque era pur sempre molto vicino a loro. Lo avrebbero visto anche tutti i giorni, se lo desideravano, e che quindi in realtà il problema non sussisteva. Orlando pure era un po’ contrariato da quella decisione. E poi a dirla tutta si sentiva l'ultima ruota del carro in quella situazione, dove le due donne, per forza di cose, avevano maggior potere decisionale di lui.

Alla fine, la proposta della madre di Liz fu accettata e in gran segreto partirono tutti insieme per L'Irlanda.

In Irlanda si trattennero per un mese. Fu un periodo estremamente bello e particolarmente tranquillo.

Chiusero i cellulari in un cassetto e si presero una lunga vacanza. Tutti i giorni facevano lunghe passeggiate al mare o qualche posto in mezzo alla natura. Tutti e tre insieme, poi giocavano per interi pomeriggi. Accadeva spesso che Oralando, come ormai era stato ribattezzato da Willie, si coalizzasse con lui contro Elisabeth. Il loro passatempo preferito era farle degli scherzi, lei di contro fingeva di arrabbiarsi e poi finivano tutti e tre a fare la lotta uno contro l'altro, ridendo come matti.

Willie a volte faceva troppe domande e li metteva in non poca difficoltà. Loro gli spiegarono che si conoscevano fin da quando erano piccoli e che adesso dopo tanto tempo, finalmente si erano incontrati di nuovo. Un po’ come avrebbe potuto accadere a lui con qualche suo amichetto, che se ne fosse andato via dall'Inghilterra e che poi fosse ritornato. Lui obbiettava dicendo che aveva solo amici maschi, perché le femmine sono noiose, ma alla fine sembrò convincersi e si tranquillizzò, anche perché aveva una vera e propria adorazione per Orlando, che lo faceva divertire e che sembrava dargliele molto più vinte di sua madre.

Finalmente un alleato, pensava molto soddisfatto il piccolo William.

Orlando ed Elisabeth nonostante i buoni propositi iniziali non è che avessero parlato poi molto, più che altro si godevano la reciproca compagnia e poi appena si ritrovavano soli, non facevano che fare l'amore, come se volessero recuperare tutto il tempo che avevano perso. Si coccolavano e restavano anche nottate intere abbracciati a chiaccherare evitando però accuratamente di affrontare l'argomento post Irlanda e le eventuali decisioni su di loro e la loro vita futura. In un certo senso non volevano rovinare quell'atmosfera serena di pace, che si stavano godendo a pieno, giorno dopo giorno.

 

Quella mattina Elisabeth era andata a fare la spesa con la madre, era l'ultima spesa che avrebbero fatto lì, la settimana seguente sarebbero ripartiti per l’Inghilterra. Orlando era andato in spiaggia con Willie e le donne finalmente sole, potettero parlare un po’.

“Insomma ancora non avete neanche affrontato l'argomento e non avete minimamente deciso che intendete fare? ” chiese ad Elisabeth sua madre mentre stava spingendo il carrello.

“No, non ce ne è stata l'occasione” rispose Liz cercando di apparire credibile.

“Diciamo che non avete volto crearla l'occasione, vivete insieme da quasi un mese e da soli per giunta, mi suona un po’ come una scusa questa tua risposta” disse la donna.

Elisabeth non rispose, si sentiva chiaramente colpevole. Sua madre le fece una paternale che non finiva più, e lei se la sorbì senza fiatare. Si sentiva depressa quel giorno. Ormai non c'era più tanto tempo e certe problematiche dovevano per forza essere affrontate, promise a sua madre, ma più che altro a se stessa, che avrebbe parlato con Orlando. Chiese poi alla madre di portare via Willie  e di lasciarli soli per il pranzo. Così quando si rincontrano con Orlando, prima Liz si fece lasciare a casa, e lui accompagnò Willie e la nonna, che era stata molto brava ad inventarsi una scusa plausibile, all'altra casa, dove alloggiavano.

Elisabeth che pure non amava molto cucinare, si prodigò non poco per fare un pranzetto con i fiocchi, cucinò roba semplice ma gustosa, in cuor suo aveva deciso di parlare subito dopo che aver pranzato.

Orlando rimase non poco sorpreso, da un simile trattamento. Durante tutta la durata del pasto, anche se lei sembrava apparentemente tranquilla, lui la osservava di sottecchi. La conosceva molto bene e quel pranzo, il fatto che fossero solo loro due, gli aveva fatto intuire che c'era qualcosa sotto. Poco male pensò, tanto anche lui era un paio di giorni che tergiversava, ma che voleva assolutamente parlarle.

A fine pasto lei si mise a sparecchiare molto lentamente la tavola e lui la osservava. Il modo in cui si muoveva gli piaceva proprio tanto, riusciva a far risultare estremamente sensuali anche semplici gesti come piegarsi per afferrare una bottiglia, e portasela al petto, per riporla al suo posto. I capelli le danzavano leggermente intorno al viso, tutte le volte che si muoveva. Le mani si muovevano con grazia, mentre con una spugnetta ripuliva la tavola. Le lunghe dita affusolate sembravano accarezzare la superficie del mobile, poi distrattamente capitava che si ravviasse i capelli. Lui come rapito da quelle immagini, continuava a guardarla e l'unica cosa che avrebbe desiderato fare, sarebbe stato alzarsi e baciarla per ore, e ore senza stancasi mai. Nessuna donna anche se più bella e provocante di lei gli aveva mai fatto provare delle sensazioni così forti e così prepotenti. Lei era la sola ed unica che lui avesse mai voluto e sarebbe stato così, per sempre. In tutti quei giorni si era ripetutamente chiesto come avesse fatto a stare senza Liz per tutto quel tempo e si era giurato che non sarebbe accaduto mai più.

Si alzò come attratto da una forza sconosciuta e arrivando alle spalle Elisbeth che stava sistemando i piatti nel lavello, le circondò la vita stringendola a se. Le scostò delicatamente i capelli e la baciò sulla morbida pelle del collo indugiando un po’, come per assaporare a pieno quel momento. Lei si abbandonò un attimo a quel gesto, piegando la testa indietro e appoggiando la nuca nell'incavo della spalla di lui. Orlando continuò a baciarle quella pelle così delicatamente profumata e invitante, stuzzicandola con la punta della lingua. Liz fu investita da forti ondate di desiderio, tanto da perdere quasi del tutto la capacità di ragionare, infatti le cadde un bicchiere che teneva in mano, che si frantumò in mille pezzi. Nessuno dei due ci fece molto caso, infine lui le sussurrò con voce roca  “ Perché non la smetti di lavare i piatti, ti aiuto dopo io…. Ora vorrei decisamente fare qualcos'altro…”

 Lei non rispose chiuse gli occhi in balia della reazione del proprio corpo. Non riusciva resistere al languore che sentiva crescere dentro di lei. Lui fece scorrere le sue mani sotto la maglia di lei, fino ad arrivare al seno, poi si scostò leggermente e le tirò un po’ su  la maglia. Si piegò  e le sfioro la schiena con bacio e cominciò ad armeggiare per toglierle i reggiseno, a quel punto Liz lo fermò, e si ricoprì velocemente. Sarebbe stato facile, anzi troppo facile, lasciarlo continuare, era così bello lasciarsi trasportare da ciò che lui le faceva provare, ma non questa volta, si impose. Se avessero fatto nuovamente l'amore non avrebbero parlato più e lei non poteva permettere che andasse a finire sempre così. Gli prese le mani e girandosi su stessa si ritrovò faccia a faccia con lui, che aveva un' espressione interrogativa.

“Non ora ” gli disse.

“Perché? ” chiese semplicemente lui  guardandola. I suoi occhi tradivano chiaramente quanto la volesse.

“Perché  devo parlarti e se ti lasciassi continuare, come al solito, non ci riuscirei neanche questa volta” rispose lei tenendo ancora le sue mani intrecciate alle proprie.

“Allora parliamo, anzi in realtà c'è una cosa che desidererei dirti” le disse lui accompagnandola per mano nell'altra stanza.

“Doveva essere una sorpresa, ma tanto vale che te lo dica, tra una settimana ce ne andiamo da qui e quindi, prima o poi avresti dovuto comunque saperlo”. Gli brillavano gli occhi e sembrava molto felice, al contrario Liz era stranamente silenziosa. Lui non parve farci molto caso e continuò “Ho fatto preparare una camera tutta per Willie nella casa di Los Angeles, ma non solo, ho fatto costruire un nuova piscina su misura per lui. Così appena vi trasferirete da me, gli insegnerò a nuotare, inoltre voglio che tu ti occupi della nostra nuova camera, la voglio completamente nuova e voglio che sia solo nostra”. Parlava senza quasi prendere fiato, in preda ad un entusiasmo irrefrenabile, senza accorgersi dell'espressione addolorata di lei.

“Io sarei propenso perché veniate subito. Chi se ne frega se non è tutto completamente a posto!”

“Orlando, ti prego, fermati un attimo” lo interruppe lei.

Lui si zittì e per la prima volta si accorse di quella espressione malinconica che lei aveva sul viso. Quello che lesse negli occhi di Liz lo fece tremare di paura, nonostante sperasse con tutta l'anima di sbagliarsi, aveva già capito.

“Io e William non verremo a Los Angeles con te. Né la prossima settimana, né dopo” disse lei in un fiato.

“Perché no?” chiese con rabbia.

“Ti prego non ti arrabbiare, cerca di capire”.

“E' proprio perché non capisco che mi arrabbio ” rispose.

“Ragiona un attimo. Tu fai tutto molto semplice. In queste settimane siamo stati fuori dal mondo e tutto sembrerebbe facile e realizzabile, ma ci aspetta la realtà, che è molto diversa”.

“Non c'è niente di impossibile se veramente lo desideri” disse lui amareggiato “Ma forse tu non desideri quello che desidero io!” concluse.

“Non è vero che non lo desidero, ma in questo momento, non è possibile anteporre i propri desideri all’evidenza della nostra situazione, dimenticandoci di come stanno le cose. Non possiamo prendere Willie e portarlo in un paese straniero, mettendolo in una situazione di caos. Non capirebbe e finirebbe per soffrire. Inoltre io non potrei mai vivere a Los Angeles”.

“Io proprio non riesco a capire perché! Forse sei ancora arrabbiata con me?” le chiese lui.

“Non sono arrabbiata con te e non è un dispetto. Tu non capisci, ma non è proprio possibile! Fai un lavoro troppo particolare, non guardare adesso che sei fermo, ma tra poco riprenderai a girare film e non sarai più padrone del tuo tempo. Della tua vita non sei già più padrone da molto. Sei braccato dai giornalisti, assediato dai fan, oberato da impegni fatti di pubbliche relazioni con il tuo ambiente, sei costretto a frequentazioni di persone simili a te, per poterti garantite nuovi appoggi e nuove proposte di lavoro. Io non centro niente con tutto questo, non faccio parte e non potrò mai far parte di questo tuo mondo. E' come se tu fossi salito su una giostra, da cui non puoi più scendere!” esclamò con enfasi e poi concluse con una punta d’amarezza e forse anche di rimpianto: “Il meccanismo è avviato, tu fai ormai parte di questo ingranaggio e non ci possiamo fare più niente!”.

“Invece io posso fare quello che mi pare, venderò casa a Los Angeles e tornerò a vivere in Inghilterra. Girerò solo un film massimo ogni due anni e staremo insieme. Io non voglio vivere da solo e voglio imparare a conoscere mio figlio e lo voglio veder crescere” disse lui e poi le prese il viso tra le mani e con gli occhi lucidi le disse “E poi voglio te. Ti voglio con me, voglio dividere la mia vita insieme a te, voglio addormentarmi e svegliarmi con te. Voglio decidere insieme a te ogni cosa, dalla più piccola ed insignificante alla più grande. Farò qualunque cosa perché ciò accada. Perchè io ti amo”.

Elisabeth, si sentì letteralmente morire in quel momento. Lo guardò altrettanto intensamente, consapevole dell'importanza e della profondità delle sue parole. Sapeva che era estremamente sincero in quel momento, ma lo conosceva, e sapeva anche, che quel tipo di decisione avrebbe finito per renderlo infelice.

“Anche io ti amo moltissimo, forse più di quanto riesca a spiegarti. E' proprio per questo che non ti permetterò di fare una sciocchezza del genere. Tu non soffocherai le tue aspirazioni e non rinuncerai a parte del tuo lavoro, per nessuna ragione al mondo. Finiresti per diventare frustrato e molto infelice. Tu devi percorrere la tua strada e io la mia. Non c'è niente altro che possiamo fare. Dei sacrifici troppo grandi finirebbero per far morire anche l'amore e tutti buoni propositi e io non voglio che un giorno guardandoti indietro, tu odiassi me o peggio ancora tuo figlio, per esserti sentito costretto a cambiare la direzione della tua vita!”.

“E se dovesse accadere il contrario? E se io facessi come dici tu e poi mi odiassi per non aver fatto diversamente?” le chiese con un espressione a metà strada tra il disperato e la fida.

“Non c'è niente di definitivo nella vita. Nessuno ti vieta di venire da noi tutte le volte che vorrai e che lo desidererai, noi ti accoglieremo sempre a braccia aperte. Magari più in là anche noi potremmo venirti a fare visita di tanto in tanto” rispose Liz cercando di riportarlo alla ragione.

“E tra me e te come la mettiamo?” gli chiese lui per niente convinto.

Lei rimase in silenzio. Era proprio una domanda difficile.

Che cosa gli avrebbe dovuto rispondere? Che lo avrebbe aspettato? Che avrebbe fatto finta di non vedere o non sentire, di suoi eventuali flirt?

Non era una stupida e non credeva nelle favole, sapeva che lui non avrebbe potuto esserle fedele in eterno, accontentandosi di sporadiche visite una volta ogni tanto. E lei non era proprio tagliata per fare la Penelope in eterna attesa del suo Ulisse. Quindi non avendo il coraggio di dire quello che era giusto, continuò a tacere.

“Ti ho fatto una domanda e gradirei che tu mi rispondessi!” sibilò lui.

“La risposta la conosci già”.

“ E no! È troppo facile così!” disse,mentre con uno strattone la obbligò a girarsi verso di lui.

“ Sei un asso nello scansare gli ostacoli e la regina delle fughe, ma se pensi che te lo lascerò fare anche questa volta, ti sbagli di grosso!” continuò lui.

“ Non possiamo farci nessun tipo di promessa. Non saremmo in grado di mantenerla. Non almeno allo stato attuale delle cose” rispose lei tristemente.

 “ Non trattarmi come se fossi un bambino! Tu non mi vuoi, è questa la verità! Qualunque cosa io faccia o dica non ti sta mai comunque bene. Anche se mi buttassi tra le fiamme dell’inferno per compiacerti troveresti comunque da ridire! Sai che ti dico? Vacci tu all’inferno e restaci. Da sola!”.

Quindi al colmo della frustrazione la spinse via in malo modo e uscì di casa senza aggiungere altro.

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Capitolo 19
*** UNA CHANCE PER ORLANDO ***


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Capitolo 19: UNA CHANCE PER ORLANDO

 

 

Orlando era partito a piedi senza una meta precisa. Aveva preferito non prendere la macchina perché nello stato in cui era, sarebbe stato pericoloso per la sua e l’altrui incolumità. Era in balia di una sensazione che era un misto di rabbia, impotenza e disperazione. Com’era possibile, che finisse così?

Vagò per ore senza fermarsi, come in preda ad una smania. Non trovava pace, e neanche alcun tipo di soluzione. Alla fine dovette arrendersi all’evidenza, benchè non riuscisse del tutto a digerirlo, purtroppo lei, forse, aveva ragione. All’improvviso si sentì stanchissimo, smarrito e desideroso solo di riposarsi. Aveva fatto un sacco di strada e non si rendeva conto, neanche di dove era andato a finire. Si era perso. Mentre cercava di orientarsi, cominciò a pensare alla sua vita. Era una persona famosa, ogni cosa che faceva era mirata a ciò che sarebbe stato il suo futuro artistico. A volte non poteva neanche comportarsi come avrebbe voluto, tutto questo perché il suo lavoro era in cima alla lista delle sue priorità. Non aveva mai avvertito la necessità di cambiare niente di ciò che era il suo modo di vivere, perché a lui piaceva vivere così. Era tutto quello che aveva sempre desiderato, e mentire a se stesso non lo avrebbe aiutato. Voleva fare l’attore e lo voleva fare a qualsiasi costo e a qualsiasi prezzo, non c’era nient’altro che volesse più di quello, almeno fino a quel giorno.

Ora si ritrovava scontrarsi con una nuova realtà, voleva Elisabeth e Willie almeno tanto come aveva sempre voluto essere un attore famoso, ma disgraziatamente le due cose, non sembravano essere molto compatibili. Per quanto si spremesse le meningi, gli fu chiaro che qualunque fosse stata la sua scelta, avrebbe compromesso o comunque svantaggiato l’altra.

Mentre era preso da queste riflessioni, ebbe un’improvvisa rivelazione.

Durante il corso della sua giovane vita aveva lottato molto ed anche duramente. Sapeva che per ottenere ciò che si desidera occorre impegno, dedizione, forza, coraggio e una buona dose d’incoscienza oltre che di fortuna. Non si era mai fermato davanti agli ostacoli, e questo lo aveva portato a realizzare l’obiettivo che si era prefisso. Anche quando si era rotto la schiena, non aveva mollato per uno solo minuto e con la caparbietà e la determinazione di chi vuole vincere a tutti i costi, in soli dodici giorni si era rimesso in piedi, alla faccia di chi gli aveva diagnosticato una degenza difficile e una probabile infermità. Allora, se tutto ciò per cui aveva realmente lottato, alla fine si era realizzato, perché non applicare la stessa regola per Elisabeth e Willie?

Con i sentimenti però, si trovava in una difficoltà maggiore, perché essere razionale, gli risultava essere assai più ostico. Ma niente è realmente impossibile se lo si vuole con tutto se stesso, si ripetè per l’ennesima volta. Avrebbe combattuto fino al raggiungimento del suo intento. L’unica cosa che doveva fare adesso, era cercare di convincere Liz a cedere almeno un pochino. Quel tanto che bastava per lasciare spazio ad un legame, seppur sottile. Al resto ci avrebbe pensato lui.  

Non senza difficoltà riuscì finalmente a ritrovare la strada e quando arrivò a casa, vide Elisabeth, seduta fuori sui gradini antistanti la porta. Lui si avvicinò e le si sedette accanto, stranamente lei non lo aggredì come avrebbe creduto lui.

“ Ciao” gli disse semplicemente.

“Ciao” rispose lui.

“ Hai camminato un bel po’ ” commentò lei sorridendogli.

“ Si in effetti avevo bisogno di schiarirmi le idee”

“ Orlando senti, io non intendevo ferirti” cominciò a dire Elisbeth carezzandole teneramente il viso, “Io ti amo così tanto, e ti amo così come sei, con tutti i tuoi pregi e i tuoi difetti. Non vorrei mai cambiarti o trasformarti in un cagnolino ammaestrato, per far contenta me o chicchessia. A dire il vero credo di amarti proprio perché sei libero, intraprendente, coraggioso e testardo. Se tu fossi diverso, non credo che potrei amarti così tanto”.

Lui la guardò  e poi coprì, la mano di lei che lo stava ancora carezzando, con la sua. E le disse

“Credo che a testardaggine tu sia una degna rivale, ma del resto, anche io posso dire lo stesso, se tu fossi una di quelle donnicciole insipide e lagnose, non prederei neanche un minuto di più dietro a te!” poi continuò “Per una volta potresti anche provarci a darmela vinta. Perché non vuoi neanche fare un tentativo?”.

Lei distolse un attimo lo sguardo, e si fissò su un punto lontano, poi appoggiandosi una mano sulla fronte gli disse “Non è facile. Non c’è mai niente di facile, soprattutto quando cresci e diventi una persona adulta. Credi che non sia tentata? Potrei anche venire con te, potrebbe anche essere bello, ma quanto durerebbe? Io non sono tagliata per fare la compagna all’ombra dell’uomo famoso. Non potrei mai incarnare l’ideale di donna serena che sta a casa con il figlio in attesa che tu rientri da chissà quale luogo sperduto, o dall’ultimo party, conferenza o intervista che sia. Non fa per me! Io voglio realizzarmi nel mio lavoro, voglio sfondare come architetto e voglio le mie soddisfazioni. Credo che questo, tu possa capirlo meglio di chiunque altro”.

“Lo capisco” rispose lui “Ma potesti benissimo realizzarti a Los Angeles, anzi con tutte le conoscenze che ho io, sarebbe molto più facile. Tu hai paura, ma non capisco di cosa. Vuoi dirmelo? Realmente, che cosa è che ti fa paura Beth?”.

“ Tu” rispose semplicemente lei.

“ Io?” chiese lui non senza sorpresa.

“ Si” riuscì solo a dire lei.

“ E Perché?” chiese lui sempre più stupito.

“Perché sono convinta che non sei affatto pronto per un passo del genere e soprattutto perché è una scelta dettata dagli eventi, più che un tuo reale bisogno e desiderio” gli piegò Liz.

“Ti sbagli” disse lui “Stai commettendo un errore enorme, ma io non ti permetterò di rovinare tutto, io ti farò cambiare idea. Un giorno anche se ti costerà fatica ammetterlo, perchè oltre che testarda, sei anche tanto orgogliosa, vedrai che sarai costretta a darmi ragione!”.

“Può darsi. A meno che, tu nel frattempo, non abbia rivolto i tuoi interessi altrove” rispose lei decisa.

“ Non credo” disse lui sicuro.

“ Non dire cose che non sai di poter mantenere” ribattè lei

“Allora il problema secondo te è che io non riuscirei a stare seriamente con una donna sola!”disse come se avesse finalmente scoperto l’arcano.

“Esatto. Sei troppo esposto a tentazioni di ogni genere e tipo. Sei un uomo normale, non certo un santo, e non riesco proprio a vederti monogamo. E poi le tue amichette sono molto spregiudicate e anche un po’ …  beh… insomma ci siamo capiti” gli disse lei.

Lui sorrise divertito “ Le mie amichette chi?” la punzecchiò.

“ Non fare il finto tonto, sai benissimo di chi sto parlando!” rispose lei in preda ad una gelosia sempre più crescente.

Lui, con il suo solito atteggiamento da mascalzone matricolato, si massaggiò il mento con una mano, arricciò un po’ il labbro e roteando gli occhi verso l’alto prese a dire “ Ummmm, fammi pensare un pò …. forse ti riferisci…  a Mallory? Com’è che l’hai ribattezzata? Ecco! Ora ricordo… Barbie la reginetta delle più svariate situazioni, a seconda del caso!” concluse. E il viso gli si illuminò, distendendosi in un sorriso compiaciuto, non tanto per ciò che aveva appena ricordato, ma per il fatto che lei fosse gelosa. Inutile dire che questo gli piaceva e gli dava speranza, se non di vincere immediatamente la guerra, almeno di avere grosse speranze di riuscirci nel futuro. 

“ Non c’è bisogno che tu faccia dello spirito! Tanto la tua bambolina, si è affrettata a spiegarmi per benino la natura dei vostri rapporti, e senza risparmiarmi i particolari!”

“ Davvero?” disse lui continuando a canzonarla.

“ Sì! Davvero! Se proprio lo vuoi sapere mi ha anche detto che ti ha legato al letto una volta” rispose lei abbastanza irritata.

Orlando rovesciò la testa indietro e scoppiò in una fragorosa risata.

“ Ultimamente, ho capito che forse avrei un futuro come comica, visto che ogni volta che tento di fare un discorso serio sulle tue relazioni vere o presunte, tu ti ammazzi dalle risate!” disse Liz che proprio non sopportava di essere derisa, e non decisamente su certi argomenti.

“Scusa, ma, …”  e si interruppe perché stava quasi soffocando dal ridere. Poi riprendendosi continuò “Ma questa è proprio una cazzata colossale!” scosse la testa e continuò “Non è assolutamente vero, e poi conoscendomi dovresti aver capito al volo che non poteva essere vero. Io non mi farei MAI legare! … Da lei poi,… figuriamoci!”, sempre più divertito la guardò strizzando leggermente gli occhi, inclinando impercettibilmente la testa e avvicinandosi al suo viso, le disse “Casomai, se proprio dovesse essere accaduto, avrei legato io lei, e non certo il contrario, ma giuro che non l’ho mai fatto. Anche se ora che mi ci fai pensare, non sarebbe una cattiva idea. Potrei legarti  ben stretta e obbligarti a fare tutto ciò che voglio!”.

“ Tanto io non c’ero quindi …. E poi non mi interessa che cosa facevate! Io di certo non mi farei legare, tanto meno da te!” rispose Liz cercando di darsi un contegno.

Orlando diventò improvvisamente serio: “Ma parliamo di Paul, visto che sembra che qui, mi sia dato da fare solo io”.

“Di Paul non ho niente da dire. La nostra storia è finita e con essa anche la nostra collaborazione lavorativa” rispose lei secca.

“ Ma  ci andavi a letto però!” disse lui, che nonostante facesse tanto lo spiritoso, non è che fosse meno geloso di lei.

“ E se anche fosse?” lo sfido lei.

“ Ah! Allora ci andavi eh?”

“ Se proprio lo vuoi sapere, ci sono andata molto vicino, ma in realtà poi, mi sono sempre tirata indietro. Non so neanche perché te lo sto a dire, visto che la cosa non dovrebbe riguardarti!”.

Orlando si sentì riavere, lo sapeva che lei era libera di andare con chi avesse voluto, e sapeva anche, che lui non si era fatto scrupoli in quel senso, però avere la certezza che non aveva dovuto condividerla con nessuno, lo rese felice. Lei era sua e basta.

Elisabeth al contrario era molto infastidita dai suoi atteggiamenti sfacciatamente maschilisti.  Avrebbe voluto mentirgli e dirgli che anche lei aveva avuto una svariata quantità di relazioni, ma poi le era parsa una cosa stupida e non l’aveva fatto. E ora odiava letteralmente l’espressione compiaciuta e soddisfatta che lui aveva stampata in faccia.

 Orlando che intuì i suoi pensieri, si avvicinò con cautela a lei e le prese il mento fra le dita.

“Guardami”, le disse “ E’ vero. Sono stato a letto con moltissime altre donne, da quando ci siamo lasciati. Per un paio di loro, forse ho provato anche qualcosa che si avvicinava lontanamente al voler bene, ma più che altro era solo sesso. Non voglio mentirti e dire che ho vissuto in castità, macerandomi nel ricordo di noi due. Ma una cosa è certa, nessuna donna con cui sono stato e nessun’altra donna qualsiasi al mondo, mi farà mai sentire quello che provo per te. E non si tratta di quando siamo a letto e facciamo l’amore, parlo di quello che provo quando ti guardo camminare, quando sorridi, quando sei arrabbiata, per non parlare di quando sei con Willie. E’ una cosa che non si può descrivere a parole”, s’interruppe e si mise entrambi le mani sul petto “E’ una cosa che esplode qui dentro, è forte, è così grande che mi riempie di gioia come nessun’altra riesce  a fare. Riesci a capire?” le disse.

“ Credo di si, io provo lo stesso per te” le rispose lei guardandolo con franchezza.

“Allora, non possiamo buttare via tutto questo, sarebbe una cosa imperdonabile e incredibilmente stupida, abbiamo il dovere almeno di provarci! Non credi?” le chiese lui speranzoso.

Lei rimase in silenzio come se stesse riflettendo, poi disse “Comunque, io e William non possiamo trasferirci da te così all’improvviso, mi devi dare tempo. Ho bisogno di prepararlo, e di prepararmi. Non posso fare colpi di testa sull’onda dell’emozione e rischiare di rovinare la vita a nostro figlio. Lui non sa chi sei e per quanto possa provare della simpatia per te, non sappiamo come reagirà al momento che saprà la verità”.

“ E sia. Avrai tutto il tempo che ti serve, ma nel frattempo, io verrò da voi e voi verrete da me tutte le volte che sarà possibile” disse lui senza cedere di un millimetro. 

 Elisabeth era ancora un po’ titubante e non perchè non lo volesse o non fosse felice del fatto che lui l’amasse così tanto, ma perché ancora non riusciva a fidarsi del tutto.

“ E quando tu sarai a Los Angeles e io in Inghilterra chi mi garantisce che tu non ti concederai le tue brave scappatelle?” gli disse.

“ Devi credermi sulla parola. Io farò di tutto per dimostrarti che ti puoi fidare e per convincerti che potrai stare con me ed essere felice e realizzata. Cascasse il mondo, vedrai che ci riuscirò!” disse lui sicuro.

“ Vedremo” rispose lei.

“ Allora me la concedi almeno una chanche?” disse infine lui, con gli occhi come quelli di un bambino ansioso.

Lei si avvicinò al viso di Orlando tanto da sfiorargli il naso e puntandolo dritto negli occhi, come se volesse arrivargli fin dentro il profondo dell’anima, gli disse tutto d’un fiato “Giocatela bene Mister Bloom, perché sarà la sola e unica che avrai!”.

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Capitolo 20
*** EPILOGO ***


Questa storia è stata scritta per divertimento

Capitolo 20: EPILOGO

 

 

Un anno dopo.

 

Elisabeth era sul volo Londra-Los Angeles, era molto stanca, ma anche molto felice. Il suo studio di architetto le stava dando delle grandi soddisfazioni. Ultimamente aveva acquisito come cliente, niente meno che un duca di York. Era per questo motivo, che si trovava sola su quel volo. Quel giorno era il compleanno di Willie, che era a Los Angeles già da una settimana. Era partito con Ingrid, la tata che si occupava di lui. Era stato necessario per Elisabeth procurarsene una, sia per il suo lavoro, sia per i frequenti spostamenti che avevano dovuto fare in quell'ultimo anno. Non ce l'avrebbe mai fatta a fare tutto da sola e sua madre cominciava ad avere una certa età, non poteva certo obbligarla ad un simile stress. E poi c'era Willie, che da principio era molto riluttante ad andare in America, ma poi una volta vista Los Angeles, aveva scalpitato per ritornarci, e si inventava pure dei pretesti molto fantasiosi per poterlo fare. La tata era stata scelta con estrema cura da Elisabeth: era una signora grassoccia sulla cinquantina, Non si sa mai, aveva pensato Liz, visto che doveva passare del tempo anche accanto ad Orlando era meglio premunirsi e non fornirgli nessuna tentazione di nessun genere. Elisabeth rise tra sé e sé della sua gelosia, ma del resto chi non lo sarebbe stata al suo posto?

 

Arrivò al Los Angeles International Airport, con un ritardo notevole, ed era un po’ rammaricata per questo, ma aveva avvertito Orlando, il quale nonostante tutto aveva accettato la cosa di buon grado. A dire il vero aveva fatto un po’ il misterioso al riguardo di dove si sarebbe svolta la festa di compleanno di Willie, aveva vagamente accennato ad una sorpresa…. Elisabeth era curiosa.

La macchina che Orlando le aveva mandato era già lì ad aspettarla.

Neanche dall'autista ci fu verso di sapere dove stessero andando, Elisabeth non dovette attendere molto per scoprirlo, la macchina si fermò davanti all'entrata di Disneyland.

Appena scesa si rese conto che c'era una folla enorme ed era tutto transennato, prontamente una guardia del corpo le si fece incontro. “Venga signorina Barlow, da questa parte” le disse l'uomo. Lei lo seguì sentendo su di se lo sguardo di disapprovazione di tutta quella gente. Avrebbe dovuto esserci abituata ormai alle folle, alle fan di Orlando che avrebbero voluto vederla sparire o anche peggio, ma per quanto si sforzasse, quel genere di situazione la faceva sentire ancora a disagio.

“Ma dai!!!! Ma fateci entrare, solo per pochi minuti…. Giusto per farci fare un' autografo! Per favore!” stava letteralmente pregando una ragazzina appoggiata alle transenne.

“Ragazze, per favore, siate brave, davvero non si può entrare oggi E' in corso una festa privata”.

Fu sentendo questo scambio di battute, che Elisabeth si rese conto che Orlando aveva affittato l'intero parco di divertimenti per festeggiare il compleanno di Willie.

Appena dentro, fu accolta da una insolita ed agitatissima Ingrid  “Oh! Signora, ma lei è già qui?” chiese alquanto imbarazzata.

Elisabeth la guardò con aria interrogativa “Che c'è Ingrid? Come mai sei così agitata?” le chiese senza tanti preamboli.

“Ma niente signora, si figuri” poi prendendola per un braccio tentò di portala verso una caffetteria “Ma venga con me e si prenda una buona tazza di caffè caldo, sarà stanca immagino!”.

Elisabeth cominciò ad insospettirsi e visto che Ingrid sembrava volesse a tutti i costi sviarla, si rivolse ad una delle guardie del corpo e gli chiese “Tommy, ma dove sono Orlando e mio figlio?”.

Lui molto candidamente le rispose “E' da circa quaranta minuti che sono sulle montagne russe” poi indicandole la parte dove era collocata l'attrazione, aggiunse “ Ecco vede, se lei segue questo vialetto e svolta a sinistra, li troverà immediatamente” concluse l'uomo con un sorriso.

Elisabeth non gli rispose nemmeno e a passo di marcia si diresse verso di loro.

“Questa volta, faccio una strage! Prima strozzo uno e poi strozzo anche quell'altro! Mi faranno venire un infarto uno di questi giorni!” disse a voce alta. Ingrid la seguiva, certa che quello sarebbe stato il suo ultimo giorno d lavoro.

Sentì prima gli urli, tutti e due parevano divertirsi un mondo, poi li vide in cima a quella struttura enorme, pronti a fare una discesa a tutta velocità e per giunta con le mani alzate. Fu troppo e si coprì gli occhi, in preda all'angoscia.

Orlando e Willie erano al loro dodicesimo giro.

“Papy ne facciamo un altro?” chiese il bambino eccitatissimo.

 Orlando che scioglieva letteralmente quando si sentiva chiamare Papy da suo figlio, s'impose di non cascare nel tranello dell'astuto pargolo, anche perché sapeva di avergli fatto fare una cosa non molto adatta ad un bambino di soli cinque anni. Lo prese in collo e con aria ferma, ma tranquilla gli disse:

“No, ora basta, anche perché dovrebbe arrivare tua madre e se ci trova qui …”

William  lo tirò per maglia e gli disse “Papy guarda, la mamma è già qui!”.

Ad Orlando venne un colpo. Si girò sfoderando uno dei sorrisi più ammalianti che riuscisse a fare e andandole incontro le disse “Amore ma sei già qui?”. Quindi fece scendere Willie che si precipitò tra le braccia della madre che prima lo baciò e poi lo rimproverò. Subito, Ingrid prontamente prese il bimbo per mano e con la scusa di fargli mangiare l'ennesimo gelato li lasciò soli.

Elisabeth guardò Orlando con una tale disapprovazione che a lui venne voglia di scappare.

“Non ti ammazzo giusto perché abbiamo un figlio da allevare! Ma come ti viene in mente di fare queste bravate? Sei un …. un ….”

Ma non fece in tempo a finire perché lui l'aveva presa e la stava baciando.

“Anche io sono felice di rivederti Beth” le disse appena si staccò da lei.

 

Bene o male, in qualche modo, Orlando riuscì a calmarla.

Passarono la giornata al parco poi la sera prima di cena, ritornarono tutti a casa. Stranamente Ingrid e Willie si eclissarono quasi subito.

Orlando, prese Elisabeth per una mano e la portò fuori.

“Ho una sorpresa anche per te”, le disse sorridendo soddisfatto, mentre per mano la portava verso una delle tre piscine della villa.

Elisabeth vide che c'erano candele che illuminavano tutta la zona antistante la piscina più piccola, quella che lui, aveva fatto appositamente costruire per Willie. Sul lato destro notò che tra l'erba s'intravedeva una tovaglia bianca con il necessario per la cena, tutto disposto in maniera impeccabile e sempre illuminato da candele. Era tutto molto bello, Elisabeth rimase piacevolmente sorpresa.

“Ti piace?” le chiese lui.

“Molto” rispose sorridendogli a sua volta Liz.

“Ho pensato di fare una specie di pic nic. Mi sto sforzando di essere molto romantico”.

Lei si girò e le sfioro le labbra con bacio

“Grazie, lo apprezzo davvero tanto” disse Elisabeth che era molto colpita da quel gesto.

Si fermarono e lui le prese entrambi le mani, poi si frugò in tasca ed estrasse un astuccio rettangolare piuttosto lungo.

“Questo è per te” le disse porgendoglielo.

 Elisabeth lo guardo un po’ interdetta e poi lo aprì, dentro c'era un piccolo mazzo di chiavi. Le prese in mano e le guardò con aria interrogativa.

“Sono le chiavi del tuo nuovo studio, qui a Los Angeles, l'ho comprato subito dopo che sei ripartita, esattamente trentasette giorni sei ore e quarantadue minuti fa” le spiegò lui.

Liz fece per aprire bocca e rispondere ma lui, le poggiò un dito sulle labbra.

“Prima di dirmi di no, fammi parlare un attimo. Non ho intenzione di farti chiudere l'altro studio a Londra, vorrei almeno solo che tu provassi a vivere qui, con me. Poi, se proprio la cosa non va, mi trasferirò io a Londra. Davvero non ce la faccio più a fare e a farti fare avanti e indietro. E poi sarebbe anche l'ora che stessimo tutti e tre insieme un po’ più a lungo di quindici giorni o una settimana alla volta!”.

Lei era un po’ frastornata, questo non se lo aspettava, anche se a dire il vero, ultimamente ci aveva pensato un bel po’ su, ad una simile evenienza.

“Appena avrò sistemato il duca di York prenderò una lunga vacanza e verrò a trovarti. Mi tratterrò un po’ più a lungo di soli quindici giorni. Vedremo come vanno le cose, ma niente fretta intesi? Poi eventualmente, insieme decideremo che cosa sarà meglio fare” le rispose lei circondandogli il collo con le braccia. Ad Orlando bastò che lei non le avesse detto un no categorico, quindi euforico, l'afferrò per la vita e disse “Allora festeggiamo a dovere!” e sollevandola la tirò giù, e con un gran tonfo finirono entrambi in piscina.

“Ma allora sei davvero sempre più scemo!” disse lei annaspando.

“Il fatto è che mi era rimasta una gran voglia di farlo in acqua dall'ultima volta che eravamo a mollo!” rispose lui ridacchiando ed attirandola a se.

“Ma la cena non si raffredderà? E poi potrebbero vederci e…”

“Ho pensato a tutto io! La cena è già  di per se una cena fredda, e ho dato serie disposizioni, di divieto assoluto di avvicinarsi al parco a chiunque. Pena il licenziamento in tronco!” ripose mentre stava già armeggiando per toglierle la camicetta.

 Lei lo guardò con un'aria molto maliziosa e gli disse “Sei veramente un pessimo elemento, lo sai?”.

“Ora basta con le chiacchere” ripose lui fissandola e avvicinandosi alla sue labbra le disse in un sussurro “Perché non mi dimostri quanto ti sono mancato?”.

Elisabeth non se lo fece ripetere due volte. Con una mano lo attirò a sé, facendolo aderire al suo corpo, poi si fermò per restituirgli lo stesso sguardo pieno di passione con cui la stava guadando. E senza altri indugi lo baciò con tutta l'intensità dell'amore che sentiva per lui.

 

*FINE*

  

-LA SCELTA DI ELISABETH-

 

Sgangherata opera prima di Moon (pseudonimo di cui non vi riveleremo GIAMMAI l'identità!)

 

Dedicata con tutto il mio affetto a Mandy, senza le nostre telefonate, chissà cosa avrei mai fatto nei momenti di crisi mistica da fiction! Ti voglio bene!

A mami che ha dato il via e che mi è stata preziosa consigliera e beta reader (ma si dice così??) fino al capitolo 8 ( e si vede direte voi!    Sigh … rispondo io, ma mi sto impegnando!). Grazie mami, ma soprattutto sono felice di esserti amica!

A Lorella perché mi ha ridato la voglia di scrivere, oltre che molto altro ancora!

A Diva per il solo semplice fatto di esistere e di essere quello che è! Perché mi ha fatto leggere un infinità di libri e perchè le voglio un mondo di bene!

Per ultimo la vorrei dedicare ad Oralando …. Opssssssss…….. ad Orlando che con quella faccia " Un po’ così" è stato il protagonista ideale, gli auguro ogni bene nonché una vita sentimentale felice, ma indubbiamente molto meno complicata di quella che mi sono inventata io! …..

…… Anche se forse se la meriterebbe???? ^______^

 

Grazie anche a tutte voi che l'avete letta e recensita, vorrei scrivere tutti i nomi, ma poi rischio di fare un capitolo solo per i ringraziamenti e non mi pare proprio il caso! Sappiate comunque che ho apprezzato molto il vostro supporto e che siete tutte magnifiche.

 

Sì, si, tranquilli, questa volta ho veramente finito!

Moon

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